Capitolo
sicuramente cinque
Giochi di società
e missioni impossibili
«Il mio motto è ...» disse Isabelle con
un sorriso sensuale «"mai
meno di diciotto centimetri"»
Mentre
tutti quanti si preparavano per l’esclusivo party,
dove ci sarebbe stato il Martini, perché No Martini
– No Party, Afrodite si guardava allo specchio. Dopo essersi
complimentata con se stessa, con lo specchio che le rimandava
l’immagine di una creatura dalla bellezza superba,
iniziò a leccare un bastoncino, con le lacrime agli occhi.
Il bastoncino
all’improvviso si spezzò e
riempì la stanza completamente vuota e desolata con uno
schiocco sonoro, così Afrodite realizzò che nella
sua vita mancava qualcosa: quella troia di Elena di Troia [* (?)NdEra:
Ma voi cosa ne pensate delle sirene? Secondo ,e sono tutte delle gran
troie.] aveva una collana che si sarebbe abbinata in modo magnifico al
suo vestito.
Decise
perciò di andare in missione per il bene
superiore.
Passò
un’altra oretta davanti al suo guardaroba, a
scegliere cosa indossare per la sua impresa piena di insidie e
imprevisti: andare a rubar … prendere in prestito la collana
di Era. Arrivò alla conclusione che fosse più
saggio vestirsi in modo sobrio al fine di non dare
nell’occhio. Rivestì il suo corpo con morbida
pelle nera, che definire aderente sarebbe stato come dire che lei era
un po’
vanitosa,
calzò stivali di pelle fino alle ginocchia, col tacco a
spillo all’incirca di diciotto centimetri e in testa mise una
papalina e degli occhialini da piscina, tutto rigorosamente nero.
Inizio a
muoversi con aria circospetta per i corridoi
dell’Olimpo con la musica di James
Blond
nelle orecchie. Afrodite stava al 69esimo piano e doveva arrivare,
senza farsi notare da nessuno, al 34esimo, il piano di Elena. Avrebbe
dovuto attraversare luoghi oscuri e impervi,
perché avrebbe fatto poco effetto utilizzare
l’ascensore.
Cominciò
a salire le scale rasente ai muri e, giunta al
settimo angolo del trentacinquesimo corridoio del settantesimo piano,
la sua missione andò a sbattere contro un’
impotente imponente figura bluastra che spruzzava acqua da tutti pori.
Indietreggiò alla velocità della luce tanto che
per lei il tempo fece oooolè! Si nascose dietro uno scoglio
air week (Scala 1:1) mentre Poseidone camminando con aria indifferente
esclamò:«Ciao Afrodite»
Afrodite
riprese a correre insieme alla luce e salì un
centinaio di rampe di scale come se fosse rincorsa dai Mostrini
dell’Inferno.
Si
fermò davanti a una fighissima porta a vetri di Murene,
controllata da due giganti.
Superandoli
con aria stizzita, iniziò a flirtare con la
porta finché questa non cedette alle sue lusinghe e si
aprì arrossendo lievemente sulle maniglie.
Afrodite
entrò nella stanza e vide una cosa che non si
aspettava e che non avrebbe voluto vedere: due losche figure la stavano
ignorando, Ebe e Era.
Le due
giocavano al gioco dell’oca, con dei curiosi
teschietti sotto i quali c’erano scritti i nomi
“Zeus” e “Gianni”.
«Possiamo
ucciderlo qui.»
«No,
qua potrebbe usare la linguetta di una lattina
per salvarsi.»
«Questo
piano non s’ha da fare, né
domani, né mai. E’ troppo stupido, figlia
mia.»
Quanto erano
carine!
Se non avesse
avuto una missione di vitale importanza, si sarebbe unita
a loro, anche se le sembrava che alcune regole del gioco fossero
cambiate.
«Scusate
se vi interrompo, Vostra Magnificenza e …
compagnia? – chiese alzando la mano – Per il
mare?»
