Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Schizophrenia    01/01/2012    4 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buon capodanno!
Mi avrebbe fatto tanto piacere donarvi questo capitolo come regalo per le feste, ma non si può considerare proprio un regalo, dato che sono due mesi che non aggiorno. Lo so, sono tanto pentita, perdonatemi!
Purtroppo negli ultimi due mesi ho avuto un blocco totale che sono riuscita a superare solo negli ultimi giorno e quindi mi sono subito rimessa a scrivere. Ho in programma di scrivere adesso futuri capitoli, in modo da non annoiarvi più con inutili attese. Ancora non so con quante parole chiedervi infinitamente scusa, per farmi perdonare questo è il capitolo più lungo della storia e accadono molte cose belle!
Ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite, le ricordate o che hanno avuto solo il tempo di leggerla. Spero di ricevere presto vostri pareri e consigli.
Se mi è consentito dedico questo capitolo alla mia Ecchan, che lo aspettava con ansia. <3
Schizophrenia.



Salviamoci la pelle



Salviamoci la pelle.


-Segreti.


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
7 Febbraio 1944
18:30

<< Tra qualche giorno è il tuo compleanno >>, una settimana esatta, e Walter sembrava molto più eccitato del festeggiato stesso. Adorava la feste, e il Natale era la sua preferita, ma era sempre stato compito suo organizzare il compleanno del migliore amico, e non sarebbe stato differente per il giorno del suo ventunesimo compleanno, era comunque una data importante, no? Dopo tutto quello che era successo, poi, forse un giorno libero ci voleva.
Mark scosse il capo, << Non è vero, ti stai sbagliando >>, rispose, con ironica, tirandosi a sedere sul letto. Odiava le feste di compleanno, certo quelle organizzate da Walter erano più che accettabili, ma ne aveva davvero abbastanza. Voleva solo rimanere a casa a mangiare qualcosa con il suo migliore amico, senza regali o fidanzate momentanee. Voleva soltanto mollare tutto per un paio di giorni e dimenticare di dover compiere gli anni, di ricevere auguri da colleghi di suo padre e da parenti di cui nemmeno ricordava l'esistenza. Voleva stare da solo con Walter.
<< Devo ancora rivolgermi a tuo padre per la lista degli invitati? Hai quasi ventuno anni e sei un sergente >>, protestò, con un adorabile broncio stampato sul viso. Si poteva dire che ormai conoscesse molto più lui tutte le zie del suo migliore amico che il ragazzo stesso, ma capitava quando il festeggiato non si degnava di lasciargli una lista di invitati nemmeno per il giorno del suo compleanno.
Il biondo sbuffò, riservandogli un'occhiata poco convinta. << Potremmo non fare nulla, quest'anno. Se non glielo ricordassi ogni anno, anche per mio padre sarebbe soltanto un giorno come un altro. Non dovrebbe nemmeno lasciare il suo amato lavoro per correre a comprarmi un regalo inutile che finirà in un angolo della stanza >>; quei regali non riuscivano a riempire il vuoto creato dall'affetto mancato durante la sua infanzia. Inoltre erano molto più belli quando era sua madre a sceglierli, o forse era soltanto lui ad essere molto più piccolo e ad adorare anche il più piccolo pensiero quando c'erano i suoi genitori a casa?
Walter scosse il capo, per niente d'accordo con le intenzioni del suo amico, << Mi trattengo dal proclamare il 14 febbraio festa nazionale solo perché il giorno è già occupato dal San Valentino >> protestò, senza togliersi quel broncio dalla faccia.
<< Ah, già, San Valentino >> fu il mormorio di risposta di Schreiber. La festa degli innamorati, perché qualcuno aveva bisogno di festeggiare una stupida festa che celebrava l'amore di due persone? Non bastava dimostrarselo ogni giorno o cercare di essere dolci giorno dopo giorno l'uno con l'altro? Il sergente proprio non riusciva a capire a cosa servisse quel giorno. Eppure non se n'era mai fatto un problema: quella festa era solito ignorarla tutti gli anni, festeggiare il suo compleanno e spesso non se ne ricordava nemmeno.
Walter gli rivolse lo sguardo, << Cos'ha di strano San Valentino? >> chiese, esaminando per bene il suo migliore amico, al quale non era mai importato assolutamente nulla della festa.
<< Nulla, Hoffmann, è una festa senz... >> si bloccò nell'osservare l'espressione sbalordita del suo migliore amico. Aveva gli occhi spalancati e si era fermato, con le mani ancora nelle tasche dei pantaloni. Lo fissava come se avesse un polipo sulla testa, e la cosa non era da tutti i giorni visto che il ragazzo dagli occhi azzurri era solito prevedere quasi tutto ciò che lo riguardasse. Allora riusciva ancora a stupirlo, qualche volte. << Cosa c'è? >>
<< Porca puttana. >> furono le uniche parole che uscirò dalla bocca di Hoffmann. Walter non imprecava. Mai.
<< Walter, cos'hai? >>, stavolta era Mark quello sbalordito, ed anche un tantino preoccupato per la salute mentale del suo migliore amico. Non diceva sempre paroline dolci con l'aria di un bambino innocente, questo era più che ovvio, ma non ricordava di aver mai sentito quei termini provenire da quelle labbra piene.
