Love is a losing game

di almeisan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nicole ***
Capitolo 2: *** Bloody scenes of death ***
Capitolo 3: *** Come back home ***
Capitolo 4: *** Into a gory gym ***
Capitolo 5: *** Revealer dream ***
Capitolo 6: *** Innocence ***
Capitolo 7: *** Family ties ***
Capitolo 8: *** Betrayed ***
Capitolo 9: *** Ghost World ***
Capitolo 10: *** Painful Words ***
Capitolo 11: *** Past Memories ***
Capitolo 12: *** Homecoming Dress ***
Capitolo 13: *** To yield just once ***
Capitolo 14: *** Anger ***
Capitolo 15: *** This is the problem: I've already done it ***
Capitolo 16: *** Past never dies ***
Capitolo 17: *** A sweet, fond hope ***
Capitolo 18: *** An amazing world ***
Capitolo 19: *** Only a second best? ***
Capitolo 20: *** Jealousy ***
Capitolo 21: *** Be mine ***
Capitolo 22: *** Family Tales ***
Capitolo 23: *** Between nightmare and memories ***
Capitolo 24: *** Unexpected meeting ***
Capitolo 25: *** Come back to the past ***
Capitolo 26: *** The ball ***
Capitolo 27: *** Daddy issues ***



Capitolo 1
*** Nicole ***


kk
Capitolo 1
Nicole

« Ha un’aria familiare, vero?»
Una bella voce maschile, bassa e lievemente roca, con un accento inglese, attirò l’attenzione delle due donne. La più anziana, dai cortissimi capelli bianchi e dalla pelle scura, si volse in direzione di essa quasi di scatto, lasciandosi sfuggire un sibilo irato. L’altra, una giovane fanciulla che non poteva essere considerata più che ventenne, aggrottò le sopracciglia curate di un biondo dorato, quasi etereo, e gli occhi azzurri le si velarono di preoccupazione. La piccola mano sul cui anulare brillava un anello particolare, dalla montatura importante d’argento come il blasone e il fondo di un blu elettrico, si posò sull’avambraccio di Gloria che le fece subito cenno di tacere.
« Non riesco a credere che esista ancora.»
La giovane trasalì e Gloria annuì in sua direzione. Aveva riconosciuto quella voce anche se l’aveva udita solo una volta in tutta la sua esistenza, e non era stato durante un’occasione piacevole.
« Nicole,» la chiamò Gloria in un sussurro lieve per non destare l’attenzione dei due vampiri, « non venire di là per nessuna ragione. Intesi?» Prima ancora che potesse scorgere il suo timido segno d’assenso, appena accennato con il capo chino,  la strega si era già diretta verso la sala principale  del suo bar, lasciandola nel piccolo studio laterale in cui stavano discutendo prima di venire interrotte da quella voce. Senza sapere a chi appartenesse, Nicole si era ritrovata a tremare come dinanzi alla più temibile delle creature e l’espressione di Gloria aveva confermato i suoi dubbi: l’ibrido originale. Poteva percepire la Natura agitarsi sotto di sé per essere stata sfidata in quel modo da un suo figlio. Ispirò con forza per allontanare quelle sensazioni disagevoli che le stavano percuotendo l’estrema parte del suo animo, il sesto senso, la magia che scorreva nelle sue vene. Percepì appena le parole di Gloria e di colui che sapeva chiamarsi Klaus. Ogni strega che potesse considerarsi tale conosceva quel nome e scuoteva il capo per poi chinarlo dinanzi alla sua potenza invincibile. Nicole non era più coraggiosa di loro, in verità, ma qualcosa la fece scattare ed emergere dal suo nascondiglio improvvisato, forse il tono con cui si era rivolto al compagno che lo seguiva, oppure il fatto di avergli udito dire di aver spezzato la maledizione. Mosse un passo appena percettibile, ma che i due vampiri poterono ascoltare come se fosse stato lo schioppo di un fucile. Klaus si sporse e Nicole lo osservò, stringendosi nelle braccia nude come per proteggersi da quegli occhi antichi, di un azzurro profondo che le sarebbe parso incantevole se non avesse conosciuto l’oscurità del suo animo. L’ibrido le sorrise, affascinante e ammaliatore, ma furono altri occhi che le fecero tremare persino il cuore: due iridi verdi che non aveva bisogno di riguardare per poter ricordare.
« Come ti chiami, cara?» le domandò Klaus con voce divertita, alzandosi e facendole cenno di sedersi al proprio posto. Non gli rispose né diede segno di volerlo fare, ma si avvicinò a Gloria e poggiò una mano candida sulla sua spalla bruna, facendo scontrare anche la diversità dei colori dei propri abiti. Quello della giovane era di un glicine chiaro, con la scollatura a balconcino, e la copriva interamente sino al ginocchio, aderendo perfettamente alle curve poco marcate mentre Gloria era vestita semplicemente da un top e un pantalone scuri.
« Nicole,» sussurrò il vampiro, quasi atterrito, incredulo e sorpreso. Sulle rosate labbra a cuore apparve un sorriso mite e gli zigomi assunsero il loro stesso colore.
« Stefan Salvatore. Non pensavo ti avrei mai più rivisto,» mormorò briosa, dimentica quasi di cosa la circondasse. Non era cambiato. Aveva sempre lo stesso viso raso e glabro, i capelli color della castagne dalle venature rossastre ribelli e gli occhi verdi come delle foglie di quercia. Il vampiro si lasciò sfuggire una breve risata, mostrando la dentatura di un bianco candido, perfetta se non per i suoi canini appuntiti e terribilmente spaventosi, « Per favore, siediti. Ci penso io. Gloria ha la brutta abitudine di nascondere gli alcolici pesanti quando sono indispensabili nelle grandi occasioni in cui qualcuno viene a farci visita,» continuò, avvicinandosi al bancone e cominciando a trafficare tra le bottiglie. Stefan annuì e il sorriso perdurò sul suo volto bellissimo. Tornò al fianco di Klaus che si era nuovamente accomodato e guardava la giovane che gli dava le spalle con le labbra appena distese.
« La tua allieva?» domandò alla strega sardonico. Gloria scosse il capo.
« Nicole è una piccola ragazzina viziata che non si farebbe comandare da nessuno, ma ormai siamo diventate amiche,» aggiunse scoccandole un’occhiata in tralice mentre ritornava con la bottiglia del suo miglior liquore, un rum di ottima annata che custodiva gelosamente. Lo poggiò sul tavolino e si sedette tra Gloria e Klaus, di fronte a Stefan che cominciò a versare il liquido scuro nei bicchieri, abbondando nel suo riempiendolo quasi sino all’orlo.
« Stefan, non mi presenti questa dolce figlia della terra? Sono in grado di percepire la sua energia, è una buona strega. Magari tra una decina d’anni potrebbe anche superarti, eh Gloria?»
« Forse. Ha un grande potenziale, ma non ha disciplina. Nessuno le ha insegnato nulla e certe volte tende ad esagerare,» la riprese quasi con dolcezza mentre Nicole chinava il capo, dandogliene atto.
« Comunque non dovresti aver bisogno della presentazione di Stefan, Klaus,» esclamò tornando a guardarlo negli occhi, quasi sfidandolo con le sue iridi color dell’oceano, venate di un grigio chiaro, plumbeo, che scuriva il suo cielo terso. Si portò un boccolo biondo, color del miele, dietro l’orecchio facendo rifulgere un lungo orecchino di diamanti. L’ibrido sciolse il sorriso e la guardò più attentamente, come per scorgere in lei qualcosa di familiare, non trovandola. Il suo sguardo, poi, si posò sull’anello e nuovo sorriso capitolò sulle sue labbra carnose, belle e perfette.
« Una Gilbert,» esclamò mefistofelico, enfatizzando le ultime lettere del suo cognome, facendola quasi tremare. Annuì senza accorgersene e incrociò per un attimo lo sguardo di Stefan che era divenuto più cupo, triste, spento.
« La Gilbert, mio caro,» puntualizzò Gloria. Nicole deglutì a vuoto poi si lasciò sfuggire una breve risata, forzata, priva di qualsivoglia forma di allegria, che sfiorava l’isteria di quella situazione assurda. Stavano mentendo ad un Originario, non un vampiro qualsiasi, il più crudele e malvagio, folle nella sua brama di potere e distruzione. Sapeva bene che Elena era al sicuro, a Mystic Falls, nella casa in cui era cresciuta e aveva ricevuto l’amore più grande, grazie a lui, al suo sacrificio e all’affetto di un padre che l’aveva sempre guardate da lontano per donar loro un’esistenza migliore, più felice e per nulla legata al meccanismo di morte che era la loro città. Le lacrime rischiarono di ottenebrarle lo sguardo, ma le spinse indietro, con forza e vigore. Pensare a lui era troppo gravoso, malinconico, intriso di quella nostalgia che era compagna della sua disavventura da quando aveva abbandonato la sua città natale. Era morto per salvarla, questo Nicole lo sapeva e lo accettava, seppur dentro di sé il cuore le si stringesse in una morsa tormentosa.
« Ci sono sempre state poche donne nella mia famiglia,» soggiunse atona prima di portarsi il bicchiere alle labbra e inghiottire un generoso sorso di rum. La gola le bruciò, ma le servì per ritrovare la sua compostezza dinanzi a quel particolare duo. Klaus perdurava nell’osservarla. Avrebbe voluto ucciderlo per tutto il male che aveva causato, ma non poteva. Doveva aspettare. Gloria era una delle poche a conoscere il modo per uccidere un Originario, distruggerlo per davvero, non farlo cadere in un torpore momentaneo.
« Sinceramente, non ho mai capito perché indossi quell’anello, Nicole,» affermò Stefan, con voce indecifrabile, che, come lei, si era appena ripreso da quel momento di sconforto. La giovane strega arrossì lievemente e posò lo sguardo carico di affetto e tenerezza sul cimelio della sua famiglia, uno dei tre tramandati da Jonathan Gilbert, « Non è efficace sugl’esseri soprannaturali, non ti riporterebbe in vita se ti dovesse accadere qualcosa.»
« Lo so, Stefan, ma questo gioiello è uno tra i pochi beni che mio padre mi ha lasciato e ora lui è morto. Comprendi che valore possa avere per me?» Il vampiro annuì e nel suo sguardo v’era una leggera richiesta di perdono. Nicole gli sorrise, poi Gloria e Klaus cominciarono a discorrere sull’incantesimo, una strega originaria e una certa Rebekah. Stefan, dopo aver terminato di gustare il suo alcolico, camminava per il locale, pensoso e meditabondo. Era strano aver trovato Nicole Gilbert proprio a Chicago, quasi un segno del Destino che lo voleva far ritornare ad Elena. Come se l’avesse mai abbandonata con la mente, rimuginò tra sé. Una foto, dietro il bancone, attirò la sua attenzione. La prese e sobbalzò nel riconoscere i due soggetti. Sembravano amici, fratelli, e Stefan non riusciva a capacitarsene.
« Che significa?»
I tre si volsero verso di lui all’unisono, attirati dalla sua voce sorpresa, esterrefatta. Mostrò la foto a Klaus, sconvolto da quell’inverosimile situazione che si era appena venuta a creare. Era tutto così confuso nella sua mente, aveva bisogno di una certezza e i suoi occhi saettarono subito verso la giovane strega, dispiaciuta e imbarazzata. Appena si accorse del suo sguardo, Nicole lo osservò, assottigliando il suo per comprendere quali pensieri stessero attraversando lo spirito del vampiro. In realtà, nulla risiedeva nella sua anima che trovò pace in quel breve, insignificante, contatto. I suoi occhi non erano quelli di Elena, dolci e accoglienti. Erano più freddi, distanti, ma al loro interno si celava una storia che nessuno mai aveva avuto l’onere di conoscere a parte lei. Stefan non ne sapeva che pochi dettagli, raccontatigli da Elena durante quei pochi momenti in cui aveva la forza di parlare di quella sorella perduta, scappata di casa a soli sedici anni per andare chissà dove. Non parlava mai del loro passato di bambine e, infatti, era stato Jeremy a dirgli che era stata proprio Elena a soffrire di più quando Nicole non era tornata a casa. Gli aveva solamente raccontato di lei e Tyler Lockwood, di come le aveva spezzato il cuore, e di John, di come fosse legata a lui, l’unica in verità nell’intera famiglia, a parte Grayson.
Avrebbe potuto guardarli per ore, secoli, senza stancarsi, ma non lo fece perché erano altri i compiti che lo attendevano. Si allontanarono in fretta, i due vampiri, entrambi in silenzio, Klaus con un ghigno sulle labbra e Stefan con le sopracciglia aggrottate, lasciando le streghe da sole.
« Questa non ci voleva,» esclamò Gloria quando seppe che erano ormai lontani.
« Perché è venuto qui? Non gli basta essere diventato un abominio in terra? Ora vuole anche crearne altri? No, Gloria, non possiamo permetterlo. La Natura si ribellerà dinanzi a questo scempio,» sbottò la più giovane, issandosi in piedi, incominciando a camminare per il locale, la mano tra i capelli.
« Cosa dovremmo fare, Nicole? È troppo forte. Possiamo sviarlo, certo, ma mai sconfiggerlo. È furbo. Dopo mille anni non si fida di nessuno e vuole troppo questi ibridi. Non lascerà nulla al caso e, se lo tradiamo, sai già quale sarà il nostro destino.»
« Ha ucciso mia sorella, dannazione,» urlò, lasciando che lacrime nere di mascara sciolto le rigassero le guance pallide. Un singhiozzo fuoruscì dalle sue labbra che tremarono per quel pianto nascente, « L’ha sacrificata su un altare di fuoco come una bestia da macello. Ha ucciso mia zia ed è stata la ragione per cui è morto mio padre. Non gli permetterò di fare ancora del male.» Gloria si era alzata e le aveva poggiato le mani sulle braccia per farla calmare, guardandola con i suoi grandi occhi scuri, pieni di saggezza e moderazione.
« Non puoi far nulla, Nicole, non da sola perlomeno. Adesso calmati,» aggiunse volgendo il capo verso l’entrata. Poche voci soffuse, allegre, giovanili, si stavano progressivamente avvicinando, « Se non vuoi servire ai tavoli, prenditi una pausa e continua a cercare tra i grimori, ma fa’ attenzione e ricordati delle mie parole,» le raccomandò, scrutandola con severità. La giovane annuì più volte, più per rassicurare se stessa che l’amica,  poi si liberò dalla sua presa e avanzò verso lo studio, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo. Si lasciò cadere contro di essa e rimase sul pavimento gelido per pochi istanti, la mente governata da pensieri troppo martellanti e differenti per essere captati totalmente. Non avrebbe mai potuto sconfiggere Klaus da sola, questo era più che vero, ma aveva scorto un barlume di speranza quando aveva rivisto Stefan. I Salvatore. Suo padre gliene aveva parlato ampliamente, e anche Katherine, con toni diversi e diametralmente opposti. John li odiava per quello che provavano nei confronti di Elena perché avrebbero potuto farla soffrire a causa della loro natura, ma Katherine le aveva raccontano, a grandi linee, la loro storia. Certamente tutto ciò che la vampira diceva poteva essere creduto solo in piccola parte, però Nicole lo aveva fatto abbastanza da fidarsi di Stefan e sperava di non pentirsene. Si alzò, poggiandosi al muro dietro di lei, e si guardò intorno. I grimori antichi, alcuni anche secolari, custoditi gelosamente, come reliquie di santi pagani, da Gloria, erano sparsi sulla scrivania di noce al centro della piccola stanza quadrata illuminata dal bel tramonto di Chicago, unico e indescrivibile. Aveva cercato per tutta la mattina, rovistato per meglio dire, tra i tomi impolverati per cercare l’incantesimo, venendo, poi, scoperta da Gloria e rimproverata come una bambina. Arrossì lievemente e scosse il capo per quel pensiero, dandosi mentalmente della sciocca.  Non voleva tradire la fiducia di quella che era divenuta un’amica sincera e non l’avrebbe fatto. Cominciò a impilare i grimori per riporli nel perfetto ordine in cui li aveva trovati nella libreria oramai semivuota, cercando di non udire le voci oniriche delle streghe che li avevano scritti. Dopo che ebbe terminato, il Sole aveva lasciato il posto alla Luna nel terso cielo della terza più grande città americana. L’ibrido e Stefan dovevano essere tornati da Gloria con ciò che le serviva. Prese un respiro profondo e uscì a grandi passi dallo studio. Due uomini al bancone attirarono immediatamente il suo sguardo e inclinò il capo, sorpresa di trovare il secondo. Damon Salvatore era un mistero per lei. Pur sapendo che Katherine aveva un rapporto con entrambi, non aveva smesso di amarla per 145 anni, cercando un modo di salvarla senza sosta, poi si era innamorato di Elena, della sua sorellina così diversa dalla quella vampira crudele capace solo di distruggere. Aveva trasformato sua madre in una vampira, ma Elena continuava a volergli bene, come se fosse stato il suo migliore amico.
« Che posso dire? Amo il brivido.»
Nicole trattenne a stento un sorrisetto divertito dalla situazione paradossale, poi un’idea improvvisa le attraversò la mente. Stefan non era nel locale. Magari Elena poteva essere con lui, magari quello poteva essere un diversivo per permettere che i due innamorati si incontrassero nuovamente. Il cuore accelerò i propri battiti e un sorriso aperto, di autentica felicità, le si distese sulle labbra. Si precipitò verso l’uscita, poi verso il parcheggio. La vide subito. Bella nel suo corto abito viola fermato sotto il seno da un’elegante fascia nera, Elena era stretta nell’abbraccio vissuto con Stefan. Aveva gli occhi chiusi e sulle sue labbra brillava un piccolo sorriso, tenero, dolce, che le fece sorridere di rimando fino a quando non si accorse della siringa nella sua mano. Aggrottò le sopracciglia e schiuse le labbra, incredula ancor di più quando vide Stefan stringerle il polso con rabbia. Mosse un passo verso di loro per intervenire, ma si bloccò per ascoltare le sue parole intrise di una potenza distruttiva troppo forte per essere nata dal vampiro calmo di cui le avevano raccontato. 
« Quanto più chiaro posso essere? Non voglio tornare a casa!»
Puro dolore, non causato dalla pressione del vampiro, ma dalle sue parole, ottenebrò lo sguardo di Elena che si rivolse dinanzi a sé sino ad incontrare il suo.
« Nicole,» la chiamò, incerta, con voce tremante, totalmente dimentica di Stefan, del mondo circostante.
« Ciao, Elena,» mormorò la sorella con un sorriso timido, sfiorandosi l’avambraccio, per non portarsi le braccia al petto in posizione di difesa, e avanzando verso la coppia. Elena l’osservò attentamente. Aveva i capelli più corti che le arrivavano sulle spalle strette dello stesso colore della Luna sopra di loro, per il resto era come se la ricordava dall’ultima, spiacevole, volta in cui si erano incontrate, in occasione del funerale di John e Jenna, la mattina dopo il sacrificio. Non si erano scambiate una sola parola, ma si erano osservate a lungo, Elena troppo afflitta per avere la forza di accoglierla e Nicole non avente il desiderio di riprendere un bel niente tra di loro, « Non dovresti essere qui, lo sai,» aggiunse, sciogliendo il sorriso e volgendo il capo verso il bar, come per richiamarle alla memoria l’ibrido.
« Sono venuta per Stefan, per riportarlo a Mystic Falls, a casa,» esclamò con gli occhi velati di lacrime. La ragazza annuì, comprendendo quanto grande fosse il suo desiderio.
« Non voglio più vederti, Elena,» affermò Stefan collerico, imprimendo una potenza dirompente nelle due frasi successive, « Non voglio più stare con te. Voglio solo che tu te ne vada,» aggiunse ai limiti della malvagità prima volgerle le spalle e lasciarla lì, inerme e ferita. Nicole abbassò il capo per non vedere le sue lacrime sino a quando non sentì la portiera della macchina chiudersi di scatto con un tonfo che risuonò nel parcheggio silenzioso. Era sconvolta e avrebbe dovuto parlarle, consolarla per ciò che le era accaduto, in fondo erano pur sempre sorelle, ma una forza esterna la stava bloccando sul posto. Probabilmente Elena l’avrebbe mandata via se avesse cercato di avvicinarsi a lei, e a ragione. Era finiti i tempi in cui avevano un rapporto profondo. Udì dei passi per il parcheggio e volse il capo verso il vampiro dagli occhi di ghiaccio. Per quanto fosse assurdo quel pensiero, Nicole sentì che sua sorella era ormai al sicuro. Damon la guardò per un solo istante, non meravigliato di trovarla lì, poi avanzò verso l’auto. Nicole tornò dentro e incontrò subito lo sguardo di Gloria: tutto doveva ancora incominciare.

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Salve a tutte. Primo tentativo di scrivere una long fic su The vampire Diaries. Questa storia è stata al centro dei miei pensieri per settimane prima che decidessi di scriverla per davvero. È una Klaus/Nuovo personaggio, ovvero Nicole Gilbert, anche se non mancheranno le altre coppie, prevalentemente il mio nuovo OTP, la coppia più assurda del mondo, ma che mi ha colpito, Jeremy/Rebekah, poi il triangolo fatale Damon/Elena/Stefan, l’amato Forwood e altre.
Il personaggio di Nicole è particolare, non molto semplice da comprendere, anzi alle volte può risultare antipatico e incomprensibile, ma questo verrà spiegato più avanti. Somiglia moltissimo fisicamente a Taylor Momsen, Jenny Humphrey in Gossip Girl. Alcuni dialoghi, quelli in corsivo, sono ripresi dalla puntata. Spero che la storia possa piacervi perché a me piace davvero molto scriverla. Un saluto, alla prossima, almeisan_ 

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Capitolo 2
*** Bloody scenes of death ***


mmmmm
Capitolo 2
Bloody scenes of death

Il suono della sveglia squillante la scosse da quello stato di torpore della dormiveglia, ridestandola del tutto e spingendola ad affrontare quella che sarebbe stata una lunga giornata. Non era mai stata molto mattiniera, Nicole, infatti non si era mai realmente addormentata quella notte, intenta a rimuginare su sua sorella, sul suo bizzarro quanto spaventoso destino, degno di un horror crudele, e sulla sua determinazione nel voler salvare il suo amato Stefan. Poteva comprenderla poiché il suo era un vampiro diverso dagli altri, aveva un cuore nobile e uno sguardo rassicurante, che avrebbe potuto mettere a tacere qualsiasi dubbio sulla sua natura. Poi era arrivato Klaus e aveva distrutto tutto il suo mondo, annientando ogni certezza e portandole via ogni bene. Gloria le aveva detto la sera prima che dovevano essere scaltre e non fargli intendere di volerlo ingannare, ma Nicole non sapeva se ne aveva la forza. L’impulso di ferirlo, non mortalmente, sarebbe stato semplicemente impossibile per una strega giovane come lo era lei, predominava nel suo animo, distruggendo quel poco autocontrollo che possedeva. Se avesse agito però, le aveva ricordato la strega, sua sorella sarebbe stata nuovamente in pericolo e non poteva permetterlo. Elena era troppo preziosa, buona, gentile e onesta per meritare di essere braccata ancora.
I raggi del Sole, oramai alto e meravigliosamente luminoso, filtravano attraverso la finestra della sua stanza, quella che le aveva donato Gloria per il suo soggiorno dopo che Richmond era diventata troppo solitaria per lei da quando John non c’era più. Si alzò, scostando bruscamente le coperte azzurrine. Si era ripromessa di non pensare a nulla che non fosse il piano contro Klaus e ci sarebbe dovuta riuscire. Era necessario mantenere la concentrazione alta e scattante altrimenti sarebbero morte entrambe. Si lavò e si vestì velocemente con un semplice top bianco e un paio di jeans scuri, poi si diresse verso la sala principale del locale, scendendo le scale del piano superiore. Trovò Gloria al bancone, intenta a spolverarlo con un panno bianco.
« Ben svegliata, cara,» mormorò la donna, distendendo sulle labbra un sorriso pacifico a cui Nicole rispose con uno stanco, ma autentico. Si alzò i capelli in una coda di cavallo improvvisata, lasciando che alcuni boccoli sfuggissero dall’acconciatura, poi lasciò l’anello sul ripiano degli alcolici leggeri per incominciare a riordinare i tavolini in silenzio, non desiderosa di parlare ancora, troppo spossata per poter anche semplicemente discorrere con Gloria di quanto fosse bello il tempo quella mattina. Con la coda dell’occhio vide Gloria dirigersi a passo svelto verso il suo studio, probabilmente per scegliere il grimorio più adatto all’incantesimo di cui necessitava l’Originale.
« Lo ricordavo diverso,» esclamò poco lontana una voce femminile, armoniosa e autoritaria. Nicole abbandonò il panno su di un tavolo e chiuse gli occhi, respirando a fondo non appena udì una risata maschile prolungata, ma non villana, elegante e raffinata come la persona a cui apparteneva. Nicole era in grado di vedere le ombre dei due quando incrociò lo sguardo di Gloria, fra le mani un tomo dalle dimensioni enormi, che le comunicava di non fare un passo falso, di usare bene le parole per non far trapelare nulla. Lo sguardo chiaro incontrò quello intenso di una ragazza, alta e sinuosa dai biondi capelli ondulati e dal viso di porcellana che la avrebbe fatta sembrare un angelo se non fosse stata per l’espressione presente sui suoi tratti poco marcati, di assoluto disprezzo per il prossimo.
« Rebekah, tesoro.» La voce di Gloria era alta, accogliente, ma Nicole, conoscendola da tempo, avrebbe potuto con certezza affermare di aver udito una nota d’irritazione.
« Gloria,» la chiamò con un sorriso solare, andandole incontro per stringerla in un abbraccio amichevole, « Sei l’unica a non essere cambiata in questi anni. Sei ancora meravigliosa,» aggiunse con dolcezza stucchevole. La strega rise ampliamente e li lasciò accomodare nel locale. Nicole guardò alle loro spalle, cercando una terza figura che la sera prima l’aveva rattristata con il suo comportamento volto al bene di Elena, ma capace di ferirla più di una lama nel petto.
« Mi dispiace, dolcezza. Stefan non è qui con noi,» le comunicò Klaus divertito, con un sorrisetto seducente impresso sulle labbra carnose. L’ibrido avanzò verso il bancone, distendendo le gambe su di uno sgabello, mentre la compagna si andò ad accomodare sopra di esso. La stava osservando e Nicole non si sottraeva al suo sguardo indagatore.
« Nicole, cara, potresti prendermi le candele?» domandò Gloria. La strega più giovane annuì, chiuse gli occhi e distese le mani davanti a sé per evocarle e posizionarle sul tavolino più vicino. Le poche parole in latino arcaico risuonavano leggere per la stanza ampia, quasi come intonate in canto armonico e ordinato. Le candele si illuminarono di una luce soffusa e incantevole nella sua danza. Lasciò che le mani ricadessero lungo i fianchi, riaprì gli occhi e si diresse verso le scale, sedendosi sul secondo scalino per avere una visuale ottimale sullo studio improvvisato. Gloria si era seduta e stava cercando con la magia la pagina dell’incantesimo, domandando agli spiriti protettori di assisterla per ritrovare la collana della vampira. Nicole congiunse le mani e se le portò sulle labbra, aggottando le sopracciglia quando si accorse di non avere l’anello. Seppur non le fosse utile per ritornare in vita, per lei era una rassicurazione portarlo all’anulare. Era il ricordo della sua famiglia, delle sue origini, di chi erano stati i suoi antenati e per cosa avevano combattuto, mettendo il resto del proprio mondo in secondo piano rispetto alla missione che gli era stata affidata. Percepì dei passi, cadenzati e leggeri, avanzare verso di loro e volse lo sguardo, incontrando una figura alta e muscolosa. Quasi senza accorgersene, istintivamente, gli sorrise, accogliendolo con quelle labbra distese dalla felicità di trovarlo lì. Stefan rispose al suo gesto amichevole con un sorriso ancora più ampio, rassicurante e autentico, meravigliosamente capace di farle aumentare il battito cardiaco, disarmante nella sua innocenza e onestà.
« Te ne sei andato,» affermò Rebekah irritata, tediata, annoiata dal mondo intero. Pur non conoscendola, Nicole la percepì distante da sé, troppo differente per comprenderla. Si avvicinò maggiormente alla ringhiera per lasciar passare Stefan e lo vide avanzare verso gli Originali, poi osservò Gloria e la vide sin troppo concentrata, come se stesse fallendo e cercando di non darlo a vedere, troppo irritata dall’idea che le sue capacità fossero ritenute fallaci.
« Sì, scusatemi. La shopping terapia mi stava facendo esplodere la testa,» esclamò ironicamente Stefan. Il suo sguardo fu catturato da un piccolo monile luccicante sul bancone, alla sinistra di Klaus, a pochi centimetri da lui. Assottigliò gli occhi chiari, nella mente i ricordi e le immagini di un passato lontano, troppo doloroso da ricordare. I Gilbert, prima ancora di ricondurli alla sua Elena, lo riportavano a Mystic Falls, non a quella contemporanea, ma a quella del 1864, a tempi felici in cui erano presenti solamente lui e Damon, nessuna donna a dividerli, nessuna maledizione a congiungerli, solo il sangue. Non percepì nemmeno il commento di Klaus, mosse un passo e prese l’anello per poi riportarlo alla sua proprietaria che lo ringraziò prontamente. Nicole lo indossò subito, come temendo la sua scomparsa, poi lo sguardo si spostò su Gloria. La domanda di Stefan e la risposta di Klaus l’avevano irritata. Gloria era una strega abile, ma non aveva elementi per trovare il ciondolo di Rebekah. Il commento pungente dell’amica la fece sorridere soddisfatta.
« Magari, potrebbe aiutarti la tua amica, che ne dici Gloria?» le domandò sardonico Klaus, « Forse sei soltanto invecchiata,» continuò provocatorio con un sorriso appena accennato, da canaglia. Nicole scosse il capo con fermezza, puntando lo sguardo limpido in quello ancora più lucente dell’Originario.
« Gloria non ha bisogno di alcun aiuto, men che meno del mio. Ogni strega ha un modo diverso di approcciarsi alla magia e noi due siamo incompatibili. Se avesse qualcosa su cui potersi basare, sarebbe più semplice rintracciare la collana,» mormorò atona. Klaus annuì e le sorrise, quasi colpito da quell’atteggiamento. Pochi si erano rivolti a lui con un tale tono e maniera e non erano in vita per raccontarlo, ma quella ragazza godeva della protezione della sua strega preferita e, in tutta onestà, non desiderava rivolgersi altrove. Gloria era sempre stata un’amica più che una servitrice al suo servizio e quella ragazza, Nicole, in fondo gli piaceva.
« Allora usa me. L’ho avuta al collo solo per un migliaio di anni.»
Nicole si accorse dello sguardo di Stefan fisso su di sé e lo guardò interrogativa. I suoi dubbi vennero dissipati dalla domanda che rivolse a nessuno in particolare. Quel ciondolo. Forse, non era impossibile, ma quell’espressione doveva avere una motivazione valida. Elena. Aveva notato quel gioiello al suo collo non riconoscendolo come uno di famiglia, era troppo antico, vichingo. Deglutì a vuoto. Se Klaus avesse saputo, sarebbe stata la fine. Tentò di mettersi in contatto con Gloria e vide nella sua mente un’immagine che la terrorizzò per quello che era il proprio significato. Tre ragazze, amiche da sempre, nella cucina di quella che era stata la sua casa. Parlavano della famiglia e le si strinse il cuore quando sentì Elena raccontare di lei, che l’aveva incontrata la sera prima e non aveva avuto la forza di rivolgerle la parola, era troppo sorpresa per poter dire qualsiasi cosa, anche la più sciocca e inutile. Caroline rimase in silenzio e Nicole si trattenne a stento dal sorridere con malinconia. La sua migliore amica non era cambiata fisicamente, ma aveva saputo che era maturata moltissimo in quell’anno, da quando Katherine aveva deciso di trasformarla in una vampira come avvertimento per i Salvatore. Le mancavano immensamente. Nicole, Elena, Caroline e Bonnie. Avevano trascorso l’infanzia e l’adolescenza insieme, conoscendo i difetti di ognuna e mutandoli in pregi per l’affetto che nutrivano l’un l’altra. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva parlato con loro, così tanto da farle sanguinare il cuore dallo sconforto, ma sentiva di provare ancora lo stesso bene nei loro confronti. Non poteva permettere che soffrissero nuovamente. Introdusse tutta la sua volontà in quel pensiero e lo inserì nella mente di Gloria, sperando che non la tradisse.
« L’ho trovata,» esclamò la strega, volgendo il capo verso Klaus. Nicole rabbrividì senza darlo a vedere e anche Stefan era spaventato dall’idea che l’ibrido scoprisse di Elena e del sacrificio di John per salvarla e non farla cambiare. Trasformarsi in una vampira sarebbe stato troppo traumatico per lei, così buona e umana, e Nicole, seppur odiasse la prospettiva di aver perso suo padre per sempre, aveva accettato la sua decisione per amore di sua sorella. Non udì lo scambio di battute tra Gloria e Klaus, ma guardò Stefan a lungo, implorandolo di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per evitare la tragedia, attenta a non farsi notare da Rebekah. Stefan aggrottò le sopracciglia e annuì impercettibilmente, poi si mosse prima di avanzare verso Klaus e dargli un’amichevole pacca sulla spalla. Si chinò verso di lui e i battiti del cuore di Nicole rallentarono per il sollievo.
« Ehi, senti, perché non ripassiamo più tardi?» domandò prima di volgere lo sguardo a Rebekah che lo fissava con un impercettibile sorriso sulle labbra, « Sto morendo di fame,» aggiunse in un sussurro nell’orecchio dell’ibrido, « Ti lascio scegliere chi mangiare,» concluse divertito, volgendosi verso le scale. Nicole era colpita, davvero. La sua padronanza nel parlare l’aveva quasi ammaliata e sbatté le palpebre per ritornare in sé e ringraziarlo con un breve cenno del capo. Si issò in piedi al passare dei due fratelli e Klaus si fermò dinanzi a lei. Temette che avesse intercettato qualcosa tra lei e Stefan, ma il sorriso affascinante dell’ibrido era pacifico. Le prese la mano destra e se la portò alle labbra posandoci sopra un lieve bacio intriso nobiltà e grazia tali da lusingarla.
« Miss Gilbert, spero di rivederla presto,» mormorò con la sua voce bassa e arrochita dall’accento inglese. Senza attendere una risposta, sciolse la delicata presa e seguì sua sorella fuori dal locale. Nicole si sfiorò l’avambraccio destro e raggiunse Gloria che aveva il capo chino sul grimorio. Fece per parlare, ma si zittì quando la strega più anziana scosse il capo. Potevano ancora sentirla.
« Ti ringrazio, Gloria,» esclamò sollevata quando ebbe la certezza di non essere ascoltata che da lei. La strega scosse nuovamente il capo e si alzò facendo stridere la sedia contro il pavimento.
« No, Nicole, non ringraziarmi. Nessuno più di me desidererebbe uccidere quell’ibrido folle, ma non sono pazza e non voglio morire a causa di tua sorella.» Nicole rimase interdetta e aggrottò la fronte, sedendosi sul tavolino e congiungendo le mani dinanzi al volto.
« Allora perché ci hai coperti prima?» sussurrò incuriosita. La strega si lasciò andare in una composta risata prima di scuotere il capo e tornare al bancone.
« Voglio il ciondolo al collo della doppelganger Petrova, mia cara,» rivelò scoccandole un’occhiata maliziosa e accorta prima di versarsi da bere in un bicchierino da vodka. Ne riempì un altro sino all’orlo e con la magia lo fece arrivare tra le sue mani.
« Perché?»
« Apparteneva alla strega originaria, quella che ha creato i primi vampiri, gli Antichi, e ha scagliato la maledizione su Klaus. Puoi comprendere quanto potere ci sia in un suo talismano, Nicole?» le domandò quasi esasperata perché non riusciva a capirlo, non se di mezzo v’era la vita di sua sorella, « Non la venderò a Klaus,» aggiunse captando l’espressione del suo sguardo, « Voglio solo quella collana, niente di più,» concluse. Nicole sospirò e bevve sino all’ultima goccia, sentendo la gola bruciare. Poggiò bruscamente il bicchierino sul tavolo e raggiunse l’amica.
« Dammi la tua parola, Gloria. Dammi la tua parola e quel dannato ciondolo sarà tuo. Non so quanto dovrò faticare per portartelo, ma te lo assicuro. Convincerò anche Stefan, ma Elena deve essere al sicuro. La mia famiglia deve essere al sicuro e vivere senza l’oppressione di un Originale pazzoide che venderebbe sua madre al Diavolo pur di ottenere ciò che desidera,» esclamò a denti stretti immergendosi dentro quelle iridi scure che erano sempre stati porti sicuri per lei. Gloria annuì.
« Hai la mia parola, ragazzina,» aggiunse affettuosamente prima di rivolgerle un sorriso amichevole. Nel sentire quell’appellativo che le aveva affibbiato il primo giorno in cui si erano incontrate, sulle labbra di Nicole si delineò un sorriso malinconico e nostalgico. Lo ricordava come se fosse stato il giorno precedente. Quando suo padre aveva deciso di allearsi con Isobel e Katherine, era arrivato per lei il momento di andarsene da Richmond e lasciarsi la sua famiglia alle spalle almeno per poco tempo. Andare a Chicago, poi, era venuto da sé. I suoi sogni di bambina erano stati popolati dalle luci notturne, i colori, di quella città abnorme e, inoltre, aveva sentito parlare di Gloria, una delle poche streghe secolari. Era stata una fortuna trovarla per poter apprendere maggiormente sulla magia, consultare i grimori antichi e anche per avere nuovamente un’amica con cui potersi confidare. Mentre Nicole ripensava a quei bei momenti, Gloria aveva ricominciato a riassettare il locale. La giovane percepì una presenza e la riconobbe amica quando vide l’ombra di Stefan. Sorrise senza rendersene conto. Era tornato e senza gli Originali, tuttavia v’era qualcosa di strano nel suo sguardo chiaro che la fece insospettire. Sebbene fosse il fidanzato di sua sorella, era pur sempre un vampiro e Nicole non era solita fidarsi dei figli delle tenebre, fossero essi vampiri o licantropi. Percepì a stento la chiacchierata tra lui e Gloria. Nessuno dei due aveva buone intenzioni nei confronti dell’altro, era evidente. Non voleva, però, inserirsi nella loro discussione. Gloria sapeva ciò che voleva e l’avrebbe ottenuto. Era troppo anziana e potente per lasciarsi sconfiggere da una creatura che detestava con tutta la propria anima. Però Stefan era determinato nel salvare Elena e allontanarla sempre di più dalle grinfie di Klaus. Quando Stefan fu sul punto di attaccare Gloria, Nicole trattenne il respiro e si preparò ad aiutare l’amica, ma non ce ne fu bisogno. Lo immobilizzò e in poco tempo cadde a terra. La giovane si avvicinò loro e si chinò sul vampiro, posando la mano sotto il suo capo per non fargli toccare il pavimento.
« Era davvero necessario, Gloria?» le domandò sottovoce, carezzando con il pollice i lisci capelli chiari.
« Avrò quel ciondolo. In un modo o nell’altro,» esclamò con uno sguardo inceneritore e malevolo. Nicole deglutì per trattenere la rabbia che l’aveva colta. Stefan era buono, glielo si leggeva negli occhi, e le streghe dovevano agire solo per il bene comune, non per gli interessi personali. Gloria stava tradendo quel codice d’onore, andando contro quelle regole di altissimo livello che vigevano da secoli sulle figlie della terra di ogni tempo. Non poteva permetterlo, ma era troppo giovane per contrastare la sua magia. Katherine. Alzò il capo. Le aveva telefonato proprio quella mattina. Aveva detto che sarebbe potute andare a fare shopping insieme. Non vi aveva dato molto peso quando le aveva parlato. Aveva pensato che fossero soltanto le divertite parole della vampira annoiata poiché non possedeva più pedine da sacrificare, ma aveva ancora una speranza se era davvero a Chicago. In fondo Katherine amava Stefan, da sempre, e avrebbe fatto di tutto per salvarlo. Di tutto. No, non poteva affidarsi a lei. Gloria era sua amica e non voleva tradirla, vendendola a una vampira senza scrupoli come Katherine. Guardò Stefan, paralizzato dall’incantesimo di Gloria, disteso su un lungo tavolo con la camicia strappata e decine di candele intorno a lui. Lacrime amare, intrise di dispiacere e afflizione, le velarono gli occhi chiari. No, non avrebbe mai potuto abbandonarlo a se stesso. Doveva contattare Katherine. Avanzò verso l’uscita e si bloccò solo quando udì la voce di Gloria.
« Dove stai andando, Nicole?»
« Via di qui. Perdonami, ma non ho la forza di assistere a una tortura, né lo stomaco,» rispose con finto divertimento prima di chiudersi la porta del bar alle spalle. Il Sole era alto e illuminava la città, abbagliando gli abitanti intenti a camminare per le sue vie. Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e compose il numero di Katherine. Era semplice da ricordare e in quel momento tutta la sua mente era concentrata sull’immagine della vampira che aveva le stesse sembianze della sua sorellina. Rispose al secondo squillo e la sua voce allegra occupò tutto il suo campo uditivo.
« Nicole, ti mancavo, cara?» Nonostante la situazione non fosse delle migliori, Nicole non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Katherine era sempre stata amica di Isobel, non sua, ma non poteva negare che quella vampira fosse la creatura più esuberante e fuori dagli schemi che avesse mai conosciuto, nonché la più capricciosa e volubile.
« Certamente manchi moltissimo a Stefan, Kath.» Il silenzio interdetto della vampira durò solo un attimo.  
« Perché?»
« Gloria vuole il ciondolo di Elena e conosci Stefan: non permetterebbe che si facesse nulla che potrebbe metterla in pericolo,» si bloccò perché udì un urlo squassare l’aria. Chiuse gli occhi e una lacrima le rigò la guancia pallida. Deglutì per imprimersi una forza che non aveva poiché doveva continuare, « Adesso lo sta torturando,» aggiunse prima di poggiare una mano davanti agli occhi. Si appoggiò al muro dietro di lei e respirò profondamente. Katherine non le rispose e dopo un po’ sentì che la comunicazione si era interrotta. La gente passava tranquillamente per quella strada trafficata e fu quella la causa che la spinse a rimanere in piedi e non lasciarsi cadere e piangere. Qualcuno la osservava e Nicole sorrideva rassicurante per non destare sospetti. Doveva sembrare proprio disperata, constatò, oppure ubriaca, o entrambi. Non passò molto tempo quando sentì una folata di vento sferzarle il volto. La chioma bruna della vampira, piena di boccoli, fu la prima cosa che riconobbe di lei.
« Vieni dentro con me,» le ordinò asciutta, non una traccia del solito divertimento né della malizia nella sua voce. Nicole si ritrovò a obbedirle istintivamente.
« Beh, questo fa rabbrividire,» esclamò Katherine a un centimetro da Gloria prima di conficcarle un coltello nella gola. Nicole si portò una mano sulle labbra e si costrinse a non rimettere sul pavimento del bar per ciò che vide.
« Oh mio Dio, Stefan,» esclamò prima di precipitarsi vicino al tavolo e poggiare una mano sulla sua guancia, i battiti del cuore accelerati e incontrollati. Chiuse gli occhi e cominciò a mormorare una formula magica che potesse sanare le sue ferite inferte con la verbena. In poco tempo il respiro di Stefan divenne più regolare e Nicole si allontanò, dispiaciuta, permettendogli di indossare nuovamente la camicia. Katherine aveva spento le candele e aveva acceso la luce, rendendo il panorama meno macabro. Gloria era distesa sul pavimento, morta, il suo sangue rosso luccicava sotto quella luce. Non fu in grado di trattenere un singhiozzo.
« Oh Nicole, non fare così, ti prego,» enfatizzò Katherine melodrammatica. La strega si dette un contegno e avanzò verso il ripostiglio. Doveva cancellare quelle macchie scarlatte. Non poteva continuare a vederle. Altro sangue era stato versato, altra morte e distruzione. Pianse, in silenzio, e udì appena le parole di Katherine e Stefan su un piano contro Klaus e di un cacciatore di vampiri. Prese un secchio e lo riempì di acqua gelida, poi tornò dai vampiri.
« Se stai cercando un diabolico compagno criminale, ti suggerisco di cercare altrove,» le comunicò Stefan prima di portar via il corpo di Gloria.
« Per favore, Kath, lasciami sola. Devo ripulire questo disastro,» mormorò Nicole chinandosi per prendere le candele. Quando alzò il capo, Katherine non c’era più. Ci mise ore che le parvero un’eternità per ripulire il pavimento. Nell’acqua del secchio v’era anche la presenza delle sue lacrime. Aveva perso un’amica, ancora. Era stato orribile ed era stata colpa sua. Se non avesse chiamato Katherine, Gloria sarebbe stata ancora viva e Stefan si sarebbe sicuramente ripreso. Aveva sbagliato per l’ennesima volta. Singhiozzò e si issò in piedi. Buttò una sedia contro il bancone e un tonfo sonoro squassò l’aria pregna di sangue. Le dava ribrezzo. Tremava convulsamente per trattenersi dall’urlare per la rabbia. Doveva darsi un contegno, però. Si asciugò le lacrime rimanenti con il dorso della mano e si cinse con le braccia per proteggersi dai suoi stessi sentimenti.
« Sweetheart, come mai quell’aria afflitta? Non rovinare quel bel faccino che ti ritrovi, è un peccato,» affermò una voce che oramai avrebbe riconosciuto tra mille. Klaus. L’ibrido invincibile. Si volse verso di lui e notò che era in cima alle scale con i gomiti poggiati sulla ringhiera.
« Klaus,» lo chiamò con la voce arrochita dal pianto prima di sorridere quasi isterica. Non era possibile che tutto quello stesse accadendo davvero a lei, « Cosa ci fai qui?»
« Ero venuto per Gloria. Sai se ha ritrovato il ciondolo, mia cara?» Scosse il capo e chiuse gli occhi quando sentì il vento sul viso. Era a pochi millimetri dal suo volto. Sentì le sue dita sotto il mento e spalancò lo sguardo terrorizzato. Con il pollice Klaus le carezzò le labbra salate. Era sorridente, ma non malvagio. Si avvicinò maggiormente, quasi azzerando la distanza tra le loro labbra, « Oh Nicole, non preoccuparti, non ho intenzione di ucciderti. Non per ora,» aggiunse imprimendo bene nella sua mente il significato di quelle tre parole, « Tu mi piaci. Sei forte. Ho sentito parlare di te, sai? Sei famosa dalla parti di Salem,» mormorò con finta dolcezza, poggiando l’altra mano per attirarla maggiormente a sé e impedirle di liberarsi dalla presa. Salem. No. Chiuse nuovamente gli occhi e scosse il capo, implorando di non aggiungere altro.
« Cosa vuoi da me, Klaus?» aggiunse prima che una lacrima le rigasse la guancia. L’ibrido avvicinò le labbra e la raccolse in un bacio appena accennato, tremendamente dolce, ma che in realtà serviva solo a dimostrare la sua potenza.
« Voglio il tuo aiuto, Nicole Bishop.» Quel cognome. Era impossibile che lo conoscesse. Lo fissò con gli occhi spalancati e increduli. Klaus la strinse a sé e Nicole non sentì più la terra sotto i piedi. La stava conducendo chissà dove e la strega percepì il suo respiro tra i capelli.
« Io non ti ho fatto nulla, lasciami andare» lo pregò con la voce spezzata dal pianto.
« Vorrei,» sussurrò Klaus, « ma non posso. Comprendimi, Nicole: non sono soltanto gli ibridi. È la famiglia.» La strega non disse più nulla. Non capiva e non era certa di volerlo fare. Quando Klaus la mise giù, scostandola con delicatezza dal suo petto marmoreo, Nicole riuscì a vedere Stefan e Rebekah. Incontrò lo sguardo del primo per trovare una sicurezza che non era in grado di offrirle.
« Cosa sta succedendo?» domandò l’ibrido a sua sorella. Stefan guardava lei e per un istante si sentì davvero al sicuro. Rebekah pronunciò il nome di Mikael e Nicole lo riconobbe come conosciuto, anche se non sapeva perché. Klaus si mosse e si avventò su Stefan, mordendolo al collo per poi lasciarlo a terra, svenuto. Chiuse gli occhi e pregò che non le toccasse la stessa sorte, « Rispondimi, Nicole, e non ti farò nulla,» mormorò veritiero Klaus scuotendola per poter guardare le sue iridi limpide, « Cosa dovrei sapere che, invece, mi è stato tenuto nascosto?» domandò scandendo bene le parole. Nicole scosse il capo e sospirò. L’immagine di Elena si faceva prepotentemente spazio nella sua mente provata, ma la cacciò indietro. Doveva resistere. Avrebbe reso il sacrificio di suo padre vano.
« Non lo so, Klaus, davvero. Io ho lasciato Mystic Falls prima di te,» si bloccò. Si era tradita da sola, per paura. Si morse le labbra e si maledì. Klaus si allontanò da lei e la lasciò libera. I suoi occhi chiari erano velati da una furia nascente. Si avvicinò così tanto pericolosamente da farla arretrare.
« Nik,» lo chiamò sua sorella quasi spaventata da quell’atteggiamento, non certo per l’incolumità della giovane, ma per la sua magia. Se l’avesse uccisa, avrebbero dovuto trovare un’altra strega. L’ibrido non si girò.
« Mystic Falls, eh? E dimmi, mia cara, quando l’hai lasciata hai salutato la tua bella sorellina?» aggiunse mefistofelico. Non doveva piangere, non dinanzi a quella persona, non dinanzi a Klaus.
« Io… Klaus, ascoltami.»
« Non voglio ascoltare altre menzogne. Perché lei è ancora viva? Sono certo di aver prosciugato sino all’ultima goccia la sua carotide,» la interruppe. Stette in silenzio. Bruciava ancora. Nessuno avrebbe dovuto toccare la sua sorellina, tanto meno per farle del male. Avrebbe voluto fargliela pagare, ma non poteva, « Non vuoi rispondere, tesoro? Bene, lo scoprirò da me. Sono piuttosto bravo a smascherare i traditori e i bugiardi,» le comunicò divertito prima di avvicinarsi al suo collo. Chiuse gli occhi e pregò di svenire presto. Quando sentì i canini perforarle la pelle, urlò come non aveva mai urlato in vita sua e tremò, tra le braccia accoglienti dell’ibrido che la stringeva in un abbraccio che sarebbe parso persino dolce e romantico. La sua preghiera fu ascoltata. Le ginocchia le si piegarono e non ci fu altro che buio.

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Salve a tutte e buona domenica. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio tutti quelli che hanno letto silenziosamente la storia e le quattro lettrici che hanno inserito la storia tra le seguite, grazie davvero. Se voleste lasciare un piccolo commento, mi farebbe molto piacere. Un saluto, al prossimo capitolo, almeisan_

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Capitolo 3
*** Come back home ***


kkk
Capitolo 3
Come back home

Il Sole era sorto da alcune ore quando Rebekah, seduta accanto al fratello, sul sedile anteriore del camion contenente la sua famiglia, fu in grado di vedere le prime luci della cittadina in cui era nata molti secoli prima. Era cambiata sin troppo. Uno sbuffo annoiato fuoruscì dalle labbra bagnate da un rossetto chiaro e quasi invisibile. Klaus si voltò per guardarla, rivolgendo un’occhiata incuriosita.
« Cosa c’è, sorellina?» le domandò in un sussurro amichevole. La vampira scosse il capo, lasciando che alcuni boccoli color del Sole le coprissero le guance lievemente rosate.
« In novant’anni è cambiato tutto, eh?» chiese tentando di assumere un tono ironico, ma, in verità, ciò che si poteva leggera era soltanto nostalgia. Klaus fermò il camion, lì, sul Wickery Bridge, il ponte per accedere al centro della città. Si volse verso Rebekah e le prese il volto tra le mani, carezzando con le delicatezza i suoi zigomi arrotondati, di bambina quasi, quella stessa bambina che aveva visto con meraviglia nascere e divenire una fanciulla di un’avvenenza tale da attirare gli sguardi della maggioranza dei giovani del villaggio, sebbene non ne avesse mai scelto uno. Aveva gusti difficili, Rebekah, sin da quando era ancora umana. Non si era mai accontentata di nulla, cercava il vero amore, un’anima affine che avrebbe potuto colmare il vuoto nel suo cuore indomito.
« Non preoccuparti, Bekah. Sistemeremo tutto e saremo felici. La nostra famiglia sarà nuovamente unita. Te lo prometto,» mormorò prima di poggiare la fronte sulla sua e sorriderle. La vampira annuì e gli sorrise di rimando. Soddisfatto, suo fratello tornò a guidare il camion, raggiungendo il centro della cittadina.
« Cosa ne farai di quella strega?»
« Conosco la sua famiglia. È una Bishop. Ha potere, ma è giovane e inesperta. Gloria non avrà voluto insegnarle nulla di imponente per paura di poter attirare l’attenzione e lei stessa sa tutto. Aveva un’espressione terrorizzata quando l’ho nominato,» ricordò l’ibrido, accostando nella via principale. Rebekah annuì e scese dall’auto, seguita da Klaus.
« Vedrò di scoprire qualcosa,» annunciò vicino la portiera posteriore prima di guardare verso la piazza con uno sguardo stizzito, « Cielo, questi umani. Non hanno un minimo di gusto nel vestire,» aggiunse osservando una ragazzina con una minigonna cortissima che lasciava poco e nulla all’immaginazione. Klaus rise di gusto, scosse il capo esasperato, poi entrò nel camion dopo aver sentito sua sorella allontanarsi. Stefan era disteso accanto alla tomba di Kol ed era ancora svenuto, anche se stava per riprendere i sensi. Spostò lo sguardo verso dei capelli biondi distanti di qualche centimetro da Finn. Nicole era stesa su un fianco, immobile, anche se il respiro regolare le gonfiava il petto a intervalli normali. Si avvicinò a lei e si accomodò sulla superficie lignea che conteneva suo fratello maggiore, morto da troppo tempo per poter ricordare il suo volto. La strega si mosse leggermente, attirando la sua attenzione, e dalle sue labbra a cuore sentì provenire un mugugno stanco e sofferente. La vide portarsi la mano sul collo dove il segno del morso era ancora evidente e i due fori risaltavano come rubini sulla sua pelle candida e lattea.
« Ben svegliata. Hai dormito di meno rispetto a Stefan,» la salutò divertito con un sorriso affascinante sulle labbra carnose. Nicole, con gli occhi semichiusi per il dolore, si voltò di scatto verso la direzione della voce e lo vide, in tutto il suo splendore, meravigliosamente avvenente come un angelo della morte. Ne ebbe paura e arretrò verso la parete, portando le gambe al petto. Volse poi lo sguardo al vampiro e sgranò gli occhi. Doveva aver sofferto tantissimo. Anche se era intorpidita e sentiva le ossa doloranti per la scomoda posizione in cui era svenuta, si alzò, combattendo contro il capogiro e la stanchezza, e avanzò verso Stefan, scuotendolo e chiamandolo per nome molte volte, fino a che non riaprì gli occhi verdi e brillanti. La osservò confuso per un attimo, poi vide i segni sul suo collo e comprese. Si mise a sedere e Nicole si scansò per fargli incontrare lo sguardo dell’ibrido visibilmente irritato e, nel contempo, rilassato e allegro, completamente abbandonato contro la parete del camion.
« Posso spiegarti, Klaus,» mormorò cauto, alzando la mano e avvicinandosi maggiormente a Nicole, come per proteggerla da un suo eventuale attacco. La strega gli fece segno di tacere e gli rivolse uno sguardo colmo di dispiacere e dolore. Aveva le lacrime agli occhi. Aveva tradito Elena e John, per non parlare di se stessa. Aveva rovinato tutto e, se fosse accaduto qualcosa a Elena, sarebbe stata solo colpa sua.  
« Risparmia il fiato, Stefan,» esclamò Klaus, issandosi in piedi e avanzando verso l’uscita, « La bella ragazza al tuo fianco mi ha già raccontato alcuni particolari che a te erano sfuggiti,» continuò divertito. Stefan volse lo sguardo verso Nicole che aveva il capo chino, ma, nonostante ciò, era in grado di scorgere una lacrima salata le rigava la guancia. Le sfiorò la mano per consolarla, poi si alzò, aiutandola a fare lo stesso e sorreggendola quando le gambe sembrarono cederle. Le ombre sotto i suoi occhi e il pallore sulle sue gote mostravano che doveva aver perso molto sangue, non tanto da aver bisogno di una trasfusione, ma aveva bisogno di riposare e quella situazione non gliene dava la possibilità. La strinse quasi a sé e le circondò la vita con un braccio. Klaus sollevò la portiera, generando un rumore stridente, mostrando una cittadina assolata e vivace.
« Bentornati a Mystic Falls, miei cari,» enfatizzò l’ibrido. Stefan si schermò gli occhi per la luce accecante e Nicole sospirò pesantemente, rialzando il capo per guardare le vie in cui era cresciuta. Deglutì a vuoto. Tornare in quella città le faceva sanguinare il cuore, riaprendo vecchie ferite mai del tutto rimarginate. Eppure si sentì nuovamente a casa, sebbene avesse dinanzi il diavolo in persona. Si ricordò della vampira bionda e si guardò intorno. Spalancò gli occhi chiari e dalle labbra fuoriuscì una lieve imprecazione. Quelle che vedeva erano bare, quattro per l’esattezza. Si domandò chi fosse così folle da portarsi dietro delle bare. Klaus rise e riportò l’attenzione su di sé. Aveva riabbassato la portiera del montacarichi per evitare che la gente vedesse ciò che era all’interno, riportando il buio nell’abitacolo.
« Ho fatto tutto ciò che mi hai chiesto,» ruppe il silenzio Stefan, sempre attento a non far irare maggiormente l’ibrido. Un riso lieve fu l’unica risposta che ebbe prima che gli si avvicinasse pericolosamente e gli spezzasse il collo. Nicole urlò e lo sorresse, puntando i piedi contro la superficie liscia e grigiastra che era il pavimento per impedire che cadessero entrambi. Sentì le sue labbra fredde e leggermente schiuse sul collo e lo fece accomodare contro la parete stringendolo per i fianchi.
« Perché?» domandò atona, nessuna emozione. Persino la paura era scomparsa quando era tornata a fissarlo. Klaus incrociò le braccia al petto e sorrise languidamente.
« Continua a mentire e sono stanco di altre bugie, sweetheart. Spero che tu sia più intelligente di lui e finisca la tua appassionante storia,» affermò andassi a sedere su di una cassa dal colore diverso dalle altre, di un grigio metallizzato. Nicole lo seguì con la coda dell’occhio prima di volgere anche il capo e digrignò i denti per non urlargli contro.
« Penso che tu sappia già tutto, Klaus,» sussurrò, invece, accomodandosi accanto a Stefan, poggiando la sua mano calda su quella fredda del vampiro esamine.
« Oh, questo è poco ma sicuro, tesoro, però vorrei avere una piccola, minuscola conferma,» aggiunse con più rabbia, abbandonando il divertimento nella sua voce calda.
« Mia sorella è viva, se è questo che vuoi sapere,» mormorò, arrendendosi. Sarebbe stata questione di tempo e avrebbe scoperto anche il resto. Non poteva far nulla per impedirglielo e, forse, se gli avesse detto la verità, avrebbe avuto più possibilità di salvare la sua famiglia e la sua città.
« Come?»
« Mio padre si è sacrificato per lei. Dopo che tu l’hai uccisa, ha chiesto l’aiuto di Bonnie per far sì che la sua vita scorresse nelle vene di sua figlia,» raccontò, chiudendo gli occhi, a fatica, con una voce inudibile per il dolore che le stava tormentando l’anima. Dover rivelare uno dei momenti più traumatici che aveva vissuto a un perfetto estraneo, inoltre che non avrebbe esitato nel farle del male se avesse mostrato un attimo di cedimento, era una tortura a cui aveva dovuto necessariamente sottoporsi, ma che avrebbe volentieri evitato. Riaprì gli occhi. Non doveva abbassare la guardia. L’ibrido aveva le mani giunte dinanzi al volto e la osservava soddisfatto dalla risposta,
« Voi streghe ne sapete una più del diavolo,» affermò sornione prima che il suo sguardo divenisse più plumbeo, « Avevi un buon padre, da quel che ho potuto intendere,» aggiunse con più amarezza. Nicole aggrottò le sopracciglia, sorpresa da quel bagliore di umanità che aveva scorso nelle sue iridi, e Klaus rise, ma senza allegria.
« Oh, non sono solo l’ibrido folle che ti hanno dipinto le tue amiche, sweetheart,» soggiunse con malizia, avanzando verso di lei e chinandosi, avvicinando il volto al suo. Stupita da se stessa, Nicole non indietreggiò. Sapeva che non le avrebbe fatto del male, non in quel momento. Sbatté le palpebre per indurlo a continuare, ma un rumore fragoroso la riscosse, facendola sobbalzare. Klaus si issò in piedi e lasciò entrare sua sorella prima di oscurare l’ambiente. Rebekah si sedette, senza dir nulla, sulla bara dove prima era poggiato Klaus e poi la osservò prima di passare a Stefan.
« Non si è ancora svegliato?» chiese, annoiata, accavallando le gambe snelle e nude e sporgendo le labbra in un broncio infantile.
« Sì, ma mi aveva stancato. Mente mentre la ragazza credo sia molto più sincera. Mi ha raccontato una toccante storia di famiglia,» spiegò Klaus sedendosi su di un’altra bara, quella che aveva accanto quando si era destata. Rebekah annuì e sorrise con ironia.
« Mio padre è morto,» sibilò tra i denti Nicole, guardando davanti a sé per non esternare la collera. Una lacrima sfuggì dal suo controllo e la asciugò prontamente, quasi facendosi male, « Per salvare sua figlia. Ha abbandonato tutto quello che aveva per il suo bene.»
« Anche te,» la interruppe Klaus. Nicole rimase in silenzio e scosse il capo, issandosi in piedi e avanzando verso l’uscita. Non le era mai piaciuto il buio. V’erano troppe ombre misteriose che la terrorizzavano sin da bambina, troppe immagini che solo lei era in grado di avvertire e di cui non aveva mai potuto parlare con nessuno, per timore che la giudicassero diversa e l’abbandonassero a se stessa.
« Non è così. Ti sbagli,» mormorò ancora dando le spalle ai due, « E, anche se fosse, avrebbe fatto la cosa giusta,» aggiunse tra sé, come per convincere se stessa e non l’ibrido.
« Cosa facciamo, Nik?» domandò Rebekah, interrompendo quella discussione inutile.
« Ti andrebbe di rivedere la tua vecchia scuola, mia cara?» domandò Klaus, alzando di un tono la voce per farle intendere che stava parlando con lei. Nicole si volse di scatto e scosse il capo. Bonnie, Caroline, Matt, Jeremy, Tyler, Elena. I suoi più fidati amici. Klaus voleva mettere in pericolo tutti loro e voleva che lei fosse presente.
« Per favore,» lo implorò, soffocando la magia che le stava mormorando di attaccare e difendere coloro che amava. Non l’avrebbe mai sconfitto. Klaus le sorrise gentilmente e le andò incontro, posandole una mano sulla guancia. Le sarebbe parso un atto dolce se la persona fosse stata diversa.
« Non fare così, Nicole. Sino a quando non saprò se la teoria che ho in mente sia vera o falsa, non ucciderò nessuno. Te lo garantisco. Però io e te dobbiamo fare un patto,» affermò sottovoce, come se fosse un segreto che dovevano mantenere. Rebekah alzò il capo, incuriosita. Suo fratello era imprevedibile, la sua mente un mistero per tutti coloro che avevano tentato di comprenderla, captare anche un solo minimo particolare. Nicole non si scostò da lui e socchiuse gli occhi, serrando le labbra.
« Ti ascolto,» mormorò quando non lo sentì continuare. Klaus sorrise soddisfatto e la carezzò. La pelle delle sue mani era morbida, come un guanto, e scivolò sulla sua con grazia ed eleganza, scatenandole un brivido lungo la spina dorsale che celò agli altri due. Era totalmente insensato e non doveva lasciare che la sua mente vagasse per sentieri inadeguati. Doveva rimanere vigile.
« Accetta di essere mia alleata, insieme saremmo una forza dirompente contro le menzogne vigenti in questo mondo maledetto, e io ti mostrerò la realtà della tua magia, l’essenza del tuo essere, la potenza di una strega del tuo calibro,» esclamò, enfatizzando ogni parola, imprimendo quella prospettiva nella sua mente. Sarebbe stato meraviglioso, Klaus aveva ragione. Era quasi in procinto di accettare quando un paio di occhi da cerbiatto, grandi e scuri, dolci e magnanimi, le apparvero dinanzi agli occhi. Elena. La sua famiglia. Scosse il capo con forza e arretrò, allontanandosi da lui. No. Si accorse di averlo urlato quando vide gli occhi di Klaus spalancarsi dall’incredulità.
« Non tradirò la mia famiglia un’altra volta,» affermò, portandosi i capelli dietro le orecchie e trattenendo a stento un singulto. Klaus serrò la mascella e tutto lo stupore scomparve nelle sue iridi chiare e bellissime. Per un folle, unico, istante pensò che la stesse nuovamente per attaccare e furono altri gli occhi che scorse dinanzi a sé, incredibilmente più dolci, amorevoli, sinceri, limpidi come acque di laghi incontaminati. Gli occhi di suo padre. Quello stesso padre che aveva perduto all’inizio dell’estate e che voleva con tutto il suo cuore ritrovare. Era uno dei motivi per cui si era recata da Gloria: se fosse stata più potente, avrebbe potuto invocare gli spiriti celesti per far sì che tornasse. Klaus schiuse le labbra e sorrise, abbandonando l’ira e la collera.
« Comprendo. Spero di riuscire a farti cambiare idea. Sarebbe un peccato sprecare tanta magia. Le Bennett sono streghe meravigliosamente potenti, ma le Bishop sono le più forti che io abbia mai conosciuto e, credimi, in mille anni mi sono confrontato con numerose dinastie,» mormorò, avvicinando nuovamente il volto al suo, quasi sfiorandole le labbra con le sue.
« Nik, queste chiacchiere mi stanno annoiando,» esclamò Rebekah riportando l’attenzione su di sé. Klaus le sorrise ammaliatore prima di volgere il capo verso la sorellina ancora accomodata sulla bara, intenta a guardare Stefan. L’ibrido avanzò verso di lei e le sfiorò i boccoli biondi, carezzandoli con affetto fraterno.
« Vuoi andare a fare compere, sorellina?» Rebekah annuì. A Nicole sembrò di aver dinanzi a sé una bambina e non una vampira sanguinaria. Sorrise quasi senza accorgersene. Ricordava ancora quando lei stessa faceva i capricci e suo fratello, il piccolo Jeremy, l’accontentava. Il battito del cuore le si accelerò. Nel rimembrare la sua famiglia aveva per un attimo dimenticato Jeremy, il bel ragazzo timido e sensibile, che arrossiva spesso, a ogni complimento, e amava con tutto il suo essere. Somigliava a Miranda, Jeremy, così dolce e tranquillo, ma anche a Grayson, timido ed eccezionalmente perspicace. Un movimento occupò il suo campo visivo e volse lo guardo verso Stefan che si stava riprendendo. Klaus si avvicinò e, intendendo le sue intenzione, Nicole avanzò verso di lui, stringendogli con forza l’avambraccio pronto a colpire. L’ibrido la guardò e digrignò i denti, dalle sue labbra provenne un sibilo basso e terribile.
« Non fargli ancora del male,» sussurrò lieve e spaventata. Era un vampiro, ma era pur sempre in grado di percepire il dolore di un collo spezzato e non voleva che soffrisse ancora. Non voleva avere un’altra persona sulla coscienza. Klaus avrebbe potuto liberarsi in ogni momento, senza il minimo sforzo, ma la guardò prima di sorridere. Era bello come un dio pagano, meraviglioso e perfetto, imponente, ma falso, terribilmente ipocrita ed egoista, malvagio come un demone dell’Inferno più nero.  
« Addirittura un demone, sweetheart?» le domandò in un sussurro dolce. Nicole sgranò gli occhi chiari e il respiro le si spezzò. Poteva udire i suoi pensieri, « Oh sì, Nicole. Sai, noi vampiri Antichi abbiamo molte più capacità rispetto a quelli che abbiamo creato,» le rivelò mentre dalle labbra di Rebekah fuoriusciva un leggero riso, divertito e ironicamente affascinate. L’aveva potuta sentire sino a quel momento. Tutti i pensieri su Elena, John, Jeremy, i suoi genitori adottivi, le sue amiche, Stefan. Su Klaus stesso. Gli lasciò il braccio e indietreggiò di un passo. Klaus avanzò costringendola a rimanergli dinanzi, sfiorandola con le sue vesti bianche e fine, « Quando nelle nostre vene scorre il sangue di un umano, possiamo percepire la sua forza vitale, la sua essenza, possiamo slegare i fili nella sua mente e arrivare sino al cuore, scoprendo i segreti più taciuti del suo animo,» le spiegò. Nicole si ritrovò ad annuire. Era spettacolare, unico, straordinario, decisamente attraente. Un potere immenso, sconfinato, senza fine. Klaus si chinò e spezzò il colo del vampiro, facendo rimanere immobile sotto di sé. Nicole non se ne accorse nemmeno, così presa dai suoi pensieri.
« Tu sei affascinata dal potere, vero?» le domandò Rebekah, scuotendola da quel torpore in cui era caduta. Arrossì, Nicole, incapace di negare, troppo imbarazzata per affermare che era la verità.
« Chi non lo è?» esclamò Klaus incamminandosi verso l’uscita per lasciare che il Sole caldo del pomeriggio occupasse il camion, rendendo tutto più luminoso. Rebekah ridiscese e Klaus si volse verso la ragazza ancora di spalle. Non riusciva più a captare i suoi pensieri perché la sua mente era vuota, sgombra. Si accorse dello sguardo interrogativo di sua sorella e le sorrise.
« Nicole, non ti piacerebbe fare un giro nella tua vecchia cittadina?» le domandò. La ragazza si volse verso di lui e annuì, uscendo anch’ella dal camion. Il Sole le illuminò la pelle candida e un caldo senso di protezione le scorse nelle vene. Era a casa, « Vi prego di tornare per questa sera,» continuò l’ibrido, riportandola alla dura realtà. Senza aspettare una risposta, richiuse la portiera.
« Ci sono dei bei negozi, qui?» La voce di Rebekah era allegra e il sorriso sul suo volto angelico era rassicurante. Nicole le sorrise di rimando, l’aveva giudicata male all’inizio.
« Sì, non sono certo ai livelli di Richmond né, tanto meno, a quelli di Chicago, ma ce ne sono due davvero carini e non molto lontani da qui,» comunicò prima di cominciare a camminare per la via principale, guardandosi intorno. Nulla era cambiato, né le vetrine né l’atmosfera di una tranquilla città della Virginia. E nemmeno le persone. Durante il tragitto incontrò gli sguardi di alcuni membri del Consiglio e sospirò. La vampira se ne accorse, ma non disse nulla. Se si fosse sparsa la voce che era nuovamente tornata a Mystic Falls nonostante le fosse stato proibito categoricamente, le conseguenze sarebbero state gravissime. Richard Lockwood era morto e Carol l’adorava sin da quando era bambina, ma v’erano ancora tante famiglie che non l’avrebbero mai accettata per quello che era. Rebekah avanzava al suo fianco, in silenzio, e Nicole la condusse in una via laterale in cui spiccava un’insegna colorata contraddistinta da disegni d’abiti per ogni occasione. Era un ampio negozio giovanile, in cui spesso era andata a fare shopping con le amiche. Trascorsero lì tutto il pomeriggio, indossando la quasi totalità degli abiti più belli. Infine avevano in mano più di una decina di sacchetti di carta contenenti, per la maggior parte, jeans e magliette e anche qualche vestito più sofisticato e costoso per Rebekah. Sembrava più felice, la vampira, come se lo shopping le giovasse, e anche Nicole, dimentica di tutto, era sorridente, ma non tranquilla né allegra. Aveva, però, bisogno di una pausa dal resto del mondo. Avevano parlato come due ragazze normali, si erano fatte i complimenti e avevano riso dei cappelli buffi e degli abiti troppo corti. Normalità, la sensazione che le era più mancata in quegli anni. L’ansia e la paura ritornarono subito, non appena rivide il camion parcheggiato. La sera era discesa sulla città e più nessuno passeggiava per le sue vie. Le vetrine dei negozi e dei bar erano sbarrate e le loro luci spente. Solo i lampioni gettavano bagliori soffusi in quella notte senza stelle.
« Tu mi sei simpatica,» esordì Rebekah, facendole cenno di fermarsi. Nicole stava per ribattere quando la vampira la interruppe, « Ma non tentare di fregare mio fratello né me. Vuoi salvare tua sorella, lo comprendo. Io stessa farei di tutto per la mia famiglia.  Però, ciò che Niklaus odia di più è il tradimento. Non vorrei che ti ritrovassi con la gola squarciata. Sembri una brava ragazza e conoscevo tua nonna, Kloe.»
« Era la mia bisnonna,» mormorò, ricordando la donna di cui aveva sentito parlare nei racconti di famiglia. Rebekah annuì e le fece cenno di avanzare. Aveva compreso il concetto, ma non per questo lo avrebbe rispettato. Avrebbe fatto ciò che le avrebbe detto Klaus, ma non si sarebbe piegata al suo volere se quello avesse significato la morte di Elena. L’avrebbe protetta a ogni costo. Nessuno più avrebbe fatto del male alla sua famiglia.

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Salve a tutte e buon pomeriggio. Questo terzo capitolo è di passaggio, un raccordo tra le puntate 3x04 e 3x05. Ho introdotto questa nuova capacità degli Originali, quella di poter leggere i pensieri  se all’interno del loro corpo è presente il sangue della persona, che sarà molto utile per Klaus nei prossimi capitoli e un piccolo assaggio del rapporto tra Nicole e Rebekah, così come quello con Stefan. Ringrazio tantissimo i lettori silenziosi, chi ha inserito la storia tra le seguite e le ricordate e chi ha recensito lo scorso capitolo. Un bacio, almeisan_

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Capitolo 4
*** Into a gory gym ***


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Capitolo 4
Into a gory gym

Quando Nicole, seduta al fianco di Klaus intento a guidare il camion,  intravide l’imponente struttura della scuola superiore di Mystic Falls, sospirò e trattenne il fiato un secondo dopo. Si scostò un boccolo biondo dalla fronte e sentì Klaus sogghignare. Non rispose alla sua provocazione. Avrebbe peggiorato solamente una situazione che già di per sé non era delle più felici. La felicità, e la serenità, dello shopping di quella mattina  era totalmente scomparsa e aveva lasciato spazio a un senso di attesa incredibilmente sgradevole, irritante persino. Era possibile scorgere un’aula illuminata al primo piano dell’edificio, segno che gli studenti che si accingevano a compiere l’ultimo anno erano intenti a organizzare degli scherzi ai danni dei professori, allegri e inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
« È abbastanza irritate ascoltare questa tipologia di pensieri, Nicole,» esclamò Klaus facendole ricordare che la sua mente poteva essere violata dall’ibrido. Appoggiò il capo alla testiera del sedile e chiuse gli occhi, lasciandosi rinfrescare dalla brezza che soffiava dal finestrino abbassato, « Così va meglio,» continuò parcheggiando velocemente per poi discendere, « Dolcezza,» la chiamò quando non le vide fare lo stesso. Nicole aprì gli occhi e lo seguì, sbattendo la portiera con forza, con un tonfo fragoroso, dietro di sé. Vide la chioma bionda di Rebekah avanzare verso suo fratello e notò che Stefan era ancora svenuto. Si sporse e gli carezzò il capo con dolcezza, sorridendo mestamente per la sua sorte. Era certa che Klaus aveva infierito su di lui per tutto il pomeriggio e la sua risata crudele ne fu la conferma. Posò tra i suoi capelli morbidi un lieve bacio amichevole e si allontanò da lui per raggiungere i fratelli poco distanti.  Rebekah aveva le spalle poggiate sulla superficie gelida della parete del camion mentre Klaus le stava di fronte con le braccia conserte, la maglietta che aderiva perfettamente ai muscoli dei pettorali ben scolpiti. L’ibrido le rivolse un sorriso malandrino e Nicole scosse il capo. Era frustrante che qualcuno potesse leggerle le mente, anche se per poco tempo. Sperò che riuscisse a smaltire il suo sangue il prima possibile.
« Cos’hai intenzione di fare?» gli domandò atona, poggiando il fianco destro sul camion e avvolgendosi tra le braccia per non percepire il gelo di quella sera, così inusuale per la stagione, che sembrava preannunciare una tragedia imminente.
« Capire il motivo per cui non riesco a creare i miei ibridi. Gloria mi ha detto che dovrei contattare la strega originaria, ma devi sapere che è un po’ morta,» bisbigliò come se fosse un segreto prima di sorridere e avvicinarsi pericolosamente a lei. Non sobbalzò nemmeno. Si era ormai abituata a quegli strani, bizzarri, cambiamenti d’umore, « Quindi, tesoro,» continuò sfiorandole il mento con la punta dei polpastrelli della mano destra sino ad arrivare alle labbra, « Dovrai aiutarmi tu,» concluse con un sorriso appena accennato. Gli occhi rifulgevano come zaffiri nella notte buia e Nicole li osservò assorta. V’era una vena di follia in quello sguardo, ma, se si guardava più in profondità, si poteva scorgere una vitalità degna di un bambino curioso che avrebbe voluto afferrare le stelle solamente con la forza del pensiero. V’era troppo in quegl’occhi. Un’eternità vissuta al meglio delle proprie capacità, un agglomerato di sentimenti e sensazioni differenti e confuse, ma energiche, vivide, autentiche. Nicole scosse il capo, non era il momento di lasciarsi trasportare dalla sua magia che le mostrava l’anima, l’estrema essenza, di chi aveva dinanzi a sé.
« Poi lascerai in pace Mystic Falls?» chiese con la voce arrochita, come se non l’avesse utilizzata da un tempo incalcolabile. Klaus sbatté le palpebre, provocatorio e avvenente.
« Se avrò ciò che voglio, sì,» confermò atono, lasciando intorno a sé l’alone del dubbio, non dando alcun tipo di certezza. Si allontanò e allargò il sorriso, facendolo divenire diabolico, pericoloso, micidiale. Le porse gentilmente la mano, come un cavaliere di altri tempi, « Andiamo, cara. Ci attende una lunga notte,» affermò. Nicole volse lo sguardo a Rebekah perché aveva percepito il suono dei tacchi dei suoi stivali. Stava per rientrare nel camion e la giovane strega l’osservò con le sopracciglia aggrottate in un’espressione confusa.
« Non vieni con noi?» le domandò incerta. L’Originale scosse il capo e sorrise.
« Aspetterò che il Bell’Addormentato si desti dal suo sonno perpetuo per comunicargli la felice notizia,» esclamò con un sorriso sornione disteso sulle sue labbra piene. Klaus rise leggermente, lasciando che la sua allegria risuonasse nella mente di Nicole come il suono delle onde oceaniche intente ad infrangersi contro una scogliera. L’ibrido la prese per i fianchi e la condusse all’interno della scuola, non volendo attendere oltre. Sapendo che sarebbe stato abbastanza inutile, patetico, tentare di opporsi, la strega si lasciò trasportare, abbandonandosi a lui, troppo immersa in pensieri confusi. Voleva rivederli. Il dolce Matt, il suo migliore amico, sempre solare e capace di risanare ogni ferita con uno dei suoi sorrisi, l’essenza dell’umanità più estrema. La sincera Bonnie, una delle persone a cui aveva sempre tenuto di più, nonostante fossero legate da un’amicizia meno stretta rispetto a quella tra lei ed Elena, libera, ma non eccessiva e trasgressiva, matura per la sua età molto più di lei e Caroline. L’allegra Caroline. La sua migliore amica, la ragazza con cui aveva scherzato di più in tutta la sua vita, con cui era cresciuta, con cui aveva avuto i dialoghi più bizzarri e, certe volte, soprattutto quando riuscivano ad aggirare gli sguardi di Elena, Bonnie e dei propri familiari, più ubriachi. La vampira che era diventata tale per colpa del piano di Katherine. Non l’avrebbe mai perdonata per quello, no. Caroline non lo meritava, avrebbe dovuto vivere un’esistenza felice e piena di gioie, con accanto un marito che l’amasse per ciò che era e dei bambini con la sua stessa anima indomita e amichevole. Invece aveva trovato Tyler. Fermò il flusso dei suoi pensieri nel riguardare i suoi occhi scuri, meravigliosamente profondi se si arginava la superficiale vanità del giocatore di football. Il battito cardiaco le si accelerò. Klaus l’aveva finalmente lasciata dinanzi a una porta che non era più in grado di ricordare, non in quel momento, non mentre rimembrava il ragazzo che aveva amato tanto, troppo. Era in grado di sentire nuovamente la sua voce. Stava parlando di fare uno scherzo a qualcuno. Trattenne il fiato e scosse il capo, tornando a guardare Klaus che le stava sorridendo sornione, furbo. Arrossì inconsapevolmente.
« Fuori dalla mia mente,» sibilò irritata, gli occhi dardeggianti e assottigliati.
« Non è colpa mia, tesoro, se i tuoi pensieri sono talmente fragorosi da impedirmi di bloccare il contatto,» affermò mellifluo. Vide l’ombra di sua sorella avanzare verso la porta e Klaus si avvicinò a essa. Non pensava che il cuore potesse batterle così rumorosamente, pompando sangue con una velocità indescrivibile, percuotendole la mente provata, stanca. Avrebbe voluto fuggire e fu quello che fece. Klaus non se ne accorse neppure, preso dal guardare il volto stupefatto, terrorizzato, di sua sorella. Si nascose dentro un’aula laterale, buia, in cui nessuno aveva ancora organizzato uno scherzo.
« Ma conosco un modo per farti soffrire.»
Nicole si lasciò cadere contro il muro e chiuse gli occhi, portandosi le mani sulle tempie, sollevando alcuni boccoli. Una lacrima sfuggì dal suo controllo e un sibilo irato dalle labbra. Non aveva nemmeno il coraggio di guardare, di starle vicino, di sentire lo sguardo tradito della sorella su di sé. Si issò in piedi, a fatica, e riaprì gli occhi.
« Non sono una codarda,» sussurrò, facendosi forza con quelle uniche parole per poi uscire dall’aula. Non andò in palestra, in cui sapeva essere i due, ma avanzò verso la porta davanti a cui l’aveva lasciata Klaus. Doveva avvertire i suoi amici di quel pericolo. Alcuni studenti la guardarono e li riconobbe come i suoi vecchi amici, compagni. Si fermò dinanzi a loro e gli sorrise.
« Nicole,» esclamò incerto un ragazzo più basso di lei di una spanna abbondante, dai capelli corti, scuri e ondulati.
« Sì, sono proprio io,» affermò scostando di poco le braccia lasciate ricadere lungo i fianchi, quasi per mostrarsi ai tre, « Ragazzi, sapete dove sono Matt, Bonnie e Caroline?» continuò ben sapendo che Tyler era andato con altri tre in palestra. Adrian le fece cenno dietro di lei e Nicole si voltò incontrando lo sguardo dei suoi tre migliori amici. Matt la osservava stupito mentre Elena doveva aver raccontato qualcosa a Bonnie e Caroline perché non sembravano molto sorprese di vederla lì. Percepì dei passi allontanarsi velocemente e comprese che i tre ragazzi avevano seguito Tyler. Nicole tentò di sorridere, ma sulle sue labbra apparve solamente una smorfia a metà tra il tuffo al cuore e il desiderio che l’abbracciassero proprio come si fossero salutati il giorno prima e non da due lunghissimi anni. Caroline incrociò le braccia e un sbuffo divertito fuoriuscì dalle sue labbra rosate e sottili. Mosse un passo verso di lei e le sorrise con gentilezza. La speranza tornò a rifiorire in lei e distese le labbra, questa volta con più felicità.
« Nicole,» la salutò. Risentire la sua bella voce, tanto amichevole e dolce, fu l’evento che scatenò la sua anima. L’abbracciò, la strinse a sé con forza, nonostante le fosse impedito cingerla completamente a causa delle braccia conserte. Bonnie si avvicinò loro e senza dire una parola, ma sorridendo debolmente, circondò le braccia di entrambe. Quando sciolsero l’abbraccio, insieme, all’unisono, come se fossero un’entità sola, Nicole incontrò gli occhi limpidi di Matt e vi lesse tutto l’affetto del mondo. Era a casa, con la sua famiglia, di nuovo. Sospirò rimembrando che mancava ancora qualcuno all’appello e quel qualcuno si trovava con il proprio carnefice, nella palestra della scuola.
« Dove sei stata per tutto questo tempo?» le domandò Matt meravigliato e allibito. Una risata sommessa, blanda e bonaria, seguì quella domanda appropriata, ma dolorosa.
« Un po’ di qua, un po’ di là,» rispose evasiva. Caroline si congedò con un sorriso e la vide avanzare verso la stessa direzione di Tyler. Una morsa  di pura afflizione le strinse lo stomaco, ma non lo diede a vedere. In fondo lei e Tyler formavano una coppia meravigliosamente eccezionale, soprannaturale, ma equilibrata, e non sarebbe stata lei a volerli dividere. Bonnie le prese la mano e le sorrise. Nicole fece lo stesso di rimando e si odiò perché non era ancora riuscita a dir nulla. Bonnie fece per condurla verso la piscina, ma Nicole scosse il capo. Elena poteva essere in pericolo. Era ora di abbandonare la sua codardia una volta per tutte. Bonnie aggrottò le sopracciglia e la osservò interrogativa.
« Klaus,» sussurrò atona. La strega lasciò la presa e fece un passo indietro e Matt la guardò atterrito.
« Sei dalla sua parte?» le chiese Bonnie delusa, attonita.
« No, non lo farei mai,» esclamò spostando lo sguardo dall’una all’altro per convincerli della sua innocenza, « Ma lui è qui, nella scuola, con Elena, in palestra, e io non so cosa fare perché è troppo forte,» continuò con le lacrime agli occhi. Matt le sfiorò il braccio per infonderle calore anche se nel suo sguardo poteva scorgere il panico che gli attanagliava l’animo a causa della preoccupazione per Elena. Velocemente, senza attendere le altre due, si mosse verso la palestra. Bonnie, dopo una sfuggevole occhiata intrisa di inconsapevolezza e sbigottimento, seguì il ragazzo e Nicole fu subito dietro di loro. Corsero per i corridoi vuoti della scuola sino a ritrovarsi dinanzi le porte della palestra che portava lo stemma dei Timberwolves. Bonnie la spalancò ed entrò nel vasto ambiente rettangolare.
« Mi chiedevo dove fossi sparita, tesoro,» esclamò Klaus quando la vide. L’espressione di Matt, Bonnie ed Elena si congelò. L’ibrido avanzò verso di lei e Nicole lo osservò, cercando di imprimere un potentissimo vigore nel suo pensiero riguardo al fatto che fosse una carogna. Rise lievemente, poi si rivolse a Bonnie.
« Penso proprio sia tu la causa di questo piccolo inconveniente,» esclamò indicando Elena, ancora viva e vegeta. Nicole si avvicinò alla sorella e le sfiorò l’avambraccio. La ragazza la guardò, domandole con lo sguardo perché fosse lì. Nicole scosse il capo, facendole cenno di tacere.
« Esatto. Se vuoi incolpare qualcuno, allora incolpa me,» mormorò Bonnie. Si era dimenticata quanto potesse essere coraggiosa se si trattava di difendere un’amica.
« Non ce ne sarà bisogno, Bonnie, almeno non se sistemerai gli effetti collaterali che hai causato con le tue stregonerie inopportune.» Un altro suono squasso l’aria e Nicole si volse verso la fonte. Rebekah stava malamente trascinando Tyler. Il ragazzo si oppose, ma la vampira gli ordinò di stare in silenzio. I suoi occhi scuri si posarono subito sulla figura dinanzi a lei e le labbra gli si schiusero per lo stupore, dimentico di ciò che lo circondava. Nicole lo guardò e il battito le si accelerò. Era più bello di come lo ricordava. Era diventato un uomo tra le vicissitudini che avevano cambiato la sua vita, dalla morte del padre alla trasformazione in licantropo. Non udirono nemmeno la voce di Klaus in quel momento, continuarono a guardarsi ancora per pochi istanti, entrambi in silenzio, entrambi intenti a pensare al passato. Quel gioco di sguardi si interruppe quando Rebekah passò il ragazzo a Klaus che lo condusse quasi al centro della palestra. Preannunciò quale sarebbe stato il destino di Tyler non appena sentì l’ibrido parlare della fallace creazione dei suoi simili. Si morse il polso e Nicole schiuse le labbra, facendo un passo verso di loro. Quando costrinse Tyler a bere il suo sangue, un’espressione di puro disprezzo si delineò sui suoi tratti e una miriade di insulti di ogni genere costellò i suoi pensieri. Klaus li percepì tutti e la guardò mentre spezzava il collo di Tyler e abbandonava il suo corpo, lasciandolo rovinare a terra. Le sorrideva, soddisfatto, diabolico, folle. Sentì Elena urlare e il respiro di Bonnie accelerato. Una lacrima le rigò il volto e non fu in grado di staccare gli occhi dal suo corpo morto. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, ma una forza esterna glielo stava impedendo. Era la sua stessa coscienza a indurla a non agire. Gli Originali erano andati a sedersi sugli spalti, lasciandoli per un attimo soli. Elena passeggiava tra i due piccoli gruppi di ragazzi mentre Matt era inginocchiato accanto al corpo del suo migliore amico. Bonnie era in piedi e Nicole era ancora ferma. Si passò una mano sugli occhi, sospirò pesantemente e si avvicinò a quello che era stato il suo fidanzato, il primo amore. Gli carezzò il volto, tentando di ripulire il sangue sul suo mento, e non riuscì a trattenere un singhiozzo. Matt le carezzò la mano ed Elena si voltò per guardarla, infondendole una forza che nemmeno lei possedeva in quel momento. Klaus si alzò, seguito subito da Rebekah.
« Mettiti al lavoro. Vai a prendere i tuoi grimori e tutto ciò che ti serve,» ordinò avvicinandosi celermente a loro. Nicole si issò in piedi.
« Lascia che lo faccia io,» mormorò, ma nei suoi occhi v’era una determinazione inattaccabile e invincibile.
« Oh no, sweetheart. Ho altri piani per la tua serata e ti voglio al mio fianco, sai, come rassicurazione. Avere una strega dalla propria parte è sempre un bene,» esclamò prima di sorriderle, « Poi,» continuò afferrando il braccio di Elena, « Non vorrai lasciare la tua sorellina da sola, vero?» concluse mefistofelico. Bonnie ed Elena si scambiarono un’occhiata piena di significato, poi la strega si volse verso l’uscita e Matt le fu subito dietro, dopo aver guardato Nicole.
« Dunque è questa l’ultima doppelganger… L’originale era molto più carina,» terminò con un viso angelico Rebekah. Elena la osservò senza comprendere mentre Klaus riprendeva la sorellina. Il comando di Klaus le fece ribollire il sangue nelle vene e volse per l’ultima volta lo sguardo a Tyler, sperando che Bonnie riuscisse a trovare un modo per salvarlo.  Elena si avvicinò a Dana mentre Klaus andava a risedersi sulle tribune. Nicole si accomodò lontano da lui e vicino al trio di ragazzi disperati che aveva davanti. Elena la guardò mentre carezzava i capelli della giovane. Nicole le sorrise. Seppur si trovassero in una situazione orribile, Nicole non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse stato bello poterla rivedere ancora una volta, potersi rincontrare anche senza scambiarsi una parola. Suo padre aveva avuto ragione sino alla fine. Niente e nessuno avrebbe mai potuto spezzare il rapporto tra due sorelle, due gemelle come loro, nate insieme e diverse, ma vogliose di completarsi vicendevolmente. Leggeva negli occhi castani di Elena i suoi stessi pensieri e il suo affetto incondizionato per lei. Un rumore improvviso destò la loro attenzione. Repentinamente volse il capo per incontrare quello di Stefan. Sospirò dal sollievo. Era ancora vivo.
« Stefan…,» lo chiamò Elena, issandosi in piedi. Quanto amore celato nella sua voce. Un sentimento così grande da essere indescrivibile con la sola forza delle parole. Il vampiro si rivolse direttamente a Klaus e Nicole vide il volto ferito di Elena. Quando affermò che Elena non significava più nulla per lui, si alzò e avanzò verso la sorella come per proteggerla dalla forza distruttiva di quelle che sapeva essere solo parole, di quelle che dovevano essere soltanto inutili agglomerati di lettere senza importanza alcuna. Klaus si alzò e avanzò verso di loro, fermandosi a pochi metri, volgendosi a tre quarti. Inclinò il capo verso Dana e Chad e gli ordinò di ucciderli. Stefan sembrò riluttante ed Elena pensò che ci potesse essere ancora speranza. Pur nonostante Nicole stesse premendo sulle sue braccia per indurla a tacere e a non esporsi, la giovane parlò, implorò, splendida nel suo voler continuare a pensare che Stefan fosse sempre lo stesso, meraviglioso, ragazzo che l’aveva fatta innamorare. Sì, Nicole pensò che fosse splendida. Non aveva mai visto una persona più umana di sua sorella e, se fosse stato possibile, le avrebbe voluto ancora più bene. La magia di quell’istante si concluse proprio come era iniziata. Klaus si avvicinò ad Elena e la schiaffeggiò con forza, facendola sfuggire dalla sua presa e buttandola a terra.
« Figlio di…,» esclamò Nicole con rabbia prima di inginocchiarsi accanto a lei e stringerla in un abbraccio rassicurante. Stefan fu velocissimo. Si avventò su Klaus, ma l’ibrido era troppo forte e lo immobilizzò.
« Non significa niente per te?» domandò retorico, irato. Stefan, pur paralizzato dalla presa ferrea di Klaus sulla sua gola, gli urlò di lasciarla stare. Elena alzò il capo per poter vedere la scena mentre Nicole continuava a stringerla a sé. Ricambiò il suo abbraccio per farle capire che stava bene, anche se lo schiaffo bruciava sulla sua pelle e nel suo cuore. Mai nessuno l’aveva sfiorata con un dito. Klaus lo soggiogò, per davvero. Nicole spalancò le labbra, incredula.
« Non farlo,» lo pregò Stefan.
« Non volevo farlo. Tutto ciò che volevo era la tua lealtà e ora me la devo prendere,» esclamò Klaus. Sembrava umano in quella delusione, così tanto che Nicole non fu in grado di odiarlo, così tanto da farle pensare che quella dell’ibrido diabolico fosse solo una maschera che celava un animo tradito dal resto del mondo. Elena non la vedeva allo stesso modo. Fu quasi sul punto di sollevarsi, ma Nicole la tenne a terra per impedirle
di fare qualche avventatezza, « Devi solo e soltanto obbedire,» marcò quelle parole col fuoco del più estremo soggiogamento e Stefan cedette. La sua mente si rifiutò di combattere, sconfitta dalla volontà di una creatura superiore a lui. Klaus lo lasciò e Stefan mosse un passo indietro. Elena, illuminata dalla luce dietro di loro, negò, tentando di issandosi in piedi. Quella volta glielo lasciò fare e la seguì subito dopo, ma le ginocchia di entrambe cedettero subito dopo. Lo chiamò, ma il vampiro non le rispose, non la guardò, non la ricordò. Klaus mostrò al suo Squartatore i due giovani sconvolti e il volto di Stefan divenne orribile, quello di un vampiro malefico pronto a distruggere e succhiare la vita di coloro che avevano il coraggio di sbarragli la strada. Li uccise entrambi. Nicole non riuscì a distogliere lo sguardo da quel macabro spettacolo e dal respiro di Elena capì che anche lei era impossibilitata a farlo. Orribile. Non v’erano altre parole per descriverlo. Guardò Klaus e lo vide sorridere. Pensò che tutto ciò che aveva fantasticato sull’umanità dell’anima di Klaus era totalmente infondato, sciocco e falso. Non era che un mostro. Non si voltò anche se Nicole era sicura che avesse captato quel pensiero. Si inginocchiò vicino a Elena e guardò entrambe.
« È sempre bello osservare la vera natura di un vampiro,» affermò l’ibrido mentre Stefan lasciava cadere il cadavere di Chad. Sua sorella era ancora convinta che fosse ancora in lui, anche con quel mento sporco di sangue innocente, anche con quegli occhi ancora neri per la brama e il desiderio. Si alzarono, tutti e tre. La voce di Rebekah fendette l’aria come la lama di una spada. Aveva scoperto della collana. Il sangue le si gelò nelle vene e sgranò gli occhi chiari, tentando di portarsi Elena dietro le spalle per difenderla, ma la sorella rimase impassibile, non comprendendo nulla. Tra i denti Rebekah le chiese dove si trovasse.
« Non ce l’ho più,» affermò veritiera Elena. La vampira non le credette e affondò le sue zanne nel collo di sua sorella. Fu Klaus quella volta a scostarla, ancora prima di Stefan e Nicole. L’Originale era isterica, la sua voce sfiorava la follia. Elena rovinò nuovamente a terra e Nicole le carezzò i capelli per non farla piangere. Klaus tentò di calmarsi, giungendo le mani dinanzi alle sue labbra, e poi si inginocchiò di fronte a lei, cercando di mantenere un tono tranquillo, celando appena la rabbia.
« Dov’è la collana, dolcezza?» le domandò. Gli disse che l’aveva rubata Katherine. Nicole trattenne il fiato. Mossa strategica di una vampira eccezionalmente scaltra. Era Katherine. L’adorò in quel momento, con tutta se stessa. Klaus le gettò un’un occhiataccia, poi si issò in piedi, meditando tra sé ad alta voce e smontò tutte le sue gioie, rendendole illusioni senza alcun fondamento.
« La collana avrebbe facilitato un bel po’ le cose per la tua strega, ma dal momento che usiamo le cattive…,» esclamò avanzando nuovamente verso gli spalti per il timer all’interno del tabellone, « Mettiamo un orologio, che dite?»  Nicole si alzò, aggrottò le sopracciglia dorate. Non era in grado di comprendere ciò che passava per la mente dell’ibrido. Poi tutto le fu chiaro e un suono di diniego fuoriuscì dalle sue labbra appena schiuse. Il mondo crollò dinanzi a sé. Sgranò gli occhi chiari e una lacrima sfuggì da essi. Se Elena fosse morta, se la sua sorellina fosse scomparsa per sempre, se avesse trascorso gli ultimi attimi della sua esistenza guardando dissolversi l’umanità dagli occhi del ragazzo che amava, tutto sarebbe finito con lei. Sarebbe voluta morire con lei per non dover vivere in un mondo in cui non c’erano più i suoi occhi, il suo volto, la sua voce, il suo animo dolce, nobile, gentile. Il suo sorriso. Klaus non le rivolse uno sguardo, non ce ne fu bisogno. Uscì, seguito da sua sorella, lasciando soli i tre nella palestra. Vide Stefan volgere lo sguardo a sua sorella lentamente, quasi come se fosse un sacrilegio guardarla davvero sapendo che da lì a poco avrebbe dovuto ucciderla. Era impossibile che Bonnie riuscisse nell’incantesimo. Nessuno possedeva grimori tanto antichi. Spalancò le labbra e sollevò il capo. Forse c’era ancora una possibilità, ma non poteva uscire da lì senza che Stefan le spezzasse la spina dorsale. Doveva chiamare Bonnie. Estrasse il telefono dalla tasca dei jeans e digitò il numero dell’amica. Occupato.
« Dannazione,» imprecò ad alta voce, tremando. Elena la guardò. Era sconvolta, incredula, afflitta, disillusa. Annientata. Non sembrava più nemmeno l’Elena con cui era cresciuta. Trascorsero muniti preziosi senza che nessuno dei tre riuscisse a trovare una soluzione. Le due sorelle si erano sedute e Nicole aveva porto all’altra un panno per tamponare il sangue sul collo. Elena si alzò, incapace di star ferma, proprio come il vampiro. Nicole tentò di richiamare Bonnie, ma senza ottenere risposta per l’ennesima volta. Chiuse gli occhi e poggiò la superficie gelida dello schermo su quella più calda della pelle della fronte. Le parole di Stefan ed Elena erano totalmente inutili in quella situazione. Se avesse avuto il grimorio della sua bisnonna sarebbe stata in grado di formulare l’incantesimo che serviva a Klaus, ma nessuno le rispondeva. Compose il numero di Jeremy, sperando che almeno lui potesse aiutarla. Nulla. Tentò con quello di Matt. Nulla.
« Che stai facendo?» le domandò Stefan tentando di non imprimere un tono rabbioso nella sua voce, senza riuscirci. Sospirò.
« Se Klaus avesse lasciato fare a me, a quest’ora non avremmo questi problemi,» sibilò irata, irritata e irrequieta.
« Da quando in qua segui i piani di quel folle?» esclamò Elena, bloccandosi dinanzi a lei. Era arrabbiata, non con lei, ma con Klaus, l’ibrido che le aveva rovinato la vita. Chiuse le mani a coppa davanti al volto, « Stefan, tu puoi controllarlo,» continuò poi, « Quando scatterà il segnale acustico, devi bere il mio sangue.»
« Non capisci. Non posso fermarmi, Elena!» la interruppe, avvicinandosi a lei, a denti stretti. Nicole si alzò e avanzò verso di lui fermandosi dinanzi al suo volto.
« Combatti,» esclamò poggiando le mani sulle sue braccia muscolose, guardandolo negli occhi. Stefan la osservò incredulo, chinando il capo per poterla guardare meglio essendo di una spanna più bassa di lui, « Combatti, Stefan,» ripeté con più forza, sentendo le lacrime velarle gli occhi, « Vuoi perderla per sempre? Vuoi davvero che Klaus ti domini? Perché io non te lo permetterò mai. Mio padre è morto per salvarle la vita e non permetterò che né tu né gli altri le facciano del male,» concluse imprimendo una forza dirompente in quelle parole nate dall’anima. Il volto di Stefan assunse una smorfia sofferente, di puro dolore.
« Io non riuscirò a fermarmi,» esclamò. Nicole si scostò da lui, sentendo che non poteva più fare nulla. Il discorso che ne seguì fu terribilmente struggente e annientò ogni speranza nel suo cuore. Cinque minuti.
« Non ci credo. Puoi combatterlo. Devi solo volerlo con tutto te stesso,» esclamò Elena, ancora speranzosa sino a divenire un’illusa.
« Perché ti amo?» Nicole tentò con tutta se stessa di non ascoltare. Non avrebbe dovuto farlo. Era un dialogo intimo tra due innamorati. Lei non ne avrebbe dovuto far parte. Chiuse gli occhi e spense l’udito. Tutto sembrò più tamponato così, filtrato e inudibile, le parole rese indistinguibili le une dalle altre. Mancavano pochi secondi quando riprese le facoltà sensoriali. Non si erano accorti di nulla. Stefan aveva cominciato a sudare per trattenersi. Le disse di scappare, la implorò di farlo.
« Scappa. Ti darò un minimo di vantaggio,» affermò Nicole prima di chinarsi su Stefan e guardarlo negli occhi chiari, spalancati, sgranati. Si convinse non appena sentì il segnale. Gli disse che lo amava. Stefan non riusciva a combattere, glielo si leggeva nello sguardo bramoso di sangue e morte. Chiedeva pietà. Nicole annuì e cominciò a formulare un incantesimo per tenerlo a bada. Sentì sua sorella correre e impresse più forza nella formula, percependo che Stefan si stava ribellando al suo controllo. Un ringhio basso, roco, animalesco fu l’unico suono che sentì prima di essere sbattuta per terra dal vampiro. Interruppe l’incantesimo e lo vide uscire velocemente dalla palestra. Scosse il capo più volte e si alzò, cominciando a correre per raggiungerli, nella mente il pensiero di doverla salvare. Corse sino a sentire le gambe cederle per il terrore e lo sforzo. Si ritrovò nell’aria adibita alla mensa. Klaus aveva stretto il braccio di Elena e le davano le spalle. Entrò con il fiatone e affiancò sua sorella. Stefan l’osservò ancora con quello sguardo struggente, straziante, che sembrava implorarlo di ucciderlo all’istante pur di non far del male alla ragazza che amava. Klaus si allontanò da Elena e si sedette. Mosse le labbra per parlare, ma non riuscì ad articolare nessun suono. Era troppo essere in grado di comprendere ciò che stava per succedere, troppo per la sua mente che non voleva capire, che si opponeva a ogni raziocinio. Vedere Stefan lottare così strenuamente per amore di Elena le fece cambiare totalmente la sua concezione dei vampiri, radicata da secoli e secoli nelle parole dei suoi familiari. Erano tutti nel torto, anche suo padre. Un vampiro poteva amare con la stessa intensità di un umano, anche di più. Tutte le loro emozioni erano amplificate, allora anche l’attitudine a proteggere la propria compagna, a rispettarla, ad amarla, doveva essere enfatizzato. Ma Klaus era più forte di ogni volontà individuale. Lo costrinse a spegnere ogni emozione, lo costrinse a nutrirsi di Elena. Nicole non fece nulla, era come pietrificata. Assistette a tutto, ma non avrebbe saputo riportarlo. Era solo caos per lei. Si sentì stringere, percepì delle mani sui suoi fianchi e dopo non ci fu più la terra sotto i piedi. Tornò qualche istante dopo. Klaus le alzò il mento e la costrinse a guardarlo. Non lo vedeva veramente. Le stava sorridendo, ne era sicura, era il suo modo per imporre la sua autorità, ma non ce l’avrebbe fatta quella volta. Non c’era nessuno da governare, non in quel momento.
« Cosa le hai fatto?» chiese una voce femminile poco lontano. Apparteneva a Caroline, ma era arrabbiata, non v’era la solita dolcezza.
« Io nulla. Temo sia stata la vista a turbarla. Credo proprio sia sotto shock.» La pressione scomparve e si sentì più libera anche di respirare. A poco a poco riprese coscienza. Gli occhi le si fecero meno sgranati e comprese di trovarsi in un laboratorio. Tyler era sveglio, ma era sofferente, e aveva dinanzi Klaus che gli stava offrendo una provetta con dentro il sangue di Elena. Non voleva berlo.
« Bevilo, Tyler,» sussurrò Nicole riportando l’attenzione di tutti su di sé. La tua voce era atona, vuota, ma i suoi occhi stavano ritornando a brillare come piccoli zaffiri e la sua pelle stava riprendendo il suo consueto colorito. Il ragazzo la guardò e obbedì, ingerendo tutto il contenuto per poi rovinare a terra. Il fragore dei vetri spezzati la scosse completamente. Tyler iniziò a contorcersi dal dolore e Caroline, stretta nella presa di Rebekah, urlò. Nicole si appoggiò al muro. Se aveva ben compreso, stava andando tutto per il verso giusto. Klaus non sembrava essere della stessa opinione. Quando vide i canini acuminati e gli occhi gialli, lupeschi, comprese che era un buon segno.
Avevano portato Elena in ospedale subito dopo. Non volle comprendere, scelse di non farlo, la ragione per cui si erano tanto prodigati per lei. L’importante era che stesse bene. Aveva deciso anche di non salire. Non avrebbe potuto far nulla e, inoltre, non avrebbe voluto essere lì quando si fosse svegliata. Non udì le voci degli Originali per molto tempo, poi intervenne.
« Sei stato uno sciocco,» esclamò irata. Klaus la guardò, un sibilo fuoruscito dalle labbra carnose, « Se mi avessi lasciata fare, avrei potuto consultare il grimorio della mia bisnonna e ti saresti risparmiato tutto questo. E, se proprio vuoi saperlo, saresti solo a prescindere dalla creazione degli ibridi. Vuoi governare, vuoi possedere l’illimitato,vuoi scegliere al posto dei diretti interessati, e i re sono sempre stati soli,» concluse atona. Percepì gli sguardi di entrambi su di sé prima di sentire una sferzata di vento sul volto. Klaus le si era parato davanti e la osservava, nei suoi limpidi la rabbia più potente, ma anche più inutile.
« Potrei ucciderti senza che neanche te ne accorga,» sibilò, scandendo ogni sillaba di ogni parola. Nicole rise lievemente e alzò le spalle, incrociando le braccia dinanzi a sé.
« Fallo. Non cambierà niente.»
« Ora basta, voi due,» li riprese Rebekah scendendo da una jeep nera. Klaus volse lo sguardo verso di lei e le domandò di andare a prendere il furgone. La vampira obbedì e la videro scomparire poco tempo dopo. Klaus fece per parlare quando sentirono una presenza avvicinarsi all’ospedale. Camicia nera, pantaloni scuri, capelli corvini e occhi di ghiaccio. Damon Salvatore pronto a salvare la sua bella, troppo tardi. Voleva raggiungere Elena, ma Klaus glielo impedì. Nicole si avvicinò ai due e Damon la guardò.
« Sei proprio identica a John. Il tuo paparino non ti ha insegnato a non passare dalla parte del nemico o era troppo impegnato a uccidere i vampiri?» le domandò ironicamente divertito, pungente nel suo sarcasmo irato. Non era il momento. Chinò il capo, poi lo scosse, ma non aggiunse altro. Si mosse per poter avanzare, ma Klaus poggiò una mano sul suo petto, impedendogli di fare anche un solo altro passo. Quella serata non era la migliore per litigare con l’ibrido e Damon fu scaraventato contro una macchina dalla vernice chiara.
« Non vuoi sapere del tuo amico Mikael?»  chiese prima che lo colpisse. Klaus si bloccò
« Cosa sai di Mikael?» Sembrava spaventato. Per la seconda volta Nicole sentì di aver già conosciuto quel nome, ma non sapeva ricondurlo a un volto. Vide che Klaus la stava guardando con la coda dell’occhio mentre continuava a parlare con Damon. Lo sbatté contro un altro veicolo e lo lasciò quasi esanime sull’asfalto. Non sentiva più nulla sotto di sé. Provò a  vedersi intorno, ma tutto era una serie di immagini senza senso e chiuse gli occhi, poggiando il capo contro il petto dell’ibrido per non percepire la nausea crescere.
« Dovrai dirmi cosa sai di Mikael.»

-_-_-_-_-

Salve a tutti e buon pomeriggio. In questo quarto capitolo mi sono voluta soffermare sulla totalità delle sensazioni di Nicole, sui suoi pensieri su Matt, Bonnie e Caroline e sui rapporti con Tyler ed Elena. Ho introdotto anche il tipo di rapporto che avrà con Damon. Si scontreranno molto su tante questioni in futuro, ma sempre saranno entrambi per il bene di Elena. Alla fine c’è la figura di Mikael che Nicole non riesce ancora a ricondurre a un volto, ma ci riuscirà nel prossimo capitolo. Ringrazio tantissimo chi ha recensito, chi ha inserito la storia tra le seguite e le ricordate e chi ha letto silenziosamente. Un saluto, alla prossima, almeisan_

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Capitolo 5
*** Revealer dream ***


kkkkk
Capitolo 5
 Revealer Dream


Mikael.
Un nome inusuale, dal suono duro, aguzzo quasi, che non apparteneva sicuramente a quell’epoca, ma a una lontana, irraggiungibile. Era un nome legato alla sua infanzia, a un particolare evento, un accadimento rumoroso, per così dire. Non v’erano molti altri aggettivi per definirlo se non acusticamente. Percepiva il dolore di qualcuno che le era stato molto vicino in un altro tempo, ma non riusciva a ricordare chi e il perché soffrisse così tanto a causa di quella persona. Non sapeva ricondurre quel nome a un volto, ma a un’idea: quella del male più assoluto. Quella persona doveva essere crudele, diabolica, e quella consapevolezza la fece tremare, stretta ancora tra le braccia muscolose dell’ibrido. Non si era accorta che le scarpe di tela, un paio di converse nere e alte, potevano nuovamente toccare l’asfalto. Scostò il capo dalla maglietta grigia, sottile, di Klaus e riaprì gli occhi, arretrando di un passo e scontrandosi con la portiera lucida del camion. La stava guardando, non un’espressione comprensibile nel suo sguardo di un azzurro reso ancora più intenso dalla concentrazione. Le labbra perfettamente delineate erano corrucciate, come insoddisfatte e vogliose di maggiori risposte, chiarimenti che Nicole non era in grado di offrirgli.
« Chi è Mikael?» gli domandò incuriosita, con la voce sommessa per paura di irarlo maggiormente, ma troppo interessata per poter lasciar perdere. Klaus non le rispose né diede segno di volerlo fare. Sparì dalla sua vista e sentì lo sportello del conducente aprirsi per poi chiudersi con un tonfo sordo. Sospirò e guardò per l’ultima volta l’High School. Era buia, in quel momento. Più nessuno era al suo interno, la notte degli scherzi si era oramai conclusa, sfiorando la tragedia. Scosse il capo, chiuse gli occhi ed entrò nell’ampio abitacolo del furgone. Il sedile di lucida pelle nera era comodo e giovò alla sue membra stanche. Poggiò le spalle sullo schienale e volse lo sguardo verso Klaus. Aveva entrambi le mani sul volante e sembrava arrabbiato, molto più di quanto lo aveva visto per tutta la serata. Schiuse le labbra per parlargli, poi cambiò idea e allungò le gambe snelle e longilinee dinanzi a sé. L’ibrido mise in moto e cominciò a guidare velocemente verso la più vicina uscita per l’autostrada. A fianco della vibrazione provocata dal veicolo in corsa, se ne aggiunse un’altra che riconobbe come quella del suo telefono. Lo estrasse e lesse il nome di Jeremy accompagnato da una foto che li ritraeva insieme, poco prima che abbandonasse Mystic Falls. Dietro di loro, vi era l’ameno paesaggio delle cascate e Nicole si soffermò sul sorriso dolce del suo fratellino. Lo carezzò con il polpastrello del pollice, ma non gli rispose. Una lacrima solcò la guancia scendendo lungo lo zigomo arrotondato. L’asciugò prontamente, con il dorso della mano, quando interruppe la chiamata. Si accorse di avere gli occhi di Klaus puntati su di sé e lo guardò.
« Non gli hai risposto,» affermò con la voce priva di qualsivoglia emozione e inclinazione. Nicole alzò le spalle e sospirò, « Certo, cosa avresti potuto dirgli?» continuò tentando di mantenere un tono ironico e divertito, ma era evidente la sua collera e la strega non fu in grado di comprenderla, « Che ti trovi nel furgone contenente le bare della famiglia di un ibrido folle che ha sacrificato tua sorella e tua zia per i suoi scopi malvagi e completamente inutili? Tanto poi rimarrà sempre solo e sarà disprezzato da tutti, anche dal suo dannato patrigno,» sputò fermando il furgone dinanzi al ponte, frenando con una sgommata fragorosa che l’avrebbe spaventata in un altro frangente. Nicole spalancò le labbra e sgranò gli occhi. Mikael era suo padre. Trattenne il fiato e aggrottò le sopracciglia. Provò per un singolo, assurdo, attimo il desiderio di scusarsi per le sue parole. Non avrebbe dovuto dirgli quelle malignità. Nessuno meritava di essere solo, nessuno, ma si trattava di Elena e non era stata in grado di trattenersi.
« Mi dispiace.» Lo mormorò con il capo chino e dopo si morse le labbra, imbarazzata, con le gote avvampate di rossore, con i boccoli biondi che le ricadevano dinanzi al volto, come per proteggerlo dagli sguardi altrui. Avrebbe voluto aggiungere che non era per quello che non aveva risposto a suo fratello. Non l’aveva fatto per paura, per timore di risentire la sua voce, ma contro di lei, proprio come era stato con Elena, anzi quel panico era addirittura maggiore, più potente, quasi straziante, orribile. Era il suo fratellino, quello a cui aveva promesso che non se ne sarebbe mai andata, per nessuna ragione, per il quale avrebbe combattuto il peggiore tra i mali pur di salvarlo, per il quale sarebbe anche morta se glielo avesse chiesto. Era Jeremy, il ragazzo più buono e gentile che avesse mai incontrato. Miranda e Grayson sarebbero stati fieri di lui se fossero stati ancora vivi. Deglutì e guardò il fiume in cui erano annegati. Doveva essere stata una notte come quella. Lei non lo sapeva. Lei era già lontana quando tutto era successo e non era tornata indietro, neanche per dar loro l’ultimo saluto. Proprio come una stupida ragazzina ipocrita ed estremamente egoista. Si era odiata per quello e aveva odiato il Consiglio per quello che le avevano fatto, per come l’avevano costretta ad abbandonare la sua città. Non era stato tutto il Consiglio, ricordò con amarezza. Il telefono squillò ancora e lo guardò. Era Carol Lockwood. Sollevò elegantemente un sopracciglio e notò che Klaus non aveva scostato lo sguardo da lei nemmeno per un attimo. Forse era anche lui preso dai suoi ricordi dolorosi. Quella volta rispose, titubante sì, ma non spaventata. Portò il telefono all’orecchio e accettò la chiamata.
« Carol,» la chiamò con la voce arrochita. Immaginò i grandi, splendidi, occhi azzurri della donna insicuri, dubbiosi, immensamente dolci, materni. Era stata una seconda mamma per lei. Una terza, si corresse mentalmente.
« Nicole,» la salutò stanca, spossata da quella che doveva essere stata per lei una lunga giornata. Klaus aveva ricominciato a guidare nella notte, illuminando con i fari del furgone il paesaggio boschivo circostante, « Oh cara,» esclamò poi. Poté immaginare le sue lacrime commosse. Se per lei era stata una mamma, per Carol era stata una figlia, la figlia che avrebbe sempre desiderato avere. Gli occhi limpidi le si velarono di lacrime trattenute a stento per l’emozione di sentirla nuovamente. Era triste, Carol, malinconica ed estremamente debole in quel momento. La concepì seduta sul divano morbido e pregiato dello studio del marito, ampio e pieno di luce al mattino, vestita elegantemente, con i capelli castano chiaro corti e lisci, lasciati sciolti, la fede all’anulare tenuta con orgoglio come il braccialetto ragalatole dal figlio non molti anni prima. Era un ritratto di assoluta perfezione. Una moglie ideale, un’ottima madre, un’amica sincera, una donna pacata e disponibile, un buon sindaco per una cittadina del Sud.
« Dimmi, Carol,» la invitò con un sorriso triste, consapevole del ruolo della donna che le stava parlando.
« Il Consiglio, tesoro,» mormorò dispiaciuta, timorosa, ben sapendo come quelle parole avessero il potere di ferirla, « Loro non ti vogliono qui, a Mystic Falls. Dicono che sarebbe troppo pericoloso,» continuò distanziandosi da quelle che erano solo e soltanto falsità. Strinse la mano che non era occupata a tenere il cellulare in un pugno rabbioso, ma tentò di mantenere un tono di voce calmo e pacato. Non era con Carol che doveva arrabbiarsi.
« Certo per la cittadina con il più alto tasso di popolazione vampirica della Virginia sarebbe davvero un danno avere anche una strega,» constatò sarcastica, tirando un calcio contro il vano portaoggetti. Non era riuscita a controllarsi ed era scattata. Non era possibile che fossero davvero così stupidi. La breve risata di Klaus, bassa e lievemente divertita, sembrò dirle il contrario.
« Non rendermi le cose più difficili, Nicole,» la implorò la donna. Si quietò all’istante e sorrise con dolcezza, annuendo proprio come se fosse lì, davanti a lei.
« Non preoccuparti, Carol. Sono già andata via. Però, sii sincera con me. Chi è stato a dirti di mandarmi via, quello più convinto e risoluto?» le domandò, assottigliando lo sguardo divertito. Lo sapeva da sé, ma voleva una conferma. Richard era morto, quindi non poteva essere che lui.
« Bill Forbes,» le mormorò la donna. Il sorriso divenne più freddo, malevolo.
« Grazie per la tua sincerità, Carol,» affermò prima di interrompere la chiama e lasciar cadere il telefono chissà dove. Poggiò il capo sul finestrino alzato e rannicchiò le gambe sul sedile. Avevano appena superato un cartello per Charlottesville, quindi stavano andando a nord.
« Dove siamo diretti?» gli domandò sperando che avesse dimenticato la rabbia di poco prima. Dopo qualche secondo, quando comprese che non le avrebbe risposto, lo guardò e vide ancora un sorriso disteso sulle sue labbra. Lo sguardo le si soffermò sulla fossetta sulla sua guancia prima ancora che sulle labbra. Aveva un sorriso da bambino in quel momento. Finalmente la degnò della sua attenzione e i suoi occhi chiari, brillanti come le acque di un Oceano pacifico e accogliente, incontrarono quelli della strega.
« Non sai leggere, cara?» le domandò ironico, anche un po’ irritato. Tentò di trattenersi, ma rise dinanzi al suo volto. Non era un risata allegra né isterica, era solamente leggera, serviva per smorzare la tensione accumulatasi durante quella serata. Klaus la prese per quello che era e tornò a guardare la strada. Smise dopo poco e chiuse gli occhi ancora sorridente.

