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Autore: mieledarancio    25/07/2011    12 recensioni
«Apri subito! Non puoi rispondermi così, dopo quello che hai fatto ieri sera! Voglio le tue scuse! Mi hai capito?». [...]
«Tom... che cosa stai facendo? Perché fai tutto questo rumore?», chiese improvvisamente una voce impastata dal sonno, che Tom riconobbe immediatamente come quella di Bill.
Il gemello, infatti, era fermo sulla soglia della sua camera, i capelli scompigliati e gli occhi sottili e assonnati.
«Torna in camera, Bill. Devo risolvere una questione con il tuo presunto fidanzato». [...]
«Con il mio cosa?».
«Vai a sognare i palloncini e non rompere!».
{ Tom/Georg }
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14 me and you
14. It had to be just sex






Tom odiava non riuscire a chiudere occhio durante la notte. Era una situazione che lo agitava. Forse perché, dal momento che non era capace di disconnettere il cervello neppure per un'ora, questo si divertiva a farlo pensare, e pensare, e pensare... Pensava fino a che un terribile mal di testa non lo costringeva ad abbandonare i suoi buoni propositi per dormire e ad alzarsi dal letto. E così si ritrovava a vagare per la camera da letto, avanti e indietro.
Fu quello che successe proprio quella notte.

Maledizione... continuava ad imprecare dentro di sé, mentre a grandi falcate percorreva la propria stanza.

Georg dormiva nel suo letto, ignaro del fatto che il suo compagno, in quel momento, si stesse crogiolando nei propri dubbi, invece che riposare al suo fianco.
Tom era bravo a sgattaiolare fuori dal letto senza svegliare chi ci dormiva. Anni e anni di pratica.
Da un pezzo, però, l'aria che girava in quella stanza aveva cominciato a soffocarlo. Aveva bisogno di uscire, di allontanarsi da quello che effettivamente era il suo problema, ovvero la causa per cui non riusciva a dormire: Georg. Lui e quel suo stupido 'ti amo' che gli aveva sussurrato prima di addormentarsi.

«Ma che diavolo ti è saltato in mente?!», sibilò il chitarrista, digrignando i denti in direzione del compagno.

Era stato chiaro fin dall'inizio: fra di loro non ci sarebbe mai potuto essere amore; soltanto sesso - anche se, effettivamente, non erano ancora riusciti ad avere un rapporto completo -. Georg non aveva rispettato l'unica regola che Tom aveva imposto ed ora spettava a lui affrontare le conseguenze.

Stupido!

Furioso, uscì dalla propria stanza, non preoccupandosi di fare silenzio. Era talmente fuori di sé che sbatté persino la porta. Forse Georg si sarebbe svegliato, ma poco gli importava: gli avrebbe dato il ben servito per quella notte passata in bianco.
Quando scese le scale e si ritrovò al piano inferiore, notò con stupore una luce provenire dal salotto. Pensò che probabilmente qualcuno si era dimenticato di spegnerla prima di andare a letto. Si avviò verso la stanza, ma qualcosa lo bloccò prima: da quella distanza riusciva a distinguere benissimo due figure abbracciate sul divano.

Di male in peggio pensò con rabbia.

Già non bastava il bassista innamorato di lui, ora ci si mettevano anche Simon e suo fratello. Non aveva tempo per preoccuparsi di Bill, quando doveva pensare prima di tutto a se stesso e a come risolvere quel casino che si era andato a creare.
Raggiunse la stanza a grandi falcate, intenzionato ad esplodere proprio di fronte alla nuova coppietta addormentata; ma quando si ritrovò nei pressi del divano, Simon, che a quanto pare non stava dormendo, lo bloccò con un dito posato sulle labbra, intimandogli di fare silenzio. Tom, basito, boccheggiò come un pesce fuor d'acqua.

«Sta dormendo, finalmente. Non la smetteva più di delirare», sussurrò divertito l'americano.

Quando notò la perplessità del chitarrista, sorrise appena: sapeva riconoscere un fratello geloso, quando ne vedeva uno, e Tom in quel momento era un fratello geloso. Capiva la sua preoccupazione.

«Volevo metterlo a letto, ma me lo ha impedito. Non stava fermo», gli spiegò tranquillo. «Era l'unico modo per farlo addormentare».

