Le tenebre dei due mondi.

di Ale HP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Parte: Mondo Emerso. ***
Capitolo 2: *** Parte II - Terra ***



Capitolo 1
*** I Parte: Mondo Emerso. ***


Le tenebre dei due mondi.

 
Parte I – Mondo Emerso
 
La luna illuminava il villaggio, mentre Elnath osservava distratto il cielo tingersi un tetro nero.
Sarebbero arrivati gli Oscuri a poco, era sempre così, ogni singola sera: quando il sole calava, portando via ogni luce e ogni rassicurazione nella Terra del Mare, gli Oscuri si impadronivano del cielo e lo tingevano di un nero spettrale per popolare gli incubi della gente.
Elnath, però, era diverso. Non aveva paura degli incubi, perché solo lì poteva vederlo.
Lui era un Oscuro e il ragazzo lo sapeva, ma non gli interessava, non da quando aveva visto uno strano luccichio nei suoi occhi. Sembrava quasi che potesse provare qualcosa.
Ma è impossibile, si ripeteva Elnath, cercando di dimenticare quel volto che – a suo parere – era angelico, nonostante tutto.
«Elnath? Tua madre ha finito di cucinare, vieni» ordinò il padre, sbucato all’improvviso sull’uscio della porta della sua camera fatta completamente in legno.
Il padre, Tonnan, era un uomo esigente, che non si lasciava andare alle emozioni. Pretendeva il massimo dal figlio: voleva che lui fosse il più bravo marinaio, che cavalcasse i draghi di mare meglio di chiunque altro e che sposasse una giovane donna bella e ricca.
Ma Elnath odiava quelle cose, preferiva di certo starsene in casa a scrivere le sue lettere all’Oscuro che aveva rapito il suo cuore, e non desiderava affatto una giovane donna da sposare.
Il ragazzo annuì, prima di seguire il padre nell’altra stanza di quella casa.
Loro erano una famiglia modesta ed una casa con due camere era tutto ciò che potessero permettersi, ma – nonostante ciò – Elnath aveva una stanza tutta sua, mentre i genitori dormivano nella cucina. Era stato il suo regalo di sedici anni, quando era entrato nell’età adulta, appena qualche mese prima.
«Figliolo, cos’hai?» domandò la madre, quando vide che il ragazzo non accennava nemmeno a prendere un solo cucchiaio della zuppa.
«Niente, madre. Pensavo» rispose noncurante lui, dopo un profondo sospiro.
Geneviève – questo era il nome della madre – abbozzò un sorriso, prima di ritornare a inzuppare il pane fatto da lei nel resto della zuppa.
«Se non vi dispiace, madre, ritornerei in camera mia. Non ho fame stasera, scusatemi». Elnath si alzò, senza aspettare l’obbiezione del padre e la preoccupazione della madre, per dirigersi nella sua tanto amata camera.
Guardò distratto i disegni appesi al muro e si perse nei meandri oscuri dei colori tetri che aveva usato.
Aveva provato più volte a riprodurre il volto che lo tormentava mattina, sera e notte, ottenendo solo scarsi risultati: quegli occhi non potevano essere disegnati, era impossibile.
Si accasciò sul letto, mettendo le mani sulla faccia, per trattenere le lacrime.
Sapeva che ciò che provava era sbagliato, non poteva di certo innamorarsi di un maschio, per di più di un Oscuro!
Ma il cuor non si comanda, Elnath sapeva anche questo, così si lasciò andare nelle tenebre per sognarlo ancora una volta.

La strada era buia, ma il ragazzo riuscì benissimo ad intravedere uno strano luccichio provenire da poco lontano, all’altezza del suo naso all’insù.
Lo seguì desideroso, sapendo a chi apparteneva quel piccolo brillio.
«Oscuro!» urlò, felice.
Quella volta gli avrebbe parlato, non se ne sarebbe stato lì imbambolato a fissarlo.
«Chi abbiamo qui?» mormorò una voce cupa e tenebrosa, proveniente al fianco di quella luce che attirava il ragazzo più di ogni altra cosa.
Improvvisamente Elnath provò tutta la paura che non aveva provato in tutte quelle notti.
Sapeva a chi apparteneva quella voce e sentirla tra le tenebre lo fece star male, fin troppo.
«Laio» sussurrò, spaventato.
Laio, il suo amico di infanzia costretto ad andare all'Accademia per colpa del padre e poi morto da bravo scudiero,il ragazzo che aveva lottato per fare ciò che voleva fare, colui che lo sosteneva sempre, colui che gli mancava più di chiunque altro.
Vide una piccola – microscopica, in realtà – luce illuminare anche gli occhi dell’amico, per un solo istante, ma a Elnath bastò per sentirsi meglio.
«Vattene» disse preoccupato l’Oscuro mettendosi all’istante davanti a Laio.
Perché era così preoccupato? Cosa poteva mai succedergli di male con lui – l’uomo che più amava al mondo – e il suo migliore amico?
Nulla,si disse il ragazzo.
Ma, ovviamente, si sbagliava.
La luce che aveva illuminato poco prima Laio era cattiva, non buona come quella dell’altro.
Poi, in un solo istante, Elnath capì ogni cosa.
Quello era solo il corpo del biondino che sorrideva sempre o forse solo la voce, il resto non apparteneva a Laio, lui era morto l’anno precedente.
«Dimmi il tuo nome, prima» sussurrò, rivolto all’Oscuro dagli occhi luminosi.
«Albus. Ma ora vattene!» urlò.
 
Elnath si sveglio di soprassalto, tremando.
Si guardò intorno, conscio che tutta quella storia si sarebbe rivelata un’ennesima lotta tra male a bene, e fermò il suo sguardo sulla parete piena di disegni. Vi si recò all’istante, prese la matita e scrisse sotto ad essi “Albus”.
Sapeva il suo nome ora, e in un certo senso era un motivo in più per scoprire qualcos’altro su quella faccenda.
 
I giorni passarono in fretta, nella Terra del Mare. La pace regnava sovrana durante il giorno, ma nella notte la situazione stava degenerando.
Proprio come era successo nella Terra della Notte, ormai disabitata da poco meno di un anno. Gli Oscuri avevano preso tutto, ogni momento, ogni attimo e ogni persona. Elnath e i suoi genitori dovevano ritenersi fortunati se erano riusciti a scappare.
Ma, quanto pareva, la storia si stava ripentendo. Erano molteplici, infatti, i casi di suicidio durante la notte e le urla disperate che risuonavano nel silenzio tetro della notte.
Elnath non poteva sopportare tutto quello. Aveva sempre odiato l’oscurità, specialmente quando Laio, il suo sole personale, se ne era andato.
In quel momento si rese conto di quanto la sua vita facesse schifo: nessuna capacità specifica, nessuna ambizione futura, nessuna promessa sposa e nessun soldo in tasca. Non che cose del genere gli interessassero, ma ormai erano altamente necessarie per vivere.
Decise che sarebbe tornato a dormire, almeno così avrebbe visto ancora una volta l’unica ragione per la quale continuava tutta quella messinscena chiamata vita.
“Albus”, pensò, prima di calare tra le tenebre.
Come ogni volta nei suoi sogni – e non incubi, come dicevano gli altri – lo vide. Ogni Oscuro aveva la libertà di “tormentare” chi voleva e nessun’altro poteva intromettersi. Era come una sorta di caccia: non la smettevano finché la loro preda non sarebbe stata loro.
Elnath non era molto spaventato da questa opzione: essere di Albus era – molto probabilmente – la cosa che più desiderava al mondo.
 
