Blissful Golden Utopia
[ Prima classificata al «Contest
sugli universi alternativi» indetto da Starhunter ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio
Stile al contest «Di universi alternativi
e storie edite» indetto da Superkiki e Roro ]
Titolo:
Blissful Golden Utopia (Day by day in front of you)
Autore: My
Pride
Fandom: One
Piece
Personaggi: Roronoa
Zoro, Black-Leg Sanji, Sorpresa
Professione scelta:
Chef
Tipologia: One-shot [ 2564
parole fiumidiparole ]
Rating:
Giallo / Arancione
Genere: Generale,
Sentimentale, Malinconico, Introspettivo
Avvertimenti: Shounen
ai, Alternative Universe, Vagamente - o forse anche troppo - nonsense
Binks
Challenge: 33° Palestra/Dojo
› 49° Empatia
Tabella AUverse: 22. Allenatori
Misc Mosaic 10&Lode: #09.
Guarigione
Prompt:
18° Argomento: Futuro › Sogno
La sfida dei duecento prompt: 37.
Disabilità
ONE
PIECE ©
1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.
BLISSFUL GOLDEN UTOPIA
(DAY BY DAY IN
FRONT OF YOU)
Le
sue giornate sarebbero trascorse con un lungo e noioso scorrere delle
ore se
non avesse avuto un posto d’onore sul ripiano più
alto dell’angusta cucina, dal
quale poteva osservare estasiata la cura e la passione con cui il suo
proprietario, ogni singola sera di ogni sacrosanto giorno, preparava la
cena
per sé e il proprio compagno.
Era
stato un cuoco d’alta classe,
un tempo, ma aveva dovuto abbandonare la professione a causa di un
violento
incidente che l’aveva privato del braccio sinistro e
danneggiato la mano
rimastagli; i suoi gesti non erano più sicuri e decisi come
lo erano stati nei
bei tempi d’oro in cui aveva lavorato nel più
prestigioso ristorante del
quartiere di Shibuya lì a Tokyo, ma lui, con la stessa
dedizione con cui aveva
preparato le più gustose pietanze che chiunque avesse mai
avuto l’onore di
assaporare, si cimentava ogni sera davanti ai fornelli, intenzionato a
non
abbandonare quella passione che si era portato dietro sin da bambino.
E ammirava quella sua tenacia, la
piccola bambolina di pezza. Ammirava il modo in cui, ignorando il
tremore che
si impossessava del suo arto deturpato, il suo proprietario cercava di
vincere
quell’ansia che gli attanagliava le viscere ogni qual volta
tentava di
preparare qualcosa che andava ben oltre al semplice riso, provando a
dar vita a
quegli splendidi piatti che ormai, nella sua mente di bambolina, erano
solo
ricordi che sbiadivano a poco a poco. Eppure lo rammentava ancora il
giorno in
cui il giovane Sanji, il figlio della sua compianta padrona, era
riuscito a
diventare vice capocuoco a soli diciannove anni; ricordava la gioia -
quella
gioia che non aveva più veduto dalla morte di sua madre -
che aveva visto
brillare in quel suo occhio ceruleo non nascosto dai ciuffi di capelli
biondi,
l’espressione soddisfatta che aveva ammorbidito le linee del
suo viso, il
sorriso a trentadue denti che aveva visto spuntare sulle sue labbra
quando,
afferrandola sotto le braccia di stoffa, l’aveva alzata verso
il soffitto e le
aveva giurato che avrebbe lavorato sodo per far sì che il
suo nome venisse
conosciuto in tutto il mondo, in modo da rendere onore anche alla
bravura di
sua madre. Invece adesso eccolo lì, dopo soli sei anni,
ridotto all’ombra del
ragazzo che era stato.
Era strano come un incidente
potesse causare simili danni, sia nel corpo sia nell’anima,
ad un essere umano.
Lei, piccola bambola che era stata regalata alla madre del giovane
più di
trent’anni prima, nonostante le varie toppe sul cappello e la
gamba ricucita
era in perfetta salute. E ne aveva subiti di rattoppi, nel corso della
sua
lunga vita. Non gli sembrava dunque giusto che un ragazzo con simili
doti si
ritrovasse a patire tutta quella sofferenza e a non poter inseguire il
proprio
sogno, accantonando le conoscenze acquisite
all’università di Parigi per
relegarsi in quello spazio angusto che di cucina aveva solo il nome.
