Steso sul prato
il segreto palese
del nostro stato.
Srotolò la
pergamena cominciando dall’inizio.
Era sempre un
piacere leggere le lettere della Regina-Madre.
Ormai erano mesi
che erano lì, nella terra dei laghi, ma quei rapporti costanti e completi le facevano
sentire meno la distanza.
-Tua madre è
felice di essere tornata ad occuparsi del Regno.-
Sesshomaru
scostò la testa, evitando un fastidioso raggio di sole che, lento, trapelava
dai rami.
Giochi di luce
tra le nuvole
grigie
sbircia il sole.
-Così scrive?-
Sakura scosse
lenta la testa.
-Così capisco.-
La vita: un denso
sentiero
verso un senso.
Almeno penso
Non lo avrebbe
mai detto a parole, lo sapeva.
Era troppo
orgogliosa, troppo altera.
Ma regnare le
piaceva.
Ricevere i
nobili, controllare i commerci, sedare le liti.
Si sentiva
davvero realizzata nello svolgere quelle funzioni.
E lo si capiva
dall’accuratezza, dall’impegno, dalla fatica.
Versò una tazza
di the, offrendola a Sesshomaru che, stizzito, ignorò il gesto.
Sakura sbuffò,
iniziando a sorseggiare lenta la tazza mentre Yasu, poco lontano, raccoglieva
fiori con Rui.
-Riesci a
immaginare tua madre qui, in queste terre? Magari a giocare con i coetanei o a…-
-No.-
Guardi altrove,
nascondo col
sorriso
strazio e buio...
Sakura storse il
naso. Aveva risposto troppo velocemente.
Probabilmente si
era preparato quella risposta da tempo.
Prevenuto.
Fissò la radura
dove avevano fatto sosta quel giorno. Erano ai limiti estremi del regno. Poco
oltre, dopo quei boschi, c’erano terre libere. Non ancora assoggettate al Regno
dell’Ovest. E popoli che combattevano per la loro libertà. Che combattevano per
liberare villaggi che, una volta, formavano con loro un regno autonomo.
Sesshomaru aveva
deciso qualche settimana prima di riprendere il piano di espansione.
In fondo, ormai,
le truppe al confine con Haru non erano più necessarie.
Solo qualche
battaglione di soldati, soprattutto giovani arruolati sul luogo, per
controllare il regolare svolgimento del commercio e sedare le liti frequenti
dei mercanti e dei marinai.
Ormai una buona
parte dell’esercito dell’Ovest, conquistata Haru, poteva dedicarsi ad espandere
invece un’altra zona dell’Impero.
Sakura sospirò,
sentendo improvvisamente freddo.
Cerchi di fumo
racchiudono
pensieri
poi, svaniscono
Che cosa avrebbe
fatto se non fosse stata scelta?
Ci sarebbe stata
la guerra?
Si sarebbero
arresi senza combattere?
Conoscendo il
suo popolo no, era certa che avrebbero combattuto.
Ma lei?
Rischiare di
perdere suo padre?
Kamigawa non
sarebbe certamente rimasto a letto, anche se malato.
Avrebbe voluto
morire sul campo.
E quindi sì, ci
sarebbe stato uno scontro.
Uno scontro con
il nemico Ovest.
Fortuna che,
tutto quello, non sarebbe mai accaduto.
Stiracchiò un
sorriso, rigirandosi la pergamena fra le mani, mentre un ammonimento di Yasu a
Rui, troppo, troppo vicino al bosco, la riportava alla realtà.
Si voltò verso
Sesshomaru, trovandolo assorto ed enigmatico, come sempre, al riparo dalla
calura di quel giorno sotto un albero, insieme a lei.
Dopo
quell’avventura sul lago, si sentiva più serena.
Lo sentiva quasi
più vicino, meno distaccato.
Si portò
indietro i capelli, sospirando.
Che calura.
Le farfalle
bianche lambirono i loro vestiti, danzarono incantevoli all’altezza dei loro
volti, fino a posarsi sulla tazza da the, leggere.