Le parole di Simon riuscirono a calmarlo. Aveva capito che le sue intenzioni erano buone e che Bill, nelle sue mani, era al sicuro.
Da una parte, però, provò la sensazione di essere un pessimo fratello: non era stato presente nel momento del bisogno; aveva pensato prima a se stesso che a lui. Ma alla fine si comportava sempre così, no? Anche con Georg lo aveva fatto.

«Qualcosa non va?».

La voce di Simon lo distolse dai propri pensieri e lo riportò alla realtà delle cose.
Cercando di assumere un'espressione sicura, scosse il capo. L'ultima cosa che voleva era farsi consolare dal 'quasi-ragazzo' del suo gemello.

«Me ne torno a letto», borbottò talmente piano che l'altro non riuscì neppure a sentirlo.

Non avrebbe fatto veramente ciò che aveva detto - non voleva tornare nella stanza in cui era presente la fonte dei suoi problemi -, ma avrebbe sicuramente trovato qualcosa di più interessante da fare che stare a guardare suo fratello, mentre questo si faceva consolare da un'altra persona che non era lui.
Era gelosia la sua? Forse sì. In fondo Bill era la persona più importante della sua vita.
Forse fu proprio quella gelosia a spingerlo a voltarsi ancora una volta e a porgere a Simon una domanda che neanche lui stesso si sarebbe mai aspettato di poter formulare.

«Ti piace mio fratello?».

L'americano non parve affatto colpito da quella domanda, anzi. Dimostrò una calma ammirevole e non diede alcun segno di imbarazzo o di stupore. Si limitò soltanto ad accarezzare lentamente i capelli di Bill.

«È evidente», ammise con un sorriso. «Anche se credo che l'unico che non se ne sia ancora accorto sia proprio lui».

«Bill è fatto così: bisogna dirgli chiaramente come stanno le cose, altrimenti non ci arriverà mai da solo».

Tom si stupì delle sue stesse parole. Era come se in qualche modo stesse incoraggiando Simon a farsi avanti con suo fratello. Non un avvertimento, non una minaccia... Stava cambiando, ma chissà se in bene o in male. La causa di tutto ciò? Non ci voleva nemmeno pensare.
L'americano non disse altro, ma registrò nella sua mente le parole del rasta. Doveva soltanto prendere una decisione, alla fine. Bill lo affascinava, nonostante la sua innegabile infantilità. Ma chissà... forse era proprio quella a piacergli. Doveva soltanto capire se questo era pronto a digerire una dichiarazione simile.
Ci avrebbe pensato.

«Grazie, Tom», sussurrò dopo poco, sorridendo al rasta.

Tom gli rispose con un breve cenno del capo, poi finalmente gli voltò le spalle e si allontanò da quella stanza a passo spedito.
Si era già pentito di aver detto quella cosa a Simon, anche se in fondo lo riteneva un buon ragazzo. In quel momento era tutto troppo confuso per lui: Bill, Simon, Georg, il suo orientamento sessuale a cui non sapeva ancora dare un nome... Era una situazione che odiava.
Da una parte avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo e far in modo che fra lui e Georg non accadesse nulla di tutto ciò che era accaduto fino ad allora; dall'altra era curioso di scoprire che cosa avesse in serbo per lui il futuro. Stando così le cose, avrebbe potuto porre fine a tutto, oppure aspettare e lasciare che la situazione evolvesse. Era una decisione difficile.
Raggiunto il piccolo terrazzino del loro studio, si sedette sulla sedia a sdraio dove Gustav era solito, nel tempo libero, prendere il sole. Rimase lì a meditare per ore e ore, ma non riuscì comunque a schiarirsi le idee. Quando si fece l'alba, stanco e frustrato, si addormentò senza nemmeno rendersene conto.






«Tom? Ehi?».

Gustav scrollò con delicatezza il chitarrista, che inspiegabilmente stava dormendo sulla sua sedia a sdraio. Quando quella mattina si era avviato verso il terrazzino per prendere il sole, non si sarebbe mai aspettato di trovarlo lì; era convinto che avesse dormito con Georg.
Tom corrugò la fronte e mosse leggermente le palpebre, ma ci mise un po' a svegliarsi. Dopotutto aveva passato la notte in bianco.

«Che ci fai qui?», gli chiese il batterista, quando fu certo che fosse sveglio.

La risposta fu un grugnito sofferente.
L'amico era davvero in pessime condizioni, nonostante la sera prima non avesse bevuto abbastanza da potersi ubriacare. Le borse sotto i suoi occhi, però, non mentivano: non aveva dormito.

