Capitolo 14
Capitolo 14
Nonostante
la situazione tra me ed Emile avesse raggiunto una svolta importante,
la nostra
vita continuò a scorrere quasi nello stesso modo: la mattina
io lavoravo e
quando andavo a casa sua nel pomeriggio, lui era a lavoro.
Così riuscivamo a
vederci solo se mi attardavo dopo il mio turno con Claudine, ma anche
quelle
occasioni erano rare, poiché Emile aveva le prove col gruppo
quasi ogni sera.
Così finiva che l’unico giorno che potesse essere
dedicato a noi risultava la
Domenica, anche se io avevo l’appuntamento con Stè
e Simona.
Una
Domenica pomeriggio decidemmo d’incontrarci nel parco
cittadino: sarei andata
lì dopo l’incontro con il mio amico e ci saremmo
visti nei pressi dell’albero
di magnolia. Era un albero enorme che campeggiava in un angolo
più appartato
del parco: nei dintorni non c’erano panchine, per cui era
facile trovare spazio
per adagiarvisi e trascorrere del tempo in tranquillità a
contatto con la
natura.
Trovai
Emile seduto ai piedi dell’albero, intento a scrivere. Il
solo vederlo mi
faceva esplodere una grande gioia nel cuore: ancora non riuscivo a
credere che
solo pochi mesi prima aveva destato in me un odio profondo ed ora ero
lì a
sentirmi la più fortunata ragazza della terra
perché avevo il suo amore (e
anche il suo terrore, aggiunse la solita voce nella mia mente e come al
solito
l’ignorai…)!
Lo
chiamai da lontano, urlando
il suo nome:
«Emiiii!»
e lo vidi aggrottare le sopracciglia per un secondo per poi guardarmi
con una
calda luce negli occhi mentre mi avvicinavo.
«Gradirei
che non rovinassi il mio nome in quel modo!» mi disse in tono
acido, a cui
risposi per le rime:
«E
come preferiresti? Emiluccio? Emilove? MILLY?»
Mi
accomodai accanto a lui mentre mi divertivo a stuzzicarlo e lui mi
guardò in
tralice prima di rispondermi:
«Emile.
Va bene così com’è stato concepito. Non
ha nulla che non va.» Evidentemente, al
contrario di me, era fiero del nome che portava.
«Come
sei acido, tutti amano i miei nomignoli affettuosi! Solo tu
e…» Simona. Un’altra
cosa che avevano in comune.
«Emile,
verresti con me la prossima volta che vado a trovare Simo? Mi sarebbe
piaciuto
che vi foste conosciuti, sono sicura che sareste andati
d’accordo.» portai le
ginocchia al petto, com’era mio solito quando avevo bisogno
di conforto, mentre
attendevo che mi rispondesse. Lo sentii posare i fogli su cui stava
scrivendo
per circondarmi le spalle con un braccio e mettermi una mano sulle
ginocchia:
«Ne
sarei felice, verrò con piacere. Ed ora posso salutarti come
si deve?» Alzò la
mano dalle mie ginocchia per portarla al mio viso e girarlo verso il
suo, in
modo da darmi il suo caldo bacio, prima di offrirmi la spalla a cui
appoggiarmi.
«A
te non piace il tuo nome, vero? Altrimenti non daresti nomignoli agli
altri per
renderli simili al tuo.» una spruzzatina di sarcasmo velava
le sue parole, poi tornò
improvvisamente serio: «Dovresti esserne orgogliosa invece,
perché identifica chi
sei, perché è il primo atto d’amore che
fa un genitore verso il figlio. Il tuo
nome non parla solo di te, ma anche di loro.»
«È
facile parlare per te! Il tuo nome è bello, è
semplice da pronunciare e sono
sicura che i tuoi genitori l’abbiano
scelto con amore. Il mio nome è orribile! Antiquato,
incomprensibile e dettato
solo dalla passione di mia madre verso i suoi libri, non di certo verso
di me!»
Mi strinsi più forte a lui, cingendogli la vita.
«Credi
che i tuoi genitori non ti amino?» Emile mi
circondò con le braccia
avvolgendomi.
«Sì,
mi amano… ma a modo loro ed è un modo
incompatibile col mio!» dopo poco
aggiunsi: «Ed ora che non
c’è Simona a
farli sentire orgogliosi, non potrei mai tornare a casa con loro e
vivere ancora
di più nella sua ombra.»
