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Autore: Terre_del_Nord    21/05/2011    10 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.005 - Nuovi Equilibri

IV.005


Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 25 dicembre 1971

    “Che cosa ci fai lì, impalato? Vattene, devo vestirmi!”

Era iniziata così la mattina di Natale: mi ero alzato molto presto, dopo una notte agitata, carica di strani presagi, avevo passato ore intere a cercare di prendere sonno, ero stato nello studio a leggere per un po', ero persino entrato nella camera di Walburga, Merlino solo sa per fare che cosa, mi ero seduto su una delle poltrone vicino al suo baldacchino e mi ero fermato a guardarla dormire. Me ne ero andato prima che si svegliasse, all'alba, non avevo per niente intenzione di iniziare la giornata litigando con lei, anche se non avevo la certezza che non si fosse accorta della mia presenza: una parte di me, forse, s’illudeva ancora che fosse stata sveglia per tutto il tempo e avesse fatto finta di niente, tanto un codardo come me non avrebbe mai intrapreso folli iniziative… O forse... forse anche lei desiderava che restassi lì, al suo fianco, come un tempo, era solo l’orgoglio a impedirle di chiedermelo... la paura che potessimo tornare a essere come un tempo…

    Sei solo un patetico illuso, Orion... esattamente come il primo giorno...

No, non era più come il primo giorno, non per me. E se ero lì, se ero stato lì, durante la notte, era proprio, in fondo, per averne dimostrazione. Era per lei che non riuscivo più a dormire, per le domande che da tempo mi accompagnavano: da mesi, dalla sera funesta in cui mio figlio era stato smistato a Grifondoro, era stato un crescendo, fino all'apoteosi, fino alla notte in cui, a Herrengton, era accaduto il finimondo. In quei mesi, con lei, avevo sentito un disagio nuovo prendermi, improvviso, nei momenti più disparati, pensieri assurdi giungevano a dilaniarmi la mente e a togliermi le poche certezze. Non sapevo più che cosa fosse giusto, cosa dovessi realmente fare. Sì, era per lei, per i dubbi che mi tormentavano, su lei, su noi, sul nostro sbilenco equilibrio, sul rapporto malato che avevamo instaurato con i ragazzi, che non riuscivo più a trovare pace. All'improvviso tutto mi appariva assurdo, folle, estremamente sbagliato, tutto da rifare. Sì, avevo sbagliato... E l'errore peggiore, me ne rendevo conto solo adesso, non era nemmeno stato Elizabeth. Piuttosto quello che avevo lasciato che accadesse dopo.
Mi ero fatto la doccia, mi ero rasato, mi ero vestito di tutto punto, con un leggero incantesimo avevo fatto sparire le tracce di stanchezza che la notte insonne aveva lasciato sul mio volto, perché un vero Black non mostra mai nessun cenno di dubbio o debolezza, anche se quella recita, quella continua recita, giorno dopo giorno, non faceva che segnare l'anima con rughe più profonde, ed io mi sentivo consumato, sdrucito, come la trama di una veste portata troppo a lungo. Quando, infine, pronto per la colazione, avevo visto la luce accesa filtrare da sotto la porta della sua stanza, non ero sceso di sotto, ma ero andato da lei, di nuovo, ero entrato senza chiederle il permesso, di nuovo, e in silenzio mi ero fermato sull'ingresso a guardarla, insistente. Volevo esserne sicuro, essere sicuro di quella volontà nuova, di quella consapevolezza nuova, nata in me, in tutti quei mesi. Continuavo a fissarla, imperturbabile, ammiravo il suo sguardo duro e profondo che mi fulminava dallo specchio; rimasi lì, fermo, appoggiato allo stipite, le braccia incrociate, senza una parola, anche dopo che lei aveva ripreso a sistemarsi l'acconciatura, fingendo che fossi sparito, sbattendomi in faccia, con la sua indifferenza e il suo mutismo, come sempre, che persino il tappeto ai suoi piedi aveva più valore di me, ai suoi occhi. In realtà, continuava a sondarmi di sottecchi, lo vedevo, a controllarmi, a calcolare mentalmente che non muovessi un passo di troppo, che restassi al mio posto, carica sempre, incessantemente, di quel rancore che non ci dava tregua, che ci lacerava da anni. Un rancore sordo, freddo, che anno dopo anno, come la goccia, che pezzo dopo pezzo, sfalda la montagna, mi aveva scalfito, sempre di più, mi aveva ferito, sempre più nel profondo, persino più della rabbia feroce e dell’intenso dolore fisico con cui mi aveva travolto all'inizio. Guardandola, anch’io implacabile, mi accorgevo quanto avesse segnato ferocemente anche lei: anche lei così sdrucita, anche lei così infelice…
C'erano stati giorni in cui quel suo rancore mi era entrato sottopelle, mi aveva bruciato e divorato da dentro, come fiamme d’inferno, ed io mi ero tormentato all'idea di dover fare qualcosa, qualsiasi cosa, per trovare un rimedio a quella situazione, invano. Assurdamente, pateticamente convinto che ci fosse ancora una possibilità di redenzione non solo per me, ma per entrambi. Nemmeno Alshain, la persona che meglio di tutti, da sempre, mi conosceva, riusciva a capire quel sentimento strano, quella punizione continua che m’infliggevo: secondo lui era assurdo, patologico, che, dopo tutto quello che Walburga mi aveva fatto, dopo il castigo tremendo cui mi ero lasciato sottoporre, io non solo accettassi di pagare ancora, ma mi sentissi ancora legato a lei da qualcosa che non fosse solo il freddo, asettico, dovere familiare. Lo sapevo anch’io che era assurdo, ma per anni ero riuscito a sentirmi vivo proprio permeandomi di quel suo rancore, perché era comunque un rapporto, malato certo, ma c’era almeno qualcosa di vivo, di concreto tra di noi. Certo se me l'avessero detto appena pochi anni prima, io stesso avrei riso all'idea di ridurmi a quel modo… e invece…

    Sei un folle, Orion, solo un patetico pazzo.
    No, sono solo innamorato di te, disperatamente, innamorato di te, mi manchi Walburga, mi manchi!

