Chap 27
Stare a San Diego aveva preso una
strana piega. Nell’ultimo mese e mezzo Gary,
il mio capo, aveva spedito, di mia insaputa, diverse domande per i
college,
passavo le giornate con la fidanzata che mi aveva mollato il ragazzo
che mi
piaceva e la mia coinquilina/amica che cercava di fare la gentile con
lei pur
rimanendo sarcastica.
Credo che sarebbe
stato tutto piuttosto noioso se non
avessi incontrato Thomas, ma di sicuro non mi sarei trovata in questo
pasticcio.
“Si avvisano
i passeggeri che il volo TD 18203 per Los
Angeles è in partenza al Gates 6, vi preghiamo di dirigervi
verso l’imbarco”,
aveva annunciato lo speaker dell’aeroporto.
Prendere i voli serali
mi era sempre piaciuto. C’erano
meno persone e soprattutto, il panorama era di gran lunga migliore, era
stupendo vedere la città illuminata sotto di se.
Un’ora dopo
si estendeva sotto di me la pista del LAX e
la città dove ho sempre voluto vivere che brillava sotto ai
miei occhi.
“Ci
siamo”, disse Nicole mentre si allacciava la cintura
di sicurezza.
“Ci
siamo!”, ripetei anch’io le sue parole e il suo
gesto.
Stavamo per atterrare
a Los Angeles, la città degli
angeli, così la chiamavano.
Jennifer si trovava
nel sedile di fianco a noi. C’erano
capitati tre posti diversi e per fortuna eravamo riusciti a fare
scambio con
dei tizi con l’aria poco raccomandabile questo
perché Thomas si era limitato a
prenotare ‘tre biglietti San Diego – Los
Angeles’ senza ricordare di aggiungere
tre posti vicini.
L’aereo
atterrò e aspettammo i nostri bagagli. Uscite
dall’aeroporto sembravamo quel tipo di ragazze che si vedono
sempre nei film
dove sono tutte amiche e hanno appena finito l’high school,
ma c’era una
notevole differenza: primo, non eravamo appena uscite dal liceo e
secondo, non
eravamo neppure grandi amiche ad eccezione di me e Nicole, la cosa era
diversa.
“Dove
alloggiamo?”, chiesi a Jennifer. Poggiò le valigie
a terra e iniziò a frugare nella borsa.
“Allora,
Thomas voleva che alloggiavamo all’Hilton
perché Travis gliel’aveva consigliato ma poi
l’hanno chiamato e Tom mi ha
passato Mark che ha detto che se ne occupava lui e siamo finite
nell’Inglewood che
è vicino all’aeroporto”, tirò
pochi istanti dopo un foglietto rosa leggermente
stropicciato. “Quindi siamo all’ Econo
Lodge near LAX”
“Inglewood,
hai detto?”, chiesi mentre un taxi si
avvicinò a noi.
In meno di
mezz’ora l’autista parcheggiò il taxi
davanti
all’ingresso dell’hotel e ci scaricò le
valigie appoggiandole sull’asfalto.
Prese i soldi e velocemente risalì sulla sua auto diretta
chissà dove.
“Dunque
è questo”, disse Nicole mentre ce ne restavamo
tutte e tre a fissarlo.
“Abbiamo
costatato che Tom non sa prenotare i biglietti e
Mark non sa scegliere gli alberghi, mi sembra giusto”,
cercò di scherzare
Jennifer.
“Forza,
andiamo”, le incoraggiai.
Prendemmo le valigie e
andammo a fare il check-in.
Il tempo di salire in
camera che Nicole e Jennifer erano
crollate nei rispettivi letti mentre io non riuscivo a prendere sonno,
avvertivo la sua presenza
pur stando a chilometri di distanza.
Avevo la testa troppa
piena di pensieri che non mi
facevano dormire e per questo motivo avevo bisogno di prendere aria.
Aprii la
finestra del balcone e mi sedetti su una sedia lì fuori. La
calda aria di
agosto colpiva la mia pelle.
Faceva schifo quando
una persona ti manca così tanto che
guardi vecchi messaggi e cerchi di ricordare tutte le vostre
conversazioni. Per
qualche secondo può portare un sorriso sul tuo viso, ma poi
il dolore ritorna e
non dovresti guardare indietro, ma non puoi farne a meno.
Avevo voglia di
sentirlo ma non avevo il diritto di
chiamarlo. Avrei potuto inviarli un messaggio, meno confidenziale, ma
non ne
avevo ugualmente il diritto. Avrei aspettato che lui prendesse una
decisione e
quando saremmo rientrati entrambi a San Diego, se ancora non lo avesse
fatto,
avrei deciso io per entrambi.
