Cap. 8
No stop signs, speed
limit
Nobody's gonna slow me
down
Like a wheel, gonna spin
it
Nobody's gonna mess me
round(4)
La casa di Francis non era grande come la sua, ma Matt ne ebbe una
buona impressione.
Sesta porta al terzo piano, condominio B, in fondo al piccolo viale del
complesso. Il ragazzo si sorprese di quanto, in realtà,
abitasse vicino alla propria casa – poco più che
un quarto d’ora a piedi, camminando veloce.
L’appartamento del francese aveva, in tutto, quattro stanze
più la terrazza, ampie e ben illuminate, arredate secondo il
suo gusto e piene, incredibilmente, di piante e fiori. Per questo, Matt
le finestre erano spesso aperte.
Il gruppo fu accolto sul balcone, dove erano stati posti un tavolo e
delle sedie, nonché preparato da bere e disposto qualche
dolcetto. Insomma, Francis era un ospite davvero elegante.
Gilbert, Ludwig, Ivan e i due Jones presero posto al tavolo, e il
più anziano dei tedeschi cominciò subito a
servirsi, imitato quindi subito da Alfred.
Furono ripresi da Ludwig, preoccupato per la capacità della
loro fame.
-Non sarebbe meglio aspettare che arrivino tutti?-
Ma Francis gli rispose con un sorriso, lasciando che i suoi ospiti
predassero le vivande senza vera preoccupazione.
-Non ci sono problemi! Ho biscotti a volontà! Servitevi pure
come meglio desiderate!-
Detto questo, si mise a sedere anch’egli. Precisamente, nel
posto lasciato libero vicino a Matt, il più vicino
all’uscita. Gli sorrise, invitandolo a servirsi a sua volta.
-Non ti va qualche biscotto?-
Matt gli sorrise e abbassò gli occhi, quasi
d’istinto. Scosse però la testa senza dire nulla.
Poi lo sguardo andò all’interno della casa e al
salotto che si apriva alla sua vista. Notò solo in quel
momento un paio di elementi sopra il divano di pelle chiara la cui
funzione non gli tornava: un cuscino spesso e una coperta pesante.
Assottigliò lo sguardo, pensando a quale motivo potesse
averli investiti. Poi si decise di chiedere al diretto interessato.
-Hai avuto ospiti in questi giorni, Francis?-
L’altro gli sorrise piacevole, forse intenerito dalla sua
innocenza e dalla sua ingenuità. Mangiò un
biscotto, mentre parlava lento.
-Ivan resta da me, in questo periodo…-
Matt sbatté le palpebre, incredulo, più volte,
assorbendo quelle parole e stampandosele nella memoria – per
non ripetere l’errore anche davanti al russo.
A quel punto, qualcuno suonò il campanello.
Da vicino, Antonio Fernandez Carriedo aveva una voce squillante, di
quelle che anche senza accorgersene ti sfondano le orecchie e lo fanno
con letizia. Almeno, questo fu il primo pensiero che
attraversò la mente di Matt quando Gilbert e Francis gli
presentarono quel giovane uomo abbronzato e dal sorriso caldo.
Loro tre erano amici da molto tempo, più o meno da quando
avevano imparato a respirare – e si vedeva, nella maniera
complice con cui scherzavano e parlavano, nei modi piacevoli e
confidenziali con cui si trattavano e si prendevano in giro.
Lui era il festeggiato dell’occasione, lui il motivo vero per
cui stavano provando e creando tutto quello. Bastò guardarlo
in viso perché Matt si convincesse davvero della
bontà delle proprie azioni. Si leggeva felicità
latente, nel suo sguardo, si leggeva gioia difficilmente contenibile.
-Hai già fissato una data, per la cerimonia ufficiale?-
Francis, alle volte, sembrava una signora vecchia e pettegola, con
quella sua mania del gossip e di tutto ciò che poteva averci
a che fare. Per questo suo essere era sempre preso in giro da chiunque,
specie dai suoi amici più intimi.
Infatti Gilbert lo derise, rivolgendogli una delle sue solite risate
rumorose.
-Non hai già spettegolato abbastanza su questo, vecchia
megera?-
L’altro si lagnò prontamente.
