14 me and you
14. It had to be just sex
Tom odiava non riuscire a chiudere occhio durante la notte. Era una
situazione che lo agitava. Forse perché, dal momento che non
era
capace di disconnettere il cervello neppure per un'ora, questo si
divertiva a farlo pensare, e pensare, e pensare... Pensava fino a che
un terribile mal di testa non lo costringeva ad abbandonare i suoi
buoni propositi per dormire e ad alzarsi dal letto. E così
si
ritrovava a vagare per la camera da letto, avanti e indietro.
Fu quello che successe proprio quella notte.
Maledizione...
continuava ad imprecare dentro di sé, mentre a grandi
falcate percorreva la propria stanza.
Georg dormiva nel suo letto, ignaro del fatto che il suo compagno, in
quel momento, si stesse crogiolando nei propri dubbi, invece che
riposare al suo fianco.
Tom era bravo a sgattaiolare fuori dal letto senza svegliare chi ci
dormiva. Anni e anni di pratica.
Da un pezzo, però, l'aria che girava in quella stanza aveva
cominciato a soffocarlo. Aveva bisogno di uscire, di allontanarsi da
quello che effettivamente era il suo problema, ovvero la causa per cui
non riusciva a dormire: Georg. Lui e quel suo stupido 'ti amo' che gli
aveva sussurrato prima di addormentarsi.
«Ma che diavolo ti è saltato in
mente?!»,
sibilò il chitarrista, digrignando i denti in direzione del
compagno.
Era stato chiaro fin dall'inizio: fra di loro non ci sarebbe mai potuto
essere amore; soltanto sesso - anche se, effettivamente, non erano
ancora riusciti ad avere un rapporto completo -. Georg non aveva
rispettato l'unica regola che Tom aveva imposto ed ora spettava a lui
affrontare le conseguenze.
Stupido!
Furioso, uscì dalla propria stanza, non preoccupandosi di
fare
silenzio. Era talmente fuori di sé che sbatté
persino la
porta. Forse Georg si sarebbe svegliato, ma poco gli
importava:
gli avrebbe dato il ben servito per quella notte passata in bianco.
Quando scese le scale e si ritrovò al piano inferiore,
notò con stupore una luce provenire dal salotto.
Pensò
che probabilmente qualcuno si era dimenticato di spegnerla prima di
andare a letto. Si avviò verso la stanza, ma qualcosa lo
bloccò prima: da quella distanza riusciva a distinguere
benissimo due figure abbracciate sul divano.
Di male in peggio
pensò con rabbia.
Già non bastava il bassista innamorato di lui, ora ci si
mettevano anche Simon e suo fratello. Non aveva tempo per preoccuparsi
di Bill, quando doveva pensare prima di tutto a se stesso e a come
risolvere quel casino che si era andato a creare.
Raggiunse la stanza a grandi falcate, intenzionato ad esplodere proprio
di fronte alla nuova coppietta addormentata; ma quando si
ritrovò nei pressi del divano, Simon, che a quanto pare non
stava dormendo, lo bloccò con un dito posato sulle labbra,
intimandogli di fare silenzio. Tom, basito, boccheggiò come
un
pesce fuor d'acqua.
«Sta dormendo, finalmente. Non la smetteva più di
delirare», sussurrò divertito l'americano.
Quando notò la perplessità del chitarrista,
sorrise
appena: sapeva riconoscere un fratello geloso, quando ne vedeva uno, e
Tom in quel momento era un fratello geloso. Capiva la sua
preoccupazione.
«Volevo metterlo a letto, ma me lo ha impedito. Non stava
fermo», gli spiegò
tranquillo. «Era l'unico modo per farlo
addormentare».
Le parole di Simon riuscirono a calmarlo. Aveva capito che le sue
intenzioni erano buone e che Bill, nelle sue mani, era al sicuro.
Da una parte, però, provò la sensazione di essere
un pessimo fratello: non era stato presente nel momento del bisogno;
aveva pensato prima a se stesso che a lui. Ma alla fine si comportava
sempre così, no? Anche con Georg lo aveva fatto.
«Qualcosa non va?».
La voce di Simon lo distolse dai propri pensieri e lo
riportò alla realtà delle cose.
Cercando di assumere un'espressione sicura, scosse il capo. L'ultima
cosa che voleva era farsi consolare dal 'quasi-ragazzo' del suo gemello.
«Me ne torno a letto», borbottò talmente
piano che l'altro non riuscì neppure a sentirlo.
