Buon
capodanno!
Mi
avrebbe fatto tanto piacere donarvi questo capitolo come regalo per
le feste, ma non si può considerare proprio un regalo, dato
che sono
due mesi che non aggiorno. Lo so, sono tanto pentita, perdonatemi!
Purtroppo
negli ultimi due mesi ho avuto un blocco totale che sono riuscita a
superare solo negli ultimi giorno e quindi mi sono subito rimessa a
scrivere. Ho in programma di scrivere adesso futuri capitoli, in modo
da non annoiarvi più con inutili attese. Ancora non so con
quante
parole chiedervi infinitamente scusa, per farmi perdonare questo
è
il capitolo più lungo della storia e accadono molte cose
belle!
Ringrazio
tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, le
seguite, le ricordate o che hanno avuto solo il tempo di leggerla.
Spero di ricevere presto vostri pareri e consigli.
Se
mi è consentito dedico questo capitolo alla mia Ecchan, che
lo
aspettava con ansia. <3
Schizophrenia.
Salviamoci
la pelle.
-Segreti.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
7
Febbraio 1944
18:30
<<
Tra qualche giorno è il tuo compleanno >>, una
settimana
esatta, e Walter sembrava molto più eccitato del festeggiato
stesso.
Adorava la feste, e il Natale era la sua preferita, ma era sempre
stato compito suo organizzare il compleanno del migliore amico, e non
sarebbe stato differente per il giorno del suo ventunesimo
compleanno, era comunque una data importante, no? Dopo tutto quello
che era successo, poi, forse un giorno libero ci voleva.
Mark
scosse il capo, << Non è vero, ti stai
sbagliando >>,
rispose, con ironica, tirandosi a sedere sul letto. Odiava le feste
di compleanno, certo quelle organizzate da Walter erano più
che
accettabili, ma ne aveva davvero abbastanza. Voleva solo rimanere a
casa a mangiare qualcosa con il suo migliore amico, senza regali o
fidanzate momentanee. Voleva soltanto mollare tutto per un paio di
giorni e dimenticare di dover compiere gli anni, di ricevere auguri
da colleghi di suo padre e da parenti di cui nemmeno ricordava
l'esistenza. Voleva stare da solo con Walter.
<<
Devo ancora rivolgermi a tuo padre per la lista degli invitati? Hai
quasi ventuno anni e sei un sergente >>,
protestò, con un
adorabile broncio stampato sul viso. Si poteva dire che ormai
conoscesse molto più lui tutte le zie del suo migliore amico
che il
ragazzo stesso, ma capitava quando il festeggiato non si degnava di
lasciargli una lista di invitati nemmeno per il giorno del suo
compleanno.
Il
biondo sbuffò, riservandogli un'occhiata poco convinta.
<<
Potremmo non fare nulla, quest'anno. Se non glielo ricordassi ogni
anno, anche per mio padre sarebbe soltanto un giorno come un altro.
Non dovrebbe nemmeno lasciare il suo amato lavoro per correre a
comprarmi un regalo inutile che finirà in un angolo della
stanza >>;
quei regali non riuscivano a riempire il vuoto creato dall'affetto
mancato durante la sua infanzia. Inoltre erano molto più
belli
quando era sua madre a sceglierli, o forse era soltanto lui ad essere
molto più piccolo e ad adorare anche il più
piccolo pensiero quando
c'erano i suoi genitori a casa?
Walter
scosse il capo, per niente d'accordo con le intenzioni del suo amico,
<< Mi trattengo dal proclamare il 14 febbraio festa
nazionale
solo perché il giorno è già occupato
dal San Valentino >>
protestò, senza togliersi quel broncio dalla faccia.
<<
Ah, già, San Valentino >> fu il mormorio di
risposta di
Schreiber. La festa degli innamorati, perché qualcuno aveva
bisogno
di festeggiare una stupida festa che celebrava l'amore di due
persone? Non bastava dimostrarselo ogni giorno o cercare di essere
dolci giorno dopo giorno l'uno con l'altro? Il sergente proprio non
riusciva a capire a cosa servisse quel giorno. Eppure non se n'era
mai fatto un problema: quella festa era solito ignorarla tutti gli
anni, festeggiare il suo compleanno e spesso non se ne ricordava
nemmeno.
Walter
gli rivolse lo sguardo, << Cos'ha di strano San
Valentino? >>
chiese, esaminando per bene il suo migliore amico, al quale non era
mai importato assolutamente nulla della festa.
<<
Nulla, Hoffmann, è una festa senz... >> si
bloccò
nell'osservare l'espressione sbalordita del suo migliore amico. Aveva
gli occhi spalancati e si era fermato, con le mani ancora nelle
tasche dei pantaloni. Lo fissava come se avesse un polipo sulla
testa, e la cosa non era da tutti i giorni visto che il ragazzo dagli
occhi azzurri era solito prevedere quasi tutto ciò che lo
riguardasse. Allora riusciva ancora a stupirlo, qualche volte.
<<
Cosa c'è? >>
<<
Porca puttana. >> furono le uniche parole che
uscirò dalla
bocca di Hoffmann. Walter non imprecava. Mai.
<<
Walter, cos'hai? >>, stavolta era Mark quello sbalordito,
ed
anche un tantino preoccupato per la salute mentale del suo migliore
amico. Non diceva sempre paroline dolci con l'aria di un bambino
innocente, questo era più che ovvio, ma non ricordava di
aver mai
sentito quei termini provenire da quelle labbra piene.