«Non
ho mai detto che tu debba farlo. Sei libera di scegliere chi amare e
come
farlo, la vita è la tua.»
«Tu
però questa scelta non te la dai, Emile! Quante persone ami
davvero? Con quanti
esseri umani hai interagito aprendo loro il tuo cuore?»
Sentii il suo corpo
irrigidirsi, forse quell’argomento era ancora troppo spinoso
da affrontare…
«Per
me non è facile aprirmi, Pasi. Non ho la tua stessa
bontà d’animo e fiducia nel
prossimo e già essere qui con te come siamo ora, per me
è un miracolo! Sei la
mia piccola streghetta dei miracoli.» Mi strinse di
più a sé e mi baciò la
testa, mentre a mia volta cinsi la sua vita con più forza.
Mi stavo beando di
quel momento quando notai, poggiato a terra, il foglio su cui stava
scrivendo:
era uno spartito.
«Stavi
componendo! Senza strumenti!?» Rimasi stupita dalla sua
capacità di percepire
la musica senza averla intorno.
«Non
esattamente… ho questa con me.» si girò
alla sua sinistra e prese qualcosa che
si trovava al suo fianco, ma che prima non ero riuscita a vedere:
un’armonica! Se
la portò alla bocca e iniziai a sentire
una dolce e calda melodia, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare:
avvolta
dal braccio di Emile, stretta alla sua vita sottile e immersa nella sua
musica,
in quel momento mi sentii davvero felice e serena.
*****
«Pasi
hai un secondo?»
«Fede
che diamine! Cosa c’è? Perché
quell’espressione, che succede?»
Ero
alle prese con la pulizia del pavimento nella cucina della
comunità, quando il
mio amico mi chiamò all’improvviso, con un tono di
voce allarmante: era
sull’uscio della porta, vedevo solo la sua testa castana
sbucare come fosse
stata evocata e per poco non mi fece fare un salto.
«Stasera
sei libera? Devo parlarti di una faccenda importante e questo non
è il luogo
adatto.»
«Sì,
ok… c’entra per caso Rita?» Ero curiosa
di sapere come stava vivendo lui
quest’idea di tornare insieme alla sua ex ragazza e buona
amica e non riuscii a
trattenere la mia voglia di sapere.
«Rita?
N-no no, non c’entra nulla lei e poi cosa dovrei dirti,
scusami?» Il suo viso
era lievemente contrariato, ma vedevo la nota di divertimento che
celava… mi
stava stuzzicando sapendo che morivo di curiosità!
«Sì
sì bravo, fai lo gnorri… tanto prima o poi
saprò tutto!» Fede fece un sorrisino
ma subito dopo tornò serio: «Rita non
c’entra Pasi, è qualcosa di più serio,
perciò voglio parlartene più tardi. Ci vediamo al
solito posto, ok?»
Il
solito posto era la pizzeria dove eravamo abituati a riunirci in
gruppo, il
proprietario era Andrea, un ragazzo di ventotto anni, che ormai era
diventato
nostro amico a furia di vederci lì: c’era sempre
un trattamento speciale per
noi cinque rumorosi, poiché diceva sempre che la nostra
presenza scaldava
l’ambiente… E posso immaginare di chi era la
“colpa” se le nostre conversazioni
fossero udibili da tutti!
Quella
sera però eravamo solo io e Fede davanti alla nostra pizza e
ad una discussione
che risultò davvero importante.
«COOOSA?!
Ma non possono! E perché? Ma non è
giusto!»
«Lo
so… sono amareggiato anche più di te credimi,
considerando che ci lavoro da
anni!»
Fede
era cupo in viso, aveva trascorso quegli ultimi anni donandosi
totalmente a quella
comunità, prima come volontario mentre era ancora alle
superiori e in seguito
lavorandoci a pieno ritmo ed ora gli avevano detto che avrebbe chiuso,
che i
proprietari avevano problemi finanziari e dovevano vendere lo stabile
ad un
privato che di certo non voleva lasciarlo al pubblico ma goderselo
personalmente.
«E
tutti quei ragazzi come faranno? Dove andranno? E noi? Tu
soprattutto!»
«Non
lo so Pasi... Anche se sto accarezzando l’idea di aprire un
centro tutto mio…»
«WOW,
che bella idea Fede! Non avresti nessun superiore a cui dare conto e
con la tua
bravura riusciresti di sicuro ad aiutare tutti!»
