Oceani_5
ATTO V:
CRUISES FEAR, CABINA
DEL CAPITANO › MAR DEI
CARAIBI, 1768
DEAD MEN
TELL NO TALES
Anche se ci trovavamo sottocoperta, mi
sembrava di sentire
l’odore del mare e della libertà.
Non mi ero mai realmente soffermato su
queste due singole
parole, ma da quando la nostra vita aveva ricominciato a farsi davvero
avventurosa avevano acquistato un
significato tutto nuovo, quasi si fosse trattato di parole
assolutamente diverse:
l’arruolamento di Patrick, la fuga da Porto Rico,
l’attacco della marina ai
danni della nostra caravella, le taglie sulle nostre teste e
l’inseguimento del
Commodoro Waine lì a Roseau... avevano fatto in modo che mi
sentissi nuovamente
vivo, un
pirata come avevo sempre
sognato di essere, quasi al pari del mio compianto padre. E tutta
l’adrenalina
che avevo accumulato durante quel nostro viaggio sembrava essere ancora
in
circolo, sebbene ci trovassimo momentaneamente in una situazione di
stallo.
La nostra destinazione era ancora
parecchio lontana e ci sarebbero voluti giorni, se non mesi, per
riuscire
quanto meno a trovarci nei paraggi, e inoltre si era aggiunto il
ritrovamento
di quella mappa che, ne ero certo, ci avrebbe fatto perdere ancora
più tempo. Purtroppo
sapevo che avevo ormai i minuti contati e che dovevo affrettarmi a
raggiungere
quel determinato luogo in mezzo all’oceano, dunque non potevo
pensare anche ad
eventuali luoghi immaginari colmi di tesori, per quanto essi mi
tentassero.
A quei miei stessi pensieri
sospirai, gettando un’occhiata alla mia ciurma: Cid, che si
era occupato lui
stesso di fasciarmi la ferita alla testa prima di occuparsi del proprio
braccio, se ne stava seduto a lucidare la sua pistola come se si stesse
preparando ad un altro possibile scontro, mentre il ragazzo ammazzava
il tempo
giocherellando con qualcosa che ricordava vagamente un doblone; sebbene
avessi
cominciato ad fissarlo distrattamente, sbadigliando in preda alla noia,
quando
mi resi davvero conto di cosa fosse sgranai gli occhi e spalancai la
bocca,
avvicinandomi a lui così rapidamente che quasi
sussultò quando gli fui ad una
spanna dal viso. «Dove l’hai preso?» gli
domandai incredulo, osservando quella
patacca come se non credessi alla sua esistenza. Grande quanto un
doblone,
sopra vi era raffigurata una tigre e, intorno ad essa, vi erano incise
delle
scritte in aramaico [1]
che
non avevo mai tradotto. Quello era
l’unico esemplare di un antico tesoro che
mio padre aveva rubato tempo addietro nelle Bermuda, ne ero certo.
Perché
diamine ce l’aveva quel moccioso?
Lui si strinse nelle
spalle, chinando lo sguardo per fissare con fare afflitto i legacci dei
suoi
stivali. «Quando sono arrivato a Porto Rico l’avevo
già con me», mi rispose,
evitando di guardarmi come se avesse fatto una brutta cosa.
«L’ho sempre
considerato un portafortuna».
«Hai detto che mastro
Garrington
ti ha trovato e ti ha accolto, giusto? Che altro ricordi di quel
giorno?»
indagai, fissandolo attentamente come se cercassi di sondare la sua
anima
semplicemente facendolo. C’era qualcosa che non quadrava, in
quella storia, e
avrei fatto luce su di essa in un modo o nell’altro.
«Senta, Capitano, ma questo
che
importanza ha?»
«Rispondi alla mia domanda e
basta, ragazzo».
«Ti conviene fare come
dice», si
intromise Cid, che fino a quel momento se n’era rimasto in
disparte a lucidare
la sua cara pistola. Era seduto sulle casse gettate lì nella
stiva con una
gamba ciondoloni, e il suo viso esprimeva un’indifferenza
tale e una noia così
profonda che avrebbero anche potuto dirgli che l’Olandese
volante [2]
si
aggirava nei pressi del porto senza che battesse ciglio minimamente.
