Missing
Memories
Angelo Bianco
Il ricordo della sua pelle, così pallida e liscia, non mi
aveva mai abbandonato.
Le sue gambe, morbide, giovani, fragili, le potevo ancora sfiorare con
la mente.
E poi, le sue labbra, così tumide e… sensuali.
Le porsi la mano per
aiutarla ad alzarsi, ma la verità era che volevo ancora
toccarla, sentire il calore del suo corpo a contatto con il mio, ormai
freddo da secoli.
Era ancora una giovane
ragazza, piena di sogni e speranze, per nulla pronta ad affrontare il
destino che l’avrebbe marchiata come donna a vita. Solo una
donna.
Sentivo il suo cuore
battere frenetico. Era attratta da me. E io di lei.
Ma ero troppo bravo a
reprimere i miei istinti, ormai. Non ero più un uomo, e
amare non mi era più concesso.
Alzò lo
sguardo timorosa e fui catturato da due meravigliosi occhi magnetici,
limpido smeraldo liquido.
Se mi fosse rimasta un
po’ della mia umanità, avrei ansimato.
Mi fissò per
qualche istante, leggendo la mia tristezza, accarezzandomi da dentro.
Avrei dovuto interrompere quel momento, ma non ne trovai la forza. Ero
debole di fronte a lei.
Restai immobile quando
si avvicinò, combattuto tra il desiderio di volerla e il
dovere di respingerla.
Poi, si alzò
sulle punte e appoggiò le sue labbra sulle mie.
Potevo ancora sentire il suo dolce sapore in bocca. Fresco, innocente,
inviolato. E invitante.
Quante volte avevo pensato a lei, in questi anni. Quante volte il suo
amabile viso aveva tormentato i miei pensieri…
Troppe, Carlisle, troppe.
Avevo cercato di dimenticarla, di rifarmi una vita altrove, con Edward,
solo noi due.
Eppure, ero lì quel giorno. A farmi ancora del male.
Il piacere di
un’intimità che avevo dimenticato si
mischiò al furioso richiamo del suo liquido più
prezioso, ma non volevo che tutto finisse. Non ora, non così.
Volevo ancora sentirla
stretta a me, legata in quel bacio timido e casto, e sentii lo
straordinario desiderio di approfondirlo, come mi sarebbe piaciuto fare
con la sua conoscenza, se solo me ne fossi dato la
possibilità. Ma non mi mossi. Attesi che fosse lei a farlo.
E lo fece.
Le sue mani delicate si
appoggiarono sul mio petto, leggere, e le sue dita affusolate corsero a
sfiorarmi le spalle, salirono sul collo, fino a incrociarsi dietro la
nuca, tra i miei capelli.
Era sbagliato, lo
sapevo, ma in quell’attimo tutto sembrava semplicemente
perfetto, definito da un destino troppo antico per essere cambiato.
Eravamo io e lei, e
niente altro.
Incoraggiato da quel
pensiero, finalmente mi mossi, agognando ogni singolo istante di noi,
insieme.
Le cinsi la stretta vita
tra le braccia, accarezzandola sopra le vesti come se non ne indossasse
neanche una, affamato di lei come non lo ero mai stato di
nessun’altra.
Dischiusi appena le
labbra, ansioso di assaporarla ancora di più, bramando il
suo profumo di rose appena sbocciate… ma, non appena sfiorai
l’umidità della sua bocca, la bestia che albergava
dentro di me si agitò come un grosso, avido felino in
catene, e l’odore pungente del sangue che scorreva nelle sue
vene sovrastò quella delicata fragranza, prosciugando le mie
riserve di autocontrollo fino allo stremo.
Ansimai davvero e mi
scostai da lei.
«No…»,
riuscii a mormorare soltanto.
Non potevo desiderarla
in quel modo. Non così, non lei! Non la mia Esme…
Il ricordo di quel pomeriggio piovoso mi artigliava la mente.
Come potevo volerlo cancellare, se era stato uno dei giorni
più felici della mia esistenza? Se, anche solo per un
istante, avevo creduto che Dio volesse darmi una seconda
possibilità…
Ma ormai era troppo tardi. Avevo deciso.
Allora perché mi trovavo lì, ora? Non sapevo
spiegarmelo… o forse sì.
Guardavo le navate della chiesa di Columbus dall’alto,
attraverso la balconata di marmo che un tempo serviva da celebrazione
della messa, in ombra.
Osservavo la platea gremita di persone di alto rango, persone che un
tempo erano stati miei pazienti, come lui, l’ambito capitano
Charles Evenson, che ora attendeva ansioso all’altare,
vestito in alta uniforme.
Ma non mi interessava. Non era con lui che ero arrabbiato, ma con me
stesso.
Era stata tutta colpa mia.
«Perché
l’avete fatto?».
Ansimavo ancora, ma
stavo pian piano riacquistando il controllo di me stesso.
Guardarla negli occhi,
vedere il dispiacere che le avevo procurato respingendola, mi dilaniava
il petto.
«Io…».
No, Esme… no, ti prego. Ti prego, non farlo…
«Perché io vi…». La fermai.
«Non lo dite,
Esme, ve ne prego», la supplicai. Non volevo, non dovevo
lasciare che tutto ciò accadesse. Non potevo condannarla
così, no. Lei… lei meritava di meglio. Meritava
di vivere.
Io… io potevo
solo condurla alla morte.
«Voi siete
giovane, desiderosa di nuove esperienze, ma non è in me che
troverete quello che cercate». Dissi quelle parole
più per convincere me stesso che lei, ma era vero.
