compagnia da gay bar 4
Cap. 4
Oh, father of the four winds, fill my sails, across the sea of years
With no provision but an open face, along the straits of fear
Oh.(2)
-Non sapevo che tuo fratello sapesse suonare! È stata una sorpresa molto più che piacevole!-
Alfred, con un’espressione di pura sorpresa in volto, si
voltò a guardare senza il minimo pudore Matt, per poi tornare a
guardare col medesimo stupore Francis.
-Non lo sapevo neanche io!-
Matt piegò la testa in basso, sconsolato, mentre Francis fece
davvero un grandissimo sforzo per non commentare quell’ultima
battuta.
Seduti comodamente sui divani del salotto di casa Jones, Francis,
Gilbert e i due fratelli stavano discutendo sugli ultimi avvenimenti e
sulle ultime proposte nate all’interno della band. Tra di queste,
c’era stata anche quella di far suonare Matt assieme al resto del
gruppo.
Alfred si fece quasi impertinente, ponendo una domanda sciocca che al
contempo rivelava la completa indifferenza nei confronti del proprio
fratello gemello e la sua ingenua stupidità idiota.
-Ma scusa, come fai tu a saperlo?-
Gilbert rise, cattivo e maligno, mentre Francis si limitò a fare una smorfia piena di rimprovero.
-Ho parlato con lui per dieci minuti, Alfred…-
Il giovane si voltò verso Matt, per qualche secondo ancora
dubbioso. Poi gli sorrise, gioioso e contento come un bimbo piccolo che
ha appena scoperto il ripostiglio segreto delle caramelle.-
-Matthew, tu sai suonare!-
Il ragazzo gli sorrise, amaro e ironico, pensando a quanto il fratello
doveva essere pieno di sé per non essersi neanche accorto, in
tutti quegli anni, degli strumenti e delle persone che circolavano
sotto il suo stesso tetto. Ma evitò di rispondergli male, almeno
davanti agli ospiti.
Alfred, ignaro dei pensieri che circolavano nella mente dell’altro, gli fece un’altra domanda incalzante.
-Che cosa suoni, esattamente?-
Matt a quel punto si fece piccolo piccolo, provando un’immensa vergogna.
Vide Francis sorridergli e Gilbert rivolgergli un’espressione
curiosa – neanche lui sapeva cosa suonasse, per cui voleva
semplicemente sapere.
Pigolò, piano e lento.
-Suono la chitarra…-
Alfred scoppiò d’un botto in un urlo di gioia, come se la cosa portasse gloria solamente a lui.
-Come me!-
Matt asserì col capo, timidamente.
Era esatto. Matthew aveva iniziato a suonare la chitarra, qualche anno
prima, esattamente sulle orme di suo fratello. Non tanto per dare agli
altri un ulteriore motivo di paragone tra loro due, quanto
perché, nell’ascoltare Alfred durante le prove, aveva
provato un sincero moto di ammirazione tale da tentare anche lui
nell’impresa.
Aveva ottenuto risultati degni di questo nome, e sicuramente non si pentiva di nulla.
Certo era che aveva pensato a tutto tranne al momento in cui
l’avrebbe detto proprio ad Alfred, così sicuro di essere
ignorato da non pensare minimamente al problema.
Così, in quel momento si ritrovava pieno di vergogna e con lo sguardo rivolto a terra.
Francis, dopo qualche momento di riflessione, batté le mani contento.
-Potresti fare la chitarra di accompagnamento! Che ne dici?-
Gilbert considerò davvero la cosa, Matt ci pensò su mentre Alfred, tranquillo, aspettava il responso dei tre.
Alla fine Gilbert sorrise e Matt assieme a lui.
C’erano tante cose che si potevano dire sul conto di Alfred Jones.
Che fosse ciccione – in effetti tutte le schifezze che
ingurgitava come il vagone della nettezza urbana gli avevano fatto
crescere lungo i lombi una certa pancetta morbida.
Che fosse uno svogliato scansafatiche – in effetti aveva lasciato
gli studi il prima possibile, definendo ogni facoltà
universitaria un modo assolutamente inutile e poco produttivo di
passare il proprio tempo.
Che fosse un esaltato citrullo – in effetti si gloriava di
imprese davvero ridicole che sulla sua bocca risultavano più
titaniche delle stesse imprese di Ercole.
