Casa Keller
21 Ottobre
...
Era lì che mi fissava e niente più.
Cresciuto, più alto, capelli sempre corvini ma corti, trucco
a go-go e una
varietà di piercing che non mi erano familiari: sembrava che
il tempo per lui
non fosse passato, tranne che per un leggero aumento della massa
muscolare che
ricordava vagamente la sua reale età.
Non sapevo come spiegare quel momento perché in
realtà non penso c'era nulla da
spiegare e mentre focalizzavo una fiamma nel camino Tom fece
volutamente un
colpetto di tosse e ci fece tornare tutti coi piedi per terra.
- Magari, sempre se vuoi, potresti venirmi a salutare come si deve Kim.
- aprì
le braccia e vedendolo sorridere con quei due occhioni, come potevo
resistere a
quella faccia sorniona?
Corsi verso di lui lanciando la borsa sulla poltrona lisciando Bill che
si
spostò giusto un attimo prima dell'impatto e abbracciai Tom
calorosamente quasi
cadendo.
Anche lui era cambiato molto: aveva lasciato i lunghi dread per fare
spazio a
delle trecce spesse che gli ricadevano sulle spalle fino al petto, lo
rendevano
molto attraente e gli stavano davvero bene.
- E queste? - chiesi prendendone in mano una.
- Diciamo che ci sono state delle novità dall'ultima volta
che ci siamo
visti... - si giustificò ridendo.
Mi fiondai sul suo collo e lo abbracciai forte, lui ricambiò
l'abbraccio nella
stessa maniera: dopotutto ero stata la loro vicina di casa e insieme ne
avevamo
fatte di cotte e di crude.
Adoravo i
gemelli, erano dei fratelli acquisiti e nessuno doveva provare a
toccarmeli
specialmente a scuola!
Forse tutto questo si era rovinato proprio per colpa mia e di Bill,
forse non avremmo
dovuto mai metterci insieme. Ma quello che era stato, era stato e siamo
andati
avanti non curandoci troppo del passato che avrebbe condizionato le
nostre vite
fin troppo profondamente.
- Ops, scusatemi. – mi ricordai improvvisamente. - Devo fare
le presentazioni.
- mi staccai dall'abbraccio girando intorno al divano e passando
davanti a Bill
senza degnarlo di uno sguardo per raggiungere Kate che tutto ad un
tratto era
diventata un po' timida.
- Lei è Kate, la mia migliore amica e loro come ben sai sono
Tom... – che la salutò
con un gesto della mano. - E... Bill. - che rispose al saluto facendo
lo stesso
gesto del fratello senza metterci troppa enfasi.
- Ciao Kate, piacere di conoscerti. - disse Tom da in fondo la stanza
squadrandola per pochi secondi. Quei secondi
che sapevo bene gli servivano per “analizzare” una
ragazza e, a parer mio,
sembrava annuire sorridendo soddisfatto.
- Piacere mio ragazzi. - e sorrise mettendo in mostra la sua dentatura
bianca
come la neve che scendeva fuori la finestra. Poi si rivolse verso di me
e
gesticolando, come era suo solito fare, si offrì di
cominciare a sistemare la
mia stanza che sarebbe diventata la loro.
- Si vai, adesso arrivo. Grazie mille Kate ti devo più di un
favore. -
- Non ti preoccupare Kim, capisco la situazione. - detto ciò
guardò di sfuggita
Bill che ricambiò lo sguardo alzando impercettibilmente un
sopracciglio. Lei,
vedendolo, arrossì leggermente e distolse lo sguardo da
quegli occhi che sapevo
benissimo come riuscivano ad ipnotizzarti in maniera tanto rapida e
veloce,
quasi come il morso fulmineo di un serpente. - Ehm... vado allora, ti
aspetto
dillà. -
- Ok, due minuti e sono da te. - lanciò un ultima occhiata
veloce al salone,
questa volta evitando Bill e puntando Tom che le sorrise beffardo.
