Oceani_3
ATTO III:
PORTO RICO,
STIVA DELLA CARAVELLA › MAR DEI
CARAIBI, 1768
LOADED TO
THE GUNWALL [1]
«Adesso
spiegami cosa ci fa qui quel moccioso, Gale,
spiegamelo!» sbraitò per l’ennesima
volta Cid, continuando a camminare avanti e
indietro nella cabina, nervoso a dir poco. Aveva
cominciato quella solfa nel momento stesso in cui ero
tornato alla caravella con quel ragazzo al seguito, trascinandomi via
da lui in
modo che potessimo parlare a quattr’occhi senza la sua
costante presenza. Tentare poi di calmarlo era stato
completamente inutile, anche perché aveva cominciato a
tamburellare
nervosamente con le dita sul tavolo, spiegazzando qualche cartina e
rovesciando
persino due bottigliette d’inchiostro quando alla fine si era
alzato in piedi
per iniziare quel via vai continuo che mi aveva fatto dolere la testa.
«Te l’ho detto, Cid, mi ha seguito»,
sbuffai, sorreggendomi il viso sul dorso di una mano.
Lui, però, mi
fulminò con lo
sguardo. «E non potevi cacciarlo?»
sbottò irato. «Ti avevo detto di prendere da
mangiare, non di raccogliere un topo di sentina!»
«Calmati», provai,
sebbene sapessi
che avrebbe potuto continuare a rimproverarmi per ore. «Stai
facendo questioni
per un’idiozia».
«L’idiozia
l’hai fatta tu nel
momento stesso in cui hai portato qui il ragazzo»,
rimbeccò scorbutico,
fermandosi finalmente e dando un po’ di tregua ai miei occhi.
Non ne potevo
davvero più di vederlo fare avanti e indietro.
«Sai bene qual è la nostra
destinazione, Gale... ti sembrava forse il caso di trascinarti dietro
un
moccioso? Eri ubriaco?»
«Forse saresti dovuto venire
con
me, invece di tornare alla nave», ironizzai, adagiandomi
contro lo schienale
della sedia prima di reclinarmi un po’ all’indietro
insieme ad essa, in modo
che potessi poggiare uno stivale sul bordo del tavolo. Alzai anche
l’altro per
incrociare entrambi i piedi e stare più comodo, mentre nel
frattempo la mia
attenzione era interamente concentrata altrove, ma un pugno di Cid sul
tavolo mi
fece sussultare.
«Se sei così idiota
da portarti
appresso un moccioso pur sapendo
cosa dobbiamo fare, Gale, non venirmi a dire che dovrei controllarti
proprio
per questo. Hai ventisette anni, per la testa di Black Sam
[2],
comportati
come un uomo e cerca di non fare le solite stronzate».
«Io credo che il ragazzo debba
venire con noi», replicai, al che Cid si schiaffò
immediatamente il palmo della
mancina in faccia.
«Dannazione, Gale, non hai
sentito
ciò che ti ho appena detto?» sbottò
iracondo, passandosi quella stessa mano fra
i capelli. Si era liberato della bandana nel momento stesso in cui
quella
discussione fra noi era cominciata, lanciandola in un angolo lontano
della
cabina. Adesso giaceva inerme e solitaria accanto alle casse di viveri
nuovamente rifornite, afflosciata come la pelle di un serpente che
aveva appena
fatto la muta. «Se non sapessi che sei stupido di tuo, mi
chiederei che cosa ti
sia preso», soggiunse in uno sbuffo tutt’altro che
divertito, e avrei
volentieri risposto per le rime se un bussare alla porta non avesse
richiamato
la nostra attenzione.
Io e Cid ci guardammo, e fu proprio lui
il primo a riprendersi da
quello
stato di parziale e bizzarro scombussolamento. Troppo indaffarati nel
discutere, e tra l’altro abituati ad essere solo in due su
quella sottospecie
di caravella, ci eravamo quasi dimenticati della presenza del ragazzo.
«Va’
via, moccioso», abbaiò Cid. «Io e il
Capitano stiamo dibattendo, i mozzi non
sono ammessi alla nostra tavola».
Beh, da topo di sentina a mozzo.
Un passo avanti c’era stato. Riuscii a sentire
l’incertezza di quel ragazzo
anche attraverso il legno di cui era composta la porta, il che fu
incredibile. «Volevo
solo...» cominciò con un basso pigolio ovattato.
