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Autore: Bikachu    04/07/2011    3 recensioni
Essere l'unica persona su cui possono fare affidamento.
L'unica che possa nasconderli e tenerli al sicuro dalle telecamere.
Un'amica, una persona importante capace di far tornare il sorriso a chi davanti alla propria vita ha trovato il buio tutto d'un fiato.
Tom ha bisogno di lei e Bill ora più che mai teme di non riuscire a controllare se stesso.
Ma quando il sostenere un amico diventa un qualcosa di più, ecco riaffiorare i ricordi passati che metteranno a dura prova una storia d'amore tenuta sospesa fra il presente, il passato e il futuro di due gemelli che vedranno in pericolo la loro notorietà e di una ragazza che, offuscata dall'amore ma per niente ingenua, tenterà di non fare l'ennesima scelta sbagliata.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Casa Keller
21 Ottobre
...
Era lì che mi fissava e niente più.
Cresciuto, più alto, capelli sempre corvini ma corti, trucco a go-go e una varietà di piercing che non mi erano familiari: sembrava che il tempo per lui non fosse passato, tranne che per un leggero aumento della massa muscolare che ricordava vagamente la sua reale età.
Non sapevo come spiegare quel momento perché in realtà non penso c'era nulla da spiegare e mentre focalizzavo una fiamma nel camino Tom fece volutamente un colpetto di tosse e ci fece tornare tutti coi piedi per terra.
- Magari, sempre se vuoi, potresti venirmi a salutare come si deve Kim. - aprì le braccia e vedendolo sorridere con quei due occhioni, come potevo resistere a quella faccia sorniona?
Corsi verso di lui lanciando la borsa sulla poltrona lisciando Bill che si spostò giusto un attimo prima dell'impatto e abbracciai Tom calorosamente quasi cadendo.
Anche lui era cambiato molto: aveva lasciato i lunghi dread per fare spazio a delle trecce spesse che gli ricadevano sulle spalle fino al petto, lo rendevano molto attraente e gli stavano davvero bene.
- E queste? - chiesi prendendone in mano una.
- Diciamo che ci sono state delle novità dall'ultima volta che ci siamo visti... - si giustificò ridendo.
Mi fiondai sul suo collo e lo abbracciai forte, lui ricambiò l'abbraccio nella stessa maniera: dopotutto ero stata la loro vicina di casa e insieme ne avevamo fatte di cotte e di crude.
Adoravo i gemelli, erano dei fratelli acquisiti e nessuno doveva provare a toccarmeli specialmente a scuola!
Forse tutto questo si era rovinato proprio per colpa mia e di Bill, forse non avremmo dovuto mai metterci insieme. Ma quello che era stato, era stato e siamo andati avanti non curandoci troppo del passato che avrebbe condizionato le nostre vite fin troppo profondamente.
- Ops, scusatemi. – mi ricordai improvvisamente. - Devo fare le presentazioni. - mi staccai dall'abbraccio girando intorno al divano e passando davanti a Bill senza degnarlo di uno sguardo per raggiungere Kate che tutto ad un tratto era diventata un po' timida.
- Lei è Kate, la mia migliore amica e loro come ben sai sono Tom... – che la salutò con un gesto della mano. - E... Bill. - che rispose al saluto facendo lo stesso gesto del fratello senza metterci troppa enfasi.
- Ciao Kate, piacere di conoscerti. - disse Tom da in fondo la stanza squadrandola per pochi secondi. Quei secondi che sapevo bene gli servivano per “analizzare” una ragazza e, a parer mio, sembrava annuire sorridendo soddisfatto.
- Piacere mio ragazzi. - e sorrise mettendo in mostra la sua dentatura bianca come la neve che scendeva fuori la finestra. Poi si rivolse verso di me e gesticolando, come era suo solito fare, si offrì di cominciare a sistemare la mia stanza che sarebbe diventata la loro.
