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Autore: Schizophrenia    20/09/2011    5 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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*Si presenta implorando perdono*
Scusatemi, vi prego, Zeus ha passato tutta la settimana ad abusare del mio corpo e non mi ha permesso di scrivere. ç__ç
Seriamente parlando, mi dispiace dell'abnorme ritardo nell'aggiornate, e anche se a voi non interessa proprio nulla, ho avuto una montagna da studiare tra greco, latino, italiano e tutte quelle altre materie che formano il mio orario (che mi hanno cambiato stamattina .-. tutto sballato).
Spero che questo capitolo possa piacervi. *-*
C'è una sorpresina finale che vi dimostra il mio sadismo. <3
Prometto che stavolta sarò sul serio puntuale nell'aggiornare! Anticiperò i compiti e farò di tutto, ma sarò puntuale!
Buona lettura, vi amo tutti. <3
Ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:
- Bbw87
- Fairness
- Mareike Tiaycia
- OlandeseVolante
- Nadine_Rose
- niacara07
- Norine
- Prusskj_Lazur
- ChyoChan
- la_regina
- Luc
- thegreenlady
- mau07
- NemesiS_
- Selena_
Coloro che la hanno inserita tra le ricordate:
- fedecaccy
- Rayne
- ElleBi
Coloro che la hanno inserita tra le preferite:
- chyo
- xxGiuls.
- kikka23
- elly04
- Karota
- Luna_LoveDark
- liz89
- hilaryd
- Fairness
- Selena
E infine alle magnifiche ragazze che hanno trovato il tempo di recensire:
- Fairness
- Nadine_Rose
- Norine

P.S. E ringrazio TE, Stratos, che non mi caghi minimamente ma so per certo che leggi ogni singola riga. <3

Si spera presto,
Schizophrenia.








Salviamoci la pelle.

-Who will take care of you?



Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
1 Gennaio 1944
16:43

Mark sbuffò, esasperato, cancellando per l'ennesima volta ciò che stava scrivendo. Yelena non gli aveva dato molti esercizi, ma erano abbastanza difficili. In quei cinque giorni aveva imparato non troppo, ma comunque molto più di quanto pensasse. Era interessante, a suo modo. << Avete una lingua troppo difficile >> si lamentò, ad alta voce, consegnandole il foglio esasperato. << Non ne posso più. Vivrò anche sapendo solo questo >> aggiunse.
Yelena scosse appena il capo, << Abbiamo iniziato solo da un'ora e mezza, e comunque il tedesco non è più facile della mia lingua >> borbottò la donna, leggendo velocemente gli esercizi svolti da un ragazzo. << Migliori in fretta, ma non credo che potrò insegnarti ancora per molto. Qualcuno potrebbe sapere, e non so se voglio morire subito >> aggiunse, mentre andava avanti e indietro per le camere. Yelena era veloce, pratica e non si lamentava mai, probabilmente aveva contratto qualche malattia non troppo grave, ma non andava di certo a farsi visitare, Mark intuiva il perché: tutti sapevano bene che chi entrava in buone condizioni lì dentro, spesso non ne usciva più, molti venivano usati come cavie umane. Eccetto quello, però, la donna sembrava ancora abbastanza in salute, nonostante le condizioni igieniche e il fatto che fosse costretta a mangiare poco e dormire ancora meno. Certo, dimostrava vent'anni in più di quanti ne avesse in realtà, ma era ancora viva.
<< Certo >> accettò il soldato, anche se a malincuore: non sapeva molto di russo e nonostante fosse faticoso aveva voglia di imparare. Era sempre stato curioso. Da piccolo amava la scuola. Non poteva di certo mettere a rischio quella donna, però, aveva già fatto tanto per lui che sarebbe stato poco... morale, da parte sua. Certo, era un nazista arruolato nell'SS, ma sentiva che la sua coscienza reclamare, da qualche parte poco identificabile nella sua testa. Forse stava tornando bambino. << Magari potremmo fare lezione meno spesso, invece di interromperle del tutto, una volta a settimana >>, propose invece. Non voleva metterla nei guai, ma un paio d'ore a settimana sarebbero passate inosservate.
La donna si portò una ciocca di capelli biondo chiaro dietro l'orecchio, era sfuggita all'accurato sistema che preparava ogni mattina per non farli sfuggire dal fazzoletto di stoffa. Lo guardava, stupito, ma alla fine distese le labbra sottili in un sorriso stanco, << Potrebbe andare, sì, ma dovremo fare molta attenzione >> accettò alla fine. Gli impegni del ragazzo, dopotutto, sembravano ripagarla di tutto quel lavoro in più che faceva. Non era vecchia, ma in quel momento si sentiva gli anni e i dolori tipici di una donna troppo anziana per svolgere un lavoro pesante o semplicemente per fare la domestica; aiutare Mark con il russo sembrava riuscirle invece molto più facile, dopotutto era il suo lavoro a Mosca: faceva l'insegnante, e non avrebbe potuto chiedere di meglio. Era una cosa che aveva sempre amato fare.
Mark le sorrise, felice, << Pensi davvero che potrebbe funzionare anche facendo lezione una sola volta a settimana? >> le chiese, sbalordito ma entusiasta, era decisamente la soluzione ai loro problemi, nonostante mettesse comunque la donna a rischio. Beh, nel caso li avessero scoperti, l'avrebbe difesa. Era una sua idea, alla fine.
L'altra annuì, << Certo, dovrò darti molti esercizi da fare durante la settimana, e dovrai esercitarti molto di più da solo con quei dizionari ed il frasario, ma sono certa che riusciremo a mettere insieme qualcosa di sufficientemente decente in russo in quella testa >> acconsentì, lasciando che un altro sorriso si facesse largo, senza illuminarle però gli occhi. Quel paio di occhi nocciola sembrava destinato a non brillare più; ma forse Mark sarebbe riuscito a trovare un rimedio anche a quello, dopotutto lo stava aiutando, voleva ricambiare il favore.