La successiva risata di Hoffmann sconvolse ancora di più il sergente: era un comportamento da pazzi, e di certo il ragazzo non si era mai vantato di essere una persona normale, ma il comportamento del suo migliore amico in quelle poche ore lo stava davvero facendo uscire fuori di testa. << Non ci credo >> sillabò il ragazzo dagli occhi azzurri, non riuscendo apparentemente a smettere di ridere nemmeno per pochi secondi.
Schreiber sbuffò, inarcando un sopracciglio. Odiava che non lo si informasse di qualcosa, per quanto stupida potesse essere. << Ti dispiacerebbe smettere di ridere per due minuti e spiegare anche a me cosa c'è di divertente nel San Valentino? >>; niente. Era una stupida festa per persone stupide ed innamorate.
L'amico si calmò solo alcuni minuti dopo: aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi. Era quasi arrivato sul punto di piangere per le troppe risa, ma fortunatamente si era trattenuto. << Mark Schreiber è innamorato >> sillabò, per spiegare la sua ilarità. << E' cosa più divertente che abbia mai capito essere vera >>, aggiunse poco dopo, ed era vero. Non che non fosse felice per il suo amico o pensasse che la relazione con Bea fosse d'un tratto diventata più semplice da sostenere, semplicemente non l'aveva mai visto darsi tante pene per un sentimento, un sentimento che non aveva ancora nemmeno concepito di provare, tra le altre cose.
<< Io non sono innamorato >> tentò, distogliendo però lo sguardo dall'amico. Era un riflesso involontario: non riusciva a guardarlo negli occhi quando mentiva, anche se non sapeva di star mentendo. Cioè che credeva gli stesse accadendo era già qualcosa di incredibilmente strano; nutrire un sentimento forte quasi -o più, ma cercava di non valutare nemmeno questa possibilità che avrebbe solo confermato quanto in realtà soffrisse di problemi mentali- quanto ciò che provava per Walter nei confronti di una ragazza che sì, era sua amica, ma da quanto? Da quando si era accorto che no, non era solo un'amica?
Hoffmann scosse energicamente la testa, più che convinto delle sue teorie. << Sì che lo sai, e non cercare di ingannarmi, ti conosco meglio di chiunque altro >> bloccò ogni suo tentativo di fuga. Dopotutto se avesse cercato ancora di rifilargli una bugia tanto banale e priva di significato l'avrebbe sicuramente capito.
<< Non ti sto mentendo, Walter, e poi non so nemmeno di chi dovrei essere innamorato >>, d'accordo, questa forse era una bugia, ma solo perché voleva allontanare maggiormente i sospetti, per quanto potesse essere difficile. Non voleva nemmeno pensare che un ragazzo come lui avrebbe potuto buttarsi in una missione suicida simile: sergente dell'SS e innamorarsi di una deportata russa -pure comunista!-. No, non riusciva neanche a concepire che una cosa simile fosse possibile; non per lui.
Walter scosse appena il capo, contrariato, << Dii una ragazzina alta un metro e uno spunto, con fluent capelli neri ed occhi verdi. Ti ricorda per caso qualcuno? >> lo prese amabilmente in giro, << Ah, inoltre è russa ed una comunista; sto sbagliando, forse? >>, aggiunse qualche istante dopo, convinto più che mai delle sue stesse teorie, doveva anche farlo capire all'altro, però.
Mark Schreiber sbuffò sonoramente a quelle precisazioni dell'amico, << Non sono innamorato di Bea Gurtsieva, è semplicemente una deportata che è mia amica >> tentò di ribattere, per l'ennesima volta. Non voleva discuterne, forse perché in quel momento sentir parlare di Bea riusciva a farlo sussultare, o a farlo sentire realmente in difetto per l'imminente festa di San Valentino. Loro non erano semplici amici, questo ormai per il sergente era chiaro e impossibile da smentire, ma cos'erano allora? Non erano fidanzati, lui non riusciva nemmeno a concepire il pensiero di essersi preso una stupida cotta, né avrebbero francamente avuto l'opportunità di passare del tempo insieme. No, non era innamorato. Anche se... no, non poteva nemmeno pensarci. Cercò di concentrare nuovamente l'attenzione sul ragazzo dai limpidi occhi azzurri che gli stava di fronte, << Dopotutto sei stato proprio tu a consigliarmi di non ascoltare sempre mio padre, di credere che potesse essere altro oltre che una sporca comunista >>, voleva ancora avere ragione su quella discussione così importante.
Il suo migliore amico aveva però letto i numerosi dubbi negli occhi di lui; era una chance per fargli capire quanto stesse sbagliando a rifiutare i propri sentimenti che Walter non poteva proprio lasciarsi scappare. << Allora cosa siete, eh? Rischi la vita per un'amica che non conosci da nemmeno così tanto tempo? Scrivi certe lettere ad un'amica come Bea Gurtsieva quando non ti ho mai visto fare la corte ad una ragazza?! >> lo provocò, cercando di insinuargli ancora maggiori dubbi in quella bella testolina semi-bacata per via degli anni trascorsi a seguire le idee del padre. << e no, non ti dirò mai che hai sbagliato ad aiutare una ragazza in difficoltà >>
Il sergente sbuffò, scuotendo il capo, << Non capisci proprio la situazione, vero, Walter? >> protestò, irritato, cercando di non alzare la voce. Non che non avessero mai litigato con toni un po' più alti del normale, ma non era il caso che si venisse a sapere di certe dicerie quando fuori da quella stanza almeno una ventina di soldati dell'SS camminavano tranquillamente per i corridoi, controllando la situazione in ogni dove.
