Missione a Londra

di LaU_U
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 1 ***
Capitolo 2: *** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 2 ***
Capitolo 3: *** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 3 ***
Capitolo 4: *** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 4 ***
Capitolo 5: *** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 5 ***



Capitolo 1
*** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 1 ***


Ecco a voi MISSIONE A LONDRA, una nuova storia su Robin Hood e la sua banda. Se trovate dei nomi nuovi, non spaventatevi! Alla fine del capitolo è spiegato brevemente a chi si riferiscono.
Buona lettura!





MISSIONE A LONDRA
 

 CAPITOLO 1 – NOI ANDIAMO A LONDRA
PARTE 1


 

Nottingham, Stanza segreta del Castello dello Sceriffo, I giorno, tardo pomeriggio.
«Questo è quanto, signori».
I Cavalieri Neri risollevarono i cappucci, nascondendo le teste in un unico, controllato gesto.
Nell’oscurità della stanza segreta, le loro ombre si distinguevano appena, ritagliate dalla luce delle poche candele al centro del tavolo.
«E ricordate, non saranno ammessi errori. Non stavolta. Non da noi».
Un uomo nel buio sorrise, sprezzante e contento. Lo Sceriffo vide l’espressione sul volto di Gisborne, e se ne compiacque.

«Bene, hanno finito. Fuori, adesso, veloce» sussurrò una voce stretta contro il muro, non appena i Cavalieri Neri iniziarono ad uscire dalla stanza.
«Che fretta c’è?»
«Ma come sarebbe, stai scherzando?»
«No no, non per fare lo spiritoso ma, che c’è, ti stai agitando a stare strizzato in questo passaggio segreto insieme a me?»
Will lo avrebbe preso a pugni, ne era sicuro, se solo ci fosse stato un po’ di spazio in più.
«Taci» ringhiò, mentre Allan rideva sotto i baffi. «Mi chiedo perché diamine Robin continui a mandarci in missione insieme».
«Non saprei, forse vuole farci diventare amici». Sogghignò Allan. Will lo guardò storto.

 

Foresta di Nottingham, rifugio dei fuorilegge, I giorno, sera.
«Te lo ripeto, i Cinghiali della Morte sono un tipico animale del Galles».
«Ma piantala, sono francesi. Lo so!»
«E com’è che lo sai?»
«Lo so e basta!»
«Piantala di fare la stupida, non-»
«Ah, io sarei stupida?»
 «No aspetta non intendevo…»
«Sono francesi!»
«Gallesi!»
«Francesi!»
«Gallesi!»
«Francesi!»
«PER L’AMOR DEL CIELO! Basta! Fateli smettere, per piacere!»
Much sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
«Non bastava il suo scoiattolo assatanato, ora pure quella sua fidanzata pestifera!» disse allontanandosi a grandi passi dal centro dell’accampamento, dove Cathy e Jamie sembravano prossimi a venire alle mani.
Robin ridacchiò. «Rilassati, Much, alla fine sono anche divertenti».
«Divertenti? Divertenti?! Oh no, no, no!» continuò l’altro, disperato. Sperava che Will e Allan tornassero presto. Forse il loro arrivo avrebbe messo fine a quella scena.
«Come mai Will e Allan ci mettono tanto ad arrivare?» chiese Djaq, seduta poco più in là.
«Non era semplice intrufolarsi nella stanza segreta. Avranno dovuto aspettare un bel po’ prima di avere via libera e uscire…» rispose Robin. I due erano rimasti tutto il giorno chiusi dentro al castello. Forse erano ancora lì.
«Francesi!»
«Gallesi!»
«Piantala di dire stupidaggini, i Cinghiali della Morte si trovano solo in Francia»
«Macchè, in Galles!»
«Poche ciance, sono scozzesi».
Cathy e Jamie si voltarono in simultanea verso Allan. Cathy squadrò il suo ghigno trionfante con aria di sfida.
«Ah sì? E tu che ne sai?» disse, senza distogliere lo sguardo dal naso dell’altro.
«Niente, ma almeno vi ho fatto star zitti» rispose Allan con un gran sorriso. Si allontanò, lasciandosi dietro una donna furiosa.
«Siete qui, finalmente!» Djaq balzò giù non appena vide Will avvicinarsi. Il ragazzo arrossì violentemente. Djaq s’arrestò, e non disse altro.
«Allora?»
«Ce l’abbiamo fatta. Sappiamo cosa stanno tramando» disse Will. «È grossa, stavolta. Hanno-»
«Londra. Vogliono uccidere il cugino del Re» tagliò corto Allan.
Il silenzio calò nell’accampamento. Anche Cathy e Jamie tacevano.
«Stanno spianando la strada al principe Giovanni» commentò John. Allan annuì.
«Dobbiamo fare qualcosa» disse Djaq.
«E cosa? Londra… è lontana! E noi siamo pochi» mormorò Jamie.
«Andremo a Londra».
Tutti si voltarono verso Robin.
«Andremo a Londra e fermeremo i Cavalieri Neri. Non c’è altra soluzione».





 

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Cosa ho appena letto? Robin e la sua banda vanno fino a Londra? Chi sarebbero questi Jamie e Cathy? Da dove sono spuntati i fantomatici "cinghiali della morte"?
A voi che vi siete posti queste domande durante la lettura. A voi che non l'avete fatto. Anche a voi che non avete letto il capitolo e siete scappati direttamente a queste note conclusive: benvenuti! :)

Cos'è MISSIONE A LONDRA? Una fanfiction, ma certo, ma non solo. Quella che avete appena iniziato è una roundrobin a sei mani/tre tastiere, scritta nello spirito dell'ambientazione della serie BBC Robin Hood e in quello del gdr by forum ad essa ispirato in cui noi tre autrici siamo giocatrici. In questa storia ritroverete Robin, Much, Djaq, Will, Allan, Little John, Marian, Gisborne e lo sceriffo di Nottingham in un'avventura inedita ambientata nella capitale dell'Inghilterra. Saranno i personaggi che avete conosciuto nella prima stagione (o per lo meno noi speriamo di non aver tradito troppo il loro animo), con qualche esperienza in più alle spalle originata dalle ruolate che abbiamo fatto. Escludendo Allan, non troverete praticamente differenze a proposito degli altri fuorilegge.
Ma chi sarebbero Jamie e Cathy? Personaggi originali di nostra invenzione. Per facilitare la comprensione di alcune dinamiche aggiuntive rispetto al telefilm, ecco un riassuntino delle cose importanti:
JAMIE. Quello che c'è da sapere è che è un ragazzo di diciannove anni che un tempo addestrava animali e che è finito nella banda di Robin Hood assieme al suo scoiattolo guerrafondaio Gang. Jamie è un po' ingenuo, piuttosto impulsivo (soprattutto se si tratta di difendere persone/animali a cui tiene), un racconta-frottole senza speranza che tira in ballo personaggi assurdi e macabri senza quasi rendersene conto (da questo, i "cinghiali della morte"). Perennemente impegnato a battibeccare con la sua ragazza...
CATHY. Una ex ballerina/cantante/acrobata/ecc. dal carattere impetuoso. Orgogliosa, testarda e dalla lingua tagliente. La danza e la recitazione sono la sua passione; è stata costretta ad abbandonare la sua compagnia quando i membri di quest'ultima sono stati accusati ingiustamente di aver avvelenato dei pozzi. Il gruppo si è disperso e Cathy è finita a Nottingham dove si esibisce per racimolare poco e niente e dove è sempre pronta ad offrirsi per aiuitare la banda di Robin Hood nei suoi piani contro lo sceriffo.
ERIN. Il terzo e ultimo personaggio originale ve lo presenteremo a tempo debito, per ora abbiamo chiacchierato abbastanza.
Se volete che questi primi due personaggi che vi abbiamo descritto abbiano gli stessi volti che hanno per noi, immaginatevi Shia LaBeouf e Alexis Bledel che si punzecchiano l'un l'altro.

