Prologo:
I, my, me.
Like a
moth I'm drawn into your flame
(Come una falena brucio nelle tue fiamme)
Not strong enough
Apocalyptica
Venezia è strana,
quando la vivi.
Venezia è strana
quando
hai diciotto anni e una sigaretta in bocca. E' strana quando la
guardi dal basso, sentendoti piccolo sotto quelle tonnellate di
storia, che sì, trovi un po' ovunque in tutta Italia, ma che
lì
senti fremere in ogni capitello nascosto in un qualche campiello che
non hai mai visto prima ed in ogni palazzotto che ti scruta
dall'alto, con il suo aspetto fatiscente. Ed arrivi a chiederti da
quanto tempo è lì a guardare flotte di gente
passare.
Venezia è strana ed
è
magica anche quando hai diciotto anni, una sigaretta in bocca e
schiatti, tramortito dall'afa che ti si appiccica addosso come una
seconda -se non una terza- pelle. Anche quando la cartella pesa sulle
spalle e tuo fratello si lagna di quando schifo faccia quella cazzo
di città dove avete trascorso quei primi e fottutissimi
diciotto
anni della vostra vita.
Ma Venezia è fatta
così, e la scopri piano piano. Puoi viverci da ere, ma ha
sempre
qualcosa di anticamente nuovo da regalarti.
Filippo Pedrotti -Phill
per gli amici e a quelle due “l” ci tiene- lo sa.
E' per questo
si volta perplesso verso il ragazzo che gli cammina un passo dietro,
con le mani infilate in tasca e la sigaretta in bocca, sbuffando dal
naso. Suo fratello non parla così. Mai. Di solito
è freddo e
composto. Fine ed educato. E' lui quello matto estroso. E' lui quello
che di lì a poco compirà diciannove anni e
nell'animo sembra averne
ancora dodici. E' lui quello che scivolando con lo sguardo lungo
quella figura tanto familiare riesce a cogliere i frammenti di una
nicchia un po' in ombra, nascosta. Un'immagine sacra gioca a
nascondino con i raggi del sole. Si cela silenziosa tra il marmo che
una volta doveva scintillare pallido contro la pietra rossa e viva
del muro che la ospita e che ora, invece, mostra di sé solo
pietra
sbeccata e la tristezza della decadenza di quella città che
traspira
storia e passato da ogni angolo. Ciondola il capo, un po' a destra,
ed il profilo quasi completamente privo di naso di una madonnina
pallida come la morte si mostra con la timida compostezza degli
umili. Un po' verso sinistra e quel profilo scompare, obliandosi come
presto accadrà se qualcuno non interverrà.
“E che cazzo, Phill,
mi stai ascoltando o sto parlando con un muro?” La voce
scocciata
di Lorenzo gli arriva alle orecchie e lui si limita a sollevare un
sopracciglio, continuando con quel sapiente gioco di sguardi con
quella statuina che ancora fiera resiste alle intemperie ed agli
agenti atmosferici.
“Ma non ti fa rabbia,
Lore? Tutti dicono che Venezia è una cartolina. Che va
salvaguardata. Eppure, ti pare giusto?” La sua
ingenuità fa
ribollire il sangue nelle vene del fratello, lo sa, ma non
può farci
nulla per evitarlo. Eppure le sue parole hanno il potere di
catturarne l'attenzione, tanto che gli occhi ghiacciati del suo
gemello vanno a correre in direzione del suo sguardo, abbracciando
quel capitello malconcio. E' lui a sbuffare, questa volta -un baffo
di fumo grigio che sale verso l'alto- e parte alla carica, a passo
spedito, agguantandolo per un braccio e trascinandoselo dietro.
“Sì, Phill,
mi fa
rabbia. Ma mi fa ancor più rabbia pensare di doverti
accompagnare
ancora a casa di quel... quel... non mi vengono definizioni
più
gentili di “finocchio”, di Boscardi. Possibile che
tu non abbia
trovato nessun altro cui rivolgerti?” Non gli vengono
definizioni
più gentili perché lui è omofobo.
