Capitolo 1
Tutti e due sputiamo tutti e due
su ciò che
abbiamo amato
su ciò che
abbiamo amato tutti e due.
Parlo al passato; ridete!,
se vi va, al suono delle
mie parole.
Sputiamo sull'amore
sputiamo se vuoi.
-Valzer di Siviglia-
Tredici
anni dopo
«Io dico che è uno stregone»
Un silenzio attonito riempì l'aria.
Tentando di mascherare il suo imbarazzo, Magnus si esibì in
una risata di scherno.
Il sole filtrava attraverso le spesse nuvole che slittavano sull'arco
celeste. Il vento frustrava le chiome degli alberi: si contorcevano,
ondeggiando e lamentandosi coi loro deboli fruscii. La testa di uno
scoiattolo spuntò da un basso cespuglio di more selvatiche,
restituendomi uno sguardo sospettoso. Il freddo pungente di fine
febbraio mi penetrò nelle ossa, facendomi rabbrividire.
Magnus se ne accorse.
Si accigliò, aggrottò la fronte e, esitando
imbarazzato, si sfilò il pastrano e me lo posò
sulle spalle. Arrossii.
I miei compagni di gioco saltellavano impazienti intorno a me,
guardandomi con occhi curiosi.
«Mia nonna non vuole che faccia queste cose!»
gridai serrando le mani a pugno e nascondendole dietro la schiena.
Magnus sghignazzò, una smorfia sarcastica gli
piegò le labbra.
Quando voleva, sapeva essere un vero demonio. Ma le sue labbra erano
così rosee, incredibilmente morbide e invitanti.
Voluttuose. Una volta gliele avevo toccate con la punta delle
dita; lui si era scostato, disgustato, balbettando che ero una
svergognata e che sarei finita all'inferno per questo.
«Sei una codarda, Annabelle
senza cognome» sibilò inviperito.
Sentii un rossore imbarazzato inondarmi le guance. Gli abitanti del
villaggio mi disprezzavano: dicevano che ero la figlia del peccato, che
nessuno avrebbe dovuto avvicinarmi, che sarei dovuta marcire
all'inferno, io e la lurida sgualdrina che mi aveva messa al mondo. La
reputazione di mia madre mi avrebbe perseguitata per il resto dei miei
giorni. Quella sporca
puttana, la chiamavano, e io non avevo il coraggio di
difendermi dai loro insulti. Sapevo che erano veri.
Ma Magnus... Magnus era l'unico che mi trattava come una persona
normale e non come la disgraziata che ero; il pensiero che anche lui
potesse sentirsi disgustato da me...
Un moto d'indignazione mi fece tremare, strinsi i denti: se la nonna fosse qui gliela
farebbe pagare, pensai incollerita lanciandogli uno
sguardo torvo. In paese correva voce che Mary fosse una strega, ma io
sapevo che erano tutte fandonie. Nonna Mary era la persona
più dolce, saggia e altruista di questa terra. La dedizione
con cui si prendeva cura di me, l'affetto che mi riservava, la dolcezza
con cui mi diceva che no, non ero una derelitta, ero una bambina
speciale, e le porte di un meraviglioso futuro si sarebbero spalancate
davanti ai miei occhi... non ero nulla senza di lei.
Mary era la madre che non avevo mai avuto. Era il mio oggi e il mio
domani, il mio tutto. Era le mie radici, il mio unico legame di sangue.
Si era sempre fatta carico dei miei problemi, aveva guarito le mie
ferite, asciugato le mie lacrime, non mi aveva mai fatto mancare nulla.
A parte... beh, a parte un padre. E una madre. Una vera famiglia, dei
genitori. Quelli non ce li avevo mai avuti. Nonna diceva che mamma e
papà si amavano molto ma che erano morti quando ero troppo
piccola per capire. Per questo motivo non serbavo alcun ricordo di
loro. Gli abitanti del villaggio conoscevano una storia
diversa: si bisbigliava che mia madre fosse una cortigiana, una donna
impudica e corrotta, e che mio padre l’avesse messa incinta
abbandonandola al suo triste destino.
Per questo Magnus -e con lui tutti gli altri- aveva preso l'abitudine
di chiamarmi Annabelle
senza cognome. Io non avevo un cognome e nessuno voleva
avere a che fare con me, neanche i figli dei contadini e delle
sguattere del maniero. Persino il Barone faceva finta che non
esistessi. Le poche volte che l'avevo incontrato, nei suoi occhi
vibrava un tale odio da costringermi a indietreggiare, terrorizzata.
Una volta l'avevo sentito pronunciare il mio nome. Annabelle, aveva
detto, e la sua voce era così sprezzante, come se detestasse
il solo pensiero di me, come se contaminassi l'aria che
respirava.
