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Autore: Schizophrenia    06/10/2011    0 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Dio cane!
Credo che questo sia il ritardo più grande che io abbia mai fatto! Però almeno sono riuscita ad aggiornare entro oggi, avevo seri dubbi anche su questa data, purtroppo.
Ci stanno caricando di compiti a casa ed interrogazioni, e quindi sono un bel po' impegnata, figurarsi che non esco quasi più.
Mi dispiace davvero tantissimo e vi porgo le mie scuse, cercherò di essere più puntuale, per il prossimo capitolo, mi dispiace sul serio.
Ad ogni modo, vi lascio in fretta al nono capitolo -molto importante, a dire il vero- sperando possiate godervelo. :3
Come sorpresina per farmi perdonare, ho anche trovato un'immagine che sarebbe perfetta per Bea e Mark, ve la posto. <3
Passo ai ringraziamenti. u.u

Ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:
- Bbw87
- Fairness
- Mareike Tiaycia
- OlandeseVolante
- Nadine_Rose
- niacara07

- Norine
Prusskj_Lazur
- ChyoChan
- la_regina
- Luc
- thegreenlady
- mau07
- NemesiS_
- Selena_
- Ipazia
- LadyGiulia
Coloro che la hanno inserita tra le ricordate:
- fedecaccy
- Rayne
- ElleBi
Coloro che la hanno inserita tra le preferite
- xxGiuls.
- kikka23
- elly04
- Karota
- Luna_LoveDark
- liz89
- Fairness
- Selena_
- lorenzablu
- orsetta
E infine alle magnifiche persone che hanno trovato il tempo di recensire:
- Prusskij_Lazur
- Nadine_Rose
- Stratos
- Ipazia
- Norine
- lorenzablu







Salviamoci la pelle.

-War.



Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
3 Gennaio 1944
10:30

Camminava e sbuffava. Era una situazione assurda: non poteva partire per l'Unione Sovietica di punto in bianco, la sera dopo, per di più! Non lo avevano avvisato, non avevano fatto assolutamente nulla per fargli capire che avrebbe dovuto dirigersi al fronte. Non era ciò che voleva nemmeno un mese prima? D'accordo, le sue priorità erano cambiate, ma non gli sembrava una cosa sbagliata voler rimanere ancora lì.
Si fermò ad osservare il fucile: sapeva usarlo come pochi soldati della sua età, era senz'altro una nota di merito e ne era sempre andato fiero, perché quella qualità gli sembrava tutto d'un tratto così insignificante? Sì, era esattamente quello l'aggettivo giusto: cosa c'è di significativo nel fermare la vita di una persona? La risposta, per il ragazzo, in quel momento si fermava al: "dipende dalla persona a cui appartiene"; non era ancora la risposta esatta, ma comunque rappresentava un passo avanti.
Prese l'arma tra le mani: avrebbe dovuto usarla molto presto e forse anche su civili. Non gli era mai capitato di chiedersi perché fare tutto quello: conosceva già benissimo la risposta, per la sua patria e la sua razza, ma soprattutto perché era quello che gli era stato detto di fare; da quando aveva iniziato ad eseguire gli ordini di qualcuno? Forse dai suoi quattordici anni oppure, senza rendersene nemmeno conto, ancora prima, alla morte di sua madre.
Rimise il fucile al suo posto, dopotutto non avrebbe comunque potuto fare niente per rimanere a Buchenwald, tranne tagliarsi un arto, ma quello non rientrava esattamente nella sua lista di cose da fare prima di morire. Doveva solo partire, e prendere le cosa come venivano. Non sembrava per niente facile nemmeno a dirsi, figurarsi come sarebbe stato difficile partire realmente per l'Unione Sovietica. La cosa che gli faceva più male era la consapevolezza di aver finalmente trovato qualcosa per cui lottare, per cui pensare senza eseguire gli ordini, ma non poteva disertare.
Per prima cosa, avrebbe dovuto parlare con Walter. Doveva salutarlo, lui doveva essere il primo a sapere che se ne sarebbe stato andato; Hoffmann gli era sempre stato accanto durante il lungo viaggio che rappresentava la sua vita. Lo aveva incoraggiato quando aveva deciso di arruolarsi nell'SS, lo aveva sorretto quando era morta sua madre, e lo aveva esortato a conoscere Bea, a prendersi cura di lei. Forse era quello il motivo per Mark Schreiber era sempre stato così legato al suo migliore amico: il secondo aveva fatto in modo che il primo non fosse mai davvero solo.
Era anche necessario avvertire Yelena della sua partenza, era a lei che doveva chiedere di portare la cena a Bea, era l'unica che potesse farlo; stavolta non era il caso di affidare il compito ad un futuro nazista, nemmeno ad uno come Derek, non era nelle loro mansioni fare ciò che lui faceva abitualmente e non era certo che sarebbero stati all'altezza della cosa, senza farsi scoprire da qualche superiore.
Magari Walter avrebbe potuto tenere compagnia alla ragazza, qualche volta.
Sarebbe stato tutto così difficile, e lui non era nemmeno sicuro di riuscire a tornare in Germania, non vivo almeno. I russi erano dannatamente bravi a combattere, avevano subito perdite enormi, ma si arruolavano ancora tantissimo ragazzi -anche di giovanissimi-, Mark non c'era ancora stato, ma sapeva che l'intera popolazione lanciava pietre e qualunque cosa avesse a portata di mano contro i tedeschi. Il ragazzo era sicuro di morire molto presto, si consolava pensando che almeno avrebbe potuto rivedere sua madre.