L’oscurità era persistente come ogni volta, sarebbe stato davvero strano trovare un Oscuro alla luce, sia del mattino che di una candela.
Ma non era strano trovare un luccichio in quell’oscurità, per Elnath.
«Albus!» esclamò, felice di riuscire a vedere per lo meno i suoi occhi. Se ci pensava, non aveva mai visto bene il suo volto.
«Non urlare, ti sentiranno. Fingiti spaventato» disse, avvicinandosi al ragazzo, con una finta espressione che doveva incutere timore.
«Ho scritto una cosa» continuò, a voce bassa. «Prendila e leggila quando ti sarai svegliato».
Elnath annuì. Qualunque cosa che gli diceva il suo amato, lui l’avrebbe fatta.
«Ora dimmi come ti chiami» chiese infine sorridendo l’Oscuro.
Il ragazzo sorrise, prima di sussurragli il suo nome.
Albus sembrò soddisfatto dalla risposta, come se quel nome gli si addicesse alla perfezione.
 
Elnath si ritrovò ancora una volta nel suo letto, ma stavolta con una pergamena gialla sulla faccia. Saltò velocemente in piedi, per poter mettere leggere la lettera a lume di candela.
Appena vide la scrittura elegante impressa su quella pergamena non poté non pensare quanto fossero uguali i due ragazzi.
 
Non so bene come presentarmi a te. Ho sempre provato a proteggerti nella notte, con tutto me stesso. Non so dire bene il motivo, ma l’ho fatto e continuerò a farlo.  
Ciò che devo dirti è molto importante, leggi con attenzione.
Io sono Albus, sono un mago e vengo da un mondo che tu non conosci. Si chiama Terra;  ma su questo pianeta ormai è scesa la notte perenne.
Tutto è iniziato due anni fa. Io ero alla scuola di magia, quando mio padre è venuto con l’esercito di maghi che aveva sconfitto il “cattivo” della situazione anni prima. Disse a me, ai miei cugini ed ai nostri amici più stretti di scappare più lontano possibile.
Iniziammo a vagare tra tutti i paesi presenti sulla Terra, finché non arrivò il giorno in cui tutto sembrò perso. Due Oscuri ci trovarono e uccisero il mio migliore amico. Non potevo sopportarlo e così mi ribellai. Iniziai a lottare con tutto me stesso, lanciando mille incantesimi e pugni e calci quando la situazione peggiorava; ma il risultato non fu dei migliori. Gli Oscuri ci catturarono e ancora mi tormento per questo mio errore. Se fossimo scappati subito, mentre i due erano ancora intenti a prendere l’anima del mio amico, ora saremmo tutti salvi. Quando gli Oscuri vogliono la tua anima ti fanno loro schiavo, così come siamo stati fatti noi. Ormai quasi tutti coloro che tormentano tutte le notti di questo popolo di cui tu fai parte, non sono altro che schiavi, mente gli Originali si sono limitati a due. Queidue.
Per qualche assurdo motivo, però, io non ho dimenticato nulla. La mia anima è ancora con me, e sento che in qualche modo è merito tuo, mi tieni attaccato a questo mondo. Ed è per questo che ti chiedo di salvarmi; solo io so come sconfiggere gli Oscuri e salvare gli innocenti. C’è in ballo la salvezza di troppi mondi, ed uno è già andato perso. Se solo penso a tutta la mia vita; tutte le belle giornate con gli amici, con la famiglia, con il mio migliore amico… è tutto troppo sbagliato. Perché il male persiste? Perché la gente continua a volere di più, senza capire che siamo un unico popolo?

Ti prego, non cadere nell’oscurità anche tu, non volere di più di quello che hai, perché anche se non te ne rendi conto tutto ciò che possiedi è tutta la tua vita e tutta la tua felicità.
Penso di essermi dilungato fin troppo, ma non potevo solo usarti per scappare, dovevi sapere. Qui da voi chiamate il cattivo Marvash e l’eroina Sheireen; anche se sei un ragazzo so che sei tu il nuovo eroe e quindi la nuova Sheireen. Sconfiggi il Marvash e il mondo sarà salvo ancora una volta.
Albus
 
