cap18
ecco il nuovo capitolo. buona lettura.
CAPITOLO 18 – NEVE E FUOCO
Se la neve cade, imbianca tutto. Gli alberi, le strade, i tetti dei palazzi.
Quel giorno a New York aveva iniziato a nevicare ma la vera tempesta era nel cuore di Isabella.
Si aggirava come una animale in gabbia per il suo appartamento. Charlie
era in città e lei lo conosceva bene, non si sarebbe arreso
finchè non fosse riuscito a riportarla a casa con lui. Aveva
già tentato con Jacob di convincerla a tornare a Forks. Eppure
lei sentiva che quella non era più la sua vita. Aveva trovato
una certa stabilità economica nella nuova città e il
lavoro le piaceva e il suo capo pure...
Alt! Urlò nella sua testa, prendendosi le tempie tra le mani. Che stava pensando? Al suo capo? No, no, no!
Concentrazione. Serviva concentrazione. I suoi pensieri erano peggio di
una matassa aggrovigliata. Prendeva un filo, lo tirava, si formava
inevitabilmente un nodo che le faceva aumentare il mal di testa. Non
riusciva proprio a ragionare in quella situazione. La sua testa
sembrava una bomba in procinto di scoppiare, sentiva pure il tic tac del timer...
Non chiedeva molto, in fondo. Voleva solo un po’ di chiarezza e una soluzione veloce ed indolore. Semplice, no?
E poi perché si trovava in quella situazione? Di solito non si
faceva scrupoli a prendere la vita di petto. Lei i problemi non li
affrontava, li spaventava e li faceva scappare a gambe levate. Ma
quello era troppo anche per il suo amino forte. Il segreto che suo
padre costruiva così gelosamente la stava schiacciando
perché la prospettiva di mettere in discussione la sua intera
esistenza non la esaltava...anzi no. La terrorizzava proprio.
Continuò a misurare a grandi falcate il poco spazio tra la
cucina e il bagno, avanti e indietro, aventi e indietro, otto passi in
tutto. Instancabile, falcata dopo falcata.
Di nuovo cercò di far entrare una luce nel buio dentro di
sé. La soluzione migliore non era forse affrontare suo padre?
Chiedere informazioni su sua madre e Philip Dywer, esigere spiegazioni
sul suo assurdo comportamento...
“no no! è tutto sbagliato!” la disperazione si
faceva largo in lei e le gelava il cuore, proprio come un’ondata
imprevista di neve che ti coglieva impreparata in mezzo alla strada,
raffreddandoti e congelandoti le mani non riparare da guanti.
Ecco! Guanti! La sarebbero serviti per ripararsi, per tutelarsi da tutto quel trambusto.
Se lei provava freddo, di sicuro Charlie era sul piede di guerra e
stava mettendo a ferro e fuoco la città per cercarla, oltre
all’ufficio del suo capo per avere il suo indirizzo. Era
decisamente un tipo...infuocato. Si infervorava con poco e nulla lo
faceva andare in escandescenza come sua figlia. Si, era fuoco puro. E
si sa che il fuoco scioglie la neve.
Con questo ragionamento complesso e che, sinceramente lettore io non
capisco del tutto, Isabella si convinse che doveva fuggire. Prima
avrebbe dovuto far sciogliere piano piano la neve dentro di sé,
scaldandosi lentamente. Un fuoco troppo intenso l’avrebbe solo
ferita e ustionata. Si, doveva provvedere a trovarsi una bella corazza
ignifuga.
“ma si! In questo stato non combinerei nulla di buono e
fallirei!” si disse per auto convincersi mentre riesumava dalla
montagna di carte poste sotto il tavolino del telefono un depliant. Era
della spa di Alice Cullen. La donna, poco prima che lei tornasse a New
York, le aveva dato i suoi contatti, in caso di bisogno. Forse
l’altra parlava di bisogno
con suo fratello, nel caso fosse ammattita per stare dietro a quel
damerino, ma quella le sembrò l’occasione perfetta per
approfittare dell’offerta.
Fuggire era da vili, essere in debito con una Cullen le provocava un
nodo allo stomaco, come se un filo della matassa avesse preso la strada
del suo esofago.