Forse, però, l’aver
incontrato
quel bizzarro ragazzo con la passione del kendo [1]
era
stata una vera e propria manna dal cielo, per Sanji. Al principio non
aveva
trovato per niente simpatico quel tipo buzzurro dal ridicolo colore di
capelli
- non aveva mai nemmeno capito se fossero tinti oppure naturali - che
si
portava sempre dietro il proprio bokutō [2] - o
addirittura una vera katana dal fodero bianco -,
poiché aveva la bruttissima abitudine di prendere in giro il
suo proprietario e
di fare a botte con lui per ogni piccolezza o inerzia, senza tener
minimamente
conto delle sue menomazioni; ma poi, pian piano, la bambolina aveva
perfettamente capito perché si comportava in quel modo.
Sanji era sempre stato
un ragazzo orgoglioso che non aveva mai voluto dipendere da nessuno, e
questo
quell’armadio a quattro ante l’aveva intuito
subito. Mostrargli dunque
compassione e ritrosia avrebbe solo rischiato di farlo chiudere
maggiormente in
se stesso, e, a poco a poco, lei aveva cominciato a vedere quel ragazzo
sotto
una luce totalmente diversa. Anche se a modo suo, si prendeva cura del
suo
proprietario, standogli vicino senza provare disgusto o rammarico. E
alla
bambolina di pezza stava bene anche così. Finché
il suo piccolo Sanji era
felice, sarebbe stata felice anche lei.
Ed era bello vedere come quel tipo di
nome Zoro fosse riuscito, in un modo a lei ancora del tutto
sconosciuto, a far
sì che Sanji tornasse accanto ai fornelli, impresa in cui
non era riuscito
nemmeno il vecchio Zef, il suo tutore. Il pomeriggio, seduto al tavolo
della
cucina con un libro aperto sulle cosce o la tv accesa su un canale a
caso, Sanji
attendeva l’avvicinarsi dell’ora in cui avrebbe
potuto cominciare a preparare
la cena, certo che Zoro sarebbe stato di sicuro affamato al suo
ritorno. Il suo
lavoro consisteva nell’assistere un suo vecchio Sensei nel
Dōjō in cui si era
stato addestrato sin da bambino nell’antica arte della spada,
e tornava sempre
stanco e vagamente infastidito, per quanto le sembrasse di scorgere
un’aria di
malcelata soddisfazione dietro la solita espressione burbera e a dir
poco scontrosa.
Sanji, dunque, si premurava di
preparargli una cena abbondante e ricca, sfidando il tremore del
proprio arto e
l’amara sensazione di vuoto che sembrava percuotergli il
cuore e le membra;
quello era ormai divenuto un rituale sacro, per il suo giovane
proprietario, ed
ogni sera faceva in modo di lasciare un piatto fumante dinanzi a quella
rozza
testa verde di Zoro.
«Questa roba fa schifo,
cuoco». Glielo ripeteva più volte e
puntualmente veniva colpito con
violenza da un calcio del giovane, ma ciò non sembrava far
soffrire Sanji,
anzi, tutt’altro; quello era uno di quei rari momenti in cui,
seppur di
nascosto, la bambolina riusciva a vedere l’ombra
d’un sorriso dipinto sulle sue
labbra sottili, fra le quali non mancava mai la fidata sigaretta.
A quei suoi stessi pensieri, la
bambola abbozzò una sorta di sorriso. Se a Sanji stava bene
così, che senso
avrebbe avuto provare a farlo desistere dal vedere quel rozzo
spadaccino? In
verità non aveva nemmeno capito che cosa ci avesse trovato
in lui, se proprio
doveva essere sincera con sé stessa, ma, per quanto
apparisse irritato dai
comportamenti di Zoro, Sanji aveva trovato in lui un avversario con cui
confrontarsi, una persona che lo trattava da suo pari sebbene non lo
fosse
per niente agli occhi di molti altri.
Non sapeva neanche come si fossero
conosciuti, a dirla tutta. Un giorno, quasi per caso, Sanji era tornato
a casa
con quell’alga alle calcagna, raccomandandogli di poggiare le
buste della spesa
sul tavolo della cucina senza far danni; ed era stato in
quell’esatto momento
che i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta, sebbene Zoro
avesse
deciso di ignorarla in quanto semplice bambolina. Poi, tutto
d’un tratto,
quella testa verde aveva cominciato pian piano a venire più
spesso, fermandosi
persino un paio di notti nella stanza degli ospiti e portando in
seguito del
bentou per sé e per Sanji. Niente di così strano,
aveva pensato la bambolina.
Due semplici amici - rivali? Conoscenti? - che condividevano un pasto.