Farfalle
sul cammino d'una fanciulla
davanti e dietro di lei
-Neanch’io. Il
Palazzo dell’Ovest sembra il suo ambiente naturale. Come se fosse sempre stata
lì.-
Sakura sorrise,
immaginando la
Regina-Madre, giovane, bella, sempre altera.
Si sarà sentita
come lei quando ha lasciato la sua terra?
Avrà sentito
anche lei quella lacerazione profonda, quel distacco sofferto?
Sarà sempre
stata così o, forse, sono stati gli anni a Palazzo a renderla la demone che era
ora?
Sesshomaru si
limitò sbattere le palpebre, tornando a scrutare attento la foresta, origliare
gli ordini di Yudachi, spiare i soldati nel bosco.
Concentrarsi su
quei discorsi per dimenticare quella radura.
Dove aveva visto
sua madre e suo padre.
Molti anni
prima.
Solchi di vita
sulla ruvida pietra
affonda anima.
Dove aveva visto
la fragilità di sua madre e la tristezza del padre.
-Sai, la
prossima volta potremmo far venire lei qui, al posto nostro. Come
ambasciatrice. Non credi? Sono certa che sarebbe felice di visitare di nuovo la
sua terra!-
Si voltò per il
movimento, ritrovandosi specchiato negli occhi verdi e speranzosi della moglie.
Vivi.
Ignari di cosa,
anni prima, lì era morto.
Un ottimo
diversivo.
-Potremmo.-
Sakura sorrise
incoraggiante, riafferrò la lettera, si avvicinò a Sesshomaru.
Erano successe
molte cose a Palazzo.
Molte guardie si
erano malate e Sesshomaru aveva dovuto mandare un messo speciale con le nuove
nomine, di rimpiazzo.
Molti mercanti,
sbarcati al porto di Haru, erano finalmente giunti nelle grandi città
dell’Ovest e a palazzo, per rendere omaggio ai Sovrani.
Secondo la Regina-Madre erano
stati loro a portare una qualche malattia esotica.
Niente comunque
che il popolo dell’Ovest non potesse combattere, aveva scritto.
-Ti chiamano.-
Sakura alzò il
volto, notando Yasu salutarla con un enorme mazzo di fiori in mano e il piccolo
Rui che, imbarazzato, era obbligato, su incitamento della madre, a fare
altrettanto.
Piccoli sono i
fiori
e possono
contenere
grandi dolori...
Sakura rispose
con uno slancio al saluto per poi, dopo essersi accorta degli occhi ammonitori
di Sesshomaru, liquidare quelle effusioni con un gesto composto.
-Dice altro?-
Chissà perché
a volte salta
fuori
una domanda
Sakura
ricominciò a leggere, lenta, elencando i profitti del commercio, le perdite per
le inondazioni, il numero delle nuove reclute dell’esercito.
Inghiottì la
saliva, quando arrivò all’ultimo foglio.
Fissò
Sesshomaru, turbata, passando lo sguardo dal marito alla carta, alla ricerca di
una risposta.
-Continua.-
Sesshomaru si
voltò nuovamente verso di lei, distogliendo lo sguardo da Yudachi e dalla sua
volgare ramanzina a un soldato.
Perché si era
ammutolita?
Sakura aggrottò
le sopracciglia, abbassando la lettera.
-Forse… forse è
meglio che la legga tu.-
La demone alzò
lo sguardo in quello fisso di lui, preoccupata.
Aveva intuito
quale sarebbe stata la notizia.
Sapeva di essere
un’estranea per loro.
Sapeva
dell’errore di quel gesto, con lui lontano.
Non sapeva come
avrebbe reagito.
-Perché?-
Aveva parlato
lentamente, con un tono normale, ma Sakura si era spaventata.
Aveva sperato
che non le avrebbe chiesto nulla.
-Riguarda…
riguarda Rin.-
Silenzio.
Il canto delle
cicale e i grilli saltellanti.
Le farfalle in
volo e i soldati di guardia.
Le pupille di
Sesshomaru dilatate un istante, un attimo per la sorpresa.
La mano di
Sakura che sfiorava la sua, sopra l’erba.
Il demone scosse
la testa, alzando il volto verso il cielo.