« Nicole, l’azzurro?» domandò una bambina, che aveva poco più di tre anni, dai lunghissimi e lucentissimi capelli castani dalle venature tendenti al rossiccio, il colore delle cortecce degli alberi tra cui giovano a rincorrersi quando i genitori le portavano alla casa sul lago. Erano sedute, per meglio dire inginocchiate, sulla panca di legno scuro del tavolo in cucina, l’una accanto all’altra. Era strano, quasi totalmente impossibile per qualche estraneo, pensare che fossero realmente gemelle. Le piccole differivano in tutto per quando concerneva l’aspetto fisico e, per certi versi, anche quello interiore. L’altra bimba, Nicole, aveva i capelli biondi e ricci legati in una bizzarra acconciatura, una crocchia improvvisata e mantenuta da un pastello, l’azzurro, quello che serviva alla sorella. Gli occhi scuri e grandi di Elena si posarono su di esso e le sorrise, timidamente, arrossendo. Nicole fece per togliere il colore, scostando le piccole mani paffute dal foglio colorato per portarsele ai capelli chiari come il Sole, ma la sorella la interruppe,  velocemente poggiandosi le mani più affusolate e olivastre sulle sue in gesto aggraziato e dolce.
« Lena,» la chiamò titubante, con la sua voce sottile, diversa da quella della sorella maggiormente acuta ed espressiva, non capendo perché all’improvviso avesse cambiato idea. La chiamava Lena. Non era in grado di nominarla per intero, pur provandosi ogni giorno, senza sosta, dinanzi allo specchio nella bellissima camera che condividevano, quella con le stelle sul soffitto che ogni notte accompagnavano i loro sogni fiabeschi. Ele, Na, Lena. Mai tutto per intero. Elena, ma con l’accento sbagliato, sulla prima e.  Invece Elena era bravissima a chiamare il suo. Nicole. Lei non sbagliava mai e non si sforzava nemmeno un po’.
« Non fa niente,» le assicurò gentilmente carezzandole la guancia e ritornando a guardare il disegno. Nicole trattenne il fiato sonoramente e sgranò gli occhi per la meraviglia, sporgendosi ancora di più verso il tavolo per poter guardar meglio lo splendore che aveva davanti a sé. Sul foglio, che sino a quelli che le parvero pochi minuti, ma che in realtà era una mezzora scarsa, era ancora candido , regnava uno spettacolo incredibilmente dolce. Il Sole, una casetta bellissima, la loro, con un giardino grande e ben curato, con l’erba di un verde smeraldo, uno strato soffice, all’inglese, e poi loro. Elena, Nicole, il papà e la mamma che teneva in braccio un fagottino avvolto nelle lenzuola bianche. Era il loro piccolo fratellino, il nuovo arrivato, Jeremy, che in quel momento dormiva tranquillo nella sua culla. Probabilmente l’azzurro serviva per colorare la sua copertina. Il suo disegno, al confronto, sembrava vuoto. V’era solo una lunga schiera di alberi posizionati in modo circolare, pini e conifere dalle fronte altissime, capaci di coprire persino il cielo con il proprio verde e una costruzione al centro di essi, dai mattoni grigi e un’insegna e una porta nere, diroccata, ma imponente. Fell’s Church. Non sapeva perché avesse deciso di disegnarla, ma era la rappresentazione di un sogno ricorrente. Magari, se l’avesse raffigurato, sarebbe scomparso. La terrorizzava, quel sogno. La faceva sentire impotente, spaventata, come se qualcosa di cattivo le stesse per accadere. Non aveva detto nulla a nessuno, nemmeno a Elena, per paura che qualcuno potesse crederla, giudicarla, diversa e allontanarla, lasciarla sola, al buio. Sussultò, quasi, per quel pensiero. Il buio. Si annidavano tante cose cattive all’interno di esso, ombre malevole che volevano afferrarla e trascinarla nella propria oscurità, toglierle la luce del Sole per sempre, strapparla alla sua famiglia. Cosa avrebbe fatto senza la mamma o il papà? O senza Elena? Non poteva immaginare una vita senza la sua gemella, era troppo dolorosa.
« Che significa?» le domandò timidamente, indicando con l’indice della mano destra il suo disegno. Nicole scosse il capo e la crocchia si sciolse. Il pastello cadde per terra e il suo minuscolo fragore risuonò nelle orecchie della piccola come il suono degli spari nei film che il suo papà vedeva con lo zio John, quando veniva a trovarli. Le piaceva, lo zio John. Era buono con lei. Le regalava sempre un sorriso, certe volte triste, e una barretta di cioccolata, la più buona che fosse stata inventata. E voleva molto bene anche a Elena.  Sì, lo zio John era buono. Lo pensava anche il suo papà quindi doveva essere sicuramente vero. Il suo papà, un bell’uomo alto, longilineo, dal sorriso autentico e dai dolci occhi azzurri, proprio come i suoi, era il migliore del mondo e tutto ciò che diceva corrispondeva alla realtà. Elena si alzò e andò a raccoglierlo. Il suo vestitino bianco dalle fantasie rosate a forma di fiore, quello della domenica e dei giorni di festa, si scontrava amabilmente con la sua carnagione e i suoi capelli in uno splendido gioco di colori. Lo aveva indossato per la messa e non l’aveva ancora tolto. Erano state troppo impegnate a disegnare e la mamma glielo aveva permesso dopo che lo avevano domandato per favore. Anche Nicole indossava il suo. Era di un azzurro simile ai suoi occhi, dalle molteplici pieghe sulla gonna, con delle ballerine della stessa tinta. Lo aveva scelto lei, nel più bel negozio della città, e ne era orgogliosa. Alla mamma piaceva, e tanto. Le rivolgeva sempre uno sguardo pieno d’amore e vanto quando glielo vedeva addosso. Elena si avvicinò a lei e le porse il pastello con un sorriso dolce, accogliente, che le illuminava gli occhi, angelico. Timidamente, come se non avesse davvero compreso che se n’era privata per amor suo, lo sfiorò ed Elena lo lasciò ricadere nella sua mano aperta. Era bello quell’azzurro. Il papà diceva che somigliava al colore dei lapislazzuli, una pietra preziosa e molto rara. Nicole aveva sgranato gli occhi quando ne aveva parlato. Doveva essere davvero bella se aveva gli stessi colori del cielo. Era per quello che voleva donarla a Elena. Anche sua sorella era tanto bella, e gentile, inoltre aveva le fattezze di un angelo e in chiesa le avevano raccontato che gli angeli vivono nel cielo. Sorrise del suo sorriso più luminoso e lo poggiò sul suo disegno, per poi poggiare i dentini candidi sulle labbra rosate, in imbarazzo, come dimostravano le sue gote rosse simili a dei papaveri estivi.
« Tieni,» sussurrò proprio come se fosse un segreto, quegli stessi che, molte volte, non era in grado di mantenere, non per cattiveria nei confronti di chi si raccomandava a lei, ma per troppa ingenuità. Sulle labbra, e negli occhi, di Elena nacque un sorriso immenso, solare, meraviglioso, stupefacente. Armonioso. Sua sorella era pura armonia, come una sinfonia di strumenti a fiato di un’orchestra, come quelle italiane che seguiva il sabato pomeriggio alla televisione. Si indicò con l’indice, mostrando il cuore grande.
« Per me?» le domandò con un filo di voce, emozionata come se stesse ricevendo il regalo più sofisticato del mondo. Nicole annuì e i boccoli le ricaddero sulle esili spalle lattee. Elena si slanciò verso di lei e la circondò con le sue gracili braccia olivastre in un abbraccio dolce, fraterno, caloroso. Nicole ricambiò subito la stretta e poggiò il mento arrotondato sui suoi capelli al profumo di violette odorose. La tenne stretta, Elena, come se temesse che sarebbe fuggita, poi un suono sbagliato destò entrambe. Era un singulto trattenuto. Nicole si scostò e guardò verso l’uscita della cucina con lo sguardo incredulo e le sopracciglia quasi invisibili aggrottare in un’espressione confusa, sofferente. Era un’immagina cattiva quella che vide dinanzi a sé e sentì Elena trattenere il fiato. La mamma piangeva, poggiata sul legno rossiccio dell’infisso. Le braccia conserte, come per proteggersi da un attacco esterno. Il capo chino e coperto dai suoi capelli neri e ricci. La gambe ancorate al pavimento per non cadere. Il petto, coperto da un corpetto bianco fermato sotto il seno da un fiocchetto rosato, si alzava e si abbassava a intervalli irregolari, scosso da singhiozzi e lacrime che le stavano lacerando l’anima. Tremava e le pieghe della gonna agitate da un vento impalpabile ne erano la prova più evidente.
« Mamma,» la chiamò Elena, con voce lieve, esitante, insicura. Si alzò con un celere slancio e abbracciò le gambe della donna. Sembrava così piccola. Nicole rimase ancora sulla panca, era come trattenuta da una forza superiore che l’aveva paralizzata, costringendola a rimanere al suo posto. Era congelata. Le labbra a cuore spalancate e gli occhi sgranati per una meraviglia negativa, orribile, che spezzava tutto il suo mondo, infrangendolo in milioni di pezzi di un puzzle che non sarebbe mai stata in grado di ricostruire, non da sola. La mamma si calmò dopo pochi attimi, come se si fosse accorta del loro malessere nel vederle così afflitte, o forse solo per l’abbraccio di Elena. Si chinò sulla sorellina e l’abbracciò, tenendola stretta. Il cuore le si incrinò, ma la mamma la guarì, alzando il capo, osservandola con i suoi begli occhi marroni, quelli che avevano ereditato sia Elena che il piccolo Jeremy, e allungando una mano, invitandola a prendere parte a quell’abbraccio ristoratore. Nicole non aspettò altro. Le gambe si mossero automaticamente e raggiunsero le due. Sentì subito la mano materna sulla schiena e sorrise, inconsapevolmente, per il calore che le procurò. Era tutto perfetto. Di nuovo.
« Su, bambine, andate in camera vostra. La mamma e il papà devono parlare,» mormorò dolcemente una voce maschile, amorevole. Nicole alzò il capo e incontrò gli occhi di suo padre. Un’impercettibile sorriso distendeva le labbra sottili, ma nel suo sguardo era visibile l’affanno e il dolore. La mamma si sollevò e annuì, rassicurante. Obbediente, Elena cominciò a camminare verso le scale, non guardandosi indietro. Era pensierosa, assorta nella sua mente. Nicole guardò suo padre per un impercettibile attimo. La camicia bianca, dai bottoni che sembrano essere fatti di panna montata, era ancora ben stirata, proprio come quando l’aveva indossata poche ore prima, così come i jeans scuri ed eleganti. Le scarpe di vernice nera, lucide, creavano un suono piacevole quando a intervalli regolari di pochi secondi sfioravano il pavimento. Era il suo punto di riferimento, un lampo di luce nella notte buia, un faro in mezzo all’Oceano irto di pericoli, e doveva affidarsi a lui completamente. Annuì tra sé e seguì la sua sorellina. Volse lo sguardo alla porta d’ingresso. Aveva percepito un rumore strano, insolito. Vi era un uomo e lo guardò incredula per un istante, poi scomparve. Doveva esserselo solo immaginato. Nessuno era così veloce da sparire in quel modo. Salì le scale ed entrò nella loro camera, la prima sul pianerottolo. Elena era seduta sul suo lettino, con le gambe sospese intente ad oscillare, e le mani poggiate sulle lenzuola candide. Si chiuse la porta alle spalle con gentilezza e andò ad accomodarsi accanto alla sorella i cui occhi erano fissi sulla gonna del suo vestito. Le posò un bacio mite sulla guancia leggermente paffuta e le sorrise, ma non pienamente, ancora intenta ad analizzare ciò che aveva visto. Era stato reale. Non l’aveva mai visto prima. Era un uomo alto, biondo, imponente, della stessa età di suo padre, forse più vecchio solo di qualche anno. Aveva una carnagione lievemente abbronzata e il volto era solcato da rughe intorno alle labbra sottilissime, quasi invisibili, e intorno ai piccoli occhi lievemente incavati. Era stata il suo sguardo a colpirla, anche da quella distanza. Erano occhi azzurri, gelidi, malevoli. Cattivi. Sì, quell’uomo era cattivo. Nicole lo poteva percepire con ogni cellula del suo essere. Si alzò e sua sorella la guardò interrogativa. Le fece cenno che stava andando in bagno e uscì dalla camera, entrando in quella laterale. Uscì anche da essa e cominciò a scendere le scale facendo attenzione a non destare l’attenzione dei suoi genitori. Poteva sentire tre voci. Aggrottò le sopracciglia e tentò di riconoscere quella femminile, più greve di quella della sua mamma. Era la signora Bennett. La mamma di Bonnie.
« Ha detto di chiamarsi Mikael,» mormorò suo padre. Mikael.
Ecco cosa avrebbe dovuto ricordare.

Si svegliò di soprassalto e inspirò con forza. Sembrava che i suoi polmoni stessero collassando e il cuore pompava quel poco sangue sin troppo velocemente, causando un rimbombo nella sua testa. Sotto di sé aveva una superficie morbida ed era distesa a pancia in giù su quelle che le parvero lenzuola. Chiuse gli occhi. I contorni non era definiti, tutto era bianco. Doveva provare a respirare profondamente e a calmarsi, ma non addormentarsi di nuovo. Erano regole che le avevano insegnato a scuola. Perfetto. Cominciava a ricordare. Quando, dopo pochi secondi, fu certa che il suo respiro fosse tornato normale, sbatté le palpebre più volte. Era su un letto, matrimoniale, con delle coperte di cotone e acrilico candide. Si girò e si guardò intorno. Era una stanza anonima, sicuramente di un motel. Un letto di ferro battuto verde acqua, due comodini, un armadio di legno chiaro e sintetico, di modeste dimensioni, uno specchio accanto alla porta di legno scuro dalle venature biancastre, delle pareti dalla carta da parati scura e opprimente, una finestra con ai lati due tendine turchesi di seta. Trattenne il fiato quando vide il panorama fuori da essa. Alberi a non finire. Schiuse le labbra e si trascinò per qualche centimetro a sinistra per poter meglio guardare quello spettacolo. Non era Charlottesville, forse a pochi chilometri, vicino allo Spruce Knob, il punto più alto dell’intera Virginia Occidentale. Pioveva a dirotto e le piccole goccioline battevano contro la finestra come se volessero penetrare al suo interno, ma bussando. Una risata sommessa le fece intendere che non era sola. Si voltò verso la sua fonte e lo trovò accomodato su una signorile sedia a dondolo, nascosta nel punto più celato della camera. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si sistemò meglio mettendosi a sedere più dignitosamente. Avevano l’indice sinistro poggiato sulle belle labbra rosse e si doveva essere cambiato mentre dormiva poiché indossava una maglia grigia con lo scollo a v, sicuramente firmata, di Gucci avrebbe detto. Non sembrava arrabbiato, anzi era calmo, posato, perfettamente rilassato al contrario di lei, ancora trafelata per il sogno, l’incubo, da cui si era appena destata. Si issò in piedi, l’ibrido, facendo scricchiolare la sedia, e si avvicinò a lei, sedendosi al suo fianco.
« Hai visto il mio sogno?» gli domandò incuriosita, non irritata, bramosa di risposte. Klaus scosse il capo e un impercettibile sorriso si delineò sulle sue labbra. Solo in quel momento notò che aveva i capelli umidi e i ricci non erano ancora ben delineati.
« L’ho sentito,» le rispose con la sua voce arrochita come se non la usasse da tanto, troppo, tempo, immerso nei propri pensieri. I suoi occhi non brillavano più, erano stanchi, come spossati dall’entità che occupava la sua mente. Però erano ancora meravigliosamente profondi, pieni di vitalità e forza. Nicole chiuse i suoi e annuì, portandosi le ginocchia al petto e poggiando il mento su di loro, raggomitolandosi come un gattino. Li spalancò subito dopo quando percepì che Klaus le stava sfiorando la mano, quella al cui anulare rifulgeva l’anello paterno.
« Eri una bambina molto intuitiva,» affermò con tono allegro prima di sorriderle apertamente. Nicole arrossì e spostò lo sguardo al pavimento, anch’esso bianco, a rombi, con le fughe grigie e di larghe dimensioni.
« Perché era venuto a Mystic Falls? Cosa voleva dalla mia famiglia?» gli chiese sottovoce, tornando a guardarlo. Klaus sospirò e chinò per un attimo il capo, passandosi una mano tra i capelli ravvivandoseli per asciugare alcune gocce che sembravano essere di rugiada.
« Voleva uccidere tua sorella,» le spiegò. Nicole trattenne il fiato e si cinse con maggior vigore.
« Mia sorella attira i serial killer,» esclamò quasi sfiorando l’isteria prima che una lacrima le rigasse il volto. Sentì Klaus ridere sommessamente e lo guardò in tralice. L’ibrido le asciugò la lacrima e le carezzò lo zigomo, quasi per scusarsi di quel momento.
« Comunque,» esordì, tornando alla solita espressione baldanzosa di sempre, « hai ricevuto non so quante chiamate. Sei una persona molto desiderata.» Toccò a Nicole ridere e lo fece di gusto, poggiando la fronte sulle ginocchia. Lei non era affatto desiderata. Probabilmente erano solo Caroline e Bonnie che la chiamavano per domandarle se avesse perso completamente il senno per essersi alleata con Klaus, l’ibrido immortale e invincibile, « Sai, non mi sono mai piaciuti molto gli epiteti,» mormorò divertito quando smise. Nicole arrossì e annuì.
« Neanche a me.» Klaus le sorrise e si alzò, facendo scricchiolare le assi del letto in modo sinistro.
« Oh non preoccuparti. I letti dei motel sono molto solidi,» affermò con un sorriso. Aveva il capo inclinato, come quello di un bambino curioso, e nuovamente si erano create due fossette sulle sue guance. Le diede le spalle e prese una busta nera con una scritta argentata che era dietro la sedia. Gliela porse con gentilezza e Nicole guardò al suo interno. Erano dei jeans e una felpa che aveva comprato la mattina precedente con Rebekah.
« Perché non è qui?» gli domandò, ricordandosi della vampira bionda dagli occhi azzurri, così tanto simili a quelli del fratello.
« È meglio che rimanga a Mystic Falls, almeno per ora. Devi sapere che la mia sorellina odia questi posti così umidi,» le rivelò sedendosi di nuovo accanto a lei. Il motivo era un altro, era evidente, ma non tentò di scoprirlo. In fondo era la famiglia di Klaus, non la sua. Estrasse il telefono e notò che v’erano cinque chiamate perse. Caroline, Matt, Bonnie, Jeremy. Tyler. Deglutì a vuoto e rimise il telefono nella tasca dei jeans.
« Mikael,» cominciò Nicole, tornando a guardare Klaus che le stava sorridendo con ironia, « Cosa farai con lui?» Abbassò il capo, poi lo scosse.
« Devo ucciderlo,» affermò, poi, quando Nicole aveva perso la speranza che le rispondesse. Sembrava sicuro e la sua voce era greve, austera, imponente.
« Ma è tuo padre,» sussurrò incredula, polemica. Klaus scattò e un ringhio basso, animalesco, sfuggì dalle sue labbra schiuse. I suoi occhi erano dardeggiati e sembravano scagliare le fiamme infernali.
« Lui non è mio padre,» sibilò, scandendo le parole per imprimerle nella sua mente. Schiuse le labbra per ciò che vide. Una lacrima era scesa dai suoi occhi chiari. Si avvicinò a lui e gli sfiorò la mano, carezzando la sua pelle morbida e poco infreddolita, quasi avente una temperatura normale. L’altra mano, più audace, si chiuse a coppa sulla sua guancia ispida per la presenza della barba dorata. Klaus tornò a guardarla, sorpreso da quel gesto, tentando di trovare un significato celato che non c’era. Nicole gli sorrideva timidamente, scusandosi per quell’affermazione poco felice.
« Ti aiuterò, Klaus.»

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Capitolo 6
*** Innocence ***


6
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Capitolo 6

Innocence

 

 Klaus la guardò, incredulo, incerto, vulnerabile. Innocente. Sembrava l’immagine dell’ingenuità in quel momento, lì, seduto su quelle coltri candide di quel letto semplice, dinanzi a lei, a pochi centimetri l’uno dall’altra. Nicole avrebbe potuto affermare con certezza di non aver mai potuto scorgere uno sguardo del genere, emozionante e profondo, in nessuno che avesse mai conosciuto. Era perfetto in quel momento, la creatura più delicata che madre natura avesse mai generato. Le labbra rosee, che sembravano essere state delineate dal migliore degli scultori classici, erano lievemente schiuse e il respiro caldo arrivava sino alle sue, quasi infiammandole con un fuoco ardente, quello della sua anima antica. Il petto, coperto dalla sottilissima, impalpabile, maglietta, pur non avendone necessità, si alzava a intervalli regolari, calmi, rilassati proprio come i suoi occhi. Avevano una sfumatura smeraldina incredibilmente simile a quella del mare estivo. La quiete di quei pensieri, che non avevano potuto interrompersi da quando aveva pronunciato quelle parole di promessa, pure e semplici, nate dal cuore, era stata per un attimo sospesa dal movimento di Klaus. La mano destra, quella che non era poggiata sotto la sua, si era diretta su quella sulla sua guancia, scostandola con gentilezza e leggerezza. Nicole sbatté le palpebre, confusa, ma non si ritrasse al suo tocco, attendendo di comprendere le sue intenzioni. Klaus si portò il dorso della sua mano alle labbra, sfiorandolo in un signorile baciamano di altri tempi, nobile e aristocratico come quello di un principe o un re. Sulle labbra di Nicole, più chiare e sottili, si delineò un sorriso mite, ma il suo cuore tradiva quella tranquillità che avrebbe voluto ostentare come propria. Batteva con troppa energia, trepidante e tremante, non perché temesse che gli sarebbe potuto accadere qualcosa di malvagio, ma per l’intensità delle sensazioni che quel tocco, tanto esitante e accennato, le stava procurando. Klaus doveva essersi accorto di quelle reazioni ben poco consone al contesto e si allontanò di poco, poggiando la mano della giovane sulle sue ginocchia e scostando la sua. Si alzò e si diresse verso la finestra, poggiando i gomiti sull’architrave di marmo bianco dalle venature rosate. Non aveva ancora smesso di piovere. Dicevano che in quei posti umidi la pioggia scendeva sempre fitta, sempre uguale, rendendo le giornate uggiose, ma permettendo agli alberi di crescere indisturbati arrivando a toccare vette sempre più elevate. Era lo spettacolo della natura e Nicole aveva imparato ad apprezzarlo dopo aver compreso di essere veramente una strega, che le sue non erano soltanto le fantasie di una ragazzina con sin troppa immaginazione. Quel mondo era reale. Occorreva solamente crederci poiché senza la volontà le ombre rimanevano tali. Nulla poteva superare la coscienza umana, le sue decisioni e la fermezza della sua essenza. Si issò in piedi a fatica. Le gambe le dolevano per essere rimaste rannicchiate durante tutto il sonno che doveva essere stato lungo. V’era un piccolo rumore di sottofondo e guardò la sua fonte. Era un termoventilatore bianco panna che muoveva le sue ventole lentamente. Notò che Klaus doveva aver alzato la temperatura, probabilmente per non farle sentire freddo. O forse era già acceso quando era entrato nella stanza. Non chiarì i suoi dubbi e Nicole decise di lasciarlo solo per pochi minuti. Prese la busta nera e si diresse verso la porta di legno scuro del bagno, laterale al letto, sulla sinistra, aprendola. La richiuse alle sue spalle e si guardò intorno. Era un ampio bagno dalle mattonelle turchesi con disegni geometrici composti. I sanitari bianchi sembravano brillare sotto la luce del lampadario moderno, di metallo cromato e vetro soffiato. Aveva una vasca enorme, vi sarebbero potute entrare anche due persone distese. Aprì i rubinetti color della notte e l’acqua fluì all’interno della superficie immacolata. Aspettando che si riempisse interamente di quel getto caldo e fumoso, Nicole guardò gli indumenti che Klaus le aveva salito. Non erano suoi. Rebekah li aveva scelti per sé quando le aveva domandato cosa indossassero le ragazze comuni per la scuola o con le coetanee. Nicole le aveva mostrato, siccome l’autunno stava avendo il suo avvento, per farla assomigliare a una normale ragazza di diciotto anni, il reparto delle felpe e dei jeans. La vampira, in un primo momento, aveva guardato con disappunto quegli abiti che reputava dozzinali, poi Nicole l’aveva convinta e Rebekah aveva scelto una felpa rossa, con una scritta grigia che portava la stemma delle All Star, e un paio di blue jeans scoloriti. Distese gli abiti sul calorifero poggiato al muro e notò che nella busta v’era qualcos’altro, un completo intimo anonimo e comodo, solo cesellato dal pizzo bianco. Rebekah doveva aver compreso e appoggiato appieno la sua filosofia. Sorrise e si spogliò velocemente, concedendosi un lungo bagno rilassante, con gli occhi chiusi, un sorriso sulle labbra e nessun pensiero nella mente. Uscì quando sentì che l’acqua stava divenendo fredda. Si vestì celermente per non far rimaner solo Klaus per altro tempo e ritornò nella stanza principale. Non c’era più. Gli occhi presero uno sfumatura triste per un attimo, poi si diede mentalmente della sciocca e camminò sino ad arrivare allo specchio. Il suo volto era pallido, più cereo del solito, ma non troppo, stava ormai ritornando a possedere la sua tinta rosata. Le labbra avevano un colorito più spento, nulla che un rossetto non poteva nascondere. I capelli ricadevano a boccoli sulle esili spalle. Furono gli occhi, però, ad occupare tutto il campo visivo. V’era un’ombra all’interno di essi, una sfumatura di gioia, emozioni confuse, mescolate tra loro, alcune felici alcune tristi, e altro, qualcosa che non seppe spiegarsi.Qualcosa che non provava più da un tempo indefinibile.
« Voi donne e gli specchi,» la riprese una voce bonariamente divertita. Si voltò sino a incrociare la figura imponente di Klaus. Era poggiato allo stipite della porta, con le braccia conserte e il capo inclinato per poterla guardare nella sua interezza. Nicole gli sorrise e sfilò uno degli elastici che usava come braccialetti per comodità dal braccio sinistro, acconciandosi i capelli in un’alta coda di cavallo. Alcune onde bionde le solleticano la nuca e un ciuffo più chiaro seguiva la curva dalla sua guancia destra.
« Spero di non romperlo,» esclamò caustica con un sorriso appena accennato. Dalle labbra schiuse di Klaus sfuggì uno sbuffo che aveva più il sapore di una risata che di noia. Il piede si alzò e in un attimo se lo ritrovò dinanzi a sé, lo sguardo puntato sul suo petto marmoreo celato dalla maglia. La mano di Klaus risalì lungo il suo braccio destro con lentezza, quasi assaporandone la superficie coperta con ogni fibra del suo essere, poi i polpastrelli le sfiorarono la spalla, il collo, provocandole un brivido che non fu in grado di trattenere, sino a chiudersi a coppa sulla sua guancia, accogliendola nel lieve calore della sua pelle. Solo allora Nicole alzò lo sguardo fino a incontrare i suoi occhi. Erano un connubio di emozioni diversificate, ma aggrovigliate, caotiche, impossibili da distinguere le une dalle altre. Si chiese quali sensazioni dovessero essere presenti nei suoi di occhi poiché il cuore le batteva all’impazzata per la vicinanza di Klaus. Era in grado di contare le piccole pieghe sulle sue labbra rosee, schiuse come alla disperata ricerca d’aria, e intorno ai suoi occhi chiari e brillanti come i riflessi del Sole sulle acque di un lago. L’altra mano si posò sul suo mento arrotondato e lo avvicinò di più al proprio viso. Nicole sbatté le palpebre, ma non tentò nemmeno di opporsi. In quel momento non riusciva a pensare ad altro se non che fosse bello, non avvenente né affascinante, non crudelmente e artificiosamente meraviglioso né attraente,solo bello. Nella sua mente non dovevano esserci quei pensieri, lo sapeva. Klaus avrebbe potuto percepirli senza difficoltà, ma non era in grado di bloccarli, di bloccarsi. Tremava, inconsapevolmente, ed era una sensazione stupefacente. Mai nessuno le aveva fatto provare quelle emozioni e una parte di lei, quella più razionale e matura, in grado di comprendere che quello era sbagliato, ne ebbe assoluto timore. Se l’avesse baciata in quell’istante, lo avrebbe lasciato fare, anzi avrebbe ricambiato, dimentica di tutto ciò che avrebbe dovuto tenere a mente. Ma non la baciò, si avvicinò quasi sfiorandole le labbra, però non andò oltre. 
« A cosa stai pensando?» le domandò con voce impercettibile, roca e sensuale, capace di provocarle mille brividi nel corpo. Sembrava disperato in quel momento, come se da quella risposta dipendesse la sua intera esistenza, e Nicole rimase confusa, incredula. Le labbra le si schiusero maggiormente, come nell’atto di ricevere un bacio, ma non riuscì a emettere suono e Klaus lo comprese. Chinò il volto verso di lei, inclinandolo, facendo incontrare le punte dei loro nasi, facendoli scivolare. Sentì una pressione appena accennata sulle labbra e avvicinò di più il volto al suo, spronandolo, incoraggiandolo a non aver alcun tipo di timore. E Klaus non lo ebbe. Nei suoi occhi apparve una sfumatura decisa, non più incerta, ma perfettamente risoluta. Un rumore fece sobbalzare entrambi, riportandoli alla realtà, scuotendoli duramente per strapparli da un sogno ad occhi aperti, meraviglioso e dolce. Klaus arretrò di un passo, interrompendo il contatto. Era imbarazzato, molto più di lei, in verità. Lei che ancora doveva destarsi appieno, lei ancora illusa di poter continuare a vivere quell’attimo di pura perfezione. Scosse il capo e sbatté le palpebre. Chissà cosa le era preso, chissà cosa pensava. In tutta onestà, era stato proprio l’atto di abbandonare la razionalità della sua mente a causarle quelle sensazioni talmente sbagliate e inopportune. Klaus non era più dinanzi a lei, ma subito lo rivide nel suo campo visivo con in mano il suo telefono, che aveva, prima di entrare in bagno, poggiato sul comodino. Jeremy. Sospirò e scosse nuovamente il capo. No, non in quel momento, non lui. Klaus lo lasciò nelle sue mani e la guardò, non più una delle emozioni che aveva visto solo pochi istanti prima.Avrebbe voluto anche lei spegnerle con la stessa facilità. 
« La tua famiglia sa essere davvero estenuante e noiosa e irritante,» sibilò con rabbia malcelata. Nicole accettò la chiamata portandosi il telefono all’orecchio, sentendo il respiro concitato di suo fratello. Il suo cuore, che aveva avuto un attimo di pace quando Klaus si era allontano da lei, tornò a battere con maggiore energia quasi come se sentisse davvero di essere a un soffio dalla sua famiglia. 
« Jer,» lo salutò con un sorriso impercettibile sulle labbra e con gli occhi velati di lacrime trattenute che non avrebbe potuto versare. Le gambe sembravano cederle, scosse da tutto quello che le era accaduto in quei pochi minuti. Andò a sedersi sul letto prima di crollare e chinò il capo per non guardare Klaus, ancora nella stanza, probabilmente diretto verso la sedia a dondolo. Jeremy prese un respiro profondo e Nicole poté immaginarselo con gli occhi chiusi nell’atto di farsi forza. Il sorriso si distese maggiormente quando sentì la voce del suo fratellino, il primo accenno del suo coraggio. 
« Nicole,» la chiamò atono, come se avesse dovuto studiare quella parte per una recita, ma che avesse dimenticato di apprenderne la mimica, « Da quanto tempo,» aggiunse con più sentimento, ironicamente divertito, ma blando e triste. Nicole sbuffò e annuì, come se potesse vederla. 
« Due anni, fratellino,» gli ricordò. Come se ce ne fosse realmente bisogno, constatò con amarezza. Una lacrima le rigò la guancia, ma non l’asciugò. Non era il momento di piangere, lo sapeva, e quella sarebbe stata la prima e l’ultima. Se suo fratello l’aveva chiamata, doveva essere qualcosa di estremamente importante e doveva mantenere la calma a ogni costo. 
« Lo so,» mormorò con dolcezza, « Come stai?» continuò. L’attore era entrato nella sua parte, cominciando a recitarla al meglio delle sue capacità. Toccava all’attrice non rovinare tutto.
« Sto bene,» gli assicurò. Alzò lo sguardo, quasi senza consapevolezza, e cercò Klaus. Aveva gli occhi chiusi e un sorriso si era delineato sulle sue labbra. Sembrava quasi addormentato, ma sapeva che non lo era davvero. Le sopracciglia arcuate dimostravano la sua espressione furba e attenta. Sorrise tra sé, « Tu?»
« Anche. Elena mi ha raccontato, ieri notte, quando sono rientrato, che sei tornata a casa,» esordì, « Pensavo che ti avrei trovata qui questa mattina, ma non ci sei,» continuò più triste.
« Io…» Un’esitazione. Chiuse gli occhi. Lei…Cosa? Raccontargli di Klaus era impossibile, ma mentirgli era fuori discussione. Se ne sarebbe subito accorto, « Non so più a Mystic Falls.» Una frase secca, mormorata tutta d’un fiato, senza timore, traendo a sé tutto il coraggio di cui disponeva. Percepì il respiro di Jeremy farsi più corto, quasi sofferente e il cuore le si incrinò. Non voleva ferirlo, « Ma tornerò presto,» lo rassicurò con gentilezza. Non ne era certa, ma Klaus non avrebbe mai abbandonato sua sorella, non in quel modo, in una città che non conosceva, in un’epoca diversa da quella a cui era abituata. E poi v’erano gli ibridi. 
« Lo spero. Nicole, io sono imbarazzato, ma devo chiederti un favore,» bisbigliò. Le sopracciglia dorate le si aggrottarono e sulla fronte si generò una serie di rughe impercettibili. Suo fratello le aveva sempre parlato con franchezza, esponendole i suoi problemi per avere dei consigli su come affrontarli. Però era passato tanto tempo e forse non si fidava più tanto di lei. Chiuse gli occhi, dispiaciuta e afflitta. Quanto le avevano portato via. 
« Dimmi, Jer,» lo invitò nonostante tutto con voce accogliente.
« Elena mi ha detto che sei una strega,» affermò stanco, come spossato da quella verità.
« Lo sono.»
« Ho bisogno che mi aiuti. Sai che, per salvarmi dalla morte, Bonnie si è rivolta alle streghe della sua famiglia?» le domandò mormorando il nome della sua fidanzata con dolcezza, ma anche con dispiacere. Nicole ne rimase confusa.
« Lo so. Mi dispiace tanto, Jer. Avrei tanto voluto essere lì per te,» esclamò ricordando quella notizia dolorosa che aveva appreso grazie a Katherine, pochi giorni dopo essere tornata Chicago da Gloria. 
« Non importa,» la interruppe, consolandola con dolcezza infinita tanto da farla sorridere di cuore, « Il fatto è che, da quando sono tornato, riesco a vedere i fantasmi, sorellina,» continuò quasi con disperazione. Si sistemò più comodamente sulle lenzuola e le labbra le si curvarono verso il basso in un’espressione pensosa. Fantasmi. Non era una buona cosa vedere la gente morta, poterla sentire. In pochi ne erano in grado ed erano tutti stregoni potentissimi e malvagi, intrisi di magia nera e cattiveria. Non era il caso di Jeremy. Le streghe Bennett dovevano aver imposto un prezzo per farlo tornare in vita, ma non comprendeva il nesso, « Posso vedere i fantasmi di Vicki e Anna,» concluse. Trattenne il fiato. Era per punire Bonnie, in qualche modo. Vicki e Anna. Le due fidanzate vampire di suo fratello. Suo padre gliene aveva parlato. Le aveva raccontato che Stefan l’aveva uccisa quando era diventata un pericolo per Elena e che lui aveva piantato un paletto nel cuore di Anna quando aveva bruciato i vampiri di Mystic Falls e Richard Lockwood. E Jeremy poteva vederle. 
« Non va bene, Jer. Non è naturale,» gli comunicò con timore, temendo per la vita di suo fratello. Poggiò lo sguardo sull’altra mano, quella su cui spiccava l’anello della sua famiglia. Sempre uniti, pronti a proteggersi l’un l’altro. Non li avrebbe abbandonati. 
« Bonnie non è d’accordo,» soggiunse contrariato. Nicole scosse il capo e serrò le labbra.
« No, Jer. Non si tratta solo di gelosia. Non è giusto vedere i morti, va contro natura. Le anime buone dopo la morte vanno nel posto che è già stato prestabilito per loro. Vicki e Anna sono malvagie, entrambe, e non si tratta del fatto che sono state delle vampire. Parlo delle loro anime. Hanno lasciato dei conti in sospeso e non sono in pace. Farebbero di tutto per raggiungere i propri scopi. Non puoi fidarti di loro,» esclamò tentando di fargli comprendere. Jeremy non emise fiato e per un attimo temette che avesse chiuso la comunicazione.
« Allora aiutami a mandarle via, Nicole,» la pregò. Percepì un singulto trattenuto provenire dalle labbra di suo fratello e gli occhi le si addolcirono per la tenerezza.
« Non preoccuparti, Jer. Ti aiuterò. Però devi volerlo, fratellino. Senza la tua volontà tutto ciò che io potrò fare sarà totalmente inutile e gli spiriti mi si potrebbero rivoltare contro, favorendo chi è della loro stessa natura.»
« Torna a casa, sorella. Io sono pronto,» affermò con la serietà di un adulto, ferma e risoluta, capace di impressionarla e inorgoglirla. Aveva chiuso e Nicole poggiò il telefono sulle coperte, prima di guardare verso Klaus. La stava guardando. Aveva ascoltato tutto, ma non le dispiaceva. Sarebbe stato utile avere il parere di un vampiro che aveva vissuto per mille anni. Giunse le mani dinanzi alle sue labbra e si alzò, facendo scricchiolare la sedia a dondolo,
« Davvero una storia strana. Delle streghe non ci si può fidare,» mormorò tra sé. Nicole sospirò e sorrise leggermente, issandosi in piedi. 
« Mio padre mi ha insegnato a non fidarmi nemmeno dei vampiri eppure eccomi qui,» continuò, allontanando le braccia dai fianchi, ampliando il sorriso. Klaus la guardò e un impercettibile sorriso distese anche le sue labbra. 
« Non sei costretta a rimanere. Se non vuoi,» aggiunse interrogativo. Cosa volesse non lo sapeva nemmeno lei, ma non poteva rimanere con lui. La storia di Jeremy l’aveva terrorizzata. Bonnie avrebbe dovuto abbandonare i sentimentalismi e la gelosia per un attimo per preoccuparsi di conseguenze più gravi che perdere il proprio fidanzato. Arrossì. Quel pensiero era stato perfido e, sebbene la ragazza non avesse potuto percepirlo, si scusò mentalmente con lei. Era naturale che temesse di perdere il ragazzo di cui era innamorata. C’era passata anche lei a suo tempo. Forse era proprio quello il problema: il tempo trascorso dall’ultima, e anche prima, volta in cui si era innamorata. Dopo Tyler non v’era stato nessun altro per lei, non uno sguardo, non un bacio né altro di più serio. Quello con Klaus sarebbe stato il primo bacio dopo due anni. Klaus. Si ricordò di lui e vide che era ancora in attesa di una sua risposta.
« Non posso,» mormorò imbarazzata e afflitta. Annuì e tentò un sorriso, ma tutto ciò che poté scorgere fu una smorfia sofferente. Delusa, « Scusami.»
« Non c’è necessità di scusarsi, Nicole,» mormorò con vera dolcezza, sorridendole apertamente e sinceramente.
« Invece sì. Ti ho promesso che avresti potuto contare su di me e odio dover venir meno a una promessa.»
« Mi ricordi una persona in questo momento,» le confessò all’improvviso, cogliendola di sorpresa. Lo guardò con uno sguardo dubbioso e interrogativo, « Non hai mai incontrato mio fratello Elijah?» Nicole scosse il capo. Ne aveva sentito parlare. Suo padre, anche se non l’aveva ammesso esplicitamente, lo rispettava. Era un vampiro nobile e virtuoso. Klaus sorrise e arcuò le sopracciglia, « Un peccato. Sareste andati d’accordo. Avete un’idea simile dell’onore e della famiglia,» continuò, sussurrando l’ultima parola abbandonando il divertimento nella sua voce e nei suoi occhi. 
« Mi piacerebbe conoscerlo, allora,» mormorò avvicinandosi a lui, arrivandogli quasi davanti. 
« Appena Mikael sarà morto, la mia famiglia sarà di nuovo unita,» affermò serio e imponente, negli occhi la furia e il desiderio di non essere più solo. 
« È molto potente?» 
« Da mille anni fuggo da lui, mi bracca come se fossi un animale da cacciare. Mi odia,» esclamò con rabbia. Nicole gli sfiorò il braccio per farlo calmare e Klaus la guardò rendendo limpido il cielo che prima era plumbeo e oscurato da nubi cariche di pioggia. 
« Non posso capire, Klaus. La mia famiglia mi ha sempre amata e mi dispiace se nella tua non è stato così, credimi.»
« Non è la mia famiglia. È lui. Li ha portati via da me dal primo all’ultimo. Mia madre, Finn, Kol, Elijah. Spero di non perdere anche Rebekah o sarebbe la fine per me,» le confessò sfiorandole i fianchi con mani tremanti per aggrapparsi a lei e non cadere in quel baratro scuro che erano diventati i suoi pensieri. Nicole gli carezzò gentilmente la guancia e rivide la stessa espressione di quella mattina, incredibilmente dolce e capace di trafiggerle il cuore impossessandosi di esso con la sola forza della sua anima, « Perché non mi mandi via? Sono un mostro, un abominio, sono un errore, non sarei mai dovuto nemmeno nascere.» Nicole gli fece cenno di tacere e lo strinse a sé in un abbraccio accogliente. In quel momento non ricordava più nulla, né che aveva ucciso sua zia, Elena e suo padre né che aveva torturato e distrutto per secoli e secoli. 
« Perché non è vero, Klaus. Quella che indossi è solo una maschera e spero che un giorno la toglierai, mostrando chi sei veramente,» gli sussurrò prima di scostarsi. Klaus sembrava ringraziarla con il suo sguardo e Nicole arrossì. La dura realtà era tornata quando si era allontanata dalle sue braccia. Si voltò verso la porta della stanza e si sfiorò l’avambraccio.
« C’è una jeep di sotto, nera. Queste sono le chiavi. Prendila per tornare a casa e sia chiaro che questo non è un regalo, ma solo un dono temporaneo,» precisò Klaus con un tono che la fece sorridere. Aveva smorzato l’imbarazzo con quelle semplici parole. Nicole sbatté le palpebre e scosse il capo, domandandogli, attraverso i suoi pensieri, se fosse sempre così lunatico. Quando Klaus non le rispose, genuinamente inconsapevole della sua domanda, lo guardò e comprese il significato dell’interrogativo che le aveva chiesto prima, quando le loro labbra erano in procinto di sfiorarsi. Il contatto si era estinto. Il suo corpo doveva aver smaltito il suo sangue attingendone altro. Quella parte di lei che aveva tremato tra le braccia dell’ibrido ne rimase dispiaciuta, ma la razionalità le disse di non mostrarlo apertamente. 
« Quando saprò qualcosa su Mikael, ti chiamerò,» gli promise prima di camminare verso l’uscita. Klaus non le rispose, né la ringraziò. Chiuse la porta della camera alle spalle e si guardò intorno. Era entrata in un lungo corridoio stretto, con il pavimento completamente coperto da un tappeto persiano dai disegni orientali di un blu scuro e dalle rifiniture dorate. I suoi passi erano come tamponati dalla stoffa e pensierosa cominciò a camminare verso la propria destra poiché a sinistra vedeva solamente altre camere dalle porte identiche alla loro. Non v’erano quadri e, tra una stanza e l’altra, c’era soltanto una porzione di muro di legno scuro dalle venature chiare. Arrivò sino alla scalinata che portava alla hall e sentì una lieve pressione sui fianchi. Sobbalzò e trattenne a stento un grido. 
« Oh sweetheart, non spaventarti,» le soffiò Klaus nell’orecchio, facendo aderire il suo petto con la schiena della giovane. Nicole gli rifilò una gomitata nello stomaco e le labbra le si curvarono in un’espressione irata.
« Avresti potuto farmi venire un colpo,» lo riprese, allontanandosi dalla sua presa e cominciando a scendere velocemente le scale. Klaus, dietro di lei, rise con allegria. Non gli aveva fatto male, non che non fosse in grado con la magia. V’erano due ampi spazi al piano di sotto, uno dedicato al salottino con una decina di divani a tre posti di pelle bianca con una porta finale che conduceva alla sala ristorante, e quello dedicato alla reception. Una donna era dietro essa ed era possibile vederne solo il busto e il capo. Nicole poteva scorgere la sua uniforme composta da una semplice camicia bianca con sopra una giacca nera e un cravattino dello stesso colore, i suoi occhi scuri, quasi a mandorla, e i suoi capelli ramati. Avrebbe potuto avere poco più della sua età. La salutò gentilmente con un sorriso educato e Nicole ricambiò con uno più ampio prima di uscire, ma rimanere sotto il tetto del portico che riparava dalla pioggia scrosciante. Poteva guardare la foresta in tutto il proprio splendore e sentì l’energia della terra e della natura sprigionarsi in tutto il essere irradiandolo con i raggi rinvigorenti e meravigliosamente calorosi. Sorrise quando percepì il vento tra i capelli, sulle vesti, e trattenne un brivido quando le entrò nelle ossa. Klaus la trasse a sé, riparandola dal gelo. Era sceso per quello? Perché avesse paura che congelasse? No, era impossibile. Quel pensiero era assolutamente ridicolo. Si mise il cappuccio e seguì il vampiro che la stava conducendo alla jeep. Del camion non c’era più l’ombra. Doveva averlo portato in un posto più sicuro. Aprì la macchina, dalle chiare ed eleganti linee della Gran Cherokee, nera metallizzata ed entrò dalla parte del guidatore. Nicole trattenne il fiato estasiata. Quell’auto profumava di pelle nuova, nera anch’essa, ed era molto spaziosa. Sfiorò il volante con la punta dei polpastrelli come se avesse paura di poterlo spezzare. Aveva un autoradio eccezionale e delle rifiniture in pelle eleganti. 
« Un bel gioiellino, vero?» le domandò Klaus, divertito, seduto accanto a sé. Nicole annuì incapace di articolar un suono comprensibile, « La voglio trovare integra quando tornerò in quel buco della tua cittadina,» mormorò prima di sfiorarle la mano e portarsela alle labbra in gesto che le era ormai divenuto consueto eppure che le faceva aumentare il battito ogni volta. Lo guardò e gli sorrise dolcemente.
« Non temere.»
« Attenta a questa storia dei fantasmi, Nicole. Tu e le strega Bennett dovreste collaborare,» le consigliò prima di aprire la portiera. Nicole annuì e lo ringraziò con lo sguardo l’istante precedente a quello in cui scomparve dalla sua vista. Mise in moto e il sorriso scomparve dal suo volto. 
Durante il viaggio di ritornò non trovò traffico ed ebbe tempo di fermarsi in una stagione di servizio per pranzare, con i pochi soldi che aveva in tasca quando aveva lasciato Chicago, seduta in disparte, con lo sguardo sempre fisso sulla macchina, poi proseguì senza altre soste sino a casa. Quando vide i primi cartelli per Mystic Falls, nel primo pomeriggio, appena dopo Charlottesville, a un’ora scarsa dalla sua cittadina, il cuore cominciò ad aumentare i propri battiti. Non aveva pensato che al suo fratellino e ai fantasmi delle sue ex fidanzate. Avrebbe dovuto consultare i grimori di sua nonna per scoprirne di più sull’incantesimo e, magari, seguendo il suggerimento di Klaus, avrebbe potuto chiamare Bonnie per farsi aiutare a formularlo. Prima, però, di qualsiasi altra cosa, doveva passare a casa dei Lockwood. Doveva parlare con Carol, convincerla che non avrebbe fatto di nulla di male, assicurarle che avrebbe compiuto solo del bene e non avrebbe causato altri guai. In fondo era quello che lei stessa si augurava. Incominciò a vedere il Wickery Bridge quando il Sole stava tracciando la prima parte della sua curva, le cinque del pomeriggio. Chiuse gli occhi e si aggrappò al volante, pregando di superarlo il prima possibile, di non ricordare i volti felici di Grayson e Miranda Gilbert, i loro occhi pieni di bontà e gentilezza, i loro modi pacati e cortesi, le loro carezze dolci e affettuose. Scosse il capo e sospirò. No, non sarebbe mai stata in grado di dimenticare.

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Capitolo 7
*** Family ties ***


7 cap

Capitolo 7

Family Ties

 

La villa dei Lockwood si sarebbe potuta scorgere da kilometri per la sua singolare immensità e sontuosità. Era uno spettacolo e Nicole la guardò con reverenza, ma anche con l’accenno di un sorriso sulle labbra rosee. Ricordava ancora i giorni che aveva trascorso lì da ragazza, i pranzi domenicali con la famiglia più prestigiosa della città, le notti trascorse nel letto di Tyler e le albe che li vedevano ancora insieme dopo aver fatto l’amore. Era la dimora che l’aveva ospitata quando le necessitava un consiglio di moda da parte di Carol, sempre così elegantemente fine, quando sua madre si recava per prendere il tè con le proprie amiche e lasciava che le figlie giocassero con quelle dei membri del consiglio, Caroline e Bonnie prevalentemente, ma anche Meredith Fell quando non era ancora entrata nella facoltà di medicina a Harvard. Era felice di tornare lì, in un posto che aveva chiamato casa per molto tempo, scherzando, fantasticando, con Tyler su un futuro felice insieme, una famiglia da costruire. Nicole gli diceva sempre che, se fosse stata la proprietaria di tutti bei beni, avrebbe fatto costruire un piccolo parco giochi per i loro bambini così che avrebbero potuto sentire le loro risate seduti su di una panchina intenti a guardare il tramonto l’una al fianco dell’altro. Una lacrima le rigò il volto e trattenne a stento un singulto, chiudendo gli occhi per un attimo. Quanto sembrava patetico quel pensiero in quel momento. Eppure, un tempo, era stata la sua normalità. 

Tyler e Nicole, innamorati, la coppia più incantevole della Mystic Falls High School, sempre insieme e immuni da ogni maldicenza e lite. Tutti pensavano che si sarebbero sposati e che avrebbero vissuto il resto dei loro giorni nella tranquillità della famiglia che avevano formato. Tutti, almeno sino a quando tutto non cominciò a incrinarsi. Lo rimembrava, Nicole, come se fosse stato il giorno prima. Lei era cambiata, da quando aveva incominciato a credere nella magia, a comprendere chi fosse, a scoprire dei libri strani su cui erano riportate parole latine che era in grado di comprendere anche se non ne aveva studiato tantissimo, a tenere dei segreti con lui, cominciando a celargli cose che, invece, avrebbe dovuto palesare. E Tyler era divenuto più sfuggente. Le liti erano sempre più frequenti. La gelosia stava incrinando il loro rapporto sino a quel momento saldo e florido, dando spazio agli albori della loro fine. Tyler le recriminava il fatto di aver perso la fiducia in lui mentre Nicole quello di non volerle più quel bene, di essersi avvicinato sempre di più ad altre ragazze, soprattutto Vicki Donovan.

Nicole serrò le labbra e percorse il vialetto bianco che divideva il prato inglese del giardino corano da alberi dalle fronde folte e smeraldine, per parcheggiare dinanzi all’entrata principale.

Aveva sempre tentato di non parlar male di nessuno, ma aveva odiato la sorella maggiore di Matt sin da quando l’aveva conosciuta. Era una sgualdrina, proprio come sua madre, che non avrebbe saputo mai badare al suo fratellino. Matt era troppo buono con lei, l’adorava, ma persino Elena mal sopportava la presenza della ragazza bruna, nonostante non lo desse a vedere al suo fidanzato. Diceva anche lei, la sorella buona e gentile, che era troppo legata a Tyler, giocava con lui proprio come se fossero amici da sempre mentre per lui era poco più che un’estranea, un’intrusa nella sua vita che era sempre stata innamorata di lui. Tyler pensava che la sua gelosia fosse completamente insensata e che fosse una stupida a fantasticare su certe stronzate, come le chiamava sempre lui. Lei, una stupida. Tre anni prima non le avrebbe mai detto una cosa del genere, tre anni prima l’avrebbe stretta a sé e le avrebbe assicurato che lei era l’unica per lui e lo sarebbe stata per sempre, sussurrandoglielo nell’orecchio e facendole nascere un sorriso felice sul volto. Le avrebbe mormorato epiteti dolci e si sarebbero scambiati leggere effusioni per poi tornare alla normalità della giornata.

Nicole sbuffò e scese dalla macchina, chiudendola e generando un suono capace di spezzare la quiete della natura. Mise le mani nelle tasche dei jeans e cominciò ad avanzare verso la porta principale.

Sembrava quasi che fossero tornati quelli di sempre quando sua nonna, la sua cara Elizabeth, era morta per un infarto fulminante che le aveva stroncato la ormai anziana vita. Nicole l’adorava e aveva pianto tantissimo, non andando a scuola per giorni e giorni, quasi chiudendo la porta del dialogo con sua madre che soffriva per quell’atteggiamento doloroso e che tentava di aiutarla con ogni mezzo. Non era per cattiveria, ma Nicole era sicura che non potesse comprenderla, come nemmeno Elena e il piccolo Jeremy. Lo zio John le era stato vicino, forse ancora più di Grayson, ascoltandola e trascorrendo interi pomeriggi accanto a lei, senza parlare, senza voler nulla in cambio, senza cercare di lenire la sua sofferenza con parole vuote e inutili. Poi Tyler si era presentato, all’alba, portando con sé solo il suo cuore grande e il suo imbarazzo, dinanzi alla porta della sua casa e Nicole non aveva saputo resistere al suo sguardo dispiaciuto e innamorato. Aveva seguito il cuore, non la sua mente, e l’aveva abbracciato, stringendolo a sé e facendosi cullare dalle sue braccia accoglienti. Si era sentita a casa e aveva compreso che no, non c’era nessuno che potesse dividerli.

Bussò, suonare il campanello sarebbe stato molto fuori luogo, e dopo pochi istanti una domestica, Mariah, le aprì la porta con un sorriso sul volto ispanico e gentile, leggermente segnato dalle rughe del tempo. Aveva i capelli neri raccolti in una crocchia austera e gli occhi color del carbone erano buoni proprio come se li ricordava. Le sorrise apertamente e la donna l’abbracciò senza dire una parola.
« Signorina Nicole, stai bene, gracias a Dios,» esclamò emozionata tanto da parlare nella sua lingua madre. Nicole sorrise sulla sua spalla e intensificò l’abbraccio.
« Mariah, chi è?» Una voce femminile, che Nicole seppe subito riconoscere come quella di Carol, provenne dal salone a fianco della porta d’ingresso principale.
« La señorita Gilbert,» comunicò la donna con voce più alta, scostandosi dalla ragazza e invitandola ad entrare per poi chiudere la porta dietro di lei. Era tutto come lo ricordava. Il corridoio ampio e luminoso con le pareti bianche e i fiori nei vasi antichi sulle consolle di legno pregiato, prevalentemente di ciliegio. La scalinata sontuosa che portava alle camere dei proprietari e la camera in fondo, quella che ospitava le feste di beneficenza, con il pianoforte a corda che Tyler non aveva mai imparato a suonare, ma che con Carol faceva risuonare le sue melodie più soavi. Mariah l’accompagnò nel salottino in cui si ambientavano le riunioni del Consiglio, quando era ancora in vita Richard, e un brivido le corse lungo la schiena. Il primo elemento che attirò il suo sguardo fu lo specchio proprio davanti a lei. La sua cornice era nobilmente rifinita e cesellata con l’oro e il bronzo e la sua immagine le apparve chiara e limpida. Era quella di una ragazza imbarazzata e pensierosa. Carol, accomodata su di una poltrona di stoffa scura, color del caffè, intenta a sorseggiare un bicchiere di quello che sembrava brandy, dovette vedere ciò il suo rifletto e sobbalzò visibilmente. Probabilmente aveva pensato che fosse Elena, non lei. Si alzò e poggiò il bicchiere sul tavolino di vetro accanto a lei. Aveva i capelli sciolti, gli occhi azzurri sgranati e le mani tremanti lungo i fianchi fasciati da un semplice tubino nero che la copriva sino alle ginocchia lasciando nude le gambe snelle e lievemente abbronzate.
« Nicole,» la salutò con tante emozioni nella sua voce. La ragazza arrossì e chinò il capo sul pavimento bianco, perdendosi in esso per non dover tornare a guardare una delle donne che le aveva voluto più bene nella sua vita. Dopo poco tempo percepì il rumore dei tacchi delle sue decolté e si sentì cingere dalle braccia esili di Carol in un abbraccio appena accennato, « Bambina mia,» mormorò piangente. Nicole l’abbracciò e una serie di lacrime, piene di gioia, arginò il suo ferreo controllo, bagnando le spalle di Carol. Quando si scostarono, la donna le prese il volto tra le dita affusolate e la guardò con un sorriso orgoglioso, « Sei bellissima, più di quanto mi ricordassi, in tutta onestà,» esclamò facendola ridere di gusto. Bellissima. Tutto ciò che lei non era. Poteva essere carina, non bella, certamente non come Elena o Caroline o Rebekah. La fece accomodare su un divanetto e poi si avvicinò al mini bar contenente un gran numero di alcolici. Doveva aver cominciato a bere da quando Richard era morto, constatò con amarezza, « Gradisci qualcosa in particolare, tesoro?»
« Una vodka, per favore,» aggiunse gentilmente, sorridendole per poi accavallare le gambe snelle. Dopo pochi secondi Carol le porse un bicchierino contenente un liquido trasparente che Nicole fece sparire in altrettanto tempo. Era nervosa, agitata, e alla donna non sfuggì.
« Avevi detto di aver lasciato Mystic Falls,» le ricordò con voce leggera, ma osservandola lungamente. Nicole annuì e poggiò le spalle sullo schienale, per rilassarsi.
« L’ho fatto, ma Jer mi ha chiamata perché ha bisogno di me e sono dovuta tornare,» le spiegò atona. Carol annuì e bevve un altro sorso di brandy, finendo il bicchiere.
« E sei venuta qui da me per domandarmi di intercedere con il Consiglio, vero?» le domandò con la voce addolcita prima di sorriderle. Nicole annuì e nei suoi occhi apparve una sfumatura implorante e sinceramente supplice, « Nessuno sarebbe più felice di me nell’averti qui, Nicole, ma. Oh sì c’è un ma e lo sai anche tu,» esclamò quando il suo sguardo divenne più triste e spento, « Sai che Bill non ti permetterebbe mai di vivere nuovamente a Mystic Falls e con tutta questa situazione dei vampiri è diventato ancora più intransigente,» sospirò scuotendo il capo.
« Mamma, chi c’è?» domandò una voce dolce e curiosa cha avrebbe riconosciuto tra mille altre identiche. Si voltò e incontrò il suo sguardo nero e profondo come un pozzo. Era ai piedi delle scale e non l’aveva riconosciuta sino a quando non si era girata. Notò che il Sole stava progressivamente tramontando dietro le finestre della porta d’ingresso, « Nicole,» la salutò emozionato tentando un sorriso che non gli riuscì al meglio. La ragazza annuì e strinse con maggior forza il bicchierino ancora tra le sue mani. Avrebbe voluto averne un altro in quel momento. Era bello e una morsa dolorosa le strinse il cuore facendolo sanguinare con violenza. Non era più suo. Amava Caroline, non lei, e se ne sarebbe dovuta fare una ragione.
« Ty, siediti, per favore,» lo invitò gentilmente sua madre. Il ragazzo annuì e si accomodò, come se stesse per essere torturato, o condannato a morte, sul divanetto vicino a  quello di sua madre.
« Lo so, Carol, e me ne andrò appena avrò sistemato questa dannata faccenda,» riprese il discorso interrotto Nicole per allontanare da sé pensieri dolorosi con la voce esasperata anche se non voleva, « Ma non chiedermi di andare via prima perché non lo farò e Bill Forbes non potrà fermarmi. Si tratta di mio fratello e della mia famiglia,» chiarì la ragazza con gli occhi dardeggianti per la risolutezza di quella scelta. Carol le era complice e annuì. Tyler aveva aggrottato le sopracciglia e sembrava confuso.
« Bill Forbes? Cos’hai a che fare con quel pazzo?»
« Tyler,» lo riprese sua madre quasi scandalizzata da quell’epiteto. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e batté le mani sulle ginocchia fasciate dai jeans scuri.
« Niente di che, non mi vuole qui,» mentì in parte Nicole, issandosi in piedi e poggiando il bicchiere sul tavolino. Aveva approfittato sin troppo della loro disponibilità e aveva altro da fare. Come fuggire da Tyler e dai suoi occhi indagatori, «Volevo farvi le mie condoglianze per Richard, anche se molto in ritardo,» mormorò con gentilezza, con lo sguardo triste nel vedere che in quello di Carol v’erano tante lacrime commosse e malinconiche. In quello di Tyler lesse solo la fermezza, non un’altra emozione, almeno non superficialmente, ma era certa che soffrisse per la perdita del padre.
« Ti ringrazio, cara. Mi è dispiaciuto tanto non vederti al funerale dei tuoi genitori, ma Tyler mi ha raccontato che eri a quello dei tuoi zii. Le mie condoglianze anche per loro. Mystic Falls sta piangendo troppo spesso per la morte dei suoi figli,» affermò prima di chinare il capo sconfitta. Non era colpa sua, era un buon sindaco, ma la situazione le stava sfuggendo di mano a causa dei vampiri e dei loro folli piani.
« Ti ringrazio, Carol,» mormorò seria prima di volgere lo sguardo all’uscita. Quella camera la stava soffocando. Era satura di sensazioni, emozioni, ricordi. Era opprimente e Tyler la comprese, alzandosi anche lui e sfiorando il capo di sua madre carezzandolo con dolcezza. Quella scena la intenerì e le fece nascere un sorriso sincero che arrivò sino agli occhi chiari.
« Vai alla festa di inizio anno?» le domandò con gentilezza, guardandola ancora assorto nei propri pensieri. Si portò un boccolo dietro l’orecchio e arrossì.
« Perché no?» sussurrò poi alzando le spalle e sorridendo leggermente. Sarebbero stati tutti lì e quindi sarebbe stato inutile tornare a casa senza avere le chiavi. E quella prospettiva era sempre migliore rispetto a quella di ubriacarsi da sola al Grill. Meglio farlo in compagnia, si disse. Tyler le sorrise, dolcemente, lo stesso sorriso timido che le aveva rivolto quando si era presentato dinanzi alla porta di casa sua per il loro primo appuntamento, tanto agognato e atteso da entrambi. Salutarono Carol che sembrò davvero contenta di vederli andar via insieme, proprio come ai vecchi tempi felici. Uscirono di casa, l’uno al fianco dell’altra, a pochi centimetri, non sfiorandosi nemmeno con le vesti per paura di qualcosa che era sconosciuto a entrambi. Lo sguardo di Tyler si fermò sulla jeep nera parcheggiata di lungo dinanzi a sé. Inclinò il capo e schiuse le labbra, sorpreso sino all’incredulità.
« E quella da dove esce?» le domandò divertito, guardandola in tralice con un sorriso malandrino. Nicole arrossì poi alzò il mento con fierezza e ancheggiò, per farlo ridere, sino ad essa aprendola.
« Questa,» affermò maliziosa indicando con il pollice l’auto dietro di sé. Spalancò gli occhi e si portò l’indice sulle labbra. Tyler stava ridendo sotto i baffi. I suoi occhi allegri la colpirono facendole interrompere quel gioco abbastanza infantile con l’ultima frase, « È un piccolo regalo.» entrò, attendendo che Tyler facesse lo stesso e dopo un istante lo vide accanto a sé intento a chiudere lo sportello. Guardò la jeep estasiato, proprio come lo era stata lei poche ore prima.
« Piccolo?» esclamò con le sopracciglia arcuate. Nicole annuì, « Wow, devi aver trovato un ragazzo ricco, ancora più di me,» aggiunse più dispiaciuto, quasi con amarezza, guardando davanti a sé, il giardino della sua villa. La ragazza arrossì e scosse il capo.
« Non hai capito. Non me l’ha regalata un ragazzo. Cioè sì, ma non è come pensi,» aggiunse imbarazzata. Gliela aveva regalata un ibrido di mille anni, ed era temporaneo. Un ibrido dai bellissimi occhi color dell’Oceano, dalle labbra rosse come il sangue e l’animo confuso, ma nobile e fiero, aristocratico e fine. Un ibrido che aveva quasi baciato quella stessa mattina. Scosse il capo nuovamente. Non era bello che lei pensasse a Klaus mentre era in macchina con Tyler. Era ambiguo e Nicole odiava le situazioni ambigue. Eppure non era in grado di smettere di pensare a lui, alle labbra piene che sfioravano le sue, alle sua mani sui fianchi, all’abbraccio impulsivo che si erano scambiati, agli sguardi che le aveva rivolto. Bloccò il flusso della sua mente. Era insensato e sciocco.
« Figurati. Sei libera di avere un fidanzato, anzi mi farebbe piacere sapere che è un bravo ragazzo e ti vuole bene,» mormorò con la voce calma e pacata, dolce e autentica, confortante. Nicole scosse il capo e mise in modo.
« Lui non è il mio fidanzato e non lo sarà mai,» affermò secca, più per convincere se stessa dell’ovvietà di quella frase che Tyler.
« Ehi non ti arrabbiare, gattina,» esclamò prima di ridere allegramente. Quell’epiteto, tanto amato, la fece arrossire e sorridere.
« Zitto, lupacchiotto,» lo sbeffeggiò volgendo il capo verso di lui. Erano diretti verso la parte più esterna della foresta che costeggiava l’itera Mystic Falls ed era già possibile vedere i fuochi divampare con i loro fumi bianchi. Parcheggiò dietro un’auto scura e uscirono dalla jeep. Le risate degli studenti risuonavano alte e briose nell’aria notturna della cittadina. La contagiarono e a Tyler non sfuggì. Si avvicinò a lei e le sorrise, schiudendo le labbra per dirle qualcosa. Nicole alzò l’indice per interromperlo ed estrasse il cellulare poiché qualcuno le stava telefonando. Sconosciuto. Aggrottò le sopracciglia dorate e accettò la chiamata.
« Pronto?»
« Dolcezza, arrivata nella tua cittadina sperduta?» le domandò una voce allegra e spensierata, divertita e ironica, che le fece nascere un vero sorriso esteso anche agli occhi. Era Klaus. Alzò lo sguardo su Tyler e inclinò il capo facendogli cenno di continuare ad avanzare verso la piccola folla stretta intorno a un ragazzo mantenuto in aria mentre lo incitavano a bere. Percepì subito la voce del suo ex fidanzato fare lo stesso, con la voce raggiante e i pugni alzati verso il cielo e scosse il capo tornando a Klaus, « A quanto pare sì. È per te tutta quella accoglienza, sweetheart?» continuò più malizioso. Nicole rise leggermente e sentì dall’altra parte della cornetta il rumore dell’acqua scorrere, lo stesso che aveva percepito prima di entrare nella vasca. Arrossì visibilmente e schiuse le labbra prima di guardarsi intorno e rispondere.
« Certo che no. È cominciato l’ultimo anno e bisogna festeggiare,» esclamò per superare le voci dei suoi amici. Vide Elena e Stefan poco distanti, sua sorella poggiata contro la corteccia di un albero con un bicchiere rosso in mano, sicuramente contente birra, e il fidanzato che aveva quasi poggiato il capo sulla sua spalla destra. Anche da quella distanza, poteva scorgere che Elena era a disagio, e non solamente per colpa di Stefan. Seguì la traiettoria dei loro sguardi e vide un bel fuoco scoppiettante e splendente e dietro di esso, seduti su di una panca di legno, v’erano Rebekah e Damon intenti a gustare un marshmallow. Sentì provenire dal telefono il suono delle bolle che si rarefacevano e sgranò gli occhi. Persino l’irritazione di sapere che Elena era in qualche modo ingelosita dagli atteggiamenti ambigui e provocanti di Damon Salvatore scomparve dinanzi alla prospettiva che le stava inconsapevolmente, oppure no, offrendo l’ibrido.
« Comprendo. Le solite sciocchezze degli umani,» aggiunse annoiato, anche se era ben presente nel suo tono la maliziosità seducente. Tyler si era fermato a pochi metri da lei vicino a Caroline, intento a parlare con lei. Sorrise a quella che era stata la sua migliore amica e spostò lo sguardo su Jeremy e Bonnie, seduti in  un luogo appartato e lontano dalle luci occupati a scambiarsi delle dolci effusioni. Matt non c’era.
« Rebekah è qui,» gli comunicò, « E si sta divertendo proprio come tutti gli altri sciocchi umani,» aggiunse sarcastica, ma non cattiva, sempre leggera. Klaus rise di gusto scatenandole un brivido lungo la schiena, che percorreva la totalità della sua spina dorsale.
« Sai nulla del nostro amico?» le domandò tornando serio.
« Nulla. Sono appena arrivata e mi sono subito diretta a casa del sindaco per avere il permesso di stare qui per un paio di giorni.»
« Capisco. Tesoro, dovresti stare attenta anche tu con Mikael,» l’avvertì quasi con un tono dolce e amichevole, « Ha sempre avuto un’attenzione particolare per le Bishop,» aggiunse divertito.
« Cosa intendi?» gli domandò incuriosita, con le sopracciglia aggrottate andandosi a sedere su un tronco, tagliato di netto, poco distante. Immaginò che il suo sorriso scaltro, furbo, accattivante e avvenente, quello stesso che le aveva rivolto sin dal primo momento in cui l’aveva vista, fosse presente sulle sue labbra rosee in quel momento.
« È una lunga storia e non vorrei che perdessi la festa a causa mia. Sarebbe imperdonabile,» aggiunse in modo teatrale, facendola sorridere.
« Un atto abominevole da parte tua,» scherzò. Per la seconda volta lo sentì ridere e accanto a sé vide l’ombra di qualcuno. Gambe snelle, flessuose e olivastre occuparono il suo campo visivo. Elena, « Devo salutarti. Ci sentiamo,» mormorò prima di interrompere la chiamata senza aspettare una risposta. Non voleva che sua sorella capisse che stava parlando con Klaus, che, per qualche verso, era dalla sua parte, almeno sino a quando non si trattava di Elena, Mystic Falls e gli ibridi. Si voltò e incontrò lo sguardo dolce della sua sorellina. Le sorrise e la strinse a sé, ricambiata e cinta con maggior vigore.
« Nicole, pensavo che fossi andata via di nuovo,» sussurrò timorosa di poterla perdere ancora una volta.  La ragazza bionda si scostò e prese il volto ovale e magro tra le sue dita, come se avesse paura di poterla ferire.
« Mi dispiace, ma dovrai sopportarmi ancora per un po’,» esclamò divertita, ma con le lacrime agli occhi che premevano per rigarle le guance. Elena rise e il suo respiro era accelerato dalle emozioni presenti nel proprio cuore.
« Credo proprio che non sia un dispiacere averti qui, sorellina,» affermò una voce maschile dolce che riconobbe subito come quella del suo fratellino. Si issò in piedi e lo abbracciò, tenendolo stretto contro il suo petto. Era divenuto più alto, almeno di alcuni centimetri, da quando lo aveva visto l’ultima volta al funerale di suo padre e zia Jenna, più muscoloso, più adulto, anche se il sorriso di bambino, timido, imbarazzato e immensamente dolce, rimaneva sempre lo stesso. Jeremy le carezzò la schiena sino a salire per sfiorarle i capelli in un contatto armonioso e angelico, fraterno. Nicole non potè non sorridere, in qualche modo dimentica di ogni problema. Dietro Jeremy, lievemente nascosta per permettere ai due fratelli di vivere quel momento così intimo, con un sorriso amabile e intenerito sulle labbra carnose, v’era Bonnie e la giovane ne gioì. Era davvero molto bella con quegli occhi chiari, attenti, ma gentili, sempre pronti ad accogliere, il viso ovale, da bambina, appena più accentuato sugli zigomi, i capelli ondulati, di un tono più scuri rispetto al colore della sua pelle, matura per Jeremy, innamorata, decisa a proteggerlo da ogni male. Si scostò da suo fratello e gli prese il volto tra le mani. Tyler e Caroline li avevano raggiunti e l’amica era raggiante di gioia. Gli occhi azzurri le brillavano.
« Guardati, Jer,» sussurrò emozionata, con le lacrime agli occhi e il batticuore. Lo sguardo di suo fratello si addolcì ancora di più nel sentire quell’appellativo che sin dall’infanzia lo aveva accompagnato, « Sei diventato un uomo,» concluse, trattenendosi dal piangere apertamente. Gli carezzò lievemente lo zigomo, imbarazzata a causa delle sue stesse parole, e si asciugò con il dorso della mano le poche lacrime che era sfuggite al suo controllo. Jeremy la ringraziò con il sorriso più ampio e sincero che possedeva, poi volse lo sguardo verso Elena e i loro amici. Non si scambiarono una parola, solo sorrisi pieni di affetto, poi Elena si congedò. La vide per un attimo barcollare sui tacchi e aggrottò le sopracciglia. L’ultima, e la prima, vota in cui aveva visto sua sorella ubriaca era quando si erano recati, per il primo weekend delle vacanze estive, in un bar di Richmond per la festa di Linda, una loro cugina di secondo grado che aveva invitato tutti i ragazzi di Mystic Falls e Richmond per il proprio compleanno. Bonnie e Jeremy si scusarono e, abbracciati l’uno all’altra, sorridenti, si allontanarono.
« Ehi Ty, devi venire subito. Jack sta facendo una pazzia che gli costerà la squalifica,» esclamò Robert, uno dei due cornerback della squadra. Tyler schiuse le labbra e si lasciò sfuggire un’imprecazione pesante.
« Non può farsi espellere ancora prima che inizi il campionato. È il nostro miglior tight end,» affermò prima di seguire il ragazzo biondo che l’aveva preceduto. Caroline abbassò il capo e i lunghi capelli lucenti come raggi del Sole le ricaddero dinanzi al volto celandolo per un attimo al suo sguardo. Cominciò a torturarsi le dita candide e affusolate e Nicole le strinse tra le sue. Aveva capito cosa la imbarazzasse. Le sorrise e Caroline la guardò stupita, incredula, innocente come una bambina.
« Ehi,» la salutò dolcemente, con la voce ridotta a un sussurro. Caroline tentò un sorriso accogliente che non fu il migliore, « Va tutto bene?» La vampira dinanzi a lei annuì e i capelli le ricaddero sulle esili spalle candide.
« Tutto questo è così strano,» bisbigliò, poi, imbarazzata, assottigliando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore.
« Non è vero,» mentì Nicole, facendole segno di sedersi accanto a lei sull’ampio tronco che aveva ospitato lei ed Elena pochi minuti prima. Caroline accavallò le gambe fasciate da un jeans scuro e un paio di stivali alti di pelle chiara, marroncina e inclinò il capo, scoccandole un sorriso in tralice.
« Stai mentendo e non ce n’è bisogno,» aggiunse comprensiva.
« Io… Sono felice per voi, davvero. Solo che non riesco a capire. Tu e Tyler non siete mai andati molto d’accordo e…,» si bloccò. Era patetica. Arrossì e scosse il capo. Avevano il diritto di essere felici, insieme.
« Gli sono stata vicina quando ha scoperto di essere un lupo mannaro e lui… Io… Lo amo,» le confessò sottovoce temendo di vederla soffrire. Nicole sorrise e l’abbracciò d’impulso. La gelosia che l’aveva colta inizialmente scomparve del tutto sostituita dalla gioia di sapere che due suoi amici erano innamorati. Caroline si strinse a lei come se temesse di vederla scomparire da un momento all’altro. No. Non sarebbe andata via. Mai più. 

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Capitolo 8
*** Betrayed ***


8 cap

Capitolo 8

Betrayed

Dopo che, trascorsi alcuni istanti, Nicole si fu scostata dolcemente da Caroline per poi sorriderle in modo accogliente e gentile facendole capire che non doveva temer nulla da parte sua, né la gelosia né l’impedimento, alzò il capo. Gli studenti erano divenuti ancora più allegri, la festa era entrata nel suo vivo e l’alcol stava provocando i propri primi effetti, scatenando gli animi prevalentemente maschili. Sonore risate ubriache squassavano l’aria senza una vera e propria ragione, gruppi di ragazzi intenti a fumare sia sigarette che droga, quelli più audaci e strafottenti, erano riuniti come dei branchi e osservavano tutto e tutti, senza strafare, divertendosi nei limiti della correttezza e del pudore in rispetto degli altri e della dignità delle proprie famiglie. Era sempre stato così a Mystic Falls e Nicole pensava che non sarebbe mai cambiato nulla, anzi stava anche peggiorando. L’importante era mantenere le apparenze, mostrare di essere dei buoni cittadini, lavoratori, genitori e figli, insegnare a questi ultimi come comportarsi dinanzi al resto del piccolo cosmo cittadino. Il buon nome era ciò che contava e a nessuno importava se, alcune volte, si dovessero usare le maniere forti per riportare l’ordine e la concordia. Nicole scosse il capo. Era inutile rimuginare su quelle che erano le verità più assolute nella città in cui era nata e cresciuta. Il suo sguardo chiaro, velato da un’ombra più scura a causa dell’irritazione e della tristezza, vagò tra i visi dei suoi compagni di scuola e di vita. Li conosceva tutti, in fondo non erano poi tanto diversi. V’erano i ragazzi, come Robert, Jack, o anche il vecchio Tyler, il giovane gradasso che sfruttava e si gloriava del cognome paterno per le più folli imprese, popolari e idolatri dal resto della scuola come dei immortali e invincibili, seguiti da studenti più piccoli che desideravano ambire a un ruolo più consistente, appena al di sotto dei più importanti, e poi altri, come Sebastian Korrad, con i suoi capelli ricci e color della sabbia e gli occhi scuri e minuscoli, quasi invisibili nel suo viso paffuto, che erano messi in disparte poiché tentavano di allontanarsi da quelle sciocche convenzioni imposte da un’entità invisibile che governava la totalità degli individui. Lo sguardo si fermò, poi, su Blair Fell, meravigliosa nel suo vestitino cortissimo, sino a metà coscia, color pesca, senza spalline e di seta impalpabile. Erano strette intorno al suo viso magro e abbronzato e il suo corpo flessuoso e snello quelle che erano le sue amiche, che, però, non avrebbero esitato ad abbandonarla a se stessa se avesse perso la propria popolarità, acquisita sia con il buon nome che con la propria avvenenza naturale. Scherzava, Blair, rideva con le altre, ma Nicole, ogniqualvolta le aveva rivolto la parola, durante le uscite a quattro tra lei e Tyler e Blair e Robert, aveva compreso che tutta quella gioia non era vera, serviva solo a colmare quel vuoto che le aveva lasciato la morte della madre avvenuta quando lei era ancora una bambina. Quasi nessuno aveva pianto per Tanya Fell, era una donna vanitosa e piena di sé, ma per una figlia non doveva essere stato così semplice accettare il pensiero che fosse deceduta a causa di un intervento di chirurgia plastica. Sua cugina le era sempre stata accanto da quel giorno. A Mystic Falls gli unici rapporti autentici, davvero affettivi e amorevoli, erano quelli tra i familiari stretti. La famiglia era intoccabile, per tutti loro. Nessuno avrebbe mai contestato ciò che era stato scelto per un figlio dal proprio genitore, anche se fosse stata la decisione più insensata e avventata. Nicole sobbalzò, schiuse le labbra e gli occhi le si sgranarono per ciò che vide. Li assottigliò subito dopo, riducendoli a delle fessure piene d’odio e rancore nel riconoscere la persona che aveva davanti. Lunghi capelli castani che ricadevano come onde sulle spalle esili, occhi dello stesso colore, anonimi e inespressivi, volto cavallino e lievemente incavato, magrissima, una maglia bronzea,  un semplice jeans e un paio di stivali alti. Victoria Donovan. Le labbra le si incurvarono verso il basso mentre un sorriso malevolo e sarcastico distendeva quelle carnose della ragazza che aveva intercettato il suo sguardo. I ricordi cominciarono ad affollarle la mente che, stanca, non tentò nemmeno di opporsi a loro, lasciandoli entrare, prendere possesso, riaprendo quelle ferite che pensava essersi oramai rimarginate.

La campanella dell’intervallo suonò, interrompendo la noiosa lezione sulla storia degli indigeni del professor Tanner.  Nicole ringraziò la sua buona stella e sistemò il libro di storia nella borsa a tracolla nera e argentata, che portava la firma di Prada, il suo regalo del compleanno precedente. Si passò la mano sugli occhi che stavano per chiudersi e non udì nemmeno le ultime parole del professore sulle pagine da studiare. Detestava Tanner, come tutti gli altri, del resto. Le sue ore erano soporifere e rendevano odiosi quegli avvenimenti che sarebbero stati sicuramente più interessanti e appassionanti raccontati da un altro insegnante.
« Signoria Gilbert,» la riprese seccato, imprimendo nella sua voce un finto tono cortese che non avrebbe mai convinto anima viva. Era certa che stesse parlando con lei. Elena era sempre attenta durante la sua ora appunto per non farsi cogliere impreparata. Nicole non ci riusciva e non le importava. Tanner tentava sempre di rimandarla, ma non ne era mai stato in grado. Gli altri insegnanti glielo impedivano per la sua media alta e il suo comportamento eccellente.
« Mi dica,» lo invitò sarcastica, non provando nemmeno ad essere gentile. Quella mattina si era destata con una strana sensazione impressa nella mente. Sarebbe accaduto qualcosa che l’avrebbe fatta soffrire. Non aveva pensato ad altro durante tutta la mattinata. Elena, a colazione, le aveva domandato cosa avesse, ma Nicole aveva preferito non esplicare i propri dubbi, almeno non sino a quando non si fossero trasformati in certezze. Si sistemò meglio contro lo schienale della sedia. Nessuno uscì dall’aula, attendendo che fosse il professore a dar loro l’autorizzazione, ufficialmente, e per vedere dove volesse arrivare quel giorno la Barbie Gilbert, ufficiosamente. Poté percepire l’inquietudine di sua sorella, seduta al banco accanto al suo, sulla destra, e l’accondiscendenza di Caroline sulla sinistra.  Il professore si avvicinò a lei, poggiando entrambe le mani sulla superficie lignea e ormai vuota del suo banco, chinandosi su di lei sino a fare incontrare i loro occhi, i suoi di un marrone scuro e impenetrabile.
« Ha segnato le pagine per la prossima volta? » Nicole tentò di non soffiare come un gatto per l’irritazione che la colse. Ancora quel lei così cortese, ma che, in realtà, serviva solo a denigrarla, colpendola nell’orgoglio sin troppo marcato. Non ci riuscì. Gli occhi le si assottigliarono e un sorriso meccanico, che le fece tremare gli angoli delle labbra, si delineò sprezzante e beffardo.
« No, professore,» negò tranquilla, accavallando le gambe fasciate da un jeans bianco ed elegante, stretto, che lasciava intravedere la loro snellezza. Indossava una camicia a quadri, bianchi e blu, e un paio di ballerine oltremare con un fiocchetto candido, i boccoli raccolti in una semplice coda di cavallo, non un velo di trucco sul volto.
« Perché? » le domandò incuriosito mentre una vena cominciava a sporgere sulla sua fronte alta. Si stava arrabbiando. Perfetto. Aveva bisogno di qualcuno su cui sfogarsi. Tutti sembravano tacerle qualcosa, soprattutto Matt che, imbarazzato come mai lo era stato con lei, l’aveva salutata appena, ed Elena che, da quando erano arrivate a scuola, non faceva altro che evitare una lunga permanenza nei corridoi e nella mensa. Era tutto talmente strano da averla irritata.
« Glielo l’ho detto l’altro giorno. Non ho intenzione di studiare la sua materia e mi sembra uno spreco appuntarmi qualcosa che so di non voler fare. Lei lo farebbe? » continuò candidamente, sbattendo le ciglia. Sentì Elena trattenere il fiato e la guardò con la coda dell’occhio. Le stava facendo cenno di tacere per salvare la situazione, di scusarsi. Decise di ignorarla. Anche Bonnie e Matt erano d’accordo con Elena mentre Caroline sembrava confusa. Le domandò senza voce, solo con gli occhi, la motivazione di quello sfogo e Nicole alzò impercettibilmente le spalle. Non era in grado di vedere Tyler e tornò a Tanner. Era arrabbiato, furente, a stento si stava controllando dal non urlarle contro, o portarla dal preside, o entrambi.
« Dipende. Se nella mia vita volessi essere un fallito che non sa nemmeno da dove proviene, credo proprio che non lo farei, no. Si suppone, però, che la signorina Gilbert dalla media impeccabile in tutte le discipline  non voglia essere una fallita,» continuò più calmo, crudele, glaciale, tentando di ferirla. Nicole sorrise allegramente, sfidandolo apertamente.
« Ha ragione, professore. La verità è che alla “signorina Gilbert” non importa nulla della storia, o meglio del modo che lei ha di insegnarla,» si corresse, issandosi in piedi e afferrando la borsa.
« Dove credi di andare? » le domandò tra i denti, con gli occhi fiammeggianti per la collera. Nicole alzò le spalle e guardò il resto della classe. Alcuni, come Nora Davidson, la giornalista migliore della Mystic Falls High School, erano impressionati e la guardavano quasi fosse una dea. Nessuno osava contestare il professor Tanner e, in tutta onestà, non riusciva a comprenderli. Lo sguardo le si bloccò su Tyler. Non la stava guardando, era visibilmente agitato, ma non a causa sua. Non aveva messo neanche il libro nello zaino.
« A pranzo, signore. La campanella è suonata già da un po’ e penso sia inutile rimanere a discutere,» gli comunicò prima di uscire dall’aula senza aspettare una risposta. Si chiuse la porta alle spalle e rise lievemente, portandosi le mani sulle labbra per non far fuoriuscire nemmeno il minimo suono, non così vicina a Tanner. Avanzò a passo svelto per il corridoio sino ad arrivare agli armadietti centrali tra i quali c’era il suo. L’aveva combinata grossa, lo sapeva. Tanner avrebbe chiamato suo padre e quella sera avrebbero litigato nuovamente a cena. Suo padre credeva che dovesse rispettare quell’idiota che terrorizzava i propri studenti solo perché era il suo professore e Nicole non ne aveva la più pallida intenzione.  
« Sei ammattita? » la riprese la voce preoccupata e acuta di sua sorella che le era appena arrivata alle spalle. Dietro di lei c’erano anche Bonnie e Caroline, la prima preoccupata, la seconda ridente. Nicole mise il libro nell’armadietto per poi prendere quello di Arte, la prossima lezione nel suo programma. Si girò verso sua sorella e scosse il capo.
« No, Elena. È lui il matto se crede di potermi zittire solo perché è seduto dall’altra parte della cattedra,» affermò risoluta la bionda.
« Certe volte penso proprio che tu sia completamente fuori,» disse Bonnie con voce grave, ma negli occhi v’era già l’accenno di un sorriso divertito.
« Dovevi vedere la faccia di Tanner quando sei uscita. Era l’incrocio tra un treno a vapore e un pomodoro,» scherzò Caroline. Scoppiarono a ridere insieme e Nicole la prese sottobraccio.  Avanzarono verso la mensa con un sorriso impresso sulle labbra, anche Elena.
« Papà non ne sarà tanto contento,» bisbigliò, poi, scoccandole un’occhiata in tralice.
« Lo so, ma capirà. In fondo sa già di avere una figlia anarchica,» affermò sorridente alzando le spalle. Bonnie spalancò la porta della mensa e centinaia di occhi si posarono su di loro, su di lei. Qualche ragazza rise lieve e Nicole aggrottò le sopracciglia. Vide Vicki Donovan, la sorella drogata di Matt, avanzare languidamente verso di lei e le risate aumentarono d’intensità. Sul volto di Elena si delineò la più seria tra le sue espressioni e questo la spaventò. Sua sorella era una persona responsabile, ma non seriosa e quelle piccole rughe intorno alle labbra sottili significavano solamente guai. Poi non le piaceva il sorriso di Vicki, era troppo malizioso, malevolo, sembrava volesse ferirla. Caroline si scostò da lei e Nicole comprese che era una situazione che avrebbe dovuto affrontare da sola, anche se non sapeva di cosa si potesse trattare. Non aveva nulla a che spartire conVicki. Era una ragazza poco raccomandabile ed Elena a stento, solo per la sua gentilezza infinita e perché amava Matt, le rivolgeva un saluto.
« Ciao, Nicole,» la salutò con una voce talmente ironica da farla irritare. Aggrottò le sopracciglia, ma ricambiò il saluto. Sarebbe stato scortese non contraccambiare e non voleva assolutamente esserlo.  La porta si aprì di nuovo ed entrò Tyler. Lo guardò. Era imbarazzato. Era impossibile. Quel pensiero l’avrebbe fatta sorridere se si fosse trovata in una situazione meno ambigua. Tyler Lockwood non era mai imbarazzato. Si domandò cosa stesse succedendo e comprese che quella previsione mattutina era vera, « Ciao Ty,» lo salutò Vicki, sensuale e con la voce arrochita. Serrò le labbra, poi le schiuse. Non le piaceva quel tono e quel nomignolo. Solo Carol, sua madre, la donna che lo aveva messo al mondo, lo chiamava Ty e lei non era nessuno per  farlo. Trattenne la gelosia all’interno di sé. Al suo fidanzato non piaceva e si erano da poco riconciliati. Non voleva litigare nuovamente con lui.
« Vicki, che stai facendo? » le domandò cauto, avvicinandosi a Nicole. Sembrava che tremasse mentre sulle labbra della ragazza si delineava un sorriso apertamente cattivo. Era tutto così assurdamente strano.
« Oh Ty, non possiamo mentirle in questo modo,» esclamò melodrammatica indicando la bionda. Una sua amica rise ed Elena le scoccò un’occhiata di fuoco. Sua sorella arrabbiata? Era totalmente insensato.
« Mentirmi? » chiese sottovoce, incredula e incerta mentre qualcosa in lei si mosse. Cominciava a comprendere e ciò che capiva non le stava piacendo per niente.  La sera prima lei e Tyler non erano usciti né sentiti e, quando aveva chiamato a casa Lockwood per augurargli la buona notte, Carol le aveva detto che era uscito. Le aveva domandato, sorpresa, il perché non fossero insieme e Nicole non le aveva saputo rispondere. Tyler le aveva detto che si era sentito poco bene dopo gli allenamenti. Le aveva mentito, ma non voleva farne un caso di stato e non gli aveva detto nulla. In fondo se voleva uscire con i suoi amici era liberissimo di farlo. Però, forse, non era uscito proprio con gli amici. Vicki sembrava falsamente dispiaciuta mentre i suoi occhi ridevano, facendosi beffe di lei. Strinse i pugni. Nessuno mai aveva tentato di burlarsi di lei e quella non sarebbe stata la prima volta. 
« Vicki, smettila,» digrignò i denti Tyler.
« Ieri notte non dicevi così, Ty,» affermò dispiaciuta, volutamente a voce alta per attirare l’attenzione di tutti. Si levarono alcuni suoni sorpresi mentre altri trattenevano il fiato. Proprio come se dinanzi a sé avessero avuto uno spettacolo teatrale. Peccato che Nicole non avesse scelto quel ruolo. Aveva capito. Gli occhi le si velarono di lacrime, ma non pianse, non davanti a quella sgualdrina e alla sua compagnia di oche. Era delusa. Il suo cuore perse un battito. Tyler l’aveva tradita, l’aveva fatta risultare una sciocca davanti a tutta la scuola. Era arrabbiata. Le aveva mentito. Non l’avrebbe perdonato per quell’ignavia. Tremava, in quel momento. Gli occhi neri ridotti a due fessure dardeggianti e spaventate insieme. Scosse il capo e la guardò.
« Nicole, tesoro, io…» bisbigliò dispiaciuto,sfiorandole il braccio. Nicole chinò il capo, poi sul suo viso apparve una smorfia disgustata e lo scostò da sé, quasi artigliandolo. Era furente. Le gote avvamparono per l’imbarazzo e la collera, ma non pianse ancora. Anche se avrebbe voluto urlare e dimenarsi, trattenne tutte quelle emozioni all’interno di sé, implodendo.
« Tu cosa, Tyler? » gli domandò seriamente, con un piccolo sorriso sarcastico appena accennato.  Non aveva bisogno di chiarimenti, ma non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma, lì, davanti a tutti qualcosa chiamata dignità la frenava. Avrebbe voluto inveire contro Vicki, chiamarla con il proprio nome, ma sarebbe stata patetica e Nicole Gilbert non era patetica. Nicole Gilbert era una ragazza che tentava sempre di vedere del buono in chiunque incontrasse sul proprio cammino e voleva essere in grado di trovare la luce anche nella giovane dinanzi a sé.
« Io non volevo, amore. Mi devi credere. Io ti amo,» le mormorò accalorato, avvicinandosi a lei, implorandola di fidarsi di lui ancora una volta. In quel momento nessuno rideva più. Il tempo si bloccò. Le orecchie di tutti furono invase dal fragore di uno schiocco. Non si era trattenuta. Gli aveva dato uno schiaffo. Era stato potente e aveva lasciato il segno delle sue cinque piccole dita sulla guancia candida. Vi aveva messo tutta la forza di cui disponeva e doveva essere molta poiché il viso di Tyler si era volto dall’altra parte. Era soddisfatta. Non erano solo le sue fantasie. Non erano solo stronzate. Tyler l’aveva davvero tradita e con Vicki.  
« Stronzata,» esclamò malevola, quasi sputando quella parola. Sapeva di aver perso parecchi punti in quegli ultimi secondi. Tutti l’ammiravano per la sua classe, che sembrava rispecchiare quella di Carol Lockwood, ma non aveva potuto trattenersi. Tutte le sue cellule le avevano urlato di agire in quel modo. E stava meglio. Avrebbe voluto persino ridere in quel momento. Non gioiosa, anche se provava una contentezza immensa nel fatto di sapere di non essersi sbagliata, né afflitta, in quel momento il dolore era ancora acerbo.  Isterica, ma sarebbe stata pur sempre una risata. Non lo fece, però. Tutti avrebbero pensato che fosse impazzita e l’immagine era tutto. Le lacrime rischiarono di rigarle gli occhi e si voltò. Era arrivata al limite. Non poteva più sopportare nulla. Il battito era troppo accelerato, la testa era satura di tutto e, seppur andasse contro tutte le leggi fisiche e biologiche, sentiva di stare per svenire come se la pressione si fosse abbassata di colpo. Avanzò verso l’uscita con passi lenti e regolari, sulle spalle gli occhi di tutta la scuola superiore, poi, appena fu certa di non essere più vista cominciò a correre ad occhi chiusi, non sapendo dove andare. Un singulto le squarciò il petto e spalancò lo sguardo. Era appannato da milioni di lacrime, ma fu lo stesso in grado di vedere la porta d’ingresso alla scuola. Sarebbe andata contro tutte le regole che vigevano nella sua città. Scappare da scuola. Da ragazzini. Lei aveva ormai sedici anni, non quattordici. Però rimanere lì ancora per altre ore era semplicemente impossibile. Non c’era nessuno a controllare chi uscisse, non ve n’era mai stata necessità. Fu anche troppo elementare. Mosse un passo e si trovò sotto il Sole novembrino, freddo e privo della consueta vitalità. Proprio come lei. Nuove lacrime le rigarono il volto pallido. Come aveva potuto? Lei lo amava, avrebbe fatto di tutto per lui ed era quello il modo di ricambiarla? Tradirla? Umiliarla davanti a tutta la scuola? Corse ancora, Nicole, tra le vie vuote della propria cittadina. Gli adulti erano al lavoro, i giovani a scuola, i disoccupati e le casalinghe nelle proprie case intenti a rimuginare sul proprio destino o guardare la televisione. V’era solamente lei. Sola. Quando sentì di non farcela più, con il fiatone e le gote arrossate, si accasciò al suolo, battendo le ginocchia contro il marciapiede di pietra bianca sotto di lei. Se le portò al petto massaggiandole. Ringraziò il cielo che non passasse nessuno. Chissà cosa avrebbero pensato di lei. Nicole Gilbert, la reginetta  dell’Homecoming.  Nicole Gilbert, appartenente a una delle famiglie Fondatrici, Nicole Gilbert, la figlia di Grayson Gilbert, il miglior ginecologo della città. Nicole Gilbert, la figlia di Miranda Sommers, la reginetta di Mystic Falls a soli sedici anni che aveva sconfitto Tanya Fell e Carol Lockwood. Nicole Gilbert, la sorella di Elena Gilbert, la più gentile e dolce ragazza mai esistita. Nicole Gilbert, la sorella di Jeremy Gilbert, il piccolo più amato in tutta la famiglia. Nicole Gilbert, la preferita di Carol Lockwood. Nicole Gilbert, la fidanzata di Tyler Lockwood, uno tra i più giovani e promettenti giocatori di football in tutta la Virginia. Nicole Gilbert, l’illusa abbandonata e sola. Patetica. Singhiozzò e tirò su col naso. Non avrebbe dovuto svegliarsi quel giorno. avrebbe dovuto ascoltare la sua coscienza e rimanere a letto, lontana da ogni pericolo. Invece si era alzata. Invece non aveva prestato l’orecchio a quella voce interiore.
« Mi scusi, signorina, si sente bene? » le domandò una voce maschile, gentile e fresca. Nicole si asciugò gli occhi con il dorso della mano e tentò un sorriso che sembrava più una smorfia di dolore. Le membra le dovevano ancora. Si voltò verso la fonte e tutto quello che vide furono un paio di occhi azzurri, non consueti. Sembravano essere ghiaccio, ma non erano gelidi. Erano stupendi. Appartenevano a un ragazzo sulla ventina che si era inginocchiato per poterle vedere il volto. Sembrava preoccupato. Per lei. Aveva la pelle candida, quasi più della sua, i capelli corvini, lucenti e folti, e gli abiti neri, una camicia, un jeans e degli anfibi. Pareva un angelo decaduto e triste.
« Sì, la ringrazio,» sussurrò. Mentiva solo in parte. Sapere di non essere completamente sola l’aveva aiutata a sentirsi meglio. Il ragazzo le sorrise, distendendo le labbra rosee e piene, generando piccole rughe intorno a esse. Era davvero bello. Le porse la mano, aveva un anello bizzarro al medio, dalla montatura importante. Sembrava quasi quello di suo padre, ma era diverso. Nicole la sfiorò. Aveva la pelle fredda, ma non troppo, ed era morbida, di seta, come un guanto.
« Mi chiamo Damon. Damon Salvatore,» si presentò, aiutandola a issarsi in piedi. Nicole sorrise. Aveva riconosciuto il cognome. Era quello di Zach. Le piaceva quell’uomo solitario. Le regalava sempre le caramelle a Halloween.  Dovevano essere parenti.
« Nicole Gilbert,» mormorò più calma. Il battito era tornato normale e il dolore fisico stava progressivamente scomparendo, quello interiore no. Bruciava. Damon allargò il sorriso e annuì.
« Vuoi che ti accompagni a casa, o a scuola? Ho la macchina parcheggiata lì,» indicò dietro di sé con il pollice e Nicole sgranò gli occhi. Era un Aston Martin nera metallizzata, nuovo modello. Damon rise leggermente. Aveva una bella risata, giovane e frizzante, coinvolgente. Fu tentata di dirgli di sì solo per sentire cosa significava essere in una macchina del genere, ma scosse il capo.
« Non voglio esserti di disturbo,» sussurrò.
« Nessun disturbo. Non sono un serial killer,» aggiunse scherzoso quando tentò di negare ancora. Cominciò a camminare verso l’auto poco distante, un paio di metri. Nicole rise lievemente e si scostò un boccolo che le era ricaduto sul volto. La coda doveva essersi allentata.
« Con la fortuna che ho oggi potresti anche esserlo davvero,» affermò amareggiata seguendolo.
« Perché? » le domandò curioso, guardandola con gli occhi limpidi lievemente spalancati, interessati. Nicole si morse le labbra, « Scusami, non volevo essere indiscreto. Prego, siediti pure,» la invitò gentile, mostrandole il sedile del passeggero. Nicole acconsentì e aprì lo sportello, allacciandosi la cintura. Sembrava di trovarsi in Paradiso lì dentro, mentre nel suo cuore v’era l’Inferno più nero.
« Ho appena scoperto che il mio fidanzato mi ha tradita andando a letto con un’altra,» confessò atona appena mise in moto. Un suono strano sfuggì dalle labbra del ragazzo, sembrava uno sbuffo, o un soffio, non lo sapeva.
« Mi dispiace. So come ci si sente nell’essere traditi da qualcuno che si ama,» aggiunse con gli occhi più tristi. Nicole schiuse le labbra per esprimere il proprio dispiacere, ma stette in silenzio. Non voleva che parlasse e avrebbe rispettato la sua volontà, « So dov’è casa Gilbert, non preoccuparti. Ho abitato in questa città tanto tempo fa,» le comunicò quando, pochi secondi dopo, stava per dargli indicazioni.
« Poi sei fuggito da questo covo di pazzi? » gli domandò divertita. Avrebbe voluto anche lei andarsene, un giorno. Viaggiare. In Europa. A Parigi, Londra, Berlino, Venezia, Firenze, a Mosca. In Egitto o in Australia. Girare il mondo. Vagare per le stradine antiche dei piccoli villaggi in montagna. Damon rise ancora e annuì.
« Esattamente. Ho passato del tempo a Chicago, a tentare di controllare un fratello che aveva perso la retta via,» le spiegò prima di sorriderle affascinante.
« Ci sei riuscito? » gli domandò curiosa, perdendosi un attimo nel suo sorriso. Damon scosse il capo.
« Una sua amica l’ha salvato, non io. Diciamo che mio fratello non mi sopporta e io, ufficialmente, lo odio,» esclamò ironico. Nicole schiuse le labbra e aggrottò le sopracciglia.
« Non potrei mai odiare mia sorella. Fa parte di me,» sussurrò volgendo lo sguardo alla strada. Stava per voltare verso il vialetto della sua casa.
« Oh anche lui, ma qualche volta faccio finta di dimenticarlo,» le confessò facendole l’occhiolino. Nicole rise e aprì lo sportello, poggiando il piede al suolo, « è un vero piacere conoscerti, Nicole Gilbert,» le mormorò, salutandola. La ragazza sorrise e annuì, ringraziandolo con lo sguardo. 
« Anche per me, Damon Salvatore,» sussurrò prima di chiudere la portiera e avanzare verso la porta d’ingresso. Sua madre era sicuramente in casa. Doveva aver terminato di fare la spesa per la cena almeno due ore prima. Arrivata sul pianerottolo, si voltò e lo vide fare retromarcia. Abbassò il finestrino e la salutò con la mano. Nicole ricambiò e poi lo vide sfrecciare verso il Wickery Bridge. Aveva ancora la mano alzata in segno di saluto quando sua madre aprì la porta, sicuramente incuriosita da quei rumori insoliti per l’ora. Aveva indosso una camicia bianca con le righe rosse, il pantalone del pigiama e le pantofole bianche. I capelli erano legati in una crocchia improvvisata e un velo di fard le colorava le guance.
« Nicole,» la chiamò incredula. La ragazza si slanciò verso di lei e l’abbracciò piangendo sulla sua spalla. Sentì le mani di sua madre cingerla e condurla in casa prima di chiudere la porta. Le carezzò i capelli e Nicole sorrise tra le lacrime, « Piccola mia, cosa ti è successo? » le domandò sottovoce, cullandola dolcemente.
« Ti prego, mamma,» esclamò con la voce acuta e instabile, « Non dire nulla. Fa troppo male,» continuò tornando a singhiozzare. Sua madre comprese e annuì, abbracciandola con maggior forza. Si era appena chiuso un capitolo nella sua vita. Per sempre. Aveva appena giurato a se stessa che non si sarebbe innamorata. Mai più.

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Capitolo 9
*** Ghost World ***


9 cap

Capitolo 9

Ghost World


La festa di inizio anno era finita disastrosamente. Vicki aveva tentato, grazie all’aiuto di una strega dell’Altro lato, di ritornare completamente nel regno dei vivi e Bonnie e Nicole erano state costrette, l’ultima non molto a malincuore, a ricacciarla indietro, impedendole di realizzare il suo folle piano, poi erano tornati tutti a casa, sconvolti, ma salvi. Matt era distrutto, i suoi occhi azzurrini erano velati di lacrime amare quando aveva detto addio a sua sorella. Era stato lui a compiere il vero incantesimo, non le due streghe. Nicole, solo per il bene che provava nei suoi confronti, non aveva esultato quando l’aveva vista scomparire. La ferita non si era mai del tutto rimarginata. Era stata in grado di perdonare Tyler, questo era autentico e reale, ma non lei, non quella ragazzina che si era fatta beffe di lei, umiliandola dinanzi al resto dei suoi compagni. Bonnie era quella più stanca, spossata. Magari la mattina dopo sarebbe stata meglio. Nicole non lo sapeva, non se lei e Jeremy stavano attraversando un momento di crisi che sembrava non dovesse mai trovare una riconciliazione. Jeremy. Non sembrava aver sofferto molto per Vicki e quella constatazione le aveva sollevato l’animo da mille dubbi sull’effettiva volontà del suo fratellino. Caroline e Tyler avevano accompagnato Matt a casa sua dopo che Nicole, non essendosi potuta trattenere, l’aveva abbracciato a lungo, stringendolo per infondergli tutto il suo affetto. Era sempre il suo cognatino. Anche se lui ed Elena non erano più fidanzati da molto tempo. Elena sembrava, come lei, più rincuorata, ed erano tornati, proprio come una famiglia, a casa Gilbert. Sua sorella aveva guidato la sua jeep sino al vialetto, rispettando le regole, ma guardando sempre nello specchietto retrovisore per osservare Jeremy. Nicole, seduta al suo fianco, lo osservava dal suo e lo vedeva assorto nella contemplazione del paesaggio. Alaric, l’ex marito di sua madre, Isobel, quasi a disagio nel guardarla, era accanto a lui. Nicole gli rivolse un sorriso appena accennato. Non aveva nulla contro di lui: se Elena si fidava, doveva essere un brav’uomo. Quando erano entrati in casa, Nicole aveva sorriso, inconsapevolmente. Era tutto proprio come se lo ricordava. La casa in ordine, ben pulita, brillante quasi, i mobili tutti al loro posto, forse solo un paio di fotografie in più sulla consolle che mostravano Elena e Jeremy negli ultimi tempi, con la zia Jenna. Avevano salito in silenzio le scale e il ragazzo si era congedato con un sorriso dolce prima di chiudersi la porta della sua camera alle spalle. Elena aveva aperto la loro, quasi con timore, e Nicole aveva capito che non era proprio tutto come nei suoi ricordi. Non c’era più il suo letto, né la sua toletta personale. Quella stanza immensa era solo per Elena oramai. La ragazza schiuse le labbra per scusarsi, vedendole chinare il capo, ma Nicole le sorrise, facendole cenno di non dir nulla.
« Ti capisco, Ele,» mormorò solamente, dirigendosi verso l’armadio per prendere una coperta, ricordandosi poi che il divano era già occupato. Bloccò le mani a mezz’aria e chiuse gli occhi, « Se vuoi, vado alla pensione della signora Flowers. Sono sicura che per una notte mi ospiterà. Ha sempre voluto molto bene alla mamma,» aggiunse, sporgendosi verso sua sorella ancora sulla porta, con la mano poggiata sullo stipite e i capelli a coprirle il volto ovale. Aveva i canini poggiati sul labbro inferiore. Era nervosa e lo sguardo di Nicole si addolcì. Si avvicinò e l’abbracciò, tenendola teneramente stretta contro di sé. Elena ricambiò subito, gettandole le braccia al collo, scusandosi più volte.
« Mi dispiace tanto, Nicole. Io…» bisbigliò tra i suoi boccoli sciolti, lasciati morbidi sulle spalle.
« Ehi,» la interruppe in un soave sussurro carezzando i suoi capelli lisci e lucenti, « Non importa. Davvero,» aggiunse, scostandosi per prenderle il viso tra le mani, sorridendole con dolcezza. Elena era imbarazzata e i suoi occhi da cerbiatto spalancati e incerti, bramosi di scusarsi ancora.
« Se vuoi,» esclamò la voce di Alaric, dubbiosa e gentile. Nicole lo osservò. A pelle sentì che era buono e gli sorrise, invitandolo a continuare, « Puoi dormire sul divano. Lo so,» aggiunse dopo una breve risata, portandosi la mano sul mento irsuto, massaggiandoselo, « Non è il posto più comodo del mondo, ma penso andrà bene per questa notte,» concluse con un sorriso impresso sulle labbra rosee e negli occhi marroni.
« E tu? » gli domandò incuriosita. Aveva lasciato Elena che si era diretta in bagno per cambiarsi ed era usciti, dopo aver chiuso la porta, per parlare liberamente. Si portò la mano sull’avambraccio, cingendosi per proteggersi dal vento che era penetrato da una finestra lasciata aperta, probabilmente quella della cucina. Alaric le aveva fatto cenno di incominciare a scendere le scale e Nicole lo seguì.
« Io tornerò a casa mia, per oggi. Devo sistemare alcune faccende lasciate in arretrato. Dei compiti in classe e la festa di domani,» le comunicò volgendosi verso di lei prima di prendere la giacca di pelle nera. Nicole rimase sull’ultimo scalino ancora per qualche secondo, sino a quando Alaric non fu vicino alla porta d’ingresso, poi scese e schiuse le labbra. Non avrebbe dovuto parlare, solo ringraziarlo, ma quella frase diruppe nel suo animo, arginando il suo controllo.
« L’amavi? Mia madre? » sussurrò. Sperò che non l’avesse sentita, ma si era bloccato con la mano poggiata sulla maniglia. Non si era girato, aveva chinato il capo e Nicole aveva potuto percepire un sospiro malinconico. Si volse dopo pochi istanti e la guardò greve, una smorfia di puro dolore delineata sui suoi lineamenti giovani. Annuì e Nicole sospirò, scusandosi con lo sguardo. Lacrime le velarono gli occhi, ma le trattenne. Non le era mai piaciuta sua madre. L’aveva abbandonata quando era solo in fasce, ma aveva solo sedici anni. Era troppo giovane per potersi prendere cura di due bambine, per sposarsi con John, per creare una famiglia. Nicole la comprendeva, per quando non riuscisse ad accettarlo almeno si era sforzata di capire, soprattutto grazie a suo padre. Aveva diciotto anni. La situazione non era molto più felice. Non sarebbero mai stati una famiglia. Così John si era accontentato di vederle crescere da lontano, rimanendo nell’ombra, mostrando il proprio affetto con piccoli gesti che valevano molto di più, per lei, che mille dichiarazioni, mentre Isobel non era mai apparsa nella loro vita. A Nicole piaceva pensare che non l’avesse fatto a causa della sofferenza di saperle lontane da sé, inavvicinabili, almeno da quando suo padre si era tanto accalorato nel difenderla, con gli occhi azzurri, quelli che lei stessa aveva ereditato, tristi e spenti. Nicole aveva compreso che l’amava, ma non aveva detto nulla né aveva più parlato con lui. Se davvero soffriva in quel modo per quella storia finita male, non sarebbe stata lei a ricordarglielo, lei che odiava tanto vederlo infelice e angosciato, lei che tentava sempre di farlo sorridere per sentire la sua risata dolce che le alleviava i dispiaceri dell’anima, lei che provava un bene indescrivibile e inimmaginale nei confronti di quel padre che non aveva potuto crescerla come avrebbe sperato, con il ruolo che gli competeva. La risposta di Alaric la scosse. Talmente assorta nei suoi pensieri, non si era resa conto che l’uomo non era ancora andato via, ma indugiava sulla soglia, guardandola mestamente.
« Ho amato tanto Isobel, non puoi capire quanto,» aggiunse, assottigliando lo sguardo per trattenere le lacrime. Il battito del cuore di Nicole risuonava nelle sue orecchie, rendendo qualunque altro suono ovattato, ma quelle parole erano arrivate chiare e nitide. Degluitì per trattenere dentro di sé tutte le sensazioni che percuotevano il suo essere, facendola tremare inconsapevolmente, « Non penso riuscirò mai a smettere di pensare a mia moglie. Adoravo tua zia. Jenna era meravigliosa e sono stato così felice con lei. Era brillante. Un sole luminoso in grado di scacciare ogni oscurità,» ricordò con un sorriso più dolce, lo sguardo ancorato al suo. Tremava anche lui e Nicole gli si avvicinò sfiorandogli il braccio fasciato dalla camicia grigia. Portava l’anello che John aveva donato a Isobel. Doveva essere un pegno d’amore per lui, avere il valore della fede che oramai non indossava più. Nicole gli sorrise, rimembrando anche lei sua zia, la sorella della sua mamma, così diverse, proprio come lei ed Elena, ma legate da un rapporto profondo come gli abissi di un Oceano infinito. Era vero. Zia Jenna era stupefancente, un fiume in piena, perennemente alla ricerca dell’amore che non riusciva mai a trovare. Aveva avuto tante storie che non era finite bene. Quella con suo padre e Fell erano solo le più ecletanti, « Però,» continuò facendola ritornare a lui. Era divenuto più malinconico, dispiaciuto quasi, come se avesse desiderato chiedere perdono a Jenna per le sue successive parole, « Non amerò mai nessun’altra come ho amato Isobel,» concluse serio. Nicole annuì e il suo sguardo limpido fu velato da un’ombra di dolore che le stava soffocando l’anima. Nessuno era felice in quella città, non veramente. Tutti si portavano dietro un macigno costituito dal proprio passato carico di afflizione e tormento, non liberandosene mai del tutto. Era orribile, ma era la verità. Era come una condanna che pendeva sulle loro teste, come se dovessero scontare una pena perpetua, crudele e ingiusta. Tutti, indistintamente. V’era Elena, troppo ancorata a quella ragazza che era stata prima della morte dei suoi genitori, impegnata a darsi la colpa di tutto quello che era accaduto a Mystic Falls in quei lunghi mesi alle persone che amava. Jeremy, troppo preoccupato a rimuginare su qualcosa che aveva perduto per sempre per pensare al proprio futuro, andare avanti in qualche modo. Stefan. Damon. Alaric. Caroline. Bonnie. Matt. Tyler. Tutti identici, da quel punto di vista, tutti soli e costretti a vivere un’esistenza che non avevano desiderato, con mille pericoli dietro l’angolo, dolori insormontabili e paure che rendevano i loro animi tediati e spenti. Nicole avrebbe pianto se ne avesse avuto la forza, ma qualcosa la tratteneva ancora. Alaric era uscito di casa, scomparendo dalla sua vista, e la fresca brezza autunnale sostituì la figura dell’uomo. La giovane sospirò, poi richiuse la porta di casa, accompagnandola per non causare alcun suono che avrebbe potuto spezzare la quiete. Si trascinò nella sala, lasciandosi cadere sul divano. Era stanca, ma non aveva sonno. Notò che ai piedi del divano v’erano delle coperte bianche, di lana, confortevoli. Si tolse le scarpe e si coprì, avvolgendosi in un abbraccio caloroso. Si sciolse la coda ed estrasse il cellulare dalla tasca. Era tardi, quasi l’una di notte. Lo poggiò sul tavolino accanto a lei e chiuse gli occhi, sistemandosi meglio contro il cuscino. Prese sonno quasi senza accorgersene pochi secondi dopo, lasciandosi cullare dalla quiete apparente e da una voce che intonava una nenia dolce che aveva sentito mille volte. Era quella di nonna Elizabeth, amorevole e bassa. Quanto le era mancata. Sapeva che era solo uno scherzo della sua mente, ma la sentì nuovamente accanto a sé quella notte. Forse le sue antenate le avevano offerto la possibilità di udire il suo canto e le ringraziò più volte durante il sonno. Un timido sorriso increspò le labbra rosee e sottili, donandole pace e serenità, facendola rassomigliare a una bambina, facendola sentire a casa.

 

Pallidi i primi raggi del Sole risplendettero nel cielo di Mystic Falls, non riuscendo del tutto a eludere le nubi bianche cariche di pioggia. Nicole, infasdita, si era girata verso lo schienale del divano quando li aveva avvertiti sul suo viso, ma non si era destata. Voleva ancora un po’ appagarsi dell’abbraccio soffice delle lenzuola. Era entrata nella dormiveglia e sperava di poter ricadere nel sonno pochi minuti dopo. Una risata, però, squasso l’aria. Era maschile, alta, e in quel momento non era in grado di riconoscerla. Non appartenava a Jeremy. Le labbra le si schiusero con un piccolo schiocco, poi aggrottò le sopracciglia e spalancò gli occhi chiari, volgendosi verso la sua fonte. Un ragazzo, che non poteva avere più di venticinque anni, era accomodato sul tavolino e la stava guardando. Aveva gli occhi azzurri e i capelli castano chiari, ricci e corti, il volto lievemente abbronzato e ricoperto da un sottile strato di barba. Portava una camicia azzurrina e aveva i muscoli ben delineati. Rassomigliava a una persona di cui, in quel momento, le sfuggiva il nome. Era legata al suo passato, a Tyler e a Katherine. Lo guardò ancora. Un sorriso amichevole gli distendeva le labbra piene e Nicole lo ricobbe.
« Mason,» lo chiamò con la voce più acuta e incredula. Non poteva essere davvero lì. Lo zio di Tyler era morto per mano di Damon Salvatore per avvertire Katherine. Si portò un boccolo dietro l’orecchio mentre il ragazzo annuiva e si lasciava sfuggire una breve risata, « Cosa ci fai tu qui? » gli domandò incerta, poggiando i piedi sul paviemento, guardandosi intorno, verso la scalinata, timorosa che Elena o Jeremy potessero ascoltarla.
« Mi dispiace per l’ora, ma ho bisogno di te. Vieni alle vecchie cantine dei Lockwood tra un’ora,» mormorò prima di scomparire. Confusa, Nicole si alzò e si volse il capo. Non c’era più. Era un fantasma, questo era certo. Il problema era che non avrebbe dovuto essere lì. Avevano sbagliato qualcosa con l’incantesimo della sera prima, qualcosa a cui doveva assolutamente rimediare. Si inumidì le labbra e sentì la porta di una camera al piano di sopra chiudersi lievemente. Percepì i passi  e riconobbe la figura di sua sorella. Era già vestita con una semplice maglietta scura con dei disegni floreali bianchi, una giacca bianca e una gonna di jeans che le arrivava sino a metà coscia lasciando libere le gambe snelle e olivastre.  Elena le sorrise, sorpresa, e Nicole ricambiò.
« Già sveglia? » le domandò la bruna, dirigendosi in cucina. Nicole la seguì lasciandosi sfuggire una breve risata.
« Purtroppo sì.»
« Perché? Se vuoi, puoi tornare a dormire,» affermò gentilmente, guardandola incuriosita e versando il caffè in una tazza bianca per poi porgerlo alla sorella. Nicole ne ebbe un sorso, poi alzò le spalle.
« Devo vedermi con una persona tra un po’. Non ne vale la pena,» le comunicò prima di finirlo. Sperava di non dover espliticare con chi dovesse realmente incontrarsi ed infatti Elena non glielo domandò. Mason era stato piuttosto ambiguo sulle proprie intenzioni, ma Nicole si fidava di lui. Ero lo zio di Tyler ed era sempre stato molto gentile con lei, intravedendo che tra lei e il ragazzo c’era sempre stato un rapporto che andava oltre la semplice amicizia. Elena annuì e le sorrise, distendendo le labbra rosee.
« Io devo andare in piazza. Questa sera ci sarà la festa dell’Illuminazione. Verrai anche tu? » le domandò gentilmente prendendo una borsa a tracolla, di cuoio, abbstanza capiente da contenere un paio di libri tascabili. Le sembravano dei diari, ma erano troppo vecchi per essere quelli di sua sorella. Aggrottò le sopracciglia e scelse di non esplicare i suoi dubbi, proprio come aveva fatto sua sorella. Le faceva male che ci fossero dei segreti tra di loro, ma, per il momento, era la cosa migliore.
« Chi mancherebbe mai a uno degli eventi più sciocchi, e falsi, di questa città? » domandò retoricamente, prima di sbuffare e sorridere. Elena le gettò un’occhiata in tralice poi le sorrise. Si avvicinò a lei e le posò un bacio sulla guancia prima di stringerla in dolce abbraccio.
« Sono contenta che tu sia tornata, Nicole,» sussurrò tra i suoi capelli. La giovane sorrise, emozionata e commossa, e ricambiò l’abbracciò tenendo la sorella stretta contro di sé. Era meraviglioso poter sentire nuovamente il calore che sprigionava dalla sua pelle olivastra, il profumo dolce dei suoi capelli, il battito regolare del suo cuore. Non importava che percepisse qualcosa di sbagliato in lei. Se e quando avesse voluto parlarne con lei, Nicole ci sarebbe stata per ascoltarla, per starle vicino proprio come in passato, quando era incerta se accettare l’amore di Matt perché pensava di essere troppo giovane per cominciare una storia seria. Era bello ricordare il passato felice. Tutto era più semplice. Il sovrannaturale complicava maggiormente quelle situazioni già di per sé molto delicate e instabili. Elena si scostò dopo molto tempo, beandosi del suo calore, poi le carezzò la guancia e uscì di casa chiudendo la porta d’ingresso con un tonfo inudibile. Nicole sospirò e si avvicinò alla macchina per il caffè. Ce ne era ancora tanto da riempire una tazza. Lo svuotò e lo bevve per riprendere le forze. Odiava svegliarsi presto, anche se poi tanto presto non era più. Si diresse nella sala e si sedette sul divano ancora caldo. Prese il telefono e controllò l’ora. Mancavano ancora quaranta minuti prima che dovesse incontrarsi con Mason, ma prima voleva concedersi una lunga doccia calda e una colazione ristoratrice nella pasticceria più buona della città. Si alzò e cominciò a salire le scale lentamente, con gli occhi ancora chiusi, dirgendosi verso la camera di Jeremy per controllare che fosse in casa. Il letto era perfettamente in ordine, le coperte scure con delle fantasie geometriche grigie era perfettamente distese e anche la camera non era ridotta male. C’erano solo degli album da disegno sparsi sulla scrivania con dei carbonici e dei pastelli colarati. Nicole entrò e sfiorò il disegno superiore. Non era concluso, ma dalle linee Nicole comprese che raffigurava lei e sorrise dolcemente imbarazzata. Probabilmente era un regalo per il suo ritorno a casa. Arrossì e si morse leggermente il labbro inferiore. Era commossa. Suo fratello aveva il potere di addolcirle l’animo, rendendolo più felice con piccoli, significati, gesti d’amore. Era così orgogliosa del suo cuore nobile tanto da rimembrare Miranda e Grayson in ogni suo gesto. Si chiuse la porta alle spalle ed entrò nella camera di Elena, in ordine anch’essa. Constatò che sua sorella non aveva perso le proprie doti di ragazza mattiniera e precisa. Si avvicinò all’armadio e decise di prendere, almeno per quel giorno, dei vestiti vecchi di sua sorella. Era più alta di lei di qualche centimetro e si sarebbe notato troppo se avesse indossato qualcosa di nuovo. Scelse un top turchese, con sopra del tullè bianco e minigonna, non troppo corta, della stessa tinta. Dopo una doccia rilassante, ridiscese le scale e guardò il telofono. Dieci minuti. Avrebbe fatto appena in tempo. Qualcosa di strano attirò la sua vista. Una chiamata persa. Aprì e lesse il nome. Sconosciuto. Probabilmente apparteneva a Klaus. Il suo cuore accelerò i suoi battiti nel ricordare l’ibrido e uno strano brivido le percorse la spina dorsale, scuotendola interamente. La sera prima aveva chiuso il telefono senza quasi salutarlo e se ne dispiacque. Fece per chiamarlo, ma Mason la stava attendendo e poi cosa avrebbe potuto dirgli? Arrossì e portò l’indice sulle labbra che avevano sfiorato quelle di Klaus. Ricordava ancora la loro constistenza così morbida e vellutata. Degluitì a vuoto nel percepire quanto il suo corpo fosse attraverso dai quei pensieri. Non andava bene, per niente. Lei e Klaus erano incompatibili. Nicole era una strega, una figlia della terra, una serva della natura. Klaus era un vampiro, una creatura della notte, un abominio della natura. Inoltre era anche un licantropo, un maledetto. Chiuse gli occhi, sospirò e scosse il capo. Sarebbe andato contro tutti i suoi principi provare qualcosa per lui e, per di più, non pensava di essere così interessante da attirare l’attenzione di un Immortale. Prese le chiavi della jeep che aveva lasciato vicino al bosco e si incamminò chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo fragoroso. La colazione, grazie a tutte quelle riflessioni, era oramai saltata e si affrettò a raggiungere l’auto. Per strada non c’era quasi nessuno, tutte persone che non conosceva, oppure che aveva solamente visto, poi una chioma bionda come il Sole, due spalle grandi e un fisico asciutto e muscoloso attirararono la sua attenzione. Si trovava dall’altra parte della strada e le dava le spalle. Stava camminando verso la propria casa. Si fermò per essere certa che fosse lui e, assotigliati gli occhi, lo riconobbe completamente.
« Matt,» lo chiamò ad alta voce, facendolo voltare di scatto. Lo raggiunse velocemente e il ragazzo le rivolse un sorriso dolce.
« Ehi Nicole,» la salutò sereno, anche se nei suoi occhi era presente tanto dolore. La giovane gli sorrise apertamente e lo abbracciò traendolo delicatamente a sé.
« Mi dispiace per ieri sera. Posso capire quanto ti ha ferito doverla mandare via,» sussurrò quando si sentì stringere dalle sue mani gentili. Matt abbandonò il capo sulla sua spalla e annuì prima di sciogliere l’abbraccio.
« Penso sia stato necessario, no? » aggiunse dubbioso, con la voce tremula per le lacrime che gli velavano lo sguardo limpido. Nicole assottigliò il suo dolcemente e annuì. Matt sospirò e annuì, abbattuto, « Andavi da qualche parte? » continuò poi, abbandonando quel momento di sconforto, tornando ad essere il ragazzo premuroso e simpatico che era stato come un fratello.
« Sì. Devo prendere la jeep per incontrarmi con una persona,» gli spiegò prima di guardare l’orologio del telefono. Due minuti. Mason avrebbe aspettato un po’, « Sono già in ritardo, come al solito,» aggiunse facendolo ridere allegramente. Si chinò su di lei e le posò un lieve bacio sulla guancia prima di salutarla e continuare a camminare. Nicole fece lo stesso e raggiunse la macchina in poco tempo. Era rimasta l’unica ad essere parcheggiata lì e ringraziò che a Mystic Falls non ci fossero ladri. Si diresse velocemente verso le cantine, superando anche un po’ limiti, pregando che lo sceriffo Forbes avesse qualcosa di più importante da fare piuttosto che controllare il traffico. Arrivò in pochi minuti e parcheggiò al limitar del bosco, scendendo e affrettandosi a raggiungere le scale sotteranee. Era stata lì un paio di volte con Tyler, desideroso di mostrarle le rovine della vecchia villa dei Fondatori Lockwood. Vide un’ombra discendere prima di lei. Portava uno strano oggetto in mano, una pala, ed era sicura che non fosse Mason perché indossava una maglia nera. Lì sotto era buio e Nicole si fece coraggio deglutendo a vuoto e scendendo le scale il più celermente possibile. Una luce di lanterna aveva illuminato lo spazio circostante e Nicole la benedisse. Aveva già incominciato a vedere delle ombre che non avrebbero dovuto essere lì.