La
successiva risata di Hoffmann sconvolse ancora di più il
sergente:
era un comportamento da pazzi, e di certo il ragazzo non si era mai
vantato di essere una persona normale, ma il comportamento del suo
migliore amico in quelle poche ore lo stava davvero facendo uscire
fuori di testa. << Non ci credo >>
sillabò il ragazzo
dagli occhi azzurri, non riuscendo apparentemente a smettere di
ridere nemmeno per pochi secondi.
Schreiber
sbuffò, inarcando un sopracciglio. Odiava che non lo si
informasse
di qualcosa, per quanto stupida potesse essere. << Ti
dispiacerebbe smettere di ridere per due minuti e spiegare anche a me
cosa c'è di divertente nel San Valentino? >>;
niente. Era una
stupida festa per persone stupide ed innamorate.
L'amico
si calmò solo alcuni minuti dopo: aveva le guance arrossate
e gli
occhi lucidi. Era quasi arrivato sul punto di piangere per le troppe
risa, ma fortunatamente si era trattenuto. << Mark
Schreiber è
innamorato >> sillabò, per spiegare la sua
ilarità. <<
E' cosa più divertente che abbia mai capito essere vera
>>,
aggiunse poco dopo, ed era vero. Non che non fosse felice per il suo
amico o pensasse che la relazione con Bea fosse d'un tratto diventata
più semplice da sostenere, semplicemente non l'aveva mai
visto darsi
tante pene per un sentimento, un sentimento che non aveva ancora
nemmeno concepito di provare, tra le altre cose.
<<
Io non sono innamorato >> tentò, distogliendo
però lo sguardo
dall'amico. Era un riflesso involontario: non riusciva a guardarlo
negli occhi quando mentiva, anche se non sapeva di star mentendo.
Cioè che credeva gli stesse accadendo era già
qualcosa di
incredibilmente strano; nutrire un sentimento forte quasi -o
più, ma
cercava di non valutare nemmeno questa possibilità che
avrebbe solo
confermato quanto in realtà soffrisse di problemi mentali-
quanto
ciò che provava per Walter nei confronti di una ragazza che
sì, era
sua amica, ma da quanto? Da quando si era accorto che no, non era
solo un'amica?
Hoffmann
scosse energicamente la testa, più che convinto delle sue
teorie. <<
Sì che lo sai, e non cercare di ingannarmi, ti conosco
meglio di
chiunque altro >> bloccò ogni suo tentativo di
fuga. Dopotutto
se avesse cercato ancora di rifilargli una bugia tanto banale e priva
di significato l'avrebbe sicuramente capito.
<<
Non ti sto mentendo, Walter, e poi non so nemmeno di chi dovrei
essere innamorato >>, d'accordo, questa forse era una
bugia, ma
solo perché voleva allontanare maggiormente i sospetti, per
quanto
potesse essere difficile. Non voleva nemmeno pensare che un ragazzo
come lui avrebbe potuto buttarsi in una missione suicida simile:
sergente dell'SS e innamorarsi di una deportata russa -pure
comunista!-. No, non riusciva neanche a concepire che una cosa simile
fosse possibile; non per lui.
Walter
scosse appena il capo, contrariato, << Dii una ragazzina
alta
un metro e uno spunto, con fluent capelli neri ed occhi verdi. Ti
ricorda per caso qualcuno? >> lo prese amabilmente in
giro, <<
Ah, inoltre è russa ed una comunista; sto sbagliando, forse?
>>,
aggiunse qualche istante dopo, convinto più che mai delle
sue stesse
teorie, doveva anche farlo capire all'altro, però.
Mark
Schreiber sbuffò sonoramente a quelle precisazioni
dell'amico, <<
Non sono innamorato di Bea Gurtsieva, è semplicemente una
deportata
che è mia amica >> tentò di
ribattere, per l'ennesima volta.
Non voleva discuterne, forse perché in quel momento sentir
parlare
di Bea riusciva a farlo sussultare, o a farlo sentire realmente in
difetto per l'imminente festa di San Valentino. Loro non erano
semplici amici, questo ormai per il sergente era chiaro e impossibile
da smentire, ma cos'erano allora? Non erano fidanzati, lui non
riusciva nemmeno a concepire il pensiero di essersi preso una stupida
cotta, né avrebbero francamente avuto
l'opportunità di passare del
tempo insieme. No, non era innamorato. Anche se... no, non poteva
nemmeno pensarci. Cercò di concentrare nuovamente
l'attenzione sul
ragazzo dai limpidi occhi azzurri che gli stava di fronte,
<<
Dopotutto sei stato proprio tu a consigliarmi di non ascoltare sempre
mio padre, di credere che potesse essere altro oltre che una sporca
comunista >>, voleva ancora avere ragione su quella
discussione
così importante.
Il
suo migliore amico aveva però letto i numerosi dubbi negli
occhi di
lui; era una chance per fargli capire quanto stesse sbagliando a
rifiutare i propri sentimenti che Walter non poteva proprio lasciarsi
scappare. << Allora cosa siete, eh? Rischi la vita per
un'amica
che non conosci da nemmeno così tanto tempo? Scrivi certe
lettere ad
un'amica come Bea Gurtsieva quando non ti ho mai visto fare la corte
ad una ragazza?! >> lo provocò, cercando di
insinuargli ancora
maggiori dubbi in quella bella testolina semi-bacata per via degli
anni trascorsi a seguire le idee del padre. << e no, non
ti
dirò mai che hai sbagliato ad aiutare una ragazza in
difficoltà >>
Il
sergente sbuffò, scuotendo il capo, << Non
capisci proprio la
situazione, vero, Walter? >> protestò,
irritato, cercando di
non alzare la voce. Non che non avessero mai litigato con toni un po'
più alti del normale, ma non era il caso che si venisse a
sapere di
certe dicerie quando fuori da quella stanza almeno una ventina di
soldati dell'SS camminavano tranquillamente per i corridoi,
controllando la situazione in ogni dove.