«Mi sono appisolato», biascicò a fatica, passandosi una mano sul viso e proteggendosi gli occhi dalla luce del sole.

«E Georg?».

Nessuna risposta, questa volta. Okay, era ufficiale: qualcosa non andava.
Gustav sbuffò sconsolato, consapevole di trovarsi in mezzo ad una bufera che avrebbe portato soltanto guai seri. Ma perché dovevano capitare tutte a lui? In fondo aveva sempre cercato di essere un bravo ragazzo, ma alla fine gli amici che gli erano capitati avevano eliminato qualsiasi possibilità di pace e tranquillità nella sua vita.
Prima Bill, ora Tom. Chi sarebbe stato il prossimo?

Con l'amarezza nel cuore, mise una mano sulla spalla dell'amico e gli rivolse uno sguardo apprensivo. «Su, avanti», cominciò. «Confidami le tue disgrazie. Santo Gustav è qui per ascoltarti».

Tom sollevò gli occhi e lo guardò come si guarda un pazzo. L'ironia era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento.
Irritato, scacciò la sua mano e si alzò in piedi.

«Va' a-».

La frase rimase a metà, perché proprio in quel momento una voce fin troppo familiare giunse alle sue orecchie: la voce di Georg, coperta in parte da quella acuta di Bill.
Ci mise pochi secondi a valutare la situazione. Da lì a poco si sarebbe scatenato il putiferio e lui aveva soltanto due possibilità: o restava lì e si preparava ad affrontare un Georg innamorato e un fratello isterico, o trovava un modo per darsela a gambe. Inutile dire che, fra le due, scelse senza esitazione la seconda.

«Gustav!», esclamò nel panico. «Devi aiutarmi!».






«Questa è senza ombra di dubbio la scusa più penosa che abbia mai sentito! Secondo te, io sarei così stupido da credere di essermi ubriacato al punto tale da chiederti di restare a dormire con me?».

Simon scrutò divertito l'espressione dell'altro. «Vuoi una risposta sincera?».

Bill lo fissò sconvolto, con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Ma come osa?!

Il fatto di essersi svegliato tra le braccia di quello che fino al giorno prima aveva considerato uno sbruffone lo aveva lasciato di stucco. Come era potuto succedere? Si stava sforzando seriamente di ricordare ciò che era successo la sera prima, ma per qualche strano motivo non ci riusciva. Di una cosa, però, era certo: non si era ubriacato e tanto meno aveva chiesto a quel fessacchiotto di dormire con lui.
Lui non era assolutamente il tipo da fare un cosa del genere.

«Tu mi hai bloccato la crescita!», sbottò con voce acuta.

Simon si infilò il mignolo nell'orecchio destro e fece la mossa di sturarselo. «Sì, e tu mi hai fatto diventare sordo», ribatté con fare tranquillo. «E comunque non credo che saresti cresciuto ancora, Bill».

Il risveglio, per lui, non era certo stato dei migliori: Bill, quando si era reso conto di trovarsi tra le sue braccia, aveva iniziato ad urlare e, quando aveva tentato di spiegargli l'accaduto, niente l'aveva trattenuto dallo sbraitare come un forsennato. Non ricordava niente della sera prima e cercare di convincerlo era quasi impossibile.

«Io non mi sono ubriacato!», affermò con decisione il moro, ignorando tutto quello che l'altro aveva appena detto.

«Scusate...».

Entrambi si voltarono a fissare la porta del salotto, trovandovi con grande sorpresa Georg. Doveva essersi appena svegliato, a giudicare dallo stato in cui si trovavano i suoi capelli, solitamente perfettamente lisci.
Questo avanzò lentamente verso di loro e cautamente prese la parola: non voleva essere divorato dalla bestia nella quale Bill si era trasformato.

«Avete visto Tom, per caso?».

Nonostante la gentilezza che aveva usato, il moro gli si rivoltò contro comunque: strinse forte i pugni e avanzò pericolosamente verso di lui, digrignando i denti.

«No, non l'ho visto! Ma quando lo trovi digli che gli farò rimpiangere il giorno in cui è nato! Ti sembrano scherzi da fare, questi? Eh?», gli urlò in faccia.

L'amico inarcò un sopracciglio, confuso: non sapeva neanche di che cosa stesse parlando. Fece per ribattere, ma non ne ebbe il tempo.