Elnath non seppe mai bene cosa successe dopo, ricordò solo di essere corso via di casa e di essersi poi risvegliato il mattino successivo con la testa in una grande tinozza, colma di vomito.
Era conscio che tutto quello che stava succedendo era solo il suo destino – così come lo era stato quello di Nhial e quelli futuri di altre Sheireen – ma la consapevolezza di dover salvare non un solo mondo, ma molteplici, gli incuteva fin troppa paura.
Era convinto, infatti, di non poter assolutamente sconfiggere due Marvash potenti quanto quei due Oscuri, specialmente quando non era capace di uccidere nemmeno un coniglio! Come poteva anche solo pensare di poter salvare delle vite, quando non sapeva nemmeno come era ancora vivo lui stesso? E, specialmente, cosa avrebbe detto Albus?
Di certo non poteva più dormire, constatò, proprio quando un conato di vomito lo costrinse a smettere di perdersi in quei mille pensieri.
Elnath sbuffò stancamente in quel vicolo ceco quel tenebroso lunedì mattina, proprio prima che un ragazzo dall’aria pacata e compita gli si avvicinava.
Alzò lievemente la testa quando sentì i passi avvicinarsi, e guardò incuriosito il ragazzo dai capelli neri che lo scrutava a sua volta.
«Stai bene, Elnath?» domandò, facendo saltare il ragazzino sporco di vomito e con i capelli biondi pieni di cenere. Come poteva sapere il suo nome?
Lui scattò in piedi in un secondo, con il cuore che gli scoppiava. Nessuno in quella città lo conosceva, mai era uscito di casa e mai aveva parlato con qualcuno all’infuori dei suoi genitori.
E Albus.
Elnath guardò il ragazzo a fondo, rendendosi conto che in realtà non aveva mai visto Albus veramente, ma solo gli occhi. Così, si avvicinò al ragazzo che conosceva il suo nome e lo guardò.
Fu la cosa più bella che Elnath ebbe mai provato in tutta la sua vita.
Guardare i suoi occhi e rendersi conto che al mondo non c’è nulla di più bello. Guardarli e vedere le emozioni della vita. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, e Elnath constatò che l’anima di quel ragazzo – che fosse o meno Albus – doveva essere la più pura di tutte.
Ma fu quando il ragazzo misterioso ricambiò veramente il suo sguardo che Elnath capì e ricordò.
Fu così che si rese conto di quanto eroico fosse stato la notte scorsa. Era uscito di notte, aveva camminato per tutta la città, cercandolo. Sapeva che se lui era sveglio Albus non era entrato negli incubi di nessuno, quindi poteva solo nascondersi nell’oscurità più profonda. Così si recò in quel vicolo, quello in cui erano ambientati la maggior parte dei suoi sogni e lo trovò. Quella fu, però, solo la parte più facile. Liberare un Oscuro non poteva assolutamente ritenersi la cosa più semplice al mondo; eppure lui ci era riuscito. Ricordava solo di aver seguito le istruzioni di Albus, che gli suggeriva mille parole di cui lui non sapeva il significato – molto probabilmente erano incantesimi del suo mondo – ma Elnath si scoprì davvero dedito alla magia. Forse aveva trovato qualcosa in cui era capace, per una volta.
L’unica cosa che non si spiegava era il motivo per il quale si trovava alle sei del mattino a vomitare in un vicolo semideserto.
Albus, nel frattempo, era corso a prendere qualcosa che somigliava molto ad un pezzo di legno, e un mantello. Posò quell’ultimo oggetto sulle spalle del ragazzo dolcemente.
« Cosa è successo di preciso? » domandò quando Albus si fu seduto al suo fianco e gli ebbe pulito la faccia con una magia. « Perché sto così? »
« Perché siamo due incoscienti » rispose, scrollando le spalle. « Dopo che mi hai salvato eri sfinito. In questo mondo la magia non funziona come nel mio, ma io non ne avevo idea. Qui la magia, se usata troppo, ti porta allo sfinimento.  Nel mio mondo non è così; la magia è la nostra risorsa, essere maghi significa poter sventolare la bacchetta in molte occasioni, sia futili che utili. Ma senza mai subirne conseguenze fisiche ». Elnath riuscì benissimo a vedere tutto il dispiacere di Albus e la preoccupazione nei suoi occhi; questa fu la ragione per la quale saltò in piedi felice e l’abbracciò.
Affondò la testa nella sua spalla – Elnath non era poi così alto! – e si lasciò cullare dalle braccia forti di Albus.
« L’importante è che sei qui adesso e che abbiamo una minima speranza di salvare tutti i nostri mondi » sussurrò poi il ragazzo, ancora stretto in quel tenero abbraccio.
Da quel momento in poi i due ragazzi non si guardarono mai più allo stesso modo, c’era sempre qualche strana emozione che Elnath non aveva mai provato, ma che Albus conosceva bene: era la stessa e identica sensazione che aveva provato in passato con Scorpius.
Ma ora Elnath è qui con me”, si ripeteva quindi il mago, cercando di dimenticare il suo migliore amico, ormai defunto. Però non passava giorno senza che lui ricordasse il suo volto pallido che gli sorrideva a lezione o durante le partite di Grifondoro. Ricordava sempre anche le battute, gli scherzi e le indimenticabili giornate ad Hogsmeade e quando scappavano con Rose per andare da Mielandia a fare scorta di dolci. Ricordava ogni giorno anche quanto amava accarezzargli i capelli, per poi passare alle sue morbide guancie, che riempiva sempre di baci. Ora che ci pensava, migliore amico proprio non era. Eppure nessuno dei due si era mai posto questo problema, ed ora era quello il più grande rimpianto che aveva Albus.
Si promise che con Elnath sarebbe stato diverso: si sarebbe dichiarato, non avrebbe avuto paura di esagerare o di sembrare inopportuno, e gli avrebbe detto quando lo amava ogni giorno.
Albus sentiva che con lui tutto sarebbe andato bene, dalla faccenda del suo cuore a quella della salvezza dell’umanità.
 
Iniziare a girovagare senza meta e senza attrezzatura si rivelò fin troppo fallimentare. Fu per questo che Elnath decise che sarebbe tornato a casa, avrebbe inventato una scusa e sarebbe poi partito carico di scorte con Albus, alla ricerca degli Oscuri.
A quando diceva il mago, infatti, quei due giravano per il Mondo Emerso da mesi, cercando di creare quanti più Oscuri potevano. Gli spiegò anche che la creazione di Oscuri è altamente difficoltosa, che è come staccarsi una parte di se stessi: se sai che non hai altra scelta non puoi scappare, chiudi gli occhi, stringi i denti e agisci.
« Dove sei stato, Elnath? Ci hai fatto spaventare! » esclamò Genévieve, quando il figlio varcò la soglia di casa.
Elnath ci pensò un attimo, poi la sua mente da probabile futuro scrittore e fanatico della lettura – in particolare dei manoscritti del mago Sennar – inventò la scusa che gli sembrò più credibile.
« Ieri sera non riuscivo a dormire, così mi sono seduto fuori e ho guardato il sole sorgere. Poi è passata una ragazza bellissima e ci siamo innamorati, però lei vuole tornare dalla sua famiglia, nella Terra del Vento. Andrò con lei, madre. Se voi due acconsentite » concluse, rivolgendosi anche al padre, che ascoltava assorto la conversazione.
« Ma che bella notizia, ragazzo! » esclamò il padre, sorridendo. Quello, constatò Elnath, era il primo sorriso che gli rivolgeva per qualcosa che aveva fatto.
« Quando tornerai? » domandò incuriosita la mamma, avvicinandosi a lui.
« Non ne ho idea! » esclamò. « Non so quanto vorrà restare lì. Potrebbe anche essere possibile vivere nella Terra del Vento per sempre. Vi manderò una lettera, comunque, non preoccupatevi ».
Tonnan annuì e diede una pacca sulla spalle di Elnath. « Sei un uomo, in fin dei conti, hai la libertà di vivere la tua vita! ».
« Già » sospirò lui, prima di recarsi in camera sua.
Prese mantelli e le sue scorte di cibo che nascondeva sotto al letto, poi staccò tutti i suoi disegni di Albus e i suoi inutili racconti incompiuti e li mise nella sua piccola tracolla di pelle di drago. Racimolò quanto più denaro riuscì a trovare e lo sommò a quello che gli diedero direttamente i suoi genitori. Bastava a malapena per due cavalli e qualche soggiorno in delle locande a basso prezzo. Pensandoci, sarebbero serviti più mantelli e più provviste.
Quando ebbe finito prese i suoi bagagli, salutò un’ultima volta i suoi genitori consapevole che quello poteva essere un addio, e raggiunse Albus al confine della città.
Lo guardò negli occhi – quei meravigliosi occhi verdi che avevano catturato il suo cuore – e seppe che era pronto.
 