«Ho pensato che fosse giusto
informarvi del pattugliamento che la marina sta attuando giù
al porto».
A quelle parole quasi caddi dalla
sedia per colpa di Cid, che aveva sgranato gli occhi ed era corso alla
porta
così in fretta che quasi mi parve avesse un cazzo di grillo
al culo. La
spalancò con ben poca grazia e afferrò il ragazzo
per la camicia, portandoselo
ad una spanna dal viso con violenza inaudita. «Cosa diavolo
aspettavi a dirlo,
moccioso?!» sbottò, scansandolo di malo modo e
correndo fuori dalla cabina come
una furia, lasciando me e Patrick - se ben ricordavo il nome con cui
quel tipo,
Garrington, l’aveva chiamato - alquanto basiti.
«Ma che diamine gli
è preso?»
domandai, forse più rivolto a me stesso che al ragazzo. Non
avevamo ancora
fatto niente che ci facesse conoscere dalla marina del luogo e ci
facesse
prendere dunque di mira, ma allora perché tutta quella
fretta? Stornai lo
sguardo su Patrick, mettendomi in piedi prima di raggiungerlo sulla
soglia. «Andiamo,
ragazzo», lo spronai, attraversando il corridoio sottocoperta
per giungere alle
scale che portavano al ponte, e avrei anche cominciato a salirle con
tutta
calma se l’improvviso e brusco movimento della nave non mi
avesse fatto perdere
l’equilibrio.
Rischiai di cadere su Patrick, che
fortunatamente riuscì a sorreggermi pur essendo mingherlino
e poco in carne. «Sicuro
di non essere nei guai con la marina, Capitano?» mi chiese
scettico, e mi
voltai per fulminarlo con lo sguardo prima di calcarmi il cappello in
testa.
«Sicurissimo, corpo di mille
balene», sbottai, decidendo di tralasciare il modo dubbioso
con cui mi stava
osservando per prestare la mia attenzione al mio vice al di sopra del
cassero.
Di idiota me ne bastava già uno, a ben pensarci.
«Cid!» esclamai per
richiamarlo, vedendolo dinanzi al timone. Lo ruotava con una
velocità inaudita,
muovendo le mani in sincronia per evitare che gli scappasse e perdesse
così
l’inclinazione dell’imbarcazione, cosa che avrebbe
solo fatto oscillare la nave
in modo spaventoso.
«Non ora, Gale, sono
occupato!» strepitò
in tono rabbioso, e fu proprio in
quel mentre che mi accorsi del vociare proveniente dalla terra ferma.
Corsi
verso la poppa della nave e mi poggiai con le mani al parapetto di
legno,
sgranandogli occhi nel rendermi conto della moltitudine di soldati che
puntava
i fucili nella nostra direzione. Un gruppetto composto
all’incirca da una
ventina di uomini stava invece correndo verso l’ammiraglia
ormeggiata poco
distante, e tra loro distinsi l’ufficiale che aveva
organizzato l’incursione
alla locanda in cui avevo trovato Patrick.
«Quello è il
Commodoro Waine!»
esclamò incredulo quest’ultimo, facendomi
trasalire. Ero stato talmente assorto
nell’osservare quel caos che non l’avevo
minimamente sentito avvicinarsi. E
dire che quella nave scricchiolava che era una meraviglia, sia in mare
che in
porto.
«E che diamine vorrebbe da
noi?»
chiesi scettico, guadagnandoci uno sguardo stralunato.
«Se non lo sa lei,
Capitano...»
«Quante storie!»
sbottò Cid mentre
tentava di prendere il largo il più in fretta possibile,
nonostante il vento
non lo permettesse del tutto. Sferzava le vele senza gonfiarle del
tutto,
facendo sventolare sinistramente la bandana che fungeva da bandiera e
scricchiolare al tempo stesso i legacci che assicuravano la stoffa agli
alberi.
«Mobilitare persino un’ammiraglia solo per qualche
barile di polvere da sparo e
tre casse di ferraglia!»
Sebbene fossi stato più che
attento nell’osservare
la nave della marina
che levava gli ormeggi e spiegava le vele, nel sentire Cid mi voltai
immediatamente verso di lui a bocca spalancata. «Eri tu
quello che
cercavano, allora, topo di fogna che non sei altro!»
«Lui?»
domandò Patrick,
giacché
fin dal principio, come gli altri clienti della locanda, aveva creduto
cercasse
me. Che ragazzino di poca fede.