«Credi forse che non sia a conoscenza dei vostri piani malefici? Siete tutti contro di me, io lo so!».

«Ma di che stai parlando?».

Quando Bill andava fuori di testa, andava seriamente fuori di testa. Il più delle volte strillava come una gallina in procinto di ritrovarsi con il collo spezzato, altre blaterava cose senza senso. Non riusciva a capire che, in quelle occasioni, nessuno lo ascoltava veramente; tutti si limitavano ad assecondarlo, in modo che, a distanza di ore, si calmasse.

Il moro si allontanò da lui e tornò da Simon, puntandogli l'indice contro. «Questa è casa mia e, se volessi, potrei buttarti fuori a calci in culo!».

L'americano dovette fare uno sforzo enorme per non scoppiargli a ridere in faccia da un momento all'altro. Forse era l'unico che trovava divertenti le sue scenate isteriche. Era così donna, in quelle occasioni.
Georg alzò gli occhi al cielo e scosse leggermente il capo: loro, sicuramente, non avrebbero saputo dirgli dove si trovava Tom; stava soltanto perdendo tempo.

«Va bene, lo troverò da solo», borbottò rassegnato. Fece per andarsene, ma prima non seppe resistere alla tentazione di lanciare una frecciatina. «E guarda che ieri sera eri veramente ubriaco, Bill».

Bill spalancò la bocca fino al massimo possibile, annaspando come un pesce fuor d'acqua. A quel punto, Simon non riuscì più a trattenersi e gli scoppiò a ridere in faccia.
Inutile dire che ciò che avvenne dopo fu il caos più totale.






«No, Tom! Non mi piacciono queste cose! Se hai un problema con Georg, risolvetelo fra di voi!».

Gustav odiava trovarsi in quelle situazioni. Ora doveva persino aiutare Tom a nascondersi da Georg! Erano entrambi suoi amici e per questo non sopportava di dover mentire ad uno per proteggere l'altro - anche perché il rasta non doveva essere protetto da un bel niente, se non dalla sua stessa stupidità -. Ma come sempre non aveva scelta.

«Dai, Gustav! Ti ho mai chiesto un favore? No. E allora, una volta ogni tanto, aiutami!», cercò di convincerlo l'amico, nascondendosi dietro la sua ampia schiena e obbligandolo ad avanzare furtivamente verso la cucina.

«In realtà me ne hai chiesti fin troppi, di favori».

Tutto fiato sprecato. Tom era andato nel panico e aveva messo in mezzo anche lui.
Il punto era che Gustav non era bravo a mentire e con molta probabilità non sarebbe stato in grado di aiutarlo in nessun modo. Lui detestava dire le bugie, soprattutto ai suoi amici.
Riuscirono ad entrare in cucina, dove tutto sembrava stranamente in ordine - Simon aveva proprio sistemato ogni cosa -. Tom prese a guardarsi attorno, in cerca di un nascondiglio perfetto; alla fine, riuscì soltanto a rimediare il tavolo e la lunga tovaglia che vi era posata sopra.

Prese Gustav per le spalle e lo guardò dritto negli occhi. «Mi raccomando: devi essere credibile. Se ti chiede dove sono andato, tu digli che sono uscito a fare un giro. E... consigliagli di fare lo stesso».

Il batterista alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Che cosa stupida, Tom! Non puoi semplicemente-».

«Sta arrivando!», sibilò agitato l'altro.

In un batter d'occhio, Gustav lo vide scomparire sotto il tavolo e, proprio quando fece per girarsi e guardare la porta della cucina, si ritrovò davanti la figura ancora assonnata di Georg.

«Ah, Gustav», mugugnò quello, mettendogli una mano sulla spalla.

Tentò di sorridere, ma ciò che ne venne fuori fu soltanto una smorfia sospetta.

Perché tutte a me?! imprecò dentro di sé.

«Sai dov'è Tom?».

«È-È andato a fare un giro, sì».

Georg rimase perplesso da quella risposta. Perché Tom era uscito senza dirgli niente? E poi non era da lui svegliarsi così presto, la mattina.
Ci pensò su un istante e si convinse che probabilmente aveva delle cose da fare.

«Ti ha detto dove andava?».

Gustav negò col capo. «P-Però potresti uscire anche tu. Chissà... magari lo incontri».