Doveva fare tutto, e in fretta: uscì dalla sua camera, sbattendo la porta e dirigendosi verso la cucina. Aveva tante persone da avvertire ed effettivamente non troppo tempo; sarebbe partito quella sera stessa, alle diciotto, e mancavano appena sette ore e mezza alle diciotto.
Trovò Yelena intenta nelle solite faccende domestiche: quella donna si affaticava troppo, o almeno era ciò che il biondo aveva iniziato a pensare da un po' a quella parte, era strano in effetti, non era solito preoccuparsi per le persone, ma ormai non ci faceva nemmeno caso, tanto gli capitava frequentemente. << Ciao >> le disse, avvicinandosi con cautela. Ormai lei doveva aver imparato a riconoscere la sua voce, o almeno pensava che fosse così.
<< Ciao, Mark, se sei qui per imparare qualcosa di russo tempo che dovremo rimandare >> la donna aveva pronunciato quelle parole senza staccare gli occhi dal suo lavoro, mostrandosi tuttavia calma e disponibile, << in questo momento ho molto lavoro, potresti tornare tra un paio d'ore >> suggerì, quasi per non scoraggiarlo.
Mark scosse il capo, << Credo che non m'insegnerai più il russo, Yelena >>, c'era una nota amara nelle sue parole: la scoperta di una nuova ed interessante lingua lo aveva entusiasmato in quei giorni, e applicarsi su di essa lo distraeva dal pensare a suo padre o ad altre cose che potessero arrecargli dolore, almeno finché non arrivava l'orario in cui poteva vedere Beatrisa.
La donna rise. Una risata semplice e chiara, che fece sorridere spontaneamente anche il ragazzo, << Credi di essere già così bravo? >> chiese, voltandosi per osservarlo. Sembrò ricredersi sulle parole appena pronunciate appena ebbe visto l'espressione dipinta sul volto del ragazzo.
<< Mi mandano sul fronte, a Leningrado >>. Abbassò lo sguardo, non riusciva a reggere quello quasi materno della russa; non quando rischiava di perdere tutto ciò che aveva da poco scoperto di possedere.
<< Bàtjuski!* >> esclamò la donna, portandosi una mano alla bocca. Sembrava preoccupata, preoccupata come Mark non l'aveva mai vista. << Tuo padre è d'accordo? >>, era stata esitante nel chiederlo, lei stessa non aveva esattamente un rapporto felice con quell'uomo, ma doveva obbedirgli.
Lui si passò una mano tra i capelli, biondo, << Credo sia stata una sua idea, ma non posso saperlo, dopotutto >> riuscì a dire. Non capiva cos'avesse spaventato tanto Yelena, << Cosa c'è di tanto terrificante a Leningrado? Un drago?! >> tentò di scherzarvi su.
Yelena gli lanciò uno sguardo di rimprovero molto chiaro, chiaro come era il messaggio che gli stava mandando: non scherzare sulla guerra, ci sei dentro fino al collo. << Russi difendono Leningrado meglio di qualunque altro posto, so che lì sono morti molti dei vostri soldati >> spiegò, una volta riacquistata la calma.
<< Beh, pensarci serve a poco; posso solo andare lì e cercare di fare il mio meglio per salvarmi la pelle e tornare qui, anche se inizio a dubitarne parecchio >>, sospirò, tenendo gli occhi fissi in quelli della donna stavolta, immergendosi in quel mare di protezione.
La donna scosse appena il capo, << Sei un ragazzo coraggioso, ma immagino tu sia venuto qui per qualcosa, no? >>,: capiva benissimo le intenzioni altrui e dopo quei giorni quelle di Mark erano un mistero solo in parte, aveva imparato a conoscerlo e ad ascoltare i suoi silenzi.
Il caporale annuì, << Esattamente. Devo chiederti un favore enorme e pericoloso, Yelena >>
<< Come se non fosse stato pericoloso tutto quello uscito dalle tue labbra fino ad ora >>
<< Bada a lei, assicurati che non le manchi niente e fa' in modo che stia bene >> la pregò, fissandola con uno sguardo che la donna riconobbe subito, ma che il ragazzo ancora non riusciva a comprendere.
Lei annuì, << Farò tutto ciò che posso per mantenere questa promessa >>