Che cos'altro era altrimenti quel buio in cui amavo attardarmi? Se non era amore, che cos'altro era? Senso di colpa? Nostalgia? Necessità di sentirmi in qualche modo, qualunque modo, vivo? La frustrazione di chi può ottenere tutto, tranne una sola cosa, e allora si fissa su di essa e l'esalta, anche se, razionalmente, sa che non ce ne sarebbe motivo? Col tempo, ciò che si sa perduto irrimediabilmente assume sempre un valore superiore a quello intrinseco, era una verità universale, che avevo appreso persino negli affari... Ma non era questo… non era nulla di tutto questo. Avevo dato alla famiglia tutto quello che le dovevo, due straordinari eredi maschi, ormai potevo essere libero di vivere la mia vita, potevo avere tutte le donne che volevo, bastava agire con discrezione, non creare altro scandalo: solo questo ormai mi era richiesto, la discrezione in cambio della libertà, avrei potuto vivere la mia vita tranquillamente, come facevano decine, centinaia, migliaia di altri uomini. Incredibile a dirsi, però, dopo averla agognata per tutta la vita, non avevo saputo che farmene della libertà, non mi serviva a niente essere libero, mi faceva solo sentire più prigioniero della mia disperazione. Volevo lei, solo lei, desideravo solo imprigionarmi di nuovo in quell’amore incredibile e vero che brevemente, troppo brevemente, avevamo condiviso.

    Sei un folle Orion, un folle, masochista e pazzo, nulla di più.

Mi sentivo le sue parole cariche di disprezzo nella testa tutte le volte, tutte le notti, senza possibilità di redenzione, mentre mi sfinivo da solo le membra, nel mio freddo letto; non riuscivo a togliermi dalla testa quella donna, l’unica donna, per anni odiata, per anni disprezzata, poi all'improvviso tanto desiderata, tanto follemente voluta, tanto assurdamente perduta... Perduta nel momento esatto in cui mi ero sentito l'uomo più felice della terra, completo come non ero stato mai e come non sarei stato più. Lei, che dormiva nella stanza accanto alla mia. Lei, che era sempre davanti ai miei occhi, nobile, bella, austera, perfetta, irraggiungibile. Lei, la madre dei miei figli
  
    Lei, mia moglie.

Poi Sirius era finito a Grifondoro e… All’improvviso le parole di Walburga, sulla mia carne, sembravano capaci di incidere solo unghiate terribilmente e profondamente insopportabili… ingiuste… Finché, come il silenzio attonito che segue la tempesta più furiosa, in me si era spenta ogni voce, ogni sensazione, ogni emozione. Mi ero reso conto, all’improvviso, di non avere addosso più niente di quell’amore. Era arrivata, si era insinuata, improvvisa e silenziosa, inesorabile, sotto pelle, quella sensazione sconosciuta di vuoto assoluto. Com'era possibile? E soprattutto, esisteva davvero quella quiete o m'illudevo soltanto? Non riuscivo a credere che realmente, di colpo, si potesse smettere di provare qualcosa, qualunque cosa, verso chi ci aveva fatto soffrire così tanto, chi si era amato così tanto. No, non era possibile. Eppure, ora che ero lì, a pochi passi da lei, ad ammirarla, lo sentivo ancora di più: qualcosa si era rotto per sempre dentro di me, dopo Herrengton, non riuscivo più a mentire a me stesso. Non provavo più dolore. Non provavo più desiderio. Per alcuni giorni avevo provato rabbia, ora non provavo più nemmeno quella. La guardavo e quel rancore che le vedevo nello sguardo, quel suo rancore di cui mi ero cibato per sopravvivere, mi riempiva solo di pietà, di una pena infinita per lei, perché vedevo senza alcun filtro la solitudine terribile che viveva nella sua gabbia d'odio. L'aveva creato lei, attorno a noi, quel dolore, come una culla in cui vivere, insieme, per anni, copia al negativo dell'amore inaspettato che ci si era appiccicato addosso quasi per miracolo. Ora io ne ero miracolosamente uscito, lei restava fissa lì, e temevo, non ne sarebbe uscita. Mai.
Mi avvicinai, lei mi seguiva dallo specchio con gli occhi foschi di una gatta pronta ad aggredirmi alla prima mossa falsa. La guardai... così terribile e ancora bellissima...

    Come fai a non essere ancora stanca di odiare, Walburga? Anche ora che il motivo dell’odio è cenere e noi stessi siamo ridotti a polvere dispersa dal vento…
    Che cos'è Walburga che ancora t’infiamma il cuore di rancore? È amore, Walburga?
    Quest'odio è l’altare su cui celebrare in eterno ciò che resta dei nostri sentimenti?È perversa nostalgia per quello che eravamo e non saremo... mai più?
    Sei tu, solo tu che vuoi questo!
    O ormai, per te, il rancore è la sola strada per sentirti viva? Per non tornare a essere come quei dannati volti sull'arazzo, fissi, fermi, eterni, vuoti, sacrificati al dovere, privi di passione e quindi di vita?
    Puoi ancora scegliere un destino diverso, Walburga! Io sono qui, davanti a te, per questo!
    Spezza queste dannate catene e seguimi, Walburga, torniamo a vivere la nostra vita! Hai conosciuto la passione con me, la voglia di vivere e di essere, quella che ti hanno insegnato a disprezzare, a mettere in secondo piano, rispetto al dovere… Non puoi più farne a meno, di quella vita, di quella passione, vero? Ammettilo!
    È solo l'orgoglio che t’impedisce di vivere come vorresti, come io voglio e posso darti ancora! È per questo che odi così tanto?
    Dimmelo!
    Ti rendi conto che odi me, ma in realtà odi te stessa? Ti odi per quella che consideri la tua vergognosa debolezza… ma è solo… La tua sacrosanta voglia di vivere!

Ero arrivato a toccarle il cuore quel giorno? La passione che aveva messo nei due schiaffi che mi aveva dato dimostrava la presenza di un cuore ancora vivo nel suo petto, o solo tutto il suo disgusto per le mie intemperanze poco Black? Non importava, non importava più, ormai, perché non ci sarebbe stato più un momento simile, mai più. Avrei potuto chiederle di darmi la mano, di darmela in quel momento, finché avevo ancora una possibilità, una soltanto, l’ultima, di prenderla e portarla via con me, lontano da quell’oscurità soffocante, ora che una luce improvvisa mi mostrava la strada... Quante volte in quegli anni, però, le avevo offerto la mia mano e lei l’aveva guardata con disgusto e disprezzo? Fermo sulla porta, fissavo i suoi occhi di un blu cupo e terribile riflessi nello specchio: non l’avrebbe fatto mai, non mi avrebbe più dato quella mano, come non l'aveva mai fatto in quegli ultimi anni, perché il suo rancore era fatto solo di “orgoglio”, solo di orgoglio, nulla di più...

    “Sei diventato anche sordo? Non ti ho dato il permesso di entrare e voglio che tu te ne vada!”

