*Si
presenta implorando perdono*
Scusatemi,
vi prego, Zeus ha passato
tutta la settimana ad abusare del mio corpo e non mi ha permesso di
scrivere. ç__ç
Seriamente
parlando, mi dispiace
dell'abnorme ritardo nell'aggiornate, e anche se a voi non interessa
proprio nulla, ho avuto una montagna da studiare tra greco, latino,
italiano e tutte quelle altre materie che formano il mio orario (che
mi hanno cambiato stamattina .-. tutto sballato).
Spero
che questo capitolo possa
piacervi. *-*
C'è
una sorpresina finale che vi
dimostra il mio sadismo. <3
Prometto
che stavolta sarò sul serio
puntuale nell'aggiornare! Anticiperò i compiti e
farò di tutto, ma
sarò puntuale!
Buona
lettura, vi amo tutti. <3
Ringrazio
le persone che hanno inserito
la storia tra le seguite:
-
Bbw87
-
Fairness
-
Mareike Tiaycia
-
OlandeseVolante
-
Nadine_Rose
-
niacara07
-
Norine
-
Prusskj_Lazur
-
ChyoChan
-
la_regina
-
Luc
-
thegreenlady
-
mau07
-
NemesiS_
-
Selena_
Coloro
che la hanno inserita tra le
ricordate:
-
fedecaccy
-
Rayne
-
ElleBi
Coloro
che la hanno inserita tra le
preferite:
-
chyo
-
xxGiuls.
-
kikka23
-
elly04
-
Karota
-
Luna_LoveDark
-
liz89
-
hilaryd
-
Fairness
-
Selena
E
infine alle magnifiche ragazze che
hanno trovato il tempo di recensire:
-
Fairness
-
Nadine_Rose
-
Norine
P.S. E ringrazio TE, Stratos,
che non mi caghi minimamente ma so per certo che leggi ogni singola
riga. <3
Si
spera presto,
Schizophrenia.
Salviamoci la pelle.
-Who will take care of you?
Campo
di sterminio di Buchenwald,
Germania.
1
Gennaio 1944
16:43
Mark sbuffò,
esasperato, cancellando
per l'ennesima volta ciò che stava scrivendo. Yelena non gli
aveva
dato molti esercizi, ma erano abbastanza difficili. In quei cinque
giorni aveva imparato non troppo, ma comunque molto più di
quanto
pensasse. Era interessante, a suo modo. << Avete una
lingua
troppo difficile >> si lamentò, ad alta voce,
consegnandole il
foglio esasperato. << Non ne posso più.
Vivrò anche sapendo
solo questo >> aggiunse.
Yelena scosse appena il
capo, <<
Abbiamo iniziato solo da un'ora e mezza, e comunque il tedesco non
è
più facile della mia lingua >>
borbottò la donna, leggendo
velocemente gli esercizi svolti da un ragazzo. <<
Migliori in
fretta, ma non credo che potrò insegnarti ancora per molto.
Qualcuno
potrebbe sapere, e non so se voglio morire subito >>
aggiunse,
mentre andava avanti e indietro per le camere. Yelena era veloce,
pratica e non si lamentava mai, probabilmente aveva contratto qualche
malattia non troppo grave, ma non andava di certo a farsi visitare,
Mark intuiva il perché: tutti sapevano bene che chi entrava
in buone
condizioni lì dentro, spesso non ne usciva più,
molti venivano
usati come cavie umane. Eccetto quello, però, la donna
sembrava
ancora abbastanza in salute, nonostante le condizioni igieniche e il
fatto che fosse costretta a mangiare poco e dormire ancora meno.
Certo, dimostrava vent'anni in più di quanti ne avesse in
realtà,
ma era ancora viva.
<< Certo
>> accettò il
soldato, anche se a malincuore: non sapeva molto di russo e
nonostante fosse faticoso aveva voglia di imparare. Era sempre stato
curioso. Da piccolo amava la scuola. Non poteva di certo mettere a
rischio quella donna, però, aveva già fatto tanto
per lui che
sarebbe stato poco... morale, da parte sua. Certo, era un nazista
arruolato nell'SS, ma sentiva che la sua coscienza reclamare, da
qualche parte poco identificabile nella sua testa. Forse stava
tornando bambino. << Magari potremmo fare lezione meno
spesso,
invece di interromperle del tutto, una volta a settimana
>>,
propose invece. Non voleva metterla nei guai, ma un paio d'ore a
settimana sarebbero passate inosservate.