<<
Cosa c'è da capire? >> fu la semplice risposta
del giovane
Hoffmann,per lui era tutto così chiaro. Doveva esserlo anche
per il
suo migliore amico visto che si alterava tanto, probabilmente non
l'avrebbe fatto se si fosse trattato di una cosa da nulla o se
davvero non avesse provato niente per quella ragazzina russa; ma
quelle erano solo sue supposizioni, non riusciva mai a strappare
all'altro una confessione degna di questo nome.
Mark
scosse il capo, << Nulla, per favore parliamo d'altro
>>;
nessuna situazione, eccetto il fatto che ormai non sapeva
più cosa
fare, se consegnare quelle lettere alla ragazza dai lunghi capelli
corvini o lasciarla perdere del tutto, dimenticarla e convincersi che
tutto fosse stato solo un errore, doversi abituare all'idea che prima
o poi sarebbe stato anche il suo turno di entrare in una camera a gas
e morire, come aveva visto già capitare a molti comunisti,
ebrei e
prigionieri politici prima di lei.
<<
Lo so, sarebbe dura >> borbottò il suo
migliore amico, come se
gli avesse appena letto nel pensiero?
<<
Prego? >>
<<
Ehi, ormai viviamo in simbiosi. Sono nella tua testa >>
La
battuta di Hoffmann portò delle risate nella stanza di un
sergente
non ancora guarito e con il cuore a pezzi.
Mark
decise di cambiare argomento. Avrebbe voluto farlo da un po' a dire
il vero, ma gli era venuto in mente un particolare. <<
Non hai
nessuna con cui passare il San Valentino? >> gli chiese.
Era un
modo molto delicato per chiedergli se la sua testa fosse attualmente
occupata da qualche ragazza. Non lo aveva mai visto con una ragazza
in tutta la sua vita, eccetto una o due compagne di classe durante i
primi anni delle superiori. Non gli sembrava tanto normale: Walter
era il tipico bel ragazzo tedesco, di buona famiglia e con un futuro
già programmato. Tutto ciò a cui si potesse
aspirare.
Lui
abbassò lo sguardo, << Ci sarebbe una persona,
ma non sono
sicuro dei suoi sentimenti nei miei confronti >> era una
mezza
verità, come ne aveva sempre dette su quell'argomento. Non
poteva
sbilanciarsi troppo. Non doveva, nemmeno con Mark: rischiava di
perdere il suo migliore amico.
<<
E cosa aspetti?! Invita questa ragazza al mio compleanno e chiedile
di frequentarvi >> tentò d'insistere.
<<
No, non è il caso >>
Il
sergente si morse il labbro, << Come preferisci
>>; c'era
qualcosa che non andava: lo leggeva chiaramente negli occhi azzurri
del suo migliore amico e la situazione non gli piaceva. Non c'erano
mai stati segreti tra loro, cosa poteva essere così grande
da
allontanarli?
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
14
Febbraio 1944
21:03
C'erano
ufficiali con le loro mogli, c'era una musica lenta e sofisticata e
qualcuno diceva che forse sarebbe venuto anche Hitler in persona. Le
feste a casa Schreiber erano molto più eleganti di quella,
prima
della morte della moglie del Maggiore. Successivamente a quella, di
solito Mark passava il suo compleanno a casa Hoffmann, oppure a bere
una birra con Walter e qualche altro amico intimo, ma Hans Schreiber
aveva pensato che il ventunesimo compleanno del figlio fosse
l'occasione giusta per inserirlo maggiormente nell'esercito, renderlo
simpatico a gente che contava e magari trovargli la moglie giusta.
Dopotutto
non era stato difficile organizzare la cena: ci aveva pensato
un'amica del padre, Libeth. La donna aveva capelli biondo platino
corti, che sfioravano le spalle in morbide linee ondulate, stavano
certamente bene con il viso piccolo e truccato di rosa, illuminando
gli occhi azzurri. Indossava un vestito verde bottiglia per
l'occasione, al quale il giovane Schreiber non si premurò di
prestare nessun tipo di attenzione. Non aveva nemmeno mai visto
quella donna, e lei si era presa tanto disturbo da fargli addirittura
un regalo, che non aveva ancora scartato, tra l'altro.
Il
festeggiato se ne stava semplicemente seduto in un angolo, a guardare
il soffitto -ormai era guarito del tutto- a parlare con Walter e a
pensare alla ragazza chiusa solo quale camera più in
là. <<
Pensavo che il giorno di San Valentino nessuno accettasse di
venire... nemmeno pensavo che mi padre si ricordasse che fosse il mio
compleanno >> sbuffò. Le sue reali intenzioni
non le avrebbe
rivelate a Walter, per non finire in un'altra discussione senza fine,
ma sperava di passare un po' di tempo con lui, per poi stare un po'
più da Bea quella notte. Sarebbe stato sicuramente un degno
modo di
festeggiare il compleanno.
<<
Sbaglio o tuo padre ti sta presentando tutti i marescialli presenti?
>> lo prese in giro l'altro. Tra amici erano pur permessi
certi
atteggiamenti scherzosi, no? Seppur uno di loro due fosse scocciato
come il sergente.