Mentre
camminava verso la mia camera la seguii con lo sguardo, la vidi
voltarsi un
istante e farmi il segno dell'OK con una mano mimando un espressione
sbalordita. Leggendo il labiale lessi "Tom".
Sorrisi pensando a quante volte, per colpa di quel babbuino,
l'avrei
avuta a casa mia.
Ero con la
spalla appoggiata al muro e tornai a guardare verso il divano, verso
Tom
precisamente. Sentivo gli occhi di Bill bruciarmi sulla pelle come
carboni
ardenti ma non me ne importava proprio nulla e mi ero promessa che ci
avrei
parlato il minimo indispensabile.
- Tom... – lo chiamai. - Posso abbracciarti di nuovo? E'
talmente strano
rivederti dopo tutto questo tempo che non mi sembra tu sia veramente
qua! -
- Sorellona mia... - si sistemò meglio sul divano mettendosi
seduto in una
maniera quasi normale. - Il tuo Tom è pronto ad
accogliere l'ennesimo
abbraccio, vieni quaaaa... - mi incitò finendo la frase con
una vocina
stridula, che sinceramente, sentendola uscire da un ragazzone di un
metro e
ottanta (...e anche qualcosina di più), era davvero una cosa
comica.
Mi incamminai nuovamente verso di lui passando davanti alle gambe
chilometriche
di Bill e mentre stavo per gettarmi sul ragazzo treccioluto qualcosa mi
tirò
indietro.
Voltandomi
cercai di dare una spiegazione a quella mano scarna che mi si era
avvinghiata
al polso saldamente, imprigionandolo ed impedendomi di andare oltre.
Una delle
cose che più non sopportavo era il proibirmi di fare
qualcosa o di andare dove
volevo, quando lo volevo.
Una
rabbia mi salì dentro e il calore
dell’intolleranza si propagò per tutto il
braccio che avevo ancora libero facendomi inconsciamente stringere la
mano a
formare un pungo e a tendere tutti i muscoli in una fase di tensione
nervosa.
Lo
guardai fulminandolo letteralmente e lui, senza mollare minimamente la
presa
della mano, mi fissò dritto negli occhi, freddo, pungente e
con una voce
altrettanto aguzza mi chiese: - E a me? L’abbraccio non
è concesso? –
puntualizzò.
Tom,
dall’altra parte, sgranò gli occhi e
abbassò le braccia fino a posarle sui
braccioli silenziosamente.
Sembravamo
due pantere che stavano per azzuffarsi in una maniera
tutt’altro che giocosa,
più che altro la nostra lotta sarebbe stata come per la
contesa di un pezzo di
antilope che nel nostro caso era solamente un fattore di puro orgoglio
da parte
mia e di non so cosa da parte sua.
- Lasciami. Subito. – gli ordinai facendo
uscire quelle parole a denti stretti come un sibilo.
Continuò
a guardarmi fisso per i dieci secondi successivi e io feci lo stesso
non
battendo neanche una volta le palpebre.
Mi
faceva schifo e se non mi avesse lasciata immediatamente penso che il
pungo che
avevo in serbo presto sarebbe andato a segno sul suo bel nasino.
Prendendo
atto di quanto fossi imbestialita, aprì la mano e mi
lasciò andare, pur
rimanendo in contatto visivo con i miei occhi. Questi non mi facevano
più alcun
effetto, non li vedevo come prima ma ad essere sincera per un frangete
provai a
ricercare all’interno di quelle iridi marroni un qualcosa che
mi ricollegasse
al Bill Kaulitz di cui mi ero innamorata follemente, ma non trovai
nulla e fu
come aver fatto un immenso buco nell’acqua.
Erano
vuoti.
Appena
allentò la presa tolsi frettolosamente il mio polso dalle
vicinanze della sua
mano e lui tornò a guardare il caminetto, giunse le mani e
appoggiò i gomiti
sulle sue gambe lasciando che il viso si appoggiasse a sua volta sulle
mani
giunte.