La donna si
portò una ciocca di
capelli biondo chiaro dietro l'orecchio, era sfuggita all'accurato
sistema che preparava ogni mattina per non farli sfuggire dal
fazzoletto di stoffa. Lo guardava, stupito, ma alla fine distese le
labbra sottili in un sorriso stanco, << Potrebbe andare,
sì,
ma dovremo fare molta attenzione >> accettò
alla fine. Gli
impegni del ragazzo, dopotutto, sembravano ripagarla di tutto quel
lavoro in più che faceva. Non era vecchia, ma in quel
momento si
sentiva gli anni e i dolori tipici di una donna troppo anziana per
svolgere un lavoro pesante o semplicemente per fare la domestica;
aiutare Mark con il russo sembrava riuscirle invece molto
più
facile, dopotutto era il suo lavoro a Mosca: faceva l'insegnante, e
non avrebbe potuto chiedere di meglio. Era una cosa che aveva sempre
amato fare.
Mark le sorrise,
felice, << Pensi
davvero che potrebbe funzionare anche facendo lezione una sola volta
a settimana? >> le chiese, sbalordito ma entusiasta, era
decisamente la soluzione ai loro problemi, nonostante mettesse
comunque la donna a rischio. Beh, nel caso li avessero scoperti,
l'avrebbe difesa. Era una sua idea, alla fine.
L'altra
annuì, << Certo, dovrò
darti molti esercizi da fare durante la settimana, e dovrai
esercitarti molto di più da solo con quei dizionari ed il
frasario,
ma sono certa che riusciremo a mettere insieme qualcosa di
sufficientemente decente in russo in quella testa >>
acconsentì, lasciando che un altro sorriso si facesse largo,
senza
illuminarle però gli occhi. Quel paio di occhi nocciola
sembrava
destinato a non brillare più; ma forse Mark sarebbe riuscito
a
trovare un rimedio anche a quello, dopotutto lo stava aiutando,
voleva ricambiare il favore.
<< Oh, la
cosa non mi spaventa >>
scherzò Schreiber, che si stava improvvisamente rendendo
conto di
essere più felice, nell'ultimo periodo. Non sapeva bene
perché,
forse era stato riprendere a parlare dopo tanto tempo con qualcuno
che non fosse solo Walter gli aveva fatto bene (che questo qualcuno
fosse una comunista che veniva torturata ogni mattina e una deportata
russa che faceva da serva in casa sua, non aveva molta importanza),
forse era semplicemente "l'avere qualcosa da fare", visto
che si teneva occupato sia aiutando Bea, sia con le lezioni di russo,
forse era stato semplicemente il cambiamento in sé a portare
allegria.
Yelena
annuì, << Ne sono
convinta >> disse, sparendo fuori dalla stanza, per poi
tornare
solo qualche minuto dopo. << Vuoi finalmente dirmi
perché stai
imparando il russo? >> era la seconda volta che glielo
chiedeva. La prima era stata quando le aveva effettivamente chiesto
di insegnargli la sua lingua. Ormai sembrava troppo curiosa per
aspettare.
Il soldato
sospirò, passandosi una
mano tra i capelli. << E' ... complicato >>
disse,
facendo una piccola smorfia. Probabilmente di lei poteva fidarsi,
riguardo Bea, anzi, sentiva che con quella donna avrebbe potuto
seriamente parlare di tutto, ma non era così facile. Non
sapeva
nemmeno da dove iniziare, a dirla tutta.
<< Mi hai
detto che era per
un'amica >> gli ricordò lei. Ecco, forse
avrebbe dovuto
iniziare proprio da lì, ma Bea era davvero sua amica? No, ma
era
arrivato a concepire che fosse una persona nonostante il luogo di
provenienza e l'orientamento politico.
Lui sospirò,
<< Non è
esattamente un'amica. E' una ragazza, viene dall'Unione Sovietica.
Dovrei tipo non farla morire, mentre la torturano per avere
informazioni sull'Armata Rossa. >>. Forse però
ultimamente potrei davvero chiamarla amica. Non
aggiunse vocalmente quest'ultimo pensiero, cosa assai giusta da fare.
Vide Yelena annuire,
<< E' per
lei che mi chiedi di preparare più cibo, la sera?