-Leggi.-
-Ma…-
-Leggi.-
Sakura afferrò
il foglio, conscia di violare uno spazio privato del demone.
Al quale le aveva
dato accesso.
Perché quello
che c’era stato fra lui e Rin lei non lo sapeva.
Non sapeva
perché lui avesse portato con sé una bambina umana, perché l’avesse difesa,
perché vi si fosse affezionato.
Ma non
riguardava lei.
Riguardava solo
loro due.
E lei sapeva di
non dover entrarci.
Per curiosità,
per paura, per sdegno si era informata.
Si era poi
vergognata.
Perché quella
era la “loro” vita.
Il “Sesshomaru
di Rin”.
Un demone
diverso da quello che conosceva.
Un demone in
grado di farsi amare a tal punto da una bambina da renderla terribilmente
gelosa.
Da farle
ignorare gli anni che passavano.
Da farle credere
che, se Sesshomaru l’avesse ancora vista come una bambina bisognosa di aiuto,
non l’avrebbe lasciata.
Perché
comportarsi in modo infantile era l’unico modo che Rin aveva per opporsi ai
cambiamenti.
Al suo corpo che
mutava, alle loro vite che prendevano strade diverse.
Perché, se si
poteva ancora definire “bambina” quando era entrata a Palazzo, quando erano
partiti per le regioni dell’Ovest era ormai una donna.
Una donna umana.
Passava così
velocemente il tempo per loro!
Sakura ricordava
come Toryu cambiasse visibilmente ogni giorno, della sorpresa e della magia nel
notare il suo corpo mutare con una tale rapidità.
Erano davvero
affascinanti, gli umani.
Ma Rin… Rin
avrebbe dovuto aspettare!
Almeno il loro
ritorno!
Almeno il suo
ritorno!
Si era sposata.
Con un umano.
Uno Sterminatore di Demoni.
La voce di
Sakura rabbrividì a quelle parole.
Fiori d'arancio
l'amore è
nell'aria.
Sposa felice....
Strade completamente
diverse.
Si voltò veloce
verso Sesshomaru che, ad occhi chiusi, si lasciava accarezzare il volto dal
sole.
Nessuna
sorpresa, nessuna reazione.
-Lo sapevi?-
-Lo immaginavo.-
Era stata la
scelta migliore.
Gliene aveva
parlato, prima che partisse.
Non chiaramente,
certo, ma con quella sua aria spaurita e timida.
Con quel sorriso
triste.
Con quelle
lacrime aspre.
Un oceano profondo
di amarezza nelle lacrime
la piccola perla
di speranza
l'alba di una
nuova vita...
Perché aveva
capito che, ormai, era di troppo.
Che non ci
sarebbero mai più stati solo loro, Padron Sesshomaru, Rin e Jaken.
Era finito il
tempo dei viaggi avventurosi.
Era il momento
di lasciarsi.
E aveva pianto
quando glielo diceva.
Era diventata
una donna.
Doveva sposarsi.
E Kohaku era sempre
stato così gentile con lei…
E poi lui,
ormai, era un Sovrano.
Un marito.
Non era più un
guerriero.
Non sarebbe mai
più stato “Padron Sesshomaru”.
Ma quei ricordi
non sarebbero mai svaniti.
-Saresti voluto
essere lì?-
Sakura era
sorpresa.
Da quel poco che
aveva capito Sesshomaru era davvero affezionato a Rin.
Affezionato come
può esserlo lui, insomma.
Possibile che
una notizia del genere, anche se sospettata, lo lasciasse così impassibile?
-No.-
-Ma Rin…!-
-E’ uno
sterminatore. Non posso approvare.-
Non era una
risposta.
Era solo…
un’affermazione.
Non richiesta.
Non posso approvare… voleva forse dire
che quel matrimonio non lo aggradava?
Voleva forse
suggerirle qualcosa, aprirle uno spiraglio per la sua anima?
Sakura rilesse
con gli occhi quelle parole eleganti, preoccupata.
-Sarà felice?-
Sesshomaru
ghignò, beffardo.
Felice?
-E’ importante?-
Lui non aveva
approvato.