« C’è stato un intoppo nell’unica mia altra pista su Klaus. Dunque…»
Era la voce di Damon Salvatore, inconfondibile. Mason si accorse di lei alle spalle del vampiro e le rivolse un sorriso aperto che Nicole ricambiò.
« Sono molto motivato,» continuò il vampiro non accorgendosi di lei. Nicole aveva fatto cenno a Mason di tacere ancora per qualche secondo. Stava pensando. Volevano uccidere Klaus, lo sapeva, ma perché un licantropo defunto avrebbe dovuto dare una pista a dei vampiri? Cosa ci guadagnava e, soprattutto, perché aveva cercato il suo aiuto? Erano tutti interrogativi presenti nel suo sguardo. Mason, come unica risposta, sciolse il sorriso e prese la pala che aveva portato il vampiro.
« Ora siamo tutti al gran completo. Che bella squadra. Un licantropo fantasma, un vampiro e una strega,» scherzò facendo voltare Damon dietro di sé. Incontrò gli occhi di Nicole e schiuse le labbra, aggrottando le sopracciglia e assotigliando lo sguardo chiarissimo, sorpreso e incredulo di trovarla lì. Nicole gli rivolse un mezzo sorriso, meno dolce di quello per Mason. Non odiava Damon, no, però non le piaceva il suo rapporto con Elena. Quel vampiro era troppo implusivo, troppo passionale e avrebbe potuto fare qualche sciocchezza anche senza accorgersene. Era troppo umano, Damon, troppo innamorato e troppo disilluso. Le dispiaceva, ma pensava veramente che non avrebbe mai potuto avere una relazione seria, basata sulla fiducia reciproca, non solo sull’affetto. Era sicura che sua sorella lo amasse, questo sì, ma non avrebbe mai scelto lui perché Elena non aveva bisogno di altre preoccupazioni.
« Nicole Gilbert,» la salutò con un sorriso tirato e un tono sarcastico. Non si fidava di lei. Pensava che fosse dalla parte di Klaus ed era un po’ vero, anche se non avrebbe messo la vita di Elena in pericolo per niente al mondo.
« Damon, che piacere vederti qui,» affermò atona avvicinandosi a Mason, standogli di fronte e guardandolo negli occhi, « Perché mi hai chiamata? » gli domandò gentilmente. Il licantropo le sorrise e arcuò le sopracciglia.
« Perché spero che tu voglia ancora tanto bene a mio nipote da aiutarmi con questa questione dell’asservimento a quel pazziode di un ibrido,» le confessò ironico, ma anche dolce nella prima parte. Nicole si morse il labbro inferiore e guardo la parete di mattoni rossi alla sua destra.
« Oh non credo,» esordì Damon, « Penso proprio sia dalla parte dell’“ibrido pazziode”,» continuò mimando due virgolette. Mason le sfiorò la mano per far sì che lo guardasse nuovamente. V’era una preghiera, una supplica, nei suoi occhi limpidi e a Nicole mancò un battito.
« Si tratta di Tyler, Nicole. Si tratta del ragazzo che hai amato così tanto e che ora sta scomparendo a causa di qualcuno più potente di lui. Tu puoi aiutarci, lo so. Sei una strega buona, l’ho visto dall’Altro Lato. Tenti sempre di aiutare gli altri, a fidarti di loro, ma non puoi davvero credere a Klaus. Lui è malvagio e non esiterebbe nel farti del male. Invece i tuoi amici sono la tua famiglia. Tyler ha sbagliato nel tradirti, non puoi immaginare quanto ne sia pentito. Pochi giorni fa l’ho visto con una vostra foto alla Cascate mentre l’accarezzava dispiaciuto,» le mormorò intenerito. Il cuore aveva accellerato il proprio battito e lo pregò di smetterla, scuotendo il capo. Era terribile e straziante.
« Credi che non voglia aiutarti per vendicarmi di Tyler? Non è vero. Io l’ho già perdonato, molto tempo fa,» sussurrò scostandosi i capelli dal volto. Era la verità. Non era mai stata davvero arrabbiata con Tyler, certo delusa, ma lo aveva amato talmente tanto da non riuscire a odiarlo nemmeno per un istante. Mason le sorrise e annuì.
« Allora puoi aiutarci, streghetta,» esclamò Damon, « Ora, Dunbar, illuminaci,» continuò. Sul volto di Mason apparve una smorfia infastidita nel sentire quel cognome, quello del protagonista di Balla coi lupi, ma non lo diede a vedere. Il vampiro aveva un’espressione sarcastica e gli occhi leggermente spalancati. Mason fece schiantare la pala contro il muro creando un piccolo varco. Nicole si portò le mani sulle orecchie per il tonfo e schiuse leggermente la labbra, sobbalzando e lasciandosi sfuggire un’imprecazione.

« C’è una vecchia leggenda nella famiglia Lockwood,» esclamò divertito mentre guardava la reazione della giovane. Un rumore squassò l’aria mentre continuava a parlare e Nicole estrasse il telefono. Elena le aveva mandato un messaggio. Lo aprì e sgranò gli occhi limpidi.

Abbiamo un problema. Jeremy ha baciato Anna e questo non va bene. Io non posso stare con lui, al momento. Forse c’è un modo per salvare Stefan e devo provarci. Aiutalo tu, per favore.

Nicole annuì tra sé e sospirò. Alzò il capo e guardò i due. Damon la stava guardando incuriosito.
« Era Elena. Dice che mio fratello ha baciato Anna. Perdonatami, ma ho una questione familiare da risolvere,» mormorò prima di volgersi verso l’uscita.
« Aiutalo, Nicole. Stagli vicino, ti prego. Caroline lo ama, ma non può comprenderlo. Tu puoi e non perché penso che sia ancora innamorata di lui, ma perché sei più forte di lei, in qualche modo. Vedi oltre quello che le persone appaiono e non so se questo sia perché sei una strega o perché è una tua dote naturale,» esclamò Mason accorato. Nicole si fermò, ancora di spalle, e appoggiò la mano sul freddo metallo del cancello. Annuì una volta sola poi riprese a camminare. Sentì la pala sbattere ancora contro la parete e dei fragori rumorosi. Appena fu fuori notò che le luci del tramonto stavano illuminando il bosco, filtrando tra i rami degli alberi sempreverdi, creando un gioco di luci impareggiabile. Nicole sorrise, poi scosse il capo e digitò il numero di suo fratello. Le rispose al secondo squillo.
« Nicole,» la salutò imbarazzato e sorpreso.
« Ciao Jer. Ti va di vederci al Grill tra una decina di minuti? » gli domandò gentilmente avanzando verso la jeep. Suo fratello non rispose, aveva capito che Elena le aveva raccontato tutto.
« Senti, Nicole, io ho sbagliato, è vero, ma...»
« Jer, non voglio farti la paternale. Voglio solamente ascoltarti, se vuoi ancora aprirti con me,» lo interrupe pacata e dolce, « Ho promesso che ti avrei aiutato con questa storia e non mi rimangio la parola, ma tu devi fidarti di me. Puoi ancora, fratellino? » aggiunse pregando in un suo sì che subito ci fu.
« Vediamo in piazza. Stanno per spegnere le luci,» le comunicò. Nicole mise in moto e annuì tra sé.
« A fra poco,» lo salutò prima di chiudere la comunicazione. Avanzò tra le vie vuote più lentamente, gustandosi il paesaggio deserto della sua città e rimuginando. Se Bonnie l’avesse saputo, avrebbe sofferto tantissimo. Però non era l’unico problema, anche se le doleva il cuore nel ripensare agli occhi tristi della sua migliore amica. Anna era un fantasma e Jeremy era umano. Se davvero lo amava, avrebbe dovuto lasciarlo andare, essere lei ad abbandonarlo, a non cercarlo, a mandarlo via, a non udire più le sue richeste, ma i vampiri erano delle creature egoiste e quello, non poche volte, era risultato un pregio e non un difetto. Jeremy, così sensibile e innamorato, non sarebbe mai riuscito a non pensarla più e si sarebbe messo nei guai. Toccava a lei e a Elena aiutarlo, stargli vicino. Arrivò dinanzi alla piazza quando era già sera, parcheggiò e vide tutti gli abitanti stretti vicino al palchetto mentre osservavano Carol, con un bellissimo vestito color smeraldo, parlare. La donna la vide e Nicole le rivolse un sorriso dolce, subito ricambiato. Avevano spento le luci. Vide suo fratello tra la folla cercare qualcuno e lo raggiunse, battendogli l’indice sulla spalle per farlo voltare. Le sorrise e l’abbracciò teneramente. Nicole ricambiò.
« Dimmi cosa sta succedendo,» sussurrò sfiorandogli la guancia in un bacio dolce. Jeremy abbassò il capo e lo inclinò. Alaric stava salendo sul palco per prendere la parola al posto del singor Fell, il padre di Blair. Si fermarono ad appluaudire con gli altri mentre Nicole percepiva qualcosa di profondamente sbagliato e si guardò intorno. Jeremy si voltò e chiamò il nome di Anna e Nicole si volse per comprendere finalmente chi fosse. Era una bella ragazza dai capelli ricci e neri e dagli occhi marroncini, il viso a cuore candido e le labbra rosee. Suo fratello la raggiunse mentre lei restò al suo posto, guardando alla sinistra di Alaric, verso un albero su cui spiccava qualcosa di anomalo. Nicole chiuse gli occhi e rilassò il respiro per comprendere cosa turbasse la quiete della natura. Trattenne il fiato e li spalancò subito. Un conato di vomito la investì, ma lo ricacciò indietro. Avevano acceso le lanterne. Tobias Fell era appeso a un albero, la camicia stracciata e il petto squarciato. Schiuse le labbra e sgranò il occhi, indietreggiando. Sentì qualcuno urlare e la gente di disperse. Era uno spettacolo orribile. Sentì la mano di qualcuno sulla schiena e si voltò. Era Tyler. Lo stava guardando accanto a lei, orripilato anch’egli dalla vista. Nicole gli si fece più vicino, proteggendosi.
« Dio mio, è spaventoso,» bisbigliò con la voce rotta dalle lacrime. Tyler annuì e la strinse maggiormente a sé. Qualcuno chiamò i paramedici e lo sceriffo. Anche Carol era sotto shock, « Va’ da tua madre. Ha più bisogno di me,» gli mormorò dolcemente, ancora tremando. Tyler la guardò, poi annuì e le baciò il capo, scomparendo tra la folla per raggiungere il palco. Senza Tyler sembrava tutto più terrificante e si guardò indietro cercando Jeremy. Aveva gli occhi spalancati e il respiro accelerato. Gli si avvicinò e gli sfiorò la mano per fargli allontanare lo sguardo. La guardò anche Anna. I paramedici arrivarono in un attimo e tolsero subito il corpo dall’albero. Qualcuno stava piangendo. Si voltò di scatto. Blair Fell era stretta a sua cugina e singhiozzava sulla sua spalla. Dopo sua madre, anche suo padre non c’era più. Se ne dispiacque, ma la suoneria di suo fratello la distrasse. Era Caroline. Parlavano della collana, del ciondolo della strega originaria. Qualcuno doveva averlo preso e nascosto. Pensavano fosse stata Anna. Nicole la guardò. Le sembrò sincera, ma non si fidò completamente.
« Non sai chi potrebbe averla presa? » le domandò con gli occhi assottigliati e il battito accelerato. Anna la guardò e scosse il capo, poi scomparve. Elena arrivò. Stava succedendo tutto troppo velocemente. Le parole di suo fratello le fecero sanguinare il cuore e non riuscì a comprendere come sua sorella sembrasse non sentirle. Lui l’amava. Per quanto sbagliato, insensato e paradossale fosse, Jeremy era totalmente e incodizionatamente innamorato di lei. Non l’avrebbe mai lasciata andare.
« Elena,» la chiamò. Sua sorella scosse il capo, capendo le sue intenzioni.
« Nicole, tu non capisci. È solo un ragazzo. Non può trascorrere tutta la sua vita amando un fantasma, qualcosa che non è reale. Anna è morta. Ti stai aggrappando a qualcosa che non c’è più, Jer,» esclamò, « Amerai un fantasma per tutto il resto della tua vita? » continuò. Jeremy chinò il capo per un solo istante e Nicole gli strinse la mano. Sapeva che sua sorella aveva ragione, ma era tutto inutile. Per lui era reale. Per lui era più semplice credere che Anna non se fosse mai andata. Nicole riusciva più a comprendere le ragioni di suo fratello che quelle di sua sorella e sentiva che era giusto così. Jeremy era solamente un ragazzino, era vero, aveva tutta la vita davanti a sé, ma che vita sarebbe stata se la ragazza di cui si era innamorato non esisteva più? Se non avesse più potuto toccarla, amarla? Si sarebbe destato da un sogno che, per quanto irreale, gli faceva battere il cuore. La sua anima sarebbe morta. Per sempre.  

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Capitolo 10
*** Painful Words ***


10 cap

Capitolo 10

Painful Words

 
Nicole era tornata a casa non appena Elena era tornata da Stefan e Jeremy si era recato alla casa delle streghe Bennett per consegnare la collana a Bonnie e tentare di chiarirsi con lei. Pur non amandola con la stessa intensità del sentimento che provava per Anna, era palese e nitido che nutriva un profondo affetto nei confronti di Bonnie e che non voleva vederla soffrire a causa sua. Nicole sperò che riuscisse a perdonarlo, ma nutriva ben poche speranze. Lui l’aveva tradita e non era giusto che tornasse la pace di colpo, soprattutto sapendo quanto ancora fosse legato alla sua ex fidanzata. Nessuno mai avrebbe accettato una situazione del genere e Bonnie aveva sofferto già troppo per rimuginare ancora su una storia senza futuro. La giovane chiuse gli occhi e si lasciò cadere sul divano. Era stata una pessima giornata. L’unico dato positivo era che Bonnie finalmente aveva risolto il problema dei fantasmi. Non aveva potuto aiutarla come avrebbe voluto per amore di Jeremy. Era fermamente convinta che suo fratello avesse bisogno di Anna per vivere e non aveva voluto prendere parte alla sua sofferenza. Poi Jeremy doveva avere la possibilità di discolparsi senza intermediari. Sospirò. Era tornata da un paio di giorni e già desiderava fuggire da quella città. Sentì la porta di casa sbattere e spalancò gli occhi, sporgendosi per vedere chi fosse entrato. Era Elena. Aveva il capo chino e camminava velocemente verso le scale. Percepì un singhiozzo sfuggirle dalle labbra e si alzò, correndo per raggiungerla.
« Elena, cos’è successo? » le domandò incredula. Sua sorella non piangeva mai, ma quella situazione era realmente insostenibile. Alzò il mento e Nicole guardò dentro i suoi grandi occhi da cerbiatto, spalancati e timorosi. Elena cercò nel suo abbraccio conforto e affetto e Nicole le offrì tutto ciò che possedeva. Pianse ancora per altri, innumerevoli, istanti, il petto scosso dai singulti trattenuti, il capo chino sulla sua spalla, le gambe tremanti che faticavano a mantenerla in piedi. Erano sul pianerottolo superiore, vicino alla loro camera. Nicole le carezzò i capelli dolcemente, mormorandole parole amorevoli, e tentando di zittirla con delicatezza. Dopo che si fu calmata, tirò su col naso e si asciugò le rimanenti lacrime con il dorso della mano, sorridendole per ringraziarla. Nicole annuì e la osservò intenerita. La fece entrare in camera e si sedettero alla base dell’ormai unico letto presente. Nicole le carezzò la guancia ancora umida sorridendo debolmente. Le ripeté la domanda ed Elena annuì, pronta a raccontarle tutto.
« Si tratta di Stefan. Lo amo, Nicole. Non puoi immaginare quanto e quello che ha fatto Lexi oggi mi ha ferita tantissimo, anche se l’ha fatto per il suo bene. Io…,» sussurrò prima di singhiozzare e gettarle le braccia al collo. Nicole chiuse gli occhi e sospirò. Doveva essere stato terribile per lei ed era vero: Nicole non poteva capire. Se ci fosse stato Tyler al posto di Stefan, non avrebbe mai avuto la forza di guardarlo soffrire senza intervenire, anzi imparando a scalfirlo. Probabilmente sarebbe fuggita o avrebbe urlato di smetterla. Elena era più forte di lei, più coraggiosa, più capace di controllarsi.
« Lui ti ama, ne sono sicura. Non lo ha dimenticato. Non può averlo fatto. È impossibile, » bisbigliò con un sorriso dolce, tentando di rassicurarla. Elena scosse il capo e deglutì per trattenere le altre lacrime.
« Non ci credo più, Nicole. Io continuo a sperare, a combattere, ad amarlo, ma so che non tornerà come prima,» le confessò con la voce rotta.
« Per Damon? » sussurrò tentando di non ferirla. Elena scosse il capo più volte.
« Damon non…»
« Non dirmi che non c’entra. Non dirmi che non ha importanza perché non ci credo, Elena. Non sono affari miei, lo so, ma è evidente che tra di voi c’è qualcosa e Stefan lo sa. Tu lo sai,» aggiunse esasperata, stringendole le braccia in prossimità delle spalle. Elena scosse ancora il capo, « Invece sì, sorellina. »
« Non è vero. Io non lo so. Io non ho più certezze. Sto solo tentando di non annegare, di non far affondare nessuno con me, » le confessò sottovoce. Nicole annuì e le carezzò la guancia. Non avrebbe dovuto insistere. Le aveva fatto male. Elena non era Katherine, lei non giocava con i due fratelli. Lei era buona, cercava soltanto il vero amore, quello più giusto, quello che le ricordava l’unione dei suoi genitori.
« Sei meravigliosa,» affermò seria e solenne. Elena aggrottò le sopracciglia e Nicole sorrise divertita, « Io avrei già dato di matto se mi fossi trovata nella tua stessa situazione,» le spiegò prima di lasciarsi sfuggire una breve risata. Elena sbuffò e scosse nuovamente il capo.
« Non sono sicura che sarebbe andata veramente così. Tu avresti già trovato una soluzione per risolvere il problema. Sicuramente non saresti rimasta in questa città con il rischio che un ibrido immortale ti prosciughi la carotide e che due vampiri facciano la guerra per te,» affermò. Nicole si alzò e le labbra le si curvarono verso il basso meditabonde. Annuì e sollevò il sopracciglio destro.
« Probabilmente li avrei mandati tutti al diavolo e me sarei andata, sì,» confermò leggera. Elena rise, finalmente serena, e Nicole la seguì subito dopo. La porta d’ingresso si chiuse nuovamente ed entrambe smisero. Elena serrò le labbra in un’espressione austera e Nicole scese dal letto, « Non essere così dura con lui. È solo un ragazzo innamorato,» mormorò per non far udire le sue parole a Jeremy. Elena scosse il capo e rilassò il volto.
« Non è con lui che sono arrabbiata, ma con Anna. Non avrebbe mai dovuto illuderlo di poter rimanere per sempre qui,» sussurrò. Nicole annuì e chiuse gli occhi, poi si avvicinò e posò un lieve bacio sulla fronte di sua sorella, poi uscì dalla sua camera. Trovò Jeremy intento ad aprire la porta della sua. Si fermò per guardarla e Nicole gli sorrise timidamente, sfiorandosi l’avambraccio. Non era andata bene, lo si leggeva nei suoi occhi scuri e tristi. Il ragazzo annuì, confermando le sue congetture, ed entrò nella stanza. Prima che chiudesse la porta, Nicole lo raggiunse e lo bloccò.
« Jer,» lo chiamò dolcemente. Jeremy chiuse gli occhi e una lacrima solitaria gli rigò la guancia pallida. Lo abbracciò d’impulso, alzandosi in punta di piedi per riuscire a cingerlo tutto, « Verresti domani con me, in un posto? » continuò sottovoce. Jeremy aggrottò le sopracciglia chiudendo le mani a coppa sulla sua schiena.
« Dove? » le domandò incerto. Nicole gli sorrise e si morse l’interno della guancia, muovendo le sopracciglia.
« È una sorpresa, » affermò, poi, allegra. Jeremy le sorrise e annuì.
« Come potrei rifiutare l’invito di una così dolce fanciulla? » le chiese retoricamente, divertito. Nicole esultò battendo le mani e lo baciò sulla guancia prima di augurargli la buona notte. Jeremy fece lo stesso poi chiuse la porta. Nicole scese le scale velocemente e si addormentò subito. Era intenzionata a portarlo alle cascate di Mystic Falls per una gita come quelle che facevano da bambini. Jeremy le adorava e sperava di riuscire a distrarlo dai suoi problemi almeno per qualche ora. In fondo ne aveva bisogno anche lei.

Si svegliò all’alba, ancora prima che il cielo si tingesse delle sue prime, calde luci e, lottando contro la sua pigrizia, si alzò, scostando le coperti di lana e dirigendosi verso la cucina. Preparò il caffè e se versò abbondantemente in una tazza turchese, bevendolo tutto d’un sorso, quasi scottandosi la lingua. Poi si diresse in bagno e si concesse una lunga doccia, prima di vestirsi con degli abiti comodi, un paio di jeans scoloriti, degli stivali di pelle marrone scuro e un top di cotone bianco. Quando scese Elena, aveva ormai finito di fare colazione con un paio di fette biscottate e marmellata di ciliegie.
« Wow,» esclamò divertita. Nicole la guardò interrogativa mentre sua sorella prendeva del caffè, « Hai cambiato abitudini? »
« No,» negò dispiaciuta, « In realtà, sto tentando di non addormentarmi sul tavolo,» le confessò imbarazzata. Elena rise leggermente e scosse il capo, sedendosi accanto a lei sulla panca.
« E, sentiamo, perché la mia sorellina cha sempre dormito come un ghiro sino alle dieci del mattino, ora si sveglia così presto, ancora prima di me? »
« Voglio portare Jer alle cascate. Penso che gli farà bene,» aggiunse vedendo sua sorella intristirsi leggermente. Annuì convinta e sorrise dolcemente, « Vuoi venire con noi? »
« No, sarei d’intralcio, » soggiunse ironicamente.
« Musona,» la riprese Nicole, mettendo il broncio. Risero entrambe, di gusto, fino a quando non sentirono che Jeremy era entrato in cucina. Le guardava interrogativo e Nicole si alzò, andandogli incontro, « Sei pronto?» gli domandò accattivante.
« Ho altra scelta? » le chiese speranzoso. Non si era ancora ripreso dalla sera prima e avrebbe desiderato rimanere chiuso in casa, ad ascoltare canzoni e a fumare un pacchetto intero di sigarette.
« Effettivamente no,» confermò soavemente sua sorella mettendo in una borsa a tracolla, di semplice stoffa bianca con pochi disegni floreali che aveva trovato nello scantinato, dei panini per la giornata. Si acconciò i capelli in una coda alta e salutò Elena, « Ti aspetto in macchina e ti consiglio di portare l’album,» mormorò prima di chiudersi la porta d’ingresso alle spalle. Il cielo era terso di nubi, il Sole brillava alto e Mystic Falls non si era ancora del tutto destata dal proprio sonno. Nicole sorrise. Si preannunciava una splendida giornata. Percorse lentamente il vialetto e si sedette al posto del conducente. Guardò il cellulare e notò che Klaus non l’aveva ancora cercata. Probabilmente stava aspettando che lo chiamasse lei. Cercò tra le ultime chiamate, poi sentì chiudersi lo sportello e rinunciò. Le mancava la sua voce. Arrossì e scosse il capo, sorridendo a suo fratello. Aveva seguito il suo consiglio. Jeremy non le chiese nulla durante tutto il tragitto, ascoltando la radio che trasmetteva delle canzoni abbastanza commerciali e orecchiabili, qualcuna recentissima, altre, quelle che Nicole preferiva, più datate e coinvolgenti. Arrivarono alla cascate in un’ora e Jeremy le guardò estasiato, prima di volgersi verso di lei.
« Davvero qui? » le domandò con la stessa voce sorpresa di quando era bambino. Nicole annuì e sorrise, facendogli cenno di scendere per chiuderle l’auto.
« Potremmo prendere il sentiero e salire fino in cima. Questa giornata è dedicata a noi due, quindi abbiamo tutto il tempo del mondo,» gli comunicò dolcemente, prendendolo sottobraccio. Jeremy rise, più felice, e annuì.
« Grazie,» le sussurrò poi posandole un lieve bacio tra i capelli. Nicole scosse il capo e sbatté le palpebre. Non arrivarono in cima, si fermarono in un’area picnic, sedendosi sui tronchi tagliati di un piccolo tavolo di legno grezzo e pranzarono. Poche persone erano lì quel giorno, esclusivamente giovani coppie. Jeremy sorrideva sempre, beandosi della vista e Nicole si sentì in pace. Era meravigliosa, la natura, incredibile e grandiosa e la magia in lei fluì nelle sue vene, rigenerandole e facendole percepire ogni minimo fruscio degli alberi, ogni minima brezza tra le fronde, ogni minimo movimento tra i cespugli.
« Allora, Jer, sei felice che la tua sorellona sia a casa? » gli domandò all’improvviso, prendendolo alla sprovvista. Aveva appena cominciato a disegnare il paesaggio con il carboncino.
« Certo. Perché non dovrei? » le chiese sorpreso da quella domanda.
« Non lo so. Vi vedo strani, sia te che Elena. Sembra quasi che vi foste dimenticati di me e che…,» si interruppe, imbarazzata dai suoi stessi pensieri. Erano sciocchezze a cui non doveva dare importanza. Era stupido che credesse davvero di poter rientrare nelle loro vite ed essere accettata come se nulla fosse successo, come se il tempo si fosse fermato di colpo per lei.
« E che? » la incalzò Jeremy incuriosito, con lo sguardo assottigliato. Aveva poggiato il carboncino sul foglio e aveva giunto le mani dinanzi a sé. Scosse il capo e sulle sue labbra apparve un sorriso tirato e sofferente che non lo convinse per niente.
« Non preoccuparti, Jer. Non è nulla. Avete ragione. Io me ne sono andata ed è già tanto che mi permettiate di vivere a casa,» sussurrò sospirando, triste, ma rassicurante. Suo fratello aggrottò la fronte e scosse il capo.
« Per me non è un problema, anzi sono felice che sia tornata e penso che anche per Elena sia così. Perché ti dovremmo mandare via? Sei nostra sorella e ti vogliamo bene,» affermò incerto, non capendo quale fosse il reale problema. Nicole arrossì e sorrise, sfiorandogli la mano con la sua in una carezza appena accennata, ringraziandolo quasi commossa. Per loro non era cambiato nulla, erano solo le sue sciocche fantasie che avevano preso il sopravvento sul suo raziocinio.
« Vi voglio tanto bene anch’io,» aggiunse poi più sollevata e serena. Jeremy le sorrise dolcemente e tornò al suo disegno, « Per quanto riguarda ieri sera sono certa che Elena non voleva ferirti,» lo interruppe ancora. Percepì il sospiro di Jeremy e se ne dispiacque. Non avrebbe dovuto tirar fuori quell’argomento.
« Lo so. So che Elena vuole solo il mio bene, ma lei non capisce. A lei non importa capire perché sa qual è la cosa giusta e sa che io ho sbagliato,» aggiunse dispiaciuto e anche un po’ arrabbiato, infastidito da quella saccenza e presunzione. Nicole serrò le labbra e lo osservò profondamente per farlo calmare.
« Io sono dalla tua parte, ma non del tutto. Capisco che ami Anna, capisco che tu voglia stare con lei, però Elena ha ragione. Lei è morta e non potrà più tornare nel regno dei vivi. Non c’è incantesimo che possa riportare in vita i morti, Jeremy, ed è meglio che sia così. Io penso che Anna possa trovare la sua pace e che tu possa andare avanti. Magari un giorno troverai qualcuno da amare quanto e ancora di più di lei,» esclamò con gli occhi pieni di amore e affetto. Jeremy la guardò torvo per un attimo, poi batté il pugno sul tavolo, attirando l’attenzione delle altre persone che erano lì.
« È per questo che mi hai portato qui, eh Nicole? Tu sei proprio come Elena, a voi non importa niente di me. Pensate sia semplice? Mi dispiace deludervi, ma non lo è,» sibilò inviperito, scandendo ogni sillaba con forza non necessaria. Il respiro di Nicole accelerò e le lacrime le velarono gli occhi sgranati. Non l’aveva mai visto così arrabbiato, non il suo Jeremy sempre così dolce e pacato. Si alzò e cominciò a riassettare le proprie cose. Nicole rimase immobile, troppo sorpresa e incredula per fare qualcosa. Lo vide andar via e nel suo animo trovò l’energia necessaria per reagire. Lo rincorse a passo svelto per raggiungere il suo cadenzato e gli poggiò la mano sulla spalla. Jeremy si voltò di scatto e lo vide piangere disperato. Gli accarezzò la guancia e schiuse le labbra.
« Scusami,» sussurrò con la voce rotta e lacrime amare cominciarono a fluire dai suoi occhi sino alle guance arrossate. Trattenne i singulti e Jeremy le carezzò la guancia, dispiaciuto, addolorato di vederla soffrire in quel modo.
« Nicole,» la chiamò, incerto, prima di cingerla in un abbraccio dolce. Nicole si lasciò stringere e tutto tornò normale.
« Mi dispiace tanto, Jer. Io voglio soltanto aiutarti e, invece, sono sempre in grado di rovinare tutto, come al solito. Sono un disastro. Perdonami,» sussurrò con la voce acuta e instabile. Jeremy scosse il capo.
« No, non dirlo. Non è vero. La colpa è mia. Sono così stressato da prendermela con il resto del mondo, anche con te, che sei così buona e gentile, che mi ascolti sempre e tenti di aiutarmi con tutta te stessa. Invece di ringraziarti per il tuo affetto, mi sono arrabbiato come l’idiota che sono. Avete ragione. Anna non c’è più e non posso ostinarmi a voler credere in qualcosa che oramai non è più accanto  a me, ma la amo, Nicole, e tanto. Non posso lasciarla andare. Non posso dimenticarmi di lei e andare avanti,» le confessò accorato. Nicole annuì e sospirò.
« Lo so, Jer. Io… Vorrei solo che tutto tornasse com’era prima, ma so già che è impossibile, che è da stupidi pensare che tutto questo finirà proprio com’è cominciato. Non tornerà più nulla alla normalità,» mormorò più rivolta a se stessa che al fratello. Era lei a doverlo comprendere, Jeremy l’aveva fatto ormai da tempo, « Ed è stato un errore venire qui,» aggiunse con voce più ferma. Suo fratello annuì e insieme tornarono alla jeep. Erano trascorse ore da quando erano arrivati. Dovevano essere le cinque del pomeriggio o giù di lì. Il Sole era in procinto di tramontare e si apprestava a percorrere l’ultima curva dietro l’ameno paesaggio delle cascate. Quel luogo significava pace, mentre loro vivevano nella guerra, nella continua lotta tra ragione e cuore, tra bene e male, tra morte e vita, che Nicole sperava terminasse presto. Era stanca di combattere ancora, ma non avrebbe smesso, non quando aveva appena ritrovato la sua propria famiglia. Tornarono a Mystic Falls in silenzio. Nessuno dei due parlò per tutto il tragitto, anzi Jeremy non aveva acceso nemmeno la radio. Voleva pensare, o forse guardare l’immagine di Anna nella sua mente. Nicole lo lasciò dinanzi al vialetto di casa e Jeremy scese. Lo salutò con la mano e, senza dargli spiegazioni, continuò a guidare. Non sapeva dove volesse andare, ma di una cosa era certa: tornare a casa non era tra le opzioni. Decise di andare in un bar, appena fuori Mystic Falls, sulla strada per Lynchburg. Una volta c’era andata con Caroline quando quest’ultima aveva litigato con Bonnie per ragioni che non le furono mai del tutto chiare. Non era per nulla sofisticato, ma i prezzi erano davvero molto competitivi e, inoltre, non si facevano molti problemi sull’età. Parcheggiò e notò un’auto conosciuta. Si diresse a passo svelto verso l’interno del locale rustico e abbastanza in stile western e si sedette al bancone, allontanandosi dagli altri.
« Una vodka,» ordinò. Il barman, un ragazzo sulla ventina, vestito come un cowboy, le portò subito da bere e Nicole lo ringraziò. Bevve tutto d’un sorso e vide qualcuno sedersi al suo fianco. Damon Salvatore, e Stefan. Sbuffò e sorrise loro, poi Damon fece cenno al ragazzo di servirgliene un altro.
« Offro io, biondina,» le mormorò affascinate mentre suo fratello le sorrideva.
« Non eri in una cripta, incatenato a una sedia? » gli domandò divertiva bevendo anche il secondo. Damon rise leggermente e Stefan annuì.
« A quanto pare qualcuno mi ha liberato per tentare di corrompermi,» esclamò prima di bere il suo, contenente rum.
« Oh non sto tentando di corromperti, fratellino. Voglio solo fare una bella rimpatriata,» lo corresse facendole l’occhiolino. Nicole rise e scosse il capo, « Mentre la bella ragazza qui perché sta cercando di ubriacarsi bevendo vodka come se fosse acqua? Fallimento sentimentale? Forse il tuo ibrido ti ha dato buca? » le domandò ironico e sarcastico. Nicole alzò le spalle e sorrise, concedendosi un terzo bicchiere.
« Nessuna delle due, mio caro. Ho avuto una specie di lite con il mio di fratello e ora voglio soltanto dimenticarla,» gli spiegò divertita, « E Klaus non è il mio ibrido,» aggiunse più infastidita e indispettita. Damon rise, mefistofelico, e avvicinò il proprio volto al suo.
« E chi ha detto che mi riferissi a Klaus? » le domandò sottovoce, divertito e caustico. Nicole arrossì, « Fregata,» esclamò allegro, ordinando un altro bicchiere per lei.
« Non ti sembra di esagerare, Damon? » gli chiese Stefan, non molto preoccupato, solo per formalità. Nicole negò per lui e alzò le spalle.
« Non vi farò sfigurare. So controllarmi,» assicurò sarcastica.
« A proposito di Klaus, hai intenzione di continuare a fare la sua puttanella ancora per molto? » chiese Damon. Nicole si girò di scatto, ma la domanda non era rivolta a lei, ma a Stefan. Si calmò e arcuò le sopracciglia.
« Damon, lui non può essere ucciso,» affermò il ragazzo, guardandolo in tralice, per nulla infastidito dall’insulto.
« Forse in questo posso aiutarvi io,» esclamò una voce alle loro spalle. Nicole lo guardò e trattenne il fiato, sgranando gli occhi chiari e schiudendo le labbra. Gli occhi erano proprio come se li ricordava. Glaciali, maligni, diabolici. Il battito del cuore le si accelerò quando il suo sguardo si posò su di lei. Sembrava che volesse leggerle l’anima e Nicole lasciò che la sua magia creasse una protezione.
« Mikael,» mormorò atona. Si accorse dello sguardo di Stefan fisso su di sé e serrò le labbra, irata, ma non fece nulla di avventato. Quello dell’Originale si spostò su l’uno e l’altro dei fratelli prima di tornare a lei.
« I fratelli Salvatore e la strega Bishop. Che magnifico trio,» commentò ironico. Nicole sorrise leggermente e scosse il capo, divertita. Capiva perché Klaus avesse così paura di lui. Era terrificante, incuteva timore e metteva in soggezione solo con uno sguardo. Cominciò a domandare a Stefan di Klaus, ma il vampiro era stato soggiogato e non gli avrebbe rivelato nulla. Damon lo riprese caustico e Nicole sorrise, sbuffando e bevendo un altro bicchierino.
« Invece, tu, Nicole, giusto? » le domandò quasi gentile. Annuì e l’Originale continuò, « Potresti chiarire questi interrogativi. Sono certo che il mio figliastro non ti ha soggiogata.» Nicole annuì ancora e arcuò le sopracciglia chiarissime, distendendo le labbra in un sorriso appena accennato, sbattendo le palpebre.
« Questo non significa che lo venderò a te,» mormorò divertita, alzando le spalle. Mikael la fissò, arrabbiato, poi sorrise e inclinò il capo, poggiando la mano sulla spalla di Damon che lo osservò quasi disgustato. Gli piantò l’altra nel petto, squarciandolo per arrivare al cuore e Nicole schiuse le labbra, sobbalzò e si issò in piedi scendendo dallo sgabello.
« Uno di voi due parlerà, voglio sperare per il vostro amico qui presente,» esclamò, fintamente speranzoso. Negli occhi v’era un lampo di crudeltà infinita. Nicole lo guardò seria e Stefan le fece cenno di non intervenire. Damon guardò suo fratello, pregando che rispondesse. Il sangue cominciò a scorrere sulla sua camicia nera rendendola ancora più scura e Nicole mosse le labbra, nauseata da quello spettacolo.
« Che razza di mostro perverso sei tu? » gli domandò irata, negli occhi la furia rifulgeva come il riflesso dei raggi del Sole nelle acque marine. Mikael sorrise e si rivolse a Stefan, non a lei. Sapeva che la ragazza non avrebbe parlato. Il vampiro chiuse gli occhi, stanco. Era evidentemente spossato e Nicole gli strinse la mano per infondergli calore. Quando Mikael cominciò a girare il cuore, Stefan lo fermò, facendola sospirare dal sollievo.

« Io posso riportarlo indietro,» gli assicurò. Mikael tolse la mano dal petto di Damon e il vampiro si accasciò sul bancone. Nicole gli strinse le spalle, tentando di rimarginare la ferita con un incantesimo appena mormorato. Non percepì nemmeno l’ultima minaccia così intenta a guarire Damon. Doveva avvertire Klaus, subito, non prima però di essere uscita da quella situazione spiacevole. Mikael si girò e se ne andò, uscendo dal locale. I tre si guardarono e Nicole sentì il fiato di Damon sul collo.
« Non ti azzardare ad avvertire quell’ibrido bastardo,» la minacciò il vampiro, scandendo ogni parola. Nicole scosse il capo e rincorse l’Originale, sfuggendo alla presa di Stefan che avrebbe voluto trattenerla. Uscì nella fresca aria notturna e lo vide avanzare verso un’auto nera. Lo chiamò e il cacciatore si volse verso di lei, sorpreso di vederla lì. Nicole gli fu dinanzi e lo osservò risoluta e arrabbiata. Mikael inclinò il capo di lato e la osservò.
« Se mia moglie ti vedesse, sarebbe davvero molto fiera di te,» le sussurrò atono. Nicole aggrottò le sopracciglia, incredula, non capendo cosa volesse dire.
« Che vuol dire? » domandò confusa, gli occhi assottigliati. Mikael la squadrò guardandola dall’alto in basso, poi schioccò le labbra.
« Esther, la madre di Niklaus e dei miei figli, era una strega eccezionale e aveva una sorella. Si chiamava Rowena,» le raccontò. Quel nome non le diceva nulla e l’Originale lo capì, « Divenne una sacerdotessa celtica, poi fummo costretti a fuggire dall’Europa. Un’epidemia di peste l’attraversa in quei secoli e il maggiore dei miei ragazzi morì, causando un vuoto incolmabile nella nostra nascente famiglia. Attraversammo l’Oceano, sfidando ogni credenza popolare, e arrivammo in un continente nuovo e sconosciuto. Ci rifugiammo in un piccolo villaggio pacifico e florido, a contatto con delle creature che si trasformavano in lui durante ogni luna piena. »
« I licantropi,» mormorò tra sé. Mikael annuì, divertito, gli occhi rifulgenti come diamanti, e continuò il proprio racconto.
« Esther non poté separarsi dalla sua sorella maggiore, una guida per lei, e la portò con sé nel Nuovo Continente che le aveva rivelato la strega Ayanna. Era la più felice di vivere qui, Rowena. Non aveva più responsabilità e poté sposarsi con un uomo del villaggio. Fui io stesso, in qualità di unico uomo rimasto nella loro famiglia, ad acconsentire alle sue nozze con un tale di nome Konrad, il lupo alfa, che tutti chiamavano Bishop perché era come un vescovo pagano per loro, una specie di semidivinità indistruttibile,» si interrupe nel notare la sua reazione sorpresa. Le sorrise, diabolico, poi rise leggermente e spalancò lo sportello del conducente, « Quindi tu sei, per così dire, molto alla lontana la nipote della strega originaria.»
« La strega originaria? Quella che ha scagliato la maledizione dell’ibrido su Klaus? Che vi ha trasformati in vampiri? La vera proprietaria del ciondolo? » domandò sottovoce, incredula, assottigliando lo sguardo. Mikael annuì ed entrò nell’auto, chiudendo la portiera e abbassando il finestrino. Nicole lo seguì con lo sguardo, immobile e ancorata all’asfalto. Non ci stava capendo più nulla. Rowena era la strega originaria? Mikael chiarì i suoi dubbi, lasciandola attonita.
« Mia moglie era una donna straordinaria,» sussurrò prima di mettere in moto e scomparire nella notte buia. 

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Capitolo 11
*** Past Memories ***


11 cap

Capitolo 11

Past memories
 

Nicole rimase lì, inerme, con le labbra schiuse e il battito accelerato, ancora per alcuni istanti, non capacitandosi delle verità che aveva appena appreso. Era totalmente insensato e le metteva i brividi. Mikael ne aveva parlato come se dovesse essere fiera e orgogliosa di discendere da una tale dinastia di streghe, ma per Nicole non era così, prevalentemente per quanto concerneva la strega originaria. Quale madre maledirebbe il proprio figlio? Klaus doveva aver sofferto tantissimo di un dolore che, forse, non era mai stato sanato del tutto. Tremò per quella consapevolezza e chiuse gli occhi. Era stato orribile sentire quella storia, comprendere quanto solitudine e senso di abbandono avesse dovuto accompagnare l’eternità di Klaus, non lasciandolo mai, per ricordargli perennemente che era un abominio. Una lacrima le rigò il volto pallido, poi scosse il capo. Respirò profondamente ed estrasse il cellulare dalla tasca anteriore della gonna. Quella sera il tempo era gelido e la brezza autunnale la penetrò sin dentro le ossa. Pur avendo ascoltato la minaccia di Damon, non poteva non avvertire Klaus di quella situazione. Mikael era spaventoso e lo comprendeva pienamente. I Salvatore non avrebbero dovuto fidarsi di lui, l’Originale non pensava che ai propri interessi, a lui non importava nulla del benessere di Mystic Falls e dei suoi abitanti. Il suo unico scopo era uccidere Klaus, distruggerlo, annientarlo per dimostrare la propria infinita potenza. Scorse le chiamate perse e premette il tasto verde prima di portarsi il telefono all’orecchio. Poteva ancora percepire le risate volgari e rudi all’interno del locale e la musica alta. Klaus le rispose subito.
« Sweetheart, pensavo ti fossi dimenticata di me,» mormorò divertito prima di ridere brevemente. Sembrava spossato, oppure lievemente ubriaco. La sua voce era instabile e più arrochita del solito, l’accento inglese più marcato. Sentì una risata provenire dall’altro capo della cornetta, era femminile e languida. Nicole arrossì e un moto d’irritazione le salì lungo tutta la spina dorsale, causandole un tremolio alle mani. Si dette mentalmente della stupida e gli occhi le si velarono di lacrime piene di collera e rabbia. Si diresse verso la jeep a passo svelto, completamente dimentica dell’immobilità che le aveva causato Mikael con le sue parole.

« Chi potrebbe mai dimenticarsi di te? » domandò la donna che prima aveva riso. Nicole fu perfettamente in grado di sentire il suo tono sensuale ed eccitato e una smorfia le increspò le labbra rosee. Klaus rise, carezzevole, e Nicole sbuffò.
« No, non mi sono dimentica di te, Niklaus,» affermò indispettita e spazientita da quella compagnia inadeguata. Aveva pronunciato il suo nome per intero quasi senza accorgersene, per marcare il proprio profondo sdegno, non propriamente nei suoi confronti, ma in quelli della donna, « E, ad onor di cronaca, oggi è stato un giorno infernale. Ho litigato con mio fratello per la prima volta in vita mia e sono parecchio su di giri perché ho scolato quattro bicchieri di vodka uno dopo l’altro,» continuò a voce più alta, aprendo lo sportello per poi chiuderlo di colpo, con un tonfo fragoroso.
« Sono spiacente per te, tesoro. Se fossi rimasta con me, non credo proprio che ti saresti così arrabbiata,» le comunicò ironico, ma Nicole percepì una nota di risentimento nel suo tono, quasi come se si fosse indispettito quando lei era andata via, « Qui si sta bene, vero Aleesha? » aggiunse più accattivante e suadente. Nicole sibilò nel risentire la sua risata e uno schiocco di lingue che si incrociavano. Che nome, sbottò irritata.
« Non m’importa del parere della tua sgualdrinella della serata, Klaus. Penso che il nome di Mikael ti riporterà alla mente che hai un paletto nel cuore, mio caro,» puntualizzò saccente. Si odiò per quel tono presuntuoso e, sì, anche un po’ geloso. Lei aveva trascorso una giornata pregna di eventi destabilizzanti e lui si era divertito. Sentì Klaus trattenere il fiato, poi rimase in silenzio tanto da farle pensare che avesse interrotto la comunicazione. La musica soffusa, però, le fece intendere che non era così.
« L’hai visto? » le domandò sottovoce, atono, non una minima emozione e inclinazione.
« Sì,» sussurrò più calma e dispiaciuta, guardando dinanzi a sé. Vide che i fratelli erano oramai usciti dal locale, ma loro non si accorsero di lei, « Fa paura,» aggiunse spaventata, assottigliando lo sguardo e abbassando gli angoli delle labbra. Il suo corpo era scosso da impercettibili tremori e si fece più piccola, come per proteggersi. La risata di Klaus la sorprese. Era triste, non la solita baldanza e allegria, ma caustica e malinconica. Temette quasi che stesse piangendo, ma sapeva che non l’avrebbe mai fatto dinanzi a qualcuno, « Mi ha raccontato una storia che mi ha messo i brividi,» continuò a voce ancora più bassa, in un bisbiglio che alle orecchie di un umano sarebbe stato inudibile. 
« Quale, dolcezza? » le chiese più affettuoso.
« Non per telefono. Vengo lì da te. Ho bisogno che mi spieghi tante cose e voglio allontanarmi da questa dannata città,» esclamò timorosa, allacciandosi la cintura di sicurezza e mettendo in moto la jeep. I Salvatore, dopo aver litigato, erano andati via, l’uno per la propria strada, prima Damon poi Stefan, « Non fa che portarmi guai,» aggiunse tra sé, prendendo il primo incrocio per l’autostrada. A quell’ora non v’era nessuno e poté alzare il livello di velocità. Il paesaggio circostante, pieno di boschi e alberi sempreverdi le cui fronde erano scosse da una brezza gelida, scorse celermente dietro l’auto, perdendo i propri contorni e divenendo un connubio ingarbugliato scuro e tremante.
« Va bene, tesoro. Mi sono trasferito in città. Pioveva troppo sullo Spruce. Alloggio al Dinsmore House, un hotel davvero molto carino nei dintorni dell’università,» le comunicò. Nicole annuì e il volto di Blair le apparve dinanzi.
« Lo conosco. Una mia amica è stata lì con il suo fidanzato un paio di anni fa,» mormorò con dolcezza, ricordando quanto fosse stata felice di recarsi lì con Robert. La tristezza tornò subito, abbattendo ogni felicità momentanea, nel ricordare che Blair aveva appena perso suo padre. Sospirò e salutò Klaus prima che una lacrima sfuggisse al suo controllo. Controllò il tachimetro. Aveva abbondantemente superato il limite, ma non le importava. Voleva arrivare a Charlottesville il prima possibile. Allontanò dalla propria mente ogni pensiero, non voleva fare congetture che, forse, sarebbero potute essere errate e avventate, prive di ogni qualsivoglia riferimento alla realtà. Accese l’autoradio e una musica rock le invase l’udito per tutta la durata del viaggio. Le piaceva, era movimentata e i testi si susseguivano chiari nella sua mente, avendoli imparati a memoria. Arrivò nella città quando oramai era mezzanotte. Sebbene fosse a un’ora da casa sua, non aveva impiegato che una mezzora per arrivare nel centro. Prese la South Street West e la percorse tentando di non superare i limiti cittadini. Non vide che coppiette o gruppi di amici che giravano per i bar, quasi totalmente ubriachi, nel migliore dei casi, ma non si soffermò molto ad osservarli. Sebbene suo padre non glielo avesse mai proibito, non era mai stata sua abitudine, nemmeno a Richmond, mostrarsi a tutti al peggio di sé. Tentava sempre di bere con moderazione, anche se v’erano stati dei casi in cui non si era molto trattenuta e John l’aveva ripresa, insegnandole che bere non risolveva alcun problema, anzi ne creava altri ancora più insormontabili. Rise, lievemente, sperando che nessuno la stesse guardando. Suo padre sempre così premuroso con lei, sempre così attento e amorevole, sempre pronto ad ascoltarla tentando di comprendere cosa la turbasse per farla sentire meglio. Nessuno si era mai curato tanto di lui, non aveva potuto. Suo padre era partito per la guerra in Vietnam poco dopo la sua nascita e non aveva mai più fatto ritorno a casa. Sua madre era una donna forte, energica, anche se un po’ bizzarra, che aveva cresciuto i suoi due figli da sola, tentando di impartirgli un’educazione ottimale, ma sempre speranzosa che il suo Jeremy tornasse a Mystic Falls, da lei. Sperava di poterlo vedere per l’ultima volta e aveva vissuto nei ricordi del suo passato felice. Grayson era sempre stato impegnato ad aiutare sua madre e a studiare per il proprio futuro, però gli concedeva tutto il tempo di cui John necessitava e il ragazzo non chiedeva mai di meglio. Aveva compreso che, per qualche verso, doveva cavarsela da solo e, appena aveva compiuto la maggior età, anche per allontanarsi da tutta quella che era stata la sua vita fino a quel momento, dopo la gravidanza di Isobel e l’adozione delle piccole, era fuggito a Richmond, cominciando a lavorare presso una piccola libreria e guadagnando quel poco che gli permettesse di vivere dignitosamente. No, non c’era mai stato qualcuno che si preoccupasse totalmente per lui, e non voleva che sua figlia patisse il suo stesso dolore. Nicole non si era accorta di aver pianto sino a quando non scosse il capo per allontanare i pensieri. Aveva parcheggiato dinanzi all’hotel. Aveva un’atmosfera molto tranquilla, familiare, e si stupì che Klaus avesse scelto di vivere in un posto così pacifico. Si asciugò le lacrime rimanenti con il dorso della mano, recuperò il cellulare e si affrettò ad entrare nel piccolo portico sovrastato da signorile architrave bianca con due colonne di marmo ai lati. La luce era accesa e illuminava la porta d’ingresso di vernice rossa. Entrò e una campanella a vento, giapponese, tintinnò scossa dal vento che lei procurò. V’era un piccolo spazio circolare, alla cui destra v’era la hall, alla sinistra la sala ristorante adibita alla colazione e dinanzi a sé aveva una scalinata bianca che portava alle stanze superiori. Il pavimento era costituito di un parquet d’acero chiaro. Si avvicinò alla reception e un ragazzo dai profondi occhi azzurri e dai capelli ramati le rivolse un sorriso caloroso che Nicole ricambiò gentilmente.
« Benvenuta alla Dinsmore House,» affermò. La sua voce era baritonale, limpida e giovanile. Probabilmente aveva una trentina d’anni, non di più, « Posso esserle d’aiuto in qualche modo? »
« Sì, stavo cercando una persona che alloggia qui,» gli comunicò prima di venire interrotta dalla voce lieve e allegra di Klaus.
« Nicole,» la chiamò dolcemente avvicinandosi a lei. Nicole si volse per guardarlo e trattenne a stento un brivido. Il battito le accelerò e le gote le si imporporarono. Aveva quasi dimenticato quanto fosse bello, e quella sera lo era ancora di più. Indossava una camicia elegante, di raso bianco, e un paio di jeans scuri con sotto delle scarpe d’alta moda francese, avrebbe detto. Le poggiò la mano sul fianco attirandola maggiormente a sé e la ragazza sgranò gli occhi chiari, « Finalmente qui. Ero impaziente di vederti,» le mormorò. Nei suoi occhi v’era una sfumatura preoccupata e pensosa. Nicole guardò il receptionist che li osservava con un sorriso appena accennato.
« Buona serata, Chris,» gli augurò Klaus. Il giovane fece lo stesso e Nicole lo salutò con un sorriso cortese prima di seguire Klaus al piano di sopra. Salirono anche quelle che conducevano al secondo piano prima di fermarsi dinanzi a una porta d’acero bianco rifinita da alcuni disegni floreali. Klaus l’aprì e la fece entrare per poi chiudersi la porta alle spalle. Nicole avanzò di un passo per non impedirgli il passaggio e osservò estasiata la camera. Era davvero bellissima. Le pareti color verde chiaro erano abbellite da alcuni quadri di fiori. V’era una finestra coperta da delle tende di pizzo candido e, accanto ad essa, v’era una specchiera di ciliegio, un divanetto bianco e un armadio. Tra di essi la porta bianca che conduceva al bagno. Fu però il letto a baldacchino ad attirare la sua attenzione. Ai suoi piedi v’era un lungo divano color dell’oro di legno scuro e un tappeto bianco con dei disegni dorati. Klaus si sedette e le fece cenno di fare lo stesso. Nicole annuì e si accomodò al suo fianco portando anche le gambe nude sulla soffice superficie. Klaus la guardò, profondamente, e Nicole percepì la sua stessa anima tremare per quegli occhi così belli, di un azzurro intenso, velato da un’ombra inadeguata. Chinò il capo e sospirò. Alzò lo sguardo solo quando sentì la mano gentile di Klaus chiudersi a coppa sulla sua guancia.
« Guardami,» le mormorò dolcemente, con la voce arrochita. Nicole sbatté le palpebre, incredula, e l’ibrido l’attirò maggiormente a sé. Scostò di poco la mano e le slegò i capelli, lasciando che ricadessero come onde sulle sue spalle strette ed esili. Nicole schiuse le labbra interrogativa e Klaus scosse il capo, facendole cenno di tacere ancora per qualche secondo. Le carezzò lo zigomo, poi chiuse gli occhi, distese le labbra in un sorriso appena accennato e allontanò la mano, « Penserai che sono un folle,» sussurrò. Nicole non poté trattenersi dal ridere, leggera e allegra, scuotendo il capo e mordendosi il labbro inferiore.
« Non è vero, anche se, certe volte, sei tu a voler dare questa impressione,» aggiunse dolcemente allungando la mano per sfiorargli i capelli. Il sorriso di Klaus si allargò, creando quelle fossette che lo facevano rassomigliare a un bambino, che tanto le piacevano, poi sospirò e quel momento di tenerezza scomparve proprio come era nato.
« È arrivato a Mystic Falls, quindi?» le domandò tornando a guardarla, seriamente. Nicole annuì e si portò una ciocca chiarissima dietro l’orecchio.
« Ero con i Salvatore,» esordì per poi tacere sentendo lo sbuffo irritato di Klaus, « Non pensare al male. Avevo appena lasciato Jer a casa e volevo solo rilassarmi un po’. Ci siamo incontrati per caso nello stesso locale. Credimi, non sono la fan numero uno di quei fratelli,» esclamò sorridente. Klaus arcuò le sopracciglia e le fece cenno di continuare, « Stavano parlando di te e Mikael ci è arrivato alle spalle. Un’entrata teatrale, devo ammetterlo, » constatò aggrottando la fronte e sistemandosi meglio contro lo schienale, « Voleva te, ma hai soggiogato Stefan e io non gli ho detto nulla. Non l’ha presa molto bene, proprio per niente,» commentò. Sentì Klaus sbuffare e lo vide inclinare il capo per poi poggiarlo sulla sua spalla coperta solo in parte dalla stoffa della canotta. Percepì il suo respiro percorrerle il collo e il petto, riscaldandola lievemente. Arrossì, ma non si scostò, « Quando è andato via, l’ho seguito, non so nemmeno io il perché, forse volevo solo capire perché il cognome di mia nonna fosse così importante per voi Originali,» continuò sottovoce. Tremò impercettibilmente. Era stata davvero sciocca. Mikael avrebbe potuto ucciderla senza alcuna esitazione in qualsiasi momento, ma non l’aveva fatto. Klaus poggiò la propria mano sulla sua coscia nuda e snella, poco più su del ginocchio, e Nicole tremò un’altra volta, questa volta per piacere e non timore, « E lui mi ha raccontato di Rowena, di suo marito, il lupo alfa Bishop, e della strega originaria, » aggiunse con voce impercettibile per non ferirlo. Klaus sobbalzò e scostò il capo per guardarla negli occhi. Era incredulo e sorpreso. Le labbra schiuse e rosee gli tremavano e Nicole alzò la mano per carezzargli il volto, dispiaciuta, « Era tua madre,» aggiunse mestamente. Klaus deglutì e chiuse gli occhi, chinando il capo in un’espressione di pura sofferenza.
« Lo era,» sussurrò atono pochi istanti dopo, issandosi in piedi e avanzando verso la specchiera. Aveva le spalle curve in una posizione di difesa che la rattristò e la intenerì contemporaneamente. Aprì il cassetto centrale e prese una bottiglia di brandy, colma sino all’orlo, che doveva aver portato lì. Lo versò in un due bicchieri a tulipano e gliene porse uno con gentilezza. Nicole lo accettò di buon grado, bevendolo tutto d’un sorso sentendo la gola ardere, bruciata da mille fuochi. Era più forte della vodka, e molto, « Vacci piano, ragazzina,» la riprese blando e allegro. Nicole arrossì e scosse il capo.
« Credimi, ne ho bisogno,» gli confessò con un sorriso appena accennato, « La prospettiva per questa serata era ubriacarsi, tornare a casa e dormire sul divano sperando e pregando che Elena non si accorgesse di nulla e non mi riprendesse come se fossi una bambina,» continuò allegra poggiando le gambe a terra e distendendole dinanzi a sé, sorridendo lievemente.
« Invece Mikael ha rovinato i tuoi piani così sofisticati,» affermò fintamente dispiaciuto. Nicole allargò il sorriso e sbuffò, scuotendo il capo.
« Non credo l’avrei fatto, comunque,» sussurrò con amarezza prima di indicare il soffitto con l’indice e inclinare il capo verso il cielo, « Al mio papà non piaceva per niente vedermi alticcia e son certa che da lassù nulla è cambiato,» aggiunse divertita. Klaus annuì e si versò un altro po’ di brandy nel bicchiere, facendo poi lo stesso nel suo. Questa volta la ragazza lo bevve più lentamente, ma percepì uno stordimento crescente alla testa e si appoggiò completamente allo schienale, chiudendo gli occhi, « Perché tua madre ti ha fatto questo? » si lasciò sfuggire senza volerlo, riaprendoli e guardandolo. Era l’alcol a parlare oramai. Klaus rise, lievemente, ma non era allegro, bensì triste e spento.
« Ti ho detto che Mikael mi ha portato via ogni membro della mia famiglia uno alla volta,» le ricordò con un tono indecifrabile, che le parve vagamente ironico e distaccato, « Mia madre è stata la prima. Ha sempre avuto timore di lui, anche più di noi, certe volte, perché sapeva di cos’era capace. Devi sapere che il mio padre biologico, un licantropo del villaggio, almeno credo, si era invaghito di Esther appena la vide e anche lei non lo disdegnava. Così nacqui io,» esclamò divertito, indicando se stesso. Nicole annuì e poggiò la mano sulla sua spalla, poi sulla nuca, infine tra i capelli, « Mikael lo ammazzò davanti a lei, poi fece lo stesso con tutta la sua famiglia,» mormorò incolore. Nicole trattenne il fiato e chiuse gli occhi, « Fu quello che lo allontanò dal resto degli indigeni. Non fecero mai nulla contro di lui, e la nostra famiglia, solo perché il tradimento era considerato il più infimo crimine, al pari del rubare la donna d’altri,» ricordò tornando a guardarla profondamente. Nicole non capì subito perché la stesse osservando in quel modo e Klaus tornò al suo racconto, « E così io crebbi con i miei fratelli, non sapendo nulla riguardo le mie origini. Poi divenimmo dei vampiri e il gene della licantropia si innescò quando uccisi il mio primo umano, la sete era troppo forte per controllarla. Esther scelse da che parte schierarsi, e non fu la mia,» affermò lapidario. Nicole gli cinse le spalle in un abbraccio goffo e appena accennato e dopo poco Klaus inclinò il capo e il suo respiro le sfiorò il collo, dolcemente. Gli posò un lieve bacio tra i capelli ricci e lo sentì sorridere.
« Mi dispiace tanto, Klaus,» sussurrò realmente afflitta. Le braccia dell’ibrido le circondarono la schiena e l’attirò maggiormente a sé. Alzò il capo e le labbra si trovarono a pochi centimetri.
« Perché? » le domandò all’improvviso, prendendola alla sprovvista. Nicole assottigliò gli occhi incredula.
« Perché è tutto così triste nella tua vita, Klaus. Perché, se fosse successo a me, ora non sarei qui per raccontarlo, ma probabilmente sarei morta per il dolore. Perché mi dispiace,» sussurrò afflitta, con gli occhi assottigliati e la fronte imperlata da piccole rughe, non sapendo cos’altro dire, eppure il cuore era attraversato da mille emozioni che non avrebbe mai saputo esprimere a parole. Klaus annuì e si avvicinò maggiormente a lei, quasi sfiorandole le labbra. La sua mano destra, grande e morbida, risalì tutto il suo corpo, scatenandole mille brividi e un calore improvviso al basso ventre. Deglutì quando passò di fianco al suo seno, poi sulla sua clavicola, sulla guancia e, infine, sulle sue labbra.
« Mandami via, Nicole,» la implorò, con gli occhi supplici e il corpo tremante quasi quanto il suo. La ragazza non comprese la ragione. Lei non voleva mandarlo via. Poi si ricordò di Elena, zia Jenna, suo padre e gli poggiò la mano sul petto, all’altezza del cuore, allontanandolo da sé e chiudendo gli occhi, volgendo il capo di lato. Era impazzita. Completamente. Cosa diavolo le stava succedendo? Lei non era così, non si lasciava cadere tra le braccia del primo che incontrava, non si lasciava sfiorare dal nemico della propria famiglia, non si lasciava attraversare da miliardi di sensazioni quando guardava negli occhi un estraneo. Klaus si era allontanato da lei e per un attimo pregò che fosse andato via per non prendere parte a quel tumulto di emozioni che le stavano squassando il petto. Era tutto così assurdo e sbagliato, non perché Klaus fosse quello sbagliato, ma era tutta la situazione circostante a rendere tutto opprimente. Pensare alle conseguenze era soffocante, però necessario. Se, anche per un solo momento, si fosse abbandonata alla passione, avesse ceduto, non sarebbe mai stata in grado di tornare indietro e avrebbe voltato le spalle alle sua famiglia ancora una volta. Sarebbe divenuta una traditrice della più infima specie ed Elena non l’avrebbe mai perdonata. Il problema era capire cosa fosse più importante: l’amore di sua sorella o quel connubio di sentimenti confusi che nutriva per Klaus, la passione che la spingeva ad abbandonarsi a lui? Tentò di mettere a tacere la voce della sua coscienza che le urlava che non era solamente passione, era molto altro, qualcosa che ancora doveva imparare a comprendere appieno. Scosse il capo, allontanando tutto da sé. Non importava cosa fosse. Non era giusto lei lo provasse. Aprì gli occhi e cercò la longilinea figura dell’ibrido. Non era andato via. Le dava le spalle e osservava il paesaggio fuori dalla finestra aperta, le mani poggiate sulla cornice, quasi spezzandola.
« Sono stato un villano. Ti prego di perdonarmi. Penso sia stato l’alcol ad ottenebrarmi i pensieri,» si scusò, volgendosi verso di lei. I suoi occhi erano indecifrabili. Nicole annuì e tentò di sorridere, ma le sue labbra si rifiutarono di obbedire a tale ordine. Non era serena ed era sciocco pensare di poter ingannare se stessa ostentando una calma che non possedeva, non in quel momento, non a stretto contatto con i propri sentimenti confusi e saturi. Si issò in piedi, a fatica, e si portò una mano sulla tempia. Le girava la testa. Si lasciò cadere, chiuse gli occhi e trattenne un conato di vomito improvviso. Aveva bevuto troppo quella sera. Percepì Klaus farsi più vicino a lei e la sua mano gentile le sfiorò i capelli morbidi.
« Ti senti bene? » le domandò preoccupato. Nicole annuì e tornò a guardarlo con un sorriso timido.
« Ho proprio esagerato questa sera. Erano anni che non bevevo così tanto tutto in una volta. Mio padre mi dovette raccogliere con il cucchiaino il giorno dopo,» ricordò prima di ridere lievemente divertita da quei ricordi confusi. Klaus sbuffò e subito dopo non sentì più il divano sotto di sé. L’aveva presa in braccio e la teneva stretta contro il suo petto. Nicole sobbalzò  e alzò il capo.
« Non preoccuparti. Non ti ho scambiato per una principessa. Loro sono sempre così presuntuose,» le rivelò con un tono che la fece ridere automaticamente. La adagiò sul letto, dopo aver scostato le coperte e si sedette accanto a lei, carezzandole lievemente la guancia fin troppo cerea. Lo ringraziò con lo sguardo per quella delicatezza e Klaus sorrise, « Sono io a doverti ringraziare, in verità,» esclamò issandosi in piedi e percorrendo il letto. Nicole seguì tutto il suo percorso con lo sguardo, incerta sulle sue intenzioni e sulle sue parole, « Sei la prima persona che, sapendo ciò che sono, tenta di vedere del buono in me. »
« Io non tento di vedere del buono in te, Klaus. Io lo vedo,» sussurrò dolcemente. Era sincera e tutta quell’onestà colpì Klaus che sobbalzò impercettibilmente. Si sedette sul letto, dandole le spalle, e si tolse le scarpe. Si sporse per farlo anche lei e poi si coprì con le pesanti coperte candide, rifinite, come il resto della camera, da delle cesellature dorate. Lo vide sbottonarsi la camicia e sgranò gli occhi chiarissimi, arrossendo di botto.
« Buon Dio, avrai visto un uomo mezzo nudo in vita tua,» esclamò divertito, osservando la sua espressione e posando la camicia ai piedi del letto per poi coprirsi anch’egli.
« Sì, e solo uno, se non si conta il mio fratellino,» borbottò indispettita, poggiando il capo sul cuscino, lasciando che i capelli si spargessero per creare un’aureola dorata intorno al suo volto. Klaus si girò sul fianco, la mano a mantenere il capo e l’altra adagiata sulle coltri.
« A proposito. Non mi sembra che litighiate spesso. Cosa è successo?» le domandò incuriosito. Nicole sbuffò, poi volse il capo per guardarlo. Sembrava una bambina in quel momento e l’ibrido le sorrise affascinante.
« Io ed Elena vogliamo solo aiutarlo, ma lui è così testardo per quanto riguarda Anna. Non ci lascia strada e pensa di essere nel giusto. È morta, Klaus. Lui ha bisogno di una ragazza viva, che lo ami e non lo metta continuamente in pericolo,» affermò ad alta voce, non capacitandosi della ragione per la quale suo fratello non riuscisse a capire. Klaus le sfiorò la guancia con l’indice, meditabondo, prima di annuire, serio e pensoso.
« Non capite che è semplicemente innamorato, Nicole? » sussurrò impercettibile. La ragazza chiuse gli occhi, sospirò e annuì.
« Lo capisco, Klaus, però non è giusto. È mio fratello. Vorrei solo che fosse felice. Vorrei solo che tornassimo ad essere la famiglia che siamo sempre stati, unita contro ogni avversità e piena d’affetto reciproco,» gli confessò, mordendosi il labbro inferiore, riaprendo gli occhi e facendoglisi più vicina, « è così strano? » domandò incredula. Klaus scosse il capo, sorridendole debolmente.
« Non lo è affatto, Nicole,» le confermò dolcemente, volgendo il capo al soffitto. La ragazza annuì, mormorando un ringraziamento soffocato, poi si morse il labbro inferiore e osservò Klaus. Il suo petto era poco coperto dalle lenzuola e i pettorali scolpiti, candidi come la neve, erano ben visibili. Non respirava più. Nicole alzò lo sguardo seguendo la linea della gola, sino a posarlo sulle sue labbra schiuse. Erano increspate da mille piccole pieghe ed erano così sensuali da toglierle il respiro. L’ibrido si lasciò sfuggire un sospiro, « Perché mi guardi, Nicole? Ti aspettavi qualcos’altro? Magari, che so, delle squame serpentine o delle ali nere? » le domandò più ironico che irato. Nicole rise, di gusto, e scosse il capo. Percepì anche la risata di Klaus seguire la sua e smise solo quando il suo indice le sfiorò le labbra, « Perché guardavi le mie? » continuò. Nicole arrossì e sbatté le palpebre, imbarazzata da quella domanda. Non sapeva nemmeno lei perché lo stesse facendo, la verità era che Klaus le piaceva, sin troppo, ma non avrebbe mai potuto rivelarglielo. Così mentì.
« Volevo capire se fossero gonfie per i baci di quella donna che era con te prima,» borbottò, trattenendosi dal non inserire nella sua voce quel tono geloso che le era nato dall’anima. Klaus sorrise e scostò l’indice dalle sue labbra, ma le si avvicinò impercettibilmente.
« Parli di Aleesha, vero? » domandò suadente, con uno sguardo malizioso, « No, non mi piaceva così tanto. Aveva i capelli troppo cotonati e un profumo troppo forte. Non mi piacciono le donne molto appariscenti,» le confessò, facendole l’occhiolino. Nicole si lasciò sfuggire una breve risata e scosse il capo, « Preferisco quelle semplici e gentili, di buon cuore, in verità,» continuò sottovoce, come se le stesse rivelando un segreto importantissimo.
« Ti sei mai innamorato? » gli domandò all’improvviso, prendendolo, per la prima volta, alla sprovvista. Le sembrò triste, in quel momento, molto più di quanto avrebbe pensato. I suoi occhi erano spenti e malinconici e le sue labbra curvate verso il basso. Si voltò, tornando a guardare il soffitto e Nicole chiuse gli occhi, sistemandosi meglio sul letto e mettendo la mano sotto il cuscino morbido.
« Sì, tanto tempo fa,» sussurrò impercettibilmente quando ebbe perso le speranze di una sua risposta. Nicole annuì poco, ma non riaprì gli occhi. Era stanca, quella giornata era stata lunga e faticosa, e non desiderava altro che lasciarsi cullare dalle accoglienti braccia di Morfeo, portatore di dolci sogni pacifici.
« Buona notte, Klaus,» gli mormorò prima di abbandonarsi al profondo oblio. 

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Capitolo 12
*** Homecoming Dress ***


12 cap

Capitolo 12

Homecoming Dress

 

Il Sole sorse alto e meraviglioso nel cielo terso di Charlottesville, illuminando le sempre trafficate vie della città per annunciare agli abitanti che un nuovo giorno era in procinto di cominciare. Però non tutti volevano percepire il messaggio, bramosi di poter riposare ancora un po’, allontanarsi da quella terribile realtà che era diventata la loro vita, e seguivano a rimanere a letto. Gli ospiti della Dinsmore House, a pochi metri sia dal centro che dall’università della Virginia, si accingevano a scendere per la colazione fumante appena poggiata sul buffet da due camerieri giovani e aitanti, due ragazzi semplici, tipicamente americani di piccole cittadine circostanti, sempre pronti ad aiutare e a rendersi utili. In una delle stanze più belle e caratteristiche, che portava lo stesso nome dell’hotel, i dimoranti non se ne accorsero e il loro tavolo rimase vuoto sino a quando il tempo della colazione non fu terminato. Quando fu possibile percepire il primo rumore di una macchina che veniva accesa, la ragazza schiuse gli occhi impercettibilmente e aggrottò le sopracciglia, mugugnando qualcosa di incomprensibile, una protesta per essere stata così bruscamente destata da quel dolce sogno che aveva vissuto pocanzi. Si era ritrovata a casa sua, quella di Richmond, e aveva visto suo padre preparare, goffamente, tentando di non bruciarle, delle uova e della pancetta mentre la luce della macchinetta del caffè si accendeva mostrando di essere pronta per l’uso. Quel ricordo sbiadito, filtrato dal proprio nebuloso inconscio, la svegliò completamente e ordinò alla sua mente di comprendere dove si trovasse. Non era più a Mystic Falls, né stava dormendo sul divano, ma nemmeno sul cuscino. Sotto il capo aveva una superficie scolpita, però morbida, che si gonfiava a intervalli regolari, e la mano destra, quella su cui spiccava l’anello paterno, era poggiata sulla stessa, a pochi centimetri. Sgranò gli occhi chiarissimi e arrossì, sollevandosi dal petto di Klaus. Nel sonno non doveva essersi accorta di essersi spostata cercando il suo abbraccio. La testa era martellata da un dolore fortissimo e si portò una mano sulla tempia, distendendo le labbra in una smorfia afflitta e lasciandosi sfuggire un soffio. Nel frattempo guardò Klaus. Era ancora addormentato. Sbatté le palpebre, estasiata dalla vista delle sue labbra rosee e lievemente schiuse, meravigliose e sensuali, che le generarono mille brividi lungo la schiena, delle sue gote rilassate e coperte da una lieve peluria bionda, quelle di un bambino, delle sue ciglia lunghe che sfioravano gli zigomi marcati, celando l’osservazione dei suoi splendidi occhi azzurri e limpidi, e dei suoi capelli ricci e dorati. Era bellissimo e perfetto, constatò mordendosi il labbro inferiore, negli occhi un’espressione intenerita, ma anche piena d’imbarazzo. Fortunatamente si era svegliata prima lei, altrimenti sarebbe stato ancora più delicato e spiacevole giustificare quella posizione. Scostò le coperte per dirigersi in bagno e farsi una doccia gelida per raffreddare i bollenti spiriti e rigenerarsi, ma la sua voce roca e impastata dal sonno le impedì di fare qualsiasi cosa, ancorandola al letto matrimoniale.
« Nicole,» la chiamò. La ragazza si voltò di scatto, ma era ancora addormentato, o almeno lo sembrava. Il cuore le batté furiosamente nel petto e il suo suono le occupò tutto il campo uditivo. Schiuse le labbra, le guance ancora più rosse, e si portò una mano tra i capelli, ravvivandoseli e scostandoli dagli occhi per poterlo guardare meglio. Klaus aprì gli occhi e sbatté le palpebre, mettendosi a sedere. Aveva quell’espressione così beata e dolce, fanciullesca e brillante, che aveva visto quando l’aveva abbracciato nel motel. La guardò e Nicole deglutì a vuoto per la potenza di quello sguardo, non per paura, bensì per quel mare di emozioni che le attraversa il cuore quando lui l’osservava come se fosse la creatura più avvenente e meravigliosa del mondo intero. Lui allungò la mano cercando la sua e stringendola come per implorarla di non abbandonarlo, non sapendo che non lei l’avrebbe fatto anche se lo avesse voluto davvero, « Dove stai andando? » le sussurrò quasi timoroso. Con l’altro indice indicò il bagno e gli sorrise teneramente.
« Forse è meglio se non rimetto nel letto. Non credo che gli inservienti gradirebbero,» aggiunse divertita, poggiando i piedi coperti dai fantasmini bianchi sul pavimento. Klaus annuì, lasciandola andare, e rimase a letto, passandosi una mano sugli occhi non appena sentì la porta chiudersi. La spostò sui capelli, frizionandoseli poi la suoneria del suo cellulare attirò la sua attenzione. L’aveva poggiato sul comodino, lo prese e controllò il nome. Stefan. Sbuffò, impercettibilmente, e distese le labbra in un sorriso ironico e divertito. Accettò la chiamata, curioso di scoprire cosa volesse il vampiro.
« Stefan,» lo salutò allegro e pacifico, scostando le coperte e alzandosi dal letto morbido. Si diresse verso la finestra che si affacciava sulla strada principale e guardò il paesaggio. Era una mattina assolata e meravigliosa. Gli studenti passeggiavano svelti per raggiungere l’università mentre un uomo vestito in modo elegante faceva il percorso opposto dirigendosi verso il centro.
« Klaus,» mormorò il suo Squartatore, l’amico più sincero che aveva mai avuto, un fratello per lui, al pari di Kol o Elijah, o anche di Finn quando non si autocommiserava rendendo vano ogni tentativo di provare un sentimento che non fosse la pietà e la compassione nei suoi confronti. No, Stefan non era più il vampiro spietato degli anni del Proibizionismo, però Klaus non era del tutto convinto che fosse poi tanto incorruttibile. Sorrise mefistofelico per quel pensiero e richiuse le tende con un gesto secco, « Tuo padre è morto,» gli comunicò atono. Klaus sobbalzò, impercettibilmente, e sgranò gli occhi per poi assottigliarli e curvare le labbra in un’espressione meditabonda. Schiuse le labbra e fece per parlare e domandargli spiegazioni mentre Stefan era già in procinto di fornirgliele, « Mikael è morto, non del tutto, ma ora è ornato da un bel pugnale nel petto,» continuò con più emozione, caustico e più leggero. Percepì un lieve movimento e volse il capo verso la porta del bagno. Nicole l’aveva appena richiusa e lo stava osservando interrogativa. Era pallida, ma non più del solito, piccola come una bambina con quei piedi scalzi e i capelli sciolti a incorniciarle il volto meravigliosamente luminoso. Il rosato antico delle sue labbra a cuore le offriva colore e gli occhi sembravano due cieli notturni pieni di stelle. Era bella, Nicole, di un’avvenenza inconsueta e particolare, come un giglio bianco e puro. No, non un giglio, bensì una rosa, si corresse divertito. Nicole aveva le sue spine. L’aveva notato quando poteva leggerle la mente. V’erano tanti segreti, tante ombre nella sua esistenza, tanti dolori. Assorto in quei pensieri, non si era dimenticato di Stefan e delle sue parole. Mikael era morto, temporaneamente. Non ne era pienamente convinto, non aveva vissuto mille anni per lasciarsi abbindolare da un vampiro così giovane come lo era Stefan Salvatore.

« Com’è successo esattamente? » gli domandò ancora imprimendo nella sua voce quell’allegria che non era presente nel suo animo. Nicole gli si avvicinò e poggiò la mano sulla sua per poi stringerla. La guardò e Nicole gli sorrise, rassicurante.
« Elena l’ha pugnalato. Legittima difesa, la stava per attaccare,» gli raccontò, « E usare il pugnale su Rebekah,» continuò. Klaus serrò le labbra increspate in un’espressione di pura ira e strinse la mano della giovane con maggior forza. Nessuno avrebbe mai dovuto toccare sua sorella con un dito, soprattutto suo padre. Rebekah era troppo preziosa, l’unica persona che gli fosse rimasta dopo che anche Elijah gli aveva voltato le spalle. Si erano giurati che sarebbero rimasti per sempre e oltre insieme, come una famiglia, sulla tomba di Esther, sua madre, la donna che lo aveva messo al mondo, poi rinnegato e maledetto. Le aveva strappato il cuore dal petto, senza esitazioni, anche se molte volte l’aveva rimpianto in quei lunghi secoli.

« Voglio vedere il suo corpo,» esclamò incollerito da quei pensieri. Percepì la mano gentile di Nicole sfiorargli la guancia e tornò ad osservarla veramente. Sembrava implorarlo di mantenere la calma. Era proprio una Bishop, l’erede perfetta di sua zia, la bella Rowena dagli occhi azzurri e dai capelli biondi come l’oro, « Con i miei occhi,» aggiunse tentando di controllarsi per non spaventarla. Nicole annuì, più rilassata e scostò la mano dal suo volto, facendola ricadere lungo il fianco magro.
« È qui, nella sala,» affermò pacato Stefan, « Puoi venire quando vuoi.»
« Se stai mentendo, l’ammaliamento ti smaschererà, Stefan, e pagherai con la vita il tuo tradimento, quindi ti consiglio caldamente di dirmi la verità,» esclamò scandendo con forza ogni parola. Nicole divenne più seria, non un’ombra di sorriso nei suoi occhi, solo più meditabonda. Neanche lei era molto convinta.

« L’ho visto con i miei occhi,» gli confermò Stefan. Si ricordò di Rebekah. Lei gli avrebbe detto sicuramente la verità, era sua sorella e non l’avrebbe mai tradito schierandosi dalla parte di Mikael, il padre che le aveva dato la caccia per mille anni. Anche lei glielo confermò e chiuse la comunicazione più sereno. Era vero. Mikael era morto.
Sbuffò e sorrise, scuotendo il capo. No. Non si fidava. Aveva notato che nella voce di sua sorelle v’era un’inclinazione sbagliata, più acuta, tipica di quando tentava di mentirgli. La conosceva, meglio di chiunque altro, ed era impossibile sbagliarsi.
« Ti fidi? » gli domandò Nicole, incredula.
« No, sweetheart, per niente. I Salvatore devono essersi alleati con il mio caro paparino per farmi fuori coinvolgendo la mia sorellina. Non so come ci sono riusciti. Rebekah non mi tradirebbe mai,» aggiunse irritato andandosi a sedere sul letto. Nicole lo seguì subito dopo e annuì.
« È strano che mia sorella abbia pugnalato qualcuno, soprattutto Mikael. Insomma lui è terrificante. Io stessa ho avuto paura di lui, quindi è impossibile che Elena, senza battere ciglio, l’abbia ucciso,» sussurrò incerta. Sua sorella non era un’assassina, di quello era pienamente convinta. Klaus la guardò per un impercettibile istante, poi annuì.
« Sai cosa faremo, Nicole? » le domandò divertito. La strega scosse il capo e lo osservò interrogativa, « Io e te ritorneremo a Mystic Falls e faremo finta di credere a questa storiella. Mi sembra che oggi ci sia l’Homecoming, no? » continuò più malizioso. Nicole annuì, era sempre il primo sabato dopo l’inizio delle lezioni, « Bene, saboteremo la festa. Sei con me? » le domandò porgendole la mano. Nicole assottigliò gli occhi, incerta, osservando lo sguardo limpido di Klaus e il suo sorriso appena accennato.
« Perché dovremmo sabotare l’Homecoming? Che senso ha? » gli chiese sottovoce.
« Perché ho un piano, dolcezza, un piano che mi permetterà di uccidere il mio patrigno per sempre, che mi libererà dal dovere di fuggire sempre da lui, che mi darà finalmente pace,» mormorò dolcemente. Nicole schiuse le labbra, ancora insicura. Klaus comprese i suoi dubbi e allargò il sorriso, sfiorandole la guancia, « Non preoccuparti, Nicole Bishop. Non ho intenzione di far del male ai tuoi amici, né alla tua famiglia. Hai la mia parola,» le sussurrò. Nicole annuì.
« Sono con te, allora,» gli confermò con voce certa e sicura. Klaus sorrise, trionfante e si alzò, porgendole la mano, galante, per aiutarla a fare lo stesso.
« Penso proprio che ti servirà un vestito, sweetheart,» le comunicò allegro. Nicole arrossì , si morse il labbro inferiore, mentre nei suoi occhi brillava una luce di gioia, poi si allontanò velocemente da lui, che l’osservò incredulo. Si sedette dall’altra parte del letto e si chinò per mettere le scarpe. Klaus rise lievemente divertito, poi scosse il capo e indossò la camicia bianca della sera prima e le scarpe. Tappò la bottiglia e si avvicinò all’armadio, poggiandola sui suoi vestiti piegati nel borsone scuro. Lo chiuse e se lo mise in spalla mentre Nicole lo guardava incredula, con le sopracciglia arcuate e le labbra increspate da una risata a stento trattenuta.
« Che c’è? » le domandò piccato e Nicole rise del tutto, avvicinandosi a lui, « È ancora piena per metà e il brandy non si butta mai,» continuò più imbarazzato. Nicole annuì e smise seguendolo fuori dalla stanza.
« Per me è la vodka, ma penso che il principio sia esattamente lo stesso,» mormorò per non farsi udire dagli altri ospiti che stavano risalendo per prendere le proprie cose. Loro scesero e Klaus si diresse verso la reception. Nicole non si avvicinò, ma guardò una coppia di fratelli che giocavano a rincorrersi tra i tavoli della sala ristorante. Erano piccoli, non potevano avere più di cinque anni, e i loro genitori li richiamavano sottovoce.
« Mark, Thomas, venite qui. Volete che ci rimproverino? » mormorò la madre, una donna sulla trentina dai lunghi capelli rossi e ricci e dai grandi occhi color nocciola, mentre il marito si dirigeva verso il più piccolo, il bambino biondo e più vivace, che stava per sbattere la testa contro il legno della gamba di una sedia. Non riuscì a prenderlo in tempo e Nicole, attenta a non farsi notare, spostò la sedia di pochi centimetri, tanto da permettergli di non ferirsi. Percepì la mano grande di Klaus dietro la schiena e il suo respiro nell’orecchio e tra i capelli.
« Brava, la mia streghetta,» sussurrò soddisfatto, con la voce calda e roca che la fece tremare impercettibilmente e arrossì con forza. Klaus rise, ancora vicino a lei, e Nicole scosse il capo, scansandosi dalla sua presa e dirigendosi verso l’uscita. La brezza fresca, tipicamente autunnale, la investì, donandole piacere. Klaus la raggiunse, « Oh non ti sarai mica offesa, tesoro? » esclamò melodrammatico seguendola mentre velocemente si allontanava da lui per raggiungere l’auto.
« Ad onor del vero, » esordì divertita e suadente, tornando a guardarlo. Klaus la fissò, colpito da quel cambiamento repentino e anche dal suo tono. Non aveva mai sentito quella nota maliziosa nella sua bella voce, « Damon Salvatore ha sempre l’abitudine di chiamare Bonnie e anche me streghetta. Siete davvero molto simili,» concluse trattenendo a stento una risata vedendo la reazione di Klaus. Aveva sollevato il labbro superiore in un’espressione di puro ribrezzo e aveva scosso il capo con forza, più arrabbiato. Si mosse velocemente, troppo perché lei potesse scansarlo, e si sentì sospingere contro lo sportello del passeggero della jeep, incastrata tra la figura longilinea dell’ibrido e quella liscia dell’auto. Klaus aveva le mani strette ai suoi polsi e la guardava irato, anche se era ben presente il proprio divertimento.
« Ritira subito quello che hai detto,» sibilò sottovoce, a un centimetro dal suo volto. Nicole sorrise, incapace di trattenersi, « Io sono di gran lunga migliore rispetto a quel vampiro da due soldi,» continuò scadendo con forza ogni parola, ma allentando la presa, liberandola del tutto. Non si allontanò da lei e Nicole annuì.
« Rilassati, Klaus. Stavo scherzando,» esclamò leggera. L’ibrido sembrò soddisfatto, sorrise falsamente e indietreggiò, lasciandole la possibilità di entrare in macchina. Aprì, poi, il cofano e poggiò il borsone, poi si sedette, « Quanto sei suscettibile,» soffiò Nicole, guardandolo in tralice e massaggiandosi i polsi sbiancati. Klaus scosse il capo e mise in modo.
« Dove vuoi andare, sweetheart? Prada, Versace, Dior, Chanel, o un negozietto caratteristico? » continuò più allegro. Nicole arrossì, imbarazzata, e chinò il capo.
« Non ho nulla con me,» sussurrò impercettibile, torturandosi le dita. Si era esaltata per nulla prima. Aveva dimenticato persino il portafogli e non aveva neanche la carta di credito che le aveva regalato suo padre per il suo diciassettesimo compleanno ritenendola oramai matura per possederla. Klaus poggiò la mano sulle sue e Nicole tornò a guardarlo con la coda dell’occhio. Le sorrideva rassicurante.
« Non preoccuparti. Offro io. Questa serata dev’essere perfetta. Non sai da quanto tempo aspetto questo momento,» le rivelò sottovoce. Nicole avvampò maggiormente e si morse lievemente il labbro inferiore. Sorrise, poi, e lo ringraziò lievemente. Klaus scosse il capo e avanzò velocemente tra le vie della città, fermandosi dinanzi a un atelier d’alta moda con degli abiti principeschi in vetrina. Nicole li osservò adorante come altre ragazze vicino a lei. Scese dall’auto e si avvicinò all’entrata, guardando il listino dei prezzi sotto alcuni di essi. Erano esorbitanti, centinaia di dollari per un vestito che poi non si sarebbe più indossato. Era troppo. Si volse indietro e guardò Klaus.
« Davvero, non importa. Chiederò a Elena di prestarmi uno dei suoi, oppure a Care,» sussurrò convinta, anche se era evidente il suo dispiacere. Klaus scosse il capo, poi sorrise, dolcemente intenerito dal suo imbarazzo.
« Non per mancarti di rispetto od offenderti, ma sei più bassa di tua sorella di almeno una decina di centimetri,» mormorò ragionevole. Gli occhi di tutte le giovani si fissarono su di loro e Nicole arrossì, poi schiuse le labbra per parlare, ma non uscì alcun suono. Klaus rise e la sospinse all’interno del locale. La giovane strega si guardò intorno, sognante, con le labbra schiuse e gli occhi sgranati. Era un negozio abbastanza ampio, dalle pareti bianche e il pavimento dorato, e pieno di abiti italiani, prevalentemente, ma anche francesi e americani. V’erano poi delle immagini dei più grandi stilisti che delimitavano le relative zone. Quella più vicina a loro sulla destra apparteneva a Choco Chanel, splendida nel suo tubino nero, mentre alla sinistra v’era Giovanni Versace e più avanti Mario Prada e Christian Dior. Klaus le poggiò le mani sui fianchi e sorrise lievemente, « Io li ho conosciuti tutti,» le sussurrò. Nicole sorrise e annuì.
« Posso esservi utile? » domandò gentilmente una donna sulla quarantina che doveva essere la proprietaria. Aveva i capelli neri e folti raccolti una crocchia signorile e il volto ovale segnato da qualche ruga del tempo, le labbra sottili e colorate da un rossetto intenso e gli occhi neri proprio come i suoi abiti, una camicia di seta, una gonna lunga sino al ginocchio e delle decolté.
« Sì. Cercavamo un abito per questo splendore di giovane donna. Lei cosa ci consiglia? » domandò Klaus cordialmente, mostrandola alla signora. Nicole sgranò gli occhi per quel complimento enorme e altamente esagerato. La proprietaria giunse le mani e la osservò lungamente, poi sorrise e schioccò le labbra.
« Sarebbe perfetta con un bel turchese, un po’ più chiaro dei suoi occhi, o un glicine per enfatizzarle la pelle. »
« Lo pensavo anch’io,»  concordò Klaus, annuendo lievemente.
« Io… Io mi sono sempre vestita di azzurro. Mia madre diceva che mi donava,» sussurrò Nicole imbarazzata.
« Allora seguimi, tesoro. Ho un Versace che fa al caso tuo, » le comunicò prendendole la mano e dirigendosi verso sinistra. Gli abiti erano disposti in modo circolare ed era impossibile vederli. V’era solo un’unione di colori bellissimi con al centro l’affresco dello stilista e il logo della casa d’appartenenza. Sulla parte sinistra v’erano le scarpe poggiate su dei ripiani illuminati da delle luci invisibili e dei divanetti candidi. La donna li fece accomodare e Nicole guardò Klaus, incerta. L’ibrido le sorrise, affascinante e rassicurante, carezzandole lievemente la mano e facendole l’occhiolino.
« Potrai gloriarti di un Versace,» le sussurrò senza farlo udire alla signora.
« Ma...,» replicò incerta. Klaus la interruppe, facendole cenno di guardare verso la proprietaria e Nicole si volse prontamente. Le stava mostrando un abito meraviglioso con un sorriso dolce impresso nei lineamenti nell’osservare la sua reazione. Meraviglioso era altamente riduttivo ed eufemistico. Era di un turchese intenso, lungo e aveva delle linee perfette, semplici e armoniose per far risaltare il corpo di chi lo indossava. Era molto scollato e sui fianchi aveva delle pieghettature che creavano uno splendido gioco di luci e ombre.
« Vorresti provarlo, cara? » le domandò la donna riportandola alla realtà. Nicole si indicò, incredula, ma non se lo fece ripetere. Si alzò e la proprietaria le indicò che il camerino era dietro l’affresco. Prese il vestito e si diresse a passo svelto. Appena entrò le luci si accesero e chiuse la porta nascosta. Aveva uno specchio dinanzi a sé e si guardò. Sembrava sconvolta. Scosse il capo, sospirò e si svestì velocemente per poi indossare l’abito. Era di seta, morbidissimo e aderiva perfettamente al suo corpo. Si avvicinò e si guardò. Sembrava più adulta. Si sistemò meglio le spalline. Il seno si notava troppo, anche se non aveva delle dimensioni molto importanti. Guardò le scarpe. Le sue converse nere non facevano una bella figura sotto quell’abito così sofisticato. Le tolse e uscì. Percepì lo sguardo di Klaus su di sé e si volse verso di lui. Aveva le labbra lievemente schiuse, sembrava stupito, oppure meravigliato. Arrossì e sorrise impercettibilmente.
« Fatti vedere, tesoro,» sussurrò la donna soddisfatta. Nicole avanzò e allargò le braccia, timorosa sino a quando lei non sorrise, « Perfetta. Sei fortunata. È proprio la tua misura. Anche se…,» obbiettò contrariata, avvinandosi. Le separò le spalline, aprendo la scollatura, « quest’abito è pensato così per esaltare le forme femminili,» mormorò gentilmente notando il suo imbarazzo, « Sentiamo cosa ne pensa il tuo ragazzo,» la esortò volgendosi verso Klaus. Nicole arrossì visibilmente e scosse il capo per comunicarle che non era il suo ragazzo, ma non lo disse ad alta voce perdendosi nel sorriso di Klaus. L’ibrido si alzò e le venne incontro.
« Sì, è davvero molto bella. Le sta bene,» confermò facendola sorridere di cuore e aumentare il battito.
« Tu, tesoro, ti piaci? » Nicole annuì più volte, incontrando lo sguardo di Klaus e ringraziandolo. La proprietaria si avvicinò alla zona delle scarpe e ne prese un paio. Erano sandali neri, lucidi e altissimi con le fasce che seguivano il piede sino ad arrivare alla caviglia, « La modella che ha sfilato ha indossato questi, ma io non credo che sia il tuo genere,» aggiunse gentilmente. Nicole annuì ancora una volta.
« Sono davvero belli, ma io non so portare tacchi così alti e poi mi vesto moto raramente di nero,» soggiunse sommessamente. Klaus le sfiorò il braccio in una carezza lieve, facendola sentire al sicuro.
« Infatti. Parlando con il tuo ragazzo, un buon consigliere, devo dire, pensavo a un paio di decolté celesti, con il tacco basso, ma ben marcato, per slanciarti,» le comunicò prima di avanzare verso l’esterno e sceglierne un paio. Nicole guardò Klaus e gli sorrise.
« Non so come ringraziarti. Io… Nessuno ha mai fatto questo per me,» sussurrò impercettibilmente. Klaus arcuò le sopracciglia e sollevò gli angoli delle labbra in un sorriso appena accennato, poi le fece cenno di sedersi per indossare le scarpe con un fiocco di vernice bianca. Nicole annuì e si accomodò, chinandosi.
« Puoi vederti allo specchio,» la invitò la donna. La giovane annuì e si guardò con un sorriso. Non sembrava più nemmeno lei, la ragazza che indossava sempre i jeans e le scarpe basse, ma una donna adulta. Esclamò sorpresa e meravigliata, sbattendo le palpebre, e Klaus rise leggermente.
« Dimmi, tesoro, è meglio questo o un abito di tua sorella?» le domandò poi carezzevole, avvicinandosi a lei e poggiandole il mento sulla spalla. Il riflesso le diede l’immagine che avrebbe potuto avere una coppia di fidanzati innamorati e sussultò lievemente, poi sorrise, « Può indossarlo ancora? » domandò cordialmente alla donna, scostandosi di poco da lei, « Non penso avremo il tempo di cambiarci lì, vero cara?» continuò dolcemente.
« Sì, durate l’Homecoming diventa tutto davvero molto confuso e non sarebbe proprio il caso, poi hai detto che questa serata sarà speciale e dovremmo arrivare al meglio,» continuò con un sorriso imbarazzato.
« Certo che sì. Quindi, ricapitoliamo, un abito e delle decolté Versace e un completo da cerimonia di Gucci. Spero proprio che sarete i reali della festa,» esclamò la donna avvicinandosi alla cassa. Klaus la seguì e Nicole era in procinto di fare lo stesso, quando l’ibrido alzò la mano per bloccarla volgendosi a tre quarti verso di lei continuando ad avanzare. Nicole lo guardò interrogativa, ma rimase lì, dopo aver preso le sue cose dal camerino. Lo vide pagare alla cassa, non ammaliare la donna, e ne rimase sorpresa e colpita. Era un vero regalo e non voleva che risultasse sminuito da qualcosa di sovrannaturale. Il battito le si accelerò e arrossì, sorridendo raggiante e felice. Klaus si volse verso di lei, forse attirato da quelle emozioni, e le sorrise affascinante mentre la donna gli porgeva una busta e lo scontrino.
« Aspettami qui, tesoro. Faccio in un attimo,» esclamò prima di chiudersi in camerino. La proprietaria le si avvicinò e si sedette sul divanetto bianco. Le sorrise gentilmente e Nicole ricambiò allegra.
« Siete davvero molto belli e affiatati. State insieme da molto? » le domandò curiosa, ma non indiscreta. La giovane scosse il capo e sbatté le palpebre.
« In realtà, lui non è il mio ragazzo. Non so nemmeno io cosa c’è tra di noi,» sussurrò mentendo a se stessa. La donna se ne accorse e sorrise.
« Ti consiglio di scoprirlo presto, prima che qualcun’altra gli metta gli occhi addosso o che qualcuno li metta su di te,» le consigliò gentilmente. Nicole arrossì e guardò verso il camerino. Forse Klaus aveva ascoltato tutto e, da una parte, era davvero meglio così. Annuì e sorrise. Mimò il suo consenso solo con le labbra poiché Klaus era appena uscito, « Potete, cortesemente, attendermi un attimo? Voglio regalarvi un paio di accessori,» continuò dirigendosi verso il bancone. Nicole lo guardò e sgranò gli occhi chiari, avvampando e schiudendo le labbra. Se aveva pensato che la sera prima fosse bello, dovette ricredersi. In giacca e cravatta era splendido, forse avrebbe semplicemente preferito che si fosse rasato. Non le piaceva quella peluria su di lui, in qualche modo, pur essendo sempre bellissimo, gli deturpava il viso magro. Klaus le fece l’occhiolino e si sedette al suo fianco. La donna le porse un mascara, un gloss rosato antico e fermaglio a forma di farfalla turchese con delle perle bianche. Le prese due boccoli laterali e li fermò dietro la testa, creando un’acconciatura semplice, ma molto adatta, lasciando che gli altri ricci le ricadessero morbidamente sulle spalle. Nicole la ringraziò di cuore e accettò i doni che le porgeva con un sorriso ampio e raggiante, poi salutarono e uscirono. Il Sole era in procinto di tramontare e per le strade non passeggiava quasi nessuno. Si sedettero e Nicole lo guardò, imbarazzata.  
« Nicole, davvero, se mi ringrazi, ti tolgo quel vestito di dosso e lo riporto al negozio,» esclamò più divertito che collerico. La ragazza arrossì e sorrise, poi annuì. Aveva poggiato la gonna e la canotta sul sedile posteriore e si sporse per prendere il telefono. Elena l’aveva chiamata, un paio di volte. Compose il numero e si portò il cellulare all’orecchio. Le rispose prontamente.
« Nicole, dove sei finita? » le domandò incerta, con la voce acuta e preoccupata. Sembrava indaffarata, forse si stava preparando per il ballo.
« Io… Ho avuto dei servizi da fare. Ho dormito dalla signora Flowers. Quando sono uscita dal bar, ero troppo stanca per tornare a casa, » le mentì velocemente. Non le piaceva farlo, non a sua sorella, ma era necessario, constatò vedendo Klaus con la coda dell’occhio, « Ci vediamo all’Homecoming, sorellina. Mi sembri nervosa, è successo qualcosa? » chiese gentilmente.
« No, non preoccuparti. Va tutto bene. Solo che Jer mi sembrava triste e mi ha raccontato di averti detto delle cose che non pensava assolutamente, però tu ti eri intristita e avevi pianto. Quindi mi sembrava giusto chiamarti per riferirtelo,» le spiegò dolcemente. Anche lei le aveva mentito. Chiuse gli occhi e sospirò lievemente. Non avrebbero dovuto esserci bugie in una famiglia.
« Ti ringrazio. Non mi sono offesa, credimi. È Jer, qualche volta esplode e non era un argomento facile da affrontare, ma era meglio se litigasse con me che con te. Hai già i tuoi problemi a cui pensare,» affermò atona.
« Che vuoi dire? » le domandò confusa e incredula.
« Parlo di Stefan e Damon. Insomma non dev’essere il massimo avere due fratelli vampiri che litigano per te, oppure sì. Dipende dalla prospettiva,» aggiunse ridente. Elena sbuffò.
« Sei ancora ubriaca, sorellina. Fatti passare la sbornia e vieni a scuola. Ci vediamo lì,» la salutò chiudendo la comunicazione. Nicole rise lievemente e gettò il telefono dietro. Klaus sorrise, sornione, e la guardò in tralice.
« Dipende anche dai fratelli, tesoro,» la corresse malizioso e provocante.
« Oh non saprei. Mai stata protagonista di un triangolo, preferisco le relazioni stabili,» mormorò aprendo il mascara e poi abbassando lo specchietto. Erano entrati in autostrada già da qualche minuto e Klaus andava ancora più veloce di lei. Si truccò leggermente, dando volume alle ciglia e illuminando le labbra, poi, soddisfatta, sorrise e tornò a guardarlo. Non aveva replicato, ma aveva disteso le labbra sereno e pacato, « Il camion con la tua famiglia? » gli domandò curiosa.
« Ho chiamato un amico. Lo riporterà lui a Mystic Falls, » le comunicò atono, non spostando gli occhi dalla strada. Incominciò a vedere le prime uscite per Mystic Falls e sgranò gli occhi, volgendo lo sguardo verso il tachimetro.
« Un ibrido? » domandò interessata, tornando al discorso e celando il timore. Se non fosse stata un po’ su di giri la sera prima, mai sarebbe andata ad una velocità talmente alta, però Klaus era un ibrido e aveva i riflessi pronti per qualsiasi evenienza. Quella constatazione la rilassò notevolmente. Klaus annuì e rise leggermente.
« Tutti loro torneranno a Mystic Falls. Sono tutti previsti nel mio piano. Però noi due avremo il ruolo di protagonisti, dolcezza,» soggiunse accattivante, sorridendole. Nicole scosse il capo e sbuffò.
« Lo ebbi anche due anni fa, sai?» ricordò sottovoce, chiudendo per un istante gli occhi, « Fui incoronata reginetta dell’Homecoming dal preside in persona, » continuò dolcemente assorta in quel giorno così felice. Elena l’aveva abbracciata appena era scesa dal palco esclamando che ne era sicura mentre Nicole aveva pensato che la corona sarebbe stata meglio sul capo della sorella che sul suo, ma non l’aveva detto. Quando era tornata a casa e sua madre l’aveva vista, ne era rimasta così felice dal piangere per la commozione. Era stata una serata stupenda. Non l’avrebbe mai potuta replicare. Klaus sorrise e poggiò la mano sulla sua, carezzandola lievemente.
« Se vuoi, puoi riprovarci,» le mormorò gentilmente. Nicole scosse il capo con foga e sciolse il sorriso, negli occhi un’espressione di pura amarezza.
« Perché dovrei? Non è solo per te, per il piano, è per me. Io non sono più quella ragazza ed è totalmente inutile tentare di mostrarmi in modo diverso da quello che sono. Non ne sono mai stata in grado. Da piccola tentavo sempre di non parlare perché tutti ritenevano che la mia sincerità fosse altamente inadeguata, però poi Elena mi ha fatto capire che è proprio questo a rendermi quello che sono,» gli confessò, mantenendo il contatto tra le loro mani. Klaus svoltò e uscì dall’autostrada, dirigendosi verso il Wickery Bridge. Annuì e sfiorò il dorso della sua mano in un’ultima carezza lieve poi si scostò leggermente. Percorsero il ponte in silenzio, Nicole guardando verso il fiume che scorreva blando sotto di loro. Elena non aveva mai superato quell’incidente, e nemmeno lei. Anche se era lontana da casa, non aveva mai smesso di pensare a loro, alla sua famiglia e sperava che un giorno, non molto vicino, questo era certo, sarebbero potuti tornare ad essere legati dal quel profondo vincolo che li avrebbe portati a morire gli uni per gli altri. 
« Ho detto ai miei ibridi di allagare la palestra della scuola,» mormorò Klaus. Nicole aggrottò le sopracciglia, « e a Tyler di spostare la festa a casa sua così da avere tutto sottocontrollo. Mikael non può entrare a casa Lockwood,» continuò vedendola ancora incerta. Nicole annuì, guardandolo lievemente intristita dal suo tono così spento. Gli carezzò il braccio rassicurante, per infondergli calore e Klaus le sorrise con più dolcezza, svoltando verso la villa. Il Sole era tramontato del tutto e una notte senza stelle, illuminata solo da una Luna crescente, brillava sopra di loro. La festa era ormai pronta per tutto e si domandò come Tyler, che non aveva mai saputo organizzare nemmeno un appuntamento perfetto, fosse stato in grado di allestire tutto quello che vide. Schiuse le labbra e un suono incerto sfuggì dalle sue labbra. Klaus rise poi uscì e, velocemente, aprì il suo sportello, porgendole la mano per scendere. Nicole l’accettò quasi senza vederlo.
« Ma come diavolo ha fatto? » esclamò con la voce soffocata e gli occhi sgranati. Klaus sbuffò divertito e la condusse verso l’entrata principale che era aperta. Klaus doveva essere già stato invitato a entrare in precedenza e Nicole si fermò ai piedi della scalinata, sentendo dei rumori di passi discenderla. Vide Carol e le sorrise dolcemente. La donna l’abbracciò, gentilmente, osservandola con soddisfazione, poi si guardò intorno, sorpresa quanto lei da ciò che vide. Nicole percepì la mano di Klaus cingerle il fianco e lo guardò, ma la vista dell’ibrido era su Carol non su di lei. Sorrideva cortese e la donna lo guardò interrogativa.
« Dovresti andare in chiesa, Carol, e pregare per gli abitanti di Mystic Falls affinché non compiano degli errori madornali questa sera, sindaco,» l’ammaliò. Nicole aveva ancora gli occhi sgranati nel vedere il suo sorriso avvenente, ma non lo fermò. Sapeva quel che faceva e poi non le aveva ordinato nulla di malvagio. Avrebbero avuto tutti necessità di un aiuto divino quella sera. Klaus rinfrancò i suoi pensieri, « Ne avranno bisogno.»

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Capitolo 13
*** To yield just once ***


13 cap

Capitolo 13

To yield just once

Carol annuì, le sue iridi azzurre occuparono tutto il campo dei suoi occhi, azzerando quasi la densità della pupilla, poi camminò verso l’uscita e scomparve dalla loro vista. Nicole lo guardò, però non disse nulla, e gli si fece più vicina, come per infondergli calore. Klaus le sorrise, gentilmente, e le carezzò lievemente la schiena, poi, non appena percepì le prime voci degli studenti alte e festose, si allontanò e le permise di fare lo stesso. La prima persona che vide fu Tyler fasciato da uno smoking scuro e molto elegante. Subito Nicole sentì i suoi profondi occhi neri fissi su di sé e incontrò il suo sguardo. Sembrava estasiato, la stessa espressione di quando l’aveva accompagnata all’Homecoming di due anni prima. La ragazza arrossì e gli sorrise timidamente.
« Tutto bene, Tyler? » gli domandò Klaus. La giovane strega poté scorgere nel suo tono una vaga nota d’irritazione e gelosia. Tyler scosse il capo e, quasi forzatamente, scostò lo sguardo da lei per riportarlo sull’ibrido.
« Sì, certo. Io vado a preparare le birre. Sapete, non sono mai abbastanza,» esclamò festoso con un sorriso ampio e solare che le fece aumentare il battito, poi il suo sguardo tornò su di lei, ma era più dolce, non più rapito e inebriato come prima, « Sei bellissima, Nicole,» le mormorò gentilmente, posandole un lieve bacio sulla guancia prima di scomparire verso la cucina. Era stato un bacio veloce, che non aveva neanche percepito sfiorarle la superficie perlacea del volto, però avvampò lo stesso. I primi studenti, vestiti a festa, stavano facendo il loro ingresso nella villa dalla porta principale. Nicole li guardò, era in grado di riconoscerli tutti, anche se di molti non sapeva che il nome e poco più. Poi il suo sguardo si soffermò su Blair, accompagnata da Robert, e schiuse le labbra. Era davvero deliziosa in quel tubino nero che le fasciava il corpo sino alle ginocchia, aderendo completamente e mostrando le forme gentili. Nicole le sorrise e Blair ricambiò, facendole un cenno di saluto con la mano.
« Puoi scusarmi, Klaus? Voglio farle le condoglianze per la morte di suo padre,» gli spiegò volgendosi verso di lui. La stava osservando criptico e la sua espressione non lasciava trapelare alcuna emozione, poi le sorrise e annuì.
« Vai pure, tesoro. Goditi la festa,» le augurò gentilmente prima di uscire in giardino dove gli studenti erano ancora di più. Nicole annuì, anche se lui ormai non v’era più, e si avvicinò a Blair. Robert le teneva la mano, come per proteggerla dagli sguardi esterni, e la ragazza sembrava serena, non felice, ma perlomeno tranquilla. I capelli biondi e lisci le ricadevano sulle spalle esili e abbronzate, non acconciati.
« Ciao, Nicole. È bello rivederti,» le sussurrò appena la strega le si fece dinanzi. Le sorrise e l’abbracciò di slancio, lasciandosi cingere dalle braccia di Blair che subito ricambiarono.
« Grazie, Blair. Sei davvero gentile, e bellissima,» aggiunse scostandosi per la guardarla nella sua interezza.
« Anche tu. Perdonami l’indiscrezione, ma quello è un vero Versace o mi sto sbagliando? » le domandò incredula, sgranando gli occhi marronico chiaro. Nicole annuì, imbarazzata, e arrossì , poi volse lo sguardo e vide entrare Caroline e Bonnie. V’erano persone che non conosceva, molti estranei: gli ibridi di Klaus. Aveva ragione, erano tantissimi, un esercito pronto a combattere. Quel pensiero la fece tremare impercettibilmente, ma non diede a vedere la propria preoccupazione e tornò a guardare la sua amica.
« Mi spiace tantissimo per tuo padre, Blair,» sussurrò, assottigliando lo sguardo per la tristezza e l’afflizione, sperando che lei non si dolesse troppo. Blair chinò il capo e tremò. Le braccia di Robert le cinsero prontamente le spalle e la giovane lo ringraziò con un sorriso dolce.
« A me dispiace per il tuo,» mormorò prima di salutarla con un bacio sulla guancia. Li vide dirigersi verso l’esterno, sospirò, e si avvicinò alle sue amiche.
« Ragazze,» le chiamò per farle voltare. Indossavano ancora le loro giacche lunghe, ma era possibile scorgere i loro abiti. Caroline era preoccupata, incredula, e aveva le labbra serrate. Si congedò subito dopo averla salutata per andare a cercare Tyler e le due streghe rimasero sole.
« Ciao Nicole, tutto bene? » le domandò notando la sua inquietudine.
« Sì, tutto perfetto. Ho appena parlato con Blair e Bob. Vogliamo andare fuori a sentire la band? » continuò gentilmente, sperando che non notasse la sua voce più acuta di un’ottava. Bonnie annuì e la seguì, scansando gli studenti danzanti. Il giardino era ancora più saturo rispetto alla sala e Bonnie aggrottò le sopracciglia.
« Chi è tutta questa gente? » si domandò ad alta voce. Nicole alzò le spalle, osservando le persone esultanti con i pugni rivolti al cielo, ballando sulle note dei My Morning Jacket, e il suo sguardo ricadde su Stefan e Tyler a pochi metri da loro. Sospirò, poi la musica si interruppe e Klaus salì sul palco. Lo guardò, tentando di tenere a bada i battiti del cuore accelerati. Stava sorridendo mentre ringraziava tutti di essere lì per celebrare quel momento per lui così importante, « Cosa sta succedendo qui? » continuò Bonnie più preoccupata. Nicole si volse verso di lei e scosse il capo.
« Non ne ho idea,» mentì, imprimendo nella sua voce un tono sorpreso. Non voleva che sospettassero di lei sebbene, in verità, non stesse facendo nulla contro di loro. Il suo scopo era solo quello di aiutare Klaus con Mikael, nulla di più. E nulla di meno. Bonnie sembrò crederle, ben sapendo quanto la sua amica non fosse in grado di mentire e alle spalle sentì avvicinarsi i passi ovattati di qualcuno. Si voltò mentre la band riprendeva a suonare e vide Elena, splendida nel suo abito scuro e corto e le decolté nere. Le sorrise con dolcezza e la sorella ricambiò.
« Nicole, sei venuta allora,» mormorò sfiorandole la guancia in un bacio lieve. Annuì e prese tre birre dal ripiano. Ne porse due a Bonnie, che rifiutò prontamente, e a Elena che subito accettò di buon grado, poi bevve un sorso della sua, volgendo lo sguardo verso Stefan e Klaus che parlavano poco distanti mentre passeggiavano tra gli studenti. Vide, poi, passare dinanzi a loro la reginetta, una ragazza bruna con un vestito nero e la carnagione abbronzata, con la corona bianca sul capo e sbuffò lievemente. Sua sorella arcuò le sopracciglia e la guardò.
« Suvvia, non sarai gelosa? » le domandò caustica prima di ridere leggermente. Nicole scosse il capo e notò che Bonnie non era più accanto a loro.
« Allora, con chi sei venuta? » le chiese gentilmente prima di bere.
« Matt,» mormorò la sorella con un sorriso lieve. Nicole aggrottò le sopracciglia, ma non aggiunse altro, « Tu, invece? » continuò con un sorriso più malizioso.
« Dai, Elena, non puoi davvero credere che io abbia un cavaliere. Sono venuta da sola,» mentì solo in parte. In fondo Klaus non glielo aveva chiesto, sebbene pensasse fosse implicito nelle sue parole. Stefan scomparve dalla sua vista e Matt si avvicinò a Elena, salutandola con un sorriso. Nicole si congedò e raggiunse, senza farsi notare, Klaus che stava per entrare in casa.
« Cosa succede? » gli domandò sfiorandogli la mano per farlo voltare. L’ibrido le sorrise e si avvicinò al suo volto. Per un folle, unico istante pensò volesse baciarla, però, poi, si accostò al suo orecchio, sfiorandole la guancia con la propria.
« Fra poco avrò la mia vendetta, sweetheart,» sussurrò suadente e provocante, scatenandole mille brividi che non fu in grado di trattenere. Era scossa sia dal suo tono che dal suo respiro sulla pelle, ma, ritrovato un barlume di sanità mentale, si scostò e sbatté le palpebre per interrompere quel contatto così intimo dinanzi ai suoi amici. Se l’avessero vista tra le braccia di Klaus, così presa da lui, sarebbe successo il finimondo e non avrebbe saputo come discolparsi. Klaus comprese e le sorrise, poi uscì, lasciandola sola coi suoi pensieri. Dopo poco Caroline le si fece vicina con un dolce sorriso sulle labbra.
« Qualcosa non va, Nicole? Mi sembri pensierosa,» si interessò gentilmente scostandosi una ciocca bionda dagli occhi. La ragazza sorrise, autentica e sincera, poi scosse il capo con foga.
« No, figurati. Solo che è davvero tutto così strano. Metà di queste persone non le ho mai viste in vita mia,» si lasciò sfuggire meditabonda. Caroline annuì, sciogliendo il sorriso, negli occhi un’espressione seria e accigliata.
« Neanch’io. Non riesco a trovare Tyler,» borbottò infastidita, prima di volgere lo sguardo verso l’esterno, « Eccolo lì,» esclamò sollevata. Lui le raggiunse e poggiò la mano sul braccio di Caroline.
« Vieni con me,» affermò, quasi non accorgendosi di lei. Nicole li vide andar via, ma senza risentimento e gelosia, e tornò fuori. Incontrò Matt, poco distante dalla porta finestra, le braccia conserte e lo sguardo rivolto alla band che continuava a suonare.
« Allora, tu ed Elena,» esordì gentilmente sfiorandogli il braccio. Le labbra del ragazzo si incresparono in un lieve sorriso e annuì.
« Non cominciare a rimuginare su questo, Nicole. Tra me ed Elena c’è solo amicizia, » la riprese blando e dolce e la ragazza annuì. Nel suo tono era evidente la tristezza, ma non glielo fece notare. Non sapeva perché si fossero lasciati, non l’aveva domandato nemmeno a Elena, però aveva scorto dei piccoli problemi già dagli ultimi mesi della loro relazione. Matt l’amava tanto ed anche Elena, per certi versi, però non erano fatti per stare insieme. Si accorse di Tyler che si avvicinava a loro e lo guardò confusa, poi domandò a Matt di seguirlo e il giovane obbedì, incerto quanto lei. Rimase sola sul pianerottolo e si scostò una boccolo dal volto. Stava accadendo qualcosa. Aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno per poter sapere dove fosse Klaus. Aveva appena terminato di parlare con sua sorella e ora stava rientrando. Lo seguì velocemente e poggiò entrambe le mani sui suoi avambracci sospingendolo verso una porta, quella della sala dell’arpa che rimaneva sempre chiusa durante le feste. Klaus non oppose resistenza, ma la osservò incredulo, aggrottando le sopracciglia per domandarle cosa stesse facendo. Serrò la porta e lo guardò. La stanza era avvolta nell’oscurità e non riuscì a vederne che i contorni. Accese la luce.
« Cosa diavolo sta succedendo, Klaus? Tutto questo non è normale,» esclamò indicando verso le sale superiori. L’ibrido rise leggermente e scosse il capo.
« Gli amici di tua sorella stanno tentando di fare qualcosa contro il sottoscritto, ma penso che questo ti sia chiaro,» aggiunse con ovvietà, avanzando di un passo e inchiodandola al muro. Sentì la pressione del corpo di Klaus su di sé e lo osservò confusa. Le sua mani, grandi e candide, si poggiarono sui suoi fianchi, impedendole un’eventuale quanto improbabile fuga. Tremò lievemente per l’espressione presente negli occhi limpidi dell’ibrido. V’era troppa passione nel suo sguardo infervorato e Nicole tremò, sentendo quello stesso sentimento fluire nel suo animo.
« Klaus,» lo richiamò con la voce soffocata. Sembrava più una supplica che un ordine e più una richiesta di non scostarsi da lei piuttosto che di allontanarsi. Doveva controllarsi. Non poteva esserle così vicino, era sbagliato e doveva lottare per reprimere quelle emozioni che le urlavano di poggiare le labbra sulle sue. Erano invitanti e non sembravano attendere altro, solo lei. Nicole chiuse gli occhi, li serrò spaventata da se stessa e da qual mare di sensazioni che Klaus era in grado di procurarle. Sarebbe stato più semplice cedere, solo una volta, una volta sola. Si avvicinò lievemente a lui poi una risata ovattata, appena fuori dalla porta, la fece rinsavire. Riaprì gli occhi e Klaus le permise di allontanarsi. Anzi fu lui il primo a uscire dalla stanza per poi richiuderla alle sue spalle. Nicole si lasciò cadere contro il muro e respirò profondamente, passandosi le mani sugli occhi e tra i capelli. Nella mente risuonavano i battiti del cuore impazzito e tremava, scossa da mille brividi. Era una stupida. Stava per cedere. A Klaus. A quel folle sentimento che le aveva urlato di agire, di baciarlo perché sapeva che Klaus non l’avrebbe fatto prima di lei. Non voleva turbarla, non voleva che, dopo essersi mostrato appieno, lei lo mandasse via, lo rifiutasse. Voleva lasciarle una scelta. Una dannata, fottutissima scelta. Sospirò e si issò in piedi, a fatica, tentando di non rovinare nuovamente sul pavimento. Non aveva il tempo di pensare. Mikael probabilmente stava per arrivare, percepiva la sua forza distruttiva diffondersi nell’aria e doveva sbrigarsi se voleva davvero essere di qualche aiuto a Klaus. Spense la luce e aprì la porta. Si rassettò il vestito e uscì, richiudendosela alle spalle. Notò, dinanzi a sé, la longilinea figura di Damon Salvatore avanzare verso la porta sul retro, scansando gli studenti, e lo seguì, stando ben attenta a non farsi scoprire dal vampiro. Damon la superò e per un attimo non fu in grado di vederlo. Doveva essersi accorto di lei e doveva aver aumentato l’andatura per compiere in minor tempo il proprio piano. Imprecò e una ragazza, che fortunatamente non conosceva, si volse verso di lei e la guardò stupita con le sopracciglia nere arcuate. Avanzò più celermente anche lei, ma quelle scarpe rendevano arduo il compito. Sentì l’urlo pieno di dolore di Klaus e il cuore perse un battito. Era appena arrivata sulla soglia della porta quando vide Damon sopra di lui intento a conficcargli un paletto nel fegato. Klaus urlò ancora una volta e Nicole richiamò a sé tutta la magia di cui disponeva. Fu attirata da Elena che si alzava e si volgeva verso la schiera di ibridi nel giardino, e sentì Mikael chiamarla Katherine. Le vide lanciare qualcosa contro gli ibridi di Klaus poi un’ombra le passò dinanzi al viso. Era quella di Stefan. Tentò di scostare suo fratello da Klaus, ma Damon fu più veloce e lo ricacciò indietro, riprendendo il paletto. Nicole chiuse gli occhi, distese le braccia dinanzi a sé e fece ardere il paletto tra le mani del vampiro che subito lo fece rovinare a terra. Damon sbraitò, e ringhiò, per il diniego e la furia. Quando aprì gli occhi notò il suo sguardo di fuoco fisso su di sé, gli occhi farsi neri e malevoli, due ombre scure che stavano per abbattersi su di lei per ucciderla.
« Fai un solo passo, Damon, e ti spedisco all’Oltretomba,» sibilò irata, assottigliando gli occhi. Aveva il fiato corto e il battito si era fatto più veloce.  Damon sollevò il labbro superiore, ma non avanzò, fermato da Stefan per il braccio. Gli stava imponendo di calmarsi. Si avvicinò, colma d’ansia e preoccupazione, a Klaus e si chinò su di lui. Era sofferente, il volto contratto e il respiro corto, e aveva una profonda ferita da cui fuoriusciva sangue scuro.
« Tu, schiocca ragazza,» soffiò Mikael collerico, scadendo ogni parola con forza disumana. Nicole alzò lo sguardo su di lui. Era ancora più incattivito di Damon, aveva le mani aperte sui cardini della porta d’ingresso, come se stesse premendo per entrare. Gli occhi erano ancora più gelidi e le labbra più sottili, le zanne sguainate come spade pronte a perforarle il petto, arrivando sino al cuore per annientarla completamente. Di Katherine non v’era più traccia. Fece per parlare, per urlargli contro, ma Klaus le strinse il polso. Nicole ritornò a lui, la guardava quasi implorante, gli occhi azzurri sgranati mentre perdeva il solito colorito, e gli curò la ferita celermente, aiutando la sua velocissima guarigione. Damon aveva preso suo fratello ed era fuggito nel frattempo. Rimanevano solo lei, Klaus e Mikael. Nicole si issò in piedi e guardò l’Originale, avvicinandosi a lui, con un sguardo di puro disprezzo nelle iridi chiare, « Credi davvero di potermi sconfiggere? » continuò sarcastico, ridendole in faccia, quando distese le mani prima di formulare l’incantesimo.  Nicole sorrise, ma malevola e perfida come mai lo era stata in vita sua.
« Sconfiggerti no, ma richiuderti in una bara questo sì,» sussurrò caustica, prima di evocare mille catene di ferro che si chiusero subito intorno a lui, facendolo cadere a terra con uno stridio fragoroso e agghiacciante. Mikael si contorse tentando di liberarsi e urlando il proprio diniego al cielo.
« Che tu sia dannata,» la maledisse con una voce talmente acuta da farla arretrare. Si scontrò contro il petto di Klaus e volse lo sguardo. Si era ripreso piuttosto in fretta, anche se il respiro non era tornato a essere normale, proprio come il suo, troppo accelerato e impaurito. L’ibrido l’osservava con un muto ringraziamento impresso nelle sue iridi azzurre, poi le cinse le spalle tremanti e le carezzo le braccia. Durò un istante, perfetto e meraviglioso, poi uscì nella notte chinandosi sul patrigno impossibilito a muoversi di un solo millimetro. Aveva poggiato le mani sulle ginocchia ed era scoppiato in una risata allegra e liberatoria. Nicole fu subito al suo fianco. Mikael guardò dall’uno all’altra con disprezzo e collera.
« Cosa c’è, padre? » sibilò Klaus ironico. Nicole poggiò entrambe le mani sulle spalle, carezzandole lievemente per farlo calmare poiché tremava di rabbia.
« Tu, abominio, non osare chiamarmi padre,» soffiò l’Originale con voce sofferente per la verbena delle catene. Non sapeva cosa le fosse preso, ma Nicole voleva farlo soffrire maggiormente, come per ricordargli di aver impresso nella mente del giovane Niklaus un dolore ancora più grande e profondo.
« Mikael, puoi scegliere di finire nuovamente in una tomba a marcire per il resto dei miei giorni oppure puoi redimerti e giurare che non arrecherai danni a questa città, alle persone che la abitano e ai figli di Esther,» gli spiegò calma, guardandolo negli occhi quasi con la speranza che scegliesse la seconda opzione. Non voleva che nella sua Mystic Falls fosse versato altro sangue, fossero morte altre persone. Mikael rise, rendendo vano ogni suo tentativo di conciliazione. Klaus si issò in piedi, inclinò il capo e sorrise, vittorioso. Per lui era una gioia rivederlo in una tomba, ma Nicole non si diede per vinta.
« Sai, strega Bishop, tu dovresti essere la prima a volere la morte di Niklaus. Lui ha ucciso Esther, non io. Lui le ha strappato il cuore dal petto, non io,» le rivelò quasi sputandole quelle parole dure che le fecero sanguinare il cuore. Volse lo sguardo pieno di lacrime verso Klaus, pregando che negasse quelle accuse, pregando che non fosse stato lui l’assassino di sua madre. Esther aveva sbagliato, ma non era possibile uccidere la propria genitrice. Andava contro tutti i dettami del mondo. Klaus non disse nulla, ma chinò il capo, facendole intendere che le parole di Mikael fossero veritiere. Chiuse gli occhi e una lacrima le rigò il volto. L’asciugò ferendosi il volto e deglutì per trattenere dentro di sé tutta la delusione. Non glielo aveva detto. Perché avrebbe dovuto dirtelo? Tu non sei nessuno per lui, sussurrò una voce malevola nella propria mente. Scosse il capo e riaprì gli occhi.
« Questo non cambia niente, Mikael. Qual è la tua decisione?» domandò atona, non un’emozione nel suo tono, però negli occhi era evidente la sua frustrazione.
« Scelgo la tomba, mia cara. Non sopporterei di vivere a stretto contatto con un errore, un bastardo,» sibilò crudele, malvagio, cattivo. Klaus strinse i pugni, i suoi occhi si tinsero di nero e ocra e i canini gli perforarono il labbro inferiore, « Sai come morì il tuo sciocco padre, Niklaus? » continuò in un sussurro ancora più spietato, « Fu la mia spada a perforargli il cuore. Quell’essere credeva che mia moglie, la mia adorata Esther, potesse essere sua, potesse appartenere a lui, rozzo e ignorante indigeno di una terra dimenticata dagli dei, » sputò con disgusto, le labbra incurvate verso il basso e gli occhi fiammeggianti di rabbia.
« La tua adorata Esther non ha trascorso giorno della sua vita in cui non abbia disprezzato te, il momento in cui ti ha sposato e la decisione di creare una famiglia con te,» soffiò Klaus chinandosi nuovamente sul patrigno. Le catene si mossero tanta era la furia di Mikael. Nicole sgranò gli occhi chiari, tremò impercettibilmente e si inginocchiò accanto a Klaus, prendendogli il volto trasfigurato tra le mani. Non aveva paura di lui, no, e Klaus ne sembrò sorpreso. Il suo viso ritornò a essere quello di un angelo, non più di un demone, si caricò il padre in spalla e si diresse verso la jeep con una smorfia di puro disprezzo impressa nei lineamenti. Nicole lo seguì, dopo aver guardato un’ultima volta verso la villa. Gli ibridi erano andati via e anche i primi studenti l’avevano lasciata per ritornare alle proprie case.
« Sarai sempre solo, ragazzo. La tua famiglia ti ha abbandonato. Anche la mia piccola Rebekah, tanto pura e tanto legata a te e ai tuoi fratelli, ti ha tradito. Hai avuto quello che meritavi per aver ucciso tua madre,» affermò Mikael prima che Klaus lo chiudesse nel cofano con un tonfo fragoroso. Nicole si sedette e lo guardò. Aveva entrambe le mani sul volante, quasi spezzandolo tra le sue dita, e lacrime amare gli velano lo sguardo per poi fluire sulle guance magre. La giovane sussultò, poi si slanciò verso di lui e lo abbracciò, senza dir nulla, baciandogli la guancia umida e irsuta. Klaus la allontanò dolcemente e mise in moto, più calmo e rilassato, avanzando verso una casa isolata poco distante, percorrendo le vie deserte della sua cittadina. Parcheggiò e nella notte scura Nicole fu in grado di vedere solo i contorni di quella struttura che sino a poco tempo fa era stata la vecchia casa degli anziani signori Williams, morti senza figli e senza eredi diretti. Klaus doveva aver domando a Carol di poterla ristrutturare per sé e la donna doveva aver accettato. Nicole entrò mentre Klaus riprendeva il suo patrigno e la osservò. Tutto era troppo indefinito e cercò una torcia. La trovò su un tavolino poco distante e l’accese, illuminando il panorama composto da scale, tavoli da lavoro sparsi e cavi elettrici sguarniti. Klaus poggiò il padre su uno dei tavoli, al centro di quella che era stata la cucina della vecchia coppia, e le catene produssero un rumore acuto e insopportabile. Nicole si portò la mano che non reggeva la torcia sull’orecchio e le labbra le si curvarono verso il basso. Klaus la guardò quasi con dispiacere, scusandosi di quel rumore, poi le si avvicinò, facendole cenno di uscire in giardino. Lui l’anticipò e Nicole rimase sola con Mikael. Prima di acconsentire, si avvicinò a lui e lo guardò. Mikael ricambiò il suo sguardo, sorpreso e incredulo di trovarla ancora lì.
« Non dovete per forza farvi la guerra. La vostra famiglia può ritornare a essere quella di un tempo, ne sono sicura. Klaus ama i suoi fratelli, l’ho visto da quanta cura ha delle loro bare, quanto si preoccupi per loro, sebbene sia un modo totalmente sbagliato e impossibile, per me, da concepire. Per favore, Mikael, io non voglio essere costretta a rimetterti in una tomba, quindi non farlo,» lo pregò sinceramente dispiaciuta. L’Originale sbatté le palpebre, confuso da quel tono e dal suo atteggiamento, « Non costringermi. Voglio solo il bene per questa città. Avevo un padre anch’io e l’ho visto morire senza poter far nulla per impedirglielo. Lui voleva morire. Per salvare Elena, per far sì che la sua vita non fosse finita. Io non l’ho mai accettato, non sono mai riuscita ad abbandonarlo davvero, ma lui è in pace adesso e so che da lassù mi guarda. So che è fiero di me, sua figlia. Nonostante tutto quello che possa combinare, nonostante i miei errori, la mia goffaggine, quel gran senso di inadeguatezza che mi porto sempre dietro, lui mi ama perché è mio padre e io lo amo perché sono sua figlia. Permetti ai tuoi figli di fare lo stesso con te,» sussurrò con le lacrime agli occhi e la voce rotta dai singhiozzi. Era vero. Non aveva dai detto addio a suo padre. Aveva sempre tentato di riportarlo da lei con ogni mezzo. La verità era che la sua vita non era completa senza John. Quelle parole le erano nate dal profondo del suo animo con forza dirompente più per se stessa che per Mikael, più per rammentarsi che suo padre era sempre stato davvero fiero di lei. Lo sguardo di Mikael, più umano, dolce, paterno, le mostrava che era stata in grado di scalfire la sua corazza, ma non del tutto. Aveva bisogno di tempo per comprendere, lo sapeva. Si allontanò, velocemente, da quella stanza, uscendo nella notte buia e ventosa tanto da farla stringere nelle spalle esili, scossa da un brivido. Klaus l’attendeva sulla soglia, aveva ascoltato tutto, ne era sicura. Le prese la mano e se la portò alle labbra, posandovisici un bacio lieve, e Nicole gli carezzò la guancia con un sorriso dolce e accogliente. Le fece cenno di camminare e si fermarono al limitar del bosco, dove Klaus era convinto che Mikael non fosse più capace di ascoltarli. Le chiuse la mano a coppa sulla guancia e la attirò a sé, delicatamente per stringerla in un abbraccio bisognoso d’affetto.
« Tu sei la creatura più buona che io abbia mai incontrato, Nicole Gilbert,» le sussurrò roco nell’orecchio, scatenandole mille emozioni e sensazioni. La giovane arrossì di botto e chiuse gli occhi, godendo di quel respiro caldo sulla pelle perlacea del collo. Klaus vi posò sopra un bacio languido e la strega sussultò, sebbene sapesse che non l’avrebbe morsa. Aveva tremato per quel piacere che la coglieva sempre in compagnia dell’ibrido, « Non posso farti del male, tesoro,»  le confessò. In quell’appellativo non riconobbe la solita baldanza e ironia, solo la dolcezza di quel contatto intimo e speciale, meraviglioso. Nicole sorrise e si scostò da lui lievemente, per poterlo vedere in volto. La sua mano corse sulla ferita rimarginata mentre quella di Klaus si posò sulla schiena, attirandola a sé in quella morsa possessiva che precedeva ogni suo tentativo di baciarla. Gli occhi azzurri era saturi di emozioni e il cuore gli batteva nuovamente. Le labbra rosee e piene erano schiuse, alla ricerca d’aria e pronte a ricevere un bacio.
« Non è vero che sei solo, Klaus. Tu hai me, io sono con te,» mormorò lievemente, avvampando per il significato di quelle parole. Erano vere, ma non avrebbe dovuto pronunciarle. Esprimevano troppo, emozioni che non doveva far trapelare in quel modo, non con quell’innocenza e ingenuità, non con il respiro corto e il battito accelerato, non con quegli occhi pieni di purezza e candore, non con le labbra schiuse e in attesa. Klaus la osservò per un unico attimo, poi avvicinò i loro, volti, sfiorandole la fronte con la propria. La mano, che prima era sulla sua guancia, si mosse verso il mento, sollevandoglielo con delicatezza infinita, come se fosse di porcellana finissima. La guardò ancora una volta, poi le loro labbra si incontrarono lievemente. Nicole tremò tra le sue braccia e approfondì il contatto, dischiudendo le sue maggiormente. Klaus l’avvicinò e prese possesso delle sue labbra, di tutta se stessa, cominciando una danza che non avrebbe mai voluto terminasse. Nicole rispose con tutta la passione di cui disponeva, alzandosi sulle punte per essere alla sua altezza e poggiandogli la mano sulla nuca, traendolo a sé. Si appoggiò a lui per non cadere, scossa da tutto quel sentimento e Klaus si scostò di poco, rimanendo sulle sue labbra per permetterle di respirare di nuovo. Presa da quel contatto, Nicole non si era nemmeno accorta di aver chiuso gli occhi. Li riaprì subito e respirò profondamente, immergendosi in quelli di Klaus, pieni di passione e sensualità. Le sua mani, esperte e forti, si bloccarono sui suoi fianchi morbidi, poi le baciò le labbra, il mento. Seguì la linea del collo sino alla clavicola posandovisici mille baci roventi che la fecero fremere.
« Klaus,» mugugnò tremante quando le baciò il petto scosso da respiri incontrollati, come per richiamarlo sulle sue labbra imbronciate. Klaus la guardò, sorridendo come un bambino allegro, poi la baciò nuovamente, sfiorandola in un contatto lieve e dolce, innocente e puro, che le fece chiudere gli occhi per la contentezza. Le sue dita si immersero nei ricci biondi di Klaus, carezzandoli con delicatezza. Non aveva pensieri, in quel momento. Voleva solo godersi quell’istante di candida inconsapevolezza, Nicole. Non rimuginare sulle conseguenze o sul futuro. Voleva vivere il momento per serbarlo sempre nella sua memoria. Registrò ogni suo piccolo bacio, ogni sua carezza, ogni movimento esperto delle sue mani sul proprio corpo e si sentì felice come mai lo era stata tra le braccia di nessun altro.