Non gli prestai attenzione,
gettando un’ultima occhiata all’ammiraglia prima di
correre incontro a quel
degenerato. «L’hai fatto di nuovo, vero?»
sibilai, risparmiandomi dal tirargli
un pugno solo perché era al timore.
La voglia di farlo davvero,
però,
tornò prepotente e divampò come fuoco vivo nelle
mie viene nel momento stesso
in cui lui sorrise. «Dovresti saperlo che ho un debole per la
divisa, Gale»,
ironizzò, nonostante non fosse affatto il momento di
scherzare. «Sarebbe andato
tutto liscio come l’olio se non mi avessero beccato proprio
mentre me ne stavo
andando».
Sentii una vena pulsarmi sulla
fronte. «Tu, ninfomane cleptomane che non sei altro, proprio
la marina
orientale dovevi derubare?!»
«Tu non hai idea
dell’armamentario
che hanno, Gale, è davvero formidabile!»
«Ma che diavolo vai
farneticando,
idiota?!»
«Ragazzi?» Patrick
ci richiamò con
voce incerta, e lo fulminammo entrambi con lo sguardo prima di
sbottare, «Che
c’è!» Lui non si lasciò
però intimorire, continuando soltanto a guardare al di
là del parapetto in poppa. «Questa bagnarola
resisterebbe a dei colpi di
cannone?»
Per qualche attimo io e Cid
sbattemmo le palpebre all’unisono, e fu proprio lui, passato
l’attimo di
parziale sbigottimento, a rispondere. «E’ talmente
malridotta che se venissimo
colpiti anche solo una volta allo scafo saremmo spacciati».
«Ah», fece il
ragazzo, e lo vidi
deglutire a fatica e stringere così forte le mani sul
parapetto che le nocche
sbiancarono. «Allora credo che siamo spacciati».
Capimmo con esattezza quel che
aveva voluto dire solo quando udimmo il cupo tuonare di un primo colpo
di
cannone. L’aria divenne satura di zolfo e polvere da sparo, e
le grida
provenienti dall’ammiraglia iniziarono a farsi sempre
più alte e vicine,
simbolo che stavano entrando sulla nostra traiettoria di tiro. Cid
imprecò a
denti stretti e tentò una brusca virata, rischiando quasi
che il pennone si
curvasse e che i legacci che assicuravano i tre alberi si spezzassero.
Sentii
Patrick lasciarsi sfuggire un’esclamazione sorpresa prima di
vederlo rinserrare
la presa sul parapetto, ma non ebbi il tempo di dargli retta
poiché avevo il
compito di spiegare la vela maestra. Più velocità
riuscivamo ad acquistare con
quella bagnarola, più possibilità avremmo avuto
di salvarci da quella
situazione.
«Cid!» gridai al mio
vice,
cercando di mantenere l’equilibrio mentre la nave oscillava
sotto ai miei
piedi. «Cos’altro hai rubato,
dannazione?!»
«Niente, giuro!»
urlò di rimando,
e fui quasi sul punto di credergli prima che lo vedessi con la coda
dell’occhio
tirar fuori dai pantaloni quella che sembrava una pergamena
spiegazzata. «Soltanto
la mappa per il paradiso!»
C’era da aspettarselo che
avrebbe
rubato qualcosa di sicuramente importante, maledizione a lui! Sarebbe
stato
troppo bizzarro se la marina avesse fatto tante storie solo per qualche
barile
di polvere da sparo e un po’ d’armeria.
«Questa è la volta buona che ti getto
in mare, Cid!» lo minacciai, imprecando a denti stretti prima
di correre ad
afferrare i legacci di tribordo.
«Fuoco alle
polveri!» gridò una
voce alla mia destra, ed ebbi appena il tempo di girarmi che una palla
di
cannone centrò l’albero di mezzana, spezzandolo
come se si fosse trattato di un
fuscello. Schegge di legno si disseminarono nell’aria
circostante, cadendoci
addosso come tanti piccoli frammenti di vetro. Cercare di proteggermi
il capo
fu un grosso sbaglio, poiché lasciai andare inavvertitamente
la corda e le vele
sventolarono furentemente nel vento che si era innalzato verso est.
Seguì il
sonoro tonfo della parte superiore dell’albero che si
schiantava contro la
balaustrata e il suo seguente crollo rovinoso in mare, spruzzando
zampilli
freddi in ogni dove prima di venire inghiottito dalle acque.