Non avrebbe fatto veramente ciò che aveva detto - non voleva
tornare nella stanza in cui era presente la fonte dei suoi problemi -,
ma avrebbe sicuramente trovato qualcosa di più interessante
da
fare che stare a guardare suo fratello, mentre questo si faceva
consolare da un'altra persona che non era lui.
Era gelosia la sua? Forse sì. In fondo Bill era la persona
più importante della sua vita.
Forse fu proprio quella gelosia a spingerlo a voltarsi ancora una volta
e a porgere a Simon una domanda che neanche lui stesso si sarebbe mai
aspettato di poter formulare.
«Ti piace mio fratello?».
L'americano non parve affatto colpito da quella domanda, anzi.
Dimostrò una calma ammirevole e non diede alcun segno di
imbarazzo o di stupore. Si limitò soltanto ad accarezzare
lentamente i capelli di Bill.
«È evidente», ammise con un sorriso.
«Anche se
credo che l'unico che non se ne sia ancora accorto sia proprio
lui».
«Bill è fatto così: bisogna dirgli
chiaramente come
stanno le cose, altrimenti non ci arriverà mai da
solo».
Tom si stupì delle sue stesse parole. Era come se in qualche
modo stesse incoraggiando Simon a farsi avanti con suo fratello. Non un
avvertimento, non una minaccia... Stava cambiando, ma chissà
se
in bene o in male. La causa di tutto ciò? Non ci voleva
nemmeno
pensare.
L'americano non disse altro, ma registrò nella sua mente le
parole del rasta. Doveva soltanto prendere una decisione, alla fine.
Bill lo affascinava, nonostante la sua innegabile
infantilità.
Ma chissà... forse era proprio quella a piacergli. Doveva
soltanto capire se questo era pronto a digerire una dichiarazione
simile.
Ci avrebbe pensato.
«Grazie, Tom», sussurrò dopo poco,
sorridendo al rasta.
Tom gli rispose con un breve cenno del capo, poi finalmente gli
voltò le spalle e si allontanò da quella stanza a
passo
spedito.
Si era già pentito di aver detto quella cosa a Simon, anche
se
in fondo lo riteneva un buon ragazzo. In quel momento era tutto troppo
confuso per lui: Bill, Simon, Georg, il suo orientamento sessuale a cui
non sapeva ancora dare un nome... Era una situazione che odiava.
Da una parte avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo e far in
modo che fra lui e Georg non accadesse nulla di tutto ciò
che
era accaduto fino ad allora; dall'altra era curioso di scoprire che
cosa avesse in serbo per lui il futuro. Stando così le cose,
avrebbe potuto porre fine a tutto, oppure aspettare e lasciare che la
situazione evolvesse. Era una decisione difficile.
Raggiunto il piccolo terrazzino del loro studio, si sedette sulla sedia
a sdraio dove Gustav era solito, nel tempo libero, prendere il sole.
Rimase lì a meditare per ore e ore, ma non riuscì
comunque a schiarirsi le idee. Quando si fece l'alba, stanco e
frustrato, si addormentò senza nemmeno rendersene conto.
«Tom? Ehi?».
Gustav scrollò con delicatezza il chitarrista, che
inspiegabilmente stava dormendo sulla sua sedia a sdraio. Quando quella
mattina si era avviato verso il terrazzino per prendere il sole, non si
sarebbe mai aspettato di trovarlo lì; era convinto che
avesse
dormito con Georg.
Tom corrugò la fronte e mosse leggermente le palpebre, ma ci
mise un po' a svegliarsi. Dopotutto aveva passato la notte in bianco.
«Che ci fai qui?», gli chiese il batterista, quando
fu certo che fosse sveglio.
La risposta fu un grugnito sofferente.
L'amico era davvero in pessime condizioni, nonostante la sera prima non
avesse bevuto abbastanza da potersi ubriacare. Le borse sotto i suoi
occhi, però, non mentivano: non aveva dormito.
«Mi sono appisolato», biascicò a fatica,
passandosi
una mano sul viso e proteggendosi gli occhi dalla luce del sole.
«E Georg?».
Nessuna risposta, questa volta. Okay, era ufficiale: qualcosa non
andava.