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Capitolo 14
*** Anger ***


14 cap

Capitolo 14

Anger

 

« Guardami, Nicole,» le sussurrò Klaus, con la voce arrochita dal desiderio e dalla passione. La giovane aprì gli occhi, li spalancò, e vide il suo sorriso affascinante e perfetto, incantevole. Le illuminò l’anima, ma delle ombre si avvicinavano progressivamente, disilludendola di poter ancora vivere quell’istante di pura perfezione, lì, tra le sue braccia forti e passionali che sembravano cingerle la parte più intima di sé. Gli carezzò lievemente la guancia irsuta, poi Klaus si portò la sua mano sulle labbra posando un dolce bacio galante su di essa. Il cuore le battè con più energia, come per richiamarla e farle comprendere che non poteva continuare così, mentre si immergeva nei suoi occhi, limpidi come specchi d’acqua. La osservavano confusi da quegli atteggiamenti così dissimili da quelli che aveva avuto solo pochi istanti prima. La verità era che, seppur la sua parte più razionale le stesse ordinando di allontanarsi, fuggire, nascondersi da quei sentimenti così inadeguati alla situzione, non poteva farlo perché avrebbe ferito l’unica persona che le facesse battere davvero il cuore. Si morse il labbro inferiore, gonfio per i suoi baci, e scosse il capo, addolorata. Era stata una folle, lo sapeva bene. Aveva ceduto, ma avrebbe dovuto subito fare un passo indietro per rinsavire. La razionalità riprese il ruolo di imperatrice nella sua mente e si lasciò condurre da lei fiduciosa che fosse la guida più adatta e autorevole. Aveva avuto dinanzi a sé Niklaus, il ragazzo umano completamente innocente e puro, non Klaus, l’ibrido immortale che distruggeva e spezzava vite dalla notte dei tempi, ed era stato meraviglioso conoscere quella splendida parte dell’Immortale. Però doveva ritornare a essere Klaus, l’assasino della sua famiglia, il torturatore di Mystic Falls, prima che Nicole facesse qualcosa di totalmente avventato e buttasse al vento il suo rapporto con Elena che stava tentando di ricostruire con le unghie e con i denti.   
« Non posso, Klaus,» sussurrò con un filo di voce acuta e istabile, afflita come se le avessero appena inferto un colpo di pugnale dritto al cuore. Poggiò entrambe le mani sul suo petto per allontanarsi e, stupito da quelle parole, meravigliato da lei, Klaus non oppose resistenza, scostando le mani dalla sua schiena. Nicole indietreggiò di un solo passo, per non poter più sentire il suo respiro rovente, che le causava mille brividi e insieme calore, sulla pelle perlacea, in quel momento arrosata sulle guance rotonde. Trattene un singulto che era in procinto di squassarle il petto, però una lacrima le rigò il volto. Klaus schiuse le labbra, ancora più sorpreso, dispiaciuto che potesse essere lui la causa del suo dolore. Tremava, l’ibrido che non si era mai piegato a nulla e a nessuno tremava dinanzi a lei come un fuscello scosso da un vento imperioso e impetuoso. Le sfiorò il volto con i polpastrelli e Nicole non ebbe la forza di scostarlo nuovamente da sé.
« Perché? Perché piangi? » le domandò sottovoce vedendo che le lacrime che le velavano gli occhi chiari aumentavano sempre di più a ogni istante.
« Perché io non dovrei essere qui con te, Klaus, ma a casa, con la mia famiglia. Non avrei dovuto baciarti, non avrei dovuto stringerti, non avrei dovuto fare niente questa sera,» esclamò tremante per le lacrime e i singhiozzi, portandosi le mani sulle tempie e chiudendo gli occhi, serrandoli. Percepì Klaus farsi più vicino, a un soffio da lei e tornò a guardarlo, incapace di trattenersi e di controllare le proprie emozioni.
« Avresti potuto fermarmi, dovuto farlo se non mi volevi,» affermò con la voce ragionevole, lievemente acuta, poi un barlume di consapevolezza illuminò i suoi occhi quando le vide schiudere le labbra, « Oppure il problema è che mi volevi, Nicole? » domandò più serio, quasi minaccioso tanto da farle tremare il cuore. Era la verità, ma non avrebbe mai potuto rivelargliela. Si volse e Klaus non la bloccò. Avanzò velocemente verso la jeep e mise in moto senza guardare nulla, specialmente lui, immobile nel punto in cui l’aveva lasciato. Superò abbondantemente i limiti di velocità e percorse le vie della cittadina con il cuore a mille e le lacrime che le inumidivano il volto pallido. Singhiozzò e si fermò di colpo, con una sgommata fragorosa. Non poteva guidare in quelle condizioni. Si portò una mano sulle labbra e pianse, il petto scosso da mille singulti e il corpo tremante. Avrebbe solo voluto che Klaus non le avesse rivolto quell’ultima domanda, il colpo di grazia per la sua mente provata dal continuo desiderio di cedere e la determinazione nel ricordare chi erano loro due nel mondo. Non era mai stata brava a mentire, Nicole, soprattutto a se stessa e sapeva che prima o poi avrebbe agito impulsivamente. Quella sera era stata perfetta per un folle gesto, erano accaduti mille avvenimenti che li avevano portati a quello e a Nicole, in tutta onestà, non era dispiaciuto. Non sarebbe stata onesta se avesse detto il contrario, anche se, sicuramente, sarebbe apparsa molto più integra e morale. Si asciugò le lacrime, ferendosi gli zigomi che subito si arrossarono. Non doveva piangere, voleva soltanto tornare a casa e sperare che Elena stesse già dormendo per non farle la paternale sulla scelta di aver salvato Klaus e Mikael. Riprese a guidare, più calma, e arrivò subito a casa, parcheggiando nel vialetto dietro l’auto di sua sorella. Si chiuse lo sportello alle spalle con un tonfo fragoroso ed entrò in casa. Si guardò intorno e vide tutte le luci spente e le finestre serrate. Dovevano essere andati a letto. Avanzò verso la sala, fiduciosa che per quella notte potesse essere tranquilla, poi si bloccò di botto riconoscendo la sagoma di sua sorella accomodata sul divano. Appena sentì il suono dei suoi tacchi contro il pavimento, Elena si girò e si issò in piedi, inconcrociando le braccia al petto e guardandola con disappunto.
« Davvero, Ele, oggi non è proprio la giornata adatta a una discussione. Sono stanca, ho sonno e voglio andare soltanto a dormire,» affermò risoluta, prima che sua sorella potesse incominciare a parlare, alzandosi le mani in segno di resa. Elena annuì e degluitì, avanzando verso di lei. Era in pigiama, i capelli legati in una coda alta e le gambe coperte dal pantalone grigio, i piedi scalzi.
« Ieri notte non sei stata dalla signora Flowers, Nicole,» sussurrò standole dinanzi, non volendo accettare il suo rifiuto. Nicole alzò gli occhi al cielo, si appoggiò allo stipite della porta e si tolse le scarpe, lasciando i piedi liberi sul pavimento, « E quel vestito sicuramente non l’hai comprato a Mystic Falls,» continuò più dura. Nicole sospirò e si slegò i capelli, avanzando verso il divano come se non l’avesse udita. Elena la raggiunse subito sedendosi accanto a lei e poggiando la mano sulla sua, « Cosa sta succedendo, sorellina? Hai dimenticato chi è lui? Cos’è?» si corresse con la voce più alta di un’ottava, incredula. Nicole arrossì, avvampò, e si scostò un boccolo dal volto. Scosse il capo.
« Non l’ho fatto, Elena,» mormorò atona, cominciando ad abbassare la chiusura del vestito, avendo visto un pigiama posato sul tavolo. Si cambiò velocemente, dinanzi allo sguardo scettico e dubbioso di sua sorella, poi si accomodò nuovamente, dopo aver piegato dolcemente l’abito.
« E allora perché sei dalla sua parte? Che diavolo ti prende? Perché non hai permesso che Damon lo uccidesse una volta per tutte?» quasi urlò agitata e arrabbiata, indispettita da tutta quella indifferenza che sua sorella ostentava. Percepirono i passi ovattati sulle scale e volsero lo sguardo verso il loro fratellino, probabilmente attirato dai rumori nel soggiorno. Avanzò verso di loro e si sedette sul tavolino, dal lato di Elena, come per farle notare che non era dalla sua parte, ma da quella della bruna. Schiuse le labbra e aggrottò le sopracciglia, però non emise alcun suono. Dire la verità era impossibile, semplicemente inammissibile, ma, se avesse detto una bugia, se ne sarebbero subito accorti.
« Mi dispiace, Elena,» scandì ogni parola amareggiata, con il respiro corto e le lacrime che premevano agli angoli degli occhi per poter fuoriuscire.
« Perché, Nicole? Io non capisco,» sussurrò Jeremy, posando la mano sulla sua. Scosse il capo, non sapendo dare una giustificazione accettabile per loro, poi Elena sospirò e si issò in piedi. Avanzò verso le scale e le salì velocemente scomparendo dalla loro vista. Jeremy le posò un lieve bacio sulla guancia, poi fece lo stesso. Non bramosa di pensare ancora, rimuginare su quella serata, Nicole si stendette sul divano e si corpì, chiudendo gli occhi e sperando di addormentarsi il prima possibile.

Dormì e sognò quei baci mille e mille volte in quelle ore, un sorriso a incresparle le labbra e un’espressione beata sul volto. Avrebbe voluto che ci fosse stato un finale diverso quella sera, ma era meglio che si fosse fermata, che fosse fuggita, come una codarda, da lui, dalle sue braccia, dal suo cuore nobile e fiero come quello di un principe antico e glorioso. I rumori nella cucina la destarono, facendola sobbalzare. Si mise a sedere, con lo sguardo ancora assonnato e vide sua sorella preparare la colazione, causando volontariamente tutti quei fragori come per farla svegliare di proposito. Indossava una tuta, probabilmente era in procinto di andare a correre. Si alzò e avanzò, abbandonandosi, poi, sulla panca.
« Si può sapere perché fai tanto rumore? » borbottò stanca, poggiando i gomiti sul tavolo e coprendosi le orecchie per non sentire la padella contenente uova e pancetta sbattere sul fornello scoppiettante.
«Oh, sei sveglia. Finalmente,» esclamò, volgendosi con un tono innocente che la irritò poiché negli occhi vedeva solamente diffidenza, incredulità e dispiacere. Era arrabbiata con lei, e tanto. Poggiò la tazza di caffè davanti a lei e le sorrise, falsamente, come mai lo era stata, « Jer deve andare a lavoro tra un po’. Quindi sveglialo tu, per favore,» aggiunse con più gentilezza, incapace di essere davvero cattiva con lei, « Io vado a correre. Ci vediamo al Grill. Devo vedermi con Bonnie e vorrebbe un tuo parere da strega,» le comunicò avanzando verso la porta, poi sbuffò e si girò a guardarla, « Ovviamente se sei disponibile e Klaus non ti reclama,» soggiunse malevola e ironica prima di uscire. Nicole sbuffò e chiuse gli occhi, sorgeggiando il caffè con calma, per non addormentarsi lì sul tavolo. Subito dopo si alzò e poggiò le uova e la pancetta sul piatto. Aprì il frigo e prese un contenitore di succo d’arancia pr poi versarlo in un bicchiere alto. Si diresse verso la camera di suo fratello, aprì la porta e poggiò la sua colazione sul comodino, scansando il cellulare e le cuffie. Jeremy dormiva beatamente, il volto di bambino rivolto al soffitto e scoperto totalmente. Gli carezzò la guancia teneremante e vide le sue palpebre tremare mentre dalle labbra sfuggiva un suono di diniego.
« Jer, svegliati. Farai tardi a lavoro,» sussurrò dolcemente prima di posargli un dolce bacio sulla guancia.
« Mi sono licenziato,» le comunicò con la voce ancora impastata di sonno, incosapevole di cosa aveva appena rivelato. Nicole sgranò gli occhi, la mano ancora a mezz’aria. Schiuse le labbra, sorpresa.
« Cosa? » domandò sperando che fosse solamente uno scherzo per poter rimanere ancora un altro po’ a letto. Jeremy schiuse gli occhi e si mise a sedere, guardandola appena per la timidezza e la vergogna, avvampando.
« Io… Mi hanno licenziato la settimana scorsa,» sussurrò facendola sobbalzare.
« E quando ce l’avresti detto di grazia? Sei ammattito per caso? Hai sedici anni, Jer, e noi siamo la tua famiglia. Devi dirci queste cose, per l’amor del cielo,» esclamò incredula, la voce acuta e le mani tremanti. Jeremy la guardò arrabbiato e si alzò, scostandola bruscamente da sé, facendola quasi distendere sul letto disfatto.
« Certo. E tu dicci che sei dalla parte dell’ibrido stronzo che vuole ammazzarci tutti,» sibilò prima di prendere il bicchiere con il succo ed entrare in bagno, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo fragoroso. Nicole sgranò gli occhi, irata, trattenendo lacrime di rabbia, e si alzò, battendo i pugni chiusi contro la porta. Non le importava se i vicini avessero ascoltata e l’avessero ritenuta pazza. Jeremy non poteva comportarsi in quel modo così irrispettoso e insolente. Non sembrava nemmeno più il suo fratellino dolce e tranquillo. Non era per il posto al Grill, non le importava nulla se lavorasse o meno, però non poteva celare a loro questioni riguardanti la sua vita. Erano le sue sorelle che lo amavano con tutta l’anima e avrebbero fatto di tutto per lui.
« Jeremy Gilbert, esci immediatamente di lì. Ora,» tuonò collerica, dando un ultimo pugno contro la porta chiusa. Il fratello non le obbedì, non sentì alcun suono provenire dal bagno, e respirò profondamente per non far fluire la magia dentro di sé verso l’esterno e abbattere la porta. Un suono di pura rabbia le fuoriuscì dalle labbra, sembrava quasi animalesco e le corrose le corde vocali, poi uscì dalla camera di Jeremy, dirgendosi verso quella di sua sorella. Prese degli abiti a caso dall’armadio ancora aperto e si vestì velocemente, tentando di calmarsi e non tremare troppo nel chiudere il bottone dei jeans scoloriti e allacciandosi le converse rosse. Aveva preso una felpa grigia di una taglia più larga, però non si cambiò, non facendo nemmeno attenzione al suo aspetto. Scese le scale, ben sapendo che suo fratello non sarebbe uscito di lì molto presto, e prese al volo le chiavi della macchina, chiudendo la porta di casa. I vicini erano usciti e la guardavano allibiti. Doveva aver urlato tantissimo. Arrossì e scosse il capo verso la piccola signora Austen, una donna anziana che abitava con il suo gatto Leo, facendole cenno di non preoccuparsi. Si diresse verso la jeep e mise in moto, avanzando verso il Grill tra le vie poco trafficate della città. Arrivò in pochi minuti ed entrò nel locale semivuoto, ancora trafelata e rossa di rabbia. Vide sua sorella e Damon Salvatore giocare a freccette e spalancò le braccia, incredula e stupefatta, le labbra contratte in una smorfia. Alcune persone la guardarono, incredule di vedere Nicole Gilbert così vestita. Sicuramente aveva anche i capelli in disordine, però non le importava.
« Che diavolo stai facendo? » domandò sottovoce a sua sorella, scendendo le scale e arrivando a pochi passi dai due, facendo voltare subito Elena, « Sei impazzita, per caso?» continuò tentando di non attirare l’attenzione di tutti.
« Parlò la strega,» la riprese Damon, facendosi accanto a Elena come per proteggerla da lei, sua sorella. Lo guardò con disappunto e rabbia, come se fosse lui la causa dei suoi problemi.    
« Che c’è, Nicole? » le chiese, non più arrabbiata come quella mattina, più sbalordita e perplessa da quel comportamento così inusuale, « Hai dei capelli orribili e guardati: hai mischiato dei colori assurdi,» continuò ancora più confusa. Nicole avvampò, non di rabbia, ma di vergona e mise le mani nella tasca ampia della felpa, torturandosele.
« C’è che il nostro piccolo Jeremy non ci racconta le cose e mi urla contro se gli dico che non va bene. C’è che tu sei arrabbiata con me però giochi a freccette con Damon Salvatore e nemmeno questo va bene,» sibilò contrita, trattenendo le lacrime dinanzi a tutti. Elena schiuse le labbra e le poggiò le mani sugli avambracci, « E c’è che sembro davvero una sguattera e questo non va assolutamente bene visto che in questa città tutti mi odiano,» continuò più triste, guardando sua sorella con malinconia e desiderio di affetto.
« Non è vero, Nicole,» sussurrò, abbracciandola lievemente, poi scostandosi, prendendole il volto tra le mani e guardandola seriamente, « Jeremy è entrato in una spirale distruttiva. Speravo che almeno con te riuscisse ad aprirsi dato che con me non vuole farlo perché non accetto che sia ancora innamorato di Anna e abbia tradito Bonnie. »
« Ragazze, ha perso soltanto il lavoro al Grill. Non è da suicidio,» esclamò Damon sarcastico, tirando un’altra freccetta, sbagliando il bersaglio.
« Grazie per l’interessamento, ma queste sono questioni familiari. Occupati del tuo di fratello, non del mio,» affermò Nicole con finta gentilezza, gettandogli un’occhiata in tralice. Damon le sorrise falsamente e inclinò il capo. Spalancò gli occhi chiarissimi, guardando oltre la sua figura.
« Klaus,» lo salutò, facendo cenno a Elena di scostarsi da lei e arretrare verso le sue spalle. La sorella obbedì prontamente, timorosa, mentre Nicole si voltava verso di lui. Arrossì impercettibilmente nel vedere il suo sorriso appena accennato, non rivolto a lei, però, ma a Damon.

« Non fate caso a me, per favore,» affermò divertito. Nicole si guardò le vesti e poi alzò gli occhi al cielo. Stava davvero malissimo e tutta la città poteva vederla, lui poteva vederla. Infatti Klaus scostò lo sguardo da Damon puntandolo verso di lei, incontrando i suoi occhi limpidi. Non percepì nemmeno le parole di Damon così concentrata nel guardarlo. Era arrabbiato, con lei, come il resto di Mystic Falls, del resto, ma con diverse motivazioni. L’aveva abbandonato la sera prima e Nicole sapeva che l’avrebbe incontrato prima o poi. Solo sperava fosse poi. E, sinceramente, non vestita in quel modo dopo che la sera prima aveva sfoggiato un Versace. Avanzò verso di loro, rassicurandoli e mandando Tony a prendere da bere, e si fermò a pochi passi da lei.
« … Poi volevo sentire cos’hai intenzione di fare con Mikeal, sweetheart,» affermò interrogativo, scrutandola. Nicole incrociò le braccia al petto come per proteggersi e scosse il capo.
« È lui a dover decidere. Se sceglie la tomba, penso di riportarlo a Charlotte e in poco tempo si disidraterà completamente, rimamendo lì per altri secoli. Però se sceglie di non far del male a nessuno, lo libererò e tu potrai risvegliare i tuoi fratelli,» gli spiegò atona, guardandosi intorno per essere certa che nessuno, a parte Elena e Damon, potesse ascoltare quella conversazione. Klaus annuì meditabondo mentre Damon sbuffò.
« Che bel duo. Mi soprende che tu sia rimasto in città per l’ora dell’aperitivo, Klaus,» esclamò ironicamente Damon.

« A quanto pare la mia sorellina è scomparsa. Devo risolvere la faccenda. Se tu potessi aiutarmi, Nicole, mi faresti davvero un gran favore. Poi potrai parlare con Mikeal. A me rivolge solamente insulti e maledizioni. Forse una bella bionda avrà più successo,» affermò divertito, facendola avvampare per il suo sguardo languido e accattivante.
« Mia sorella non è ai tuoi servigi, Klaus,» sibilò Elena irata, con gli occhi infuocati di rabbia. Nicole si volse e le fece cenno di non dire nulla, « Davvero, Nicole? E quello che ci siamo dette ieri notte non conta nulla? Devi aiutarmi con Jeremy. Non puoi lasciarmi da sola ad occuparmi di lui. Sei tornata a casa e mi hai promesso che saremmo stati una famiglia, che ci avremmo perlomeno tentato,» sussurrò incredula, facendola sentire in colpa.
« Jeremy è arrabbiato con me, Elena, e, in tutta onestà, mi ha mancato di rispetto,» affermò ancora offesa da quel comportamento. Elena sbuffò divertita.
« Sì. Con me lo fa da due anni, se proprio vuoi saperlo. Però non lo lascio da solo. È mio fratello ed è anche il tuo, anche se ti ostini a dimenticare chi ti ha cresciuta,» aggiunse con più rabbia. Nicole la guardò, stupefatta, e schiuse le labbra, scuotendo il capo.
« Io non ho dimenticato proprio un bel niente, Elena. Il fatto che io accetti che John e Isobel siano i nostri genitori non significa che io non ricordi Grayson e Miranda,» mormorò veritiera, sfiorandole il braccio, tentando di imprimere nella sua voce una pacatezza che il suo animo tremante non possedeva in quel momento. Elena si scansò e la osservò con gli occhi assottigliati per la collera.
« Credici, Nicole, perché io non lo faccio. Non ci riesco proprio. Non sei stata al cimitero nemmeno una volta per loro, non sei venuta neanche al funerale, però sei tornata per John. È sempre stata una questione di priorità, sorella, e la famiglia viene sempre al secondo posto per te,» affermò malevola come mai l’aveva sentita prima di andarsene a passo svelto. Nicole spalancò le labbra e trattenne le lacrime.
« Non è vero,» sussurrò al vento, ben sapendo che la sorella non potesse più ascoltarla. Si scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta dinanzi al volto, nemmeno accorgendosi dello sguardo dei due vampiri su di lei. Tratteneva le lacrime, Nicole, e i singhiozzi, ma non avrebbe pianto, non lì, non dinanzi a tutta Mystic Falls. Percepì altri sguardi su di sé e alzò il proprio arcuando le sopracciglia dorate e guardando tutti con superiorità.
« Non avete altro da fare, voi?» cinguettò, scrutandoli con disprezzo. La rabbia faceva prevalere la parte peggiore di sé e si odiò per quel tono così ostile, « Possiamo andare,» mormorò rivolta a Klaus che la osservava sorpreso. Annuì e uscirono insieme dal locale. Nicole sentì lo sguardo di Damon fisso sulle sue spalle per tutto il tragitto, ma non si voltò. Era troppo arrabbiata. Si bloccò dinanzi una Porsche nero mentalizzata e Klaus le fece cenno di sedersi. Nicole accettò con un piccolo cenno del capo e si accomodò. Una lacrima le rigò il volto pallido, le parole di Elena risuonavano ancora nella sua mente.
« Calmati, Nicole. Son certo che non pensava davvero ciò che ha detto,» le sussurrò quasi con dolcezza, sfiorandole la mano. La giovane scosse il capo.
« Io credo proprio di sì, Klaus. Mi aspettavo che le dicesse. Era impossibile che mi riaccogliessero senza farmi pesare nulla e non sarebbe stato nemmeno giusto. Solo che non volevo lo facessero tutti nella stessa mattinata, non al Grill, davanti a tutti,» esclamò sorridendo quasi sfiorando l’isteria, « Non ho mai sentito mio fratello parlarmi con quel tono, urlarmi contro. Io…,» si interrupe asciugando un’altra lacrima e mettendo la mano tra i capelli, tremante per la rabbia e la vergogna. Dopo schiuse gli occhi e sollevò gli angoli delle labbra in un’espressione di pura incredulità, « E poi quella parolaccia, il mio Jeremy? No, è troppo. Non può continuare così. È solo un ragazzino e questa rabbia gli fa male,» continuò dispiaciuta, stringendo la mano di Klaus per ricevere calore. Stavano dirigendosi verso l’immenso palazzo bianco abbandonato. Klaus sospirò fortemente, poi la guardò, profondamente. Nicole sbatté le palpebre, invitandolo a parlare, più calma grazie a lui. Si sentiva bene con Klaus, sebbene fosse certa che fosse ancora incollerito con lei.
« La rabbia è nemica di ognuno, anziano e giovane, come l’invidia e l’accidia. Però tu non temere, Nicole. Passerà. Tuo fratello è un ragazzino, l’hai detto anche tu. Crescendo imparerà e ti domanderà perdono. E so che tu lo accoglierai a braccia aperte perché sei buona e onesta e ami la tua famiglia,» le mormorò accorato, lo sguardo limpido reso più scuro dalla serietà del tuo tono, « Tua sorella ha pronunciato solamente falsità questa mattina,» aggiunse quasi con sdegno, poi tornò calmo e le sorrise, sfiorandole la guancia con delicatezza e malinconia, come se stesse rimuginando su qualcosa mille anni luce lontano da lui, « Non ho visto che luce in te, Nicole Bishop. Sei la degna erede di mia zia,» sussurrò dolcemente. Il cuore aveva accelerato i suoi battiti a ogni sua parola per l’emozione e il sentimento. Schiuse le labbra e lo guardò, teneramente colpita dalle frasi che Klaus aveva appena pronunciato e dai suoi occhi, così puri e appassionati. Fermò l’auto e le baciò la mano, amorevolmente, galante e cortese, non scostando nemmeno per un istante gli occhi dai suoi, « Torna a casa. Hai delle questioni da sistemare. Io ho le mie. Mikael può aspettare, anche se credo abbia già fatto la scelta. Ho bisogno di quelle bare, Nicole. I miei fratelli aspettano da troppo tempo. Non posso indugiare oltre,» sussurrò spossato. L’aveva accompagnata a casa. Quella constatazione la fece per un secondo arrossire e nemmeno lei ne conosceva la ragione. Poi annuì e si sporse per posare le labbra sulla sua guancia in un lieve bacio pieno di gratitudine.
« Perdonami per ieri sera,» mormorò sottovoce, prima di scendere velocemente e avanzare verso casa. Klaus non ripartì fino a che non aprì la porta d’ingresso, come se attendesse di saperla al sicuro, poi lo sentì percorrere la via e scomparire dal suo campo uditivo. Entrò e si chiuse la porta alle spalle. Percepiva dei rumori in cucina e sospirò, camminando verso di essa e vedendo Alaric ed Elena preparare la cena. Non si accorsero di lei, stavano parlando di Jeremy mentre Alaric tagliva le verdure ed Elena prendeva i piatti di ceramica bianca.
« Mio fratello ribelle… sono preoccupata,» esclamò poggiandoli sulla superficie lignea del tavolo. Alaric la notò e Nicole le fece cenno di tacere ancora per qualche istante e il professore continuò nella sua attività, « Sembra proprio che Nicole si sia alleata con il nemico… sono sbalordita. Mia sorella non è affatto così, lei non tradisce mai, lei dice sempre la verità e non la nasconde,» continuò dispiaciuta e incredula.
« Io non nascondo niente, Elena, e non ti ho tradita,» esclamò Nicole esasperata da quel comportamento, facendo voltare la sorella di scatto mentre si apriva la porta d’ingresso. Volsero contemporaneamente lo sguardo verso il loro fratello che, vedendosi osservato, si bloccò per un istante, poi tornò ad avanzare verso la cucina. Nicole si sedette sulla panca e serrò le labbra. Era ancora arrabbiata con lui per quell’atteggiamento così arrogante e sfrontato. Si diresse verso il frigo, senza degnarla di un’occhiata.

« Mi spiace, sono solo di passaggio, » comunicò loro prendendo una bibita. Nicole sbuffò e si alzò, incrociando le braccia al petto e inclinando il capo. Suo fratello la guardo interrogativo, per nulla dispiaciuto di ciò che le aveva urlato quella mattina. Quel pensiero la irritò talmente tanto da farle schioccare le labbra sottili come una frusta.
« Per una volta che potremmo cenare tutti insieme, come una famiglia, davvero vuoi lasciarci? » gli domandò con finta innocenza, ma il suo volto era rigido e i suoi occhi infuocati. Jeremy sbuffò, divertito da quel tono e Nicole poté vedere l’espressione sbalordita di Alaric. Non si era mai comportato in quel modo così indisponente e altezzoso, soprattutto con le sue sorelle, a cui Alaric sapeva voler davvero molto bene. 
« Perché? » domandò con finta gentilezza, sbattendo le palpebre e avanzando verso di lei, « Te ne andrai di nuovo o hai intenzione di trasferirti da Klaus?» Nicole schiuse le labbra e avvampò per quella insinuazione. Non era possibile che avesse davvero pronunciato quelle parole rivolto a lei. Era semplicemente inimmaginabile. Però era la realtà e quella verità le velò gli occhi di lacrime colme di tristezza mista a imbarazzo. Non potevano davvero credere che li avesse traditi, non i suoi fratelli, e una parte di lei era certa che non fossero davvero arrabbiati, solo confusi da quegli atteggiamenti ambigui che v’erano tra lei e Klaus. Quella stessa parte li comprendeva appieno, però era impossibilità ad abbandonare Klaus. V’era come una calamita che la legava indossolubilmente a lui, una corda che lei non voleva spezzare. Non voleva mettere a tacere ancora una volta le sue emozioni, sebbene era certo e risaputo che Klaus fosse il cattivo della favola, l’antagonista per eccellenza, il mostro da cui dover scappare, un angelo caduto. Lei sapeva che non era così. Nessuno si era mai sforzato di vedere Klaus nel profondo. Non era solo il cattivo, v’era molto di più, ma spiegarlo a loro era assolutamente fuori discussione. Così tacette.

« O forse perché sei stato licenziato e non l’hai detto a nessuno? » domandò Elena irritata da come le stesse parlando e da quella verità sconvolgente. Jeremy schiuse le labbra, spostando lo sguardo sull’altra sorella, poi chiuse gli occhi e sospirò leggermente. Inclinò il capo e avanzò di un passo.
« Possiamo parlarne più tardi, Elena? Tyler mi sta aspettando fuori,» comunicò speranzoso. Nicole aggrottò le sopracciglia. Non sentì la discussione su Tyler, non le importava cosa pensassero loro. Tyler era a posto, lei lo sapeva e ne era sicura. Fu solidale con suo fratello, sebbene fosse arrabbiata con lui, in quella discussione.
« Suvvia, Elena. Conosciamo Tyler da una vita. Come puoi non fidarti di lui? » sbuffò volgendo il capo verso di lei e aggrottando le sopracciglia mentre Jeremy avanzava verso la porta d’ingresso. Elena lo raggiunse, non prestando attenzione alle sue parole, e lo bloccò, dicendogli che non sarebbe andato da nessuna parte, soprattutto non con Tyler. Jeremy si arrabbiò e rivide in lui la stessa espressione di quella mattina mentre invitava l’ibrido ad entrare. Nicole si avvicinò ai suoi fratelli e lo sguardo si puntò sul ragazzo. Lei si fidava ancora e gli sorrise, timidamente, un sorriso che il giovane ricambiò subito. Jeremy fece accomodare Tyler e gli prese un bicchiere. Nicole si sedette di fronte a lui e il ragazzo la guardò, ringraziandola di quella gentilezza. Elena non era della sua stessa opinione e, in tutta onestà, la comprese. Con tutto quello che le stava accadendo, non provava più fiducia nei confronti di nessuno, solo di pochi intimi e tante volte nemmeno di quelli.
« No, Tyler non devi andartene. Sei il benvenuto in casa mia. Certo, se lo è ancora e non mi cacciano da qui,» aggiunse la giovane con un sorriso appena accennato, pieno di sarcasmo e ironia. Elena si avvicinò a lei e sentì i suoi occhi fissi sulla sua figura. Tyler aggrottò le sopracciglia folte e scure e la osservò confuso, poi Alaric, seduto a capotavola, il posto che aveva sempre occupato suo padre, gli chiese quale fosse la differenza tra essere ammaliati e avere un sire. La sua risposta la turbò, e molto, anche se non lo diede a vedere agli altri. Era strano sentir parlare in quel modo così accorato Tyler Lockwood. Sembrava diverso dal ragazzo di cui si era innamorata tanti anni prima, ma era fermamente convinta che non fosse malvagio, che non avrebbe esitato a combattere per salvare Mystic Falls. E poi non v’era alcuna ragione di combattere. Klaus non era un pazzo, non voleva la guerra, o almeno era quello che lei pensava, e Mikael, qualunque fosse stata la sua decisione, non sarebbe stato un problema. Era assurdo rimuginare su quei pensieri, totalmente folle e insensato, proprio come le domande di Alaric ed Elena.

« Non lo so. Allora mi strapperei il cuore dal petto,» esclamò esasperato, allargando le braccia e guardando tutti con disappunto. Nicole sobbalzò e Jeremy lo guardò turbato, sembrava persino dispiaciuto di averlo invitato lì.
« Adesso smettetela, tutti quanti. State esagerando. Tyler è un ospite e non mi sembra ci abbiano insegnato a trattere in questo modo così sgarbato e maleducato le persone che entravano in casa nostra,» esclamò Nicole incredula e incapace di comprendere quell’atteggiamento, issandosi in piedi per poter guardare entrambi i fratelli.

« Posso ancora decidere di mia volontà,» continuò Tyler. Le sembrò talmente sincero che dissipò ogni suo minimo dubbio. Il telefonino di Jeremy squillò e il ragazzo si alzò, allontanandosi di poco e volgendo le spalle ai presenti. Nicole lo guardò, sospirando leggermente. Era tutto così orribile. Jeremy non poteva essere cambiato così tanto in sua assenza e gli attacchi di Elena erano troppo duri da affrontare. La famiglia come se la ricordava lei non esisteva più oramai. Quel pensiero le fece chinare il capo e velare gli occhi di lacrime. Sentì lo sguardo di Tyler su di sé, era dispiaciuto di vederla triste e le rivolse un timido sorriso rassicurante. Si sedette ed Elena fece lo stesso, vedendo tornare suo fratello. Tyler si alzò e si congedò, guardando soprattutto lei e Jeremy. Subito dopo Elena e Alaric si alzarono, tornando a cucinare, mentre Nicole aprì il frigo cercando una birra, o qualcosa di forte, che non riuscì a trovare. Chiuse lo sportello con uno sbuffo annoiato e guardò verso il tavolo. Jeremy non c’era più. Al suo posto, nel piatto fondo, brillava il suo anello. Elena se ne accorse un secondo dopo e chiamò il suo nome sorpresa di non trovarlo più lì.
« Dov’è andato? » continuò incredula, prendendo il suo anello tra le dita.
« Non è idea,» mormorò Nicole preoccupata. Percepiva qualcosa di sbagliato, proprio come durante la notte dell’Illuminazione, un tragedia che stava per accadere dinanzi ai suoi occhi. Però questa volta non aveva come protagonista un conoscente, bensì suo fratello, il suo piccolo Jeremy. Seguì velocemente Alaric ed Elena fuori dalla casa e lo vide in strada, come se stesse attendendo qualcosa, o qualcuno. Solo che era totalmente insensato. I suoi occhi era fissi dinanzi a sé e non si voltò quando Elena lo chiamò. Scese le scale del pianerottolo al fianco di Alaric e lo osservò confusa, poi un barlume di consapevolezza illuminò le sue iridi quando vide sfrecciare una macchina a tutta velocità verso suo fratello. Notò che i due stavano correndo, urlandogli di spostarsi. Lei non ne aveva la forza mentre il battito le si accelerava. Dopo, scossa da una voce, che assomigliava talmente tanto a quella di nonna Elizabeth da turbarla nel profondo, corse raggiungendo sua sorella mentre Alaric continuava, scostandolo appena in tempo. Gli salvò la vita. Un fragore agghiacciante le occupò il campo udito e sgranò gli occhi chiari, il respiro si fece più corto e accelerato. L’impatto era stato violentissimo e vide il corpo di Alaric rotolare per molti metri prima di fermarsi. Trattenne il fiato, sconvolta, e corse verso Jeremy, mentre Elena verso Alaric. Si inginocchiò al fianco e gli prese il volto tra le mani. Sembrava ancora più scombussolato di lei. Gli guardò gli occhi. Le iridi occupavano tutto l’occhio e scosse il capo. Era stavo evidentemente ammaliato. Ma chi avrebbe mai potuto desiderare la morte del suo fratellino? Chi poteva essere tanto malvagio da fargli del male?  
« Stai bene? » domandò con un filo di voce, terrorizzata. Jeremy annuì e insieme corsero verso Alaric ed Elena. Il professore aveva l’anello, sarebbe sopravvisuto, fortunatamente. Tirò un sospiro di sollievo.

« Chi era prima al telefono? » chiese Elena, sfiorandogli la guancia candida. Jeremy la osservò confuso prima di rispondere, prima di annientare ogni suo sentimento.
« Era Klaus.»

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Capitolo 15
*** This is the problem: I've already done it ***


15 cap

Capitolo 15

This is the problem: I’ve already done it

Era stato Klaus. Quella consapevolezza la impietrì, impedendole di percepire ogni altra parola, ogni altra sensazione. Aveva ordinato a Jeremy, al suo fratellino, di lasciarsi mettere sotto da un’auto in corsa a tutta velocità guidata da un suo ibrido. Lacrime amare, colme di asperità, tristezza e afflizione le velarono gli occhi resi più scuri dall’ira crescente. Si era fidata di lui, dell’ibrido folle che voleva assoggettare l’intera Mystic Falls con il suo esercito di abominevoli creature. Si era fidata cotanto di lui da baciarlo, da stringerlo a sé, da scherzare con lui, da offrirgli tutta se stessa con le proprie carezze, i sorrisi, i baci. Era stata una sciocca, si sentiva immensamente tradita, così tanto da stringere i pugni. Tradita. Un’altra volta. Solo che bruciava maggiormente. Se era stata in grado di perdonare Tyler, non era certa che l’avrebbe fatto con Klaus. Tyler non aveva ucciso suo padre e sua zia. Tyler non aveva tentato di uccidere suo fratello. Tyler non aveva minacciato tutta la città. Tyler non le aveva fatto mancare la terra sotto i piedi con uno solo sguardo. Tyler non l’aveva fatta sentire in Paradiso con un solo bacio.  Tyler non l’aveva consolata con una sola carezza.
« Nicole,» la chiamò sua sorella. La sua voce, preoccupata e, al contempo, incollerita, proveniva da un luogo irraggiungibile, ovattata da quei pensieri che le stavano logorando l’animo. Non avrebbe mai dovuto farlo entrare nella sua vita. Non avrebbe mai dovuto permettere a un altro uomo di ferirla. Percepì le braccia di sua sorella posarsi sulle sue spalle e scuoterla prima con delicatezza poi con forza, quando non volle dar loro la giusta importanza. Tornò al presente. L’avrebbe ucciso, gliel’avrebbe fatta pagare. Non s’era accorta di aver serrato gli occhi sino a quando non li spalancò per incontrare quelli scuri di sua sorella. Era indispettiti, inquieti, ricolmi di nervosismo e afflizione. Erano ancora inginocchiati sul cadavere di Alaric, però Jeremy ed Elena erano in procinto di issarsi in piedi per trasportarlo all’interno della casa, « Non puoi stare davvero dalla sua parte,» bisbigliò incredula prima di aiutare suo fratello nel sollevarlo. La giovane annuì, inviperita, e si alzò velocemente, serrando i pugni e assottigliando lo sguardo.
« Non più, Elena,» soffiò prima di avanzare velocemente verso casa. Sulla consolle era poggiate le chiavi della macchina di sua sorella. Le afferrò prontamente e si scostò per lasciar passare i suoi fratelli, poi uscì. Percorse il vialetto e mise in moto mentre una lacrima le rigava la guancia arrossata per la vergogna e la foga. Guidò per le vie della città senza nemmeno rendersi conto di ciò che stava facendo. Era così arrabbiata da sembrare una Furia. La sua parte più razionale sperava che nessuno potesse vederla, riconoscerla, perché nei suoi occhi non avrebbe visto altro che collera infinita, che le infiammava lo sguardo limpido rendendolo ancora più brillante, e odio. Rancore nei confronti di se stessa, di lui, di chi le aveva mentito ancora una volta mentre le diceva che non avrebbe mai fatto del male alla sua famiglia, di sua sorella stessa, poiché aveva ragione. In Klaus era impossibile confidare, aver fede che potesse ancora nutrire qualcosa di vero e profondo nei confronti di una persona, foss’essa quella più autentica e vera nell’intero universo, e Nicole sapeva di non esserlo, sebbene si esprimesse sempre secondo quella che era la sua verità, nonostante tante volte le avesse arrecato più maldicenza che onori. Pianse ancora, durante tutta la durata del viaggio, le mani tremanti sul volante, tentando di non compier alcun incidente e scontrarsi contro le poche macchine dinanzi a lei. Parcheggiò dinanzi all’enorme e grandioso palazzo bianco e discese, chiudendo lo sportello con un tonfo fragoroso che fece gracchiare, per il malcontento, un corvo poco distante.  Si asciugò le lacrime rimanenti, tentando di non ferirsi e arrossare la pelle, con la manica della felpa che non aveva avuto il tempo di sfilarsi. Si passò una mano tra i capelli, poi avanzò, fiera, con il capo alto e pieno d’orgogliosa ira, controllata, verso l’interno. Dovevano aver incominciato a ristrutturarla poiché percepiva dei rumori soprattutto nella sala e ai piani superiori. Vide Tyler uscire, però lui non si accorse di lei, intento a rimuginare su ciò che a lei non era dato sapere. Mikael non era più sul tavolo dove lo aveva poggiato Klaus la sera prima e lo cercò con lo sguardo mentre alcuni muratori l’osservavano senza dir nulla, ammaliati da qualche ibrido per compiere quel lavoro. Lo trovò in una piccola stanza laterale, in una bara di noce dagli interni candidi e scosse il capo, avvicinandosi a lui. Si chinò e notò che aveva gli occhi chiusi.
« Mikael,» lo chiamò incerta, a bassa voce, per non turbare il suo sonno. L’Originale li spalancò prontamente, mostrandole che era sveglio. Stava progressivamente perdendo la propria lucentezza glaciale. Aveva fame, e tanta, però Nicole sapeva che non era di umani che lui si nutriva, solo di vampiri. Sebbene la strega fosse totalmente certa che non disdegnasse qualche licantropo, seppur raro in quell’epoca.
« Nicole Bishop,» la salutò divertito, volgendo il capo verso di lei, « Potresti gentilmente allontanarti? Devi esserti ferita poiché proviene del sangue dalle tue vesti,» le comunicò gentilmente. Nicole obbedì, subito, e arretrò di un solo passo, continuando a guardarlo. Mikael la ringraziò con un piccolo sorrisetto, una lieve increspatura delle labbra sottili, e Nicole inclinò il capo.
« Non è mio, » mormorò atona, portandosi un boccolo dietro l’orecchio e volgendo il capo verso l’uscita, percependo uno sguardo fisso su di sé. Incontrò quello limpido di Klaus e assottigliò il proprio, indispettita. Serrò i pugni e schiuse le labbra. L’ibrido sembrò sorpreso da quella reazione e la guardò interrogativo, « Come hai potuto? » gli domandò mesta e, al contempo, irata, negli occhi nuove lacrime che obbedirono e non le inumidirono le guance.
« Non prenderla sul personale, sweetheart. Non era contro di te, ma contro tua sorella e i Salvatore. Voglio Rebekah, e la mia famiglia, e loro me l’hanno rubati,» le spiegò avanzando verso di lei. Le fu davanti in un lampo e guardò oltre, verso il suo patrigno.
« Perché Jeremy? Perché mio fratello? Perché? » chiese incredula, la voce più acuta di un’ottava, poi venendo scossa da un singulto. Tremava e faticava a mantenersi in piedi, ma non avrebbe ceduto, sebbene, vedendo gli occhi preoccupati per lei di Klaus, il suo cuore si rifiutasse di attaccarlo e ferirlo. La sua anima l’aveva già perdonato, ma la sua mente no e voleva combattere. Klaus le poggiò le grandi mani candide sulle braccia distese lungo i fianchi, però Nicole lo scostò da sé, « Non osare toccarmi, Klaus,» continuò più arrabbiata, ferita, arretrando di un altro passo. Klaus schiuse le labbra per la sofferenza che quelle parole gli avevano causato, poi chinò il capo e poggiò la mano sul legno scuro della bara. Subito dopo si volse, ancora più incollerito di lei, e la osservò con gli occhi assottigliati e inviperiti.
« Sai cosa, Nicole, non m’importa se sei arrabbiata con me. Sono stanco di questa città, di queste insulse personince e delle loro vitucce prive di senso,»  esclamò irato, spalancando le braccia, poi rise allegro, avvicinandosi a lei e sfiorandole solo con i polpastrelli i fianchi. Nicole non indietreggiò e non si sottrasse, ma lo guardò interrogativa e incerta sulle sue intenzioni, « E anche tu, dolcezza. Non mentire. Potresti avere molto di più di questo. Ti ho vista, Nicole Gilbert,» continuò con più sentimento, quasi sussurrandole quelle parole come se fossero un segreto tra loro, un segreto che non poteva essere svelato, come tra due amanti. Quel pensiero la fece arrossire, avvampare persino, e scosse il capo, deglutendo.
« Ti sbagli, Klaus. Non ho mai pensato questo di Mystic Falls, dei miei amici, della mia famiglia. E, anche se tante volte ho pensato di odiare questo piccolo mondo, in tutta onestà, ho sempre saputo che questa era la mia casa. Che solo qui posso realmente essere felice,» bisbigliò, abbassando lo sguardo, abbandonandosi a Klaus e alle sue mani che la cullavano delicatamente, « Perché qui non sono sola e non lo sarò mai. Perché, anche se io ed Elena litighiamo, so che ci saremo sempre l’una per l’altra pronte a consolarci e a ridere dei nostri sciocchi diverbi. Perché, anche se Jeremy sa che non siamo davvero le sue sorelle, ci ama e ci proteggerebbe da ogni pericolo, stando al nostro fianco sempre e comunque, a qualsiasi costo,» continuò in un mormorio dolce e pieno d’affetto. Era vero ed era stata in grado di comprenderlo solo in quel momento. Erano una famiglia. Sebbene i loro genitori fossero deceduti e non sarebbero mai più tornati, loro potevano rimanere uniti contro ogni avversità grazie al bene che nutrivano gli uni nei confronti degli altri. Sorrise, tra sé, poi alzò lo sguardo per incontrare quello serio e austero di Klaus. Sembrava che quelle parole l’avessero turbato.
« Perdonatemi di interrompere questo momento altamente sentimentale,» esordì Mikael, rammentandole che non erano soli in quella stanza, « Però avrei preso la mia decisione, Miss Gilbert,» continuò gentilmente. Nicole annuì e Klaus la lasciò libera di avvicinarsi maggiormente alla bara, « Voglio rivedere i miei figli,» esclamò serio, con voce greve e profonda, « Prometto di adempiere alle tue condizioni. Non farò del male agli abitanti di questa città, alle persone a cui tieni e a Niklaus,»  proseguì, poi fece una breve pausa prima di ricominciare, « Ma necessito di un tuo favore, sebbene comprenda di non essere nella posizione migliore per trattare un affare,» mormorò arcuando le sopracciglia, come per domandarle il permesso. Nicole annuì e percepì la mano di Klaus sulla sua schiena, come per infonderle forza, « Voglio che tu convinca Niklaus nel darti la possibilità di riportare in vita la mia Esther,» concluse mestamente, negli occhi un’espressione colma d’amore e affetto tanto da intenerirla.
« No, non se ne parla. Lei non tornerà qui. Non accettare, Nicole. Sono tutte menzogne, non puoi fidarti di lui. Mente,» esclamò Klaus, scuotendo il capo con foga e decisione. Nicole lo osservò incerta e schiuse le labbra.
« Perché non vuoi riportare in vita tua madre, Klaus? Sono sicura che sarà pentita di ciò che ti ha fatto e tu avrai la possibilità di scusarti con lei per averla uccisa,» sussurrò, sfiorandogli il braccio.
« Mia madre non è una brava persona, Nicole. Riportarla qui sarebbe un errore da parte tua,» l’avvertì, osservandola profondamente negl’occhi, tentando di imprimere quel concetto nella sua mente. La ragazza chinò il capo.
« Non importa, Nicole Bishop. L’importante rimane la tua parola. Ho sentito dire che rassomigli ad Elijah, da questo punto di vista, e ciò ti offre molto onore. Non ho mai conosciuto un uomo più virtuoso del mio figlio maggiore, più ligio alla parola data. In tutta onestà, tutti i miei figli hanno delle qualità che li rendono unici,» le rivelò con affetto. Nicole sorrise brevemente e annuì.
« Ne sono pienamente certa. Mi piacerebbe incontrarli. Rebekah è davvero una ragazza unica, si nota. Spero solo che i Salvatore comincino a collaborare per la pace. Mystic Falls è stanca della guerra. La natura me lo fa percepire in ogni modo possibile e si ribellerà se verrà ancora provocata,» mormorò socchiudendo gli occhi prima di sospirare lievemente. Subito dopo distese le mani dinanzi a sé, « Ho la tua parola, Mikael?»
« Lo prometto,» le confermò l’Originale. Chiuse gli occhi del tutto, annuì e cominciò a formulare l’incantesimo che avrebbe potuto liberarlo dalle catene. Si portò, poi, le braccia al petto e spalancò lo guardo sentendo il fragore delle catene sbattere contro il legno. Mikael si era messo a sedere e stava discendendo dalla bara elegantemente, osservandola con un sorriso soddisfatto. Aveva delle bruciature su tutte le vesti, causate dalla verbena e Nicole abbassò gli angoli delle labbra in un’espressione dispiaciuta. Non avrebbe dovuto ferirlo in quel modo, però l’incantesimo prevedeva la massima sofferenza per un vampiro e non aveva potuto sottrarsi alle regole imposte dalle sue antenate, « Ti ringrazio per la tua lealtà, Nicole Gilbert,» mormorò porgendole la mano che prontamente Nicole strinse, poi si rivolse al figliastro che l’osservava con le braccia incrociate al petto e un’espressione che gli induriva i bei tratti del volto, « Ora, Niklaus, dobbiamo riprenderci la nostra famiglia,» esclamò leggero.
« Stefan ha nascosto le bare. Ho mandato qualcuno a pedinarlo, l’hanno ucciso. Forse avrei dovuto mandare Tyler. Avrei avuto la certezza di vederlo tornare,» aggiunse guardandola in tralice, come se fosse stata colpa sua, « Tu hai un’ascendente su Stefan Salvatore, Nicole,» continuò più lieve e divertito. Nicole schiuse le labbra e aggrottò le sopracciglia, confusa da quell’affermazione.
« Ti sbagli, non ho alcun ascendente sui Salvatore e sono certa che Elena non lo sappia. Non avrebbe mai messo a rischio la vita di Jeremy se ne fosse stata a conoscenza e poi io e Stefan non abbiamo mai molto parlato. Questo nuovo Stefan è totalmente differente da quello di cui mi ha parlato mio padre,» lo interruppe quasi infastidita da quella frase. Non ne conosceva la ragione, però non le piaceva che Klaus pensasse una cosa del genere, non di lei. 
« Possiamo occuparcene noi due, Niklaus. La ragazza ha già fatto abbastanza per la nostra famiglia,» esclamò Mikael rassicurante e bonario. Klaus annuì, poi un suono squassò l’aria. Estrasse il cellulare e aggrottò le sopracciglia, ironicamente divertito.
« Forse l’altra sorella può aiutare,» affermò caustico prima di rispondere, « Elena, cara, sei diventata ragionevole e hai deciso di dare una mano per la causa? » le domandò allegro. Nicole non percepì la risposta di sua sorella, ma dal sorriso spensierato di Klaus comprese che doveva essere stata positiva, « Casa Salvatore? Vengo subito. Non bisogna far aspettare la famiglia,» concluse prima di interrompere la chiamata e chiudere la comunicazione. Nicole lo guardò, però lo sguardo di Klaus era puntato sul suo patrigno, come per domandargli se dovesse andare con lui. Mikael scosse il capo impercettibilmente e si avvicinò a Nicole.
« Vai tu, Niklaus. Io e la signorina Bishop abbiamo una commissione da compiere,» aggiunse osservando la ragazza che aveva aggrottato le sopracciglia.
« Quale? » domandò incerta, inclinando il capo in direzione dell’Originale.
« Dobbiamo recuperare alcuni Grimori della tua cara nonna, Elizabeth Bishop. Molti tendono a ricordare solamente la straordinaria Khloe, però tua nonna non è stata da meno,» esclamò l’Originale annuendo con serietà. Nicole tremò lievemente, senza darlo a vedere, poi scosse il capo. I Grimori di sua nonna era pregni di magia e non sarebbero mai dovuti finire nelle mani sbagliate o si sarebbe sprigionato l’Inferno più nero, la magia più oscura e inesplorata, malvagia e originata dal diavolo in persona per i suoi loschi scopi di adescamento e corruzione del genere umano. Non avrebbe mai potuto permettere a un vampiro di utilizzarli per i propri fini. Sua nonna non l’avrebbe mai accettato e non poteva andar contro le sue antenate o si sarebbero scatenate delle conseguenze irreversibili.
« Mia nonna ha cresciuto i suoi due figli senza l’aiuto di nessuno. Non ha mai avuto tempo per gli incantesimi,» mentì soltanto in parte. Aveva fatto un patto con Mikael, però non prevedeva che lei gli mostrasse tutti i più intimi segreti della sua famiglia. Era totalmente fuori discussione. Mikael le sorrise, una lieve increspatura delle labbra sottili, negli occhi glaciali un’ombra di prematura collera.
« Però è da lei che hai appreso la stregoneria, Nicole,» soffiò leggero, inchiodandola con quello sguardo disarmante. Comprendeva Klaus e la sua paura. Come se l’avesse chiamato, l’ibrido le si fece più vicino sfiorandole il fianco per farle intendere che non le sarebbe accaduto nulla, che l’avrebbe protetta lui da Mikael. Quel pensiero l’avrebbe fatta arrossire, avvampare per l’imbarazzo e l’inadeguata gioia, in un altro momento, però non dinanzi a Mikael, « Ti prometto che l’incantesimo che desidero non va in contrasto con il nostro patto. Sono una persona d’onore, Nicole. Non mai venuto meno alla parola data prima d’ora. E Niklaus può confermarlo,» aggiunge più malevolo, osservandolo in tralice. Nicole si volse a guardarlo, non per averne conferma, bensì poiché si era mosso inquieto vicino a lei. Aveva un sorriso falso e rigido sul bel volto e gli occhi erano velati da un’ombra di pura rabbia.
« Sì, mi ricordo benissimo la promessa che mi avresti dato la caccia fino a quando non mi avessi staccato il cuore dal petto proprio come io avevo fatto con la mamma, padre,» esclamò lieve, sebbene fosse presente nel suo tono una leggera nota d’ira. Nicole gli si fece più vicino per farlo calmare, totalmente dimentica di tutto quello che Klaus le aveva fatto quel giorno tentando di uccidere Jeremy. In quel momento era quasi passato in secondo piano e si domandò se non fosse totalmente ammattita. La sua famiglia non poteva venir messa al secondo posto da Klaus. Era impossibile. Però una parte di lei sapeva che era al fianco di Klaus, e non di Elena o Jeremy, che voleva veramente essere in quel momento, perlomeno, e quella consapevolezza la fece tremare. Se Klaus aveva acquisito quel potere su di lei, se Nicole stessa gli aveva permesso di penetrare in quel modo nella sua anima, allora non v’era altra soluzione.
« Deciderà tua madre, Klaus. Darò a lei libera scelta, però tu ben conosci la sua anima buona e pura e sai che non sarebbe mai capace di uccidere un suo figlio, sebbene sia il peggiore che si possa desiderare,» soggiunse mefistofelico, nonostante nei suoi occhi vi fosse un’espressione mesta e triste.
« Sono pronta, Mikael,» interruppe quella discussione che stava facendo soffrire entrambi. Carezzò lievemente la mano che Klaus aveva poggiato sul suo fianco e gli sorrise rassicurante.
« Mi scuso per tuo fratello. Non era parte del piano e ti avevo promesso che non avrei fatto del male alla tua famiglia. Però comprendimi, Nicole, nella tua infinita bontà di cuore. I Salvatore mi hanno rubato l’unica cosa che per me conta,» mormorò dispiaciuto. Nicole annuì, seria, e assottigliò lo sguardo limpido.
« Se non ci fosse stato Rick, mio fratello sarebbe morto e tu con lui, Klaus. Voglio che questo ti sia chiaro. Non m’importa che tu sia un ibrido immortale e indistruttibile. Avrei trovato il modo per ucciderti, stanne certo. Nessuno tocca i miei fratelli,» aggiunse mentre l’ombra della tristezza le occupava lo sguardo azzurrino e profondo, « Sebbene loro mi trattino come la peggiore delle persone sulla faccia di questa Terra. Mio fratello mi urla contro, mia sorella mi accusa, però tutto questo va bene perché non sono stata qui per due, lunghissimi, anni. Non ho potuto star loro vicino quando sono morti mamma e papà, quando è morta la zia Jenna e quando è morto papà perché era sbagliato rimanere a Mystic Falls. Però adesso sono tornata e sarà diverso, tutto. Ho intenzione di recuperare la mia famiglia, ho intenzione di far ritornare quel vincolo che prima ci legava e ci avrebbe fatti morire gli uni per gli altri. Perché noi siamo ancora una famiglia e non posso credere che siamo riusciti a dimenticarlo così, di colpo,»  aggiunse scuotendo il capo chino. Erano rivolte a se stessa quelle parole, più che a Klaus, però l’ibrido annuì comunque. Mikael era uscito mentre parlava e la stava aspettando fuori, forse per lasciarli soli. Klaus le posò l’indice sotto al mento, sollevandolo lievemente. Negli occhi di Nicole brillavano le lacrime che a stento era in grado di trattenere mentre in quelli di Klaus v’era solo dispiacere. Le carezzò lievemente le labbra esangui e avvicinò i loro visi, posando la fronte sulla sua. I respiri si unirono, quello accelerato di Nicole e quello più rilassato di Klaus.
« Perdonami, se puoi, Nicole,» sussurrò lievemente. Le sarebbe parsa impercettibile quella preghiera se non l’avesse avuto cotanto vicino. Nicole chiuse la mano a coppa sulla sua guancia e sospirò. Poggiò le labbra su quelle di Klaus in un bacio appena accennato, poi si scostò, subito dopo.
« È questo il problema, Klaus: io l’ho già fatto,» mormorò con gli occhi chiusi prima di arretrare di un solo passo e sospirare ancora.  Percepì le labbra di Klaus che premevano gentilmente sulle proprie, le sue mani sulla guancia e tra i capelli, il suo corpo a un soffio dal proprio. Non avrebbe dovuto permettergli di baciarla, però era talmente innocente e puro il loro contatto da impedirle di bloccarlo. Si abbandonò a lui, tremando per l’emozione, però quella magia durò solo un attimo. Klaus si scostò di poco, carezzandole per l’ultima volta la guancia lievemente arrossata. Nicole aprì gli occhi e notò il suo sorriso dolce e rassicurante.
« Non è un problema e spero che tenterai di comprenderlo, di accettarlo perché io non mi arrenderò, non con te,» le comunicò in un sussurro appena percettibile, ma che arrivò forte e nitido alla sua mente, poi scomparve velocemente dalla sua vista. Nicole si sfiorò le labbra lievemente gonfie, meditabonda, poi scosse il capo, arrossì e si diresse a passo svelto verso l’uscita, con ancora il battito accelerato e il respiro corto. Mikael l’attendeva elegantemente appoggiato sullo sportello del passeggero della macchina di sua sorella, lo sguardo divertito e un lieve sorriso. Nicole avanzò verso quello del guidatore e gli fece cenno di accomodarsi. Le chiavi erano già in macchina e mise in moto, tornando in città e percorrendo la via centrale. Non aveva azionato l’autoradio per timore che a Mikael non potessero piacere quelle nuove canzoni e l’Originale le sembrò grato. Osservava il paesaggio mentre Nicole guardava lui con la coda dell’occhio. Era calmo, tuttavia la sua aura non emanava pacatezza, bensì inquietudine e senso di attesa. Quando si volse a guardarla, Nicole tornò ad osservare totalmente la strada.
« Non vedo Niklaus tanto legato a una persona come lo è con te da innumerevoli secoli,» le comunicò asciutto, atono, non un’emozione nella sua voce. Nicole arrossì, poi scosse il capo, « Solo Rebekah ed Elijah avrebbero potuto parlargli in quel modo senza incorrere nella sua ira,» soggiunse più divertito e leggero.
« Sono stata abituata a dire sempre la verità, Mikael, anche se spiacevole,» affermò con voce dura e impassibile, inclinando il capo verso di lui.
« Si nota che hai un bel caratterino, Nicole Gilbert. Sei molto diversa da Tatiana,» aggiunse meditabondo. Nicole aggrottò le sopracciglia dorate e si volse per guardarlo confusa.
« Chi è Tatiana?» domandò incerta, voltando verso la strada delle villette a schiera che portava al Wickery Bridge. Quella di sua nonna era poco distante dalla dimora dei Salvatore e, da quando era morta, Elena si occupava della casa, ripulendola ogni domenica. Non avevano voluto affittarla, o venderla, perché, in verità, apparteneva a Nicole. Era espressamente scritto nel testamento il suo di nome, non quello di Grayson o di John, il suo, sebbene non fosse ancora maggiorenne.
« Non te ne ha parlato? Comprensibile. Niklaus odia parlare di lei come, del resto, anche Elijah. Tatiana Petrova, o Tatia, è stata la prima doppleganger. Ha fatto innamorare entrambi e molti ragazzi del villaggio. In tutta onestà, mia moglie la odiava e Bekah anche. Niklaus ed Elijah hanno molto litigato, tante volte arrivando persino alle mani, per lei, anche se, debbo ammetterlo, Niklaus era quello più innamorato,» affermò prima di ridere brevemente mentre Nicole parcheggiava nel vialetto. Klaus aveva amato una ragazza che aveva le stesse sembianze di sua sorella. Quel pensiero l’indispettì, ma non lo diede a vedere all’Originale.
« E chi riuscì a raggiungere il suo cuore?» domandò incuriosita e leggera per non fargli comprendere la propria irritazione e gelosia, in qualche modo. Sebbene non avesse dovuto esserlo, Nicole era davvero gelosa di quel ricordo del passato e sapeva che Mikael glielo aveva raccontato di proposito. Klaus le aveva solamente accennato di essersi innamorato in passato, sotto sua esplicita richiesta, ma non le aveva raccontato chi fosse la giovane di cui si era invaghito. Scese dalla macchina e l’Originale fece altrettanto. Sollevò il sopracciglio destro e abbassò gli angoli delle labbra in un’espressione di sufficienza.
« Nessuno dei due, in realtà, sebbene io creda che alla fine, dopo aver smesso di giocare, non avrebbe scelto nessuno dei due. Non li amava veramente, la sua mente era rivolta a un altro, il padre di suo figlio, probabilmente. Esther utilizzò il suo sangue per farci divenire dei vampiri. Non ne fu mai molto dispiaciuta,» asserì. Nicole fu turbata da quell’affermazione. Forse Klaus aveva ragione su sua madre. Avrebbe dovuto far attenzione. Si avvicinò all’ingresso della piccola villetta bianca con un portico di legno d’acero dinanzi a sé. Una vicina, la signora Jessica Kennedy, una donna sulla trentina che abitava lì con suo marito e suo figlio adottivo, era appena uscita dalla propria e la salutò con la mano e un sorriso dolce. Nicole ricambiò prontamente.
« Cara, Elena mi ha lasciato le chiavi qualche giorno fa, dicendomi che eri tornata,» le comunicò percorrendo velocemente il cortile che separava le due villette.
« Grazie, signora Kennedy. Va tutto bene? Il signor Kennedy e Dean? » domandò gentilmente prendendo il mazzo di chiavi che la signora dagli occhi azzurri le stava porgendo. Jessica sorrise, illuminando le gote paffute, poi si scostò un ricciolo color rame dagli occhi e annuì.
« Mio marito è fuori città, è andato a Richmond. Sai, il lavoro gli porta via tanto tempo, mentre Dean ha incominciato a frequentare il college. L’hanno accettato alla Duke e lì studia medicina. Siamo molto fieri di lui,» esclamò orgogliosa e felice. Nicole annuì e sorrise dolcemente. Dean era un bravo ragazzo, lo conosceva bene. Da piccolo aveva perso entrambi i genitori in un incidente d’auto e i Kennedy lo avevano accolto con gioia nella loro casa priva di risate infantili per la sterilità del signor Kevin. Aveva un paio d’anni in più rispetto a lei ed erano sempre stati molto amici poiché sua nonna soleva fargli da babysitter quando i genitori lavoravano.
« Lo credo bene. Gli porga i miei più sinceri complimenti e i miei saluti. Spero di rivederlo presto,» mormorò prima di inserire la chiava nella toppa. Jessica annuì, la salutò e si diresse verso casa. Mikael era stato in silenzio, si era quasi estraniato dalla scena per lasciarle spazio, e Nicole lo ringraziò con lieve sorriso. Schiuse la porta di casa e respirò profondamente, facendo un passo, « Puoi entrare, Mikael,» lo invitò gentilmente. L’Originale si chiuse la porta alle spalle e avanzò guardandosi intorno. Era molto simile a casa loro, solo che la carta da parati scura con dei disegni floreali bianchi ricopriva ogni muro e le scale erano di legno di ciliegio. Dopo un breve corridoio v’erano due spazi, uno dedicato alla cucina e l’altro al salone rettangolare. Nicole lo fece accomodare in quest’ultima stanza e Mikael si sedette su uno dei due divani di pelle bianca dinanzi al tavolino di cristallo da dove poteva scorgere una modesta libreria e la cucina. Nicole si diresse verso il minibar accanto al camino di marmo bianco, prendendo una bottiglia di Absolut Vodka.
« Gradisci qualcosa? » gli domandò cordialmente. Mikael scosse il capo e Nicole bevve un bicchierino prima di avanzare verso la consolle. Aprì il cassetto centrale e prese una minuscola chiave dorata, poi scostò il tappeto circolare, persiano, dai disegni geometrici color porpora, dinanzi al camino, rivelando una botola marroncina con un piccolo catenaccio di ferro. Si chinò e l’aprì, scoprendo uno spazio scuro e abbastanza lungo, poco profondo, che conteneva una decina di libri in tutto. Quelli erano solo alcuni dei Grimori delle streghe Bishop, gli altri era custoditi gelosamente in un luogo che non avrebbe rivelato neanche sotto tortura per il loro contenuto altamente delicato e oscuro, « Cosa vorresti fare, Mikael?»
« Dovresti sapere che il corpo di mia moglie fu conservato dalla strega Ayanna, una delle amiche più sincere che Esther potesse desiderare avere, da cui discende la tua amica Bonnie, grazie a un incantesimo mentre il suo cuore, l’essenza della sua vita, fu serbato da Rowena. Klaus la trasporta in una delle tombe contenenti i membri della nostra famiglia,» le raccontò, issandosi in piedi e avanzando verso di lei. Nicole incrociò le braccia al petto e lo osservò incerta.
« Avevi detto che avrei dovuto convincere Klaus, non agire alle sue spalle,» lo interruppe Nicole, scuotendo il capo con foga. Non l’avrebbe tradito.
« Non ti sto chiedendo di agire alle sue spalle, Nicole. Voglio solo mia moglie. Ho dato la caccia a Klaus per mille anni per vendicarmi quando, invece, sono stato io a ucciderla. Se non le avessi domandato di trasformarci in vampiri, se non avessi voluto superare i licantropi, saremmo rimasti umani. Klaus non si sarebbe mai trasformato e non avrebbe mai saputo di cos’era figlio. I miei figli, i miei bambini, non sarebbero stati costretti a uccidere per la fame, macchiando per sempre le proprie anime. Avrebbero avuto una famiglia, sarebbero cresciuti. Finn avrebbe sposato la sua Sage ed Elijah e Niklaus si sarebbero riappacificati. La mia Bekah avrebbe trovato un uomo che l’amasse e sarebbe stata felice. Kol sarebbe cresciuto,» esclamò tremante, con la voce instabile e il corpo scosso da singulti trattenuti. Nicole schiuse le labbra per lo stupore e mosse un passo verso di lui, sfiorandogli gli avambracci per consolarlo, sebbene il suo sguardo fosse vuoto, spento, non più glaciale, soltanto ferito da un passato che non avrebbe mai potuto cambiare, « Ho ostinatamente dato la colpa a Klaus, mentre è mia. Sono stato io a distruggere la nostra famiglia. Rebekah ha ragione,» mormorò mentre una lacrima gli rigava il volto segnato dalle rughe del tempo.
« Puoi cambiare le cose, Mikael. Non potete tornare a essere umani, questo è vero, però potete essere una famiglia. Dovete darvi una seconda possibilità,» sussurrò rassicurante. Mikael la guardò, per un solo istante, poi annuì e il suo sguardo tornò quello gelido consueto. Si allontanò e Nicole volse il capo ai Grimori, « Quindi l’incantesimo di Rowena mantenne Esther in vita, in qualche modo? »
« Sì, appena la bara verrà aperta mia moglie potrà ritornare in vita,» asserì l’Originale. Nicole annuì e incrociò le braccia al petto avanzando verso il divano, poi gli fece cenno di fare lo stesso. Si sedettero, l’uno di fronte all’altra.
« Non è soltanto a me che devi rivolgerti, Mikael. Per un incantesimo del genere ci vuole una linea di sangue, due streghe. Delle Bishop ci sono solamente io. Mia sorella non ha alcuna magia dentro di sé e mia nonna è morta. Hai bisogno delle Bennett. Seppur io Bonnie potessimo tentare, non sono certa che riusciremmo. Devi trovare la madre di Bonnie, Abby, per ricostruire una dinastia,» gli comunicò velocemente, accavallando le gambe snelle, osservandolo con serietà. Mikael annuì.
« Non v’è un modo per rimediare al male che io ho causato? » le domandò criptico. Nicole non comprese subito, aggrottò le sopracciglia dorate e schiuse le labbra per richiedergli spiegazioni, poi un barlume di comprensione le illuminò le iridi chiare e scosse il capo.
« Non ho abbastanza potere per farvi ritornare a essere umani, Mikael. Solo la strega che ha formulato l’incantesimo, può spezzarlo. Dovrai rivolgerti a Esther, sebbene non sia certa che potrebbe spezzarlo del tutto. È un incantesimo complesso, che ha richiesto l’aiuto di tutta la natura, delle quercia bianca soprattutto. Oramai non se ne trovano più. Temo sia impossibile,» ragionò dispiaciuta. Mikael annuì nuovamente poi si alzò.
« Ti ringrazio per il tempo che hai concesso alla mia famiglia. Questa volta Klaus non ha riposto la sua fiducia e il suo cuore in mani inadatte e bugiarde,» soggiunse tra sé facendola avvampare. Scosse il capo con foga e si issò in piedi avanzando dietro di lui verso l’uscita, dopo aver preso uno, il più vecchio, dei Grimori di sua nonna e aver richiuso la botola, celandola da sguardi esterni. Mise la chiave in tasca per sicurezza e continuò ad avanzare verso l’auto di Elena. Mikael non entrò quella volta, ma la guardò, incuriosito dalla sua reazione.
« Io non credo che,» esordì imbarazzata, carezzandosi l’avambraccio e chinando appena il capo per non dover osservare Mikael.
« Ti sbagli, Nicole. Tu non lo conosci bene come me. Niklaus deve provare qualcosa di forte per te, qualcosa che rende il suo animo logorato dal tempo e dall’ambizione nobile e puro. Tu sei quella purezza che gli è mancata per troppo tempo. A causa mia,» la interruppe afflitto. Nicole alzò lo sguardo, puntandolo nei suoi occhi.
« Tu non lo odi sul serio,» mormorò incerta, però speranzosa. Mikael scosse il capo e la osservò, gelido come mai le era sembrato, turbato da quelle parole.
« Non è mio figlio, ha ucciso mia moglie, è stato il frutto di una vergogna che mai mi ha abbandonato, però è solo un ragazzo solo. Ha bisogno di qualcuno che sappia amarlo.»

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Capitolo 16
*** Past never dies ***


16 cap

Capitolo 16

Past never dies


Mikael scomparve velocemente, sollevando il vento e facendo oscillare gli steli smeraldini dei piccoli fiori lilla del giardino ben curato di sua nonna. Era l’unica a non aver voluto optare per un prato inglese. Diceva sempre che era troppo austero e di voler colore nella sua vita, un panorama armonioso in una cittadina tranquilla del Sud. Nicole, quand’era bambina, pensava fosse più che giusto e adorava rincorrere le minuscole farfalle che giocavano coi petali. Poi era cresciuta e aveva imparato che la magia si sprigiona direttamente dalla natura, da ogni suo elemento. Il mondo era magico. Era quella la più grande verità che sua nonna le aveva insegnato quando aveva cominciato ad apprendere di essere una strega, a credere che potessero esistere delle creature sovrannaturali, che la stessa Mystic Falls fosse abitata da streghe e, in passato, quando il Consiglio non si era ancora del tutto formato, anche dai vampiri. Sua nonna le aveva raccontato che li avevano bruciati nella vecchia cripta dei Fell e che furono banditi dalla città. V’erano degli attacchi, ma marginali. Il Consiglio era sempre stato in grado di distruggerli e insabbiare tutto, facendo credere che fossero stati i lupi presenti nella zona per il loro sostentamento. Nicole era ancora capace di ricordare che, a soli quindici anni, sapeva già che il mondo non era quello che lei aveva conosciuto. Tremava per quella consapevolezza e sua nonna aveva fatto un passo indietro, sorridendo e rassicurandola che avrebbe potuto scegliere di dimenticare e continuare la sua vita normale, da consueta teenager americana, oppure accettare la sua natura e accogliere la magia dentro di sé, lasciando che l’irradiasse con i suoi raggi luminosi. Nicole Gilbert aveva scelto la seconda opzione e non se n’era mai pentita.

Tornata al presente, la giovane strega sospirò, scosse il capo e chiuse per un attimo gli occhi limpidi. Rimuginare sul passato la faceva soffrire perché quella calma pacatezza, quel mite candore, non sarebbe mai più tornato nella sua vita oramai costellata dalla magia, dalle doppleganger, dai vampiri, dai cacciatori. Dagli ibridi. Soprattutto dagli ibridi. Arrossì inconsapevolmente e sorrise, una live increspatura delle labbra sottili e a cuore. Dinanzi a sé rivide gli occhi meravigliosi di Klaus, le sue labbra che lambivano dolcemente le proprie, i suoi sorrisi, quegli appellativi ironici che prima l’avevano tanto irritata e indispettita mentre, conoscendolo meglio, essendosi avvicinata a lui, la facevano avvampare per l’imbarazzo e per qualcos’altro, qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Però, invece, era ben presente nel suo animo e una parte di lei ne era felice. Le parole di Mikael l’avevano scossa nel profondo perché rispecchiavano quella che era anche la sua realtà. Klaus non era l’unica persona sola e bisognosa d’amore. V’era anche lei. La sua vita era vuota e, allo stesso tempo, colma di afflizione proprio come quella dell’immortale e Nicole sapeva di aver bisogno di lui, di legarsi a qualcuno che non fosse la sua famiglia e che non fossero i suoi amici. Aveva necessità di altro, di qualcosa che fosse in grado di riempire quel vuoto che quei due anni le avevano lasciato in eredità. Scosse nuovamente il capo e spalancò lo sguardo. Non era bene che lei pensasse a certe cose, come se fosse una ragazzina. Oramai era adulta e doveva cavarsela da sola, sebbene la solitudine fosse la condizione che più aberrava. Non v’era mai riuscita, ad essere sola. Dopo tutto quello che le era accaduto, dopo essere fuggita da Mystic Falls in quella notte di primavera, ventosa e uggiosa, carica di nubi colme di pioggia, pianto del cielo stesso, era tornata due mesi dopo sulla porta della casa di John a Richmond, con le lacrime che le rigavano il viso pallido e sin troppo magro, che celava le sue solite forme rotonde, e una supplica negli occhi chiari. Voleva che la riprendesse con sé, che le donasse quell’affetto di cui si erano entrambi privati per troppo tempo. Ricordava ancora che suo padre, senza dir nulla, nemmeno sorridendo, l’aveva abbracciata, stringendola a sé e dicendole che oramai era al sicuro. Era a casa. La vibrazione del telefono la fece riaffiorare da quel nero oblio che era diventata la sua mente. Scosse il capo ed estrasse il cellulare. Non facendo attenzione a chi fosse l’interlocutore, accettò la chiamata.
« Pronto,» esclamò con la voce arrochita, come se non l’avesse utilizzata da innumerevoli attimi.
« Nicole, dove sei? Per favore, torna a casa,» sussurrò sua sorella. Sembrava sconvolta e piangeva. Schiuse le labbra, sorpresa da quel tono di supplica, e annuì sebbene non potesse vederla.
« Sì, tesoro. Adesso torno. Cos’è successo? Ti senti bene? Jer sta bene?» domandò preoccupata, aprendo lo sportello ed entrando in macchina.
« Ha tagliato la testa di un ibrido con una mannaia, Nicole. Lui non sta bene,» esclamò, la voce inframmezzata da dei singhiozzi trattenuti a stento e dei respiri troppo profondi. Nicole chiuse gli occhi e si abbandonò nel vano tentativo di respirare normalmente. Una lacrima le rigò il volto. Non era possibile. Non doveva permetterlo. Era la sua famiglia e nessuno doveva avere il potere di mutarla. Jeremy non era un assassino, Elena non era quella ragazza che aveva al telefono. Sua sorella non piangeva, sua sorella era forte, ragionevole, buona, gentile. Suo fratello era sensibile e dolce, creativo e con la risata pronta, divertente e introverso. E lei era quella combina guai, quella sincera, alle volte anche troppo onesta e ingenua, fiduciosa e sempre pronta ad aiutare la comunità. Non era possibile che fossero cambiati così tanto in quel minuscolo lasso di tempo.
« Non va bene, sorellina, lo so. Adesso faremo una bella riunione di famiglia e parleremo, tutti quanti, tutti insieme come una volta. Troveremo una soluzione. Insieme possiamo sistemare tutto. Te lo prometto, Elena,» sussurrò dolcemente, imprimendo in quelle parole una forza tale da farla sembrare vivide persino a lei. Si immaginò il sorriso appena accennato di sua sorella e il segno d’assenso. Chiuse la comunicazione senza un’altra parola e poggiò il telefono sul sedile del passeggero. Mise in moto e guidò per le vie poco trafficate di Mystic Falls mentre la sera copriva con il suo manto il panorama della cittadina, rendendola quasi una dimora incantata, come quella delle fiabe. A quell’ora la città pareva un luogo pacifico e a un estraneo sarebbe parsa una semplice e consueta cittadina del Sud come tante altre, quelle per le quali si era combattuto tanto per l’indipendenza dai Nordisti, come la piantagione di Tara in Via col Vento. Non era così. Chi vi abitava aveva imparato a conoscerlo bene. Non erano solo i vampiri e gli esseri soprannaturali a renderla anomala. Mystic Falls era differente perché era nata nel sangue dei vampiri e delle streghe. Sospirò. Quella città attirava morte e distruzione e non sarebbe mai cambiato. Parcheggiò nel vialetto e osservò il portico. V’erano ancora tracce di sangue che Elena stava lavando via. La porta era aperta e si poteva scorgere la luce che rischiarava il corridoio e la cucina. Poteva percepire delle voci. Una apparteneva a sua sorella, piangente e tremante nel tentativo di controllare le proprie emozioni. L’altra, probabilmente, se aveva inteso bene, era di Damon. Avanzò verso casa, attenta a non sporcarsi le scarpe e li vide in cucina, vicino al lavabo. Damon stava carezzando il volto di Elena, rassicurante, e le dava le spalle. Sua sorella avrebbe potuto vederla, ma il suo sguardo era tutto rivolto al vampiro dalla giacca di pelle nera. Non importava cosa dicesse, Nicole ne era sicura: Elena lo amava, e anche di più, a suo avviso, di quanto avesse amato Stefan. Solo non voleva ammetterlo, neanche a se stessa, perché sapeva cosa avrebbe comportato quella scelta. Non si trattava di lei, propriamente, ma dei due fratelli. L’uno avrebbe escluso l’altro e nessuno mai avrebbe mai potuto permettere che una famiglia si sciogliesse. Così Elena faceva finta e continuava ad andare avanti, ingaggiando la stessa battaglia che Katherine, a suo tempo, non aveva neanche provato a combattere. Lei li aveva amati ambedue, allo stesso tempo, ma non si era preoccupata di analizzare i propri sentimenti, non aveva avuto bisogno. Era una vampira immortale, non una ragazzina di diciotto anni appena compiuti. Era sempre stato Stefan per lei, sebbene la passione per Damon fosse potentissima. Aveva saputo scindere amore e desiderio. Poi aveva scelto entrambi, però non era quello il punto, almeno secondo lei. Sorrise timidamente quando gli occhi color nocciola di sua sorella si posarono su di lei. Elena ricambiò il sorriso e Damon si scostò dolcemente per poi volgersi verso di lei.
« Dov’è lui? » sussurrò imbarazzata, poggiandosi allo stipite della porta della cucina mentre anche Alaric entrava nella stanza, a braccia conserte, preoccupato dalla situazione.
« In camera sua,» le comunicò Elena avanzando verso di lei e sfiorandole l’avambraccio, « Perdonami per questa mattina. Io non pensavo veramente ciò che ho detto,» sussurrò dispiaciuta, la fronte contratta e gli occhi dolci pieni d’afflizione. Sua sorella sorrise e scosse il capo, carezzandole il volto.
« Invece sì, ma non importa perché siamo sorelle e tu hai ragione,» mormorò, interrompendola con un lieve sorriso negli occhi tristi e mesti, pieni di lacrime trattenute, « Sono tornata per John, non per Grayson e Miranda, e nemmeno per Isobel,» aggiunse a malincuore, volgendo lo sguardo verso Alaric che l’osservava assorto, « Non ti ho nemmeno salutata quel giorno. Dopo il funerale me ne sono semplicemente andata, come una codarda, meschina, una piccola idiota,» esclamò incredula dinanzi alla sua stessa viltà. Non le aveva nemmeno domandato come si sentisse dopo il sacrificio, se avesse bisogno di un abbraccio, se volesse mandarla al diavolo per quello che aveva fatto. Elena scuoteva il capo mentre lei parlava e piccoli suoni di diniego fuoruscivano dalle sue labbra schiuse.
« Non è vero, Nicole. E anche se fosse chi sono io per giudicarti? Volevi bene a John e, in tutta onestà, posso benissimo capirti. Avrei dovuto scusarmi con lui, prima che morisse per me. Gli ho chiuso la porta in faccia senza nemmeno tentare di comprenderlo e mi dispiace così tanto,» esclamò tremante mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo percorrendo la guancia olivastra e perdendosi lungo la linea del collo sino alla scollatura per nulla marcata della sua maglietta semplice. Nicole annuì e chinò il capo, lo sguardo sulle scarpe per non dover incontrare quello della gemella.
« Lui ti voleva bene, ci voleva bene, e…,» si bloccò. Non riusciva più a parlare. Le lacrime nostalgiche e pregne di dolore le velarono gli occhi e doveva ricacciarle indietro. Percepì le braccia di Elena cingerla dolcemente e si abbandonò al suo abbraccio delicato e lieve poggiando le mani sulla sua schiena.
« Dobbiamo occuparci di Jer adesso,» le sussurrò all’orecchio. Nicole annuì e si scostò debolmente, sorridendole.
« Cos’hai in mente? » domandò tranquilla. Elena deglutì e si morse il labbro inferiore arretrando di un passo per lasciarla libera.
« Allontanarlo da qui. Solo per un po’,» aggiunse quando sua sorella la guardò smarrita e sofferente, come se l’avesse appena pugnalata alle spalle. Nicole si allontanò e scosse il capo con foga.
« No, non puoi. Non accetterà mai di lasciarci e non puoi soggiogarlo, Elena. Ci odierà se lo verrà a sapere,» esclamò irata mentre meste lacrime le rigavano il volto. Elena scosse il capo e avanzò, sfiorandole il braccio, ma Nicole si scansò.
« È stato lui a dirmi di voler andare via da questa città, Nicole,» affermò con voce acuta e piena di afflizione, pregandola di riuscire a comprenderla. Nicole scosse nuovamente il capo e assottigliò lo sguardo, più indispettita. Non avrebbe mai mandato via suo fratello, il suo Jeremy, non quando si erano appena ritrovati.
« E tu gli credi? Elena, siamo nati e cresciuti qui. Questa casa è nostra. Questa città è nostra,» si corresse incredula dinanzi a quella decisione così sciocca e insensata, « Cosa credi che cambierebbe in un’altra città? Non riusciremmo mai a dimenticare,» sussurrò più calma, tentando di farla ragionare. Toccò a Elena arrabbiarsi  e nei suoi occhi sempiternamente calmi apparve una furia inimmaginabile che l’avrebbe fatta arretrare se si fossero trovate in un’altra situazione e fosse stata meno testarda e orgogliosa.
« Dimenticare? Tu parli di non riuscire dimenticare? Davvero? Non ci credo, Nicole. Non detto da te. Per due anni ti sei scordata della tua famiglia. Ci hai abbandonati proprio come fece Isobel, » esclamò inviperita come mai l’aveva sentita prima di quel momento. L’aveva appena paragonata a Isobel, alla madre che non aveva voluto occuparsi di loro e le aveva date in adozione quando erano solamente in fasce. Nuove lacrime le velarono gli occhi, ma, fiera, le ricacciò indietro, « Non avrei mai creduto di potertelo dire, ma davvero, Nicole, sei identica a nostra madre. E questo non è affatto un complimento,» aggiunse malevola e torva. Nicole serrò le labbra, gli occhi colmi delle fiamme dell’Inferno. La sua parte più ragionevole e pura ordinò alla sua magia di non intervenire per non far del male a sua sorella, però quella più passionale avrebbe voluto ferirla per farla soffrire proprio come stava patendo lei. Serrò i pugni e Alaric si mise tra le due, guardando dall’una all’altra per farle ragionare.
« Fai quello che vuoi, Elena. Ma quando tornerà a casa, è te che odierà e non me. Poi non venire a piangere tra le mie braccia. Io non ci sarò per te. Non ci sarò mai più. Mi hai ferita e non ho intenzione di starti ad ascoltare un secondo di più, » esclamò indispettita e mesta, « Io non ti ho abbandonata, non l’ho fatto con Jeremy. Credi quello che vuoi, » aggiunse quando la sentì sbuffare sonoramente, « Io sono stanca di te,» affermò prima di volgersi e avanzare verso l’uscita della casa, senza voltarsi indietro. Non l’aveva richiamata, nessuno l’aveva fatto, né Alaric né Elena. Non le importava più nulla di Nicole. Per Elena era come se fosse morta due anni prima. Non era che un’estranea ai suoi occhi e non l’avrebbe turbata oltre con la propria presenza. Sapeva comprendere quand’era indesiderata, Nicole, e non voleva essere un peso per nessuno, soprattutto per la sua famiglia. Se di famiglia si poteva ancora parlare. Se Elena avesse mandato via Jeremy, non l’avrebbe mai perdonata, anzi si sarebbe vendicata. Non le importava più ciò che suo padre le aveva fatto promettere in punto di morte. Lui avrebbe capito se fosse stato lì con lei, l’avrebbe appoggiata. Lei non poteva scegliere per tutti come se fosse stata la mamma. Guardò la macchina. Apparteneva a Elena. Scosse il capo con foga e si avviò a piedi, camminando per la via illuminata dalle luci dei portici, le mani nelle tasca della felpa. Faceva freddo quella sera autunnale e percepiva il gelo penetrarla sin dentro le ossa. Chinò il capo e si strinse maggiormente. Stava camminando senza una meta precisa, per la strada che conduceva al cimitero. Di sera aveva un’aria ancora più lugubre di quella che si ricordava. Posò la mano sul cancello, che cigolò sinistro, poi camminò verso la tomba dei suoi genitori adottivi, timorosa, guardandosi intorno. Se qualcuno l’avesse vista a quell’ora di notte, avrebbe sicuramente pensato male e aggravato una situazione che già di per sé non era molto felice nella città. Non v’era nessuno. Le lapidi, per la maggior parte di marmo bianco dalle scritte nere ed eleganti, brillavano come fari in quella notte illuminata da una luna meravigliosa. Tra qualche giorno sarebbe stata del tutto piena, la magia della natura catalizzata al massimo delle proprie possibilità, le creature delle tenebre libere di mostrarsi per ciò che erano. Le piaceva la Luna piena, soprattutto quando era più vicina alla Terra, la faceva sentire più sollevata e rinfrancata. Sorrise di quel pensiero e si accomodò sulla basa dell’angelo di marmo bianco di fronte alla tomba.
« Mamma, papà, » li salutò mestamente, sfiorando i loro nomi con la punta dei polpastrelli. La lapida era gelida e lacrime amare le velarono gli occhi. Tentò di trattenere, ma, traditrici, le rigarono il volto. Si portò l’altra mano sulle labbra per soffocare i singulti che le stavano squassando il petto. Non avrebbe più ricevuto risposta, non un sorriso, non un saluto, non una raccomandazione. Nulla. Quella consapevolezza le investì l’animo, stringendole il cuore in una morsa di pura afflizione. Non avrebbe mai più rivisto quel sorriso sghembo e timido che le rivolgeva sempre suo padre quando lo abbracciava. Non avrebbe più sentito la bella voce di sua madre, la sua risata di gioia, capace di rischiarare ogni giornata uggiosa. Non esistevano più. Era morti e non erano che polvere oramai, vane ceneri e ossa di quelle che erano state le due persone che le avevano voluto il più puro bene del mondo. Non avrebbe mai più potuto dir loro quanto bene nutrisse nei loro confronti, ringraziarli per essere stati dei così splendidi genitori sebbene lei ed Elena non fossero propriamente le loro figlie. Non aveva potuto dir loro addio. L’ultima parola che aveva pronunciato dinanzi a loro era stata un suono di assenso quando le avevano chiesto di tornare presto a casa perché quella sera era troppo fredda. Il gelo non aveva ancora abbandonato l’aria oramai primaverile di due anni prima, portando con sé una fitta coltre di neve alla fine di Febbraio. Nicole non sarebbe mai riuscita a dimenticare il bacio lieve di sua madre, l’ultimo che avrebbe mai ricevuto. Era quello consueto e la Nicole del passato non vi aveva nemmeno fatto caso. Aveva preso la porchette nera ed era uscita al fianco di Bonnie, Elena e Caroline, il tubino nero, di lana morbida, quello che aveva comperato a Richmond, che ben aderiva al suo corpo ancora puerile per certi versi fermandosi appena sotto il ginocchio. Lo zio John l’aveva portata nel più bel negozio di tutta la città e glielo aveva regalato per il suo ultimo onomastico. L’aveva indossato anche il giorno di Natale e lo zio le aveva rivolto un sorriso luminoso, quello che poche volte appariva sul suo viso ancora giovane. Quella luce occupava anche gli occhi azzurrini, i suoi stessi, quelli che aveva ereditato dalla nonna. V’era anche lei quel giorno. Era stato l’ultimo anno in cui tutta la famiglia si era riunita nella loro bella villa al lago. A nessuno importava se le sue acque si erano oramai ghiacciate e che il vento soffiasse gelido. Si erano riscaldati con il calore del camino e avevano trascorso lì una delle serate più felici che la Nicole del presente poteva serbare nella propria memoria. La mamma aveva preparato il tronchetto di cioccolato, del quale Jeremy aveva mangiato ben tre porzioni. La zia Jenna, la meravigliosa zia Jenna, giovanile e sempre pronta ad aiutare, nonostante la propria naturale goffaggine, aveva portato il vino rosso che Nicole aveva assaggiato, l’unica dei tre fratelli, trattenendo a stento una smorfia e un tremolio. Era davvero troppo forte. Non era in grado di comprendere come lo zio John riuscisse a berlo con cotanta facilità, sebbene le sue guance stessero divenendo più rosse del solito. Sembrava triste, lo zio John, come se avesse tanto desiderato essere in un altro luogo piuttosto che lì con loro. Nicole gli aveva domandato cos’avesse e suo padre aveva assottigliato lo sguardo, pensoso e meditabondo, annuendo alle parole della figlia. John aveva scosso il capo, poi aveva sorriso e l’aveva rassicurata sfiorandole la mano in una timida carezza. Elena, poi, appena dopo la cena della Vigilia, aveva cominciato a intonare le carole con la sua bella voce acuta e melodiosa. Tutti si erano stretti intorno a lei, seduti sul lungo tappeto dinanzi al camino colmo di legna scoppiettante, e la ragazza era arrossita. Nicole le aveva sorriso, incoraggiante, pregandola di continuare ed Elena aveva annuito, riprendendo quel mite canto. Tutti sorridevano. La mamma dolcemente orgogliosa, il papà timido, osservando la figlia come se fosse stato un Angelo appena sceso sulla Terra per portare la pace. Lo zio John quasi rapito come la zia Jenna che aveva poggiato le mani giunte sulle labbra. Jeremy con gli occhi chiusi, pronto per addormentarsi cullato da quella dolce nenia. Neanche quell’anno avrebbe resistito per vedere Babbo Natale discendere giù dal camino e poggiare i doni sotto l’abete illuminato a festa. Nicole serena, godendo di quella voce calorosa. La nonna semplicemente felice di vedere la propria famiglia così unita. Era stata una notte unica e aveva scostato lo sguardo da Elena solo per osservare la gemella bionda dai lunghi capelli dorati che discendevano come onde sulle esili spalle. Era l’immagine dell’innocenza, Nicole Gilbert, quello era certo per Elizabeth Bishop e per tutti quelli che l’avevano mai conosciuta. Però nessuno, a parte lei, era consapevole della magia che scorreva nelle vene della giovane, nemmeno Nicole stessa, teneramente inconsapevole del proprio destino. Era l’ultima discendente delle Bishop, di Bridget Bishop, la prima strega di Salem a essere condannata a morte per impiccagione, pur non essendo partecipe dei crimini di cui veniva accusata a Salem Village. Elizabeth avrebbe dovuto proteggerla a ogni costo, sebbene non fosse convinta che la stregoneria fosse la scelta migliore per una ragazza come Nicole. Quel mondo, irto di ostacoli e colmo di pericoli, non avrebbe mai dovuto essere conosciuto da un’anima pura come quella della sua nipote maggiore. Però la discendenza doveva continuare. A qualsiasi costo. E così era stato. Nicole aveva accettato la propria natura e non era stato un peso per la sua giovane mente, anzi sembrava quasi che le avessero fatto un dono di splendido valore. Elizabeth ne si era rallegrata e in cuor suo aveva sospirato per la gioia di quella decisione, sebbene potesse vedere quanto la sua piccola Nicole si allontanasse ogni giorno, sempre di più, da quella che era stata la sua vita. Le liti con il giovane Lockwood, il silenzio con la dolce Miranda, il poco tempo che trascorreva con le sue amiche. Stava perdendo quelle che erano state le persone più importanti ed Elizabeth sapeva che quello era uno sbaglio, ma aveva taciuto e le aveva offerto tutto quell’amore di cui necessitava. Era divenuta una guida per lei, un punto di riferimento, e John aveva notato quel cambiamento, pur da lontano. Si era nuovamente trasferito a Mystic Falls per star vicino a quella figlia a cui aveva dovuto dire addio prima ancora che venisse al mondo. Voleva esserle vicino, più di quanto avrebbe potuto fare Grayson stesso, ignaro che lui fosse il suo vero padre. Solo sua madre lo sapeva e le aveva fatto giurare di non dirlo ad alcuno, tantomeno alle due bambine. Era meglio così, le aveva detto una volta quando Elizabeth gli aveva domandato se non fosse più giusto raccontarlo, almeno a Grayson e Miranda.

Tutta quella lunga storia Nicole l’aveva appresa da John stesso che dopo molto tempo si era confidato con lei, non volendo che ci fossero ulteriori segreti tra di loro. Nicole gliene era stata grata e aveva sorriso. La nonna si era preoccupata troppo per lei. Non era stata colpa sua se aveva detto addio a Tyler, al suo vecchio rapporto con la mamma, all’allontanamento tra lei e le sue amiche. Non era stata colpa di nessuno. Era stato il Destino a volerlo e Nicole aveva accettato anche quello, sorridendo e andando avanti con la propria vita, tenendo duro. Non importava se qualche volta dovesse cadere e dovesse farsi male, quella era la vita, quello era il mondo reale e doveva accettarlo per come era. Nulla di più e nulla di meno. Proprio come avevano fatto tutti prima di lei.

Nicole sospirò, le lacrime le inumidivano ancora le gote arrossate, ma gli occhi ne erano oramai privi. Li riaprì e il suo sguardo, leggermente ottenebrato sia dall’oscurità che dal batticuore, si posò nuovamente sulla lapide. Si era alzato un vento gelido che la fece stringere nelle spalle e battere i denti. Percepiva dei rumori inconsueti tra le fronte degli alberi, movimenti che a quell’ora non avrebbero dovuto trovar luogo. Erano come quelli che causavano i passi mentre calpestavano le foglie secche. Si issò in piedi e si guardò intorno. Non vide che lapidi, angeli di marmo e le strade vuote oltre i cancelli. Doveva esserseli solamente immaginati, eppure erano così reali da farle venire i brividi. Il battito le si accelerò e risuonò nella sua mente come il suono di mille bacchette che percuotevano un tamburo. Si mosse su se stessa attirata da altri suoni e trattenne il fiato, trovandosi dinanzi una figura nera. Arretrò di un passo quasi cadendo e si portò la mano sul cuore impazzito.
« Ehi, biondina, sembra tu abbia visto un mostro,» esclamò una voce conosciuta. Ci mise qualche secondo a comprendere che era stata la figura dinanzi a lei a pronunciarla. Damon Salvatore. Impossibile non riconoscere i suoi occhi azzurrini e furbi. Le sorrideva, ironico e divertito da quella reazione, e Nicole assottigliò lo sguardo, serrando le labbra esangui.
« Tu sei folle. Mi stavi facendo morire di paura, idiota,» urlò terrorizzata, tentando di calmarsi. La risata di Damon la irritò, ma servì per darle un contegno. Erano stati quei ricordi a turbarla molto più del dovuto. Pensare ai suoi genitori adottivi quando aveva appena litigato con Elena non era stata una buona scelta, soprattutto per dove l’aveva condotta quel flusso che non aveva saputo interrompere. La nonna Elizabeth, suo padre, la zia Jenna. Tutte le persone che aveva perduto in quei due anni maledetti che avrebbe voluto poter cancellare dalla sua memoria, dalla sua mente, dallo stesso universo.
« È vero, è un po’ inquietante trovarsi dinanzi un vampiro nel bel mezzo del cimitero. Dovrei scusarmi, ma non lo farò. La tua faccia era troppo buffa. Non apparirei per nulla credibile,» le confessò con ancora l’ombra di un sorriso sul bel volto candido. Nicole sbuffò. Era certa di essere arrossita per il batticuore e la vergogna per essere stata così sciocca da arretrare dinanzi a quello che era lo spasimante di sua sorella. Si sfiorò l’avambraccio, tremando per il freddo, e percepì Damon avvicinarsi. Le stava porgendo la sua giacca di pelle con un sorriso appena accennato, non più baldanzosamente sarcastico come quello che le aveva rivolto poco prima, bensì quasi dolce e fraterno, in qualche modo, « Tieni. Fa freddo questa notte. L’inverno è alle porte e quella felpa è troppo fina per riscaldarti a dovere,» mormorò assorto nei propri pensieri. Nicole annuì e se la poggiò sulle spalle, stringendola. Non era calda, però presto l’avrebbe riparata. Damon le fece un cenno col capo, domandole di uscire dal cimitero, e la ragazza lo seguì, standogli accanto, chinati gli occhi sullo strati di foglie che ricopriva il suolo.
« Che ci facevi qui? » gli chiese incuriosita, sollevando lo sguardo, quand’erano appena arrivati dinanzi al cancello. Damon alzò le spalle, lo schiuse e le permise di passare per prima, da vero gentiluomo dell’Ottocento.
« Ti stavo cercando, in verità. Tua sorella mi è parsa molto triste dopo la vostra lite e, sebbene non l’abbia chiesto, mi sono sentito in dovere di parlarti,» le comunicò avanzando sull’asfalto bianco del marciapiede, lo sguardo dritto dinanzi a sé. Non la guardava, Damon, mentre Nicole non riusciva a smettere di farlo. Sbuffò e chinò il capo, dopo averlo scosso con decisione.
« Mio padre si sbagliava. Strano, non ha mai perso un colpo durante tutti questi anni, eppure con te…,» si interruppe meditabonda, divertita, passandosi l’indice sulle labbra sottili. Toccò a Damon sbuffare, sarcastico, mentre la risata più disinvolta e arrogante nasceva nel suo animo colmo di sfaccettature.
« Senza offesa, ma tuo padre era un grande idiota,» esclamò. Nicole rise, lievemente, scuotendo il capo.
« Te lo concedo. Lo diceva sempre anche lui, però poi si è saputo riscattare, non credi? Ha dato la vita per le sue figlie, in maniere differenti, però l’ha fatto,» rimuginò tra sé. Damon la guardò, aggrottando le folte sopracciglia nere, ma non le domandò alcuna spiegazione e la giovane gliene fu grata. Non avrebbe saputo rispondergli se le avesse chieste perché la verità era troppo dolorosa per poter essere raccontata. E quella notte non le andava di soffrire ancora.
« Dove vuoi che ti accompagni? » le domandò, invece, sottovoce, « A casa? » continuò quando non la sentì rispondere. Nicole scosse il capo, con foga e veemenza, e strinse di più gli angoli della giacca di pelle nera e profumata.
« No, a casa no. Sono arrabbiata con lei. Non avrebbe dovuto dirmi una cosa del genere. Dormirò a casa di mia nonna questa notte e non c’è bisogno che tu ti dia pensiero. So dov’è la strada e, nonostante la mia proverbiale sfortunata, spero di arrivarci illesa. Puoi dire a Elena che se davvero manderà via Jeremy da Mystic Falls, può scordarsi il mio perdono. Se le importa qualcosa di me,» aggiunse incerta mentre nuove lacrime le velavano gli occhi limpidi e stanchi, spossati da tutti quei sentimenti contrastanti. Avrebbe solo voluto far ritorno a casa, farsi una bella doccia calda, guardare un film e addormentarsi, sperando che il giorno successivo fosse migliore del precedente. Damon la prese per le spalle, facendola voltare senza gentilezza o cortesia, arrabbiato, mentre ombre scure occupavano quel mare chiaro e bellissimo che erano i suoi occhi.
« Non parlare di tua sorella come se fosse un mostro, Nicole,» le ordinò perentorio, serio come mai lo aveva sentito. Nicole schiuse le labbra, incredula e confusa, mentre assottigliava lo sguardo assorta. Damon, come preso dal rimorso, la lasciò e arretrò di un solo passo, chinando per un istante in capo, « Lei ti vuole bene e so che tu provi lo stesso. Due fratelli non dovrebbero litigare,» aggiunse malinconico mentre i ricordi di quel passato troppo lontano per essere rivissuto riaffioravano nella sua mente antica. Nicole chiuse gli occhi e annuì mentre un’espressione sofferente le inaspriva i lineamenti poco marcati del volto. Si sfilò la giacca, spalancando lo sguardo limpido, e gliela porse delicatamente, ringraziandolo con un impercettibile sorriso.
« Non credo lo ripeterò mai più, ma Elena è fortunata ad avere una persona che l’ami e la protegga come fai tu,» sussurrò prima di volgersi verso la strada e avanzare verso la casa di sua nonna. La voce di Damon la richiamò quando era in procinto di svoltare l’angolo. Non si girò, però si fermò per ascoltarlo.
« Tuo fratello non andrà da nessuna parte e penso dovresti parlare con tua sorella, chiarirvi. Torna a casa. Questa notte non dovresti stare da sola,» le comunicò atono. Nicole si voltò, stranita da quella frase apparentemente senza significato. Damon non c’era più, era scomparso in una folata di vento gelido, lasciandola sola in quella strada vuota e solitaria. Tremò impercettibilmente. Forse aveva ragione. Il buonsenso le ordinò di obbedire e cambiò strada, avanzando verso casa sua, non incontrando anima viva. Camminò meccanicamente, lo sguardo fisso sull’asfalto, il capo chino, la mente assorta in pensieri più grandi di lei. Forse quella frase non voleva dir nulla o forse non l’aveva nemmeno pronunciata. Forse era stata solo un gioco della sua mente stanca eppure lei sapeva di non dover restare sola, non quella notte. Si ritrovò davanti al portico di casa sua, le luci oramai spente. Dovevano già essere andati a letto e tremò impercettibilmente, il cuore stesso scosso dai battiti troppo energici e vigorosi. Non voleva entrare, era sbagliato. Il giorno dopo avrebbe chiarito con Elena, le avrebbe parlato e si sarebbero riconciliate, ma quella notte aveva bisogno di lui. Di Klaus. Quella consapevolezza la fece tremare maggiormente. Rivide i suoi splendidi occhi azzurri dinanzi ai propri, due mari meravigliosi e profondi. Deglutì e sorrise, avvampando sebbene nessuno potesse vederla. Aveva bisogno di sentire le sue braccia forti e accoglienti stringerla con calore. Aveva bisogno dei suoi baci, delle sue labbra posate dolcemente sulle proprie. Necessitava di lui. E non era un problema. Non più.

