Cap. 10
Race for the morning
You can hide in the sun
'till you see the light
Oh we will pray it's all
right(5)
Matt strimpellava nei momenti di pausa o la sera in camera da solo, non
necessariamente proprio le canzoni che avrebbe poi dovuto suonare alla
festa ma anche qualcosa che gli usciva dall’inconscio,
scoperto tra i ricordi lontani e all’improvviso
più chiari. Era piacevole accorgersi della propria sopita
esperienza, alla quale erano legati pomeriggio di studio solitario e
rilassato.
La scaletta delle canzoni da programma era sempre a portata di mano,
così come il fascicolo degli spartiti. Alla fine, essendo
semplicemente la chitarra d’accompagnamento, non gli era
stato impossibile riuscire nell’impresa di imparare proprio
tutto. La cosa, in qualche modo, lo rendeva felice e orgoglioso,
semplicemente dandogli un senso di appartenenza che prima gli era
estraneo. Nell’attivarsi, nel risvegliarsi da una sottospecie
di sonno perenne, si era scoperto capace di sentirsi coinvolto in
progetti anche stupidi e poco degni di un’alta attenzione. La
cosa lo aveva semplicemente fatto sentire vivo.
Qualcuno bussò alla sua porta, all’improvviso,
facendogli prendere un colpo e facendolo sobbalzare.
-A-avanti…-
Fissò la porta che si aprì, lesta, e che
andò a sbattere contro il muro della sua camera in un tonfo
decisamente poco delicato: suo fratello Alfred fece il suo ingresso. In
mano, aveva la propria chitarra e, come a voler giustificare i propri
gesti – o semplicemente far intuire i motivi che lo avevano
spinto, a forza, fin lì – indicò con la
mano libera lo strumento che il ragazzo teneva tra le mani.
-Ho sentito che stavi suonando!-
Entrò senza aspettare che gli venisse permesso, sedendosi
accanto a Matt sul letto. Non era la prima volta che gli vedeva in mano
una chitarra, almeno per quanto concerneva il tempo al di fuori delle
prove della band, ma sicuramente era per lui una novità che
Alfred lo cercasse proprio per quello.
Il giovane, con un sorriso a trentasei denti in viso, si
avvicinò con un piccolo balzo a lui.
-Cosa stavi suonando, di bello?-
Matt si strinse nelle proprie spalle, guardandolo un po’ in
imbarazzo, sconcertato intimamente da tutto quell’interesse a
cui non era per niente abituato.
-Nulla, in realtà…-
Come al solito, fu Alfred a imporsi tra i due, indicando una riga sul
foglio aperto davanti a suo fratello: Holy Diver, la quarta in ordine
dall’alto in basso.
-Questa è una delle mie preferite! Suoniamo questa!-
Matt non disse nulla, sia perché era abituato a lasciarsi
trascinare dall’altro senza porre resistenza sia
perché, in effetti, non aveva proprio nulla di meglio da
proporre. La canzone, oltretutto, piaceva parecchio anche a lui.
Aprì la dispensa e andò a cercare lo spartito
giusto, così da integrare con la nota scritta la propria
memoria. Alla fine, attaccò prima lui, seguito a ruota dal
suo pimpante e vivace fratello.
Si ritrovò a sorridere, nonostante tutta
l’incertezza iniziale. Durante le prove, aveva attorno
persone che, relegate nel rango di sconosciute o quasi, non potevano
certo rimproverargli di essere un riservato e timido oltre il limite di
sopportazione. Ma con suo fratello, unica persona al mondo con il quale
aveva condiviso tutti i santi giorni della sua breve vita, questa scusa
non reggeva. Per questo il suo imbarazzo cresceva di più,
giustificato da una reale situazione di evidente disagio.
Però, in quel momento, da solo con lui, seduti sul suo letto
a suonare e a canticchiare con voce stonata e priva di grazia, gli
sembrò di vivere il rapporto come mai lo aveva vissuto.
Vide davvero il sorriso di Alfred, la sua passione nel muovere le dita
sulla sua chitarra pizzicandone le corde.
Respirò, seppur per poche ore, vera felicità.
-Ohi, Williams…-
Sorpreso dal risentire quella voce Matt alzò la testa dalla
propria borsa.