Mark
spostò lo sguardo sul giovane Hoffmann, <<
Già, credo speri
di farmi promuovere senza fare niente, o cose del genere
>>
stava tentando di scherzarci anche lui, ma la cosa non gli riusciva
molto bene. Suo padre era un abile oratore e non si riusciva subito a
capire quali fossero le sue reali intenzioni, quando lo elogiava, ma
ormai lo conosceva da ventuno anni, sapeva bene come era fatto e come
era solito comportarsi. << Va in giro ad elogiare
ciò che è
successo a Leningrado, come se uccidere delle persone mi portasse
onore >> aggiunse, stavolta leggermente infastidito dalla
cosa
in sé. Non solo non gli andava di conoscere persone di quel
tipo, ma
non aveva nemmeno più voglia di avanzare di carriera,
continuando a
fare la marionetta.
<<
La salverei, sergente Schreiber, ma pare lei sia molto richiesto
questa sera e io non posso sottrarre alla sala la presenza del
festeggiato >> lo prese ancora in giro Walter, facendo un
cenno
con la testa verso il maggiore, che si avvicinava a loro con uno
strano sorriso. Hoffmann non ricordava di aver mai visto il padre del
suo miglior amico sorridere se non in modo cattivo o in rarissimi
momenti di pura gioia. C'era qualcosa che non andava in quel sorriso.
Il
padre del festeggiato sorrise, una volta raggiunto il tavolo dove i
tuoi amici si erano rifugiati. << Mark, ho una persona da
presentarti >> annunciò, ma sembrava ci fosse
qualcosa sotto
stavolta, qualcosa ben più grande del semplice "spero che tu
possa raccomandare mio figlio per un buon posto alla destra di
Hitler". Il biondo non conosceva bene suo padre come qualsiasi
figlio, ma lo conosceva come uomo e da quando il sopracitato uomo
aveva perso l'unica donna che amasse era diventato un uomo pessimo.
Il
sergente rise, << C'è qualche altro Capitano
che non può fare
a meno di conoscermi? >> canzonò il padre,
palesemente poco
interessato alla cosa. Non vedeva più l'arruolarsi come
qualcosa di
volontario, qualcosa di gratificante e per il quale avrebbe lottato.
Non si trattava più di difendere la propria patria e far si
che
l'interno mondo accettasse la sua supremazia. Adesso l'SS significava
non poter realizzare i propri sogni, non poter pensare con la propria
testa, non poter decidere nemmeno per sé.
<<
No, ma credo che questa persona sarà a te più
grata >>, non
si fece scalfire dal sarcasmo del più giovane, mentre
rivolgeva
un'occhiata al figlio degli Hoffmann, << Walter, se ci
scusi un
attimo >>; in fondo il Maggiore stimava Walter, aveva
ciò che
suo figlio non aveva: un paio di splendenti occhi azzurri che,
sebbene il ragazzo non vi provasse mai, era convinto potessero
diventare di ghiaccio. Un perfetto tedesco. Aveva accettato la
mancanza del figlio solo dopo quell'inaspettato avanzamento di
carriera.
<<
Faccia con comodo >>
Il
consenso divertito di Walter aveva fatto guadagnare al figlio del
medico un'occhiataccia da parte del neo-ventunenne. <<
Spero
sia una cosa importante, io e Walter stavamo affrontando un discorso
serio >>, bofonchiò. Certo, discorso serio;
probabilmente tra
qualche minuto sarebbero finiti a discutere sull'importanza delle
trappole per topi a causa della troppa noia. Il biondo non voleva
trovarsi in quella sala, travolto dagli invitati in quel momento.
Mark
venne condotto dal padre verso una donna elegante, sulla quarantina.
<< Lei è la moglie del capitano Von Hebel
>> gliela
presentò.
<<
Molto lieto >>, il sergente finse un sorriso alquanto ben
riuscito, mentre salutava la donna vestita a sua parere in modo poco
elegante e molto volgare, eccessivo.
La
donna gli rivolse un sorriso ancora più falso di quello del
giovane,
<< Buon ventunesimo compleanno, caro, lei è
mia figlia:
Barbara Von Hebel >> la presentò, scostando la
sua grasse
persona per mostrare quella snella e alta della figlia.
Barbara
Von Hebel era una splendida ragazza tedesca nel pieno dei suoi
diciannove anni. Aveva raccolto i capelli biondo platino in una
pettinatura che al festeggiato sapeva di troppo lavorato, ma molto
elegante. << Piacere, sergente >>
salutò, con dizione
perfetta e con voce educata, rispettosa. Il corpo era fasciato da un
abito rosa antico e la ragazza sembrava essere stata talmente
preparata per la sera da apparire modellata senza imperfezioni in
quel ruolo che le calzava a pennello.
<<
Il piacere è tutto mio >>, ma l'espressione
dura con cui Mark
Schreiber aveva detto quelle parole, con cui si era portato la mano
della ragazza alle labbra, per baciarne il dorso, la dicevano lunga
sui suoi pensieri. Aveva capito le intenzioni del padre, purtroppo
troppo tardi per fermarlo subito. Adesso che finalmente stava dando
il meglio di sé come membro dell'SS, doveva solo prendere
come
moglie una donna, per andarsene e lasciarlo in pace; ma tanto non
c'era bisogno di decidere nulla, era stato tutto organizzato, forse
quando lui era a Leningrado: suo padre e la signora Von Hebel avevano
già deciso che il sergente e Barbara si sarebbero sposati
presto. <<
Scusatemi, signore, devo andare, adesso >> si
congedò, con
tono scortese e poco educato.
Il
maggiore Schreiber si scusò per il comportamento del figlio,
giustificandolo con una scusa poco credibile: nervosismo dovuto al
dolore alla gamba, non ancora sparito del tutto. Subito dopo
seguì
il giovane, che si era rintanato nel suo ufficio, sbattendo la porta.
Il maggiore Schreiber aprì la porta, richiudendosela alle
spalle, <<
Non mi sembra di averti insegnato a comportarti in questo modo. Torna
subito da quelle donne e scusati con loro >>
ordinò, con voce
tremendamente calma e fredda.