Tornai
a guardare Tom i cui occhi erano illuminati dalle fiamme e ne
riflettevano le
sfumature rossastre, com’era bello il mio fratellone.
Mi
sedei per terra, vicino a lui e cominciammo a parlare un po’
di tutto: della
sua strana epidemia senza senso, della sua fuga dalla Germania e la
voglia al
tempo stesso di tornarci, le sue follie in America e soprattutto le
ragazze
americane. Ogni tanto Bill faceva qualche commento, tanto per ricordare
che c’era
e che era vivo ma per me fu come il ronzio fastidioso di una zanzara
dentro l’orecchio
mentre ti stai per addormentare. Assolutamente da scacciare via, oppure
da
ignorare nel mio caso.
Squillò
il cellulare e corsi a rispondere.
-
Scusami un secondo Tom, torno subito. – mentre cercavo il
cellulare in borsa,
Kate entrò in salone annunciando che la stanza era pulita e
in ordine.
-
Oddio scusami, Kate! – le dissi mettendomi una mano sulla
fronte. – Mi ero
scordata di darti una mano e… stavo parlando e…
scusa… - il cellulare squillava
nella mia mano.
-
Rispondi Kim, non ti preoccupare. – mi sorrise teneramente.
Non
c’erano parole, quella ragazza era assolutamente da sposare.
-
Si, pronto? – risposi al Blackberry. – Davvero? Ah
va bene allora scendo
subito. –
-
Chi era? – chiese curiosamente Kate.
-
Era David. – i gemelli si girarono verso di me. –
Ha fatto portare qui le
vostre auto quindi devo andare a spostare la mia macchina dal garage,
così
mettiamo la tua dentro, chiusa e assolutamente nascosta! –
dissi facendo l’occhiolino
a Tom mentre mi infilavo l’impermeabile.
Presi
le chiavi di Skids dalla borsa.
-
Ti do’ una mano, aspetta. – propose Tom alzandosi
dal divano.
-
No, stai lì… da questo momento in poi dovrete
cercare di uscire il meno
possibile, almeno finché non ho ben chiara questa storia e
capiamo fin dove
abbiamo dei limiti da rispettare. –
- …mi
pare giusto. – concluse Tom risedendosi.
Uscii
dall’appartamento ed entrai in ascensore ravvivandomi i
capelli con la mano. Cliccai
il tasto per andare in garage ma le porte vennero bloccate e si
riaprirono per
far entrare proprio chi non desideravo avere accanto.
L’ascensore si chiuse e
cominciò a scendere.
Guardavo
davanti a me in silenzio, lui invece batteva freneticamente la punta
del piede
per terra e ad un tratto:
-
Tom ha detto che la sua macchina dovevo parcheggiarla io, ecco
perché sono
sceso. – si giustificò senza che gli avessi
chiesto nulla.
-
Ok. – dissi facendo spallucce.
Momenti
di silenzio, poi:
-
Sai… sono curioso di sapere se per tutto il tempo che
abiterò qui tu non mi
rivolgerai la parola oppure se sentirò almeno un
“ciao” quando entrerò in
quell’appartamento
le rare volte che uscirò. – sbottò
mettendosi davanti a me, costringendomi a
guardarlo.
-
Parlerò con te il meno possibile, è bene che tu
questo lo sappia e che te lo
ficchi bene in quella testolina vuota che ti ritrovi. –
cominciai ad informarlo
nella maniera più calma e pacata possibile, quasi sembravo
una donna risoluta. –
Poi se proprio lo vuoi sapere, no, non ho il piacere di fare ulteriore
conversazione con te a meno che non si parli di tuo fratello o di
ipotetiche
cose che non trovi in casa mia e un’altra cosa… -
-
Cosa? – mi chiese avvicinandosi.
Allungai
la mano sul suo petto fino a spostarlo e a mantenerlo a debita distanza
da me,
ovviamente, senza provare niente tranne che una rabbia tenuta ben
stretta al
guinzaglio.
