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Capitolo 19.
Quantico, Virginia
Fermò la macchina sotto casa di lui e spense il motore,
appoggiandosi allo schienale con un sospiro. Era passata a comprare
caffè e ciambelle, pensando che gli avrebbe fatto piacere
mangiare qualcosa appena alzato. Si morse il labbro nervosa, dicendosi
che forse non era stata una buona idea. Era sparito per una settimana
senza chiamarla, senza farle avere notizie e lei si era sentita persa e
abbandonata.
Non sapeva neanche lei dove avesse trovato il coraggio di lasciargli
quel messaggio in segreteria il giorno prima. Il loro rapporto non le
era ben chiaro e, a volte, si sentiva di troppo. Le aveva chiesto di
essere la sua ragazza e avevano cominciato a frequentarsi con
regolarità, ma la vita di lui era ancora avvolta nel mistero.
Non le parlava mai del suo lavoro e dei suoi colleghi, come se il loro
rapporto e la sua vita fossero due cose distinti destinate a non
incontrarsi mai.
Era per quello che non lo aveva chiamato sul cellulare, timorosa che
lui fosse in compagnia dei suoi colleghi e che magari si potesse
sentire scocciato di quell’intrusione, forse si sarebbe
addirittura arrabbiato. E così aveva finito per passare le
serate davanti al telefono sperando che squillasse, che lui si
ricordasse di lei e che decidesse di farle sapere che stava bene.
Sentì una lacrima scenderle lungo il viso, mentre rifletteva
che, nonostante lui l’avesse definita la “sua”
ragazza, lei era come un’estranea che ogni tanto entrava di
straforo in un mondo dove non era bene accetta.
Quel periodo senza sentirlo le aveva chiarito determinati fatti. Si era
innamorata e probabilmente il sentimento non era ricambiato, quindi era
inutile esternare i propri sentimenti. Tirò giù il
parasole e cercò di sistemarsi guardandosi nel piccolo specchio,
era contrariata da quelle occhiaie scure che rivelavano quanto poco
avesse dormito negli ultimi giorni.
Voltò gli occhi verso le finestre dell’appartamento di
Spencer, pensando che c’era stata solo una volta, quando lui
aveva insistito per prestarle subito un libro di cui avevano parlato
per tutta la serata. Era rimasta una decina di minuti mentre lui
cercava il tomo “incriminato”, rimanendo ferma vicino al
divano e guardandosi intorno con occhio indagatore.
L’appartamento era in ordine, ma sembrava stranamente
impersonale, come se lui si limitasse a starci quando non aveva niente
di meglio da fare. Non aveva quell’aria vissuta che di solito
hanno le case, c’erano delle lauree appese alla parete, ma niente
fotografie. Ne aveva viste un paio su una delle numerose librerie, che
strabordavano di volumi. Non si era avvicinata, pensando che sarebbe
stata una specie di intrusione chiedergli chi fossero le persone nelle
foto con lui. Dopo che lui aveva trovato quello che cercava e glielo
aveva consegnato, si era offerto di riaccompagnarla a casa vista
l’ora tarda.
Scese dalla macchina afferrando la scatola e le due tazze che aveva
comprato allo Starbucks che frequentavano di solito. Era molto
abitudinari nelle loro uscite. Sempre la stessa caffetteria, sempre lo
stesso cinema, sempre lo stesso parco. Si ritrovò a riflettere
che anche quello era un modo per chiudere la loro relazione dentro una
specie di campana di vetro, non c’era possibilità di fare
incontro fuori dall’ordinario. Dopo due mesi, l’unico
collega e amico del suo ragazzo che aveva conosciuto era Derek Morgan,
il vicino di casa di sua cugina.
Con Fanny non aveva più affrontato l’argomento Spencer.
Non che lui le avesse chiesto di mantenere il riserbo, ma avvertiva che
se lui non aveva voluto parlarne con Morgan sarebbe stato indelicato da
parte sua parlarne con sua cugina. Aveva timore che lei potesse
parlarne con il ragazzo moro e che questi potesse andare da Spencer per
parlare della loro relazione, era convinta che la cosa non avrebbe
fatto piacere al ragazzo. Così si era chiusa alle spalle la
possibilità di chiedere consiglio a chiunque su quella storia,
piegandosi a quelli che supponeva fossero i desideri di lui.