Ebe
alzò lo sguardo dal tabellone e la fissò con
aria persa: «Al settantesimo piano, da zio Poseidone, trenta
piani sotto di noi … »
Afrodite si
toccò il mento con un dito e rifletté
a voce alta: «C’è qualcosa che non va,
io sarei dovuta scendere!»
Era la
guardò scocciata, sbraitando: «Senti,
Afrodite, vedi di risolvere i tuoi problemi esistenziali da
un’altra parte, qua stiamo tentando di organizzare un
assassinio come dea, cioè io, comanda», e le
indicò l’ascensore.
Afrodite
flirtò anche con le porte dell’ascensore,
un poco amareggiata per la poca comprensione che aveva ricevuto dalle
due dee.
Quando si
aprirono le porte entrò nell’ascensore,
lasciò Era e Ebe ad analizzare le diverse armi da taglio e
cliccò il pulsante trentaquattro, mentre
l’ascensore emetteva un sospiro estasiato.
Questo
rincuorò la dea della bellezza: aveva ancora un tocco
magico.
I numeri dei
piani scorrevano lentamente, il conto alla rovescia le
faceva palpitare il cuore e quando arrivò a destinazione
emise un urletto a metà tra la disperazione e la gioia.
Si
ritrovò catapultata in un bordello vecchio stile e
ricompose la sua camminata da 007, facendo lo slalom tra i clienti che
erano in fila. A un certo punto uno, scocciato, le intimò di
prendere il numero e di non superare. Afrodite gli rivolse uno sguardo
orripilato come se le avesse detto che aveva le doppie punte e prese il
biglietto. Le era capitato il numero sessantanove e tre quarti e
l’ultima persona entrata era il -50, e inoltre la fila non ne
voleva sapere di muoversi. Aspettò per circa due
minuti prima di rendersi conto di quello che stava facendo.
Appallottolò il numero, dopo aver imprecato in modo molto
colorito, spalancò le porte del bordello con un calcio da
agente segreto, poi le chiuse silenziosamente per non destare sospetti.
Si
lanciò alla ricerca della camera da letto.
In giro era
pieno di cose strane, strane davvero: parrucche bionde,
tette finte e preserv …
No, quello non
era strano.
Che Elena
stesse nascondendo qualcosa a tutti gli dei?
Era un
travestito?
Era calva?
Era grassa?
Era pazza?
Ma
… era davvero una lei?
Insomma, la
prima ipotesi era quella che la convinceva di
più.
Si sarebbe
occupata del mistero appena trovata la collana che stava in
un portagioie, sepolto sotto una marea di perizoma e boxer usati.
Cosa
nascondeva quell’insidiosa creatura?
Si comportava
in modo sospetto.
Afrodite si
mise la collana dentro il reggiseno e sgattaiolò
in giro per gli appartamenti della troiana, alla ricerca di indizi.
Le giunse alle
orecchie una melodiosa vocina (quanto le unghie che
graffiano la lavagna, per intenderci), che cantava:
«Il
triangolo no, non l'avevo consideratoooo ...»
Capendo che la
sospettata era in bagno, dove c'erano di certo indizi
succulenti, Afrodite entrò di soppiatto in quella stanza e
si ritrovò davanti a Eris, in accappatoio, che si metteva
una parrucca bionda.
Urlarono tutte
e due nello stesso momento:
«Elena?
Eris? Troia!!! Perché tu hai due
appartamenti e io uno solo?! - Afrodite sembrò riflettere un
attimo su qualcosa. - Per non parlare del budget vestiti! - questa
volta il suo tono grondava odio. - Brutta vacca!»
«Mostro
nero sconosciuto!!»
Afrodite
rimuginò un attimo sulle parole di Eris\Elena, la
situazione richiedeva un lampione
di genio
o sarebbe finita male: la violazione di
toilette non non passava inosservata sull'Olimpo. Sfilò
velocemente il bigliettino che aveva preso all'entrata da una tasca e
con voce tranquilla annunciò: «Sono il
numero sessantanove e tre quarti!»
L'altra si
tranquillizzò ed esclamò, rivolgendole
il suo sorriso più professionale: «Ah, perfetto!
Aspettami un attimo in camera, mi sistemo e arrivo!»