-Lascia decidere ad Antonio, questo!-
Antonio rise di gusto, spiegando ai propri amici che no, lui e Roderich
non avevano scelto ancora la data e, in sincerità, neppure i
colori degli abiti da indossare e una lista infinita di altre
piccolezze assolutamente inutili e poco importanti – parve
quasi passare un’ombra di stanchezza, nel suo sguardo, mentre
diceva tutto quello, come a ricordare eventi spiacevoli di cui,
sfortunatamente, era stato vittima passiva.
Accanto a lui, c’era una specie di mastino silenzioso che
stava bevendo il suo tè.
Matt aveva trovato davvero curiosa la sua figura, nel momento stesso in
cui aveva varcato la porta di casa Bonnefoy. Era un piccoletto biondo
dallo sguardo severo, che dava l’impressione di essere capace
di puntarti una pistola addosso se solo gli si fosse stata rivolta una
parola di troppo o senza il dovuto garbo. Uno, insomma, di quelli che
scattavano per niente.
Matt poi venne a sapere che Vash faceva di professione il poliziotto,
per cui era abituato a trattare con un certo tipo di gente e con certi
tipi di armi. Ma in quel momento certo era che l’impressione
che lo svizzero gli dava non era esattamente buona, a livello globale.
In più, non capiva la sua utilità
all’interno del gruppo, almeno finché Antonio,
dopo una piccola pausa e dopo aver guardato lo svizzero come si fa con
gli escrementi di cane sulla strada, non divenne tutto
all’improvviso serio e scontroso.
-Sicuramente la cosa sarebbe un po’ più piacevole
se solo Vash non seguisse me e Roderich come un segugio…-
Gilbert represse a stento un ghigno davvero cattivo, mentre Francis
palesò un sorriso non del tutto innocente, fin troppo grande
sul viso.
L’unica cosa che li legava a Vash era l’assoluta
fermezza dello svizzero nel voler star fuori da ogni problema e da ogni
storia riguardante la festa. Neutrale, assolutamente disinteressato,
come sempre era stato in tutta la sua vita. Salvo poi ricordarsi di
alcuni favori che doveva sia a Gilbert sia a Francis, che
l’avevano legato a quei due in maniera indelebile.
Così, volente o nolente, si era ritrovato a fare la guardia
alla coppia di prossimi sposini, cercando di tenerli lontani in ogni
modo possibile dai preparativi della festa, perché fosse una
vera e propria sorpresa.
Sicuramente Francis e Gilbert non potevano immaginare a quali
espedienti era arrivato – giocare a monopoli alle due di
notte, obbligando Antonio e Roderich con una minaccia, non era davvero
stata una delle sue idee più brillanti – ma si
divertivano enormemente nell’immaginarlo intento nel proprio
compito.
Cattivi e maligni, come chi sa di poterlo essere solo per
un’ultima volta prima di un addio definitivo.
Vash, ignorando con forza le occhiate malevole che lo spagnolo gli
stava lanciando, dopo essersi accorto della dualità di un
viso comune, guardò dritto negli occhi Matt e gli si rivolse
per la prima volta. Duro, senza in realtà volerlo essere
davvero.
-Tu chi sei? Sei nuovo in questa compagnia da gay bar?-
Matt lo guardò per qualche secondo, poi si coprì
la bocca e il riso che era sorto spontaneo sulle labbra alla domanda
dello svizzero. Aveva capito come mai quello strano e alquanto insolito
ragazzo trasandato fosse loro amico.
Vash, ovviamente, se la prese, facendogli notare la cosa con un tono
ancora più duro di prima.
-Cosa c’è da ridere?-
Gli zigomi di Matt si imporporarono di vergogna e il ragazzo
farfugliò qualcosa prima di riuscire a rispondere.
-Niente, scusami…-
Poi alzò lo sguardo su di lui, cercando di sostenerlo.
-Mi chiamo Matt. Sono il fratello di Alfred. Molto piacere!-
Vash guardò prima lui, poi Alfred, poi di nuovo lui.
Probabilmente cercò qualche tratto distintivo per non
catalogare quel nuovo arrivo come aveva catalogato il fratello
– grasso, idiota, stupido e mangione – poi bevve
dalla sua tazza, continuando a squadrarlo.
Infine, gli rispose, monocorde.
-Sono Vash.-
Bevve ancora, lentamente, senza scrollargli lo sguardo di dosso, come a
volerlo far confessare di chissà quali atroci delitti.
Decisamente in imbarazzo, Matt allungò una mano verso il
vassoio dei biscotti e ne prese uno, cominciando a mangiarlo.