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Capitolo 17
*** A sweet, fond hope ***


17 cap
Capitolo 17
A sweet, fond hope


La sua macchina era lì. Qualcuno, forse Elena, l’aveva guidata, dal Grill dove l’aveva lasciata quella mattina, e parcheggiata nel vialetto di casa sua, pronta per essere utilizzata nuovamente. Nicole notò che era aperta e le chiavi erano poggiate sulla ruota anteriore sinistra, ove solitamente suo padre, Grayson, previdente e responsabile, le poggiava nel caso che qualcuno lo chiamasse per qualche parto non programmato, e non erano state rare le volte. Nicole le prese ed entrò nella jeep, appena riscaldata da un lieve tepore. Mise in moto, non accendendo i fanali per non turbare la quiete notturna, e indietreggiò verso la strada. Solo quando fu certa che nessuno si sarebbe accorto di lei, illuminò il paesaggio circostante e avanzò per le vie vuote e prive di qualsivoglia respiro. Mystic Falls, a quell’ora di notte, appariva ancora più inquietante per l’assenza di vita e per quel vento gelido che soffiava ininterrottamente. Si scostò una ciocca di capelli dorati dal viso pallido e sorrise, una lieve increspatura delle labbra sottili. Non era nemmeno lei consapevole di come riuscisse davvero a sorridere dopo tutto quello che le era accaduto quel giorno, però il solo pensiero di poter rivedere Klaus le sollevava l’animo, rendendolo leggero e privo di nervosismo, trepidazione e ansia del futuro. Era una riflessione infantile, ne era pienamente cosciente, eppure le offriva quella pace di cui necessitava dopo un giorno tanto faticoso. Guidava lentamente, ma arrivò in poco tempo dinanzi all’imponente struttura bianca e parcheggiò dietro la Porsche di Klaus. Uscì e notò subito che vi era una luce accesa, nella vecchia cucina. La porta era aperta e avanzò, quasi timorosa, per il corridoio oscuro. Percepì delle voci, una sicuramente era di Klaus, ma v’era una nota sbagliata. Era triste, quasi spenta e afflitta, e le strinse il cuore in una morsa di puro dolore. L’altra era femminile, ancora più addolorata di quella di Klaus. Apparteneva quasi con certezza a Rebekah. Infatti fu lei che vide per prima, splendente nel suo bell’abito scarlatto e corto. Le dava le spalle mentre Klaus, con entrambe le mani appoggiate sul tavolo, quasi spezzandolo tra le se dita, avrebbe potuto scorgerla se non avesse avuto il capo chino. Mikael era nella stanza, sulla sinistra, e osservava con un certo distacco la scena, gelido e imperturbabile. Fu lui ad accorgersi di lei per primo.
« Nicole Bishop, qual buon vento ti porta qui? Vorresti assistere a un momento di verità, finalmente?» le domandò ironico, issandosi in piedi e raggiungendola velocemente tanto da indurla ad arretrare. Non lo fece per mostrargli che aveva paura di lui, anche se per un istante tremò impercettibilmente. Dovette alzare il capo per poter guardare all’interno dei suoi occhi azzurri come il ghiaccio e ciò che vide la turbò. Non era del tutto indifferente, anzi era palpabile la sofferenza nelle sue iridi chiarissime. Probabilmente Klaus aveva raccontato loro di Esther.
« Nicole, » la chiamò con la sua voce roca, l’accento inglese marcato, ma atono, come se non fosse certo che si trovasse davvero lì, « Che ci fai qui?» continuò quando Mikael si scostò per potergli permettere di vederla nella sua interezza. Nicole si immerse nei suoi occhi che le fecero battere il cuore anche da quella distanza. Era provato, spossato, sofferente come se avesse appena ricevuto un pugnale dritto nel cuore, eppure fu capace di rivolgerle un timido sorriso, una leggera increspatura delle belle labbra rosse e piene. Percepì anche gli occhi di Rebekah fissa su di sé e, obbligandosi, a malincuore, spostò lo sguardo su di lei. Era furente, ma non con lei.
« Quando troverò tua sorella, le prosciugherò la carotide, poi la smembrerò pezzo per pezzo e li darò in pasto ai cani,» esclamò con fare innocente mentre gli occhi dardeggianti mandavano fiamme malevole e tenebrose, tanto da mutare il bell’azzurro calmo e limpido in un blu notte colmo di oscurità. Nicole trattenne il fiato e sgranò gli occhi chiarissimi, il respiro corto e la mente attraversata da quella minaccia che incombeva sul capo della sua sorellina come una ghigliottina pronta a spezzarle la vita. Tremò impercettibilmente, però continuò a guardarla. Sembrava talmente ferita da farle tenerezza. Elena l’aveva tradita, pugnalandola alle spalle, proprio come una vigliacca, quando Rebekah le aveva offerto la sua amicizia più che sincera. Era stata terribile e non poteva non comprendere l’Originale.
« Mi dispiace. Mi scuso a nome suo per quello che ti ha fatto,» sussurrò davvero amareggiata. L’onestà del suo tono e dei suoi occhi afflitti colpì Rebekah che sobbalzò visibilmente. Nicole chinò il capo solo per un attimo, fino a che non sentì Klaus avvicinarsi a lei, come per darle conforto, « La verità è che io stessa non ci sto capendo più nulla. È tutto così diverso,» mormorò più rivolta a se stessa che ai tre vampiri. Si cinse le braccia, per proteggersi da quel mare di emozioni che le stavano scuotendo il cuore facendola sentire un relitto in una tempesta nel pieno Oceano, « La mia famiglia è diversa, sembra quasi non ci sia più. Non è che un ricordo,» rivelò in un bisbiglio impercettibile. Percepì i polpastrelli delle mani di Klaus sfiorarle dolcemente la spalla destra, trasmettendole quel calore che le diede la possibilità di continuare a parlare e non lasciarsi piegare dalle lacrime, « Papà aveva ragione. Non sarei mai dovuta tornare a Mystic Falls. Questa città è capace solo di farmi del male,» concluse mentre una lacrima le rigava il volto troppo pallido. L’asciugò prontamente, con il dorso della mano, quasi ferendosi per l’avventatezza di quel gesto che oramai le era divenuto consueto. Lei che non piangeva mai, solo quando tutto diveniva troppo insopportabile per poter essere tollerato, solo quando i ricordi prendevano il sopravvento, solo quando la felicità di sapere che non era sola, che poteva ancora provare gioia e calore, le occupava l’anima giovane, ma insieme così antica. V’era tutta la discendenza delle Bishop dentro di lei così come in Bonnie v’era quella delle Bennett. Percepiva lo sguardo dei tre Originali su di sé e tentò un sorriso che sarebbe apparso falso persino a un cieco.
« Nicole, sei sicura di sentirti bene? » domandò Klaus preoccupato. Aggrottò le sopracciglia, poi annuì e gli sorrise. Quando incontrò i suoi occhi azzurrini, le labbra di distesero automaticamente in un sorriso sereno e pacato e Klaus stesso sembrò più sollevato. Nel suo sguardo, però, tanto antico e saggio, fine ed elegante, v’era solo dolore a causa del ricordo di un passato troppo triste per poterlo rimembrare senza conseguenze.
« Sì, scusatemi. È una serata abbastanza strana. Andare al cimitero mi mette sempre di cattivo umore e trovarsi un vampiro alle spalle non ha molto migliorato le cose,» esclamò sarcastica, spostando una ciocca di capelli che le era ricaduta sul viso stanco. Sarebbe potuta crollare da un momento all’altro per il sonno, però, in quel momento, con Klaus a un soffio da lei, non riusciva a pensare ad altro che non fosse lui. Avrebbe voluto stringerlo contro di sé per poter scorgere un lieve sorriso distendergli le belle labbra, per poterlo consolare e assicurargli, in qualche modo, che lei ci sarebbe stata per lui, almeno sino a quando la vita glielo avesse permesso. Quel pensiero le fece chinare per un istante il capo. Non avrebbe dovuto rimuginare sul suo rapporto con Klaus, sebbene non potesse più negare di provare un forte sentimento per lui. Nonostante la famiglia le avesse di poco volto le spalle, Nicole ben sapeva che non avrebbe potuto escluderla per molto tempo. Le liti tra lei ed Elena erano sempre state frequenti, anche se ognuna delle due si sforzasse di dimenticarle ogni volta, ma si erano sempre riappacificate e l’affetto che nutrivano l’una dei confronti dell’altra non era mai venuto intaccato da quelle futilità. Con Jeremy non v’era stata mai ragione di creare diverbi però era pienamente certa che avrebbero potuto risolvere tutto, domandandosi perdono vicendevolmente. Con poche parole sarebbero potuti tornare a essere una famiglia unita, sebbene mai quella antecedente alla sua fuga, e non poteva permettere ai suoi sentimenti di intaccare quell’armonia. Sarebbe stato più semplice cedere, non pensare a nulla che non fosse Klaus, ma era tanto immorale che non era nemmeno in grado di rimuginare su quella prospettiva. Poi quanto sarebbe potuto durare? Un anno? Un decennio? Non di più. Lei sarebbe invecchiata e, dopo, morta e Klaus avrebbe continuato a vivere la propria eternità, incontrando altre donne, amandole, fino a dimenticarsi di lei. Sarebbe stata un’avventura come un’altra, non avrebbe mai potuto possedere quel posto, quello che ogni persona avrebbe sognato di fruire con la propria anima affine, nel cuore dell’ibrido immortale, e quella constatazione le stringeva il cuore in una morsa insopportabile di gelosia e tanta, troppa, amarezza. Non sarebbe mai divenuta un vampiro, a nessuna condizione, non perché li odiasse, bensì perché non avrebbe mai potuto pensare di vivere l’eternità. Le faceva paura quella prospettiva, la spaventava, e non riusciva a comprendere come delle persone potessero anche solo desiderarla. Nicole già solo tremava al pensiero del futuro più prossimo, del domani, di un giorno successivo a quello che viveva. L’eternità era troppo lontana, irraggiungibile, e non voleva neppure conoscerla.
« Quale vampiro? » domandò Mikael gentilmente, facendole cenno con la mano di accomodarsi nella sala. Klaus l’anticipò e si appoggiò contro una scala, sedendosi sul secondo piolo mentre Rebekah sul tavolo. Nicole si accomodò sulla sedia di semplice legno scuro che prima aveva occupato Mikael e l’Originale rimase in piedi.
« Damon Salvatore. Poi come facesse lui a sapere che ero al cimitero rimarrà un mistero,» rimuginò tra sé. Sembrava che non l’avesse cercata tanto a lungo. Aveva lasciato casa sua solo da una mezzora, ne era pienamente certa. Forse doveva aver immaginato tutto, però era così reale. Stava divenendo paranoica. Non era possibile che si immaginasse Damon Salvatore tra tutti quelli che sarebbero potuti venirle in mente. Era reale, tutto. Klaus sbuffò e un ironico sorriso gli increspò le labbra piene. Si passò una mano tra i corti ricci dorati per ravvivarli, poi la guardò, furbo, uno sguardo che l’avrebbe fatta arrossire in un’altra situazione.
« Seguito il consiglio velato di tua sorella? Non ci posso credere,» esclamò scettico, sollevando il sopracciglio destro e l’angolo delle labbra. Nicole arrossì, di poco, poi scosse il capo, ridendo lievemente.
« Nemmeno io, in tutta onestà,» scherzò divertita mentre un’ombra di tristezza era in prossimità di velarle gli occhi chiarissimi, « Forse era arrivato il tempo che salutassi mamma e papà,» mormorò chinando il capo, lo sguardo sulle converse rosse e basse, « Mi hanno aspettato più che a sufficienza,» aggiunse in un sussurro impercettibile. Elena aveva ragione. Avrebbe dovuto recarsi al cimitero molto tempo prima, non appena aveva messo piede a Mystic Falls. Eppure era come se quel posto l’avesse allontanata da sé, facendole rimandare quell’incontro che le sarebbe stato necessario per continuare la propria vita. Dire addio ai suoi genitori adottivi sarebbe stato doloroso. Loro l’avevano amata con tanto sentimento da impedirle di riuscire a dimenticarli di colpo, come se nulla fosse accaduto tra loro. Elena non poteva sapere quanto le aveva fatto male venire a conoscenza di quella verità. John gliel’aveva comunicata sottovoce, una mattina d’estate, mentre stava facendo colazione e guardando il telegiornale. Aveva spento la televisione e si era accomodato sulla sedia di fronte alla sua. Le aveva preso le mani tra le proprie e Nicole aveva aggrottato le sopracciglia, incerta del significato di quegli atteggiamenti tanto inconsueti. John le aveva rivolto un timido sorriso mentre una lacrima gli rigava il volto abbronzato e Nicole aveva schiuso le labbra, chiamandolo con quell’appellativo, papà, che oramai le era divenuto ordinario e usuale, non più timido o imbarazzato. Il sorriso di John si era per un attimo allargato, emozionato ancora di sentirsi nominare in quel modo tanto dolce, poi spense il sorriso. Non indorò la pillola, andò dritto al punto, per nulla timoroso. Sua figlia adorava la verità, essendo ella stessa una persona onesta, e John gliela voleva offrire così com’era, non tergiversata. Nicole ricordava benissimo di essere sobbalzata, il battito del cuore accelerato, gli occhi velati di lacrime, le labbra tremanti. Non aveva pianto subito, solo quando aveva sentito le braccia di suo padre cingerla in un abbraccio pieno d’affetto poiché aveva atteso di essere al sicuro. Si era aggrappata a lui e aveva versato tutte le lacrime che possedeva dentro di sé. John l’aveva abbracciata a lungo, scostandosi solo quando aveva percepito l’ultima lacrima inumidirgli la camicia bianca, poi le aveva carezzato il capo e le aveva posato un bacio tra i capelli, domandandole se volesse tornare a Mystic Falls per il loro funerale. Avrebbe tenuto lui a bada il Consiglio, non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla. Nicole aveva scosso il capo, con veemenza e foga, certa delle sue intenzioni che non mutarono mai nei giorni a venire. Non sarebbe tornata a casa. Tre giorni dopo John, vestito interamente di nero, gli occhi spenti e tristi, privi della consueta luminosità, aveva sospirato, l’aveva guardata per l’ultima volta e aveva annuito prima di lasciare la loro casa. Nicole non aveva più pianto. Era rimasta inerme dinanzi al Destino che era stato prospettato per i suoi genitori. Non aveva chiesto nulla, né se Elena stesse bene né la modalità dell’incidente. Non ne aveva avuto mai la forza e suo padre, ben sapendo quanto Nicole potesse soffrire, non l’aveva mai forzata, sebbene certe volte l’avesse sorpreso ad osservarla con un cipiglio pensieroso e attento, come se si fosse aspettato di vederla crollare da un momento all’altro. Nicole, in verità, era crollata, ma l’aveva fatto internamente, implodendo e mantenendo tutto, il risentimento, la collera, il dolore, le lacrime, all’interno del suo animo. Non voleva essere un peso per John. Aveva perso suo fratello, la sua guida e punto di riferimento. Non voleva aggiungere il proprio dolore a quello di suo padre e non lo fece mai, seppur tante volte avrebbe voluto fuggire da quella realtà così malevola. Non aveva dove andare, Nicole, se non rimanere a Richmond, con suo padre che l’adorava immensamente, senza voler nulla in cambio, ringraziando il Signore di avergli offerto una seconda possibilità, almeno con lei.
« Nicole,» la chiamò una bella voce maschile, bassa e lievemente arrochita. Alzò il capo e incontrò lo sguardo di Klaus, posato su di lei, a pochi centimetri di distanza. Gli sorrise, timidamente, e annuì. Dovevano essere trascorsi molti istanti da quando la sua mente aveva incominciato a ricordare e, oramai, erano rimasti soli nell’ampia sala. Klaus le stava porgendo la mano e Nicole posò la propria, piccola e candida, sulla sua, grande e lievemente abbronzata. L’aiutò a issarsi in piedi e poggiò le labbra sulla sua fronte, facendole chiudere gli occhi e sospirare. Percepì le labbra di Klaus, vellutate e morbide, sulle sue e gli carezzò il volto, lo sguardo ancora serrato. Klaus si scostò da lei, lievemente, poggiando la fronte sulla propria, dopo pochi istanti, e Nicole riaprì gli occhi, tornando a osservarlo. Le stava sorridendo, gentilmente e delicatamente, un sorriso che Nicole ricambiò prontamente, carezzandogli la guancia coperta da una lieve peluria bionda, « Avrei voluto esserci io, al posto di Damon, per te. Dev’essere stato così difficile,» aggiunse attirandola verso di sé poggiando una mano sulla sua schiena. Nicole sorrise, amareggiata, poi scosse il capo.
« Sicuramente non ero un bello spettacolo, e non sono certa di esserlo neanche adesso,» aggiunse facendolo sorridere mentre le carezzava gentilmente la guancia, facendola fremere per l’emozione, « Poi avevi Rebekah da risvegliare. Sono felice che stia bene e mi dispiace sia così ferita, anche se posso capirla,» sussurrò facendoglisi più vicina, a un soffio dalle sue labbra. Percepì il suo respiro caldo infiammarle il volto e respirò profondamente per calmare i battiti del proprio cuore che rischiavano di aumentare a dismisura, « Questa città sta andando in malora,» aggiunse facendolo ridere. Era una riso basso, roco, sensuale, che la fece avvampare e tremare lievemente. Poco dopo, però, interruppe la risata e si allontanò da lei, arretrando di un solo passo, chiudendo gli occhi limpidi e scostando la mano dalla sua guancia. Nicole lo osservò, timorosa di aver detto o fatto qualcosa che avesse avuto il potere di turbarlo, e aggrottò le sopracciglia dorate, non capendo cosa avesse sbagliato. I suoi occhi, quando li spalancò, erano gelidi tanto da intimorirla, ma non tremò. Attese che lui le parlasse, che si aprisse con lei.
« Bekah non mi perdonerà mai per ciò che ho fatto a nostra madre,» le confessò sottovoce mentre nello sguardo era visibile una sfumatura di tristezza mista a dispiacere. Nicole, più sollevata, gli sorrise, distendendo appena le labbra sottili, e gli prese il volto tra le mani, carezzandogli gli zigomi con le punte dei polpastrelli, « Mi ha guardato come se fossi un mostro, come se volesse uccidermi ed è vero. Non avrei mai dovuto farlo,» ammise non guardandola neppure, avendo chinato il capo. Le sue mani tremanti, però, corsero sui fianchi della giovane attirandola verso di sé per percepire il suo calore, quello dell’unica persona che sembrava non odiarlo, tra le dita, « Avrei dovuto mettere a tacere la rabbia, controllarmi, non lasciare che l’ira si impadronisse di me, ma non l’ho fatto,» aggiunse tornando a guardarla seriamente. Nicole sbatté le palpebre per l’intensità del suo sguardo così colmo di sentimenti ed emozioni contrastanti, confuse, indecifrabili, « La verità è che io volevo ucciderla, sebbene sia così sbagliato,» soggiunse, vendendola tremare e sgranare gli occhi. Le carezzò i fianchi docilmente, come per implorarla di non abbandonarlo a se stesso e Nicole non lo fece. Poggiò le labbra sulle sue in un casto bacio e toccò a Klaus sobbalzare. Non si aspettava quella reazione da parte sua, sebbene la ringraziasse per quel calore.
« Il passato non può essere cambiato, Klaus,»  gli sussurrò teneramente scostandosi di poco dal bel volto magro dell’eterno trentenne che le sorrise, per poi sbuffare, « E non sono io a dovertelo dire. Hai vissuto per una decina di secoli, lo sai molto meglio di me. Sai tutto meglio di me,» aggiunse a malincuore, chinando per un istante il capo. Una mano, la sinistra, risalì tutto il suo corpo, facendola tremare e avvampare, fermandosi sul suo mento, sollevandolo gentilmente.
« C’è qualcosa che tu conosci e che a me è stato negato per cotanto tempo che l’ho oramai dimenticato. Tu lo riporti alla mente tanto da indurmi a credere che potrei nuovamente sentirne il sapore,» le confessò in un lieve sussurro carico di passione e sentimento. Arrossì maggiormente e spalancò lo sguardo chiaro reso leggermente più scuro da tutte le emozioni che si stavano avvicendando nel suo animo. I battiti del cuore erano oramai incontrollati e le labbra schiuse, sorprese da quelle parole così pure e meravigliose.
« L’amore? » domandò senza quasi accorgersene, la voce soffocata dall’emozione e lo stupore. Klaus sorrise e annuì, un piccolo cenno del capo più forte e potente di ogni parola.
« Ho amato solo una donna nella mia vita e non è mai stata mia del tutto,» mormorò immerso nei ricordi, sfiorandole la guancia arrossata.
« Tatia?» bisbigliò in un sospiro intristito da quella verità. Per un solo attimo aveva pensato che l’amore che lui aveva riconosciuto in lei potesse avere un altro significato. Non era così. Non era Nicole la persona nel suo cuore, bensì Tatia, il suo amore passato. Klaus sobbalzò e la guardò interrogativo, aggrottando le sopracciglia dorate.
« Come fai a conoscere il suo nome? » le domandò incredulo. Nicole era in procinto di rispondergli quando Klaus sospirò e chiuse gli occhi, « Mikael, ovviamente,» esclamò irritato, quasi con sdegno. Nicole sospirò lievemente e annuì, sebbene non potesse vederla. Era stata una sciocca a credere davvero che Klaus potesse provare qualcosa per lei. Il cuore perse un battito mentre le lacrime le velano gli occhi. Si allontanò da lui, indietreggiando, e Klaus la lasciò andare prima di spalancare lo sguardo limpido e colmo di ricordi, « Puoi dormire qui, se vuoi. Ti accompagno nella stanza,» esclamò gentilmente porgendole la mano che Nicole afferrò timorosa e attenta, quasi guardinga, come se non si fidasse più di lui. Klaus sembrò quasi sbalordito da quello sguardo gelido, così tanto dissimile dall’animo della giovani dinanzi a lui, ma non diede a vedere il proprio turbamento, sebbene Nicole si fosse accorta di quell’espressione, « Non voglio che torni a casa a quest’ora di notte,» aggiunse atono, non un’inclinazione nella sua bella voce. Nicole annuì, fredda, e si lasciò guidare per il corridoio buio, affidandosi a lui poiché non era in grado di distinguere nulla nelle tenebre della casa. Era stata una sciocca e non si sarebbe mai perdonata quell’attimo di cedimento poiché aveva aperto una finestra nel suo animo che non si sarebbe mai potuta richiudere. Amore. Era stata un’illusa a credere che Klaus potesse provarlo per lei. Era sempre Tatia e sarebbe rimasta per sempre lei, pur non avendolo mai amato come avrebbe potuto, invece, fare lei. Era gelosia quella che provava? Si domandò, aggrottando le sopracciglia. Non era mai stata gelosa in tutta una vita, forse solo in un’occasione, ma quella poteva benissimo essere stata irritazione, come di quella Tatiana Petrova, la prima doppleganger, una ragazza che aveva avuto le stesse sembianze di Elena. Era totalmente insensato nutrire invidia nei confronti di una donna che era morta secoli e secoli prima, uccisa dalla madre di Klaus per far rinascere i propri figli, però Nicole non poteva farne a meno. Camminava meccanicamente al fianco dell’ibrido e si bloccò quando anch’egli lo fece. Accese una luce e le mostrò un’enorme camera non ancora arredata. Solo un letto, abbastanza improvvisato, un materasso con un lenzuolo candido sopra, era presente nella stanza. Klaus sembrava persino imbarazzato di averla fatta entrare lì e non ne comprese la ragione, « Perdonami. È il meglio che posso offrirti per questa notte. La casa dev’essere ancora ristrutturata a dovere e non posso ancora arredarla come vorrei,» le confessò irritato. Nicole aggrottò le sopracciglia e schiuse le labbra, sorpresa e sbalordita.
« È il letto dove dormi tu?» gli domandò in un sussurro appena percettibile, mentre nuovamente l’emozione, traditrice e disonesta, le attraversava il cuore. Klaus si passò una mano tra i capelli, frizionandoseli, arrossendo lievemente. Era strabiliante vedere un vampiro arrossire, però forse la parte mannara, legata all’umanità, era ancora capace di provare quelle sensazioni d’imbarazzo. Annuì una volta sola, « E, allora, dove dormirai tu? Non posso rubarti il letto,» esclamò divertita prima di ridere lievemente della sua espressione meravigliata. Le sorrise, dolcemente, e scosse il capo, ironico, prima di sorriderle con aria furba e scaltra, facendola avvampare inconsapevolmente.
« Se vuoi, dormo al tuo fianco. In fondo, abbiamo già dormito insieme,» le ricordò sollevando entrambe le sopracciglia, avanzando verso di lei. Nicole arretrò, imbarazzata, sfiorando il muro dietro di lei e scuotendo il capo. Klaus la osservò, giunse le mani e se le portò dietro la schiena, sorridendole astuto, assottigliando lo sguardo e inumidendosi le labbra. Percepì un rumore al piano di sotto. Probabilmente Rebekah era tornata dalla caccia a sentire il rumore dei suoi tacchi contro il pavimento, « Ma per questa notte è tutto tuo, mia cara,» le mormorò sfiorandole la guancia in un lieve bacio appena accennato, poi si allontanò velocemente, discendendo le scale e apparendo dinanzi a sua sorella. Il volto aveva ripreso il solito colore e le parve più calma e rilassata. Mikael era dietro di lei.
« La ragazza? » gli domandò incuriosito. Klaus indicò il piano superiore con lo sguardo, poi si mise le mani in tasca.
« Lei mi piace. È carina con me e non assomiglia per niente a sua sorella,» esclamò Rebekah sedendosi sul tavolo, quasi annoiata guardandosi le unghie delle mani, « Trattala bene,» aggiunse più seria, osservandolo con discrezione. Klaus inclinò il capo e sorrise, poi si sedette nuovamente sul piolo della scala e Mikael si accomodò sulla sedia, « A proposito, l’hai già baciata?» gli domandò con falsa innocenza facendo sorridere suo padre. Klaus arrossì, di poco, per quanto gli permettesse la sua parte più umana, e digrignò i denti.
« Rebekah,» ringhiò roco, facendola ridere di gusto e oscillare le gambe snelle e flessuose.
« Siete andati già oltre? » domandò suadente. Klaus scosse il capo e sorrise, esasperato dalla sua sorellina che gli sorrise, scendendo dal tavolo e dirigendosi verso un piccolo mobile che fungeva da minibar improvvisato. Scelse una bottiglia di brandy d’ottima annata, analizzandola con fare criptico prima di imbronciare le labbra carnose e rosse, alzare le spalle e stapparla. Ne bevve un’abbondante sorso e Klaus la osservò prima di sbuffare sonoramente, come per intimarle di non finirla.
« Quella ragazza è buona e gentile,» mormorò Mikael assorto nei propri pensieri. L’ibrido lo guardò per un solo istante, l’espressione indecifrabile  e le labbra appena schiuse e imbronciate.
« Si chiama Nicole,» borbottò Klaus, issandosi in piedi e camminando verso la finestra che mostrava il giardino. In lontananza era in grado di distinguere solo le ombre delle fronde degli alberi mosse dal vento gelido. Probabilmente la giovane strega avrebbe percepito freddo con quel misero lenzuolo a coprirla, però non aveva una coperta, a lui non serviva e non avrebbe mai pensato di accoglierla nella propria dimora che non poteva ancora essere definita tale. Non si voltò verso il patrigno, ma fu ben capace di immaginare il suo solito sorriso increspagli le labbra sottili.
« So come si chiama, Niklaus,» asserì leggero, « Conosco tutta la sua dinastia, da Rowena a Elizabeth. Lei, però, è diversa dalle sue antenate, soprattutto da sua nonna,» rimuginò meditabondo. Klaus tornò a guardarlo, un cipiglio serio sul volto antico, poi annuì.
« Perché? » domandò Rebekah incuriosita da quella frase che suo padre aveva appena pronunciato. Poggiò la bottiglia, colma per due terzi, sul tavolo e si sedette accanto a essa, guardando dall’uno all’altra, attendendo una spiegazione. Mikael gli fece cenno, scostando gli occhi da lui a sua sorella, di raccontare e Klaus annuì nuovamente.
« Elizabeth Bishop non è mai stata una buona strega, almeno durante gli anni della gioventù. Non ha mai accettato la propria vocazione, non seguendo le idee di sua madre, Khloe, poi si è sposata e suo marito ha combattuto la guerra in Vietnam. Non credo sia mai tornato, ma, per averne certezza, dovresti domandarlo a Nicole. Però posso assicurarti che era un’ottima cacciatrice e devo averlo trasmesso ai suoi figli. John, il padre di Nicole, era abile, anche se Grayson era migliore,» raccontò atono poggiando la mano sul piolo più alto della scala. Rebekah annuì e lo invitò a continuare. Klaus si passò una mano sugli occhi. Era stanco e quella storia lo avvicinava talmente tanto a Nicole, a quella piccola ragazza che dormiva sul suo letto, tranquilla e sicura, da indurre il suo cuore a riprendere il battito. Nicole era molto diversa da sua nonna. Elizabeth era furba, scaltra, avvenente e consapevole di quella verità, tante volte terribile con chi le andava contro per qualche ragione. Sì, Nicole era davvero dissimile da quella donna che aveva conosciuto bene negli anni ’60, quando la guerra stava prendendo il proprio inizio nel sud dell’Asia. Anche nell’aspetto. Rimembrava alla perfezione le gemme color degli zaffiri della donna e i capelli neri come la pece, « Elizabeth era una buona strega, ma era abbastanza intelligente da comprendere che in questa città non v’è posto per gli esseri soprannaturali. Non voleva avere problemi in città, soprattutto per i suoi figli,» aggiunse con più gentilezza, per temperare quel giudizio che sarebbe apparso troppo negativo alle orecchie della sua sorellina. Elizabeth Bishop in Gilbert era una brava donna, moglie e madre, alle volte eccessiva e iraconda, ma non malvagia. Nicole e il suo amore era le prove più evidenti di quella realtà.
« Invece Nicole non è stata tanto furba, mi par di capire,» mormorò Rebekah, pensosa, massaggiandosi il mento arrotondato e candido, le sopracciglia dorate aggrottate in un’espressione meditabonda, « Perché è andata via? Non lo capisco. Aveva la sua famiglia qui e non mi sembra che non la ami, anzi,» esclamò sollevando il capo verso suo fratello, come per domandarlo lui. Klaus non fece alcun cenno. Non lo sapeva. Nicole non lo aveva mai raccontato, non che lui l’avesse chiesto. Desiderava rispettare la volontà della giovane. Quando le sarebbe parso opportuno, sarebbe stata lei ad aprire il discorso e Klaus l’avrebbe ascoltata e supportata, « Poi sembra quasi che questa città la detesti e non è giusto. È solo una ragazzina,» soggiunse incredula, e anche collerica, non essendo in grado di comprendere le ragioni degli abitanti di Mystic Falls.
« Non è ho la più pallida idea, Bekah,» mormorò spossato in un sospiro appena accennato, gli occhi chiusi, serrati. Necessitava di riposo, di lasciare che la mente provata potesse ristorarsi, e Rebekah lo comprese.
« Niklaus, c’è un posto in questa città che possa essere considerato un albergo? » domandò Mikael, ironico. Klaus sbuffò e poi sorrise, tornando a guardare il patrigno.
« La pensione di Theophilia Flowers. In verità, appartiene ai Salvatore, ma non credo sia importante. Tra una settimana i lavori dovrebbero essere conclusi, lo spero, e questa casa sarà accessibile. Forse ci vedrà nuovamente uniti,» mormorò, chinando gli occhi verso il pavimento impolverato, la fronte aggrottata e un sorriso timido, quasi impacciato, ad abbellirgli le labbra piene, « Come una famiglia,» aggiunse, rialzando lo sguardo, spostandolo, poi, dall’uno all’altro. Rebekah sorrideva, dolcemente come poche volte l’aveva vista, poi scostò un boccolo dorato dal bel volto e annuì, imbarazzata anch’ella, forse poiché stava trattenendo le lacrime. Mikael, al contrario, era imperturbabile, un muro di ghiaccio che non sarebbe mai potuto essere penetrato, non da lui, sebbene qualcosa nei suoi occhi si fosse incriminato.
« Domani andremo dai Salvatore e ci faremo restituire le bare di Elijah, Finn, Kol e quella di vostra madre. Nicole ha detto che non può riportarla in vita, che v’è la necessità di una lignea di sangue, una dinastia di streghe per farlo,» raccontò loro, una nota di sentimento indecifrabile nella voce grave. Klaus annuì e lo invitò a continuare, « Abigail Bennett mi rinchiuse a Charlotte sedici anni fa. È alle Bennett che dobbiamo rivolgerci. Tu ti occuperai dei Salvatore, io di ritrovarla,» propose quasi con gentilezza, per ammorbidire quello che doveva sembrare un ordine.
« E io? Cosa farò? Voglio aiutare. È la mia famiglia,» esclamò Rebekah, collerica, le sopracciglia arcuate e i pugni serrati, guardando prima Klaus, poi, quando notò il suo sguardo deciso, Mikael. L’Originale scosse il capo con foga e Rebekah puntellò i tacchi contro il suolo, le labbra contratte in una smorfia irata, gli occhi assottigliati, prima di volgersi verso il fratello.
« Mikael ha ragione. Dobbiamo saperti al sicuro,» concordò con il patrigno con voce greve e bassa. Rebekah scosse il capo.
« Non ho cinque anni, Niklaus. Non ho bisogno della balia e, soprattutto, non ho bisogno che voi due vi preoccupiate per me,» chiarì sua sorella, le labbra imbronciate in un’espressione di pura costernazione e fastidio, « Cosa dovrei fare domani? Sentiamo,» lo invitò innervosita. Klaus sospirò, irritato da tutta quella contrarietà, poi spalancò gli occhi azzurrini e schiuse le labbra.
« Potresti andare a fare shopping, con Nicole,» propose tentando di imprimere nella propria voce un tono calmo, pacato e ragionevole. Rebekah ci pensò, per qualche istante, poi annuì e sospirò.
« Bene, ma non credete che rimarrò a braccia conserte come una bambolina,» esclamò irritata, poi scomparve con una folata di vento. Mikael sbuffò e scosse il capo e sul volto di Klaus apparve un lieve sorriso, vittorioso e, allo stesso tempo, stanco.
« Fai attenzione, Niklaus,» gli raccomandò il patrigno atono, mentre si dirigeva verso la porta d’uscita. Klaus lo guardò, assottigliando lo sguardo antico, le labbra contratte in un’espressione irata e collerica.
« Sono fuggito mille anni da te, Mikael,» sibilò serrando i pugni, « Ora ti preoccupi per me? O per Bekah? Tu non sei un padre, non lo sei mai stato, e se fossi stato tuo figlio, non sarebbe cambiato nulla,» esclamò tremante. Suo padre, quello che Klaus avrebbe tanto voluto essere il suo genitore, si voltò a guardarlo, non la collera negli occhi azzurri, di ghiaccio, bensì l’incredulità, qualcosa di umano, « Persino Finn, seppur amasse la mamma come nessuno, nemmeno Bekah, aveva saputo fare, non avrebbe esitato a ucciderti. Elijah, il virtuoso, che avrebbe fatto di tutto per la nostra famiglia, è fuggito da te. Non li ho portati via io da te, nemmeno Rebekah. È stata lei a scegliere. E ha scelto me,» continuò scandendo ogni parola come per imprimerla nella mente di Mikael, e anche nella propria, non con rabbia, ma con amarezza. Mikael annuì e sospirò.
« Ne sono consapevole, Niklaus. Ho sbagliato. Tutto. Domanderò perdono a ognuno di voi quando saremo uniti. Se non l’otterrò, comprenderò e me ne andrò per sempre, lasciandovi essere una famiglia,» gli promise prima di scomparire nella notte buia, lasciandolo solo. Una lacrima gli rigò il bel volto, poi si inumidì le labbra e scosse il capo, dirigendosi velocemente verso il piano superiore, nella stanza in cui la bella giovane dormiva. Rimase sulla soglia, quasi timoroso, poi avanzò, non facendo il minimo rumore, sino ad essere al fianco del suo volto infantile, illuminato da un piccolo sorriso. I capelli dorati le incorniciavano il viso e le ciglia lunghe sfioravano gli zigomi arrotondati. Era rannicchiata, coperta solo da quel sottile lenzuolo che non poteva offrirle calore, la mano sul cuscino, accanto al volto e l’altra abbandonata lungo il fianco. Sembrava una bambina. Innocente e pura. Non avrebbe mai dovuto contaminarla con la propria malvagità, le tenebre che regnavano nel proprio animo colmo di antico dolore. Le carezzò la guancia, seguendone il contorno con i polpastrelli, dopo essere chinato alla sua altezza. Vide il sorriso di Nicole distendere maggiormente le sue belle labbra. Era sereno, felice.
« Klaus,» sussurrò, la voce impastata dal sonno, ma emozionata e sincera. Aprì gli occhi, di poco, socchiudendoli appena e Klaus le sorrise.
« Perdonami, non avevo intenzione di destarti dal tuo riposo,» mormorò dolcemente dispiaciuto, « Adesso vado,» aggiunse più amareggiato nell’atto di scostare la mano dal volto della giovane che prontamente l’afferrò.
« Resta con me. Solo per questa notte,» aggiunse più timorosa, come se avesse paura di un suo rifiuto. Klaus annuì e si diresse velocemente dall’altra parte del letto, distendersi al suo fianco, sopra il lenzuolo. Nicole aveva ancora gli occhi aperti e sorrideva quando lui le sfiorò i capelli, scostandoli dalla guancia e dal collo. Le posò un gentile bacio su entrambi e la strinse a sé, per infonderle calore. Nicole chiuse gli occhi e si accoccolò meglio contro il suo petto, distendendo le gambe snelle. Dopo poco tempo, il suo respiro divenne regolare e profondo, i battiti del suo cuore calmi e rilassati. S’era addormentata. Klaus sorrise e chiuse anch’egli gli occhi, sulle labbra un sussurro che non si spanse mai nell’aria.

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Capitolo 18
*** An amazing world ***


18 cap
Capitolo 18
An amazing world

Quando i primi raggi solari le pizzicarono gli occhi ancora chiusi e sognanti, Nicole sospirò, percependo l’arrivo della dormiveglia. Non erano calorosi poiché un vento soffiava, facendola tremare sotto il leggero lenzuolo che la ricopriva interamente. Cercò sul materasso, quasi inconsapevolmente, senza una reale cognizione, la longilinea figura dell’uomo che si era addormentato al suo fianco la sera prima. Non la trovò. Aggrottò le sopracciglia dorate, completamente destata da quel sonno senza sogni che l’aveva accompagnata per tutta la durata della notte, e spalancò gli occhi chiarissimi e timorosi, quasi spaventati, sicuramente mesti e tristi. Avrebbe sperato di trovarlo ancora lì al mattino, ma Klaus non c’era più.
« Nik è andato dai Salvatore. Non voleva svegliarti,» le comunicò una voce femminile, a primo acchito atona, ma leggermente velata di dolcezza. Nicole ne cercò la fonte e la trovò appoggiata sullo stipite della porta, le braccia conserte, gli occhi azzurrini sorridenti. Non ci mise più d’un istante per riconoscerla. Rebekah era unica, non serviva un’intellettuale per comprenderlo. Emanava luminosità, quando era al fianco di suo fratello, e profonda malvagità quand’era da sola. Poteva sembrare una ragazza comune, come le cheerleader della sua scuola, a un primo sguardo, ma, se si esaminava più in profondità, era possibile scorgere un abissale differenza: Rebekah era sola, completamente abbandonata a se stessa, bramosa di quelle attenzioni che un’ordinaria adolescente riceveva ogni giorno quasi senza darci peso. Gli abbracci di una madre, i sorrisi di un padre, gli affetti della propria famiglia, il calore degli amici, la dolcezza di un contatto. Nicole era pienamente convinta che tutto quello le fosse stato negato quand’era divenuta una vampira e se ne dispiaceva poiché notava quanto bene era nel suo cuore. L’aveva visto quando l’aveva sfiorata per la prima volta nel camion. Aveva visto una luce nell’ombra, bontà nelle tenebre di un’anima corrosa dal tempo e dall’odio. Proprio come aveva scorto in quella di Klaus l’imponente dispiacere nell’essere rifiutato da tutti, prima da suo padre, poi da sua madre e infine dalla sua famiglia. Klaus, però, era diverso da Rebekah. In quei mille anni aveva cercato di scacciare quel profondo senso di abbandono uccidendo e torturando mille vittime, come se far del male ad altri potesse in qualche modo essere un rimedio per la propria sofferenza. O forse era solo un esperimento, glaciale, spietato, malvagio. Nicole non voleva neanche pensare a quella possibilità e la scacciò dalla sua mente ritornando alla bella vampira, dai folti e lucenti capelli biondi, che ricadevano a boccoli sulle spalle esili, e dalla pelle perlacea, che era oramai entrata nella stanza. Vestiva in modo semplice, un paio di jeans, dei sandali col tacco alto, una consueta felpa bianca. Nicole annuì e la ringraziò con lo sguardo poi allontanò il lenzuolo da sé e si mise a sedere, « Non è andato via da molto e Mikael si è appena recato all’anagrafe della città per scoprire la nuova dimora della madre della tua amica,» continuò più annoiata accomodandosi al suo fianco, « Nik ti ha ordinato la colazione. È al piano di sotto. Faresti meglio ad andare prima che qualcuno la mangi,» le consigliò. Nicole sorrise, teneramente imbarazzata da quelle attenzioni, e annuì, issandosi in piedi, « Mi ha indicato il bagno. Ha detto che i sanitari funzionato, quindi puoi farti una doccia e cambiarti. Quella felpa è orribile. Sicuramente è di tua sorella,»  aggiunse quasi con sdegno, con un’espressione talmente crucciata e imbronciata da farla ridere di gusto. Era già arrivata alla porta e si voltò indietro per guardarla.
« Sì, è di Elena. Ieri non avevo proprio la pazienza di cercare qualcosa nel suo armadio e non ho più i miei vestiti a Mystic Falls. Sono ancora a Chicago, o a Richmond,» ricordò intristita dopo poco. In quella città non aveva più nulla. Era come se si fosse completamente dimenticata di lei per due anni, come se, andandosene, avesse voluto che Nicole non vi si facesse mai più ritorno. Quella città non la desiderava e quella consapevolezza la intristì, facendole chinare il capo mentre le labbra si curvavano verso il basso in un’espressione mesta.
« Bene. Un’occasione in più per tornarci,» esclamò Rebekah allegra, issandosi in piedi e sfiorandole la mani con le proprie. Nicole alzò lo sguardo sino a incontrare quello sorridente, e incoraggiante, della vampira. Sembrava entusiasta e sulle labbra di Nicole apparve un timido sorriso colmo di dolcezza.
« Perché dovremmo andare a Richmond? » domandò incerta, ma comunque briosa, contenta di non essere ostile alla sorella di Klaus, sebbene Rebekah non era solo quello. Sarebbe potuta essere una sua amica, a Nicole sarebbe piaciuto tanto.
« Voglio dei vestiti nuovi e non mi piacciono di negozi di Mystic Falls. Sono pochi e rischierei di indossare qualcosa che ha già comprato qualcun altro,» sbuffò annoiata e, al contempo, furba, facendola sorridere e annuire, « Mi accompagneresti? »
« Certo, sarebbe un vero piacere per me,» affermò dolcemente e Rebekah la guardò soddisfatta, « Però dovrei avvisare Elena e Jeremy. Non voglio si preoccupino che la pecora nera di famiglia li abbandoni un’altra volta,» soggiunse irritata, percependo la collera crescere. Stare con Klaus le aveva fatto dimenticare quanto dolore le avessero causato le parole di Elena la sera prima riguardo la somiglianza tra lei e Isobel. Nicole non avrebbe mai potuto credere di essere paragonata alla donna che le aveva abbandonate quand’erano ancora in fasce, sebbene comprendesse l’afflizione e l’amarezza, la delusione, di sua sorella. Nonostante tutti i suoi desideri di girare il mondo, fuggire via da Mystic Falls, lasciarsi quella piccola vita alle spalle, Nicole aveva sempre promesso loro che quei sogni non sarebbero mai divenuti realtà. Sarebbe rimasta a casa, sino a quando non si fosse sposata, e non si sarebbero mai separati. Era venuta meno a quella promessa, sebbene non fosse sua la colpa, e loro non l’avrebbero mai perdonata del tutto, com’era giusto che fosse. Rebekah alzò le spalle e incurvò le labbra in un’espressione di sufficienza.
« Tu non mi sembri proprio la pecora nera della tua famiglia, anzi. Almeno non pugnali alle spalle le persone che si aprono con te,» borbottò indispettita, assottigliando i begli occhi azzurri. Nicole sorrise, timidamente, e annuì sfiorandole la mano per poi stringerla in un gesto di dolce fraternità.
« Certe volte vorrei non essere mai andata via. Quando sono tornata, tutto era diverso. Elena era più forte, e più debole allo stesso tempo. Troppo seria, troppo ragionevole, non allegra come quella che è sempre stata la mia sorellina. Jeremy oramai è diventato adulto e mi detesta perché ora sa il vero significato di una promessa che io ho infranto. Mi vogliono bene, lo so, ma non riusciranno mai a perdonarmi, non del tutto, e questo mi fa male perché non potrò mai rimediare. Non c’è nulla che io possa fare perché nessuno ci restituirà mai due anni,» confessò. Lo sguardo di Nicole, mesto e amareggiato, s’era chinato sulle loro mani intrecciate e le parole erano fuoriuscite come un fiume in piena. Non avrebbe mai pensato di aver la forza di pronunciarle a voce alta eppure doveva ammetterlo e, dinanzi a un’amica, come sperava che fosse Rebekah, poteva farlo.
« Per la vostra famiglia sono solo due anni. Non rivedo mio fratello Finn da novecento anni e Kol da più d’un secolo. Elijah da novant’anni e mia madre da dieci secoli. La mia famiglia è morta. Non è che un ricordo. E non è stata colpa di Nik, e nemmeno della mamma. Certe volte credo non sia stata neanche di mio padre,» affermò. Nicole rialzò lo sguardo e le si fece maggiormente vicina poiché notò la sofferenza nel volto antico dell’eterna fanciulla. Tremava lievemente e i suoi occhi erano velati di lacrime trattenute. Nicole le carezzò, solo con i polpastrelli, come se temesse di poterla ferire, la guancia rotonda e Rebekah le sorrise, colma di gratitudine, « Siamo stati tutti noi a farci del male come degli sciocchi. Nik ama la nostra famiglia, farebbe di tutto per noi, ne sono certa. Non è il mostro che tutti vogliono dipingere. Nik è il mio fratellone e il suo sorriso sarebbe capace di rischiarare tutte le tenebre del mondo, se solo distendesse le sue labbra un po’ di più,» le mormorò con dolcezza infinita, tanto da farle tenerezza per il bene con cui pronunciava quelle parole, « Lui è meraviglioso, sai? Quand’eravamo umani, era un ragazzo sensibile, onesto, timido persino,» le raccontò facendola sorridere. Tentò di immaginarlo mentre le gote avvampavano per l’imbarazzo, gli occhi si illuminavano di mille emozioni, e si stupì di esserci riuscita all’istante. Il cuore accelerò i propri battiti nel pensarlo umano. Sarebbe stato bello conoscerlo quand’era solo un ragazzo, totalmente impossibile certo, però le sarebbe piaciuto, « Tu riesci a vedere del buono in lui,» affermò seriamente, facendola avvampare. Era vero, ma non si sarebbe mai aspettata che Rebekah potesse con certezza, sebbene non la conoscesse quasi per nulla, quello che era oramai presente nel proprio animo, « E non ti sbagli. Io ed Elijah, a fasi alterne, in tutta onestà, gli siamo rimasti accanto per mille anni e non me ne sono mai pentita,» si  interruppe solo nel sentire la pancia della giovane che brontolava per la fame. Nicole chinò il capo e avvampò, imbarazzata. La sera prima non aveva cenato e non vedeva l’ora di mangiare qualcosa, « Però perdonami. Ho tolto tempo alla tua colazione. La verità è che è così strano scorgere qualcuno tanto vicino a Nik. Ha un carattere difficile, ma tu sei in grado di vedere oltre e ti ringrazio per questo. Nik ne ha bisogno,» mormorò prima di scomparire con una folata di vento gelido che la investì facendola rabbrividire. Nicole si strinse le braccia al petto e cominciò a discendere le scale bianche, e impolverate, che portavano al piano di sotto. I muratori avevano già cominciato a lavorare. La casa era quasi del tutto pronta. Doveva solamente essere ripulita e arredata. Si diresse verso la sala e notò sul tavolo una busta di carta azzurrina che portava il nome della più buona pasticceria in tutta Mystic Falls. Accanto a essa v’era un biglietto che Nicole lesse prontamente.

Mi spiace di essere andato via prima che ti svegliassi, ma devo trovare i Salvatore e le bare. Passa una buona giornata. Spero di rivederti questa sera. Klaus.

Nicole sorrise, quasi senza accorgersene, e arrossì, i battiti accelerati e il respiro tremante. Si scostò un boccolo dal viso portandolo dietro l’orecchio e ripose il biglietto nella tasca dei jeans. Prese la busta e si accomodò sul tavolo. V’era un cornetto ancora caldo, al cioccolato, come piaceva a lei, e un bicchiere di caffè fumante. Fece colazione in silenzio, guardandosi intorno, pensosa, e facendo oscillare le gambe. Era stato gentile con lei, anche la sera precedente, e quelle attenzioni la facevano avvampare per la gioia. Il cellulare vibrò quando ebbe appena finito di bere il caffè e lo estrasse, guardando il mittente. Era Jeremy. Accettò prontamente e si portò il telefono all’orecchio.
« Buon giorno, sorellona,» la salutò allegro, facendola sorridere, « Ti ho svegliata? » aggiunse più preoccupato quando non la sentì rispondere. Quell’accoglienza l’aveva un poco destabilizzata. Sino al giorno prima era arrabbiato con lei e non credeva che gli sarebbe passata tanto presto, eppure quel tono dolce sembrava dirle il contrario.
« No, Jer. Come stai? Va tutto bene? » domandò accorata, discendendo dal tavolo per cercare Rebekah. La vide subito, seduta sul primo scalino di marmo bianco, le mani giunte dinanzi alle labbra mentre osservava gli operai prendere le misure per una porta.
« Sì, tutto okay. Senti, volevo scusarmi per ieri. Sono stato uno stupido e ti ho ferita. Non avrei mai dovuto. Mi dispiace tanto. Ho detto delle cose che non pensavo solo perché tutta questa situazione mi sta facendo impazzire. Anche Elena è dispiaciuta per averti detto che sei uguale a Isobel. Sai che non lo credeva davvero. Puoi perdonarci?» domandò imbarazzato, con un tono talmente speranzoso da farla sorridere e annuire automaticamente.
« Certo, Jer. Non preoccupatevi, va tutto bene. È solo che è così strano sentirvi parlare in quel modo. Devo solamente abituarmi,» esclamò mestamente, sedendosi al fianco di Rebekah che l’osservava confusa da quell’atteggiamento. In effetti era inusuale il modo che aveva Nicole di rapportarsi con i propri fratelli. Avrebbe perdonato loro qualsiasi colpa o peccato senza battere ciglio, ma non sarebbe mai stata in grado di perdonare se stessa per averli abbandonati, per essere venuta meno alla parola data.
« Non è vero, Nicole. Tu non devi abituarti proprio a nulla. Io ed Elena abbiamo sbagliato,» sussurrò dolcemente. Nicole era commossa e tratteneva a stento le lacrime mentre le labbra tremavano per l’emozione e la gioia. Rebekah posò la mano sulla sua. Stava udendo tutto ciò che Jeremy pronunciata e voleva esserle vicino. Come un’amica, « Però non voglio vederti al fianco di Klaus. Mi urta anche solo pensarti con lui. È un assassino e tu sei così buona e pura. Non puoi macchiarti con il sangue che lui versa ogni giorno. Non lo permetterò. Dovessi ammazzarlo io stesso,» sibilò duro, autorevole, accigliato, una minaccia che per un attimo la fece sussultare. Stava parlando  seriamente. Rebekah aveva scostato prontamente la mano, come scottata da quelle parole e Nicole alzò lo sguardo su di lei. Aveva le labbra contratte, Rebekah, mentre negli occhi già divampava un fuoco malevolo e iracondo. I zigomi si stavano scurendo e Nicole scosse il capo, facendole cenno di calmarsi, che tutta quella rabbia non sarebbe valsa a nulla.
« Jer, non parlare così, te ne prego. Non lo sopporto. Non sembri nemmeno tu,» sussurrò turbata, quasi con un tono di supplica. Sentì Jeremy sospirare pesantemente mentre Rebekah tratteneva la collera dentro di sé. Gli occhi le tornarono azzurri, come di consueto, e le labbra lievemente imbronciate in un’espressione meditabonda.
« Invece lo sono. Non sono solamente il fratellino della doppleganger e della strega, quello che resta sempre a casa e non può far nulla per loro, che non deve causare problemi con i vampiri perché altrimenti potrebbe farli arrabbiare e lasciarsi ammazzare,» esclamò contrito, e indispettito. Nicole sorrise e scosse il capo, per la tenerezza nei confronti di quel piccolo ragazzo che aveva il potere di farla sentire così bene.
« Jeremy Gilbert, ascoltami,» lo invitò gentilmente, con voce dolce e pacata, tentando di farlo ragionare, « Io non ti ho mai chiesto di badare a me né voglio che tu resti inerme dinanzi a tutto quello che succede, ma Klaus non ha alcuna intenzione di farmi del male. Ne sono pienamente sicura,» lo rassicurò ferma e convinta dei propri pensieri. Trovò nello sguardo limpido di Rebekah conferma alle proprie parole e le sorrise.
« Quindi adesso stai con lui o cosa? » domandò con la voce più acuta di un’ottava, incredula e scettica, sbalordita.
« Io e Klaus non stiamo insieme, Jer,» affermò imbarazzata, senza darlo a vedere, mentre le gote avvampavano, infuocate da quella domanda che l’aveva scossa nel profondo. Si affrettò a continuare per impedire ai suoi pensieri di rivolgersi verso la bella figura dell’ibrido, « Non devi assolutamente pensare una cosa del genere. Ma vogliamo entrambi la pace e in questa città mi sembra che siamo gli unici. I Salvatore stanno muovendo guerra contro qualcuno che non vuole assolutamente combattere mentre potremmo vivere un’esistenza felice,» mormorò accorata vedendo Rebekah annuire a ogni parola. Non volevano combattere. Volevano solo avere la loro famiglia indietro per poter vivere nuovamente insieme. Proprio come avrebbe voluto far lei con i suoi fratelli.
« Sì, ed Elena diventerebbe una sacca di sangue ambulante,» la interruppe Jeremy. Percepì un singhiozzo provenire da lui e le venne un tuffo al cuore. Si portò la mano al petto e chinò il capo. Rebekah le afferrò il telefono e se lo portò all’orecchio. Nicole schiuse le labbra, come per pregarla di non far nulla di avventato, e Rebekah le sorrise, annuendo a quella richiesta.
« Se mio fratello avrà la sua famiglia indietro, non necessiterà di crearsene una nuova e la tua sorellina, sebbene io stessa le voglia strapparle il cuore dal petto, trascorrerà la sua bella vita in un’inutile ricerca d’identità crogiolandosi nella scelta,»  esclamò leggere la vampira al suo fianco. Jeremy non parlò per qualche secondo e Rebekah non le restituì il telefono, forse poiché era lei a voler sentire la risposta di suo fratello.
« Io… Non so dove si trovino le bare dei tuoi familiari, Rebekah,» sussurrò timidamente, quasi imbarazzato d’essere stato ascoltato dalla vampira. Nicole fu in grado di notare un impercettibile sorriso distendere le labbra rosee e piene di Rebekah nel sentire la riservatezza nel tono di Jeremy e lei stessa fu teneramente colpita da quel cambiamento.
«  Ne sono consapevole, Jeremy Gilbert, altrimenti ti avrei già torturato per far soffrire tua sorella e per estorcerti informazioni,» replicò dura e minacciosa, ma negli occhi chiari brillava una luce divertita. Le porse il telefono e Nicole lo accettò di buon grado.
« Jer, io e Rebekah andiamo a Richmond,» mormorò dolcemente, « Devo sistemare alcune faccende di pa… dello zio John,» si corresse dandosi mentalmente della sciocca, chiudendo gli occhi, la fronte corrugata, e mordendosi il labbro inferiore. Si scostò un boccolo dal volto e attese che Jeremy rispondesse, dopo che ebbe sospirato pesantemente, come spossato da quell’appellativo. Come incredulo dinanzi all’affetto profondo che nutriva nei confronti di quell’uomo tanto inconsueto e particolare, che non sorrideva quasi mai e quando lo faceva v’era sempre un’ombra di dolore sul bel volto giovane.
« Nicole, non devi preoccuparti di ciò che penso io. Voi siete le mie sorelle, a prescindere di chi siate figlie. Siamo cresciuti insieme e voi mi siete sempre state accanto. Tu ed Elena non sarete mai delle cugine per me,» le rivelò seriamente, facendola sorridere e annuire, anche commuovere. Era bello sentirgli dire quelle parole, le riscaldava il cuore e la faceva tremare per la consapevolezza di sapere che sarebbero sempre stati fratelli.
« Io… Oh Jer, è così difficile da capire e so di poter prendere che tu lo faccia, ma John è mio padre e gli voglio bene. Si è sempre preso cura di me e non mi ha mai giudicata, mentito o fatto mancare nulla,» esclamò speranzosa che lui la comprendesse, che almeno riuscisse a farlo. Non s’era accorta di parlare al presente, tanto presa dalla memoria di quel genitore che tanto le mancava, come la pioggia nel deserto, come il risveglio dopo un incubo, « Nemmeno Grayson, non fraintendermi, te ne prego,» aggiunse con ovvietà, ben ricordando quanto il suo padre adottivo fosse dolce e amorevole con lei ed Elena, con tutti in verità, « Però John è il mio papà e non posso dimenticare questo,» sussurrò dolcemente, intenerita dal ricordo degli occhi azzurri di suo padre che l’osservavano colmi d’affetto. Jeremy rise, leggero, e Nicole aggrottò le sopracciglia confusa da quella reazione, sorpresa e lievemente indispettita. Però non era una risata malevola, o di scherno, bensì dolce e accogliente, intenerita quasi.
« Sei meravigliosa, Nicole. Riusciresti a voler bene a chiunque, a perdonare qualsiasi cosa. Sei così pura e candida, così luminosa, così te stessa,» esclamò sbalordito, ma immensamente soave e benevolo. Nicole arrossì visibilmente, sebbene non l’avesse dinanzi a sé e scosse il capo, come turbata da quell’affermazione.
« Scusami, Jer, devo andare. Ciao,» affermò velocemente prima di interrompere la chiamata, senza udire la risposta di suo fratello. Il cuore le batteva con troppa energia e le lacrime premevano agli angoli degli occhi per fuoriuscire e fluire sulle gote arrossate. Le ricacciò indietro, con forza, e si issò in piedi, le gambe tremanti, « Io vado a farmi una doccia,» esclamò rivolta a Rebekah che l’osservava incredula, le labbra schiuse e gli occhi assottigliati.
« La seconda porta a sinistra della stanza di Nik,» le comunicò atona, ancora incerta. Nicole si diresse velocemente verso la stanza che le aveva indicato la vampira e si chiuse la porta alle spalle. Era entrata in una camera rettangolare, completamente bianca, quasi immacolata, con alcune piastrelle dorate posate accanto al lavabo ovale. Dinanzi a sé aveva una doccia e alcuni flaconi contenenti bagnoschiuma, shampoo e balsami. Ne prese uno e sgranò gli occhi chiari. Era il più costoso in circolazione. Sorrise. Non poteva essere davvero così stupita. Klaus bramava solamente il meglio per sé, doveva sempre essere stato così, o almeno da quando era divenuto un vampiro. Arrossì per quella constatazione improvvisa. Una parte di lui, Nicole non sapeva quanto fosse forte o motivata, voleva lei e Nicole sapeva di non essere il meglio. Non si era mai sentita anonima, né, tanto meno, una nullità come ragazza, però tutte quelle attenzioni non le erano state dedicate da alcuno, nemmeno da Tyler. Forse soltanto nei primi tempi, o dopo le loro liti. Scosse il capo. Non era bene che lei accostasse il nome di Tyler a quello di Klaus, sebbene lo facesse già da alcuni giorni. Tyler era stato il suo fidanzato per tre, bellissimi, anni mentre Klaus era nella sua vita solo da poche settimane. Non era possibile che fosse talmente incuneato all’interno della sua anima, spazzando via ogni dolore, ogni senso d’oppressione con un solo sorriso, un bacio, trascorrendo la notte al suo fianco, scaldandola con il proprio calore. Quel pensiero, sebbene non ne comprendesse totalmente la ragione, le fece venir voglia di piangere, ma ricacciò indietro le lacrime e si spogliò velocemente, avendo notato che v’erano dei vestiti posati sul mobile, anch’esso di vernice bianca. Sotto il getto d’acqua caldissima, continuò a rimuginare poiché la sua mente si rifiutava di interrompere quel flusso ininterrotto di pensieri. Klaus era la prima persona che la faceva sentire viva dopo innumerevoli mesi, che erano divenuti anni. Klaus era qualcosa di nuovo, sconvolgente, che la terrorizzava, facendole sperare che avesse una via di scampo, per fuggire da lui. La terrorizzava, sì, era vero. Perché Klaus turbava la quiete del proprio essere, spezzava ogni sua convinzione con la sola forza del proprio cuore morto, che con lei tornava a battere come se solo Nicole potesse renderlo vivo, umano. E Nicole non voleva essere quello per lui. Sbuffò, la parte più sincera di sé, quella che la spronava sempre ad affermare il vero, sebbene tante volte le avesse causato problemi per la spiacevolezza dell’onestà. Nicole non avrebbe dovuto, però lo voleva. Voleva Klaus, bramava sentirlo al suo fianco, insieme a lei. Desiderava ogni suo bacio, ogni sua carezza, ogni suo sguardo meravigliosamente carico di emozioni di un passato troppo lontano per lei, irraggiungibile. Deglutì, a vuoto, e chiuse il occhi. Poi chiuse anche il rubinetto e uscì, avvolgendosi in un accappatoio bianco poggiato accanto agli abiti, un semplice top glicine e un paio di jeans scuri. Si asciugò e si vestì velocemente. Non voleva far attendere Rebekah più del dovuto, nonostante volesse accrescere la distanza tra di loro, dilatarla, per evitare di confrontarsi con lei sul fratello o su quello strano comportamento che l’aveva portata a interrompere la telefonata. Jeremy non avrebbe dovuto dirle che non era cambiata. Oramai non era più quella ragazza, tanto serena, spensierata, onesta, solare, un po’ troppo espansiva. No, non lo era più. Le avevano portato via tutta quella gioia di vivere, lasciandole solamente il sorriso che non voleva spegnersi del tutto. Sarebbe stato troppo crudele da sopportare se avesse perso anche quell’ultimo elemento positivo. Scosse nuovamente il capo, con più foga ed energia. Non doveva rimembrare ancora il passato, le faceva male. Uscì e si richiuse la porta alle spalle. Rebekah era in cima alle scale, a pochi metri da lei, lo sguardo azzurro puntato verso il piano inferiore, verso un’imponente figura che osservava gli operai lavorare senza posa. Era Mikael. Nicole si avvicinò alla vampira millenaria e le poggiò la mano sulla spalla, destandola dalle proprie meditazioni. Rebekah sobbalzò, visibilmente, poi si volse e le sorrise, accogliente, raggiante, sebbene i suoi occhi rimasero mesti e malinconici.
« Andiamo? » le domandò dolcemente, sottovoce, e Rebekah annuì, quasi timidamente. Scesero la bella scalinata di marmo bianco e Mikael si volse, posando lo sguardo sulla figlia con un lieve sorriso a increspargli le labbra sottili. La vampira aveva le braccia conserte, un’espressione risoluta e seria impressa nei bei lineamenti, il capo alto e fiero.
« Avvisa Nik. Credo torneremo in serata,» gli comunicò atona. Era arrabbiata con lui, Nicole lo percepiva bene e anche il cacciatore fasciato da un elegante smoking scuro. Annuì, un impercettibile movimento del capo, poi il suo sguardo glaciale si spostò su Nicole.
« Mi spiace averlo allontanato da te, questa mattina,» si scusò, sebbene il suo tono fosse divertito, e non dispiaciuto, « È stato altamente imbarazzante vedervi insieme, ma Niklaus deve ritrovare le bare dei nostri familiari,» aggiunse con più serietà, guardandola dritta negli occhi, come per scrutarle l’anima. Nicole era arrossita, di botto, nel sentire quelle affermazioni, e scosse prontamente il capo, schiudendo le labbra. Non sapeva cosa dire, come replicare. Era lei ad essere imbarazzata, non Mikael, soprattutto perché Klaus era appena apparso. Era appoggiato sullo stipite della porta, anche se un attimo prima avrebbe giurato di non averlo notato, con le braccia conserte e un ghigno a rigargli le belle labbra.
« I Salvatore sono introvabili. Ho setacciato la città, ma sono come… scomparsi,» affermò irritato, frizionandosi i ricci dorati e battendo un piede contro il pavimento, come per calmarsi. Rebekah mugugnò qualcosa di incomprensibile per lei, arrabbiata quanto il fratello, mentre Mikael rimase calmo, come si fosse aspettato quell’eventualità. Nicole li guardò, tutti e tre. Sembravano una famiglia molto più di quanto lo erano lei, Elena e Jeremy. Avvampò e sgranò gli occhi, maledicendosi per quel pensiero. Era cattivo, perfido, e i suoi fratelli non lo meritavano, lei stessa non lo meritava. Avevano fatto di tutto per restare uniti e quella meditazione non rendeva loro giustizia.
« Andiamo a Richmond, Nicole,» affermò, nonostante sembrasse più un ordine che una richiesta gentile. Nicole si ritrovò ad annuire quasi senza accorgersene, « Qui non possiamo essere utili e comincio davvero a odiare questa dannata città. Trovate le bare. Voglio rivedere Elijah. Lui è l’unico con un po’ di sanità mentale nella nostra famiglia, l’unico di cui ci si possa davvero fidare,» mormorò più addolorata, afflitta, la voce più acuta di un’ottava, spezzata. Le lacrime le velano gli occhi chiarissimi e Nicole sgranò i propri. Mai avrebbe pensato di vederla piangere, non Rebekah. Le sfiorò la mano, tentando di infonderle serenità e, oltre al dolore, lesse della riconoscenza mista all’empatia nel suo bellissimo sguardo azzurro.  
« Stai esagerando, Bekah,» esclamò Klaus, la voce arrochita dalla rabbia crescente. Volse per un solo istante lo sguardo a lui prima di ritornare alla sorella. Aveva i pugni stretti e gli occhi assottigliati, colmi di un bagliore collerico e dispiaciuto insieme.
« Davvero, Nik? Hai ammazzato la mamma, ci hai rinchiusi in una bara. Pensaci bene, non sono io quella che ha dato di matto per mille anni,» sussurrò prima di afferrarle il braccio e uscire di casa velocemente. Si scusò per quel gesto non appena la mise giù, accanto alla jeep di suo fratello, con un lieve sorriso a cui Nicole ricambiò con uno più ampio, carezzandole il volto.
« Lui vi vuole bene, lo sai,» mormorò dolcemente. Rebekah annuì, seria, austera quasi e le fece cenno di accomodarsi sul sedile del guidatore mentre lei si avvicinò a quello del passeggero. Entrarono e Nicole mise in moto l’auto, percorrendo il vialetto e svoltando verso l’autostrada.
« Lo so, ma questo non significa che debba perdonarlo. Nik è la mia famiglia, ma lo sono anche la mamma, papà e i nostri fratelli. Lui non avrebbe mai dovuto comportarsi così, pugnalarci,» esclamò irritate mentre nuove lacrime fluivano sulle sue belle guance abbronzate, «Finn, il povero Finn,» continuò più dispiaciuta, costernata, poggiandosi una mano sulla fronte e socchiudendo gli occhi, « Non riesco a ricordare nemmeno il suo volto certe volte,» mormorò prostrata, quasi indignata, « E Kol. Sarà anche l’eterno bambino, infantile e immaturo, ma gli voleva un bene dell’anima,» terminò crucciata. Nicole aggrottò le sopracciglia, addolorata di sentirla parlare in quel modo, e poggiò una mano sulla sua.
« Io… Non posso capirti, Rebekah, né, tanto meno, voglio giustificare Klaus per quello che vi ha fatto. Dev’essere stato terribile per te, non riesco nemmeno a immaginarlo,» continuò con più dolcezza, un timido sorriso sulle labbra. Rebekah annuì, la fronte corrugata nell’atto di comprendere dove volesse arrivare, sebbene la ragazza stessa non fosse in grado di comprenderlo, « Forse dovreste solamente parlare, quando i tuoi fratelli saranno di nuovo in vita,» aggiunse meditando tra sé sul significato delle parole che aveva appena pronunciato. Le pensava, davvero, e Rebekah annuì, dolcemente, come immersa nei propri ricordi della sua famiglia. Dovevano essere stati veramente uniti, un tempo, poi qualcosa doveva essere incrinato, indissolubilmente, lacerandoli dall’interno e portandoli a compiere gesti estremi. Non conosceva gli altri fratelli, però era sicura che volessero anche loro ricostruire tutto dalle fondamenta, se aveva inteso bene dai racconti di Mikael e Rebekah. Klaus non le aveva parlato molto dei suoi fratelli, si era soffermato su sua madre e Mikael, mai su Elijah, o Finn, o anche Kol. Doveva soffrire davvero tantissimo per non discorrere di loro e quella verità faceva intristire anche lei.
« Sei gentile,» affermò sottovoce, quasi guardinga, totalmente dimentica della tenerezza che prima l’aveva colta. Nicole aggrottò le sopracciglia per il repentino cambio d’umore e schiuse le labbra, ma Rebekah l’interruppe continuando, « Perché? Io per te non sono nulla, e nemmeno Mikael, però tu sei sempre onesta e sincera, dolce. Cerchi di dare una mano, anche se non ci conosci. Perché? Non sembri avere un secondo fine,» aggiunse poi, meditabonda, come se cercasse di comprendere qualcosa che andava oltre la facciata. Non trovandola. Nicole non aveva cattive intenzioni, né nei suoi confronti né in quelli di nessun altro. Sorrise, timidamente, e guardò il più vicino cartello. Indicava che Richmond era a poco più di mezzora.
« Non ce l’ho, infatti,» confermò soavemente, scoccandole un sorriso mite quando le vide schiudere le labbra rosee, « Ho sempre pensato che la famiglia fosse qualcosa di sacro e nella vostra mi ci rivedo tanto. Siete uniti, nonostante tutto quello che vi è accaduto. Ho notato con quanto amore parli di loro, penso che sia così anche per gli altri,» aggiunse ferma e certa dei propri pensieri, « Farei di tutto per Elena e Jeremy e prima sia per i miei genitori adottivi che per papà e la zia Jenna,» mormorò più triste, con più mestizia e dolore nel ricordare tutte le persone che aveva oramai perduto per sempre. Lacrime afflitte le velarono gli occhi, ma continuò a guidare, calma e rilassata, percependo il respiro di Rebekah farsi più regolare.
« Posso farti una domanda? » le domandò criptica e sibillina. Nicole si volse, per un attimo, sbalordita da quella richiesta. Rebekah le sembrava una persona abbastanza espansiva e non credeva avesse bisogno di un consenso per fare una domanda. Annuì, educatamente, interessata da ciò che avrebbe potuto chiederle, «  È molto indiscreta e non vorrei turbarti, ma avrei necessità di saperlo,» continuò con un tono più rassicurante e allegro. Nicole annuì, ancora una volta, « Sei innamorata di Niklaus? » mormorò a bruciapelo, prendendola alla sprovvista. Per poco non frenò bruscamente la macchina, solo perché dietro v’era un discreto traffico e non voleva generare un incidente di natura assai ampia, ma il cuore prese a batterle con troppa foga e il respiro le divenne corto. Le labbra erano schiuse, gli occhi sgranati, le fronte corrugata. Dire che era sorpresa era un eufemismo. Non se lo sarebbe mai aspettata. Tutto, ma non quello. Se era innamorata di Klaus. Ci pensò, sebbene non ne avesse alcuna necessità. La risposta le appariva sin troppo chiara, limpida e cristallina. Meravigliosamente sbagliata per tutta quella situazione, ma non sapeva mentire a se stessa e non voleva apprendere quella capacità proprio in quel momento. Deglutì e si inumidì le labbra, « Scusami,» esclamò riportandola alla realtà. Quasi la ringraziò mentalmente di averle evitato di rimuginare ancora su quella che oramai era la propria verità, « Sapevo che ti avrebbe turbato. Non so cosa mi sia passato per la mente, però Nik è così preso da te. Dovevo sapere se era anche per te così,» continuò più imbarazzata, la voce acuta, non stridula, bensì incerta e quasi a disagio. Quando aveva affermato che Klaus era preso da lei, era avvampata e le mani, ancorate al volante, avevano tremato per molto più d’un istante. Klaus. Preso da lei. Era paradossale, sfiorava il ridicolo, però Rebekah lo conosceva molto meglio di lei e doveva sapere cosa abitasse nell’animo tormentato di suo fratello, « Però sono stata indiscreta, fin troppo. Non devi rispondere. Se non vuoi, o se non sei pronta,» aggiunse titubante, non percependo alcun suono fuoriuscire dalle sue labbra. No, non era pronta. Non ancora, forse non lo sarebbe mai stata. Se l’avesse ammesso ad alta voce tutto sarebbe cambiato. Sarebbe divenuto troppo reale per essere affrontato. Non voleva perdere nessuno, non a causa dell’amore. E poi a cosa avrebbe portato? A nulla. Klaus era preso da lei, sì, ma serbava nella parte più recondita della sua mente il dolce ricordo della sua Tatia. Non sarebbe mai riuscita a spodestarla se nessuna, e dovevano esserci state molte donne vista l’avvenenza dell’ibrido, l’aveva fatto in mille anni. Non voleva essere un surrogato, per nessuno, tanto meno per una persona per la quale provava un sentimento così forte. Sarebbe stato aberrante, troppo triste, certamente inutile e motivo di una sofferenza troppo grande per essere sopportata. E lei non voleva più soffrire. Al secondo posto, dopo una donna morta mille anni prima. Non era solamente triste, era patetico e Nicole nutriva troppa stima nei confronti di se stessa per esserlo. Scosse il capo con foga e si scostò un boccolo dal volto, poi volse lo sguardo a Rebekah.
« Non sei stata indiscreta, Rebekah,» mormorò dolcemente, intenerita dall'interesse che mostrava la vampira, poi le sorrise, una mite increspatura delle labbra a cuore, « Io ti capisco. Se fossi nella tua stessa situazione per Jer, anche io lo chiederei alla fortunata,» aggiunse raggiante, prima di aprirsi in una leggera risata per riportare nell’abitacolo un’atmosfera soave. Rebekah sorrise e annuì.
« Alla vampira fantasma?» domandò ironicamente facendola ridere di gusto, sino a sentire eclissata ogni tristezza. Era simpatica, Rebekah, un’anima pura nel corpo di una vampira millenaria.
« Spero la dimentichi presto. Ho tanta paura per il mio Jer,» le confessò mesta, abbassando lo sguardo e sospirando lievemente, « È cambiato, e non è un bene. Però so che non è stata colpa di Anna,» aggiunse comprensiva e affettuosa. Non l’aveva mai conosciuta, ma le era sembrata una brava persona in quei pochi istanti in cui l’aveva scorta quand’era un fantasma, « Devono essersi amati così tanto. Con Bonnie sarebbe stato più semplice. Bonnie è una ragazza normale, un’adolescente matura per la propria età, questo sì, ma è sempre una giovane donna. Anna era una vampira. E con questo non voglio dire di avere nulla contro di voi, però non augurerei a nessuno di innamorarsi di una persona che non potrà mai essere tua,» mormorò, mordendosi poi il labbro inferiore. Non avrebbe mai dovuto parlare in quel modo dinanzi a una vampira come Rebekah. Si sarebbe sicuramente offesa e Nicole non voleva incrinare quel bel rapporto che vedeva sul loro orizzonte. Eppure, ogni volta che pensava ai vampiri, la sua mente si indirizzava verso sua madre. Isobel aveva abbandonato persino Alaric, l’uomo che amava talmente tanto da sposarlo, per divenire una di loro.
« In che senso? Vi sono state molte storie tra vampiri e umani,» sussurrò incuriosita, incerta di ciò che volesse esprimere con quelle ultime frasi. La guardava con le sottili sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata.
« Sì, ma gli umani, nella maggior parte dei casi, sono divenuti vampiri perché non volevano perdere le persone che amavano,» contestò rimanendo sempre con lo sguardo puntato alla strada. Non voleva che scorgesse le emozioni presenti nei suoi occhi. Stava mettendo se stessa in quell’ultima parte di discorso. Lei e Klaus. Tutte quelle che sensazioni che l’ibrido immortale le faceva vivere.
« Perdonami, non riesco davvero a comprenderti,» affermò Rebekah, più incerta.
« Non c’è nulla da capire, Rebekah. Non sto dicendo assolutamente nulla. È solo che… Non lo so. Lascia perdere,» mormorò con un sorriso turato, tornando a guardarla. La vampira scosse il capo, con foga, e le fece cenno di riprendere il discorso.
« No, continua, per favore. È ovvio che una strega parli in questo modo, voi siete delle servitrici, noi degli abomini,» esclamò comprensiva e condiscendente. Toccò a Nicole scuotere il capo, poi tornò alla strada.
« Io non vi odio, Rebekah, affatto,» affermò veritiera mentre lacrime, segno di un’emozione che non sapeva bene qualificare, le velano gli occhi. Era vero. Sebbene fosse cresciuta in una famiglia di cacciatori, non odiava i vampiri, non tutti perlomeno. Solo quelli malvagi e senza scrupolo alcuno, che si gloriavano della propria potenza e uccidevano i più deboli senza battere ciglio. Per loro provava un profondo disprezzo, però sapeva che non erano tutti così. Ve ne erano diversi che le avevano dimostrato di poter essere buoni. Primo tra tutti Stefan, « Però non capisco come facciate a non temere l’immortalità. È così anormale per me,» esclamò, rivelando infine tutte le proprie paure. Era liberatorio aprirsi con qualcuno che avrebbe potuto darle qualche risposta. Rebekah rimase in silenzio per alcuni attimi, facendole pensare che non avrebbe mai risposto.
« In effetti, io l’ho sempre temuta, ma c’era Nik con me. Sapevo che tra le sue braccia ero al sicuro, che lui mi avrebbe protetta da ogni pericolo e la paura scompariva,» sussurrò intenerita dai propri ricordi tanto da farle nascere un sorriso spontaneo sulle labbra, « Nik è sempre stato capace di atti di profonda malvagità, ma anche di gentilezza e amore. È difficile, arduo, comprenderlo, ma troveresti un mondo all’interno della sua anima, un universo meraviglioso, complesso, pieno di luci e ombre,»  le rivelò dolcemente, facendole aumentare i battiti cardiaci, tremare persino. Avrebbe voluto urlarle di smetterla. Quel senso dell’onore e l’amore verso la propria famiglia si ribellavano a quel sentimento che le squassava l’animo nel ricordare la bellezza degli occhi di Klaus. Sarebbe morta pur di poterli rivedere ancora una volta, « E so che non dovrei dirtelo per Elena, o Jeremy o per i tuoi amici. Però tu lo ami, Nicole, e tu stessa sai che non è un errore,» mormorò con tenerezza infinita, poggiando una mano sulla sua, stringendola per farle percepire il proprio calore oltre il freddo della pelle. Accostò la macchina. Non riusciva più nemmeno a guidare, a osservare l’asfalto, il panorama, i cartelli che le dicevano di essere a pochi kilometri dalla città che già si poteva scorgere. Non era in grado nemmeno di respirare a dovere. Uscì dalla macchina, velocemente, scattando fuori dallo sportello, avanzando verso il guard rail di metallo grigio. Poggiò le mani aperte su di esso e tentò di ripristinare le capacità respiratorie, inspirando profondamente, gli occhi chiusi, serrati. Doveva sembrare una pazza e forse lo era davvero. Lo amava. Lei lo amava. Si era innamorata di Klaus. Era tutto così dannatamente vero da spaventarla a morte. Perché era finalmente a casa, dove aveva sempre voluto essere.

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Capitolo 19
*** Only a second best? ***


19 cap
Capitolo 19
Only a second best?

Sospirò e si prese il volto tra le mani mentre un suono di profondo diniego, di strazio quasi, fuoriusciva dalla sue labbra schiuse. Quei pensieri non dovevano essere presenti nella sua mente. Lei non poteva sentirsi davvero a casa pensando a Klaus. Avrebbe comportato troppo, una situazione che non aveva la forza di affrontare, non da sola. Eppure non poteva dimenticare, cancellare, eliminare quei sentimenti che nutriva per l’ibrido millenario. Era impossibile. Erano marchiati a fuoco nella sua mente, e nel suo cuore soprattutto. Era inutile anche solo tentare di accantonarli poiché lo desiderava troppo, lo voleva al suo fianco, in un posto che non avrebbe mai più occupato nessun altro. Klaus, sebbene lei non se ne fosse resa conto prima, avesse tentato di rimanere cieca dinanzi a quella potenza, si era insediato nella sua anima, impossesandosene senza lasciarle una via d’uscita, una possibilità di cambiare le carte in tavola. Sbuffò e si passò una mano tra i capelli, mentre le auto continuavano a sfrecciare a tutta velocità sul rettilineo dell’autostrada, almeno quelle che non svoltavano per la capitale della Virginia. Sarebbe stato più facile pensare che quello che provava per Klaus fosse stato causato soltanto dall’ibrido, ma ben sapeva quanto quel pensiero non corrispondesse al vero. Era stata lei a lasciarlo entrare nella sua vita, a dargli spazio, a permettergli di baciarla. Klaus non le aveva fatto nulla che non avesse voluto lei, che lei stessa aveva bramato poiché lo amava. Scosse il capo, serrò gli occhi e deglutì a vuoto, i battiti ancora accelerati e il respiro corto. Una lacrima le rigò il volto pallido e le lasciò compiere il proprio percorso. In quel momento era in grado di comprendere perché quella mattina, che sembrava tanto appartenere a una vita antecedente e lontana, avesse cotanto desiderio di piangere. Non riusciva a mentire, a essere indifferente, imperturbabile, a celarsi dietro un muro di menzogne e viltà. Avrebbe dovuto, invece. Perché sapeva cosa significava accettare i suoi sentimenti. La sua vita non sarebbe mai stata più la stessa, e non era solamente per l’odio, l’astio o la delusione di Elena se l’avesse scoperto oppure per lo sguardo torvo di Jeremy. Era per lei. Amare un immortale era completamente insensato per una strega. Insensato e sbagliato. Klaus aveva compiuto atroci crimini in tutti quei secoli, si era macchiato le mani di sangue innocente e non se ne era mai pentito. Quella era la sua natura e lui non la rifiutava né l’aberrava. Non sarebbe stata sicuramente lei a fargli cambiare stile di vita, non sarebbe valso a nulla. Percepì le mani piccole e gelide di qualcuno poggiate sulle spalle nude e sobbalzò, ricordandosi di colpo della vampira che aveva lasciato in macchina. Dovevano essere trascorsi dei minuti da quando era come fuggita da lei, dalle sue parole che rappresentava una verità troppo dura da affrontare. Non si girò, ma si irrigidì e scosse il capo vedendo che Rebekah si affiancava a lei, sulla destra. La vampira le fece volgere le spalle con delicatezza e la guardò negli occhi. Nicole, timorosa di incontrare lo sguardo antico della ragazza dinanzi a lei, chinò il proprio e si morse lievemente il labbro inferiore. Rebekah sbuffò intenerita, come se davanti a sé avesse una bambina, e le sollevò il mento.
« Non pensavo di turbarti tanto, Nicole, altrimenti non l’avrei detto,» mormorò preoccupata e dispiaciuta di averle causato quella reazione. Nicole sgranò gli occhi e scosse lievemente il capo, avvampando, come per dirle che non v’era alcuna mancanza da parte sua, « Anche se credo fermamente che sia la verità,» aggiunse più convinta e seria, imprimendole quel messaggio con uno sguardo profondo e autorevole. Le carezzò lievemente la guancia, poi sorrise rassicurante e si scostò, « Ma adesso andiamo. Vedrai che una bella giornata di shopping ti farà ritornare il sorriso,» esclamò facendole un cenno gentile per tornare in macchina. Nicole annuì e sorrise timidamente, avanzando verso il sedile del guidatore. Appena entrati nell’immensa città, Nicole distese maggiormente le labbra, ricordando quanto le fosse cara, quante piacevoli memorie le riportasse alla mente. Era il luogo in cui aveva vissuto con suo padre due degli anni più belli della sua vita. John era un buon genitore, premuroso e attento, sempre pronto ad ascoltarla quando la nostalgia della sua vecchia vita si faceva troppo forte per essere sopportata, e ad aiutarla. Aveva sempre pensato di non esser degno dell’affetto che Nicole nutriva nei suoi confronti e la giovane ne era rimasta commossa. Scosse il capo e sciolse il sorriso nel ricordare che suo padre non sarebbe mai più arrossito quando lo abbracciava. Trattenne a stento una lacrima e Rebekah poggiò una mano sulla sua, comprendendo il disagio della ragazza.
« Potremmo andare a Target, che ne dici? Lì ci sono sempre dei bei vestiti e mi sembra che in questo periodo ci siano anche gli sconti,» esclamò Nicole dubbiosa, guardandola con la coda dell’occhio mentre avanzava a fatica per le vie trafficate della capitale. Rebekah sorrise e  scosse il capo. Nicole la guardò, incerta, le sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata.
« Senti, Nicole, di vestiti ne ho a bizzeffe ed era una scusa per parlare di te e Nik, in verità,» le rivelò divertita da tutta quell’ingenuità della ragazza. Nicole schiuse le labbra e avvampò, continuando a seguire la fila, bloccandosi dinanzi al semaforo rosso. Sorrise, amaramente, e chinò il capo, lasciandosi sfuggire un breve sospiro.
« Avresti anche potuto dirmelo. Avremmo parlato a Mystic Falls,» mormorò dolcemente, per nulla irritata da quella minuscola bugia. Sapeva che era fin di bene, lei avrebbe fatto lo stesso e poi aveva bisogno anche lei di fare chiarezza dentro di sé, sebbene tutto le apparisse sin troppo nitido.
« No, era meglio che ci allontanassimo,» negò Rebekah, seriamente, sorridendo appena, « Sembra che la tua città abbia delle orecchie immense per sentire tutto quanto quello che i suoi abitanti dicono e ti saresti trovata sulla bocca di tutti in un attimo. A Richmond non ti conosce quasi nessuno, se non sono in errore,» aggiunse più incerta, vedendola sorridere divertita. Annuì e svoltò a destra, percorrendo un’ampia strada che sembrava non dovesse mai avere fine. Portava ai ponti, al Robert E. Lee in particolare, e Nicole l’aveva percorsa talmente tante volte da poter permettersi di osservare le persone passeggiare sui marciapiedi bianchi, dinanzi agli edifici imponenti e ai bar, ristoranti e negozi. In lontananza era in grado di scorgere una chiesa bianca e magnifica a cui si stavano progressivamente avvicinando.
« Ti porto a casa mia,» le comunicò Nicole immersa nelle gioie che le offriva il paesaggio. Richmond era una città commerciale, viva, attiva, immensa, piena di grattacieli altissimi e uffici, o almeno quella era la sua parte più conosciuta. Nicole l’aveva girata a lungo durante quei due anni per scoprire se vi fosse, in una megalopoli così caotica, un luogo di pace. L’aveva trovato nei piccoli bar, o nella parte meridionale piena di parchi e sentieri, lontani solo qualche kilometro dalla sua villetta. La giovane si rifiugiava lì per sentire l’acqua del James River scorrere blanda e poco profonda, oppure per percepire la fresca brezza tra le fronde, o anche per apprezzare la vera essenza della natura. Suo padre le aveva sempre detto che le faceva bene recarsi nei parchi, poiché tornava a casa più tranquilla, felice, con un bel sorriso gioioso impresso sui lineamenti poco marcati e un’espressione pacifica nello sguardo reso più brillante e splendente. Nicole arrossiva sempre e chinava il capo, ringraziandolo per quei complimenti così sinceri e dolci.
Sospirò e poi scosse il capo per impedire che i ricordi le generassero lacrime che non sarebbe stata in grado di trattenere. Parcheggiò dinanzi a quella che per due anni aveva considerato la propria casa e scese subito, guardandola dal marciapiede opposto. Schiuse le labbra, emozionata, le mani tremanti ancora appoggiate sulla sommità dello sportello aperto. Era come se lo ricordava. Nulla era cambiato. La villa, di modeste dimensioni, frutto di tanti anni di fatica, a due piani, dai mattoni rossi e dal tetto di tegole bianche, sorgeva accanto a quella completamente candida dei signori Smith. L’atmosfera che si percepiva nella Bainbridge Street era meravigliosamente calma e posata. Le fronte dei esili alberi sempreverdi erano scosse da una brezza sottile e impalpabile e nessuno passeggiava per la via. Erano al lavoro e i bambini alla più vicina scuola. Nicole si avvicinò al casa, notando che le scale di legno rosso scuro erano lievemente coperte da una sottile coltre di polvere, così come il divanetto bianco saldato al muro perimetrale. Le finestre erano sbarrate come le aveva lasciate lei tre mesi prima e i vetri della porta d’ingresso erano intatti. Salì le scale, ben attenta a non toccare il corrimano laccato di bianco e notò che tutti i fiori che aveva piantato erano oramai secchi per non aver ricevuto acqua a sufficienza. Non aveva raccomandato nulla ai vicini, non le sembrava propriamente il caso di approfittare della loro gentilezza se non sapeva quando avrebbe fatto ritorno a Richmond. Rebekah la seguiva, senza parlare, lasciandole la possibilità di rivedere quel momento che per lei aveva una profonda rilevanza. Nicole poggiò le converse sullo zerbino marroncino con una scritta rossa che invitava ad entrare e si sfiorò la catenina d’argento che portava al collo. Era così discreta che mai nessuno la notava e tante volte si dimenticava persino di possederla. Non aveva in ciondolo, bensì la chiave di casa. La inserì nella toppa e la girò un paio di volte, poi aprì la porta, rivelando uno spazio immerso nel buio più totale a causa del legno che bloccava le finestre.
« Puoi entrare, Rebekah,» invitò caldamente la vampira, la voce flebile per l’emozione, instabile. Si guardò intorno, poi si diresse verso la prima finestra, aiutata dalla luce che filtrava attraverso la porta. Scostò le tegole, forzandole un po’ e Rebekah la aiutò con quelle della sala, rivelandola. Era uno spazio rettangolare, molto accogliente e semplice. Su di una parete, quella a sinistra rispetto alla porta,  era posizionata un’imponente libreria di ciliegio contenente vari volumi e, nella parte più bassa, i diari di famiglia. Su quella opposta v’era un camino di marmo bianco sul cui cornicione erano poggiate delle foto di famiglia. Nicole le guardò. Ve ne erano sette, tutte raffiguranti i membri più vicini a lei. Quella in bianco e nero, l’unica, ritraeva i suoi nonni appena sposati. La nonna Elizabeth, splendida nel proprio abito bianco, vaporoso, di tulle, con una gonna immensa e un corpino ricamato, di pizzo. Il nonno Jeremy, quello che non ha mai conosciuto, la stringeva a sé, e i suoi occhi, lievemente più azzurri dei propri, sembravano l’unica nota di colore. Forse era stato uno sbaglio del fotografo, un errore che nessuno aveva mai voluto correggere. Dopo v’era una che raffigurava la prima famiglia Gilbert: nonna Elizabeth, vestita semplicemente con una gonna marroncina e un maglione di lana bianca, il piccolo Grayson, di soli dieci anni, e John, imbarazzato, timido, accanto a suo fratello che, rassicurante, gli teneva la mano. Percepì un lieve rumore, come di una bottiglia che urtava una superficie di metallo, e si volse, poggiando la foto sul marmo. Vide Rebekah armeggiare per versare il brandy in due bicchieri a tulipano, contemporaneamente, e le venne da sorridere. Si accomodò sul divano, lungo e di lucida pelle bianca, e la vampira la seguì subito dopo, porgendole il suo. Nicole ne bevve solo un sorso che le arse la gola come un fuoco, riscaldandola tutta e facendole serrare gli occhi velati da piccole lacrime. Non ricordava fosse talmente forte. Rebekah sorrise e bevve tutto d’un fiato l’intero contenuto del bicchiere facendole sgranare gli occhi. Poi lo poggiò elegantemente sulla superficie di cristallo dell’esile tavolino circolare, poggiato su di un prezioso tappeto persiano, che separava i due divani gemelli. Nicole tenne il suo tra le mani, chiuse a coppa sulla superficie vetrosa e trasparente, e chinò lievemente il capo per non incontrare lo sguardo incoraggiante, e anche incuriosito, di Rebekah. Quella situazione era assurda, ma non si voleva sottrarre. Rebekah voleva solamente ascoltarla, come un’amica, come una sorella. Caroline, Elena. Era come se quei ruoli che avevano avuto nella sua vita precedente, felice e normale, fossero svaniti. Con Caroline non riusciva più a parlare, sebbene nutrisse ancora un profondo affetto nei suoi confronti, ed Elena la detestava per tutte le scelte che aveva deciso di prendere senza il suo consenso. Rebekah era l’unica persona che fosse davvero disposta a prendersi cura di lei, in quel momento, e quel pensiero se da un lato la faceva intristire per aver perduto due pilastri fondamentali, dall’altro la rinfrancava. Non era sola. Anche se l’interesse della vampira fosse stato soltanto quello di interessarsi di suo fratello, e non le sembrava fosse così, sarebbe stato un motivo di gioia. Rebekah poggiò una mano, dalle lunghe dita affusolate, sul suo braccio per rincuorarla e Nicole alzò lo sguardo, sorridendo lievemente.
« Posso domandarti una cosa? Ti prometto che non sarà indiscreta come quella di prima,» le assicurò divertita dal guizzo impaurito che scorse nello sguardo limpido della ragazza dinanzi a lei. Nicole annuì, distendendo le labbra maggiormente in un cenno di assenso appena marcato. Rebekah sorrise, soddisfatta, e accavallò le gambe snelle fasciate da un pantalone nero e aderente, « Perché sei andata via da Mystic Falls? Ieri l’ho chiesto a Nik, ma lui non ha saputo rispondermi e io sono un’impareggiabile invadente,» le spiegò ironica, arricciandosi una ciocca biondo platino che sfuggiva alla coda alta e le carezzava la guancia. Nicole si scostò un ricciolo che le era ricaduto dinanzi agli occhi e scosse lievemente il capo, a disagio, le labbra imbronciate.
« Preferirei non parlarne. Spero che ti basti sapere che ho avuto un problema con il Consiglio di Mystic Falls, un problema abbastanza grosso, e mio padre ha ritenuto opportuno portarmi via da quel covo di folli,» mormorò divertita prima di aprirsi in una leggera risata, colma però di amarezza e dolore, mentre tratteneva le lacrime che, feroci, le velavano gli occhi per rigarle le guance. Non avrebbe permesso loro di vincere su di lei. Doveva essere forte, abbastanza da accantonare la delusione e la mestizia, la collera e il risentimento per andare avanti con la sua vita. Raccontarlo l’avrebbe sì aiutata, ma l’avrebbe fatta sprofondare in un baratro di sofferenza tale da farle sembrare impossibile risalirlo. Rebekah annuì, comprendendo quanto fosse complesso e arduo per lei parlarne, e le sorrise rassicurante mentre la ragazza poggiava il bicchiere ancora pieno per tre quarti sul tavolino. Appoggiò poi  il gomito sulla parte sommitale del divano e le gambe, rannicchiate, sul poggiatesta per trovarsi nella posizione più comoda per poter guardare Rebekah.
« Certamente, cara,» sussurrò gentilmente prima di issarsi in piedi e avanzare per la bella sala verso il contro mobile sul quale era poggiato un televisore discreto e nero, al plasma, affiancato da due vasi di vetro soffiato, blu, comperati in Italia durante un viaggio di lavoro. Prese il telecomando, ma si volse subito, senza accenderla, quando percepì la domanda della ragazza.
« Ti fidi di Mikael?» le chiese a bruciapelo, sorprendendola e facendola sobbalzare. Rebekah la guardò, un’espressione indecifrabile, criptica, che le rese più oscuro il dolce azzurro dello sguardo, per alcuni istanti, le labbra lievemente imbronciate e le sopracciglia arcuate. Poi annuì, timidamente e tornò a sedersi, abbandonando il telecomando sulla superficie lignea del mobile.
« Io…,» si interruppe incerta, spalancando le braccia e sorridendo appena, come incredula e stupefatta, « Credo che voglia solamente ritrovare la mamma e i miei fratelli,» mormorò poi più triste, ma sicura delle proprie parole, « È mio padre. Devo dargli una seconda possibilità, no? Tu lo faresti? » chiese titubante, sedendosi accanto a lei e lasciando che una lacrima le rigasse il bel volto lievemente abbronzato per la cipria. Nicole annuì, certa e seria.
« Sì, lo farei,» confermò subito dopo, prendendole le mani tra le proprie, stringendole con calore mentre sulle labbra si distendeva un piccolo sorriso rassicurante, « Penso che anche Klaus sia d’accordo,» aggiunse sottovoce, timorosa di mormorare il nome dell’ibrido che le aveva rubato il cuore. Rebekah si riprese da quel momento di scoramento e imbarazzo e le scoccò un sorriso malizioso e furbo facendola avvampare per la vergogna.
« Sembrate davvero una bella coppia, sai?» esclamò allegra, trattenendo a stento una risata dinanzi alla sua espressione sbalordita, sino ad essere quasi smarrita e colma di confusione e turbamento, « Lui è più sereno e allegro quando è con te, più affettuoso e, credimi, Niklaus sa essere davvero scontroso sino a divenire villano, alle volte,» continuò più imbronciata, ricordando i momenti più cubi del passato di suo fratello, le uccisioni prive di alcun significato, vere e proprie stragi che si protraevano anche per alcuni giorni, solo perché era arrabbiato con il mondo intero, « Eppure tu tiri fuori il meglio che c’è in lui. Sono felice che abbia trovato una ragazza come te. In fondo se lo merita, dopo mille anni passati nel buio. Merita un raggio di Sole,» esplicò quando vide il suo sguardo incerto. Nicole avvampò, terribilmente, e sgranò gli occhi chiarissimi, schiudendo le labbra in una perfetta espressione sbalordita. Si passò una mano su entrambe le guance, per poi fermarsi sulla fronte in fiamme.
« Davvero, Rebekah, io non so se sia realmente la perifrasi migliore per indicare una come me,» contestò scandendo bene ogni sillaba come per imprimerla meglio nella mente della vampira e farle cambiare giudizio, « Non sono un raggio di Sole e, soprattutto, tuo fratello non mi potrà mai considerare in quel modo,» sussurrò più spenta, dispiaciuta e amareggiata, sebbene il tono con cui aveva pensato di parlare era ben diverso. Avrebbe voluto essere forte e sicura, non mostrare alcuna emozione, eppure la sua anima piangeva per quella che nella sua mente era una constatazione, non solo un’idea.
« Perché? » esclamò Rebekah, aggrottando le sopracciglia, contrariata da quel comportamento che riteneva abbastanza sciocco, « Mio fratello potrà anche essere un assassino, un torturatore e un grandissimo farabutto, però è capace di amare, e lo è sempre stato,» le raccontò accorata, sebbene negli occhi stesse avendo il suo avvento un’espressione di puro dolore misto a risentimento, « Anche troppo. Ha donato tutto se stesso a quella sgualdrina di una Petrova, le ha porto il suo cuore su di un piatto d’argento e lei ha giocato con lui, lasciandogli dentro un vuoto talmente profondo, abissale, tanto che non è mai riuscito a colmarlo del tutto,» continuò malevola, gli occhi dardeggianti e i pugni serrati, prima che sul suo volto si distendesse un’espressione di dolce empatia, « Poi sei arrivata tu, tu con la tua freschezza, il tuo animo gentile, tu con la tua umanità che hai messo subito al suo servizio. Non l’hai rifiutato, anzi, ho notato quanto lo fai sentire amato e ti ringrazio così tanto,» esclamò stringendole una mano tra le proprie, un bel sorriso sugli splendidi lineamenti poco marcati del volto. Nicole era arrossita, ma non troppo, e l’abbracciò si slancio, circondandola con le proprie braccia. Aveva trovato un’amica. In quel mare di bugie e sotterfugi, in quella guerra che vedevano scontrarsi le creature soprannaturali di una cittadina della Virginia del sud, lei era riuscita a trovare una persona che le voleva davvero bene, a parte la sua famiglia, non ancora del tutto unita. L’avrebbe ringraziata per tutta la vita per quello che le stava dicendo in quei pochi minuti, per averle dedicato parte della propria immortalità, per averle parlato, tentato di farle comprendere dei sentimenti di cui lei stessa aveva paura per la loro profondità. Rebekah le carezzò lievemente la lunga coda e la sentì sorridere, lievemente, sino a quando ambedue, all’unisono, si scostarono dolcemente.
« Mi dispiace che abbia sofferto così tanto per amore,» sussurrò realmente mortificata, gli occhi mesti e le labbra incurvate verso il basso, « Sarei una sciocca se dicessi che lo capisco, che posso realmente farlo. Tyler mi avrà anche tradita, però non ha mai giocato con me. Sapevo che il suo era vero amore. Che si sia spento è irrilevante,» aggiunse convinta, « Invece, credo che, per Klaus, Tatia sia ancora importante, che il fatto di aver voluto sia lui che Elijah gli bruci ancora,» continuò sottovoce, più mesta, accucciandosi contro il divano, quasi facendosi più piccola, come una bambina, per non soffrire per il peso di quella verità. Rebekah annuì, seriamente e sospirò.
« Hai ragione. Anche per il mio caro Elijah è lo stesso. Devi sapere che lui ha sempre avuto un animo nobile e virtuoso. Era il più gentile di tutti noi, se non si conta il piccolo Henrik, e viveva per proteggerci, tutti. Non puoi immaginare quante volte abbia difeso Niklaus durante gli anni dell’infanzia e della fanciullezza, dalle angherie di mio padre, » le raccontò accorata, perdendosi nei ricordi di quel fratello che le doveva mancare moltissimo, « Quella sgualdrina si frappose, creando una tale frattura tra i due che poté sanarsi solamente con la morte della mia amata madre, però il loro rapporto non fu mai più lo stesso,» sussurrò, chinando lievemente il capo per celarle le lacrime che a stento riusciva a trattenere. Uno suono le fece sobbalzare entrambe. Era la suoneria del cellulare di Rebekah. La vampira lo estrasse e Nicole guardò fuori dalla finestra. Il tramonto stava colorando di rosso il bel cielo terso della capitale, facendo quasi infiammare gli alberi dinanzi a lei.
« Nik, cosa c’è? È successo qualcosa? » domandò preoccupata Rebekah, facendola subito volgere, trepidante, verso di lei. Si avvicinò impercettibilmente e la vampira comprese che voleva ascoltare la telefonata. Inserì il vivavoce e l’accento britannico di Klaus si spanse per tutta la sala.
« No, sorellina, non preoccuparti, nulla di allarmante,» esclamò divertito, sebbene il suo tono stesse divenendo irritato, « Stefan non vuole collaborare, e nemmeno Damon, Mikael non è ancora riuscito a trovare la madre di Bonnie. Un totale fallimento, ma ho dei bei progetti per la serata,» si riprese subito, ridendo appena, « Ti andrebbe di partecipare a una festa di beneficenza? Son certo che sarò il suo benefattore,» continuò suadente, facendo sorridere Rebekah.
 « Quale festa? » domandò Nicole, incuriosita. Klaus rimase per un attimo in silenzio, come sbalordito di sentire la sua voce, poi rispose.
« Ristrutturazione del Wickery Bridge, sebbene creda sia più una maschera per una riunione segreta del più fallimentare Consiglio che sia mai esistito,» affermò sarcastico, ma dolce, ricordando che i suoi genitori erano morti cadendo da quel ponte. Nicole sospirò lievemente, poi sorrise.
« Ci sarò. Devo esserci. Ho bisogno di parlare con Carol,» comunicò più a se stessa che ai due, la voce bassa, quasi impercettibile, meditabonda, le mani giunte poggiate sulle labbra esangui e lo sguardo chino sul lucido pavimento bianco dalle minuscole fughe nere.
« Perfetto, sweetheart. Verrà anche Mikael,» le avvisò prima di interrompere la chiamata. Rebekah rimise il cellulare in tasca e si issò in piedi, scattante, per poi guardarle e porgerle la mano, invitandola ad afferrarla per venire con lei, un bel sorriso impresso sui lineamenti poco marcati del volto per fluire sui bellissimi occhi azzurrini.
 « Ti prometto che non dirò niente a lui,» mormorò rassicurante quando le guardò spalancare gli occhi limpidi, come smarrita e incerta, « Siete voi a dover parlare, e anche presto,» le consigliò mentre Nicole sorrideva e annuiva, prendendo la sua mano, aiutandosi a sollevarsi in piedi, « Penso che comunque avete superato la fase “siamo solo amici, nulla da aggiungere”,» aggiunse, mimando delle virgolette, più maliziosa e suadente, facendola avvampare e annaspare.
« Come?» le domandò incredula, gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Rebekah mosse lievemente il capo mentre camminavano verso l’uscita.
« Gli ho estorto che vi siete baciati, e non penso una sola volta,» soggiunse, scoccandole un’occhiata in tralice talmente allusiva da farla arrossire, ma comunque annuire, ricordando le splendide labbra di Klaus sulle proprie. Prima di uscire di casa, sulla soglia, distese le mani dinanzi a sé e le tegole ritornarono al proprio posto, a proteggere la finestra, nascondendo nel buio la bella sala. Si avvicinarono, poi, alla macchina e Nicole guidò verso casa, nell’aria del tramonto, con il Sole che a poco a poco scompariva dietro le distese d’alberi sempreverdi delle foreste vicine. Avanzarono in silenzio, il traffico era quasi del tutto scomparso, e Nicole aveva di poco superato il limite di velocità poiché non voleva ritrovarsi nell’ora di punta, con tutte le auto che, dalla piccoli paesi circostanti, facevano ritorno nella capitale. Rimasero entrambe in silenzio lungamente, ognuna delle due immersa nei propri pensieri. Rebekah osservava il paesaggio fuori dal finestrino, una mano a sostenerle il mento e le labbra lievemente imbronciate in un’espressione meditabonda. Nicole guardava l’asfalto dinanzi a sé, pensando alla propria famiglia: a Elena, a Jeremy. Avrebbe dovuto chiarire con sua sorella, il prima possibile, come le aveva detto Damon. Non poteva permettersi di perdere anche lei, dopo suo padre. Elena non poteva essere davvero arrabbiata, solamente delusa, ma era finalmente riuscita a esplicare tutto il dolore che portava dentro il suo cuore e le aveva fatto bene sfogarsi. Nicole non riteneva davvero fosse sbagliato averla definita uguale alla loro madre. Era vero che Isobel le aveva abbandonate, ma aveva trascorso ogni giorno della sua vita, sia da umana sia da vampira, pensando a loro due, lontane mille miglia da lei. Quando l’aveva vista per la prima volta, quando suo padre aveva ritenuto opportuno che conoscesse l’identità della sua vera madre, Nicole aveva notato delle piccole lacrime velarle gli occhi limpidi, come i suoi, forse di una tonalità più chiara. Tratteneva a stento le proprie emozioni e anche Nicole, sebbene si mostrasse forte e imperturbabile, cercando di erigere un muro di pietra imponente per celare il proprio animo ferito. Non l’aveva abbracciata, né giudicata. Non aveva detto nulla, ma l’aveva osservata a lungo, senza sapere come comportarsi. Era stata Isobel a comunicarle una delle verità che serbava con più riguardo nel suo cuore. Far sempre la cosa giusta. A un estraneo sarebbe parso totalmente insensato che una vampira come Isobel, che non teneva in alcuna considerazione la vita umana, potesse agire giustamente, ma Nicole era andata oltre. Suo padre le aveva raccontato che, subito dopo il parto, Isobel aveva il cuore spezzato, ma le aveva lasciate andare, comunque, poiché sapeva che Grayson e Miranda sarebbero stati due genitori eccezionali, sicuramente migliori di quello che sarebbe potuta essere lei. Scosse il capo, lievemente, e guardò con la coda dell’occhio la vampira al suo fianco. Klaus riprese prepotentemente possesso della sua mente. In verità non l’aveva mai abbandonata, la sua immagine si era solo messa da parte per poterle far ricordare la sua vecchia vita.
« Rebekah, secondo te, nel cuore di tuo fratello, ci potrà mai essere posto per un’altra? » domandò genuinamente incuriosita dalla risposta. Non v’era né dolore né aspettativa nel suo tono, solo interesse. Rebekah si volse, lentamente, verso di lei, il suo sguardo era totalmente indecifrabile. La guardò per alcuni istanti, poi annuì.
« Io credo ci sia già,» le sussurrò dolcemente, « Svolta a sinistra. Siamo arrivate,» le comunicò vedendo il cartello per Mystic Falls. Nicole obbedì prontamente, accantonando un istante la prima asserzione di Rebekah. Mise la freccia, poi entrò nella cittadina, illuminata solo dalle luci dei lampioni in lontananza. Si diresse verso il palazzo dei Fondatori, nel centro della città, e parcheggiò dinanzi ad esso dopo pochi minuti, nel più assoluto silenzio. Vide Damon e Alaric dinanzi all’entrata principale dell’immenso palazzo bianco, con delle piante dai fiori illuminati da piccole luci, e aprì lo sportello, per poi richiuderselo alle spalle e serrare la jeep. Rebekah avanzò, quasi librandosi dal suolo verso l’ingresso, attendendola sulla soglia, e Nicole raggiunse prontamente, vedendo il suo sorriso benevolo. Appena furono entrare, si guardò intorno. V’erano moltissime persone, anche troppe, a suo parere. Le conosceva tutte, alcune meglio di altre. Notò subito la longilinea figura di Klaus, come attirata da una calamita che li legava, dinanzi a quella di Carol. Vicino a loro v’era Mikael che guardava loro per poi far un piccolo cenno di saluto. Rebekah si limitò a un breve sorriso e le fece cenno di raggiungerli. Nicole annuì e Klaus, accortosi della loro presenza grazie alle indicazioni del patrigno, la guardò. I suoi occhi azzurri le penetrarono l’anima, ma tentò di non darlo a vedere, di non arrossire per non far intendere a nessuno quanto fosse fragoroso il suo batticuore. Klaus, sulle cui labbra era disteso un impercettibile sorriso accattivante, provocante e immensamente bello, non scostò gli occhi da lei per un solo istante durante quel breve percorso e Nicole neppure.
« Nicole, tesoro, da quanto tempo,» esclamò Carol appena si furono avvicinate. La donna l’abbracciò lievemente e Nicole, a malincuore, interruppe quel gioco meraviglioso per dedicare a quella che aveva considerato una mamma per innumerevoli anni tutto il proprio affetto. La strinse forte, con un sorriso felice impresso sulle labbra e nel cuore.
« Scusami, Carol. Sarei voluta venire a trovarti molto prima, però non ne ho avuto materialmente il tempo,» le comunicò dispiaciuta, scostandosi di poco e immergendosi negli splendidi occhi blu della donna, fasciata da un bell’abito viola che ne enfatizzava le forme gentili. Carol sorrise, dolcemente, e annuì.
« Non preoccuparti, cara. Ti capisco,» sussurrò comprensiva, prima di volgersi verso i tre Originali che le osservavano quasi strabiliati, perlomeno Rebekah e Mikael. Klaus era semplicemente allegro e la guardava ancora, come se non riuscisse a fare altro, come rapito dalla vista, « Perdonatemi, ma devo parlare con la mia bellissima figliola acquisita, spero non vi dispiaccia,»  aggiunse quando vide Rebekah sgranare gli occhi, sorpresa da quel rapporto così stretto. Nicole rise, piano, per smorzare l’imbarazzo che le aveva fatto avvampare le gote sempre sin troppo pallide.
« Suvvia, Carol, credo possano rimanere,» esclamò raggiante, prendendo le mani della donna. Il sorriso scomparve quasi del tutto quando un paio di occhi di ghiaccio occupò il suo campo visivo. Damon Salvatore si stava avvicinando, con il solito incedere baldanzoso. La guardò, divertito, e le fece un impercettibile occhiolino.
« Guarda cos’ha portato a casa il gatto,» enfatizzò il vampiro, guardando i tre Originali, facendole scuotere il capo con foga, ma anche divertimento, trattenendo a stento un sorriso, « Bell’abito,» continuò poi rivolto a Klaus che indossava una semplice camicia bianca aperta a mostrare delle catenine, una giacca e un paio di jeans. L’ibrido lo guardò interamente, allegro, e lo ringraziò, sarcastico e pungente.  Nicole lo guardò, solo per un istante, e tutto ciò che vide fu la splendida eleganza dei suoi gesti. Le vesti non contavano assolutamente nulla, non per lei. Klaus emanava un’aura nobile e antica, colma di saggezza e garbo.
« Nicole,» sussurrò Carol, prendendola quasi in disparte, allontanandola di poco verso la scalinata che conduceva ai piani superiori della meravigliosa villa, « Verresti domenica a pranzo, a casa mia? Ho bisogno di parlarti di quello che mi hai detto quando sei arrivata qui,» aggiunse, lo sguardo penetrante per farle rimembrare la propria promessa. Aveva affermato che sarebbe stata poco a Mystic Falls e aveva mentito, sebbene non se ne fosse nemmeno resa conto. I giorni erano trascorsi con così tanta celerità da averle fatto dimenticare di avere dei doveri, oltre a quelli della sua natura di strega.
« C’è qualche problema, Carol? Non capisco,» tentò di discolparsi, cercando di sbattere le palpebre, proprio come quando era bambina e si arrischiava a lasciare le lezioni di pianoforte per raggiungere la sua mamma che leggeva le poesie dinanzi ai piccoli della città. Carol non era mai caduta in quel tranello.
« Per favore, Nicole. Fa’ come ti ho detto e non polemizzare, soprattutto non farti notare, te ne prego,» sussurrò guardandosi intorno, osservando i membri del Consiglio che le stavano scrutando con astio malcelato. Nicole sospirò appena e chinò il capo, battendo il piede contro il pavimento, come per cancellare il risentimento nel suo cuore, « È stato uno sbaglio venire qui stasera, e tu lo sai benissimo,» aggiunse con la voce, se possibile, ancora più bassa e impercettibile. Nicole annuì e rialzò fieramente lo sguardo, mostrando le poche lacrime che lo velavano.
« Lo so, Carol. È stato un sbaglio venire qui in generale. Non sarei mai dovuta tornare. Papà me l’ha sempre detto. Tieniti lontano da quella città se vuoi ancora vedere l’alba di un nuovo giorno,» recitò, ricordando a menadito il suo consiglio. Notò che gli sguardi dei quattro vampiri erano tutti fissi su di lei, però quella constatazione non le impedì di continuare a parlare, sempre a voce bassa, per non destare altre attenzioni, « Ma papà è morto. E io non sapevo dove andare, cosa fare, se non tornare a casa mia, da Elena e Jeremy,» rivelò, battendosi le mani sui jeans, le labbra tremanti nell’atto di trattenere le lacrime. Anche Carol era in procinto di piangere, lo leggeva nei suoi splendidi occhi blu. La donna le prese le mani e annuì.
« Ti capisco, tesoro. Però dobbiamo comunque parlare. Ti prometto che farò di tutto per aiutarti, puoi contare su di me. Come sempre,» confermò con un sorriso dolce e materno. Nicole annuì e si riavvicinò al piccolo gruppo, « Damon, Klaus ha fatto un’offerta davvero generosa questa sera. Sai quanto siamo impazienti di incominciare la ristrutturazione,» esclamò prima di vere un sorso di champagne. Nicole guardò l’ibrido in tralice. Un lieve sorriso gli increspava le labbra piene. Oramai non guardava più lei, ma Damon, come per spronarlo a fare un’offerta migliore della propria. Mikael guardò dietro di lei, poi le fece cenno di volgersi, ma la sua voce anticipò ogni segno.
« Dopo che i miei genitori l’hanno superato per poi affogare nel fiume,» affermò, con finta allegria mista a ironia, la sempiterna mite voce del suo fratellino. Si voltò, di scatto, sino a incontrare il suo bello sguardo, ereditato da Miranda, di un marrone scuro e dolce. Un sorriso, beffardo e totalmente sbagliato, distendeva le labbra esangui e aveva le mani nelle tasche dei jeans. Aveva indossato una semplice camicia azzurrina e aveva lievemente passato il gel sui capelli.
« Jer,» sussurrò, gli occhi assottigliati per il dolore, prendendogli la mano, tentando di stringerla. Suo fratello non glielo permise, ma abbassò lo sguardo su di lei.
« Che c’è, Nicole? È vero. Forse tu non lo sai, ma è andata proprio così,» esclamò scandendo con foga ogni sillaba, come per imprimerle quella mancanza nella mente. Nicole, trattenendo a stento le lacrime, comprendendo la ragione per la quale stava parlando in quel modo, gli afferrò il braccio, con forza, facendogli chinare il capo maggiormente vicino a lei, poi gli spalancò le palpebre. Gli occhi erano arrossati, ma non troppo. Si era drogato, sicuramente.
« Hai ricominciato? » domandò sbalordita, sgranando gli occhi. Quando lo vide arrossire lievemente, ne ebbe la certezza e si allontanò di poco, i tratti del volto induriti e accigliati, « Jer, per l’amor del cielo, devi smetterla,» mormorò comunque dolcemente, per essergli vicina e fargli comprendere che non lo stava giudicando, « Cosa credi che direbbe Elena se lo venisse a sapere?» chiese esasperata, poggiando la mano sulla sua guancia in una mite carezza. Jeremy la guardò, per qualche istante, in colpa per ciò che aveva fatto, poi scosse il capo e l’allontanò da sé.
« Probabilmente la stessa cosa che direbbe a te adesso che sei passata dalla parte dei Originali,» affermò duramente, la voce tagliente e gli occhi dardeggianti, poi guardò oltre lei, verso Klaus che osservava la scena insieme agli altri tre, Damon era andato via già da alcuni minuti, dirigendosi verso il piano superiore. Klaus era, forse, un po’ preoccupato per la piega che stava prendendo il discorso, impensierito per lei, « Stai lontano da mia sorella. Da entrambe. Mia sorella è buona, dolce e gentile, tende sempre a essere troppo fiduciosa, e non permetterò che tu le faccia del male,» continuò più accorato e protettivo. Nicole avvampò e chinò impercettibilmente il capo, non voltandosi verso Klaus che sogghignava appena, sebbene tutta la baldanza fosse scomparsa. Era solo una facciata, in quel momento. Jeremy non attese una risposta e poggiò un lieve bacio sulla fronte di sua sorella, « Per favore, non dirlo a Elena. Gliene parlerò io questa sera stessa, appena sarà tornata dalla festa di Care. E non pensare che tutto questo sia contro di te. Io ed Elena ti amiamo, Nicole, e questo non cambierà mai,» sussurrò prima di volgersi e allontanarsi velocemente, senza guardarsi più indietro. Nicole sospirò appena e scosse il capo, una volta sola, prima di volgersi verso Carol.
« Festa di Care? Che vuol dire? » domandò confusa, con le braccia conserte come per riscaldarsi, ben attenta a non incontrare lo sguardo di Klaus, fisso su di sé. Carol inclinò lievemente il capo e spalancò gli occhi, creando delle rughe sulla fronte.
« Tesoro, oggi è il compleanno di Caroline. È possibile che tu te ne sia dimenticata? È la tua migliore amica,» aggiunse incerta e perplessa. Nicole arrossì, leggermente, e annuì, scostandosi un boccolo che le era ricaduto sul volto, le labbra imbronciate per la tristezza.
« Non mi ha invitata,» sussurrò flebilmente mentre le si formava un groppo alla gola e gli occhi le pizzicavano per le lacrime. Carol la guardò, comprensiva, e le carezzò lievemente il braccio prima di venire richiamata da un signore che lei non conosceva. Si scusò e si congedò velocemente prima di aver poggiato dolcemente le labbra sulla sua guancia.
« Klaus,» esclamò Damon preoccupato, sul primo gradino. Nicole lo guardò e tutto ciò che vide fu ansietà, quasi angoscia e turbamento, « Devi venire con me. Sarebbe meglio che venissi anche tu, Nicole,» aggiunse con più gentilezza. La strega annuì e lo seguì, al fianco dell’ibrido verso una saletta non occupata da nessuno. Damon si chiuse la porta alle spalle per sicurezza e Nicole si fece impercettibilmente più vicina a Klaus, senza guardarlo.
« Cosa c’è, Damon? » domandò Nicole cortese, rivolgendogli un breve sorriso che il vampiro non ricambiò.
« Stefan ha rapito Elena,» comunicò seriamente. Nicole lo guardò, solo per un istante, prima di replicare.
« Cosa? » esclamò Nicole indignata, gli occhi sgranati e le gambe tremanti. Damon raccontò loro tutto, sebbene Klaus non credesse che le avrebbe fatto del male. Nicole non ne era tanto sicura. Era pur sempre un vampiro ed era cambiato, in peggio, durante quei mesi.
« Quel genere d’amore non muore mai,» replicò Klaus, come immerso nel passato. Nicole tentò, con successo, di non sobbalzare per quella frase mormorata. Damon si accorse del suo turbamento, poiché era di fronte a lei, mentre dava le spalle a Klaus, e inclinò il capo, come per farle cenno di non pensarci. Dovevano solo preoccuparsi di Elena. Aveva ragione, ma non poteva farlo. Rebekah si era sbagliata. Non sarebbe mai stata che un ripiego per Klaus.

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Capitolo 20
*** Jealousy ***


20 cap

Capitolo 20

Jealousy

 
Nicole si ravvivò i capelli, portandosi una ciocca dietro l’orecchio e li ascoltò parlare senza dire nulla, senza mostrare quanto le dolesse quella verità. Non si sarebbe mai dovuta illudere. Klaus poteva anche provare un’attrazione forte nei suoi confronti, ma non l’amava. Quei sentimenti dell’ibrido non corrispondevano ai propri e Nicole percepì un vuoto abissale nella propria anima, che feriva più di una lama di coltello che fendeva il cuore. Avrebbe preferito scappare, andare nuovamente via dalla città, ma doveva rimanere. Per Elena. Per Jeremy. Per se stessa. Non poteva farsi annientare da Klaus e non aveva neanche necessità di essere arrabbiata con lui. Klaus non era cosciente dei sentimenti che albergavano nel suo cuore già da molto tempo e non poteva fargliene una colpa, seppur le faceva così male sapere che lui non la ricambiava. Sarebbe stato più semplice continuare a credere di essere innamorata di Tyler, che Klaus fosse solamente un cotta passeggera, ma era una menzogna e non le era mai piaciuto mentire. La porta si aprì e Rebekah e Mikael entrarono nella stanza. Incrociò lo sguardo azzurrino della vampira che sollevò un sopracciglio vedendola talmente accorata e assorta. Rebekah la raggiunse mentre Mikael si rivolgeva ai due.
« Cosa sta succedendo? » domandò calmo, posato, frapponendosi tra Klaus e Damon. Nicole arrischiò di guardare di nuovo l’ibrido. Sembrava incerto, come se stesse ponderando le parole di Damon. Nicole chinò subito il capo, avvicinandosi a Rebekah. Non ce la faceva nemmeno più a guardarlo senza che le lacrime intrise di dolore e mestizia le velassero lo sguardo stanco. La vampira le sfiorò gentilmente l’avambraccio per un solo istante come per imprimerle forza, forse comprendendo la situazione, e Nicole si sentì quasi meglio.
« Mio fratello ha intenzione di trasformare Elena in un vampiro se Klaus non farà un passo indietro e non farà lasciare la città ai suoi ibridi,» riepilogò il vampiro più giovane, stizzito, i bellissimi occhi limpidi come specchi sgranati e il labbro superiore tremante, come se stesse tentando di calmarsi e non dare di matto. Era preoccupato per Elena, il suo amore era talmente evidente da scaldarle il cuore. Elena non era sola, v’era qualcuno che l’amava molto più di se stesso, che avrebbe fatto di tutto per lei, che era disposto a farsi odiare piuttosto che vederla soffrire ancora.
« Please, Nik, fa’ un passo indietro. Non voglio sopportarla per il resto dell’eternità,» esclamò Rebekah, imbronciata e lamentosa come una bambina, sebbene il suo sguardo fosse serio e ragionevole, impensierito per la ragazza al suo fianco. Nicole puntò gli occhi in quelli di Damon, incrociando le braccia al petto e sospirando leggermente.
« Dov’è?» gli domandò gentilmente, nonostante la voce fosse incerta, trepidante e tremante, e anche in colpa. Non poteva pensare a Klaus mentre sua sorella veniva quasi uccisa da quello che era stato il suo fidanzato per più di un anno. Non era possibile che proprio lei, che mai si era dimenticata della famiglia, in quel momento fosse più propensa a rimuginare su quanto fosse sciocca per essersi innamorata ancora una volta di una persona che l’aveva ferita nel profondo, annientandola, che alla sua piccola Lena. Damon sbatté le palpebre e schiuse le labbra, non emettendo alcun suono. Sembrava quasi in imbarazzo, come se fosse cosciente che quella verità le avrebbe fatto ancora più male. E Nicole comprese, « Al Wickery Bridge? » sussurrò. Le labbra tremarono, per un istante, mentre una lacrima le rigava il volto seguita subito da un’altra, gemella. Non le asciugò, anzi le lasciò fluire senza sosta, trattenendo però i singulti che rischiavano di squassarle il petto, « Seriamente? » aggiunse quando non lo sentì rispondere, e non gli vide far alcun cenno col capo. Sembrava anche lui sbalordito e meravigliato da quella verità, « È impazzito o cosa? I miei genitori sono morti lì,» esclamò irata, serrando i pugni e assottigliando lo sguardo. Aveva quasi smesso di piangere e tutto quel dolore sembrava amplificato dalla collera, tanto da ferirle il cuore, « Elena stessa era a un passo dalla morte, e lui…,» si trattenne, ordinandosi di mantenere la calma. Se avesse perso totalmente il controllo, non sarebbe stata di alcun aiuto per la sua sorellina. Volse lo sguardo a Klaus e lo vide pensieroso. La stava osservando assorto e nei suoi occhi era ben presente il turbamento per le lacrime che aveva versato, come se sapesse che, in parte, dietro l’afflizione per la propria famiglia, v’era anche quella causata da lui stesso. Avanzò verso di lui con passo sicuro, sebbene stesse tremando per la collera e l’angoscia, e gli prese le mani, stringendogliele tra le proprie, guardando direttamente in viso, implorante, « Per favore, Klaus. Ti prego,» supplicò quando fu certa di aver accantonato tutta la propria dignità, facendoglisi più vicina. Klaus sbatté le palpebre, non più imperturbabile e baldanzoso, bensì triste e accorato, « Mandali via di qui, fai quello che ti dice,» sussurrò come faceva sempre lui quando erano soli, totalmente dimentica di ogni persona li circondasse in quel momento. V’erano solamente loro e quello era un segreto che potevano condividere in due, come un bacio scambiato nella notte, una mite carezza, un sorriso sfuggente, uno sguardo carico di passione. Il cuore di Nicole batteva con così tanta forza da farle credere che le sarebbe fuggito dal petto, però rimase lì, addolorato e innamorato, dinanzi a quello per il quale nutriva il sentimento più bello e profondo del mondo. Klaus la guardava, rapito da quelle parole, le palpebre e le labbra, splendide e tentatrici, schiuse lievemente, come pronte a ricevere un bacio che non si sarebbe fatto attendere a lungo se non vi fosse stato qualche osservatore. Lo sentiva tremare sotto le sue dita e percepiva tutto il suo corpo teso verso di lei, emozionato come il proprio.

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Klaus sciolse la presa, velocemente, interrompendo quel gioco di sguardi che gli stava facendo perdere ogni concentrazione, ricordandosi che non erano soli. Avrebbe voluto prenderla per i fianchi e baciarla sino a farle mancare il respiro, sentirla contro di sé e poter bearsi del suo splendido sorriso, ma non era possibile, non se dinanzi a sé aveva il proprio patrigno, nonché sua sorella e Damon. Quella ragazza, così giovane, dolce, inesperta, lo stava facendo impazzire. Non poteva permetterle di comandare le sue decisioni, eppure era stata ragionevole. Quella scelta era la più giusta, sebbene odiasse pensarlo. Sarebbe stata per lui una sconfitta cedere a Stefan, ai suoi ricatti, ma avrebbe perso la doppleganger e non avrebbe più potuto creare il proprio esercito senza il suo sangue. Non si fidava di Mikael. La parola di un cacciatore di vampiri, lui stesso un vampiro, non poteva essere totalmente fedele, soprattutto se aveva l’aspetto dell’uomo che l’avrebbe volentieri ucciso prima ancora che fosse nato. Mikael l’odiava, da sempre. Anche quando non era lui il colpevole per qualche sciocchezza compiuta da ragazzo, era sempre Niklaus a essere punito, a essere picchiato, come un animale, una bestia feroce o anche peggio. No, Mikael non era in buona fede e Nicole era una sciocca se si fidava di lui. Era troppo fiduciosa e buona e sarebbe stato il suo cuore a ucciderla, proprio com’era successo con Elijah. Aveva un piano in mente, Mikael, e non gli avrebbe mai permesso di portarlo a termine. Le parole della sera prima non contavano assolutamente nulla per Klaus. Non poteva fidarsi di lui, non dopo che gli aveva dato la caccia per mille anni. Doveva mostrarsi confidente e accondiscende per colpire al momento giusto e distruggere quell’uomo che gli aveva portato via tutto, persino sua madre. Esther l’aveva abbandonato a se stesso, per colpa di Mikael, come i suoi fratelli. Era stato lui a distruggerli, annientarli, facendoli divenire dei mostri senz’anima. Non aveva più nessuno, non sua madre, non Elijah, né Finn e Kol, forse neanche Rebekah. Con la coda dell’occhio volse lo sguardo alla bella fanciulla dinanzi a lui. Era stata l’unica a non mandarlo via. Il cellulare squillò e gli offrì un’ottima scusa per non incrociare gli splendidi occhi della giovane dinanzi a lui velati da una patina di tristezza e amarezza, mista a delusione. L’aveva ferita, ne era sicuro, sebbene non compresse cosa avesse detto, o fatto, di sbagliato che l’aveva portata a soffrire, però ne era dispiaciuto. Non le piaceva vedere il suo bel volto ferito, soprattutto se era a lui che sarebbe dovuta essere attribuita la causa del suo malessere. Scosse lievemente il capo ed estrasse il telefono, lo sguardo di tutti su di sé, ma non gli importava di nessuno, tranne che di uno limpido e meravigliosamente profondo, terso come un cielo primaverile.