Afrodite
approfittò dell'occasione e uscì
velocemente dal bagno. Prima di chiudere la porta alle sue spalle la
dea dai mille volti gridò: «Rossa o
bionda?»
Dopo aver
risposto distrattamente alla domanda, Afrodite si
addentrò nella stanza delle malefatte. Si guardò
intorno e decise di sedersi in una poltroncina vicino alla quale c'era
una lampada.
Passavano le
stagioni e, quando le prime foglie iniziarono a
germogliare sull'albero fuori dalla finestra, una nuvola di vapore
viohoola uscì dalla porta del bagno, mentre quest'ultima si
apriva.
Ne
uscì una fanciulla dalla bellezza abbagliante. Il vapore
fa brutti scherzi. Elena, o Eris che dir si voglia, si
avvicinò con passo felpato (tutto merito dei calzini di
lana) al suo letto, i capelli rossi scompigliati da un vento
immaginario, noleggiato da Eolo proprio per occasioni come queste.
Si accorse
troppo tardi che nessuno poteva ammirare quello spettacolo
perché tutte le luci erano spente.
Una luce
inquietante illuminò improvvisamente il volto di un
ancor più inquietante figura: Afrodite.
Elena la
guardò perplessa, mentre arraffava una mutanda.
«Frody,
che ci fai qua? Hai per caso fatto scappare l'Omino
Nero?»
Afrodite
inarcò una delle sue due sopracciglia perfette, non
sapendo se a scioccarla di più fosse il nomignolo o la
stupidità di Elena.
«Elena,
l'Omino Nero ero io.»
Elena
continuò a fissarla stupita e così Afrodite
sbuffò in modo poco deoso
«Rifacciamola»
e spense nuovamente la luce.
Si
sentì un fruscio nell'oscurità, mentre i
neuroni di Elena tentavano di arrivare ad una conclusione accettabile.
La luce si
riaccese e un solo grido riempì la stanza:
«L'OMINO
NERO!!»
Elena
additò nuovamente l'occupante della poltrona e
continuò, con un tono di voce isterico: «Cosa ne
hai fatto di Afrodite? Era qua fino a un momento fa ... Te la sei
mangiata? Non le lo sarei mai aspettata da te!»
Afrodite,
spazientita, si tolse gli occhialini.
«Dobbiamo
andare avanti ancora per molto? Rifaremo la scena
un'ultima volta, vedi di comportarti in modo adeguato
stavolta»
Mentre i
neuroni di Elena avevano finalmente raggiungo la comprensione
(oh, agognata sinapsi!), la luce si spense e si riaccese.
Dalla
poltroncina la voce di Afrodite esclamò, mentre la dea
guardava l'altra con sguardo minaccioso:«Mi devi qualche
spiegazione, signorinella!»
****
Nel covo delle VIG
(Very
Important Godess ♥) si trattava un argomento molto
gettonato: come le nostre due dee preferite dovessero occupare il tempo
libero. Avevano finito quello che -erroneamente- Afrodite aveva
considerato il gioco dell'oca, Ebe non aveva più lavoro,
visto che aveva finito la missione pro-Artemide e Era era annoiata,
perché aveva troppi impegni da non svolgere. Ebe, con la
testa fra le mani e l'aria di una che avrebbe voluto torturare qualcuno
ma non poteva, chiese alla madre: «Mamma, cosa facciamo
quest'oggi?»
Era, come
presa da un'improvvisa illuminazione, rispose:
«Quello
che facciamo tutti i giorni, figliuola cara,
progettare la prossima morte di tuo padre!»
«Ma
lui è intoccabile, almeno per un po'. Lasciamolo vivere per
qualche altro mesetto, fino al mio compleanno, così mi apre
il fondo fiduciario che mi ha promesso. Dedichiamoci a qualcun altro
che, ultimamente, sta complicando la vita di noi Olimpi ... Che so,
Gianni!»
Era
guardò Ebe con aria ancora più annoiata, come se
sua figlia le avesse proposto di dedicarsi al punto croce.