«Grazie
per la tua fiducia, mi è di grande sostegno. Però
ci sono molti problemi da
affrontare prima che questo desiderio si possa realizzare, problemi
soprattutto
burocratici e finanziari.»
«Sì
ma potresti iniziare con un piccolo centro, Rita a breve si
laureerà e potrebbe
sostenerti anche lei in qualità di psicologa!»
«Non
è tutto così semplice, Pasi: Rita ha davanti a
sé ancora molti anni di studio e
non voglio bloccare la sua carriera in un progetto che non ha
desiderato. Inoltre
ci vogliono dei capitali non indifferenti anche in caso di un piccolo
centro:
servono le attrezzature, i medici, gli infermieri da pagare…
Però qualcosa
voglio metterlo su… e mi piacerebbe avere anche il tuo
aiuto.»
«Il
mio aiuto? E come… in che modo?»
«Tu
ci sai fare con le persone, riesci a farle aprire, riesci a farle
sorridere:
guarda cosa sei riuscita a fare con Emile!»
«Ma
io ho solo cercato di prendere esempio da te!»
E poi non credo di aver fatto tutto questo miracolo con Emile, se mi
ha detto di essere terrorizzato da ciò che sente per me!
«Non
è solo quello Pasi, tu hai qualcosa che porta la gente ad
aprirsi a te e sono
sicuro che saresti un valido aiuto.
Ora
come ora ho poche carte dalla mia parte, perciò pensavo di
aprire un centro
d’ascolto o qualcosa di simile a cui dedicarsi più
come volontariato che altro…
Ma nel frattempo, voglio iscrivermi a scienze infermieristiche in modo
da avere
un titolo che dia credibilità alla mia posizione e se Rita
sarà dei nostri, in
futuro, potremmo diventare un centro specializzato nel dare aiuto
psicologico e
in futuro magari aprire
anche una
comunità.»
Ero
esterefatta, Fede aveva pensato davvero a tutto, stava mettendo in
gioco il suo
futuro calcolando ogni passo: doveva averci pensato a lungo e ponderato
ogni
cosa… Lui sì che aveva le idee chiare sul suo
futuro, non come me…
«Sarebbe
davvero bello Fede! Però io che potrei fare? Non ho un
titolo, non ho nulla…
che ruolo ho nel tuo progetto?»
«Pasi
deve diventare anche il tuo progetto. Io so che ti piace stare in
comunità e
aiutare gli altri e so di poter contare su di te, ma voglio che tu ne
prenda
piena coscienza, voglio che anche tu ci creda e che faccia tuo questo
progetto.
Pensaci bene, se l’idea ti piace e senti di potertici
dedicare, sali a bordo e
non preoccuparti del resto. Se non ti senti abbastanza coinvolta, non
ci
saranno problemi, sei liberissima di non accettare. Le cose tra noi non
cambieranno per questo.»
«Ok
Fede; ci penserò e ti darò una risposta a
breve… ed ora finiamo questa pizza
che è davvero squisita!»
*****
Le
parole di Fede mi rigirarono nella testa nei giorni successivi:
impegnarmi con
lui significava occuparmi di qualcosa che sarebbe stata con me per il
resto
della vita. Avevo dei dubbi su quanto potessi essere davvero utile al
suo
progetto e mi chiedevo anche se fosse questo il mio obiettivo.
Non
ero mai riuscita a trovare qualcosa che mi prendesse al punto da
potermici
dedicare anima e corpo per l’intera mia esistenza, ma era
anche vero che come
diceva Fede, mi piaceva prendermi cura degli altri e dare una mano a
chi ne
aveva bisogno… forse era davvero questo lo scopo della mia
vita. Ne avrei
voluto parlare ad Emile che, al contrario mio, era così
deciso e vedeva così
chiaramente davanti a sé, ma in quei giorni non riuscivamo a
vederci, era
sempre impegnato con la band perché dovevano lanciare il
loro primo album e tra
una prova ed una riunione, non ci vedevamo dalla Domenica precedente,
trascorsa
al parco. Inoltre dentro di me sapevo
che quella fosse una scelta che avrei dovuto prendere da
sola, valutando
bene ciò che volevo io dalla vita e come agire per
ottenerlo, al di là di
quello che poteva pensarne Emile. Mi ero ripromessa di non annullarmi,
di non vivere
la mia vita in funzione di quella del mio ragazzo, per cui quella era
una
scelta che dovevo prendere da sola, senza condizionamenti altrui.