Nulla di
più.
La cosa bizzarra era successa un
paio di mesi dopo. Erano andati al cinema a vedere chissà
quale film - non si
era mai interessata a cose del genere, lei, per cui non aveva nemmeno
ritenuto
necessario informarsi - ed erano poi tornati a casa solo a sera tarda,
cercando
di fare più silenzio possibile nel rientrare; aveva udito i
loro passi nello
stretto corridoio, le loro voci concitate e vaghi accenni di risate, e
solo
quando la luce della cucina si era accesa, rivelando le loro figure,
era
rimasta letteralmente paralizzata. Era sempre stata una bambolina di
mondo -
aveva anche visto quelle cose tra il padre e la madre del ragazzo, a
dirla
tutta -, ma non si era mai soffermata sul pensare che anche due uomini
potessero in qualche modo provare qualcosa l’uno verso
l’altro. E quel bacio
che aveva visti legati i due giovani sotto il suo occhio attento, beh,
smentiva
ogni sua precedente credenza.
Non criticava Sanji per quella
scelta, nossignore, ma avrebbe preferito non sentire, in seguito, i
gemiti
soffocati che erano giunti dalla camera del ragazzo. Non aveva nemmeno
voluto
indagare su cosa fosse successo con esattezza in quella stanza, il
giorno dopo,
ma il modo in cui Sanji aveva storto il viso nel momento stesso in cui
aveva
poggiato il sedere sulla sedia aveva parlato da solo e le aveva
cancellato ogni
più piccolo dubbio.
La bambolina sospirò, e
avrebbe
anche scosso il capo se fosse stata in grado di compiere dei veri e
propri
movimenti. Si concentrò dunque sul lavoro accurato che Sanji
stava svolgendo e,
non appena anche l’ultimo onigiri fu posato nel piatto,
sentì la porta
d’ingresso aprirsi, il cui cigolio sui cardini fu
accompagnato poi da un sonoro
sbadiglio che parve rimbombare in tutto il piccolo appartamento; i
passi
inconfondibili di Zoro attraversarono poi il disimpegno, e la bambolina
si scoprì
ad osservare scombussolata il livido sulla guancia sinistra del
ragazzo. E
anche Sanji, voltatosi proprio in quel frangente, sollevò un
sopracciglio nel
fissare il suo viso.
«Che diavolo hai fatto,
stupido
marimo?» lo pungolò ironico, poggiando sul
tavolino il piatto colmo di onigiri,
il cibo che aveva scoperto essere il preferito di Zoro. E forse fu
proprio nel
notarli che quest’ultimo bofonchiò semplicemente
qualcosa fra sé e sé, senza
cogliere le provocazioni per limitarsi solo ad accomodarsi a tavola,
seguito a
ruota da Sanji.
«Ho a che fare con degli
inetti»,
sbottò, afferrando una polpetta di riso e borbottando un
qualcosa che parve
simile ad un “Grazie”. «Dei piccoli
idioti che non sanno nemmeno tenere una
stupida spada di legno».
Sanji sorrise serafico. «Oh,
un
marimo come te conosce la parola “inetto”? Ti
dirò, sono davvero impressionato»,
lo prese in
giro,
alzando la mano in segno di resa quando ricevette da lui quella che
sembrò
essere un’occhiataccia feroce. «Comunque sul serio,
idiota... non dovresti
prendertela. Il tuo compito è far veder loro come si fa, o
forse sbaglio?»
«Vorrei vedere te alle prese con
quel branco di scalmanati», rimbrottò,
ingurgitando in un solo boccone
l’onigiri sotto lo sguardo del biondo e della bambolina che,
silente, li
osservava entrambi dalla sua postazione. «Il peggiore
è quello scemo di Rufy, accidenti»,
bofonchiò, scuotendo il capo in un gesto vagamente
rassegnato. «Ancora non
capisco perché venga a rompermi le scatole lì al
Dōjō, visto che gli piace solo
fare baccano e non ascolta nulla di ciò che dico. Quasi
rimpiango i campionati
regionali».
A quelle parole, Sanji si
ritrovò
a ridacchiare e allungò a sua volta una mano per prendere un
onigiri prima che
sparissero tutti a causa di quell’ingordo, che era arrivato
già ad arraffarsene
altri tre senza che lui se ne accorgesse. «Se mai dovessi
tornare in pista,
verrei a vederti combattere, marimo. Dico sul serio»,
affermò, e Zoro si
ritrovò a grattarsi dietro il collo con finta indifferenza e
a distogliere lo
sguardo, quasi fosse imbarazzato.