No, non sono mai stato sordo, mai, ai suoi improperi, alle sue maledizioni, alle sue punizioni. Nemmeno alle sue lacrime... Quanto si vergognerebbe se sapesse che l’ho sentita anche piangere... Quelle lacrime erano state per me la Cruciatus più potente... E al tempo stesso la mia più grande speranza, mi hanno dato per anni la forza di aspettare, di resistere, erano la prova che il sangue le scorreva ancora vivido nelle vene... m’illudevano che un giorno avrei rivisto ancora indomita la fiamma del desiderio nel suo sguardo, quella che solo io le avevo acceso nel corpo e nell'anima. E forse persino quella felicità improvvisa, inaspettata, autentica che avevo scoperto nascere in lei anche per le cose più semplici. L’avevo sentita piangere, e avevo creduto che quelle lacrime fossero identiche alle mie, lacrime di un cuore innamorato, ferito ma disposto ancora a combattere per la propria felicità, invece, giorno per giorno, si era cristallizzata una diversa realtà, cui non volevo credere né rassegnarmi, l'orgoglio l’aveva portata via, sempre più lontano da me, me l’aveva divorata pezzo per pezzo, davanti agli occhi, senza che potessi fare niente. Si può morire d'orgoglio e si può far morire d’orgoglio chi ci vive accanto...  Io sarei stato disposto persino a morire, per lei, per liberarla, per renderle la felicità, avrei anche potuto morire... in fondo lo meritavo, avevo fatto soffrire la persona che avevo scoperto di amare più di me stesso, io che ero stato sempre innamorato solo di me stesso…

    “Vattene, Orion...”

La guardavo, era incredula, via via meno fredda e sempre più spaventata, forse si stava maledicendo per aver lasciato la bacchetta sul comodino, lei che non se ne separava mai, forse temeva che fosse uno di quei giorni, in cui non riuscivo a nascondere la mia debolezza nei suoi confronti, uno di quelli in cui ero capace di prostrarmi e umiliarmi davanti a lei, dicendole quello che provavo per lei, chiedendole perdono, chiedendole un’altra possibilità, provocando in lei ancora più disgusto e raccapriccio per la mia incapacità di contenermi. O forse temeva che fossi talmente impazzito e ubriaco da volermi prendere di prepotenza quello che non mi avrebbe dato mai più, nemmeno a rischio di morire. Rapido le fui vicino, alle spalle, vidi i suoi occhi carichi di domande fissarmi ancora dallo specchio, scuri di paura e angoscia, le posai una mano sulla spalla e la sentii tremare, mi chinai su di lei, annegando il volto nell’incavo del suo collo, stampando le labbra umide sulla sua pelle, osando quello che non avevo più fatto da non ricordavo più nemmeno quanto tempo, quello che l’avevo pregata a volte di poter fare, prostrandomi come un mendicante, subendo il suo oltraggiato diniego. Profumava, come al solito, di una delle sue essenze costosissime, mi trattenni ancora ad annusare, mi dilungai con le labbra in quello che un tempo era un momento di piacere per entrambi, ora solo una prova di forza. Aprii gli occhi e sfidai i suoi, allo specchio, sentivo il suo corpo contratto, voleva svicolare da quel tocco che le faceva doppiamente ribrezzo, aveva il respiro rotto dalla paura e dall’attesa.

    Quanti schiaffi vorresti darmi per la mia audacia? Con quanta convinzione e impeto cercheresti di cavarmi gli occhi, gettarmi a terra, sfogare tutto l'odio che senti, su di me, a colpi di bacchetta, appena ne avessi l’occasione? Quali malefici potenti stai pensando di scagliarmi addosso, mentre mi attardo a muovere le labbra sul tuo collo?

Sorrisi. No, non provavo più niente, per la prima volta ero io il più forte: lei provava ancora odio per me, io non provavo più nulla per lei, il suo calore e il suo profumo mi accendevano appena i sensi come il corpo di qualsiasi altra donna, ma non risvegliavano più il mio cuore.

    Cos’altro posso provare se non indifferenza per chi ha abbandonato mio figlio? Solo… completamente solo. Un bambino di undici anni
    Solo. Nella sua completa disperazione...  Nella paura, per se stesso, per la sua famiglia, per le persone che più ama.
    Walburga non è più la donna che ho amato, la donna che ho amato non l’avrebbe fatto mai… la donna che ho amato non esiste più, l’ho uccisa io e ne pagherò per sempre il prezzo.

    “Smettila immediatamente... mi fai ribrezzo! Non sono una di quelle sgualdrine che ti piacciono tanto... esci da qui, subito!”

Ritornai in me, non risposi ai suoi insulti, staccai le labbra dal suo collo, ma non tolsi la mano dalla sua spalla, sentivo tutta la sua fermezza nel volersi alzare e colpirmi, ma ero altrettanto determinato, non me ne sarei andato finché non avesse compreso. Ero lì solo per questo: lei doveva rendersi conto di non avere più alcun potere su di me. Quello che aveva fatto a “mio” figlio, aveva cambiato tutto, aveva definitivamente cambiato tutto, molto più di quello che aveva fatto a me, attraverso l’indifferenza, l’odio, le umiliazioni. Glielo avevo detto dal primo giorno, dal primo momento, avrei subito ogni genere di umiliazione da lei, perché fallendo con la mia debolezza, l’avevo indotta a sua volta a fallire, a venir meno dal suo ideale di perfezione, non avrei però lasciato che uccidesse tutto il resto con quell'orgoglio. Non i nostri figli. Nessuno dei nostri figli. Mi guardava carica di domande, sempre più spaventata...
La mano libera scivolò nel panciotto ed estrasse una custodia di pelle, rettangolare, allungata, gli occhi di Walburga seguirono tutti i miei gesti e la curiosità prese il posto dell’ira e della paura. L'aprii ed estrassi una catena di argento e smeraldi, la lasciai brillare nella luce delle candele che illuminavano la stanza, l’appoggiai alla sua pelle nivea, l’allacciai e rapido le sciolsi i capelli, la sua sorpresa, la sua vanità, la sua cupidigia, presero il posto dell’orgoglio e del rancore. I capelli, liberi dall’aristocratica acconciatura, andarono a incorniciarle il volto, accarezzando la pelle coperta solo dall'accappatoio, ancora calda e umida del bagno appena fatto. Con un gesto rapido avrei potuto allentare il nodo e far scivolare il tessuto a terra, vedere se mi avrebbe permesso di farlo, vedere se mi avrebbe permesso di guardarla, o persino di toccarla. Rimasi immobile, la fissai attraverso lo specchio, bellissima, desiderabile, sondai i suoi occhi, mi chiesi che cosa pensasse in quel momento, se almeno in quell’ultimo istante provasse nostalgia per me, come io avevo provato, fino alla follia, per lei, se in cuor suo desiderasse che io prendessi coraggio e la sfidassi, fino in fondo. Mi guardava con insistenza, non c’era più paura, né curiosità né ribrezzo, solo domande.