Perché sapevo
che qualunque cosa avrebbe detto il mio Pel di Carota, mi sarebbe
rimasta nella
testa, influenzando la mia decisione.
*****
Riuscii
a vedere Emile solo la domenica successiva, poiché come
promesso, venne con me all’appuntamento
con Simona.
Testa
di Paglia era già lì quando arrivammo: era
davanti alla tomba e rivolgeva a
mia sorella i suoi pensieri mentre
poggiava i fiori nel vaso. Al nostro
arrivo ci fece uno dei suoi sorrisi, anche se non erano più
gli stessi di
prima.
Con
Simona era andata via anche una parte di Stè. Il dolore per
averla persa,
sommato al rimpianto di non averle mai rivelato cosa provava per lei,
avevano
gettato un’ombra su quel carattere così solare e
sempre pronto al sorriso. La
spensieratezza che era il suo tratto principale, aveva ora un tono
più greve,
una malinconia di fondo che lo rendevano un sole crepuscolare e non un
astro al
colmo della sua potenza luminosa.
Tuttavia
il sorriso sul suo viso non si era spento: Stè era
così, l’allegria era parte
del suo essere come quella sua chioma sbiadita e avrebbe sempre reagito
sorridendo, ai colpi della vita.
Il
sorriso che ci rivolse fu uno dei più caldi che riuscisse ad
avere in quel
periodo: quel nostro appuntamento settimanale era un momento importante
per
entrambi, per riconciliarci con noi stessi e per avere la speranza che in un modo o in un altro,
Simo ci ascoltasse
e ci perdonasse. Emile fu felice di accompagnarmi ma
quando arrivammo, lo sentii irrigidirsi: salutò
il mio amico e poi restò muto tutto il tempo, forse per
darci modo di svolgere
le nostre abituali chiacchiere con mia sorella. Notai però
che osservò con attenzione
la foto di Simo, quasi come se volesse carpire da essa informazioni su
chi era
stata Simona Isoardi. A quel punto allora, io e Stè
iniziammo a raccontargli
aneddoti del passato: io di quando eravamo piccole e giocavamo insieme,
un
tempo in cui anche se litigavamo, eravamo più unite, mentre
Stè gli descriveva
tutti i particolari che solo un innamorato riesce a cogliere
così attentamente
della persona che ama, come una ruga d’espressione, un
broncio impercettibile,
un cambiamento d’intensità nello
sguardo… Eravamo così presi dai nostri
racconti che non ci
rendemmo conto del
tempo trascorso, finché Emile aprì bocca per
avvertirmi che sarebbe dovuto
andare a provare con la band.
Stè
a quel punto si offrì di accompagnarmi, così
rimasi lì mentre il mio Pel di
Carota se ne andò in silenzio, dopo averci salutato.
«Chiacchierone
come al solito, eh?» disse Stè ironicamente.
«Già,
lo sai che è di poche parole… e poi noi siamo
stati davvero logorroici!» Risi
scherzandoci su, ma avevo l’impressione di aver visto
un’ombra cupa sul suo
volto che m’inquietava... avrei indagato successivamente sul
quell’espressione
tetra!
«Mi
dispiace che Simona non l’abbia conosciuto… ho
l’impressione che si sarebbero
capiti al volo.»
«È
probabile Testarossa, hanno entrambi una malinconica risolutezza nello
sguardo,
sarebbe stato interessante vedere come avrebbero interagito.»
l’espressione di
Stè era sinceramente incuriosita da quell’ipotesi
e mi senti sollevata nel
vedere che almeno per qualche secondo, la malinconia lo aveva
abbandonato. Poi però
un pensiero mi balenò nella mente e senza pensarci, pur
sapendo che l’avrei
nuovamente incupito, gli chiesi :
«Come
stai facendo con la matematica?»
Tra
i nostri amici le sole che avessero proseguito gli studi erano
Margherita e
Sofia, ma la prima studiava psicologia e la seconda filosofia;
Stè avrebbe
dovuto affidarsi a qualche insegnante privato per andare
avanti…
«Per
ora vado avanti da solo, è riuscita a farmi comprendere
molte cose… Mi manca
terribilmente Testarossa! Sento un vuoto dentro di me e se solo ci
penso non
riesco a stare in piedi! Per fortuna sono una persona che pensa
poco!» Sorrise
di se stesso a quell’affermazione, poi continuò:
«Non perderti dietro stupidi
dubbi Pasi. Non permettere che nulla al mondo ti ponga dei freni tra te
e lui,
viviti questo rapporto fino in fondo!»