Questo primo capitoletto è stato scritto da _Eleuthera_. Il secondo sarà mio, laureta1387. Il successivo di Darma. Poi ricomincia il giro e la storia va avanti.

Siete pronti per partire per Londra con tutta la banda di Robin Hood? Allora restate con noi, le giocatrici del Robin Hood the series GDR.
Grazie ai lettori e ancora più grazie a chi vorrà lasciare un commento.


PS: non preoccupatevi, non ci saranno più commenti così lunghi ai capitoli, solo per il primo, per darvi qualche indicazione ;)

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Capitolo 2
*** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 2 ***



CAPITOLO 1 – NOI ANDIAMO A LONDRA
PARTE 2




Knighton Hall, stanza di Lady Marian, II giorno, prima mattina.
«Dev’esserci un’altra soluzione.»
«No, non c’è. E se anche ci fosse io non riesco proprio a figurarmela.»
Come al solito, uno diceva sole e l’altra rispondeva luna. Stavano dalla stessa parte, ma non riuscivano mai a trovarsi d’accordo nelle loro discussioni.
«Questa cosa va oltre le vostre possibilità.»
«È per questo che dobbiamo intervenire. Questa cosa è oltre le possibilità non solo nostre, ma di tutta la contea e non troveremo nessuno a Nottingham che possa risolvere la questione per noi.»
«Non a Nottingham, ma altrove? Non c’è una persona in tutto il regno? Si troverà pur qualcuno a Londra in grado di far qualcosa. Basterebbe mandare un messaggio per avvisare. Al consigliere al trono, o al cugino stesso del re, per esempio.»
«Dubito che Edgardo legga personalmente la sua corrispondenza, è poco più di un ragazzino. E che cosa sappiamo dei suoi collaboratori? Come scopriamo se sono affidabili o se per caso non sono coinvolti anche loro nel complotto?»
La giovane non seppe come controbattere, lui le si avvicinò.
«Marian, tra i Cavalieri Neri si potrebbe celare chiunque, sono nobili provenienti da tutti i lati dell’Inghilterra. Non potrei mai fidarmi del tutto di qualcuno. Soprattutto senza neanche aver prima la possibilità di parlarci di persona guardandolo negli occhi. Non mi sento di lasciare la questione nelle mani di un segretario o di un lord che non sanno neppu…»
«E in quali mani vorresti lasciarla? In quelle di una manciata di ladruncoli e contadini armati di asce e bastoni?»
La donna si pentì di ciò che stava dicendo non appena cominciò a pronunciare la frase, ma non riuscì comunque a smettere di parlare. Marian rispettava la banda di Robin e sapeva che ne facevano parte persone incredibilmente in gamba, ma questo non avrebbe cambiato quello che erano.
«Robin…»
L’uomo scosse la testa.
«Stasera partiamo per Londra. Ci vediamo al mio ritorno.»
Scavalcò il davanzale della finestra della camera da letto e scomparve.
Quando si trattava di Re Riccardo, far ragionare il precedente Signore di Locksley diventava ancora più complicato. Non c’era causa al mondo che avesse più a cuore di quella, avrebbe dato la vita per il suo sovrano con più determinazione di quella che metteva quando rischiava la pelle per la gente di Nottingham. Marian sapeva che nulla l’avrebbe fermato: qualsiasi cose lei avesse detto, quell’uomo avrebbe raccolto il suo arco e la sua spada e sarebbe andato nella capitale per proteggere gli interessi di Riccardo, anche a costo di compiere la missione da solo.
Mettersi contro i Cavalieri Neri sarebbe stato pericoloso; erano ricchi, potenti e pieni di risorse. Certe volte sperava che Robin non fosse così testardo; che rimanesse tranquillo come una persona comune e che non fosse l’eroe di cui tutti narravano le gesta.
 
 
Foresta di Sherwood, rifugio dei fuorilegge, II giorno, mattina.
«Quattro giorni di marcia? Ma siamo pazzi?»
«Much, in passato abbiamo camminato molto più di così» gli fece notare pazientemente Robin mentre riempiva una sacca con del cibo da portare in viaggio.
«Infatti ancora ricordo le sofferenze che i miei poveri piedi hanno dovuto patire quando eravamo di ritorno dalla Terra Santa. Per non parlare delle sofferenze del mio stomaco, che a volte non ha visto del cibo decente per più di una settimana.»
Little John sbuffò all’udire la voce - come al solito lamentosa - del compagno, il quale non si fermò:
«Non potremmo, per caso, prendere un carro? Oppure mandare solo un gruppetto mentre noi attendiamo qui in caso ci fossero novità?»
«Ecco, in tal proposito…» intervenne Allan. «È necessario che tutta la banda si diriga laggiù? No, perché avrei degli affari da sbrigare qua e là e immagino che questa operazione richiederà un po’ di tempo, quindi…»
«Ragazzi, nessuno di voi è obbligato a partire. Se non ve la sentite potete restare a Sherwood» disse Robin con fermezza, ma senza voler fare alcuna pressione. Era conscio che più fossero stati, più possibilità di successo avrebbe avuto la missione, ma non si trattava più di un salvataggio nei paraggi e non poteva chiedere ai suoi compari di seguirlo tanto lontano contro la loro voglia. Erano tutti poco convinti di quel viaggio, non avevano mai fatto nulla di simile e non erano sicuri che lasciare Nottingham sarebbe stata una buona idea. Finché c’era Robin – il capo – a ordinar loro di portare a termine un incarico, potevano permettersi di sbuffare interiormente, ma fare comunque la mossa giusta per il bene della comunità. Ora che lui li stava lasciando liberi di scegliere e di rifiutare, ognuno di loro si sentì in colpa per il fatto di non essere in grado di accettare a spada tratta quell’incarico al suo fianco.
«Noi verremo.»
La voce sicura di Will fece girare tutti.
«Certo che verremo» aggiunse Djaq, mentre metteva a tracolla la borsa che aveva appena finito di riempire. Little John, Jamie e Cathy annuirono. Robin osservò i volti determinati dei suoi compagni e li ringraziò con un cenno del capo. Allan sospirò:
«Tanto con lo sceriffo concentrato solo sul suo piano a Londra ci saremmo annoiati a morte.»
 