    Che cosa cerchi nei miei occhi Walburga? Cerchi ora quell’amore che ormai è sparito per sempre?
    Lo vedi, lo senti, che non c'è più potere nel tuo corpo e nel tuo sguardo su di me?
    Che cos’è che ti stupisce, Walburga? La mia libertà?
    Sì, è vero, ora sono libero... mi hai reso tu libero. Non con l'odio né la violenza, mi hai liberato tu dalla mia ossessione per te, con la tua atroce indifferenza verso il nostro comune sangue. È finita, Walburga... è finita.
    Per anni la mia codardia e il tuo orgoglio hanno eretto un muro tra noi... Mi sono illuso per anni che per rompere il maleficio che imprigionava la tua anima, sarebbe bastato baciare i tuoi occhi, le tue labbra, riprendermi questo tuo corpo che è sempre stato mio e mio soltanto... farti sentire, vivo e furioso, quel tuo sangue bollente nelle vene.
    Ti ricordi come bruciava quel sangue puro nelle tue vene, Walburga? Non era così, però, mi sbagliavo: non esiste più alcuna strada per ritrovare la tua anima.
    Non esiste più la tua anima… altrimenti non avresti lasciato Sirius così… da solo… Non così…

    Mi staccai da lei, mi allontanai, le diedi le spalle, raggiunsi la porta, consapevoli entrambi che non sarei più entrato in quella stanza, non avrei più toccato quella pelle, né baciato le sue labbra. Nemmeno per dimostrare qualcosa a me stesso... non avevo bisogno di altre dimostrazioni…

    “Sei solo un codardo, Orion... un codardo che non sa andare fino in fondo... ”

Un tempo sono stato un codardo... è vero… Una forma d'amore anche quella...  Una patetica forma d'amore, come hai sempre detto tu, come hai sempre ironizzato tu…

    Patetico, sei solo patetico, come patetici sono i tuoi sentimenti...

Ora non ci sono più, Walburga… forse un giorno, all’improvviso, come io ho scoperto l’indifferenza, tu proverai nostalgia per i miei patetici sentimenti… ma sarà troppo tardi… come per la mia ricerca della tua anima…    

    “Se preferisci un altro colore o un'altra fattezza, i folletti cambieranno questa collana con qualcosa di tuo gradimento… Buon Natale, Walburga...”

Mi chiusi la porta alle spalle, davanti al tuo silenzio: se non fossi stato un cuor di coniglio, avrei avuto il coraggio di dirtelo a parole.
    
    Addio.

***

Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 25 dicembre 1971

Benché fosse la mattina di Natale, l'atmosfera a Grimmauld Place, se possibile, era ancora più glaciale del solito. Sentivo l'arrivo della tempesta, una tempesta piuttosto impetuosa e non ero certo l'unico a essermene accorto: Regulus era seduto di fronte a me, e dal modo in cui teneva gli occhi fissi nel suo piatto, se non per fugaci e furtivi sguardi lanciati a destra e sinistra verso i nostri genitori, doveva aver anche lui sentore, come me, del tipo di giornata che si stava prospettando. Nostra madre, alla mia destra, stava sorseggiando il suo nettare di rose, silenziosa e assorta, non impartiva ordini agli Elfi, non si occupava della posta che i Gufi avevano recapitato prima della colazione, né delle notizie del Daily Prophet: in genere si comportava così quando era preoccupata per qualcosa d’importante o stava per manifestare il suo disappunto su qualcosa. Pregai che, almeno per una volta, la causa scatenante non fossi io, non mi andava di star barricato in casa anche il giorno di Natale, anche annoiarmi a morte a casa degli zii, a quel punto, era meglio che star rinchiuso da solo a pensare in camera mia. Nostro padre aveva requisito posta e giornali, e questa non era certo una novità, da che avevo memoria, aveva sempre usato la “Gazzetta” come trincea per segnare il confine tra se stesso e il resto della famiglia: lo studiavo, di tanto in tanto, di sottecchi, immerso nella lettura del giornale, perso completamente in un mondo tutto suo, la colazione si era raffreddata, le uova raggrumate. Non vedevo molto della sua espressione dietro le pagine del giornale, ma dal modo in cui pareva non trovare una posizione comoda sulla sedia e da alcuni colpi di tossetta stizzita, compresi che doveva esserci qualche notizia che lo infastidiva parecchio. Nonostante sapessi che era un'assurdità, mosso a speranza dopo le strabilianti aperture che mi pareva di aver notato in lui e nel suo recente comportamento, quella mattina avevo avuto l'ardire, prima dell'arrivo della mamma, di tentare un approccio, avevo cercato di farmi notare e avevo chiesto con la gentilezza e l'educazione di un perfetto Black di poter leggere la pagina del Quidditch. Come risposta, mio padre, calmo, ma serio e tedioso, mi aveva ammaestrato sui doveri di un vero Black: dovevo stare composto a tavola, non dovevo dimenticare che avevo il diritto di alzarmi solo quando mi avesse concesso lui il permesso e, soprattutto, che non dovevo leggere a tavola. L’avevo fissato in silenzio tenendo per me osservazioni del tipo “perché tu leggi a tavola, allora?" e cose simili, mi ero rimesso seduto al mio posto senza osar dire o fare più nulla, dandomi da solo dello stupido per aver davvero creduto che qualcosa potesse essere cambiato in quella sfinge che era mio padre: non ci capivo più niente, sembravano due persone nel corpo di una. Evidentemente non avevo capito nulla come mio solito, forse avevo sognato, o forse ero impazzito, o forse il pazzo era lui, di sicuro, avevo di nuovo di fronte un uomo che provava, per i suoi figli e la sua famiglia, la stessa glaciale indifferenza che gli suscitavano Elfi e topi di soffitta.