Era la scelta
migliore, ma lui non approvava.
Non le aveva
dato la benedizione richiesta, non le aveva detto di non farlo come, in realtà,
sperava lei.
Aveva sentito
rabbia verso quel ragazzino, distacco verso Rin.
Lacerazione
verso il passato.
Tutto era
cambiato.
-E’
fondamentale. Lo sai.-
Sakura accarezzò
la pergamena, sforzandosi di immaginare quella bambina che inseguiva un aquilone,
sposa.
Cercando di
tramutare il suo sorriso di bimba in uno sguardo malizioso.
Cercando,
sforzandosi, di capire come facessero gli umani a essere così precoci.
-Non lo so.-
-Lo speri.-
Che cosa voleva
lui per Rin?
Perché l’aveva
salvata quella volta?
Curiosità?
Volontà di
provare la spada?
Compassione?
Lui?
-Vivrà.-
Sakura spalancò
gli occhi, voltandosi verso di lui, sorpresa.
Lo aveva
sentito.
Etereo pensiero
colto nelle parole
emozione vive
Era stato un
sospiro, non un ordine.
Era stato un pensiero,
non un tono di comando.
Lo pensava
davvero.
-Sì, vivrà. E tu
ci sarai.-
Sempre.
Sesshomaru alzò
un sopracciglio, squadrando indifferente la moglie, convincendosi di non
cogliere quelle parole, di non capire le allusioni, di rifiutare le congetture.
Sakura
ridacchiò, bevendo una generosa sorsata di the e facendo un brindisi a distanza
a Yasu che, imbarazzata, s’inchinò in segno di ringraziamento.
-L’altra
lettera?-
-Haru!-
Sakura la
strinse al petto, riconoscendo immediatamente con tristezza il nuovo sigillo,
quello dell’impero dell’Ovest.
Ma, al tatto,
riconobbe subito gli alberi della sua terra, pulsanti di linfa e vita.
Sentì il fiato
accelerare, gli occhi inumidirsi e le mani tremare.
Era così strano
sapere di avere, finalmente, notizie della sua terra.
Soprattutto
visto che, adesso, era così lontana.
Le ultime
notizie risalivano al giorno della loro partenza, mesi prima.
Poi più nulla.
Aveva scritto,
diverse volte, ma il viaggio era lungo, gli inconvenienti che potevano capitare
molti.
La precedenza,
comunque, era data dalle lettere per il Palazzo, i permessi da accordare alla
Regina, i documenti firmati.
Haru era venuta
dopo.
Sicuramente
Izumy le aveva scritto, lo sentiva, con frequenza.
Sicuramente le
lettere erano state intercettate a Palazzo, erano state lì trattenute per il
suo arrivo.
Sicuramente
quella lettera… sicuramente era arrivata lì per sbaglio.
Una gentilezza
della Regina-Madre?
Una magia della
sua terra?
Un regalo
dell’amore del padre?
Staccò il
sigillo “straniero”, iniziando a leggere, muta.
Riconobbe subito
la calligrafia.
Izumy.
Sesshomaru,
distratto da quell’improvviso silenzio, la scrutò attento, mentre accarezzava
la carta, mentre beveva quelle parole, mentre si lacerava per la distanza.
La vide
assottigliare gli occhi, socchiudere la bocca in un sospiro, abbassare un
attimo gli occhi.
Labbra tacciono
Orecchie ascoltano
Occhi parlano.
-Kamigawa sta
bene?-
Sakura
riarrotolò la lettera, appoggiandosi stanca al tronco alle sue spalle.
Sorrise amara.
Le aveva fatto
piacere che lui si interessasse di suo padre?
-Izumy dice di
sì.-
Sentiva la gola
secca.
Terribilmente
arsa.
Ma sapeva che,
anche bevendo, nulla sarebbe cambiato.
-Ma…?-
Sakura si
massaggiò gli occhi, stiracchiando il collo.
-Ma lo dice
Izumy.-
Non suo padre.
Se davvero stava
così bene, perché non le aveva scritto lui?
Lama silente
che sprofonda nel
cuore
lacera anima.