Mark
si voltò verso di lui, fissandolo con rabbia, rancore e
disgusto. << Tu non mi hai insegnato proprio nulla. Tutto
ciò che so lo
devo a mia madre, non a te >> lo accusò. Non
aveva mai più
parlato con suo padre di Agathe Schreiber da quando la donna era
morta, ma si sentiva bruciare dentro; non poteva più
sopportare di
reprimere ogni cosa e di lasciare che il Maggiore decidesse per lui.
L'uomo
fu colpito dalle parole del biondo e si arrestò un secondo,
prima di
fissarlo con ira. << Non hai il diritto di parlarmi
così,
ragazzo >> lo ammonì, alzando di pocola voce.
Si sentiva anche
dalla porta chiusa la musica nell'altra sala, ma non aveva
assolutamente intenzione di rischiare che anche i loro invitati
potessero udire i loro battibecchi.
Il
sergente chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, sentiva che
qualcosa dentro di lui stava per scoppiare e se fosse successo non
sarebbe stato un bello spettacolo. Diede le spalle all'uomo e si
poggiò alla scrivania, cercando di non cascarvi sopra.
<< Io
non conosco quella ragazza e non capisco perché tu me
l'abbia
presentata >> sibilò, cercando di ritrovare
una calma persa.
Ovviamente si era già fatto le sue idee, ma voleva che suo
padre le
confermasse, voleva la certezza della situazione di merda in cui era
stato cacciato di peso senza nemmeno essere stato informato in
anticipo.
Hans
Schreiber non chiese al figlio di girarsi, non si aspettava nemmeno
che se l'avesse fatto lui gli avrebbe ubbidito. Sembrava alquanto
sconvolto. << Non capisco proprio cosa ti meravigli,
figliolo,
hai ventuno anni, ormai e non potrai vivere per sempre qui
>>
iniziò il discorso; contrariamente al ragazzo che gli dava
le spalle
lui non aveva mai perso la calma, era razionale e freddo davanti a
qualunque cosa, che si trattasse di suo figlio o di una guerra
mondiale. << E' ora che ti accasi e per farlo ti serve
una
buona moglie. Barbara e una donna di ottima famiglia e con poche
pretese, oltretutto sua madre è d'accordo alla vostra unione
>>
concluse il suo discorso, e non sembrava intenzionato ad aggiungere
altro.
<<
E se io frequentassi un'altra? >> fu la lapidaria domanda
del
minore. Era un quesito legittimo, dopotutto qualunque soldato della
sua età arruolato tra le forze dell'SS aveva già
trovato l'amore
della sua vita, ma lui non si era mai sentito particolarmente
sfortunato a non aver mai visto una ragazza che si avvicinasse
minimamente ai requisiti ideali per essere il suo. Forse era vero: la
gente poteva pensar male di un soldato che non aveva una compagna, ma
lui non voleva di certo la figlia dei Von Hebel. Gente dal cognome
nobile, ma che di nobile aveva ben poco, per quanto quella giovane
donna potesse essergli sembrava aggraziata ed elegante.
Il
padre inarcò un sopracciglio, gli si leggeva in faccia che
non
credeva ad una minima parola di ciò che sentiva.
<< Se tu
stessi vedendo una donna, io lo saprei benissimo. Passi le tue
giornate diviso tra Walter e i tuoi impegni di soldato >>
replicò, come se fosse ovvio.
Mark
si voltò, lentamente, con la rabbia che gli ribolliva nel
petto e si
costrinse a guardare il padre dritto negli occhi, << Non
voglio
sposarla >>.
Perché
la prima persona a cui aveva pensato quando aveva capito le
intenzioni di suo padre e della signora Von Hebel era corso a Bea.
Perché
non avrebbe mai lasciato quella casa quando la figura più
bella e
delicata che conoscesse era rinchiusa lì.
Perché
doveva riuscire ad aiutarla, prima di pensare a qualsiasi altra cosa.
Perché
non aveva scritto quelle lettere sollo l'effetto dei pochi
milligrammi di morfina che riceveva a Leningrado.
Perché
Bea era la terza persona, dopo sua madre e Walter, a cui avesse mai
sorriso sinceramente.
Perché
non riusciva a concepire l'idea di dover passare la vita con una
donna che non fosse Beatrisa Irina Borisova Gurtsieva.
Il
giovane abbassò lo sguardo, sentendo improvvisamente un
vuoto al
posto del petto, quando si rese conto di tutto ciò che gli
stava
passando per la testa, e che tutte quelle cose erano basate su una
ragazza che era costretta a passare il resto dei suoi giorni tra
quelle mura ed una camera a gas. Non riusciva, e non poteva nemmeno,
accettera l'idea di provare qualcosa per lei, come se Walter avesse
sempre avuto ragione. Non riusciva a pensare in quel momento, sentiva
solo la prepotente voglia di vederla.
<<
Cambierai idea, Mark, Barbara sarebbe la ragazza perfetta per te
>>
cercò ancora di convincerlo.
<<
Adesso ho bisogno di un po' d'aria >> tagliò
corto il più
giovane dei due, uscendo dallo studio.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
14
Febbraio 1944
22:12
Mark
non impiegò molto per arrivare in camera di Bea, era l'unico
posto
in cui volesse trovarsi in quel momento. Colmo d'ira e di tutta la
confusione che ciò che era successo avrebbe mai potuto
portare. Non
aveva mai desiderato prendere in mano un fucile ed uccidere qualcuno
-suo padre, ad esempio- come in quel momento. Proporgli un
matrimonio, con una ragazza che non conosceva e di cui non conosceva
nemmeno l'esistenza era semplicemente ridicolo ed inappropriato, come
se si fosse mai interessato alla sua vita sentimentale oppure a come
apparissero alla gente. Doveva essere quella sua nuova compagna,
Libeth, a fargli un'influenza peggiore di quella che faceva lui.