Aveva appena diciotto
anni, l’avevo vista crescere, sbocciare. Era una donna
bellissima, di buon cuore, e aveva un futuro davanti a sé.
Io non ero nessuno per negarglielo.
«Sbagliate,
io…».
«No, Esme, no.
Ascoltatemi, per il vostro bene. Il capitano Evenson è un
uomo rispettabile, e lui saprà regalarvi una vita da vera
signora. Non gettate all’aria
quest’opportunità per un falso
sentimento». Quella frase mi fece male ancora prima che ebbi
finito di pronunciarla.
Mettere in dubbio
ciò che provava era come mettere in discussione il mio, di
sentimento, ed era sbagliato. No, invece era giusto. La mia bestia non
conosceva l’amore.
Ma lei sì.
Lei aveva il cuore pieno di ardore, la piccola Esme. Ed io avevo avuto
l’insolenza di metterci le mani sopra, come un ingordo
immeritevole, e di assaggiarne il suo nettare.
I suoi occhi si
riempirono di lacrime, che cercò di nascondere per orgoglio.
Era anche una donna forte.
«Quello che mi
dite l’ho già sentito troppe volte, fino alla
nausea! Per la prima volta nella mia vita ho fatto qualcosa che non
fosse dovuto o ordinato, ma semplicemente voluto. Desiderato da me.
Perché date per scontato che ciò che provo per
voi sia solo illusione?».
Sì,
sì, cara Esme, sì. Urlalo, ti supplico, almeno
qualcuno avrà la forza di cacciarmi da questa casa, e di
allontanarmi da te. Di salvarti.
«L’illusione
non siete voi, ma io. Sono un uomo di trent’anni che
trascorre la sua vita ad occuparsi di malati. Salvo vite tutti i giorni
e ognuna di queste persone mi sono riconoscenti. Voi confondete
l’amore con la gratitudine». Non era vero, lo
leggevo dal suo volto, dalla sua tristezza infinita, dalla sua
espressione delusa e terrorizzata. Ma cos’altro avrei potuto
fare, se non convincerla del contrario?
L’attesa fu snervante. Ero agitato, come se a sposarmi fossi
io.
Tenevo lo sguardo fisso sui battenti della chiesa, in fondo alla navata
principale, e aspettavo ansioso.
Poi, finalmente, la vidi comparire al braccio di suo padre, e il
respiro mi si mozzò in gola.
Esme, la mia Esme, stava facendo la sua entrata in chiesa accompagnata
dalla marcia nuziale di Mendelssohn, avvolta da uno splendido abito
bianco che seguiva ogni suo passo cadenzato, svolazzandole attorno come
se anche gli stessi orli fossero continuamente attratti da lei.
I suoi setosi capelli color mogano erano stati arricciati e
semiraccolti da fili intessuti di margherite di campo.
Era bellissima, la mia Esme, nella sua eterea semplicità ed
eleganza.
Teneva gli occhi bassi, così timorosa d’incrociare
quelli di tanti altri che in quel momento la stavano guardando rapiti,
invidiosi di poter fare solo da spettatori. Come me.
Ma d’un tratto si fece coraggio e alzò il viso,
voltandolo prima a destra, poi a sinistra, senza realmente voler
sorridere alla folla.
Oh, mia cara Esme… uscendo da quella porta, quel pomeriggio,
ho scelto di uscire anche dalla tua vita. E tu lo sapevi bene, ma non
hai mai smesso di sperare.
Nemmeno ora ti davi per vinta, a pochi passi dal tuo matrimonio, e
ancora mi cercavi, illudendoti che io ci fossi.
Sì, Esme, io
ci sono… ma non lascerò che tu mi veda.
Era il mio sacrificio davanti a Dio. Lasciarti andare e permettere ad
un altro di avere la tua mano e il tuo cuore. In cambio, avrei pregato
perché tu potessi essere felice, un giorno.
Non sarà
oggi, lo so. Ma verrà un tempo in cui potrai sorridere di
nuovo, e allora non sarà stata vana la sofferenza di nessuno.
«Vuoi tu, Esme Anne Platt, prendere quest’uomo come
tuo legittimo sposo?».
Ti prego, Esme, non
esitare. Sii forte e accetta il destino che ad ognuno di noi
è stato assegnato.
«Ms. Platt, la formula, prego…».
Rispondi, Esme.
Rispondi, perché io me ne sono andato… e non
tornerò mai più.
«Sì, lo voglio».
Sorrisi mestamente.
Mentre tiravo un sospiro di sollievo, qualcosa dentro di me si era
spezzato. Ma non importava.
Eri diventata donna, una signora. Anche se lo eri sempre stata.
«Ti ho amato anche io, mio piccolo angelo bianco»,
mormorai, mentre una parte di me svaniva nel ricordo di
un’incantevole bambina innamorata.
Et
voilà, ragazze mie :)
Che ne pensate?
Vi dirò, io ho amato scrivere questa shot dalla prima
all'ultima battura xD Ho scoperto di avere un debole per la mente di
Carlisle o.o
Spero, per chi non ha mai letto Missing Memories, che la lettura sia
stata comprensibile ^^' Purtroppo io sono di parte, non ho potuto
giudicare q.q
Per chi, invece, segue anche Missing Memories, spero abbia gradito
questo extra aggiuntivo :)
Spero possiate darmi qualche parere in merito ^^
Un bacio!
Hilary