- Si vai, adesso arrivo. Grazie mille Kate ti devo più di un favore. -
- Non ti preoccupare Kim, capisco la situazione. - detto ciò guardò di sfuggita Bill che ricambiò lo sguardo alzando impercettibilmente un sopracciglio. Lei, vedendolo, arrossì leggermente e distolse lo sguardo da quegli occhi che sapevo benissimo come riuscivano ad ipnotizzarti in maniera tanto rapida e veloce, quasi come il morso fulmineo di un serpente. - Ehm... vado allora, ti aspetto dillà. -
- Ok, due minuti e sono da te. - lanciò un ultima occhiata veloce al salone, questa volta evitando Bill e puntando Tom che le sorrise beffardo.
Mentre camminava verso la mia camera la seguii con lo sguardo, la vidi voltarsi un istante e farmi il segno dell'OK con una mano mimando un espressione sbalordita. Leggendo il labiale lessi "Tom".
 Sorrisi pensando a quante volte, per colpa di quel babbuino, l'avrei avuta a casa mia.
Ero con la spalla appoggiata al muro e tornai a guardare verso il divano, verso Tom precisamente. Sentivo gli occhi di Bill bruciarmi sulla pelle come carboni ardenti ma non me ne importava proprio nulla e mi ero promessa che ci avrei parlato il minimo indispensabile.
- Tom... – lo chiamai. - Posso abbracciarti di nuovo? E' talmente strano rivederti dopo tutto questo tempo che non mi sembra tu sia veramente qua! -
- Sorellona mia... - si sistemò meglio sul divano mettendosi seduto in una maniera quasi normale. - Il tuo Tom è pronto ad accogliere l'ennesimo abbraccio, vieni quaaaa... - mi incitò finendo la frase con una vocina stridula, che sinceramente, sentendola uscire da un ragazzone di un metro e ottanta (...e anche qualcosina di più), era davvero una cosa comica.
Mi incamminai nuovamente verso di lui passando davanti alle gambe chilometriche di Bill e mentre stavo per gettarmi sul ragazzo treccioluto qualcosa mi tirò indietro.
Voltandomi cercai di dare una spiegazione a quella mano scarna che mi si era avvinghiata al polso saldamente, imprigionandolo ed impedendomi di andare oltre.
Una delle cose che più non sopportavo era il proibirmi di fare qualcosa o di andare dove volevo, quando lo volevo.
Una rabbia mi salì dentro e il calore dell’intolleranza si propagò per tutto il braccio che avevo ancora libero facendomi inconsciamente stringere la mano a formare un pungo e a tendere tutti i muscoli in una fase di tensione nervosa.
Lo guardai fulminandolo letteralmente e lui, senza mollare minimamente la presa della mano, mi fissò dritto negli occhi, freddo, pungente e con una voce altrettanto aguzza mi chiese: - E a me? L’abbraccio non è concesso? – puntualizzò.
Tom, dall’altra parte, sgranò gli occhi e abbassò le braccia fino a posarle sui braccioli silenziosamente.
Sembravamo due pantere che stavano per azzuffarsi in una maniera tutt’altro che giocosa, più che altro la nostra lotta sarebbe stata come per la contesa di un pezzo di antilope che nel nostro caso era solamente un fattore di puro orgoglio da parte mia e di non so cosa da parte sua.
-  Lasciami. Subito. – gli ordinai facendo uscire quelle parole a denti stretti come un sibilo.
Continuò a guardarmi fisso per i dieci secondi successivi e io feci lo stesso non battendo neanche una volta le palpebre.
Mi faceva schifo e se non mi avesse lasciata immediatamente penso che il pungo che avevo in serbo presto sarebbe andato a segno sul suo bel nasino.
Prendendo atto di quanto fossi imbestialita, aprì la mano e mi lasciò andare, pur rimanendo in contatto visivo con i miei occhi. Questi non mi facevano più alcun effetto, non li vedevo come prima ma ad essere sincera per un frangete provai a ricercare all’interno di quelle iridi marroni un qualcosa che mi ricollegasse al Bill Kaulitz di cui mi ero innamorata follemente, ma non trovai nulla e fu come aver fatto un immenso buco nell’acqua.