>>, chiese
ancora. Sembrava iniziare a capire qualcosa.
L'altro
annuì, << Esattamente,
ma non dirlo a mio padre >>, aggiunse poco dopo Mark,
<<
anzi, non devi dirlo a nessuno. Sarebbe peggio di quello che
succederebbe se scoprissero me e te. Credo che potrebbero persino
considerarmi un traditore del paese >>,
sospirò, rendendosi
conto di quanto ciò che aveva appena detto probabilmente era
vero.
Yelena sorrise. Un
sorriso meno tirato
dei precedenti, e passò maternamente la mano tra i capelli
del
soldato tedesco. << Sei un bravo ragazzo, in fondo
>>
Mark pensò
che sarebbe stata un'ottima
madre, se non lo era già, << Hai figli,
Yelena? >>
Lei annuì,
<< Una bambina, Anya,
ma non è in Unione Sovietica. Sono riuscita a mettere in
salvo
almeno lei >>, sorrise, << Forse non la
vedrò mai più,
ma lei starà bene >>, sì, erano
decisamente le parole di una
madre.
<< Come
l'hai messa in salvo?
>>, sembrava stupido. Lui non era riuscito a mettersi in
salvo,
forse perché Agathe credeva che la Germania fosse il posto
perfetto
dove crescere un bel bambino, per due tedeschi. Forse all'epoca lo
era sul serio.
<< Mio
cognato, lavora in Canada,
è andato via tanto tempo fa, prima di terminare gli studi.
Ha
insistito per venire a prendere la sua famiglia, poco dopo l'arresto
di mio marito. Non sono andata con loro, pensavo che ci fosse ancora
una possibilità per mio marito, ma suo fratello ha preso con
sé
Anya e l'ha portata in Canada >>
<< Ti
mancano molto? >>
<< Oh,
sì, ma vivo nella speranza >>
Weimar,
Germania
1
Gennaio 1944
18:20
Subito dopo la
chiacchierata con
Yelena, Mark si era diretto a Weimar. Aveva bisogno di passare un po'
di tempo con Walter, possibilmente da soli. Era arrivato senza
problemi fino a casa del suo migliore amico e lo aveva letteralmente
tirato fuori, senza neanche avergli dato il tempo di coprirsi
adeguatamente per l'inverno gelido tedesco. Il povero Hoffmann era
riuscito ad afferrare a stento un cappotto e una sciarpa che in quel
momento stringeva ossessivamente, cercando di ripararsi dal freddo.
<<
Avresti potuto aspettare che
finisse di nevicare >> sbottò, infilando le
mani nelle tasche
del cappotto fino in fondo. Mark sapeva quando l'altro odiasse il
freddo, era l'unica cosa in grado di irritarlo. Era decisamente nato
nel posto sbagliato, per i suoi ideali. Decisamente nel posto
sbagliato.
L'altro gli rivolse
un'occhiata
ironica. A Schreiber la neve piaceva tanto, invece; piaceva molto
anche a sua madre, quando era piccolo e nevicava passavano tutto il
pomeriggio fuori a far compre e a bere cioccolata calda.
<<
Beh, allora sarei dovuto venire di domani, e domani devo riprendere
in mano un fucile. Vuoi che venga a casa tua con un fucile?
>>
Il broncio di Walter
non mutò in un
sorriso come aveva sperato il soldato, << Beh, non
sarebbe
stata una cattiva idea, almeno non mi avresti costretto ad uscire con
tutto questo freddo. Non potevamo starcene a casa mia, davanti al
camino?! >>, niente da fare. Di solito era il ragazzo
dagli
occhi azzurri quello più calmo tra i due, ma quando si
trattava di
basse temperature riusciva ad immedesimarsi alla perfezione nel ruolo
di bambino capriccioso.
<< Volevo
fare una passeggiata
>>, gli sorrise l'altro, camminando tra le stradine poco
affollate quel giorno. Era proprio una bella giornata, certo, stava
nevicando, ma non violentemente come era successo l'anno precedente:
i fiocchi scendevano candidi e con tutta la lentezza possibile,
posandosi sul suolo per essere raggiunti poco dopo da altri fiocchi
di neve.