    Dov’è finito l’uomo che ho visto nella mia stanza? O quello che a Herrengton…

Nostra madre ogni tanto alzava gli occhi e lo osservava, enigmatica, e lui le rimandava uno sguardo indecifrabile: conoscendoli, immaginai che dovessero parlare e che non ci volessero tra i piedi, la situazione di certo non era piacevole, ma mi ritrovai a sospirare di sollievo, tra me, perché se fossi stato io la pietra dello scandalo, nostra madre non avrebbe certo avuto remore a “esibirsi”, se non altro per istruire Regulus sui suoi compiti, strapazzando me come fossi una cavia. Appena Regulus finì il suo ultimo sorso di succo di zucca, la mamma ci spedì nelle nostre camere con la solita, patetica scusa: dovevamo renderci presentabili per l'arrivo dei nonni e il pranzo di Natale a casa di zia Lucretia. Mio fratello non riuscì a trattenere la sua espressione sorpresa, visto che erano appena le 830 e mancavano almeno tre ore alla partenza, ma non proferì verbo; io, imperturbabile e stranamente ubbidiente, mi alzai, salutai come avrebbe fatto ogni bravo Black che si rispetti, per evitare di essere coinvolto nella burrasca, poi composto salii tutti i rami di scale con Regulus alle costole, arrivai fino al pianerottolo su cui si affacciavano le nostre stanze, aprii e chiusi con grazia la mia porta, poi quella di mio fratello, infine, furtivo, gli feci intendere che poteva seguirmi, purché restasse zitto. Avevo intenzione di tornare indietro e di capire che cosa stesse accadendo, ma dovevo evitare di mettermi nei guai, perciò tentare di guadagnarmi la collaborazione di Regulus, invece di tagliarlo fuori, mi sembrava la scelta migliore; mio fratello, a sorpresa, non fece obiezioni, né provò a ostacolarmi, non mi guardò scandalizzato, non mi minacciò di dir tutta a nostra madre, né mi apparve terrorizzato per la disubbidienza che stavamo per commettere, evidentemente la curiosità, o forse la paura che davvero alla fine mi spedissero a Durmstrang, in quel momento, era superiore al suo abituale desiderio di compiacere la mamma. Iniziammo così a scendere entrambi, rapidi e cauti, le scale.

    “E se ci limitassimo ad aspettare che finiscano di parlare e poi entrassimo in sala da pranzo per prendere il giornale?”
    “Non credo riusciremo a mettere le mani sui giornali di oggi, Regulus. Hai visto come si son liberati di noi con tre ore di anticipo? Sta succedendo qualcosa, potremmo provare a prendere un giornale a casa della zia, con un po' di fortuna ne troveremo uno, anche se non ci giurerei, se è davvero successo qualcosa che ha turbato nostro padre... ci impedirà di leggere anche lì... ”
    “Credi che siamo diventati poveri?”
    “Poveri? E perché mai? Di cosa stai parlando, Reg?”
    “Non lo so, ma... pensaci... cos'altro potrebbe turbare nostro padre? A parte dei suoi affari, di cos'altro gl’importa? Forse sono andati a monte e abbiamo perso tutto... e… ”

Guardai Regulus... A parte i suoi affari, di solito, nulla suscitava una preoccupazione profonda in nostro padre: persino della politica non gli importava poi molto, di sicuro meno molto meno che ai nonni, si limitava a dire che il Ministero era pieno di porci filobabbani e che i Purosangue non erano tutelati, ma non pareva convinto delle alternative che entusiasmavano, per esempio, zio Cygnus. Riflettei e la risposta mi salì rapida alle labbra: se c'era un altro argomento che poteva far preoccupare tanto nostro padre, era solo la reputazione della famiglia. A ben pensarci, aveva avuto un’espressione simile i giorni in cui era saltato fuori che Andromeda...
   
    No, è meglio non dirlo a Regulus, va nel panico solo a sentir ricordare certe cose...
    
Che cos’altro poteva esser successo di dannoso per la reputazione dei Black? Forse Malfoy non voleva più Cissa? Se n'era approfittato, promettendole di sposarla, l’aveva sedotta e ora si tirava indietro e magari aveva pure fatto in modo che lo sapessero tutti? No, anche se Lucius non fosse stato innamorato, Abraxas l'avrebbe costretto a sposarla, per ricchezza, nobiltà e purezza, il sangue Black era un richiamo fortissimo anche su una potente famiglia come i Malfoy e dopo essere arrivato a un passo da un matrimonio tanto prestigioso, non si sarebbe accontentato di nulla di meno per il suo unico figlio.

    Forse... Forse… hanno arrestato Rodolphus Lestrange... Sì, questo è molto più probabile... è un pazzo criminale, lo sanno tutti!

Persino nostra madre, che di solito apprezzava Bellatrix e suo marito per le loro accese convinzioni antibabbane, sosteneva che si era comportato in maniera disdicevole al matrimonio di Mirzam Sherton, a Herrengton; e anche se, alla fine, tutti eravamo rimasti impressionati e sconvolti per quanto gli era accaduto, era opinione comune che lui e Bella avessero dato scandalo, facendosi cogliere dagli aggressori in una zona interdetta del maniero mentre si abbandonavano a...  Nostra madre arrossiva ogni volta che se ne accennava e non riusciva a continuare. Sì, quello poteva essere un argomento abbastanza difficile da digerire, per la nostra famiglia, essere sulla bocca di tutti per un altro scandalo, a pochi giorni dal fidanzamento di Cissa con Malfoy, col rischio che Abraxas ne approfittasse per avanzare richieste patrimoniali ancora più esorbitanti. No, era meglio non parlarne a Regulus, aveva già timore di Lestrange, se gli avessi detto che lo ritenevo responsabile di qualcosa di scandaloso, rischiavo di turbarlo ancora di più.

    “Che cosa vai a pensare, Reg? La possibilità che i Black diventino poveri è pari a quella di vedere quelle schiappe del “Chudley Cannons” vincere un campionato di Quidditch!”

Sapevo quanto mio fratello deridesse quella squadra e come non perdesse occasione, con zio Alphard, per fare ironia sui loro risultati in campionato e, in effetti, anche in quel momento un sorrisetto divertito prese il posto dell'espressione spaventata che aveva avuto fino a poco prima. Meno male, era meglio distrarlo, quel discorso non mi piaceva.

    “Se non sono i soldi, allora che cosa è accaduto?”

Lo guardai, non sapevo proprio cosa rispondergli, così la buttai sul ridere.

    “Chissà, forse si è dimesso il Ministro Longbottom e non voleva che lo vedessimo fare i salti di gioia... lo sai, è così poco Black manifestare il proprio entusiasmo! Ahahahah…”

Regulus comprese che preferivo cambiare discorso, così lasciò correre e proseguimmo lungo le scale: arrivati al pianerottolo della Sala dell'Arazzo, mi fece cenno di rallentare e di nasconderci meglio, nel buio, i nostri genitori, infatti, si erano spostati dalla sala da pranzo e ora stavano chiacchierando lì, dovevamo fermarci e appostarci, se volevamo ascoltare senza essere notati. Mi sistemai in modo da far da palo a Regulus, nel caso fosse arrivato Kreacher dalle cucine, ma rimasi abbastanza vicino da potergli parlare senza essere udito dai nostri genitori e capire la natura della loro conversazione: al momento sembravano impegnati su argomenti di poco conto.
    
