Sussurri e Obblighi
Capitolo Terzo
[Pansy]
Avrebbe voluto saper respingerlo.
Avrebbe voluto trovare la forza di
fargli lo stesso male che lui le aveva inferto.
Invece, Pansy, se ne stava in piedi
davanti la porta a fissare gli occhi scuri e seri di Blaise Zabini.
Sembrava non fosse mai cambiato nulla, come quando si bussavano alle
porte delle rispettive camere per abbracciarsi, farsi forza,
dimenticare.
Ma se per lei erano momenti preziosi,
quelli passati fra le sue braccia, per lui erano stati istanti di
debolezza, attimi da nascondere dietro la porta di una spoglia
camera.
-Lo sai perchè sono qui, Pansy.- disse
entrando ed ignorando la fiacca protesta del braccio di Pansy che
tentò di riportarlo fuori.
-Tu hai una cosa che mi appartiene.-
concluse girandosi a fissare la schiena di Pansy, irrigidita dal
terrore e dalla rabbia.
-Avevamo fatto un patto, Blaise.-
rispose sommessamente Pansy. -Io non ho parlato. Non ho detto nulla,
eppure tu sei qui.-
-Dammela! Ridammi la mia bacchetta!
Pansy si voltò e marciò su di lui,
sfilò la bacchetta dalla tasca dei jeans e la puntò contro il petto
di Blaise.
-Non serve che ti ricordi cosa potrebbe
succedere se qualcuno venisse a sapere di te, della tua nuova vita...
Vuoi veramente che tuo padre ti distrugga come ha fatto con tua
madre? Sei così cieca, Pansy? Tutto questo non è destinato a
durare.-
Pansy annuì e con un incantesimo non
verbale evocò una bacchetta di legno chiaro, che planò accanto a
loro ed atterrò sul palmo aperto di Blaise che sorrise.
Un sorriso breve e reale che Pansy
realizzò di aver dimenticato.
-Se dovesse succedere qualcosa a lui...
A mio padre, me lo farai sapere?- chiese la ragazza aprendo la porta
di casa.
-Ci proverò, Parkinson, ci proverò.
Si fissarono a lungo, irrimediabilmente
divisi dalle loro scelte eppure ancora uniti dal sottile filo dei
ricordi. Blaise accennò a un saluto con la mano e si smaterializzò,
lasciandola sola, sul pianerottolo cupo di un appartamento anonima,
con lacrime invisibili che percorrevano un viso pietrificato dal
passato.
[Ron]
Ronald Weasley si era sempre
considerato un ragazzo di campagna, nato e cresciuto nel bel mezzo di
campi più o meno coltivati, considerava la città, il luogo ideale
dove divertirsi ogni tanto.
Non avrebbe mai pensato che
nel giro di qualche mese si sarebbe ritrovato a vivere in mezzo a
quella confusione, a prendere i mezzi Babbani e a cercare
costantemente di non travolgere nessuno in quelle piccole vie
stracolme di gente.
Nessuno avrebbe scomesso che
sarebbe sopravvissuto.
Eppure eccolo lì, nel bel
mezzo di palazzi e auto, destreggiarsi alla ricerca di un significato
da dare alla sua esistenza.
Aveva perduto sangue del suo
sangue. Fred
Aveva
sentito la sua anima spezzarsi.
Aveva perduto il calore che
gli riscaldava il cuore. Hermione
Si ritrovava solo, con un
lavoro in un bar, un appartamento condiviso con un silenzioso ragazzo
e le centinaia di lettere di sua madre accatastate l'una sopra
all'altra.
La sua vita poteva
continuare a scorrere nell'anonimato, su binari incerti ma
decisamente separati rispetto al suo passato, se non fosse che vide
una ragazza dal cappotto rosso trainare una bici femminile e guardare
le vetrine.
Nonostante non la vedesse da
quella maledetta notte, la riconobbe.
I capelli corvini, l'estrema
magrezza, le labbra piegate costantemente all'ingiù, l'espressione
fredda del suo viso.
Completamente sorpreso si
lasciò sfuggire un sussurro: Parkinson?
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