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Capitolo 23.
Georgetown, Washington D.C.
La biblioteca era vuota, eccezione fatta per due studenti che stavano
facendo una ricerca, e quindi lei cercava di concentrarsi sullo studio
di Nietzche e il suo “Al di là del bene e del male”.
Trovava lo scritto particolarmente difficile ed ampolloso, per non
parlare del fatto che capiva la metà di quello che stava
leggendo. Sospirò scoraggiata: se non riusciva a capire quello
che leggeva ed ad afferrare la filosofia degli scrittori, come poteva
pensare di riuscire a prendere la seconda laurea?
Il suo sguardo si posò sul block-notes fitto di appunti e
domande, aveva riempito già tre pagine e non era neanche a
metà del volume. Un sorriso soddisfatto le piegò le
labbra, Spencer aveva promesso di darle una mano visto che conosceva la
materia. Aveva una scusa per chiamarlo senza doversi inventare qualcosa
sul momento.
Non si erano più incontrati dopo l’incursione a sorpresa
per portargli la colazione, ma lui l’aveva chiamata tutte le
sere. Si tolse gli occhiali da lettura e si massaggiò gli occhi
stanchi per lo studio. Contro la sua volontà, visto che si era
imposta di studiare quella mattina, i pensieri cominciarono a vagare.
Non era successo niente fra loro che valesse la pena menzionare, alla
fine si era risulto tutto con un nulla di fatto.
Ricordava ancora l’imbarazzo di lui quando le aveva confessato di
non avere preservativi in casa, le sue gote aveva assunta una sfumatura
di rosso piuttosto accesa e lei si era ritrovata a stringerlo forte
nascondendo il viso contro il suo petto. Spencer aveva proposto una
passeggiata e lei si era subito detta d’accordo, era meglio
togliersi da quella situazione così imbarazzante. Per il resto
della mattinata non avevano fatto altro che parlare, erano addirittura
riusciti a farsi qualche risata scherzando sui propri rispettivi lavori.
Decisamente quando si erano lasciati, subito dopo pranzo,
l’atmosfera era rilassata e erano entrambi più tranquilli
e a proprio agio. Almeno lui aveva cominciato ad aprirle il suo mondo,
parlando di cosa lo legava agli altri membri della sua squadra e di
come ognuno di loro fosse speciale a modo proprio. Non si era
soffermato molto su JJ e lei aveva deciso di non volersi rovinare
quella bella giornata chiedendogli spiegazioni su cosa lo unisse alla
bella ragazza bionda che aveva visto nelle foto. Dopo come si era
comportato riguardo l’eventualità di portare il loro
rapporto su un altro livello, aveva preso la decisione di credere nella
loro storia, di credere in lui e nel fatto che non le stesse
nascondendo niente e non la stesse usando.
Era un passo piuttosto impegnativo, per una come lei, riuscire a
fidarsi così di un ragazzo che conosceva così poco.
Nonostante si frequentassero da mesi ormai, per Hope la vita quotidiana
di Spencer rimaneva ancora un mistero e lei era troppo timida ed
insicura per cercare di spostare la conversazione su un argomento che
percepiva non essere gradito al ragazzo. Aveva accettato il fatto che
lui preferisse trattare il loro rapporto e la sua vita lavorativa come
due cose distinte e separate, non poteva costringerlo a vederla in un
altro modo se lui non voleva. Non era brava a manipolare gli altri, non
ci aveva mai neanche provato, preferiva accettare le persone per quello
che erano senza provare a cambiarle.
Quando il ragazzo si fosse sentito pronto a renderla parte integrante
del suo mondo, la cosa sarebbe successa da sola senza bisogno che lei
forzasse la mano. Qualcosa le diceva che prima o poi quel giorno
sarebbe arrivato e che lei doveva solo portare pazienza ed essere
fiduciosa.
Aspettava impaziente che il cellulare squillasse, anche se sapeva che
era troppo presto perché Spencer si fosse liberato. La sera
prima le aveva detto che si era accordato con Derek e la sostituta di
JJ per andare ad esercitarsi al poligono di tiro, ma che appena
avessero finito sarebbe andato da lei per portarla fuori a pranzo. A
qual pensiero ne seguì un altro. Fanny non aveva più
parlato con lei del suo vicino di casa, la qual cosa le faceva supporre
che alla fine la cugina avesse deciso di rimanere sola amica con
l’agente federale e che per una volta aveva riflettuto prima di
buttarsi a capo fitto in una storia.
Non sapeva se essere felice per quel cambiamento nel modo di vivere
della vivace ragazza oppure se essere triste per lei. Ormai era da
molto che nella vita della cugina non c’era nessuno di importante
e sapeva che il lavoro all’obitorio le prendeva molto tempo,
lasciando pochissimo spazio per una parvenza di vita sociale. Forse
l’istinto di avere una storia con l’inquilino del piano di
sotto non era poi così male, agli occhi di Hope le vite di quei
due erano terribilmente vuote e solitarie. Non che lei potesse fare la
ramanzina a qualcuno in quell’ambito: prima dell’arrivo di
Spencer lei viveva solo per il suo lavoro e non frequentava nessuno di
speciale. Per essere precisi non frequentava persone di sorta. Non
aveva amici escludendo Fanny, che era anche una parente e con la quale
era cresciuta, figurarsi se poteva avere una storia di qualche
rilevanza.