Gustav sbuffò sconsolato, consapevole di trovarsi in mezzo
ad
una bufera che avrebbe portato soltanto guai seri. Ma perché
dovevano capitare tutte a lui? In fondo aveva sempre cercato di essere
un bravo ragazzo, ma alla fine gli amici che gli erano capitati avevano
eliminato qualsiasi possibilità di pace e
tranquillità
nella sua vita.
Prima Bill, ora Tom. Chi sarebbe stato il prossimo?
Con l'amarezza nel cuore, mise una mano sulla spalla dell'amico e gli
rivolse uno sguardo apprensivo. «Su, avanti»,
cominciò. «Confidami le tue disgrazie. Santo
Gustav
è qui per ascoltarti».
Tom sollevò gli occhi e lo guardò come si guarda
un
pazzo. L'ironia era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel
momento.
Irritato, scacciò la sua mano e si alzò in piedi.
«Va' a-».
La frase rimase a metà, perché proprio in quel
momento
una voce fin troppo familiare giunse alle sue orecchie: la voce di
Georg, coperta in parte da quella acuta di
Bill.
Ci mise pochi secondi a valutare la situazione. Da lì a poco
si
sarebbe scatenato il putiferio e lui aveva soltanto due
possibilità: o restava lì e si preparava ad
affrontare un
Georg innamorato e un fratello isterico, o trovava un modo per darsela
a gambe. Inutile dire che, fra le due, scelse senza esitazione la
seconda.
«Gustav!», esclamò nel panico.
«Devi aiutarmi!».
«Questa è senza ombra di dubbio la scusa
più penosa
che abbia mai sentito! Secondo te, io sarei così stupido da
credere di essermi ubriacato al punto tale da chiederti di restare a
dormire con me?».
Simon scrutò divertito l'espressione dell'altro.
«Vuoi una risposta sincera?».
Bill lo fissò sconvolto, con la bocca aperta e gli occhi
sbarrati. Ma come osa?!
Il fatto di essersi svegliato tra le braccia di quello che fino al
giorno prima aveva considerato uno sbruffone lo aveva lasciato di
stucco. Come era potuto succedere? Si stava sforzando seriamente di
ricordare ciò che era successo la sera prima, ma per qualche
strano motivo non ci riusciva. Di una cosa, però, era certo:
non
si era ubriacato e tanto meno aveva chiesto a quel fessacchiotto di
dormire con lui.
Lui non era assolutamente
il tipo da fare un cosa del genere.
«Tu mi hai bloccato la crescita!»,
sbottò con voce acuta.
Simon si infilò il mignolo nell'orecchio destro e fece la
mossa
di sturarselo. «Sì, e tu mi hai fatto diventare
sordo», ribatté con fare tranquillo. «E
comunque non
credo che saresti cresciuto ancora, Bill».
Il risveglio, per lui, non era certo stato dei migliori: Bill, quando
si era reso conto di trovarsi tra le sue braccia, aveva iniziato ad
urlare e, quando aveva tentato di spiegargli l'accaduto, niente l'aveva
trattenuto dallo sbraitare come un forsennato. Non ricordava niente
della sera prima e cercare di convincerlo era quasi impossibile.
«Io non mi sono ubriacato!», affermò con
decisione
il moro, ignorando tutto quello che l'altro aveva appena detto.
«Scusate...».
Entrambi si voltarono a fissare la porta del salotto, trovandovi con
grande sorpresa Georg. Doveva essersi appena svegliato, a giudicare
dallo stato in cui si trovavano i suoi capelli, solitamente
perfettamente lisci.
Questo avanzò lentamente verso di loro e cautamente prese la
parola: non voleva essere divorato dalla bestia nella quale Bill si era
trasformato.
«Avete visto Tom, per caso?».
Nonostante la gentilezza che aveva usato, il moro gli si
rivoltò contro comunque: strinse forte i pugni e
avanzò pericolosamente verso di lui, digrignando i denti.
«No, non l'ho visto! Ma quando lo trovi digli che gli
farò
rimpiangere il giorno in cui è nato! Ti sembrano scherzi da
fare, questi? Eh?», gli urlò in faccia.
L'amico inarcò un sopracciglio, confuso: non sapeva neanche
di
che cosa stesse parlando. Fece per ribattere, ma non ne ebbe il tempo.
«Credi forse che non sia a conoscenza dei vostri piani
malefici? Siete tutti contro di me, io lo so!».
«Ma di che stai parlando?».