«Quel
ragazzo non mi dà alcun fastidio al momento e non credo
potrebbe mai riuscirci».
Le porte del
covo non tanto segreto (dovevano rivedere il loro sistema di allarme!)
si spalancarono per la seconda volta in quella serata e tre baldi
giovani fecero irruzione, con strane coreografie.
Apollo si
posizionò al centro, Ermes alla sua destra e Eolo si
catapultò sotto le gambe di Apollo (che erano leggermente
divaricate) sgambettando allegramente come una ragazzina innamorata.
Ebe
guardò malissimo i tre nuovi arrivati, che avevano
interrotto un discorso della massima importanza: erano arrivate le due
comari dell'Olimpo e il loro tirocinante.
Era
sorseggiò un po' di ambrosia e applaudì
distrattamente, come si fa per dare un contentino a un bambino. Tutto
questo prima che i tre ruzzolassero per terra, guadagnandosi
un'occhiata di puro disprezzo dalla regina.
I tre si
ricomposero velocemente e squittirono in coro estasiati:
«Mie
signore il falco è nel nido!»
Ebe e Era si
guardarono perplesse ed esclamarono all'unisono:
«Il
cosa è dove?!»
Mentre Eolo si
lanciava nella spiegazione inopportuna di cosa fosse un falco, Apollo
replicò prontamente:
«Il pacco è
alle poste!»
«Eh?»,
chiese Ebe sempre più scioccata.
«Se
ti ho chiesto di farmi spedire qualcosa, manda Ilizia a ritirare il
pacco e non stressarmi», fece Era.
«Ma
no! Non capite! La pagnotta è nel forno!»
«Senti
carciofo, se non mi spieghi subito di cosa stai parlando ti ci infilo
io in un forno!»
Ermes
fermò tempestivamente il suo compagno, che voleva continuare
a pronunciare frasi prive di senso e prese una pergamena da una borsa
azzurra a strisce argentate, con riflessi dorati e pagliuzze di rame,
che portava a tracolla, la quale era rigorosamente gialla a pois viola
con baricentro in E.
Si
schiarì la voce e iniziò a elencare:
«Come
saprai le nostre fonti sono certe, infatti c'è stato detto
dal padrino della nipote di secondo grado (o era di
terzo?)...»
«No,
no, era di secondo, Ermy, l'ho letto su YouGod».
«Ok,
di secondo, grazie, Polly».
«Ti
ho detto di non chiamarmi Polly!»
«Va
bene, Feby».
«Ti
ho detto di non chiamarmi Feby!»
«Zitto,
Babbuccio! Dicevamo, questa ragazza, veramente squisita, ti consiglio
di conoscerla, non so se lo sai, da poco ha avuto due gemelli che ha
battezzato quella tua amica ... Come si chiama?»
«Ma
chi, Tea? Aaah, me ne ha parlato proprio bene, dice che fa delle torte
veramente deliziose. Poveretta, ha avuto una storia proprio
tristissima».
«Ah,
sì? Perché? Cosa le è
successo?»
«Sono
scappati i genitori quando aveva solo 23 anni, sai volevano vivere
all'avventura. Lei ha dovuto procurarsi i beni di prima
necessità da sola ...»
«Ma
poi è stata fortunata, ha conosciuto quel giovine che l'ha
sposata ...»
«Sì,
ma non è affidabile, sai. L'altro giorno sono andato a
trovare i genitori di lui e non sai cosa mi hanno raccontato».
«I
genitori di lui? Chi quei gentili signori delle focacce al nettare di
eucalipto? Fanno bene alla gola, le focacce non i signori, ne ho
comprato a centinaia quando avevo perso la voce ...»
«Sì,
sono proprio quelli, tu avevi perso la voce durante la guerra, vero?
Mio nonno lì ha perso una gamba!»
«Nooo,
poverino, ma poi l'ha ritrovata?»
In sottofondo
Ebe si schiarì la voce, mentre Eolo prendeva freneticamente
appunti di ciò che dicevano Apollo e Ermes.
«Sì,
sì, era sotto le macerie del vecchio Partenone, una donnola
cercava di portarsela via».