Già era in debito con un altro Cullen. Il suo capo aveva
trattenuto suo padre, impedendogli di seguirla, un gesto davvero
premuroso che probabilmente lo aveva messo nei guai con il gran capo
Carlisle. Gesto che lei avrebbe dovuto ripagare a vita per sentirsi a
posto con la coscienza.
Il suo orgoglio venne schiacciato ancora di più. Edward Cullen
l’aveva aiutata a scappare da suo padre, quando lei era stata
troppo scossa o troppo codarda...
La brochure la chiamava a gran voce dal letto su cui l’aveva
aperta, il numero personale di Alice scritto a penna in un angolo.
Mentre le sembrava di impazzire del tutto, dilaniata dalle
possibilità, bussarono alla sua porta. Si immobilizzò in
mezzo alla stanza, il cuore che rischiava di saltarle fuori dalla cassa
toracica. Era già lì Charlie? Non era ancora pronta,
aveva fatto in fretta...magari era stato lo stesso Edward a dirgli dove
vivesse.
Bastardo traditore! Prima l’aiuta e poi la pugnala alle spalle. Imperdonabile anche se era stato costretto da suo padre...
“Isabella apri!” era lui, era Edward che bussava alla sua
porta, insistente come qualche giorno prima. Decisamente da condannare,
anche solo per disturbo della sua quiete. “sono solo e so che sei
lì!” lui attese qualche secondo e poi scaricò un
altro pugno sulla porta. “La signora O’Connors ti ha vista
rientrare, quindi apri, dannazione!”
Attese un segno di vita dall'altro lato del legno ma non ricevendone continuò.
“Sono solo, te lo giuro. I nostri genitori sono rimasti in
sede...” Concluse, la voce che piano piano scemò.
“ho chiesto ad Angela e a Eleazar di ritardare il più
possibile la ricerca del tuo indirizzo.” Stava perdendo la
speranza che Isabella gli aprisse la porta che invece si socchiuse. Il
catenaccio era teso nello stretto spazio d’apertura, il volto
della ragazza sbucava dalla fessura. Lei guardò a destra e a
sinistra, sincerandosi della lealtà del suo capo, poi lo fece
entrare.
Lui, senza attende un attimo o perdersi in chiacchiere, aprì
l’armadio e i cassetti e ne estrasse tutto il contenuto.
“è impazzito? Ma che fa?” Isabella tentava invano di
fermarlo. Ci mancava solo un altro schizzato in
quell’appartamento, bastava lei che ripeteva all’infinito
gli otto passi tra il bagno e la cucina. Tentò anche di
scostarlo dal suo intento, invano. “signor Cullen!”
urlò facendolo finalmente desistere dal disordinarle la stanza.
“che c’è?” si rialzò con il viso rosso
e stravolto dalla rabbia. “mi fai finire? Dobbiamo andarcene il
prima possibile!”
“andarcene? Lei dove va?” chiese stupita e un po’ ingenuamente la ragazza.
“Pensavi di farti un giretto da mia sorella?” Edward
riprese un attimo la calma e quasi ridacchiando prese dal letto
l’opuscolo della spa. “non te lo consiglio, è una
spia eccellente se ha una contropartita adeguata.”
“sono affari miei!” disse lei, strappandogli
l’opuscolo di mano. Di certo erano una bella coppia di scimmie
urlatrici e rabbiose. Isabella attese un secondo per calmarsi e
riprese.“ho...ho bisogno...” trasse un profondo respiro.
“vede? Ho bisogno di respirare e reprimere al rabbia. Se affrontassi ora mio padre ora...”
“sarebbe un completo disastro?” concluse per lei Edward,
ricevendo un segno d’assenso. Il suo sorriso si fece sincero e si
allargò. “bene. Allora è deciso, si parte!”
***
Isabella trasse dal bagagliaio il suo zaino. Non era sicura di che ore
fossero, né di quanto confini avessero attraversato. Aveva
cercato di restare sveglia, ma appena dopo aver lasciato lo stato di
New York aveva ceduto al sonno che prepotentemente bussava alla porta
della sua coscienza.
Tutto sommato non era andata così male come credeva. Certo, il
primo momento era stato imbarazzante, si sentiva un’adolescente
in fuga d’amore. Peccato che l’amore non avesse spazio per
attecchire nel suo cuore innevato.