    “Mi stai dicendo che messer Yuket non ha ancora finito i medaglioni? È inammissibile! Se li avessimo commissionarli ai folletti gallesi da cui ci serviamo da secoli, sarebbero già pronti!”
    “Saranno pronti per tempo, Walburga... e l'attesa sarà ricompensata dalla gioia di Narcissa: lo sai, è affascinata dai gioielli di Yuket e ha ragione, sono realizzati in maniera egregia, e la purezza di quelle pietre si adatta alla perfezione di... ”
    “Non mi pare il caso di rischiare una figuraccia con Malfoy per assecondare i capricci di una ragazzina, Orion! Lo sai bene che, in questi casi, si dovrebbe considerare solo la convenienza e... ”
    “Narcissa ha ottenuto per se stessa e per i Black uno dei migliori contratti matrimoniali degli ultimi decenni, Walburga, e l'ha fatto in pratica da sola, senza che dovessimo ricorrere ad arguzie e strategie e negoziati... Se non ricordo male, ti ha anche spianato la strada per certi tuoi progetti, togliendo di mezzo Lucius...  Non mi pare così disdicevole accontentarla e, per quanto mi riguarda, non c'è nulla di male e sconveniente nell’unire l'interesse della famiglia con la propria felicità…”

Regulus ed io ci guardammo, sembrava che stessero bisticciando solo sul dono per il fidanzamento e altre questioni di poco conto, di sicuro nulla d’interessante, eppure...

    “Sirius... ”

Mio fratello si era sporto appena e, rapido, era ritornato al suo posto, rigido come una statua...

    “Forse i giornali sono ancora di sotto... mi pare che papà non li abbia con sé... ”

Dubitavo che li avremmo trovati, se c’era qualcosa d’importante sui giornali che non dovevamo sapere, nostro padre li avrebbe fatti sparire; d’altra parte, era anche possibile che avessero iniziato a bisticciare per Narcissa appena alzati e che fosse quello il motivo dello strano clima mattutino, quindi, forse, sul giornale non avremmo trovato nessuna notizia preoccupante.
 
    “Felicità? Direi piuttosto la stupidità della gioventù, unita a insano romanticismo!”
    “Se non ti conoscessi, direi che sei gelosa di tua nipote… Sei gelosa Walburga?”
    “Non m’interessa proseguire in questo discorso, Orion!”
    “Io invece considero interessante questo discorso!”
    “Allora continualo da solo! Con tutto quello che è successo, non vedo come tu possa perdere tempo con queste ciarle! Sembri una vecchia pettegola! Piuttosto... dovresti andare a dire a certe persone, che sarebbe meglio se non accettassero l'invito per la festa di Cissa... ”
    “Perché non dovrebbero accettare l'invito? Mi hai fatto fare di tutto per strappargli quel dannato contratto e ora non li vuoi alla vostra stupida festa? Non dirmi che ora ti scandalizza saperli in amicizia con… perché se non ricordo male, poche sere fa, tu stessa sei andata a una festa cui tuo fratello l’aveva invitato!”
    “Tu non capisci la gravità della situazione! C’è una bella differenza tra quello che accade in privato, nella casa di una famiglia rispettabile e lo scandalo di farsi coinvolgere in un… Non possiamo sporcarci con queste chiacchiere! Ed è anche pericoloso frequentare certa gentaglia!”
    “Ah davvero? Era una situazione pericolosa? E si lasciano i figli indietro, nelle situazioni pericolose? Che strano…”
    “Che cosa stai facendo? Dove stai andando?”
    “Di sopra… a strappare un certo inutile contratto… l’hai chiamata gentaglia, no? Non vorrai che si sappia dei tuoi progetti con… la gentaglia!”
    “Orion! Che cosa diavolo sta succedendo? Sembri impazzito!”
    “Sei tu che dovresti essere più coerente, nelle tue azioni e nelle tue scelte... io sto bene, e per quanto mi riguarda... ho già fatto la mia parte per il nome e soprattutto, per la testa dei Black...”

Ci guardammo senza capire un discorso dai toni tanto misteriosi, strani e persino preoccupanti: era davvero insolito sentir nostro padre alzare la voce e parlare con una tale fermezza, addirittura controbattere a nostra madre, di solito era d’accordo su tutto quello che lei diceva. Ad aumentare il dubbio e la curiosità, sentimmo il suono secco di qualcosa sbattuto sul tavolo, suonava come risuona il legno, dopodiché sentimmo nostra madre pigolare qualcosa d’incomprensibile, infine ci fu un gelido silenzio incredibilmente profondo e lungo.

    “Se vuoi consegnarle tu ai legittimi proprietari, fai pure... e già che ci sei, dì pure loro, da parte mia, anche se immagino lui l’abbia già capito, che a meno di comportamenti più adatti al nostro nome e al nostro sangue, sono ospiti poco graditi in questa casa… quanto alla festa... se devo ritirare l'invito, lo farò... ma sappi che non mi presenterò nemmeno io...  e nemmeno i miei figli!”
    “Stai scherzando, vero?”
    “Affatto… Arriva per tutti il momento di scegliere da che parte stare... io l’ho già fatto… ora tocca a te… mi auguro ti ricorderai che la tua famiglia è questa, Walburga!

Seguì una pausa che non compresi, guardai Regulus, ma nemmeno lui, dalla sua posizione riusciva a capire, né tantomeno a vedere che cosa stesse accadendo in quella stanza. Non capivo il senso, ma ero fermamente convinto che il rumore di legno fosse il rumore di una bacchetta sbattuta sul tavolo. Quella storia non mi piaceva per niente, quel tono di voce, di mio padre, non mi sembrava presagire nulla di buono. Non si era mai comportato così, e soprattutto, non avevo mai sentito nella voce di nostra madre una nota di paura, volevo solo andarmene il più velocemente possibile via da lì.

    “Proviamo a vedere se c’è davvero il giornale, dai, io vado avanti, tu coprimi... ”

Mi avviai per le scale scendendo di un altro piano, fino alla sala da pranzo, Regulus era dietro di me e si assicurava che i nostri genitori continuassero a bisticciare di sopra, io avevo già la scusa pronta nel caso avessimo intercettato Kreacher. La sala era già stata risistemata, ma la “Gazzetta” era ancora al suo posto, a capotavola, là dove mio padre, l'aveva lasciata, piegata con cura sulle pagine del Quidditch: non sarebbe stata buttata via dall'Elfo prima della sera, a meno di ordini precisi, perché il padrone di casa poteva ancora richiederla in qualsiasi momento. Mi guardai attorno, furtivo, sentii che Kreacher era di nuovo in arrivo, tirai fuori la bacchetta da sotto la giacca e ci provai, per la prima volta, dentro Grimmauld Place.

    “Accio Daily Prophet!”

Il desiderio di capire che cosa stava realmente accadendo superò tutto, sia la voce tremante che non governava ancora bene l'incantesimo, sia l'indecisione della mano, sia la paura e l’eccitazione nel commettere qualcosa di proibito, anzi addirittura illegale.