 
Foresta di Sherwood, accampamento dei fuorilegge, II giorno, mattina.
«Non combinare guai mentre sarò via.»
Jamie aveva portato Cathy a qualche passo dall’accampamento per salutarla dolcemente in privato, lontano da occhi indiscreti. Era piuttosto agitato sia per la missione che per il fatto di dover lasciare la sua ragazza da sola a proteggersi dalle guardie che lei spesso attirava su di sé. La giovane, al sentire le sue parole, alzò un sopracciglio.
«Primo: io non combino guai, sei tu quello che me li fai arrivare dritti addosso.» La cosa era solo parzialmente vera, ma la maggior parte delle volte in cui c’era qualche problema con i soldati, il giovane e il suo scoiattolo erano – guarda caso – nei paraggi. «Secondo: cercherò di fare del mio meglio. Terzo: potrai controllare tu stesso.»
Jamie non fu certo di aver capito:
«Cathy, io non posso rimanere qui a badare a te, devo andare a Londra.»
«Meno male. Perché se stessi qui non potresti certo badare a me» disse, avviandosi lentamente verso il resto della banda, celando un sorrisetto.
«Come? Che cosa vuoi dire?»
Possibile che fosse così ottuso, alle volte?
«Che vengo con voi.»
«Cosa? Non se ne parla nemmeno. Tu stai qui!»
Il tono autoritario proveniente dalla bocca di Jamie la fece girare di scatto e tornare ad un palmo dal suo naso con un indice puntato dritto in mezzo alla faccia.
«Non usare quel tono con me, ragazzino. Non sei di certo tu a darmi ordini.»
Lui deglutì e cercò di sembrare più sicuro di quanto non fosse:
«Tu… non fai parte della banda. E poi è una missione pericolosa.»
«Sono stata invitata anche io a Londra e quindi ci vengo pure io.»
«Ma Robin parlava di noi. Non noi… te, noi… noi. Non è una cosa per donne!»
«Djaq è una donna e viene con voi.»
«Ma Djaq non è una donna.»
Cathy incrociò le braccia e lo fissò in attesa di una spiegazione plausibile a quell’affermazione.
«Cioè… sì, è una donna, ma… è diverso, lei è come un uomo, è una della banda.»
«Non vi lascerò andare a divertirvi a Londra e abbandonarmi in questa foresta dimenticata da Dio. Londra è casa mia… Per lo meno lo è stata per un paio di mesi, in passato, quindi ora voglio tornarci. Voglio salutare degli amici e salvare il cugino del re. Tra l’altro conosco giusto una persona che potrebbe fare al caso nostro, lavora a corte e non ha mai avuto in simpatia il principe Giovanni. Quindi potremo rivolgerci a lui per…»
«Questo non ha importanza perché tu non puoi venire!»
«Sì, invece.»
La voce del capo dei fuorilegge interruppe la discussione e i due lo videro sbucare da dietro alcuni alberi. Il ragazzo di Roxburgh sobbalzò e lo guardò con occhi imploranti; era preoccupato, non voleva mettere a repentaglio la vita dell’amica, teneva troppo a lei. Anche Gang sbucò dal cappuccio del suo padrone e puntò il suo nasino curioso in direzione del nuovo arrivato.
«Ma, Robin… non c’è bisogno che anche lei si metta contro lo sceriffo per questo.»
«Jamie, mi dispiace» rispose l’altro avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. «Ma credo che ce ne sia bisogno.»
Cathy sfoderò un sorriso di soddisfazione per il fatto che persino il capo fosse dalla sua parte. Purtroppo lo sguardo affranto del suo ragazzo non le fece apprezzare la vittoria come avrebbe sperato. Robin poggiò la mano destra sulla spalla di lei, senza togliere la sinistra da quella del compare.
«Questo contatto che hai a Londra… credi che sarà disposto ad aiutarci?»



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Foresta di Sherwood, campo dei fuorilegge, II giorno, mattina.
I preparativi per la partenza erano quasi ultimati: tutti gli oggetti necessari erano stati raccolti, le armi già legate alle loro cinture e i viveri accuratamente imballati da Much, che stava brontolando su quanto pesasse la sua borsa e su come sicuramente sarebbe stata orribile la marcia fino a Londra.
Allan sospirò, anch'egli poco entusiasta all'idea di camminare quattro giorni, e si caricò in spalla la sua parte di bagaglio; voltandosi, notò poco più in là una Cathy quanto mai sorridente mentre riempiva a sua volta una borsa di cuoio. Allan la esaminò, sgomento: la ragazza aveva l'espressione spensierata di chi si sta preparando per partecipare ad una scampagnata, e al biondo sorse un orribile dubbio.
«Di’» sussurrò a Will che, accanto a lui, stava ficcando a viva forza nello zaino il necessario per fabbricare, all'occorrenza, frecce per un intero esercito. «Non sarà mica che quella viene con noi, vero?»
Il giovane carpentiere alzò lo sguardo verso di lui, lanciò un'occhiata a Cathy e fece spallucce: «Pare di sì.»
«COSA!?» sbottò l'altro, per poi guardarsi in giro e ripetere a voce più bassa «Cosa!? Ma non... Questa non è roba per donne! E poi lei non fa parte della banda! Non può assolutamente venire.»
«Sembra che Robin sia d'accordo.»
Allan si volse a guardare Robin, che stava saggiando un'ultima volta la corda del suo arco senza badare minimamente ai preparativi di Cathy, e borbottò: «Ah sì, eh? Be', se James si porta la fidanzatina, non vedo perché io non potrei...»
Senza terminare la frase, si avviò a grandi passi verso i margini del campo sotto lo sguardo perplesso di Will; stava per inoltrarsi tra gli alberi, quando la voce del capo lo fermò: «Allan, dove vai?»
Si voltò a fronteggiare Robin, che gli si avvicinava con le sopracciglia aggrottate: «C'è una cosa che devo fare, prima di partire.»
Locksley sospirò piano: «Senti, ve l'ho già detto, nessuno deve sentirsi obbligato a venire. Se preferisci restare-»
«Non sto scappando!» s'irritò Allan, vagamente offeso «Devo solo vedere una persona!»
«Non puoi rimandare?» domandò Robin in tono conciliante. «Siamo quasi pronti per partire.»
«No, non posso.» tagliò corto l'altro. «Senti, non ci metterò molto. Ci vediamo tra due ore all'incrocio della strada maestra.»
«E va bene» concesse Robin. «Ma fa' in fretta.»
Il biondo annuì e si voltò, incamminandosi spedito verso i margini della foresta.
 
 
Pressi della foresta, casa di Erin, II giorno, poco più tardi.
Erin gettò un miscuglio di erbe medicamentose in un paiolo di acqua messa a bollire lentamente sul piccolo focolaio. Mentre si ripuliva le mani con un gesto automatico, pensò alla bambina che era andata a visitare quella mattina presto. La piccola non stava bene, per niente; ma non aveva avuto il cuore di dare la notizia ai genitori, non finché non avesse provato su di lei tutti i rimedi che conosceva. Sedette al tavolo, meditando cupamente sulla situazione: il malanno in sé non era grave, ma l'organismo sembrava troppo patito, provato com'era dalla fame e dagli stenti, per combattere adeguatamente la malattia ed Erin temeva che nessuna delle sue arti mediche potesse salvare la bambina.
A riscuoterla dai suoi pensieri furono dei colpi alla porta, forti e rapidi, come se la persona fuori dalla casa fosse impaziente o di fretta; temendo qualche brutta notizia, Erin si accostò all'uscio, domandando: «Chi è?»
«Sono Allan.»
Pur colta di sorpresa, si affrettò ad aprire la porta, trovandoselo davanti con una gran borsa a tracolla e la spada allacciata in vita; nonostante la perplessità di vederlo così attrezzato, nascose il tutto dietro un sorriso cortese: «Ciao. Come mai qui?»
Il biondo si guardò intorno, come se temesse di essere osservato: «Posso entrare?»
«Certo.»
Oltrepassata la soglia, Allan si chiuse la porta alle spalle; ci fu un breve silenzio imbarazzato prima che il biondo si decidesse a parlare: «Come stai?»
«Bene, grazie. C'è una mia piccola paziente che non sta molto bene, ma sto facendo del mio meglio. E tu?»
Egli esitò prima di risponderle: si era recato da lei con l'intenzione di chiederle se le andava di accompagnarli a Londra – una guaritrice fa sempre comodo, si era detto strada facendo, e in ogni caso sarebbe stata più utile di quell'irritante ragazzina – ma ora non era più sicuro che fosse una buona idea. Erin aveva del lavoro da fare lì, una bambina da curare a quanto diceva, e non era il caso di trascinarla fino alla capitale per un capriccio. La sua compagnia gli avrebbe fatto indubbiamente piacere, ma il suo prendersi cura della gente di Nottingham era più importante che mai, ora che la banda si metteva in viaggio. Perciò strinse un istante le labbra, per poi esibire il sorriso più disinvolto che gli riuscì: «Io sto bene, anzi, benissimo. Mi aspetta una missione emozionante. Partiamo per Londra.»
«Per Londra?» ripeté Erin, perplessa. «E quando?»
«Tra poco. Anzi, devo sbrigarmi. Sono passato solo... Solo per darti la notizia e per chiederti di prenderti cura della gente di Nottingham, mentre non ci siamo. Anche se so che lo farai in ogni caso.»
«Certo, ma...» Erin esitò, ancora non del tutto certa di aver capito bene «Perché andare fino a Londra? È qualcosa che riguarda il Re, o...?»
«Non esattamente» rispose Allan, evasivo; sebbene si fidasse ciecamente di lei, Robin non avrebbe apprezzato che rivelasse i segreti della banda ad una persona che non ne faceva parte.
«D'accordo, hai ragione, non puoi dirmelo.» capitolò Erin «Sai quando tornerete?»
«Non prima di aver concluso la missione. Non sappiamo quanto ci vorrà.»
«Capisco» commentò Erin. «Be', buona fortuna a tutti, allora. Fa' attenzione, d'accordo?»
«D'accordo» sorrise il biondo, indietreggiando verso la porta. «Ora è meglio che vada. Verrò a trovarti non appena saremo tornati. Nel frattempo, abbi cura di te.»
Lei annuì e Allan le fece un vago cenno col capo prima di oltrepassare la soglia e chiudersi la porta alle spalle; Erin la sprangò e si avvicinò alla finestra, seguendolo con lo sguardo mentre si avviava verso gli alberi a passo di marcia.