Si sentiva veramente male a mentirgli così spudoratamente. Inoltre non appariva convincente nemmeno a se stesso; sicuramente Georg non gli avrebbe creduto e da lì a poco gli avrebbe chiesto spiegazioni.
Lanciò un'occhiataccia al tavolo e imprecò dentro di sé. Era tutta colpa di quell'idiota!

«Hai ragione».

Tornò a fissare il bassista e i suoi occhi si riempirono di stupore. Ci aveva creduto veramente?

«Comunque, se lo senti, digli di chiamarmi».

Annuì frettolosamente con il capo e cercò di sorridere. Trattenne il respiro fino a che non lo vide voltargli le spalle e allontanarsi dalla cucina.
Ancora non poteva crederci. Come diavolo aveva fatto Georg a non notare il suo disagio, il suo falso sorriso e il suo modo di balbettare? Erano cose così evidenti! Perfino un perfetto sconosciuto si sarebbe accorto che qualcosa non andava.

«Ben fatto!», lo raggiunse la voce di Tom.

Si voltò e lo vide far capolino da sotto la tovaglia. Sembrava soddisfatto, a giudicare dal suo sorriso.

«Certo però che potevi balbettare di meno, eh».

Lo fulminò con lo sguardo. Se avesse potuto, lo avrebbe sbranato vivo. Non gli andava mai bene niente!






«Tu ne hai approfittato!».

«No, Bill. Sei tu che mi hai chiesto di restare, e te lo ripeto per la millesima volta».

Quel discorso andava avanti ormai da un'ora e Bill non si era ancora stancato di sbraitare. Non un segno di cedimento, non uno di stanchezza... Ma dove le prendeva tutte quelle energie? Era davvero impressionante!
Simon stava ancora finendo di mettere a posto il salotto - proprio come se fosse a casa sua - e il moro non faceva altro che andargli dietro e urlargli contro. Eppure avevano soltanto dormito insieme su un divano... Niente di così sconvolgente.

«E tu perché hai accettato? Dovevi darmi una botta in testa e farmi rinsavire!».

«E scompigliarti i capelli?», ridacchiò divertito.

Bill si bloccò improvvisamente e si portò un dito al mento con fare pensieroso. Effettivamente aveva ragione. Lui odiava che qualcuno gli toccasse i capelli, a meno che non fosse per accarezzarglieli e fargli le coccole. Su quello Simon non aveva sbagliato, doveva concederglielo.

«Va bene, ma potevi fare qualcos'altro!», affermò alla fine, incrociando le braccia al petto.

Il biondo rise appena e per un momento lasciò perdere le sue faccende. Era strano come riuscisse a trovare adorabile un soggetto così strano, nei suoi momenti peggiori. Probabilmente era quel piccolo broncio che aveva messo su a farglielo piacere così tanto.

Gli si avvicinò lentamente e, quando furono faccia a faccia, sorrise. «Ti sei sfogato abbastanza?», gli chiese con una punta di sarcasmo nel tono della voce. Lo vide aprire la bocca, pronto a ribattere ancora, ma lo fermò prima. «Perché si dà il caso che io debba ancora ringraziarti per la festa di ieri».

Bill inarcò un sopracciglio, scettico. «Ma l'hai già fatto».

«Non come si deve».

Simon si sporse in avanti e, ignorando completamente l'espressione sconvolta dell'altro, posò le labbra sulle sue. Fu un bacio semplice, lieve, ma bastò per far sì che Bill provasse una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale. Quando l'americano si scostò, non ebbe la forza di ribattere in alcun modo.

Lo vide sorridere. «Altre sfuriate, o per oggi abbiamo finito?», gli chiese divertito.

Il moro dischiuse appena le labbra e lo fissò basito. Per la prima volta qualcuno aveva avuto il potere di lasciarlo completamente senza parole.
Simon non smise di sorridere neppure per un istante. Soddisfatto di aver placato 'l'uragano Bill', gli voltò le spalle e riprese a fare ciò che poco prima aveva abbandonato. Considerando il fatto che non aveva ricominciato a strillare, era un buon inizio.