Erano vuoti.
Appena allentò la presa tolsi frettolosamente il mio polso dalle vicinanze della sua mano e lui tornò a guardare il caminetto, giunse le mani e appoggiò i gomiti sulle sue gambe lasciando che il viso si appoggiasse a sua volta sulle mani giunte.
Tornai a guardare Tom i cui occhi erano illuminati dalle fiamme e ne riflettevano le sfumature rossastre, com’era bello il mio fratellone.
Mi sedei per terra, vicino a lui e cominciammo a parlare un po’ di tutto: della sua strana epidemia senza senso, della sua fuga dalla Germania e la voglia al tempo stesso di tornarci, le sue follie in America e soprattutto le ragazze americane. Ogni tanto Bill faceva qualche commento, tanto per ricordare che c’era e che era vivo ma per me fu come il ronzio fastidioso di una zanzara dentro l’orecchio mentre ti stai per addormentare. Assolutamente da scacciare via, oppure da ignorare nel mio caso.
Squillò il cellulare e corsi a rispondere.
- Scusami un secondo Tom, torno subito. – mentre cercavo il cellulare in borsa, Kate entrò in salone annunciando che la stanza era pulita e in ordine.
- Oddio scusami, Kate! – le dissi mettendomi una mano sulla fronte. – Mi ero scordata di darti una mano e… stavo parlando e… scusa… - il cellulare squillava nella mia mano.
- Rispondi Kim, non ti preoccupare. – mi sorrise teneramente.
Non c’erano parole, quella ragazza era assolutamente da sposare.
- Si, pronto? – risposi al Blackberry. – Davvero? Ah va bene allora scendo subito. –
- Chi era? – chiese curiosamente Kate.
- Era David. – i gemelli si girarono verso di me. – Ha fatto portare qui le vostre auto quindi devo andare a spostare la mia macchina dal garage, così mettiamo la tua dentro, chiusa e assolutamente nascosta! – dissi facendo l’occhiolino a Tom mentre mi infilavo l’impermeabile.
Presi le chiavi di Skids dalla borsa.
- Ti do’ una mano, aspetta. – propose Tom alzandosi dal divano.
- No, stai lì… da questo momento in poi dovrete cercare di uscire il meno possibile, almeno finché non ho ben chiara questa storia e capiamo fin dove abbiamo dei limiti da rispettare. –
- …mi pare giusto. – concluse Tom risedendosi.
Uscii dall’appartamento ed entrai in ascensore ravvivandomi i capelli con la mano. Cliccai il tasto per andare in garage ma le porte vennero bloccate e si riaprirono per far entrare proprio chi non desideravo avere accanto. L’ascensore si chiuse e cominciò a scendere.
Guardavo davanti a me in silenzio, lui invece batteva freneticamente la punta del piede per terra e ad un tratto:
- Tom ha detto che la sua macchina dovevo parcheggiarla io, ecco perché sono sceso. – si giustificò senza che gli avessi chiesto nulla.
- Ok. – dissi facendo spallucce.
Momenti di silenzio, poi:
- Sai… sono curioso di sapere se per tutto il tempo che abiterò qui tu non mi rivolgerai la parola oppure se sentirò almeno un “ciao” quando entrerò in quell’appartamento le rare volte che uscirò. – sbottò mettendosi davanti a me, costringendomi a guardarlo.
- Parlerò con te il meno possibile, è bene che tu questo lo sappia e che te lo ficchi bene in quella testolina vuota che ti ritrovi. – cominciai ad informarlo nella maniera più calma e pacata possibile, quasi sembravo una donna risoluta. – Poi se proprio lo vuoi sapere, no, non ho il piacere di fare ulteriore conversazione con te a meno che non si parli di tuo fratello o di ipotetiche cose che non trovi in casa mia e un’altra cosa… -
- Cosa? – mi chiese avvicinandosi.