L’ultima volta che aveva frequentato un ragazzo era stato ai
tempi del college, un’esperienza da dimenticare. Lui si era
volatilizzato alla velocità della luce appena lei aveva detto di
non sentirsi ancora pronta per il sesso. Aveva cominciato a non
rispondere alle sue telefonate e ad evitarla nei corridoi
dell’università. Forse era timida ed impacciata, ma non
era così stupida da non aver capito l’antifona. Joe
l’aveva trovata interessante solo finché si era illuso di
poterci fare sesso in breve tempo, quando si era reso conto che lei non
era quel genere di ragazza aveva perso ogni attrattiva agli occhi del
ragazzo.
Mentre pensava a tutto questo, ancora con le mani poggiate sulle
palpebre chiuse, si rese conto di non essere più da sola.
Sollevò lo sguardo, pronta a trovarsi davanti uno dei due
studenti che le chiedeva qualche libro specifico; con sua somma
sorpresa si trovò davanti un sorriso dolce che ormai aveva
imparato da amare.
- Stanca? – Spencer era ad un passo dal bancone delle informazioni, con le mani in tasca come al solito.
- Più che altro confusa – rispose lei
regalandogli un sorriso luminoso – Nietzche è abbastanza
ostico per me. Credo di avere bisogno di qualche ripetizione in merito.
- Sei fortunata – il ragazzo tirò fuori
le mani delle tasche ed incrociò le braccia sul ripiano
continuando a sorriderle – Ho il resto del week-end libero e
quindi sono più che disponibile ad aiutare una studentessa
zelante come te.
La ragazza mora si guardò in giro, fino ad individuare il
collega che era di torno con lei quel giorno. Aveva accettato di dare
una mano a Stevenson per un paio d’ore, ed oramai si trovava
nella biblioteca già da tre ore buone. Era riuscita a rimettersi
in paro con il lavoro di archiviazione ed aveva mostrato al ragazzo
come tenere in ordine i registri che la Markis esigeva perfetti. Forse
era arrivato il momento di levare le tende senza che questo mandasse in
crisi il ragazzo, che era ancora impacciato e poco esperto.
- Tom? – chiamò piano lei, cercando di attirarne l’attenzione.
- Dimmi Hope – rispose prontamente il ragazzo
biondo con vistosi occhiali dalla montatura antiquata, avvicinandosi al
bancone – Ci sono problemi?
Il nuovo arrivato guardò di sottecchi Reid, mostrando di non
gradire la sua presenza. La ragazza parve non notare questo suo
atteggiamento, mentre chiudeva il libro che stava leggendo e lo
riponeva con cura dentro la borsa a tracolla.
- Io vado, credo che tu te la possa cavare benissimo
da solo – dicendo così prese il block-notes e ci
scribacchiò sopra qualcosa per poi porgere il foglio al collega
– Sicuramente a quei due serviranno questi libri. Ti ho scritto
il corridoio e lo scaffale dove cercarli.
- Grazie, sei sempre molto gentile – Stevenson
le sorrise in modo ammiccante – Stai solo attenta che qualcuno
non approfitti troppo di questa tua gentilezza.
Dicendo così si girò di nuovo verso Spencer e lo
fulminò con lo sguardo. Era evidente, almeno per il giovane
profiler, che Tom era interessato ad Hope non solo in modo
professionale. Non che la cosa stupisse il dottor Reid, in fin dei
conti la sua ragazza era molto carina ed aveva un sorriso che poteva
incantare chiunque, ma a differenza di tutte le volte che aveva visto
qualcuno guardare JJ in quel modo, stavolta avvertì una fitta di
gelosia e di possessività.
- Non ci presenti? – chiese rivolto alla ragazza.
- Oh, sì, scusatemi – rispose lei
arrossendo per la disattenzione – Thomas Stevenson, il nostro
ultimo acquisto, questo è il dottor Spencer Reid.
- Piacere – biascicò Tom senza allungare la mano.
- Piacere mio, sono il ragazzo di Hope –
sentì uno strano senso di euforia nel precisare quale fosse il
suo ruolo nella vita della graziosa bibliotecaria.
Stevenson non rispose, limitandosi a squadrarlo dalla testa ai piedi,
visibilmente contrariato dal fatto che lui non fosse semplicemente un
amico della collega mora. Annuì per poi girarsi verso la ragazza
e sorriderle di nuovo.
- Ci vediamo lunedì. Buon fine settimana.
- Se ci fossero problemi… - cominciò lei.
- Ti chiamo – rispose prontamente Tom illuminandosi.
- Veramente è la signora Markis ad essere
reperibile per te oggi – Hope non lo stava più neanche
guardando tutta presa a riordinare le proprie cose per potersene andare
– Io spengo il cellulare. Buon fine settimana, Tom.
Fece il girò del bancone e si fermò accanto a Spencer,
prendendolo sotto braccio. Il ragazzo sorrise e la scortò fuori
dall’edificio, sorpreso e felice dell’atteggiamento della
sua ragazza. Aveva temuto che lei rispondesse al collega che poteva
chiamarla in qualsiasi momento, invece lo aveva liquidato spostando la
responsabilità sulla loro responsabile e chiarendo che non
sarebbe stata reperibile per il resto della giornata. Appena fuori
dalla biblioteca, si fermò e la fece girare per poterla guardare
in volto.
- Tu gli piaci – le comunicò in modo diretto.
- Lo so – ammise lei arrossendo e distogliendo lo sguardo – Ma a me piaci tu.
Continua…
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