Filippo lo sa ed è una delle
tante cose che non capisce del fratello. E una di quelle cose che non
riesce a conciliare con l'immagine che ha di quel ragazzo con cui
è
cresciuto. Alla fine, anche lui è omosessuale, anche se sono
davvero
in pochi a saperlo: potrebbe contarli sulle dita di una sola mano. E
Lorenzo non è contemplato. Si lascia trascinare verso la
porta in
silenzio, senza ribattere. Ancora perso in quei pensieri che nemmeno
il suo adorato gemello può leggere. Non ne ha la
capacità: non li
capirebbe. E questi nel mentre lo rimprovera perché con lui
è
freddo. Perché con lui è distaccato. Con lui e
solo con lui. Ed è
strano, perché nonostante tutti i rimproveri, quella gli
sembra ogni
volta la massima esternazione del suo affetto per lui. Si blocca di
scatto, Phill. I capelli mori lunghi fino alle spalle che vengono
tenuti fermi in modo impudente dalle grosse cuffie nere che porta
attorno al collo e gli occhi color nocciola che si piantano sul viso
efebico dell'altro. Quel viso identico al suo, seppure con colori
differenti. Gli occhi che grigi -argento fuso- e le sopracciglia
bionde, così come i capelli che sembrano quasi bianchi,
incurvate in
quell'espressione seriosa che gli è tipica. Seria ed un po'
altezzosa.
“Sei stato tu a
proporti di accompagnarmi. Non ti capisco proprio, Lore. So che i gay
non ti vanno a genio, però a mamma e papà
è simpatico. E da quando
vado a ripetizioni da lui, i miei voti sono migliorati. Quindi non
concepisco tutto questo astio.” Considera rubandogli la
sigaretta
in un gesto confidenziale, sfiorandogli le labbra con le dita. Lo fa
senza malizia, portandosi il filtro alla bocca poi, aspirando senza
fretta. Non gli piace il gusto che gli lascia in bocca il tabacco, ma
anche solo l'atto del fumare sembra tranquillizzarlo un po'. Alla
fine, anche se non lo dà a vedere, è nervoso pure
lui. Sette giorni
ed inizieranno gli esami. Sette giorni e, se Dio lo vorrà,
non vedrà
altro che le mura di quel dannato liceo scientifico nel quale, dopo
cinque anni, si deve ancora spiegare come diamine c'è
finito. E per
un attimo, gli sembra di capire come possano sentirsi le vittime di
Samara, in “The Ring”. Sputa fuori il fumo,
gettando in fine il
mozzicone a terra, pestandolo con tutta la stizza che non emerge nel
resto della sua figura sciatta, ma permeata di una calma serafica.
Lorenzo l'osserva perplesso. Le parole imprigionate nella sua bocca
che non sembrano essere intenzionate a scivolar fuori, ed allora
scappa. Perché lui non sa, ma immagina. D'altronde il
profumo
familiare di Filippo cambia, quando torna da quella casa. Una fuga
vera e propria da una sensazione che non gli piace. Suona il citofono
di un vecchio edificio un po' malconcio, in una calletta
un poco nascosta della zona del ghetto vecchio.
“Non è
astio. E' che
quel tipo non mi piace. Punto. Ne riparliamo a casa.” Decreta
sbrigativo, alla fine, abbassando quegli occhi di ghiaccio che
perdono la loro fierezza solo in presenza del fratello. Filippo
inarca un sopracciglio senza capire. Non è stupido, lui,
anche se si
atteggia come tale. Non è stupido e si rende conto di quanto
sia
profondo l'affetto che il suo gemello prova per lui. Di quanto quelle
parole siano dette per proteggerlo. Di quanto quella gelosia sia
portata dalla paura di perdere un frammento di sé. Alla fine
se lo
sono sempre detti: loro sono come Castore e Polluce, i due gemelli
del loro segno zodiacale. Loro sono legati indissolubilmente e niente
potrà separarli. Ma forse il loro è un po' un
complesso. E' la
paura di perdere una cosa che si possiede ed è penetrata
sotto la
pelle.
“Va bene. Ah,
Lò, ho
cominciato delle tavole nuove. Non è che me le impagini,
intanto?”