<< Oh, la cosa non mi spaventa >> scherzò Schreiber, che si stava improvvisamente rendendo conto di essere più felice, nell'ultimo periodo. Non sapeva bene perché, forse era stato riprendere a parlare dopo tanto tempo con qualcuno che non fosse solo Walter gli aveva fatto bene (che questo qualcuno fosse una comunista che veniva torturata ogni mattina e una deportata russa che faceva da serva in casa sua, non aveva molta importanza), forse era semplicemente "l'avere qualcosa da fare", visto che si teneva occupato sia aiutando Bea, sia con le lezioni di russo, forse era stato semplicemente il cambiamento in sé a portare allegria.
Yelena annuì, << Ne sono convinta >> disse, sparendo fuori dalla stanza, per poi tornare solo qualche minuto dopo. << Vuoi finalmente dirmi perché stai imparando il russo? >> era la seconda volta che glielo chiedeva. La prima era stata quando le aveva effettivamente chiesto di insegnargli la sua lingua. Ormai sembrava troppo curiosa per aspettare.
Il soldato sospirò, passandosi una mano tra i capelli. << E' ... complicato >> disse, facendo una piccola smorfia. Probabilmente di lei poteva fidarsi, riguardo Bea, anzi, sentiva che con quella donna avrebbe potuto seriamente parlare di tutto, ma non era così facile. Non sapeva nemmeno da dove iniziare, a dirla tutta.
<< Mi hai detto che era per un'amica >> gli ricordò lei. Ecco, forse avrebbe dovuto iniziare proprio da lì, ma Bea era davvero sua amica? No, ma era arrivato a concepire che fosse una persona nonostante il luogo di provenienza e l'orientamento politico.
Lui sospirò, << Non è esattamente un'amica. E' una ragazza, viene dall'Unione Sovietica. Dovrei tipo non farla morire, mentre la torturano per avere informazioni sull'Armata Rossa. >>. Forse però ultimamente potrei davvero chiamarla amica. Non aggiunse vocalmente quest'ultimo pensiero, cosa assai giusta da fare.
Vide Yelena annuire, << E' per lei che mi chiedi di preparare più cibo, la sera? >>, chiese ancora. Sembrava iniziare a capire qualcosa.
L'altro annuì, << Esattamente, ma non dirlo a mio padre >>, aggiunse poco dopo Mark, << anzi, non devi dirlo a nessuno. Sarebbe peggio di quello che succederebbe se scoprissero me e te. Credo che potrebbero persino considerarmi un traditore del paese >>, sospirò, rendendosi conto di quanto ciò che aveva appena detto probabilmente era vero.
Yelena sorrise. Un sorriso meno tirato dei precedenti, e passò maternamente la mano tra i capelli del soldato tedesco. << Sei un bravo ragazzo, in fondo >>
Mark pensò che sarebbe stata un'ottima madre, se non lo era già, << Hai figli, Yelena? >>
Lei annuì, << Una bambina, Anya, ma non è in Unione Sovietica. Sono riuscita a mettere in salvo almeno lei >>, sorrise, << Forse non la vedrò mai più, ma lei starà bene >>, sì, erano decisamente le parole di una madre.
<< Come l'hai messa in salvo? >>, sembrava stupido. Lui non era riuscito a mettersi in salvo, forse perché Agathe credeva che la Germania fosse il posto perfetto dove crescere un bel bambino, per due tedeschi. Forse all'epoca lo era sul serio.
<< Mio cognato, lavora in Canada, è andato via tanto tempo fa, prima di terminare gli studi. Ha insistito per venire a prendere la sua famiglia, poco dopo l'arresto di mio marito. Non sono andata con loro, pensavo che ci fosse ancora una possibilità per mio marito, ma suo fratello ha preso con sé Anya e l'ha portata in Canada >>
<< Ti mancano molto? >>
<< Oh, sì, ma vivo nella speranza >>