-_-_-_-_- 

Nicole lo sentì discorrere con Stefan, irritato dal comportamento del suo Squartatore che stava disubbidendo e mettendo in dubbio la sua potenza, ma la sua mente era totalmente rivolta ad altro. Aveva notato il guizzo di passionalità negli occhi di Klaus e ne era rimasta intimamente scossa. Nessuno mai l’aveva guardata in quel modo, come se avesse voluto farla propria, amarla con un sentimento tale da annichilire entrambi. Era insieme meraviglioso e terrorizzante, l’aveva fatta per un attimo fremere, però aveva subito dovuto ritrovare il controllo di se stessa per non cedere a lui, ancora una volta. Avrebbe promesso a se stessa che non si sarebbe più fatta incantare da Klaus, che non gli avrebbe più permesso di sfiorarla e incendiarla con il calore della sua anima, però sarebbe sembrato talmente falso e sciocco da farla risultare patetica ai suo stessi occhi. Klaus le era entrato nell’anima, oramai, e non ne sarebbe uscito tanto facilmente. Scosse lievemente il capo, percependo lo sguardo azzurrino, sempiternamente gelido e imperturbabile, di Mikael fisso su di sé. Klaus aveva accettato, aveva fatto un passo indietro. Avrebbe mandato via gli ibridi da Mystic Falls. Elena era salva. Sospirò e chiuse gli occhi, ringraziando Iddio di aver dato a sua sorella un altro giorno da vivere. Si passò le mani tra i capelli, attenta a non sciogliere la coda, e tremò appena.
« Nicole,» la chiamò Damon, la voce lievemente arrochita dall’ansia che l’aveva colto negli minuti precedenti, anche lui insicuro che Klaus l’avrebbe salvata davvero. La ragazza si asciugò velocemente una lacrima che le aveva rigato la guancia pallida e si voltò verso di lui, schiudendo gli occhi chiari e invitandolo a continuare, « Vieni con me? Sto andando a prendere Elena. Credo abbia bisogno di te,» aggiunse quando le vide scuotere il capo, con un impercettibile cenno.
« Scusami, non posso proprio,» sussurrò, negando con più foga, quasi timorosa e impaurita da quella prospettiva. Damon l’osservò, lo sguardo assottigliato, incredulo e sbalordito da quel diniego. Aveva sicuramente pensato che non avrebbe esitato nemmeno un istante prima di andare da sua sorella, « Io… credo non riuscirei a controllarmi ed Elena ha bisogno di avere attorno a sé delle persone calme,» esclamò più pacata, tentando di mitigare il tremolio che la stava squassando dall’interno. Damon annuì, serio, e sorrise lievemente come per farle intendere che non v’era alcun problema, mentre i suoi occhi rimasero freddi e impassibili. Si voltò e avanzò verso la porta, fermandosi sulla soglia, volgendosi verso di lei, per ascoltare le altre sue parole, « Quello che ha fatto tuo fratello, stasera, è orribile e, credimi, una fortissima parte di me gli vorrebbe piantare un paletto nel cuore. Però non sarebbe giusto,» aggiunse con più gentilezza. Damon sbuffò, divertito e sarcastico, e le rivolse il consueto sorriso storto, più rivolto verso la sommità sinistra, « So che Elena ha bisogno di me, che devo starle vicino e che devo prendermi cura di lei, ma non questa notte. Non le sarei di nessun aiuto,» rivelò accorata, incrociando le braccia al petto, come per proteggersi e non lasciare che le lacrime fluissero sulle guance lievemente arrossate dall’imbarazzo. Damon annuì e scomparve dalla loro vista, alzando una folata di vento gelido. Nicole chinò il capo, socchiudendo gli occhi, e si permise di piangere un’unica lacrima, senza un singulto. Sapeva che quello non era il vero Stefan. Doveva essere veramente disperato per minacciare Elena, la ragazza che aveva amato maggiormente al mondo, anche di più di Katherine e le avevano insegnato che un uomo disperato era capace di qualunque cosa per raggiungere i propri scopi. Percepì le mani, piccole e gentili, di Rebekah sulle sue spalle, come per confortarla, e rialzò lo sguardo, immergendosi in quello azzurro e limpido dell’eterna ventenne. Le stava sorridendo, con dolcezza, e Nicole ricambiò, sebbene non fosse proprio il suo miglior sorriso, anzi sembrasse più una smorfia di dolore e afflizione.
« Per quanto la possa detestare per avermi letteralmente pugnalata alle spalle, posso capirti, però non dovresti stare così male. In fondo sta bene, no? » tentò di risollevarla. Nicole scosse il capo, lievemente, e spostò il peso sul piede destro, sospirando.
« Io… lascia perdere,» si interruppe velocemente, gli occhi socchiusi e il corpo tremante, « Sul serio, Rebekah. Non è proprio serata,» aggiunse guardandole far cenno di continuare, che non v’era alcun pericolo e non doveva lasciare che tutto quel dolore la soffocasse. E Nicole non ce la fece più, « È abbastanza difficile anche solo pensare di stare nella stessa stanza di un vampiro che ha trasformato mia madre,» le rivelò sottovoce, indignata, il tono soffocato dalle lacrime trattenute, « Puoi immaginare come mi senta sapendo che il fratello minaccia mia sorella di fare altrettanto? » soggiunse guardandola in viso mentre Rebekah si intristiva di poco. Si accorse che anche gli altri due la stavano guardando e sbuffò, scuotendo il capo e chiudendo gli occhi per un solo istante, « Lo so, lo so. Mia mamma l’ha voluto, ma Elena no e già mi fa male pensare di aver perso i miei genitori adottivi su quel ponte senza dover perdere anche mia sorella,» sussurrò accorata mentre una lacrima le rigava il viso. Aveva notato un movimento dietro di lei e subito dopo aveva scorto Klaus al fianco di sua sorella, come per farle intendere che non era sola ad affrontare quel monologo intriso di malinconia e nostalgica amarezza, « L’hai sentito mio fratello? » domandò battendo un piede contro il pavimento, per ritrovare la calma che aveva perso non appena si era immersa negli occhi azzurrini di Klaus, « Non l’ha superato. Non riuscirà mai ad andare avanti,» aggiunse stupita lei stessa di essere riuscita a dirlo ad alta voce, « Sono come bloccati, entrambi, e non va bene perché io so che loro, mamma e papà, non vorrebbero questo per noi. Vorrebbero che fossimo felici e non costretti a vivere nel passato,» comunico sbalordita, schiudendo poi le labbra e sgranando gli occhi, tremante. Era quello che stava facendo anche lei, con suo padre, soprattutto. Andare avanti. Essere felice. Avere una famiglia, dei figli, una casa grande con un bellissimo giardino, un lavoro appagante, un marito amorevole, attento a ogni bisogno, che sapesse ascoltare. Erano state le ultime parole di suo padre e non le avrebbe mai potute dimenticare. Era emozionato quando le aveva pronunciate e Nicole aveva pianto tanto, ripensandoci con il senno di poi. Erano state sicuramente le ultime che aveva proferito prima di morire ed erano rivolte a lei.
« E tu? » le domandò Klaus, atono quasi, la voce lievemente arrochita come se non l’avesse utilizzata da innumerevoli secoli, l’accento britannico più marcato e sensuale, riportandola alla realtà, « Sei andata avanti?» aggiunge vedendola come smarrita.
« No,» sussurrò con naturalezza tale da sorprendere persino se stessa. Klaus sobbalzò di poco, tentando anche di non darglielo a vedere, però Nicole lo notò comunque perché non riusciva ad allontanarsi da lui, dalla sua anima antica, dal suo cuore nobile, dai suoi modi così dannatamente aristocratici ed eleganti da farle mancare il respiro ogni volta che erano rivolti a lei, « Ma non importa,» aggiunse, mentendo, « Non è me che ho bisogno di salvare.» Un’altra menzogna, priva di qualsivoglia significato. Nicole voleva essere salvata. Avrebbe tanto desiderato non essere più sola, avere qualcuno al suo fianco che l’amasse per quello che era, proprio perché era lei, e non un’altra ragazza. Qualcuno. Ennesima bugia. Nicole bramava lui, Klaus, l’ibrido che aveva assoggettato il mondo per più di nove secoli. Non le importava nulla di chi era stato in passato, di chi avesse amato, nemmeno se l’amasse ancora. Nicole era perfettamente certa che l’avrebbe amato anche se le avesse portato via l’anima, la vita stessa, « Forse dopo, quando tutta questa tempesta sarà finita, potrò pensare a me stessa,» sussurrò vedendogli arcuare le sopracciglia. Non le aveva creduto, o, se l’aveva fatto, non totalmente, e lo ringraziò per essere andato oltre le sue parole, per aver scavato nella sua anima alla ricerca del tesoro, costituito da delusioni e ricordi, che dentro di essa aveva trovato la propria dimora. Klaus la guardò, similmente a pochi minuti prima, che sembravano un’eternità precedente, e Nicole percepì l’aumento di battiti nel proprio cuore. Sembrava, anch’esso, volerle dire quanto desiderasse averlo per sé, che ci fosse solo per lei, e per nessun altro. Avrebbe preferito essere sola con lui, per poterlo baciare, stringere a sé, sentire il suo calore irradiarla con la stessa potenza di mille splendidi Soli. Qualcuno bussò alla porta,destandola da quei pensieri talmente sconvenienti da farla avvampare inconsapevolmente. Klaus sembrava non essersi accorto di quel suono e continuava ad osservarla, rapito come se stesse guardando una meraviglia. E Nicole, per un istante, si sentì splendida.
« Ty… Tyler,» sussurrò confusa guardando il ragazzo che era appena entrato nella sala illuminata da una luce soffusa e riscaldata dal fuoco del camino. Sembrava sconvolto e tremava visibilmente. Stava piangendo. Nicole sobbalzò quando lo comprese. Non aveva mai visto il suo fidanzato piangere, se non una volta, dopo l’ennesima lite tra lui e suo padre. Richard gli aveva detto, per la prima volta, che Tyler era una delusione per lui, che non si sarebbe mai aspettato un figlio talmente superficiale e irrispettoso, che, se non avesse messo la testa apposto, l’avrebbe spedito lontano da casa per fargli imparare come doveva comportarsi il figlio del sindaco di Mystic Falls, un Lockwood. Nicole, come quella volta, gli si avvicinò, raggiungendolo, e gli sfiorò gentilmente il braccio con un mite sorriso impresso sulle esangui labbra. Tyler la guardò, per un solo istante, e la ringraziò, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca di pelle. Sembrava un bambino, terrorizzato e spaurito, e Nicole non sapeva come fare per aiutarlo. Non v’era nessuno di cui aver paura. Avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma si trattenne, sentendo la sua bella voce.
« Perché? Perché diavolo non sono riuscito a fermarmi? Perché mi hai chiesto di fare una cosa del genere? » domandò collerico, serrando i pugni, rivolto a Klaus che si era volto a guardare la scena, sollevando le sopracciglia e osservandolo quasi con sufficienza, oramai dimentico della profondità che l’aveva afferrato pochi istanti prima. Nicole guardò dall’uno all’altro, sentendosi quasi fuori posto, quasi a metà tra due estremi irraggiungibili. Il suo passato, costituito da pozzi d’ossidiana. Il suo futuro, sfuggente e avente le sembianze di un angelo sceso sulla Terra che osservava il mondo dall’alto del proprio rango nobile. Mikael li scrutava criptico, un lieve sorriso a increspargli le labbra sottili e Rebekah sembrava non essere interessata a nulla.
« La tua ragazza era solo un mezzo per mostrare ai Salvatore che non sto scherzando,» esclamò Klaus leggero, appoggiandosi sul tavolino dietro di lui, le mani giunte dinanzi alle labbra piene, « Voglio la mia famiglia e loro me la ridaranno,» aggiunge con uno strano baluginio negli occhi azzurrini. Non le piaceva. Sembrava la stessa luce folle che aveva prima di morderla a Chicago, o quando erano appena tornati a Mystic Falls e poteva leggerle la mente, « Non importa quante persone dovrò ammazzare,» soggiunse mefistofelico. Nicole schiuse le labbra, confusa, ancora attaccata al braccio di Tyler, per rincuorarlo e stargli vicino, facendogli comprendere che non era solo, che non l’avrebbe abbandonato.
« Cos’è successo, Tyler? » gli domandò cortese e dolce, riportando l’attenzione del ragazzo dagli occhi scuri su di sé. Una lacrima rigò la guancia pallida del suo ex fidanzato e Nicole gleil’asciugò prontamente, dispiaciuta di vederlo in quello stato talmente inusuale e incomprensibile.
« L’ho morsa, Nicole,» le sussurrò affranto. Nicole sobbalzò visibilmente e sgranò gli occhi chiarissimi, schiudendo le labbra. No, non era possibile, non poteva essere vero, « Oh Dio, non posso averlo fatto sul serio,» esclamò con la voce rotta dalle lacrime aggrappandosi a lei.
« Il morso di un ibrido uccide un vampiro,» ricordò Nicole ad alta voce, rimuginando tra sé sulle conseguenze di quel folle gesto. Sicuramente non era stato dettato dalla sua volontà, ma da quella dell’ibrido che li stava osservando con un cipiglio collerico. Ingelosito. Klaus li guardava con fredda ira che sembrava occupare ogni cellula del suo essere, facendolo quasi tremare. Nicole si rese conto che la sua aura stava divenendo nera come la pece, un baratro che sembrava dilatarsi sempre di più, celando l’umanità che aveva mostrato solo pochi minuti prima.
« Mi dispiace. Mi dispiace così tanto,» continuò Tyler, facendola ritornare con la mente a Caroline. Non poteva permettersi di perdere anche la sua migliore amica. Sarebbe stato troppo doloroso da sopportare e non poteva soffrire ancora. Non sarebbe sopravvissuta. Non poteva perdere la possibilità di rivedere i suoi occhi azzurri e pieni di vita. Non poteva non sentire più la sua risata colma di divertimento e gioia. Non poteva perdere lei. Così guardò Klaus, tremante come mai lo era stata.
« Ti prego, Klaus. Salvala,» lo supplicò a voce bassa. Klaus assottigliò gli occhi chiari e i lineamenti si indurirono mentre le labbra si contraevano in una smorfia irata. In quel momento ne ebbe inconsapevolmente terrore e si allontanò impercettibilmente da Tyler. Mikael si avvicinò a sua figlia, passando dietro Klaus e Rebekah osservò suo fratello mentre si avvicinava a velocità vampirica alla ragazza. Si fermò dinanzi a lei, a pochi centimetri dal suo volto e Nicole tentò di non arretrare per la furia presente in quello sguardo che tanto amava.
« Ti ho già fatto un favore questa sera, Nicole Gilbert, e non era nemmeno per te,» aggiunse più malevolo, facendola fremere mentre gli occhi si velavano di lacrime trattenute. In un attimo di calma si domandò perché la stesse trattando in quel modo così freddo e distaccato, crudele e capace di ferirla come se il suo cuore fosse attraversato da mille lame di una spada, « Credi davvero di poter sperare di avere qualche possibilità di, che so, farmi prendere delle scelte che non mi appartengono? » sibilò irato, guardando la confusione presente nei suoi occhi azzurri. Nicole chinò il capo, le labbra tremanti, e scosse il capo. Klaus le sollevò il mento con forza, facendole quasi battere i denti e mordere la lingua, come per farle intendere che doveva guardarlo, che doveva combatterlo, che non doveva abbandonarsi a se stessa.
« No,» esclamò scandendo con foga quelle due lettere. Era arrabbiata, anche lei, perché non si meritava di essere trattata così, soprattutto non dopo che gli aveva aperto il suo cuore sulla sua famiglia.
« Bene. Perché non è affatto così,» ringhiò quasi, traendola maggiormente a sé, a pochi centimetri dalle sue labbra. In un’altra situazione, sarebbe arrossita e avrebbe azzerato quell’inconsistente distanza, ma era talmente irritata da quel comportamento privo di significato. Non poteva essere geloso, non di Tyler. Nicole non aveva fatto assolutamente niente. Stava solo consolando il suo ex fidanzato che aveva amato tanto che sarebbe potuta morire per lui.  Schiuse impercettibilmente le labbra mentre comprendeva quello che stava passando nella mente dell’ibrido. Tradimento. Per Klaus la fiducia era tutto e lei la stava tradendo proprio in quel momento, sebbene non se fosse nemmeno accorta, tanto presa a pensare ai suoi amici di sempre, in pericolo.
« Caroline non c’entra nulla con i tuoi piani, Klaus,» sussurrò quasi dolcemente. Non v’era più traccia della rabbia che l’aveva colta, v’era solamente tanto dispiacere e tanta preoccupazione.
« Già, ma non vedo perché dovrei salvarla,» inferì Klaus, facendola quasi cadere, « Lei non significa assolutamente nulla per me, ma per i Salvatore sì. E io ho bisogno di una vendetta contro Stefan,» le comunicò malevolo, un tono talmente folle da scuoterla nel profondo. Agiva in preda alla rabbia in quel momento e Nicole doveva farlo calmare in qualche modo. A rimetterci per gli errori dei Salvatore non doveva essere un’innocente come la sua migliore amica, « Non hanno vinto la guerra, e nemmeno la battaglia, e questo sarà il mio colpo di grazia,» le rivelò, facendole intendere quanto fosse dolce la vendetta. Nicole percepiva il suo respiro caldo infiammarle il volto e assottigliò lo sguardo, mordendosi lievemente il labbro inferiore. Nella sua mente era come se loro due fossero soli, completamente, e ringraziò quella falsa speranza.
« Come puoi essere così dannatamente cinico? » esclamò irata, tentando di allontanarsi da lui, ma Klaus non glielo permise, continuando a tenerle alto il mento come se pensasse che potesse chinarlo da un momento all’altro, non sapendo la forza che stava occupando il suo animo, « Caroline è una persona, non una pedina,» gli comunicò scandendo con foga ogni parola, cercando di farlo ragionare. Klaus sbuffò e sollevò l’angolo delle labbra in un sorriso sornione ed estremamente impudente.
« Potrà essere quello che vuoi, Nicole. Io non la salverò,» le comunicò calmo, posato, totalmente imperturbabile. Non era così. Quello non era il Klaus che aveva conosciuto fino a quel momento. Klaus era passionale, era irrazionale, impulsivo, non un freddo calcolatore distaccato. Sembrava più Mikael e non se stesso. La lasciò andare e Nicole si massaggiò il mento. Le doleva, non molto però. Non aveva voluto ferirla più del dovuto. Era necessario che fosse un avvertimento, non una minaccia. Poi lo sguardo si posò sulla figura dell’ibrido accanto a lei. Gli sorrise, accattivante, e giunse la mani dietro la schiena, sollevando le sopracciglia e creando delle rughe marcate sulla fronte, « Vedi, Tyler, l’amore è la più grande debolezza per un vampiro. Se ci pensi bene, ti sto facendo un favore,» gli comunicò ironicamente divertito dalla reazione dell’ibrido.

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Sembrava trattenersi dal saltargli addosso e azzannarlo, bloccato solamente dalle esili braccia di Nicole ancora al proprio. Klaus le osservava a intervalli regolari, come se sperasse che la giovane strega si allontanasse, ma non lo fece e quella verità lo ferì più d’ogni altra. Tatia non v’era più. Quella frase, che prima aveva pronunciato, era vera solamente in parte. Quell’amore, che aveva custodito nel suo cuore come una dolce reliquia del suo angelo personale, l’aveva accompagnato per mille anni. Aveva rivisto la sua Tatia, la loro Tatia, negli occhi di ogni vittima che dissanguava per il puro piacere di arrecare del male al prossimo proprio com’era stato indotto a lui. Però quella ragazza aveva cambiato ogni prospettiva. Tatia era scomparsa, la polvere del loro sciocco, insensato rapporto, profondo come una pozzanghera, portava via dal vento di un amore più vero, sincero, reale, un amore che aveva tentato di vivere ogni giorno, in ogni bacio, in ogni carezza, in ogni parola scambiata con tenerezza. Nicole Gilbert non era Tatiana Petrova e Niklaus ringraziava gli dei che non lo fosse. Però in quel momento si stava comportando come lei e Klaus si stava trattenendo a stento dall’attirarla a sé e farle dimenticare ogni cosa che non fosse lui. Egoista. Se v’era un atteggiamento che non era mutato nel corso dei secoli, che l’aveva accompagnato dalla fanciullezza, era quello egoistico. Klaus odiava condividere qualcosa di proprio. In quei secoli v’era riuscito solo con Rebekah, e anche con Kol in alcune occasioni. Un giocattolo, un monile ritrovato nelle grotte in cui si nascondevano dai licantropi, un’iscrizione nella dura pietra. Le prede, un ritratto disegnato da lui stesso, un bacio. Una donna. Soprattutto quando era importante, quando la sua unica presenza era in grado di rischiarare ogni mattino uggioso e spento.
« Come puoi anche solo pensare una cosa del genere? » esclamò Nicole riportandolo alla realtà, staccandolo a quel cotanto dolce flusso di pensieri che miravano al passato e poi a lei. La guardò. Sembrava stesse trattenendo le lacrime, ma una le aveva già rigato la guancia, « Solo perché tu ti sei costruito un castello di bugie e ti sei circondato di inutilità non vuol dire che aldilà di quelle mura di cartapesta non ci sia posto per nient’altro,» sussurrò, scuotendo il capo, gli occhi socchiusi, il suo corpo teso verso il proprio. Nello sguardo di Klaus vi fu un guizzo di rabbia che fu in grado di trattenere solo sentendola parlare nuovamente, sebbene le sue parole smuovessero la parte più recondita della sua anima, facendolo internamente fremere e agognare la luce, « L’amore non è una debolezza, per nessuno,» gli rivelò dolcemente, facendolo quasi sentire vulnerabile. Voleva crederle, voleva non essere costretto a pensare che sarebbe stato solo per il resto della sua eternità. Voleva che lei lo amasse, che si svegliasse al suo fianco e che gli promettesse di non lasciarlo mai. Era un pensiero sciocco, che non gli apparteneva, ma per quel folle istante Klaus non era più l’ibrido che aveva minacciato la natura stessa con la propria potenza, bensì Niklaus, il ragazzo umano che soleva guardare l’oggetto del suo amore da lontano, ritraendo i suoi tratti gentili nella profondità della propria anima, « E se non riesci a capire questo, mi dispiace tanto per te,» aggiunse compassionevole. Quelle parole lo ferirono, lo fecero sobbalzare visibilmente. Gli avevano creato uno squarcio nel petto che non sarebbe più potuto essere sano se non grazie a lei, alla splendida ragazza che lo guardava trepidante di una risponda, di qualche cenno, di qualsiasi parola o gesto. Doleva. Il suo cuore morto da secoli doleva, ricordandogli quanto fosse sciocco, alla stregua di un umano. Klaus non poteva permettersi di provare amore per qualcuno. No, ma l’aveva fatto. Aveva disubbidito a quella folle, insensata, regola che si era imposto egli stesso non appena aveva sentito l’abbandono cingerlo con le sue malevole braccia. Nicole Gilbert. Era come se l’avesse ucciso di nuovo per farlo rivivere, rinascere dalle sue stesse ceneri. Solo che Klaus non voleva ascoltar nulla che non fosse quella voce maligna che gli sussurrava parole d’odio e di rancore. Ringhiò, come la bestia che gli avevano cucito addosso durante mille anni di solitudine, e Tyler, previdente, allontanò la ragazza da lui, la celò al suo sguardo in un gesto protettivo. Il braccio del nuovo ibrido era corso sul fianco destro della giovane e l’aveva portata dietro la sua schiena, come per farle da scudo contro la collera di Klaus. Tyler lo guardava come se fosse stato il mostro che effettivamente era. Gli occhi neri erano assottigliati, le labbra contratte in una smorfia di dolore. Era quello l’asservimento. Pura afflizione se non si obbediva agli ordini del proprio Sire. Ma Tyler si stava impegnando per combatterlo. Per lei. Klaus rise lievemente e scosse il capo. Doveva sembrare un folle in quel momento, ma non gli importava. Percepiva lo sguardo tagliente di Mikael fisso sulle sue spalle e quello più dolce e armonioso della sua sorellina. Era talmente irato con quel nuovo ibrido che pensava anche solo di poterla proteggere da lui. La verità era che Nicole Gilbert non aveva necessità di alcuna protezione. V’era già lui a guardarle le spalle. Però, forse, Nicole non voleva lui, ma Tyler. Quel pensiero lo colpì come una frusta sulla schiena e gli fece serrare i pugni con veemenza, quasi ferendosi i palmi, facendo sbiancare le nocche.
« Mi domando chi, però, tu ami di più, Tyler? » si chiese mellifluo, sorridendo lievemente. Tyler lo guardò, confuso, mentre Nicole era semplicemente meravigliata da quel tono, da quella richiesta. E fu lei che Klaus guardò maggiormente prima di spostarsi di nuovo verso Tyler, « Dev’essere aberrante amare due persone contemporaneamente. Non ho proprio idea di come ci si possa sentire,» esclamò amichevole, fintamente dimentico della rabbia che l’aveva accompagnato sino a pochi istanti prima.
 « È il suo compleanno, Klaus, » sussurrò accorata, dolcemente, gli occhi velati di lacrime che stavano già fluendo sulle sue belle gote sempre sin troppo pallide. Klaus la guardò. Sembrava una bambina, in quel momento, così implorante ed emozionata. Klaus ne ebbe quasi tenerezza, ma non cedette alle sue lusinghe. Era talmente arrabbiato nel vedere ancora la mano di Tyler poggiata sul suo fianco da fargli ancora tenere serrati i pugni, « Non può morire il giorno del suo compleanno,» continuò, scostando la mano di Tyler, con gentilezza, sorpassandolo e avvicinandosi a lui. Tentò di stringergli le mani tra le proprie, ma Klaus non glielo permise, però la guardò, incerto, come se quel gesto l’avesse scosso nel profondo, « È così triste e insensato. Non cambierà nulla, non sarà affatto una vittoria per te. Damon l’ha sempre usata come se fosse una bambola e Stefan, questo nuovo Stefan, non riesce a volere bene nemmeno ad Elena,» gli comunicò sottovoce, avvicinandosi maggiormente. Klaus percepiva la morbidezza della sua pelle perlacea e vellutata sulle sue dita e schiuse le mani, lasciando liberi i palmi, « Ti prego, ti scongiuro,» esclamò addolorata, gli occhi mesti. Klaus sentì un tuffo al cuore, abissale, e fu tentato di accettare quella richiesta così dolce e struggente, « Farò qualsiasi cosa, ma salvala,» concluse dolcemente. Qualsiasi cosa. Non avrebbe dovuto dirgli quello. Klaus aveva quasi ceduto, ma quello era stato il colpo di grazia. L’avrebbe salvata, sì. Per lei. Solo per Nicole. In quel momento la vendetta passò in secondo piano, come il resto del mondo. V’erano solamente gli occhi azzurrini di Nicole, limpidi come cieli tersi che Klaus non si sarebbe mai stancato di guardare. Mai. L’avrebbe voluta sempre al fianco, per sempre e oltre, come il motto della sua famiglia. Di lui, Rebekah ed Elijah. Si ricordò di quando erano appena arrivati a Mystic Falls, una vita antecedente. Si ricordò di quella prospettiva che le aveva mostrato e che lei aveva rifiutato per paura di abbandonare la sua famiglia. Sarebbe stato un profondo egoista se le avesse chiesto quello, ma non l’avrebbe lasciata andare. E poi era stata lei ad offrirsi. Su un piatto d’argento. Con i suoi splendidi occhi dolci, con le labbra leggermente schiuse, come delle rose rosa da baciare sino a farle divenire gonfie, con il suo corpo, il suo piccolo corpo, come quello di un pettirosso, o meglio di un colibrì a sentire i battiti del suo cuore, tremante e fremente. Le avrebbe promesso il mondo stesso se solo avesse accettato di essere sempre al suo fianco. E quello fece.
« Accetterai il patto? » sussurrò blando, dolce, mite, totalmente dimentico della rabbia per Tyler. Le avrebbe fatto dimenticare quello sciocco ragazzo mostrandole le meraviglie della Terra. Doveva solo accettare di venire con lui. Nicole sobbalzò e sgranò gli occhi chiarissimi, ricordando tutte le parole che aveva pronunciato quel giorno, e annuì.  
« Sì,» gli confermò con un filo di voce e Klaus si sentì felice. Per la prima volta in mille anni poteva affermare di provare una gioia incontenibile, « Ma non adesso,» lo pregò accorata. Klaus annuì, soddisfatto già solo da quell’assenso. Sapeva bene che Nicole avrebbe atteso che i suoi fratelli fossero pronti a lasciarla andare. E lui con lei. Avrebbero girato il mondo, le avrebbe mostrato le meraviglie che aveva da offrirle. Tutto ciò di più bello e proibito.
« Avete vinto,» esclamò amichevole, sciogliendo la presa e giungendo le mani dietro la schiena, spostando il peso sul piede sinistro. Percepì un lieve sospiro da parte di Tyler, «  La salverò,» comunicò blando, guardando con la coda dell’occhio Mikael e Rebekah avvicinarsi a loro, « Se è questo che vuoi, Nicole,» aggiunse più gentile e dolce. La ragazza arrossì, visibilmente, e Klaus quasi si ordinò di trattenersi dal baciarla con ardore. Nicole annuì, ferma e risoluta, e Klaus la guardò per un ultimo istante prima di scomparire dalla loro vista.

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La giovane, sollevata, sospirò e strinse la mano di quello che era stato per anni il suo grande amore. Gli carezzò lievemente il dorso con il pollice e lo vide sorridere, ricambiando la stretta. Rebekah la stava guardando con un lieve sorriso confortato sulle belle labbra. Aveva quasi avuto paura per lei, che suo fratello non fosse in grado di fermarsi e avesse fatto qualche follia, ma si era controllato. Per lei. Mikael sembrava più che altro divertito dalla situazione mentre poggiava gentilmente la mano su quella della figlia.
« Andiamo, Rebekah. Qui non abbiamo più nulla da fare e si è fatto tardi. Son certo che domani ci attende una giornata faticosa,» sussurrò blando e dolce. Rebekah annuì, la salutò con la mano e scomparvero insieme dietro la porta da cui prima era uscito anche Klaus. Tyler la guardò e le baciò soavemente la fronte, come per ringraziarla. Poi, non riuscendo a trattenersi, l’abbracciò di slancio, cingendola con le sue braccia forti e, allo stesso tempo, dolci. Era sempre stato protettivo con lei e Nicole aveva sempre ringraziato quel conforto che sapeva offrigli senza voler nulla in cambio. Ricambiò l’abbraccio e chiuse un attimo gli occhi, beandosi del suo buon profumo. Aveva accettato il patto di Klaus. L’aveva quasi dimenticato in quei giorni e, cambiate le prospettive, mutati i suoi sentimenti, aveva accolto quella proposta quasi senza pensarci due volte. Avrebbe fatto di tutto per essere al suo fianco, sebbene fosse certa di tradire tutto quello che aveva di più caro al mondo.
« Andiamo, Tyler. Ti accompagno a casa,» gli sussurrò, scostandosi lievemente da lui e carezzandogli la guancia glabra. Tyler annuì, socchiudendosi gli occhi, beandosi di quella lieve carezza per solo un istante prima che la giovane si scostasse e cominciasse ad avanzare verso l’uscita. Uscirono nell’aria gelida della notte e Tyler le cinse le spalle per non farle sentire freddo. V’erano solamente poche persone, ma le più erano già tornate nelle loro case, al sicuro da ogni pericolo. Nicole si diresse verso la sua jeep, facendogli cenno di accomodarsi sul sedile del passeggero. Tyler annuì e Nicole cominciò a guidare nel buio verso villa Lockwood. Conosceva le strade della sua città a memoria e continuò a rimuginare su ciò che aveva fatto, sulle conseguenze del suo gesto. Era stata avventata, proprio come se solo l’amore per Klaus le avesse attraversato la mente in quel momento. Chissà cosa le avrebbe detto suo padre se l’avesse ascoltata, se fosse stato in grado di leggere i suoi pensieri che miravano a una delle creature che lui odiava di più al mondo. Sarebbe stato deluso da lei, ma, stranamente, pensò che non era importante, al momento.
« La mamma voleva parlarti prima,» le mormorò Tyler, interrompendo quel silenzio carico di ansie e parole non dette. Nicole ricordava alla perfezione le parole di Klaus. Lui pensava che Tyler l’amasse ancora. Era un pensiero sciocco e insensato. Tyler era innamorato di Caroline, non di lei.
« Lo so. Abbiamo già chiarito. Spero non ti dispiaccia che pranzi con voi domenica,» aggiunse divertita, per smorzare la tensione presente nell’abitacolo. Tyler rise, leggermente, facendola quasi fremere, poi scosse il capo. Era da tanto che non sentiva più la bella risata del ragazzo al suo fianco.
« No, figurati. Riprendi le vecchie abitudini,» le consigliò dolcemente, poggiando la mano sulla sua abbandonata sul cambio marcia, « A mia madre farà piacere averti intorno. Sai quanto ti adora,» sussurrò fraterno, scostandole, con l’altra mano, una ciocca bionda che le era ricaduta dinanzi agli occhi, « Come se fossi sua figlia,» aggiunse non appena la vide parcheggiare nel vialetto, dinanzi all’entrata principale. Nicole spense i fari e le macchina e gli sorrise, rassicurante, prima di fargli cenno di scendere insieme a lei. Si avvicinò alla porta d’ingresso, illuminata lievemente da una lanterna, e distese maggiormente le labbra. Gli sfiorò gentilmente la guancia e gli si fece più vicina, come per riscaldarlo e rincuorarlo.
« Caroline starà bene e voi tornerete a essere la splendida coppia che siete stati. Ne sono sicura,» aggiunse risoluta quando gli vide scuotere il capo. Tyler chinò lo sguardo e l’attirò a sé in un abbraccio bisognoso d’affetto.
« Non mi perdonerà mai per quello che le ho fatto e la capisco,» sussurrò comprensivo prima di scostarsi gentilmente da lei e prenderle le mani tra le proprie, « Capisco anche te,» le mormorò dolcemente, « Ti ho tradita, nel modo più stupido e insensato che esista. E, cosa ancora più idiota, non ti ho mai chiesto perdono perché so di non meritarlo,» soggiunse irato con se stesso, « Ti ho amata talmente tanto, Nicole,» le rivelò accorato. Nicole schiuse le labbra e scosse il capo, come per implorarlo di non continuare quella tortura. Lo sapeva già, ma faceva troppo male sentirglielo dire. Perché lui l’aveva tradita, l’aveva umiliata, ma l’aveva amata. Sempre, « Eri tutto per me. E ho buttato tutto all’aria come il grande stupido che sono sempre stato. La verità, per quanto banale e insulsa, è che non ti ho mai meritato,» mormorò addolorato, le lacrime a velargli gli occhi scuri e profondi. Nicole scosse il capo, trattenne un singhiozzo, e chiuse gli occhi, come per darsi forza. Poi li riaprì, puntandoli nei suoi.
« Ti sbagli, Ty. Tu mi meritavi, proprio come ora meriti Caroline. Io… ti ho amato anche io. Non puoi nemmeno immaginare quanto, ma è stato più giusto così,» sussurrò mite, tentando di calmare i battiti del suo cuore impazzito. Non era una bugia, bensì la verità. Tyler la guardò, per un unico, interminabile istante, poi le prese il volto tra le mani e l’avvicinò a sé, quasi azzerando del tutto la distanza tra di loro. Nicole non si sottrasse a quella dolce stretta e schiuse le labbra, guardandolo con interesse per comprendere le sue intenzioni, non sapendo che un’altra persona, appena arrivata, li stava scrutando in silenzio.
« Quella notte non ero in me,» le rivelò affannato, cominciando quel racconto che Nicole non avrebbe mai voluto udire. Perché, anche se erano passati due anni, quel tradimento bruciava come il fuoco di mille candele sulla pelle, « Quella notte ero talmente fatto da non ricordarmi più nemmeno chi diavolo fossi perché avevo così paura,» continuò mentre la vedeva scuotere il capo, incapace di fermarsi, « Ti eri allontanata da me, a poco a poco, ogni giorno sempre di più,» ricordò con la voce spezzata da mille lacrime che avrebbe tanto voluto rigargli la guancia, ma che lui, con forza, quella che non aveva avuto quella notte, stava ricacciando indietro, « Avrei voluto domandarti perché, ma avevo il terrore che ci fosse un altro nel tuo cuore, e così ho taciuto. E Vicki era lì. Riesci, per il tuo buon cuore, a comprendermi, mia piccola gattina? » quasi non si accorse di averla chiamata con quell’appellativo che tanto le piaceva. Gattina. Nicole era sempre stata la sua gattina bianca, dolce e pura, che sapeva sguainare gli artigli quando serviva per proteggere le persone che amava. Nicole mugugnò qualche suono di diniego, troppo basso per interrompere il corso delle parole dell’altro, « Ero disperato. Io… tu… quella notte feci l’errore più colossale della mia fottuta vita. Sai cosa feci dopo che lei si addormentò? » le domandò, quasi pregandola di rispondergli. Nicole scosse ancora il capo, trattenendo le lacrime nel sentire le sue mani tremanti sulle gote arrossate, « No? Già, è vero, amore,» sussurrò dolcemente, facendola sobbalzare per il sorriso che subito dopo le rivolse. Si morse lievemente il labbro inferiore e sgranò gli occhi chiarissimi. Non poteva chiamarla in quel modo, non più. Non ne aveva il diritto, « Come potresti saperlo? Come? » si domandò caustico, ridendo quasi sfiorando l’isteria, « Mi misi a piangere, come un bambino fino a quando non vidi il Sole sorgere e tornai a casa mia. E il giorno dopo tentai con tutte le mie forze di non incontrare il tuo splendido sguardo perché avevo il terrore che tu riuscissi a leggermi l’anima, come sempre,» mormorò socchiudendo gli occhi e poggiando quasi le labbra sulle sue. Nicole sciolse la presa delle sue mani e fece un passo indietro. Non poteva baciarla. Non era giusto. Era totalmente insensato. Tyler amava Caroline e lei… beh, lei amava Klaus.
« Ty… va tutto bene,» sussurrò dolcemente, tentando di farlo calmare. Tremava così tanto, come un bambino, da indurle tenerezza infinita, « Davvero. Io sto bene, ormai. Non serve a nulla tormentarti in questo modo,» gli mormorò gentile e cortese, mite e soave, cercando di fargli comprendere quanto fosse inutile quel suo atteggiamento. Non aveva bisogno di farlo soffrire. Non provava alcuna gioia nel vederlo piegarsi dinanzi a lei, nel vederlo fremere per la confusione, « Mi fa male vederti soffrire così. Lo sai. Ami Caroline, e io sono così contenta per voi perché vi meritate. Siete splendidi insieme, davvero. Andrò tutto bene. Lei ti perdonerà e sarete di nuovo felici,» gli comunicò incoraggiante, carezzandogli lievemente il volto pallido. Tyler annuì, ancora e ancora, come per imprimersi quel messaggio nella mente e le sorrise, una lieve increspatura delle belle labbra rosee e piene.  
« E tu? Stai con lui? » le domandò gentilmente quando fu certo di essersi calmato del tutto, grazie alle sue carezze. Nicole non gli fece alcun cenno e Tyler continuò, prendendo per assenso quella mancanza di movimenti e risposte, « Sei felice? Ti rende contenta? Ti fa sentire bene? » continuò, non sapendo quanto quelle domande le stessero facendo male. Avrebbe tanto voluto asserire, perché era la verità, ma una parte di lei pensava che fosse soltanto una dolce illusione priva di qualsivoglia significato. Era lei a pensare così. Klaus non l’amava e mai l’avrebbe fatto. Non v’era che Tatia nel suo cuore.
« Io… devo andare, Ty. Perdonami. Buona notte, » esclamò prima che lui potesse dirle qualsiasi cosa. Si voltò e si diresse velocemente verso la jeep, trattenendo i singulti, ma non le lacrime. Percepì un lieve tonfo e comprese che Tyler era entrato in casa, lasciandola sola. Com’era giusto che fosse. Un singhiozzo le squassò il petto e quasi le fece flettere le gambe. Si portò una mano sulle labbra, per non far sfuggire alcun suono e continuò a piangere, mantenendosi alla maniglia dello sportello del passeggero. Percepì le mani, grandi e forti, di qualcuno sulle spalle e lo riconobbe. Klaus. Il suo profumo era talmente inebriante che l’avrebbe riconosciuto tra mille identici. Si bloccò. Smise di piangere, anche di respirare, mentre i battiti del suo cuore, prima veloci, si arrestavano quasi del tutto. Klaus la fece volgere dolcemente verso di sé e Nicole incontrò i suoi splendidi occhi azzurrini. Si domandò da quanto tempo fosse lì, ma al momento non era importante. Il suo sguardo era talmente carico di emozioni da inondarle il cuore. Schiuse le labbra e sbatté le palpebre, meravigliata di vederlo lì, con lei. Per lei. Le mani di Klaus corsero lungo tutto il suo corpo, facendola fremere, sino a fermarsi sui suoi fianchi, poi l’attirò a sé. Nicole poggiò le piccole mani candide sulle spalle forti e vigorose dell’uomo e lo guardò ancora, tentando di comprendere cosa gli stesse attraversando la mente. Sembrava attraversato da un mare di sensazioni bellissimi. Sembrava così… innamorato. Quel pensiero la fece arrossire.
« Cosa ci fai qui? » gli domandò tentando di ritrovare la calma. Klaus la guardò, ancora, più divertito, e poi sorrise, sbuffando lievemente e scosse il capo, « Perché sei qui? » insistette, testarda. Voleva saperlo. Doveva. Non l’avrebbe mai lasciato andare senza conoscere la verità. Probabilmente non l’avrebbe lasciato neanche dopo.

« Perché voglio che tu sia mia.»

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Capitolo 21
*** Be mine ***


21 cap

Capitolo 21

Be mine

 

« Cosa ci fai qui? » gli domandò tentando di ritrovare la calma. Klaus la guardò, ancora, più divertito, e poi sorrise, sbuffando lievemente e scosse il capo, « Perché sei qui? » insistette, testarda. Voleva saperlo. Doveva. Non l’avrebbe mai lasciato andare senza conoscere la verità. Probabilmente non l’avrebbe lasciato neanche dopo.

« Perché voglio che tu sia mia.»

 

Klaus la osservava con tale sentimento da farla fremere sotto il suo tocco gentile. Quelle mani la stava cullando con immensa dolcezza, facendole perdere ogni cognizione della realtà. Nicole sbatté le palpebre, ancora una volta, poi sgranò gli occhi azzurrini, sbalordita da quella risposta. Era stato talmente diretto, proprio come lei aveva voluto, da turbarla nel profondo. Non avrebbe mai pensato che le avrebbe detto una cosa del genere, nemmeno nei suoi sogni più azzardati e incauti.
« Cosa… che cosa hai…?» sussurrò, la voce incerta che tremava violentemente tanto da non averle neanche fatto finire la domanda. Klaus si avvicinò lentamente al suo volto, sorridendo ancora, come se nutrisse un dolce divertimento nel vederla cotanto confusa da quegli atteggiamenti che, invece, le sarebbero dovuti apparire chiari e limpidi. I suoi occhi, splendidi zaffiri brillanti come stelle nella notte buia, ridevano lievemente, inglobandola in quella sfera celeste e pura. Timidamente, quasi con timore riverenziale, gli sfiorò la guancia con la mano destra mentre l’altra rimaneva ancorata alle sua spalla come se temesse che, se l’avesse lasciata anche solo per un attimo, sarebbe caduta e non si sarebbe mai più rialzata. Klaus arrivò a un soffio dalle sue labbra e quasi le rubò un bacio, ma attese, preferendo guardarle gli occhi spalancati per la confusione, la passione. L’amore.
« Sii mia,» le sussurrò dolcemente, traendola maggiormente a sé, facendo scontrare i loro corpi. Nicole notò che stava, impercettibilmente, tremando e un moto di tenerezza la fece sorridere. Non v’era neanche necessità di mormorarlo. Nicole era già sua. La giovane, senza alcuna remora, poggiò le labbra sulle sue dolci e tentatrici, splendide e piene, in un bacio appena accennato. Klaus la strinse con foga, quasi abbandonandosi a lei e Nicole fu costretta ad appoggiarsi contro la portiera chiusa per impedirsi di cadere per il tremore che l’aveva interamente occupata, squassandole il corpo. Klaus approfondì quel dolce contatto, lambendole le labbra con la punta della lingua, domandole il permesso di entrare. Nicole sorrise, tra sé e schiuse le proprie, spostando la mano sui suoi capelli mossi e morbidi. Non le importava più di nulla, né delle lacrime che aveva versato sino a pochi istanti prima per lui né della remota possibilità che Tyler potesse vederla, scorgerla al fianco dell’uomo che amava. Avrebbe voluto dirglielo, ma si beò del suo bacio, rimandando a un momento più calmo ogni dichiarazione. Tatia. Anche lei era scomparsa. Klaus voleva lei, e nessun’altra, e Nicole non poteva esserne più felice. Le mani, grandi e sicure, di Klaus le carezzavano i fianchi morbidi, giocando con il cotone del suo top color glicine. Quel bacio le fece mancare il respiro e, quando Klaus si scostò dolcemente per permetterle di riacquistarlo, Nicole si attaccò maggiormente a lui, allacciandogli entrambe le mani dietro il collo. Mugugnò qualcosa di incomprensibile, imbronciata come una bambina, e anche carezzevole e maliziosa. Klaus le posò un lieve bacio sulla fronte e rise leggermente, scansandosi di altri pochi centimetri per lasciare che il suo corpo non premesse più su quello della giovane donna dinanzi a lui. Le vide sbattere le palpebre, afflitta, come se stesse temendo di essere stata rifiutata, in qualche modo, « Non mi hai risposto, Nicole,» le sussurrò, divertito da quell’espressione. Sembrava quasi Rebekah nei suoi momenti peggiori, quando diveniva più capricciosa e bizzosa di una ragazzina. Nicole spalancò gli occhi, splendide gemme blu come lapislazzuli, e distese le labbra, lievemente gonfie per l’intensità del bacio che aveva fatto fremere persino lui, in un bel sorriso dolce e gli carezzò la guancia con un gesto gentile e accorto.
« Io… Io sono già tua,» gli rivelò sottovoce, avvampando per l’imbarazzo. Klaus la guardò, meravigliato, per non più di un istante prima di sorridere, soddisfatto, scostare la sua mano dalla guancia e posarvici un tenero bacio sul dorso. Nicole lo osservò dispiaciuta, quasi costernata, mentre nuove lacrime cariche di afflizione le velano lo sguardo mesto. Klaus aggrottò le sopracciglia, incredulo e sbalordito da quel repentino cambio di espressione e attese che lei gli spiegasse quale fosse il suo dubbio. Il cuore gli tremò, come in un timido battito, per la paura che quelle parole non fossero veritiere. Mai s’era sentito talmente preso, catturato, come in una gabbia dorata e amorevole, come da quella fanciulla, e non voleva perderla. Per nulla al mondo, « Ma tu non sei mio,» sussurrò addolorata, scostandosi da lui, volgendo il capo di lato, poi chinandolo verso il sentiero ciottolato che conduceva all’entrata della villa. Klaus la osservò per pochi istanti, i lineamenti induriti dai sentimenti confusi che si susseguivano nel suo animo antico. Comprendeva il pensiero che risiedeva nella mente della giovane e avrebbe tanto voluto sfatarlo. Schiuse le labbra e le scostò un boccolo dalla guancia. La coda, oramai, si era quasi sciolta e l’elastico bianco era quasi scomparso nei suoi bei ricci ben delineati. Fece per parlare, ma un suono destò la sua attenzione. Era quello del motore di una macchina che stava percorrendo il vialetto. Assottigliò gli occhi per ripararsi dalla luce dei fari che illuminavano il portico e riconobbe, all’interno della vettura, la figura snella di Carol Lockwood. Nicole sobbalzò, sotto le sue dita, e guardò dietro di sé sino a incontrare lo sguardo azzurro della donna. Carol chiuse lo sportello e li osservò confusa di trovarli a casa sua. Aveva corrugato la fronte e schiuso le labbra.
« Scusa, Carol,» sussurrò gentilmente, guardandolo per un attimo, poi avanzando verso la donna, « Ho accompagnato Tyler a casa,» le spiegò. Carol annuì e le sorrise, grata di quella cortesia. Nicole incrociò le braccia al petto, forse per ripararsi dal freddo di quella sera. L’inverno era quasi alle porte, « Penso dovreste parlare,» le consigliò caldamente, camminando al suo fianco verso la villa. Klaus rimase lì, dove lei l’aveva lasciato, inerme e incredulo che riuscisse a essere così indifferente, come se non si fossero scambiati nulla in quei minuti, in quelle settimane. Sentì nascere una rabbia crescente dentro di sé, ma ricacciò la bestia all’interno del proprio essere poiché non voleva assolutamente risvegliarla, « Non credo stia molto bene,» aggiunse ancora più sottovoce, preoccupata per quel ragazzo. Sarebbe voluto andar via di lì, per non udire più la bella voce di quella che doveva essere la sua donna parlare cotanto impensierita di un altro, per non vederla tanto accorata e riguardevole nei confronti di altri che non fosse lui stesso. Ma rimase lì, attendendo che qualcosa mutasse, che lei si volgesse verso di lui. E, come se avesse ascoltato i suoi pensieri, lo guardò per un solo instante, come per accettarsi che fosse ancora là, come se avesse voluto che non scomparisse dalla sua vita.
« Perché? Cosa gli è successo? » domandò ansiosa Carol, stringendole le mani tra le proprie, dopo essersi avvicinata alla porta d’ingresso.
« Si tratta di Caroline. L’ha morsa e… poi mi ha raccontato di quella notte,» sussurrò chinando il capo, cotanto addolorata da farlo avanzare di un passo, timoroso di sentirla patire un dolore che lui non gli avrebbe mai arrecato, « Non dovrebbe soffrire così. Non per me,» aggiunse, quasi schernendosi e facendolo sorridere. Era proprio per lei che doveva soffrire. Perché l’aveva tradita.  
« Lo so, cara,» sussurrò dolcemente la donna carezzandole la guancia e sorridendo lievemente, più sollevata che almeno a suo figlio non fosse accaduto nulla, dolce e materna, «Ti ringrazio per quello che hai fatto per lui in tutti questi anni. Sei stata una fidanzata straordinaria,» le mormorò soavemente, emozionata, quasi abbracciandola. Nicole scosse con foga il capo, come per sminuirsi.
« Lo è anche Caroline,» esclamò contrariata, come se pensasse che la madre di Tyler stesse mancando di rispetto a quella ragazza che aveva appena salvato da morte certa. Le aveva donato il proprio sangue, raccontandole quanto v’era di più meraviglioso al mondo, sebbene fosse un altro il viso che avesse dinanzi a sé. Apparteneva a lei. Tutte quelle parole riguardavano il loro patto. Le avrebbe mostrato tutto, l’avrebbe resa una strega potentissima, più forte anche di sua madre, o di Ayanna, o di sua zia Rowena, « Carol,» la riprese blanda quando le vide sollevare il labbro superiore in un’espressione di sufficienza.
« Lei non sarà mai te,» le rivelò prima di posare le labbra sulla sua fronte, fargli un cenno col capo ed entrare in casa sua. Nicole rimase lì, per alcuni istanti, come incerta di quelle parole, poi si avvicinò a lui, senza guardarlo in volto, come se temesse il suo sguardo. Klaus, appena si fu avvicinata abbastanza, la trasse a sé, passandole un braccio intorno alla vita sottile, e le sollevò il mento, dolcemente, per farle incontrare i loro occhi. Nicole fuggì ancora, serrando i propri, le palpebre tremanti, come il resto del corpo. Klaus sospirò nel notare quanto non fosse incline ad aprirsi con lui, ma non gliene fece una colpa, soprattutto non sapendo cosa Mikael le avesse raccontato. Aveva dato per sottinteso che le avesse comunicato soltanto il vero, però Nicole sembrava talmente scossa da fargli intendere che, forse, aveva aggiunto altri particolari che non v’erano.
« Non so cosa ti abbia raccontato Mikael di Tatia, ma deve averti turbato parecchio,» mormorò dispiaciuto, carezzandole il mento e le labbra, lievemente schiuse, con i polpastrelli. Nicole deglutì, come spaventata da quell’affermazione, dal suo tono, da lui, ma riaprì il pacifico mare dei suoi occhi per poi puntarli nei suoi. Sembrava più decisa e nel suo sguardo brillava una luce consapevole e risoluta.
« Mi ha detto che l’hai amata talmente tanto da incrinare il rapporto con tuo fratello. Perché l’amavate entrambi, ma mi ha detto che tu l’amavi di più,» aggiunse più incerta, abbandonandosi a lui e appoggiandosi alla sua spalla, come se quella consapevolezza la facesse star male talmente tanto da indurla a cadere. Klaus la guardò, intenerito, e sorrise, scostando le dita dal suo mento per andare tra le sue profumate onde color del miele. Mikael aveva affermato il vero, ma per schernirla, intravedendo cosa lui provasse per lei, per quella piccola umana che l’osservava bramosa di una conferma, ma anche turbata da essa.
« E tu credi che l’ami ancora? » le domandò dolcemente, cingendole la vita con più forza, facendo aderire completamente i loro corpi. Nicole, timidamente, annuì, gli occhi spalancati come quelli di una bambina insicura e imbarazzata, « Sebbene siano trascorsi dieci secoli?» chiese, poi, quasi divertito da quella gelosia. L’avrebbe volentieri baciata. Quelle labbra, sottili e a cuore, rosee e ancora lievemente gonfie, era delle tentatrici irresistibili, ma avrebbe dovuto trattenere in sé quel desiderio. Poiché Nicole aveva necessità di risposte, di rassicurazioni. D’amore. Quello stesso che si era annidato nel suo animo prima ancora che lui potesse scacciarlo. Era trascorso troppo tempo e non aveva saputo riconoscerlo subito, ma oramai ne era certo. Era amore, « Quanta dolcezza si annida nel tuo animo colmo d’amore, Nicole Gilbert,» le sussurrò soavemente, accorto, tentando di moderare la voce sin troppo emozionata e tremante. Avrebbe voluto far di lei la propria regina, la sua compagna. Per l’eternità. Ma avrebbe odiato non percepire più il suo cuore battere con la stessa foga di quello di un colibrì, come in quel momento. non avrebbe più rivisto le sue gote arrossate, gli zigomi imporporati, il respiro fremente. E solo quel pensiero fu in grado di fargli mantenere la calma, « È difficile guarire di colpo da un amore durato a lungo,» recitò, rimembrando a menadito l’antica poesia di quell’autore latino, Gaio Valerio Catullo, che tanto l’aveva fatto rimuginare sul comportamento umano. Quanto amore era possibile nutrire nei confronti di una donna? Infinito quanto i confini dell’universo stesso. Nicole lo guardò interrogativa. Lei sicuramente non conosceva nulla di quei poeti, tanto lontani dalla sua America, ma l’avrebbe portata a visitare quei luoghi antichi, pregni di arte e cultura, conoscenza e bellezza, « Hai ragione, mia piccola umana, ma i tuoi occhi hanno sostituito quelli della tua antenata lontana già da molto tempo nel mio cuore morto e spento che tu, e tu sola, fai battere nuovamente,» le rivelò facendola visibilmente sobbalzare tra le sue braccia. Il suo stupore lo intenerì, ma la voce rimase ferma e calma poiché non aveva ancora terminato il proprio compito, « Tatiana Petrova non era che una pallida Luna in confronto allo splendido Sole che mi mostri tu, ogni giorno, » continuò più soave. Le si avvicinò, quasi lambendole le labbra con le proprie, lo sguardo furbo, come se stesse per rivelarle un segreto dalla portata inestimabile, « Dimmi, Nicole, come potrei preferirei lei, la sua perfidia infinita, quell’illusione che, sciocco, mi creai, a te, mio splendido angelo?» le domandò divertito prima di rubarle un bacio a fior di labbra che durò un solo istante. Nicole rimase inerme, per alcuni secondi, le palpebre che si serravano e spalancavano a intervalli di pochi momenti, le labbra schiuse in una silenziosa domanda stupita.
« Io…,» sussurrò emozionata prima di avvampare e chinare il capo. Non si allontanò da lui, posò solo il capo sul suo petto, all’altezza del cuore, e gli cinse la schiena, bisognosa di quel contatto. Klaus poggiò il mento tra i suoi capelli, percependo il dolce profumo di fiori, rose in particolare.
« Tu? » la incalzò dolcemente, carezzandole, con la punta dei polpastrelli, il fianco coperto solamente dal fine cotone del top che apparteneva a sua sorella. Nicole non continuò, ma sospirò leggermente, e si strinse maggiormente a lui.
« Io non…,» si interruppe ancora. Klaus si irrigidì, ma tentò di mantenere calmo il proprio respiro per non farle intendere quel cambiamento. Se gli avesse detto che non poteva stare con lui, non avrebbe risposto delle sue azioni. L’avrebbe anche rapita e portata via da quella cittadina sperduta che non gli aveva procurato che inconvenienti e problemi. Se lei l’amava, se quella mancanza era causata solamente dall’affetto per i suoi fratelli, se credeva davvero che potesse essere lui la sua felicità, il suo amore,  « Io non avrei mai pensato di poter provare un sentimento così forte come quello che nutro verso di te, Klaus,» le rivelò sottovoce, rendendo vano ogni suo dubbio. Sorrise, felice di notare quanta emozione vi fosse nella voce di Nicole, e si scansò per permetterle di guardarlo in viso, di scorgere il lieve sorriso che increspava le sue labbra piene. Nicole era inquieta, come se volesse dir altro, ma ne avesse il terrore, e Klaus le carezzò la guancia per indurla a continuare, « Mi fa paura. Ho tanta paura,» sussurrò, assottigliando lo sguardo e facendosi ancora più piccola di quello che già era. Sembrava una bambina spaurita, bisognosa di conforto, e Klaus le si fece maggiormente vicino, distendendo maggiormente le labbra, rassicurante.
« Non ti farei mai del male, Nicole. Mai,» le promise accorato, pendendole il volto tra le mani, lasciando, a malincuore, che la mano posata sul fianco si poggiasse sulla sua bella guancia bollente. Nicole lo guardò, ma non fu un grado di comprendere cosa risiedesse nella sua mente, se non la fiducia in lui, in quella che era una promessa che non avrebbe mai voluto infrangere. No. Non poteva farla divenire un vampiro. Avrebbe perso la sua intera purezza, il suo contatto con la terra, le sue antenate, e avrebbe sofferto. Tanto. Troppo. Come un uccellino in gabbia che, per quanto potesse essere vezzeggiato, non avrebbe mai più avuto indietro la propria libertà. E Klaus voleva solamente vederla felice, sebbene odiasse quel doloroso pensiero, quella malevola voce che gli stava pronunciato parole che non avrebbe mai voluto udire. Un giorno avrebbe dovuto lasciarle vivere la propria vita senza di lui. Sposarsi, avere dei figli, delle responsabilità. Morire. Lei. Lei che si meritava l’immortalità molto più di chiunque altro al mondo. Lei che sarebbe potuta essere una regina, la sua regina. Lei che avrebbe potuto avere tutto ciò che avesse desiderato. Nicole gli sorrise, facendolo ritornare alla realtà, ma v’era un’ombra nel suo sguardo limpido e Klaus comprese, « E non devi temere nulla dal mondo esterno. Nessuno può farti del male. Non fin quando ci sarò io con te,» continuò dolcemente. Nicole annuì e gli carezzò gentilmente la guancia prima di posare le labbra sulle sue in un mite bacio, soave suggello di quell’amore che li legava indissolubilmente. Klaus la strinse a sé per un ultimo istante, prima di scostarsi. Tremava ancora, Nicole, ma s’era oramai quasi calmata del tutto, sostituendo nel suo animo la tenerezza alla passione, « Adesso, però, è ora di andare,» le mormorò lievemente, premuroso, « Si è fatto tardi. Sei stanca, hai bisogno di riposo. Vuoi tornare a casa? » domandò quando vide un’ombra di tristezza nel suo sguardo, prima di posare un leggero bacio sul dorso della sua mano e avvicinarsi allo sportello del conducente.

Nicole sorrise e scosse il capo, con foga, prima di accomodarsi. A stento era in grado di trattenere la gioia e la felicità divampanti nel suo animo. Klaus era suo, non di Tatia, né di nessun’altra, solo suo. Ed era una certezza. Le sue parole, pregne di sentimento e fine cultura, l’avevano talmente colpita che avrebbe volentieri voluto pregarlo di continuare a pronunciarle all’infinito.
« No. Voglio stare con te,» gli sussurrò, poggiando il capo sulla sua spalla. Aveva ragione. Era stanca e avrebbe solamente voluto dormire al suo fianco, come la notte prima. Chiuse gli occhi e si beò della lieve fragranza che proveniva dalla sua pelle candida, sistemandosi meglio contro il sedile. Klaus le cinse le spalle con un braccio e mise in moto l’auto, cominciando a percorrere le strade buie della sua città.
« Non sono una brava persona, Nicole,» la ammonì, quasi spossato, come se quella giornata avesse avuto il potere di fiaccare anche lui, l’indistruttibile immortale, « Tuo fratello ha ragione. Riuscirei soltanto a far del male alla tua purezza,» mormorò come indignato con se stesso, come se non potesse credere di aver davvero affermato di essere d’accordo con quel ragazzino. Nicole chiuse per un istante gli occhi, sospirò e si scostò di poco dalla sua spalla per poterlo guardare negli occhi. Con i suoi sensi sviluppati sino all’inverosimile, Klaus poteva anche permettersi di non osservare la strada che doveva conoscere a menadito e Nicole gli prese il volto tra le dita, facendolo volgere verso di lei. L’ibrido continuò a guidare, abbassando di poco la velocità per prepararsi a un eventuale incidente.
« Mio fratello…,» sussurrò ironica, ma anche costernata, come se soffrisse al solo pensiero di pronunciare delle parole contro di lui, « cosa ne possono sapere loro di quello che io provo per te? Nulla. Loro vedono solo il mostro,» continuò più sottovoce, come se stesse intonando una nenia gentile e Klaus scosse il capo, carezzandole i capelli. I suoi occhi azzurrini erano freddi, distanti, gelidi, ma progressivamente quel ghiaccio si stava sciogliendo per divenire un mare di afflizione antica, di senso di inadeguatezza troppo marcato, che le fece nascere un moto di tenerezza al centro del petto.
« Ed è quello che dovresti vedere anche tu, dolcezza,» esclamò criptico, imperturbabile, atono, come se non gli importasse cosa lei pensasse poiché la realtà non sarebbe mutata. Nicole scosse il capo e si abbandonò contro di lui, quasi accoccolandosi sulle sue gambe mentre Klaus svoltava verso la sua villa enorme.
« Perché?» domandò quasi innocentemente, sbattendo le palpebre nel vedere una lieve patina di rossore colorare le gote di Klaus nel percepirla tanto vicino a lui, in una posizione così intima. Nicole provava lo stesso imbarazzo, ma era mitigato dalla sua decisione di volergli essere di supporto. Jeremy non sapeva quanto amore risiedesse nel suo cuore e non conosceva affatto il vero Niklaus, quel ragazzo che si nascondeva sotto mille strati di freddo cinismo e glaciale malvagità, gloriandosi di essi come se componessero la più aristocratica tra le armature, « Ho avuto un dono, Klaus, e quel dono mi porta a scorgere cosa c’è veramente nel cuore di una persona. E nel tuo non ho visto che bellezza, luce, soffocata dall’oscurità, ma che lotta per emergere. Io ho visto un mondo dentro di te, ho visto tanta malvagità, solitudine, abbandono, desiderio di vendetta. Tutto. Ho visto tutto di te. Anche l’amore, la passione, la gioia di non essere completamente solo, la volontà di rialzarti sempre. Dopo qualsiasi caduta. Ho visto l’intero universo in te e io voglio farne parte. Voglio essere parte di te,» esclamò con convinzione, infiammandosi per quella passione che la coglieva sempre quando era al fianco di Klaus. Sobbalzò, visibilmente, poi la prese per i fianchi e la spostò sul sedile, come per voler dilatare la distanza tra di loro, come se avesse timore che stesse affermando una falsità. Oppure era solamente stupito e incredulo da quella frase. Nessuno mai doveva avergli detto una cosa del genere, ma era quello che Nicole pensava e avrebbe pronunciato quelle parole altre mille volte, se fosse stato necessario.
« Attenta,» esclamò con fare quasi ammonitore, « Potrei anche non lasciarti andare. Potrei tenerti con me per l’eternità,» aggiunse malevolo facendola sobbalzare. L’eternità. Era vero. Klaus avrebbe potuto trasformarla in un vampiro senza che lei nemmeno se ne rendesse conto, « Sono un egoista, Nicole Gilbert, e ti voglio talmente tanto che potrei impazzire per te,» le rivelò accorato, sporgendosi verso di lei e sfiorandole il viso, osservandola direttamente negli occhi, « Guardami, Nicole, sono il tuo peggior nemico. Sono il tuo Inferno in terra,» continuò più costernato, come se non sopportasse di poterle fare del male. Nicole sorrise e scosse il capo, avvicinandosi maggiormente al suo volto, quasi sfiorandogli le labbra con le proprie.
« Ti sbagli,» sussurrò dolcemente, lambendole in una dolce carezza.
« Mi domando se saresti mia per sempre, » rimuginò tra sé soprapensiero, facendola tremare per la passione. Avrebbe voluto dirgli di sì, senza alcuna remora o imbarazzo, ma rimase in un silenzio imperituro. Arrossì lievemente, ben cosciente che non avrebbe mai potuto lasciarlo. Era sua, completamente. E non sapeva se quello fosse per lei un bene o un male, però forse non voleva neanche scoprirlo. « Ma mi accontenterò di averti questa notte.»

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Capitolo 22
*** Family Tales ***


22 cap

Capitolo 22

Family Tales

 
Nicole lo guardò, incerta, per un secondo. Il suo sguardo era troppo carico di passionalità e furbizia, la faceva tremare per l’emozione. Le sue mani, esperte e forti, ma sempre gentili, le lambirono le guance per un altro, interminabile istante, poi le scostò e l’afferrò per i fianchi. Quelle di Nicole scesero sino ai suoi gomiti, carezzevoli, e la giovane strega non attese nemmeno un secondo prima di percepire le labbra di Klaus impossessarsi delle proprie. Fu un bacio inconsueto. Sino a quel momento Klaus si era come frenato dinanzi a lei, come se avesse temuto un suo rifiuto, improbabile, oppure se avesse timore di incuterle soggezione. Quel bacio, invece, non conosceva inibizioni e regole. Era passionale, travolgente, tanto da farle mancare il respiro, tanto da farle serrare le mani intorno ai suoi gomiti. Le unghie quasi rischiavano di strappare la pelle della sua giacca. Chiuse gli occhi, tentando di ritrovare un minimo di calma dinanzi al fuoco divampante del loro contatto. Percepì un movimento e subito dopo sentì il lieve peso di Klaus accanto a sé. Una sua mano le sollevò l’orlo del top, carezzandole con leggerezza la pelle nuda del suo fianco. Era tiepido, ma sotto quel dolce, e allo stesso tempo audace, tocco Nicole si sentì ardere di un fuoco benevolo. L’altra, invece, risalì tutto il suo corpo, arrivando alla nuca e poi tra i capelli, per attirarla maggiormente a sé. Le diede un attimo di respiro, solo uno, per permetterle di riprendere fiato e Nicole percepì la sua triste mancanza troppo duramente.
« Klaus,» mugugnò dolente e imbronciata, l’animo colto dalla passione, irradiato da essa. Klaus rise, lievemente, roco e sensuale, facendo percorrere alla mano, posata sul suo fianco, un altro tratto, avvicinandola quasi al seno.
« Questa notte sarai mia, Nicole,» le mormorò provocante a un soffio dalle sue labbra. Nicole si arrischiò a riaprire gli occhi e vide un sorriso furbo distendergli le labbra rosse e piene, leggermente gonfie, « Non c’è necessità di avere fretta,» continuò quasi dolcemente, scostando il capo e posandolo nell’incavo candido del collo, il viso rivolto alla base di esso. Lì vi posò un lieve bacio che le fece aumentare il battito cardiaco ancora di più di quanto non lo fosse già. Seguì la linea blu della carotide, brillante sulla sue pelle perlacea, lasciando una scia di piccoli baci che le fecero chiudere nuovamente gli occhi mentre si poggiava al finestrino alzato della jeep. Sospirò per il piacere e sentì Klaus scostarsi di poco da sé, come turbato da quell’atto, rassicurandosi solamente quando notò il lieve sorriso incresparle le labbra dolcemente schiuse. Era talmente felice, Nicole, da dimenticarsi di tutto e gli carezzò le braccia sino ad arrivare alle sue gote magre. Klaus la baciò, solamente le labbra, quasi con tenerezza, e percorse con l’indice tutta la linea del suo fianco. Un suono, come di un colpo contro il finestrino, destò entrambi, facendoli sobbalzare e abbandonare quel sogno insieme passionale e tenero che li vedeva protagonisti. Klaus quasi ringhiò sulle sue labbra prima di scostarsi del tutto, sempre gentilmente. Nicole avvampò e deglutì, prima di schiudere gli occhi e notare la bella figura di Rebekah, battere una mano contro il vetro, il volto alla loro stessa altezza. Sorrideva, sorniona e maliziosa, un baluginio divertito negli occhi azzurrini che brillavano come specchi nella notte. Klaus si allontanò da lei, fulmineo, e per un attimo la giovane strega temette che stesse per uscire e attaccarla, ma non lo fece. Si limitò ad abbassare il finestrino, e Nicole chinò il capo, rassettandosi le vesti e cominciando a torturarsi le dita, imbarazzata d’esser stata davvero colta in fallo dalla sorella di quello che era oramai il suo uomo.
« Rebekah, sorellina, mi faresti l’assoluta gentilezza di dirmi che diavolo vuoi? » domandò caustico, irritato e risentito per quell’interruzione, « Per favore,» aggiunse con a voce più acuta e fintamente cordiale. Rebekah allargò il sorriso, se possibile, e giunse le mani dietro la schiena, deliziata da quel comportamento, come se fosse per lei un motivo di gioia vederlo tanto sdegnato. Nicole rimase con il capo abbassato, ma attento a captare ogni suono, guardando i fratelli di sottecchi.
« Mikael vuole parlarci, piccioncini.,» comunicò loro con la voce allegra e briosa, « Volevi essere davvero trovato così da lui? » aggiunse curiosa, spalancando gli occhi azzurrini e giocosi, « Se vuoi, te lo chiamo,» soggiunse più maliziosa, prima di volgersi verso la villa, « Mi basta dire solamente: “ Papà”,» mormorò a suo fratello, osservandolo a tre quarti, con un sorriso quasi perfido prima di spalancare le labbra e prendere fiato.
« Sta zitta, Bekah. Se non vuoi ritrovarti in una bara per altri dieci secoli,» la minacciò ancora più arrabbiato, ma anche imbarazzato, scendendo dall’auto e inchiodando sua sorella contro lo sportello. Nicole scese anch’ella e li raggiunse subito, come per controllare che non accadesse nulla a Rebekah. Klaus non sembrava davvero irato, anzi. Stava sorridendo, divertito dall’espressione imbronciata di sua sorella, per la quale fu semplice liberarsi dalla sua presa, troppo blanda e dolce.
« Sei monotono, Nik,» esclamò crucciata, a braccia conserte, con gli occhi colmi di ironia.
« È successo qualcosa, Rebekah? » domandò Nicole cauta, dimentica quasi dell’imbarazzo che aveva provato pochi istanti prima, smorzando sul nascere la risposta di Klaus. Rebekah la guardò, tornando alla sua consueta espressione allegra, e alzò le spalle.
« Non ne ho idea. Mikael ha detto che ha visto qualcosa che l’ha incuriosito e ha bisogno di un tuo parere da strega,» le spiegò atona, « Se puoi, ovviamente,» aggiunse con più gentilezza. Nicole sorrise e annuì, scostandosi un boccolo che le era ricaduto dinanzi al volto, ben attenta a non incontrare lo sguardo di Klaus che le si era fatto più vicino.
« Certo. Sì. Perfetto. Ti seguo,» aggiunse più imbarazzata quando l’ibrido le cinse la vita con un braccio, come per proteggerla dal gelo di quella notte. Nonostante tutto, poggiò il capo sulla spalla e si lasciò guidare verso la casa, Rebekah dinanzi a loro, come per fare da guida.
« Sei stanca? » le soffiò Klaus all’orecchio, la voce criptica e lievemente premurosa. Nicole si ritrovò ad annuire, incapace di mentirgli, e chiuse per un istante gli occhi chiari. Era stata una giornata lunga e ricca di eventi e avrebbe volentieri fatto a meno di quell’ultima chiacchierata con Mikael, ma non si sarebbe sottratta. Appena furono entrati, Nicole notò subito che v’era qualcosa di profondamente diverso. La casa era quasi finita. Sembrava essere diversissima da quella che aveva lasciato solamente da quella mattina, eppure aveva i muri dipinti e v’erano già i mobili, alcuni quadri, dei vasi contenenti fiori, magnolie, in particolare, sulla consolle dell’ingresso. Rebekah li guidò in un’ampia sala, un po’ cupa, illuminata da un piccolo lampadario di cristallo, posizionato su di un tavolo ovale al centro della sala. Dietro di esso v’era un camino con dentro della legna non ancora accesa e intorno v’erano dei divani di pelle marrone, che avevano l’aria di essere molto confortevoli. Su uno di essi, era appoggiato Mikael, con un bicchiere di quello che sembrava essere brandy in mano, l’aria divertita e un impercettibile sorriso sulle labbra sottilissime.
« Niklaus, sempre così possessivo,» esclamò ironico, alludendo alla vicinanza tra i due. L’ibrido sorrise, le posò un lieve bacio tra i capelli, e la lasciò andare, facendole un cenno, gentile e nobile, di sedersi, seguendo sua sorella. Nicole annuì e si accomodò accanto a Rebekah mentre Klaus si diresse verso il minibar, servendosi un bicchiere di brandy.
« Dimmi, Mikael,» lo invitò cortesemente, ben sapendo che non sarebbe riuscita ad attendere oltre. Gli occhi quasi le si chiudevano per la stanchezza e quel divano era davvero troppo morbido.
« Mystic Falls non è un posto pacifico, nevvero?» le domandò criptico, facendole aggrottare le sopracciglia per lo stupore. Percepì la longilinea figura di Klaus accomodarsi accanto a sé e gli si fece, impercettibilmente, più vicina.
« Cosa intendi dire? » chiese, confusa, accavallando le gambe e sfiorando l’anello di famiglia, senza quasi rendersene conto. Lo faceva sempre quando sperava che suo padre, o anche sua nonna, dal cielo, potessero supportarla e darle forza. Era un gesto meccanico, consueto, che oramai era parte di lei, ma si stupiva ogni volta della propria ingenuità. Sua nonna, come le sue antenate, poteva aiutarla, ma non parlare con lei dei suoi problemi adolescenziali o di natura futile. Solo incantesimi. E suo padre era oramai in un luogo in cui non poteva avere un contatto con lei, sebbene Nicole pensasse che riuscisse a vederla dal Paradiso.
« Ciò che ho detto,» affermò gentilmente, rivolgendole un breve sorriso, « Non lo era nemmeno quando arrivai dall’Est Europa con mia moglie che portava il nostro caro Elijah in grembo, ma ritenevo che col tempo sarebbe mutata. Fui in errore in quel tempo e lo sono anche adesso,» mormorò assorto nei propri ricordi e nelle proprie meditazioni. Avrebbe voluto conoscerlo Elijah. Dai loro racconti sembrava essere un vampiro virtuoso e onesto. Non ve ne erano molti al mondo.
« Cos’è successo, Mikael? » gli domandò con quanta più cortesia possibile, per destarlo dolcemente da quelle antiche memorie. Mikael la guardò mentre lo sguardo di Rebekah rimaneva fisso in quello paterno, come se fosse incredula dinanzi a tutto quel sentimento. Suo padre, in mille anni, doveva essere stato imperturbabile, come un muro di cemento armato, ma Nicole aveva scorto quanto amore per la sua famiglia vi fosse nel suo cuore.
« A me? Assolutamente nulla. Sono abituato a vedere dei paletti nel cuore,» esclamò soavemente divertito prima bere un piccolo sorso di brandy. Nicole sobbalzò, visibilmente, e schiuse le labbra, totalmente dimentica del sonno che l’aveva colta prima.
« Di chi? » sussurrò timorosa mente una mano di Klaus, quella che non reggeva il bicchiere, si posava premurosamente sulla propria.
« Mi spiace per tuo fratello, ma non in quelli dei fratelli Salvatore,» affermò ironico, un guizzo allegro negli occhi azzurrini, « Anzi nemmeno in quello di un vampiro.»
« Cosa? » esclamò scandalizzata, gli occhi sgranati, le labbra schiuse, il corpo lievemente tremante. Non era possibile.
« Dimmi, Nicole, la tua famiglia è nota per uccidere gli umani alla stregua dei vampiri? » continuò Mikael, infierendo maggiormente sulla sua anima già provata. Nicole non sapeva cosa significasse quella domanda né perché Mikael l’avesse formulata. Era ovviamente negativa come risposta. I Gilbert sarebbero anche potuti essere degli folli beoni, ma non uccidevano gli umani e mai l’avrebbero fatto.
« Cosa… Cosa hai detto? » mormorò indignata, quasi scattando in piedi, frenata solamente dalla mano di Klaus ancorata alla propria. Anche lui si era mosso inquieto al suo fianco e lo sguardo di Rebekah vagava, stupito, dall’una all’altro, senza sapere a chi dovesse affidarsi, « Non è divertente, Mikael. I miei fratelli non uccidono nessuno, e nemmeno io. I miei genitori sono morti. Siamo rimasti solamente io, Jeremy ed Elena,» ricordò, tentando di celare quel velo d’amarezza che la copriva ogniqualvolta che pensava ai suoi parenti scomparsi sin troppo prematuramente. Mikael estrasse dalla tasca dei pantaloni grigi, eleganti, di raso avrebbe detto, un pezzo di legno sul quale v’era un simbolo bianco che coprì con le dita lunghe e affusolate, celandolo alla sua vista.
« Dovresti vedere questo,» le consigliò caldamente, un tono di scuse, come per sperare che non si fosse offesa per quella che non era un’accusa. Le lasciò scivolare quel pezzo minuscolo di legno marrone chiaro nella sua piccola mano aperta. Nicole spalancò le labbra e delle lacrime colme di dispiacere e amarezza le velarono lo sguardo limpido. Klaus scostò la mano, come per permetterle al meglio di rimirare l’oggetto, e Nicole lo guardò, trattenendo a stento un singulto. JG. Jonathan Gilbert. Il suo antenato. Il miglior cacciatore di vampiri della loro famiglia praticamente da sempre. Le sue iniziali erano marchiate con la polvere bianca di una quercia secolare che avevano abbattuto per costruire il novello Wickery Bridge. Nicole aveva appreso quella storia dai racconti di sua nonna che soleva spesso narrarle di quei tempi lontani. Affermava sempre che la facevano riavvicinare a suo marito, sebbene mai nessuno riuscisse a comprenderne la ragione. Nicole sfiorò le iniziali, che appartenevano anche al suo caro padre, quasi con timore reverenziale, prima di volgersi verso Mikael, tentando di trattenere le lacrime all’interno degli occhi.
« Il simbolo dei Gilbert? Dove… Dove l’hai trovato?» gli domandò con la voce ancora incredula e sbalordita, come se non riuscisse a credere a cosa stesse vedendo.
« L’ho estratto dal paletto con cui è stato ucciso un ragazzo nel bosco,» le spiegò atono, sebbene fosse presente un lieve sorriso nei suoi occhi sempiternamente gelidi.
« Impossibile,» esclamò Nicole, scuotendo il capo con foga. Strinse maggiormente a sé quella piccola parte dell’impugnatura di un paletto come per farsi forza con il ricordo della propria famiglia. E per un istante ci riuscì.
« Perché dovrei mentire, Nicole?» le chiese divertito prima di terminare di bere il suo brandy e poggiare il bicchiere a tulipano sul tavolino di mogano dietro di lui, senza scostare lo sguardo da lei. Nicole scelse di non rispondere. In effetti non aveva alcun motivo di mentirle, ma non poteva accettare quella verità.
« Questo qui è il simbolo di Jonathan Gilbert, del mio antenato. Ogni paletto che lo possiede proviene dalla nostra villa sul lago ed è assolutamente impossibile che sia stato usato contro un umano,» affermò sicura delle proprie tesi, mostrando il legno a tutti e tre gli Originali, « Questo, poi, in particolare, è di mio padre, ne sono sicura. Lo riconosco,» sussurrò, rimembrando il giorno in cui le aveva insegnato a cacciare un vampiro. Le aveva detto che le sarebbe servito in futuro, che, da strega, sarebbe stata costretta a relazionarsi con quelle creature e le aveva insegnato come difendersi, soprattutto, ben conoscendo il suo animo buono e giusto, « Mio padre è morto quattro mesi fa, Mikael. È impossibile,» continuò ancora.
« Dovresti dirlo al ragazzo a cui corrisponde il nome di Brian Walters. Lo riconosci?» le domandò, mostrandole il cellulare, di ultima generazione, su cui spiccava una foto macabra. Un uomo era riverso sul suolo colmo di foglie secche del bosco. V’era un paletto nel suo petto e il sangue gli macchiava la camicia e il volto. Aveva gli occhi chiusi, fortunatamente per lei, e la pelle sin troppo cerea. Era morto. Restituì il telefono a Mikael e si portò una mano sulle labbra, come per trattenere un conato di vomito, sentendo risalire la bile per l’esofago.
« Brian… Oh cielo,» esclamò, terrorizzata, passandosi l’altra mano tra i capelli, percependo le forze cedere. Quell’immagine era stata orribile da vedere ed era certa che non l’avrebbe mai potuta dimenticare. Quel ragazzo l’accompagnava sempre a casa poiché era l’unico a non ubriacarsi alle feste. Non poteva essere morto, non in quel modo. Era davvero troppo spaventoso, « Dio mio, ma chi farebbe mai una cosa del genere? » sussurrò con la voce spezzata dalle lacrime che oramai le stavano bagnando le guance.
« Non ne hai proprio idea, vero? » le domandò Mikael, sottovoce, quasi turbato di vederla piangere in quel modo così composto e mai accentuato. Doveva ricordargli qualcuno, forse Rowena, forse Esther.
« No. Qui a Mystic Falls non si uccidono gli umani. E poi perché? Brian era ragazzo gentile. Aveva solamente venticinque anni,» aggiunse, pensando fosse assurdo morire talmente giovane, « Cielo. È stato ammazzato con uno dei paletti di famiglia,» esclamò ancora più impaurita, tremando con foga. Klaus le cinse le spalle, stringendola a sé in un abbraccio caloroso, cullandola tra le sue braccia per infonderle pace e tranquillità.
« Nicole, calmati,» la esortò dolcemente, « Suvvia, credi possano accusarti di omicidio? » le domandò quando le vide scuotere il capo con foga.
« Tu non conosci il Consiglio, Klaus,» affermò inviperita, scostandosi lievemente da lui per poterlo guardare negli occhi. L’ibrido sembrava davvero confuso da quell’atteggiamento tanto inconsueto e, per lui, privo di significatività. Lei era al sicuro. Non potevano accusarla di nulla, « Ho solamente Carol dalla mia parte ora che papà è morto. Non crederanno assolutamente nella mia innocenza, soprattutto perché su quel paletto sono certa ci siano anche le mie impronte,» raccontò, ben ricordando che più volte l’aveva brandito, « Devo avvisare Elena e Jeremy,» esclamò, poi, più calma e sicura, sospirando appena.
« è evidente che vogliono incastrare la vostra famiglia,» affermò Rebekah irritata da quel comportamento, come se si fosse trattato della propria famiglia. Anche per loro doveva valere quelle silenziose regole che vigevano anche nella Mystic Falls del suo tempo, ossia l’assoluta importanza del vincolo che legava i parenti e l’intoccabilità della famiglia.

« Il problema è capire perché,» esclamò Mikael con tono paterno, guardandola come spesso l’aveva osservata suo padre, con dolcezza mista a severità, ma sempre amorevolmente.
« Non abbiamo nemici qui. Mio padre era un uomo rispettato da tutti e mia madre era una delle donne più presenti nella città. Aiutava sempre il prossimo,» raccontò, tentando di non piangere dinanzi al ricordo dei bei volti dei suoi genitori illuminati da dei sorrisi aperti e sinceri, delicati e affettuosi.
« I tuoi genitori adottivi? » sussurrò Rebekah, posando la mano sulla sua gamba per farla calmare, da vera amica. Quel pensiero la rinfrancò, donandole forza, e Nicole annuì, più tranquilla e pacata, accantonando per un attimo i ricordi.
« Sì. Nessuno sa che John e Isobel sono i genitori miei e di Elena e nessuno deve saperlo,» chiarì subito con un sospiro.
« Perché? » le chiese Klaus, incuriosito da quel tono talmente risoluto. Nicole non aveva mai mostrato di provare vergogna, o qualcosa di simile, per i suoi genitori biologici, anzi sembrava adorarli così tanto.
« Perché dovete sapere che mio padre, John, non aveva una buona reputazione qui, e Isobel era un vampiro,» osservò ragionevole prima di scostarsi i capelli del volto, sistemandoli dietro le orecchie, « Ed Elena mi ammazzerebbe,» sospirò divertita. Probabilmente Elena l’avrebbe fatto sul serio, se era rimasto un pizzico della ragazza che era stata prima della morte di Grayson e Miranda. Elena era forte, risoluta, imbattibile, e anche sarcastica, alle volte, sebbene preferisse essere più mite e dolce. Rebekah sbuffò, poi sorrise « Adesso sono troppo, troppo stanca. Domani dovrò parlare con Carol, assolutamente, sperando non si scateni un putiferio prima,» sussurrò prima che gli occhi le si chiudessero per un istante. Aveva sfruttato quel poco di adrenalina che le era rimasta in circolo quando aveva visto Brian, ma ora era ancora più stanca di prima.
« Non preoccuparti, Nicole. Ti presto uno dei miei pigiami. Hai davvero bisogno di dormire. Hai gli occhi semichiusi,» mormorò gentilmente Rebekah, issandosi in piedi e porgendole la mano, amichevolmente, con un lieve sorriso. Nicole annuì e accettò di buon grado quella bella offerta, incominciando a seguirla, dopo aver salutato Mikael. Rebekah la condusse verso il piano superiore dell’ampia villa e poi percorsero il lungo corridoio di marmo, fermandosi dinanzi a una porta di legno d’acero bianco dalla maniglia dorata. Rebekah l’aprì rivelando un immenso spazio rettangolare non ancora arredato interamente. La fece entrare e Nicole, strabiliata, si guardò intorno. V’era solamente un letto, a baldacchino, dalle coperte color carta di zucchero, ai cui piedi era appoggiata un divanetto bianco, mentre all’angolo vi erano delle buste contenenti i suoi vestiti. Sulla parete opposta v’era un balcone che si affacciava sul giardino posteriore. La vampira si diresse velocemente verso un gruppo di pacchi che avevano il logo del negozio di intimo più prestigioso in città e scelse una camicia da notte di raso bianco, lunga, con delle spalline impalpabili, del pizzo ricamato sopra il seno. Gliela porse gentilmente e Nicole si sentì quasi arrossire sentendo la morbidezza del tessuto. Doveva essere quasi trasparente.
« Rebekah, grazie,» sussurrò emozionata, cominciando a spogliarsi velocemente, percependo già il sonno cingerla con le sue dolci braccia accoglienti. La vampira sbuffò e scosse il capo, andandosi poi a stendere sul proprio letto a tre piazze, portando le mani dietro la testa e allargando i gomiti, osservando il soffitto candido.
« Allora state insieme,vero? » le domandò leggera mentre infilava la camicia. Nicole avvampò e ringraziò che non potesse vederla, sebbene fosse certa che sentisse i battiti accelerati del suo cuore, « Ho sempre voluto una cognata e tu mi piaci,» le sussurrò complice, facendole cenno di sedersi sul letto. Nicole obbedì prontamente, stupita da quel comportamento così dolce. Rebekah sembrava essere un’altra persona quando era con lei, o con Klaus e Mikael. Diveniva più delicata, solare, non la vampira vendicativa che aveva visto quella notte nella palestra.
« Davvero? Hai quattro fratelli e nessuno di loro è mai stato fidanzato? » le domandò incredula e incuriosita, portando le gambe sul letto e rannichiandole.
« Finn aveva Sage, ma non mi è mai piaciuta. Era solamente una sciocca e non so come mio fratello abbia fatto a sopportarla per quasi più di cento anni. Kol era troppo piccolo e a lui non sono mai piaciute le relazioni stabili. Elijah e Niklaus erano ancora innamorati di quella sgualdrina di una Petrova,» le raccontò quasi atona, emozionandosi solamente nel nominare Tatia con disprezzo infinito.
« Posso farti una domanda su Klaus? » mormorò avvampando, quasi sperando che non l’avesse davvero udita. Rebekah la osservò, chinando il capo su di lei, poi annuì, interessata, « È sempre così poetico? » le chiese, ricordando le parole che le aveva pronunciato prima, nel giardino dei Lockwood. Rebekah rise, leggera e divertita, poi annuì
« Sì. Ama la cultura, l’arte. Lo ha sempre fatto. Non sai quanto tempo trascorreva nelle biblioteche di tutto il mondo, intento a leggere racconti classici e scovare nuovi tesori inestimabili,» le raccontò, spalancando gli occhi azzurrini e mettendosi a sedere. Qualcuno bussò alla porta e Rebekah lo invitò ad entrare. Era Klaus. Sorrideva lievemente e il suo sguardo era profondamente benevolo, tanto da farle intendere che aveva ascoltato tutto. Nicole quasi chinò il capo quando percepì i suoi occhi perforanti fissi sulla sua figura. Non era trasparente, ma ci andava davvero troppo vicino e non voleva che Klaus potesse vederla in quel modo. La imbarazzava, ma tenne lo sguardo alto.
« Nicole,» la chiamò, con la voce lievemente arrochita dall’accento britannico e dalla passione presente nei suoi occhi azzurrini, « Mia sorella non è buona compagnia. Sa troppe storie su di me e…»
« Oh Nik, suvvia, ho capito,» lo interruppe esasperata e imbronciata mentre vedeva Nicole issarsi in piedi e sfiorare il pavimento gelido, trattenendo a stento un brivido, « Vuoi dormire con Nicole. Ho capito. Non sono nata ieri. Vai, cara, ti racconterò un sacco di storie sui miei fratelli,» le mormorò più dolcemente prima di scoccarle un lieve bacio sulla guancia arrossata, sporgendosi verso di lei, «Fortunatamente ho un’ottima memoria.»
« Su tutti? » domandò Nicole divertita, a tre quarti, guardando sia lei che Klaus.
« Oh sì. Nik ti ricordi quando Kol cadde da cavallo il primo giorno che papà vi insegnò? » esclamò ironica, trattenendo a stento una risata per poi far cenno alla ragazza di avvicinarsi a suo fratello. Nicole lo raggiunse, sotto lo sguardo attento dell’ibrido, e le rivolse un ultimo sorriso dolce.
« Non mi parlò più per due giorni perché avevo riso con un matto,» affermò ilare, posando una mano sulla schiena della giovane strega e sfiorandola in una dolce carezza. Nicole si lasciò condurre fuori dalla camera e Klaus chiuse la porta. La baciò teneramente, cingendola tra le sue braccia e avvicinandola a sé sino a che i loro corpi non si sfiorarono. Nicole rispose carezzandogli la guancia e alzandosi sulle punte, ma Klaus si scostò troppo presto e le fece cenno di camminare verso la propria stanza. Entrò nella stessa della sera prima, sebbene fosse totalmente mutata. Il letto era molto più grande, con delle coperte bordeaux, dorate sugli angoli e nei disegni geometri. Era anche più ampio di quello di Rebekah e v’erano anche due comodini di mogano chiaro, bombati, con del marmo bianco sopra di essi. Klaus le baciò la guancia, facendole cenno di stendersi mentre lui cominciò a spogliarsi velocemente, togliendosi solamente la camicia. Nicole si avvolse nelle coperte e chiuse per un istante gli occhi, sospirando mentre si appoggiava sul cuscino bianco. Poi lo guardò, emozionata e imbarazzata come la prima volta. Era bello, bello da morire. Ed era suo. Sorrise di quel pensiero mentre lo vedeva avvicinarsi e distendersi al proprio fianco. Le carezzò la guancia e sorrise anch’egli.
« Brutta storia, eh?» le domandò comprensivo. Nicole chiuse gli occhi e sul suo volto apparve un’espressione sofferente che lo fece sussultare, impaurito che fosse colpa sua.
« Ti prego, Klaus. Non ho propria voglia di parlarne,» gli sussurrò dolcemente riaprendo gli occhi e facendosi più vicina a lui, quasi a un soffio dalle sue labbra.
« Perfetto, dolcezza,» esclamò prontamente, lambendole le labbra in un dolce bacio, « Mikael non voleva mancare di rispetto alla tua famiglia, mi ha detto, » le comunicò sottovoce, sfiorandole il mento.
« Lo so. Non c’è bisogno che si scusi, non con me. Ma detesto sentire attaccare la mia famiglia, soprattutto mio padre.»
« Ti manca proprio tanto. » Non era una domanda, bensì un’affermazione, e Nicole si ritrovò ad annuire e sospirare contemporaneamente.
« Lui… lui mi voleva un bene dell’anima,» mormorò stringendosi a lui, percependo una dolorosa afflizione invaderla e intristirla.
« Posso comprenderlo,» le rivelò, alludendo allo stesso sentimento che provava lui nei suoi confronti. Nicole, intenerita, sorrise e lo baciò per un solo istante, « Perdonami per prima. Ti sarò sembrato un…»
« Un uomo che ama la sua donna,» lo interruppe velocemente, risoluta, gli occhi fermi e pacati, « È questo quello che mi sei sembrato. Vuoi scusarti di questo? » domandò più mesta e Klaus la strinse maggiormente a sé.
« No, tesoro, no,» le confermò accorato, sfiorandole i capelli, « Mikael mi ha dato un’altra notizia. Non temere, non è orribile come quella che ha dato a te prima,» la rassicurò dolcemente, vedendola impaurita, « Crede di aver trovato la madre di Bonnie. Un certa Abigail Bennett Wilson.»
« La mamma di Bonnie era la migliore amica della mia. Non potete farle del male,» esclamò quasi con le lacrime agli occhi, temendo per la sorte di quella donna gentile che a sua madre mancava immensamente.
« Non gliene faremo, mio tesoro,» la rassicurò ancora.
« Quindi hai deciso di riportare in vita tua madre? » gli domandò dolcemente, felice, con un lieve sorriso sulle labbra a cuore.
« Così sembrerebbe, Nicole. Adesso basta, però. Sei stanca, lo vedo. Buonanotte,  mia piccola umana,» le augurò gentilmente, prima di baciarla lungamente. Nicole sorrise per quell’appellativo e posò il capo sulla sua spalla.
« Buonanotte, Klaus.»

 

La mattina arrivò troppo presto e Nicole si strinse all’uomo ancora accanto a sé, mugugnando un diniego e affogando il viso nel dolce incavo del suo collo. Un suono di cellulare la destò del tutto e Klaus le carezzò la schiena, ridendo lievemente. Nicole si puntellò sui gomiti e lo guardò con gli occhi ancora semichiusi, imbronciata. Era molto più che sveglio e la osservava malizioso e divertito mentre le porgeva il proprio telefono. Nicole sbuffò, si distese nuovamente, osservando il soffitto e accettò la chiamata.
« Pronto?» mormorò con la voce ancora impastata dalla stanchezza, mentre Klaus le cingeva la vita e l’attirava a sé. Nicole si volse a guardarlo e gli sorrise timidamente notando quanta passione vi fosse nel suo splendido sguardo limpido.
« Nicole, buon giorno, sono Liz. Liz Forbes,» esclamò con voce gentile e cortese tanto da farle distendere maggiormente le labbra.
« Liz, sì, buon giorno anche a te. Dimmi tutto,» la invitò cordialmente prima di sentire la porta aprirsi. Era Rebekah con un vassoio d’argento in mano colmo di bontà che le fecero subito venire fame. La salutò con un bel sorriso solare e poi si sedette ai piedi del letto. Indossava solamente la camicia da notte come lei, nera e di pizzo, molto corta, e sembrava essere di ottimo umore. Gli occhi le brillavano con una luce mite e splendente.
« Senti, tesoro, hai l’appoggio di Carol, e tu lo sai. È come se fosse tua madre e…»
« Ti prego, Liz, parla chiaro,» la interruppe tentando di non assumere una nota esasperata, con ottimi risultati, mettendosi a sedere contro lo schienale del letto. Notò che v’era anche Mikael, poggiato sullo stipite della porta e gli rivolse un breve sorriso per fargli intendere di non essere indispettita, che non ne aveva alcuna ragione, « Mi sono appena svegliata e mi conosci.»
« Va bene. È stato trovato un ragazzo nel bosco questa mattina. Brian Walters. Il medico legale,» le spiegò velocemente. Nicole sospirò, chiuse gli occhi e si passò la mano sul volto, sollevano alcuni boccoli ricaduti sulla fronte. Lo sapeva. Sospettavano di lei. In un moto di sincerità pensò fosse ovvio e che non poteva arrabbiarsi con Liz.
« Lo so,» affermò atona, socchiudendo gli occhi e posandoli sulle coperte. Era certa di avere lo sguardo dei tre Originali su di sé e Klaus le stava carezzando dolcemente il fianco per smorzare, temperare, la sua rabbia crescente, « So chi è e so cosa gli è successo e so anche che sul quel paletto ci sono le mie impronte, Liz, ma ti giuro, su ciò che ho di più caro a questo mondo, che io non c’entro nulla con questa storia,» esclamò più accorata ed esasperata, quasi piangendo. Era sempre lei, sempre Nicole Gilbert, la bambina che trascorreva le notti a casa Forbes per fare compagnia alla piccola Caroline e giocare con le bambole. Era sempre lei, la ragazza che soleva svolgere i compiti nella sala della loro casa per poi andare in giardino e parlare delle novità. Era impossibile che per loro fosse cambiato così tanto. Per lei non era cambiato proprio nulla. Quel pensiero le fece versare una lacrima che prontamente asciugò, non volendo mostrarsi debole e vulnerabile.
« So che sei innocente, Nicole, ma, se trapela nel Consiglio, sai meglio di me quali saranno le conseguenze,» le mormorò comprensiva, come una mamma, riscaldandole il cuore. Nicole si ritrovò a sorridere quasi senza accorgersene e annuì con foga.
« Allora sarà meglio che trovi il colpevole, Liz. Ma ti assicuro che troverò chi sta incastrando la mia famiglia,» continuò più accorata e risoluta mentre incontrava lo sguardo di Rebekah che le sorrise prontamente, felice che stesse bene.
« Bene, Nicole. Usa i tuoi mezzi, io userò i miei. Sta morendo troppa gente, gli abitanti cominceranno a sospettare,» sussurrò più mesta e Nicole annuì tra sé. I dimoranti di Mystic Falls non erano né ciechi né stupidi e presto si sarebbero accorti che nella loro città più di una situazione non era delle più felici.
« Lo so. Liz, per favore, dai un bacio a Care da parte mia,» mormorò ricordando che il giorno prima era il compleanno di quella bella ragazza che aveva illuminato le sue giornate con i suoi solari sorrisi. Le mancava immensamente parlare con la sua migliore amica e l’avrebbe fatto al più presto, ma prima aveva bisogno di chiarirsi con sua sorella. Non le era mai piaciuto litigare con Elena, sebbene negli ultimi tempi in cui aveva vissuto a Mystic Falls non facessero altro che discutere. Periodo oscuro. Era così che lo chiamavano i suoi familiari. Da quando era morta sua nonna, passando per il tradimento di Tyler e finendo con la sua fuga, Nicole aveva attraversato il periodo peggiore della sua intera esistenza, mutando completamente il proprio carattere. Era stata una profonda serie di fattori collegati a farle cambiare atteggiamento nei confronti di tutti. Mancare di rispetto a sua madre, alla dolce Miranda, era stato solo il primo passo di un lungo percorso che non voleva assolutamente rimembrare. Era stato orribile, lei era stata tremenda e comprendeva che, più che per Klaus o per altro, Elena era ancora arrabbiata con lei per quel dannato lasso di tempo.
« Certo, cara.» La voce di Liz, gentile e soave, la riportò alla realtà, facendola allontanare da quei pensieri tanto spiacevoli, « Sono sicura che te lo manda anche lei. Passa da casa nostra in questi giorni. Le farà piacere vederti,» le consigliò dolcemente e Nicole annuì tra sé, sorridendo brevemente, « Farà piacere a tutti. Ci sei mancata e so che probabilmente Elena non lo ammetterebbe mai, neanche sotto tortura, ma è lei quella a cui sei mancata di più,» le rivelò facendola sobbalzare e chiudere gli occhi, trattenendo un mesto sospiro. Liz aveva perfettamente ragione. Era stata Elena a soffrire di più e Nicole con lei. Erano sempre due sorelle, gemelle, e quella forzata lontananza aveva scosso ambedue allo stesso modo.
« Grazie Liz, per tutto. È mancata tanto anche a me, non puoi immaginare quanto,» sussurrò amareggiata prima di chiudere la comunicazione. Osservò il display del telefono per un attimo e rivide i volti sorridenti della sua famiglia, da sua madre a Elena, da suo padre a Jeremy, per finire a lei e a quello che in quel tempo soleva chiamare zio John. Sospirò pesantemente, poi serrò le labbra, gli occhi quasi fiammeggianti e compose il numero di sua sorella, che oramai conosceva a memoria. Il telefono squillò per un paio di volte prima che Elena rispondesse.
« Nicole, tutto bene?» le domandò incredula di sentirla a quell’ora.
« Certo, Lena, tutto bene, » le assicurò tentando di calmare la propria voce sin troppo emozionata, « Senti, hai da fare questa mattina? » le domandò leggera, mentre Klaus le posava un mite bacio sulla guancia per poi alzarsi e dirigersi verso il borsone contenente i suoi vestiti. Rebekah si issò in piedi, sbuffando annoiata di sentirla parlare con sua sorella mentre Mikael, dopo averle rivolto un enigmatico sorriso, scomparve dalla propria vista.
« Sì, ma… se tu hai bisogno, dimmi tutto,» la invitò caldamente, facendola sorridere con amarezza.
« È importante? » domandò mestamente, scostando le coltri rosso scuro, ben attenta a non rovesciare il vassoio per poi avvicinarsi ad esso e prendere la tazza di caffè fumante. Quando alzò lo sguardo, notò che Rebekah era già uscita e Klaus era entrato nel bagno, lasciandole l’intimità di quella telefonata.
« Si tratta di Bonnie. Mi ha chiesto di aiutarla,» le comunicò dispiaciuta e Nicole trattenne a stento un sospiro. Avrebbe voluto tanto parlarle, ma, se Bonnie aveva bisogno di sua sorella, non le avrebbe certo impedito di assisterla.
« Non può farlo proprio nessun altro? » tentò di farle cambiare idea, blanda, ben sapendo che, se davvero non poteva, non doveva forzare il suo parere.
« Credo… credo di sì. Nicole, ma c’è qualcosa che non va? Non mi chiami Lena da quando avevamo dieci anni,» esclamò divertita facendola ridere. Poi sorseggiò il suo buon caffè nero e assaggiò alcuni biscotti al burro.
« Dobbiamo parlare, sorellina,» mormorò dolcemente, « Perché è da tanto che non lo facciamo e perché mi sei mancata e so che sei ancora arrabbiata con me,» aggiunse velocemente prima che sua sorella potesse commentare. Vide Klaus uscire, già vestito, e avvicinarsi a sé, malizioso e affascinante, poggiando le ginocchia sul letto e baciandola a lungo, facendola quasi distendere su di esso. Nicole avvampò e si morse il labbro inferiore, tornando in sé solo per udire le parole di Elena.
« Nicole, ascoltami, abbiamo avuto le nostre divergenze,» cominciò ragionevole. Nicole scosse il capo, facendo cenno a Klaus di sedersi al suo fianco e gli strinse la mano per lasciarsi confortare da quella dolce stretta. Klaus non si sottrasse, ma la guardò, per tentare di comprendere cosa risiedesse nella sua anima.
« Divergenze, Lena? Litigavamo con due dannate da mane a sera prima che io me ne andassi,» esclamò acuta, interrompendola.
« Sì, ma tu sei tornata, no? E non hai intenzione di andartene di nuovo,» aggiunse più dubbiosa e Nicole sorrise, intenerita da quel tono.
« No, no, però non ti ho mai detto quanto mi dispiaccia e quanto avevi ragione,» esclamò, posando il capo nell’incavo del collo di Klaus e inspirando il suo lieve profumo.
« Pensi che, dopo due anni, sia ancora arrabbiata con te? Che razza di persona credi io sia, Cole? Che razza di sorella? » domandò quasi sdegnata. Nicole sobbalzò quando si sentì chiamare in quel modo tanto amato. Nemmeno Elena la chiamava più così, da quando avevano sette anni, « Okay, lo ammetto. Quando ti ho vista al funerale di John, avrei voluto volentieri ammazzarti. Credimi, mi è passato per l’anticamera del cervello, perché pensavo fossi ancora nel tuo periodo oscuro,» le raccontò imbarazzata e percepì la mano grande e forte di Klaus posarsi sulla sua schiena, « Però so che ormai l’hai superato,» aggiunse dolcemente.
« Ascoltami, Lena. Periodo oscuro o meno quello che ho fatto a te e soprattutto alla mamma non può essere cancellato e io mi sento tanto in colpa,» sussurrò, chiudendo gli occhi, impaurita.
« è per questo che non ribatti mai quando io e Jer ci arrabbiamo con te perché te ne sei andata? Ti senti in colpa?» esclamò sorpresa, centrando il punto. Nicole annuì tra sé e Klaus le posò due dita sotto il mento sollevandolo alla sua altezza. La osserva criptico, ma v’era dell’inconfondibile passione nel suo sguardo limpido, tanto da scuoterla intimamente.
« Sì, Lena, è così. E mi fa male dirlo perché non posso tornare indietro. Vorrei tanto non aver dovuto trattarla in quel modo, sentirla piangere, sentire piangere te. Vorrei tanto non averti dovuto mentire ogni giorno su chi ero, su ciò che ormai sapevo. Su tutto,» aggiunse in un sospiro. Le aveva taciuto la presenza della magia, che aveva un ruolo preponderante nella sua vita tanto da ricoprire ogni aspetto di essa, il fatto che fossero state adottate, che John, lo zio John, l’apatico trentenne che ritornava ogni tanto a Mystic Falls per le feste o le occasioni importanti, fosse il loro vero padre. Era certa che Elena non avrebbe mai potuto perdonarla per quella mancanza, ma non voleva che quel peso gravasse sulle spalle di sua sorella. Non era sicura che avrebbe potuto sopportarlo. Elena era molto più legata ai suoi genitori adottivi di quanto fosse lei.
« Ed è per questo che te ne sei andata? Non sopportavi più il dolore che tutti ti stavano causando? » le domandò comprensiva e soave, tentando di rincuorarla. Nicole si abbandonò al tocco leggero di Klaus, trattenendo le lacrime.
« Mentirei se ti dicessi di sì. Sono andata via per un’altra ragione, che non posso assolutamente spiegarti, » sussurrò, mordendosi, torturandosi, il labbro inferiore, cercando di ritrovare la propria compostezza. Non voleva piangere dinanzi a Elena, sebbene fosse al telefono. Sua sorella se ne sarebbe subito accorta e non avrebbe mai potuto spiegarle la vera motivazione di quel pianto. Bloccò i ricordi, tutti, li accantonò, concentrandosi solamente su Klaus, sulle sue carezze miti che desideravano vederla serena.
« Perché? » domandò incredula sua sorella, riportandola alla realtà.
« Perché non… non posso, Lena,» sussurrò semplicemente, sperando che non aggiungesse altro. La sentì sospirare, triste e amareggiata e non poté evitarsi di continuare, « Tenta di comprendermi, te ne prego. Io…,» esclamò con la voce rotta dalle lacrime nascenti che seppellì, nascondendo il viso nella maglietta di Klaus.
« Ehi, tesoro, non preoccuparti. Va tutto bene. Non devi nemmeno sentirti in colpa,» esclamò dolcemente, sorprendendola per quel tono talmente intriso di delicatezza e serenità, « La mamma non è mai stata arrabbiata con te e a me ormai è passata,» le rivelò, tranquillizandola per quella verità. Nicole sorrise, finalmente calma e gioiosa, e Klaus le sfiorò la guancia in un bacio lieve e affettuoso prima di ricambiare distendendo le belle labbra rosse, « Sei la mia sorellina, no? Dobbiamo rimanere unite, sei d’accordo?» aggiunse più dubbiosa con un tono che le fece allargare il sorriso intenerito.
« Certo, Elena, certo che sono d’accordo,» le confermò velocemente, emozionata.
« Ti voglio un bene dell’anima, Nicole, e mi sei mancata tantissimo,» esclamò soavemente sua sorella, nello stesso tono di quando erano bambine e volevano perdonarsi vicendevolmente per un breve bisticcio. Nicole si lasciò cingere dalle braccia possenti e protettive di Klaus e lo sentì sorridere, lieto per lei.
« Vorrei poterti abbracciare adesso,» mormorò quasi imbronciata di non poterlo fare davvero.
« Anch’io. Senti, Nicole, Bonnie ha bisogno di me, però possiamo vederci domani  pomeriggio. Possiamo andare a pranzare al Grill. Io, te e Jeremy, che ne dici?»
« Dico di sì. Un bacio grande, sorellina. Salutami Bonnie. Ci sentiamo presto.»
Nicole chiuse la comunicazione con un dolce sorriso impresso sulle labbra esangui, poi si sporse per posare, modellare, le labbra su quelle di Klaus che ricambiò prontamente quel bacio sino a quando non percepì dei movimenti dietro la porta della propria stanza. Era Rebekah. Si scostò dalla bella giovane dinanzi a lui, sospirando lievemente, e scese dal letto appena in tempo prima che sua sorella aprisse la porta. Era oramai vestita di tutto punto, un jeans bianco e una camicetta blu, con dei tacchi poco marcati, e portava con sé un paio di buste contenenti alcuni tra i propri vestiti.
« Mi sono dimenticata di prendere quelli di Richmond, vero? » affermò imbarazza Nicole, discendendo dal letto e sistemandosi la camicia da notte.
« Esattamente, ma non importa,» esclamò dolcemente la vampira, sorridendole accogliente, «  Mi piace prestarti i miei vestiti. Sono di gran lunga migliori di quelli di tua sorella e non voglio che la fidanzata di mio fratello si vesta come una ragazzetta qualsiasi,» continuò maliziosa, osservando dall’uno all’altro. Nicole avvampò, terribilmente, e Klaus trattenne a stento un moto di tenerezza prima che sua sorella avesse potuto continuare a guardarli in quel modo.
« Credo… credo lo prenderò come un complimento,» sussurrò la giovane imbarazza, arrischiando un’occhiata a Klaus che le sorrise, bonario.
« Lo è, tesoro, non preoccuparti. Bekah è fatta così. Non riesce a mettere in fila delle belle parole senza affiancarle a insulti velati,» scherzò, avvicinandosi velocemente a lei e sfiorandole la gota in una mite carezza.
« Sempre così divertente, Nik. È per questo che le persone non ti sopportano. Il tuo sarcasmo è odioso,» esclamò con finto risentimento la bella vampira, « Nicole, cara, quando ti sarai vestita, potresti gentilmente scendere da mio padre?»
« Certo, faccio in un lampo,» le confermò prima di sorridere gentilmente a Klaus e avvicinarsi verso la porta del bagno, le due buste tra le mani.
« Risolto con tua sorella? » le chiese quasi in prossimità dell’entrata Rebekah. Nicole si volse e le sorrise dolcemente prima di annuire.
« Sì, almeno credo. Insomma con Elena non è mai facile capirlo, però…,» si interruppe, lasciando in sospeso una frase che alla vampira non credeva interessasse sul serio. Voleva sapere di lei, non di sua sorella e Nicole sapeva quanto le urtasse sentir parlare di quella ragazza che l’aveva pugnalata alle spalle. Letteralmente.
« Periodo oscuro, che vuol dire?» le domandò criptica, aggrottando le sopracciglia. Nicole chiuse per un istante gli occhi, sospirò leggermente e tentò di non torturarsi troppo le dita.
« Lunga storia, Rebekah. Lunga e dolorosa da raccontare,» cercò di sviare il discorso. Era orribile pensare a quel periodo. Lo odiava e si odiava per ciò che aveva fatto, ma aveva solamente sedici anni. Era una bambina ancora e non era davvero cosciente delle proprie scelte sbagliate, di tutti quei silenzi, cambiamenti, comportamenti tremendi. Sarebbe voluta tornare indietro per mutare il proprio passato, ma non avrebbe mai potuto trovarvi rimedio.
« Hai un sacco di segreti, lo sai? » sussurrò Rebekah, riportandola alla realtà. Nicole annuì e posò due dita sulla maniglia della porta, facendola schiudere. Percepì già il profumo del bagnoschiuma che aveva utilizzato Klaus prima di lei.
« Purtroppo sì. È il prezzo di doversi guardare sempre le spalle perché non hai più nessuno che tenga a te,» mormorò accorata ed enigmatica prima di chiudersi la porta alle spalle. Si appoggiò ad essa, tentando di mantenersi in piedi e chiuse gli occhi. Le faceva male mentire a loro, a Rebekah, a Klaus soprattutto. Ma non voleva assolutamente che quella verità, crudele e terribile, trapelasse. Era stato già abbastanza difficile che suo padre la conoscesse, per cause di forza maggiore, e Nicole non l’avrebbe mai raccontata a nessuno. Risoluta, annuì e si preparò in fretta, concedendosi un celere bagno. Poi si guardò allo specchio. Aveva gli occhi tristi e mesti, ma che stavano ritornando ad essere della gioia consueta. Si ricordò di Mikael, che l’attendeva al piano di sotto, e si affrettò a uscire. Non v’era più nessuno. Anche Klaus era sceso e Nicole percorse quel lungo tratto di scalinata con quanta più velocità possibile. Erano nella stessa sala della notte prima. Klaus era in piedi e guardava a intervalli regolari, girato per tre quarti, il gomito poggiato sulla sommità di una sedia, il suo patrigno, accomodato sul divano, e Rebekah che era a braccia conserte tra i due. Appena la notarono, Mikael si issò in piedi, le rivolse un breve sorriso e le fece cenno di guardare sul tavolo. V’erano una decina di tomi antichissimi, quelli della sua famiglia. Spalancò le labbra, confusa, e avanzò verso di essi. Erano quelli contenuti nella casa di sua nonna.
« Spero non lo riterrai un furto, Nicole Bishop,» esclamò divertito l’Originale facendola volgere verso di lui. Sorrideva appena e aveva inclinato di poco il capo.
« No, no. Solo che non capisco. Cosa dovrei farci?»  
« Dovresti, se puoi e vuoi, aiutarmi con un vecchio incantesimo,»  le spiegò calmo, facendole cenno di sedersi. Nicole scosse lievemente il capo, preferendo rimanere in piedi.
« Quale?»
« Vedi, Nicole, esisteva una leggenda quando io ero ancora giovane,» incominciò prima che la risata di Klaus lo interrompesse. Lo sguardo furbo dell’ibrido la fece sorridere di rimando, poi Klaus si passò due dita sulle labbra, come per impedirsi di ridere ancora.
« Perché? Sei mai stato giovane? » domandò caustico, facendo sorridere Rebekah che poi scosse il capo, divertita quanto lui.
« Sì, Niklaus,» esclamò seccato da quel comportamento, « E adesso fammi continuare,» aggiunse meno risentito, mostrando che non era davvero indispettito, « Abitavo in un piccolo villaggio nell’odierna Russia, ai confini con l’Ucraina, con i miei genitori prima che la peste li portasse via con sé.»
« Mi spiace,» sussurrò automaticamente Nicole, vedendo un velo di sofferenza coprire lo sguardo gelido di Mikael.
« Non temere per me, Nicole, non ve n’è necessità,» mormorò dolcemente, in tono quasi paterno, come per sminuire il proprio dolore, « Mio padre raccontò a me e a mio fratello che vi era un’arma capace di distruggere una delle creature più pericolose al mondo. A primo avviso non gli credetti. Mi sembrò assurdo e perdurai a crederlo sino a che la strega Ayanna non ci svelò il Nuovo Mondo. Appena arrivai, compresi che mio padre aveva detto il vero. In questa città, nelle sue viscere, vi è un male profondo, Nicole, un male che attira le creature da ogni parte della Terra, delle linee di magia oscura e terribile che è necessario combattere,» le raccontò accorato. Nicole scosse il capo, con foga, lo sguardo di tutti su di sé.
« Non si può distruggere una linea magica, Mikael,» esclamò quasi duramente, « Sono state create con l’Universo stesso e non è mai esistito un potere così grande da poterle disintegrare. È così e basta. Ecate le governa e la Dea le dispone. Non v’è nulla che si possa fare contro l’entità di loro. Ogni strega, ogni mago quando accetta i propri poteri sceglie di salvaguardare chi ci fa dono di essi dalla notte dei Tempi. C’è un codice di onore nella stregoneria, sacro e inviolabile,» continuò enfatica.
« Ti prego di farmi terminare il discorso, Nicole. Conosco il codice. Mia moglie era una strega molto potente, di origine celtica, e anche mia cognata, la tua antenata,» la interrupe, ragionevole. Nicole annuì, arrossendo, e spostò il peso sull’altro piede.
« Perdonami, continua pure. È solo che ho un’altissima concezione del codice e l’ho sempre rispettato, anche se avrei voluto, in molte situazioni, potermi opporre per le persone che amo,» ricordò, chinando lo sguardo sul pavimento, sconfitto, mentre tentava di trattenere le lacrime colme di afflizione.
« Come per riportare in vita tuo padre?» mormorò dolcemente Rebekah, facendole sollevare il capo e puntare gli occhi nei suoi.
« Come fai a saperlo?» domandò dubbiosa.
« Gloria.» Rebekah sorrise e Nicole dopo di lei.
« Già, Gloria. Sarà scappata in Messico o alle Maldive,» esclamò Klaus, quasi irritato, sebbene sembrasse più divertito che collerico.
« Oh io penso sia sotto terra, se Stefan ha avuto un minimo di ritegno,» rivelò Nicole, rimembrando la sua vecchia amica che aveva contribuito a uccidere lei stessa, poco dopo aver conosciuto Klaus.
« Come? Gloria è morta? Perché? » domandò Rebekah, incredula e indignata. In fondo era stata sua amica negli anni ’20 e non poteva credere fosse morta a causa di una creatura che odiava con tutta l’anima.
« Katherine Pierce o Katerina Petrova, come dir si voglia,» sussurrò divertita, alzando le spalle e spalancando gli occhi.
« Sei amica sua?» continuò sdegnata Rebekah, come se avesse compiuto il peggiore tra i crimini.
« In verità, era la migliore amica di mia madre, Isobel,» mormorò più calma e pacata, allontanando i ricordi dell’amica dalla sua mente.
« Amicizie discutibili. Tra lei, Tatia ed Elena non so chi sia la peggiore.»
« Suvvia, Bekah. Non annoiare Nicole con i tuoi discorsi e le tue classifiche e permetti a Mikael di continuare,» mormorò Klaus gentilmente, facendola ritornare con la mente a Mikael.
« Dicevo che qualcuno sta utilizzando le linee magiche per i propri scopi e uno di essi deve essere distruggere te e la tua famiglia. Ho vissuto per più di mille anni, Nicole, e conosco le streghe. So che non tradiresti mai il codice, ma qualcun altro potrebbe averlo fatto,» spiegò ragionevole. Nicole annuì, sospirò, e sfiorò la copertina dura del tomo più vicino con affetto e cura.
« Capisco. Potrebbe anche essere. Quando sono tornata a Mystic Falls ho sentito che c’era qualcosa di strano, ma non ho potuto dargli il giusto peso. Ti ringrazio per avermelo fatto ricordare. Vedrò di trovare un incantesimo per svelare questo mistero,» assicurò dolcemente, sperando che quel tono riuscisse a mitigare la tensione presente nella sala. Mikael annuì e guardò il suo figliastro e Rebekah.
« Bekah, vieni con me. Dobbiamo sistemare alcune questioni. Niklaus, tu…,» si interruppe vedendolo annuire.
« Io devo trovare le bare, sì. Se non me le restituiscono oggi, giuro che la distruggo questa città. La rado al suolo,» minacciò esasperato facendo sorridere Rebekah che avanzò verso di lui e gli posò un mite bacio sulla guancia irsuta.
« Buona caccia, fratellone. Anche a te, Nicole,» esclamò prima di seguire suo padre e lasciarli soli. La ragazza, percependo i suoi begli occhi fissi su di sé, chinò il capo sui libri sino a quando non sentì le sue mani forti sulle sue spalle.
« Posso lasciarti sola? Tornerò presto,» le promise quando le vide sollevare il capo, incredula, gli occhi spalancati. Nicole arrossì e annuì.
« Certo, Klaus,»
« Mi mancherai, dolcezza,» esclamò divertito lambendole le labbra con le proprie prima di scomparire in una folata di vento gelido e lasciarla sola. Nicole sospirò, si sedette e cominciò ad aprire il primo libro. Trascorse l’intera mattina e buona parte del pomeriggio leggendo gli antichi tomi, non trovando nulla che facesse al caso suo. Si alzò solo quando sentì un tonfo fragoroso provenire da una saletta vicina. Prima aveva sentito delle voci e una porta che si apriva, ma non vi aveva fatto troppo caso. Si issò in piedi, trattenendo una smorfia per il dolore alla schiena e si avvicinò alla stanza, appena dopo che Klaus era stato sollevato e si era schiantato contro un mobile. Trattenne a stento un urlo, ma spalancò gli occhi e si arrischiò a guardare all’interno della sala dopo essersi accertata che stesse bene. V’erano delle bare, quelle dei suoi familiari, un corpo morto sul pavimento e un uomo in piedi che si stava avvicinando alla soglia. Era bello. Forse aveva solo qualche anno più di Klaus. aveva profondi occhi neri, dei capelli scuri ed era elegantemente vestito. Il suo portamento era nobile e fiero, sebbene fosse affaticato. Non seppe spiegarselo, ma già si era accorta che non poteva essere che Elijah. Mikael e Rebekah entrarono proprio in quel momento e mai ebbe visto la vampira tanto emozionata.
« Elijah,» esclamò felice, gioiosa, trattenendo a stento le lacrime. L’uomo si voltò di scatto e Nicole guardò Klaus che le fece cenno di non preoccuparsi.
« Rebekah? Sorella? Tu…,» sussurrò emozionato e sorpreso.
« Oh Elijah,» continuò, gettandosi tra le sue braccia, stringendolo con forza e piangendo lievemente. Elijah ricambiò la stretta, ridendo felice e posandole dolci baci tra i capelli.
« Padre,» esclamò preoccupato, ansioso, quando si accorse di Mikael che sorrideva bonario assistendo alla scena. Elijah si portò sua sorella dietro le spalle, per proteggerla e osservò Klaus, come per proteggere anche lui. Quel comportamento la intenerì e comprese la ragione per la quale i tre Originali tenessero talmente tanto a Elijah.
« Va tutto bene, fratello. Mikael non è più un problema,» lo rassicurò Klaus, bonario, avvicinandosi a lui e sfiorandogli la spalla con fare fraterno.
« Sì, grazie, Niklaus. So spiegarlo da me,» esclamò Mikael, indispettito da quel comportamento, « Non vi farò del male, né a te né ai tuoi fratelli, Elijah. Ho fatto un patto e non intendo scioglierlo,» gli confermò, osservando lei per un istante.
« Un patto? Con chi? » domandò confuso, continuare a tenere stretti i propri fratelli.
« Con me,» sussurrò Nicole, facendolo volgere alla ricerca della fonte. La osservò incredulo per un secondo e inclinò il capo, schiudendo le labbra. Sembrava aver visto un fantasma e Nicole non riuscì a comprenderlo.
« Zia Rowena? Sei tu? » domandò dubbioso. Nicole sorrise e scosse il capo, lentamente. Elijah si avvicinò, velocemente, a lei e la osservò, assottigliando lo sguardo scuro. Nicole non si sottrasse sino a quando non lo vide annuire.
« Mi chiamo Nicole, Nicole Gilbert, anche se tuo padre mi chiama sempre Bishop e tua zia era la mia antenata,» gli spiegò gentilmente. Elijah annuì, lo sguardo grato per aver sollevato i suoi dubbi.
« Gilbert? » domandò, incredulo, mentre gli occhi scuri si chinavano sino a vedere l’anello della sua famiglia.
« Sono anche la sorella di Elena. Siamo gemelle,» continuò con un sorriso comprensivo. Sapeva che era impossibile crederci notate le profondissime, abissali, diversità, ma Elijah non sembrava molto sorpreso. Quando aveva nominato sua sorella, nel suo sguardo aveva scorto un’ombra di timore, quasi reverenziale. Forse pensava fosse divenuta una vampira dopo il rituale, o che non avesse completato la transizione. Avrebbe voluto tanto dirgli che sua sorella stava bene, ma si trattenne. Elijah era stato innamorato di Tatia e aveva provato qualcosa, non sapeva bene se fosse amore o solamente affetto, per Katherine. Non sapeva cosa sentisse verso sua sorella, ma quello sguardo era inequivocabilmente attratto da lei.
« Non ti ho mai vista qui prima che mio fratello mi pugnalasse,» esclamò nobile mentre osservava suo fratello in tralice. Nicole arrossì di poco e trattenne a stento un sospiro.
« È una storia piuttosto complicata da spiegare.» Elijah annuì, elegantemente e le rivolse un sorriso criptico.
« Perdonami,» esclamò poi, arretrando di un passo, « Da lontano somigli molto a mia zia, ma le differenze sono evidenti,» constatò lui stesso.
« Zia Rowena era più alta e aveva gli occhi più scuri, così come i capelli e la carnagione,» le spiegò Rebekah con un lieve sorriso impresso sulle labbra piene. Era felice. Doveva volere un bene dell’anima a suo fratello.
« Mi spiace averti pugnalato, Elijah. Era necessario,» si scusò Klaus, sinceramente amareggiato. Elijah sollevò il sopracciglio, sorpreso da quel tono.
« Perfetto, Niklaus,» affermò poi, monocorde, ma divertito, « Nessun rancore. Hai risvegliato Rebekah. Pensiamo a Kol e a Finn.»
« No,» tuonò Mikael, riportando l’attenzione di tutti su di sé.
« Cosa, padre?» domandò Elijah, cauto, pronto a qualsiasi evenienza. Sembrava essere in procinto di prendere i suoi fratelli e portarli via di lì, lontani dalla furia assassina di quell’uomo che aveva dato loro la caccia per mille anni.
« Non possiamo risvegliarli, non prima di aver ritrovato la bara di vostra madre,» continuò più calmo. Klaus non replicò e Nicole osservò lui. Non sembrava agitato, anzi era il più rilassato in quella sala, come se avesse avuto un proprio piano. Nicole quasi chinò il capo, dispiaciuta. Non voleva farne di lei partecipe. Voleva tenerlo per sé. O forse temeva che non avrebbe mantenuto il segreto. Quell’ipotesi la fece per un attimo affluire le lacrime agli occhi.
« Sono d’accordo con lui, Elijah, » mormorò Rebekah, riportandola alla realtà di quella stanza. Elijah sospirò e annuì.
« Nicole, hai per caso trovato qualcosa?» le chiese Mikael gentilmente.
« No, mi spiace, Mikael. Niente di niente, a parte un bel mal di testa e un gran voglia di uccidere di nuovo le mie antenate arrabbiate con me per chissà quale ragione,» sbuffò indispettita dal loro comportamento. Sembravano averla abbandonata a se stessa, come impegnate in altre attività. Persino sua nonna non l’aveva guidata tra le parole verso la pagina giusta. O forse quell’incantesimo non era contenuto in quei tomi. Non aveva avuto il tempo di controllarli tutti. Le mancavano ancora due libri in cui riteneva che fosse inutile guardare. Era magia rossa, colma di passionalità e carnalità. Non avrebbe trovato proprio nulla lì. Klaus rise lievemente e la guardò divertito, «Non ridere, Klaus. Sono seria.»
« Scusa, tesoro, ma sei buffa quando ti arrabbi,» le confermò avvicinandosi a lei e sfiorandole l’avambraccio, come per domandarle perdono. Elijah lo osservò confuso, le sopracciglia aggrottate elegantemente.
« Ti sei perso un sacco di novità, Elijah. Mystic Falls è attraversata da linee magiche, Elena mi ha pugnalata alle spalle, Nik ha finalmente trovato una brava ragazza e Mikael stava per ridere,» raccontò Rebekah facendola avvampare e sorridere insieme. Il cellulare la salvò da quell’imbarazzante situazione e lo estrasse dalla tasca dei jeans chiari.
« Scusate,» esclamò prima di rispondere e allontanarsi, « Dimmi, Jer,» continuò dolcemente, felice di sentirlo. Camminò verso le scale e si sedette sul primo scalino di marmo bianco.
« Ehi, sorellona, sai dov’è finita Elena? Ho provato a chiamarla, ma non mi risponde,» le spiegò allegro, facendola sorridere di rimando.
« Non preoccuparti. È con Bonnie. Me l’ha detto questa mattina.»
« Va bene. Avete parlato quindi? » domandò incredulo, divertito e anche lievemente caustico. Nicole sorrise di quel tono, poi scosse il capo.
« Sì, fratellino. Tu?»
« Non ancora. Nicole, io… mi dispiace per… lascia perdere,» balbettò stranamente più triste, spento, dimentico della gioia di pochi istanti prima. Era solo una facciata e Nicole si stupì di quanto fosse stata ingenua per non averlo compreso prima.
« Cos’è successo, Jer? » gli domandò preoccupata.
« Niente, è che…,» si interruppe di nuovo, titubante.
« Sei sicuro di star bene? Ti è successo qualcosa?»
« Mi sento in colpa per tutta questa situazione con te,» le rivelò dispiaciuto, ma soddisfatto di essere riuscito a dirglielo. Nicole sorrise, intenerita, e sospirò dal sollievo.
« Va tutto bene, Jer. Io sto bene,» esclamò quasi esasperata. Era vero. Stava bene. L’importante era stare di nuovo con loro, essere una famiglia. L’importante era sapere che le volevano bene. Le liti non avrebbero mai potuto dividerli poiché potevano risolversi.
« Non è vero perché è da quando sei tornata che non parliamo veramente. L’unica volta in cui volevo davvero farlo, sono riuscito solamente a ferirti e non mi piace perché non te lo meriti e io lo so. Elena lo sa. Tutti lo sappiamo perché ti sei sempre fatta in quattro per noi. Questa mattina sono andato a trovare mamma, papà, lo zio John e la zia Jenna. Non lo facevo da due settimane. Non mi piace andare al cimitero. Non mi piace pensare di averli persi per sempre,» le rivelò imbarazzato e mesto, sperando che lo confortasse proprio come faceva quando erano bambini. Nicole sorrise e tentò di non piangere mentre ripensava a quei giorni tanto lontani.
« Non li hai persi, Jer. Sono nel tuo cuore e ci saranno sino a quando avrai bisogno di loro,» tentò di consolarlo, ma senza risultati. Non lo credeva davvero. Erano parole che non le appartenevano. Lei lottava, non si arrendeva alla realtà. Cercava sempre di mutarla a proprio favore.
« Solite frasi fatte, Nicole. È una bugia e tu lo sai. Sei sempre stata sin troppo realista e pragmatica,» esclamò divertito, sbuffando lievemente. Nicole annuì, sebbene non potesse vederla, « Riesco a vedere tutti i fantasmi. Vicki, Anna, tutti. Perché non riesco a vedere la mamma? Lei con un sorriso farebbe brillare di nuovo il Sole. Perché non riesco a vedere papà? Lui rendeva tutto più semplice. Lo sai, Nicole? » la pregò di rispondergli. Nicole chiuse gli occhi e scosse il capo, deglutendo e sentendo le lacrime velarle lo sguardo.
« Perché loro sono in pace, Jer. Nel posto dove devono essere.»  Un’altra bugia. Il posto in cui dovevano essere era lì, con loro, come una vera famiglia, non in cielo. Erano morti troppo presto e senza alcuna ragione.
« Anche lo zio John? » sospirò. Nicole rimase in silenzio, sentendo la rabbia crescere. La rabbia che suo padre non fosse con lei per aiutarla. la rabbia di averlo perduto per sempre. La rabbia di non poter più prendere il caffè con lui la mattina. La rabbia di non potergli più sorridere, « Ecco. Non sei brava a mentire, Nicole. Elena ci riesce meglio. Sembra crederci di più quando lo dice,» esclamò amaramente.
« Scusami, allora,» affermò seccata da quella frase.
« Nicole, non ti arrabbiare, ma è la verità, lo sai,» mormorò dolcemente, tentando di calmarla, « Forse sapevi mentire quando eri nel periodo oscuro,» aggiunse più triste. Nicole non ci vide più. Era da quella mattina che le ricordavano quel dannato lasso di tempo che odiava con tutto il suo cuore.
« Perché lo nominate tutti? » quasi urlò, inviperita, « Tu, Elena? Non lo sopporto. Credete sia semplice ricordarlo? Non lo è,» esclamò, la voce rotta dalle lacrima che le stavano rigando velocemente le guance lievemente arrossate, « Non facevo altro che rovinarmi la vita. Dal trattare male la mamma, dal litigare con Elena, dall’allontanarmi da tutto quanto. Caroline, Bonnie. Ho perso persino te, Jer,» aggiunse costernata.
« Ti senti mai in colpa, Nicole? » le domandò suo fratello. Non v’era accusa nella sua voce, solo curiosità, « Ti senti mai come mi sento io?» Nicole chinò il capo, mestamente, mentre sentiva le mani di Klaus cingerla in un abbraccio dolce e protettivo.
« Ogni giorno.»