Walter
sbuffò, tirando fuori le mani
dalle tasche e sfregandosele più forte che poté,
cercando di
riscaldarle, visto che neanche la stoffa del cappotto aveva avuto
effetti troppo positivi sulla sua pelle. << Qual
è il motivo
di tanto euforia? >> borbottò, aggiustandosi
la sciarpa,
cercando di farle coprire una zona maggiore, ma senza ottenere troppi
risultati.
<< Qual
è il motivo di tanto
nervosismo? >>
<< Quella
roba umida e bianca
sotto i nostri piedi. >>
<< Si
chiama neve >>
<< Come
fai a sopportarla? >>
<< E'
bella >>
Il ragazzo dagli occhi
azzurri scosse
il capo, in segno di diniego, non sembrava pensarla nemmeno
minimamente come il suo amico, ed aveva le sue ragioni: la neve
sapeva di bagnato. << Come vanno le cose con Bea?
>>
Mark sorrise alla
domanda, un sorriso
strano che Walter non ricordava di avergli mai visto. <<
Beh,
sto cercando di imparare un po' di russo. So qualcosa, certo non
riesco a parlarlo fluentemente ma me la cavo. >>
Walter si
lasciò sfuggire una risata,
<< Sei davvero il mio migliore amico?! >>
chiese, con
ironia.
Il soldato
inclinò appena il capo
lateralmente, non sembrava avere capito cosa volesse dire.
L'altro gli diede una
pacca sulla
spalla, << Amico mio, quella ragazza ti ha conquistato.
Ti
brillano gli occhi. >>
<<
Fanculo, Walter >>
Campo
di sterminio di Buchenwald,
Germania.
1
Gennaio 1944
22:07
<< Come
sta Walter? >> Bea
sorrideva, un sorriso innocente ma che Mark stava imparando ad
adorare. Era strano che un deportato sorridesse, non gli era mai
capitato di assistere ad una scena simile, ed il fatto che a
sorridere fosse lei e non qualcun altro non faceva che amplificare la
gioia che provava nel vedere la scena.
Le sorrise di rimando,
<< Bene
>>, non aveva niente in particolare da dire sull'amico,
che in
effetti stava piuttosto bene o, almeno non poteva lamentarsi: non era
nella sua stessa situazione un po'... complicata e rischiosa.
<<
Tu, invece, come stai? >>, Mark la osservava: era seduto
sul
letto, con le gambe incrociate, muoveva ritmicamente la testa e
sorrideva, come una bambina, bella come probabilmente l'aveva sempre
vista. Non era mai rimasto incantato ad osservare una ragazza per
tanto tempo: era lì da più di un'ora, seduto
dalla parte opposta
del letto.
Alla ragazza
sfuggì una leggera
smorfia, in effetti non era una domanda da fare ad una deportata, ma
lei se la passava meglio degli altri. Mark s'impegnava e metteva a
rischio la sua vita perché fosse così.
Abbassò lo sguardo,
smettendo di ciondolare con il capo e senza fornirgli una risposta.
Il soldato si
pentì immediatamente
della domanda: era stato un idiota. Le si avvicinò,
sospirando
appena. Non sapeva bene cosa fare, non gli era capitato spesso di
dover consolare qualcuno e non gli era mai capitato di dover
consolare una ragazza, soprattutto per argomenti del genere.
<<
Vuoi parlarne? Con me? >> mormorò, non troppo
convinto delle
sue stesse parole: potevano essere state quelle sbagliate e non
avrebbe saputo cosa fare, ancora di più.
Beatrisa
alzò appena lo sguardo: gli
occhi verdi erano pieni di lacrime; Mark l'aveva vista piangere solo
una volta, ma in quel momento era diverso. In quel momento non sapeva
se le voleva bene o cos'altro. Era troppo confuso, ma sapeva
perfettamente che non voleva vederla piangere. Annuì
leggermente,
anche se sembrava stesse per scoppiare in lacrime.
Il biondo la
osservò, facendosi ancora
più vicino a lei ed allargò le braccia: meno di
un minuto e lei si
fiondò tra di esse, ma non pianse, riuscì a
farcela e Mark ne fu
tremendamente sollevato: non era sicuro che sarebbe riuscito a
sopportare le lacrime di lei. Le sfiorò i capelli con la
punta delle
dita, accarezzandoli e stringendo appena la ragazza a sé.