Weimar, Germania
1 Gennaio 1944
18:20

Subito dopo la chiacchierata con Yelena, Mark si era diretto a Weimar. Aveva bisogno di passare un po' di tempo con Walter, possibilmente da soli. Era arrivato senza problemi fino a casa del suo migliore amico e lo aveva letteralmente tirato fuori, senza neanche avergli dato il tempo di coprirsi adeguatamente per l'inverno gelido tedesco. Il povero Hoffmann era riuscito ad afferrare a stento un cappotto e una sciarpa che in quel momento stringeva ossessivamente, cercando di ripararsi dal freddo.
<< Avresti potuto aspettare che finisse di nevicare >> sbottò, infilando le mani nelle tasche del cappotto fino in fondo. Mark sapeva quando l'altro odiasse il freddo, era l'unica cosa in grado di irritarlo. Era decisamente nato nel posto sbagliato, per i suoi ideali. Decisamente nel posto sbagliato.
L'altro gli rivolse un'occhiata ironica. A Schreiber la neve piaceva tanto, invece; piaceva molto anche a sua madre, quando era piccolo e nevicava passavano tutto il pomeriggio fuori a far compre e a bere cioccolata calda. << Beh, allora sarei dovuto venire di domani, e domani devo riprendere in mano un fucile. Vuoi che venga a casa tua con un fucile? >>
Il broncio di Walter non mutò in un sorriso come aveva sperato il soldato, << Beh, non sarebbe stata una cattiva idea, almeno non mi avresti costretto ad uscire con tutto questo freddo. Non potevamo starcene a casa mia, davanti al camino?! >>, niente da fare. Di solito era il ragazzo dagli occhi azzurri quello più calmo tra i due, ma quando si trattava di basse temperature riusciva ad immedesimarsi alla perfezione nel ruolo di bambino capriccioso.
<< Volevo fare una passeggiata >>, gli sorrise l'altro, camminando tra le stradine poco affollate quel giorno. Era proprio una bella giornata, certo, stava nevicando, ma non violentemente come era successo l'anno precedente: i fiocchi scendevano candidi e con tutta la lentezza possibile, posandosi sul suolo per essere raggiunti poco dopo da altri fiocchi di neve.
Walter sbuffò, tirando fuori le mani dalle tasche e sfregandosele più forte che poté, cercando di riscaldarle, visto che neanche la stoffa del cappotto aveva avuto effetti troppo positivi sulla sua pelle. << Qual è il motivo di tanto euforia? >> borbottò, aggiustandosi la sciarpa, cercando di farle coprire una zona maggiore, ma senza ottenere troppi risultati.
<< Qual è il motivo di tanto nervosismo? >>
<< Quella roba umida e bianca sotto i nostri piedi. >>
<< Si chiama neve >>
<< Come fai a sopportarla? >>
<< E' bella >>
Il ragazzo dagli occhi azzurri scosse il capo, in segno di diniego, non sembrava pensarla nemmeno minimamente come il suo amico, ed aveva le sue ragioni: la neve sapeva di bagnato. << Come vanno le cose con Bea? >>
Mark sorrise alla domanda, un sorriso strano che Walter non ricordava di avergli mai visto. << Beh, sto cercando di imparare un po' di russo. So qualcosa, certo non riesco a parlarlo fluentemente ma me la cavo. >>
Walter si lasciò sfuggire una risata, << Sei davvero il mio migliore amico?! >> chiese, con ironia.
Il soldato inclinò appena il capo lateralmente, non sembrava avere capito cosa volesse dire.
L'altro gli diede una pacca sulla spalla, << Amico mio, quella ragazza ti ha conquistato. Ti brillano gli occhi. >>
<< Fanculo, Walter >>