Tra una prova e l’altra, il ragazzo si era anche ricordato di
avere certi impegni universitari, e dovendo recuperare alcuni esami
prima della laurea aveva ripreso a frequentare i corsi con
più regolarità, anche per spingervi suo fratello
con il buon esempio.
Certo era che, preso da tutto quello che gli stava accadendo di nuovo,
aveva tralasciato alcune cose vecchie di dubbio gusto, come la
sgradevole sensazione che lo prendeva ogni volta che si ritrovava
vicino Bruce.
Abbozzò un sorriso, cercando di essere gentile come sempre
– eppure l’espressione grave del ragazzo non lo
tranquillizzava proprio per nulla.
-Ciao, Bruce!-
La voce gli uscì più acuta del solito, ma fu
troppo tardi quando se ne accorse. Senza aggiungere una parola,
tornò a sistemare la propria borsa. Riuscì pure
ad alzarsi prima che l’altro ragazzo gli si parò
davanti, bloccandolo sul posto. Matt si arrischiò persino ad
alzare il viso verso il suo, per vedervi ancora impresso lo stesso
sguardo di prima.
Canzonatorio e minaccioso allo stesso tempo.
Si fece piccolo, e provò a scansarlo andando di lato, ma con
un gesto Bruce gli fu di nuovo davanti, rivelando così la
propria ferma intenzione di non lasciarlo andare per nulla al mondo.
-C’è qualcosa che non va?-
Per quanto possibile, l’altro si fece più avanti,
obbligando Matt ad arretrare e al contempo a sentirsi schiacciato
contro il nulla. Era evidente che il suo era un fare intimidatorio.
-Williams, io non so davvero che pensare di te…-
Matt si guardò attorno, cercando qualcuno da prendere come
scusa per una fuga poco onorevole. L’aula gli parve vuota
all’improvviso, senza un’anima pia che lo potesse
soccorrere.
Guardò in alto, stringendo la spallina del proprio zaino tra
le dita.
-Cosa dovresti pensare di me, Bruce?-
Vide lo sguardo dell’altro farsi più sottile. Come
se si sentisse vagamente preso in giro.
In effetti, Matt sospettava – anzi temeva con tutto il suo
cuore – quale fosse l’argomento di così
tanto astio, ma fare finta di nulla era sempre stata una tattica
vincente. Peccato solo che in quel momento non gli garantiva proprio
niente.
-La stessa cosa che penso di tuo fratello, Williams…-
Qualcosa dentro Matt scattò, facendolo irritare.
Non solo il fatto che, ancora una volta, era paragonato a suo fratello
Alfred, come se fossero la stessa persona o peggio che lui dovesse
rendere conto degli errori e dei pregi dell’altro, ma anche
la rabbia che gli nasceva al ricordo dell’ultimo discorso che
Bruce aveva fatto sulla sua sessualità – e
più di tutto anche che non era riuscito a rispondere in
maniera adeguata.
Confuso da questi mille motivi, divenne rosso di rabbia e
farfugliò la sua risposta in maniera incoerente.
-Mio fratello è mio fratello, io sono io. E poi non mi pare
che lui ti faccia qualcosa di male!-
Ma si bloccò, quando Bruce gli si fece ulteriormente addosso.
-Williams, io ti avevo già avvertito, mi pare…-
Fu una voce amica a salvarlo, a quel punto, interrompendo
l’uomo e facendo voltare entrambi verso l’entrata
dell’aula.
-Ehi, cosa accade qui?-
Alfred era comparso alla porta, probabilmente spinto lì
dalla sospettosa assenza del gemello. Con lo stomaco che brontolava era
andato a cercarlo e ora, davanti a quella scena, aveva
d’istinto capito che qualcosa non andava.
Il suo sguardo non cadde neanche sulla figura di Bruce, andando
direttamente a Matt. Gli sorrise, sereno, come se niente e nessuno
potesse scalfire la sua sicurezza.
-Matt, perché non sei in mensa? Ho fame, vieni!-
Matt fu felice di raggiungerlo in quattro balzi, sparendo dietro di lui.
Non vide, però, lo sguardo di fuoco che Bruce
lanciò alle loro schiene.