L’indomani
saremmo dovute andare al concerto che si
sarebbe tenuto in quella città. Jennifer aveva insistito
così tanto. Le avevo
detto che potevano andare loro e che avrei preferito stare in stanza a
leggermi
un libro ma mi aveva risposto con un “Non essere stupida, i
libri non cambiano
mentre nei concerti c’è sempre qualcosa di
nuovo”, mi era piaciuta quella
frase, in fondo mettevo sempre al primo posto un concerto, qualunque
gruppo
fosse ma in quel caso non ce la facevo. Non ce l’avrei fatta
a sopportare Jen e
Tom insieme, non ce l’avrei fatta a fingere di sorridere.
Alla fine ero ceduta
alle sue suppliche anche perché
sapevo benissimo che Nicole ci avrebbe tenuto ad andarci e avrebbe
rifiutato se
ci fossero state soltanto loro due. Non potevo impedirle di vedere in
concerto
la sua band preferita, le dovevo molto.
La mattina successiva
visitammo un po’ la città e
tornammo per le sette in albergo così da prepararci e
dirigerci al concerto.
Avevamo la fortuna di
seguirlo dai lati del palco. Thomas
era a pochi metri da me, a volte si girava a guardare dalla nostra
parte.
Vedevo che Jennifer gli sorrideva ma la sua attenzione era incentrata
su di me.
Mi faceva uno strano effetto.
Finito il concerto gli
aspettammo fuori dove, dopo aver
fatto delle foto con qualche fan e firmato degli autografi, la band
s’incentrò
su di noi.
“Ehi New
York”, mi salutò Mark venendomi ad abbracciare.
Thomas mi lanciò un’occhiata. Sapeva che mi dava
fastidio quando mi chiamavano
così ma infondo, a Mark glielo avrei permesso.
“Ciao
Mark”, ricambiai.
“Nicole”,
disse sorridendo ed andando ad abbracciare
anche lei. “Non so se ti ricordi di me...”, disse
scherzando.
“Non credo,
ci siamo visti da qualche parte?”, rise.
“Sai
potremmo conoscerci più in fondo, se ti va”, disse
ammiccando ma continuando a ridere.
“Visto che
noi abbiamo finito potremmo andare da qualche
parte”, propose Thomas e tutti approvammo.
“Tom, io
volevo passare del tempo con te”, sentii sussurrare
Jennifer tra le chiacchiere degli altri. Lui capì che
l’avevo sentita e mi
guardò come se aspettasse una mia risposta, come se davvero
importasse
qualcosa. Accennai, comunque, un si con la testa.
La coppietta felice se
ne andò chissà dove lasciando me e
Nicole insieme a Mark e Travis.
“Beh
c’è qualche bar qui vicino?”, proposi.
Alla fine andammo in
un bar non tanto distante da lì e ci
passammo gran parte della serata tra una chiacchiera e una bevuta.
Tornammo in
albergo verso le tre del mattino e se Nicole non fosse stata con me,
quella
sera, non saprei dove sarei finita, probabilmente sarei svenuta
addormentata
sul divanetto del bar.
Avevo decisamente
bevuto troppo e non sapevo neanche il
perché di questa reazione. Avevo smesso di bere da quando
avevo deciso di
diventare una persona migliore andandomene via da New York e da tutte
le
persone che conoscevo ed ora ero ricascata in questo tranello.
Quando Nicole
aprì la porta, uno spiraglio di luce
illuminò il letto di Jennifer che, come immaginavo era
vuoto. Di sicuro non
avrebbe passato la notte in un’insulsa camera di albergo con
delle amiche
quando aveva il suo ragazzo a disposizione per una notte intera.
Dio, quanto mi odiavo
in quel momento!
“Quel
bastardo!”, mugolai.
Facevo dei
ragionamenti stupidi come quelli di una
ragazzina, ma in fondo lo ero. Avevo soltanto ventun anni e lui nove in
più. La
differenza di età era troppa ed essermi illusa fino a quel
momento che avrebbe
davvero lasciato Jennifer per stare con me era troppo. Troppo tempo
sprecato.
Mi buttai sul letto
senza neanche cambiarmi e delle
lacrime solcarono il mio viso.
Non ero solita a
piangere per qualche ragazzo, non ero
solita a piangere per nulla ma quel ragazzo mi stava davvero facendo
dannare.
Aveva innescato qualche strano meccanismo nel mio cervello
così da non
riconoscermi più.
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