«Potrebbe
continuare a farti la stessa domanda in eterno, e alla fine per non
sentirlo
l’unica cosa che vorresti fare sarebbe puntargli una pistola
alla testa e
fargli saltare le cervella».
Alla faccia del compagno che
avevo! «Grazie, Cid, tu sì che mi sei
d’aiuto», ironizzai, vedendolo però
sollevare un angolo della bocca in un sorriso e farmi un cordiale cenno
del
capo con il cappello piumato che indossava.
«Quando vuole, oh mio
Capitano»,
mi prese in giro a sua volta, tornando ad occuparsi della propria arma
e
lasciando finalmente a me il compito di occuparmi del ragazzo. Era
già
difficile farlo parlare chiaro senza che ci si mettesse anche il mio
vice a
fare dell’ironia.
«Ricominciamo da capo,
Patrick»,
mi sforzai di essere cordiale, chiamandolo persino per nome invece di
usare
altri appellativi. Mi ero anche seduto, quasi potesse realmente
servire. «Cosa
ricordi di quel giorno?»
Lui si grattò dietro la testa
e
cominciò a guardarsi intorno, lanciando di tanto in tanto
delle occhiate
furtive a Cid come se volesse cercare in qualche modo il suo aiuto.
Restio a
parlare, al principio, decise finalmente di spiegarsi solo dopo che
iniziò a giocherellare
con il doblone, rigirandolo fra le dita. «Vedevo rosso
ovunque», disse
sottovoce, quasi temesse di star dicendo la cosa sbagliata.
«Però è difficile
dire di cosa si trattasse davvero. Non so se fosse semplicemente il
tramonto
riflesso sul mare o qualcosa che andava a fuoco». Si
interruppe, però io mi
ritrovai a sgranare ancora una volta gli occhi. Le coincidenze erano
troppe,
davvero troppe. Ma ero sicuro quasi al cento per cento che la persona
che
conoscevo io fosse scomparsa sei anni prima, e avevo creduto alle voci
che lo
davano ormai per morto. Quel ragazzo non poteva essere chi credevo che
fosse.
Allora perché il mio cuore si ostinava a sperarlo?
«Ricordo anche la nausea che
mi aveva provocato l’oscillazione di una nave in balia delle
onde», continuò,
riscuotendomi. «Sono stato trovato sulla riva, poco distante
dal porto, e sono
quasi certo che ero imbarcato su una nave. Ma oltre a questo non
ricordo altro,
a parte qualche parola confusa».
«Chi era colui che le
pronunciava?
E cosa diceva?» insistetti, venendo ammonito da Cid che mi
lanciò contro lo
straccio che aveva usato fino a quel momento per pulire la sua pistole.
«Dagli tempo,
dannazione», sbottò
tranquillo. «Se fai tutte queste domande insieme lo confondi,
quel povero
ragazzo».
Assottigliai lo sguardo nella sua
direzione. «Tu vedi di farti gli affari tuoi».
«Ehi, Cid,
Capitano», ci richiamò
subito Patrick. «Non c’è bisogno di
discutere, sul serio. Ho solo sentito
qualcuno che canticchiava una bassa nenia, qualcosa tipo
“L’alba non c’è
ancora”
o simile».
A quel suo dire stornai
bruscamente lo sguardo su di lui per fissarlo attentamente con tanto
d’occhi,
spalancando la bocca con fare incredulo.
«“L’alba è ancor lontana, ma
la notte
non ci fa paura”... era una cosa del genere?»
Gli occhi di Patrick si
illuminarono. «Aye, proprio quella!»
esclamò tutto contento, ma io lo osservai
basito e dilatai gli occhi, non credendo alle mie orecchie. Mi alzai
così
velocemente che rivoltai la sedia all’indietro e feci
sussultare sia Cid sia
Patrick, che mi fissarono come se si stessero chiedendo cosa mi fosse
preso
così all’improvviso.
Troppo scombussolato, però,
diedi
loro le spalle e corsi come una furia fuori dalla cabina, seguito dalla
voce di
Cid che mi urlava di tornare lì. Non mi presi la briga di
voltarmi né tanto
meno di rispondere, salendo svelto sul ponte per rifugiarmi dietro al
cassero,
portandomi le mani alla testa per intrecciare le dita fra i capelli. Mi
lasciai
scivolare a terra a gambe spalancate, fissando basito un punto
indefinito. Tutte
quelle conferme, le parole del ragazzo, quella patacca proveniente
dalle
Bermuda... nay, non potevano essere solo coincidenze, tanto meno la
canzone che
soleva cantare mia madre quando mio padre prendeva il largo per mesi e
mesi.