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
1 Gennaio 1944
22:07

<< Come sta Walter? >> Bea sorrideva, un sorriso innocente ma che Mark stava imparando ad adorare. Era strano che un deportato sorridesse, non gli era mai capitato di assistere ad una scena simile, ed il fatto che a sorridere fosse lei e non qualcun altro non faceva che amplificare la gioia che provava nel vedere la scena.
Le sorrise di rimando, << Bene >>, non aveva niente in particolare da dire sull'amico, che in effetti stava piuttosto bene o, almeno non poteva lamentarsi: non era nella sua stessa situazione un po'... complicata e rischiosa. << Tu, invece, come stai? >>, Mark la osservava: era seduto sul letto, con le gambe incrociate, muoveva ritmicamente la testa e sorrideva, come una bambina, bella come probabilmente l'aveva sempre vista. Non era mai rimasto incantato ad osservare una ragazza per tanto tempo: era lì da più di un'ora, seduto dalla parte opposta del letto.
Alla ragazza sfuggì una leggera smorfia, in effetti non era una domanda da fare ad una deportata, ma lei se la passava meglio degli altri. Mark s'impegnava e metteva a rischio la sua vita perché fosse così. Abbassò lo sguardo, smettendo di ciondolare con il capo e senza fornirgli una risposta.
Il soldato si pentì immediatamente della domanda: era stato un idiota. Le si avvicinò, sospirando appena. Non sapeva bene cosa fare, non gli era capitato spesso di dover consolare qualcuno e non gli era mai capitato di dover consolare una ragazza, soprattutto per argomenti del genere. << Vuoi parlarne? Con me? >> mormorò, non troppo convinto delle sue stesse parole: potevano essere state quelle sbagliate e non avrebbe saputo cosa fare, ancora di più.
Beatrisa alzò appena lo sguardo: gli occhi verdi erano pieni di lacrime; Mark l'aveva vista piangere solo una volta, ma in quel momento era diverso. In quel momento non sapeva se le voleva bene o cos'altro. Era troppo confuso, ma sapeva perfettamente che non voleva vederla piangere. Annuì leggermente, anche se sembrava stesse per scoppiare in lacrime.
Il biondo la osservò, facendosi ancora più vicino a lei ed allargò le braccia: meno di un minuto e lei si fiondò tra di esse, ma non pianse, riuscì a farcela e Mark ne fu tremendamente sollevato: non era sicuro che sarebbe riuscito a sopportare le lacrime di lei. Le sfiorò i capelli con la punta delle dita, accarezzandoli e stringendo appena la ragazza a sé. Non avrebbe saputo come consolarla con le parole, ma stava ugualmente cercando di farle capire a gesti che c'era, era presente, sebbene potesse sembrare così strano come in effetti era. Le accarezzò appena la schiena, sentendola respirare più velocemente, impegnata nel trattenere le lacrime, si chinò a baciarle delicatamente i capelli, rimanendo chinato su di lei. << Ti prometto che sistemerò tutto >> non avrebbe dovuto dirlo, ma lo fece. Forse era una promessa irrealizzabile -molto probabilmente- ma voleva crederci, e voleva che lei ci credesse.
<< Mi mancano tutti così tanto >> furono le prime parole che udì il ragazzo, ma non rispondeva: la lasciava sfogare; non voleva che piangesse a forse a lei sarebbe servito come sfogo. Le accarezzava i capelli, lentamente, aspettando che continuasse a parlare, cercando di trovare qualcosa da dire per non sembrare stupido ed inutile.
Sentì le dita sottili di Bea stringere con più forza di quanto si sarebbe mai immaginato la camicia che indossava, smise di accarezzarle i capelli e avvolse entrambe le braccia attorno alle sue spalle, stringendola più saldamente a sé. Poggiò delicatamente il viso sul suo capo, senza pesarle. << Mio padre, mia madre, Sergeij >> buttò fuori ancora la ragazza, e sembrava di nuovo sul punto di piangere.
Mark Schreiber sospirò, poggiando le mani sulle spalle della ragazza e scostandola lievemente, avendo così modo di poterle osserva il volto: gli occhi gonfi, rossi e lucidi e le labbra tremanti; le accarezzò una guancia con la punta delle dita, prima di parlare. << So come ci si sente -iniziò, guardandola negli occhi- so benissimo come ci si sente a perdere qualcuno di caro, ma tu non perderai nessuno, ti assicuro che non perderai nessuno e nessuno perderà te, Beatrisa. Qualunque cosa dovesse succedere, ti riporterò in Unione Sovietica >>, le promise, con stampata sul volto un'espressione talmente sincera che sarebbe stato impossibile, per la ragazza, non credergli.
La mora annuì, in risposta e si asciugò gli occhi appena un po' umidi con il dorso di una mano, << Chi hai perso? >> chiese, e all'altro sembrò un po' più calma: non tremava più.
Il soldato la guardò, allibito: non voleva rispondere a quella domanda. Non parlava mai di quello, nemmeno con Walter, non voleva ricordare quello che era successo, anche se sarebbe servito a distrarre un po' la russa. Sospirò, poggiando la schiena al muro e socchiudendo gli occhi. << Mia madre. E' morta quando avevo sei anni... >>, non era sicuro di riuscire a dirle tutto. Riusciva ancora a sentire le parole di suo padre, quel giorno. Doveva essere da poco iniziata la scuola.


Berlino, Germania
13 Settembre 1929
15:23

<< Grazie per avermi riaccompagnato a casa, signor Hoffmann >> disse, educatamente, il bambino di sei anni, sull'uscio della porta di casa sua. Aveva pranzato a casa di Walter, quel giorno e il padre di lui si era gentilmente offerto di riaccompagnarlo a casa, prima di ripassare a lavoro.
L'uomo scompigliò i capelli biondi del piccolo Mark e gli sorrise, << Di nulla, torna quando vuoi e salutami tuo padre >>, detto questo risalì sulla sua auto e ripartì, diretto all'ospedale dove lavorava all'epoca.
Mark riusciva a vedere le luci accese in casa: suo padre era tornato, e probabilmente anche la sua mamma, poteva significare solo questo. Se il suo papà era già in casa a quell'ora voleva dire che non era all'ospedale con la sua mamma -a cui era capitata una cosa molto brutta, gli avevano detto- e quindi erano entrambi a casa. Il bambino di sei anni si avvicinò, bussando alla porta di casa, felice: aveva dovuto passare un'intera settimana senza la sua mamma.
Quando Hans Schreiber aprì la porta, però, Mark capì che non doveva essere felice: c'era qualcosa nel viso del padre che lo preoccupava: angoscia, forse? Il biondo allora era ancora troppo piccolo per comprendere il sentimento che poteva vedere sul volto di quell'uomo che gli stava di fronte. Si aprì ugualmente in un sorriso e allargò le braccia per farsi abbracciare.
<< Vieni dentro, Mark, dobbiamo parlare >> furono invece le fredde parole del padre, che si scostò dall'uscio, per permettere al piccoletto di passare senza troppi problemi.
Il bambino fece una leggera smorfia: non era abituato ad essere trattato in quel modo. Lo amavano tutti in quella casa, e sua madre gli aveva promesso anche un cucciolo di cane con cui giocare, per il prossimo Natale. Obbedì agli ordini senza fiatare, ascoltando il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle, spinta dal padre. << Cosa c'è? >> chiese, con la tipica innocenza di un bambino, al quale le disgrazie della vita sono ancora estranee.
Hans Schreiber squadrò il figlio, << Tua madre è morta - iniziò,prendendo le distanze dal discorso, come se non lo toccasse - d'ora in poi dovrai cavartela da solo. E' ora di crescere, ragazzino >>