<< Cosa c'è da capire? >> fu la semplice risposta del giovane Hoffmann,per lui era tutto così chiaro. Doveva esserlo anche per il suo migliore amico visto che si alterava tanto, probabilmente non l'avrebbe fatto se si fosse trattato di una cosa da nulla o se davvero non avesse provato niente per quella ragazzina russa; ma quelle erano solo sue supposizioni, non riusciva mai a strappare all'altro una confessione degna di questo nome.
Mark scosse il capo, << Nulla, per favore parliamo d'altro >>; nessuna situazione, eccetto il fatto che ormai non sapeva più cosa fare, se consegnare quelle lettere alla ragazza dai lunghi capelli corvini o lasciarla perdere del tutto, dimenticarla e convincersi che tutto fosse stato solo un errore, doversi abituare all'idea che prima o poi sarebbe stato anche il suo turno di entrare in una camera a gas e morire, come aveva visto già capitare a molti comunisti, ebrei e prigionieri politici prima di lei.
<< Lo so, sarebbe dura >> borbottò il suo migliore amico, come se gli avesse appena letto nel pensiero?
<< Prego? >>
<< Ehi, ormai viviamo in simbiosi. Sono nella tua testa >>
La battuta di Hoffmann portò delle risate nella stanza di un sergente non ancora guarito e con il cuore a pezzi.
Mark decise di cambiare argomento. Avrebbe voluto farlo da un po' a dire il vero, ma gli era venuto in mente un particolare. << Non hai nessuna con cui passare il San Valentino? >> gli chiese. Era un modo molto delicato per chiedergli se la sua testa fosse attualmente occupata da qualche ragazza. Non lo aveva mai visto con una ragazza in tutta la sua vita, eccetto una o due compagne di classe durante i primi anni delle superiori. Non gli sembrava tanto normale: Walter era il tipico bel ragazzo tedesco, di buona famiglia e con un futuro già programmato. Tutto ciò a cui si potesse aspirare.
Lui abbassò lo sguardo, << Ci sarebbe una persona, ma non sono sicuro dei suoi sentimenti nei miei confronti >> era una mezza verità, come ne aveva sempre dette su quell'argomento. Non poteva sbilanciarsi troppo. Non doveva, nemmeno con Mark: rischiava di perdere il suo migliore amico.
<< E cosa aspetti?! Invita questa ragazza al mio compleanno e chiedile di frequentarvi >> tentò d'insistere.
<< No, non è il caso >>
Il sergente si morse il labbro, << Come preferisci >>; c'era qualcosa che non andava: lo leggeva chiaramente negli occhi azzurri del suo migliore amico e la situazione non gli piaceva. Non c'erano mai stati segreti tra loro, cosa poteva essere così grande da allontanarli?


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
14 Febbraio 1944
21:03

C'erano ufficiali con le loro mogli, c'era una musica lenta e sofisticata e qualcuno diceva che forse sarebbe venuto anche Hitler in persona. Le feste a casa Schreiber erano molto più eleganti di quella, prima della morte della moglie del Maggiore. Successivamente a quella, di solito Mark passava il suo compleanno a casa Hoffmann, oppure a bere una birra con Walter e qualche altro amico intimo, ma Hans Schreiber aveva pensato che il ventunesimo compleanno del figlio fosse l'occasione giusta per inserirlo maggiormente nell'esercito, renderlo simpatico a gente che contava e magari trovargli la moglie giusta.
Dopotutto non era stato difficile organizzare la cena: ci aveva pensato un'amica del padre, Libeth. La donna aveva capelli biondo platino corti, che sfioravano le spalle in morbide linee ondulate, stavano certamente bene con il viso piccolo e truccato di rosa, illuminando gli occhi azzurri. Indossava un vestito verde bottiglia per l'occasione, al quale il giovane Schreiber non si premurò di prestare nessun tipo di attenzione. Non aveva nemmeno mai visto quella donna, e lei si era presa tanto disturbo da fargli addirittura un regalo, che non aveva ancora scartato, tra l'altro.
Il festeggiato se ne stava semplicemente seduto in un angolo, a guardare il soffitto -ormai era guarito del tutto- a parlare con Walter e a pensare alla ragazza chiusa solo quale camera più in là. << Pensavo che il giorno di San Valentino nessuno accettasse di venire... nemmeno pensavo che mi padre si ricordasse che fosse il mio compleanno >> sbuffò. Le sue reali intenzioni non le avrebbe rivelate a Walter, per non finire in un'altra discussione senza fine, ma sperava di passare un po' di tempo con lui, per poi stare un po' più da Bea quella notte. Sarebbe stato sicuramente un degno modo di festeggiare il compleanno.
<< Sbaglio o tuo padre ti sta presentando tutti i marescialli presenti? >> lo prese in giro l'altro. Tra amici erano pur permessi certi atteggiamenti scherzosi, no? Seppur uno di loro due fosse scocciato come il sergente.