 
La caccia agli Oscuri fu una vera e propria tortura. Camminavano senza tregua in lunghe lande desolate, fino ad arrivare in città già cadute nel terrore dei loro nemici. La parte più brutta era senza dubbio la notte. Albus non era abituato a tutti quegli incubi, e ben presto iniziò a cadere nel baratro più profondo: la disperazione.                                     
Erano molti quelli che avevano questa reazione, ma erano pochi quelli che la superavano. Elnath era consapevole che continuando così Albus sarebbe completamente impazzito, ma non sapeva cosa fare precisamente. Lui non aveva mai avuto questi problemi, aveva sempre visto Albus quando dormiva, e anche se ora non era più così, la paura ancora si doveva presentare, perché sapeva che l’uomo della sua vita era al suo fianco.
E mentre il mago terrestre soffriva durante la notte, Elnath iniziò a capire fin troppe cose durante i suoi sogni.
« Albus » disse una sera il ragazzo, con l’intenzione di fare un monologo consolatorio, « so che stai passando delle notti terribili e non sai quanto vorrei che tutta questa storia finisse, ma sappi che io sono qui con te. Se nella notte hai paura, ti svegli, o se vuoi smetterla di sognare, svegliami, ti prego. Non riesco a continuare a viaggiare con te, ad aggrapparmi a te quando non sono capace di fare qualunque cosa utile durante il giorno, sapendo che tu stai soffrendo così tanto. Senti, Albus, io sarò anche una frana durante le ore di sole. Cado in continuazione, non so cacciare o cavalcare senza cadere per più di dieci minuti, e non so fare magie chissà quanto potenti. Ma se c’è una cosa che riesco a fare è dormire senza soffrire. Sul serio, per me non è mai cambiato nulla dalle notti della mia infanzia, quando tutto questo non esisteva, a quelle di questi giorni. Aggrappati a me, ti prego, fallo o io soffrirò con te ».
Mai qualcuno aveva implorato un’altra persona di chiedere il suo aiuto, semmai il contrario. In ogni modo, Albus fu davvero sollevato di sentire quelle parole.
« Grazie, Elnath, non so come farei senza di te » disse, con un sincero sorriso.
In risposta, il biondino l’abbracciò come ormai facevano sempre per consolarvi, finché Albus non decise che sarebbe andato oltre.
Guardò gli occhi di Elnath – erano sempre quella parte la più bella in una persona – e seppe che era ciò che voleva di più al mondo.
« Ti amo » sussurrò, senza giri di parole o altre allusioni. L’amore, stando ai pensieri di Albus, doveva essere dichiarato sempre così, come esce dal cuore. E nulla è più spontaneo di un semplice ma bellissimo “Ti amo”.
Fu in quel momento che Elnath gli saltò praticamente addosso. Lo baciò prima con tutta la dolcezza che il mago si aspettava da un ragazzo tanto pacato e solare quanto lui, poi con più vigore e sentimento, finché si ritrovarono nudi sotto i mantelli, che da un po’ di giorni usavano da coperte.
Avevano appena fatto l’amore, senza quasi accorgersene. O meglio, Elnath non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, ma Albus lo sapeva eccome.
« Sei bellissimo » gli sussurrò all’orecchio, come se fosse un segreto che solo lui e Albus dovevano sapere.
« Ai tuoi occhi » corresse lui, sorridendo.
« Ed ai tuoi occhi io come sono? » chiese sorridendo anch’egli.
« Ai miei occhi sei l’uomo più bello che ho mai conosciuto. E ti amo » rispose, avvicinandosi ancora una volta alle labbra del suo ormai fidanzato.
« Sai, non ho più tanta paura di sognare, se so che tu sei qui vicino a me ». Albus non poté sbagliarsi più di così.
Quella fu la notte più brutta della sua vita, per il semplice fatto che quando sei felice gli Oscuri ti strappano via la tua felicità con una velocità assurda. Niente di più orrendo.
Ma ciò che fece davvero spaventare il ragazzo non fu questo, ma il fatto che quelli non erano dei semplici Oscuri che per lui non avevano alcun significato. Vedere i propri amici torturarti nel sonno non può di certo ritenersi bello.
 
« Rose, guarda qui chi c’è! » esclamò quello che sicuramente era Louis. Si sentiva dall’accento vagamente francese, trasmessogli dalla madre che non aveva mai imparato a parlare l’inglese – o l’anglese, come diceva lei – per bene.
« Bene bene! » esclamò di rimando lei, entusiasta.
« Perché state parlando così tanto, agire è così bello… » commentò con voce maliziosa sua sorella.
Albus sentì il suo cuore spezzarsi. Quella era Lily, proprio la sorella Lily che quando era piccola si accucciava tra le sue braccia e si addormentava lì; proprio la ragazzina che veniva da lui quando aveva problemi con i ragazzi; proprio l’adolescente frustata che piangeva sulla sua spalla; proprio la forte giocatrice di Quidditch che lo batteva ad ogni partita nel giardino della Tana.
La ragazza si avvicinò allo spaventato Albus, e iniziò a tirarlo con forza verso di lei, per poi spingerlo con altrettanta forza a terra.
« Calma, Lily. Lascialo un po’ anche a noi » disse James,peggiorando così la situazione mentale di Albus.
Sarebbe di sicuro uscito pazzo. Non riusciva assolutamente a vedere le persone che più amava al mondo in quel modo e per colpa sua.
Poi, mentre il ragazzo era immerso nella disperazione dei suoi pensieri, tutti si strinsero attorno a lui, non facendogli capire più nulla. Sentì qualcuno che gli toglieva i vestiti, poi qualcun altro che diceva qualcosa a proposito di un simbolo da incidere, e, infine, sentì l’inconfondibile tocco della sorella sulla sua gamba, seguito a ruota da qualcosa di così bollente da far svegliare Albus urlando.
 