Weimar, Germania.
3 Gennaio 1944
13:15

Aveva pranzato dagli Hoffmann: i genitori di Walter fortunatamente non c'erano, anche se stavolta il caporale non aveva la minima idea di dove si potessero essere cacciati. Tutto sommato, non gli interessava nemmeno, era molto meglio così, dopotutto doveva parlare a Walter di questioni private e sarebbe stato senz'altro svantaggiato a farlo davanti a loro. Anzi, probabilmente non avrebbe potuto e basta, trovandosi costretto a trascinare via l'amico.
La tristezza aveva completamente travolto Schreiber: aveva certo voglia di tornare vivo dall'Unione Sovietica, ma dubitava seriamente di farcela. Non avrebbe più visto Walter, né Bea, ne qualsiasi altra persona. Forse avrebbe ritrovato sua madre, ma non poteva essere sicuro nemmeno di questo. Non aveva certezze, in quel momento, e le poche che aveva erano andate distrutte la sera precedente. Non era pronto a lasciarsi tutto alle spalle. Non era pronto a morire per degli ideali in cui ormai stentava a credere.
Ma doveva.
Doveva partire per l'Unione Sovietica.
Doveva lasciare Bea.
Doveva dimenticare tutto ciò che aveva realizzato nell'ultimo mese.
E, se necessario, doveva morire.
Cerco di non pensarci, ma non era facile. Se da una parte c'era l'egoistica pretesa di rimanere in vita ad appena vent'anni, dall'altra c'era la consapevolezza che, vinta o persa la guerra contro i russi, Bea sarebbe stata uccisa, ormai diventata completamente inutile per fini militari. Non poteva sopportare nessuna delle sue preoccupazioni in quel momento, ma doveva dire a Walter che sarebbe partito presto; non poteva lasciarlo lì, ignaro di tutto.
<< Allora, come mai hai fatto tutta questa strada in un giorno lavorativo? Ti hanno concesso dei punti in più per aver ucciso più persone, oggi? >> scherzò, il suo migliore amico, mentre si alzava ed iniziava a sparecchiare tavola. Era sempre stato portato nelle cose domestiche.
Mark tentò di sorridere, ne uscì qualcosa di tirato ed incredibilmente falso. << Non proprio >> rispose, alzandosi a sua volta per aiutare l'amico, pur sapendo di essere un completo disastro in quelle cose. << Sono venuto per salutarti, in verità >> prese la cosa non troppo alla larga, non ce l'avrebbe fatta a reggere una conversazione tanto lunga con una persona che stava per lasciare lì.
L'altro non comprese a pieno la gravità della situazione, ma si voltò ugualmente a guardare il giovane Schreiber, inarcando un sopracciglio, << Visita di cortesia, quindi? Non credevo che me ne avresti mai fatte, di solito sei pieno di problemi >> tentò ancora con l'ironia, che stavolta riuscì a strappare al ragazzo dagli occhi nocciola un sorriso quasi vero. Quasi, eh.
<< Parto per il fronte, Walter, stasera >> rispose, quasi subito, fissandolo dritto negli occhi. Come avrebbe fatto a lasciare il suo migliore amico da solo? No, non poteva morire, doveva tornare lì, vivo. Per Walter, per Bea e per se stesso.
Il biondo spalancò gli occhi e per un paio di minuti non riuscì a dire assolutamente niente. Sembrava sconvolto, come Mark non lo aveva mai visto. Come se gli avessero appena ucciso la persona più cara che avesse, o come se avesse appena saputo di avere una malattia terminale. Talmente stupido che probabilmente non aveva mai davvero pensato -nemmeno per un momento- che il soldato potesse realmente decidere di andare al fronte.
I secondi, i minuti passavano, ma nella stanza non si udiva suono. Rimanevano immobili, nella sala da pranzo, a fissarsi, senza proferire parola. Walter con quell'espressione stupida, e Mark con una calmissima, che nascondeva in realtà un profondo tormento.
<< Dove vai di preciso? >>, Walter Hoffmann era ansioso, si percepiva chiaramente dal suo tono di voce.
L'altro cercava di continuare a mostrarsi calmo, sebbene stesse per scoppiare. << A Leningrado >>
<< Quando tornerai? >>, il migliore amico del soldato cercava dir raccogliere più informazioni possibili sull'imminente partenza del suo migliore amico, stava anche cercando di pensare che sarebbe andato tutto bene, da ottimista qual era sempre stato, ma quella volta non gli riusciva tanto facile.
<< Quando sarà finito tutto credo >> ma i suoi pensieri dicevano più: forse mai.
Walter annuì, non riusciva a pensare, né a dire molto. << Hai paura? >>, sarebbe sembrata a tutti una domanda lecita. Era noto che Mark prima sarebbe partito di corsa per il fronte, ma Walter era il suo migliore amico, ed era riuscito a scorgere un profondo cambiamento in lui negli ultimi tempi.
Il caporale esitò: non era sicuro della risposta. << ... No >>, ma, anche se ti ostini a negarla, la paura c'è sempre. E' lì, come un'ombra e non ti abbandona mai; qualunque sia la tua preoccupazione, stai tranquillo che non sarai mai completamente da solo nell'affrontarla, sarai sempre vestito della paura, indosserai quelle vesti come il più pregiato degli abiti, impregnato del suo odore.
Fu difficile credergli, per il giovane Hoffmann, ma ci provò ugualmente. Gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. << Sai che sarò sempre dalla tua parte, ma questa è una cosa stupida e sono certo che te ne rendi conto anche tu >> tentò di convincerlo a lasciar perdere tutto.
<< Non è una cosa stupida, era il mio sogno >> replicò l'altro, con una smorfia. Era tutto ciò che aveva voluto, per un periodo e anche se c'erano mille motivazioni, forse sarebbero sparite, forse Bea era solo un capriccio momentaneo. Sapeva che non era così, ma cercava d'illudersi.
Un paio di occhi azzurro intenso lo fulminarono. << Appunto: era il tuo sogno. Desideri ancora partire per il fronte? Per allontanarti da cosa? Mi pare che emotivamente tu ti sia già allontanato molto dai tuoi problemi >>, sbottò, con voce più dura del solito. Troppo dura per appartenere davvero a quelle labbra d'angelo.
Schreiber sospirò, allontanandosi. << Non ho idea di cosa voglio, Walter, ma sono comunque costretto a partire; sai cosa significa disertare? >> era una domanda retorica, tuttavia il figlio del signor Hoffmann fece cenno di sì con un breve e veloce cenno del capo.
<< In questo caso, buona fortuna. Sappi che sarò qui ad aspettarti >>
<< E se non tornassi? >>, c'era un filo d'ansia nella voce del militare.
<< Tornerai, ne sono sicuro >> tentò di rassicurare sia se stesso, sia il suo migliore amico.



Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
3 Gennaio 1944
16:58

Gli erano rimaste appena un paio d'ore prima della partenza. Doveva assolutamente salutare Bea. Aveva pensato a tutto: i bagagli, anche se miseri - dopotutto cosa si portava esattamente con sé quando non si sapeva nemmeno se ci sarebbe stato un ritorno? -, aveva avvertito e parlato con tutte le persone con cui sentiva il bisogno di farlo, e aveva preso dei soldi. Quelli gli sarebbero sicuramente serviti, quelli facevano girare il mondo, o almeno la parte di esso in cui si concentra il potere.
Bussò piano alla porta di Bea, ma non ricevette risposta; non si meravigliò, la ragazza parlava poco, quando non era sicura di essere sola con lui. Aprì lentamente la porta, trovandola seduta sul pavimento di legno, a gambe incrociate: osservava il soffitto come se fosse la cosa più interessante del mondo. Attorno a lei aleggiava un'aria quasi magica, o almeno fu l'impressione che ebbe Mar Schreiber osservandola.
<< Posso parlarti? >> chiese, con un tono di voce stranamente dolce e, per una volta dalla sera precedente, davvero calmo. Si avvicinò lentamente, osservandole il viso infantile eppure così puro. Le si sedette accanto, e solo in quel momento la ragazza abbassò i grandi occhi verdi verso di lui.
Si aprì in un sorriso, << Certo, dimmi >>, sembrava che ormai la ragazza vivesse solo per quei piccoli momenti con il soldato nazista.
E se per Bea era un dubbio, per Mark era una sicurezza: mangiava, beveva, sparava, respirava solo per quelle ore. Solo per vederla sorridere, per scrutare i suoi occhi così intensi e profondi, per percorrere con lo sguardo le linee del corpo, sulla pelle delicata e diafana. Schreiber era profondamente turbato dalle reazione che le provocava quella ragazza: non poteva essere semplice attrazione fisica, no, conosceva bene com'era fatta quella e non comportava quegli atteggiamenti di assoluta dipendenza. Si drogava di lei, ecco cosa faceva, tramutava il suo odore in ossigeno.
Il ragazzo si avvicinò cautamente a lei. La prima volta che si era avvicinato così tanto era stato per violarla. Si sentiva così stupido ad aver fatto una cosa tanto senza significato. La osservò negli occhi per quale istante, senza decidersi a parlare. Era stato facile dire a Yelena che se ne sarebbe andato, anche se si era affezionato a lei. Era stato difficile dire a Walter che stava partendo per l'Unione Sovietica e che forse sarebbe morto, ma non era minimamente paragonabile alla dolorosa e rumorosa lotta in atto nel suo petto e nel suo cervello.
Gli erano state insegnate tante cose: aveva imparato ad odiare i comunisti, e a considerare qualsiasi popolazione esistente come inferiore alla pura razza ariana. Gli era stato insegnato che un bravo soldato non pensa con la propria testa, perché rischierebbe di mandare in crisi le ottime strategie di un generale; gli era stato insegnato come idolatrare Hitler nel modo più assurdo, come con il saluto nazista; gli era stato insegnato che quella bandiera significava libertà e gloria per i tedeschi, ma nessuno gli aveva mai insegnato come dire ad una ragazza: mi dispiace, sono costretto ad abbandonarti.
Soprattutto quando non era ciò che voleva davvero fare. Voleva solo rimanere lì a fissarla ancora un po', fino al momento della morte.
Allungò una mano, sfiorandole i capelli corvini e riportandogliene una ciocca dietro l'orecchio. Li aveva lavati recentemente, ed erano ancora più belli del solito: tutto in quella ragazza quel pomeriggio e in quella camera sembrava urlargli di resta, che non ce l'avrebbe fatta da sola; ma lui non poteva dare ascolto a quelle urla.
Bea Gurtsieva posò una mano dalle dita lunghe e sottili su quella di Mark, che era scivolata su di una guancia di lei. << Cosa c'è, soldato? >> chiese e doveva esserci qualcosa nello sguardo di Mark che l'aveva allarmata perché in quel momento sembrava preoccupata a sua volta.
<< Sto per partire >>
Fu un mormorio, un rifiuto di credere alla realtà. Poche parole dette a mezza voce, nella speranza che siano solo un incubo. Ripensò a ciò che aveva detto a Walter: era il suo sogno partire per il fronte; il suo amico aveva ragione, era il suo sogno, ormai aveva altri sogni, altri obiettivi, altri motivi per andare avanti che non fossero uno stupido fucile. Non stava rinnegando i suoi ideali nazisti, no, non erano una cosa che si spazzava via così facilmente. Semplicemente stava cercando di aprirsi alla ragazza, completamente.