La
serietà repentina con cui Testa di Paglia mi
parlò mi commosse nel profondo:
sentivo il suo dolore e i suoi rimpianti come se fossero stati i miei e
desiderosa di dargli forza l’abbracciai.
«Te
lo prometto Stè. Te lo prometto!»
*****
«Pasi,
bambina, Federico mi ha detto che lo sostituisci tu stasera?»
«Sì,
aveva un impegno e mi ha chiesto se potevo sostituirlo.»
«Ma
sei qui da oggi, sarai stanca!»
«Nient’affatto!
Ho letto tutto il tempo e le ore sono volate via, e poi non potrei mai
lasciarti da solo!»
Anche
quella sera come sempre, Emile aveva le prove con il gruppo: erano ad
un passo
dall’incisione dell’album
e si stavano
concentrando il più possibile per ottenere una buona
esecuzione dei brani. Di
conseguenza Alberto restava da solo ad accudire Claudine e Fede veniva
a dargli
una mano.
Ma
quella sera, e sospettai di
conoscerne
il motivo, il mio amico era impegnato così mi chiese di
sostituirlo sapendo che
ero già lì dal pomeriggio, dando per scontato che
mi facesse più che piacere
restare nella stessa casa in cui sarebbe stato Emile. E come al solito,
aveva
pienamente ragione: avevo promesso a Stè che avrei vissuto
in pieno la mia
relazione, ma in quei giorni tutto c’era tranne le premesse
per far sì che
accadesse. Sapevo quanto Emile tenesse alla musica, ma non riuscivamo
più a
vederci e al telefono era sempre di corsa… sentivo
più la sua mancanza in quel
periodo che nelle
precedenti occasioni in
cui eravamo stati distanti! Dopo
avermi aperto il suo cuore, speravo di
riuscire a trascorrere più tempo con lui, speravo di
riuscire a comprenderlo e
a stargli vicino come non ero riuscita a fare fino ad
allora… invece lo sentivo
più sfuggente, sempre preso dal suo gruppo e dalla
carriera… Sperai quindi di
riuscire a strappargli anche una mezz’ora di tempo quella
sera, pur di averlo
un po’ per me.
«Sai
che ti dico Alberto? Quasi quasi cucino io! Sono stata qui tutto il
tempo a far
nulla, mentre tu sarai di sicuro stanco; resta qui con Claudine, appena
la cena
sarà pronta ti avverto.»
Feci uno dei
miei sorrisi più convincenti e vidi un’espressione
di dolcezza comparire sul
viso di Alberto. prima che mi avvolgesse in uno dei suoi calorosi
abbracci:
«Sei
proprio una cara ragazza!»
Ero
felice di potermi
dedicare a loro in
qualche modo: cucinare per Alberto, Claudine ed Emile mi faceva sentire
utile,
mi sentivo appagata perché,
seppur in
modo minimo, li ricambiavo per tutto quello che avevano donato al mio
spirito e
soprattutto mi faceva sentire a casa.
Mi
era sempre piaciuto cucinare: essendo una buona forchetta, apprezzavo
la gioia
di un buon pasto fatto con amore e quando abitavo con la mia famiglia,
capitava
che preparassi il pranzo quando mia madre faceva tardi;
qualche volta Simona mi dava una mano, era
una di quelle rare occasioni in cui sentivo di essere un membro
effettivo della
mia famiglia, uno di quei momenti che avrei conservato per sempre nel
mio cuore…
Anche
se Alberto aveva l’aria di cavarsela in cucina (come
pasticciere era di sicuro
bravissimo), volevo dare a quella famiglia almeno per una sera, il
calore di un
pasto completo e più egoisticamente, pensai, volevo sentirmi
un po’ a casa mia
in quel luogo divenuto per me così familiare.