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Capitolo 23
*** Between nightmare and memories ***


23 cap

Capitolo 23

Between nightmare and memories

 

Il vento soffiava lieve tra le fronde degli alberi sempreverdi del bosco, sollevando le foglie secche che coprivano, come una coltre accogliente, il pavimento del suolo, producendo un leggero scoppiettio. Dietro di essi, nascosta dalla loro imponenza, v’era una chiesa diroccata sulla cui sommità v’era un’incisione che declamava a chi appartenesse: i Fell. Una ragazza, che sembrava essere una bambina,  dai lunghi capelli dorati, come il miele, sedeva dinanzi ad essa, dando le spalle al bosco. Aveva una veste nera, come la pece, la notte, l’oscurità dell’abisso, che contrastava con la sua pelle perlacea in un gioco di luci e ombre nella luminosità di quel tramonto, di quel Sole, immenso, rosso, che moriva dietro la costruzione secolare. La notte, la paurosa notte, stava giungendo per afferrarla e portarla via con sé, ma la giovane rimaneva ancorata al suolo, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani a sostenere il volto più pallido, quasi cereo, inumidito dalle lacrime che aveva versato. Osserva il Sole, non scostando lo sguardo dall’astro, ferendosi gli occhi chiarissimi, turchesi come l’Oceano, quasi pregando un qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Singhiozzava, ma tentava di non tremare per l’intensità di quei singulti che le stavano squassando il petto. Singhiozzava e intanto vedeva la luce perire, sconfitta dall’ombra più nera. Quasi senza accorgersene, si ritrovò al buio. Il vento aveva incrementato la propria potenza e percepiva dei piccoli rumori intensificarsi sempre di più. Le fronte sbattevano contro i tronchi, le foglie si alzavano vorticosamente, e le nuvole nere avevano coperto la Luna e le stelle, togliendole ogni barlume luminoso. Ma rimase lì. Ancora. Attendendo paziente che qualcosa mutasse. Era una speranza vana, però non poteva abbandonarla. Le foglie creavano dei sussurri. Sembravano suggerirle parole, consigli inconsueti dettati dal Fato. La giovane non voleva udirli, ne era terrorizzata, però lo fece e dopo si odiò per quello.
“ Il male si avvicina” sussurrò una voce molto lontana. Aveva lo stesso suono di un violino non accordato, stridula e graffiata. La fanciulla si strinse nelle spalle, guardandosi intorno, ma non accennando a issarsi in piedi e fuggire. Doveva ascoltare per comprendere l’enigma, per comprendere quale fosse il senso di quel dolore che le aveva incendiato il petto. Incendiare. Strano termine. Aggrottò le sopracciglia e tremò impercettibilmente, guardandosi le caviglie. V’era una linea che le avvolgeva, come i segni di una corda, e la pelle era bruciata, escoriata. Spalancò gli occhi azzurrini, ma un’altra voce, più vicina, attirò la sua attenzione.
“ Troverà la via per entrare” soffiò più malevola e bassa. Si chiese dove dovesse entrare, perché, ma la sua mente rimase vuota, priva di risposte. Così non le restò che attendere la voce del vento.
“ Ucciderà” le rivelò quasi ridendo di lei, di quella sciocca umanità che la faceva tremare, oramai violentemente, che la scuoteva. Si alzò, incredula, smarrita, dimentica del dolore alle caviglie. Tentò di muovere un passo verso l’interno della chiesa. Lì sarebbe stata al sicuro, lo percepiva. Lì le voci non sarebbero potute arrivare, la dura pietra l’avrebbe protetta da esse. Tentò, ma non vi riuscì. Cadde, in ginocchio, sul terreno, le gambe troppo deboli per sostenere il suo peso.
“ La terra si aprirà” continuò, facendole rivolgere lo sguardo al suolo. Aveva incominciato a tremare sotto di lei che perdurava a mantenere gli occhi aperti e vigili, sentendo delle presenze sempre più vicine e prossime. Si creò uno squarcio sotto la chiesa. Ruppe le pietre secolari e l’iscrizione si staccò dalla parete, facendola ricadere a pochi centimetri da lei. Era insanguinata, incrostata dal quel liquido vermiglio e terribile.
"Sprofonderai” quasi urlò e la giovane sentì un varco aprirsi sotto di sé, come invocato dalla voce stessa. Gridò, con tutta la potenza che aveva in corpo, ma cadde, sempre più in basso in una fossa cupa e vuota, da cui si intravedevano delle radici di arbusti. Urlò ancora quando li vide mentre si attorcigliavano sopra di lei, come per crearle una protezione che pareva più una gabbia. Rideva. Un uomo rideva. Roco, villano, volgare, sguaiato. Quella risata la terrorizzava ancora di più della consapevolezza di non potersi più liberare da quelle catene fatte di legno e resina. L’uomo si sporse rivelando il suo sguardo verde e profondo quanto il fondale di un mare sporco e impuro. Non era un uomo, la giovane lo sapeva bene. Non era un uomo perché il suo viso sembrava quello di una donna, i suoi lineamenti erano troppo gentili e delicati per essere maschili. Si immerse in quelle gemme, odiandole, ma inconsapevolmente cercando una luce di conforto. Poi il suolo si richiuse. E non vi fu altro che buio.

 « Nicole,» la chiamò una voce preoccupata, ma sembrava provenire da molto lontano. Percepiva una lieve pressione sulle braccia ed era distesa su una superficie morbida. Non aprì gli occhi. Aveva il fiato corto, il viso inumidito e le corde vocali le dolevano per lo sforzo a cui erano state sottoposte nei minuti antecedenti al suo risveglio, « Tesoro,» sussurrò più vicino. Nicole, era quello il suo nome, oramai lo ricordava, spalancò gli occhi azzurrini e li immerse in quel mare profondo che erano quelli dell’uomo dinanzi a lei. Era impaurito e dietro di lui poteva scorgere una ragazza bionda, timorosa quanto lui. Era importante, la giovane, ma l’uomo lo era di più e fu a lui che Nicole dedicò tutta la propria attenzione. Aveva un nome che, in qualche modo, rassomigliava al proprio, sebbene non riuscisse a ricordarlo, ma doveva farlo presto. L’uomo le scostò un boccolo dal viso, carezzandole la guancia, e avvicinò il suo volto al proprio. Ricordò tutto. Lui era Klaus, e lei lo amava con tutto il suo cuore, « Stai bene? Vuoi che ti porti un bicchiere d’acqua?» le domandò velocemente. Nicole scosse il capo e sporse le gambe oltre il letto sul quale si era assopita un paio d’ore prima. Era appena tornata dal pranzo con Jeremy ed Elena, che era trascorso bene, parlando del più e del meno, ridendo e scherzando come veri fratelli. Si era divertita nel chiacchierare con loro e non le avevano fatto alcuna pressione né domanda sconveniente su lei e Klaus. Elena le aveva sorriso, sebbene avesse scorto qualcosa di inusuale nel suo sguardo scuro, qualcosa simile alla tristezza o alla mestizia, ma era stato solo un lampo, passeggero e non significativo. Jeremy, invece, era sereno e soddisfatto di vederle tanto unite. Aveva parlato poco, ma ascoltato moltissimo, facendo tesoro di ogni sorriso, di ogni parola. Sembrava essere in pensiero per qualcosa, o qualcuno, e quando aveva nominato di sfuggita Rebekah, per spiegare a sua sorella da dove provenissero quegli orecchini lunghi e di argento, era quasi sobbalzato ed era arrossito. Nicole non aveva voluto indagare oltre, ma internamente aveva sorriso. Ritornò alla realtà solo quando Klaus, l’uomo che la osservava talmente preoccupato e accorto, le porse un bicchiere colmo d’acqua. Rebekah era ancora accanto a lui e sulla soglia, con la coda dell’occhio, poteva vedere la figura di Elijah. Prese il bicchiere, ringraziandolo con un sorriso mite, ancora con il batticuore che quell’incubo le aveva causato. Era stato strano. Aveva sempre avuto incubi da bambina, a causa della sua magia, ma erano scomparsi da quando aveva dieci anni e non erano più tornati, almeno sino a quel momento. Sembrava essere un enigma che doveva svelare. Le voci delle foglie e del vento le erano parse troppo reali, parevano appartenere a persone umane, non a entità.
« Stai bene?» le sussurrò Rebekah dopo che lei ebbe finito di bere un lungo sorso d’acqua. Si sentiva già molto meglio, non era più scombussolata e affannata come pochi minuti prima e anche Klaus si era acquietato notevolmente. Annuì e tentò un sorriso che non fu il suo migliore, ma al quale Rebekah sembrò credere, « Cosa hai sognato? Stavi malissimo, urlavi parecchio e piangevi,» le raccontò, sedendosi accanto a lei e prendendole le mani tra le sue. Erano fredde, molto di più di quelle di Klaus, ma a Nicole non dispiacque molto quel cambiamento di temperatura.
« Io… credo che le mie antenate mi stiano dando un messaggio che devo decifrare,» sussurrò, rimuginando tra sé su ciò che le era accaduto. La cripta dei Fell, quel vestito, lo stesso che le aveva regalato suo padre, i segni sulle caviglie, le lacrime, il Sole che tramontava. Erano tutti simboli che servivano a creare un’allegoria che non le sarebbe risultata gradita, ma doveva scoprire cosa si nascondeva dietro quel muro.
« Un sogno premonitore? » domandò Elijah assorto, l’indice sulle labbra e un’espressione indecifrabile nello sguardo scuro. Aveva parlato solo la sera prima e pochissimo quella mattina, ma Elijah l’aveva già colpita con la propria eleganza, finezza e anche per l’alone di mistero che lo circondava. Non capiva come Klaus avesse potuto affermare che erano simili. Forse solo nell’amore nei confronti della famiglia, o nel senso dell’onore e della parola data.
« No, non credo,» esclamò più risoluta, annuendo e arrossendo di poco quando percepì la mano di Klaus carezzarle dolcemente i capelli, « Penso sia un’idealizzazione di una situazione che sta accadendo. Ho bisogno di consultare dei Grimori di mia nonna sul significato dei sogni,» aggiunse stanca mentre Rebekah, oramai convinta, si issava in piedi.
« Ti capita spesso di avere questi incubi?» le domandò Klaus sottovoce, calmo, pacato, per infonderle le stesse sensazioni.
« No, quando ero bambina li avevo, ma non così vividi. Sembrava così reale. Sembrava che stessi ricordando il mio passato, ma poi… devo capire perché la chiesa dei Fell e cosa significa che la terra si aprirà,» aggiunse velocemente. Il passato doveva rimanere fuori, non poteva riviverlo. Quel vestito era lo stesso di quella notte, i segni alle caviglie, i capelli più lunghi e mossi. Era lei, ma di due anni prima, la ragazza che aveva ricevuto il colpo più duro e terribile. Scosse il capo e tornò alla realtà, « Mi dispiace avervi fatto preoccupare. Non volevo,» sussurrò osservando i tre Originali. Rebekah sorrise, comprensiva, e scosse il capo ed Elijah le fece un cenno gentile. Klaus, invece, sembrava irritato. La mano sui suoi capelli rimaneva ferma mentre il suo respiro si avvicinava sempre di più.
« Dolcezza, non scherzare,» esclamò scandendo ogni sillaba con il suo accento roco e sensuale, che la fece fremere, « Se Elijah non avesse acconsentito a incontrare i Salvatore, chiamerei Callista per un consulto,» continuò, guardando suo fratello in tralice. Nicole sobbalzò ricordando una donna alta, dalla carnagione perlacea, forse ancora più chiara della sua, dai profondi e vispi occhi verdi come smeraldi e dai capelli rossi e lunghissimi. L’aveva incontrata a Chicago quando era da Gloria. Callista era di Orlando e, come Gloria, aveva rallentato il processo d’invecchiamento tanto da sembrare una trentenne, sebbene avesse più di settant’anni.
« Callista Powell, intendi? Quella Callista? È una delle migliori streghe che esistano,» esclamò incredula, dimentica quanta influenza possedesse Klaus, quanto potere e quanto fascino. Klaus le sorrise, accattivante e avvenente, gli occhi furbi, e Nicole arrossì inconsapevolmente, « I Salvatore? Perché vengono qui? » aggiunse guardandolo curiosa.
« Vogliono discorrere sulla pace e dobbiamo dar loro una possibilità,» le comunicò Elijah poiché Klaus sembrava tanto contrariato da non volerle dare delle spiegazioni che reputava assolutamente inutili. Nicole annuì e gli sorrise timidamente per ringraziarlo, poi si issò in piedi. Le gambe tremavano ancora, ma oramai si sentiva davvero meglio.
« Certamente, sì. Allora farei meglio ad andare,» esclamò gentile, pronta ad andar via. Non voleva essere nella stessa stanza dei fratelli Salvatore. Quando Jeremy era andato in bagno, Nicole aveva chiesto a sua sorella cosa ci fosse tra lei e Damon ed Elena era arrossita e aveva scosso il capo, dicendole che non sapeva nemmeno lei cosa provasse per lui. Le aveva raccontato che l’aveva baciata, sul pianerottolo di casa loro, e Nicole aveva sgranato gli occhi. Non poteva credere fossero arrivati a baciarsi. La tensione era sempre molto alta e palpabile, ma non si sarebbe mai aspettata che Elena, sua sorella, potesse cedere alla passione. Era strano pensare ad una Elena passionale poiché sua sorella era sempre stata razionale e ragionevole. Non aveva potuto aggiungere altro poiché Jeremy era tornato e conosceva bene l’avversione che suo fratello nutriva nei confronti dei due fratelli.
« No, cara. Sei invitata anche tu e non puoi rifiutarti. Soprattutto perché credo che mio padre potrebbe dare di matto se non si decidono a restituirci la bara della mamma,» esclamò Rebekah divertita, come se davvero gioisse nel vedere suo padre arrabbiato, con qualcuno che non fosse loro ovviamente.
« Se proprio devo, allora resterò,» acconsentì in un sospiro. Oltre Damon v’era anche Stefan e non voleva confrontarsi con lui, non dopo che aveva minacciato la sua sorellina. Stefan le era sembrato un buon ragazzo, introverso, sensibile, dolce, simpatico, malinconico, ma era totalmente diverso in quella versione da Squartatore che aveva creato Klaus. Il suo cuore piangeva se pensava a chi era davvero Klaus quando non era con lei. Era un assassino, della peggior specie, una creatura della notte, un torturatore sadico che aveva ucciso milioni di innocenti. Per gli altri. Con Nicole lui era diverso, era buono, gentile, elegante, premuroso, amorevole e lei sentiva così bene al suo fianco che avrebbe potuto abbandonare tutto per lui. Ma doveva guardare in faccia la realtà. Nessuno avrebbe mai accettato il legame che orami li univa, tantomeno Elena e Jeremy. Poi v’era il patto. Avrebbe dovuto lasciare i suoi fratelli per sempre per trascorrere la vita al fianco della creatura più potente al mondo. Non era pronta, no, ma, se Klaus fosse andato via, era certa che non avrebbe esitato a seguirlo. Klaus la fece ritornare alla realtà, posandole una mano dietro la schiena e Nicole sobbalzò visibilmente.
« Pensavi al tuo sogno, mia dolce, piccola umana?» le sussurrò roco all’orecchio prima di stringerla contro il suo petto. Nicole avvampò e schiuse le labbra, i battiti del cuore accelerati. Scosse il capo e Klaus le posò un lieve bacio sulla carotide, in prossimità dell’angolo della mascella, « No? Eppure sembri così triste, sweetheart,» continuò più sottovoce, sfiorandole le braccia con dolci carezze nel sentirla così tremante. Nicole sollevò il volto e cercò i suoi occhi azzurrini, limpidi e in quel momento attratti, infuocati dalla passione.
« Pensavo a te, Klaus,» gli rivelò lambendogli le labbra in un piccolo bacio dolce. Klaus sobbalzò, di poco, e la strinse maggiormente a sé facendo scontrare i loro corpi. Per un attimo temette di aver detto qualcosa di totalmente sbagliato poiché Klaus sembrava deluso, incredulo, amareggiato.
« Pensare a me ti rende triste?» le domandò seriamente. Nicole scosse il capo con foga, tentando di rassicurarlo. Non era lui a renderla triste, ma la situazione, quella dannata condizione di impotenza che provava quando pensava a lui contro la sua famiglia. Non avrebbe saputo scegliere da che parte schierarsi se vi fosse stato uno scontro e tutto quello era terribile.
« No, amore, no,» esclamò intenerita, prendendogli il viso magro tra le mani e avvicinandolo al proprio, « Io ti amo,» continuò più decisa, totalmente dimentica dell’imbarazzo o di qualsivoglia altro pensiero, « Come potrei essere triste quando penso a te? » gli domandò poi dolcemente prima posare un mite bacio sulla fossetta del mento.
« Allora perché?» le chiese esasperato, stringendola in un caloroso abbraccio, gli occhi sfuggenti, le sopracciglia aggrottate che creavano sulla fronte rughe marcate, « Perché ti imbarazzi tanto quando sei con me? Perché non ti apri? Perché non mi permetti di vederti davvero? Di cosa hai paura? » continuò velocemente, come se temesse di vederla sparire da un momento all’altro. Nicole sospirò, ma non si sottrasse né alla stretta né al suo sguardo indagatore, « Non ti farei mai del male e mi sembra di avertelo già detto,» aggiunse più irritato. Nicole annuì e un’espressione sofferente apparve sul suo volto. Non voleva ferirlo, soprattutto non era a lui che poteva far risalire la propria amarezza.
« Lo so, Klaus. Non è di te che ho paura. È di loro, della mia famiglia,» rivelò cercando il suo dolce abbraccio che non tardò ad arrivare. Sembrava incredulo e Nicole si affrettò a spiegare, « Ho una dannata paura di perderli e non voglio. Li ho dovuti abbandonare due anni fa e ho pianto così tanto per averlo fatto,» sussurrò nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, ma Klaus indietreggiò di un passo. Nicole alzò lo sguardo  vide in quello dell’ibrido una furia che poche volte aveva scorto, soprattutto se era rivolta a lei. Sembrava trattenersi a stento.
« Allora faresti meglio ad andartene,» sibilò irato e Nicole sobbalzò, percependo lacrime amare velarle gli occhi azzurri, « Non ho intenzione di lasciarti in questa cittadina dimenticata dagli dei perché puoi avere di più di questo, ma se vuoi due fratelli che non fanno altro che farti sentire in colpa, allora faresti meglio a tornare da loro,» continuò più leggero, sebbene la sua collera stesse crescendo. Nicole scosse il capo e mosse un passo verso di lui, sfiorandogli le gote con i polpastrelli. Klaus non si scansò, ma attese di sentirla parlare.
« Klaus, non puoi davvero chiedermi di scegliere,» enfatizzò mentre una lacrima le rigava la guancia pallida. Klaus sorrise, ma non del suo solito sorriso affascinante e furbo, bensì era di scherno e la fece quasi fremere.
« Non v’è tanto da scegliere, Nicole. Tra me e tutto il resto non v’è paragone e per me non sarà una delusione. Ci sono abituato oramai,» affermò, sciogliendo, mite, la presa e quasi chinando il capo verso il pavimento, come per rifuggire al suo sguardo. Nicole non glielo permise e gli sollevò il mento con due dita.
« Non dire così. Mi fa male sentirti parlare in questo modo perché non esiterei un secondo nel scegliere te, nonostante tutti i sensi di colpa che io possa provare,» gli confessò dolcemente e Klaus spalancò gli occhi, sorpreso da quelle parole. Durò solo un attimo, poi la trasse a sé e la baciò con tutto il sentimento di cui disponeva, ed era tanto. Nicole si sentì mancare il pavimento sotto i piedi e poi si sentì sospingere verso il muro. Una mano di Klaus le sfiorò i capelli sciolti sulle spalle mentre l’altra le sfiorava la vita sottile. Nicole chiuse gli occhi per bearsi di quel dolce contatto pieno di passione e Klaus si scostò solo quando fu certo che avesse bisogno di respirare, « E ora andiamo di sotto,» sussurrò quando si fu ripresa, con un sorriso timido sulle labbra, il batticuore e il respiro corto, « Non posso perdermi Mikael arrabbiato,» esclamò divertita facendolo ridere di gusto prima di annuire e fare un passo indietro per permetterle di passare. Appena furono scesi, Nicole incontrò lo sguardo glaciale di Damon Salvatore, sulla soglia della porta, dietro la longilinea figura di Elijah  che fece cenno a lui e a suo fratello di entrare. Damon la osservò a lungo, sembrava preoccupato, per lei, in pensiero, forse diffidente e incredulo. Nicole alzò un sopracciglio, incuriosita dal quel comportamento, poi seguì Klaus all’interno della sala. Rebekah e Mikael era fermi dietro le loro sedie e lo sguardo della vampira era più che benevolo nei suoi confronti mentre Mikael manteneva la sua fredda calma. V’erano anche due ragazze ammaliate e Nicole tentò di non sospirare. Dopo i convenevoli, che non udì, talmente assorta nel pensare allo sguardo di Damon, si sedettero e Klaus le fece un cenno gentile per farla accomodare accanto a lui. Nicole annuì e Damon prese posto proprio di fronte a lei, Stefan accanto a lui ed Elijah tra Mikael, accanto a Klaus, e Rebekah accanto a Damon. Sembravano due schieramenti pronti a colpirsi vicendevolmente e la tensione era già alta. Nicole aveva lo stomaco chiuso, una brutta, orribile sensazione le occupava la mente e gli occhi di Damon non contribuivano a renderla migliore. Klaus se ne accorse, osservando dall’uno all’altra, poi tornò a Damon, con un sorriso falsamente accogliente sulle belle labbra piene.
« Damon, resterai a guardare Nicole per tutta la serata? » domandò con una punta di gelosia nel tono modulato per essere leggero e monocorde, « So che è bella, però, sai, è davvero sgarbato guardare con tanta insistenza una ragazza,» gli spiegò, porgendosi verso di lui e guardandolo accattivante e superiore. Nicole tentò di non arrossire e bevve un sorso di vino rosso.
« Oh, credimi, Klaus, non la guardo perché è bella,» gli confessò, facendole l’occhiolino. Nicole scosse il capo e sollevò le sopracciglia, « Le bionde non mi sono mai piaciute,» continuò, guardando Rebekah in tralice intenta a bere un po’ d’acqua, « La guardo perché mi incuriosisce.»
« Non sono un caso umano, Damon, te lo posso assicurare,» esclamò Nicole con un lieve sorriso sulle labbra, ma gli occhi rimasero freddi, distanti, e lievemente irati.
« Davvero?» domandò retorico, guardandola con interesse, « Sai, lo dicevo a Stefan proprio questa mattina. A proposito, Stef, sorridi un po’, non sei su un patibolo  e avevamo deciso che avresti lasciato a casa lo Stefan scontroso, indi per cui… torniamo a Nicole Gilbert. Mi incuriosisci perché non c’è assolutamente nulla su di te, né negli archivi anagrafici né da nessuna altra parte. Non ho trovato nemmeno la tua data di nascita, ma quella di tua sorella c’è,» le spiegò velocemente con un sorriso storto che l’avrebbe fatta sorridere di rimando se si fosse trovata in un’altra situazione. Nicole sapeva perché non vi fosse nulla su di lei. Suo padre, previdente, aveva bruciato tutto tanto tempo prima, due anni prima, e oramai non risultava nulla di lei, nemmeno al Robert E. Lee.
« L’avranno persa o messa in quella di Elena,» mentì abilmente, tentando di non farsi scoprire mentre Mikael la guardava, quasi annuendo alle parole di Damon. Aveva cercato anche lui, senza risultati. Klaus osservava tutto ciò che si stava svolgendo sotto i suoi occhi con un sguardo attento e scrutatore, dopo aver aggrottato le sopracciglia dorate.
« Ho controllato anche la sua. E non c’è nulla su di te. Sembra quasi che tu non esista,» le rivelò, facendo un gesto con la mano che voleva dirle che si era come volatilizzata.
« Purtroppo per te, esisto, Damon,» affermò duramente, contraendo la mascella e osservandolo truce.
« Credimi, a me non cambia la non-vita, però ho tentato di scovare qualcosa su di te,» sorrise mellifluo quando la vide lievemente sobbalzare, « Lo so, sono un impareggiabile ficcanaso, lo ero anche da bambino, vero Stef? Ti ricordi quando giocavamo nel giardino e ci avvicinammo alla vecchia cripta dei Lockwood? » domandò rivolto a suo fratello che sorrise in sua direzione.
« Come dimenticarlo? Rotolasti per le scale rendendo quella una delle mattine più divertenti che io abbia mai vissuto,» raccontò ridendo appena. Damon sorrise mentre sentiva le risate di Rebekah, Klaus ed Elijah, più moderata, ma non meno divertita. Nicole rimase fredda, come Mikael, poiché aveva capito a cosa stava giocando Damon in quel momento. Sarebbe voluta uscire, ma rimase lì ancora un po’, per non fare il suo stesso gioco.
« Felice di renderti allegro. Il signor Lockwood, grande stolto tra parentesi, lo raccontò a nostro padre il quale, sempre grande idiota, per la vergogna mi mise in punizione per due settimane,» raccontò più atono, monocorde e tutti smisero di ridere, sebbene sul viso di Rebekah permase un lieve sorriso.
« Tuo padre ti metteva in punizione se cadevi? » domandò incredula Nicole, quasi dimentica di cosa stesse facendo il vampiro di fronte a lei, « Quanti anni avevi? » continuò più dispiaciuta.
« Sette, Stefan quattro,» raccontò seccato, poi fece un cenno, come per sminuire quella situazione che a Nicole pareva paradossale e continuò, « Ma non preoccuparti per me. Dov’eravamo? Ah sì, nulla su di te, cripta dei Lockwood, agenda di Richard,» citò alzando tre dita della mano destra. Nicole assottigliò gli occhi azzurrini, che divennero dello stesso colore di un mare in tempesta, e tentò di non provocargli un aneurisma.
« Cosa stai facendo, Damon? » domandò Klaus irritato.
« Sto tentando di comprendere se quello che ho letto è vero oppure se è stato solamente uno scherzo di pessimo gusto, ovviamente per la ragazza,» spiegò semplicemente, perforandola con il suo sguardo di ghiaccio.
« Temo sia vero, ma continua pure,» esclamò, sfidandolo a parlare per vedere se davvero era tanto malvagio da farle rimembrare quella triste storia. Damon la guardò, titubante, per un istante. Ciò che aveva scoperto nella vecchia cripta, scritto su di libricino nascosto bene tra due pietre calcaree che si scontravano, era una verità terrificante. Quelle lettere erano dure, pregne di odio nei confronti delle creature soprannaturali. Erano gelide, proprio come chi le aveva scritte e Damon si era sentito come oppresso, rimembrando che quella ragazza era la sorella di Elena, seppur fossero tanto dissimili.
« Ti hanno davvero torturata perché sei una strega? » le domandò dispiaciuto. Klaus lasciò cadere le posate che toccarono il patto con un tonfo fragoroso mentre Rebekah spalancò gli occhi e sobbalzava. Nicole chinò lo sguardo, per non vedere quello di Damon costernato per ciò che le aveva appena chiesto, mentre una lacrima le rigava il viso, seguita subito da un’altra. Si issò in piedi, facendo sfregare la sedia contro il pavimento, e si accorse di tremare con forza.
« Ho bisogno di un po’ d’aria. Scusatemi,» si congedò prima di uscire velocemente di casa. Si lasciò cadere sul primo scalino di marmo e scoppiò a piangere, ricordando ciò che mai sarebbe voluta essere costretta a rimembrare.

« Mi hai stancata, Nicole. Stai esagerando,» quasi urlò sua sorella, per sovrastare il rumore della musica, prendendola in disparte,allontanandola dalle loro amiche che sedevano con il capo chino e imbarazzato. Erano a una festa al Grill, quella del compleanno di Matt, in quel momento con Tyler e i ragazzi della squadra intento a ballare al centro della pista, sotto una canzone dance. Nicole la guardò, assottigliando lo sguardo azzurrino. Sembrava ancora più arrabbiata di lei per ciò che aveva detto a riguardo di quanto la ritenesse stronza nell’approfittarsi così di Matt.
« Elena, la verità ti urta, tesoro? » esclamò melliflua, facendola spostare verso i bagni, dove la musica arrivava ovattata e non v’era molta gente, « Lo stai solamente illudendo e ti stai comportando da vera sgualdrina,» continuò più dispiaciuta per il suo amico mentre gli occhi di Elena divenivano fuoco puro, « Faresti meglio a lasciarlo se non riesci a stare con lui,» le consigliò dimentica dell’ironia. Elena chinò lo sguardo sul proprio vestito bianco, un tubino semplice con delle decolté anch’esse color avorio, poi lo rialzò, duramente.
« T’importa ancora di Matt? » esclamò divertita, sarcastica, come se davvero pensasse fosse cambiata così tanto da abbandonare il suo migliore amico, « O di me? O della mamma? Ormai hai solo la tua cara Blair e la droga,» continuò quasi disgustata, facendola sobbalzare, « Oh sì, credi che non lo sappia, Nicole? » aggiunse melliflua, quasi malvagia. Nicole si riprese subito e schiuse le labbra, le braccia conserte mentre osservava con la coda dell’occhio le cheerleader, che conosceva poco e nulla, entrare nel bagno, « Beh, lo so. Quel branco di piccoli delinquenti ti ha cambiata. Blair Fell, la ragazza più vuota che abiti a Mystic Falls,» affermò nauseata, « Come puoi tu, la mia sorellina, essere amica di una persona del genere? » le chiese esasperata da quel comportamento che l’accompagnava da due mesi ormai. Nicole era cambiata. Dalla ragazza buona e gentile che tutti conoscevano era diventata un’altra persona, più cattiva, pungente, sfuggente. E si era avvicinata al gruppo ritenuto da tutti il peggiore.
« Sta zitta, Elena. Non capisci niente. Che credi, eh?  Che sia cambiata? Sono i miei amici e Blair è più vera di te e Caroline. Lei mi ascolta e non mi giudica come fai tu,» sibilò irata.
« Giudicarti? Se almeno mi permettessi di aiutarti, Nicole.»
« Preferirei tagliarmi le vene piuttosto che farmi aiutare da te,» soffiò malevola, con un sorriso terrificante sul volto. Negli occhi di Elena apparvero delle lacrime trattenute a stento, ma che si tramutarono subito in rabbia.
« Già a questo punto? Mi fai pena, sorella,» continuò compassionevole e impietosita, un tono che la fece fremere per la collera,  « Stai portando nel fango anche Jeremy e io non te lo permetterò. Non ti permetto di portare mio fratello sulla tua stessa strada. Ti sei già rovinata la vita, non ti permetto di rovinare anche la sua,» continuò, prima di darle uno strattone con la spalla e uscire dal bagno. Nicole rimase lì, per un secondo, prima di sentire qualcuno battere le mani. Era Morag, una ragazza dai folti capelli scuri che ricadevano a boccoli sulle spalle fasciate da un tubino nero che non lasciava quasi nulla all’immaginazione. Era la sua migliore amica, seconda solamente a Blair, e il suo sorriso malizioso la fece sorridere di rimando. La prese per la vita e l’attirò a sé, ridendo tra i suoi capelli sciolti. Nicole non si sottrasse alla presa e posò il capo sulla sua spalla ispirando il suo profumo forte, quasi metallico, punk com’era lei. Suo padre faceva parte di un gruppo rock e non era mai in casa. Sua madre, invece, era un’avvocatessa divorzista, ligia al proprio dovere e non molto espansiva. Gli opposti, erano agli antipodi e Morag aveva preso da entrambi qualcosa, forse il peggio di ognuno dei due. O forse il meglio.
« Gil, lasciala perdere,» la consolò, « è solo una stupida e noi non siamo un branco di delinquenti,» esclamò irritata, « E poi come si permette quella sciacquetta di una Forbes quando dice che Blair è una sgualdrina? Ma si è guardata allo specchio? » domandò facendola ridere. Nicole si abbandonò al suo abbraccio e per un attimo si sentì meglio. Morag non era nota per essere dolce, né tantomeno premurosa, ma con lei e Blair mostrava la parte più delicata di sé, « Come hai fatto a essere loro amica per così tanto tempo?  Certe volte sei proprio strana, Gil,» esclamò. La chiamava Gil da sempre. Non v’era mai stata una volta in cui aveva pronunciato il suo nome, solo Gil, e a Nicole piaceva. Le serviva per evadere dalla realtà terribile che era divenuta la sua vita. Non aveva più nessuno. I suoi genitori le avevano mentito. Non erano nemmeno i suoi veri mamma e papà. E poi v’era il tradimento peggiore tra tutti, persino più grave di quello di Tyler: John, lo zio John, quell’uomo per il quale nutriva un bene che superava ogni barriera, aveva preferito darla in adozione piuttosto che occuparsi di lei. L’aveva cacciato due mesi prima, la stessa mattina del funerale della sua cara nonna e l’aveva visto andare via senza provare alcun rimorso. Ma John era tornato, appena da una settimana, insediandosi in casa sua come una serpe pronta a ferirla con il proprio veleno. Era un pensiero orribile, ma era quello che davvero albergava nella sua mente. Suo padre, quello vero, naturale, biologico, era una serpe. Grayson l’aveva chiamato quando aveva notato quanto fosse divenuta insopportabile quella situazione. Sperava che, parlandole, sarebbe riuscito a riportarla sulla retta via, ma Nicole non gli aveva lasciato alcuna via per entrare nel suo animo. Non voleva permettergli di farla soffrire ancora. Piangeva per lui da due mesi, di notte, quando Elena si addormentava. Non voleva ascoltare le sue sciocche scuse, voleva solamente che lui la lasciasse, per sempre. Non voleva più vederlo, notare quanta somiglianza vi fosse tra di loro, guardare il mare in tempesta che abitava nei suoi occhi addolorati e afflitti.
« Scusa, Morag, devo andare a casa. Non mi sento bene. Puoi dire a Mattie che mi dispiace? » domandò, sciogliendo l’abbraccio, guardando Tyler, il suo Tyler, orami non più suo le mormorò una voce malevola, ballare attaccato a Vicki che non sapeva bene indossasse un vestito o meno per quanto era corto e trasparente. Si baciavano con passione al centro della pista e le facevano venire il voltastomaco.
« Certo, vai, Gil. Vuoi ti accompagni? È tardi,» affermò guardando l’orologio di un ragazzo di passaggio, che la scrutò contrariato. Morag gli fece una smorfia infantile e il ragazzo lasciò perdere.
« No, non preoccuparti. Tutto bene. Ci sentiamo,» la salutò prima di fuggire dalla porta sul retro. Non se la sentiva di parlare con nessuno, non dopo l’ennesima lite con Elena. Traballava su quei tacchi così alti che aveva preso in prestito da Blair, ma non se ne curava. Non voleva tornare a casa sua, ma a quella di sua nonna, morta oramai da due mesi. I vicoli erano completamente deserti, sentiva solo qualche risata sguaiata poco lontano e si strinse nelle spalle. La Luna brillava alta nel cielo, quasi piena, e le stelle la coronavano. Sorrise loro. Era una strega oramai, a tutti gli effetti, sebbene sapesse compiere solo piccoli incantesimi. Si era esercitata con i Grimori di sua nonna e le sue antenate, nei viaggi onirici, le avevano detto che aveva talento. Passeggiò tra le vie sino ad arrivare al parco e si bloccò, sentendo delle grida alte.
« Bloccala, James,» tuonò la voce di Richard Lockwood, il padre di Tyler, il marito di Carol. Nicole si nascose dietro un albero, ben attenta a non farsi vedere. V’era una donna con delle catene che stava tentando di allontanare mentre Richard aveva un paletto bianco in mano e James, James Johnson, tentava di tenerla stretta. Quella donna era bellissima. Fu l’unico pensiero che le attraversò la mente in quel momento. Aveva lunghi capelli neri, il viso di porcellana e gli occhi azzurrini. Nicole aveva la sensazione di conoscerla, sebbene non sapesse chi fosse.
« Ci provo, Richard. Se solo John si decidesse ad arrivare,» esclamò affaticato mentre Richard mirava al cuore di quello che aveva riconosciuto essere un vampiro. Ai suoi piedi giaceva un ragazzo con la gola squarciata. John. Nicole sobbalzò. Suo padre, quello biologico. Richard mancò il bersaglio e colpì il fegato. La donna si afflosciò a terra, oramai esausta, e Nicole la osservò. No. Era così bella, non poteva morire per mano di quegli uomini senza scrupoli. Si avvicinò loro e Richard si accorse di lei. La guardò a lungo, incerto sul da farsi, poi lasciò a James il compito di occuparsi della bella vampira. Le posò le mani sugli avambracci, gentilmente, e la guardò con affetto paterno.
« Nicole, va via di qui. Non sono cose che dovresti vedere,» sussurrò dolcemente.
« Nicole? Nicole Gilbert? » esclamò la vampira, osservandola con gli occhi azzurri supplici e piangenti. Nicole annuì, incredula che conoscesse il suo cognome e la donna sembrò quasi sorridere, felice di averla incontrata, o rincontrata.
« Cosa state facendo, signor Lockwood? » domandò, guardando dall’uno all’altro, ma rivolgendosi a quello che era stato come un padre per lei, sebbene molte volte avrebbe voluto che non trattasse il suo Tyler come un ragazzino borioso.
« Non puoi capire, Nicole,» mormorò l’uomo, facendole cenno di andar via, lasciandole libere le braccia. Nicole si avvicinò alla donna, abbassandosi al suo stesso livello. Aveva ancora il paletto nel fegato e fuoriusciva sangue scarlatto dallo squarcio creato nella sua camicetta bianca. Indossava un semplice pantalone nero e aderente, degli stivali alti e una giacca di pelle, anch’essa nera.
« Invece capisco. Lei è un vampiro e voi volete ucciderla, ma io non ve lo permetterò,» mormorò calma, carezzando i capelli della donna. Le sembrava così umana e lei aveva qualcosa di così tanto familiare da impedirle di attaccarla. Doveva somigliare alla sua madre naturale. John le aveva parlato di lei e la descrizione era molto simile alla vampira al suo fianco.
« Spostati, Nicole, non voglio farti del male,» esclamò Richard, cauto, facendo cenno a James di stare indietro. Voleva che lei tornasse a casa sua sana e salva dai suoi genitori. Probabilmente pensava fosse ubriaca e non fosse in sé, ma Nicole comprendeva tutto perfettamente. Era cosciente di quello che stava facendo.
« Spostati, ragazzina testarda,» quasi urlò James quando non accennò a spostarsi. La donna le fece cenno di andar via, di correre in casa a proteggersi, ma Nicole scosse il capo e si issò in piedi. James scansò Richard e si avvicinò a lei, come una furia, gli occhi neri e dardeggianti, le labbra contratte. Nicole lo guardò, sorridendo lievemente, malevola. Voleva sfogare la sua rabbia su qualcuno. Distese le mani dinanzi a sé e lo fece sbattere contro il tronco di un albero. Tutti rimasero in silenzio. Richard guardava da lei a James con gli occhi sgranati e James si rialzò prontamente. La vampira si issò in piedi a fatica e si tolse il paletto dall’addome, facendolo rovinare a terra.
« Cosa sei tu?» le domandò James collerico, con un tono che la fece tremare. Non avrebbe mai dovuto mettersi contro delle persone così influenti nella città, ma oramai era fatta. La vampira avrebbe potuto trovare una via di fuga grazie al suo intervento, ma rimase lì, al suo fianco, come se volesse supportarla. Nicole non rispose ancora e James perse la calma. Si avvicinò a lei che, incredula, non mosse un dito e le diede uno schiaffo vigoroso che la fece quasi cadere a terra. La vampira soffiò e i canini le morsero il labbro inferiore, « Un vampiro? » continuò a chiedere.
« Beh, lo scopriremo presto,» esclamò Richard,  prima di puntare lo stesso paletto nello stomaco della vampira che, provata, si afflosciò al suolo svenuta. Nicole sgranò gli occhi, la gota bruciava e le lacrime premevano agli angoli degli occhi. Nessuno mai le aveva dato uno schiaffo, nessuno, « Calmati, James. Permetteremo a Nicole Gilbert di spiegarci tutto,» esclamò per nulla comprensivo e affettuoso prima prenderla per la gola e premere sulla carotide. Nicole tentò di divincolarsi, di usare la sua magia, ma era come bloccata e presto boccheggiò alla ricerca d’aria. Pregò che l’uccidessero così da non sentire quell’acuto dolore, ma Richard non voleva ucciderla e la fece solamente svenire. E non sentì più nulla.

 

Quando si riprese, si accorse che faceva freddo. Spostò il capo, sofferente, sentendo ancora i segni della dita sulla sua gola, ma non aprì gli occhi. Era seduta su una sedia di metallo e ferro, dura e gelida e aveva le braccia e le gambe strette da delle corde, così come l’addome. Le corde erano strette e la ferivano, soprattutto quelle intorno alle caviglie. Spalancò gli occhi e si guardò intorno. Sembrava essere in una cella di prigione, ma era più antica e aveva le pareti di pietra calcarea, nera. Tentò di liberarsi, di fare qualcosa, di andare via, ma si procurò solo più male alle gambe. Qualcuno le aveva tolto le scarpe, forse per essere agevolato a legarla. Sentì la porta, spessa, dalle grate che mostravano una fioca luce, aprirsi e pregò che qualcuno fosse venuto a liberarla. Forse suo padre, non sapeva chi dei due avrebbe preferito. La sua magia era totalmente inutile, come se le sue antenate fossero arrabbiate con lei poiché aveva aiutato un vampiro. Già, la vampira. Sperava che almeno lei stesse bene. Non voleva che morisse. Era solo Richard e dietro di lui v’erano James e Bill Forbes, il padre di Care. Sembrava essere il più incattivito del gruppo.
« Vi prego, lasciatemi andare,» implorò piangendo, guardando soprattutto Richard, poi Bill. Bill scosse il capo, affettuoso, come per farle cenno di tacere e prese posto dinanzi a lei, su una sedia che aveva portato con sé, come gli altri due.
« Ti lasceremo andare, Nicole cara, ma tu devi spiegarci cosa hai fatto questa notte,» le promise dolcemente. Nicole non gli credette, i suoi occhi erano gelidi, imperturbabili, freddi. Stava tentando di rompere la sua forte barriera mentale, ma Nicole non l’avrebbe permesso. Doveva tenere alta la guardia. Magari se avessero compreso che non era un vampiro, l’avrebbero lasciata andare.
« Niente, non ho fatto niente,» gracchiò con la voce rotta dalla lacrime. Se pensava di impietosirli con quelle, era patetica, ma Nicole aveva bisogno di piangere, di sfogarsi. Era solo una ragazzina e voleva tanto che sua nonna l’aiutasse. Ed Elizabeth lo fece, le donò forza e vigore e quel dolore alla gola scomparve quasi del tutto.
« Ragazzina, il tuo niente mi ha sbattuto contro un albero,» soffiò James, sollevandole il mento sino a far scontrare i loro occhi,« È ovvio che sia un vampiro, Bill. Ha aiutato uno di loro,» esclamò disgustato, facendo un passo indietro. Nicole scosse ancora il capo, con più veemenza e irritazione.
« Non sono un vampiro, signor Forbes, lo giuro. Lo giuro sulla mia famiglia,» lo pregò di crederle e Bill annuì, dolcemente.
« Non temere, cara. Scopriremo se non sei un vampiro e James ti domanderà perdono. Tuo padre è un uomo influente e un bravo cacciatore. Sarebbe davvero deluso se la sua cara figliola appartenesse a quelle creature infime e spregevoli. E noi dobbiamo contestare questa credenza di James, che ne dici, Nicole?» le domandò complice, con tono carezzevole che la fece quasi tremare. Nicole annuì e le lacrime terminarono. Sua nonna le aveva sempre detto di essere forte, di non lasciarsi piegare dagli altri e Nicole doveva far tesoro di quel consiglio in quel momento, « Sì, brava bambina. Conosci questa pianta? » le chiese, mostrandole un rametto dai fiori viola. Era verbena, lo sapeva bene, ma finse e scosse il capo. Bill sembrò soddisfatto e le spiegò, « Si chiama verbena. Ferisce i vampiri, li fa bruciare. Ora io l’adagerò sulla tua pelle,» le preannunciò spostando lentamente quel rametto sul suo braccio, « Se ti ferirà, vorrà dire che sei un vampiro e dovrai morire. Se non lo farà, proveremo un’altra pianta,» le mormorò a un soffio dalla sua pelle perlacea prima di posarlo del tutto. Attese un secondo poi sorrise, soddisfatto. Non era accaduto nulla poiché Nicole non era un vampiro. James sibilò dall’ira e diede un calcio alla sedia.
« Prova lo strozzalupo, allora,» soffiò James, rivolto verso Bill che l’osservava intanto con la coda dell’occhio. Non le vide far cenni e sorrise mellifluo.
« I Gilbert non sono licantropi,» esclamò Richard, posando una mano tra i capelli di Nicole, carezzandoli lievemente. Era come una figlia. Era stata fidanzata con suo figlio per tre lunghi anni e non l’aveva mai abbandonato. Gli dispiaceva farle quello che reputava una pazzia, ma era necessario. Mystic Falls era un posto pacifico e nessuno desiderava che ritornasse a essere la stessa cittadina del 1864, occupata da vampiri e creature della notte. Però Nicole Gilbert era talmente pura da fargli credere non bisognasse macchiare il suo candore. Eppure aveva peccato. Aveva aiutato un vampiro, gli aveva impedito di piantarle un paletto nel cuore. Doveva comprenderne la ragione.
« Ne abbiamo la conferma, Richard?» domandò seriamente Bill estraendo un rametto la cui sommità dei fiori rassomigliava a un elmo antico. Provò anche quello e Nicole percepì un senso di disagio scorrerle nelle vene, ma nulla che non riuscì a dissimulare. Bill lo scostò e Richard sembrò soddisfatto.
« Lasciatemi andare, ve ne prego,» esclamò capendo che quello era il momento più favorevole per la sua mossa. Non sapeva quale fosse la forza che la stesse spronando a non lasciarsi andare al dolore che le procuravano le corde, ma era davvero potente e Nicole doveva sfruttarla tutta se voleva ancora vedere un’alba sorgere, se voleva ancora vedere il suo piccolo Jer. Fu il pensiero di suo fratello a farla rimanere sveglia e vigile, per non farla cadere nell’oblio. Il cuore batteva troppo lentamente e pompava poco sangue, abbassandole la pressione arteriosa. Richard si scostò da lei, come scottato da quella preghiera, mentre lo sguardo di Bill restò freddo. Voleva arrivare alla verità e non avrebbe esitato nel farle ancora del male. Era solamente l’inizio.   
« Come hai fatto a scaraventarmi contro un albero se non sei né un vampiro né un lupo mannaro?» domandò James, irato ancora. Le si avvicinò, poggiando le mani sui suoi gomiti, ferendola per l’intensità di quella stretta, ma tentò di non emettere nemmeno un suono, riuscendoci a stento. Era il bibliotecario della città e mai si sarebbe potuta aspettare che quell’uomo tranquillo e gentile potesse divenire talmente irascibile e malvagio, non con lei, non con una ragazza che aveva visto nascere e crescere, « Tu non mi hai sfiorato nemmeno con un dito,» ricordò perfido, inchiodandola con quello sguardo furioso, « Hai solo disteso le mani e hai mormorato qualcosa. Non ho capito bene, ma sembrava latino,» esclamò incredulo, sgranando gli occhi chiari.
« Strega,» l’accusò Bill, monocorde, ma intimamente soddisfatto d’essere riuscito a smascherarla per quello che era. Nicole scosse il capo, con foga, tentando di non percepire il dolore alla gola. Le lacrime premevano per fuoriuscire, ma le ricacciò indietro. Non poteva lasciarsi andare all’amarezza. Doveva combattere. Doveva negare.
« No, no, vi sbagliate,» esclamò mentre vedeva James allontanarsi per permettere agli altri due di guardarla. Bill sembrava trattenersi a stento dal bruciarla viva, o farla annegare, come pensavano gli stolti cacciatori di streghe. Una strega, una buona strega, avrebbe potuto evocare il Potere a sé e salvarsi comunque, a meno che non le fossero state tolte le forze con l’inganno, proprio com’era stato fatto con lei.
« La migliore amica di mia figlia, una strega,» sibilò disgustato, le labbra contratte in una smorfia sdegnosa. Sul volto di Nicole fluì una lacrima solitaria mentre tentava di trattenere in singhiozzi che volevano squassarle il petto. Caroline. Era la migliore amica di Caroline e suo padre le stava facendo quello, come se fosse stata un mostro, come se davvero pensassero fosse una figlia del demonio. Lei non lo era. Era una strega buona, proprio come le aveva insegnato sua nonna. Non conosceva il male e non voleva farne parte. Stava soltanto accettando la propria natura. Era davvero giusto che la punissero per quello?
« Cosa ne dovremmo fare di te, Nicole Gilbert? » domandò James retorico, con un sorriso sornione sulle labbra sottili. Nicole sapeva già cosa avessero intenzione di farle, lo sapeva bene. Ma non voleva ammetterlo a se stessa, così scosse il capo, tentando l’unica via che poteva utilizzare. La compassione.
« Vi prego,» supplicò piangente, con la voce rotta e stridula. Non voleva morire. Non voleva essere bruciata viva, non voleva essere la vittima di un rito sacrificale, malevolo e assurdo.
« Pregare? Non sai neanche cosa significa, stolta ragazza. Non hai un Dio a proteggerti,» continuò James, infangandola con quelle parole, prima di sputare ai suoi piedi, come se la sua sola vista lo disgustasse. Nicole tremò e pianse un’altra lacrima prima di affidarsi all’unico che sembrava provare pietà per lei.
« Signor Lockwood, per favore, mi aiuti. Non mi faccia questo, non mi abbandoni. Sono sempre io,» continuò più dolcemente, quasi carezzevole vedendo un attimo di tentennamento nelle sue iridi scure, che tanto le ricordavano quelle del suo amato Tyler. Oh sì, lei l’amava ancora, nonostante tutto quello che le aveva fatto. Non poteva dimenticarlo, non ci riusciva. L’aveva amato da sempre, da quando erano solamente bambini e anche lui. Tyler non amava Vicki, era solo un giocattolo. Tyler amava lei, ne era sicura, solo che era troppo orgoglioso per ammetterlo e domandarle perdono, ben sapendo che non l’avrebbe più accolto. Sebbene lo amasse, non l’avrebbe mai perdonato per il tradimento, « Sono sempre quella bambina che sua moglie ha scelto per rappresentare lo spirito di Mystic Falls. Sono sempre quella ragazza che è stata la fidanzata di suo figlio per tre, bellissimi anni,» aggiunse supplice che le credesse. Richard la guardò, per qualche istante, incerto sulle proprie intenzioni, poi scosse il capo. L’odio per quelle creature superava l’amore nei confronti di quella che era divenuta una figlia. Quella consapevolezza l’atterrì e la fece piangere lacrime amare, solamente internamente. Sentì qualcosa spezzarsi nel suo cuore, qualcosa che non sarebbe più tornato a essere integro.
« Sei una strega, Nicole, e devi pagare questa tua anormalità,» esclamò sena alcuno scrupolo di coscienza avanzando verso di lei a passo sicuro. Le loro presenze erano opprimenti e Nicole invocò sua nonna per poter aver un qualche supporto, ma non ebbe alcun segno. L’aveva abbandonata, anche lei, come tutti, « Mystic Falls vuole la pace e la serenità, non vuole più creature soprannaturali. E come tale devi essere punita,» continuò atono, non un sentimento nella sua voce. Nicole tremò e quasi chinò lo sguardo, sconfitta. L’ultima affermazione di James quasi non la sentì. Era morta. Il suo cuore aveva cessato di battere. Non aveva saputo sopportare tanto dolore, eppure la sua mente continuava a pensare, il suo petto a muoversi afflitto e stanco. Avrebbe voluto abbandonarsi all’oblio eterno della morte, ma essa non sopraggiungeva e doveva ancora sopportare la malvagità umana.
« Con il fuoco.» Nicole non tremò nemmeno, ma chiuse gli occhi per un istante. Era così stanca che si sarebbe volentieri addormentata, ma non si sarebbe destata mai più da quel sonno di morte. Poi un suono la fece scattare e ferire le caviglie. Era il fragore di una porta che veniva spalancata. Subito dopo sentì dei passi avvicinarsi sempre di più. Lo compresero anche gli altri e Bill, l’unico a essere rimasto seduto tutto il tempo, scattò in piedi. Nicole sgranò gli occhi, ma non si emozionò per non restare delusa, ancora una volta. Eppure il suo cuore batté con più convinzione e nuova energia. Una longilinea figura fu tutto ciò che vide dalle grate, ma già la riconobbe. Era inconfondibile. Era lui, lui che l’aveva abbandonata, lui che le aveva donato la vita. Suo padre. John. Spalancò le labbra quando incontrò i suoi occhi azzurri occupati da una fredda ira, a stento trattenuta come un fiume in piena bloccato da argini troppo sottili.
« John,» esclamò James divertito, come se pensasse fosse venuto per partecipare a quella tortura.
« Lasciatela,» tuonò serio come mai l’aveva sentito, « adesso,» sibilò avanzando verso di lei e inginocchiandosi per liberarla dalle corde. Iniziò con quelle che artigliavano le sue caviglie senza che nessuno, troppo incredulo, lo intralciasse, « Non preoccuparti, amore, ti porterò via di qui,» le sussurrò all’orecchio, sfiorandole i capelli in una dolce carezza prima di sfiorarle la gota con le labbra in un mite bacio. Nicole pianse ancora, solo una lacrima e si affidò a lui, completamente, dimentica di ogni altro pensiero che non fosse quella scintilla di amore nei suoi occhi tanto simili ai propri. La stava salvando, davvero, nonostante tutto ciò che gli aveva detto in quei giorni, tutte le parole di rancore infinito, di superiore altezzosità, tutti gli atteggiamenti indisponenti. Le liberò anche le braccia che ricaddero molli sui braccioli di ferro gelido, troppo stanche per liberarsi anche l’addome. John provvide anche a quello, più velocemente, intimorito di vederla tanto spossata. Notò i segni bluastri sul collo, i segni delle dita di Richard, e sibilò inviperito.
« Cosa diavolo fai, John?» lo riprese James in un urlo che di umano aveva ben poco. Nicole chiuse gli occhi, per non vedere e si appoggiò alla spalla paterna ispirando il suo fresco profumo di dopobarba. Ne riconosceva anche uno femminile, lo stesso di quella vampira, e internamente sorrise. Era stata lei a salvarla così come Nicole aveva fatto per lei. Aveva chiamato lui e sperava che John non l’avesse uccisa, « Cosa credi di fare contro di noi? Siamo il Consiglio e tu sei un cacciatore,» soffiò avanzando verso di loro, quasi prendendolo per le spalle. John non si fece intimorire, per nulla e posò un braccio sotto le sue ginocchia e l’altro intorno alla schiena, prendendola in braccio, come una bambina, stringendola a sé. Nicole quasi lo abbracciò dal conforto, ma le mani, stanche, ricaddero lungo il suo petto fasciato da una camicia che gli aveva regalato lei qualche anno prima.
« Di vampiri,» tuonò, carezzandole le braccia eteree. Schiuse gli occhi, non doveva lasciarsi andare al sonno, doveva ascoltare, doveva aiutarlo. Era solo lui contro tre folli.
« No, di esseri soprannaturali,» lo corresse Bill inquisitorio e greve, « E lei è una strega. Stava aiutando un vampiro,» esclamò quasi inorridito, tentando di fargli comprendere la gravità della situazione. John la avvicinò di più al suo petto, per proteggerla e riscaldarla maggiormente, sentendo quanto fosse divenuta fredda, quasi senza vita, « Non deve essere salvata solo perché è tua nipote,» continuò duramente, « La causa, gli ideali. Per cosa combatti, Jonathan Gilbert, se al primo ostacolo traballi?» domandò sdegnato e disgustato da lui. Nicole, se ne avesse avuta la forza, avrebbe digrignato i denti e estratto gli artigli per difendere suo padre, però, impossibilita, rimase inerme. John, invece, rise, lievemente, come divertito dalle parole del vecchio sceriffo mentre, al contrario, era nauseato da lui e da quegli atteggiamenti. Se vi fosse stata Caroline al posto della sua Nicole, John pensava avrebbe esitato maggiormente prima di ferirla in quel modo così barbaro.
« Non è mia nipote, sciocchi. È mia figlia e adesso io e lei andremo via. Voi ci lascerete passare, senza indugio,» ordinò perentorio avanzando verso l’uscita a testa alta, osservando i tre con un cipiglio austero sul bel volto giovane.  Bill chiuse la porta, impedendogli il passaggio, mentre Richard rimaneva inerme, disgustato da ciò che lui stesso aveva fatto. James si affiancò a Bill a braccia conserte e John la strinse ancora di più, quasi fondendola con lui. Nicole scosse il capo. Sentiva di stare per rimettere dal disgusto. La bile le aveva corroso l’esofago per un buon tratto e quasi tremava per quell’aspro sapore in bocca.
« Sei un folle se credi che il Consiglio si piegherà a questi mostri,» esclamò James duramente. John sorrise, mellifluo, malevolo, mentre le carezzava le spalle con calma quasi innaturale.
« E tu sei ancora più sciocco se credi che ti lascerò uccidere mia figlia,» affermò fiero e austero, il capo tenuto alto e orgoglioso di quella piccola creatura che teneva tra le sue braccia. Era come un minuscolo fagotto, quello che aveva tenuto in braccio dopo che Isobel aveva partorito. Lei aveva tenuto Elena, lui Nicole e l’aveva cullata a lungo, sino a quando non aveva smesso di piangere. Elena era più calma, si era acquietata subito tra le braccia della madre, ma Nicole aveva continuato con i propri vagiti per minuti e minuti, che erano diventati circa una mezzora. John aveva provato di tutto, ma solo il suo bacio sulla guancia aveva ottenuto la sua calma poco prima del riposo. Era la sua Nicole e non l’avrebbe lasciata per nulla al mondo.
« Andreste via da Mystic Falls pur di aver salva la vita? » domandò Richard, seriamente, riportando l’attenzione su di sé. Nicole annuì, più e più volte, quasi rischiando di sporgersi troppo e sfuggire dalla presa forte di suo padre. Avrebbe lasciato tutto pur di non dover morire. Il suo attaccamento alla vita era forte e non le importava più di nulla. Non aveva nessuno. I suoi genitori l’avevano tradita, come Tyler, Elena la detestava e le avrebbe portato via persino il suo Jer, Caroline e Bonnie si erano allontanate da lei come se avesse avuto la peste. Non le rimaneva più nessuno. Blair e Morag avrebbero compreso e l’avrebbero perdonata, ne era sicura, e anche Mattie.
« Richard, cosa diavolo dici? » domandò Bill infuriato e incredulo.
« Non torneranno mai più e Mystic Falls vivrà in pace. È quello che vogliono i cittadini,» affermò austero, tentando di trovare il perdono di quella piccola ragazza che era sempre stata la preferita di sua moglie. Carol, la sua bella Carol, avrebbe sofferto tanto se avesse saputo quello che stava succedendo in una delle vecchie celle della prigione perché adorava Nicole Gilbert, da sempre. L’avrebbe proclamata anche Miss Mystic Falls con quasi un anno di anticipo.
« Mandate via me. John non ha fatto nulla. Ve ne prego,» sussurrò ancora, la voce troppo flebile. James sghignazzò e quel rumore irritò persino Richard, troppo orgoglioso per essere  soggetto a contestazioni di qualsiasi genere. Aveva deciso. Sarebbero andati via e avrebbero avuto salva la vita.
« Ancora preghi, sciocca strega? » sibilò disgustato.
« Non osare rivolgerti a mia figlia in questo modo,» soffiò John, muovendosi a disagio e facendo un passo in avanti, più vicino all’uscita.
« John deve andare via perché sta tradendo il Consiglio, schierandosi con un essere soprannaturale,» le spiegò seriamente, ma con una punta di dolcezza negli occhi neri che lei sicuramente avrebbe captato, grazie alla vicinanza con suo figlio.
« Perfetto, accetto, aprite la porta,» ordinò più convinto, stroncando sul nascere le lievi proteste di sua figlia. Bill si scostò subito mentre James li guardò per un istante, con una smorfia sdegnata sul volto, poi si allontanò, con un sonoro disappunto. John uscì e l’adagiò sul primo scalino, con delicatezza infinita prima di posare le labbra sulla sua fronte e carezzarle i capelli mossi e biondi come il miele, come i suoi,  « Dobbiamo parlare. Nicole, rimani qui, per favore,» sussurrò dolcemente prima di lasciarla ritornando nella cella. Nicole tentò di non lasciarsi scivolare contro il corrimano e chiuse gli occhi, sospirando. No. non poteva rimanere lì per un secondo di più. Provava un fortissimo senso di claustrofobia nell’essere in quella prigione umida e polverosa, l’aria che respirava era rarefatta e le fece quasi venir voglia di addormentarsi. Si issò in piedi, a fatica, ignorando il dolore alle caviglie seviziate e, aggrappandosi con forza al corrimano con le dieci dita, cominciò a salire. Non fu semplice, ma isolò le voci degli umani per non ascoltare quella di suo padre. Stava per fare una cosa orribile, lo sapeva, ma era per il suo bene. John sarebbe stato meglio senza di lei, ne era certa. Non voleva che pagasse per i suoi errori. Appena uscì nell’aria gelida si lasciò cadere in ginocchio sul marciapiede gelido, ferendosi anche le ginocchia e piangendo ancora di più, gli occhi appannati dalle lacrime. Si issò in piedi, ancora una volta, e avanzò verso la BMW nera parcheggiata dinanzi alla prigione. Era aperta e accanto a lei v’era una figura che avrebbe riconosciuto tra mille oramai. Era la sua vampira, quella che aveva salvato prima. Appena si accorse di lei si avvicinò velocemente e le passò un braccio sulle spalle per farla rimanere in piedi. Era come nuova, nessun segno della furia di quei mostri. Da vicino era davvero bellissima e Nicole trovò in lei, soprattutto nella carnagione e nei tratti del viso, qualche segno che le faceva rassomigliare. Quella constatazione le fece mancare per un attimo il respiro e si abbandonò alla sua stretta per non cadere, troppo governata dalle proprie emozioni.
« Che stai facendo? » la riprese blanda, preoccupata, accorta, facendola sentire davvero amata come da una mamma. La vampira le prese il volto tra le dita, come se temesse si potesse spezzare sotto quell’esile presa, e la scrutò attentamente, per controllare se stesse bene o avesse necessità di un intervento esterno, « John non ti ha detto di rimanere con lui? Dov’è John?» chiese quasi intimorita per lui, guardando verso la prigione. Nicole l’abbracciò e scoppiò nuovamente a piangere sulla sua spalla. La vampira così potette guardare tutte le sue ferite e sospirò lievemente, « Aspetta, stai davvero male, cara,» le mormorò carezzandole i capelli con dolcezza, per poi scostarla blanda, « Tieni, prendi il mio sangue,» esclamò gentile prima che i suoi occhi divenissero neri, le vene in rilievo e le zanne sguainate. Nicole scosse il capo, quasi orripilata dalla vista, e fece un passo indietro, quasi rovinando a terra. Ma la vampira non voleva farle del male. Si morse il polso e lo avvicinò a lei mite, con un leggero sorriso a incresparle le labbra esangui, proprio come le sue.
« Non… non voglio diventare un… un vampiro, signora. La prego, non mi faccia questo,» supplicò. Era ironico che lei, Nicole Gilbert, orgogliosa sino all’inverosimile, avesse supplicato tante persone quella sera, ma non era in sé. Era sconvolta e non voleva morire.
« Sciocchina, non diventerai un vampiro per il sangue,» quasi rise, divertita da quell’atteggiamento così implorante. Nicole non sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, per nessuna ragione. Voleva proteggerla da tutto e da tutti, anche da se stessa, soprattutto da se stessa. Nicole guardò il suo polso che stava guarendo velocemente e la vampira si riaprì la ferita, «Ti guarirà, prendine un po’,» la incoraggiò con fare materno. La giovane si convinse e posò le labbra sul polso insanguinato della vampira. Chiuse gli occhi e sentì il sangue invaderle le bocca. Fece una smorfia disgustata per il suo sapore metallico, di ferro, che le stava occupando tutta la bocca, e quasi lo sputò. Lo ingerì e lo sentì scendere per la gola. Una lacrima le rigò il viso, inumidendo il polso della vampira che le stava accarezzando i capelli, « Brava, così,» le sussurrò dolcemente facendole bere soltanto un altro sorso. Nicole si scansò velocemente e schiuse gli occhi, deglutendo il resto del liquido vermiglio. La vampira le si fece vicina e le asciugò i rivoletti di sangue con un fazzoletto di stoffa che portava l’emblema dei Gilbert.
« Chi sei? » le domandò incerta, con la fronte corrugata, pregandola di una riposta. Voleva fosse lei, sua madre. La vampira sembrò a disagio e abbassò lo sguardo. E Nicole comprese. Un baluginio di chiarezza le occupò lo sguardo e capì la ragione per la quale s’era quasi sentita in obbligo di salvarla. Era lei. L’aveva sempre saputo, « I-Isobel?» sussurrò con un filo di voce, percependo le gambe flettersi. Stava già molto meglio, ma l’emozione era fortissima. La donna sollevò prontamente lo sguardo, spalancò gli occhi azzurri e scosse il capo. Ma oramai Nicole sapeva. Le poggiò le mani sui gomiti.
« Mi dispiace. Per tutto,» aggiunse criptica, prima di scomparire, sollevando una folata di vento, lasciandola sola in mezzo a quella tempesta di emozioni che le stavano squassando l’animo. Nicole si guardò intorno, per cercarla, non trovandola. Era andata via. L’aveva abbandonata. Di nuovo. Nicole si sfiorò gli avambracci, scosse il capo e guardò un’ultima volta verso la prigione. Aveva deciso ormai. Non si sarebbe volta più indietro. Non poteva permettere che suo padre, il suo caro John che l’aveva salvata, fosse bandito da Mystic Falls per il resto della sua vita. Era casa sua. Nessuno poteva privarlo dei propri affetti. Nemmeno lei. Si avvicinò all’auto e notò che era aperta. Si sedette e cominciò a guidare verso l’uscita della città, velocemente. Pianse e singhiozzò. Lasciò che la sua anima si sfogasse, ma, appena fu fuori, si guardò indietro, verso la città che tanto aveva amato e odiato allo stesso tempo. Non l’avrebbe rivista mai più. Quel pensiero le fece male, le squarciò il petto e arrivò sino al cuore. Non avrebbe più visto Jeremy, Elena, Mattie, Blair, Morag. No. Era sola, completamente sola, com’era giusto che fosse. Sua nonna aveva inviato due angeli a salvarla quella notte, ma oramai doveva continuare per la propria strada. Riprese a guidare nella notte buia di quel cielo oramai senza più stelle. Anche la Luna era stata oscurata dalle nubi nere. E mentre lasciava la sua vecchia vita alle spalle, una constatazione la investì. Non le era rimasto più nulla.

 

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Buon pomeriggio a tutte voi. Ho scelto di inserire delle note personali in questo capitolo per ringraziarvi di seguire questa storia, sia a chi commenta, sia a chi l’ha inserita tra le varie categorie e sia a chi la legge silenziosamente. So che alcune di voi aspettavano di sapere perché Nicole avesse lasciato la città e finalmente ho trovato l’occasione adatta per svelarlo. Spero di non avervi deluse. Ci saranno altri flashback, soprattutto riguardanti Nicole e John per una ragione che svelerò nei prossimi capitoli. Nei prossimi cambierò la trama originale della serie televisiva, avvicinandomi di poco a quella dei libri. Un grazie ancora a tutte voi. Buon pomeriggio, almeisan_.

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Capitolo 24
*** Unexpected meeting ***


24 cap

Capitolo 24

Unexpected meeting

Quando Nicole riemerse da quel mare di ricordi, si rese conto di non essere sola su quello scalino di marmo bianco, freddo, glaciale come il ferro di quella sedia che era stata la spettatrice del proprio orrore. Aveva una mano, gentile e rassicurante, piccola e fredda, posata sulla spalla. Alzò lo sguardo, appannato dalle lacrime, sulla longilinea figura seduta al suo fianco. Era Rebekah. Sembrava talmente addolorata che persino i suoi splendidi occhi, sempiternamente allegri e spensierati, erano stretti in un’espressione afflitta, accorta e notevolmente empatica.
« Mi dispiace così tanto, Nicole,» le sussurrò dolcemente prima di stringerla in un lungo e caloroso abbraccio. Nicole si affidò a lei, completamente, sicura del suo supporto, e tentò di non far fluire più le lacrime sulle sue gote sin troppo pallide e ceree. Il petto era scosso da dei singhiozzi insopportabili e tutto il suo corpo tremava tra le braccia forti della vampira Originale. Rebekah le carezzò lievemente i capelli, mormorandole parole di conforto che le fecero sollevare l’animo da ogni dolore, e fu grazie a lei che Nicole fu in grado di allontanare quei vani simulacri di amarezza, delusione e rabbia che le avevano occupato la mente. Si scostò dopo quelli che le parvero secoli e Rebekah le asciugò le lacrime rimanenti con il dorso della mano candida. Le stava sorridendo, accogliente, e, stupita da se stessa, Nicole ricambiò con dolcezza. L’aveva aiutata come nessuno, nemmeno suo padre, aveva saputo fare.

Aveva trascorso due mesi senza John, sperando che tutta quella agonia passasse da sola, sperando che vivere nei vicoli di Richmond, pieni di pericoli e sotterfugi, la rendesse più forte e determinata. Non fu così. Aveva trovato un monolocale diroccato dov’era avvenuto, qualche mese prima, un omicidio. Le pareti erano ancora incrostate del sangue di quella povera donna aggredita in casa sua e Nicole aveva faticato per due giorni per rimuoverlo del tutto tanto si era fuso con quell’orribile carta da parati giallo canarino. Gliel’avevano venduto per nulla, nemmeno un paio di dollari, e Nicole aveva trascorso lì i due mesi più orribili di tutta la propria vita. Era umido, sporco e la criminalità era all’ordine del giorno. Sentiva sparatorie tutte le notti e tentava di soffocare le lacrime nel cuscino, pregando che non perforassero i vetri delle sue finestre e la morte non la cogliesse in quel sogno costellato da incubi. Non aveva nulla di suo, né una foto né un vestito e aveva dovuto procurarsi quei pochi abiti e cibarie alle mense dei senzatetto. Nessuno avrebbe potuto riconoscere in lei quella ragazza che era stata la regina del Robert E. Lee da sempre, la favorita della moglie del sindaco, la figlia del miglior ginecologo dell’ospedale cittadino. Nicole stessa stentava a riconoscersi. Quelle belle gote floride e rotonde, il suo marchio di innocenza, erano divenute incavate come quelle di un cadavere. Quei morbidi capelli, per i quali tante volte le sue compagne l’avevano elogiata, erano diventati stopposi e sporchi, crespi come cespugli. Quegli occhi splendenti, che avevano fatto innamorare il suo Tyler, oramai un’ombra nella sua mesta esistenza, avevano perduto la propria lucentezza, divenendo cupi e spenti, tristi e malinconici. Non aveva resistito oltre quando, una notte, una pallottola vagante aveva ferito a morte una ragazza che abitava nell’appartamento a fianco. Era l’una di notte, Nicole non l’avrebbe mai dimenticato. Era scattata giù dal giaciglio improvvisato che con disgusto chiamava letto, aveva raccattato quei pochi beni, antiche immagini di un passato felice, che possedeva. Il vestito di John, gli orecchini della nonna, il bracciale di Elena. Non aveva nient’altro che quello. Avrebbe potuto venderli per guadagnarsi un pasto migliore, gli orecchini erano di veri diamanti, ma non si sarebbe privata di loro per nulla al mondo, sebbene fosse un pensiero infantile e sciocco. Si svestì di quel pigiama logoro, una camicia maschile che apparteneva a un ragazzo sulla ventina, un tale Angel Porter, che l’aveva aiutata a trovare quel posto e le aveva mostrato dove potesse rifocillarsi. Era stato gentile e non aveva voluto nulla in cambio. Le aveva solo domandato la ragione per la quale una bella ragazza come lei si trovava in quelle condizioni, ma Nicole aveva taciuto. Aveva persino mutato il suo nome. Per Angel lei era Margaret Diaz. Margaret come la piccola figlia, di soli quattro anni, che tanto le somiglia nel carattere, di alcuni amici di famiglia che vivevano a Portland e Diaz come il cognome di Morag, l’ultima persona che aveva visto quella notte, l’ultima amica che le aveva dato il proprio supporto. Non vi aveva nemmeno pensato troppo prima di rispondere e Angel non le aveva fatto più domande sul suo passato. Avevano avuto anche una storia, lei e Angel, sebbene il termine storia fosse un’esagerazione. Nelle notti buie e sin troppo cupe Angel la teneva al suo fianco, le carezzava i capelli e le parlava con dolcezza, quasi come se avesse voluto essere un angelo silenzioso pronto a rischiarare le sue tenebre.

Era stata la ragione per la quale Nicole non si era lasciata andare, ma aveva reagito a quel folle destino che le andava contro con foga, volendo annientarla totalmente e indissolubilmente.
« Torniamo dentro, Rebekah. Oramai è passato,» mormorò delicata, issandosi in piedi a fatica tanto le tremavano le gambe. Non voleva più ricordare nulla. Aveva abbandonato persino Angel per fuggire verso il suo futuro.

Aveva solo un indirizzo che rimembrava alla perfezione, quasi fosse stata la sua unica ancora di salvezza alla quale doversi aggrappare per risalire l’abisso. Aveva indossato le vesti della sua vecchia vita e aveva corso per le vie buie di Richmond, quasi ad occhi chiusi, piangendo come una bambina. Erano le tre di notte quando arrivò dinanzi alla villetta di quello che ormai sapeva essere suo padre. Aveva salito gli scalini che con quella luce soffusa sembravano essere grigi, come il resto della casa, e si era fermata sul pianerottolo. Non aveva avuto il coraggio di bussare alla sua porta, vedendo le luci spente, e si era accoccolata sul divano. Non aveva dormito, gli occhi erano rimasti spalancati e fissi dinanzi a sé per tutta la durata della notte sino a quando non aveva scorto il Sole sorgere dietro la casa. Si era issata in piedi e, facendosi forza dopo un lungo sospiro, aveva bussato, solo una volta, al portone di legno chiaro. Tremava, tantissimo, e si torturava le dita e il labbro inferiore, poi, come disillusa che potesse davvero aprirle, si era volta verso la strada ed era avanzata di un passo verso gli scalini bianchi. La porta si era aperta con un piccolo cigolio e Nicole si era subito, prontamente, volta verso di essa con le labbra schiuse ed esitanti, il respiro corto per l’emozione e le gambe che sostenevano a stento il suo peso. Aveva incontrato i suoi occhi azzurri, bellissimi, luminosi e le lacrime avevano rischiato di velare i propri. John era lì, dinanzi a lei, dopo due mesi trascorsi nel buio totale. John era lì, trepidante e incredulo di vederla, le labbra sottili spalancate e sorprese, il corpo proteso verso di lei. Suo padre era lì e Nicole percorse quel breve tratto che li separava in una falcata per poi abbracciarlo stretto, allacciargli le braccia dietro il collo e lasciandosi cingere da quelle muscolose e gentili di John che le carezzavano lievemente la schiena. E fu a casa.

Rebekah le prese entrambe le mani e la condusse all’interno della villa con fare materno, attenta e premurosa, come se fossero amiche da sempre, non da qualche tempo.
« Nik stava quasi per azzannarlo,» le rivelò accorata, come se avesse voluto dare man forte a suo fratello contro Damon, « Elijah l’ha trattenuto a stento e io sono corsa fuori a vedere come stavi,» le raccontò stringendola per un altro istante prima di lasciarla andare dinanzi alla porta della sala dove ancora si svolgeva la cena, « Perdonami per le domande sul tuo passato, sono stata indelicata e indiscreta,» sussurrò blanda e Nicole scosse il capo, con un lieve sorriso che non le illuminò lo sguardo perso nelle meditazioni del suo passato.
« Non… non preoccuparti, Rebekah, davvero. Io… è solo che… vorrei non aver dovuto ricordare perché ho sempre ritenuto che, se avessi anche solo pensato di nuovo a quella notte, mi sarebbe piombato il mondo addosso. Mio padre non ne parlava mai, gli faceva troppo male pensarmi in quello stato e…,» si interruppe, sentendo le lacrime invaderle gli occhi azzurri e spenti. Rebekah annuì e le carezzò la guancia con delicatezza.
« Non preoccuparti, Nicole. Va tutto bene,» le assicurò dolcemente prima di farle cenno di rientrare. Nicole obbedì, asciugandosi gli zigomi con il dorso della mano destra e percepì gli occhi di tutti su di sé. Si soffermò su un paio di un azzurro così chiaro da sembrare ghiaccio. Erano dispiaciuti, amareggiati e oltremodo mortificati e Nicole non fu in grado di mostrare la sua piena rabbia nei loro confronti. La sua forza di volontà era stata così grande che per due interi anni aveva allontanato quei ricordi da sé, accantonandoli nella parte più buia e recondita del suo animo. Era bastata quella scintilla, dannata e malevola, a far riaffiorare tutto con troppa violenza perché lei potesse anche solo pensare di ricacciare il passato indietro.
« Perdonami… non avrei dovuto,» si scusò debolmente, certo del proprio dispiacere, ma troppo orgoglioso per mostrarlo davvero. Nicole deglutì a vuoto, tentando di non piangere ancora. Si era sfogata abbastanza per quella sera, lei che non piangeva mai, lei che tentava di essere sempre composta ed elegante, una signorina dell’alta società. Lo era sempre stata. Sin da bambina, sotto l’ala protettiva di Carol, aveva imparato il bon ton, l’étiquette. Aveva imparato a danzare con leggiadria, a suonare il pianoforte, a sorridere e a ridere senza eccedere, a vestirsi con eleganza. Tutto quello perché voleva davvero essere una giovane ed fine ragazza di una cittadina del Sud della Virginia. Tutto finito. Il suo sogno era stato infranto in un attimo, « È solo che era davvero così assurdo pensare che…,» si interrupe nel vederle stringere i pugni, conficcarsi le unghie nella pelle candida come il latte, come se volesse davvero ferirsi all’esterno per non soffrire nell’anima.
« Pensi sia stato facile?» gli domandò con il petto ansante e il fiato corto per le lacrime che stava trattenendo con una forza di volontà che superava qualsivoglia emotività, « Pensi sia stato semplice far finta che andasse tutto bene e che il mio essere andata via da Mystic Falls non c’entrasse nulla con il Consiglio, con il padre di quel ragazzo che ho amato con tutta me stessa, con il padre di quella che è stata come una sorella per anni? » continuò più accorata, prima di scuotere il capo foga e portarsi una mano alla tempia, socchiudendo gli occhi chiari e dardeggianti, « Chi altri lo sa? » gli chiese cauta, avanzando verso di lui, le braccia conserte a difendersi dalla sua stessa anima che da sola era troppo debole per sostenerla. Voleva guardare Klaus, per avere conforto, per lasciarsi avvolgere dai suoi splendidi occhi, ma rimase a osservare Damon, trepidante di una risposta. Sperava che loro non sapessero nulla. Sperava che loro fossero ignari del suo passato, ma dallo sguardo del vampiro di fronte a lei comprese che era una speranza vana. Loro sapevano. E quello fu il più duro colpo da sopportare. E fu quello il colpo che la fece crollare. Se Jeremy ed Elena sapevano, significava che nei loro sguardi così tremendamente simili e splendidi avrebbe riconosciuto solamente la pietà, la compassione, la commiserazione. E si sarebbe sentita inferiore. Avrebbe intaccato il suo forte orgoglio, la dignità nei confronti di se stessa e non avrebbe mai potuto permetterlo. Erano la sua famiglia. Desiderava che le volessero bene, non che la compatissero.
« Solo Elena,» le confessò sottovoce, quasi chinando il capo dinanzi ai suoi occhi feriti. Nicole sospirò, pesantemente, e poi annuì, volgendo il capo al pavimento.
« Lo sapeva già questo pomeriggio?» gli domandò duramente, rialzando il capo fiero e orgoglioso, puntando gli occhi nei suoi. Damon fu quasi stupito da quel cambiamento repentino di atteggiamento, ma annuì comunque, e Nicole si sentì quasi mancare la terra sotto i piedi. Era una sensazione orribile comprendere che quello sguardo, così carico di bene e pena, era stato causato solo da quella verità.
« Sì,» esclamò ad alta voce come per imprimerle quel messaggio nella mente. Come lei, Damon non era un vigliacco e voleva sfidarla ad armi pari, perché pensava lo meritasse davvero.
« Perfetto. Ti ringrazio, Damon,» esclamò sardonica e caustica, la voce quasi nasale e saccente prima che i suoi occhi divenissero dello stesso colore di un mare in tempesta, « Non voglio che lo sappia nessun altro,» continuò categorica e risoluta, « Dammi la tua parola che questa storia non uscirà da questa casa, Damon.» « Nicole, sono il capo del Consiglio di Mystic Falls,» cominciò ragionevole e Nicole sorrise, sollevando il labbro superiore sinistro, quasi schernendolo con quella smorfia supponente.
« Vedi dov’è andato a finire il mondo, allora,» lo canzonò la giovane, stroncando sul nascere ogni sua protesta. Era la sua vita, non quella di Damon e nessuno aveva il diritto di intervenire in una sua scelta.
« Quello che voglio dirti è che…»
« Non voglio sentire quello che tu hai da dirmi, Damon. Sul serio. Non so che diavolo ci sia tra te ed Elena per farti sentire in diritto di raccontarle tutto,» cominciò irritata, ma con un velo d’ironia, sebbene le dispiacesse parlare in quel modo dinanzi a quella sala piena di gente che lo odiavano e lo detestavano, tutti tranne Stefan. Si stava comportando malissimo, ma non le importava. Era troppo arrabbiata, delusa, da tutti. Persino dalla sua stessa sorella. Elena aveva taciuto, Elena le aveva mentito. Non lo sopportava. Non sopportava che la sua gemella potesse, in qualche modo, tradirla.
« È tua sorella, Nicole. Ha il diritto di sapere,» enfatizzò ragionevole. Lui doveva saperlo meglio di molti altri. Aveva un fratello minore che adorava, nonostante tutti i dissidi che ci potevano essere tra di loro. Damon e Stefan avevano un rapporto così forte da farle credere che non si sarebbe spezzato mai, nemmeno dopo la più furiosa tra le liti. Loro erano veri fratelli e neanche Katherine ed Elena avevano potuto separarli. Avrebbe voluto che fra lei ed Elena vi fosse altrettanto ed era sempre stato così. Prima del suo periodo oscuro, prima di essere andata via, prima di essersi innamorata di Klaus.
« Non è vero, non ne aveva il diritto, e nemmeno tu. È la mia vita, non la sua,» contestò atona, ma tremante di rabbia. Lei non si era mai addentrata nei meandri del passato di sua sorella, non che ve ne fosse necessità. Lei aveva sempre cercato di non gravare sulle spalle di nessuno, sebbene tante volte avesse desiderato avere qualcuno che la ascoltasse senza giudicarla. Ma lei non era Elena.
« Perdonami, Nicole. Non vorrei mancarti di rispetto, non è assolutamente mia intenzione, ma nella tua assenza abbiamo discusso i termini di un accordo,» li interruppe Elijah con delicatezza, nonostante nei suoi occhi vi fosse del senso di colpa per quel passato che doveva averlo scosso. Forse perché Klaus, o Rebekah, gli avevano raccontato di quanto fossero simili nel senso dell’onore.
« Che io non ho accettato. Non posso permettere che la loro faida ammazzi la doppleganger,» esclamò Klaus con voce irata e collerica. Nicole lo guardò, ferita per quelle parole come se le avesse appena inferto un colpo al cuore con il più avvelenato dei pugnali. Klaus rispose al suo sguardo, dispiaciuto, ma risoluto per quella serata, e Nicole scosse il capo, trattenendo a stento le lacrime.
« Mia sorella non è un oggetto, non è una sacca di sangue ambulante e soprattutto non è un mezzo per raggiungere gli scopi di nessuno,» chiarì alterata, osservandolo con astio. Non voleva guardarlo in quel modo, ma le veniva naturale pensando a Elena. Klaus lo comprese e si portò le dita giunte sulle labbra rosee e piene, scuotendo il capo e scrutandola come per farla ragionare. Rebekah rimase al suo fianco e Nicole non poté essergliene più grata. Non sapeva per quanto sarebbe potuta rimanere in piedi e perdurare a combattere contro tutti, persino contro il suo Klaus che tanto amava. Ma doveva farlo. Klaus non poteva parlare di Elena come una risorsa per la creazione del suo esercito personale di ibridi asserviti. Elena era una persona, era sua sorella, e Nicole doveva proteggerla ad ogni costo.
« Chiediti, Nicole, quanto ci vorrà prima che loro due, nella loro faida, la uccidano o la trasformino in un vampiro? Ci hanno provato entrambi e tuo padre è dovuto morire per salvarla,» le ricordò con un velo di dolcezza negli occhi, non volendo vederla soffrire. Nicole chiuse gli occhi per un istante, una smorfia a deturparle le labbra, e sospirò pesantemente. Non avrebbe dovuto ricordarle quello. Suo padre, il suo adorato John. Se lui fosse stato lì, avrebbe saputo esattamente come farla calmare, consolarla. Le avrebbe detto che tutto si sarebbe risolto, che non v’era alcun bisogno di piangere perché presto quella tempesta sarebbe passata, dando luce a un arcobaleno di pace e serenità. E Nicole gli avrebbe creduto, come sempre, sebbene la situazione fosse davvero insopportabile. Klaus, oramai, aveva capito dove colpire, quali erano le corde più deboli del suo cuore e le stava sfruttando proprio in quel momento. Se avesse avuto un minimo di forza in più, l’avrebbe guardato incendiandolo con i suoi occhi dardeggianti, pronta a sguainare gli artigli e difendere ciò che aveva di più caro. Però percepiva nella voce dell’uomo che amava con tutta se stessa una nota di amarezza nei confronti di lui stesso. Voleva difenderla, voleva infonderle forza con quelle parole, non abbatterla, e quella consapevolezza le risollevò l’animo. Damon emise un suono a metà tra lo sdegno e il sarcasmo e Nicole ritornò a guardarlo lentamente, assottigliando gli occhi divenuti più chiari e calmi, come delle acque di un laghetto di montagna.
« Suo padre? Il grande John Gilbert? Pessimo cacciatore di vampiri, pessimo senso dell’umorismo, pessimo padre. Ha fatto un favore all’umanità ammazzandosi,» esclamò caustico, ridendo appena. Dalle labbra di Stefan fuoriuscì un sibilo irato, come per comunicare al fratello che stava esagerando. Rebekah posò una mano sulla sua, come per proteggerla e farla calmare, notando la sua reazione. Aveva nuovamente stretto i pugni, conficcandosi le unghie nella carne viva, e delle lacrime le aveva velato lo sguardo chiaro. Quasi le mancava il fiato per quella collera che le invase il corpo in quel secondo. Non fu in grado di trattenere la propria magia e lasciò che quell’ira si incanalasse in ogni fibra del suo essere per poi rivolgere contro il vampiro. Non avrebbe dovuto dirlo. Damon non lo conosceva nemmeno. Non sapeva cosa suo padre avesse fatto per lei, non sapeva che padre meraviglioso fosse, con quanta premura la trattasse. Lui aveva visto solamente il cacciatore di vampiri che voleva proteggere la sua Elena ad ogni costo, anche a rischio della sua felicità. Una folata di vento gelido si abbatté su Damon che fu scaraventato contro il tavolo, portandosi i piatti e le posate con sé per poi ricadere ai piedi del camino. L’aveva quasi spezzato, il tavolo, e Nicole comprese di aver esagerato, sebbene la razionalità fosse andata a farsi un viaggio in solitaria. Damon si rialzò prontamente e Stefan si volse a tre quarti per poter guardare entrambi, sebbene non ce ne fosse poi molta necessità. Damon sguainò i canini e gli occhi gli si iniettarono di sangue mentre sulle palpebre le vene risaltavano dandogli un’aria da assatanato che divertì Nicole. Quasi lo ringraziò per quello scontro. Aveva bisogno di sfogarsi, « Tu, ragazzina,» sbraitò con la voce falsata dai canini allungati che gli perforavano il labbro inferiore. In un lampo le fu davanti, pronta a colpirla, ma Nicole lo immobilizzò. Sentiva quasi sua nonna gioire con lei. Aveva sempre odiato i vampiri, Elizabeth Bishop in Gilbert, e per molti giorni la sua voce dolce e premurosa era stata ovattata. Era arrabbiata con lei per Klaus, ma in quel momento voleva offrirle solamente il proprio supporto.
« Sono più forte di te, Damon, e sono più incazzata,» gli comunicò sarcastica, prima di provocargli un aneurisma che gli fece flettere le ginocchia. Era più forte di quello di Bonnie perché era una strega da più tempo di lei e quella potenza era amplificata dalla collera. Damon si portò la mano alla tempia e un guaito sofferente gli sfuggì dalle labbra schiuse. Stefan si mosse inquieto, sentendo suo fratello soffrire in quel modo. Era certo che Damon non si sarebbe lasciato sfuggire un suono, proprio come quando erano bambini e suo padre lo schiaffeggiava per qualcosa che solo lui poteva conoscere, se le sue condizioni non fossero state gravissime.
« Ti prego, Nicole,» supplicò avanzando verso di lei e togliendosi, per un solo istante, quella falsa maschera di Squartatore imperturbabile e gelido. Era Damon, il suo fratellone, e lui doveva proteggerlo proprio come Damon aveva fatto secoli prima, « È insopportabile, lo so, e ti domando perdono al posto suo. Non avrebbe dovuto insultare John, ti comprendo,» tentò di calmarla cauto e Nicole sciolse l’incantesimo. Damon rimase in ginocchio dinanzi a lei, quasi tremante, poi si issò in piedi e gli rivolse uno sguardo gelido. Il suo orgoglio era stato intaccato da suo fratello. Stefan rise quasi di fronte a quella testardaggine, ma i suoi occhi verdi e brillanti rimasero ancorati a quelli azzurri della giovane strega. Era forse un lampo di senso di colpa quello che poteva scorgere? Nicole Gilbert era una strana ragazza, doveva ammetterlo, ed era quello il motivo per il quale tutti nutrivano una certa riservatezza nei suoi confronti, tutti eccetto i suoi fratelli. Stefan aveva sentito Elena piangere per lei dopo il funerale di John, quando era andata via senza una parola né uno sguardo. Stefan aveva notato quanto Jeremy fosse felice quando era al fianco di quella sorella che aveva pensato di aver perduto per sempre.
« Ehi Stef, ti ricordi quando hai ucciso papà?» gli ricordò sofferente, ma sempre baldanzoso e sarcastico, le labbra contratte in una smorfia di dolore, non certo a ricordo di quel padre tiranno che tanto aveva odiato, « Lascia perdere i moralismi. Il caro John è allo stesso livello.» Stefan quasi temette che Nicole reagisse allo stesso modo dei minuti precedenti, ma la ragazza sospirò, chinò il capo, poi lo scosse con foga e ritornò a guardare Damon.
« Che cosa ne sai tu di mio padre? O della famiglia? Non conosci nemmeno Elena,» gli comunicò spossata, sottovoce, come se avesse avuto timore che, alzando di poco il tono, avrebbe potuto spezzare quella quiete apparente che aveva perdurato quella sera, « Non sai che tipo di ragazza è stata per sedici anni. Non puoi nemmeno immaginarlo,» continuò quasi con l’intenzione di ferirli entrambi, di far comprendere loro che quella Elena che loro avevano conosciuto era diversa da sua sorella, « Poi i nostri genitori sono morti e siete arrivati voi due a scombussolarle l’esistenza, portando nella sua vita quel mondo soprannaturale da cui ho tentato di difenderla tacendo sulla mia magia,» li accusò apertamente, facendo un cenno con la mano, gi occhi stretti in un’espressione di risentimento e sdegno, « Sono arrivata persino a mentire a mia sorella, alla mia gemella, a quella ragazza che è stata una parte di me, della mia anima, per sedici anni. E questo soltanto per proteggerla,» esclamò sospirando pesantemente. Odiava mentire, Nicole, odiava tradire, odiava venir meno alla parola data e aveva fatto tutto ciò per amore di sua sorella, ma tutto era venuto meno per colpa loro. Non avevano il diritto di entrare nella sua vita senza permesso alcuno. Non avevano il diritto di renderla la regina della loro faida secolare che aveva preso avvio dalla lotta per Katherine. Avevano macchiato la purezza di sua sorella, rendendola agli occhi degli altri alla stregua di una sgualdrina e questo Nicole non poteva davvero sopportarlo, « Sì, hai perfettamente ragione, Stefan: è insopportabile. Ma cosa posso farci? Ci devo convivere,» si rassegnò a fatica, le parole quasi inframmezzate da dei respiri lunghi e profondi. Percepiva ancora lo sguardo di Klaus su di sé. Era stupito, meravigliato. Non l’aveva mai vista davvero arrabbiata per qualcosa, « Adesso, tornate alla cena, o quello che stavate facendo prima,» esclamò volgendosi verso la porta d’uscita. Quella sala la stava soffocando. Avrebbe voluto fuggire nella notte buia e priva di stelle, tornare a Richmond e sperare che nella camera accanto alla sua suo padre dormisse come un bambino rilassato, senza incubi a tormentarlo. Ma rimase lì poiché sapeva che quella era una speranza inutile. Suo padre era morto e doveva accettarlo. Damon fu più veloce di lei e uscì dalla sala seguito da Elijah e Rebekah. Nicole guardò da Klaus a Stefan senza davvero vederli. Klaus percorse il breve tratto per arrivare al tavolo e finì in un sorso di bere il vino contenuto nel suo bicchiere di cristallo mentre Stefan perdurava a guardarla. Sembrava a disagio, come se avesse creduto alle sue parole tanto da sentire qualcosa fermarsi alla gola, l’oppressione di sapere che se non fosse mai tornato a Mystic Falls Elena avrebbe potuto continuare la sua vita da umana. Non era vero, Nicole lo sapeva bene. Elena sarebbe morta senza l’aiuto di Stefan la stessa notte della morte dei suoi genitori adottivi, « L’hai salvata senza sapere nemmeno chi fosse, » si lasciò sfuggire con la voce rotta dalle lacrime nascenti. Stefan la guardò per un istante e anche Klaus rivolse uno sguardo ai due. Le labbra di Nicole tremarono per un impercettibile secondo per la potenza del dolore che le stava squassando il petto e quasi flettere le gambe tremanti.
« Quella notte… è vero,» sussurrò Stefan, avvicinandosi a lei e sfiorandole la mano sul cui indice spiccava l’anello dei Gilbert, « L’ho salvata. Stavo per salvare tuo padre. Elena era già svenuta e tua madre… penso lei sia morta nell’impatto contro l’acqua,» le raccontò, posando l’altra mano sulla sua spalla notando quanta afflizione stesse provando. Doveva conoscere quella storia, era necessario, e Stefan non si sarebbe sottratto a quell’arduo compito, sebbene il suo cuore morto da secoli fosse tornato a battere per quella piccola ragazza che aveva dinanzi a sé. Era così vulnerabile e triste che era un peccato anche solo vederla piangere e non poter far nulla per impedirlo. Nicole non era Elena, però, in quel momento, Stefan provò lo stesso affetto che nutriva nei confronti del suo amore, del vero amore della sua esistenza, « Però tuo padre mi fece cenno di salvare Elena e quando tornai di sotto per prendere anche lui, era già morto.» Nicole sussultò per quell’ultima affermazione e Stefan quasi la strinse a sé, ma si trattenne sentendo i passi di Klaus avvicinarsi a loro, « Mi dispiace, Nicole.»
« Grazie,» sussurrò la giovane piangente, ma risoluta, determinata e forte. Fu il turno di Stefan per sussultare e aggrottò le sopracciglia.
« Cosa… cosa hai detto? » le domandò confuso e sbigottito da quel lieve sorriso che le aveva disteso le labbra esangui.
« Ho detto grazie. Grazie di averla salvata, grazie di avermelo raccontato, grazie per aver ascoltato mio padre. Grazie,» esclamò semplicemente, quasi divertita, sebbene fosse evidente la sua sofferenza negli occhi spenti e mesti.
« Ma… io,» si oppose Stefan. Avrebbe voluto dirle che non capiva per cosa la stesse ringraziando, che non aveva fatto nulla, che, se fosse arrivato prima, avrebbe potuto salvare entrambi. Avrebbe voluto, ma non lo fece. Avrebbe inferto il colpo di grazia a un’anima già provata e spossata dagli eventi di quella sera. Suo fratello era stato uno sciocco a farle ritornare alla mente quella triste storia ed era certo che anche Damon si ritenesse tale.
« Mio padre non avrebbe mai, mai potuto continuare a vivere senza mia madre o senza Elena. O senza di me e Jeremy. Quindi grazie per aver rispettato la sua scelta,» gli sussurrò dolcemente, prendendolo quasi alla sprovvista. Era davvero convinta di ciò che stava affermando, sebbene stesse così male da mantenersi a stento in piedi.

« Elijah… perché siete ancora qui? » esclamò Klaus riportando entrambi alla realtà. Stefan si era come perso negli occhi limpidi della giovane dinanzi a lui. Avevano la stessa sfumatura dolce e pacifica, accogliente e tremendamente delicata e risoluta allo stesso tempo, di quelli della sua migliore amica, della sua Lexi. Le mancava immensamente. Lei avrebbe saputo come aiutarlo, Lexi sapeva sempre ogni cosa. Ogni volta che lo osservava negli occhi, Stefan provava la disagevole sensazione che riuscisse a scrutare gli angoli più reconditi della sua anima, forse anche di più rispetto a Damon.
« Beh che modi sono questi, fratello? Hai dimenticato il dolce,» ribatté Elijah, prima di levare la copertura di due pugnali adagiati sul cartone dorato. Klaus scosse il capo e Mikael lo affiancò preoccupato per quello che il suo figlio maggiore aveva appena compiuto. Elijah osservava entrambi, soddisfatto, senza trattenere un sorriso di scherno e Rebekah era a braccia conserte, il capo alto e fiero, gli occhi dardeggianti e le labbra lievemente imbronciate in un’espressione di superiorità e durezza, soprattutto nei confronti di suo padre. Stefan si girò verso suo fratello continuando a carezzare la spalla della giovane dinanzi a lei. Damon gli scoccò un’occhiata eloquente, facendogli cenno di andar via, ma Stefan, confuso, non obbedì perdurando a guardare la scena.
« Cosa avete fatto? » domandò Mikael, mantenendo a stento la calma. Fremeva di rabbia e si notava. Persino Klaus si sentiva più rilassato del suo patrigno.
« Cosa hai fatto tu, padre? Non mi fido di te né delle vili promesse di Klaus. Adesso faremo a modo mio,» affermò, assottigliando lo sguardo scuro prima che un ragazzo si affacciasse sulla soglia. Nicole lo guardò attentamente. Era bello, affascinante e avvenente, e giovane, non poteva avere più di venticinque anni. Aveva i capelli di un biondo scuro, mossi e lievemente sollevati e mossi mentre gli occhi marroncini, il viso pulito, da bambino quasi con quella fossetta sul mento. Klaus indietreggiò di un passo quando quel giovane gli rivolse un sorriso malizioso, sarcastico, strafottente, che non preannunciava nulla di buono.

« Kol.»
« Quanto tempo fratello,»
esclamò leggero prima di avanzare verso Klaus che continuava a indietreggiare. Un altro uomo si avvicinò a lui e Nicole quasi non riuscì a scorgerlo per la velocità che possedeva. Vide solo i suoi occhi e ne ebbe il terrore. Erano di marrone scuro, come quelli di Elijah, ma erano di gran lunga più freddi, malvagi e austeri e la fecero tremare soprattutto per ciò che fece dopo.
« Finn, no! » esclamò Klaus, notando il pugnale nelle mani di suo fratello. L’uomo lo conficcò nella sua mano e un grido di dolore fuoruscì dalle belle labbra del suo Klaus. Nicole mosse un passo e notò che Stefan si era oramai allontanato da lei per raggiungere suo fratello ancora sulla soglia a godersi lo spettacolo.
« Potete andarvene, Salvatore. È una questione di famiglia,» mormorò leggermente Elijah con un sorriso lieve sulle belle labbra rosee rivolto a suo padre che rimase come inerme dinanzi alla sua famiglia riunita. Nicole stava quasi per volgere lo sguardo all’uscita, sentendosi talmente inadeguata da voler fuggire, ma la voce di Rebekah la inchiodò lì dov’era.  
« Rimani, Nicole. Fai parte di questa famiglia. Sei l’eredi di Rowena, moglie di Bishop, e nipote di Esther. È come se fossi nostra cugina,» le mormorò quasi con dolcezza prima di avanzare verso i suoi fratelli. Anche Elijah la affiancò. Klaus tolse il pugnale dalla propria mano e la guardò come per pregarla di andare via e non assistere a quello spettacolo cupo, ma Nicole scosse lievemente il capo per fargli intendere che sarebbe rimasta con lui. Per lui. Lo amava e nulla aveva potuto mutare quel sentimento, nemmeno il pensiero fisso di Elena e degli ibridi.
« Elijah, Finn, Kol, Rebekah, Niklaus, ascoltatemi,» pregò Mikael, distendendo le mani dinanzi a sé come per riportare la calma nella sala, come per far evaporare la tensione che si era solidificata in quell’enorme spazio. Lo sguardo di Mikael vagò per tutti i suoi figli, ma si soffermò su quella che era stata sempre la sua preferita, sulla sua Rebekah che tanto gli assomigliava. La giovane rimase fredda, glaciale, senza far affiorare nemmeno un bagliore di umanità.
« Per cosa?» domandò Elijah irato, facendola quasi sussultare. Elijah le era sembrato il più pacato tra i suoi fratelli, ma quella situazione aberrante doveva essere insopportabile persino per la sua calma imperitura, « Ci hai uccisi, padre. Ci hai fatto bere il vino con quel sangue e ci hai trafitti con una spada come se fossimo dei nemici e poi ci hai dato la caccia per mille anni,» gli ricordò con astio, stringendo i pugni. Lo sguardo di Nicole si fermò su Klaus. Era il più sorpreso di sentire suo fratello parlare in quel modo a suo padre, «Vorrei solo aver un paletto di quercia bianca e trapassarti quel cuore di pietra che possiedi. Perché dovremmo ascoltarti ancora? » Mikael chiuse un attimo gli occhi e si portò una mano alla tempia. A Nicole ricordò tanto quando aveva pianto a casa di sua nonna dopo averle raccontato della loro famiglia e provò un moto di tenerezza per lui.
« Perché mi dispiace,» esclamò amareggiato, guardando tutti i suoi figli riuniti intorno alla figura di Elijah. Finn e Kol erano alla sua sinistra, il più giovane con le braccia conserte e un cipiglio collerico negli occhi scuri, mentre Rebekah era alla sua destra, meravigliosa e terribile come un angelo della morte che non poteva essere scalfito da nulla. Klaus era a metà tra loro di fronte a Nicole che stava tentando di eclissarsi. Le parole di Rebekah non corrispondevano al vero per lei. Non aveva alcun diritto di essere lì ad ascoltare un dialogo così intimo e privato, ma non poteva semplicemente andare via. Doveva rimanere per Klaus, e anche per Rebekah.
« Cosa? » domandò la vampira incredula, la voce alterata dallo sbigottimento che quelle scuse le avevano provocato.
« Ero così arrabbiato. Non avrei mai dovuto chiedere a vostra madre di compiere un incantesimo del genere, ma non potevo permettere che un altro di voi morisse. Avevo già perduto Eyvind e Henrik. Non potevo permettere che ci portassero via anche voi,» mormorò con sentimento sincero e vivido, muovendosi di un passo verso i suoi figli.
« Questo non spiega perché ci hai dato la caccia per mille anni,» esclamò Kol con voce dura e impassibile. Finn non aveva parlato e Nicole non riusciva a capire cosa stesse passando nella mente del vampiro. Sembrava il più cupo tra i cinque, il più malinconico e nostalgico ed era quello che era rimasto maggiormente nella bara. Per novecento anni.
« Volevo Niklaus, non voi,» chiarì Mikael e Klaus rise appena, scuotendo il capo.
« Dare la caccia a Nik era come darla a tutti noi,» cominciò duramente Rebekah, avvicinando fulmineamente a suo padre, standogli di fronte senza alcuna paura. Mikael la guardò, il corpo proteso verso la sua unica figlia, e Nicole poté vedere negli splendidi occhi della vampira delle lacrime amare, « È nostro fratello, siamo cresciuti insieme e non mi importa cosa tu possa dire per sminuire il nostro legame con lui. Rimarrà sempre Nik, di chiunque sia figlio,» tuonò categorica e Klaus alzò lo sguardo su di lei. Era semplicemente meravigliato da quella confessione. A loro non importava da dove provenisse. Era sempre Niklaus, il ragazzo timido che soleva piangere di notte per la violenza delle percosse che suo padre gli infliggeva senza ragione alcuna.
« Io stesso non avrei saputo dirlo meglio,» mormorò dolcemente Elijah, con un lieve sorriso che gli lambiva anche gli occhi scuri. Un suono ridestò tutti e Elijah si voltò di scatto verso la sua fonte. Era il cigolio di una porta che veniva aperta. Nicole si volse a tre quarti e vide avanzare una figura femminile avvolta da un abito lungo, antico, che la sfiorava interamente. Aveva lunghi capelli biondi che, come onde, ricadevano sul petto e un viso gentile e magro su cui brillavano due occhi che incutevano soggezione, ma anche benevolenza. Nicole seppe chi era prima ancora che Rebekah la chiamasse madre. Non poteva che essere lei, Esther, la strega originale. La sua magia era così potente da farla tremare. Schiuse le labbra, sorpresa, e indietreggiò di un passo per permetterle di avanzare verso Klaus. Non guardò nessun altro, se non suo figlio, e Nicole tornò a lui. Stava piangendo. Quasi sussultò per quella consapevolezza. Avrebbe voluto tanto stringerlo a sé, ma rimase al suo posto. Aveva il capo chino e timoroso, come se avesse il terrore che, se avesse guardato sua madre, gli dei gli si sarebbero rivoltati contro. L’aveva uccisa, le aveva strappato il cuore dal petto e mai, mai avrebbe ricevuto il suo perdono, l’indulgenza della donna che l’aveva messo al mondo, andando contro suo marito. L’aveva tenuto con sé, Esther, sebbene la sua magia avesse potuto annientarlo già da quando era solamente un embrione. L’aveva tenuto con sé, sperando di poterlo rendere un uomo migliore rispetto a suo padre, il licantropo stregato da lei a tal punto da non potersi impedire di averla con sé, solo per una notte. Klaus non sollevò lo sguardo mentre tremava.

« Guardami,» gli ordinò facendo fremere persino lei. Nicole si trattenne a stento dal raggiungerlo completamente, ma avanzò sino a stringere la mano di Rebekah ancora di fronte a suo padre. Notò che Mikael non scostava gli occhi, meravigliati e stupefatti, per una volta privi del solito gelo, dalla figura di sua moglie nemmeno per un secondo. Klaus lo fece, la guardò, e Nicole sentì un tuffo al cuore quando scorse la sofferenza del pentimento nelle sue iridi chiare, « Sai perché sono qui?» gli domandò con una nota quasi dolce, ma più determinata e risoluta del precedente ordine.
« Sei qui per uccidermi,» affermò Klaus tremante, come se stesse accettando il proprio destino. Rebekah strinse la sua mano con più forza e Nicole le si fece impercettibilmente più vicina.  
« Niklaus, tu sei mio figlio. E sono qui per perdonarti,» esclamò sinceramente prima di volgersi verso gli altri fratelli. Li guardò tutti, Finn, Kol, Elijah, Rebekah e Mikael, mentre Nicole rimaneva ancorata a Klaus. In un passo avrebbe potuto raggiungerlo e baciarlo per non permettere a quelle lacrime di macchiare il suo bel viso, ma attese. Non era il suo momento, « Voglio che torniamo ad essere una famiglia,» continuò con un breve sorriso che avrebbe ricambiato se non fosse stata così presa da Klaus. Stava sollevando il suo sguardo su di lei e Nicole quasi si sentì mancare per il sentimento che vi scorse, « Nicole Bishop,» la chiamò Esther, facendola subito voltare verso di lei.
« Come fai a conoscere il mio nome?» le domandò incredula, aggrottando le sopracciglia dorate. Esther sorrise, criptica, e avanzò verso di lei sino a esserle dinanzi, quasi affiancando suo marito.
« Nell’Altro Lato è possibile vedere tutto ciò che accade su questa terra. Sono stata al fianco di ogni strega Bishop discesa dalla mia amata Rowena, sino a te,» le raccontò con voce dolce, materna, tanto da scaldarle il cuore. Sembrava sua madre, la dolce Miranda, non la vampira Isobel. I fratelli si strinsero impercettibilmente vicino alla sua imponente figura, tutti tranne Elijah che manteneva uno sguardo incredulo e lievemente assottigliato. Esther aveva rapito la donna che aveva amato con tutto se stesso e gli aveva fatto bere il suo sangue quella notte. Nicole non era certa che avrebbe potuto perdonarla con molta facilità.
« Io… comprendo,» sussurrò timorosa e imbarazzata di essere ancora lì. Esther la stava analizzando, come per cercare di carpire ogni suo secreto, facendola sentire quasi a disagio. Era sì abituata a essere scrutata dalle persone, ma non con quella intensità. Nemmeno Carol, prima di renderla la sua favorita, l’aveva guardata tanto a lungo. Esther doveva sapere che oramai lei e Klaus stavano insieme e forse voleva capire se fosse adatta a suo figlio.
« Tua nonna è così orgogliosa di te,» le comunicò facendola sobbalzare per la delicatezza nella sua voce. Lacrime, insieme di dolore e infinito amore, le velarono lo sguardo chiaro e quasi chinò gli occhi al pavimento per quella verità. Elizabeth era orgogliosa di lei, sebbene fosse innamorata di un Antico, sebbene avesse messo la propria magia al servizio dei vampiri, « Mi ha detto di comunicarti tutto il suo dispiacere,» continuò Esther, facendola nuovamente immergere nel mare calmo che erano i suoi occhi marroni, come quelli di Elijah, Finn e Kol. Nicole aggrottò le sopracciglia, rimanendo fermamente ancorata alla mano di Rebekah ancora posata sulla propria.
« Per cosa?» le domandò incredula, confusa. Sua nonna non aveva nulla da farsi perdonare, non da parte sua. Esther sospirò e le sue labbra si strinsero in un’espressione sofferente ed empatica, prima che muovesse un altro passo verso di lei.
« Perché, se lei non ti avesse avviato alla magia, non avresti dovuto subire l’ira del Consiglio,» le chiarì sottovoce, come se temesse di vederla piangere. Doveva aver superato il suo esame.
« Cosa? » domandò quasi scandalizzata, sgranando gli occhi limpidi, « No, no, no. Non è colpa sua, non ho mai pensato che lo fosse,» continuò più dolcemente, a stento trattenendosi dal tremare, « È stata solo colpa mia. Non sarei dovuta intervenire,» aggiunse con amarezza, chinando il capo verso il pavimento. Era vero. Se non fosse intervenuta a salvare la vita di quella vampira, non sarebbe mai andata via. Lei ed Elena si sarebbero riappacificate, così come con sua madre. Avrebbe ripreso la sua vita, risorgendo dalle ceneri che le avevano lasciato il fumo, il bere e la collera. Avrebbe salvato Jeremy e forse non sarebbero morti nemmeno i suoi genitori. Sì, se non fosse intervenuta, la sua esistenza sarebbe stata più felice. Avrebbe chiarito con John e sarebbe stata di aiuto per Elena in quella situazione coi vampiri. Ma avrebbe odiato Klaus, non avrebbe tentato nemmeno di conoscerlo, di comprenderlo, di amarlo. E lui sarebbe rimasto solo, senza nessuno che lo amasse per ciò che era, non per ciò che sembrava. No. Non avrebbe mai voluto dimenticare quello che le era accaduto con Klaus. Mai. Klaus era la più bella cosa che le era capitata. E poi Isobel sarebbe morta e lei non avrebbe avuto alcuna possibilità di sapere qualcosa su di lei, di imparare a volerle bene, di vedere il suo sorriso inorgoglito e immensamente dolce, materno, « È solo che era la mia mamma. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarla morire, permettere che andasse via, che mi abbandonasse un’altra volta? » domandò a nessuno in particolare. Quelle richieste erano per se stessa. Avrebbe avuto davvero il coraggio di abbandonare sua madre al proprio destino? Avrebbe avuto davvero il cuore di pietra di guardarla morire con un paletto conficcato nel petto, senza intervenire? No. Non avrebbe mai potuto abbandonarla. Però lei l’aveva fatto. Era scomparsa, dalla sua vista, dalla sua vita per un altro anno, prima che John gliela presentasse, come non sapendo che era a lei che doveva far risalire la sua guarigione accelerata, « Effettivamente dopo l’ha fatto, quindi…,» si bloccò con un sorriso ironico, prima di alzare il capo e puntare gli occhi in quelli di Esther. Elena l’avrebbe fatto? Se sua sorella fosse stata al suo posto avrebbe aiutato sua madre o avrebbe lasciato morire la donna che l’aveva abbandonata per inseguire i sogni di gloria e immortalità? Probabilmente no. Sarebbe rimasta e l’avrebbe offerto il proprio aiuto.
« Ma perché?» domandò Rebekah quasi collerica, non comprendendo cosa le fosse passato nella mente in quegli istanti.
« Cosa? » le chiese confusa, voltandosi a guardarla, la mano ancora stretta nella sua.
« Damon ci ha raccontato di aver letto che tuo padre fece giurare di non dire nulla ai tre mi esimo da dire cosa,» sputò le ultime parole con sdegno e un’espressione di puro odio negli occhi azzurrini.
« Sì, è così,» si affrettò ad asserire. Suo padre aveva anche bruciato le carte e tutto ciò che poteva metterla in una posizione scomoda. Non voleva che qualcuno sapesse di lei, di quello che le era accaduto. Aveva agito in preda alla rabbia di saperla lontana, ferita e completamente sola, senza nessuno che potesse prendersi cura di lei.
« Però tu non c’eri più. Perché te ne sei andata?»
« Perché mi sentivo soffocare lì sotto.» Era vero, era fuggita da quella prigione per quel motivo, ma non era l’assoluta verità e Rebekah lo comprese, « Mi veniva da piangere e così sono salita, Dio solo sa come abbia fatto. E lì c’era mia madre, Isobel. Sapevo che era lei, lo sapevo dall’inizio, da quando l’avevo vista nel parco. Se l’avessi lasciata lì, se me ne fossi davvero andata e se avessi permesso che Richard la uccidesse, la portasse via da me per sempre, avrei perso ogni possibilità di conoscerla, di sapere perché ha fatto quello che ha fatto, di sentire perché, perché avesse preferito abbandonarci piuttosto che prendersi cura di noi. E perché non volevo, non riuscivo a guardare mio padre negli occhi sapendo che per colpa mia era stato costretto ad abbandonare quella che era la sua casa, » le raccontò accorata, tentando di trattenere le lacrime. Suo padre avrebbe lasciato tutto per lei e per Elena. Sarebbe anche morto pur di saperle al sicuro. Per lui erano sempre venute prima loro rispetto a ogni altro bene. E per quello le aveva lasciate nelle mani di Grayson e Miranda, sapendo che sarebbe stati genitori migliori. 
« E ne è valsa la pena? » domandò Finn facendole udire per la prima volta la sua voce. Era lievemente roca, come quella di Klaus, ma di una tonalità più baritonale. Nicole lo guardò. Come sua sorella, anche lui era piuttosto dubbioso. La giovane quasi scosse il capo. No. Non era valsa la pena. Sua madre era solo un’egoista e boriosa vampira che le aveva abbandonate per i suoi capricci di bambina. Aveva persino lasciato suo marito, che aveva giurato di amare con tutta se stessa, per divenire un vampiro. E poi si era presentata alla porta di suo padre, di John, come per domandargli di accoglierla nuovamente con sé. John l’amava, da sempre, dalla prima volta in cui l’aveva vista con la divisa da cheerleader dell’High School del paese vicino. E Isobel l’aveva usato per poi buttarlo via. Non l’aveva mai ricambiato e gli aveva spezzato il cuore.
« Io penso… di dover andare, adesso,» sussurrò riprendendosi da quel momento di puro dolore. Suo padre non meritava di aver sofferto a quel modo per una come Isobel. Suo padre era un uomo buono e gentile, onesto e sincero, « Avrete tanto di cui parlare e…,» si interruppe, sorridendo appena, e guardando soprattutto Esther.
« Ti accompagno a casa,» mormorò Klaus quasi atono, monocorde, come se lo sbigottimento precedente non fosse ancora passato. Mosse un passo verso di lei e le vide scuotere gentilmente il capo, distendendo le labbra in un sorriso più ampio e dolce.
« No, Klaus, non ce n’è bisogno. Rimani qui, con la tua famiglia. È giusto che sia così,» esclamò delicata, guardando in quelle iridi limpide che l’avevano stregata sin dal primo istante, sebbene non se ne fosse resa conto prima. Klaus sorrise, sornione quasi, e scosse il capo. 
« Permettimi almeno di accompagnarti alla porta,» enfatizzò sereno, leggero e felice. Nicole annuì ed Esther fece un passo indietro verso suo marito e sua figlia per lasciar passare Klaus. Rebekah le baciò gentilmente la guancia e Nicole le sorrise dolcemente, come per ringraziarla di quell’affetto. Camminarono verso la soglia a passo lento e calmo e Klaus si chiuse la porta di casa alle spalle. Sembrava ansioso, come se avesse voluto dirle qualcosa di estremamente importante, ma non trovava le parole giuste. Nicole gli sorrise, incoraggiante e Klaus la strinse a sé, attirandola cingendole la vita con un braccio mentre l’altra mano le sollevava il mento, facendo quasi combaciare i loro volti, « Sei arrabbiata con me? » le domandò preoccupato, guardandola a lungo negli occhi. Nicole sciolse il sorriso e quasi chiuse i propri con un sospiro.
« Purtroppo no,» sussurrò abbandonandosi a lui. Klaus avrebbe potuto fare di tutto e avrebbe sempre ricevuto il suo perdono perché l’amore nei suoi confronti superava ogni altro bene. Schiuse gli occhi nel sentirlo sobbalzare e lo guardò interrogativa.
« Purtroppo? Perché? » domandò quasi offeso da quella risposta, come se avesse preferito che gli avesse detto di essere arrabbiata con lui piuttosto che sentirla in colpa. Nicole sospirò ancora e posò le labbra sulle sue in un casto e dolce bacio.
« Perché, se fossi arrabbiata con te, apparirei molto più integra e morale agli occhi degli altri,» gli confessò quasi divertita prima che Klaus la baciasse con più passione, facendole dimenticare ogni altra cosa che non fosse lui.
« Spero che domani tu voglia parlarne con me,» sussurrò quando si scostarono, dopo molti istanti. Nicole aveva le gote arrossate e lo sguardo sognante, ma si riprese subito nel sentirlo così preoccupato per lei, « So di non poterti essere di alcun aiuto adesso, ma vorrei che…»
« Grazie, Klaus,» lo interruppe con il cuore in gola per l’emozione. Lui poteva aiutarla, molto di più rispetto a quello che avrebbe potuto fare nessun altro perché Klaus l’amava, sebbene non l’avesse ancora ammesso ad alta voce. Non le importava. L’avrebbe detto lei per entrambi, sino a quando non ne fosse stato capace, « Adesso vai. Hai aspettato tanto questo momento. Non voglio che si rovini per colpa mia,» mormorò ironica e divertita, ridendo appena. Klaus scosse il capo, seriamente, con foga persino e l’attirò maggiormente a sé. « Dolcezza, non essere ridicola,» le soffiò tra i denti, scandendo ogni sillaba per farle entrare quel messaggio nella mente. Poi la baciò, ancora una volta, travolgente come un fiume in piena e Nicole sorrise sulle sue labbra, « Sei davvero sicura di poter tornare a casa?»
« Sì, non preoccuparti. Sto bene,» gli assicurò, senza mentirgli. Grazie a lui stava già molto meglio. Klaus annuì, soddisfatto, e sciolse la presa permettendole di andar via. Nicole sentì qualcosa vibrare nella tasca dei jeans di un blu chiaro che indossava ed estrasse il telefono. Una foto di sua sorella sorridente, scattata qualche anno prima appena lo zio John le aveva regalato quel telefono, le rivolse uno sguardo dolce mentre Nicole tremava impercettibilmente. Klaus le carezzò la guancia e le baciò la fronte prima di entrare in casa e lasciarla sola sulla soglia. Aveva compreso che desiderava parlarle da sola, che, se proprio doveva farlo, preferiva non avere nessuno dinanzi a sé per poter anche solamente piangere. Rimase inchiodata lì, incurante che i fratelli e i genitori di Klaus potessero udirla. Le gambe si rifiutavano di camminare e avanzare verso la jeep. Accettò la chiamata e si portò il telefono all’orecchio. Sentì sua sorella sospirare appena e comprese che per quella sera non aveva ancora terminato di soffrire.
« Nicole, ciao. Tutto bene? » le domandò con la voce tremula e lievemente rotta dalle lacrime che probabilmente stava trattenendo. Nicole chiuse gli occhi e si sedette sullo stesso scalino di prima, sentendo quanto male le procurasse quel tono.
« Perché quel tono, Elena? C’è qualcosa che dovrei sapere? » le chiese. Voleva che fosse veloce. Chiuse gli occhi e si abbandonò alla colonna di marmo bianco sulla sinistra. Elena sospirò nuovamente e sul viso della giovane strega fluì una lacrima che inumidì la gota sin troppo pallida e cerea.
« Damon te l’ha detto,» affermò monocorde. Nicole rise, lievemente, e scosse il capo, abbracciandosi le ginocchia e raggomitolandosi come una bambina.
« Elena, non avevo bisogno di sentirlo raccontare da Damon. Io ero lì,» soffiò leggera, con un sorriso ironico sulle labbra esangui.
« Perché? Perché non ci hai detto nulla? Io ho pensato che…»
« Cosa hai pensato, Lena? » le domandò esasperata, issandosi in piedi con un balzo felino. Aveva riacquistato le forze sentendo quelle domande veloci e tristi.
« Io pensavo che fosse colpa mia, per quello che ti ho detto quella notte,» le confessò piangente. Nicole poteva sentire i suoi sensi di colpa anche attraverso quel gelido apparecchio e sorrise, più dolcemente, « Mi dispiace tanto, Nicole. Sono stata una stupida e non avevo il diritto di dirti quelle parole così sciocche. Io…,» si interruppe non sapendo come discolparsi e Nicole scosse il capo. Non era colpa sua, non lo era mai stata e non l’aveva mai pensato.
« Era la verità, Lena,» esclamò semplicemente, con le lacrime agli occhi, « Mi stavo rovinando la vita per qualcosa che non ci sarebbe dovuto nemmeno essere,» continuò quasi sbuffando. Da quando aveva saputo che John era suo padre, da quando aveva saputo che le avevano mentito per una vita intera, aveva sentito una collera immensa ribollire nelle sue arterie, una collera inutile e insensata. Avrebbe potuto parlare, sfogarsi, urlare, ma aveva trattenuto tutto dentro di sé, proprio come il giorno del funerale di sua nonna.