Si disse che era meglio così, a conti fatti. Prima o poi sarebbe
stata lasciata e le sarebbe già stato pesante riuscire ad
uscirne con il cuore spezzato, senza dover dare anche spiegazioni a
qualcun altro sul fatto che lei e Spencer non stavano più
insieme. Mille cose le frullavano nella mente mentre si avvicinava al
portone. Aveva ventisei anni ed era ancora vergine, non aveva mai
incontrato un ragazzo con cui avesse provato il desiderio di vincere la
sua naturale timidezza in certi ambiti. Di solito i ragazzi che
frequentavano, per quanto calmi e tranquilli come lei, finivano per
farle capire che volevano andare “oltre” e lei si ritrovava
scaricata in un battibaleno appena saltava fuori la storia della sua
inesperienza nel settore.
Con Spencer era diverso, lui non aveva mai allungato le mani e si erano
limitati a qualche bacio senza che lui mostrasse interesse ad andare
oltre. Forse non la trovava abbastanza attraente. Le uscì un
altro sospiro dalle labbra: lei provava una forte attrazione per lui,
anche a livello fisico, ma era troppo timida per fare il primo passo. E
se poi lui avesse riso di lei e della sua verginità? Chi voleva
sobbarcarsi una perfetta imbranata che non sapeva neanche da che parte
incominciare?
Il portone era socchiuso e lei entrò nell’androne delle
scale con passo incerto, mentre affogava ancora in un mare di pensieri
che la portavano sempre alla medesima conclusione: era una tappabuchi,
lui la chiamava solo quando non aveva niente di meglio da fare. Eppure
a lei andava bene anche così, purché lui non uscisse
completamente dalla sua vita era disposta ad essere solo un ripiego. Si
impose di mandare via quel groppo che sentiva alla gola e di
comportarsi normalmente, non voleva certo che lui decidesse che non
voleva una piagnona fra i piedi.
Fece a piedi i due piani fino all’appartamento di Spencer, aveva
evitato l’ascensore per darsi il tempo di ricomporsi prima di
arrivare da lui. Si fermò davanti alla porta e prese un lungo
respiro, mentre allungava la mano libera verso il bottone del
campanello. Avvertì dei rumori dietro la porta chiuso e poi
l’uscio finalmente si aprì, mostrando uno Spencer stupito
che la guardava sbattendo le palpebre mentre teneva nella mano libera
il telefono.
- Ciao, stavo per chiamarti – disse sorridendole.
- Scusami, avevo pensato di portarti la colazione
– distolse lo sguardo preoccupata di una suo eventuale reazione
negativa a quell’iniziativa – Forse dovevo chiamarti
prima… oppure aspettare che mi chiamassi tu.
- Entra – il sorriso ancora stampato sulle
labbra – E’ una bella sorpresa. Grazie per la colazione.
- Niente.
Si avviò decisa al tavolo e posò i contenitori sul
ripiano, mentre si voltava lentamente ad osservarlo. Aveva addosso
ancora i pantaloni del pigiama e una maglietta a mezze maniche, doveva
essersi alzato da poco visto l’aspetto trasandato. Lo
fissò mentre rimetteva a posto il telefono e poi si girava a
guardarla.
- Scusa l’abbigliamento, mi sono appena
svegliato e devo ancora farmi la doccia – si giustificò
lui facendo un passo in avanti – Ci metto dieci minuti,
perché non ti metti comoda nel frattempo?
- Scusami tu, non dovevo piombarti in casa senza
preavviso – abbassò di nuovo lo sguardo stringendo i pugni.