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Bentornati!
I nostri fuorilegge sono finalmente in marcia verso Londra, in missione per salvare il cugino del re.
In questa parte che avete letto (scritta da me e da Darma) avete incontrato il terzo personaggio originale del nostro gdr che sarà anche in questa storia.
ERIN. Un pg un po' più complesso da descrivere. Figlia del signore di Tintagel, fedele a re Enrico e rivale del successore Riccardo, da quest'ultimo è stato fatto uccidere una volta salito sul trono. Il Lord era stato proclamato "nemico del regno" e la sua famiglia con esso. Erin è quindi fuggita e da allora tiene nascosta la sua identità. A Nottingham lavora come guaritrice; è una donna molto riflessiva, diffidente ed indipendente che ha fatto l'errore di innamorarsi di Gisborne. La relazione con Allan non ha mai avuto una vera svolta, entrambi si sono girati silenziosamente attorno senza che nessuno rivelasse i propri sentimenti (che sono stati comunque molto profondi e radicati).
Vabbé... possiamo accontentarci di questo super-riassunto su Lady Erin.

Grazie a lettori e commentatori! Fateci sapere che ne pensate!
Darma, Eleu, Lau


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Capitolo 3
*** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 3 ***



 CAPITOLO 1 – NOI ANDIAMO A LONDRA
PARTE 3



 

 

Dintorni di Nottingham, strada maestra, II giorno, mattina inoltrata
«Allora, si può sapere perché ci siamo fermati?» strepitò Cathy. Erano in marcia da poco, e lei non aveva chiuso bocca nemmeno per un secondo. Non si stava divertendo molto, però. Jamie le rispondeva, ma tutti gli altri non le davano minimamente retta. Much si era addirittura ficcato dei pezzi di stoffa nelle orecchie e Cathy iniziava a sentirsi offesa. Cosa stava facendo di così male?
E poi, si erano fermati all’improvviso. Così, in mezzo alla strada. E per giunta, nessuno le rispondeva.
«Mi volete dire perché siamo qua?!» gridò più forte.
«Stiamo aspettando Allan» disse finalmente Robin. «Doveva raggiungerci qui, a quest’ora».
«E ancora non si vede. Chissà come mai» borbottò Much tra sé e sé con aria infastidita. Cathy iniziava a capire.
«Dici che si farà vivo?» sussurrò a Jamie, accanto a lei. Il ragazzo le rispose con una strana smorfia. In effetti erano lì già da qualche minuto.
Cathy sbuffò, era stufa di aspettare. Che diamine aveva da fare, di così importante, quel nasone? Non è che aveva preferito filarsela a gambe levate? Il pensiero di Allan che si dava alla fuga la fece sogghignare, ma iniziava anche ad essere preoccupata. Se si fermavano, non sarebbero arrivati a Londra in tempo. Dovevano proseguire.
«Non possiamo aspettare ancora tanto» disse Will, come se le avesse letto nel pensiero.
Robin sospirò. «Hai ragione. Credo che dovremmo riprendere la marcia».
In quel momento, Jamie prese per mano Cathy, e la ragazzina smise di preoccuparsi per il viaggio e di ridere per la fuga del nasone. Guardò Jamie di sottecchi, sorridendo e camminando insieme a lui.
Proprio allora le sembrò di vedere qualcosa, in fondo alla stradina che riusciva appena a scorgere al di là delle spalle di Jamie. Era qualcuno che si avvicinava di corsa.
«Oddio Jamie, che diavolo è?» disse Cathy, piena di sgomento.
Jamie si voltò.
«Chi vuoi che sia?» le disse dopo un istante. «Robin!» gridò poi rivolgendosi al loro capo «Aspetta un secondo, Allan sta arrivando».
Poco dopo Allan era lì con loro, stravolto e senza fiato.
«Pensavate che non sarei tornato, eh?» esclamò con un sorriso vagamente nervoso, appoggiandosi alle ginocchia per riposarsi un attimo. Sembrò restare un po’ deluso quando incontrò una serie di sguardi accusatori puntati su di lui. «Che c’è?!»
«Be’, sei un po’ in ritardo» disse Djaq, finalmente. «Ma l’importante è che adesso sei arrivato».
Allan le sorrise. «Non per fare lo spiritoso, ma non mi perderei un viaggetto a Londra per niente al mondo!»
Cathy sbuffò sonoramente, piena di impazienza. «Possiamo muoverci, adesso?»
«Cathy, cammineremo per giorni, stai tranquilla» rispose Jamie, riprendendole la mano con un sospiro.
«Oh, ma non è per quello!» ribatté lei «È che non vedo proprio l’ora di presentarvi questo tizio che conosco. È straordinario. Abbiamo lavorato insiem-»
«Ah, sì? Quanto straordinario, esattamente?» chiese Jamie con una nota di panico nella voce. Allan, ascoltando distrattamente la conversazione dei due, ridacchiò divertito. Come una pugnalata, lo colpì a tradimento il pensiero di Erin, da sola nella sua casa. Sentì forte il rimorso di averla lasciata lì, con la notizia della sua partenza data con così poco preavviso. Chissà cos’aveva pensato.
«Allora, straordinario dici, eh? Dimmi, ha mai sconfitto da solo un’orda di topi mannari, disarmato e con uno scoiattolo?»
«Non lo so, glielo chiederò quando lo vedremo, va bene?»
Quando il gruppo si fu allontanato, qualcuno si mosse nei cespugli, si inoltrò nel bosco con cautela e prese a correre a perdifiato verso la città di Nottingham. 