«Mai
fidarsi delle donnole, una mi ha mangiato le galline!»
«Ma
erano di peluche!»
«Come
erano di peluche?! Loro avevano un'anima!»
«Lo
so, Erm, ma le donnole non le capiscono certe cose!»
«Io
me ne sono fatto una ragione, ormai mi sono convinto che tutti gli
animali siano loschi».
Un
imbarazzante momento di silenzio seguì le parole di Eolo, a
spezzare la lastra di ghiaccio che il tirocinante aveva provocato ci
pensò Ebe, che chiese:
«Volete
finalmente spiegarc ...»
«Ti
stavo dicendo, Erm, la pentola a pressione che ho comprato da
Olimpyonix ...»
Era si
alzò in piedi e sbraitò, lanciando loro contro la
sedia in cui era seduta e facendo strike:
«Ora
basta! Ho addirittura finito tutta quanta l'ambrosia. Le vostre
chiacchiere mi fanno venire l'emicrania, come quando sento la
genealogia della mia famiglia. Dunque» e a questo punto
scoccò loro una dolce occhiata che avrebbe ucciso il
più impavido guerriero, «tacchini, arrivate al
punto o non sarà il giorno del Ringraziamento quello di cui
dovrete preoccuparvi!»
I tre aprirono
bocca, poi la richiusero, non avevano evidentemente capito il
collegamento tra un tacchino e la loro sorte.
Ebe
schioccò le dita ripetutamente e li riporto alla ragione.
«Ragazzi,
ragazzi, avanti cosa siete venuti a dirci? Veloci, non vogliamo avere
altre tre morti sulla coscienza ... Cioè, le nostre prime
tre!»
Il gruppetto,
dimostrando che Ebe si sapeva spiegare meglio di Era, si consultarono
per qualche minuto, come a voler scegliere un ambasciatore e alla fine
spinsero Ermes davanti a Era, borbottando qualcosa come "ambasciator
non porta pena".
Ermes
guardò le due reali con sguardo cuccioloso e disse, con voce
tremante: «Zeus è stato avvistato correre mano
nella mano con Ganimede, felice sui prati. Alcuni aggiungono che i
monti sorridevano». Poi, come pentendosi di ciò
che aveva affermato, aggiunse precipitosamente: «Ma
sono solo voci, per me era un ghigno beffardo».
La faccia di
Era assunse varie tonalità, una dopo l'altra e le orecchie
iniziarono a fumarle. Ebe, da brava figlia previdente, si rese conto
della gravità della situazione, buttò fuori in
tutta fretta i tre, ringraziandoli per la visita inattesa, invitandoli
a non tornare mai più, spronandoli a vincere il record
"abbandona la stanza il più velocemente possibile", con
minacce di morte, urla isteriche e un coltello.
Si
liberò dei tre scocciatori abbastanza velocemente, chiuse le
porte alla loro spalle e si girò lentamente verso la madre,
che ricambiò il suo sguardo impassibile.
Finalmente la
regina di tutti gli dei sembrava essersi calmata e, sorridendo in modo
malefico alla sua figlia più malvagia, ringhiò:
«Ok,
prendi il bazooka, faremo le cose in grande stile».
****
«Non
è come sembra ... Io sono innocente!»
Afrodite in risposta alle parole dell'altra dea si esibì nel
suo gesto tipico: inarcò un sopracciglio.
Elena\Eris la indicò e affermò in tono solenne:
«Non
parlerò se non in presenza del mio avvocato!»
Poi prese delle ventose e iniziò ad arrampicarsi su una
parete a specchio comparsa dal nulla (i misteri dell'Olimpo).
Afrodite la guardò perplessa, alzò gli occhi al
cielo ed esclamò:
«Smettila di
arrampicarti sugli specchi!»
La Travestita scese mogia dalla parete e dopo un profondo sospiro
iniziò a raccontare.