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
1 Gennaio 1944
22:20

Mark non ricordava più niente, dopo quelle parole. Non ricordava se aveva pianto o urlato, non ricordava cosa aveva detto, neppure se era rimasto nell'ingresso con il padre oppure era fuggito in camera sua. All'epoca aveva solo sei anni, ma forse aveva iniziato a capire solo da ventenne che più della morte della madre, la persona più cara che avesse all'epoca, lo avessero annientato a livello psicologico ed emotivo l'anafettività del padre, la sua indifferenza, il suo buttarsi a capofitto nel lavoro che, dopotutto, era solo un modo per scappare dal proprio dolore, e dalla vista di un bambino che non serviva ad altro che a ricordargli la donna che aveva amato e perso.
Forse Mark lo capiva, ma non lo aveva mai perdonato.
Sentì la ragazza farglisi nuovamente più vicino, appoggiarsi completamente a lui, posare la testa sul suo petto, << Ti fa ancora male? >> lo aveva chiesto con tale calma e preoccupazione da meravigliare Mark: non c'era pietà, nel suo sguardo. Era una sensazione assurdamente strana sembrare che qualcuno capisse, senza fingere o altro.
Le cinse le spalle con un braccio, << Qualche volta, ma non tantissimo >> mentì: gli faceva male, sempre. Non era riuscito a superarlo, non andava bene e non era normale. Certo, c'erano alcuni momenti in cui riusciva ad isolare l'avvenimento in un angolo della sua mente: le ore che riusciva a passare di nascosto con Bea, le chiacchierate con Walter... e poi c'erano tutti i momenti in cui pur stando in una sala piena di gente si sentiva completamente solo. E ci pensava, e tutto tornava ad essere come quattordici anni prima.
L'occhiata che la ragazza gli rivolse gli fece capire che non gli aveva creduto, e aveva fatto bene, ma il ragazzo non lo avrebbe detto. << Beatrisa? >> la chiamò, giocando con alcune ciocche more.
<< Sì? >>
<< Scusami >>
Lei lo fissò, con quegli occhi verde acceso, d'un tratto perplessa. << Io... >>, non era così facile. << Walter mi ha detto che vuoi partire per il fronte >> cambiò strategicamente discorso.
Mark lo notò, ma non disse niente in proposito: capiva benissimo quanto fosse difficile e frustrante per lei: per la ragazza il soldato era al contempo l'unica persona con la quale potesse parlare, e allo stesso tempo una di quelle che le aveva inflitto una delle umiliazioni più grandi. << Walter dovrebbe imparare a non divulgare i miei desideri >>
<< Quindi è vero? >> sembrava ancora più meravigliata.
Il soldato sospirò, sfiorandole ancora i capelli, e lasciando che si allontanasse quando ne mostrò il desiderio. << Era >>, non riuscì a trattenersi dal correggerla.
<< Perché volevi andartene? >>
Mark sorrise, con sarcasmo: a lui la risposta sembrava tanto chiara. << Pur condividendo questa politica, non vuol dire che mi piaccia vedere gente che viene annientata a livello di persona, né voglio esserne la causa >>, era il primo motivo, ma forse meno importante per il ragazzo. << e non voglio stare qui, con mio padre >>, aggiunse. Forse si stava esponendo troppo, ma con lei sembrava così facile.
<< E cosa ti lega a questo posto, adesso? >>
Mark le poggiò una mano sulla guancia destra, fissandola dritto negli occhi: << Se io me ne vado, chi si prenderà cura di te? >>
Rimasero ad osservarsi a lungo, con quell'interrogativo nell'aria, che li rendeva irrequieti. A Mark parve di vederla tremare, dopo un po', << Hai freddo? >> chiese, a bassa voce, portandole lentamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
<< Un po' >> mormorò la ragazza, in risposta.
Mark annuì, stendendosi sul letto e poggiando il capo sul cuscino. << Vieni qui >> le disse, aprendo appena le braccia. << Avanti >> la incitò, aprendosi in un sorriso rassicurante, quano la vide esitare.
Bea alla fine gli si raggomitolò accanto e Mark la abbracciò, cercando di riscaldarla, senza troppa fretta e parve riuscirci, almeno in parte. Sorrise, dolcemente, quando la vida iniziare a riposare con tranquillità, con il capo poggiato sul suo petto ed il respiro più lento. << Buona notte, soldato >> mormorò nel dormiveglia. Le sfiorò i capelli e rimase ad osservarla dormire per più di un'ora, prima di essere colto a sua volta dal sonno.