Non
avrebbe saputo come consolarla con le parole, ma stava ugualmente
cercando di farle capire a gesti che c'era, era presente, sebbene
potesse sembrare così strano come in effetti era. Le
accarezzò
appena la schiena, sentendola respirare più velocemente,
impegnata
nel trattenere le lacrime, si chinò a baciarle delicatamente
i
capelli, rimanendo chinato su di lei. << Ti prometto che
sistemerò tutto >> non avrebbe dovuto dirlo,
ma lo fece. Forse
era una promessa irrealizzabile -molto probabilmente- ma voleva
crederci, e voleva che lei ci credesse.
<< Mi
mancano tutti così tanto
>> furono le prime parole che udì il ragazzo,
ma non
rispondeva: la lasciava sfogare; non voleva che piangesse a forse a
lei sarebbe servito come sfogo. Le accarezzava i capelli, lentamente,
aspettando che continuasse a parlare, cercando di trovare qualcosa da
dire per non sembrare stupido ed inutile.
Sentì le
dita sottili di Bea stringere
con più forza di quanto si sarebbe mai immaginato la camicia
che
indossava, smise di accarezzarle i capelli e avvolse entrambe le
braccia attorno alle sue spalle, stringendola più saldamente
a sé.
Poggiò delicatamente il viso sul suo capo, senza pesarle.
<<
Mio padre, mia madre, Sergeij >> buttò fuori
ancora la
ragazza, e sembrava di nuovo sul punto di piangere.
Mark Schreiber
sospirò, poggiando le
mani sulle spalle della ragazza e scostandola lievemente, avendo
così
modo di poterle osserva il volto: gli occhi gonfi, rossi e lucidi e
le labbra tremanti; le accarezzò una guancia con la punta
delle
dita, prima di parlare. << So come ci si sente
-iniziò,
guardandola negli occhi- so benissimo come ci si sente a perdere
qualcuno di caro, ma tu non perderai nessuno, ti assicuro che non
perderai nessuno e nessuno perderà te, Beatrisa. Qualunque
cosa
dovesse succedere, ti riporterò in Unione Sovietica
>>, le
promise, con stampata sul volto un'espressione talmente sincera che
sarebbe stato impossibile, per la ragazza, non credergli.
La mora
annuì, in risposta e si
asciugò gli occhi appena un po' umidi con il dorso di una
mano, <<
Chi hai perso? >> chiese, e all'altro sembrò
un po' più
calma: non tremava più.
Il soldato la
guardò, allibito: non
voleva rispondere a quella domanda. Non parlava mai di quello,
nemmeno con Walter, non voleva ricordare quello che era successo,
anche se sarebbe servito a distrarre un po' la russa.
Sospirò,
poggiando la schiena al muro e socchiudendo gli occhi. <<
Mia
madre. E' morta quando avevo sei anni... >>, non era
sicuro di
riuscire a dirle tutto. Riusciva ancora a sentire le parole di suo
padre, quel giorno. Doveva essere da poco iniziata la scuola.
Berlino,
Germania
13
Settembre 1929
15:23
<<
Grazie per avermi
riaccompagnato a casa, signor Hoffmann >> disse,
educatamente,
il bambino di sei anni, sull'uscio della porta di casa sua. Aveva
pranzato a casa di Walter, quel giorno e il padre di lui si era
gentilmente offerto di riaccompagnarlo a casa, prima di ripassare a
lavoro.
L'uomo
scompigliò i capelli biondi del
piccolo Mark e gli sorrise, << Di nulla, torna quando
vuoi e
salutami tuo padre >>, detto questo risalì
sulla sua auto e
ripartì, diretto all'ospedale dove lavorava all'epoca.
Mark
riusciva a vedere le luci accese
in casa: suo padre era tornato, e probabilmente anche la sua mamma,
poteva significare solo questo. Se il suo papà era
già in casa a
quell'ora voleva dire che non era all'ospedale con la sua mamma -a
cui era capitata una cosa molto brutta, gli avevano detto- e quindi
erano entrambi a casa. Il bambino di sei anni si avvicinò,
bussando
alla porta di casa, felice: aveva dovuto passare un'intera settimana
senza la sua mamma.
Quando
Hans Schreiber aprì la porta,
però, Mark capì che non doveva essere felice:
c'era qualcosa nel
viso del padre che lo preoccupava: angoscia, forse? Il biondo allora
era ancora troppo piccolo per comprendere il sentimento che poteva
vedere sul volto di quell'uomo che gli stava di fronte. Si
aprì
ugualmente in un sorriso e allargò le braccia per farsi
abbracciare.