Sesshomaru tornò
a fissare la radura, Yudachi che faceva l’ennesimo giro per controllare le
guardie, Yasu e Rui e camminavano in mezzo ai fiori.
Spazi aperti
margherite nei
prati
bimbi giocano...
Sakura riprese
in mano la lettera, leggendo attenta la data.
Risaliva ormai a
molte settimane prima.
Che cosa sarà
successo nel frattempo?
Il commercio
procede, la piccola cresce, Ami aiuta a Palazzo, Toryu controlla il porto.
I soldati
dell’Ovest in missione nella loro regione sono abili ed estranei.
Vivono per conto
loro, non parlano con nessuno, lavorano seriamente e li difendono.
Quindi va
davvero tutto bene?
-E’ una persona
terribilmente caparbia.-
Sakura sorrise
sincera, ripensando ai brevi incontri fra il marito e il padre.
-Già.-
E era a Haru.
Nella sua terra.
Sì, doveva
davvero stare bene.
Doveva.
Se no Izumy
glielo avrebbe detto, ne era certa.
Si fidava di
Izumy.
Si era occupata
di lui per molto, molto tempo.
Doveva essere
così.
Ssshomaru voltò
la testa di scatto, verso il bosco.
Stava accadendo
qualcosa.
Sakura corrugò
la fronte.
-Sesshomaru,
cos…-
Il demone la
zittì con un gesto, portando la mano alla spada.
Si sentivano
delle voci.
-… lo abbiamo
preso, Capitano!-
Yudachi corse
verso i soldati che, a fatica, stavano uscendo dal bosco strattonando due
figure.
Yasu, dall’altra
parte della radura, stringeva Rui al petto, con forza, mentre Sakura,
tranquilla, celava un sorriso.
Yudachi, riconosciute
le figure, impartì ordini secchi ai soldati, voltandosi verso il Sovrano in
attesa di disposizioni.
Sesshomaru
ripose Tessaiga nella guaina, appoggiandosi al tronco alle sue spalle.
-A quanto pare
una coppia di nobili sono venuti a portarci i loro omaggi.-
-Ah, davvero?-
Sakura sorseggiò
nuovamente quel the così rinfrescante, soffocando la voglia di sorridere.
-Curioso, visto
che l’itinerario dei nostri spostamenti è segreto.-
-Oh sì, davvero
curioso.-
Sakura sorrise
verso Yudachi che, con difficoltà, nascondeva l’irritazione che stava provando
in quel momento verso la
Regina.
-Yudachi sembra
alterato. Quanto mi dispiace…-
-Non avresti
dovuto farlo.-
Yasu si avvicinò
ai soldati, chiedendo sottomessa al marito di liberare la nobile, se possibile.
Yudachi acconsentì con un gesto stizzito e la nobile, grossa e sudata, si
riparò con Yasu all’ombra di un albero, scortate da Rui e da qualche soldato.
L’altra figura,
un vecchio generale zoppicante, guardava lacrimoso verso di loro.
-Ormai il
generale è qui…-
Occhi sinceri,
parole del cuore,
certezza in te....
Sesshomaru si
alzò lentamente da terra, tenendo lo sguardo verso l’uomo.
-Preparati.
Ripartiremo molto presto.-
Appena
Sesshomaru si fu allontanato a sufficienza, Sakura ridacchiò.
Osservò in lontananza
la vecchia demone piegarsi in accorati inchini verso di lei e il generale
abbozzare uno storpio inchino alla vista del suo Sovrano.
Raccolse con
cura le lettere, tenendo quella di Haru al petto, vicino al cuore.
Si versò lenta
un’altra tazza di the, l’ultima.
Un attimo.
Un fruscio lento
alle spalle.
Il tempo di
sentirlo.
L’attimo del
respiro.
Una spinta
violenta, un colpo fra le scapole.
Lo stordimento
per l’inattesa, la paura della sorpresa, il dolore del colpo.
Le parole
ridondanti nelle orecchie, le mani aggressive, gli occhi violenti.
Il tuo sguardo
come un assassino
toglie la vita.
-Morte agli
invasori!-