Un’altra grossa palla di
cannone
fischiò pericolosamente nei pressi della poppa, mancandola
miracolosamente solo
grazie ad un’ennesima e brusca virata che aveva compiuto Cid.
La nave oscillava
terribilmente e in modo spaventoso, tanto che era difficile mantenere
l’equilibrio senza aggrapparsi a qualcosa. Il suono delle
cannonate riempiva
l’aria e mi assordava, riportandomi al tempo stesso alla
memoria quanto era
accaduto anni addietro nel mio villaggio natale; con quei pensieri per
la testa
ghermii ciò che era rimasto dell’albero di mezzana
e volsi lo sguardo in
direzione di Patrick, che si teneva al parapetto per quanto le forze
glielo
permettessero. A peggiorare la situazione si era messo anche
l’annuvolarsi del
cielo e il calar della nebbia, simbolo che di lì a poco
sarebbe potuto
scoppiare un temporale che avrebbe potuto troncare la nostra fuga una
volta per
tutte.
«Patrick!» urlai,
allungando una
mano verso di lui come se farlo potesse servire realmente a qualcosa.
«Vieni
qui, ragazzo, muoviti!»
Mi guardò ad occhi sgranati e
spaventati, rinserrando maggiormente la presa su quello che era ormai
divenuto
il suo unico appiglio sicuro. Le grida provenienti
dall’ammiraglia della marina
si erano intensificate e, sebbene confusa
con il sibilo che sentivo nelle mie orecchie e lo sciabordio delle onde
che si
infrangevano contro la chiglia al suo passaggio, la voce del Commodoro
Waine
appariva la più alta e minacciosa di tutte, così
rabbiosa e altisonante da
sovrastare l’ululato del vento.
Senza perdere d’occhio
Patrick, almeno per quanto concessomi
dalla
visuale che andava pian piano sfocandosi, mi alzai in piedi tentando di
non
perdere l’equilibrio. «Cid, tutta a
tribordo!» ordinai al mio vice,
correndo il più in fretta possibile verso il ragazzo anche
se l’oscillare della
caravella non me lo permetteva. Lo afferrai per un braccio non appena
lo
raggiunsi, sentendolo irrigidirsi nel momento stesso in cui una palla
di
cannone sfrecciò sopra le nostre teste; oppose resistenza
quando cercai di staccarlo
da lì per portarlo al sicuro, e i suoi occhi ingigantiti
dalla confusione
sembrarono quasi sul punto di schizzargli fuori dalle orbite.
Urlò spaventato e
si aggrappò a me quando una palla fece breccia nella parte
superiore dello
scafo, facendo crollare su se stesso il lato ovest della nave. Il ponte
si
inclinò sotto ai nostri piedi all’improvviso, e io
ebbi appena il tempo di
aggrapparmi ad una colonna della balaustra, così da evitare
di scivolare di
sotto; Patrick allungò una mano per fare lo stesso, ma le
dita, rimaste troppo
a lungo strette intorno al parapetto, cedettero e gli fecero mollare la
presa,
e fu solo per miracolo che riuscii ad afferrarlo per il polso con la
mano
libera, vedendolo di sfuggita impuntare i piedi contro il ponte
inclinato per
darsi una spinta e non cadere. Strisciò sulle assi di legno
con i gomiti,
aggrappandosi con entrambe le mani al mio avambraccio e stringendo le
palpebre
così forte che naso e fronte gli si corrugarono. Sembrava
non voler vedere ciò
che gli accadeva intorno, ma anche ad occhi chiusi era alquanto
difficile
ignorare il dondolio sempre più sinistro della caravella.
«Figli d’un
cane!» La voce di Cid
apparve flebile e lontana a causa dei tuoni che avevano iniziato ad
esplodere
in cielo. «Quei bastardi fanno sul serio!»
Attraverso la foschia sempre più
densa lo vidi voltarsi nella nostra direzione, i capelli scompigliati e
sudati
gli ricadevano sulla fronte fin quasi a nascondergli gli occhi.
«Resistete un
altro po’, ragazzi! E tenetevi forte!»