<<
Vieni dentro, Mark, dobbiamo
parlare >> furono invece le fredde parole del padre, che
si
scostò dall'uscio, per permettere al piccoletto di passare
senza
troppi problemi.
Il
bambino fece una leggera smorfia:
non era abituato ad essere trattato in quel modo. Lo amavano tutti in
quella casa, e sua madre gli aveva promesso anche un cucciolo di cane
con cui giocare, per il prossimo Natale. Obbedì agli ordini
senza
fiatare, ascoltando il rumore della porta che si chiudeva alle sue
spalle, spinta dal padre. << Cosa c'è?
>> chiese, con la
tipica innocenza di un bambino, al quale le disgrazie della vita sono
ancora estranee.
Hans Schreiber
squadrò il figlio, <<
Tua madre è morta - iniziò,prendendo le distanze
dal discorso, come
se non lo toccasse - d'ora in poi dovrai cavartela da solo. E' ora di
crescere, ragazzino >>
Campo
di sterminio di Buchenwald,
Germania.
1
Gennaio 1944
22:20
Mark non ricordava
più niente, dopo
quelle parole. Non ricordava se aveva pianto o urlato, non ricordava
cosa aveva detto, neppure se era rimasto nell'ingresso con il padre
oppure era fuggito in camera sua. All'epoca aveva solo sei anni, ma
forse aveva iniziato a capire solo da ventenne che più della
morte
della madre, la persona più cara che avesse all'epoca, lo
avessero
annientato a livello psicologico ed emotivo l'anafettività
del
padre, la sua indifferenza, il suo buttarsi a capofitto nel lavoro
che, dopotutto, era solo un modo per scappare dal proprio dolore, e
dalla vista di un bambino che non serviva ad altro che a ricordargli
la donna che aveva amato e perso.
Forse Mark lo capiva,
ma non lo aveva
mai perdonato.
Sentì la
ragazza farglisi nuovamente
più vicino, appoggiarsi completamente a lui, posare la testa
sul suo
petto, << Ti fa ancora male? >> lo aveva
chiesto con tale
calma e preoccupazione da meravigliare Mark: non c'era
pietà, nel
suo sguardo. Era una sensazione assurdamente strana sembrare che
qualcuno capisse,
senza fingere o altro.
Le cinse le spalle con
un braccio, <<
Qualche volta, ma non tantissimo >> mentì: gli
faceva male,
sempre. Non era riuscito a superarlo, non andava bene e non era
normale. Certo, c'erano alcuni momenti in cui riusciva ad isolare
l'avvenimento in un angolo della sua mente: le ore che riusciva a
passare di nascosto con Bea, le chiacchierate con Walter... e poi
c'erano tutti i momenti in cui pur stando in una sala piena di gente
si sentiva completamente solo. E ci pensava, e tutto tornava ad
essere come quattordici anni prima.
L'occhiata che la
ragazza gli rivolse
gli fece capire che non gli aveva creduto, e aveva fatto bene, ma il
ragazzo non lo avrebbe detto. << Beatrisa?
>> la chiamò,
giocando con alcune ciocche more.
<<
Sì? >>
<<
Scusami >>
Lei lo
fissò, con quegli occhi verde
acceso, d'un tratto perplessa. << Io... >>,
non era così
facile. << Walter mi ha detto che vuoi partire per il
fronte >>
cambiò strategicamente discorso.
Mark lo
notò, ma non disse niente in
proposito: capiva benissimo quanto fosse difficile e frustrante per
lei: per la ragazza il soldato era al contempo l'unica persona con la
quale potesse parlare, e allo stesso tempo una di quelle che le aveva
inflitto una delle umiliazioni più grandi. <<
Walter dovrebbe
imparare a non divulgare i miei desideri >>
<< Quindi
è vero? >>
sembrava ancora più meravigliata.
Il soldato
sospirò, sfiorandole ancora
i capelli, e lasciando che si allontanasse quando ne mostrò
il
desiderio. << Era >>, non riuscì
a trattenersi dal
correggerla.
<<
Perché volevi andartene? >>
Mark sorrise, con
sarcasmo: a lui la
risposta sembrava tanto chiara. << Pur condividendo
questa
politica, non vuol dire che mi piaccia vedere gente che viene
annientata a livello di persona, né voglio esserne la causa
>>,
era il primo motivo, ma forse meno importante per il ragazzo.