Me ne restai lì fuori ad
osservare
il cielo nero trapunto di stelle per chissà quanto tempo,
con l’alone argentato
della luna che rendeva il legno della nave quasi spettrale. Persino le
vele,
che si gonfiavano con il vento che soffiava da ovest, erano simili ad
enormi e
spaventose creature emerse dai fondi più oscuri e
terrificanti dell’oceano.
A distrarmi furono dei pesanti
passi sulle assi del ponte, ma non ebbi bisogno di alzare lo sguardo
per capire
di chi si trattasse. «Gale, idiota», mi
apostrofò Cid, «si può sapere che ti
è
preso? Io e il ragazzo ci siamo spaventati».
«Il ragazzo»,
ripetei senza
guardarlo, nascondendomi il viso con il palmo di una mano. Avevo anche
chiuso
gli occhi, come se servisse. «Dobbiamo riportare il ragazzo a
Porto Rico, Cid.
Non può più venire con noi».
Sentii il più completo
sconcerto
nella sua voce quando infine parlò, «Pochi giorni
fa dicevi l’esatto contrario»,
annotò. «Per non parlare poi del tempo che
impiegheremo nel cambiare rotta. Ma
perché pensi questo, adesso?»
Strinsi i denti, imprecando.
«Voglio
che scenda da questa nave. Immediatamente. Il triangolo delle Bermuda
è un
posto pericoloso, per il ragazzo».
«Ma che diamine ti
prende?» Lo
sentii avvicinarsi maggiormente a me a passi pesanti e veloci, e fu lui
stesso
ad allontanarmi la mano dal viso per costringermi a guardarlo.
«Anch’io mi sono
un po’ affezionato al ragazzo, Gale, ma venire con noi
è stata una sua scelta»,
mi fece notare. «Che diritto hai di prendere decisioni al suo
posto? E’ un
uomo, per la miseria».
Che diritto avevo? Eh, avevo più diritti di
quel che
credessi
anch’io al principio, il che non era cosa da poco.
Così trassi un sospiro,
socchiudendo le palpebre per non guardare né lui
né tanto meno la luce della
luna che si frammentava sulle onde dell’oceano.
«Quel ragazzo... credo che non
si chiami Patrick, Cid», cominciai, dando finalmente voce
alla mia ipotesi.
Forse farlo mi avrebbe convinto che non stavo sognando. «Il
doblone che ha con
sé, il bagliore rosso che dice di aver visto, la canzone che
ricordava...
quella era la canzone che mia madre cantava a me e a mio
fratello».
«E questo cosa diavolo
centrerebbe
con...» iniziò, interrompendosi tutto
d’un tratto quando la sua mente realizzò
ciò che avevo tentato di dirgli. Attraverso l’orlo
delle ciglia lo vidi
sgranare gli occhi, sgomento, sbattendo poi le palpebre più
e più volte mentre
boccheggiava. «Credi... credi sul serio che quel ragazzo sia
Jim?» mi chiese
con fare guardingo, con voce bassa e appena percettibile da orecchio
umano. «Gale,
amico... non puoi aver semplicemente preso un abbaglio?»
«So quel che dico, Cid,
dannazione»,
scompigliandomi furente i capelli prima di aprire gli occhi e fissarlo
con
attenzione in viso. «Non riuscivo a crederci neanche io,
però...» mi
interruppi, lasciando sfumare la voce ed abbassando ancora una volta la
testa.
Volevo aggrapparmi alla speranza che fosse davvero come credevo, ma al
tempo
stesso non volevo farmi illusioni su quella mia stramba supposizione se
essa si
fosse rivelata sbagliata.
Avevo perso mio fratello Jim sei
anni prima, quando la cittadina in cui vivevamo era stata presa di mira
da una
flotta di pirati che era sempre stata contro mio padre. Prima che
morisse in
mare era difatti stato il più grande pirata che avessi mai
conosciuto, ed era
stato anche per quel motivo che io avevo deciso di seguire le sue orme
e
salpare alla volta dei sette mari.