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
2 Gennaio 1944
13:30

Quello era stato il miglior risveglio e la miglior mattinata che Mark Schreiber avesse mai avuto. Gli era capitato già molte volte, di svegliarsi accanto ad una donna, ma nessuno di quei risvegli lo aveva sconvolto emotivamente come quello, e non c'era nemmeno stato un rapporto sessuale la notte precedente, era una cosa impressionante.
Si sentiva bene, come se ogni pensiero del giorno precedente fosse volato via, come se nessuno dei due si trovasse in una situazione spiacevole. Come se fosse appena nato qualcosa di cui non comprendeva a pieno l'entità e l'importanza. Raggiunse il padre, a tavola, sorridendo. Era una cosa strana: Mark Schreiber non sorrideva mai al padre. Beh, tecnicamente, nei suoi pensieri, non stava sorridendo al padre ma a se stesso e a Beatrisa Gurtsieva.
<< Come sono andati gli allenamenti? >>
Seconda cosa strana della giornata: suo padre non si interessava mai alla sua giornata. << Bene, come al solito >> rispose, scrollando appena le spalle, mentre Yelena serviva il pranzo. Non salutò la donna, non poteva ed era meglio che nessuno sapesse.
<< Beh, congratulazioni, sei stato promosso a caporale >> disse, serio.
Mark sorrise, << Ne sarei anche felice... ma cos'ho fatto? >> chiese, un po' stupito. Non aveva fatto niente altro oltre a badare a Bea e ad allenarsi.
<< Non è ciò che hai fatto, ma ciò che la Germania è sicura che farai >>
Una lieve smorfia si dipinse sul volto del ragazzo, << E cosa dovrei fare? >>
<< Partire per Leningrado, diretto al fronte >> spiegò il padre, come se fosse completamente normale.
Il soldat... capotale Schreiber scosse il capo, << Non posso... Se andrò a Leningrado, morirò sicuramente >>, la situazione in Unione Sovietica si stava mettendo male per i tedeschi, era noto a chi lavorava nell'SS.
Hans Schreiber scrollò le spalle, << Non l'ho deciso io. Parti domani sera, forse è il caso che tu inizi a preparare le tue cose >>


Io non lo so chi c'ha ragione e chi no
se è una questione di etnia, di economia,
oppure solo pazzia:
difficile saperlo.
Quello che so è che non è fantasia
e che nessuno c'ha ragione
e così sia,
[Il mio nome è Mai Più - Ligabue ft. Piero Pelù]
   
 
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