‘
Come up to meet you, tell you I’m
sorry,
You don’t know how lovely you are… ‘
« Alex! Alex! »
Lei mi
chiama e non mi fermo.
« Alex! »
Prendo
la
prima boccata di aria fresca della giornata, uscendo
dall’ingresso principale
dell’ospedale. Ho finito il mio turno, ho finito
la mia giornata del cavolo,
sono libero.
Casa mia
– si fa per dire – è a venti metri da
me, ma quella voce mi impedisce di andare
avanti. E poi, anche volendo ignorarla, ormai
Lucy mi ha raggiunto, correndomi
dietro, accanto, mi ostruisce il passaggio.
La
guardo
« Alex! Sei diventato sordo? Sono
dieci
minuti che ti chiamo! »
La guardo
e non rispondo. Il mezzo sorriso che aveva sulle labbra fino ad un
istante fa
scompare.
La guardo
« Ti ho sentito. Sono solo stanco.
Davvero stanco Lucy, non vedo l’ora di addormentarmi.
»
Sono
le
dieci di sera e lei capisce che non è per l’ora
tarda che sono stanco
E io
capisco che lei capisce. Che sa, in qualche modo.
« Potevi dirmelo.. che sarebbe venuta. O
potevi almeno presentarmela, non credi? » lei
cerca di mantenere un tono di
voce normale,
quasi allegro, ma non è abituata. Non è capace.
In realtà la sua
domanda esprime solamente frustrazione e anche un briciolo di gelosia.
Se
la
situazione fosse diversa, scoppierei a ridere.
Se la
situazione fosse diversa, ne sarei persino lusingato.
Ma
questa
sera no. Sono stanco, provato, non riesco nemmeno a tenere le ginocchia
dritte.
« Lucy. » respiro. Respira,
Alex. «Non avevo la più
pallida idea che Izzie
fosse in ospedale. È venuta per sua figlia, tutto qui. Non
per me,
non per
restare! » alzo la voce, di un tono, spazientito.
Lei fa un passo indietro
e ancora una volta capisco di avere toppato.
« Ok.. ok. » mi dice solo
questo, mentre
si passa una mano fra i capelli biondi e abbassa lo sguardo. Devo avere
una
faccia che fa paura.
Io stesso, mi faccio paura.
Lascio
andare i muscoli, cerco di rilassarli, sento la punta delle dita che
sfiorano
la pelle del viso, premo sulle palpebre, poi torno a
guardarla. Devo essere
sincero, ma delicato. Ne ho abbastanza, di ferire le persone.
« Lucy, ascolta… te l’avrei
detto, se
l’avessi saputo. E non te l’ho presentata
perché mi ha colto alla sprovvista. E
non la vedevo da più di
un anno, insomma, è stata una brutta giornata. Ma
è
finita. Domani sarà tutto risolto, ok? »
Allungo
la mano destra verso di lei, accarezzandole il viso.
Lucy
torna a sorridere e io mi sento sempre più verme.
Perché so
che le sto dando il contentino, la sto solo tranquillizzando, niente
più. « Devo
dormire, adesso. Ci vediamo qui domani,
vedrai che sarò come nuovo » ma non
ci credo nemmeno io.
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« Ti dico una cosa, adoro le tue
tette. »
« Ma che cos’hai che non
va? Perché devi
essere… ma che cos’hai in quella testa!
»
« Adoro le tue tette. E vorrei
avercele
intorno spesso e volentieri. Ma non sarebbe la fine del mondo se non le
avessi
più.. perché in realtà,
è te che
voglio. »
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02:55
am
Brucia.
Mi brucia la faccia. Spalanco gli occhi e sono in una roulotte.
Ma un
secondo fa, un secondo fa ero seduto su una panca. Ero dentro uno
spogliatoio.
Izzie mi ha appena tirato un ceffone perché le
ho detto che adoro le sue tette.
E,
per
Dio, adoro le sue tette.
Ma
non è
il bruciore dello schiaffo che mi sveglia.
E’ il
fuoco di un bacio. Un altro, l’ennesimo.
Sollevo
la testa dal cuscino e mi rendo conto di essere sudato fradicio. Guardo
la
sveglia, è troppo presto per starsene con le mani
in mano, Alex, ma troppo
tardi per tornare a dormire.
Rivorrei
quel bacio, solo questo.
Rivorrei
quel bacio e poi quello da Joe. Il nostro primo bacio.
Rivorrei
il bacio che le ho dato quando ero spaventata e preoccupata per
Meredith, con
la bomba.
Rivorrei
il bacio che le ho dato mentre piangevo disperato.
Alzati.
Alzati.
Mi
alzo
dal letto con un balzo, sento i piedi nudi diventare subito freddi. Mi
spoglio,
sentendomi subito meglio, l’acqua della doccia
è fredda ma va bene così.
Lucy
ha
finito tutta l’acqua calda ma va bene così. Le
gocce che mi cadono sulla pelle
tolgono il sudore e la stanchezza e il fuoco.
Mi risvegliano. Sono lucido. Così
lucido che decido di fare una pazzia.
03:45 am
Possibile
che non ci sia nessuno? Non un’anima.