Richard Connor aveva trentatrè anni ed era il padrone della
contea di Chaplam. Era alto e scuro; i suoi capelli erano neri come la
notte, gli occhi azzurri brillavano di un'intelligenza inquieta e
calcolatrice. Aveva l'ossatura di un gigante, le spalle larghe, il
petto possente, la pelle diafana -quasi trasparente-, lineamenti
algidi, aristocratici, ciocche corvine che gli sferzavano la fronte
aggrottata in un'espressione impenetrabile. La gente pensava che il
Barone fosse posseduto dal demonio: le puttane e il gioco d'azzardo
erano il suo pane quotidiano.
«Io so cosa fare»
Magnus mi prese per i capelli, facendomi contorcere dal dolore. Mi
voltai a guardarlo infuriata, e lui sorrise. Quel sorriso mi avrebbe
fatto perdonare qualsiasi sua malefatta.
«Belle è l'unica femmina del gruppo»
continuò sprezzante «E, in quanto tale, se il
Barone la trova nella sua stanza non le farà nulla di
male»
«Mi ucciderà» piagnucolai
dibattendomi, tentando di sfuggire alla sua presa. Odiavo la sua
prepotenza. Quando eravamo soli mi trattava come una fragile bambola di
porcellana. Era delicato, quasi adorante. Ma quando era in compagnia
dei suoi amici indossava la maschera di ragazzaccio collerico e
ignorante, e io ero costretta a tollerare i suoi sconcertanti sbalzi
d'umore.
Magnus scosse il capo, alzò gli occhi al cielo e il suo viso
si tese in un'espressione stizzita.
Voleva dimostrare che Connor era uno stregone, un figlio del demonio.
Incoraggiato dai suoi compagni di malefatte, pretendeva che
m'intrufolassi nella camera da letto del Barone e che gli rubassi
alcune ciocche di capelli. Solo così, diceva, avrebbe potuto
provare che Richard Connor era un'anima malvagia e che sarebbe presto
marcito all'inferno. Io non credevo a quelle fandonie. Il Barone era
soltanto un uomo dal carattere altero e schivo, una creatura solitaria,
nulla più. Poteva anche non essere una brava persona, ma
questo non significava che il diavolo si fosse impossessato di lui.
Il diavolo, riflettei cupamente, si nutre di queste sciocche credenze.
Opera il male convincendo i suoi servi di fare del bene. Distorce i
concetti di giusto e sbagliato. Il diavolo sente gracidare il
dolore del mondo, e se ne nutre, come una linfa
vitale e corroborante.
«Se non vai non ti sarò più
amico».
Incrociò le braccia al petto, le labbra tese in un sorriso
testardo. Spalancai gli occhi, scioccata. Magnus sghignazzò,
conscio di aver centrato il bersaglio.
Scacco matto, Magn,
avrei voluto urlargli, inviperita. Lui era il mio unico amico, l'unica
persona cui cui potevo giocare e confidarmi, coltivando i miei sogni e
le mie speranze per il futuro, immaginando i miei genitori, i loro
visi, la loro vita, il loro amore. Soltanto Magnus sembrava capirmi.
Soltanto lui riusciva a farmi sorridere. Il pensiero di perderlo, di
vederlo allontanarsi da me mi faceva piombare in uno stato di profonda
angoscia.
Mi riscossi, raddrizzando la schiena e lanciandogli uno sguardo
omicida, tentando di non fargli capire quanto le sue parole mi avessero
turbata.
«Come vuoi» borbottai con voce tremante.
Mi sfilai un nastro color vinaccia dai capelli e lo gettai ai suoi
piedi «Mi introdurrò nella sua stanza. Se non
dovessi tornare, porta questo alla nonna e dille che le ho voluto tanto
bene»
Una risata divertita abbandonò le sue labbra socchiuse.
Era gongolante: la mia disfatta lo aveva reso più spavaldo
che mai «Non sarà così terribile,
Belle! Connor non ti ucciderà»
«Invece sì» sillabai.
«Vai, vai!» presero a gridare gli altri
bambini e, incoraggiata dalle loro urla, iniziai a correre verso il
ripido pendio del castello. I miei piedi nudi sfiorarono i fazzoletti
d'erba selvatica. Li guardai: erano sporchi e raggrinziti dal freddo.
Anche il mio abito era sudicio, le maniche sgualcite, le gonne
consumate.
Alzai le spalle, cacciai un sospiro sommesso e continuai a correre.
Entrare nel castello si rivelò un'impresa più
facile del previsto. Nessuno sembrò accorgersi di me, i
servi parevano tutti molto impegnati nelle loro faccende quotidiane.
Persino la governante, una certa Mary, sembrò non notare la
mia presenza, impegnata com'era a scrutare con occhi malinconici il
ritratto di un uomo che non conoscevo. Ipotizzai che fosse il
precedente Barone di Chaplam: aveva folti capelli biondi che gli
sferzavano la fronte in morbide ciocche ondulate, gli erano occhi
gelidi, le labbra stette in una smorfia infelice.