Mentre
cucinavo, fantasticai pensando ad una serata in cui tutta la famiglia
Castoldi
potesse riunirsi intorno ad un tavolo, mangiando e chiacchierando
insieme; una
scena simile non l’avevano mai vissuta e in quel momento mi
sentii davvero
triste per loro. In qualche modo io ero riuscita ad avere ricordi
simili: nonostante
l’attrito tra me e i miei genitori, ero riuscita a vivere dei
momenti felici
con loro, invece gli abitanti della casa in cui mi trovavo, con tutta
probabilità non si erano mai nemmeno seduti a quel tavolo
per mangiare. Alberto
avrebbe cenato in camera con Claudine e immaginai che quella fosse una
routine
per lui. Emile di conseguenza cenava da solo? O raggiungeva i suoi
genitori in
quella stanza? Più
li conoscevo e più mi
rendevo conto che lo stato di salute di Claudine, aveva condizionato
quasi ogni
aspetto della loro vita: un impulso di rabbia mi assalì a
quel pensiero e d’improvviso
iniziai a comprendere quel nucleo d’amarezza che il mio
ragazzo aveva
all’interno di sé.
Quando
terminai di preparare la cena, mi accinsi a portarla al piano di sopra
e ad un
passo dalle scale sentii aprirsi la porta di casa: Emile mi
guardò con il volto
stupito e l’aria interrogatoria:
«Che
ci fai qui?»
Era
ancora sull’uscio, la porta era ancora aperta: evidentemente
tutto si aspettava
tranne la mia presenza in casa sua a quell’ora.
«Ho
preparato la cena!» Lo guardai sorridendogli felice, ero
soddisfatta di me e
sperai di vederlo sorridere allo stesso modo... ma non fu
così,
«Sei
rimasta qui per preparare la cena?! Mio padre non sta bene?»
Vidi l’apprensione
comparire sul suo volto...
«No
no, Alberto sta benissimo, Fede non è potuto venire stasera
e lo sostituisco,
così ho deciso di cucinare io mentre tuo padre si rilassava
dopo una giornata
di lavoro. Aspettami torno subito.»
Portai
la cena ad Alberto e Claudine e tornai in cucina, sperando di poter
avere
almeno il tempo di cenare con Emile. Lo trovai in piedi ad osservare le
pentole
e i piatti in attesa di essere riempiti:
«Non
ti piacciono gli spinaci? C’è anche il pollo,
oppure ti preparo qualcos’altro…»
mi avvicinai a lui cingendogli la vita, non ci eravamo ancora salutati
e
desideravo avere un contatto fisico con lui. Emile si voltò
in mia direzione
con un’espressione seria sul viso:
«Pasi
io...» non seppi mai cosa stava per dirmi perché
bussarono alla porta, «Sono i
ragazzi… devo proprio andare!»
«Almeno
dammi un bacio!»
Mi
sentii una bambina che fa i capricci, ma avevo bisogno di un contatto,
di un
segno che c’era ancora qualcosa che ci teneva uniti, non lo
vedevo da una
settimana e non eravamo riusciti a scambiarci che due parole! Emile mi
prese il
volto con le mani e mi diede un bacio intenso e quasi dolente, prima di
staccarsi da me e scomparire con il suo gruppo nel piano interrato di
casa.
Rimasi per un po’ senza parole: mi aveva baciato come se
fosse un addio e d’un
tratto sentii una strana angoscia dentro di me... Copiando il suo
gesto,
osservai anche io le pentole e i piatti, il mio vano e stupido tentativo di avere intorno
a me una famiglia
riunita e mi si bloccò l’appetito.
Salii
al piano di sopra per dare il cambio ad Alberto e lo trovai sul letto,
addormentato abbracciato alla sua Claudine: mi commossi a vederli
insieme in
quella posizione così naturale e dolce. Presi una coperta e
lo coprii e mi
accomodai sulla poltrona, osservando quella coppia che sapeva amarsi
nonostante
tutto e tutti, invidiando il loro legame così vero e
profondo.
Saremmo
riusciti ad amarci così anche io ed Emile? E
perché mi aveva baciato in quel
modo?
Sperai
che la mia inquietudine fosse solo dovuta a stupidi dubbi da innamorata
e
tentai di rilassarmi, ma quella sensazione di angoscia non sembrava
allontanarsi da me.