« Albus! » lo chiamava Elnath, da ormai una buona mezz’ora.
Ma sapeva che chiamarlo non serviva a nulla; solo il diretto interessato poteva sottrarsi agli incubi degli Oscuri.
Quando Albus finalmente si svegliò con un urlo, Elnath notò un improvviso calore sotto la sua mano, poggiata sulla gamba dell’amato.
Elnath la ritrasse di scatto, ormai ustionata, mentre Albus ansimava impaurito.
« Cosa…?» domandò esterrefatto il più piccolo, che scrutava spaventato il mago. Quest’ultimo, non avendo né la forza né il coraggio per parlare, strinse Elnath in un caloroso abbraccio.
Si aggrappò a lui con tutto se stesso, conscio che  era l’unica persona che lo teneva ancora attaccato alla vita.
« È stato orribile » gli disse, quando ebbe la forza di mettere le parole in una sequenza logica. « Mi… mi hanno torturato » continuò indeciso. « Proprio loro ».
Elnath lo fece stringere a sé ancora più forte, cercando di dargli un appiglio. « Non avere paura, io sono qui con te. E ti amo ».
« Non è con l’amore che possiamo sconfiggere gli Oscuri » commentò acido Albus, staccandosi improvvisamente da lui. « Loro non hanno amore. Guarda» aggiunse, indicando la sua gamba.
Era ustionata, sembra ombra di dubbio, ma Elnath riuscì ad identificare qualcosa, un qualcosa che conosceva anche abbastanza bene. Erano due “s” che si intrecciavano l’una con l’altra, formando una sorta di serpente, con sotto scritto un messaggio, che cambiava a seconda di ciò che voleva comunicare chi incideva il simbolo. Quello di Albus recitava le seguenti parole: “Se coraggioso sei, paura non ci fai. Ma se paura hai, la morte presto troverai”. Non aveva assolutamente senso.
« Cosa vuol dire, Elnath? » domandò incuriosito Albus, non conoscendo nemmeno la lingua con cui era scritta quella sorta di profezia.
« Che vogliono intimidirti. E ucciderti ».
Dette queste poche parole, e dopo essersi guardati negli occhi, i due ragazzi presero la loro roba e scapparono.
Corsero senza una meta precisa per quelle che sembrarono ore, finché non si resero conto che tutto quello non aveva senso. O almeno non aveva senso per Albus. Perché Elnath sapeva benissimo verso che Terra stavano correndo, sapeva benissimo che era la loro unica possibilità, e sapeva benissimo che Albus, una volta lì, avrebbe sofferto troppo.
« Dove stiamo andando? » urlò improvvisamente il mago, ansimando per via della corsa.
« Lo so che non è il posto perfetto per te, ma non possiamo non andarci » disse Elnath, con lo sguardo basso. « Ho pensato molto in questi giorni e ho tratto delle conclusioni. Ho capito dai miei sogni dove si trova il loro covo, ho capito che ci sono moltissime persone intrappolate nel mondo degli Oscuri, che si trovano in una specie di limbo, dove non sono né Oscuri né persone normali. Dopo aver dormito anche quando non volevo e dopo aver visto il tuo simbolo ho concluso che questo limbo è il tuo pianeta. Sei tu la causa di tutto questo, Al. Non sai quanto mi costa dirlo. Il simbolo non viene inciso  a caso, c’è un motivo ben preciso: vogliono che tu sia il loro Marvash ».
« Vogliono? » domandò stranito Albus. Tutto quello non aveva alcun senso.
« Tu non sei di questo Mondo, Al. Non puoi essere nato per essere male, da te le cose non funzionano così. Lì puoi solodiventare male.  È per questo che dobbiamo scappare. Dobbiamo arrivare sulla Terra, dove tutto è incominciato. Dobbiamo liberare tutti coloro che sono in quello che ora è diventato il mondo degli Oscuri. Devo salvarti, Albus. Non posso farti cadere nel male, anche se questo ti costerà tanta fatica. Andare nella Terra della Notte ti farà sentire come se ti stessero uccidendo in ogni momento, anche io l’ho provato, prima che venissi tu nei miei incubi trasformandoli in sogni normali. Ma non possiamo non andarci. Lì, in quella che un tempo era la dimora del cavaliere Pewar, c’è un oggetto appartenuto ad un mio… amico» Elnath indugiò un po’ prima di pronunciare quella parola, riferita a Laio. Era ancora un ferita aperta e faticava a pensare che si sarebbe rimarginata. « Lui me lo diede prima di partire per l’Accademia nella quale non voleva andare. Mi disse che se mai sarebbe successo qualcosa, se mai il Tiranno – il Marvash sconfitto due anni fa – avesse tentato di uccidere me e le nostre famiglie, io avrei dovuto prendere quella sorta di pietra, dire due parole e mi sarei trovato in un posto migliore, chiamato Terra. Ma io lo lasciai da lui: non riuscivo nemmeno ad immaginare che le cose potessero evolversi in un modo tanto catastrofico  » Elnath sospirò. Si stava appena rendendo conto che tutta quella storia era incominciata anni prima e che se avesse preso quell’oggetto, impedendo a Laio di partire, tutto sarebbe stato completamente diverso.
« Comunque, è l’unico modo che abbiamo per salvare tutti coloro che rimangono umani. È l’unico modo per salvare noi, e quello che abbiamo ».
Albus annuì, lottando con il groppo che gli si era formato in gola.
« Vedrai che ce la faremo » continuò Elnath, prima di abbracciarlo.
 
 
Arrivarono alla Terra della Notte in due giorni di cavalcata nei quali Elnath cadde davvero poco per i suoi standard.
Il problema principale arrivò quando Albus si rese conto di non vedere praticamente nulla lì. Certo, c’era il sole rosso, ma non serviva a molto e quando persero i cavalli al mago sembrò tutto perduto, nonostante Elnath continuasse a rassicurarlo, dicendogli che sapeva dove stava andando.
Ed infatti era così.
Raggiunsero la casa di Laio in poco tempo, considerata la disperazione di Albus che non aiutava di certo la goffaggine di Elnath.
« Dove dobbiamo cercare? » domandò Albus, quando vide Elnath soffermarsi su dei quadri.
Uno ritraeva un uomo alto, con indosso un’armatura e un sorriso severo; doveva essere Pewar. Nell’altro c’erano due ragazzini sorridenti, con i capelli biondi e gli occhi chiari; Albus riconobbe subito Elnath, così piccolo e ingenuo che stringeva quello che doveva essere l’amico Laio.
« Ti manca » disse Albus. Non era assolutamente una domanda e Elnath l’aveva capito bene. « So come ci si sente. Il mio migliore amico, quello ucciso dai due Oscuri, mi manca più di ogni altra cosa. Continuo a pensare a tutte le cose che non avevamo fatto, a tutte le cose che ci eravamo promessi di fare. Ma sai cosa ti dico? Ormai è andata così, ed ho te, sei la ricompensa migliore che mi potesse capitare ».
Elnath si girò verso di lui, con le lacrime agli occhi, e lo abbracciò come ormai facevano così spesso.
«Dobbiamo muoverci » disse infine, staccandosi dall’amato.
Riuscirono a trovare l’oggetto di cui parlava Elnath dopo qualche ora, e Albus si sentì deluso nel constatare che la cosa che trasportava da un mondo all’altro fosse uno stupido sasso. Tutto sommato, si disse, era proprio come le passaporte.
« Sai… sai cosa devi fare? » domandò poi, guardando Elnath, che annuì un attimo dopo, senza nemmeno pensarci.
Il ragazzo gli prese subito le mani, stringendo ancora il sasso. Albus constatò che era davvero bollente; come poteva mantenere quell’oggetto ustionante in mano? In ogni modo, Elnath pronunciò delle parole che Albus non seppe riconoscere e pian piano il mondo intorno a loro perse consistenza.




NdA:

Penso che ora vi debba molte spiegazioni!
 Inizio col spiegare che sia nel Mondo Emerso, che nella Terra, una disgrazia si è abbattuta: dei nuovi "Marvash" sono sorti, dei Mavash che hanno completamente distrutto la Terra, ridotta ad un insieme di persone quasi morte. Essi entrano nei sogni della gente, torturandoli; pian piano si sono impossessati di tutti coloro che sono divenuti "disperati", per via dei sogni. Gli Oscuri, poi, alla luce del giorno hanno il volto completamente coperto e nei sogni possono farsi vedere solo se vogliono. Ma questo penso che l'abbiate già capito.
Ora, passiamo ai personaggi: Elnath è di mia invenzione ed era l'amico d'infanzia di Laio, per cui, prima della comparsa degli Oscuri, viveva nella Terra della Notte.