“perché fa tutto questo?” gli aveva domandato, senza riuscire a trattenere la curiosità.
“te lo dico solo se mi dai del tu.”
Isabella rimase zitta fino
all’autogrill dove si fermarono per sgranchirsi le ossa e mettere
qualcosa nello stomaco, oltre che approfittare del bagno. Si
zittì per principio, non per altro. A lei non cambiava molto
chiamarlo Edward o signor Cullen o damerino, ma odiava essere messa
alle strette. Già non sapeva come comportarsi con lui al di
fuori dell’ufficio, e lui ci metteva del suo per complicare tutto.
“ok.” Sbottò non
appena ripartirono dopo la sosta. “capo. Perché fai tutto
questo? Nessuno ti costringe a..a...” agitò le mani
indicando la strada scura davanti a sé.
“a fuggire con te?” ancora una volta, lui le venne in soccorso concludendo la sua frase.
“esatto!”
“hai mai pensato che mi potesse far piacere aiutarti?”
Lei scosse la testa. “hai fatto
di tutto per farmi ammattire al lavoro. Mi hai preso in giro davanti a
tutti e mi reputi una stupida inetta...” lo accusò, senza
risparmiarsi nulla. Dopotutto non avrebbe mai potuto lasciarla sul
ciglio della strada. E tanto meno non era abituata a tenere a freno la
lingua.
“il lavoro è lavoro,
signorina Swan. Devi essere sempre pronta e preparata, in ogni
evenienza. Ho testato le tue capacità per vedere fin dove
potesse spingerti...” lei gli riservò un’occhiata
scettica.” Ok, ok, un po’ mi sono divertito a
torturarti.” Ammise infine lui con un sorriso. “ma ne sono
estremamente soddisfatto, sei la migliore collaboratrice che abbia mai
avuto.”
“cosa è cambiato
adesso?” Isabella sperò con tutta se stessa che non la
vedesse come una fanciulla in difficoltà. Era l’ultima
cosa di cui aveva bisogno, un damerino che si credeva un cavaliere
senza macchia né paura.
Edward tolse un attimo la mano dal
volante per ravvivarsi i capelli, già di per sé
scompigliati. Isabella, avendolo osservato a lungo, sapeva che era un
segno di nervosismo.
“hai subito un colpo enorme
oggi e forse ne arriveranno altri. Ho capito solo ora quello che volevi
dire l’altra sera e hai bisogno di staccare un attimo così
come ne ho bisogno io. Anche se in misura minore è successo
anche a me, credevo di conoscere tutto di mio padre e invece...beh per
esempio, scopro che è molto amico del tuo e ci sono tante altre
cosette poco chiare...basta come spiegazione?” lei non era per
nulla convinta ma lasciò cadere il discorso. Non si era
professato cavaliere in suo aiuto ma ci era andato vicino.
Senza accorgersene si era addormentata.
Edward l’aveva svegliata solo
al loro arrivo nel Vermont, porgendole un bicchiere di caffè
caldo e con un goccio di latte, come piaceva a lei. Isabella se ne
stupì, poche volte aveva preso il caffè con lui nella
stessa stanza, voleva dire che l’aveva osservata più di
quanto credesse.
E ora stava per entrare nello chalet di proprietà del suo capo.
Le aveva assicurato che nessuno della sua famiglia conosceva quel posto
che quindi era sicuro al cento per cento che non sarebbero stati
trovati per i giorni a venire.
“che spettacolo indecente.” Borbottò tra sé e
sé la ragazza, guardando il suo riflesso nel vetro della porta.
I capelli erano in completo disordine, la felpa chiara che indossava
era tutta spiegazzata e il volto recava i segni dello scomodo
sonnellino, con quelle occhiaie enormi. Il freddo dell’aria
invernale, invece, le stava facendo arrossare le guancie. “sono
perfetta per Halloween. Peccato che sia stato il mese scorso.” Il
suo umore era proprio pessimo e il mal di schiena per essere stata
raggomitolata sul sedile per tutto il viaggio lo migliorava di certo.
Si era quasi, e dico quasi,
dimenticata del suo compagno d’avventura, quando dalla stanza
principale dello chalet sentì provenire delle urla e dei colpi
di tosse. Aprì la porta e si ritrovò avvolta da un denso
fumo scuro che inevitabilmente la fece tossire.