*****
Quando
aprii gli occhi rimasi totalmente inebetita per ciò che
stavano vedendo: non
avevo la più pallida idea di dove fossi, ma davanti a me
c’era Emile addormentato,
seduto a terra e appoggiato con la testa al bordo di un letto. Spostai
lo
sguardo intorno a me e mi resi finalmente conto di dove fossi e cosa
fosse
accaduto: eravamo in camera di Alberto e Claudine e doveva essere
trascorsa
qualche ora da quando ero salita a dare i cambio al padre di Emile
trovandolo
addormentato… Evidentemente avevamo fatto tutti una
staffetta del sonno, poiché
dopo il mio palese crollo onirico, doveva essere arrivato il mio Pel di
Carota
che aveva seguito tutti noi seguaci di Morfeo.
Feci
un sorriso guardandoci: eravamo crollati tutti in posizioni
tutt’altro che
comode: i genitori di Emile erano ancora abbracciati, io ero
appallottolata su
quella poltrona e il mio adorabile rossino era nella posizione
più scomoda di
tutte. Eppure, tutti riuniti a dormire insieme in quell’unica
stanza,
sembravamo davvero una famiglia e sentii un’ondata di calore
e felicità
invadermi.
Restai
qualche minuto ad osservare i miei compagni di dormita, poi mi decisi a
svegliare
Emile che di sicuro stava dormendo malissimo. Gli diedi un bacio sulla
guancia
e lo chiamai a bassa voce: aprì gli occhi quasi
all’istante, aveva il sonno
decisamente leggero! Mi guardò dapprima sorpreso, ma dopo
qualche istante la
consapevolezza di dove fossimo gli tornò sul viso e
accennando un sorriso si
stiracchiò:
«Ti
sei addormentato in una posizione scomodissima, così non
riposerai!» Mi
inginocchiai accanto a lui.
«Tsk,
ero venuto a svegliarti e invece mi sono addormentato anche io, che
pappamolle!»
Fece un sorriso di scherno verso se stesso e gli accarezzai il viso:
«Devi
essere davvero stanco, vai a riposare.»
Emile
chiuse gli occhi sentendo la mia mano sul suo viso e si
lasciò andare a quel
conforto per qualche secondo, poi mi prese la mano e la calò
tenendola stretta
nella sua:
«Non
prima di aver accompagnato te a casa.»
«Non
preoccuparti per me, torno a casa da sola.» vedendolo
così tranquillo e dolce
nei miei confronti, l’ansia
che avevo
provato qualche ora prima parve scomparire
e mi rincuorai al punto da sentirmi appagata per quei
pochi secondi
d’intimità trascorsi insieme.
«Assolutamente
no, ti accompagno, andiamo.» si alzò
d’improvviso e mi aiutò a risollevarmi,
facendo attenzione a non svegliare i suoi genitori.
Durante
il tragitto in auto non parlammo molto, eravamo entrambi stanchi ed io
ero
felice del solo fatto di stargli accanto, così mi godetti
quel silenzio insieme
a lui. Una volta arrivati a casa di Rita però mi scoprii del
tutto restia a
staccarmi da lui e invece di salutarlo l’abbracciai:
«Mi
sei mancato così tanto in questi giorni!»
Emile ricambiò il mio abbraccio e
poggiò una mano sulla mia testa:
«Mi
dispiace, ma è un momento importante per il gruppo
e...»
Il
gruppo… iniziai a sentire una nota di rancore verso quei
ragazzi e ciò che
rappresentavano, poiché lo allontanavano da me in quel modo!
Ma
avevo detto ad Emile che non gli avrei mai chiesto di scegliere tra me
e la
musica e non volevo venir meno ai miei propositi… anche
perché ero
consapevole che in una battaglia tra me e
i GAUS, sarei stata io ad uscirne sconfitta.
«Lo
so, lo so… restiamo così per qualche minuto
però, non te ne andare subito, Dio
solo sa chissà quando riusciremo a vederci
di nuovo e voglio avere un momento tutto per
noi.» mi
strinsi a lui, ma non sentendo una replica
alzai il viso per osservarlo e vidi il suo volto nuovamente
addormentato!
Decisamente
non era la serata adatta per chiedere attenzioni: lo svegliai, gli
diedi un
bacio che avrei voluto fosse infinito e scesi dall’auto per
permettergli di
tornare il prima possibile a casa. I mei bisogni egoistici avrebbero
dovuto
attendere ancora un po’ per essere soddisfatti.