Il resto delle spiegazioni arriverà con il prossimo e ultimo capitolo, altrimenti ora faccio troppi Spoiler! xD
 

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Capitolo 2
*** Parte II - Terra ***


Parte II – Terra
 
Elnath immaginava la Terra ben diversa da quello che si trovava davanti. Pensava di trovarci solo un luogo desolato pieno di macigni, colmo di disperazione. Non si sarebbe mai aspettato di trovare strane costruzioni in strani materiali che non aveva mai visto e tanta gente che camminava con lo sguardo spento. Erano evidentemente tutto sotto “incantesimo”, ma – in un modo o nell’altro – sopravvivevano.
Albus si sentì morire quando vive Londra in quello stato. Certo, non si aspettava di meglio, ma la situazione non era delle migliori. Fu quando si rese conto che conosceva la maggior parte di quelle persone, che capì quanto la situazione fosse orrenda.
Albus vide il salumiere Babbano che abitava nello stesso quartiere di zio Ron; vide l’aiutante dell’ormai anziano Fortebaccio; vide la maestra dell’asilo della piccola Roxanne; vide un amico di Fred girare l’angolo; e, infine, vide suo padre. Fu la cosa più orrenda che potesse provare, come se tremila giganti gli fossero passati sopra. Non poteva essere successo per davvero, non a suo padre, non ad Harry Potter! Proprio lui, il ragazzo che è sopravvissuto, colui che aveva sconfitto Voldemort, l’Auror che aveva catturato ogni mangiamorte fuggitivo, il padre comprensivo e dolce… Albus stentava a crederci, eppure era lì, gli occhiali che incorniciavano i suoi occhi verdi, ormai spenti, e la solita cicatrice a forma di saetta che da piccolo lo terrorizzava.
Elnath notò all’istante che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che faceva stare male Albus. Fu quando notò l’uomo che il ragazzo stava guardando, che capì.
Era un uomo che si avviava verso i cinquant’anni, con i folti capelli neri e qualche ciocca biancastra, degli occhiali tondi e una cicatrice sulla fronte. E gli occhi verdi, proprio come quelli di Albus, forse solo meno belli.
« Albus… mi… mi dispiace » sussurrò, poggiando una mano sulla sua spalla.
« Sapevo che non ce l’aveva fatta » disse, con un groppo in gola, parlando più con se stesso che con Elnath. « Speravo solo che fosse morto con onore, e non schiavizzato ».
La voce di Albus era colma di rabbia, tristezza e dolore, come quando gli aveva parlato di Scorpius e del resto dei suoi amici.
« Dobbiamo andarcene da qui. Non possiamo stare tra tutti loro, dobbiamo indagare » disse poi Albus, cambiando espressione.
Elnath annuì, quindi prese la sua mano e trovarono un posto in cui nascondersi per capirci qualcosa.
 
Passarono una giornata intera prima di decidere cosa fare. Infine, quando ebbero tratto delle conclusioni, stabilirono che Albus avrebbe usato una moneta magica del padre per capire se c’era qualche sopravvissuto – Elnath in realtà questa cosa non l’aveva capita molto bene, ma non replicò nulla – e, se il responso sarebbe stato positivo, i due sarebbero andati dai superstiti e da lì si sarebbero fatti spiegare la situazione.
Elnath si rese conto che tutto quel piano si reggeva su praticamente nulla, ma – ancora una volta – non disse niente.
Albus iniziò a muovere incessantemente la moneta, facendola illuminare in uno strano modo ed Elnath restò fermo al suo posto.
Dopo nemmeno qualche secondo il ragazzo finì e rivolse un lieve sorriso all’amato.
« Allora? » domandò Elnath, curioso.
« Dobbiamo aspettare » rispose lui, con una scrollata di spalle.
 
Il responso arrivò quella notte, mentre i due ragazzi si stringevano in quella casa abbandonata e fredda.
Elnath stava ancora dormendo – o meglio, sognando.
Era come sempre immerso nel buio, ma un buio diverso. C’era uno spiraglio di luce, nel fondo, e lui ci si diresse senza aspettare un attimo.
Vi trovò una donna che tutti gli uomini avrebbero considerato bellissima, accovacciata tra mille carte.
 « Sapevo che saresti venuto » disse, con un tono di voce glaciale. « Io sono Rekla, uno degli Oscuri originali, e sono venuta nei tuoi sogni per ucciderti ».
Elnath rimase senza parole, come paralizzato.
Perché se ne stava così, ferma in un angolo, se voleva ucciderlo?
« Ma purtroppo tu sei più forte, qui dentro » continuò, senza perdere la sua calma ovattata. « Per questo verrai al mio covo, quando lo riterrai opportuno. Mi troverai a Diagon Alley, in uno stupido negozio di scherzi ».
Elnath si svegliò di scatto, sudato.
Era la prima volta che provava davvero paura in un sogno, ma non proferì parola ad Albus.
E, mentre lui era ancora immerso nei suoi pensieri riguardanti il sogno, il mago saltò subito in piedi felice, poi gli porse una mano e si alzò subito.
« Ci sono, ci sono! Non puoi immaginare quanto sia felice! » esclamò.
« Sai anche chi sono? » domandò curioso l’altro, anche se seppure gli avesse detto dei nomi lui non avrebbe mai capito chi fossero.
« Non proprio. Qui dice “Alle sei del prossimo giorno, stamberga strillante. N e D”. Potrebbe essere chiunque. N starà sicuramente per Neville, ma D… » borbottò, pensieroso.
« E questo Neville è uno di noi, immagino ».
« Certo che sì! Era uno dei migliori amici di mio padre e un mio insegnante » confermò il mago, iniziando a camminare in tondo, come faceva sempre ad Hogwarts, quando non riusciva a risolvere un quesito di Aritmansia.
« Ora non torturarti, scopriremo tutto lì. Mancano solo poche ore » gli disse Elnath, mentre si lasciava cadere a terra.
« Hai ragione » disse l’altro con un sorriso, « come sempre ».
 
