Ricordi impolverati nascosti in soffitta
Titolo: Ricordi
impolverati nascosti in soffitta
Autore: My
Pride
Fandom: FullMetal
Alchemist
Tipologia: One-shot
[ 1148
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Roy
Mustang, Riza Hawkeye, Edward Elric
Genere: Generale,
Malinconico,
Sentimentale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Mangaverse,
Spoiler, Shounen
Ai, Missing Moment, What if?
Winter Challenge: 8°
Luogo ›
Soffitta
Vitii et Virtutis: Avarizia
›
Solitudine
Prompt: 4°
Argomento: Elementi atmosferici
› Pioggia
Challenge in love: #7.
Amore non ricambiato
The angst time: 17.
Sofferenza
Benvenuti al banco dei prompt:
Pacchetto angst › 01. Amore
FULLMETAL
ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights
Reserved.
Avrei
voluto non sentire assolutamente nulla, in quel momento.
Quella sera
di inizio inverno pioveva a dirotto, e le gocce picchiettavano
contro i vetri di ogni finestra, creando una melodia insistente e
penetrante che martellava le orecchie senza remore. Lì in
soffitta, complice anche il tetto spiovente e le assi di legno vecchie
e scricchiolanti, sembrava persino aumentare di intensità,
ovattando tutto il resto. Avevo chiesto alla stessa Riza di
accompagnarmi fin lassù, così da potermene stare
da solo
con i miei pensieri. Ed era strano come, a distanza di
così
tanto tempo, mi ritrovassi a ricordare avvenimenti di due anni addietro
e a pentirmi della mia scelta.
Mi era stata offerta la possibilità di poter vedere di nuovo
ed io, forse così idiota da aggrapparmi ad un mio saldo
principio morale, avevo
bellamente rifiutato quella proposta.
A ripensarci in quel mentre, probabilmente, accettare
sarebbe stata la cosa che più mi sarebbe convenuto fare
quando mi era stata
posta dinanzi tale opportunità. Sapevo, però, che
rimuginare sul passato non avrebbe giovato né a me, né
al ragazzo che aveva affrontato
la lotta contro il Padre da solo.
Quello stesso ragazzo che era adesso chissà dove, partito
per un nuovo viaggio alla ricerca di solo lui sapeva cosa, stavolta.
E mi venne da sorridere amaro,
rivolgendo lo sguardo nella direzione in cui sentivo lo scrosciare
della
pioggia e osservando distrattamente fuori sebbene non potessi vedere
assolutamente niente. Mi domandavo tuttora dove fosse, con chi fosse, e
perché avesse deciso di partire adesso che non ce
n’era più un così pressante
bisogno.
Ma in tutti quegl’anni avevo imparato a conoscerlo. Il non
più Alchimista d’Acciaio non era mai stato un tipo
sedentario. Mai.
Fu
proprio in quel mentre che un vago rumore di passi mi riempii le
orecchie, e mi ritrovai a sospirare pesantemente credendo che fosse
Riza. «Resto
qui ancora un po', Tenente», dissi, ma ciò
che mi giunse in risposta furono una risata e quel
pesante e familiare suono delle giunture di un auto-mail.
«Ed io che pensavo che tu
più di tutti
avresti riconosciuto
i miei passi, Colonnello di merda».
La bizzarra
sensazione che provai nel sentire quella voce, seppur cambiata dagli
anni, fu indescrivibile; ebbi come un tuffo al cuore, e fu con una
certa fatica che sussurrai in tono flebile, «Non sei reale», cercando
forse di
convincere me stesso.
«Questo è
ciò che vuoi
credere tu», sembrò però
sbeffeggiarmi quella voce, sempre più vicina, sempre
più vera alle mie
orecchie. «Cos’è? La senilità
sta finalmente cominciando a fare il proprio
corso, Colonnello?»
Sentii i suoi passi mentre si avvicinava, poi il peso del suo
corpo che si assestava sulla cassapanca sulla quale ero accomodato
anch'io, così vicino a me che sarebbe bastato
allungare di poco una mano per riuscire a sfiorarlo.
E mai come in quel momento desiderai di poter vedere il suo
viso.
«È proprio una gran bella casa», disse
ancora, e quasi mi parve di riuscire a vederlo mentre si
guardava distratto intorno con quei suoi occhi dorati.
«Suppongo
che ci sia anche roba sua, visto che adesso vive con il Tenente. Magari
dividete
anche lo stesso letto».
«Non è come
credi», riuscii
finalmente a proferir parola,
forse ancora sconvolto da quella sua inaspettata visita.
Ma lui
rise ancora, quasi aspramente, una risata
che stonava non poco con l’immagine che avevo
dell’Alchimista d’Acciaio.
«A chi vuole
darla a bere,
Colonnello di merda?» rimbeccò, sfiorandomi
il viso.