Poi Vash gli fece la fatidica, seconda domanda, con uno sguardo che non
ammetteva menzogne.
-Sei gay anche tu?-
Mancò poco che Matt non si strozzasse con le briciole del
biscotto che aveva appena sgranocchiato.
In verità, Matt non avrebbe saputo davvero cosa rispondere,
a quella domanda. Non che la cosa in sé sarebbe stato un
problema insormontabile, non che ci sarebbe rimasto male altrimenti, ma
semplicemente non si era mai posto la domanda e quindi non sapeva la
risposta.
No?
Sì?
Forse?
Chissà, magari poteva essere?
Matt davvero non sapeva cosa rispondere a quel quesito.
Eppure, almeno negli ultimi tempi, di stimoli ne aveva avuti, e anche
parecchi. Non poteva certo ignorare gli sguardi che, di tanto in tanto,
Francis gli lanciava, con tutta la discrezione e la delicatezza del
mondo. Non poteva certo ignorare i suoi tentativi di entrare in
contatto – strette di mano, tocchi veloci lungo le braccia e
sulle spalle, vicinanze non esattamente casuali tra i loro corpi.
Il ragazzo, più per timidezza e educazione, si era sempre
ritratto con calma, senza paura né sdegno, comunicando un
certo imbarazzo per quella situazione nuova. Ma se qualcuno gli avesse
domandato se trovasse piacevole tutto quello lui non avrebbe risposto.
Ivan, preso tra le mani il suo fedele basso – un regalo che
aveva ricevuto proprio da Antonio, non più di tre mesi prima
– cominciò a strimpellare qualche nota,
accompagnando la melodia con il proprio fischio. Aveva lo sguardo
melanconico, perso nei movimenti delle proprie dita.
Tra tutto il chiacchiericcio concitato che aveva preso i presenti, Matt
aveva semplicemente spostato la sedia per allontanarsi il
più possibile da Gilbert e dalle sue urla per non sembrare
maleducato e allo stesso tempo per riuscire a salvare almeno in parte
il proprio udito. Così, volente o nolente, si era ritrovato
accanto al russo.
Non riuscì a guardarlo in faccia, mentre suonava piano,
accontentandosi di ascoltarlo in maniera passiva. Sentiva il suo
sguardo addosso e il suo sorriso gravargli sulla nuca – non
gli piaceva, non gli piaceva per nulla.
Ma mentre Francis prendeva la parola, cercando di calmare Gilbert e
fargli assumere un tono della voce umanamente accettabile, Ivan gli si
fece vicino e sussurrò piano, nell’orecchio.
-Anche tu hai fatto il conservatorio come Alfred?-
Il ragazzo ebbe un sussulto di pura paura e quando si riprese dallo
spavento cominciò a balbettare.
-No, io non sono entrato in conservatorio… Ho imparato da me
a suonare…-
L’altro si ritirò un poco, tornando al suo posto,
senza però smettere di guardarlo, incuriosito dalla sua
persona come un bimbo molesto.
-Ah… beh, allora sei bravo per essere un
autodidatta…-
Matt fece cadere lo sguardo in basso, accusando il colpo. Ma Ivan aveva
ancora qualcosa da dire e non smise di tormentarlo: gli si
avvicinò di nuovo, facendolo di nuovo sobbalzare.
-Sai, anche io suonavo una volta… non qualcosa di volgare
come il basso, però… suonavo il violino!-
Mutò qualcosa nel suo sguardo, a quel punto, tanto che
l’espressione si dipinse di una naturale purezza e gioia da
farlo sembrare quasi un’altra persona.
-Sì, il violino…-
Matt ebbe quasi timore di chiedergli cosa mai fosse accaduto dopo, come
per non voler interrompere quel momento d’estasi che aveva
rilassato i muscoli del suo viso. Non l’aveva mai visto
così sereno e tranquillo.
Poi, però, la curiosità ebbe il sopravvento su
ogni cosa.
-E poi cos’è successo?-
Ivan tornò a guardarlo, e di nuovo
quell’espressione minacciosa e angosciante gli comparve sul
viso.
-Poi il piccolo Wang è morto, e io non ho più
saputo suonare…-
Poi la pistola di Vash sparò un colpo in aria, unico e
secco, terribile come l’espressione dipinta sul suo viso, e
dalle urla intense e quasi animali si arrivò a un silenzio
mortale e profondamente innaturale.
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