Quando Bill andava fuori di testa, andava seriamente
fuori di testa. Il più delle volte strillava come una
gallina in
procinto di ritrovarsi con il collo spezzato, altre blaterava cose
senza senso. Non riusciva a capire che, in quelle occasioni, nessuno lo
ascoltava veramente; tutti si limitavano ad assecondarlo, in modo che,
a distanza di ore, si calmasse.
Il moro si allontanò da lui e tornò da Simon,
puntandogli
l'indice contro. «Questa è casa mia e, se volessi,
potrei
buttarti fuori a calci in culo!».
L'americano dovette fare uno sforzo enorme per non scoppiargli a ridere
in faccia da un momento all'altro. Forse era l'unico che trovava
divertenti le sue scenate isteriche. Era così donna, in quelle
occasioni.
Georg alzò gli occhi al cielo e scosse leggermente il capo:
loro, sicuramente, non avrebbero saputo dirgli dove si trovava Tom;
stava soltanto perdendo tempo.
«Va bene, lo troverò da solo»,
borbottò
rassegnato. Fece per andarsene, ma prima non seppe resistere alla
tentazione di lanciare una frecciatina. «E guarda
che ieri
sera eri veramente ubriaco, Bill».
Bill spalancò la bocca fino al massimo possibile, annaspando
come un pesce fuor d'acqua. A quel punto, Simon non riuscì
più a trattenersi e gli scoppiò a ridere in
faccia.
Inutile dire che ciò che avvenne dopo fu il caos
più totale.
«No, Tom! Non mi piacciono queste cose! Se hai un problema
con Georg, risolvetelo fra di voi!».
Gustav odiava trovarsi in quelle situazioni. Ora doveva persino aiutare
Tom a nascondersi da
Georg! Erano entrambi suoi amici e per questo non sopportava di dover
mentire ad uno per proteggere l'altro - anche perché il
rasta non doveva essere protetto da un bel niente, se non dalla sua
stessa stupidità -. Ma come sempre non aveva scelta.
«Dai, Gustav! Ti ho mai chiesto un favore? No. E allora, una
volta ogni tanto, aiutami!», cercò di convincerlo
l'amico, nascondendosi dietro la sua ampia schiena e obbligandolo ad
avanzare furtivamente verso la cucina.
«In realtà me ne hai chiesti fin troppi, di
favori».
Tutto fiato sprecato. Tom era andato nel panico e aveva messo in mezzo
anche lui.
Il punto era che Gustav non era bravo a mentire e con molta
probabilità non sarebbe stato in grado di aiutarlo in nessun
modo. Lui detestava dire le bugie, soprattutto ai suoi amici.
Riuscirono ad entrare in cucina, dove tutto sembrava stranamente in
ordine - Simon aveva proprio sistemato ogni cosa -. Tom prese a
guardarsi attorno, in cerca di un nascondiglio perfetto; alla fine,
riuscì soltanto a rimediare il tavolo e la lunga tovaglia
che vi era posata sopra.
Prese Gustav per le spalle e lo guardò dritto negli occhi.
«Mi raccomando: devi essere credibile. Se ti chiede dove sono
andato, tu digli che sono uscito a fare un giro. E... consigliagli di
fare lo stesso».
Il batterista alzò gli occhi al cielo, esasperato.
«Che cosa stupida, Tom! Non puoi semplicemente-».
«Sta arrivando!», sibilò agitato l'altro.
In un batter d'occhio, Gustav lo vide scomparire sotto il tavolo e,
proprio quando fece per girarsi e guardare la porta della cucina, si
ritrovò davanti la figura ancora assonnata di Georg.
«Ah, Gustav», mugugnò quello,
mettendogli una mano sulla spalla.
Tentò di sorridere, ma ciò che ne venne fuori fu
soltanto una smorfia sospetta.
Perché tutte
a me?! imprecò dentro di sé.
«Sai dov'è Tom?».
«È-È andato a fare un giro,
sì».
Georg rimase perplesso da quella risposta. Perché Tom era
uscito senza dirgli niente? E poi non era da lui svegliarsi
così presto, la mattina.
Ci pensò su un istante e si convinse che probabilmente aveva
delle cose da fare.
«Ti ha detto dove andava?».
Gustav negò col capo. «P-Però potresti
uscire anche tu. Chissà... magari lo incontri».
Si sentiva veramente male a mentirgli così spudoratamente.
Inoltre non appariva convincente nemmeno a se stesso; sicuramente Georg
non gli avrebbe creduto e da lì a poco gli avrebbe chiesto
spiegazioni.