Lottava con se stessa per non scoppiare a piangere e non chiedere
spiegazioni per quell’assenza prolungata, corredata da una totale
mancanza di telefonate da parte del ragazzo. Improvvisamente le gambe
di lui entrarono nel suo campo visivo e fu costretta a rialzare la
testa. Spencer allungò le mani verso il suo viso e poi si
chinò su di lei per baciarla. Si impose di non fare niente, di
non seguire quell’impulso di stringersi a lui e fargli capire
quanto desiderasse che lui non si allontanasse. Dopo averla baciata,
invece di allontanarsi, poggiò la fronte sulla sua e continuando
ad accarezzarle il viso con le mani.
- Piomba qui quando vuoi – le disse in un sussurro – Mi sei mancata.
Lo vide allontanarsi e sparire dietro la porta del bagno, si
girò tornando a respirare normalmente. Si portò una mano
alle labbra e chiuse gli occhi, la frase che aveva detto l’aveva
rincuorata. Gli faceva piacere vederla e non considerava
un’intrusione inaccettabile il fatto che lei gli avesse portato
la colazione senza avvertirlo. Si abbracciò le spalle e si perse
in un momento tutto suo, al ricordo del calore e dell’odore di
lui, per non parlare del sapore delle sue labbra.
Voleva che lui uscisse dal bagno e continuasse a baciarla, per
poi… Sentì il rossore arrivarle prepotentemente alle
guance, mentre si rendeva conto che non aveva mai desiderato nessuno
come desiderava il ragazzo. Era innamorata e voleva dividere tutto con
lui. A volte si era detto che rasentava la logorrea quando parlavano,
gli raccontava tutto della sua infanzia alla fattoria del nonno, dei
ricordi che aveva di suo padre, delle giornata alla biblioteca…
voleva renderlo partecipe di tutta la sua vita, come se raccontargli
tutto quello che aveva visto e sentito lo facesse essere parte
integrante del suo passato oltre che del suo presente.
Aprì gli occhi e si girò verso le librerie che riempivano
tutta una parete. I libri erano letteralmente stipati all’interno
dei ripiani ed era un miracolo che quelle poche foto che spuntavano qua
e là non cadessero. Si avvicinò furtiva, rassicurata dal
rumore della doccia che le garantiva di non essere colta in
flagrante. Esaminò attentamente le fotografie
incorniciate. Il soggetto era sempre lo stesso: lui ed un gruppo di
persone sedute intorno ad un tavolo. In tutte le foto era presente
Derek, quindi era logico supporre che quelli fossero i suoi colleghi
dell’F.B.I., quelli che aveva definito i suoi amici.
Notò anche che in tutte le foto lui era seduto vicino ad una
ragazza bionda e molto bella, in alcune foto, affianco a lui era seduto
un uomo più grande. Dovevano essere state scattate nel corso
degli anni, vista la diversa lunghezza dei capelli di Spencer.
Improvvisamente l’uomo più grande spariva, così
come non c’era più traccia di una ragazza mora. I due
personaggi sconosciuti erano stati rimpiazzati da un altro uomo
più grande, con un pizzetto e dall’aria paterna, e da
un’affascinante ragazza mora dal sorriso aperto. In tutte le foto
apparivano anche un uomo sui quarant’anni dall’aria seria e
composta e una ragazza bionda vestita in modo colorato e stravagante.
La sua attenzione si focalizzò di nuovo sulla ragazza bionda
dagli occhi blu. Spencer era sempre seduto accanto a lei, anche se gli
altri occupavano posti diversi a seconda della foto, e sembrava sempre
allegro e sorridente. Una foto più di tutte la colpì:
Spencer non guardava l’obiettivo del fotografo, era girato verso
la misteriosa bionda e le sorrideva con uno sguardo adorante. Prese la
foto in mano per osservarla meglio e solo allora si rese conto di non
essere più sola nella stanza.
Lui era fermò a pochi passi da lei, vestito e con i capelli
ancora umidi. Si guardarono per quella che parve
un’eternità, senza che nessuno dei due proferisse parola.
Continua…
P.S. Ehi tu, sì dico proprio a te che leggi questa pazzia di
FF... potresti lasciarmi un commentino? Mi piacerebbe sapere se ti
piace oppure no. Grazie.
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