Mark spostò lo sguardo sul giovane Hoffmann, << Già, credo speri di farmi promuovere senza fare niente, o cose del genere >> stava tentando di scherzarci anche lui, ma la cosa non gli riusciva molto bene. Suo padre era un abile oratore e non si riusciva subito a capire quali fossero le sue reali intenzioni, quando lo elogiava, ma ormai lo conosceva da ventuno anni, sapeva bene come era fatto e come era solito comportarsi. << Va in giro ad elogiare ciò che è successo a Leningrado, come se uccidere delle persone mi portasse onore >> aggiunse, stavolta leggermente infastidito dalla cosa in sé. Non solo non gli andava di conoscere persone di quel tipo, ma non aveva nemmeno più voglia di avanzare di carriera, continuando a fare la marionetta.
<< La salverei, sergente Schreiber, ma pare lei sia molto richiesto questa sera e io non posso sottrarre alla sala la presenza del festeggiato >> lo prese ancora in giro Walter, facendo un cenno con la testa verso il maggiore, che si avvicinava a loro con uno strano sorriso. Hoffmann non ricordava di aver mai visto il padre del suo miglior amico sorridere se non in modo cattivo o in rarissimi momenti di pura gioia. C'era qualcosa che non andava in quel sorriso.
Il padre del festeggiato sorrise, una volta raggiunto il tavolo dove i tuoi amici si erano rifugiati. << Mark, ho una persona da presentarti >> annunciò, ma sembrava ci fosse qualcosa sotto stavolta, qualcosa ben più grande del semplice "spero che tu possa raccomandare mio figlio per un buon posto alla destra di Hitler". Il biondo non conosceva bene suo padre come qualsiasi figlio, ma lo conosceva come uomo e da quando il sopracitato uomo aveva perso l'unica donna che amasse era diventato un uomo pessimo.
Il sergente rise, << C'è qualche altro Capitano che non può fare a meno di conoscermi? >> canzonò il padre, palesemente poco interessato alla cosa. Non vedeva più l'arruolarsi come qualcosa di volontario, qualcosa di gratificante e per il quale avrebbe lottato. Non si trattava più di difendere la propria patria e far si che l'interno mondo accettasse la sua supremazia. Adesso l'SS significava non poter realizzare i propri sogni, non poter pensare con la propria testa, non poter decidere nemmeno per sé.
<< No, ma credo che questa persona sarà a te più grata >>, non si fece scalfire dal sarcasmo del più giovane, mentre rivolgeva un'occhiata al figlio degli Hoffmann, << Walter, se ci scusi un attimo >>; in fondo il Maggiore stimava Walter, aveva ciò che suo figlio non aveva: un paio di splendenti occhi azzurri che, sebbene il ragazzo non vi provasse mai, era convinto potessero diventare di ghiaccio. Un perfetto tedesco. Aveva accettato la mancanza del figlio solo dopo quell'inaspettato avanzamento di carriera.
<< Faccia con comodo >>
Il consenso divertito di Walter aveva fatto guadagnare al figlio del medico un'occhiataccia da parte del neo-ventunenne. << Spero sia una cosa importante, io e Walter stavamo affrontando un discorso serio >>, bofonchiò. Certo, discorso serio; probabilmente tra qualche minuto sarebbero finiti a discutere sull'importanza delle trappole per topi a causa della troppa noia. Il biondo non voleva trovarsi in quella sala, travolto dagli invitati in quel momento.
Mark venne condotto dal padre verso una donna elegante, sulla quarantina. << Lei è la moglie del capitano Von Hebel >> gliela presentò.
<< Molto lieto >>, il sergente finse un sorriso alquanto ben riuscito, mentre salutava la donna vestita a sua parere in modo poco elegante e molto volgare, eccessivo.
La donna gli rivolse un sorriso ancora più falso di quello del giovane, << Buon ventunesimo compleanno, caro, lei è mia figlia: Barbara Von Hebel >> la presentò, scostando la sua grasse persona per mostrare quella snella e alta della figlia.
Barbara Von Hebel era una splendida ragazza tedesca nel pieno dei suoi diciannove anni. Aveva raccolto i capelli biondo platino in una pettinatura che al festeggiato sapeva di troppo lavorato, ma molto elegante. << Piacere, sergente >> salutò, con dizione perfetta e con voce educata, rispettosa. Il corpo era fasciato da un abito rosa antico e la ragazza sembrava essere stata talmente preparata per la sera da apparire modellata senza imperfezioni in quel ruolo che le calzava a pennello.
<< Il piacere è tutto mio >>, ma l'espressione dura con cui Mark Schreiber aveva detto quelle parole, con cui si era portato la mano della ragazza alle labbra, per baciarne il dorso, la dicevano lunga sui suoi pensieri. Aveva capito le intenzioni del padre, purtroppo troppo tardi per fermarlo subito. Adesso che finalmente stava dando il meglio di sé come membro dell'SS, doveva solo prendere come moglie una donna, per andarsene e lasciarlo in pace; ma tanto non c'era bisogno di decidere nulla, era stato tutto organizzato, forse quando lui era a Leningrado: suo padre e la signora Von Hebel avevano già deciso che il sergente e Barbara si sarebbero sposati presto. << Scusatemi, signore, devo andare, adesso >> si congedò, con tono scortese e poco educato.
Il maggiore Schreiber si scusò per il comportamento del figlio, giustificandolo con una scusa poco credibile: nervosismo dovuto al dolore alla gamba, non ancora sparito del tutto. Subito dopo seguì il giovane, che si era rintanato nel suo ufficio, sbattendo la porta. Il maggiore Schreiber aprì la porta, richiudendosela alle spalle, << Non mi sembra di averti insegnato a comportarti in questo modo. Torna subito da quelle donne e scusati con loro >> ordinò, con voce tremendamente calma e fredda.