Lanciò un'occhiataccia al tavolo e imprecò dentro
di sé. Era tutta colpa di quell'idiota!
«Hai ragione».
Tornò a fissare il bassista e i suoi occhi si riempirono di
stupore. Ci aveva creduto veramente?
«Comunque, se lo senti, digli di chiamarmi».
Annuì frettolosamente con il capo e cercò di
sorridere. Trattenne il respiro fino a che non lo vide voltargli le
spalle e allontanarsi dalla cucina.
Ancora non poteva crederci. Come diavolo aveva fatto Georg a non notare
il suo disagio, il suo falso sorriso e il suo modo di balbettare? Erano
cose così evidenti! Perfino un perfetto sconosciuto si
sarebbe accorto che qualcosa non andava.
«Ben fatto!», lo raggiunse la voce di Tom.
Si voltò e lo vide far capolino da sotto la tovaglia.
Sembrava soddisfatto, a giudicare dal suo sorriso.
«Certo però che potevi balbettare di meno,
eh».
Lo fulminò con lo sguardo. Se avesse potuto, lo avrebbe
sbranato vivo. Non gli andava mai bene niente!
«Tu ne hai approfittato!».
«No, Bill. Sei tu che mi hai chiesto di restare, e te lo
ripeto per la millesima volta».
Quel discorso andava avanti ormai da un'ora e Bill non si era ancora
stancato di sbraitare. Non un segno di cedimento, non uno di
stanchezza... Ma dove le prendeva tutte quelle energie? Era davvero
impressionante!
Simon stava ancora finendo di mettere a posto il salotto - proprio come
se fosse a casa sua - e il moro non faceva altro che andargli dietro e
urlargli contro. Eppure avevano soltanto dormito insieme su un
divano... Niente di così sconvolgente.
«E tu perché hai accettato? Dovevi darmi una botta
in testa e farmi rinsavire!».
«E scompigliarti i capelli?», ridacchiò
divertito.
Bill si bloccò improvvisamente e si portò un dito
al mento con fare pensieroso. Effettivamente aveva ragione. Lui odiava
che qualcuno gli toccasse i capelli, a meno che non fosse per
accarezzarglieli e fargli le coccole. Su quello Simon non aveva
sbagliato, doveva concederglielo.
«Va bene, ma potevi fare qualcos'altro!»,
affermò alla fine, incrociando le braccia al petto.
Il biondo rise appena e per un momento lasciò perdere le sue
faccende. Era strano come riuscisse a trovare adorabile un soggetto
così strano, nei suoi momenti peggiori. Probabilmente era
quel piccolo broncio che aveva messo su a farglielo piacere
così tanto.
Gli si avvicinò lentamente e, quando furono faccia a faccia,
sorrise. «Ti sei sfogato abbastanza?», gli chiese
con una punta di sarcasmo nel tono della voce. Lo vide aprire la bocca,
pronto a ribattere ancora, ma lo fermò prima.
«Perché si dà il caso che io debba
ancora ringraziarti per la festa di ieri».
Bill inarcò un sopracciglio, scettico. «Ma l'hai
già fatto».
«Non come si deve».
Simon si sporse in avanti e, ignorando completamente l'espressione
sconvolta dell'altro, posò le labbra sulle sue. Fu un bacio
semplice, lieve, ma bastò per far sì che Bill
provasse una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale. Quando
l'americano si scostò, non ebbe la forza di ribattere in
alcun modo.
Lo vide sorridere. «Altre sfuriate, o per oggi abbiamo
finito?», gli chiese divertito.
Il moro dischiuse appena le labbra e lo fissò basito. Per la
prima volta qualcuno aveva avuto il potere di lasciarlo completamente
senza parole.
Simon non smise di sorridere neppure per un istante. Soddisfatto di
aver placato 'l'uragano Bill', gli voltò le spalle e riprese
a fare ciò che poco prima aveva abbandonato. Considerando il
fatto che non aveva ricominciato a strillare, era un buon inizio.
Tom, guardandosi attorno per accertarsi che Bill non si trovasse nei
paraggi, salì di corsa le scale che lo condussero al piano
superiore. Ora che Georg era fuori gioco, avrebbe potuto prendersi un
intero pomeriggio per pensare al da farsi - ovviamente evitando anche
il gemello -. Non aveva ancora deciso e necessitava di tempo.