<<
e non voglio stare qui, con mio padre >>, aggiunse. Forse
si
stava esponendo troppo, ma con lei sembrava così facile.
<< E cosa
ti lega a questo posto,
adesso? >>
Mark le
poggiò una mano sulla guancia
destra, fissandola dritto negli occhi: << Se io me ne
vado, chi
si prenderà cura di te? >>
Rimasero ad osservarsi
a lungo, con
quell'interrogativo nell'aria, che li rendeva irrequieti. A Mark
parve di vederla tremare, dopo un po', << Hai freddo?
>>
chiese, a bassa voce, portandole lentamente una ciocca di capelli
dietro l'orecchio.
<< Un po'
>> mormorò la
ragazza, in risposta.
Mark annuì,
stendendosi sul letto e
poggiando il capo sul cuscino. << Vieni qui
>> le disse,
aprendo appena le braccia. << Avanti >> la
incitò,
aprendosi in un sorriso rassicurante, quano la vide esitare.
Bea alla fine gli si
raggomitolò
accanto e Mark la abbracciò, cercando di riscaldarla, senza
troppa
fretta e parve riuscirci, almeno in parte. Sorrise, dolcemente,
quando la vida iniziare a riposare con tranquillità, con il
capo
poggiato sul suo petto ed il respiro più lento.
<< Buona
notte, soldato >> mormorò nel dormiveglia. Le
sfiorò i
capelli e rimase ad osservarla dormire per più di un'ora,
prima di
essere colto a sua volta dal sonno.
Campo
di sterminio di Buchenwald,
Germania.
2
Gennaio 1944
13:30
Quello era stato il
miglior risveglio e
la miglior mattinata che Mark Schreiber avesse mai avuto. Gli era
capitato già molte volte, di svegliarsi accanto ad una
donna, ma
nessuno di quei risvegli lo aveva sconvolto emotivamente come quello,
e non c'era nemmeno stato un rapporto sessuale la notte precedente,
era una cosa impressionante.
Si sentiva bene, come
se ogni pensiero
del giorno precedente fosse volato via, come se nessuno dei due si
trovasse in una situazione spiacevole. Come se fosse appena nato
qualcosa di cui non comprendeva a pieno l'entità e
l'importanza.
Raggiunse il padre, a tavola, sorridendo. Era una cosa strana: Mark
Schreiber non sorrideva mai al padre. Beh, tecnicamente, nei suoi
pensieri, non stava sorridendo al padre ma a se stesso e a Beatrisa
Gurtsieva.
<< Come
sono andati gli
allenamenti? >>
Seconda cosa strana
della giornata: suo
padre non si interessava mai alla sua giornata. << Bene,
come
al solito >> rispose, scrollando appena le spalle, mentre
Yelena serviva il pranzo. Non salutò la donna, non poteva ed
era
meglio che nessuno sapesse.
<< Beh,
congratulazioni, sei
stato promosso a caporale >> disse, serio.
Mark sorrise,
<< Ne sarei anche
felice... ma cos'ho fatto? >> chiese, un po' stupito. Non
aveva
fatto niente altro oltre a badare a Bea e ad allenarsi.
<< Non
è ciò che hai fatto, ma
ciò che la Germania è sicura che farai
>>
Una lieve smorfia si
dipinse sul volto
del ragazzo, << E cosa dovrei fare? >>
<<
Partire per Leningrado,
diretto al fronte >> spiegò il padre, come se
fosse
completamente normale.
Il soldat... capotale
Schreiber scosse
il capo, << Non posso... Se andrò a
Leningrado, morirò
sicuramente >>, la situazione in Unione Sovietica si
stava
mettendo male per i tedeschi, era noto a chi lavorava nell'SS.
Hans
Schreiber scrollò le spalle, <<
Non l'ho deciso io. Parti domani sera, forse è il caso che
tu inizi
a preparare le tue cose >>
Io
non lo so chi c'ha ragione e chi no
se
è una questione di etnia, di economia,
oppure
solo pazzia:
difficile
saperlo.
Quello
che so è che non è fantasia
e
che nessuno c'ha ragione
e
così sia,
[Il
mio nome è Mai Più - Ligabue ft. Piero
Pelù]
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