Castello di Nottingham, ufficio dello Sceriffo, II giorno, pomeriggio
«Sei sicuro di ciò che hai visto?»
«Ne sono certo, ve lo giuro! Erano sulla strada maestra».
«Li hai sentiti dire qualcosa, qualunque cosa?»
«Non ricordo bene…»
Lo sguardo di Guy di Gisborne lo congelò lì dov’era, in piedi davanti allo scranno dello sceriffo. La spia di Gisborne sussultò.
«Ehm, fatemi pensare. Ah sì… ecco, hanno detto che andavano a Londra».
Lo sceriffo si alzò di scatto. «C’è altro?»
«No, no signore».
«Bene, sei congedato».
Non appena l’uomo uscì dalla porta, piccolo e pieno di paura, lo sceriffo emise un urlo colmo di frustrazione.
«A Londra! Non è possibile! Noi programmiamo una congiura a Londra e dov’è che vanno, Robin Hood e la sua banda? A Londra!»
«Potrebbe non essere per forza a causa del complotto» intervenne Gisborne.
«Ma certo che è per il complotto, razza di idiota! Per cosa altrimenti? Dubito che vadano a una cena di famiglia!» sbraitò lo sceriffo. Gisborne tacque, osservandolo di sbieco.
«I congiurati dovranno subito esserne informati. E tu, partirai il prima possibile per Londra» continuò lo sceriffo, camminando nervosamente su e giù per la stanza. Si fermò, voltandosi verso Gisborne. «Che ci fai lì impalato? Sbrigati!»
Gisborne soffocò un sospiro infastidito e uscì dalla stanza, lasciandosi dietro alle spalle i borbottii inviperiti di Vasey. Non tollerava facilmente i modi dello sceriffo, ma riteneva anche lui necessario partire immediatamente. Per quanto innocui che potessero sembrare a prima avviso, Locksley e la sua banda riuscivano sempre a distruggere tutto quello che lo sceriffo architettava.
«Questa volta, no» sussurrò tra sé e sé.
 
 
Knighton Hall, casa di Marian, II giorno, tardo pomeriggio.
Erin entrò in casa, salutando Marian. Il padre della ragazza stava poco bene e lei era lì per curarlo.
Tuttavia, mentre lo visitava, si trovò ad osservare più volte Marian: sembrava molto turbata, nonostante il padre avesse solo un leggero malore. No, appariva sconvolta, profondamente. C’era qualcosa che non andava. Erin si ripromise di non intromettersi, com’era giusto che fosse, ma non riusciva a sentirsi completamente tranquilla. Poco prima aveva visto la sagoma di un uomo a cavallo allontanarsi in fretta dalla casa di Marian. Per quanto fosse ormai l’imbrunire, aveva riconosciuto distintamente Guy di Gisborne. Era abbastanza sicura che il malessere di Marian avesse a che fare con lui.
Quando ebbe terminato la visita, Erin scese le scale insieme a Marian, parlando sottovoce dei rimedi più efficaci per i frequenti malori del padre. Una volta arrivata all’uscio, però, Marian la fermò trattenendola per un braccio.
«Erin, ascolta, devo parlarti» disse. Erin colse chiaramente l’ansia nelle parole di Marian.
«Non si tratta di mio padre» proseguì la donna «È Robin».
Erin si allarmò. Marian non doveva sapere che Allan l’aveva informata della loro partenza. Doveva fingere di esserne all’oscuro. «Che succede?»
«Lui e la banda sono partiti per Londra. Devono sventare un complotto. Ma la cosa peggiore è… che è stato Guy a dirmelo. Lui e lo sceriffo lo sanno. È venuto a salutarmi prima di andare, partirà per Londra questa stessa notte. Robin è in trappola, Guy lo raggiungerà in poco tempo».
Erin si sentiva senza fiato. Il cuore le batteva senza tregua nel petto. Poi un dubbio le affiorò alla mente. «Perché… perché mi dite queste cose, Marian?»
«Io non posso lasciare mio padre… e se lo sceriffo venisse a sapere che me ne sono andata proprio ora…» rispose l’altra, ed Erin capì.
«Tu vorresti che io…»
«Tu conosci Robin e la banda, li hai aiutati in tante altre occasioni. Ti prego, devi partire. Devi dirglielo. Non hanno scampo, se qualcuno non riesce ad avvisarli in tempo. E io… non posso restare qui ad aspettare che vengano catturati o… peggio».
L’angoscia nel cuore di Marian era palpabile, ed Erin riconobbe dentro di sé una violenta stilettata di paura. Anche lei non poteva starsene al sicuro, chiusa in casa, aspettando che Robin e gli altri cadessero in trappola. Le venne in mente Allan. Era addirittura venuto a salutarla prima di andarsene.
«Lo farò» disse a Marian «Partirò immediatamente. Forse riuscirò ad ottenere qualche ora di vantaggio su Gisborne».
Marian annuì «Prendi uno dei nostri cavalli. Non seguire la strada principale. Quella a ovest è più veloce, anche se meno frequentata. Se Guy parte con le sue guardie non riuscirà a percorrerla, è troppo stretta. Ma tu da sola ci riuscirai, e guadagnerai tempo».
Erin sollevò il cappuccio del mantello e fece per uscire.
«Aspetta» disse Marian «Di’ a Robin che…»
Fece una pausa.
«No, lascia perdere» concluse infine «Lui lo sa».
 
Recuperate poche essenziali provviste da casa, Erin montò a cavallo. Lo spronò verso la strada ovest, la più veloce e pericolosa. Sentiva contro di sé il metallo liscio e freddo del pugnale, nascosto nella cintura. Ricordava ancora il dolore dei lividi che l’uomo che aveva tentato di rapirla le aveva lasciato. Ricordava Allan, che l’aveva liberata e sembrava pronto a uccidere quell’uomo, per lei. Sentendosi il cuore pesante, Erin strinse più forte le briglie del cavallo e intraprese a tutta velocità la strada ovest.


 