Mark si voltò verso di lui, fissandolo con rabbia, rancore e disgusto. << Tu non mi hai insegnato proprio nulla. Tutto ciò che so lo devo a mia madre, non a te >> lo accusò. Non aveva mai più parlato con suo padre di Agathe Schreiber da quando la donna era morta, ma si sentiva bruciare dentro; non poteva più sopportare di reprimere ogni cosa e di lasciare che il Maggiore decidesse per lui.
L'uomo fu colpito dalle parole del biondo e si arrestò un secondo, prima di fissarlo con ira. << Non hai il diritto di parlarmi così, ragazzo >> lo ammonì, alzando di pocola voce. Si sentiva anche dalla porta chiusa la musica nell'altra sala, ma non aveva assolutamente intenzione di rischiare che anche i loro invitati potessero udire i loro battibecchi.
Il sergente chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, sentiva che qualcosa dentro di lui stava per scoppiare e se fosse successo non sarebbe stato un bello spettacolo. Diede le spalle all'uomo e si poggiò alla scrivania, cercando di non cascarvi sopra. << Io non conosco quella ragazza e non capisco perché tu me l'abbia presentata >> sibilò, cercando di ritrovare una calma persa. Ovviamente si era già fatto le sue idee, ma voleva che suo padre le confermasse, voleva la certezza della situazione di merda in cui era stato cacciato di peso senza nemmeno essere stato informato in anticipo.
Hans Schreiber non chiese al figlio di girarsi, non si aspettava nemmeno che se l'avesse fatto lui gli avrebbe ubbidito. Sembrava alquanto sconvolto. << Non capisco proprio cosa ti meravigli, figliolo, hai ventuno anni, ormai e non potrai vivere per sempre qui >> iniziò il discorso; contrariamente al ragazzo che gli dava le spalle lui non aveva mai perso la calma, era razionale e freddo davanti a qualunque cosa, che si trattasse di suo figlio o di una guerra mondiale. << E' ora che ti accasi e per farlo ti serve una buona moglie. Barbara e una donna di ottima famiglia e con poche pretese, oltretutto sua madre è d'accordo alla vostra unione >> concluse il suo discorso, e non sembrava intenzionato ad aggiungere altro.
<< E se io frequentassi un'altra? >> fu la lapidaria domanda del minore. Era un quesito legittimo, dopotutto qualunque soldato della sua età arruolato tra le forze dell'SS aveva già trovato l'amore della sua vita, ma lui non si era mai sentito particolarmente sfortunato a non aver mai visto una ragazza che si avvicinasse minimamente ai requisiti ideali per essere il suo. Forse era vero: la gente poteva pensar male di un soldato che non aveva una compagna, ma lui non voleva di certo la figlia dei Von Hebel. Gente dal cognome nobile, ma che di nobile aveva ben poco, per quanto quella giovane donna potesse essergli sembrava aggraziata ed elegante.
Il padre inarcò un sopracciglio, gli si leggeva in faccia che non credeva ad una minima parola di ciò che sentiva. << Se tu stessi vedendo una donna, io lo saprei benissimo. Passi le tue giornate diviso tra Walter e i tuoi impegni di soldato >> replicò, come se fosse ovvio.
Mark si voltò, lentamente, con la rabbia che gli ribolliva nel petto e si costrinse a guardare il padre dritto negli occhi, << Non voglio sposarla >>.
Perché la prima persona a cui aveva pensato quando aveva capito le intenzioni di suo padre e della signora Von Hebel era corso a Bea.
Perché non avrebbe mai lasciato quella casa quando la figura più bella e delicata che conoscesse era rinchiusa lì.
Perché doveva riuscire ad aiutarla, prima di pensare a qualsiasi altra cosa.
Perché non aveva scritto quelle lettere sollo l'effetto dei pochi milligrammi di morfina che riceveva a Leningrado.
Perché Bea era la terza persona, dopo sua madre e Walter, a cui avesse mai sorriso sinceramente.
Perché non riusciva a concepire l'idea di dover passare la vita con una donna che non fosse Beatrisa Irina Borisova Gurtsieva.
Il giovane abbassò lo sguardo, sentendo improvvisamente un vuoto al posto del petto, quando si rese conto di tutto ciò che gli stava passando per la testa, e che tutte quelle cose erano basate su una ragazza che era costretta a passare il resto dei suoi giorni tra quelle mura ed una camera a gas. Non riusciva, e non poteva nemmeno, accettera l'idea di provare qualcosa per lei, come se Walter avesse sempre avuto ragione. Non riusciva a pensare in quel momento, sentiva solo la prepotente voglia di vederla.
<< Cambierai idea, Mark, Barbara sarebbe la ragazza perfetta per te >> cercò ancora di convincerlo.
<< Adesso ho bisogno di un po' d'aria >> tagliò corto il più giovane dei due, uscendo dallo studio.


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
14 Febbraio 1944
22:12

Mark non impiegò molto per arrivare in camera di Bea, era l'unico posto in cui volesse trovarsi in quel momento. Colmo d'ira e di tutta la confusione che ciò che era successo avrebbe mai potuto portare. Non aveva mai desiderato prendere in mano un fucile ed uccidere qualcuno -suo padre, ad esempio- come in quel momento. Proporgli un matrimonio, con una ragazza che non conosceva e di cui non conosceva nemmeno l'esistenza era semplicemente ridicolo ed inappropriato, come se si fosse mai interessato alla sua vita sentimentale oppure a come apparissero alla gente. Doveva essere quella sua nuova compagna, Libeth, a fargli un'influenza peggiore di quella che faceva lui.