“che sta facendo?” chiese quando era ancora sulla soglia
tra una tossita e l’altra. Con tutto quel fumo nemmeno lo vedeva
il suo capo. Sembrava un soggiorno e quello in cui era sdraiato Edward
sembrava un camino. “sta lottando contro un drago sputa
fuoco?” lo prese in giro, non trattenendosi affatto dal ridere.
Edward evidentemente voleva accendere il camino per riscaldare
l’ambiente, peccato che fosse poco pratico. “lasci fare a
me.” disse lei e lo trascinò fuori dalla bocca del drago.
“di nuovo quel maledetto lei?”
chiese Edward senza commentare oltre. Aveva fatto una pessima figura,
facendosi ripescare dal camino coperto di fuliggine e lo sapeva bene.
Aveva sbagliato qualcosa nell’accenderlo, questo era sicuro, ma
cosa? Ci teneva a farle trovare la casa con un bel fuocherello acceso
per farla sentire in una casa accogliente e non in un freddo chalet di
montagna, impersonale. Invece aveva fallito miseramente.
“si si come vuoi.” Ribatté lei distratta mentre
apriva le finestre per far uscire il fumo e entrare aria pulita.
“faccio io. Vai a fare la spesa, converrà riempire il
frigorifero se dobbiamo rimanere qua.” Gli levò di mano i
fiammiferi e con lo sguardo eloquente lo spinse ad andare al paese
più vicino, distante circa una mezzoretta.
Isabella aveva osservato a lungo il cielo prima di entrare in casa. Era
all’incirca l’alba e la neve caduta nella notte riluceva
nella tenue luce. Sapeva benissimo che quando il cielo aveva quel
colore, così strano, tra il bianco, il giallo e il grigio,
presto sarebbe nevicato ancora. Il termostato appeso vicino allo
stipite della porta d’ingresso le aveva dato ragione, era
vicinissimo allo zero. Era meglio correre ai ripari e fare provviste,
nel peggiore dei casi sarebbero rimasti bloccati lì, da soli, a
causa della neve.
“morirai congelata se non accendo il camino prima.” Se le
occhiate non bastavano più, doveva passare alle maniere forti.
Sbuffando, Isabella lo spinse malamente fuori casa. Odiava quando non
la stava a sentire e quando non credeva nelle sue immense
capacità, anche se era stato estremamente premuroso nei suoi
confronti. Ma lei aveva una certa esperienza, avendo acceso camini (e
fuochi) sin da quando era piccola...glielo aveva insegnato Charlie.
Scacciando il pensiero molesto di suo padre, controllò che la
presa d’aria fosse aperta o si sarebbe trovata la casa invasa dal
fumo, come era successo poco prima.
Accese il fiammifero e rimase ad osservarlo mentre la fiamma bruciava e
raggiungeva rapida le sue dita. Prima di scottarsi lo agitò in
aria, facendolo spegnere. Ripeté l’operazione ma questa
volta gettò il cerino del camino all’istante, in modo che
il fuoco finalmente le riscaldasse le ossa. Dapprima la timida
fiammella consumò le pagine di giornale, poi si propagò
ai ceppi di legno. Piano piano, lentamente, iniziò a trasformare
in cenere il legno.
Restò a fissare la fiamma che mano mano cresceva con gli occhi
fissi. Il fuoco esercitò ancora una volta il suo potere ipnotico
su di lei e lei aveva davvero bisogno di riscaldare il suo corpo.
Ma chi avrebbe riscaldato il suo cuore?
p.s dell'autrice: siete giunti in
fondo? che ne pensate? si lo so...sono in ritardo ma il capitolo non si
scriveva. la prima versione era uno schifo, questa mi soddisfa
parecchio (e se lo dico io che sono sempre molto critica con i miei
capitoli...) il ritardo è dovuto anche al fatto che lo schermo
del mio pc sta morendo e non avendo uno schermo (e relativa tastiera e
mouse) a disposizione era un po' difficile scrivere.
grazie per la pazienza che avete e per
l'affetto che dimostrate a questa storia. non smetterò mai di
dirvi che sono le vostre parole che mi spingono sempre a continuare!!
allla prossima! ciao!
|