Il volto di lei mutò in un'espressione triste, << E dove andrai? >> chiese, come se fosse una cosa ovvia farsi quella domanda.
Mark continuò ad osservarla negli occhi, mentre parlava, << Non è un viaggio di piacere: vado sul fronte, a Leningrado >> tentò di spiegarle. La reazione di lei lo stupì: gli si era gettata letteralmente tra le braccia. Non piangeva, ma si stringeva contro il suo petto, raggomitolandosi e cercando calore, cercando protezione, cercando tutto ciò che lui non gli aveva ancora dato.
Mark Schreiber sospirò, senza sapere esattamente cosa fare. Non si era mai trovato a provare affetto per una ragazza, non seriamente almeno. Tutte le volte che stava con una ragazza era solo per il sesso, ma ad ogni modo ciò non capitava più spesso come un paio d'anni prima, aveva totalmente rinunciato al rapporto con l'altro sesso. L'unica fiamma era stata la violenza a Bea dopo così tanti anni.
Le poggiò una mano sul capo, iniziando a giocare con i capelli corvini di lei, attorcigliandoli tra le dita, carezzandoli, seguendo le linee morbide dei boccoli. Trovava i capelli di lei perfetti. Trovava gran parte delle cose in lei, perfette, ma non avrebbe mai avuto modo di dirglielo. Insomma, lui non era tipo da fare certe cose!
<< Non andartene >> le sentì mormorare.
Non capì subito il senso delle parole di lei: dopotutto non si era mai sentito indispensabile per nessuno, ma dopo qualche istante riuscì finalmente a rendersi conto di una cosa: lui era l'unica persona su cui Bea Gurtsieva potesse davvero fare affidamento lì dentro, nonostante tutto ciò che le aveva fatto e di cui si vergognava. Le cinse le spalle con un braccio, mentre l'altra mano continuava ad accarezzarle i capelli. Sospirò ancora, e ancora. Quando lei gli era vicino, voleva davvero restare. << Non penso sia possibile >> rispose, e purtroppo era vero. << se resto, mi uccideranno>>, aggiunse.
Beatrisa si scostò appena ed annuì, con sguardo forte, deciso. Con fermezza ritrovata, con gli occhi che le brillavano di un verde acceso diverso da quello che Mark le aveva sempre visto.  Poggiò nuovamente la schiena contro la parete e sorrise, un po' in modo finto ma lo fece lo stesso, e il ragazzo gliene fu grato. << Vai. Sono forte abbastanza, vai; ma torna indietro, soldato, il prima possibile >> gli intimò, fissandolo dritto negli occhi nocciola.
I loro sguardi si stavano fondendo. Si guardavano come se fosse la prima, come se non fosse in un lager e non ci fosse alcuna differenza tra di loro. Si guardavano come due ragazzi che si erano conosciuti normalmente, che avevano una vita normale e che non seguivano nessun preciso orientamento politico. Erano solo Mark e Bea, due ragazzi che trovano la forza l'uno nell'altra.
Il ragazzo si avvicinò a lei. Aveva il viso rilassato e calmo, di chi non ha assolutamente idea di ciò che sta facendo, ma avverte il bisogno impellente di farlo. Poggiò una mano contro il muro, appena sopra la spalla della ragazza. Era a pochi centimetri da lei e riusciva a sentire il suo respiro, il suo odore. Riusciva a sentire la pelle bruciare al contatto con il suo odore, una sostanza così pura: sapeva di vaniglia. Era frastornato, ma continuava ad osservarla, la osservò mentre chiudeva gli occhi, vide le labbra di lei tremare lievemente. Chiuse a sua volta gli occhi, avvicinandosi a lei, tanto da sfiorare il suo naso con il proprio. Riusciva a respirare del suo stesso fiato, ormai, le loro labbra erano ad un soffio, quando Mark capì effettivamente ciò che stava succedendo: si allontanò di poco, con il respiro veloce e poggiò la fronte contro la sua.
Non poteva baciarla, era contro qualsiasi legge in vigore in Germania in quel periodo; e non poteva perché non era il solito bacio, non era stato semplice uso sessuale della persona deportata. Era qualcosa di più, ma il ragazzo non poteva -o forse non voleva- accettarlo. Preferiva pensare che fosse tutto frutto della partenza imminente, e del fatto che non frequentasse davvero una ragazza da un sacco di tempo.
Rimase con la fronte contro la sua, finché lei non aprì gli occhi. << Tornerò il prima possibile, te lo prometto >> disse solo il ragazzo, prima di alzarsi e sparire via, preda del tumulto che si era formato dentro di lui.