<<
E' successo qualcosa? >> si sentì scrutare
dagli occhi della
russa, che gli rivolgevano uno sguardo preoccupato. Si era alzata dal
letto, andandogli incontro. Non capiva come quella ragazza riuscisse
a preoccuparsi così per uno come lui, dopo tutto il male che
le
aveva procurato.
Non
riusciva nemmeno a capire perché sotto quello sguardo
così... dolce
e preoccupato sentì qualcosa sciogliersi dentro.
<< Va tutto
bene, ho solo bisogno di stare un po' con te >>, sorrise
sincero,poggiandole le mani sulle spalle, quando lo ebbe raggiunto,
come a tranquillizzala, ad assicurarle che andasse realmente tutto
bene e che non ci fosse un reale motivo di essere preoccupata per
lui. Cercò ancora di sorriderle, nonostante tutto quello che
che era
appena successo. << Tu come stai? >> le
chiese
dolcemente, osservandola.
Lei
non rispose, ma in quel silenzio c'era tutto quello che non si erano
mai detti, tutto quello che era chiuso a chiave in un cassetto in
camera di Mark Schreiber, scritto frettolosamente su un paio di fogli
indirizzati ad una ragazza russa tenuta prigioniera in un lager
tedesco. Tutti avevano dei segreti nella Germania del 1944: Walter
Hoffmann aveva il suo enorme e indicibile segreto che avrebbe potuto
ucciderlo o confinarlo per sempre in un lager, se svelato; Beatrisa
Gurtsieva sentiva qualcosa di caldo, all'altezza del petto, ogni
volta che il biondo la sfiorava, o la guarda e avvertiva intorno a
lei un senso di protezione che non ricordava di aver vissuto nemmeno
con Dimitri Toforov, il suo migliore amico; Mark Schreiber portava
però il peso di tutto quello, oltre al suo segreto
innamoramento.
Nessuno avrebbe mai dovuto conoscere dei segreti altrui, ma Mark e
Bea, pur non sapendolo, condividevano lo stesso segreto e nessuno dei
due era intenzionato a guardarsi ancora negli occhi senza poter
rivelare nulla, senza poter fare nemmeno un cenno che facesse capire
ad entrambi che sì, provavano la stessa cosa.
<<
Buon compleanno >> esordì in fine, guardando
il sergente di
fronte a lei. << Io... io mi sono permessa di farti un
regalo
>> mormorò, arrossendo con enorme imbarazzo,
mentre abbassava
lo sguardo. In Unione Sovietica per i tempi che correvano era raro
persino tra fratelli scambiarsi dei doni per un'occasione simile; ma
quella sera Leningrado non esisteva, non esistevano le quattro pareti
che dividevano Bea dal resto del mondo, non esistevano le limitazione
di quel lager nazista. Non c'era più nulla, solo uno sfondo
bianco
dove galleggiavano insieme ai propri sentimenti.
Mark
la osservò dubbioso, << Come avresti fatto a
farmi un regalo?!
>> chiese, ma gli si era dipinto un sorriso sul volto che
andava da orecchio a orecchio. La risposta era ovvia, era stato
stupido da parte sua anche solo chiederlo, ma l'idea che la ragazza
avesse pensato di fargli un regalo per il giorno del suo compleanno
lo aveva reso felice oltre l'immaginario, facendogli completamente
dimenticare tutto ciò che era successo solo pochi minuti
prima. <<
Ti ha aiutata Walter, non è così?
>> chiese ancora, senza
farle nemmeno il tempo di rispondere alla prima domanda,
avvicinandosi a lei con cautela e sorridendole.
La
russa scosse energicamente la testa, quasi indispettita che qualcuno
pensasse avesse necessità dell'ausilio altrui anche per fare
un
regalo. Certo, doveva considerare che per un esterno era difficile da
credere: come avrebbe potuto uscire da quel lager e andare a comprare
un regalo al sergente senza che qualcuno venisse in suoi aiuto.
<<
No, ho fatto tutto da sola >> e la sua voce
risuonò fiera e
pienamente consapevole delle proprie capacità mentre diceva
queste
parole. La ragazza non si era mai vantata in vita sua, ma doveva
ammettere che il regalo che era riuscita a trovare per Mark era
perfetto sotto ogni punto di vista e piaceva anche a lei; la metteva
solo tremendamente in imbarazzo, ma questo era tutt'altro argomento.
Schreiber
allora inarcò un sopracciglio, completamente colto di
sorpresa anche
dal tono usato dalla ragazza. Ormai aveva imparato a conoscerla e
stava scoprendo un lato di lei così forte e adorabile che
difficilmente credeva che sarebbe ancora riuscito a tenerle nascoste
quelle lettere. Esprimevano tutto ciò che lui provava nei
confronti
di lei, tutti quei sentimenti senza un nome preciso che credeva di
non doverle rivelare mai, per non commettere nessun guaio.
<<
Beh, allora deve essere sicuramente qualcosa di molto speciale
>>,
non riusciva più ad essere freddo, non con lei. Ormai
Beatrisa era
diventata qualcosa di essenziale, qualcosa di talmente puro che non
aveva alcun senso fingere anche con lei, nascondersi dietro la solita
maschera. Con lei Mark sentiva di poter dire addio a tutti i suoi
segreti ed essere ciò che sentiva di essere.
Lei
annuì, << Allora chiudi gli occhi
>> mormorò all'altro
che obbedì subito ai suoi comandi, sperando di vedere presto
il suo
regalo così speciale.