Tenerci forte... och, beh,
facevamo quel che potevamo. Avevo cominciato a non sentire
più il braccio, e un
orribile formicolio stava iniziando a correre pericolosamente lungo di
esso,
simbolo che il sangue non stava circolando più come avrebbe
dovuto. Anche la
presa delle mani di Patrick stava divenendo meno salda, e pian piano le
dita
non ebbero più la forza necessaria per tenersi alle mie
braccia, facendo
inesorabilmente allentare la stretta; come a rallentatore lo vidi
spalancare
gli occhi ed aprire la bocca per dar vita ad un urlo senza voce,
scivolando
precipitosamente lungo le assi di legno del ponte e rotolando
rovinosamente su
se stesso.
«Patrick!» esclamai,
allungando
inutilmente una mano verso di lui ma vedendolo sparire oltre il
parapetto ormai
in frantumi. Boccheggiai incredulo, sentendo nelle mie orecchie solo
cupi suoni
distanti che non avevano nulla a che vedere con il possente tuonare dei
cannoni
che avevo udito fino a quel momento. Cosa diavolo avevo fatto? Nella
speranza
che quel ragazzino potesse essere la persona che avevo cercato
così a lungo
avevo lasciato che venisse con me senza fermarlo... ma a che scopo?
Avevo solo
lasciato che morisse in quel modo. Non me lo sarei mai perdonato.
«Vallo a prendere invece di
restare lì come un idiota, Gale!» La voce rabbiosa
di Cid mi riscosse dal mio
stato di torpore e alzai dunque gli occhi verso la sua figura ormai
sfocata, senza
riuscire a capire che cosa intendesse. Fu nel voltarmi verso il ponte
in cui
era sparito Patrick che vidi due mani aggrappate alla base: cercava di
resistere nonostante le schegge di legno che gli ferivano a sangue le
dita, e
il tremore scomposto che le animava lasciava intendere che di
lì a poco non ce
l’avrebbe più fatta.
Senza nemmeno riflettere mi
lanciai a capofitto nella sua direzione, lasciandomi scivolare lungo il
ponte
per raggiungerlo più in fretta. Quasi caddi
anch’io prima di riuscire a
frenarmi bruscamente, abbassando lo sguardo per capire con
l’esattezza la posizione di Patrick. Aveva poggiato entrambi
i
piedi ad una trave che era capitolata fuori dallo scheletro dello
scafo, ma a
causa dell’acqua che aveva cominciato ad impregnarla
risultava scivolosa e poco
affidabile.
«Prendi la mia mano, ragazzo!»
esclamai non appena riuscii a tenermi a qualcosa, allungando un braccio
verso
di lui per far sì che mi afferrasse. Cercando di issarsi e
di non capitolare di
sotto si slanciò un po’, sfiorando la mia mano con
due dita. Fece per prenderla
ma la presa gli sfuggì, e rischiò
davvero
di essere sbalzato fuori dalla nave quando un’altra palla di
cannone centrò
l’albero di trinchetto. Urlammo entrambi quando lo vedemmo
cadere verso di noi,
trascinandoci verso il mare senza che potessimo evitarlo. Tentai di
issarmi su
di esso e vidi di sfuggita Patrick fare lo stesso, gli occhi stralunati
e
spaventati mentre cercava di rinserrare sempre più la
stretta con le braccia
intorno all’albero, divenuto ormai la nostra sola e unica
speranza.
«Ehi! State bene,
ragazzi?» gridò
Cid dalla barra del timone al di sotto del cassero, e anche se non
potei
vederlo ero certo di sapere con che espressione avesse pronunciato
quelle
parole.
«Pensa a portarci lontani da
quest’inferno!» esclamai subito dopo in risposta,
sperando che mi sentisse
nonostante il sibilare del vento. Mi
issai meglio sul legno dell’albero e riuscii a raggiungere
Patrick, che mi
afferrò il braccio con tale forza che quasi temetti volesse
strapparmelo
letteralmente dall’articolazione. «Tranquillo,
ragazzo, tra poco andrà
tutto per il meglio!» tentai di rassicurarlo.
Non sembrò aver capito
davvero le
mie parole, però annuì bruscamente come se
sentisse il bisogno di farlo,
provando a lanciare un’occhiata verso l’ammiraglia
che si faceva sempre più
lontana.
Riuscimmo a distanziarla solo
grazie alla nebbia che era calata a gravare sulla superficie del mare.
In
verità non ci avevo minimamente sperato, ma fu un sollievo
sentire unicamente
il suono del nulla vigilare costantemente intorno a noi. Lo sciabordio
dell’oceano si era affievolito e anche il fischio del vento
era ormai un ricordo
lontano, esattamente come la moltitudine di colpi di cannone che ci
avevano
bombardati fino a quel momento.