La scena che gli comparve davanti fu una specie di rivisitazione di
esperienze già vissute. Eppure non poté davvero
reprimere il verso agonizzante che gli salì direttamente dal
petto per bloccarsi dietro le labbra serrate in una smorfia contratta.
Ivan, placidamente, gli sorrise e lo salutò con una mano,
mentre l’acqua caldissima della vasca gli copriva il resto
del corpo dal petto in giù.
-Ciao, Matt!-
A conti fatti, il russo aveva anche un bel sorriso –
piacevole, educato, a tratti rassicurante – ma ritrovarlo per
la seconda volta nudo nella propria vasca da bagno era stato un duro
colpo per i poveri nervi di Matt.
Così come era entrato, meccanicamente e con lo sguardo fisso
Matt uscì dal bagno, lasciando l’uomo da solo. Gli
venne incontro suo fratello nel bel mezzo del corridoio e, trovandolo
completamente rosso in viso, quasi si preoccupò.
-Matt, non dirmi che stai male! Fra qualche giorno
c’è la festa, non puoi stare male!-
Matt lo guardò in viso, completamente stravolto. In
realtà avrebbe anche voluto urlargli addosso, ma il pensiero
che quell’uomo, nell’eventualità di una
zuffa, potesse uscire dalla vasca e raggiungerlo così
com’era, lo fece desistere da ogni tentativo di lite.
Strinse i pugni, camminando veloce.
-Se hai bisogno di me sono in cucina!-
Anche questa volta, la sua voce fu più stridula del dovuto
– ma Alfred, appurato che suo fratello stava bene, non se ne
preoccupò più di tanto.
Con un sorriso enorme sulle labbra, entrò in bagno,
chiudendo la porta dietro di lui. La sua voce, squillante e alquanto
allegra, si sentì lo stesso anche all’esterno.
-Braginski! Mi hai preceduto!-
Poi, dopo qualche secondo, il rumore di un tonfo e dell’acqua
che si muoveva violentemente.
E altri, altri tonfi più ovattati. Altri rumori che Matt
soffocò in sorsi rumorosi di teh e caffé.
Matt si rese conto di sapere da sé come avevano fatto, quei
due, a finire in una simile relazione.
A pensarci bene, non era certo solo la seconda volta che aveva visto il
russo bazzicare per casa sua, così come non era estraneo ai
discorsi di Alfred. La figura di Braginski era però sempre
stata qualcosa relegato al mondo magico che Alfred aveva segregato in
qualche modo lontano da Matt, senza avere l’accortezza di
integrare il fratello in qualche modo e renderlo partecipe di come si
svolgeva la sua vita – anche se, davvero, Matt non aveva
fatto storie a riguardo, giustificato quindi da una scusa fin troppo
accomodante.
Pensandoci ancora meglio, Alfred aveva cominciato a nominare Ivan
già qualche anno prima. E se all’inizio era
qualcosa di passeggero, detto con estrema leggerezza e una punta di
indifferenza, la cosa si era lentamente trasformata, aumentando di peso
e importanza.
Aveva trovato una foto di gruppo della band sopra un comodino della
stanza del fratello, ma solo dopo un’attenta analisi aveva
visto la mano di Alfred nella mano di Ivan – e sorridevano,
entrambi, davanti all’obiettivo della fotocamera. Si
ricordò, anche, di aver visto sparire interi capi di
vestiario dall’armadio, trovandoli poi addosso al russo,
seppur in una misura che non gli andava completamente comoda.
Era evidente che per Alfred la relazione con Ivan non fosse qualcosa su
cui poter scherzare a cuor leggero, benché il riso abbondava
in maniera esagerata sulle sue labbra. Probabilmente, era una cosa che
teneva dentro, cercando di non farla pesare al russo. Per qualche
strano e assurdo motivo, suo fratello si dimostrava più
delicato del solito, e questo era un’ulteriore prova della
sua tesi. Benché Ivan pareva non avere un passato scabroso
da nascondere o qualcosa di illecito, era sempre più
evidente che quello che era stato ancora influenzava quello che era, in
maniera incredibile.
Matt pensò a quanto dovesse essere triste, per uno come
Alfred, limitarsi a essere un semplice amante per una persona tanto
amata.
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