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Pressi di Leicester, strada maestra, II giorno, tardo pomeriggio
«Una vanga?»
«No.»
«Un rastrello?»
«Assolutamente.»
«Un secchio?»
«Sei lontanissimo.»
Erano tre minuti pieni che Cathy rispondeva negativamente ad ogni proposta di Jamie.
«Una capra?»
«E da quando in qua una capra è un oggetto per la cura del cortile?» domandò Allan che non voleva lasciarsi sfuggire alcuna occasione per sottolineare le idiozie del compagno.
«Da quando ho finito tutte le altre possibili risposte» commentò l’altro svilito, mentre si consolava dando una carezza allo scoiattolo posato sulla sua spalla.
«Secondo me è la corda del pozzo» disse Much.
«Ti ha già detto di no. Un aiutino?»
La ragazza ci pensò su qualche istante poggiando l’indice sulle labbra e alzando lo sguardo al cielo. Camminavano da diverse ore, ormai l’aria s’era fatta fresca e il sole stava finendo di tramontare all’orizzonte, ma Robin aveva insistito perché continuassero a procedere ancora per un pezzetto prima di accamparsi, nonostante la stanchezza si stesse facendo sentire. Ad un certo punto del viaggio la ragazzina aveva proposto a tutti di distrarsi e ravvivare la marcia – il capobanda e il nasone erano così pensierosi – facendo uno degli stupefacenti giochi a cui lei era abituata durante i suoi numerosi spostamenti fra un villaggio e l’altro quando era ancora col gruppo di artisti nomadi. Jamie era pressoché l’unico a partecipare, ma ogni tanto anche gli altri davano il loro parere, avendo cura di continuare a fingersi disinteressati.
«Ultimo aiutino: può essere dipinto di rosso.»
Ci furono diversi sbuffi da parte di tutti, ma Cathy si impose di non farci caso.
«Anche la mia faccia può essere rossa se le pitturo. Che aiutino è?» esclamò Allan.
Per l’ennesima volta quel giorno, la giovane si trattenne dal lanciare una frecciatina a quello sbruffone sul fatto che lei avrebbe potuto personalmente aiutarlo a fargli diventare rossa la faccia. Per il bene della missione, si disse, era meglio non far rissa tra di loro prima ancora di arrivare a destinazione.
«La corda del pozzo?»
Much tornò all’attacco.
«No» rispose Djaq con un sospiro. «Un recinto?»
«Sbagliato!»
Cathy ci stava prendendo gusto a metterli tutti in difficoltà.
«Un sacco?»
«Non c’entra proprio nulla.»
«Uno stendibiancheria?»
«Vi sbagliate.»
«È la corda del pozzo.»
«NO!»
Un coro violento di voci si riversò sul fuorilegge insistente che sobbalzò. Dopo essersi ripreso dallo spavento strinse i denti, si sentiva estremamente offeso per il modo in cui era perennemente trattato da tutti.
«Va bene. Se è così, allora starò zitto. Non dirò più una parola fino alla fine del viaggio, tanto sembra che il mio parere non sia gradito qui. Da adesso fate come se non ci fossi.»
«Sia lode ad Allah!» sussurrò Djaq.
Will si fermò un istante.
«Che cos’è questo odore?»
I membri della banda bloccarono la marcia e si misero ad annusare l’aria. Si poteva percepire un profumo, non particolarmente intenso poiché probabilmente erano troppo distanti dalla sua fonte.
«È pollo!» esclamò Much, che aveva già finito il suo sciopero silenzioso. «È pollo arrosto!»
I compagni socchiusero gli occhi per inspirare più profondamente. Un paio di stomaci gorgogliarono quando si resero conto che la deduzione dell’amico era corretta. Riuscirono poi a scorgere un edificio in lontananza, sembrava abbastanza grande da poter essere una locanda.
«Padrone, possiamo fermarci?» Robin guardò il suo gruppo scorgendo sette sguardi imploranti che sembravano essere d’accordo con la richiesta.
«Ormai è tardi, non vediamo ad un palmo di naso» osservò Will.
All’udire quella frase, Cathy si voltò istintivamente verso Allan il quale non riusciva mai a capire che cosa avesse sempre da guardare quella tizia. Il capobanda era combattuto: avrebbe preferito continuare a camminare, ma la giornata era stata lunga per i suoi compari come per lui stesso. Un po’ di riposo avrebbe giovato, avrebbe permesso loro di ripartire ricaricati. Un pasto caldo avrebbe fatto inoltre risparmiare le provviste per il resto del viaggio.
«Va bene. Andiamo a vedere se c’è qualcosa da mettere sotto i denti.»
Tutti si avviarono con un passo molto più sostenuto del precedente, come se la nuova meta visibile ai loro occhi avesse dato loro nuove forze.
«Mi mangerei un maiale intero. O una mucca» annunciò Much.
Una punta di dispiacere colpì Cathy: sì, è vero, avrebbero mangiato e si sarebbero riposati, ma nessuno avrebbe più avuto interesse ad indovinare il suo oggetto misterioso.





 

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Rieccoci con un nuovo capitolo di Missione a Londra, stavolta scritto da _Eleuthera_ e laureta1387.
Cathy e Allan la fanno un po' da padroni in questa storia, di fatto sono tra quelli che nel nostro gdr hanno trovato più spazio e la cosa si sta riflettendo anche in questo racconto a sei mani. Se vogliamo dirla tutta, il personaggio-prezzemolo delle nostre avventure è senz'altro Jamie. Leggete una ruolata e lui c'è... o comunque gli altri ne parlano (vero, Will?). Già che si parla del mio raccontafrottole preferito, colgo l'occasione per linkare la fanfiction che ho scritto sulle "origini" di questo personaggio. Parla della sua vita prima della banda e di ciò che l'ha spinto a partire per poi arrivare a Nottingham. Una storia introspettiva-commedia, diciamo, a cui manca solo il capitolo conclusivo. Magari leggendola potreste inquadrare meglio questo OC. Quindi, vi presento: Il ragazzo e lo scoiattolo.

Sempre grazie ai lettori e ai commentatori... per ora LA commentatrice ;)

PS: Noi siamo convinte che lo sceriffo non avesse ragione di essere così certo che Robin stia andando a Londra per rovinare il suo piano... insomma, potrebbero benissimo essere cominciati i saldi da Harrods!
PPS: C'è qualche whovian fra i lettori? Avete colto la citazione? ;)

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Capitolo 4
*** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 4 ***



 CAPITOLO 1 – NOI ANDIAMO A LONDRA
PARTE 4




Locanda, strada maestra, II giorno, sera
«Aaaaaah, finalmente!»
Much si accarezzò lo stomaco con aria soddisfatta, appoggiandosi al muro alle sue spalle mentre sorrideva al resto della banda, seduta insieme a lui intorno ad un rozzo tavolo di legno su cui troneggiavano numerosi piatti vuoti e altrettanti boccali più o meno colmi.
«Padrone, lasciatevelo dire: fermarsi qui è stata un'ottima idea.»
Robin annuì distrattamente, la mente che calcolava rapida quanto tempo sarebbe loro servito per raggiungere Londra: ogni istante era prezioso e poteva fare la differenza tra la riuscita della missione e la morte di Edgardo.
Vedendolo immerso nei propri pensieri, Little John poggiò i gomiti sulla tavola, chinandosi verso di lui: «Robin!»
L'interpellato si riscosse di colpo, guardando un attimo John prima di girare lo sguardo sull'intera banda.
 «Bene. Ora che abbiamo mangiato, ci conviene andare a riposarci. Domattina ripartiremo appena spunta il sole.»
A quella notizia, Allan sbuffò e Much emise un gemito di protesta: «Padrone, no... Perché all'alba? E' troppo presto!»
«Much, se non ci sbrighiamo non arriveremo a Londra in tempo.»
«Se solo avessimo dei cavalli...» mormorò Djaq. «Riusciremmo ad arrivare prima ed avremmo più tempo per raccogliere informazioni ed organizzarci.»
«Be', questa è una locanda» s'intromise Allan a bassa voce. «Un luogo di passaggio, intendo. Non dovrebbe essere difficile procurarsi cavalli per tutti...»
«Non abbiamo il denaro per comprare otto cavalli» gli fece notare Little John.
«Ho forse usato la parola "comprare"?»
«E che vorresti fare? Rubarli?» sibilò Will.
Il tono del giovane carpentiere spinse il biondo a voltarsi verso di lui: «Senti, dobbiamo andare a Londra, giusto? E dobbiamo arrivarci il più in fretta possibile. A cavallo impiegheremmo la metà del tempo. E comunque, credo che la nostra missione sia abbastanza importante da meritarsi qualche sacrificio!»
«Qualche sacrificio!?» ripeté Will, indignato.
«Non ruberemo niente a nessuno» intervenne Robin, interrompendo quella discussione che, benché si fosse svolta a voce bassissima, aveva tutta l'aria di poter degenerare in un litigio. «Credo che nessuna delle persone che alloggiano qui possa permettersi di essere derubata del suo cavallo. Ora andiamo, abbiamo bisogno di recuperare le forze per affrontare la tappa di domani.»
Allan sbuffò, distogliendo lo sguardo e alzandosi insieme agli altri. Era ancora del parere che camminare fino a Londra fosse una mezza follia e che i cavalli fossero più che necessari.
 