<< E' successo qualcosa? >> si sentì scrutare dagli occhi della russa, che gli rivolgevano uno sguardo preoccupato. Si era alzata dal letto, andandogli incontro. Non capiva come quella ragazza riuscisse a preoccuparsi così per uno come lui, dopo tutto il male che le aveva procurato.
Non riusciva nemmeno a capire perché sotto quello sguardo così... dolce e preoccupato sentì qualcosa sciogliersi dentro. << Va tutto bene, ho solo bisogno di stare un po' con te >>, sorrise sincero,poggiandole le mani sulle spalle, quando lo ebbe raggiunto, come a tranquillizzala, ad assicurarle che andasse realmente tutto bene e che non ci fosse un reale motivo di essere preoccupata per lui. Cercò ancora di sorriderle, nonostante tutto quello che che era appena successo. << Tu come stai? >> le chiese dolcemente, osservandola.
Lei non rispose, ma in quel silenzio c'era tutto quello che non si erano mai detti, tutto quello che era chiuso a chiave in un cassetto in camera di Mark Schreiber, scritto frettolosamente su un paio di fogli indirizzati ad una ragazza russa tenuta prigioniera in un lager tedesco. Tutti avevano dei segreti nella Germania del 1944: Walter Hoffmann aveva il suo enorme e indicibile segreto che avrebbe potuto ucciderlo o confinarlo per sempre in un lager, se svelato; Beatrisa Gurtsieva sentiva qualcosa di caldo, all'altezza del petto, ogni volta che il biondo la sfiorava, o la guarda e avvertiva intorno a lei un senso di protezione che non ricordava di aver vissuto nemmeno con Dimitri Toforov, il suo migliore amico; Mark Schreiber portava però il peso di tutto quello, oltre al suo segreto innamoramento. Nessuno avrebbe mai dovuto conoscere dei segreti altrui, ma Mark e Bea, pur non sapendolo, condividevano lo stesso segreto e nessuno dei due era intenzionato a guardarsi ancora negli occhi senza poter rivelare nulla, senza poter fare nemmeno un cenno che facesse capire ad entrambi che sì, provavano la stessa cosa.
<< Buon compleanno >> esordì in fine, guardando il sergente di fronte a lei. << Io... io mi sono permessa di farti un regalo >> mormorò, arrossendo con enorme imbarazzo, mentre abbassava lo sguardo. In Unione Sovietica per i tempi che correvano era raro persino tra fratelli scambiarsi dei doni per un'occasione simile; ma quella sera Leningrado non esisteva, non esistevano le quattro pareti che dividevano Bea dal resto del mondo, non esistevano le limitazione di quel lager nazista. Non c'era più nulla, solo uno sfondo bianco dove galleggiavano insieme ai propri sentimenti.
Mark la osservò dubbioso, << Come avresti fatto a farmi un regalo?! >> chiese, ma gli si era dipinto un sorriso sul volto che andava da orecchio a orecchio. La risposta era ovvia, era stato stupido da parte sua anche solo chiederlo, ma l'idea che la ragazza avesse pensato di fargli un regalo per il giorno del suo compleanno lo aveva reso felice oltre l'immaginario, facendogli completamente dimenticare tutto ciò che era successo solo pochi minuti prima. << Ti ha aiutata Walter, non è così? >> chiese ancora, senza farle nemmeno il tempo di rispondere alla prima domanda, avvicinandosi a lei con cautela e sorridendole.
La russa scosse energicamente la testa, quasi indispettita che qualcuno pensasse avesse necessità dell'ausilio altrui anche per fare un regalo. Certo, doveva considerare che per un esterno era difficile da credere: come avrebbe potuto uscire da quel lager e andare a comprare un regalo al sergente senza che qualcuno venisse in suoi aiuto. << No, ho fatto tutto da sola >> e la sua voce risuonò fiera e pienamente consapevole delle proprie capacità mentre diceva queste parole. La ragazza non si era mai vantata in vita sua, ma doveva ammettere che il regalo che era riuscita a trovare per Mark era perfetto sotto ogni punto di vista e piaceva anche a lei; la metteva solo tremendamente in imbarazzo, ma questo era tutt'altro argomento.
Schreiber allora inarcò un sopracciglio, completamente colto di sorpresa anche dal tono usato dalla ragazza. Ormai aveva imparato a conoscerla e stava scoprendo un lato di lei così forte e adorabile che difficilmente credeva che sarebbe ancora riuscito a tenerle nascoste quelle lettere. Esprimevano tutto ciò che lui provava nei confronti di lei, tutti quei sentimenti senza un nome preciso che credeva di non doverle rivelare mai, per non commettere nessun guaio. << Beh, allora deve essere sicuramente qualcosa di molto speciale >>, non riusciva più ad essere freddo, non con lei. Ormai Beatrisa era diventata qualcosa di essenziale, qualcosa di talmente puro che non aveva alcun senso fingere anche con lei, nascondersi dietro la solita maschera. Con lei Mark sentiva di poter dire addio a tutti i suoi segreti ed essere ciò che sentiva di essere.
Lei annuì, << Allora chiudi gli occhi >> mormorò all'altro che obbedì subito ai suoi comandi, sperando di vedere presto il suo regalo così speciale.