Tom, guardandosi attorno per accertarsi che Bill non si trovasse nei paraggi, salì di corsa le scale che lo condussero al piano superiore. Ora che Georg era fuori gioco, avrebbe potuto prendersi un intero pomeriggio per pensare al da farsi - ovviamente evitando anche il gemello -. Non aveva ancora deciso e necessitava di tempo.
Era grato a Gustav per averlo aiutato, ma quella sera il suo problema principale si sarebbe ripresentato e allora avrebbe dovuto dargli una risposta.
Quella situazione lo metteva in ansia. Ecco perché aveva sempre sperato di non trovarcisi dentro. Ecco perché osannava il sesso e odiava l'amore. Il primo portava piacere, il secondo soltanto guai.
Mentre rimuginava su queste cose, raggiunse la sua stanza. Innanzitutto, si sarebbe fatto una bella doccia; poi avrebbe trovato una soluzione ai suoi problemi, in un modo o nell'altro.
Finalmente rilassato, varcò la soglia della porta. Ma la sua tranquillità durò poco, perché la persona che si ritrovò davanti era l'ultima che si sarebbe aspettato.

«Ma che...?», balbettò sconvolto.

Georg, seduto sul letto, posò gli occhi su di lui. «Sorpreso?».

Quello era il peggio che poteva capitargli. Ma che ci faceva lì il bassista? Non era uscito a cercarlo?
Lo vide alzarsi in piedi e avanzare lentamente verso di lui. La sua espressione era spaventosamente seria.

«Gustav non sa fare a mentire», mormorò con una smorfia. «Ho capito subito che qualcosa non andava».

Non seppe come replicare. Il suo corpo era semplicemente pietrificato. Si limitò ad abbassare gli occhi sul pavimento, deglutendo nervoso.

Merda, merda, merda!

«Allora... Cosa c'è che non va?».

Non riuscì a rispondergli. Cosa doveva dirgli? Che il suo fottutissimo 'ti amo' lo aveva mandato fuori di testa? Era fin troppo umiliante.
Però effettivamente la colpa era la sua. Lui aveva fatto sì che le cose si complicassero, quando invece avrebbero potuto essere così semplici.

Il suo sguardo si indurì quando risollevò il viso per guardarlo negli occhi. «Hai violato l'unica regola che aveva imposto».

Georg sbatté le palpebre un paio di volte, confuso dalle sue parole. «Ma che stai dicendo? Quale regola?».

«Doveva essere soltanto sesso, Georg. Non amore!», sbottò con fare quasi disgustato. «Perché mi hai detto... quella cosa, ieri sera?».

Il bassista si lasciò scappare una risatina divertita. «Fammi capire... Ce l'hai con me perché mi sono innamorato di te?».

«Sì, cazzo!».

«Tom... È una cosa ridicola».

Tom non seppe più come ribattere. Un cosa ridicola? Oh, se quella era una cosa ridicola, allora perché lo aveva messo in ansia e costretto a farsi aiutare da Gustav per cercare di evitarlo?
Fece per dire qualcosa, ma Georg lo fermò, mettendogli le mani sui fianchi e attirandolo a sé con un sorriso.

«Primo: ti ho detto che ti amo perché in quel momento sentivo il bisogno di farti sapere ciò che provavo... e che provo ancora. Secondo: non mi aspettavo alcuna risposta, Tom».

Il rasta dischiuse le labbra, basito. «Non ti aspettavi alcuna risposta?».

«No», ridacchiò l'altro. «Se non è ciò che provi, non voglio una bugia. Mi basta soltanto stare insieme».

Tom si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Si era fatto mille problemi e alla fine era stato tutto così semplice. Forse avrebbe dovuto parlarne direttamente con lui, invece che tirare in ballo Gustav e organizzare quello stupido piano. Ammetteva a se stesso di essere paranoico, certe volte.

Con una punta di rammarico, fissò gli occhi del compagno. «Non me la sento di dirtelo, Georg. Non so neanche io che cosa provo veramente», si giustificò con un piccolo broncio.

Georg lo trovò adorabile. Sorridendo, lo baciò sulle labbra e lo spinse contro la parete più vicina; si soffermò poi sul suo collo, succhiando forte un lembo di pelle, prima di inginocchiarsi a terra e sbottonargli i pantaloni.
Alzò lo sguardo per vedere la sua reazione e con sollievo lo trovò soddisfatto. Tom ghignò con fare malizioso e immerse una mano fra i suoi capelli, incitandolo a continuare.
Quando dopo poco si ritrovò a dover soffocare i gemiti di piacere, si rese conto che forse, il fatto che Georg lo amasse, non era poi così un problema. Anzi.
Ma chissà che cosa provava lui veramente...










   
 
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