Allungai la mano sul suo petto fino a spostarlo e a mantenerlo a debita distanza da me, ovviamente, senza provare niente tranne che una rabbia tenuta ben stretta al guinzaglio.
- Non provare mai più, e dico mai più in alcun modo o in alcuna maniera a toccarmi o ad impedirmi di fare una cosa. MAI! Sei a casa mia Kaulitz e starai alle mie regole, che ti piaccia oppure no. Brevi e necessarie conversazioni, utilizza casa mia come fosse la tua basta che mi eviti il più possibile perché ti assicuro che sarà ciò che farò io. – l’ascensore si fermò e uscii lasciandolo dietro di me.
David era in fondo al garage che aspettava tra due macchine: un’ Audi R8 e una Q7.
Bill salutò con la mano il manager.
- Hey Dav, come va? – chiesi andandogli incontro sorridente e abbracciandolo.
- Bene Kim, incasinato come sempre ma… bene! – rispose corrispondendo calorosamente al mio abbraccio. – E tu? –
Lo guardai e poi sbuffando spostai lo sguardo sul cantante che si aggirava intorno alla macchina del fratello.
- Ok, ho afferrato il concetto. Grazie ancora per quello che stai facendo, significa molto per me e per loro… anche se non lo ammetteranno mai. –
- Si, lo so che sono molto orgogliosi ma con me è diverso… almeno per quanto riguarda Tom. – dissi lasciando intendere quello che provavo per l’altro gemello.
- Ehm, direi di mettere dentro la sua macchina così sistemiamo anche questa faccenda e poi torno ad Amburgo. –
- Ad Amburgo? – esordimmo io e Bill all’unisono sbalorditi. Ci guardammo per un secondo, lui sorrise di sbieco, io lo fulminai e tornai a guardare David che era rimasto a godersi la scena apparentemente comica ad occhi comuni.
- Ma non dovevi pernottare in un albergo qui vicino? – chiesi.
- Si ma il problema è che il lavoro continua e qui non posso portare avanti determinate cose. Non ho ciò che mi serve e poi non posso rimanere a fare da balia a due ragazzi grandi e grossi! – mi accigliai.
- Certo, per quello ci sono io vero? –
- No, non dire così perché sai che non è vero. Comunque qui ho la lista delle medicine che Tom deve comprarsi e lui può andare in farmacia anche da solo, può camminare e muoversi autonomamente come anche quell’altro può fare. –
- Dell’altro non avevo dubbi, continua. – dissi storcendo la bocca.
- Bene, quindi questa è la lista. – mi diede un foglio con un sacco di nomi di medicinali e per me la calligrafia dei medici era qualcosa di crittografato, geroglifico da dover decifrare. Sgranai gli occhi quando la vidi.
- Ma, sono tutti antidolorifici. – notai con sorpresa. – Nessun antibiotico? –
- Finché non si sa da cosa è affetto è inutile somministrargli medicinali antibiotici. –
- Hai ragione, scusa. – chiusi il foglietto e lo misi nella tasca interna dell’impermeabile. – Ti sposto Skids. –
- Chi? – chiese come se cadesse dalle nuvole.
- E’ il nome che ho dato alla mia macchina, ora la levo dal garage così il Sig. Kaulitz… - l’improvviso rombo del motore dell’ R8 ci fece voltare entrambi mentre l’intero garage si riempiva di quel potente ringhio mettendo in risalto l’ennesima prova di egocentrismo di Bill. – Dicevo… così può mettere quell’astronave qui e io parcheggio fuori senza problemi. –
- Perfetto, io porto fuori quella di Bill allora. – annuii.
Portai fuori dal box Skids e feci passare Bill che dentro quel bolide, a parte tutto, faceva proprio una gran figura.
Spensi la macchina nel parcheggio sul retro aspettando che David coprisse con un telo per automobili la Q7 di Bill e alzando gli occhi al cielo vidi con disappunto che  le nuvole non promettevano nulla di buono: quella sera un temporale si sarebbe scatenato sulla città di Berlino.
   
 
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