Quello fu sicuramente il momento più coraggioso della vita della giovane sedicenne. Aveva affrontato l'inverno russo e non avevano sempre avuto il riscaldamento funzionante per bene a casa, aveva cucinato per tutta la famiglia e aveva resistito ai piatti di sua zia che non aveva mai saputo cucinare nemmeno della semplice pasta senza alcun tipo di condimento; ma le ci volle una forza disumana per combattere contro tutto quello in cui credeva, per far cadere tutti gli ideali con cui era stata cresciuta, per dimenticarsi di Stalin e del suo dannato Comunismo e per, rossa in volto, avvicinarsi al ragazzo biondo che in abito da festa se ne stava fermo in mezzo alla stanza. Bea prese un lungo respiro, forse per auto infondersi coraggio e colmò la distanza che li separava. Non seppe nemmeno come una sua mano trovò il suo posto naturale sul petto del ragazzo quando le labbra di lei sfiorarono quelle di lui, scostandosi un istante dopo.
Il suo primo bacio era il regalo più grande che Bea potesse donare a Mark, avvertendo a sua volta un gran bisogno di sentire le labbra del ragazzo.
Mark aprì di scatto gli occhi, poggiandole le mani sulle braccia per scostarla velocemente ed esaminarla con i suoi profondi occhi nocciola. Non riusciva a capire cos'avesse spinto la ragazza a baciarlo. Nella sua mente i fili si aggrovigliavano, tessendo una tela di confusone che difficilmente sarebbe riuscito a sfilare da solo. Poteva affermare con sicurezza che quello fosse il più bel regalo che avesse mai ricevuto in ventun'anni e che desiderava poggiare le labbra su quelle di lei da quella sera in cui ci aveva provato lui stesso o forse addirittura da prima; ma non potevano. Era la cosa più sbagliata che avesse mai sentito: una comunista e un soldato dell'SS... non doveva accadere. << Bea ... >> sussurrò, cercando di restare fermo mentre le parlava, anche con lo sguardo.
La ragazza scosse il capo, risoluta, << Non ho sbagliato, Mark, non tentare di farmelo credere >> quelle parole erano un marchio di fuoco sulla pelle chiara di lui. Quella dannata ragazzina era cocciuta oltre l'inverosimile non sarebbe mai riuscito ad infonderle un po' di buon senso. Non conosceva quella parte del carattere della figlia del colonnello dell'Armata Rossa; ma gli piaceva come gli piaceva tutto di lei. Eppure in quel momento odiava che avesse fottutamente ragione.
Il tocco delle dita sottili e fredde di lei lo fecero totalmente ribollire di rabbia. Le prese entrambi i polsi con violenza, una violenza che credeva di non essere più capace di nutrire nei confronti di lei. La portò contro il muro, lasciando che il suo corpicino piccolo e all'apparenza debole sbattesse contro di esso, provocando un tonfo sordo. << E' il peccato più grande che uno di noi due possa commettere >> la rimproverò, ritrovando quella freddezza, amica d'anni.
<< Peccato agli occhi di chi? >> gli chiese allora lei, assottigliando lo sguardo e puntando gli occhi dello stesso colore dello smeraldo in quelli di lui. Non riusciva a credere che stesse negando tutto quello che gli si leggeva perfettamente negli occhi. Stava ignorando la violenza che il ragazzo le aveva riservato, benché non se l'aspettasse più da lui, o almeno sperava ardentemente di non doverselo più aspettare.
Schreiber cercò di allontanarsi, di lasciarla lì e risolvere i suoi dubbi lontano da tutti, << Agli occhi del mio paese, del tuo, della tua famiglia, di Dio >> cercò di farla ragionare, mantenendo un tono di voce calmo. Mark desiderava solo scoppiare insieme a tutto quello che stava dicendo, voleva tornare a baciarla e sfiorarle i lunghi capelli corvini, ma non poteva infilarsi in una relazione senza via d'uscita, che non avrebbe mai potuto avere un futuro senza ferire entrambi, come ormai era già successo.
Come tutti nel suo paese Bea non si era mai affidata troppo a nessun dio, ma non disprezzava i tedeschi per il loro credere, come non disprezzava Mark dopo tutto il male che aveva fatto, avrebbe volentieri visto crepare qualche nazista ma per gli ideali che essi stessi rappresentavano, non per il colore della pelle. Forse anche per vendetta personale, certo. << Il tuo Dio non dovrebbe fare distinzioni tra ebrei e tedeschi, né dividere due persone come noi >>
Stava definitamente per esplodere. Il sergente tedesco non riusciva a continuare quella conversazione senza senso. La guardò ancora: gli occhi accesi non sarebbero mai passati in secondo piano, la linea sottile e morbida del collo in cui avrebbe voluto affondare i denti, i boccoli dello stesso colore di una notte senza luna che ricadevano quasi fino al fondo schiena; non sopportava la visione di tutto quello che desiderava e il peso dei suoi stessi sentimenti. << Un giorno io varcherò questa porta e tu non ci sarai più >> sputò quelle parole, come se fossero la più grande bestemmia mai pronunciata.
<< E che senso ha rifiutare ciò che proviamo oggi per quello che accadrà domani? >>, Bea sentiva chiaramente il suo tentativo di allontanarsi, ma non glielo avrebbe permesso. Stava lottando perché non fosse così. Si tratteneva dal gridare ma era esausta. Stanca di cercare di capirsi, perdonando solo tempo nel cercare di attribuire un nome ad un sentimento così contorto e masochista.