Quello
fu sicuramente il momento più coraggioso della vita della
giovane
sedicenne. Aveva affrontato l'inverno russo e non avevano sempre
avuto il riscaldamento funzionante per bene a casa, aveva cucinato
per tutta la famiglia e aveva resistito ai piatti di sua zia che non
aveva mai saputo cucinare nemmeno della semplice pasta senza alcun
tipo di condimento; ma le ci volle una forza disumana per combattere
contro tutto quello in cui credeva, per far cadere tutti gli ideali
con cui era stata cresciuta, per dimenticarsi di Stalin e del suo
dannato Comunismo e per, rossa in volto, avvicinarsi al ragazzo
biondo che in abito da festa se ne stava fermo in mezzo alla stanza.
Bea prese un lungo respiro, forse per auto infondersi coraggio e
colmò la distanza che li separava. Non seppe nemmeno come
una sua
mano trovò il suo posto naturale sul petto del ragazzo
quando le
labbra di lei sfiorarono quelle di lui, scostandosi un istante dopo.
Il
suo primo bacio era il regalo più grande che Bea potesse
donare a
Mark, avvertendo a sua volta un gran bisogno di sentire le labbra del
ragazzo.
Mark
aprì di scatto gli occhi, poggiandole le mani sulle braccia
per
scostarla velocemente ed esaminarla con i suoi profondi occhi
nocciola. Non riusciva a capire cos'avesse spinto la ragazza a
baciarlo. Nella sua mente i fili si aggrovigliavano, tessendo una
tela di confusone che difficilmente sarebbe riuscito a sfilare da
solo. Poteva affermare con sicurezza che quello fosse il più
bel
regalo che avesse mai ricevuto in ventun'anni e che desiderava
poggiare le labbra su quelle di lei da quella sera in cui ci aveva
provato lui stesso o forse addirittura da prima; ma non potevano. Era
la cosa più sbagliata che avesse mai sentito: una comunista
e un
soldato dell'SS... non doveva accadere. << Bea ...
>>
sussurrò, cercando di restare fermo mentre le parlava, anche
con lo
sguardo.
La
ragazza scosse il capo, risoluta, << Non ho sbagliato,
Mark,
non tentare di farmelo credere >> quelle parole erano un
marchio di fuoco sulla pelle chiara di lui. Quella dannata ragazzina
era cocciuta oltre l'inverosimile non sarebbe mai riuscito ad
infonderle un po' di buon senso. Non conosceva quella parte del
carattere della figlia del colonnello dell'Armata Rossa; ma gli
piaceva come gli piaceva tutto di lei. Eppure in quel momento odiava
che avesse fottutamente ragione.
Il
tocco delle dita sottili e fredde di lei lo fecero totalmente
ribollire di rabbia. Le prese entrambi i polsi con violenza, una
violenza che credeva di non essere più capace di nutrire nei
confronti di lei. La portò contro il muro, lasciando che il
suo
corpicino piccolo e all'apparenza debole sbattesse contro di esso,
provocando un tonfo sordo. << E' il peccato
più grande che uno
di noi due possa commettere >> la rimproverò,
ritrovando
quella freddezza, amica d'anni.
<<
Peccato agli occhi di chi? >> gli chiese allora lei,
assottigliando lo sguardo e puntando gli occhi dello stesso colore
dello smeraldo in quelli di lui. Non riusciva a credere che stesse
negando tutto quello che gli si leggeva perfettamente negli occhi.
Stava ignorando la violenza che il ragazzo le aveva riservato,
benché
non se l'aspettasse più da lui, o almeno sperava
ardentemente di non
doverselo più aspettare.
Schreiber
cercò di allontanarsi, di lasciarla lì e
risolvere i suoi dubbi
lontano da tutti, << Agli occhi del mio paese, del tuo,
della
tua famiglia, di Dio >> cercò di farla
ragionare, mantenendo
un tono di voce calmo. Mark desiderava solo scoppiare insieme a tutto
quello che stava dicendo, voleva tornare a baciarla e sfiorarle i
lunghi capelli corvini, ma non poteva infilarsi in una relazione
senza via d'uscita, che non avrebbe mai potuto avere un futuro senza
ferire entrambi, come ormai era già successo.
Come
tutti nel suo paese Bea non si era mai affidata troppo a nessun dio,
ma non disprezzava i tedeschi per il loro credere, come non
disprezzava Mark dopo tutto il male che aveva fatto, avrebbe
volentieri visto crepare qualche nazista ma per gli ideali che essi
stessi rappresentavano, non per il colore della pelle. Forse anche
per vendetta personale, certo. << Il tuo Dio non dovrebbe
fare
distinzioni tra ebrei e tedeschi, né dividere due persone
come noi
>>
Stava
definitamente per esplodere. Il sergente tedesco non riusciva a
continuare quella conversazione senza senso. La guardò
ancora: gli
occhi accesi non sarebbero mai passati in secondo piano, la linea
sottile e morbida del collo in cui avrebbe voluto affondare i denti,
i boccoli dello stesso colore di una notte senza luna che ricadevano
quasi fino al fondo schiena; non sopportava la visione di tutto
quello che desiderava e il peso dei suoi stessi sentimenti.
<<
Un giorno io varcherò questa porta e tu non ci sarai
più >>
sputò quelle parole, come se fossero la più
grande bestemmia mai
pronunciata.
<<
E che senso ha rifiutare ciò che proviamo oggi per quello
che
accadrà domani? >>, Bea sentiva chiaramente il
suo tentativo
di allontanarsi, ma non glielo avrebbe permesso. Stava lottando
perché non fosse così. Si tratteneva dal gridare
ma era esausta.