«E va bene, la mia
storia ha iniziò tanto tempo fa»,
spiegò la Disgraziata coi capelli rosso, guardando Afrodite
dritto negli occhi. «Devi sapere che fin da
piccolina mi sono sentita esclusa da tutti i giochi, non ero amica
proprio di nessuno. Tutti mi disprezzavano perché adoravo
fare i dispetti, ma era un semplice segno d'affetto. Le conseguenze
delle mie innocenti azioni furono disastrose. Giunta al mio
settantesimo compleanno, ormai appena maggiorenne, gli dei mi evitavano
per strada, ero esclusa dalla vita di corte. Così mi dedicai
alla cura delle barbabietole. Anche le barbabietole non mi volevano e
dopo qualche secolo si suicidarono. Cominciai a vivere alla giornata,
senza preoccuparmi del mio futuro, che mi appariva sempre
più grigio. Passavo il mio tempo in compagnia di un albero
di miele e delle zucchine. Ben presto fui costretta a scegliere tra di
loro - in questo momento non mi ricordo perché - e scelsi le
mele. Fu una sofferenza abnorme
abbandonare le mie care zucchine, erano le più preziose
amiche che avessi mai avuto, ma l'amore è cieco e la torte
di mele mi aveva conquistato.
«Un giorno
stavo andando a rubare le uova delle galline di Ermes quando, ferma
dietro la buca delle lettere delle galline, sentii un discorso
scioccante tra il messaggero degli dei e il suo fidatissimo amico
Apollo. Leggendo tra le righe dei loro discorsi, che variavano ogni
secondo e toccavano ogni tipo di problema mondiale, capii che ero stata
esclusa per l'ennesima volta dagli affari della mia cosiddetta famiglia».
La Sfortunata bevve un bicchiere d'acqua, asciugandosi una lacrimuccia
che solitaria solcava il suo viso e riprese:
«Scusa ma adesso vorrei
passare a parlare di me in terza persona, perché il dolore
è troppo grande: non posso sopportare che sia successo a
me!»
Afrodite le accordò il permesso annuendo con la testa.
«Quella *colpo di
tosse* di Teti e quel *colpo di tosse* di Peleo stavano organizzando
sotto il suo naso un matrimonio coi fiocchi senza invitarla! Decise
così di fare qualcosa per ricordare a tutti quanti la sua
esistenza. I suoi piccoli furti e le sue schermaglie quotidiane
sembravano non sortire l'effetto desiderato: continuavano tutti ad
ignorarla. Il giorno del matrimonio si presentò al banchetto
nuziale vestita di tutto punto (nel vero senso della parola: tutto
ciò che indossava era a pois), era persino andata dalla
parrucchiera per l'occasione, che le aveva fatto un morbido chignon
fermato da due lame. Visto che non aveva avuto il tempo di comprare un
regalo e non poteva presentarsi a mani vuote, colse una mela dal suo
albero delle mele d'oro e, arrivata al banchetto, decise di recapitare
il regalo in modo originale e aerodinamico. Lanciò la mela
in mezzo al tavolo in cui erano seduti gli sposi, Era, Zeus, Afrodite,
Atena, Ade, Poseidone, Persefone e Ilizia. Accompagnò il
lancio dicendo "alla più bella". Tutti quanti cominciarono a
spostare le sedie con un gran fracasso per afferrare la mela - brutti
egocentrici - e così il resto della sua frase, "Teti, al
volo, è per te!", si perse nel chiasso».
Afrodite sbottò, guardando l'altra dea, oltraggiata:
«Ma lei è un
cesso, come tutti voi! Non dovevi mentirle solo perché era
il giorno del suo matrimonio!»
«Volevo
soltanto essere carina, va bene? E comunque Zeus me l'ha fatta pagare
per questo slancio di affettuosità: vedendo che ben tre dee
dell'Olimpo avevano iniziato a litigare per l'ambito titolo di Miss
Olimpo - le altre si erano ritirate dopo aver scoperto chi erano le
loro avversarie, non perché si reputassero meno belle, ma
per paura delle conseguenze - il nostro benamato Re decise che io avevo
superato ogni limite. Brutto bamboccione babbeo, mi bandì
dall'Olimpo, quando è lui l'unico che se ne dovrebbe andare!