Quelle “poche ore”, per Albus furono uno strazio. Certo, Elnath al suo fianco continuava a coccolarlo, come poteva fare solo una mamma, e lui davvero gli era grato per questo, ma il continuo pensiero di chi si nascondeva dietro a quelle iniziali lo torturava.
“N e D”. Potevano essere chiunque.
Poteva essere Neville, ma anche Nathalie, l’amica di Dominique. E, appunto, la D sarebbe potuta essere la cugina.
Quando le sei furono quasi arrivate i due si presero per mano ed Albus usò la smaterializzazione.
La Stamberga Strillante era proprio come quando Albus l'aveva lasciata: sporca, che cadeva a pezzi e in alcuni punti c’erano mille macchie di sangue.
« Sei arrivato » disse qualcuno, nella penombra.
Albus riconobbe all’istante quella voce fredda, ma con una strana tenerezza celata sotto.
« Dai, Draco, così li fai spaventare! » esclamò qualcun altro, entrando dalla porta di fronte ai due ragazzi.
Neville Paciock, con una lunga barba stile Albus Silente e una sporca camicia begie, sorrideva al buio di quella mattina invernale, che non aveva la forza di illuminare la casa.
« Albus! » esclamò dopo un attimo, dandogli una pacca sulla spalla. « Dove sei stato tutto questo tempo? Devi raccontarmi tutto ».
« Calma, Neville. Penso che voglia che parliamo prima noi » lo interruppe Draco, sempre in penombra, come in vecchio film dell’orrore.
« In effetti » borbottò Neville, grattandosi la testa. « Veramente, non abbiamo fatto molto. Dopo che ve ne siete andati, con tuo padre e i tuoi zii abbiamo cercato di sconfiggere gli Oscuri, mentre i tuoi nonni si erano rifugiati nella Stanza delle Necessità ad Hogwarts, con tutti i bambini e i vecchi. Comunque, non abbiamo potuto fare nulla. Abbiamo perso un mago dopo un altro; morti – come i tuoi nonni e tua madre – oppure messi in una sorta di ipnosi – come è capitato a tuo padre e a molti altri ».
Albus sentì qualcosa dentro di sé, qualcosa di doloroso, scattare come una molletta. Sua madre era morta, e chissà quante altre vite spezzate non gli aveva detto Neville. Aveva pensato che lei non sarebbe mai morta, che fosse la mamma immortale e dolce. E invece non era stato così.
« Al, so che può far male, ma devi accettarlo. Ho cercato di aiutarla, di aiutare tutti, ma quei due Oscuri sono peggio di Voldemort. Hanno dei poteri che qui non riusciamo nemmeno a comprendere ».
« Lo sappiamo questo » disse all’improvviso Elnath, prendendo in mano la situazione. « Io vengo da un altro Mondo, che sta per cadere come è già caduto questo. Noi vogliamo evitare che accada, ma l’unico modo è uccidere gli Oscuri, e so che si trovano qui, lo sento ».
Elnath continuò a lungo con la sua spiegazione; parlò dei suoi sogni e di quelli di Albus, parlò degli Oscuri e dei maghi divenuti tali, parlò di come erano arrivati lì – cosa che a Neville interessò molto – e, infine, parlò del loro amore.
Draco storse subito il naso quando sentì quella parola.Amore. Da quando Scorpius e sua moglie erano morti aveva smesso di credere a quella cosa – non che ci avesse mai creduto più di tanto – e, specialmente, smise di credere che con esso tutto si potesse risolvere.
Infatti Scorpius diceva di amare Albus, glielo aveva confessato, ma era morto lo stesso, mentre quel Potter si era salvato la pelle. Forse era una cosa di famiglia, si disse, tutti intorno ai Potter muoiono, ma loro mai, ad incominciare da Harry, che era ancora vivo.
« Basta con queste idiozie » urlò quindi, arrabbiato.
« Su, Draco. Calmati » borbottò Neville, un po’ stufo. Era da quando erano rimasti solo loro due e qualche altro ragazzino che continuava ad essere più scorbutico del solito. Era convito che non ci fosse una via d’uscita, mente Neville continuava a sperare.
« Signor Malfoy » intervenne allora Albus, lo sguardo basso e le mani giunte dietro la schiena, « so che sta soffrendo, ma qui dobbiamo farci forza l’un l’altro, dobbiamo appoggiarci. Il suo atteggiamento non ci porterà da nessuna parte ».
« Come ti permetti? Sei tu che hai fatto uccidere mio figlio! Sei tu il colpevole di tutto questo! Sei tu il cattivo, qui, quello che intralcia le cose. A quanto ho potuto capire, se tu non ci fossi stato, con i tuoi stupidi incubi, questo ragazzo sarebbe arrivato prima! » urlò ancora,  facendo esaltare la grossa vena sul collo. « E Astoria non sarebbe morta » concluse, affievolendo la voce, così tanto che nessuno lo sentì.
Sul volto di Albus si formò all’istante una smorfia di dolore, rabbia e tristezza assieme. Era stata una pugnalata da parte di Draco, proprio colui che credeva che l’avrebbe capito più di tutti, ma stette ugualmente zitto.
« Albus è l’unica salvezza che abbiamo, non puoi trattarlo così. Albus ed Elnath hanno rischiato la vita per venire qui, e non certo per essere insultati da te, Draco. Anche se non ti fidi più di lui, anche se lo odi, devi affidarti a lui e al suo amico, perché noi non ce la faremo ancora per molto, il cibo scarseggia e in ogni caso non ha senso continuare a vivere così, specialmente dopo essersi lasciati sfuggire un’occasione del genere ». Neville, saggio come al solito, aveva pronunciato quelle parole con un piccolo sorriso, anche se forse la situazione non lo richiedeva.
Albus era contento che il suo professore fosse rimasto lo stesso.
 
 
Dopo essersi accordati decisero che quella notte avrebbero dormito assieme, ed Elnath avrebbe sperimentato per la seconda volta il sonno sulla Terra.
Per quanto fu uguale per tutti gli altri, lui notò una lieve differenza.
I suoi sogni non erano calmi come nel Mondo Emerso, non provava quel senso di coraggio che aveva lì, e – specialmente – riuscì a capire più cose.
Forse era solo il fatto che stava più vicino agli Oscuri, o era semplicemente un caso, in ogni modo riuscì a comprendere che i due che avevano dato il via a tutta quella sciagura erano non diversi da tutti gli umani che popolavano la Terra e il Mondo Emerso, e quella Rekla che aveva visitato i suoi sogni ne erano una prova.
Riuscì a vederne uno, di sfuggita, prima che si svegliasse. Portava dei lunghi capelli biondi, quasi bianchi, e la carnagione pallida lo faceva sembrare tutt’altro che sano.
Sapeva che poteva essere chiunque, ma chiese in ugual modo informazioni a quelli che erano diventati i suoi “compagni di avventura”, come lo erano stati Sennar e Laio per Nhial.
Gli dissero che, come aveva pensato lui, poteva essere chiunque, ma quando Elnath ripeté per la seconda volta la descrizione dell’Oscuro Draco strabuzzò gli occhi.
« Penso di sapere chi sia » annunciò, compito. « Lucius Malfoy, mio padre. Io… io in realtà ho sempre avuto questo sospetto » concluse, insicuro se pronunciare o meno quelle ultime parole.
« Come sarebbe a dire che avevi sempre avuto questo sospetto? » domandò esterrefatto Neville. « Perché non hai parlato? »
« Io non volevo crederci. Poco tempo prima che mio padre scomparisse, continuava a disegnare strani simboli per casa, simboli come quello che ha Albus sulla gamba. Io e Astoria all’inizio abbiamo pensato che fosse uscito fuori di senno, tanto che la situazione è peggiorata. Pochi giorni dopo lui scrisse qualcosa in una strana lingua e poi continuava a parlare di una persona chiamata Rekla. Diceva che era una donna bellissima, giovane ma vecchia. Non… non aveva senso » spiegò lui, stavolta in difficoltà e senza il suo tono aspro.
« Avresti dovuto dirlo prima » disse Elnath. « Io so chi è questa Rekla e so anche dove si trova ».
 