Unione Sovietica.
4 Gennaio 1944
22:43

Caro Walter,
I bombardamenti sono appena cessati e ho l'occasione di scriverti due righe.
Non avevo assolutamente idea di cosa pensavo, quando desideravo ardentemente venire qui. Regna il caos, non ci sono regole al gioco: si attacca anche di notte, si fanno delle imboscate. Tutto ciò che può portare alla vittoria è lecito. Cosa vedo da cui?
Fumo. E' ovunque. C'è anche tantissima neve, sono convinto che odieresti l'Unione Sovietica, Walter! E' divertente prenderti in giro. Non so se riceverai mai questa lettera -sai, a causa della censura-, ti parlerò di quello che succede qui, senza preoccuparmi di farti sapere la verità, senza cercare di trasfigurarla, come ci arrivano ti arrivano le notizie a Weimar, come credo arrivino in tutta la Germania.
Non hai idea di cosa sia la guerra finché non vedi le persone che ti sono accanto morire. Finché non avverti il terrore percorrerti la spina dorsale quando una bomba viene sganciata verso di te. Non sono forti, in quanto ad aviazione, questi russi, ma resistono benissimo. Sembra che qualunque cosa succeda siano sempre pronti sul campo di battaglia. Ne hanno uccisi tantissimi solo oggi, eppure non sembrano diminuire.
Noi tedeschi siamo ormai ridotti male qui. Non so com'è la situazione nel resto dell'Unione Sovietica, dato che continuando a mentirci sul giornali di Hitler! Non hai mai letto che stiamo perdendo tutti i nostri uomini, vero? Certo, solo i potenti e chi muore per la Germania lo sa. Ci hanno sempre detto che la Russia sarebbe stata territorio facile, e invece quest'assedio va avanti da tantissimo tempo. Non so cosa pensare.
Ci sono tantissimi ragazzi della mia età, molti anche più giovani. Fa così male il pensiero che moriranno anche loro, molto presto. Morirò anche io, presto, Walter, lo so. Mi è bastato un giorno qui, per vedere i cumuli di cadaveri. Perché è scoppiata questa guerra, Walter?
Perché mi sono arruolato?
I tedeschi non si comportano nel migliore dei modi, inoltre. Gli aerei lasciano cadere volantini sul territorio, con la proposta ad unirsi al nostro esercito, poi ci sono l bombe, e alla fine vengono lanciati dei regolari moduli di adesione. E' una cosa davvero stupida; se lo facessero i russi, non mi unirei mai a loro, combatto per il mio paese, non per quello che vince. E la Germania riuscirà a vincere, Walter, te lo prometto. Tornerò a casa.
Pur ammettendo che la censura non bruci direttamente la mia lettera, devo capire come inviarla. Non dev'essere facile e sono nuovo qui. Non so, comunque, se scriverò di nuovo. Potrei sempre non avere più le mani, quando avrò un attimo di tempo per scriverti un'altra lettera, non credi? Lo so, odi il mio sarcasmo, conosco perfettamente la faccia che faresti leggendo quest'ultima affermazione, ma la cosa non fa che divertirmi e c'è davvero bisogno di sorridere quando punti un fucile contro militari e civili, tra cui anche ragazzini di nemmeno diciassette anni che giocano a lanciarci le pietre contro. Mi fa pena ucciderli, ma devo, e lo faccio.
Nella zona dove sono stato messo, e dove dovrei dormire tra poco, c'è un ragazzo, dell'aviazione, fuma. So che la cosa ti infastidirebbe, quindi ho evitato di accettare la sigaretta che mi ha offerto, sebbene tu sappia che il fumo mi rilassa tantissimo. Non fumo una sigaretta da un anno e mezzo, avrei anche potuto concedermela, non trovi? Ho evitato, amico mio, se la guerra vuole permettermi di vivere ancora qualche decennio, non vorrei che un tumore o qualsiasi altra cosa rovinasse i miei ultimi anni di vita.
Mi ha spiegato parecchie cose. Stanotte lui deve bombardare la Neva, un fiume che permette a Leningrado di ricevere cibo e all'esercito di avere rinforzi. E' completamente ghiacciato, ma con qualche bomba il ghiaccio verrà giù e i russi non potranno più attraversarlo. Mi ha lasciato tutte le sue munizioni: è sicuro di morire stanotte, mi ha detto che proprio per la sua importante funzione i russi ci tengono a quel fiume.
Effettivamente, se fossi in loro, anche io me lo terrei stretto.
E' proprio il caso che ti saluti, probabilmente stanotte dovrò riprendere in mano il fucile.
Tornerò vivo con in alto la bandiera nazista, 