Era grato a Gustav per averlo aiutato, ma quella sera il suo problema
principale si sarebbe ripresentato e allora avrebbe dovuto dargli una
risposta.
Quella situazione lo metteva in ansia. Ecco perché aveva
sempre sperato di non trovarcisi dentro. Ecco perché
osannava il sesso e odiava l'amore. Il primo portava piacere,
il secondo soltanto guai.
Mentre rimuginava su queste cose, raggiunse la sua stanza.
Innanzitutto, si sarebbe fatto una bella doccia; poi avrebbe trovato
una soluzione ai suoi problemi, in un modo o nell'altro.
Finalmente rilassato, varcò la soglia della porta. Ma la sua
tranquillità durò poco, perché la
persona che si ritrovò davanti era l'ultima che si sarebbe
aspettato.
«Ma che...?», balbettò sconvolto.
Georg, seduto sul letto, posò gli occhi su di lui.
«Sorpreso?».
Quello era il peggio che poteva capitargli. Ma che ci faceva
lì il bassista? Non era uscito a cercarlo?
Lo vide alzarsi in piedi e avanzare lentamente verso di lui. La sua
espressione era spaventosamente seria.
«Gustav non sa fare a mentire», mormorò
con una smorfia. «Ho capito subito che qualcosa non
andava».
Non seppe come replicare. Il suo corpo era semplicemente pietrificato.
Si limitò ad abbassare gli occhi sul pavimento, deglutendo
nervoso.
Merda, merda, merda!
«Allora... Cosa c'è che non va?».
Non riuscì a rispondergli. Cosa doveva dirgli? Che il suo
fottutissimo 'ti amo' lo aveva mandato fuori di testa? Era fin troppo
umiliante.
Però effettivamente la colpa era la sua. Lui aveva fatto
sì che le cose si complicassero, quando invece avrebbero
potuto essere così semplici.
Il suo sguardo si indurì quando risollevò il viso
per guardarlo negli occhi. «Hai violato l'unica regola che
aveva imposto».
Georg sbatté le palpebre un paio di volte, confuso dalle sue
parole. «Ma che stai dicendo? Quale regola?».
«Doveva essere soltanto sesso, Georg. Non amore!»,
sbottò con fare quasi disgustato.
«Perché mi hai detto... quella cosa, ieri
sera?».
Il bassista si lasciò scappare una risatina divertita.
«Fammi capire... Ce l'hai con me perché mi sono
innamorato di te?».
«Sì, cazzo!».
«Tom... È una cosa ridicola».
Tom non seppe più come ribattere. Un cosa ridicola? Oh, se
quella era una cosa ridicola, allora perché lo aveva messo
in ansia e costretto a farsi aiutare da Gustav per cercare di evitarlo?
Fece per dire qualcosa, ma Georg lo fermò, mettendogli le
mani sui fianchi e attirandolo a sé con un sorriso.
«Primo: ti ho detto che ti amo perché in quel
momento sentivo il bisogno di farti sapere ciò che
provavo... e che provo ancora. Secondo: non mi aspettavo alcuna
risposta, Tom».
Il rasta dischiuse le labbra, basito. «Non ti aspettavi
alcuna risposta?».
«No», ridacchiò l'altro. «Se
non è ciò che provi, non voglio una bugia. Mi
basta soltanto stare insieme».
Tom si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Si era fatto
mille problemi e alla fine era stato tutto così semplice.
Forse avrebbe dovuto parlarne direttamente con lui, invece che tirare
in ballo Gustav e organizzare quello stupido piano. Ammetteva a se
stesso di essere paranoico, certe volte.
Con una punta di rammarico, fissò gli occhi del compagno.
«Non me la sento di dirtelo, Georg. Non so neanche io che
cosa provo veramente», si giustificò con un
piccolo broncio.
Georg lo trovò adorabile. Sorridendo, lo baciò
sulle labbra e lo spinse contro la parete più vicina; si
soffermò poi sul suo collo, succhiando forte un lembo di
pelle, prima di inginocchiarsi a terra e sbottonargli i pantaloni.
Alzò lo sguardo per vedere la sua reazione e con sollievo lo
trovò soddisfatto. Tom ghignò con fare malizioso
e immerse una mano fra i suoi capelli, incitandolo a continuare.
Quando dopo poco si ritrovò a dover soffocare i gemiti di
piacere, si rese conto che forse, il fatto che Georg lo amasse, non era
poi così un problema. Anzi.
Ma chissà che cosa provava lui veramente...
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