*****
Aperta
la porta di casa, mi resi conto che Rita non era ancora tornata: i miei
sospetti sull’impegno di Fede divennero certezze e pensando
ai miei amici, che
in quel momento erano insieme, probabilmente intenti a riaccendere la
fiamma
del loro amore mai sopito, mi scoprii pervasa da due sentimenti
contrastanti. Ero
felice per loro, li avevo sempre visti come una coppia: ciò
che avevo detto a
Sofia era vero, ero sicura che fossero fatti l’uno per
l’altra; questa felicità
però era turbata da una profonda invidia, perché
in quel momento avrei voluto
essere anch’io con il ragazzo che amavo.
Avevo
dovuto attendere così tanto per sentirgli dire che
ricambiava il mio amore e da
allora i nostri momenti insieme erano drasticamente diminuiti
anziché
aumentare! E quella sera i miei tentativi di avvicinarlo erano stati un
continuo fiasco…
Avvolta
da quel silenzio e dall’oscurità di una casa
vuota, ripensai al bacio di Emile,
al modo in cui aveva reagito alla mia presenza in casa sua: mi ero
detta che
fossero sciocchi dubbi da innamorata, ma in quel momento
tornò ad assalirmi la
sensazione che si stesse allontanando da me.
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NDA
Eccoci di nuovo
qui! Con questo capitolo siamo al giro di boa: dopo aver dovuto
attendere tanto, Pasi è riuscita ad avere l'amore di Emile
(anche se tutto sommato, l'aveva già da tempo ^ ^), ma
standogli più a contatto ha iniziato subito a capire che
stare con un musicista, significa doverlo condividere con una
rivale invisibile ma sempre presente: riuscirà a superare
questo momento d'inquietudine? Manzoni diceva: "Ai posteri
l'ardua sentenza", ma io non sono così sadica... un pochino
forse, ma la risposta l'avrete in questa vita xD
*me schiva i pomodori comparsi improvvisamente nelle mani dei lettori
pronti ad essere usati a mo' di coriandoli*
MESSAGGIO
PROMOZIONALE
In quest'ultima settimana ho avuto modo di conoscere un'altra autrice
di EFP che segue la mia storia con interesse e che è stata
anche così gentile da sponsorizzarmi *me è grata
all'ennesima potenza* : non solo
è una grande amante del Giappone, il che le ha portato
immediatamente tutta la mia stima (e qualcuno direbbe "e a noi che ci
frega?"), ma abbiamo anche scoperto di avere un interesse comune per i
nomi inusuali, anche se lei mi batte alla grande xD
Comunque questo papiro delirante era per dirvi che qui su EFP, questa
mia "collega", che risponde al nome di ThePoisonofPrimula
, sta pubblicando due storie originali
ambientate in una scuola per studenti ricchi ma alquanto bizzarri e la
prima delle due: The
Goldenfish's Destiny è
un vero spasso! Se avete voglia di leggere qualcosa d'intrigante e
divertente e di assolutamente fuori dall'ordinario, leggete
questa storia, la scuola in cui è finita Samara Blake
(un'otaku dai capelli tinti d'azzurro che ha saputo farsi
espellere da tutte le scuole frequentate), il St. Trinian's,
è un covo di folli, talmente folli che vorrei
andarci anche io di corsa!!! *_*
La presenza della preside giapponese già vale la pena di
frequentarlo!!!
Fine dello Spot xD
Angolo dei
Ringraziamenti
Tesore mie, cosa potrei dirvi oggi che non vi ho detto finora? *me
sente delle voci chiedere "la notte di fuoco" e sghignazza tipo
Stregatto*
Siete sempre stupende, sempre presenti ad entusiasmarvi ed emozionarvi
e innamorate di questa storia forse più di me che l'ho
concepita, davvero non ho più parole, ho esaurito il
vocabolario *me pensa di imparare qualche ringraziamento in tutte le
lingue del mondo*, quindi perdonate la ripetitività e
beccatevi questo immenso:
GRAZIE
MILLEEEEEEEEEE!!!!!!!
Grazie, grazie, grazie e
ancora grazie alle mie sorelline: quelle che con precisione svizzera e
grande costanza leggono e recensiscono appena pubblico: Saretta, Niky, Vale, Concy,
e quelle più bradipine: Iloveworld, Ana-chan,
Cicci,
Ely. ARIGATOU TESORE
MIE!! <3<3<3<3
E grazie a tutti voi che continuate a seguire e ad apprezzare questa
storia, mi rendete sempre orgogliosa e felice ^ ^
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