 
Partirono dopo nemmeno un secondo, con le loro bacchette alla mano e il pugnale che Elnath aveva trovato nella roba del padre, prima di andarsene dal Mondo Emerso.
Avrebbero potuto sconfiggere gli Oscuri, e i loro mondi sarebbero finalmente stati in pace.
L'unica cosa di cui Elnath aveva paura era ciò che sarebbe successo dopo la lotta che era sicuro che ci sarebbe stata. Cosa ne sarebbe stato di lui e Albus? Sarebbero rimasti assieme sulla Terra - o sul Mondo Emerso - oppure si sarebbero detti addio per sempre?
La mano di Albus strinse la sua improvvisamente, facendolo sussultare.
« So a cosa stai pensando. Sappi che io non ti lascerò ai solo » disse, lo sguardo fisso nel vuoto, e la voce leggermente tremante.
Detto questo, i due iniziarono a guardarsi intorno. Si erano smaterializzati da ormai qualche minuto - ad Elnath dava ancora un forte senso di nausea quella magia - nel vecchio negozio di scherzi dello zio George.
Elnath osservò rapito una grande bacheca, sulla quale c'era intagliato il nome dl negozio "Tiri Vispi Weasley", e sotto c'era una foto con due ragazzi uguali in ogni dettaglio, ancora più sotto, c'era una piccola scritta, che Elnath riuscì a leggere con difficoltà. "Fred, il negozio resterà sempre tuo, ma i soldi sono i miei". Non sapeva se ridere o meno davanti a ciò.
« Elnath, avevi detto che quella Rekla sarebbe dovuta essere qui, ma non c'è nessuno » disse Neville, dopo aver controllato tutto il negozio.
« Ed è qui che ti sbagli » sussurrò una voce glaciale.
I quattro compagni alzarono immediatamente la testa e videro una bellissima ragazza bionda seduta sullo scaffale più alto.
Saltò giù da esso come poteva fare solo un gatto, poi si avvicinò ad Elnath così tanto che Albus si parò subito davanti.'
« Chi è questo bel giovanotto? » chiese maliziosa, accarezzando una guancia al mago. « E bravo, ti sei fatto un amichetto » continuò, stavolta rivolta a Elnath.
« Chi sei tu!? E cosa vuoi da me?! » urlò a sua volta il ragazzino biondo, infuriato dalle mani che continuavano ad accarezzare il suo ragazzo.
Albus era l'amore della sua vita,  e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di toccarlo.
Così, cacciò il pugnale all'istante, e saltò in avanti. Albus si scostò d'istinto, ma la ragazza, al suo contrario, prese un pugnale dallo stivale, e con un colpo secco colpì il fianco di Elnath.
Il ragazzo si accasciò immediatamente a terra, soccorso da un preoccupato Albus.
Il mago guardò prima il suo ragazzo, in una piccola pozza di sangue che sembrava crescere pian piano, e sfilò subito la sua felpa, per poi legarla intorno all'intera pancia di Elnath, come aveva visto fare in una montagna di film Babbani.
Poi, alzò la testa, e guardò la loro avversaria, sorridente come non mai.
Vi si gettò sopra immediatamente, colmo di rabbia e noncurante del fatto che contro di lei era in netto svantaggio, specialmente se non cacciava la sua bacchetta.
La ragazza gli diede un forte pugno sulla mascella, facendolo cadere all'indietro, e poi parlò.
« Non è con te che voglio combattere. In realtà, con te non posso nemmeno farlo: sei uno di noi, che tu lo voglia o no ».
« Non è così! » urlò, gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite e la grossa vena rigonfia che poteva fare invidia persino ad un infuriato Draco Malfoy. « Se voglio essere buono, lo sarò! »
Rekla rise di gusto, ma dentro a quella risata Albus riuscì a vedere tutta la cattiveria dell'intero mondo.
Lui non era così, ne era certo.
Prese la bacchetta dalla tasca dei suoi pantaloni e stordì l'Oscuro con uno schiantesimo, per poi gettarsi sopra di lei.
« Dimmi dove è finto l'altro Oscuro. Dimmelo! » urlò, la bacchetta puntata sul suo collo.
Sarebbe bastato anche un semplice reducto e sarebbe scoppiata in aria.
« O che mi farai? » chiese ridendo.
« Ti uccido. E ne sono capace » rispose lui, più serio che mai.
« Oh, lo so che ne sei capace, ragazzino ».
« Allora parla! » urlò stufo, aumentando la presa sulla bacchetta.
« Lo sai che non mi fai paura, vero? In ogni caso dirtelo non cambierà le cose. L'altro Oscuro, quello scemo, l'ho fatto fuori proprio ieri. Non mi era più utile » confessò, infine.
Albus fu silenziosamente grato a quella donna, per un breve istante, poi ricordò ciò che doveva fare.
Impugnò la bacchetta con un leggero tremolio, conscio di quello che avrebbe fatto.
« Avada Kedavra » mormorò, con il tono basso ma con tutta la convinzione che poteva avere.
Un fasciò di luce verde colpì in pieno Rekla, con gli occhi aperti e la bocca spalancata in un urlo silenzioso.
Albus sospirò quasi felice, poi si ricordò di Elnath e corse da lui, circondato da Draco e Neville, che pronunciava degli incantesimi di guarigione sulla ferita sanguinante.
« A-al » borbottò lui, con gli occhi chiusi, e una smorfia di dolore sul volto. « Ce l'hai fatta ».
Lui sorrise e prese la mano dell'amato tra le sue.
« E ce la farai anche tu » disse, con un sorriso.
 
 
I giorni seguenti passarono in fretta ed Elnath guarì più velocemente del previsto.
Tutti gli umani sotto ipnosi si risvegliarono magicamente e Albus poté riabbracciare suo padre.
Sul Mondo Emerso, intanto, gli incubi erano finiti, e coloro trasformati in Oscuri erano tornati loro stessi.
Neville e Draco - che anche se quest'ultimo non lo voleva ammettere, erano diventati buoni amici - erano andati lì a recuperare i Potter che erano stati fatti diventare Oscuri insieme ad Albus.
Quando Lily vide il fratello si gettò fra le sue braccia in lacrime.
« Non volevo farlo, Al, sul serio. Io... io non ero me stessa » disse, mentre il fratello le accarezzava i capelli rossi
James gli diede una pacca sulla schiena e si presentò subito a Elnath, ancora steso nel letto di Albus, a casa Potter.
Harry era ancora scosso, nonostante tutto fosse tornato alla normalità. Aveva perso sua moglie e non c'era modo di farla tornare.
Neville e Draco si rassegnarono all'idea che anche le loro mogli fossero morte, ed andarono entrambi a vivere nell'appartamento sopra i Tre Manici di Scopa, che dopo la morte di Hannah veniva gestito dalla madre, aiutata nelle vacanze da Neville.
Il resto dei cugini Potter tornò alla loro vita famiglia-amore-Hogwarts e Ron e Hermione aiutarono parecchio Harry, in quel momento di lutto.
Infine, George riportò al vecchio splendore i Tiri Vispi Weasley, aiutato dal figlio.
In quanto a Elnath e Albus, per loro non c'era altro futuro che restare assieme.
 


NdA:

E siamo arrivati alla fine! Fine abbastanza veloce, direi.
Comunque, vi devo la seconda parte delle spiegazioni: Rekla qui ha sedici anni, e anche se secondo il filo logico delle Guerre dovrebbe già trovarsi alla Setta per la mia trama l'ho fatta uscire per qulche anno xD In più, secondo la mia mente malata, quando una persona appartenente ad un determinato mondo muore in un altro - come Rekla che muore sulla Terra - ritorna in vita nel suo mondo di appartenenza. 
Ultima cosa, che non ho detto nel capitolo precedente: tutta la vicenda si è svolta cinque anni dopo la scomparsa del Tiranno, ed Elnath, se non si fosse capito, è più piccolo di Laio. Non mi chiedete di quanto perchè già è tanto se so fare 2+2 xD


Au revoir, mes amis! (:

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