Mark sospirò allontanandosi totalmente da lei e sedendosi su quella brandina adibita al letto, reggendosi il capo con le mani, confuso. Quando riuscì a schiarirsi le idee... no, non riuscì a schiarirsele nemmeno un po', ma quando capì che forse un modo c'era, le fece un cenno con la mano, << Vieni >> disse, semplice, battendo appena con la mano sul resto del materasso, accanto a lui.
Bea lo raggiunse, titubante. Non credeva che Mark gli avrebbe fatto del male, né che l'avrebbe violentata, non quella notte, ma aveva semplicemente paura di quella conversazione che fino a quel momento era riuscita a portare avanti con coraggio ma che non avrebbe mai voluto realmente affrontare. << Cosa vuoi fare? >> gli chiese, sedendosi a debita distanza, sentendosi effettivamente rifiutata dal ragazzo, pur comprendendo perfettamente che, fosse stato per lui, sarebbero finiti su quel letto per fare ben altro in quel momento stesso.
Lui le si avvicino, sfiorandole il mento con delicatezza e sollevandole il volto, in modo che i loro occhi si incatenassero nuovamente. << Per quanto possa essere difficile, ti prometto che non ti lascerò morire e che se fosse necessario rinuncerò a tutto per portarti in salvo, ma non farmi venire mai più un colpo del genere >> sussurrò, una volta che il suo volto le fu talmente vicino da mormorare quelle calde parole direttamente all'interno dell'orecchio di lei.
La ragazza rabbrividì appena quando avvertì il respiro dolce e rassicurante di lui sulla pelle sensibile, << E tu non dire mai più che siamo una cosa sbagliata e impossibile >> stipulò quel patto, ammettendo senza riusce ad esprimersi meglio che quella sera erano diventati ai suoi occhi una sola entità indivisibile, quando finalmente era riuscita a darsi forza per parlargli, per fare quello su cui aveva riflettuto tanto mentre il biondo era a cercare di farsi uccidere a Leningrado con molti altri giovani soldati.
<< Te lo prometto >> furono le uniche parole di lui, che non le diede il tempo di aggiungere qualche altra condizione, firmando l'accordo baciando la ragazza. Un bacio semplice, quello in cui basta cercare le labbra dell'altro, sentire il loro sapore sulle proprie per stare in pace con il mondo, per sentirsi parte integrante di qualcosa di molto più grande di quanto ci si sarebbe mai aspettati. Loro erano questo e tutto quello che ancora c'era da scoprire. Il biondo si scostò qualche minuto dopo, senza azzardarsi ad approfondire il bacio; aveva notato il tremito di lei quando aveva iniziato a mordicchiarle dolcemente il labbro inferiore. Le sfiorò i capelli, riportando una ciocca dietro l'orecchio, << Adesso devo tornare in sala ... >> mormorò, con il cuore pesante, alzandosi. Si voltò un'altra volta, prima di uscire, richiamato dalle parole di lei:
<< Sarà un nostro segreto, vero? >>
<< Come sempre >>


Leningrado, Unione Sovietica.
20 Febbraio 1944
12:53

<< Grazie per essere venuto a pranzo da noi, Dima >>, Diana trattava quel ragazzo come un figlio, e come non avrebbe potuto? Era cresciuto accanto alla figlia e veva dormito con lei nelle notti più buie. Peccato che in quel momento non potesse starle accanto. La signora Gurtsieva era certa che se Dimitri e Beatrisa fossero stati insieme quella sera lei avrebbe avuto qualcuno su cui contare e si sarebbe sentita protetta.
Il marito della donna era seduto a tavola, mentre la moglie apparecchiava. << Passami la vodka, Dina >> ordinò, distaccato da tutto ciò che accadeva nella camera. Quell'atteggiamento era forse dovuto alla vittoria di Leningrado sui tedeschi? Ovviamente no. Lui sapeva qualcosa riguardante qualcuno, in quella tavola, che era meglio non svelare. << Qualcosa non va, Boris? >> chiese la donna, con grande apprensione, portando quanto richiesto al padre dei suoi bambini.
Regnava un'atmosfera di assoluta tensione e tutti, persino il piccolo Sergeij aveva notato che qualcosa non andava, ma ovviamente non aveva fatto parola, continuando a disegnare su un foglio, steso sul legno della pavimento del soviet.
<< Chiedilo al tenente Todorov >> rispose semplicemente il Colonnello, indicando con un cenno del capo Dimitri. Quando lo chiamava in quel modo o era successo qualcosa di molto bello o di molto brutto, ma a giudicare dall'espressione imbronciata di Boris Gurtsieva era sicuramente la seconda opzione quella giusta.
Diana Gurtsieva rivolse allora il proprio sguardo verso il ragazzo, inarcando un sopracciglio, come se i due stessero nascondendo lei quale enorme segreto di stato.
<< Leningrado ha vinto ed io sono stato trasferito al fronte in Germania >> spiegò, brevemente, guardando il suo piatto, ancora vuoto, non riuscendo a sopportare lo sguardo della donna che poteva considerare quasi come una madre dopo quell'affermazione.
La donna lo guardò, rassegnata. << Cerca di tornare a casa sano e salvo e con mia figlia >>



   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Schizophrenia