M'introdussi nella cucina del maniero, sentii una serva mormorare che
il Barone non sarebbe rientrato prima del giorno dopo e sospirai di
sollievo.
Rischiai di perdermi un paio di volte: il castello era enorme, aveva
moltissime stanze e infiniti corridoi che non sembravano portare da
nessuna parte.
Mi piacerebbe vivere in
un posto del genere, pensai con occhi sognanti. Essere
ricca, bellissima e amata, mangiare tartine al salmone e pasticci di
carne, indossare abiti costosi e sventolarmi il ventaglio davanti al
viso con fare civettuolo... era una prospettiva invitante,
sì.
All'improvviso raggiunsi la stanza del padrone. Un moto di paura mi
assalì.
Strinsi i pugni, determinata, ignorando il brivido d'inquietudine che
mi percorse tutta quando varcai l'uscio della camera.
L'interno, con i pannelli di legno scuro e la moquette verde giada, era
molto elegante. Una lunga panca imbottita, ricoperta di velluto, girava
intorno a un immenso letto a baldacchino; dalla parte opposta c'era un
divano, strategicamente sistemato davanti a uno scrittoio.
Ai lati del letto intravidi due poltrone di pelle: una era vecchia e
usurata dal tempo; l'altra sembrava talmente nuova che dubitai fosse
mai stata usata.
E all'improvviso lo vidi, addossato alla parete, largo, imponente,
minaccioso e austero: uno specchio impreziosito da intarsi dorati che
s'intrecciavano in fantasiosi ghirigori. La toeletta del Signore era
ingombra di ninnoli: un portachiavi, un fermacravatte d'argento, un
pennello da barba, una ciotola di legno e una spazzola di ceramica. Fra
i nodi del pettine s'incastravano ciocche di peli neri e leggermente
arricciati. Sorrisi trionfante, avvicinandomi e strappandone alcuni
fili, nascondendo le braccia dietro la schiena.
In quel momento accadde. La porta della stanza si socchiuse. Sentii una
voce cupa risuonare nell'aria. Il calore defluì
dal mio viso.
Il Barone. Qui. A Chaplam. Nel suo
castello, nel suo
corridoio, che camminava sul suo
pavimento, che parlava con le sue
cameriere, che varcava la soglia della sua camera da
letto. Proprio dove non avrebbe dovuto essere. Proprio dove io non avrei dovuto
essere.
Imprecai silenziosamente, fuggii verso l'anta del guardaroba e mi
nascosi dentro l'armadio. Lo vidi entrare, guardarsi intorno con aria
circospetta, le labbra piegate in una smorfia inquieta. Trattenni il
fiato, sperando che non si accorgesse di me. Appena si fosse
sufficientemente distratto, me la sarei data a gambe.
Quando lo vidi sedere sul letto e tentare di sfilarsi gli stivali,
borbottando a mezza voce, pensai che Richard Connor non somigliasse
affatto al figlio del demonio. Era tremendamente buffo. La risatina che
mi abbandonò le labbra fu la mia condanna. L'uomo
drizzò le orecchie, allarmato. Mi morsi il labbro inferiore
con tanta forza che un piccolo gemito risuonò nell'aria, e i
suoi occhi si puntarono sull'anta socchiusa dell'armadio.
Aggrottò la fronte, perplesso, e poi si alzò,
incamminandosi verso di me. Mai come in quel momento pensai che, se il
Barone mi avesse scoperta, sarei sicuramente morta. Mi avrebbe fatta
impiccare o, peggio ancora, mi avrebbe sbattuta in uno dei suoi
terribili sotterranei. Correva voce che il padre di Richard ci avesse
rinchiuso il fratello pazzo e completamente fuori controllo, e che il
fantasma di Anthony Connor vagasse fra quelle prigioni come un'anima in
pena...
Richard aprì l'anta dell'armadio, e i suoi occhi
incontrarono i miei.
Ecco il secondo capitolo.
Un grazie di cuore a jakefan
per averlo betato e per avermi bacchettata quando era necessario :)
Grazie davvero, J! Ringrazio anche tutte le persone che hanno inserito
la storia fra i preferiti, seguiti e ricordati: aumentate ogni giorno
di più, e questo mi fa molto piacere! *___* Grazie ai 4
lettori che hanno commentato lo scorso capitolo, sono stata felice di
sapere che il prologo vi è piaciuto e che siete disposti a
seguire la mia storia. Alla prossima, Elisa.
Quasi dimenticavo! Mando un bacio enorme alla mia cara mogliA,
che come al solito è troppo indulgente con me, nonostante i
miei difetti e le mie dimenticanze! Ti adoro, Vale! *__*
Volete ricevere spoiler,
anticipazioni e curiosità sulle mie storie? Volete sapere
che aspetto hanno Annabelle e Richard, stare al passo con gli
aggiornamenti, sapere a che punto sono con la stesura dei capitoli? Io
e Matisse abbiamo creato questa paginetta in comune:
Volete
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