Quando era stato sicuro di aver
fatto perdere le nostre tracce alla marina, Cid aveva abbandonato
immediatamente la sua postazione e ci era corso in contro, gettandoci
una corda
a doppio nodo che aveva recuperato in ciò che restava della
stiva; era stato
lui stesso, poi, a trascinarci via dall’albero, ed era
rimasto persino
scombussolato quando Patrick si era gettato fra le sue braccia in preda
ad un
attacco isterico, singhiozzando. Mi aveva quindi gettato
un’occhiata perplessa,
quasi avesse cercato di chiedermi aiuto, e con un po’ di
incertezza aveva poi
cominciato a picchiettare la sua schiena nel tentativo di calmarlo,
riuscendo
solo a provocargli un altro attacco di tremore e a fargli aumentare la
presa
sui vestiti.
Adesso era già da una buona
mezz’ora che dormiva, sfinito, sull’unico giaciglio
presente nella mia cabina,
mentre io mi ero concesso un attimo di respiro godendomi un goccio di
rum. Seduto
sul ponte del castello di prua, che si era miracolosamente salvato da
quell’assalto, osservavo il mare che sfrecciava sotto i miei
occhi
svogliatamente, tenendo la bottiglia per il collo. Che ci tenessimo
ancora a
galla era un miracolo, ma il cielo sopra di noi era ancora plumbeo e
poco
rassicurante, come se attendesse il momento esatto per riversare tutta
la sua
collera sugli ignari marinai.
«Ce la siamo vista brutta,
eh?»
Cid, che si trovava nuovamente al timone, aveva parlato con voce pacata
e bassa,
ma perfettamente udibile. Era rimasto a
sua volta scosso da quel che era successo poche ore addietro, e anche
se avevo
tentato di offrirgli un sorso di liquore aveva bellamente rifiutato.
Annuii automaticamente, tralasciando il
fatto che non potesse vedermi
dal
punto in cui era. «Non venivamo bombardati così
dai tempi della
Conqueror», replicai, ricordando i saccheggiamenti che
avevamo compiuto a bordo
del mio vecchio galeone. Però non c’era davvero
paragone con quella bagnarola
con cui viaggiavamo adesso.
Cid sospirò.
«È stata colpa mia,
Gale, mi spiace», rimbeccò sottovoce. Sembrava
davvero dispiaciuto per quanto
era accaduto con la marina militare pocanzi, il che era alquanto
bizzarro,
conoscendolo. «Avrei dovuto lasciar perdere quella stupida
mappa».
«Sta’ zitto e cerca
di portarci a
riva, Cid», lo spronai, troppo stanco persino per litigare
come al solito. In
un altro momento gliene avrei dette quattro e l’avrei
gonfiato di botte -
beccandomi a mia volta un occhio nero, tra l’altro -, ma dopo
ciò che avevo
passato ero davvero sfiancato. Magari ci avrei pensato una volta
ripresomi.
Cid si zittì e, virando la
nave
verso ovest, intraprese la rotta che ci avrebbe portati in un luogo
sicuro. O
almeno quella era la speranza di tutti noi, in quel momento.
[1] Letteralmente
significherebbe “essere ubriaco”
in gergo piratesco.
Già dalle prime righe
del capitolo si può benissimo intuire il perché
della scelta del titolo.
[2] Nato
a Hittisleigh il 23 febbraio del 1689 e
morto a Wellfleet il 27 aprile del 1717, il suo vero nome era Samuel
Bellamy,
ed è stato un pirata britannico dalla carriera assai breve.
Difatti non durò
più di un anno, ma ciò nonostante lui e il suo
equipaggio riuscirono a
catturare più di cinquanta navi.
Fu chiamato “Black Sam”
perché non portava la tipica parrucca incipriata che andava
in voga nel
Settecento, ma lasciava in bella vista i suoi lunghi capelli neri,
legandoli
solo con un laccio. Divenne inoltre noto per la misericordia e la
generosità
verso coloro che catturava durante le incursioni, tanto da ottenere
anche il
soprannome di “Principe dei pirati”
La
leggenda ufficiale narra che ogni volta che conquistava una nave
chiedeva di
provarla. Se non la riteneva abbastanza veloce la restituiva al
legittimo
proprietario e se ne andava per la sua strada.
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