Quel giorno di sei anni addietro
mi stavo per l’appunto apprestando ad intraprendere quel
lungo viaggio. Avevo
radunato le mie cose e, salutati mio fratello e mia madre, avevo
lasciato la
nostra abitazione con un sorriso, attraversando le vie della
città in direzione
del porto. Era stato proprio in quel mentre che si era scatenato
l’inferno in
terra: il cupo suono dei cannoni e il sinistro sibilo dei colpi aveva
infranto
la quiete notturna del luogo, svegliando la popolazione e gettandola in
preda
al panico; l’odore della polvere da sparo si era diffuso
ovunque, e ben presto
le strade erano state ghermite da centinaia di pirati travestiti da
uomini
della marina, ognuno armato di spada e pistola. Chi tentava di scappare
veniva
subito trucidato, e a nulla era valso tentare di combatterli. Gli
uomini del
villaggio si erano comunque muniti di armi per scacciare gli invasori,
e
anch’io avevo preso parte alla rivolta tentando di portare
con me più pirati
possibili. Se fossi morto nel tentativo di difendere la mia gente, quei
filibustieri mi avrebbero fatto compagnia all’inferno.
Peccato però che, mentre
ero intento a salvaguardare la parte bassa della città, i
pirati avessero
raggiunto i quartieri residenziali, razziando case e rapendo donne e
bambini.
Mio fratello era stato tra questi.
Quando tutto era finito e i pirati
avevano lasciato il villaggio, ero corso a casa così in
fretta che le gambe
avevano cominciato a farmi male; dinanzi alla porta, però,
mi ero accasciato a
terra lasciando cadere la spada, fissando il corpo privo di vita di mia
madre,
il cui viso insanguinato era stato sinistramente illuminato dalle
fiamme
arancioni che divoravano le abitazioni. E da quel momento avevo creduto
che
anche il mio fratellino fosse morto o stato venduto come schiavo,
convinto
persino dalle voci che si sentivano in giro riguardo quella stessa nave
pirata
che ci aveva attaccati. Sapere adesso che quel Patrick poteva essere in
realtà
Jim, sebbene stentassi ancora a crederlo, alimentava almeno in parte la
fiamma
di speranza che si era affievolita in me esattamente sei anni prima.
«Non farne parola con il
ragazzo»,
raccomandai infine a Cid a mezza voce, ostinandomi a guardare le assi
di legno
di cui era composto quel ponte trasandato.
Lui trasse un lungo sospiro, quasi
avesse voluto aggiungere altro, ma si limitò semplicemente
ad annuire prima di
chinarsi di poco verso di me, alzandomi il viso con due dita e
poggiando appena
le labbra sulle mie, con un tocco leggero e quasi inesistente.
«Sta’
tranquillo, Gale», sussurrò. «Gli uomini
morti non raccontano storie [3]».
[1] Lingua
semitica che vanta circa 3.000 anni di
storia. In passato fu lingua di culto religioso e lingua amministrativa
di
imperi. E’ la lingua in cui furono in origine scritti il
Talmud e parte del
Libro di Daniele e del Libro di Esdra. Essa era una lingua parlata
correntemente in Palestina ai tempi di Gesù. Attualmente,
l’aramaico è
utilizzato nei villaggi di Ma’lula, Jabadin e Bakha, in
Siria.
[2] Secondo
il folklore nord-europeo, l’olandese
volante è una nave fantasma che solca i mari in eterno senza
una meta precisa,
e a cui un destino avverso impedisce di tornare a casa. Viene spesso
avvistata
da lontano, avvolta in una nebbia o emanante una luce spettrale. I
marinai
della nave sono fantasmi, che tentano a volte di comunicare con le
persone
sulla terraferma.
[3] Tipica
espressione piratesca utilizzata come
scusa per non lasciare sopravvissuti.
Richiamando anche il
titolo del capitolo stesso, motivo per cui non è stato
segnato precedentemente
fra le note, in questo caso sta solo ad indicare che Cid si
tapperà la bocca
come se fosse un uomo morto.
C’è anche un secondo
motivo di fondo che si chiarirà andando avanti con la
storia.
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