Mark Schreiber



Unione Sovietica.
7 Gennaio 1944
5:02

C'è un attimo di calma in questo venerdì mattina, Bea,
Non sono riuscito a spedire la lettera che avevo scritto a Walter, di conseguenza credo che non spedirò nemmeno questa, ma far finta di parlarti mi fa sentire bene, come quando venivo a trovarsi lì, nel campo di lavoro, in Germania.
Spero che Yelena non si sia fatta scoprire. Mi fido di lei, ma ne va della tua vita. Sono convinto che mio padre starà provvedendo a te: torture e cose del genere. Credo che per questo dovrò odiarlo più di quanto già non faccio normalmente.
Volevo chiederti scusa per l'ultimo pomeriggio passato insieme, ma credo che da vicino non lo farò mai, e lo sai anche tu. Non avrei dovuto avvicinarmi così tanto a te, non so quale siano stati i tuoi pensieri, ad ogni modo scusami, non avrei mai dovuto. Sei sempre una di loro dopotutto, ed io non posso tradire il mio paese, per quanto avrei desiderato farlo quel pomeriggio.
No, non riesco a mentirti, nemmeno se in una finta lettera che non ti invierò mai. Diserterei adesso stesso, se potessi trovare un qualunque modo per salvarti.
Non riesco a scriverti molte cose. Sento le bombe cadere poco distanti, non ho paura. Pensarti mi mantiene attivo sul campo. Ho un motivo per tornare a casa, tu non credi?
Il ragazzo dell'aviazione che avevo conosciuto è morto sul serio, aveva ragione. Non sono nemmeno riusciti a rompere la lastra di ghiaccio che ormai è diventato il fiume Neva, e i rinforzi per i russi continuando ad arrivare. Oltretutto mi pare che dalla loro ci siano moltissimi medici americani.
Perdonami per la brevità di questa missiva. Non c'è mai tempo in guerra,
Con affetto,

Mark Schreiber



Unione Sovietica.
9 Gennaio 1944
00:21

Bea,
Le speranze tedesche stanno precipitando una ad una; ma io sto imparando da quest'esperienza.
A cosa serve in realtà la guerra? Ovunque mi giro sento solo puzza di bruciato,  cumoli di cadaveri, molti di più di quanti ne vedevo nel campo. I nazisti che lavorano nei campi di concentramento sono dei veri codardi: con quale coraggio si spara ad un deportato disarmato, morente di freddo e senza alcuna possibilità -credo che arrivati al punto in cui sono loro non ce ne sia nemmeno la volontà- di difendersi. Sparare contro chi ha un fucile più grosso del tuo è molto più difficile.
Inizio ad essere stanco, Bea, non è facile reggere questi ritmi. Non è facile uccidere ogni giorno e vedere il sangue scorrere come tanti piccoli fiumi. Non è facile stringere dei rapporti e vederli morire il giorno dopo.
Qui fa freddo, Walter ha ragione: inizio ad odiare la neve. Neve e sangue è un composto schifoso.
Non riesco a smettere di pensare a te,

Mark Schreiber



Unione Sovietica,
13 Gennaio 1944
17:46

Le cose si mettono sempre peggio per i tedeschi, Bea.
Ho paura. Siamo rimasti davvero in pochissimi, nemmeno i russi sembrano messi bene, ma se la cavano.
Scusa, non riesco a scrivere, ho le mani congelate.

Mark



* Bàtjuski! (russo) = esclamazione, non come traduzione letterale ma sarebbe qualcosa del tipo "Oddio!" o "Santo cielo!"




E voglio il nome di chi si impegna
a fare i conti con la propria vergogna.
Dormite pure voi che avete ancora sogni.

Eccomi qua, seguivo gli ordini che ricevevo
c'è stato un tempo in cui io credevo
che arruolandomi in aviazione
avrei girato il mondo
e fatto bene alla mia gente,
fatto qualcosa di importante.
In fondo a me, a me piaceva volare...

C'era una volta un aeroplano,
un militare americano,
c'era una volta il gioco di un bambino.
E voglio il nome di chi ha mentito:
di chi ha parlato di una guerra giusta;
io non le lancio più le vostre sante bombe.
[Il mio nome è Mai Più - Ligabue ft. Piero Pelù]
   
 
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