-
Non provare mai più, e dico mai più in alcun modo
o in alcuna maniera a toccarmi
o ad impedirmi di fare una cosa. MAI! Sei a casa mia Kaulitz e starai
alle mie
regole, che ti piaccia oppure no. Brevi e necessarie conversazioni,
utilizza
casa mia come fosse la tua basta che mi eviti il più
possibile perché ti
assicuro che sarà ciò che farò io.
– l’ascensore si fermò e uscii
lasciandolo
dietro di me.
David
era in fondo al garage che aspettava tra due macchine: un’
Audi R8 e una Q7.
Bill
salutò con la mano il manager.
-
Hey Dav, come va? – chiesi andandogli incontro sorridente e
abbracciandolo.
-
Bene Kim, incasinato come sempre ma… bene! –
rispose corrispondendo
calorosamente al mio abbraccio. – E tu? –
Lo
guardai e poi sbuffando spostai lo sguardo sul cantante che si aggirava
intorno
alla macchina del fratello.
-
Ok, ho afferrato il concetto. Grazie ancora per quello che stai
facendo,
significa molto per me e per loro… anche se non lo
ammetteranno mai. –
-
Si, lo so che sono molto orgogliosi ma con me è
diverso… almeno per quanto
riguarda Tom. – dissi lasciando intendere quello che provavo
per l’altro
gemello.
-
Ehm, direi di mettere dentro la sua macchina così sistemiamo
anche questa
faccenda e poi torno ad Amburgo. –
-
Ad Amburgo? – esordimmo io e Bill all’unisono
sbalorditi. Ci guardammo per un
secondo, lui sorrise di sbieco, io lo fulminai e tornai a guardare
David che
era rimasto a godersi la scena apparentemente comica ad occhi comuni.
-
Ma non dovevi pernottare in un albergo qui vicino? – chiesi.
-
Si ma il problema è che il lavoro continua e qui non posso
portare avanti
determinate cose. Non ho ciò che mi serve e poi non posso
rimanere a fare da
balia a due ragazzi grandi e grossi! – mi accigliai.
-
Certo, per quello ci sono io vero? –
-
No, non dire così perché sai che non è
vero. Comunque qui ho la lista delle
medicine che Tom deve comprarsi e lui può andare in farmacia
anche da solo, può
camminare e muoversi autonomamente come anche quell’altro
può fare. –
-
Dell’altro non avevo dubbi, continua. – dissi
storcendo la bocca.
-
Bene, quindi questa è la lista. – mi diede un
foglio con un sacco di nomi di
medicinali e per me la calligrafia dei medici era qualcosa di
crittografato,
geroglifico da dover decifrare. Sgranai gli occhi quando la vidi.
-
Ma, sono tutti antidolorifici. – notai con sorpresa.
– Nessun antibiotico? –
-
Finché non si sa da cosa è affetto è
inutile somministrargli medicinali
antibiotici. –
-
Hai ragione, scusa. – chiusi il foglietto e lo misi nella
tasca interna dell’impermeabile.
– Ti sposto Skids. –
-
Chi? – chiese come se cadesse dalle nuvole.
-
E’ il nome che ho dato alla mia macchina, ora la levo dal
garage così il Sig.
Kaulitz… - l’improvviso rombo del motore
dell’ R8 ci fece voltare entrambi
mentre l’intero garage si riempiva di quel potente ringhio
mettendo in risalto
l’ennesima prova di egocentrismo di Bill. –
Dicevo… così può mettere
quell’astronave
qui e io parcheggio fuori senza problemi. –
-
Perfetto, io porto fuori quella di Bill allora. – annuii.
Portai
fuori dal box Skids e feci passare Bill che dentro quel bolide, a parte
tutto,
faceva proprio una gran figura.
Spensi
la macchina nel parcheggio sul retro aspettando che David coprisse con
un telo
per automobili la Q7 di Bill e alzando gli occhi al cielo vidi con
disappunto
che le nuvole non promettevano nulla di
buono: quella sera un temporale si sarebbe scatenato sulla
città di Berlino.
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