Non feci caso alle sue parole,
beandomi semplicemente di quel tocco prima di afferrargli
saldamente la
mano, scoprendo così che quella che finora mi aveva regalato
quelle carezze era
stata la destra. Non più acciaio intrappolato nella carne,
non più gelido
metallo che cercava di riscaldarsi con il calore umano. Una mano umana,
esattamente come la mia.
E sebbene al tocco quella sua presenza mi sembrasse così
vivida, così reale, ancora tentavo di non illudermi. Acciaio
non poteva
essere lì. Era assurdo.
«Non
è come credi», ripetei per
l’ennesima volta, stavolta in un basso mormorio che stentai a
sentire persino io mentre mi
avvicinavo piano a lui, cercando il suo viso a tentoni.
«Colonnello?»
sentii subito dopo una voce chiamarmi, forse
in tono vagamente sorpreso, a cui fece eco il basso latrato di un cane.
Mossi dunque d’istinto la
testa in quella
direzione e, se
non mi fosse apparso quasi inverosimile avrei persino sbattuto
più volte le
palpebre, come se avessi voluto mettere a fuoco la sua figura.
«Riza?» sussurrai appena in risposta, con una nota
un po’
tremula nella voce. La sentii avvicinarsi lentamente prima che il suo
peso si
assestasse dove, esattamente pochi attimi prima, avevo avvertito quello
di
Acciaio.
«Con chi stava
parlando?» mi
domandò poi, prima che
avvertissi il tocco leggero delle sue piccole dita sulla fronte, come
se
volesse controllarmi la temperatura o scostarmi semplicemente qualche
ciocca di
capelli dal viso, nel dolce e premuroso gesto di un’amante
affettuosa.
Con chi?
ripetei nella
mia mente, ritrovandomi a
sorridere amaro. Quella presenza che nella mia mente era apparsa
così
vivida era stata davvero solo un’estensione della mia psiche?
Un
sogno che
aveva cominciato a prender forma nella mia mente e a convincermi che
fosse
reale?
«Non hai visto nessuno, entrando?» chiesi di
rimando,
anche
perché il mio cervello cercava di trovare una spiegazione
razionale a quanto
era appena successo. Mi ero perso nei miei pensieri a causa dello
scrosciare della pioggia, questo lo rammentavo, e mi ero concentrato su
di essa e sugli spifferi freddi prima di socchiudere appena le
palpebre. Poi era
sopraggiunto il rumore di quei passi pesanti e metallici, e subito
dopo... nay,
non poteva essere stata tutta solo un’illusione.
A distrarmi dai miei pensieri, prima
ancora che potesse
farlo Riza stessa, fu Black Hayate, che strofinò il muso
contro il mio
stomaco per richiamare la mia attenzione. Con un sospiro cominciai a
carezzargli il capo, facendo passare le dita nel suo folto e morbido
pelo.
«Tu non hai sentito nessuno, Hayate?» gli domandai
stupidamente ad un orecchio, sentendo in risposta un suo basso
abbaiare. Mi
regalò un piccolo ringhio giocoso e mi leccò poi
una guancia con un tocco umido
e caldo, solleticandomi e coccolandomi come se volesse tirarmi su il
morale.
«...ti
senti bene, Roy?» mi domandò confidenzialmente
Riza, con una
vaga nota preoccupata nella voce.
Non mi presi la briga di alzare lo
sguardo verso di lei,
però annuii, concentrandomi unicamente sulla
sensazione
che Hayate mi stava regalando. Il fatto era che
neanch'io sapevo dire come mi sentissi realmente, né tanto
meno
se quella bizzarra conversazione che avevo avuto era stata solo frutto
della mia immaginazione o meno.
Così, con il suono
scrosciante della pioggia
che
mi
riempiva le orecchie, la presenza costante di Riza e l'odore di polvere
che vigeva in quella vecchia soffitta, abbassai le palpebre sui miei
occhi ciechi, tornando a rifugiarmi in quel mondo fatto unicamente di
ricordi e parole
ormai dimenticate.
_Note inconcludenti dell'autrice
Perdonatemi
l'espressione, ma sono fottutamente
emozionata.
Erano secoli che non scrivevo qualcosa di nuovo su questo fandom, e
sebbene sia tornata con questa piccola schifezza dalla dolce/amara
presenza Royai con un misto di Roy/Ed, non posso fare a meno
di esserne comunque contenta.
Sono parecchio arrugginita e lo ammetto spudoratamente,
però,
sul serio, ho sentito il forte bisogno di postare questa vecchis storia
che avevo scritto tempo fa e che ho revisionato. Forse anche grazie
all'avvicinarsi del Roy/Ed
Mariage, chi può dirlo. Un po' di veloci spiegazioni,
comunque: nella mia distorta visione
delle cose, Roy non avrebbe mai utilizzato la pietra filosofale per
riacquistare la vista, quindi perdonatemi questa mia personale
interpretazione.
Sul serio, scusate ancora se questa storia non è all'altezza
di quelle che scrivevo di solito.
Alla
prossima.
♥
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