 
Esterno della locanda, strada maestra, II giorno, notte
Robin non riusciva a dormire. Sapeva di aver bisogno di riposare, ma non riusciva a prendere sonno. Il pensiero che potessero non arrivare in tempo, o che qualcosa potesse rallentarli lo angustiava. Djaq aveva ragione, se avessero potuto procurarsi dei cavalli sarebbe stato tutto più semplice, ma non poteva accettare l'idea di rubarli a ignari viaggiatori che, con ogni probabilità, non potevano permettersi di perdere le loro cavalcature.
Continuò a camminare intorno alla locanda senza realmente badare a dove metteva i piedi, sforzandosi di trovare una soluzione, anche solo un compromesso accettabile.
«E potrebbero arrivare in qualsiasi momento?»
«Già. Non si sa mai quando potrebbe arrivare un inviato dello sceriffo di Nottingham con una missiva da consegnare al più presto. Per questo teniamo sempre pronti gli animali più robusti e veloci.»
Robin oltrepassò la stalla senza badare alla conversazione dei due stallieri, ma si bloccò di colpo quando sentì uno dei due esclamare con tono curioso: «Lo Sceriffo deve avere un sacco di affari importanti in tutta l'Inghilterra, per tenere sempre pronti tutti questi cavalli così lontani da Nottingham.»
Robin si acquattò nell'ombra, avvicinandosi lentamente alla porta aperta della stalla, attraverso le quali poteva intravedere i due uomini, posizionati uno di fronte all'altro accanto a quelli che dovevano essere i cavalli per i messaggeri dello sceriffo.
«Non ne ho idea. Tutto quello che devi fare tu è restare sveglio nel caso occorresse consegnare uno degli animali. Il messaggero ti mostrerà il sigillo e tu gli darai il cavallo.»
«Va bene.»
«Buonanotte, allora» disse uno dei due uomini, per poi uscire dalla stalla; Robin si ritrasse nell'ombra per evitare di essere visto, mentre un sorriso vittorioso si faceva strada sul suo viso. Appena fu certo che lo stalliere si fosse allontanato, si alzò e raggiunse di corsa i compagni.
«Sveglia ragazzi! Ho buone notizie.»
«Che succede adesso?» chiese Djaq, stropicciandosi gli occhi e guardandosi intorno.
«Credo di aver trovato una soluzione al nostro problema. Preparatevi a partire.»


Pressi di Leicester, strada maestra, III giorno, poco prima dell'alba
Otto cavalieri galoppavano in gruppo lungo la strada maestra, rapidi come se temessero di essere inseguiti o come se avessero fretta di raggiungere la loro destinazione.
«Allora, non trovate che con i cavalli sia tutta un'altra storia?» rise Allan, rivolgendosi a nessuno in particolare.
«Decisamente» ammise Djaq, cavalcando appena dietro di lui «Spero solo che quello stalliere non abbia troppi problemi.»
Allan scrollò le spalle: avevano i cavalli e se li erano procurati rubandoli allo sceriffo. L'aver dovuto legare lo stalliere e nasconderlo, privo di sensi, in mezzo al fieno, era un dettaglio trascurabile.

 

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Strada Ovest per Londra, III giorno, mattina.
Erin iniziava a perdere il senso del tempo. Si era fermata lungo la strada, quella notte, più che altro per lasciare che il cavallo si rifocillasse e recuperasse le forze. Lei, d’altro canto, non era riuscita a chiudere occhio. La strada ovest era la più rapida, ma anche la più pericolosa, e aveva paura che qualcuno la sorprendesse nel sonno. Inoltre, temeva che se si fosse riposata troppo a lungo, Gisborne e i suoi avrebbero guadagnato tempo e lei non sarebbe riuscita a raggiungere Robin prima di loro. Aveva l’animo in subbuglio, e passò la notte sveglia.
La stanchezza aveva iniziato a farsi sentire la mattina dopo. Si stava avvicinando al punto in cui la strada ovest si congiungeva a quella maestra, e non poteva fermarsi proprio in quel momento. Doveva andare avanti, adesso più che mai. Presto si sarebbe trovata sullo stesso percorso di Gisborne.
Quella marcia forzata iniziava a spossarla. Non si rendeva più conto delle ore che passavano: sembrava tutto un momento interminabile. Erin cercò di farsi forza e spronò il cavallo: non avrebbe avuto pace finché non avesse raggiunto Robin e la sua banda.
 
 
Pressi di Leicester, strada maestra, III giorno, mezzogiorno.
Quando la sagoma della locanda si profilò sul margine della strada, Gisborne ne fu più che contento. Avevano cavalcato a lungo, con poche pause essenziali, e le bestie erano esauste. Lo sceriffo aveva predisposto una postazione presso la locanda, dove i suoi cavalieri avrebbero potuto lasciare i cavalli stanchi e procurarsi animali freschi e riposati. Era esattamente quello di cui Gisborne e le sue guardie avevano bisogno.
Quando furono di fronte alla locanda, Gisborne smontò dal cavallo e si diresse a grandi passi verso le stalle. In quel momento un uomo, probabilmente il locandiere, uscì di corsa dalla struttura.
«Perdonatemi, signore!» iniziò a balbettare l’uomo, palesemente terrorizzato. «Non abbiamo… non sapevo…»
Gisborne non fece una piega. «Cos’è successo?» chiese soltanto.
«Qualcuno… dei… fuorilegge… i cavalli… ci hanno derubato».
Già alla parola “fuorilegge”, qualcosa era scattato dentro Gisborne. Già, doveva aspettarselo.
«Locksley» sibilò tra i denti. Poi, ignorando l’uomo, proseguì con decisione verso le stalle.
«Ci sono altri cavalli qui?» domandò.
«Sì, due» mormorò timidamente l’uomo, ancora tremante. «Ma… sono i miei. Mi servono per…»
Gisborne si voltò verso di lui. «Allora farete un dono gradito allo sceriffo di Nottingham».
Davanti a loro, le guardie stavano già sellando gli animali.
 
 
Pressi di Luton, strada maestra, III giorno, notte.
Si erano accampati in una radura poco lontana dalla strada maestra. Robin sembrava ancora restio all’idea di fermarsi e riposare, ma Will gli aveva fatto notare che con i cavalli avevano guadagnato moltissima strada e con ogni probabilità sarebbero arrivati a Londra entro il pomeriggio del giorno seguente. Alla fine, Robin aveva acconsentito.
Much aveva immediatamente allestito un fuoco da campo e si era messo a cucinare senza perdere tempo. La cosa che era nella pentola aveva un aspetto strano, ma tutto sommato il sapore era buono.
Allan si era offerto volontario quando avevano organizzato i turni di guardia. Adesso se ne stava seduto su una roccia poco distante, sorvegliando l’accampamento. Allan sorrise: quella era una posizione privilegiata. Da lì non gli sfuggiva niente di ciò che gli altri componenti della banda facevano. Per un po’ trovò divertente osservare Jamie che cercava di dormire – senza riuscirci, perché Cathy non ne voleva sapere di stare zitta e addormentarsi. Dopo qualche minuto, però, una strana sorta di malinconia iniziò a strisciare dentro di lui. Non era per osservare gli altri che si era proposto di guardia, era perché sapeva che non ce l'avrebbe fatta ad addormentarsi tranquillamente. Era agitato, anche se non riusciva veramente a capire il perché.
Lanciò uno sguardo all’accampamento improvvisato. Sotto un albero, Djaq dormiva di già, avvolta in una coperta. Will era poco distante, ma era palese agli occhi di Allan come si fosse casualmente sistemato vicino a lei. Aveva gli occhi chiusi, ma Allan sapeva che non stava dormendo. Si rigirava di continuo, e ogni tanto lanciava uno sguardo alla sagoma di Djaq, addormentata nel buio.
Poi c’erano Jamie e Cathy, un po’ in disparte. Jamie aveva voltato le spalle a Cathy, in un disperato tentativo di riuscire ad addormentarsi. Sembrava che la ragazzina avesse deciso di desistere dalle sue chiacchiere, e stesse provando anche lei a dormire. Ad un certo punto, però, Allan vide Jamie voltarsi di nuovo verso Cathy e darle un bacio. Sorpresa, la ragazzina aveva sorriso ridacchiando, prima di baciarlo di nuovo.
Allan distolse lo sguardo. Possibile che tutti, lì dentro, fossero innamorati? Will aveva già ammesso di essere interessato a Djaq, Jamie e Cathy si beccavano di continuo quasi solo per il gusto di fare pace, Robin aveva uno straordinario successo praticamente con tutte le donne che gli capitavano a tiro, e John aveva una famiglia. Anche Much, si ricordò, aveva avuto una storia di qualche sorta, anche se nessuno aveva indagato. E lui? Improvvisamente si sentì furioso. Volse le spalle all’accampamento, rivolgendo lo sguardo verso la strada maestra.
Fu svegliato da un violento scossone. Era John, per il turno di guardia successivo.
Si era addormentato.
Si scusò, ancora intontito dal sonno, e andò a coricarsi sbuffando. Non riuscì subito a riaddormentarsi. Gli era rimasta addosso una rabbia feroce, ma non ricordava più per cosa.
 