Stanca di cercare di capirsi, perdonando solo tempo nel cercare di
attribuire un nome ad un sentimento così contorto e
masochista.
Mark
sospirò allontanandosi totalmente da lei e sedendosi su
quella
brandina adibita al letto, reggendosi il capo con le mani, confuso.
Quando riuscì a schiarirsi le idee... no, non
riuscì a schiarirsele
nemmeno un po', ma quando capì che forse un modo c'era, le
fece un
cenno con la mano, << Vieni >> disse,
semplice, battendo
appena con la mano sul resto del materasso, accanto a lui.
Bea
lo raggiunse, titubante. Non credeva che Mark gli avrebbe fatto del
male, né che l'avrebbe violentata, non quella notte, ma
aveva
semplicemente paura di quella conversazione che fino a quel momento
era riuscita a portare avanti con coraggio ma che non avrebbe mai
voluto realmente affrontare. << Cosa vuoi fare?
>> gli
chiese, sedendosi a debita distanza, sentendosi effettivamente
rifiutata dal ragazzo, pur comprendendo perfettamente che, fosse
stato per lui, sarebbero finiti su quel letto per fare ben altro in
quel momento stesso.
Lui
le si avvicino, sfiorandole il mento con delicatezza e sollevandole
il volto, in modo che i loro occhi si incatenassero nuovamente.
<<
Per quanto possa essere difficile, ti prometto che non ti
lascerò
morire e che se fosse necessario rinuncerò a tutto per
portarti in
salvo, ma non farmi venire mai più un colpo del genere
>>
sussurrò, una volta che il suo volto le fu talmente vicino
da
mormorare quelle calde parole direttamente all'interno dell'orecchio
di lei.
La
ragazza rabbrividì appena quando avvertì il
respiro dolce e
rassicurante di lui sulla pelle sensibile, << E tu non
dire mai
più che siamo una cosa sbagliata e impossibile
>> stipulò
quel patto, ammettendo senza riusce ad esprimersi meglio che quella
sera erano diventati ai suoi occhi una sola entità
indivisibile,
quando finalmente era riuscita a darsi forza per parlargli, per fare
quello su cui aveva riflettuto tanto mentre il biondo era a cercare
di farsi uccidere a Leningrado con molti altri giovani soldati.
<<
Te lo prometto >> furono le uniche parole di lui, che non
le
diede il tempo di aggiungere qualche altra condizione, firmando
l'accordo baciando la ragazza. Un bacio semplice, quello in cui basta
cercare le labbra dell'altro, sentire il loro sapore sulle proprie
per stare in pace con il mondo, per sentirsi parte integrante di
qualcosa di molto più grande di quanto ci si sarebbe mai
aspettati.
Loro erano questo e tutto quello che ancora c'era da scoprire. Il
biondo si scostò qualche minuto dopo, senza azzardarsi ad
approfondire il bacio; aveva notato il tremito di lei quando aveva
iniziato a mordicchiarle dolcemente il labbro inferiore. Le
sfiorò i
capelli, riportando una ciocca dietro l'orecchio, <<
Adesso
devo tornare in sala ... >> mormorò, con il
cuore pesante,
alzandosi. Si voltò un'altra volta, prima di uscire,
richiamato
dalle parole di lei:
<<
Sarà un nostro segreto, vero? >>
<<
Come sempre >>
Leningrado,
Unione Sovietica.
20 Febbraio 1944
12:53
<<
Grazie per essere venuto a pranzo da noi, Dima >>, Diana
trattava quel ragazzo come un figlio, e come non avrebbe potuto? Era
cresciuto accanto alla figlia e veva dormito con lei nelle notti
più
buie. Peccato che in quel momento non potesse starle accanto. La
signora Gurtsieva era certa che se Dimitri e Beatrisa fossero stati
insieme quella sera lei avrebbe avuto qualcuno su cui contare e si
sarebbe sentita protetta.
Il
marito della donna era seduto a tavola, mentre la moglie
apparecchiava. << Passami la vodka, Dina >>
ordinò,
distaccato da tutto ciò che accadeva nella camera.
Quell'atteggiamento era forse dovuto alla vittoria di Leningrado sui
tedeschi? Ovviamente no. Lui sapeva qualcosa riguardante qualcuno, in
quella tavola, che era meglio non svelare. << Qualcosa
non va,
Boris? >> chiese la donna, con grande apprensione,
portando
quanto richiesto al padre dei suoi bambini.
Regnava
un'atmosfera di assoluta tensione e tutti, persino il piccolo Sergeij
aveva notato che qualcosa non andava, ma ovviamente non aveva fatto
parola, continuando a disegnare su un foglio, steso sul legno della
pavimento del soviet.
<<
Chiedilo al tenente Todorov >> rispose semplicemente il
Colonnello, indicando con un cenno del capo Dimitri. Quando lo
chiamava in quel modo o era successo qualcosa di molto bello o di
molto brutto, ma a giudicare dall'espressione imbronciata di Boris
Gurtsieva era sicuramente la seconda opzione quella giusta.
Diana
Gurtsieva rivolse allora il proprio sguardo verso il ragazzo,
inarcando un sopracciglio, come se i due stessero nascondendo lei
quale enorme segreto di stato.
<<
Leningrado ha vinto ed io sono stato trasferito al fronte in Germania
>> spiegò, brevemente, guardando il suo
piatto, ancora vuoto,
non riuscendo a sopportare lo sguardo della donna che poteva
considerare quasi come una madre dopo quell'affermazione.
La
donna lo guardò, rassegnata. << Cerca di
tornare a casa sano e
salvo e con mia figlia >>
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