Da
quanto era stato raccontato alla bambolina, tempo addietro il suo
giovane
proprietario si era ritrovato ad assistere per la prima volta ad un suo
incontro di kendo, dove aveva ottenuto una vittoria individuale contro
il proprio
avversario. In
quel momento, austero e fiero nella tonaca immacolata,
ai suoi
occhi era apparso come un demone della spada dalla bianca maschera
fredda e
distaccata, un leggendario Asura [3]
che aveva
schiacciato
il nemico con le sue molteplici
braccia senza mostrare la benché minima traccia di qualche
emozione nei
lineamenti composti del suo viso. Le sembrava però molto
strano credere che, adesso,
Zoro apparisse semplicemente come un ragazzo normale che sembrava non
riconoscere nemmeno la destra dalla sinistra. Non l’aveva mai
visto maneggiare
una spada né tanto meno aveva assistito ad uno dei suoi
allenamenti fra le
pareti di legno del Dōjō, ma sperava ardentemente che non facesse mai
soffrire
il suo Sanji in qualche modo. Altrimenti avrebbe trovato il modo di
fargliela
pagare cara, parola sua.
E passò il resto della serata ad
osservare i due ragazzi durante la loro cena, come una sentinella
silenziosa
che controllava la situazione dall’alto; il primo ad alzarsi,
una volta
concluso, fu proprio Sanji, che, una volta messo a lavare
quell’unico piatto che
avevano usato in due, si diresse verso la soglia della cucina,
ammiccando in
direzione di uno Zoro alquanto confuso.
Sparì dalla sua vista e il
ragazzo, quasi avesse avuto una molla al posto delle gambe,
saltò in piedi così
alla svelta che la bambolina quasi si domandò che cosa gli
fosse preso così
d’improvviso. Era certa, però, che il gesto appena
compiuto dal suo
proprietario c’entrasse qualcosa, e puntò il
proprio sguardo sul giovane Zoro,
osservandolo minuziosamente; lui parve quasi accorgersene, tanto che si
ritrovò
a ricambiare la sua occhiata in men che non si dica.
«Non guardarmi
così», borbottò il
ragazzo alla bambolina sul ripiano, la quale, secondo il suo modesto
punto di
vista, pareva fissarlo con estrema attenzione e con una sorta di astio
dipinto
in viso. Forse pensarlo sarebbe stato alquanto stupido, eppure
c’erano momenti
in cui gli sembrava che quel pupazzo di pezza riuscisse in qualche modo
a
comprendere ciò che diceva, tenendolo persino
d’occhio. Non capiva ancora
perché Sanji la tenesse là sopra in bella vista,
ma, da quel che gli era stato
parzialmente accennato, quella bambolina era un ricordo di sua madre. E
lui di
certo non se l’era sentita di dire nulla, visto che si
portava quasi sempre
dietro la katana che era appartenuta alla sua defunta amica Kuina.
«Ho promesso
che mi sarei preso cura di lui, e Roronoa Zoro mantiene sempre le sue
promesse».
Dirlo ad alta voce gli sembrò giusto, poiché la
bambolina parve quasi
sorridere. E sorrise a sua volta, per quanto si sentisse un perfetto
idiota nel
parlare con un pezzo di stoffa. «E detto fra noi... non
cucina poi così male,
quel cuoco da strapazzo. Indipendentemente dalla forma, quegli onigiri
erano
favolosi. Ma guai a te se provi a dirglielo in
qualche modo, stupida bambola».
«Ohi, marimo! Vuoi darti una
mossa, per favore,
e portare qui il tuo culo,
accidenti a te?» La voce aggraziata - ma nemmeno tanto, a dir
la verità - del
biondo gli giunse altisonante alle orecchie e parve trapassargli il
cranio, e
fu dunque sbuffando che Zoro si ritrovò a scuotere di poco
il capo.
«Arrivo, stupido sopracciglio
a
ricciolo!» rimbrottò poi, sollevando lo sguardo al
cielo prima di puntare nuovamente
le iridi verdi sulla bambolina. «La papera mi sta chiamando [4]»,
proruppe d’un
tratto, quasi volesse in qualche modo giustificare la sua imminente
assenza. «Ma
sta’ tranquillo, Chopper... Sanji è in ottime
mani».
E dopo aver allungato un braccio per
sfiorare con la punta dell’indice e del medio il naso blu
della piccola renna
di stoffa, si ritrovò a darle la schiena e ad uscire dalla
cucina, venendo
accolto ancora una volta dai richiami innervositi di quello che per lui
era uno
stupido cuoco da strapazzo con il quale aveva però deciso di
condividere il
resto della vita.