Che fosse un arrogante bullo di periferia – in effetti si
comportava da prepotente praticamente con tutti, anche con quei pochi
martiri che tentavano di tenergli testa, fallendo miseramente.
Tutto questo si poteva tranquillamente dire di Alfred Jones senza che
nessuno, proprio nessuno, dei suoi più sinceri affetti si
arrischiasse di negare.
Ma c’era una cosa che proprio non si poteva dire, al suo riguardo: che non sapesse suonare la chitarra.
Era stata l’unica cosa che gli era sempre interessata, fin da
quando era piccolo. L’unica cosa che lo avesse impegnato sempre
in maniera seria.
Quando aveva in mano una chitarra, poteva diventare sbruffone quanto
desiderava: nessuno, a buon diritto, avrebbe potuto contraddirlo.
Era lì il suo mondo, lì la sua magia da eroe delle fiabe. In quelle dita veloci e tra quelle corde melodiche.
Su quelle note, su quelle melodie anche Matt aveva costruito i propri più inconfessabili segreti.
-Allora, molto velocemente. Ivan suona il basso, Alfred suona la prima
chitarra, Ludwig è alla batteria, Gilbert canta e io seguo il
tutto negli impianti stereo. L’unico che davvero devi seguire
è Ludwig, siamo chiari?-
Francis si era dotato, all’improvviso, di un’aria
professionale che davvero Matt non si sarebbe mai aspettato. Gli aveva
depositato in braccio una chitarra elettrica di dubbio gusto, qualcosa
che mescolava in maniera poco efficace rosa shocking e nero pece.
Più tardi venne a sapere che era stato lo stesso Bonnefoy a
comprarla a proprie spese, scegliendo appositamente i colori – e
a quel punto aveva smesso di porsi domande.
Ivan e Gilbert gli avevano sorriso incoraggianti mentre un più
serio Ludwig gli passava uno spartito e un foglio con sopra una serie
di canzoni.
-Questo è il programma che avevamo in mente per sabato sera. Dimmi se c’è qualcosa che non ti va…-
Matt diede un’occhiata celere al foglio con la scaletta.
Francis e Alfred erano stati chiari fin da principio: avevano uno
spettacolo da fare, il week-end di due settimane dopo, e lui sarebbe
stato utile essenzialmente solo per quello. Come in un contratto a
termine, Matt interessava loro fino alla sua scadenza.
Ma andava bene così, andava fin troppo bene così. Anche
quello era un inizio per qualcosa, dava l’illusione di una
vicinanza più familiare e affettiva con suo fratello Alfred, che
fino a quel momento era poco più che un estraneo. Ventidue anni
di convivenza e si scopriva sapere troppe poche cose sul suo conto.
Considerò che, in effetti, Alfred non era stato il solo a peccare di indifferenza.
Ivan gli si avvicinò lentamente, sbirciando il foglio tra le sue
mani. Poi, all’improvviso, fattosi tutto allegro, indicò
con un dito una canzone lì scritta.
-Questa è la mia preferita! Sarebbe bello riuscire a portarla allo spettacolo!-
Matt si rivolse a lui con un sorriso incerto e non del tutto sicuro. In
realtà, quell’Ivan gli faceva un certo effetto. Non che
fosse palesemente minaccioso: sicuramente, nel suo sguardo, non aveva
proprio niente di rassicurante.
Ma non poté pensare ad altro che subito Francis lo richiamò all’ordine.
-Su, ora facci sentire cosa sai fare!-
Non fu facile seguire l’impeto struggente di Alfred.
Come al solito, tendeva a rubare tutta la scena, non solo durante gli
assoli. Per questo Gilbert si era convinto che a fargli fare la seconda
voce l’impressione che la band ne avrebbe ricavato presso il
pubblico sarebbe di gran lunga migliorata.
Sulle prime, però, Matt davvero fu intimorito dalla sua dirompente vivacità.
Poi si lasciò andare, pian piano, al ritmo rassicurante e
preciso della batteria di Ludwig – esattamente dietro di lui.
Poi si lasciò andare, pian piano, al suono grave e profondo del
basso di Ivan – accanto alla sua persona ingombrante e un poco
intimidatorio, eppure benefico e pacifico.
Cominciò a muovere le dita in maniera più saputa e meno
tremolante, senza sbagliare una sola nota o un solo accordo.
Entrando nel ritmo giusto, fu un tutt'uno con il resto della compagnia.