 

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Capitoletto scritto da Darma ed  _Eleuthera_. Il prossimo sarà breve e sarà l'ultimo prima dell'arrivo a Londra!
Grazie a lettori e commentatori!
Darma, Eleu, Lau 

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Capitolo 5
*** NOI ANDIAMO A LONDRA. Parte 5 ***



 CAPITOLO 1 – NOI ANDIAMO A LONDRA
PARTE 5




Pressi di Walton, strada maestra, IV giorno, primo pomeriggio
«Chiediglielo tu.»
«Scordatelo, l'ho già fatto ieri, è il turno di Denton.»
«E perché mai dovrebbe essere il mio turno?»
«Perché noi gliel'abbiamo già chiesto, stavolta tocca a te.»
«Non ci penso neanche.»
I borbottii delle tre guardie che camminavano alle sue spalle iniziavano ad indispettirlo e Gisborne non era disposto ad avere quel rumore di sottofondo per tutto il resto del viaggio. Arrestò il cavallo e tirò le briglie in modo che volgesse il muso all'indietro in direzione dei soldati appiedati. L'unico che procedeva sull'altro destriero si fermò a sua volta.
«Vogliamo smetterla con tutti questi mormorii? Cosa c'è?»
Gli uomini si misero silenziosamente sull'attenti, si poteva scorgere del timore nei loro occhi.
«Allora?» insistette il capo.
Uno di loro spinse con una spallata Denton che quindi fece un passo avanti e si rese conto che era giunto il momento di rispondere.
«Sir Guy, ci chiedevamo se fosse possibile fare una sosta. Stiamo camminando da ore ormai e avremmo bisogno di riposare.»
«Se siete stanchi fate cambio. Tu, scendi dalla sella e fai salire uno dei tuoi colleghi.»
«Ma, Sir Guy, non ce la facciamo più. Sono giorni che andiamo avanti senza sosta.»
«Abbiamo perso già abbastanza tempo da quando abbiamo dovuto lasciare i vostri cavalli vicino a Daventry.»
Quelle bestie erano sfinite, Guy le aveva fatte correre da Nottingham concedendo loro pochissimo tempo per rifocillarsi e riprendere fiato. Arrivati ad un certo punto non erano più riuscite a proseguire e Gisborne non era stato in grado di trovare nessuna cavalcatura sostitutiva lungo la strada. A quel punto, i tre di loro rimasti senza mezzo di trasporto, erano stati costretti a continuare la marcia sulle loro gambe, organizzando dei turni per l'unico posto a cavallo disponibile oltre a quello del braccio destro dello sceriffo che sentiva di meritare il privilegio di una sella personale su cui spostarsi. Dover procedere a passo d'uomo era una noia sufficiente per Guy e non era propenso a rallentamenti ulteriori.
«Datevi il cambio» disse con una freddezza che non ammetteva repliche. «Ci fermeremo quando saremo vicini a Luton.»
Spronò il cavallo e si rimise in marcia. Le quattro guardie sospirarono. Erano esauste e non avevano idea di quanto fosse lontano il villaggio che avrebbero dovuto raggiungere.


Pressi di Londra, strada maestra, IV giorno, tardo pomeriggio
Un'altra giornata intera di cammino aveva impegnato la banda nel suo viaggio verso Londra. Col passare del tempo il nervosismo di Robin non era diminuito, al contrario era andato crescendo assieme alle miglia che lo separavano da Locksley. Più di qualunque altro dei suoi compagni, egli sentiva il grosso peso della responsabilità che si stavano assumendo. Una manciata di uomini e donne stavano per mettersi contro un'organizzazione infiltrata ad alti livelli dell'aristocrazia inglese. Otto persone, otto fuorilegge, otto ladruncoli e contadini armati di ascia e forconi, come li aveva chiamati Marian. Non che non avesse parzialmente ragione, ma la sua banda era molto più di questo. Probabilmente i suoi compari erano nati contadini, ma poi erano diventati qualcosa di più: avevano lottato e stavano lottando non solo per loro stessi, ma per il bene comune. Robin non avrebbe voluto nessun altra squadra al suo fianco per una missione come quella. Certo, un po' di aiuto aggiuntivo non avrebbe guastato.
Una canzone stonata proveniente dalla bocca di quello che era stato il suo servitore lo scosse dai suoi pensieri. 

«Up to mighty London came
A Nottingham lad one day,
All the streets were paved with gold,
So everyone was gay!
Singing songs of Bedford City,
Luton, and Leicester Town,
'Til Paddy got excited and
He shouted to them there:
It's a long waaaaay to...»
 

«Much!» gli urlò contro Djaq.
«Che c'è?»
«Stai zitto!»
La donna rimpiangeva i giorni a Sherwood quando poteva passare parte della giornata in ricognizione e quindi lontana da quel suo fastidioso compagno d'armi.
«Perché? Perché non posso neppure cantare una canzone?»
«Oh, puoi farlo. Ma solo se non tieni alla tua pellaccia.»
«Ragazzi» chiamò Will, dalla sua sella.
«Non posso fare nulla. Non mi fate mai fare nulla» proseguì Much.
«Se starnazzassi un po' di meno potresti parlare senza problemi» lo apostrofò la compagna.
«Ragazzi» disse un'altra volta il moro senza che nessuno gli desse retta.
«Much zitto qua, Much zitto là. Much zitto in ogni momento.»
«Much, zitto!» alzò la voce Djaq.
«Ragazzi!»
«Esatto, era proprio quello che stavo dicendo. Much deve solo stare zitto.»
«RAGAZZI!» urlò John facendo scattare sull'attenti tutti gli altri. Lo fissarono per un istante e l'omone fece un cenno del capo verso il proseguimento della strada. Sedici occhi guardarono in quella direzione. C'era un grosso cartello vicino a loro. Coloro che sapevano leggere sentirono il cuore accelerare allo scorgere la scritta che vi era sopra. Lo stesso accadde per l'altra parte del gruppo quando si accorsero di cosa si stagliava all'orizzonte: la loro meta era lì, pronta per essere raggiunta; un agglomerato di case a perdita d'occhio, una città più grande di quanto avrebbero mai immaginato. La fissarono increduli, eccitati e spaventati. Il loro stancante viaggio era finalmente volto al termine. Sarebbe iniziata una nuova fase della missione, la parte più rischiosa. Londra li attendeva.






 

 

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Ed eccoci giunti alla conclusione del primo capitolo! Siamo arrivati a Londra, cosa ci riseverà il futuro?
Probabilmente dalla prossima volta posteremo meno spesso o i capitoli saranno più brevi dei precedenti, dato che la scritttura della storia sta rallentando. Ma non temete: Robin e i suoi torneranno in azione il prima possibile!

Grazie a lettori e commentatori!
Darma, Eleu, Lau

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