    “Sei pazzo?! Non puoi usare la Magia fuori dalla scuola, Sirius! Non sei maggiorenne!”

Presi al volo la Gazzetta che fluttuava nell'aria verso di me, sorrisi passando di fianco a mio fratello, arrotolai rapidamente il giornale e me lo nascosi dentro i pantaloni, pronto a riprendere di corsa la via per la mia stanza; ghignando, gli sussurrai piano una frase per me celebre, la frase di uno dei miei miti, quella che Rigel Sherton mi aveva rivolto la prima volta che l'avevo visto.

    “Credi che m’importi qualcosa del Ministero? Con tutti i Maghi che ci sono qui oggi, sfido chiunque a capire che sono stato io ... ”
    “Che stai dicendo, Sirius? Siamo solo noi quattro, qui dentro! E tu sei il solito cretino!”

Non mi curai di lui, me lo lasciai alle spalle, facendo gli scalini a due per volta: tutta la paura, l’angoscia e il sospetto si erano già andati a far benedire, felice com’ero di essere riuscito a ottenere la Gazzetta e poter scoprire la verità, ma ancor di più per aver fatto vedere a mio fratello che avevo già padronanza con la bacchetta e sapevo fare qualcosa di cui lui non era ancora capace, che io ero grande e lui ancora un moccioso. E felice di essere riuscita a farla sotto il naso a nostro padre, così imparava a trattarmi come un bambino!

    “Allora che fai? Ti decidi? Entriamo o restiamo qui a far mezzogiorno? Credo sia meglio leggere e far sparire il prima possibile questo benedetto giornale e poi sbrigarci a cambiarci! Non credo sia il giorno migliore per cercare di sfidarli, li hai sentiti no?”
    “Non inizierai a fare la piattola, vero Reg? Ti sei comportato così bene fino adesso, perché devi già ricominciare a rompere?!”

Ghignai ed entrai nella sua stanza, seguito da Regulus a ruota, pronto a rispondermi per le rime, mi sedetti sul suo letto sfatto come se fosse tutta roba mia, irritandolo ancora di più, infine aprii la Gazzetta davanti a me in modo che non potesse leggere.

    “Pare che il Puddlemere abbia vinto anche con il suo secondo Cercatore... beh di certo Mirzam avrà ben altri pensieri, in questo momento, hai visto che belle tette ha sua moglie?”

Guardai mio fratello con un ghignetto di chi la sapeva lunga in fatto di bellezza femminile, Regulus mi rimandò indietro un'espressione stranita, non capivo se di colpo se la facesse sotto dalla paura per essersi fatto coinvolgere, o fosse interdetto, al pensiero che un giocatore di Quidditch professionista avesse rinunciato a una partita tanto importante solo per una donna, o mi stesse riprendendo, come avrebbe fatto la mamma, per i pensieri poco rispettosi che avevo appena esternato e che di certo preludevano ad altri, nella mia testa, ben peggiori. Sorrisi tra me, era proprio un moccioso, mio fratello! Ridendo, aprii il giornale, così da riprenderlo dalla prima pagina e non mi uscì un'espressione colorita per puro miracolo: rimasi paralizzato, incredulo, addirittura terrorizzato. Regulus mi disse qualcosa che non capii e a cui non risposi, allora salì sul letto, al mio fianco, mi passò dietro e, in ginocchio sul letto, si mise a leggere il giornale alle mie spalle.

    “Per Merlino e tutti i fondatori!!! No, non ci credo... non è possibile... ”


DAILY PROPHET
- EDIZIONE DEL 25 DICEMBRE 1971 -

MIRZAM ALSHAIN SHERTON
SEGUACE DEL SIGNORE OSCURO


IL CERCATORE DEL PUDDLEMERE UNITED ACCUSATO DEL FALLITO ATTENTATO A LONGBOTTOM

SCONTRO CON BARTEMIUS CROUCH, UN AUROR FERITO
SHERTON SFUGGE ALL'ARRESTO GRAZIE ALL'INTERVENTO DEI MANGIAMORTE

INTERROGATO NELLA NOTTE ALSHAIN SHERTON

SHERTON FUGGITO CON LA FIAMMA DI HABARCAT? (ARTICOLO A PAGINA 3)

SENZA ESITO LA RICERCA DELL'ATHAME USATO IN NUMEROSE AGGRESSIONI (DISEGNI A PAGINA 5)
UN TESTIMONE AFFERMA
"VENDUTO AL CERCATORE DEL PUDDLEMERE"


Regulus mi strappò il giornale di mano senza altre esitazioni e andò a pagina cinque, come vedemmo entrambi il disegno dell'athame, io mi sentii morire. Non avevamo la certezza assoluta, perché nessuno dei due si era arrischiato ad aprire l'involto, ma sapevamo entrambi che l'oggetto che tutti stavano cercando, quello che provava in maniera definitiva tutte le accuse ai danni di Mirzam, era lì, vicino a noi, dentro l'armadio di mio fratello.

    “È lui, vero? È il pugnale che hai trovato nel caminetto!”
    “Reg... lo sai, non l'ho mai visto... non l'ho visto nemmeno quando c'eri tu... ”
    “Lo sai anche tu che è così: quello che tutti cercano è qui, nella mia stanza, nel mio armadio!”
    “Che cosa vorresti fare, Reg? Andare dal Ministro e denunciare Mirzam? Devi credere veramente a tutto quello che c'è scritto nel giornale, lo sai, vero? Io… io non so ancora se ci credo... non mi pare possibile, l’hai conosciuto… adora sua sorella! E l'hai visto alla festa, aveva occhi solo per la sua ragazza, per sua moglie... non può aver fatto del male alla sua famiglia… a Meissa... ”
    “Io non so niente, Sirius, ma quella cosa non può rimanere qui! Chiamiamo papà! Sirius… chiamiamolo... dobbiamo raccontargli tutto! E liberarci di quella cosa!”

Lo guardai, serio, determinato, sapevo che aveva ragione, che era una storia troppo grossa per noi due, e che se qualcuno avesse scoperto per caso che l'avevo sottratto io... Chi mi avrebbe creduto se avessi detto che l’avevo trovato per sbaglio? Avevo paura, un'infinita paura, perché di colpo quelle che erano sempre state delle certezze... Ero talmente spaventato per quello che sarebbe potuto capitare, non solo a noi, se fossimo stati scoperti con quell’oggetto in casa, ma anche a Mirzam e ad Alshain e a Meissa… E non potevo pensare a quanto avrebbe sofferto Meissa se fosse stato tutto vero… Non riuscivo a dare coerenza ai miei pensieri, tutto mi sembrava possibile e al tempo stesso, assolutamente improbabile: ero così sconvolto che non mi resi conto che Regulus era già arrivato sulla porta, pronto a scendere per avvertire nostro padre, non sapevo cosa fare, il panico mi agguantò allo stomaco e mi spinse a bloccarlo, Regulus mi respinse, ci azzuffammo, nessuno dei due aveva ben chiaro che cosa fosse meglio fare.