«Così per
non perdere i gossip dell'Olimpo e non sentirmi esclusa dalle news
più piccanti, decisi di assumere le sembianze di una ragazza
che da lì a poco diventò una specie
di VIG: Elena di Troia. Incontrai qualche difficoltà
...»
«Aspetta, ma che fine
ha fatto Elena?»
«Che sciocca che sei.
Non è mai esistita, fino a quando io non ho deciso di
crearla. Ti dicevo delle mie difficoltà. Stavo per entrare
nelle grazie di Priamo per arrivare al suo pargoletto, quando tale
Menelao mi costrinse a sposarlo. Dopo la mia giustificatissima fuga si
scatenò una guerra. Che ci posso fare, sono la dea della
Discordia, non è colpa mia. Durante quei dieci anni di
atroci battaglie ricevetti una lettera di Zeus, tramite Ermes, che
spiegava come Era si annoiasse senza di me sull'Olimpo e lo stesse
costringendo a organizzare duelli clandestini di galli per
intrattenerla. Urgeva dunque la mia presenza e io fui riammessa
sull'Olimpo. Non potevo smettere i panni di Elena, cara ragazza, mi ero
affezionata e poi ... Dieci anni di guerra! Quei poveretti ... Non mi
sentivo di lasciarli così. Dunque decisi di dividere il mio
tempo tra Elena e Eris. Ero Elena in Grecia e Eris sull'Olimpo, ma
presto ho capito che tutti quei continui viaggi erano insostenibili. Tu
ti eri da poco messa con Ares e avevi smesso di intrattenere i nostri
ospiti, ci è voluto poco per convincere Zeus che era
doveroso trovarti una sostituta al più presto: l'altra me. E
tutto ha funzionato benissimo, fino ad ora, quando tu mi hai scoperto.
Brutta impicciona!»
Ad Afrodite brillavano gli occhi: iniziò ad applaudire e a
gridare, come una fan esagitata: «Brava! Ottima
interpretazione! Meriteresti l'Oscar! Ma io come ti devo chiamare? Oh,
va be', non importa! Comunque» e prese in mano il famoso
biglietto «ho preso questo coso
all'entrata, non avrò sprecato il mio tempo per
niente?»
«Afrodite, noi non
possiamo ...»
«Non vorrai che vengano
a conoscenza di questa umiliante storia strappalacrime?»
«Non
oseresti!»
«Io oso eccome! Sono la
dea della Bellezza!»
«Questo non c'entra
niente!»
«E quindi?»
Afrodite guardò Eris come se avesse appena detto
un'assurdità. «Lo facciamo o
no?»
Eris le
lanciò uno sguardo afflitto e si avvicinò con
aria sensuale ad un armadio, dal quale prese una scatola che
lanciò ad Afrodite.
La dea della bellezza la afferrò al volo e balzò
sul letto a gambe incrociate, con la faccia di una bambina la mattina
di Natale.
Eris si sedette sul letto, aprì la scatola e
biascicò:
«Lo sai che questo non
porterà a niente, vero? Stiamo facendo una
sciocchezza!»
«Non tutto deve portare
a qualcosa!»
Eris sospirò, rassegnata:
«Poi non prendertela
con me se non riusciremo a mettere la parola fine a questa
faccenda».
Afrodite la guardò scocciata e la rossa borbottò
contrariata:
«Almeno voglio Parco
della Vittoria!»
Detto questo aprì il cartellone del Monopoli e
iniziò a contare i soldi e dividere i terreni.
Guida
all'INcomprensione del testo:
* NdEra:
Ma voi cosa ne pensate delle sirene? Secondo me sono tutte delle gran
troie.
Angolo in cui le Autrici
parlano senza coerenza:
Ebbene sì! Eccoci qui!
Non siamo neanche tanto in ritardo!;) Abbiamo aggiornato presto, no?:)
Vi informiamo però che il sesto capitolo è ancora
in cantiere...
Sì, ok, non l'abbiamo nemmeno iniziato. Ma lo inizieremo e
lo finiremo! Fidatevi!
MPC
& Pao.
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