Non mi
capita spesso di camminare per Seattle alle quattro di notte. Mancano
solo un
paio d’ore, poi spunterà il sole.
Sto per
fare la figura del fesso.
Cammino,
sento le foglie che scricchiolano sotto i piedi, tengo le mani in
tasca. Ho le
unghie conficcate nei palmi, ma il dolore non mi
aiuta a fermarmi.
Perché
non voglio fermarmi, voglio continuare a camminare.
Il
dondolo di legno è immobile. Non mi ci sono mai seduto,
chissà poi perché. Lo
sfioro con la punta delle dita, cigola. Faccio un salto
all’indietro,
quasi mi
avesse morso il gatto.
Cazzo
Alex, calmati.
Sto
per
fare la figura del fesso. Sono le quattro di notte e sono qui, come un
vagabondo o un guardone o un ladro, su un vialetto, vicino ad
un dondolo di
legno.
Se
non
fosse così tardi, forse mi sentirei meno in imbarazzo,
perché questa dopotutto
è stata anche casa mia. Ma mi rendo conto di
sembrare un pazzo e forse lo sono.
Basta pensare, è ora di agire o tutto il coraggio e la
lucidità andranno a
farsi friggere e sarò costretto a
tornare indietro. Tornare alla mia cavolo di
roulotte, solo, con un peso sullo stomaco. Come un macigno.
Allungo
una mano, tirandola fuori dalla tasca del giubbino. Diventa subito
fredda,
anche se la temperatura non è male. Mi tolgo il
pensiero
e lo faccio, schiaccio
il campanello.
Nel
silenzio, fa un rumore quasi infernale. Come una campana che suona i
suoi
ultimi rintocchi.
I
MIEI
ultimi rintocchi, per così dire.
Sto
per
suonare di nuovo, senza lasciare quasi il tempo al suono di terminare,
quando
si accende una luce, all’interno della casa.
E’
quella del salotto, passi sulle
scale di legno.
Mi
avvicino alla porta, guardo dentro.
Chissà
che faccia ho.
Chissà se
sembro disperato.
Chissà se
si vede il fuoco, che mi sta bruciando dentro.
« Alex?
» Meredith mi guarda oltre il
vetro della porta, una mano sulla guancia, l’altra nei
capelli arruffati.
Indossa solo una canottiera verde
pistacchio e un paio di boxer neri da uomo –
l’idea che Stranamore sia nudo in questo momento mi mette i
brividi – ma quasi
non ci faccio caso.
Non
riuscirei a guardare un paio di tette – un altro paio di
tette, che non sia il
suo – nemmeno se me le mettessero sotto il naso.
Apre
la
porta, guardandosi intorno, strofinandosi gli occhi con la mano libera,
quasi
volesse accertarsi di essere sveglia «
Alex, che ci fai qui? »
me lo chiede, ma le leggo in faccia che conosce già
la risposta.
Non ho
nemmeno bisogno di parlare. Ci fissiamo, giusto qualche istante, io
fuori e lei
dentro, come se questa porta, quella che ho davanti,
fosse una linea di
confine. E lo è.
Posso
ancora ritirarmi, tornare indietro.
Potrei
far tornare tutto come prima.
E invece
no. Entro. Faccio un passo, poi un altro, poi mi fermo.
«Credi che dovrei andarmene? Cazzo sto
sbagliando tutto.. »
mi prendo la
faccia tra le mani, con scarsa delicatezza. Sento i palmi
sulle
guance e vorrei
riempirmi di schiaffi. O almeno che lo facesse lei, ma Meredith non fa
una
piega. Scuote la testa, poi fa un mezzo sorriso.
Uno dei suoi.
Il
sorriso di una che ti conosce. Di una che è stata cupa e
torbida, proprio come
te. Una che capisce perfettamente, come si può stare
di
merda, a volte.
« Aspetta qui.. provo a svegliarla » e sparisce, su
per le scale.
Quando
arriva al piano di sopra sento i suoi passi arrivare fino in fondo al
corridoio, poi si fermano.
E’
nella
nostra stanza. La nostra stanza.
Guardo
all’insù, ma non sento quasi niente. Solo un
brusio sommesso, la voce di
Meredith fievole, lontanissima. Sembra che il suono
del campanello abbia
svegliato solo lei.
« Oh Meredith! Ma insomma… ma hai visto
che
ore sono? Ero appena riuscita ad addormentarmi, non è
possibile! Che succede
adesso? »
non
ti arrabbiare Iz. Non
riesco a fare a meno di sorridere, nel sentire la sua voce. Non fa
niente per
tenerla bassa, quasi non si fosse resa
conto che in casa c’è anche Derek. Che
dorme, almeno per ora.
« Izzie.. c’è Alex, di sotto
»
Silenzio.
Silenzio.
Un tonfo.
Silenzio.
Rumore
di
piedi nudi sul pavimento, si muovono frenetici. Poi sembrano calmarsi
ed è il
momento in cui vedo Isobel spuntare sulle scale.
Scende i gradini tentando di
mantenere un’andatura controllata e questo mi spinge a
sorridere maggiormente.
Piego la
testa verso il basso, in modo che lei non possa vedermi.
Faccio
sparire il sorriso, tornando a guardarla.
You don’t
know how lovely you are…
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