La domanda rimane sospesa, come quella risposta che, Phill lo sa
già,
sarà un “no” che in realtà
poi magicamente, diventerà un
“sì”.
Perché suo fratello adora i suoi fumetti, le sue storie ed i
suoi
disegni, e sa che adora divenir parte della macchina che li crea. Gli
dà sicurezza, in qualche modo. La certezza di essere ancora
parte
viva nella vita del suo gemello. Che quel legame non si è
ancora
spezzato.
“Dovresti pensare allo
studio, anziché ai fumetti, Filippo. Sali prima di fare le
radici lì
sotto.” La voce metallica e graffiata del padrone di casa
esce dal
citofono, facendoli sobbalzare entrambi, mentre la porta del casolare
vien aperta, lasciando sbucare una cortina di ricci castani seguiti
da una figuretta piccina, seppure formosa e piena.
“Sì.
Sì. Arrivo.”
Assicura Phill, sventolando la mano destra alla ragazza che gli si
presenta davanti. Un sorriso allegro e dolcissimo a delinearle i
tratti del volto che ancora si mostra bambino. Rotondo e con le
guance rosate, rispetto al resto della pelle nivea. “Aria,
non
sapevo prendessi ripetizioni anche tu, qui.” Commenta quindi,
chinandosi a baciarle una gota. E a Lorenzo, lasciato lì, in
disparte, non sfugge la dolcezza di quello sguardo che la giovane
dedica al suo fratellino. Così come non gli sfugge quel
rossore
leggero che diviene più presente sulle sue guance. Non
coglie però
la gelosia. Quella che aleggia, sottile tra loro. Quella che
c'è, ma
non si vede, simile a nebbia sottile che ovatta appena le forme,
rendendone poco definiti i contorni. Quella che emerge semplicemente
in quel “qui” sottolineato con poca più
forza da Filippo.
“Ho il terrore, Pippo.
Non mi sento preparata su nulla. Cioè. Sai come sono, no?
Non ho
studiato un ca... volo per tutto l'anno, ed ora mi sono trovata tra
capo e collo con il programma di dieci materie da ristudiare.
Cacchio. Ma si può essere più...
più... omologamente omologati?”
Lei è nel panico e Filippo ride. Ride con quella risata che
dedica
solo a lei. Con le labbra che si arcuano completamente verso l'alto
ed i denti un po' messi in mostra, bianchi e perfetti a dimostrazione
del fatto che anni ed anni di apparecchio fisso, sono serviti a
qualcosa. Le guance incavate che si tendono e gli occhi che diventano
due mezze lune vivaci e luminose. E non può fare a meno di
seguirlo
anche lei, in quella risata contagiosa. Perché lei lo adora,
e c'è
poco da fare. Lore lo sa. Lui è il suo migliore amico. Phill
è il
ragazzo cui lei va dietro.
“Io salgo, Aria, prima
che quel demonio di Giò strippi. Ho la sensazione che oggi
mi
caricherà di lavoro. Mi chiedo perché
l'intelligenza se la sia
presa tutta quel disgraziato di mio fratello.” Lo indica
senza
tante cerimonie, dedicandogli un'occhiata che sa di
complicità. Quel
legame forte e profondo che hanno maturato con gli anni.
“Però,
almeno la bellezza me la sono tenuta tutta per me.” Le
ammicca e
scompare oltre la soglia, lasciandola lì, a ridere con
quella risata
che non si può non amare. Quella risata che sa tanto di
scampanellii
dolci di cristalli. Brillanti e vivaci. Lorenzo le si avvicina e
l'abbraccia da dietro, sovrastandola come una montagna. Lui
è alto.
Alto e magrissimo e questo, unito alla differenza spropositata di
statura tra loro, lo fa apparire enorme, quando sono uno accanto
all'altra.
“Ti accompagno a casa,
Arianna.” Un semplice dato di fatto. Quel pensiero nasce
spontaneo,
come la constatazione di quanto quel cielo sopra le loro teste sia
tristemente grigio. Come tutte le chiacchiere che da lì
nascono, e
che li accompagnano lungo il tragitto.
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