-Non sei per niente male, sai Matt? Non capisco come mai tuo fratello
non ti abbia mai invitato alle nostre prove! È davvero
strano…-
Matt soffocò un sorriso amaro nel sorso di coca cola che
concesse alla propria gola, preferendo non rispondere all’uomo.
Perché era brutto parlare male degli altri, specie se questi non
potevano sentire e ribattere – per questo, la maggior parte delle
volte, preferiva tacere, rimanendo in silenzio.
Dopo le prove, che avevano confermato il suo ingresso nel gruppo, Francis lo aveva invitato fuori, a bere qualcosa in compagnia.
Loro due.
In realtà Matt era rimasto basito di primo acchito, non
riuscendo a vedere nella scusa accampata in fretta e furia da Francis
una valida ragione. Se voleva parlare in maniera più
approfondita della band potevano tranquillamente bere un caffé a
casa sua, senza necessariamente uscire.
Stava per rifiutare, con garbo e con la consueta dose di balbettii sconnessi.
Poi, probabilmente anche a causa della propria incapacità di
formulare una frase coerente e logica, gli venne alla mente che in
realtà sarebbe stata una buona idea, quantomeno non così
degradante o inqualificabile, uscire con quell’uomo. Era
un’occasione in più per socializzare con qualcuno di
nuovo, magari anche la volta buona per conoscere qualcuno di
interessante. Per questo alla fine accettò, riuscendo finalmente
a rispondere all’altro. Certo, si era stupito del risolino che
gli aveva rivolto Gilbert quando era uscito in compagnia del francese,
ma non vi aveva dato così tanto peso.
Così, si era ritrovato al bar dietro l’angolo –
posto che non aveva mai frequentato in vita sua se non rarissime volte
– davanti ad un muffin gigantesco e un bicchierone di coca-cola.
Allegro come un bimbo, aveva mangiato e bevuto senza il minimo sospetto.
Francis era una compagnia piacevole, sebbene ogni tanto tirasse fuori
qualche frase ad effetto il cui significato a lui sfuggiva o paragoni
di così antico uso che lo tingevano di un velo di malinconica e
veneranda maturità. Tutto sommato, Matt non aveva niente di cui
lamentarsi.
Eccetto quando Francis, dopo averlo guardato a lungo mentre si prendeva
un lungo sorso di bibita gasata, cominciò a giocare con la carta
del suo dolce con mani non troppo calme.
Fece per dire qualcosa, ma le sue parole si fermarono a
mezz’aria, più o meno nel punto dove Matt si
dimostrò per la prima volta completamente sincero e felice.
-Mi sono davvero divertito, oggi pomeriggio. Mi piace la band. Mi piacete tutti, in realtà…-
Si strinse nelle proprie spalle, abbassando lo sguardo. In
realtà, quella felicità lo metteva un poco a disagio,
perché gli era costata l’ammissione di essersi sentito,
inaspettatamente, assai coinvolto in quel pazzo e folle progetto.
La musica che suonava gli piaceva davvero, e la compagnia che lo aveva scelto sembrava capace.
Insomma, si era stupito che suo fratello potesse avere così buon gusto.
Francis, dopo un solo attimo di incertezza, gli sorrise – e
allungò la mano verso di lui fino a prendergli, tra le proprie
dita, il polso sottile, in una presa gentile e non invadente.
-Ne sono sinceramente contento, Matthew…-
Matt restò con lo sguardo fisso per qualche istante, senza muovere un solo muscolo.
Non guardava la propria mano – in quel momento non avrebbe osato
farlo – ma ogni suo pensiero era diretto al calore tiepido che
quei polpastrelli gli trasmettevano.
Ritrasse la mano, lentamente, incrociando le braccia al petto. Non
smise di sorridere, neppure per un istante, ma non riuscì a
impedire alla propria lingua di balbettare in maniera paurosa.
-Non mi hai parlato del tuo amico per cui organizzate la festa. Posso sapere chi è?-
Anche Francis sorrise in maniera gentile, ritirando la mano e portandola al suo posto.
Si sistemò i capelli dietro l’orecchio, lasciando scivolare in basso lo sguardo.
-Si chiama Antonio e si vuole trasferire in uno stato che permetta a
lui e al suo compagno di sposarsi. Sai, è omosessuale. Come la
maggior parte di noi…-
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