Di questo la bambolina se ne rese conto
e sorrise, sentendosi più tranquilla di quanto non lo fosse
stato fino a quel
determinato momento nel sapere il giovane fra le grinfie di quella
sottospecie
di spadaccino. Per quanto rozza, scontrosa e il più delle
volte particolarmente
stronza per il suo modo di fare, Sanji aveva trovato la persona giusta,
una
persona capace di divertirlo e di farlo sorridere sincero anche quando,
durante
i loro soliti litigi, gli veniva voglia di stampargli
l’impronta di una scarpa
in pieno viso e di farlo caracollare senza pietà sul
pavimento.
[1] Si
tratta di un’arte marziale giapponese, e letteralmente
significa “La via (do)
della spada (Ken)”.
Si
pratica indossando un’armatura (bogu)
costituita da men (a copertura
di testa, viso, spalle, gola), dō
(corpetto rigido), tare
(intorno ai fianchi), kote
(guanti rigidi) e tenogui
(fazzoletto che viene legato alla testa prima di indossare il men)
[2] E’
la riproduzione in legno della katana
e ne conserva la forma, la bilanciatura e, nel caso di alcune scuole,
anche il
peso. Viene utilizzato nel kendo come spada per l'esecuzione dei dieci
kata,
ovvero i dieci esercizi che racchiudono l’essenza del kendo.
[3]
E’ un termine del sanscrito vedico che
indica la classe degli Dei.
Alcuni
di essi vengono descritti come entità che posseggono tre
volti e sei braccia, e
non è un caso se è stata scelta proprio questa
similitudine; nel manga/anime di
One Piece, difatti, Zoro è in grado di utilizzare una
tecnica a nove spade,
detta Kyūtōryū, che porta il nome di “Kiki Kyuutouryuu
Ashura” (Spirito del Demone Ashura), con la quale viene
rappresentato, tramite
illusione, come la reincarnazione stessa di tale demone, facendo
sì che agli
occhi del nemico sembri possedere tre volti e sei braccia.
[4]
La
spiegazione di questa frase è molto semplice: la papera - o
il pulcino - è
l’animale associato a Sanji. Già, assurdo, ma
forse è per il fatto che è gialla
proprio come i suoi capelli, boh. Quello di Zoro è lo
squalo, ma personalmente
parlando credo che sia molto più bello e sensuale associarli
ad una tigre
(Zoro) e ad una volpe (Sanji). Aye, sono malata e questa precisazione
non
c’entrava nulla.
_Note conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Uhm,
okay. Cominciamo innanzitutto con il dire che questa storia
è stata scritta per il “Contest
sugli universi alternativi”
indetto da Starhunter, di cui attendiamo ancora i risultati,
e sta ora partecipando anche al contest “Di
universi alternativi e storie edite”
indetto da Superkiki e Roro
Comunque sia, che cosa dire di questa stramba one-shot? Niente.
Semplicemente che sono pazza. Lo so, ne sono
più che consapevole.
Ecco
perché poi è uscita una cosa del genere. Chiedo
perdono in anticipo
per l’insana schizofrenia di questa storia *Fa harakiri*
In verità l'idea iniziale era un'altra, però mi
ha
fulminata questa - sarà che scrivere di notte mi fa male,
che ne
so - e alla fine ho deciso di seguire questa linea. Cosa c'entra invece
l'immagine colorata proveniente da Pirate Ship
Noah? Praticamente niente, è solo che ho una passione
irrefrenabile per quella doujinshi e non ho potuto evitare di farci un
banner per la storia *Le sparano*
Per quanto la storia in sé
per sé sia semplicissima, giusto una piccola Slice of Life
sul
punto di vista
di un Chopper trasformato in una bambolina di pezza, spero che in
qualche modo questa storia vi sia piaciuta e vi abbia almeno strappato
un piccolo sorriso.
Alla prossima. ♥
BLISSFUL GOLDEN UTOPIA
(DAY BY DAY IN
FRONT OF YOU)
PRIMA CLASSIFICATA, CONTEST DEGLI UNIVERSI ALTERNATIVI
BLISSFUL
GOLDEN UTOPIA
(DAY BY DAY IN
FRONT OF YOU)
PRIMA CLASSIFICATA E
VINCITRICE PREMIO STILE, DI UNIVERSI ALTERNATIVI E
STORIE EDITE
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di
scrittori.
|