    “Non puoi nasconderlo per sempre, Sirius! Pensa se venissero a cercarlo qui i Ministeriali! Pensa se rimanessimo coinvolti anche noi in questa storia... pensa se dessero la colpa a papà!”

Perplesso e spaventato, Reg riuscì a sfuggirmi, superò la porta e di corsa scese le scale. Io, con la fiducia che riponevo nei miei genitori pari a zero, temendo di aver compreso in parte anche la natura della lite che avevamo appena spiato, che nostra madre si riferisse agli Sherton quando parlava di “gentaglia”, non credevo fosse una buona idea coinvolgerli. Dovevo trovare il modo di distruggere le prove, subito, nessuno doveva sapere, nemmeno nostro padre, figuriamoci nostra madre: anche se fossimo sfuggiti tutti al Ministero, anche se ufficialmente nessuno avesse mai avuto prove, sarebbe bastato un pettegolezzo di mia madre e Meissa ne sarebbe venuta a conoscenza, ne sarebbe morta e avrebbe odiato anche me, per sempre. Dovevo proteggerla, non poteva sopportare, adesso, anche un orrore simile, l’idea che suo fratello fosse davvero responsabile di quanto le era accaduto… No, non riuscivo a sopportarlo io, figuriamoci lei, che lo adorava… Non volevo che ne soffrisse, era già sufficiente che ci stessi male io… Come poteva Mirzam essere così? Un falso, un traditore, che aveva persino tentato di uccidere suo padre e i suoi fratelli… No, Meissa non poteva vivere con una certezza del genere, non poteva. Andai all'armadio, aprii le ante e raggiunsi il ripiano, presi la scatola e nemmeno l'aprii, puntai la bacchetta e invocai l'unico incantesimo che avevo già imparato a eseguire abbastanza bene.

    “Reducto! Reducto! Reducto!”

La scatola fu sbalzata a terra, a destra e a sinistra, volteggiando nell’aria a ogni colpo, riportando solo lievi scalfitture sul coperchio, ma non si distrusse come avevo sperato ardentemente. Ero così impegnato a cercare di avere la meglio su quella dannata scatola di latta, che nemmeno mi accorsi delle lacrime che mi bagnavano la faccia, un po' per i nervi, un po' per il dispiacere e l'incredulità, un po' per la frustrazione di non riuscire in quello che desideravo fare. Me la prendevo con quella stupida scatola, ma ogni colpo l'avrei inferto volentieri a Mirzam, ogni colpo conficcava sempre più a fondo in me la convinzione che fosse tutto vero, che era un traditore, che aveva quasi fatto morire Meissa e Rigel, addirittura Alshain. Tutti coloro che l’amavano in maniera profonda... Io lo odiavo, sì, sentivo di odiarlo: lui non aveva una famiglia disgraziata come la mia, li avevo visti, loro si volevano bene, si amavano… non erano freddi e senza sentimenti come noi.

    Come hai potuto rovinare tutto così? Perché? Perché? Devi essere impazzito, non c’è altra soluzione.

Di colpo la scatola s’incendiò sotto i miei occhi e l'involto si presentò alla mia vista, ammutolito, la guardai, mentre due braccia robuste mi spostavano senza tanti complimenti verso la parete e la figura nervosa e agitata di mio padre occupava tutto il mio campo visivo. Si chinò a terra, aprì l'involto facendo attenzione, mosse i lembi del tessuto non con le mani ma con la bacchetta, infine si rialzò, provò un paio d’incantesimi distruttivi, persino l'Incendio, senza ottenere risultati, allora lo sentii bisbigliare in maniera impercettibile qualcosa che pareva una delle litanie di Alshain, e sotto i miei occhi, sorpresi, il famigerato pugnale che tutti cercavano si ridusse a un mucchietto di cenere, da cui uscì, come un diabolico sbuffo, una specie di polvere nera. Mio padre puntò la bacchetta per l'ultima volta e riformulò ancora tre volte la sua litania, la polvere parve disporsi nell’aria come un ghigno demoniaco, infine sparì nel nulla, quando mio padre le ordinò di disporsi a palla, poi chiuse la questione, definitivamente, con un “Evanesca!” Sparita la prova che tutti cercavano, lo fissai, vidi anche Regulus, impietrito sull'arco della porta, guardai nostro padre negli occhi, ma lui sembrava sfuggire il mio sguardo.

    “Questa storia non uscirà mai da questa stanza, nemmeno con i nostri parenti, nemmeno con vostra madre... siamo intesi? Ora sbrigatevi a cambiarvi... tra poco arriveranno i nonni, io devo uscire un momento, ci rivediamo a casa di zia Lucretia... ”

Come al solito, tra noi, nemmeno in un caso tanto grave, ci fu alcun tipo di spiegazione.


*continua*



NdA:
Ciao a tutti/e, il capitolo è conclusivo per vari filoni: la storia tra Orion e Walburga -nei termini conosciuti finora- lascerà il posto a equilibri diversi tra loro; la vicenda dell’athame si è conclusa, seminando vari dubbi e sospetti. Volevo sottolineare due punti: Orion dice addio alla moglie, nel senso che ha chiuso un capitolo importante della sua vita, non lascerà Walburga, ma ha aperto gli occhi e ha compreso gli errori commessi. Fa parte della maturazione del personaggio, che curo già dalle origini, con quella doppia faccia, una che mostra in pubblico, l’altra all’inizio quasi esclusivamente con Alshain, ora via via più spesso. Questo mutamento ha preso un’accelerazione da quando Sirius è tornato da scuola ed è in parte reazione alla freddezza che Walburga mostra verso suo figlio. L’osservazione che Sirius fa sul corpo di Sile... non ho intenzione di fare di Sirius il solito scopajolo seriale, però la mamma gli ha fatto gli occhi e lui resta il figlio di suo padre; inoltre avrà sempre quel suo atteggiamento irriverente, dirà sempre le cose esagerando, spacconando, magari anche solo nel tentativo di scandalizzare “quel moccioso” di suo fratello. Non ho intenzione di descriverli come due che si odiano dalla culla, certo, anzi spesso li vediamo cooperare, almeno da piccoli, per mettersi nei guai insieme, ma restano sempre uno più  scavezzacollo e l’altro più riflessivo, e Sirius è pur sempre un malandrino.
Vi ringrazio per le letture, le recensioni, le preferenze. A presto
Valeria


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