John stava andando via, un’altra volta, triste come mai lo era stato. Stava facendo le valigie nella loro camera degli ospiti e Nicole lo aveva raggiunto a braccia conserte, un’espressione tremenda negli occhi. Era rabbia, mista a vergogna e a sdegno. Aveva battuto il tacco, poco marcato, delle sue decolté nere e John si era voltato di scatto. L’aveva guardata quasi impaurito e tremante, ma Nicole non aveva ceduto nemmeno per un istante.
« Nicole, tesoro mio,» la chiamò preoccupato, avanzando verso di lei. Nicole rise, lievemente, con scherno e derisione, e scosse il capo per poi poggiarlo sullo stipite della porta, inclinandolo come quello di una bambina curiosa. Nel sentire la sua risata, John si arrestò sul posto, a un paio di metri da lei, guardandola in quel modo supplice che l’avrebbe fatta sorridere dalla tenerezza in una vita precedente.
« Non sono il tuo tesoro, Jonathan, quindi non sforzarti a usare dei nomignoli inutili,» esclamò lieve, carezzevole quasi, strafottente e caustica. La parte più dolce, quella che perdurava a farla tremare dinanzi all’uomo che oramai sapeva essere suo padre, odiò quel tono malizioso e saccente, detestevole, ma era stata soffocata da quell’anima tradita e umiliata da quella verità sconvolgente. John avanzò di altri tre passi, a un soffio da lei, con le braccia che ricadevano lungo i fianchi fasciati dall’orlo della giacca di elegante raso nero che aveva indossato per il funerale di sua madre.
« Nicole, ti prego ascoltami,» cominciò ragionevole, sfiorandole le braccia. Come scottata, Nicole lo scansò malamente e John, amareggiato, tornò alla sua vecchia posa vedendo nei occhi limpidi, così tanto simili ai propri, v’era una rabbia che non aveva mai scorto negli occhi di nessun altro.
« Non ho bisogno di alcuna spiegazione,» soffiò irata, assottigliando lo sguardo ceruleo. John sobbalzò per quel tono, « Le carte parlano da sole. Tu non ci hai volute, siamo state un errore e ci hai scaricato all’unica persona che voleva davvero avere un bambino,» sputò quelle parole con sdegno e risentimento, le lacrime che premevano agli angoli degli occhi, ma che, fieramente, ricacciò indietro. John la guardò e nuovamente le sfiorò le braccia. Quella volta Nicole non si scansò, ma un’espressione di puro disgusto le increspò le labbra sottili ed esangui.
« Nicole, non dire così,» la pregò duramente.
« Non osare toccarmi,» quasi sibilò indispettita. Non aveva alcun diritto di parlarle in quel modo, di guardarla come se fosse la più bella tra le creature, come se l’entità più magnifica e pura. Lui era suo padre, ma non aveva esitato un secondo a tradirla, a volgerle le spalle e ad abbandonarla. E Nicole lo odiava per quello, « Non ho bisogno della tua stupida pietà.» John quasi soffiò per quel tono così indisponente. Se solo l’avesse ascoltato, avrebbe capito che la sua non era pietà o commiserazione, o compassione. Il suo era amore, amore infinito nei confronti di quella splendida giovane donna ferita e tradita nel peggiore dei modi, « Ho dovuto scoprirlo da me. Per tutti questi anni io...,» si interruppe, stringendo i pugni e cominciando a percuotergli il petto. Le lacrime oramai fluivano senza posa sulle sue gote arrossate dalla vergogna e John la lasciò fare. Se voleva colpirlo, era libera di farlo. Se voleva fargli del male, ne aveva il diritto. Mirava al cuore, Nicole, mirava a quel cuore che credeva essere di pietra. Chi mai avrebbe potuto guardare sua figlia da lontano senza far nulla per averla con sé? Solamente un insensibile, gelido, imperturbabile, muro di cemento armato. Quella consapevolezza la impetri. Smise di colpirlo e le gambe non ressero più il suo peso. Si piegarono e per un istante pensò che si sarebbe trovata in ginocchio dinanzi a quel muro, ma John si animò e la sorresse, cingendole la vita con un braccio mentre l’altro ancora ricadeva lungo il fianco, come se volesse sfiorarla il meno possibile. Le lacrime smisero di inumidirle le guance e spalancò gli occhi prima di liberarsi della sua presa e arretrare di un passo, « Vai al diavolo, John, davvero. Ti odio, ti odio con tutto il mio cuore,» gli sputò quelle parole con rabbia, risentimento e dolore infinito. John chinò il capo per un attimo, turbato da quell’odio che proveniva da quelle labbra così dolci e pure. Era solo una bambina, non poteva provare tutto quell’odio.
« Nicole, bambina mia, calmati,» le sussurrò dolcemente. Nicole lo guardò, sorpresa per un attimo, mostrandogli il suo cuore ferito e immensamente candido, poi scosse il capo e la sua espressione divenne di pietra.
« Bambina mia? Come osi chiamarmi così dopo tutto quello che hai fatto? Io non sono la tua bambina, non sono la bambina di nessuno. Mi avete tradito tutti quanti, mi avete pugnalato alle spalle,» quasi urlò incollerita come solo una donna tradita poteva essere. John le carezzò la guancia, attento e accorto, non volendo ricevere un altro rifiuto. Non l’avrebbe potuto sopportare, non da parte di quella bambina che l’aveva sempre adorato come un secondo padre. John era cosciente che Nicole provava per lui un affetto così grande e puro da potergli riempire il cuore. Elena non era mai stata affettuosa, con lui, come Nicole.
« Ti capisco, Nicole,» sussurrò dolcemente, paterno, continuando a sfiorarle la gota inumidita con delicatezza.
« Non è vero,» contestò meno arrabbiata. Quel tocco infantile la stava calmando, o forse doveva sembrarle talmente patetico in quel tentativo di riconciliazione da farle provare pietà per lui. Non gli importava. Era sempre stato patetico. Avrebbe accettato di tutto pur di essere al fianco di quella figlia che aveva sempre desiderato.
« Invece sì. Tesoro, io so che adesso mi odi, che adesso sei arrabbiata con il mondo intero, ma io ti amo così tanto,» le confessò accorato, prendendole il volto tra le mani.
« Mi ami? » gli domandò incredula, con il cuore che batteva come quello di un colibrì. John sorrise e annuì. Era vero. Amava Nicole ed Elena a tal punto che avrebbe dato la vita per loro. Nicole lo guardò, tremante, per un solo istante, poi la rabbia riaffiorò e scosse il capo con foga, liberandosi da quella stretta, « Non è vero, non ti credo. Tu non mi ami, così come non mi amano Grayson e Miranda, così come non mi amano la nonna e Tyler. Mi avete abbandonata, tutti, e mi sento così tradita che…,» si interruppe mentre gli vedeva volgere le spalle e avanzare velocemente verso la valigia. La chiuse con un tonfo fragoroso, ma Nicole poté udire perfettamente un singhiozzo provenire dalle sue labbra sottili. Le spalle gli si incurvarono verso il basso prima che prendesse il bagaglio color della notte. Nicole sgranò gli occhi, confusa. Lei gli stava parlando, gli stava aprendo il suo cuore e lui le aveva, ancora una volta, voltato le spalle, per mostrare che anche un muro di pietra poteva soffrire, che anche una roccia fredda poteva sgretolarsi dinanzi al dolore per piangere lacrime di rugiada, « Che diavolo stai facendo? » gli domandò con la voce arrochita dalla collera. John si volse, mostrandole le lacrime che gli stavano inumidendo le gote abbronzate, e poi avanzò verso di lei.
« Sto andando via, Nicole, e non tornerò sino a quando tu non mi vorrai. Sto andando via perché so che ti fa male vedermi qui, nella tua casa, con i tuoi veri genitori. Ti hanno cresciuta, con amore infinito, e sapere che io sono il tuo padre biologico non deve cambiare nulla per te. Io sono tuo zio, non tuo padre. Nel tuo cuore,» sussurrò abbattuto, ferito, sconfitto prima di sfiorarle il cuore sopra il cotone del suo abito nero e semplice, un tubino senza scollatura e lungo sino al ginocchio.
« Se davvero vuoi abbandonarmi un’altra volta, non tornare mai più e soprattutto brucia quelle carte di adozione,» esclamò con rabbia e risentimento, la voce più acuta e disgustata, « Io non voglio che mia sorella, che Elena, possa un giorno venire a conoscenza di questa… di questo evento,» si bloccò. Avrebbe voluto dire che era un’infamia, ma era davvero troppo esagerato, «Ne morirebbe,» gli sibilò prima di girare i tacchi e avanzare verso la camera che condivideva con sua sorella. Prima che potesse udire nuovamente la voce di suo padre, chiuse a chiave la porta alle spalle e si lasciò cadere contro il muro. Si asciugò quelle lacrime che rischiavano di fluire sulle guance, ferendosi gli zigomi. Si ripromise che non avrebbe più pianto per lui, per quell’uomo che stava scendendo le scale di casa sua e la stava abbandonando. Un’altra volta. Per sempre.  

« Ero così arrabbiata, sorellina, con tutti,» mormorò riaffiorando da quel mare di ricordi confusi che le avevano occupato la mente per un solo istante, « Con Grayson e Miranda perché ci avevano mentito, con John che ci aveva abbandonate, con la nonna perché era morta e mi aveva lasciata da sola, persino con te perché tu non sapevi nulla e continuavi la tua vita senza conoscere la realtà. Quindi sì, Elena, mi stavo rovinando la vita e stavo portando Jeremy nel baratro con me. Non avrei mai dovuto farlo entrare nel gruppo, non avrei mai dovuto permettergli di fumare e bere, non avrei mai dovuto permettere…»
« Basta, ti prego, smettila,» la interruppe. Stava piangendo, lo poteva percepire dalla sua voce rotta e tremula, da quel tono supplicante che mai, mai le aveva sentito adoperare. Nicole chiuse gli occhi e si portò una mano alla tempia. Non avrebbe voluto che piangesse, non sua sorella, non quella splendida ragazza dal cuore grande e puro. Non meritava tanta afflizione nella sua vita, « Per favore,» la pregò supplice come se dovesse ricevere la redenzione da un’entità superiore, « Fa già abbastanza male sapere che… che tu, la mia splendida, meravigliosa sorella, quella roccia che non avrebbe mai potuto essere scalfita da nulla e allo stesso tempo quell’eterno simulacro di innocenza e ingenuità, sia stata…,» si interruppe costernata. Non voleva continuare, non poteva esprimere ad alta voce ciò che le avevano fatto. Era impensabile per lei. Nicole sorrise, dolcemente e notò che v’era qualcuno poggiato sulla soglia. Con la coda dell’occhio si accorse che era Rebekah pronta darle il proprio supporto. La vide avanzare verso di lei e si sentì cingere le spalle.
« Dillo, Elena. Coraggio,» la spronò delicata. Voleva sentirlo da lei, voleva spezzare quel tabù. Solo così avrebbero potuto continuare la loro vita, senza rimorsi e rimpianti. Solo così avrebbero potuto superare quell’ostacolo ostico che le aveva divise. Era un sacrilegio dividere due gemelle, ma nessuno se ne era curato, « Che cosa mi hanno fatto?» Elena sospirò, ma comprese che quella doveva essere anche la sua volontà.
« Ti hanno torturata perché sei una strega,» sussurrò a fatica, monocorde, cadaverica, come se quella verità le avesse tolto ogni forza e non fosse più in grado di reagire, « E se non ci fosse stato nostro padre, ti avrebbero bruciata viva,» aggiunse con più sentimento. Per la prima volta, almeno dinanzi a lei, aveva detto nostro padre, non lo zio John, e a Nicole quello non sfuggì. Sorrise dolcemente e appoggiò il capo sulla spalla di Rebekah. Profumava di rose e cannella, Rebekah, e quella fragranza le piaceva molto. Era delicata e dolce, mostrava la parte più umana, « E hanno avuto persino il coraggio di scriverlo. Con quel tono formale che mi ha messo i brividi, che ha messo i brividi persino a Damon,» esclamò incredula dinanzi a quella crudeltà. Piangeva a dirotto, oramai, e il cuore di Nicole era stretto in una morsa di puro dolore nel sapere che quella sofferenza non doveva essere presente nel suo animo fiero e indomito.
« Ti prego, Lena, non piangere. Io… sto bene. È passato, è tutto passato, e non posso sentirti così triste.»
« Ha ragione, Elena. Calmati, ora,» sussurrò una voce maschile e dolce. La riconobbe subito. Era Matt, il suo più caro amico. Aggrottò le sopracciglia dorate e Rebekah quasi sbuffò. Probabilmente stava pensando che a Elena non bastavano i due fratelli Salvatore.
« Matt?» domandò incredula.
« Sì. Rick è stato attaccato in casa nostra, abbiamo dovuto portarlo in ospedale e Matt non mi ha voluta lasciare sola,» le raccontò velocemente, preoccupata per l’uomo. Nicole annuì e si trattenne dal chiedere cosa fosse successo ad Alaric. Non credeva di poter sopportare altro per quella sera, e nemmeno Elena.
« Ringrazialo da parte mia. Ascoltami, Elena. Io voglio che tu smetta di piangere, smetta di soffrire e smetta di essere arrabbiata,» le ordinò categorica e risoluta, ma sempre dolce e leggera. Sentì Elena sbuffare e la sua opposizione non si fece attendere che un paio di istanti.
« Come faccio? Ti ho lasciata andare quella notte, per l’amor del cielo. Se fossi rimasta con te, se non fossi stata così dannatamente stupida, non ti sarebbe successo nulla. E invece continuavo a dirti quelle parole che io… Oh Nicole, oh cara, potrai mai perdonarmi?» le domandò incerta di meritare davvero il suo perdono. Nicole sorrise e scosse il capo, esasperata. Non avrebbe mai voluto che loro lo sapessero proprio per quel motivo.
« Non è colpa tua, tesoro. Non devi pensarci nemmeno. Ti voglio così bene, Lena,» la rassicurò blanda e dolce.
« Anch’io,» ricambiò più sollevata e felice.
« Puoi promettermi una cosa, Lena? Non dirlo a Jeremy. Qualunque cosa succeda, per favore, non dirlo al nostro fratellino.»
« Non sono io a doverglielo dire, Cole. Sei tu. Quando sarai pronta,» le mormorò percependo l’avvento di un’opposizione. Nicole non voleva raccontarlo anche Jeremy. La reazione di suo fratello sarebbe stata terribile da sopportare, lo sapeva. Jeremy le proteggeva sempre, a ogni costo, ed era così sensibile che quella verità l’avrebbe scosso nel profondo, « Damon ha bruciato quel… quel racconto. L’ho visto con i miei occhi.»
« Grazie, sorellina. Trascorri la notte in ospedale?»
« Penso… penso di sì. Almeno sino a quando Rick non si sarà ripreso. Tu? Dove sei?»
« Andrò a casa della nonna, non preoccuparti. Ah, Elena, un’ultima cosa,» si ricordò alzando di poco il tono. Il racconto di Stefan le aveva fatto riaffiorare alla mente quale fosse la situazione a casa loro. I sensi di colpa di sua sorella, quel desiderio di perdurare a inseguire la ragazza che era stata prima dell’incidente stavano facendo perdere di vista a Elena il vero significato della sua esistenza. Suo padre, sia Grayson che John, si erano sacrificati per lei, per donarle la vita ed Elena la stava buttando via. Elena si stava buttando via.
« Dimmi,» mormorò gentilmente quando non la sentì parlare.
« Quando ero nel mio periodo oscuro, ho avuto modo di comprendere una cosa che mi ha fatto davvero crescere. Forse è meglio che la dica anche a te. Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere.»

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Capitolo 25
*** Come back to the past ***


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Capitolo 25

Come back to the past

 

Elena rimase in silenzio, per qualche secondo, così tanto da farle credere che avesse riattaccato. Nicole sapeva che non l’aveva realmente fatto grazie al suo respiro concitato e spezzato. Elena non sapeva come replicare a quell’affermazione e la sorella comprese che era proprio quello a turbarle l’esistenza. Elena sognava di poter ancora essere quella ragazza, ma doveva lasciarla andare, doveva rinascere dinanzi a una nuova alba che aveva sconfitto la notte buia e paurosa. Solo così sarebbe potuta essere veramente felice, solo così i fantasmi del suo passato sarebbero scomparsi. Rebekah le posò un ultimo bacio tra i capelli prima di rientrare in casa, comprendendo che oramai per lei era ora di tornarvici per passare una notte da sola, senza il calore e l’amore del suo Klaus. Era giusto che lui parlasse con i suoi fratelli e con sua madre senza interventi esterni. Sebbene necessitasse di lui come l’ossigeno che stava respirando a fatica in quel momento. Comprendendo che era troppo ostico per lei ribattere a quell’affermazione, fu Nicole a interrompere la comunicazione poi si diresse a passo svelto verso la jeep. Era certa che se avesse atteso maggiormente, non sarebbe più andata via. Dinanzi a sé non vedeva che gli splendidi occhi del suo Klaus velati di lacrime mentre osservava la donna che l’aveva messo al mondo un millennio prima. Percepiva dei suoni, avevano cominciato a discorrere tra loro. Riconobbe la voce di Kol farsi più alta e inveire contro suo padre, poi si chiuse lo sportello e scelse di non ascoltare più nulla. Era intimo e privato, non aveva alcun diritto di udirli in quel frangente. Mise in moto e cominciò a guidare per le vie vuote della sua città. V’erano pochi ragazzi per le strade e, sebbene non ve ne fosse necessità, passò per il Grill. Era lì che si radunavano i suoi più cari amici del periodo oscuro. Se Elena l’avesse saputo, probabilmente l’avrebbe uccisa, ma parcheggiò dinanzi al locale ancora aperto e uscì nell’aria fredda e autunnale. Quella sera era stata terribile e poi una sigaretta e un bicchiere di qualsivoglia alcol non l’avrebbero fatta ricadere nel baratro. Con quelle consapevolezze si avvicinò al vicolo laterale dove poteva vedere il rosso di una sigaretta accesa. Le risate erano alte, alcune volgari e maleducate, quelle dei ragazzi presenti, mentre le giovani emettevano dei piccoli versi di appagamento. Era tutto come due anni prima. Stesso posto, vicino ai cassonetti del Grill che, una volta, avevano fatto esplodere  troppo ubriachi e fatti per accorgersi del loro folle gesto. Stesso cerchio. Sembravano quasi un’attività satanista, ma per loro l’ordine era tutto e non lo intaccavano nemmeno quando non si ricordavano più chi fossero. Notò che il suo posto era stato occupato da un altro, ma in quel momento non era importante chi fosse. Riconobbe subito la chioma dorata di Blair e sorrise soddisfatta prima di cercare quella bruna di Morag al suo fianco. Le stava tenendo per la vita e aveva il capo abbandonato sulla spalla, nella mano destra una bottiglia di rum, sicuramente rubata dalle scorte del Grill. 
« Ehi ragazzi, abbiamo visite,» esclamò, sornione e con un velo di malizia e arroganza, quello che prontamente inquadrò come Jack Diaz, il fratello di Morag, quello strano, il ragazzo che, si mormorava, avesse lasciato accesa, di proposito, una candela che aveva incendiato le tende della camera da letto dei genitori mentre questi dormivano quando aveva solamente sette anni. Tutti si girarono a contemplarla mentre Nicole rimaneva all’inizio del vicolo con la spalla destra appoggiata al muro logoro e il capo inclinato, gli occhi scrutanti nell’ombra.
« Gilbert?» domandò incredula, con la voce strascicata a causa dell’alcol, Morag, issandosi quasi in piedi, scattando. Non si sedevano quasi mai, si appoggiavano solamente al corrimano che avevano costruito i ragazzi, ma Morag e Blair, e anche lei dopo esserlo guadagnato, avevano diritto a una mensola. Nicole rise, lievemente, notando quanto fosse ubriaca e li raggiunse velocemente, arrivando al centro del vicolo. Nella penombra della notte riconobbe i visi dei suoi vecchi amici. Jack, scompostamente abbracciato a Gwen, una ragazza dai lunghi capelli rossi come delle fiamme e gli occhi grigi come il mare d’inverno, che si appoggiava al cassonetto per non rovinare a terra. Natalia e Kevin intenti ad amoreggiare, quasi non accorgendosi di lei, troppo presi nelle loro effusioni. L’ultimo ragazzo, seduto a quello che era stato il suo posto sulla mensola, la fece sobbalzare.
« Jer?» lo chiamò incerta. Suo fratello sbuffò e riemerse dall’ombra di Morag, issandosi in piedi e mettendo le mani nelle tasche dei jeans logori. Nicole schiuse le labbra meravigliata nel vederlo con un bicchiere in mano, ma Jer scosse il capo e le fece un cenno verso Morag. La ragazza, quella che era stata l’ultima a vederla quella notte, avanzò verso di lei, traballando sui suoi tacchi vertiginosi e poi l’abbracciò, allacciandole le braccia al collo. Aveva la stessa espressione di una bambina con quelle labbra carnose e rosse, quasi gonfie, imbronciate e umide di rum. A Nicole ricordò terribilmente Rebekah e le sorrise con tenerezza, un sorriso che Morag non ricambiò. 
« Dove diavolo sei stata, maledetta?» le domandò collerica. Il suo alito sapeva di rum, tabacco e il sapore amaro della droga. Erano degli odori così familiari da farle distendere maggiormente le labbra sottili. L’aveva chiamata maledetta, come soleva fare negli ultimi tempi della loro amicizia. Maledetta poiché tutti avevano cominciato a parlarle alle spalle, mormoravano che qualcosa di terribile doveva essere accaduto alla favorita della moglie del sindaco, alla fidanzata del capitano della squadra di football, se si comportava in quel modo. Maledetta poiché sapeva della sua magia, avendola sorpresa a farsi riempire un bicchierino di vodka quando il cameriere del Grill glielo aveva negato. Maledetta poiché tutti la stavano allontanando come se avesse avuto un marchio sulla pelle che mostrava di essere la figlia del demonio. Ed era così che si era sentita. Da parte di Morag non era un insulto, lo sapeva bene. Morag amava quelle che gli altri reputavano stranezze. Morag era diversa dalle altre ragazze, non aveva nulla nella testa, se non un grande ingegno e tanta, troppa, furbizia. Quella ragazza avrebbe potuto carpirle mille segreti senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
« Richmond e poi Chicago,» rivelò atona mentre Morag si scostava di poco, rimanendo comunque ancorata al suo collo. I suoi occhi neri, velati da un trucco pesante di un  blu scuro, sembravano essere soddisfatti da quella confessione.  Si ricordava bene quante volte le avesse detto di fuggire da Mystic Falls e viaggiare per il mondo. In fondo, molto in fondo, era quello che Nicole voleva, ma sicuramente non avrebbe mai desiderato recarvisici da sola. Avrebbe tanto bramato viaggiare con Tyler, durante il loro viaggio di nozze avrebbero potuto fare il giro del mondo. Quel pensiero passato non la intristì più del dovuto. Era quello che le aveva promesso il suo Klaus. Lui l’avrebbe portata ovunque avesse voluto. Sorrise e si morse il labbro inferiore mentre un sorriso malizioso increspava le labbra di Morag. 
« Nemmeno una… una…,» ripeté con la voce arrochita dall’alcol che le stava facendo percepire i suoi effetti, mischiato alla droga. Rise lievemente del suo balbettare e la fidanzata di Jack, Gwen, con lei. Oramai il ragazzo l’aveva lasciata andare e la stava guardando con un’espressione da predatore. Si ricordò di una notte in cui, proprio lì, davanti a tutti, Jack l’aveva presa e l’aveva baciata a lungo, quasi spogliandola. Era totalmente ubriaca e l’aveva lasciato fare, almeno sino a quando non aveva chiuso gli occhi e rivisto le iridi nere del suo Tyler. Si era subito scostata. Era stata una sciocca e aveva sperato che il fidanzato non sarebbe mai venuto a conoscenza di quell’attimo di cedimento. La voce di Morag la riportò al presente, « telefonata, piccola strega?» continuò indispettita. Nicole rise, lievemente, quasi sensuale. Era quell’atmosfera a renderla la stessa ragazza del periodo oscuro, si convinse, o forse era per tutta la tensione accumulata quella sera. Voleva solamente divertirsi un po’, senza eccedere, e poi tornare a casa di sua nonna e sperare che il giorno dopo fosse migliore del precedente. 
« Non ci ho mai pensato, love,» esclamò, tirando fuori uno dei suoi più sfrontati sorrisi. Morag sorrise e Blair scosse il capo, divertita dalla risposta. Si chiese, per un istante, dove fosse Robert prima di notare che non portava più la fedina di argento all’anulare. Dovevano essersi lasciati. Di nuovo, « Adesso allontanati e datemi una sigaretta,» ordinò con finta perentorietà. Morag si allontanò, indispettita, e mugugnò tutto il suo risentimento prima di accomodarsi al fianco di suo fratello e mettere una mano nella tasca dei jeans. Jeremy la lasciò fare e quella consapevolezza le fece schiudere le labbra. Morag indugiò nello sfiorarlo e Jeremy sorrideva, soddisfatto da quella carezza. Decise che non le importava quando vide della sensuale passione nello sguardo dolce di suo fratello.
« Non sei cambiata per niente,» affermò Jack divertito prima che si sedesse al fianco di Blair. Morag le passò una sigaretta, Jeremy la bottiglia e Blair un accendino e li ringraziò con un breve sorriso, « Mi piace,» continuò languido, avvicinandosi a lei mentre accendeva la sigaretta e se la portava alle labbra. Jack le posò i palmi aperti sulle cosce fasciate dal jeans e Nicole trattenne a stento una smorfia infastidita. Le sue mani, grandi e abbronzate, erano diverse da quelle che lei desiderava, quelle di Klaus che la sfioravano con dolcezza, ma tanta, tanta bramosia, come se temesse che la sua forte attrazione potesse turbarla. Prese la prima boccata e si sentì subito meglio. Due anni interi. Era trascorsi due anni dall’ultima volta in cui aveva fumato. A Richmond, ben attenta a non farsi notare da suo padre, beveva un bicchiere di qualsivoglia alcolico ogni domenica, ma non di più, « Ci potremmo divertire come l’ultima volta, che ne dici, love?» le domandò malizioso, facendole un occhiolino. Nicole scosse il capo con foga, poi si abbassò per non espirare dinanzi al suo volto glabro. 
« Non ci pensare, Jackie. Sono impegnata,» chiarì piccata, dinanzi al suo sguardo interrogativo. Sentì gli occhi perforanti di Jeremy fissi su di sé e si immerse in quelli color della notte di Jack.
« Impegnata?» domandò indignato, allontanandosi di poco da lei e assottigliando gli occhi scuri e dardeggianti, ingelositi. Nicole quasi sorrise, internemente, ma si limitò ad annuire con una certa soddisfazione evidente. Non avrebbe permesso che niente e nessuno si mettesse tra lei e Klaus e così sarebbe stato, « Con chi? Sarà sicuramente un damerino ricco e stupido. E borioso. Come quell’idiota di Tyler,» esclamò indispettito. Un lampo baluginò negli occhi chiari di Nicole e sciolse il piccolo sorriso che le aveva fatto sollevare l’angolo sinistro delle labbra, « Oh cielo, non dirmi che è Tyler,» la pregò quasi, disgustato da una simile prospettiva. Nicole si appoggiò nuovamente la sigaretta alle labbra e chiuse gli occhi ispirando.  
« Ma no, fratello,» ribatté Morag incredula e ilare, quando Nicole era in procinto di negare, « Sta con quella sciacquetta della Forbes e Gil è troppo virtuosa per stare insieme a un ragazzo impegnato,» continuò più seria. Tutti la osservarono per quel tono, persino Natalia e Kevin che avevano appena smesso di avvinghiarsi l’uno all’altra e le stavano rivolgendo un sorriso di benvenuto, sino a che non scoppiò a ridere con ironia e sarcasmo. Bevve un abbondante sorso di rum dalla propria bottiglia personale, quasi soffocandosi e Jeremy rise lievemente.  
« Non lo è,» confermò rivolta a Jack, « E fatti gli affari tuoi, Diaz,» esclamò inviperita guardando Morag in tralice. Blair posò una mano sulla sua per riportare la calma e sorrise, tristemente, abbandonando il capo sulla sua spalla. Sembrava stanca, oppure era solamente satura di mestizia. I suoi lunghi capelli biondi le solleticarono la spalla e Nicole la strinse a sé mentre vedeva Jack sedersi sull’asfalto sporco del vicolo, accanto a lei, e quello a Nicole non sfuggì.
« Klaus? » le domandò Jeremy incredulo e sbalordito, negativamente sorpreso. Nicole annuì, sorridendo dolcemente prima di terminare la sigaretta e accendersene subito un’altra dopo una generosa dose di rum, « Davvero? » continuò quasi indignato, con le sopracciglia sollevate e le labbra contratte in una smorfia di puro sdegno. Nicole inclinò il capo e imbronciò le labbra. Per quella sera non voleva ascoltare nessuno, men che meno le critiche di suo fratello. Tutte le sue relazioni erano state più che discutibili, da Vicki ad Anna, e in quel momento, forse, anche Morag. Era una delle sue più care amiche, ma non era per nulla adatta a suo fratello. E poi aveva notato il baluginio di tenero, infantile, imbarazzo quando aveva nominato Rebekah di sfuggita. 
« Jer,» lo riprese scuotendo il capo per comunicargli tutto il proprio disappunto. Jeremy alzò le mani al cielo, poi sorrise e estrasse una sigaretta dal pacchetto. Morag, con un sorriso malizioso, l’accese.
« Sono troppo fatto per dirti di andarti a fare una visita,» affermò divertito prima di ridere e prendere un prolungato respiro, « Ricordamelo domani,» aggiunse più serio, espirando del fumo bianco come le nuvole. Nicole si incantò ad osservarlo mentre si rarefaceva nell’aria e non protestò. Sapeva bene quanto il suo piccolo Jer potesse divenire insistente quando si trattava di lei, o di Elena. 
« Perché una visita? È così brutto?» domandò ironicamente Blair. La sua voce era un tintinnio di campane in quel momento, delicata, armonica, quasi sognante. Nicole la strinse maggiormente, comprendendo che quello era causato dalla mestizia che le oscurava l’animo. Doveva aver litigato furiosamente, lei e Bob, oppure era ancora turbata dalla morte di suo padre, sebbene fossero trascorsi molti giorni dalla notte dell’Illuminazione.  
« Non è affatto brutto,» negò, imbarazzata, avvampando nel ricordare l’avvenenza di Klaus. Sembrava un dio greco, forte e possente, e poi quegli occhi, così profondi da parere un Oceano ricolmo d’arte, cultura e intelligenza. Klaus era davvero l’uomo più bello che avesse mai incontrato, con quel suo fascino misterioso, quei modi cortesi e cordiali, con quelle labbra che non si sarebbe mai stancata di lambire. 
« è solo un cattivo soggetto, un pessimo soggetto,» si corresse Jeremy prima di bere un altro sorso dal proprio bicchiere. Elena sicuramente non sapeva, e non avrebbe dovuto sapere nulla. Era già abbastanza difficile per lei combattere contro gli ostacoli di ogni giorno per preoccuparsi anche di quelli dei suoi fratelli. Nicole non avrebbe detto nulla ed era certa che Jeremy avrebbe fatto altrettanto.
« Oh. Il piccolo Gilbert ha paura per sua sorella. Che cosa tenera, e dolce,» enfatizzò Morag, caustica, prima di ridere di gusto, sguaiatamente, senza un minimo di decoro, e pizzicandogli le guance magre e prive di barba.  
« Ero tenero e dolce anche quando…,» alluse sensuale e malizioso prendendola per i fianchi e baciandola in modo talmente passionale da farle volgere lo sguardo altrove. Era pur sempre il suo fratellino e Nicole non voleva che stesse con una ragazza come Morag Diaz. Terminò la seconda sigaretta e quasi bevve sino all’ultimo, sino a farsi mancare completamente il respiro, il caldo liquore per non percepire i mugolii di piacere provenienti da Morag. Non aveva notato che, oltre a essere divenuto più alto, muscoloso e uomo, il suo piccolo Jer era anche prestante e avvenente e non si stupì che avesse suscitato l’interesse di Morag, sebbene odiasse pensare che, in quel modo, stava nuovamente tradendo Bonnie. Era anche per quello che non voleva dir nulla a Elena. Sicuramente qualcosa sarebbe trapelato e Bonnie ne sarebbe uscita umiliata, proprio come lo era stata lei con Tyler. Non voleva che la sua migliore amica subisse lo stesso trattamento che avevano arrecato a lei. Avrebbe parlato con Jeremy, ma non quella sera, si disse. Quella notte era tutta per lei e non doveva essere annientata da problemi esterni. 
« Zitto, Gil,» mugugnò provocante, sfregando il corpo adulto contro quello di suo fratello. Quasi si issò in piedi e si trattenne a stento dall’emettere un verso di puro disgusto, e diniego. Quello non la aiutava a calmarsi, proprio per nulla. Blair se ne accorse e spostò il capo verso Morag e Jeremy, intenti a ridere lievemente. 
« Morag, rallenta,» la riprese accigliata, pizzicandole il fianco fasciato da una maglietta nera e aderente, che lasciava ben poco all’immaginazione. Morag smise di ridere e spostò lo sguardo sulla sua amica, « Non vedi che effetto ha su Nicole?» continuò più indispettita. Nicole si accorse degli occhi, perforanti come schegge, di Morag fissi su di sé mentre posava la bottiglia, oramai vuota, a terra, a pochi centimetri da suo fratello, e alzò i propri, « È il suo fratellino,» aggiunse ragionevole. Morag sbuffò, mentre Jeremy rimase in silenzio, osservandola senza che dal suo sguardo scuro, ma immensamente dolce, si evincesse un qualche sentimento o una qualche inclinazione. 
« Suvvia, Gil, non sarai ritornata a essere la puritana di un tempo, voglio sperare,» esclamò sdegnata, risentita, odiando il fatto di essere stata interrotta per una così vana ragione. Nicole si trattenne dallo stringere i pugni, ma la guardò con astio che non tentò nemmeno di celare. Per Morag, Jeremy era solo una preda, un stolto come un altro che era caduto nella sua rete di sotterfugi e inganni. Elena aveva ragione, perfettamente, nel dire che quella compagnia era davvero deplorevole.
« Non preoccuparti, Diaz,» soffiò divertita, sorridendo causticamente. Puritana non lo era mai stata, ma certo non sarebbe mai stata così espansiva come Morag. 
« Io non mi preoccupo affatto,» replicò la giovane, ridendo appena e scansandosi del tutto da Jeremy, « Sei tu quella tesa,» continuò oltrepassando, con la mano destra, il corpo di Blair per sfiorarle una mano, quella sinistra su cui spiccava l’anello dei Gilbert, serrata a pugno, « Cos’è? Gelosa?» le domandò con la voce lamentosa di una bambina bramosa di attenzioni. Nicole quasi scattò, ma si trattenne. Erano state amiche, una volta, e non voleva comportarsi male con loro, soprattutto per Blair e Jer, « Per una volta non sei al centro dell’attenzione? » Sobbalzò per quell’ultima domanda. Al centro dell’attenzione. Era vero, sapeva che era dannatamente vero. Lei aveva sempre amato essere al centro dell’attenzione di chiunque, dei suoi genitori, di Elena, di Jeremy, di Tyler, di Carol, « Quando tuo fratello aveva bisogno di te, tu eri a Richmond, o a Chicago a divertirti.» Quella fu l’ultima goccia. Divertirsi? Lei? Aveva tentato di riallacciare il rapporto con suo padre, di costruirsi una famiglia, di far sì che quella luce che era sempre stata la sua non venisse inghiottita dall’oscurità delle tenebre della sua esistenza. A Chicago aveva appreso che poteva essere una strega migliore delle sue antenate grazie a Gloria. Aveva studiato, era cresciuta, maturata, aveva tentato di mutare quegli atteggiamenti infantili che l’accompagnavano dalla fanciullezza e soprattutto aveva compreso che il mondo non era un posto pacifico.
« Sai che c’è, Morag?» le domandò ironicamente, issandosi in piedi, non trattenuta da nessuno, nemmeno da Blair. Morag la guardò, soddisfatta poiché quella inutile discussione era oramai volta al termine, e la invitò a continuare, « Me ne vado a letto. È stato un vero piacere,» esclamò, rivolta anche agli altri, prima di voltare le spalle e percorrere velocemente il vicolo. Una folata di vento gelido la investì, ma non vi fece caso. Era stato causato da lei, dalla sua collera. Si avvicinò alla jeep che avrebbe dovuto restituire a Klaus il prima possibile e percepì dei rumori di passi che si appropinquavano velocemente. Fece scattare la serratura e aprì lo sportello. Non voleva sentire altro quella notte.
« Nicole, Nicole, aspetta, per favore,» esclamò suo fratello, posandole entrambe le mani sulle sue spalle per farla volgere dolcemente verso di sé, ma Nicole si oppose a quella mite presa, e rimase con lo sguardo puntato ai sedili. 
« Torna con i tuoi amichetti, Jer,» mormorò monocorde, atona, quasi insensibile. Sentì Jeremy sbuffare, ancora una lieve pressione sulle spalle, e scelse di tornare a guardarlo. Incontrò i suoi splendidi occhi ereditati dalla loro cara madre e la sua collera vacillò di molto. Era Jeremy, il suo adorato fratello, e mai sarebbe potuta essere arrabbiata con lui. Jeremy fece scendere le mani lungo le sue braccia sino a fare incontrare i loro polpastrelli, poi le allontanò e spostò il peso sul piede sinistro. 
« Erano anche i tuoi, una volta, se mi ricordo bene,» affermò divertito, sollevando le sopracciglia e aggrottando la fronte, un lieve sorriso ironico a increspargli le labbra esangui. Nicole chinò lo sguardo e si cinse le braccia per proteggersi dal gelo. Non doveva averlo causato lei. Oramai quell’ira era scomparsa, lasciando il posto alla tristezza e alla spossatezza. Scosse il capo con foga e rialzò gli occhi determinati e fieri, due mari in tempesta in un cui si lottava per emergere dall’abisso infinito.
« Non adesso, non più,» negò accorata, stringendogli le mani tra le proprie prima di volgere il capo verso casa sua, a sinistra del Grill. Non era più quella ragazza, il periodo oscuro era giunto al termine. Era tornata a essere lei, Nicole Gilbert, non quella di tre anni prima, né quella di due. Era tornata a essere la ragazza che rideva con suo padre e gli preparava la cena, ben attenta a non metterci troppo sale. La prima volta che aveva cucinato per lui, la prima in assoluto in verità, aveva preparato della pasta al formaggio e aveva ecceduto così tanto nel mettere il sale da farla divenire immangiabile. Suo padre aveva riso e aveva mangiato lo stesso, dicendo che era già abbastanza che fosse lì, con lui, per lui, che fossero lì insieme. Nicole avrebbe tanto voluto ci fossero due persone lì con lei e fu a una a cui volò il proprio pensiero, « Elena… oh cielo, Elena mi ucciderebbe davvero,» esclamò esasperata, poggiandosi alla jeep e passandosi una mano tra i capelli sciolti, socchiudendo gli occhi. Jeremy le posò i palmi aperti sulle braccia e si avvicinò di un passo, spostando il capo sotto il proprio per poterle guardare gli occhi. 
« Elena? Cosa c’entra Elena adesso?» domandò incerto. Nicole lo osservò nuovamente, le labbra serrate, poi sbuffò e scosse il capo. Se avesse parlato, era certa che non si sarebbe mai potuta fermare. Ma non si trattenne. 
« Siamo i suoi fratelli e la stiamo lasciando da sola a occuparsi di questo immenso disastro,» rispose esasperata, sgranando gli occhi e posando una mano sulla tempia. Le stava salendo un forte mal di testa provocato dall’alcol che aveva ingerito in pochi secondi. Stava defluendo in tutte le cellule del suo corpo che divennero tese e irrequiete. Gli occhi di Jeremy si assottigliarono e scostò le mani dalle sue braccia, sbuffando per tutto il proprio disappunto. 
« No, tu ci hai lasciati soli contro questo disastro,» esclamò indispettito, puntandole un dito contro, accusatore e orgoglioso. Nicole quasi chinò il capo, costernata, « E poi sei tornata qui per il funerale dello zio John, bellissima e fiera, sempre con quel carattere forte e indomito, con quella testa orgogliosamente tenuta alta,» ricordò dispiaciuto quanto lei, abbassando il dito e facendolesi più vicino. Le sollevò il mento con delicatezza infinita e fece scontrare le loro iridi completamente dissimili, « Ma quegli occhi, Dio mio, avrei tanto voluto che tu avessi uno specchio per vedere com’erano i tuoi occhi,» affermò sgomento, « Gelidi, imperturbabili, un muro di cemento armato. Fu come se mi avessero pugnalato dritto nel cuore quella mattina, dopo il sacrificio. Perché Elena stava così male, ma tentava di essere forte. Quando le consegnai la lettera dello zio John, mi rinchiusi in camera mia, ma la sentì piangere comunque. Quando tornammo a casa, Elena non mi guardò nemmeno in volto prima di serrare la porta della sua stanza, della vostra stanza. Per non farmi soffrire,» le raccontò con il petto scosso dai singhiozzi e dalle lacrime che stavano fluendo sulle sue gote pallide. Nicole tentò di rivolgere lo sguardo altrove per non vederlo piangere, le avrebbe fatto troppo male, ma rimase ancorata a lui, per non perderlo per sempre, « Cosa diavolo avevi quel giorno, Nicole? » le chiese irato, collerico, inchiodandola alla jeep, « Per l’amor di Dio, siamo i tuoi fratelli e…»
« Avevo appena perso mio padre, Jer,» lo interruppe sgomenta quanto lui. Non era un muro di cemento armato, non era gelida e non era nemmeno imperturbabile. Stava così male che le gambe le tremavano, ma aveva schiacciato il pulsante e non aveva permesso alla sua umanità di riaffiorare sino a quando non era tornata in macchina, « Come diavolo credi tu che mi sentissi io? E quel gelo, quella freddezza, quella calma, erano un modo per…,» si interruppe. Non voleva, non poteva esplicare ad alta voce quello che stava pensando. Non dinanzi a suo fratello.
« Un modo per?» la incalzò atono e monocorde.
« Per… farmi… per farmi odiare da voi,» rivelò imbarazza, sottovoce, quasi sperando che non la udisse davvero, prima di chinare il capo. Jeremy perdurò nel sollevarle il mento e Nicole tenne gli occhi fissi nei suoi.
« Cosa?» le domandò incredulo, con la voce acuta e instabile.
« Volevo che voi comprendeste che oramai ero irrecuperabile, che non dovevate più soffrire per una causa persa come me.»
« Tu non sei una causa persa…,» esclamò stringendola tra le sue braccia forti e protettive. Non v’era nulla di più bello, di più profondo, di quel contatto e Nicole si lasciò cingere da lui sino a quando non le prese il volto tra le dita. Causa persa. Avrebbe voluto lo pensassero davvero. Avrebbe voluto non la cercassero mai più per non dover soffrire. Avrebbe voluto, sì, ma non era stato così. Jeremy ed Elena non si erano dimenticati di lei, non si erano arresi nemmeno per un secondo, e li ringraziava così tanto per non averla lasciata sola, « Credi che saremmo mai riusciti ad arrenderci con te? Cielo, pensavo fossi ingenua, non stupida,» esclamò, ricevendo un’occhiata torva, « Sei nostra sorella, Nicole, e noi ti amiamo. L’abbiamo sempre fatto. Siamo una famiglia. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro, ci aiutiamo a vicenda. Non potremmo odiarti mai, nemmeno se avessi compiuto dei crimini orribili,» le rivelò dolcemente, sorridendo, prima di posare le labbra sulla sua fronte. Nicole chiuse gli occhi e sorrise a sua volta prima di scuotere il capo. 
« Sarebbe stato più facile se voi mi aveste odiato, sai? Sarebbe stato più semplice pensare che eravate felici senza di me. Volevo che voi foste felici, Jer. Tutti voi. La mamma, papà, tu, Elena, lo zio John, la zia Jenna, Care, Bonnie, Mattie, Tyler. Volevo che le vostre vite fossero serene.»
« Ma non è stato così. La mamma e papà sono morti, così come gli zii. Care è una vampira, ha appena perso suo padre e il suo ragazzo l’ha morsa. Bonnie è una strega e io l’ho tradita nel peggiore dei modi. Tyler è stato asservito a un pazzoide. Matt è l’unico che potrebbe avere una vita normale, ma così perderebbe tutti noi e non può permettersi di perdere nessun altro dopo Vicki. Ed Elena, dobbiamo seriamente parlare di che casino è diventata la vita di nostra sorella, Nicole?» le domandò ironicamente divertito, sarcastico, sbuffando. Nicole scosse il capo, ridendo amaramente. L’aveva ben delineata nella sua mente la situazione della sua sorellina. Non serviva esplicarla, « E la tua di vita, sorella? » continuò dolcemente, riportandola alla realtà. Alzò il capo di scatto, sgranando gli occhi. In quelli di suo fratello non vide che dolore, afflizione e mestizia. Lui sapeva. Come Elena. Aveva fallito. Non era riuscita a proteggere nessuno dei due da quell’amara verità, da quel passato che sembrava artigliarla per riportarla a sé. Doveva combattere. Ancora una volta.
« Tu… sai? » sussurrò con un filo di voce, sperando che negasse, che le dicesse che non sapeva di cosa stesse parlando, ma Jer annuì, spezzando quell’inutile speranza.
« Ho sentito Damon ed Elena che ne parlavano. Sai, non volevo origliare, ma Elena stava piangendo e stavo ponderando l’idea di piantare un paletto nel cuore di Damon perché la teneva così stretta a sé. Non ne hanno il diritto, nessuno dei due,» borbottò più indispettito prima di continuare il proprio racconto, « Poi ho sentito le parole di Elena e… Dio, Nicole, cosa ti hanno fatto, sorella? » le domandò piangente, prendendole il volto tra le mani e avvicinandola maggiormente a sé, « Non posso, non riesco a crederci. Tu, così forte, così piena di vita, così bella, così ostinata,» continuò con la voce instabile e acuta. Nicole lo strinse a sé, abbracciandolo con foga, tentando di lenire la sua sofferenza con le proprie carezze. Non voleva che soffrissero ancora.
« Ehi Jer, su, ora calmati. Non vorrai farmi piangere, fratellino,» mormorò ridente, prima di posare le labbra sulla sua guancia. 
« No. Non voglio più vedervi piangere, sorella. Né te né Elena,» affermò risoluto, facendola sorridere.  
« Allora lascia perdere questa storia. È tutto passato, okay? È solo un’ombra. È andata via. Ci ha pensato lo zio John a mandarla via,» sussurrò dolcemente, ricordando il bel volto di suo padre. Era vero. Lei stava bene esclusivamente grazie a suo padre, « Andiamo a casa, che ne dici? » gli domandò dolcemente. Jeremy annuì e le permise di entrare in macchina poi lui si accomodò sul sedile del passeggero. Guidò e nell’abitacolo calò un silenzio quasi surreale. Nicole era perfettamente cosciente che suo fratello la stava guardando, ma non aveva desiderio di parlare. Parcheggiò dinanzi alla villetta di sua nonna e Jeremy aggrottò le sopracciglia. 
« Casa della nonna? » domandò, uscendo dalla jeep. Nicole la chiuse e si avvicinarono insieme all’entrata, « Perché?» continuò incredulo. Nicole poggiò il capo sulla sua spalla e sorrise dolcemente, prima di estrarre le chiavi dalla tasca dei jeans e aprire la porta.  
« Te lo spiego domani, Jer, » sussurrò, non volendogli raccontare di Alaric. Si sedettero sul divano e Nicole notò che Mikael aveva sistemato tutto, togliendo anche il bicchierino di vodka che aveva bevuto quella mattina. Lo ringraziò con il pensiero. La verità era che Mikael le piaceva, somigliava a suo padre in certi atteggiamenti e poi aveva notato quanto amava la propria famiglia. Poggiò il gomito sulla sommità del divano e la mano aperta sul viso e guardò a lungo suo fratello. Sembrava a disagio. Gli sorrise dolcemente e accavallò le gambe, « Quante volte sei stato con Morag, esattamente? » gli domandò a bruciapelo, prendendolo alla sprovvista. Annaspò per un attimo e la osservò con gli occhi sgranati, stupito da quella richiesta così assurda, per lui. Avvampò, ma non si sottrasse agli occhi indagatori di sua sorella.
« Due,» le rivelò in un borbottio appena accennato, chinando il capo, « Ed è imbarazzante parlarne.»
« Perché? » domandò, alzando le spalle, leggera. Jeremy alzò lo sguardo sbalordito sino a incontrare il suo, « Abbiamo sempre parlato di tutto,» gli ricordò blanda, « Parlami di quello che ti sta succedendo. C’è stata Vicki, la tua prima vera cotta. Poi Anna, il primo amore. Poi Bonnie, che hai tradito. E adesso Morag? Le opzioni sono due: o stati diventando un seduttore niente male oppure hai qualche problema e tenti di sfogarti in qualche modo,» esclamò atona, ma profondamente divertita da tutto quell’imbarazzo. Fare una rassegna delle fidanzate di suo fratello non era propriamente divertente, non per lei, così abituata a pensarlo bambino e innocente, ma il suo volto, quello sì. Era rosso di vergogna e imbarazzo e gli occhi erano illuminati da un baluginio di ansietà mentre le labbra erano schiuse e sbalordite. Scosse il capo e quasi si issò in piedi.
« Nicole, per l’amor di Dio. Te ne prego, è davvero troppo. Non abbiamo mai parlato di questo.»
« Già, ma avevi quattordici anni e il massimo che facevi era disegnare dei cuoricini intorno al nome di Judith Stanford,» ricordò sarcastica, rimembrando il viso di una ragazzina che frequentava la sua stessa classe. Aveva gli occhi azzurri e i capelli neri, il viso gentile di una bambolina di porcellana. Jeremy si era preso davvero una bella cotta per lei, almeno sino a quando Judith non aveva cominciato a uscire con Geoff Collins. 
« Nicole… senti, io… credo che mi piaccia una ragazza,» le rivelò imbarazzato, avvicinandosi a lei e cercando il suo supporto. Nicole aggrottò le sopracciglia, intenerita e gli sfiorò la guancia. 
« Anna? » domandò comprensiva. Jeremy scosse il capo. 
« No, Anna no, non più. E non è nemmeno Morag, se lo stai pensando. È complicato da spiegare, ma appena l’ho vista qualcosa dentro di me si è illuminato. Lei è bella, solare, meravigliosa,» le raccontò emozionato, quasi sognante, perdendosi nella contemplazione di una giovane a lei sconosciuta. Avrebbe voluto conoscerla se Jeremy era così preso da lei.
« E allora perché non le chiedi di uscire?» domandò dolcemente. Il ragazzo scosse il capo e posò il capo sulla sua spalla, stringendola maggiormente a sé. 
« Perché lei non… accetterebbe mai. Non credo che mi veda nemmeno.» 
« è una ragazza più grande?» Jeremy annuì e chiuse gli occhi, sospirando leggermente. Doveva davvero tenerci molto se stava cotanto male e in Morag doveva aver trovato una sorta di diversivo. Sollevò le sopracciglia ed emise un suono a metà tra uno sbuffo e un soffio. Chissà chi gli aveva insegnato a comportarsi in quel modo, « E tu credi ti veda solamente come un ragazzino?»
« Io credo che non sappia nemmeno il mio nome,» affermò mesto e quasi esasperato prima di scostarsi e indicarsi, « Guardami, Nicole,» la spronò come per dirle che non era nulla di speciale. Sua sorella non la pensava in quel modo. Jeremy era un ragazzo eccezionale, fantastico, meraviglioso e qualsiasi ragazza avrebbe potuto innamorarsi di lui.
« Ti guardo, Jer, e tutto quello che vedo è pura, genuina, bellezza.» 
« Tu sei mia sorella, cosa potresti dire?» esclamò sconsolato e triste.
« Io sono una ragazza. Posso sapere chi sia questa misteriosa giovane che ha rubato il cuore del mio fratellino?» domandò maliziosa, prima di ridere. Suo fratello la seguì subito dopo più felice e sereno.
« Preferirei di no, sai com’è, questione di privacy,» ironizzò divertito, prima di issarsi in piedi e porgerle la mano per fare lo stesso. Nicole lo seguì verso le scale e le stanze superiori. Aveva la stessa disposizione della loro casa e Nicole ricordava tutto a menadito.  
« Ah davvero? Eppure io ed Elena ti diciamo tutto,» esclamò quando già erano arrivati dinanzi alla porta della camera della nonna, l’unica ad avere un letto matrimoniale. Era pulita, in ordine, nemmeno un granello di polvere sui mobili di mogano. Elena era sempre stata pragmatica, ordinata, tutto il proprio contrario. Sorrise di quel pensiero prima di buttarsi sul letto che scricchiolò di poco sotto il suo peso. Jeremy la seguì e l’abbracciò, tenendola stretta a sé, contro il suo petto, proprio come quando erano bambini e voleva essere confortato. Jeremy non cercava quasi mai Elena, o i loro genitori, ma sempre lei perché con Nicole si poteva parlare di tutto senza temere di essere giudicati. 
« A proposito, dimmi, davvero li sopporti? » sussurrò tra i suoi capelli prima di posarvici un lieve bacio. Nicole lo strinse per un altro istante, prima di puntellarsi sui gomiti per poterlo guardare in volto. 
« I Salvabrothers? È strano, Jer, lo so, ma, se solamente Damon fosse umano, non ci penserei due volte a vederlo al fianco di nostra sorella,» gli rivelò blanda, prima di guardare il soffitto. Era vero. Damon era passionale, forte, indomito, travolgente, così diverso da Elena. Era tutto ciò di cui sua sorella aveva bisogno, di un ragazzo che l’amava talmente tanto da non preoccuparsi delle conseguenze e seguire solamente il proprio cuore per la donna che amava. 
« Da-Damon? Seriamente?»
« La ama, Jer. La ama così tanto che si farebbe uccidere, e anche odiare, piuttosto che vederla soffrire. Stefan… lui è diverso. Non… non lo so,» sospirò lievemente. Stefan le piaceva, o almeno quello prima della fase Squartatore, ma era troppo, troppo ragionevole e serio per sua sorella.  
« Tu e i tuoi sentimentalismi,» sbuffò caustico, « Certe volte penso che abbia una seconda personalità.»
« Ma smettila. Adesso andiamo a dormire,» sussurrò stringendolo nuovamente a sé, « È tardi ed è stata una giornata lunga. A domani, Jer.»
« Notte, sorellina.»

 

Nicole quella notte non sognò nulla che non evincesse dalla normalità, o almeno dalla sua quotidianità. I ricordi delle giornate felici irruppero nella sua mente stanca, ma era così provata che erano solamente scene confuse e ingarbugliate, una serie di colori dalle tinte troppo accese per essere compresi appieno. Poi, verso l’alba, quando la dormiveglia sopraggiungeva rendendo più chiaro ogni pigmento, una memoria lontana occupò tutta se stessa, riportandola a quella notte in cui la sua vita era cambiata del tutto. 

« Nicole, tesoro, mi aiuteresti a preparare la tavola,» esclamò sua madre dalla cucina. Lei e Jer stavano giocando alla playstation, il regalo di Natale della zia Jenna, al nuovo gioco di macchine. Nicole aveva quasi vinto la corsa quando la voce gentile della mamma l’aveva chiamata. Scelse quasi di ignorarla. Sicuramente ci avrebbe pensato Elena. Lei preferiva stare lì con Jer che si stava affannando a raggiungerla con gli occhi spalancati e le labbra schiuse. Rise quasi, ma sua mamma, comprendendo che in quel modo non avrebbe ottenuto la sua attenzione, parlò, « Lo zio John sarà qui tra poco,» annunciò divertita. Nicole si issò in piedi, a un metro dal traguardo, e si volse verso la cucina dove Miranda stava armeggiando tra le pentole per cucinare una cena adeguata. Sua madre non sapeva cucinare molto bene, ma Grayson le aveva insegnato qualche trucco per un ottimo roast beef. 
« Davvero, lo zio verrà qui?» domandò allegra, con un ampio sorriso che le arrivò sino agli occhi. Nicole adorava lo zio John e lo vedeva così poco tempo che ogni volta era una festa. Lo zio John non le portava più la barretta di cioccolato, come quando era bambina, diceva che oramai era troppo grande, ma le regalava sempre qualcosa di unico, un souvenir acquistato nei tanti posti che visitava grazie al suo lavoro di consigliere diplomatico, « Che bello, mamma,» aggiunse quando vide Miranda annuire. Batté le mani e abbandonò la consolle avvicinandosi alla cucina per aiutarla. Probabilmente Elena non aveva sentito. 
« Ehi Nicole,» la chiamò indispettito suo fratello, con le labbra spalancate per l’indignazione. Nicole si volse verso di lui, continuando ad avanzare verso sua madre, e alzò le spalle. 
« Scusa Jer. Gioca con Elena,» propose prima di prendere la tovaglia bianca, ricamata all’uncinetto da sua nonna, quella delle occasioni speciali. 
« Ma con Elena non c’è gusto,» sentì provenire dalla sala la voce lamentosa del suo fratellino di tredici anni. Quattordici, si corresse. Li avrebbe compiuti la settimana successiva, il giovedì per l’esattezza, ma oramai voleva che non si parlasse più di lui come un tredicenne, « Perde sempre,» sbuffò. Nicole scosse il capo e anche la loro madre, ancora trafelata, ma soddisfatta del risultato, emise un suono di divertito diniego. Era vero. Elena perdeva sempre, ma solo perché non sapeva giocare. Preferiva molto di più leggere o scrivere piuttosto che stare dinanzi a un televisore e farsi salire un forte mal di testa, diceva sempre. Jeremy pensava che fosse solo una scusa perché non era abbastanza brava, lei che eccelleva sempre in tutto, e non perdeva occasione per prenderla in giro per quello. 
« Non essere sciocco, Jer,» esclamò Nicole andando a prendere i piatti di ceramica bianca rifiniti da alcuni disegni floreali, dono della nonna Norah, la madre di Miranda. 
« Elena è ancora con Matt,» comunicò Jeremy intraprendendo una nuova gara contro la consolle, « Ha detto che tornerà alle otto.»
« Giusto in tempo,» esclamò la mamma sorridente guardando il forno dove si stava cuocendo la carne di manzo, « Vostro padre ha avuto un impegno urgente in ospedale. Mi ha chiamata poco fa,» mormorò mentre Nicole disponeva le posate e i tovaglioli nel modo che la signora Lockwood le aveva insegnato. 
« Nulla di grave, spero,» affermò guardando sua madre in tralice prima di prendere i bicchieri. 
« No, cara. La signora McCullough ha avuto le contrazioni, ma è ancora troppo presto. È alla fine dell’ottavo mese,» mormorò spostandosi dal forno e sedendosi a capotavola, osservandola sorridente e amorevole. Nicole sorrise e annuì. La signora McCullough era una donna bassina, con folti capelli rossi e milioni di efelidi sul bel volto ovale di porcellana. Era molto giovane, trent’anni appena compiuti, e quello era il suo primo figlio.
« Comprendo,» sussurrò dolcemente sedendosi a sua volta. 
« A proposito, tesoro, prima che venga tuo zio ci vorrà almeno una mezzora. Potresti farmi una commissione? » le domandò gentilmente prima di issarsi in piedi e versarsi un calice di vino bianco. 
« Certo, mamma. Dimmi.»
« Nello studio di papà ci sono delle carte che interessano allo zio John. Sono sul nonno Jeremy. Un resoconto di guerra e lo zio John vorrebbe vederle,» le raccontò velocemente. Nicole annuì e si issò in piedi. Lo studio di suo padre era a soli due isolati da casa loro, « Potresti cercarle? » domandò cortese, « Papà tornerà molto stanco,» aggiunse in un sospiro. Grayson tornava sempre spossato in quei giorni. Era divenuto primario del reparto e v’era ogni giorno molto lavoro da sbrigare, moduli da riempire, cartelle da aggiornare, azioni che solo lui poteva compiere. Nicole annuì nuovamente e si issò in piedi prendendo al volo le chiavi che sua madre le stava lanciando, « Stai attenta, tesoro, e metti il giubbotto,» le raccomandò quando già era arrivata alla porta. Afferrò la prima giacca che le capitò a tiro, « Fuori fa freddo.» 
« Sì, mamma. Torno tra poco. Non preoccuparti,» snocciolò velocemente prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle. Era di Elena, ma le andava bene lo stesso. Era di pelle nera, quella che sua sorella preferiva, e si strinse in essa per proteggersi dal freddo. Quella notte era gelida e indossava quello che poteva considerarsi un pigiama, una semplice maglietta di cotone grigio e una gonna a balze bianca con un paio di ballerine, « Tanto qui a Mystic Falls non succede mai nulla,» borbottò tra sé, giocando con un ricciolo che le era ricaduto sul viso. Tyler l’avrebbe presa in giro per quel tono così annoiato e mesto, per quelle labbra imbronciate come quelle di una bambina. Nicole sorrise di quel pensiero prima di ricordarsi che Tyler era in Florida con la sua famiglia per andare a trovare suo zio Mason. Percorse velocemente i due isolati, bramosa di tornare il prima possibile per poter rivedere lo zio. Forse le avrebbe regalato delle scarpe, o magari un profumo, o forse un libro. Non lo sapeva, era sempre una sorpresa con lo zio John. Era imprevedibile e a Nicole piaceva proprio per quello. Era una persona incredibilmente profonda, davvero troppo malinconica e triste per avere solo trentacinque anni. Era un uomo solitario e abbastanza sarcastico e per quello si era inimicato molte persone, ma non avrebbe cambiato il proprio atteggiamento per nulla al mondo. Proprio come lei. Arrivò dinanzi alla porta dello studio e l’aprì, per poi accedere le luci e rivelare uno spazio interamente bianco, molto pulito e ordinato. Percorse il breve corridoio dov’erano le poltrone per gli ospiti con il tavolino delle riviste e quello della segretaria ed entrò nello studio vero e proprio. V’era il profumo, fresco e buono, di suo padre e la fece sorridere. Si avvicinò alla scrivania di cristallo dove v’erano delle carte sparse e aggrottò le sopracciglia. Suo padre era una persona oltremodo ordinata, ma forse non aveva avuto il tempo di impilarle a dovere. Si sedette sulla sua poltrona nera e comoda e cercò quelle che servivano allo zio. Le trovò quasi subito, sotto la cartella della signora King.

Jeremy Gilbert

Mystic Falls, 1940 - Ho Chi Minh, 1975

Era quella che stava cercando. La prese e si alzò, pronta a tornare a casa, ma un altro foglio attirò la propria attenzione. Si sedette nuovamente, per meglio dire si abbandonò, e lo afferrò con mani tremanti, già avvertendo un possibile pericolo.

Nicole ed Elena Gilbert

Mystic Falls, 22 Giugno 1992

Aprì la cartella e notò che vi erano alcuni fogli su di loro. Sfogliò il fascicolo velocemente, aggrottando le sopracciglia dorate e sorridendo nel notare le ecografie di quando erano ancora dei feti. Sorrise e sospirò dal sollievo. Il suo sesto senso aveva sbagliato quella volta, non v’era nulla di cui preoccuparsi. Erano solo le loro immagini. Carezzò lievemente quelle piccole creature che sarebbero divenute lei e sua sorella, poi un nome attirò la sua attenzione. Isobel Flemming. Sollevò le sopracciglia e imbronciò le labbra, impensierita. Non aveva mai sentito nominare quella donna. Sicuramente non apparteneva alla sua famiglia. Scorse i fogli sino ad arrivare a uno, l’ultimo, che non era stampato. Era una lettera. La staccò dalle altre e se la portò dinanzi agli occhi, sgranandoli per quello che lesse nei minuti successivi.

 

Grayson, non posso più mentire, né a te né a Miranda. Nostra madre sa tutto, lo sapeva anche senza che io lo avessi rivelato. Mi dispiace così tanto, fratello. So che per te sarà terribile dover leggere queste parole, ma ho bisogno di dirti la verità sulle bambine. Ricordi la ragazza, la sedicenne, che aiutasti a partorire, la madre naturale di Elena e Nicole? Isobel era il suo nome. Non era che una bambina e ti ho sempre detto che eravamo stati compagni di scuola. Non è vero. Lei abitava nel paese vicino al nostro e io mi ero innamorato di lei, uno dei tanti, in verità. Fui uno sciocco, Grayson. Lei non mi ha mai amato, ma pensavo che il mio amore bastasse per entrambi. Rimase incinta. Avevo diciotto anni e lei sedici. Non avremmo mai potuto prederci cura di due bambine e tu e Miranda volevate così tanto avere un bimbo. Pensai fosse la scelta migliore e la portai da te. Isobel aveva già scelto e le avrebbe lasciato in un orfanotrofio piuttosto che prenderle con sé e io non… io non ci riuscivo, Gray. Sarei stato un pessimo padre per loro. Nicole ed Elena non dovranno mai sapere questo. Non dovranno mai sapere chi sono i loro veri genitori, promettimelo, Gray. Tu e Miranda siete stati perfetti e non potrebbero desiderare due genitori migliori di voi. Non so perché te lo stia dicendo proprio adesso, ma ho bisogno di dire la verità. Non posso più mentire, non ci riesco, non guardando gli occhi splendenti della piccola Nicole. È diventata grande adesso, è diventata una signorina bellissima, un Sole luminoso e puro, e la somiglianza si nota di più. Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri proprio come me, la mia stessa introversione ed è l’unica a volermi bene. Chissà perché lo fa. Io sono solo un idiota, un patetico stronzetto di un paese di provincia scappato di casa. Non posso mentire guardando la splendida ragazza che è diventata Elena. Somiglia a Miranda, alla tua meravigliosa moglie, è forte, piena di vita, determinata, ostinata, un fiume in piena. Sono così orgoglioso di loro perché non sono come me. Come lei. Spero che mi perdonerai, un giorno, fratello. Spero che le bambine non lo sappiano mai. Spero che Nicole ed Elena abbiano una vita meravigliosa e priva di ostacoli e pericoli. So già che tu le proteggesti da tutto ed è per questo che mi sono affidato a te. Perché sei un uomo migliore di me.

Tuo fratello.

Nicole dovette leggere due volte quella lettera per comprendere che quelle parole non erano frutto della sua mente, che quelle parole erano davvero scritte con la calligrafia del suo caro zio John. Di suo padre. Un singhiozzò le squassò il petto e lasciò cadere la lettera tra altre carte. Si portò le mani tremanti sulle labbra per non far fuoriuscire alcun suono, proprio come le aveva insegnato Tanya Fell quando era bambina. Le signorine dell’alta società non piangono mai scompostamente. Spostò le mani e lasciò andare i singhiozzi. Non era una signorina dell’alta società, non in quel momento, mai più se fosse servito a cancellare tutto quel dolore. Le faceva male il cuore. Sembrava essere stretto in una morsa, come se un serpente lo stesse stritolando tra le sue spire velenose. Le mancava l’ossigeno e le lacrime scorrevano velocemente, bagnandole anche il collo perlaceo. Doveva calmarsi. Doveva dimenticare. Doveva tentare di issarsi in piedi e fuggire da quell’ufficio. Doveva, sì, ma rimase lì. Strinse i pugni. L’afflizione aveva lasciato il posto alla collera. Una vita intera. Le aveva mentito per una vita intera. Lo zio John. Lei lo adorava. Era l’unica  volergli davvero bene. Era l’unica a cercare lui quando voleva parlare di qualche problema. Elena aveva la mamma. Jeremy aveva papà. Lei aveva lo zio John. Anche da lontano le offriva tutto il proprio supporto morale e Nicole era felice così. Perché odiava chi la vedeva soffrire, anche se fossero stati Elena o Jeremy. Perché lei era forte e dannatamente orgogliosa. Perché lo zio John sapeva sempre pronunciare le parole giuste per farla sentire meglio. Tranne quella volta. Guardò la lettera, con gli occhi dardeggianti e colmi d’ira, le labbra tremanti per la rabbia, i pugni stretti. La ridusse in tanti piccoli pezzi e non fu soddisfatta sino a quando non rimase più nulla di quelle parole incomprensibili. Non servì a farla sentire meglio, quello no, ma la fece di poco calmare. Lo squillo del telefono la riportò alla realtà. Era Jeremy. Deglutì, ingerendo anche il duro colpo del tradimento, e rispose.
« Ehi Nicole, dove sei finita? » le domandò accorto, la voce confusa, « La mamma si sta preoccupando. Elena è tornata e ha detto di aver litigato con Matt. Di nuovo. Si è rinchiusa in camera vostra e ha detto che non vuole cenare. Lo zio John è appena arrivato e papà anche. Si sono incontrati per strada. Mamma sta servendo il roast beef,» le raccontò velocemente, imprimendo una stiletta gelata nel suo cuore. Avrebbe voluto urlare, in quel momento, dirgli che no, non era la sua mamma quella che stava servendo il roast beef, non la sua mamma, ma sua zia. Avrebbe voluto dirgli che il papà era appena arrivato e lo zio Grayson anche. Avrebbe voluto che, che fosse tutto diverso da quello che effettivamente era. Ma si trattenne. Non era con Jeremy che doveva urlare, « Nicole? » la chiamò prolungando l’ultima sillaba del suo nome, « Tutto bene? Perché non mi rispondi?» chiese preoccupato, riscuotendola da quello stato di torpore che l’aveva avvolta nel pensare a una prospettiva diversa. Amava i suoi genitori, sì, ma… ma non voleva che vi fossero bugie e menzogne. 
« Sì, Jer… tutto… tutto bene,» sussurrò stupefatta, la voce tremula e instabile, « Sono allo studio di…,» si interruppe. Grayson non era suo padre, e nemmeno John, pensò con rabbia, « Torno a casa. Il tempo di arrivare,» esclamò trattenendo l’ira dentro di sé. Suo fratello era innocente e non poteva permettere che il suo candore venisse intaccato da quella verità. 
« Okay,» mormorò non molto convinto da quella risposta ambigua, « Sicura che vada tutto bene?» insistette. Nicole chiuse gli occhi e si preparò a mentire.
« Sì, certo, perché no?» domandò ironicamente e fortunatamente Jeremy non se ne accorse. Perché no? Forse perché tutte le sue certezze erano andate in frantumi. O magari perché l’uomo che adorava con tutta se stessa, per il quale provava un bene dell’anima, l’aveva tradita nel peggiore dei modi. Se davvero era una signorina bellissima, se davvero era un Sole luminoso e puro, perché l’aveva abbandonata? Perché non le aveva detto la verità e tenuta con sé? Perché aveva preferito guardarla in un posto che non era suo piuttosto che essere suo padre? Cosa c’era di così sbagliato in lei da far allontanare persino suo padre?
« Se lo dici tu. A tra poco,» mormorò suo fratello prima di interrompere la comunicazione. Nicole non se ne accorse nemmeno e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. Tentò di prendere dei lunghi respiri per calmarsi poi fuggì via di lì, lasciando persino la cartella del nonno Jeremy, dimenticandosi di chiudere a chiave la porta dello studio. Corse tra le vie vuote della sua cittadina, per non piangere, e si ritrovò in pochi minuti dinanzi alla porta di casa sua. Poteva percepire le parole di tutti, i piccoli suoni delle posate che venivano spostate, il dondolio leggero di Jeremy.
« Dov’è tua sorella, Jeremy?» domandò John leggero, guardando suo nipote dall’altro lato del tavolo. Grayson e Miranda erano a capotavola ed Elena non c’era, grazie al cielo. Non avrebbe saputo fingere dinanzi ai suoi occhi che tanto amava. Entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle senza fare il minimo rumore. Voleva andare al piano di sopra per evitarli, tutti, ma Jeremy la intercettò.
« Eccola lì,» esclamò, indicandola con il capo per poi tornare a gustare la carne, « Ehi mamma, stai imparando finalmente. È buono davvero,» continuò con un sorriso dolce. Miranda si alzò e posò un dolce bacio tra i suoi capelli e Grayson sorrise, annuendo lievemente. 
« Piccola, che bello rivederti,» affermò ilare lo zio John prima di issarsi in piedi e compiere velocemente quel breve tratto che li separava. Nicole si sentì cingere dalle sue braccia forti e protettive e tentò di ricambiare la stretta. Non respirò nemmeno in quel momento, per non sentire il suo dolce profumo di dopobarba alla menta, e posò le mani sulle sue spalle. John la lasciò andare quasi subito prima di prendere il piccolo pacco adagiato sulla consolle dell’ingresso. Era come se sentisse più freddo, un gelo fasullo e dettato solamente dalla sua mente, da quando John si era allontanato. Tornò a respirare normalmente e tentò di non scoppiare in lacrime. Chinò il capo verso il pavimento e le labbra tremarono per un impercettibile istante. Sarebbe voluta fuggire per rinchiudersi nella sua stanza e seppellire il volto nel cuscino, non udendo più il male entrare nel suo cuore, facendosi spazio tra le arterie e le vene. Quello che le stava accadendo era profondamente malvagio e scorretto. Lei non lo meritava, non quando il suo bene per loro sovrastava ogni altro affetto, « L’ho preso a Londra la settimana scorsa,» le comunicò, porgendole il pacco rosso con un fiocco bianco e vaporoso, « Spero ti piaccia,» aggiunse dolcemente, rivolgendole un ampio sorriso che la catturò, come sempre. Lo guardò con tanta di quella attenzione che avrebbe fatto avvampare chiunque, ma John rimase solamente confuso da quel comportamento inusuale. Era vero. Aveva perfettamente ragione. Lo stesso colore di capelli, degli occhi, le stesse labbra. Erano così simili, quella somiglianza era troppo marcata. Le aveva sempre fatto piacere somigliare a quell’uomo così buono e gentile, forse bizzarro e inconsueto, ma in quel momento qualcosa nel cuore si incrinò terribilmente. Quello era il tradimento peggiore che avessero potuto escogitare a suo danno, « Cosa c’è? » le chiese incredulo continuando a porgere il regalo. Dovevano essere trascorsi alcuni secondi, ma la famiglia non vi aveva fatto caso. Miranda stava servendo il dolce, la torta al cioccolato che aveva preparato Elena proprio quella mattina, e Jeremy aveva già le posate pronte e un sorriso che gli distendeva le labbra esangui, « Non vuoi aprirlo?» mormorò quasi deluso, certamente più triste e mesto, chinando di poco lo sguardo. Nicole, vedendo così, accettò il regalo e sorrise, pensando a ciò che la rendeva più felice al mondo, a ciò che illuminava le sue giornate e le sollevava l’animo da ogni preoccupazione. I suoi fratelli. Il sorriso di Elena, la timidezza di Jeremy. 
« No, zio, certo che voglio,» esclamò lieta, prima di incominciare a scartarlo dinanzi agli occhi più sereni di quello che era suo padre. Doveva essere stata cieca per non essersene accorta prima, molto più di Elena. Sua sorella non somigliava a nessuno in famiglia, forse solo a sua madre, per certi tratti, però il viso era totalmente diverso. Ma lei no, « Se è di Londra, è sicuramente splendido,» aggiunse tra sé. Era una scatola bianca e si affrettò a schiuderla per poi poggiarla sulla consolle. Era un vestito che le fece sgranare di poco gli occhi. Era un abito elegante, di chiffon celeste impalpabile, con una fascia sotto il seno che luccicava per le paillettes di una tonalità più scura. Lo stesso motivo era sulle spalline. Era davvero bellissimo, aveva gli stessi colori del mare calmo che tanto amava. Le mani quasi le tremavano e gli occhi le si velarono per la commozione. Era bellissimo, sì, ma a cosa serviva un vestito se non aveva l’affetto e l’amore di chi glielo aveva donato?  « Grazie,» si ritrovò a sussurrare atona. 
« Capisco, non ti piace,» esclamò dispiaciuto prima di sospirare lievemente, « Mi dispiace.» Nicole non alzò lo sguardo, ma lo fece vagare sull’abito.  
« Mancato il colpo, fratellino,» scherzò Grayson con un sorriso bonario sul volto più adulto di quello di John. Non pensava di poter sopportare oltre, non quella sera. La vista le si era appannata per tutte le lacrime che stava trattenendo. John si volse verso suo fratello con un sorrisetto sarcastico, il suo solito, e per un attimo si sentì meglio senza gli occhi di suo padre che la scrutavano come nel tentativo di analizzare quell’atteggiamento.
« Ma, tesoro, è un vestito meraviglioso,» esclamò Miranda, incredula. Sua figlia aveva sempre avuto buon gusto nel vestire e adorava suo zio. Non comprendeva perché si stesse comportando in quel modo, come anche Jeremy. 
« Infatti,» concordò prima di volgersi verso le scale per nascondere le lacrime alla vista dei familiari, « Io lo adoro,» aggiunse veritiera prima di portarselo al petto, come se fosse uno scudo con cui proteggersi. Però era solamente un vestito di stoffa leggera e soffice, non certo un disco di ferro, « Scusatemi, non… non mi sento bene. Vado a letto,» mormorò spostando il peso sul piede destro e guardando con trepidante ansia verso la scalinata.
« Siete delle sorelle noiose,» borbottò Jeremy, prima di prendere il secondo pezzo di torta. Avrebbe voluto piangere ancora di più in quel momento. Jeremy, il suo piccolo, adorato, pestifero Jeremy. Non era suo fratello, ma suo cugino, « Ho litigato con Matt, non mi sento bene,» imitò la voce delle due, risultando solamente troppo acuto e annoiato, un tono che l’avrebbe fatta ridere in un altro frangente, « Uffa. Un po’ di vita,» le spronò.
« Grazie, Jer. Sempre dolcissimo,» scherzò lievemente, dimentica delle lacrime. Suo fratello aveva sempre la capacità di farla stare bene, di farle ritornare il sorriso sulle labbra.
« Tesoro, le carte del nonno?» domandò sua madre, guardando le sue mani che stringevano ancora, quasi ossessivamente, l’abito. Aveva notato che John era tornato a osservarla con il consueto affetto.
« Io… devo averle lasciate sulla scrivania.» 
« Le carte del nonno…?» chiese incredulo suo padre, quasi sobbalzando e sgranando gli occhi azzurri.
« Sì, ho pensato che avrebbe fatto piacere a John poterle leggere, sai? Caro, tutto bene?» aggiunse sua madre, vendendolo così sbigottito, quasi sconvolto.
« Nicole, tesoro mio…,» incominciò cautamente mentre notava come fossero divenuti dardeggianti di ira e perforanti gli occhi di Nicole. Distese i palmi aperti sul tavolo e si issò in piedi senza far rumore per non turbare la quiete nella stanza. John e Miranda osservavano dall’uno all’altra con le sopracciglia aggrottate per la confusione mentre lo sguardo di Jeremy era ancorato a quello di sua sorella. Poche volte l’aveva vista così arrabbiata, doveva esserle accaduto qualcosa di terribile o di estremamente triste. 
« Scusa, ne parliamo domani,» borbottò velocemente prima di dirigersi a passo svelto verso le camere da letto, quasi correndo sulle scale, ancora con il vestito in mano. Aprì la porta della loro, poi la richiuse alle sue spalle. Serrò gli occhi azzurrini e si appoggiò al muro per poi cadere e ritrovarsi sul pavimento. Scoppiò in un pianto talmente silenzioso da farle male il petto e abbandonò l’abito sul pavimento. Si strinse le ginocchia al petto e rimase lì per molti minuti sino a quando non riuscì a ritrovare il proprio ferreo controllo. Poi alzò il viso e guardò verso il letto di sua sorella. Dormiva profondamente sul fianco destro, coperta interamente dal piumone bianco, il diario abbandonato sulle coltri così come la sua penna preferita. Sorrise per l’espressione beata presente sul viso della sua adorata sorellina, poi si issò in piedi e avanzò verso di lei. Si sedette e posò la mano sulla sua guancia, scostandole una ciocca liscia e setosa che le era ricaduta sull’occhio. Aveva le labbra schiuse e sembrava stesse facendo un bel sogno, ignara di tutto ciò che, invece, stava accadendo a lei. No. Elena non avrebbe mai dovuto saper nulla, né in quel momento né mai. Era suo compito proteggerla. Era certa che Elena avrebbe fatto lo stesso per lei se si fossero invertite di ruolo. Sospirò lievemente. 
« Mi spiace, sorellina,» sussurrò costernata, sfiorandole la gota prima che una lacrima le rigasse il viso pallido, « Sono obbligata a fare ciò che più aborro: mentire. A te, che sei la persona che amo di più a questo mondo. Ma devo. Spero mi perdonerai, un giorno, ma è per te che lo sto facendo, perché tu non debba provare lo stesso dolore che sta affliggendo me. Fa male, Lena, fa davvero male essere traditi. Ti spezza il cuore. Spero soltanto che tu non sappia mai come ci si senta,» mormorò prima di posare le labbra tra i suoi bei capelli profumati e issarsi in piedi, ben attenta a non far rumore. Prese l’abito dal pavimento e lo posò sulla toletta, abbandonalo scompostamente lì, poi aprì la porta e uscì, richiudendosela alle spalle accompagnandola con delicatezza infinita. Si guardò intorno. La porta di Jeremy era chiusa, segno che oramai aveva terminato di cenare ed era andato a riposarsi, ma le luci della cucina erano ancora tutte accese e provenivano delle voci concitate, ma basse, maschili. Cominciò a discendere la scalinata, non facendosi vedere e le ascoltò.
« Grayson, io non capisco. Cosa sta succedendo?» domandò sua madre confusa. Nicole sobbalzò. Lei non sapeva nulla, nulla di quella storia. Un’ondata di pura rabbia la investì, sebbene non sapesse a chi fosse indirizzata. 
« Miranda, tesoro, perdonami,» la pregò Grayson avanzando verso sua moglie e stringendole le mani tra le proprie. Nei suoi occhi vi era una supplica che anche il più spregevole tra gli uomini avrebbe accolto.
« Perdonarti? Per cosa? Per favore, caro, non riesco a vederti così costernato,» esclamò dolcemente Miranda stringendo il marito a sé. John avanzava per la camera, tenendosi il volto tra le mani, non riuscendo a capacitarsi di ciò che era appena accaduto. Fu a lui che Nicole rivolse la sua occhiata più gelida.  
« è solamente colpa mia, soltanto mia. Non avrei mai dovuto scriverti quella lettera. Ho combinato un disastro, come sempre. E ora Nicole lo sa,» aggiunse con un tono talmente costernato da farla sobbalzare. Non pensava che un uomo potesse provare tanto dolore, ma doveva ammettere che Jonathan Gilbert riusciva sempre a stupirla. Aveva ragione. La colpa era soltanto sua. Non avrebbe mai dovuto abbandonarla, darla in adozione. Avrebbe mille volte preferito vivere con lui, nella verità, piuttosto che con altri nella menzogna.
« Cosa sa Nicole?» domandò Miranda, scostandosi dolcemente da suo marito che continuava a stringerla per i fianchi. Era la sua forza, sua moglie, e in quel momento aveva bisogno di lei più che mai.
« Sa che sono suo padre. Biologico,» aggiunse quasi in una risata isterica. Non riteneva di essere il padre di quello splendido angelo biondo. Nicole scattò e percorse l’ultimo tratto della scalinata, ma nessuno si accorse di lei. Miranda era sobbalzata e Grayson si era scostato. La donna avanzò verso il cognato con gli occhi assottigliati per lo sbigottimento e l’incredulità.
« Cosa… cosa sei tu, John?» mormorò a pochi centimetri da lui, tremando e controllandosi a stento.
« Sono il padre naturale di Nicole ed Elena,» esternò seriamente guardandola dritto negli occhi, non volendosi sottrarre a quello sguardo indagatore e terribilmente struggente. Era come se le stessero portando via le sue bambine che tanto amava. Miranda rimase inerme solo per un paio di istanti prima di voltarsi di scatto verso suo marito. John chinò il capo e Nicole rimase sulla soglia della cucina. Grayson non aveva occhi che per sua moglie, proprio come Miranda per lui.
« E tu lo sapevi?» esclamò indignata, gli occhi dardeggianti e le lacrime che fluivano sulle belle gote magre come quelle di Elena, « Per l’amor di Dio, Gray, come hai potuto tenermi all’oscuro di una cosa del genere? Dannazione,» imprecò malamente, chiudendo gli occhi e portandosi le dita alle tempie, sollevando alcune ciocche scure. Nicole si avvolse nelle braccia, come per proteggersi dinanzi all’espressione di sua madre. Mai l’aveva vista talmente triste e arrabbiata e sperava che mai più si fossero ritrovate in una situazione del genere. Poi Miranda spalancò i suoi begli occhi marroni e guardò John che, sentendosi osservato, rialzò il proprio sguardo azzurrino, « E tu perché diavolo hai fatto quello che hai fatto? Sono le tue bambine, come hai potuto vederle crescere senza dir nulla?» Nicole sbuffò, per la prima volta emettendo un suono, e tutti si volsero verso di lei. Sorrise divertita, sebbene dentro di sé sentisse un vuoto abissale che la stava trascinando in un baratro buio e senza fine. 
« Nicole,» la chiamò John sottovoce, come se pensasse non fosse davvero lì, come se fosse soltanto a sua immaginazione a giocargli brutti scherzi. La giovane alzò la mano destra per bloccare qualsiasi tipo di parola esterna e scrollò le spalle.
« Non serve che si aggiunga altro. Non serve che tentiate di… che so, consolarmi. Non ho bisogno di voi, di nessuno di voi,» affermò, sapendo di mentire, guardando tutti e tre con astio che non tentava nemmeno di celare. Li detestava per ciò che le avevano fatto, ma sapeva che non avrebbe mai potuto odiarli. 
« Nicole, non parlare così,» mormorò sua madre, facendo un passo verso di lei. Lo sguardo di pietra che le rivolse la inchiodò sul posto, facendola bloccare.
« Tu… proprio tu mi dici di non parlare così? Siamo state adottate. Anche se John non fosse stato mio padre, avevo il diritto di sapere che non ero la vostra figlia naturale.»
« Te l’avremmo detto, cara,» cominciò Grayson, distendendo la mano nel vano tentativo di sfiorarla e farla calmare.
« Quando?» lo interruppe alzando la voce di un’ottava, avvampando per la rabbia e trattenendo a stento le lacrime. Si portò una mano sul volto, asciugandosene malamente una che aveva rischiato di inumidirle le labbra. Non voleva mostrarsi debole dinanzi a nessuno, « Abbiamo sedici anni, non siamo delle bambine. Capiamo,» aggiunse esasperata. Probabilmente soltanto Elena avrebbe capito la situazione e l’avrebbe accettata, ammettendo che, nonostante tutto quello che uno sciocco e asettico test del DNA potesse rivelare, lei era la figlia di Grayson e Miranda Gilbert. Lei non sarebbe stata mai dello stesso avviso.
« Nicole,» la chiamò John, ragionevole. Sussultò per quella voce così dannatamente seria e preoccupata e lo guardò. Le fece male osservarlo. Il mostro dentro di lei, al centro dello stomaco, premette per incendiare tutte le sue cellule, trasportato dal sangue come un ossigeno di morte e distruzione, e Nicole lo lasciò fare.
« Non rivolgermi la parola. Non ne sei degno,» aggiunse con cattiveria, ferendolo con il peggiore dei pugnali. La ferita sanguinava, avrebbero dovuto lasciarle il tempo di medicarsi, ma non si sarebbe sottratta. Lei non era una vigliacca. 
« Comprendo il tuo odio, Nicole. Comprendo che adesso mi detesti.»
« Tu non comprendi nulla,» lo interruppe sdegnata, ridendo appena, sfiorando l’isteria. Chiuse gli occhi per un attimo avvertendo la spiacevole sensazione che le lacrima causavano all’interno della sua anima. Si sentiva sporca, macchiata. Era come se la sua innocenza le fosse stata strappata brutalmente via, « Tu non puoi immaginare quello che sto passando io in questo momento. Mi avete mentito per tutta una vita, con quale coraggio?» tuonò, guardando Grayson e Miranda. Con quale coraggio avevano potuto vederle crescere, sentirsi chiamare mamma e papà senza dir nulla? Senza sentirsi in colpa nel tacere la verità? « Non contiamo nemmeno un po’ io ed Elena?» aggiunse tremando, temendo che le gambe potessero flettersi e farla rovinare sul pavimento lucido che tante volte l’aveva accolta mentre giocava con la sua sorellina. fortunatamente lei dormiva beata al piano di sopra, ignara di tutto quello. Non avrebbe mai potuto sopportare che lei avesse potuto provare il suo stesso dolore.
« No,» esclamò sua madre, costernata, avanzando di un passo verso di lei, « Cosa stai dicendo, amore? Noi vi amiamo. Siete le nostre bambine, noi vi amiamo,» continuò ad affermare, non sapendo che il pugnale velenoso della menzogna le stava bruciando le membra.
« Odio chi mente perché io sono una persona onesta, Miranda,» sibilò irata, collerica, piena di rabbia, stringendo i pugni e inchiodandola con quello sguardo tagliente. Miranda strabuzzò gli occhi e spalancò le labbra. mai si sarebbe potuta aspettare che la sua bambina, quel tenero scricciolo, non l’avrebbe chiamata mamma, ma Miranda.
« Non chiamarmi così. Sono la mamma,» sussurrò tentando di farla impietosire con quei suoi grandi occhi da cerbiatta spalancati. Ma non ci riuscì. La collera era troppo forte per poterla controllare. 
« Ti prego, Nicole. Se c’è una persona con la quale tu debba arrabbiarti, quella sono io. Lasciateci soli, per favore,» mormorò John rivolto a suo fratello e a sua cognata. Nicole scosse il capo con foga.
« Ti ammazzo se rimango nella stessa stanza con te, John,» lo avvertì, facendogli capire che quella minaccia era più che reale. Doveva riversare il proprio dolore in qualche modo e ferire l’uomo che l’aveva abbandonata era il mezzo più giusto, o perlomeno più semplice.  
« Correrò il rischio, allora,» le assicurò, guardandola dritto negli occhi, senza alcuna paura o remora, ma anche senza sminuire la sua rabbia e la sua afflizione. Grayson e Miranda si guardarono per un secondo, poi osservarono lei. La donna sospirò, prese la mano del marito e lo condusse fuori dalla cucina, lasciandoli soli, « Siediti, per favore,» aggiunse quando non le vide far alcun cenno. Nicole scosse il capo con veemenza e non obbedì mentre John si abbandonava sulla panca, troppo spossato per rimanere in piedi. 
« Come hai potuto farmi una cosa del genere? » gli domandò accusatrice e austera, cingendosi con le braccia per mitigare il dolore, prima di avanzare e sedersi. Non sarebbe potuta rimanere in piedi un istante di più. Le faceva troppo male. John non le rispose, incapace di farlo mentre l’osservava assorto e dispiaciuto, riconoscendo nel suo sguardo un dolore che una bambina come lei non avrebbe mai dovuto provare. « Sono l’unica a pensare che tu non sia uno stronzo e mi dimostri quanto mi sia sbagliata in questi anni.» Abbassò lo sguardo subito dopo, per nascondere le lacrime che le occupavano le iridi chiare e percepì John sospirare lievemente, forse anche un po’ divertito da tutta quella paradossale situazione. Non pensava certo che dopo sedici anni avrebbe potuto scoprire la verità, non in quel modo così spregevole. Non avrebbe mai voluto che loro, che le sue figlie, i suoi angeli nati da quello che era stato l’amore della sua intera vita, sapessero, ma il danno era oramai fatto e lui doveva affrontare le conseguenze di quella lettera scritta in un momento di puro sconforto.

« Già. È vero, è tutto vero. Sono un vero stronzo, Nicole Alexandra, e sei stata una sciocca a voler vedere qualcosa di diverso in me. Non valgo niente, né come uomo né come padre,» pronunciò quelle parole con astio verso se stesso e profondo affetto per quella giovane. Nel sentir proferire i suoi due nomi, Nicole aveva alzato lo sguardo e l’aveva osservato indispettita, ma subito aveva cambiato atteggiamento nel notare quanta sofferenza albergasse in quegli occhi così tanto simili ai propri. Chinò nuovamente il volto per non scorgere tutto quel dolore e John sorrise, addolcito da quella premura che serbava per ogni persona le stesse affianco, anche la peggiore. John, suo padre, si sporse sino a sfiorarle il mento con l’indice. Nicole sussultò per quella carezza improvvisa e calda, paterna, ma non rialzò il capo, « Alza lo sguardo, Nicole. Guardami, cosa vedi? » aggiunse speranzoso di poter rivedere i suoi splendidi occhi. Nicole lo perforò con uno sguardo dardeggiante
 e furioso. John non si scostò, ma le carezzò ancora la pelle perlacea del viso, non potendo farne a meno. 
« Un traditore, ecco quello che vedo. Io ti volevo bene, così tanto. E tu mi hai tradita. Mi hai mentito, mi sei stato accanto per anni. Sono stata l’unica a provare vero affetto per te, un affetto che sorpassava ogni cosa, e tu… tu,» si interruppe non riuscendo ad aggiungere altro. Non sopportava più nulla. Avrebbe tanto voluto piangere ed essere cinta dalle sue braccia forti e capaci di consolarla, ma non avrebbe mai più trovato quel porto sicuro che la accoglieva da sempre. John comprese subito il suo stato d’animo e si issò in piedi per poi avvicinarsi a lei e inginocchiarsi dinanzi a lei per stare alla sua stessa altezza. Sorrideva a stento e Nicole lo osservò interrogativa. Non comprendeva come facesse a sorridere in una situazione del genere, mentre il suo cuore si spezzava sempre di più.
« Io ti ho tradita e non merito niente da te. Però ascoltami, un’ultima volta. Sei tutto ciò che ho sempre sognato che fossi. Sei bellissima, sei raggiante, sei piena di vita. Sei forte, determinata, dannatamente testarda e orgogliosa. Sei un fiume in piena, sei un puro fuoco quando devi difendere le persone che ami. Sei dolce, buona, gentile. Hai un sorriso che illumina. Sei il Sole, sei la stessa più luminosa del firmamento. Sei straordinaria e io… io sono così… così patetico. Nicole, io so che… che mi odierai per tutta la vita, ma ricordati….»
« Smettila. Smettila di mentirmi, smettila,» lo interruppe quasi urlando. Non le importava nulla che potessero sentirla. Doveva esternare tutto il proprio dolore. L’anima le stava gridando di reagire e lei non riusciva a interrompere che le lacrime le rigassero le guance piene come quelle di una bambina. John sobbalzò nel vederla così triste e spenta. Lui sapeva che non stava mentendo. Credeva in tutto ciò che aveva pronunciato, « Non lo sopporto. Non ti sopporto. Se davvero sono così “straordinaria”, perché mi hai abbandonata? No, non rispondere. Non c’è bisogno. Non ne vale la pena. Io non conto niente per nessuno. Nemmeno per mio padre.»

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questo qui è l’abito che John regala a Nicole. Grazie a tutti quelli che seguono la storia, anche silenziosamente

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Capitolo 26
*** The ball ***


26 cap

Capitolo 26

The ball

 

Spalancò gli occhi e prese un lungo respiro prima di puntellarsi sui gomiti e sbattere le palpebre. Si guardò intorno. Era nella camera matrimoniale dei suoi nonni, sul loro letto dalle pesanti coperte candide, sopra di esse. V’era un lieve vento che soffiava dalla finestra di poco schiusa e percepiva il respiro calmo e rilassato del suo fratellino sul braccio. Si portò una mano alla tempia, poi scosse il capo più e più volte. Quei ricordi la stavano affliggendo, così come il mal di testa crescente. V’era qualcosa di sovrannaturale in quello che le stava accadendo. Quelli non erano semplicemente dei sogni, o dei ricordi, poiché era in grado di percepire che qualcuno le stava controllando la mente con il proposito di farle rimembrare quegli eventi passati. Sbuffò, poi si issò in piedi. Lanciò una breve occhiata a Jeremy, come rassicurazione, e lo vide beatamente addormentato, le labbra schiuse e l’espressione da bambino. Le fece cotanta tenerezza da farle nascere un sorriso spontaneo che occupò anche lo sguardo azzurrino. Si diresse in bagno, la prima porta a sinistra del comò di mogano, e vi entrò per poi chiudersi la porta alle spalle. Si lavò il volto con l’acqua gelida più volte, sino a quando non sentì il dolore passare, poi uscì e scese le scale che conducevano alla cucina. Aprì la credenza e non vi trovò quasi nulla, solamente una scatola di bustine di tè, una di biscotti al burro e una di caffè. Si passò una mano tra i capelli sciolti e sospirò leggermente. Elena vi aveva portato il minimo indispensabile per la colazione quando era stata lì l’ultima volta. Osservò la sala da pranzo e notò che v’era un po’ di polvere sui ripiani della libreria, poi prese un recipiente e lo riempì d’acqua. Suo fratello avrebbe dovuto accontentarsi del tè quella mattina. Fu pronto in pochi minuti e, ancora fumante, lo sorseggiò calma, sedendosi sulla panca del tavolo. Stava accadendo qualcosa di strano, di surreale e lei v’era dentro fino al collo. Gli occhi quasi le si chiudevano per la spossatezza prima di sentire alcuni passi cadenzati scendere le scale. Alzò il capo dalla tazza di ceramica bianca solo per vedere il bel volto di suo fratello, stanco come il proprio, capitolare nella cucina. Le sorrise dolcemente prima di sbadigliare e abbandonarsi sulla sedia di fronte alla sua.
« Ehi Cole, giorno,» le augurò dopo, gli occhi ancora chiusi prima prendere un paio di biscotti e intingerli nel tè.
« Jer,» lo salutò delicata. Per un po’ rimasero in silenzio, Jeremy ancora nel dormiveglia e Nicole assorta nei propri pensieri. Era assurdo, ma pensava di essere osservata, da vicino.
« Perché non abbiamo dormito a casa?» le domandò riportandola bruscamente alla realtà. Era oramai destato del tutto e terminò di sorseggiare il suo tè. Sul fondo del bicchiere rimasero alcuni granuli di biscotti che prese con il cucchiaio per poi issarsi in piedi e posare le due tazze nel lavabo, « Successo qualcosa?» continuò quando non la sentì rispondere. Nicole annuì, sebbene non potesse vederla poiché le dava le spalle, e sospirò lievemente.
« Rick è stato portato in ospedale,» mormorò incredula di non essersi ancora informata sulle sorti dell’uomo. Si rassicurò solamente quando pensò che Elena le avrebbe telefonato se gli fosse accaduto qualcosa. Suo fratello lasciò cadere le tazze che si infransero contro il metallo producendo un rumore fragoroso poi si voltò di scatto verso di lei, gli occhi sgranati e il respiro corto.
« Rick cosa? » quasi urlò preoccupato. Nicole si alzò e gli prese le mani tra le proprie per farlo calmare.
« Non urlare, fratellino. Sveglierai i vicini,» sussurrò, guardandosi intorno e sperando che i Kennedy non si fossero accorti di quel grido intimorito, « Non so cosa gli sia accaduto. Elena mi ha solo avvisato di non tornare a casa per la notte,» gli comunicò leggermente, prima di carezzargli la guancia. Sotto quel tocco, Jeremy sembrò calmarsi e annuì, sorridendo debolmente e socchiudendo gli occhi. Poi lo abbracciò stretto e posò il capo sulla sua spalla, inspirando il suo lieve profumo, sentendosi a casa. Si sentì cingere dalle oramai muscolose braccia di suo fratello prima che un suono destasse entrambi. Era quello del campanello. Si scostò, a malincuore, da lui e si affrettò a raggiungere l’entrata. Aprì l’imponente portone di quercia e il suo sguardo fu subito attirato dalla splendida creatura che aveva dinanzi a sé. Le sorrise accattivante e i suoi occhi la incantarono per la passione che vi lesse. Uscì del tutto e si ritrovò subito tra le sue braccia, le spalle che sfioravano il muro dietro di lei e il corpo di Klaus premuto sul proprio. Arrossì, inconsapevolmente mentre il suo sorriso si distendeva maggiormente. Poggiò le labbra sul suo collo in un bacio che la fece fremere poi ritornò ai suoi occhi.
« Buon giorno, dolcezza,» le augurò criptico, sollevandola impercettibilmente per farla essere alla sua altezza.
« Klaus, che ci fai qui? » gli domandò in un filo di voce per quella commistione di emozioni che le stavano squassando il petto. Respirava a fatica, troppo velocemente, e a Klaus non sfuggì. Sembrava quasi compiaciuto di quella reazione e rise lievemente, roco e sensuale. Avvampò del tutto e percepì il respiro di Klaus sulle sue labbra.
« Non ti piace che ti venga a trovare?» chiese con finto dispiacere, ben conoscendo quale sarebbe stata la sua risposta. Tentò di baciarlo, ma Klaus si scostò di poco, lasciando per un attimo interdetta. Posò le labbra sull’angolo delle sue, lambendolo in un lievissimo bacio.
« Sì, sì mi piace. E molto,» aggiunse più maliziosa. Klaus annuì e finalmente la baciò. Passionale, travolgente, bellissimo. Si ritrovò ancora più schiacciata contro il muro mentre Klaus prendeva possesso della sua interezza, rapendole il cuore che perdurò a battere con troppa insistenza. Klaus le fece mancare persino il respiro e Nicole gli carezzò i corti e mossi capelli biondi sino ad artigliarli. Si scostò di poco, vedendola tanto ansante, e Nicole annaspò per un attimo.
« Tè con i biscotti,» mormorò divertito, per nulla turbato da quel bacio che, invece, aveva scosso lei. Almeno esternamente. Poteva scorgere nei suoi occhi ogni sentimento che la voce modulata non voleva esprimere, « Ottimo connubio,» aggiunse prima di baciarla di nuovo, con più calma, lasciandole una scia di fuoco sulla guancia prima di arrivare alle labbra e lambirle possessivo.
« Tutto bene? » gli domandò dolcemente quando si fu scostato. Era ancora affannata, ma voleva informarsi. Sperava che avessero parlato, si fossero aperti gli uni nei confronti degli altri e si fossero perdonati vicendevolmente. Klaus sorrise e le sfiorò la guancia in una dolce carezza, poi annuì.
« A casa mia? Sì. Ieri notte abbiamo parlato, e molto. Kol ha urlato parecchio, rotto un paio di mobili, ma alla fine si è calmato grazie alla mia, per così dire, presenza,» sogghignò ironicamente, scostandosi per indicare se stesso in tutta la propria magnificenza. Quel sorriso strafottente e malizioso le fece distendere le labbra di rimando e rise lievemente.
« La tua presenza?» domandò furba prima di passare l’indice sul suo petto fasciato da una maglietta grigia e impalpabile. La percorse tutta sino ad arrivare alla cintura, poi si scostò, rimembrando che molti, tra cui suo fratello, potevano vederla. Klaus le prese la mano che stava ritornando al suo posto e la portò alle labbra, posandovisici un galante bacio.
« Qualche dubbio, mia piccola umana?» esclamò sensuale prima di sobbalzare di poco e scostarsi da lei, guardando verso l’interno della casa.
« Nicole, chi è?» domandò suo fratello facendola arrossire. Jeremy apparve sulla soglia e li occhi gli si assottigliarono nel notare l’ibrido tanto vicino a sua sorella, « Klaus,» lo salutò quasi sdegnato, certamente minaccioso e indispettito.
« Jeremy,» ribatté in un sogghigno divertito e sarcastico. Nicole gli artigliò il braccio e guardò dall’uno all’altro per farli calmare, non ricevendo alcun risultato.
« Terresti i tuoi artigli lontani da mia sorella, per favore? » aggiunse in una cantilena che ebbe il potere di farla preoccupare. Tremava e si stava trattenendo a stento dal prenderla e portarla in casa, dove Klaus non sarebbe mai potuto entrare.
« Jer, va tutto bene,» tentò di rassicuralo, cauta e pacata. Jeremy rise lievemente e spostò lo sguardo da Klaus a lei. Per un attimo ne ebbe timore per l’espressione che vi scorse. Era dardeggiante, pregno di rabbia malcelata e odio. Ma fu solo un attimo. V’era solo preoccupazione e ansietà.
« Andrà tutto bene quando rientrerai in casa, al sicuro,» mormorò, facendole cenno di obbedirgli. Nicole tentò di scuotere il capo e ribattere, ma Klaus le carezzò la mano che ancora era posata sul suo gomito. Si volse e vide che le sorrideva rassicurante, facendole cenno di rientrare.
« No, va bene, Nicole,» sussurrò prima di posare le labbra sulla sua fronte, facendo quasi ringhiare suo fratello, « Comprendo perfettamente,» aggiunse tra sé sarcastico, ben sapendo che avrebbe fatto altrettanto se Rebekah si fosse trovata nella sua stessa situazione. Nicole quasi sospirò. Non voleva che suo fratello reagisse in quel modo. Amava Klaus e voleva che loro lo accettassero, sebbene sapesse che fosse totalmente impossibile. Klaus era il male più profondo per loro e quella verità non sarebbe mai mutata, « Verresti a casa mia? Mia madre desidererebbe parlarti, conoscerti meglio,» le spiegò gentilmente, sottovoce, come se non volesse che Jeremy lo ascoltasse.
« Non se ne parla,» sibilò infatti. Nicole sbuffò prima di sorridere a Klaus e annuire.
« Certamente, Klaus. Sarò lì tra poco,» gli assicurò prima di vederlo scomparire in una folata di vento gelido. Jeremy si sporse e la fece rientrare come se temesse che avesse potuto far ritorno sul pianerottolo. Non chiuse la porta e Nicole si sentì stringere i polsi con forza. Quasi le fece male, ma sopportò quel dolore in silenzio, mentre dentro di sé qualcosa si incrinava.
« Ma che diavolo ti prende?» sbraitò irritato, indispettito, gli occhi colmi d’ira e le labbra strette in una smorfia sdegnosa.
« Che diavolo prende a te?» ribatté, sciogliendo la presa e indietreggiando verso il muro del corridoio. Lacrime amare le velarono gli occhi, ma le ricacciò indietro massaggiandosi il polso destro, quello da cui l’aveva afferrata per farla rientrare. La pelle era sbiancata maggiormente in quel punto e lo vide quasi dispiaciuto prima che la collera ritornasse, furiosa e terribile.
« Mi è passata la sbronza e sono perfettamente in me,» le spiegò, volendo riprendere il discorso della sera prima. Non era pronta ad affrontarlo, ma non si sarebbe potuta sottrarre a quell’ennesima prova. Si domandò quando sarebbe finito tutto quell’inferno, quando finalmente non vi sarebbe stato più rancore e risentimento, quando sarebbero ritornati ad essere una famiglia e non riuscì a trovare una risposta, « Credi che Klaus ti ami? » domandò malevolo facendo un passo verso di lei, quasi inchiodandola al muro. Quella domanda la ferì. Era certa che Klaus fosse innamorato di lei. Nessuno avrebbe mai saputo dissimulare con tanta facilità e non sopportava che suo fratello minimizzasse quel sentimento che li univa, « È un vampiro, un Originale,» aggiunse come se fosse stata un’infamia deplorevole e disgustosa, « Loro non possono amare,» affermò. Sobbalzò e per poco non gli diede uno schiaffo. Quello non avrebbe dovuto dirlo, non davanti a lei.
« Jeremy, sei impazzito? » esclamò incredula e indignata. Lui si era innamorato di due vampire, forse di tre, ma era un Gilbert e i Gilbert erano i più rinomati cacciatori di vampiri della città. Quella verità era radicata da secoli, le sue radici affondavano nell’Ottocento e nessuno mai sarebbe stato in grado di sradicarle e impedire a quel seme pregno di odio di proliferare nelle successive generazioni, « È una cattiveria quella che hai detto e lo sai bene.» Jeremy ghignò prima di sbuffare e scuotere il capo, « Ricordi Anna? Anche lei non ti amava? » aggiunse più cattiva, perfida, facendolo sobbalzare. Se era la cattiveria quella che voleva, l’avrebbe accontentato, seppur non ne sarebbe andata fiera nei minuti successivi.
« Era diverso. Lei non era un mostro,» sbottò facendole assottigliare lo sguardo reso plumbeo dalla collera. Nemmeno Klaus era un mostro, per non parlare di Elijah o di Rebekah. E neanche Mikael. Sapeva che le sue antenate non le avrebbero più parlato per molto tempo, ma era vero. Loro non erano dei mostri. Potevano percepire tutto, ogni emozione era amplificata, più vivida e potente. Sospirò e tentò di ritrovare la calma.
« Senti, Jer, io so che sei arrabbiato per tutto quello che sta accadendo in questa città, ma io mi sono innamorata di lui,» gli confessò dolcemente, cercando di farlo ragionare. Jeremy sobbalzò e Nicole distese le mani per stringere le sue, ma suo fratello indietreggiò come se avesse dinanzi la peggiore delle sirene. Scosse il capo con foga e Nicole sorrise dalla tenerezza. Sembrava un bambino in quel momento e in fondo sapeva che voleva solamente proteggerla e non schernirla, « Sì, Jer, lo amo,» affermò quasi esasperata da quel comportamento. Non era così complicato da comprendere, almeno non per lei che si era premurata di conoscere Klaus, di scorgere la luce nelle sue tenebre.
«Ti avrà ammaliata di sicuro,» esclamò ostinato, avvicinandosi e posandole le mani aperte sulle sue guance, guardandola con tenerezza. Come se dinanzi a sé avesse una bambina o un’ingenua. Quello la irritò, ma non lo diede a vedere. Le carezzò il viso e un sorriso impietosito e benevolo gli distese le labbra esangui, « Questa non è mia sorella,» sussurrò tra sé più determinato. Non ci vide più. Indietreggiò e si liberò di quella sciocca carezza. Non valeva a nulla se non pensava davvero a volerle bene, ma a compatirla.
« Non si può ammaliare una strega, Jeremy,» sbottò  irritata, « Il mio amore è reale e anche il suo,» esclamò esasperata. Jeremy scosse il capo con più foga per l’ultima volta prima che sul suo volto apparisse una smorfia preoccupata e, allo stesso tempo, minacciosa.
« E non ti importa che abbia ucciso la zia Jenna? O che abbia sacrificato Elena? O quanto male abbia arrecato a Mystic Falls?» le domandò velocemente, pugnalandola direttamente al cuore. Era ovvio che le importasse, tanto ovvio da sembrare oscuro ai suoi fratelli. Ogni sua parola era un paletto che le squarciava il petto, che arrivava sempre più vicino al cuore sino a sfregare il legno resinoso su quel muscolo che le dava vita, « Cosa credi che penserebbe lo zio John se ti vedesse adesso?» continuò sottovoce, come se non volesse infierire, ma era necessario. Perché lei doveva comprendere quanto assurdo fosse amare Klaus. Non pianse né i suoi occhi si velarono di lacrime. Suo padre avrebbe voluto che fosse felice. E lei era felice al fianco di Klaus, « Lui è morto per impedire che Elena diventasse un vampiro e voi non fate altro che fidarvi di vampiri,» esclamò incredulo, prendendola per i polsi e stringendoli in una morsa che di affettuoso non aveva nulla. La stava ferendo davvero, gettando sale sugli squarci della sua anima, aggiungendo al dolore del cuore quello fisico.
« Jeremy, mi stai facendo male,» affermò quando l’afflizione divenne quasi insopportabile. Doveva calmarlo. Suo fratello non era così e in quel momento non era lui. Non era Jeremy. Era solamente un Gilbert proprio come suo padre nei suoi giorni peggiori. Quando l’unico obbiettivo era uccidere i vampiri, senza alcuna pietà. Non sembrò ascoltarla e continuò imperituro nel proprio compito.
« Smettetela di fidarvi dei vampiri,» ordinò perentorio, quasi inchiodandola al muro. Gli occhi gli si erano sgranati per l’incredulità e la collera mentre il respiro era divenuto più corto e instabile, il corpo proteso verso di lei, la presa quasi del tutto sciolta, « Non hanno un cuore, non provano nulla. Niente li tocca, pensano solo ai propri interessi. E Klaus è il peggiore di tutti quanti,» tentò di farle capire a un soffio dal suo volto. Percepì dei passi sul pianerottolo e Jeremy si scostò di poco, riprendendo il controllo di se stesso. L’aveva spaventata, davvero, e il suo sguardo corse all’anello che portava all’indice. Rimembrava alla perfezione la storia di Samantha Gilbert, quella nipote di Jonathan che, per pazzia, aveva tentato di lobotomizzarsi il capo ed era morta dissanguata nella sua camera. Era stato quell’anello a farla divenire pazza. Era contro natura ritornare in vita, andava contro tutte leggi del mondo, e contro il codice soprattutto.
« Che succede qui?» li riprese la voce di Elena, intimorita, facendo sobbalzare entrambi. Nicole prese il cellulare dalla consolle, dove lo aveva abbandonato la notte prima, e lo mise in tasca, prima di volgersi verso sua sorella e l’uscita. Voleva andar via. Via da Jeremy e tutto quel rancore che si era insediato nel suo animo troppo giovane per provarlo. Via da Elena e i suoi occhi pregni di senso di colpa e preoccupazione. Via da quella casa che aveva il potere di farle ritornare alla mente mille ricordi di lei e sua nonna, la sua guida, ancora insieme.
« Occupatene tu. Io vado,» esclamò indispettita prima di fare un passo verso di lei. Jeremy si frappose ed Elena entrò completamente in casa, osservandolo con un cipiglio pensieroso e incerto.
« Oh io non credo. Tu non vai proprio da nessuna parte,» soffiò irato, prima stringerle nuovamente il polso.
« Jeremy, che ti prende per l’amor del cielo?» gli domandò sua sorella, posando la mano sul suo braccio per farlo calmare. Nicole approfittò di quell’attimo e sciolse la presa, raggiungendo l’uscita con una sola falcata.
« Nicole?» la richiamò Elena incredula che stesse davvero andando via senza dir nulla.
« Ci vediamo, Lena,» mormorò ancora scossa da quello che era accaduto. Voleva solamente percepire le braccia del suo Klaus cingerla con dolcezza e farle dimenticare tutto il resto, tutto ciò che non apparteneva a loro. Non si voltò, ma attese, pregando che quel momento fosse oramai passato.  
« Non vi permetterò di rovinarvi la vita a causa dei vampiri,» affermò risoluto, senza collera o irritazione, solo determinato nel suo compito, « Lo zio John è morto per salvarvi,» ricordò imprimendo un pugnale nella sua schiena. Il suo corpo cominciò a sanguinare per le ferite dell’anima, ma non si voltò, rimanendo ancora al bel paesaggio che le offriva la natura. Era una mattina calda e assolata, più primaverile che autunnale, completamente diversa dalla notte gelida presente nel suo cuore, « Cosa direbbe delle sue figlie?» domandò esasperato. Percepì un lieve rumore e si voltò di poco, per vedere Elena muoversi a disagio cercando il suo sguardo rassicurante. E Nicole non voleva sottrarsi a quel compito. Doveva supportarla perché quello non era il vero Jeremy. Aveva così paura per lui. Avrebbe dovuto aiutarlo. La sua aura stava divenendo nera come la pece e tutta quella collera non gli apparteneva. Era causata da quell’anello e avrebbe dovuto distruggerlo, « Volete comprendere che è il soprannaturale nelle vostre vite a farvi soffrire? Se tu non avessi praticato la magia, non ti avrebbero fatto del male, Nicole,» sussurrò prendendole le mani. Stava piangendo e lei non riusciva nemmeno a respirare in quel momento perché tutto quel dolore la stava affliggendo in un martirio infinito. Elena chinò il capo, non riuscendo a sopportare quella discussione. Non poteva pensarla ferita da quelle persone che le avevano viste crescere. Era insopportabile, « Perché hai aiutato un vampiro? Saresti dovuta tornare a casa e rimanerci,» esclamò. Nicole schiuse le labbra. Non sapevano tutta la storia. Abbassò lo sguardo per un istante lasciando che una lacrima le rigasse la guancia pallida e sentì la presa di Jeremy farsi più forte, ma protettiva e affettuosa. Era tornato in sé.
« Perché era mia madre. Isobel,» confessò loro, avanzando per cercare tra le braccia del suo fratellino il conforto di cui necessitava in quel momento e Jeremy non le negò nulla. Alzò lo sguardo puntandolo in quello scuro di Elena che era appena sobbalzata. La giovane si strinse nelle spalle per proteggersi e sul suo visto ovale apparve una smorfia sofferente, « Era nostra madre e io…,» si interruppe sentendo il cuore in gola. Aveva ordinato a sua madre di non farsi più vedere nella sua vita la seconda volta in cui l’aveva incontrata. Perché Isobel era malvagia, era solamente una vampira boriosa  a cui non importava nulla della vita umana, né di lei ed Elena. Perché Isobel aveva affermato, asetticamente, senza alcuna inclinazione nella voce che tanto le accomunava, che suo padre era soltanto un mezzo, un inutile adolescente sciocco come tanti altri che si erano innamorati di lei. Lo teneva con sé solo perché sapeva dei vampiri. Perché Isobel non aveva fatto altro che abbandonarle per tutta una vita. Ma a quel tempo non la conosceva, se non di nome e per quelle poche informazioni che le aveva offerto John con quello sguardo che solo un innamorato poteva possedere, « Io non volevo perderla un’altra volta. Io volevo solo conoscerla,» aggiunse ritornando a essere la ragazza spaventata di quella notte. Si era fidata di Isobel, si era concessa anche di crederle e i bere il suo sangue rigenerativo e aveva scorto una scintilla in quella che era la sua madre naturale. Una scintilla di affetto e di amore. Ma era stato solo un baluginio scomparso nelle tenebre della sua immortale freddezza, « Non avresti voluto anche tu, Elena?» domandò con un filo di voce, speranzosa che sua sorella comprendesse quel desiderio. Elena la osservò, per alcuni secondi, con gli occhi scuri e indecifrabili prima di scuotere il capo sentenziosa. Era una bugia, Nicole lo sapeva bene.
« No. Mia madre e mio padre sono morti due anni fa. Erano quelli i miei genitori,» esclamò perentoria, facendola sorridere con scherno. Jeremy l’aveva lasciata andare e osservava dall’una all’altra senza sapere cosa dire. Non voleva che litigassero ancora, non dopo tutto quello che era accaduto, ma Nicole non aveva alcuna intenzione.  
« Perché tu pensi sia sbagliato. Tu pensi che accettare John e Isobel sarebbe come un’infamia verso mamma e papà. Ma non è così,» affermò tentando di farla ragionare. Per lei era stato così normale convivere con quella situazione. Ci scherzava alle volte con suo padre. Diceva che era bello avere non due genitori, bensì quattro. E John non sapeva mai se pronunciasse quelle parole con felicità o con amarezza, ma non l’interrogava mai, capendo che non era pronta. Sua sorella scosse il capo. Per lei sarebbe stato un errore colossale cedere a quella realtà, una mancanza nei confronti di Grayson e Miranda, « Elena non mentire, non a me,» aggiunse con dolcezza, rimanendo ancora al suo posto. Sarebbe voluta andar via per non guardare più quelle isole sempiternamente pacifiche velate dalla mestizia, « Qui non tratta di Klaus, o di Stefan, o di Damon. Qui si tratta di noi. E fino a quando non riusciremo a essere sinceri tra di noi, sino a quel momento, non saremo una famiglia. Saremo solo tre persone legate dal sangue. Una famiglia sorpassa questo. È di più, immensamente di più. È fiducia, è lealtà, è affetto, protezione, è tutto ciò che ci rendeva felici tempo fa,» enfatizzò guardando entrambi. Rimasero in silenzio e Nicole sospirò, chinando il capo per poi scuoterlo. Volse le spalle e si avvicinò alla jeep parcheggiata dinanzi alla casa, mentre quella di Elena era nel vialetto. Li poteva ancora scorgere. Erano rimasti ai loro posti come se fossero stati pietrificati dalle sue parole, « Io voglio questo. Dovete capire se lo volete anche voi,» esclamò prima di entrare nell’auto e metterla in moto. Non li guardò più e percorse le strade di Mystic Falls nel più totale silenzio. Non accese l’autoradio né ascoltò le parole dei ragazzi che passeggiavano per le vie bianche della sua cittadina. Si diresse direttamente alla villa grandiosa degli Originali, non un pensiero ad occuparle, tartassarle, la mente. Riteneva che avesse fatto ciò che era più giusto. Aveva parlato con franchezza e si era liberata di quel peso che le premeva sul cuore. La scelta era loro. La sua parte l’aveva fatta. Sorrise, tra sé, e parcheggiò accanto alla Porche di Klaus. Notò che vi era un’altra macchina, una Lamborghini decappottabile rosso fiammante. Immaginò subito fosse di Rebekah. Rise lievemente e raggiunse l’ingresso con poche falcate prima di bussare timidamente. Percepì subito della musica leggera all’interno della villa e delle voci poi vi fu un lieve rumore di passi e la porta cigolò appena. Si ritrovò dinanzi all’imponente figura di Mikael, vestito con eleganza, fasciato dal suo smoking nero dalla camicia bianca. Gli occhi meno gelidi del solito, più benevoli e pacifici, e Nicole si ritrovò a sorridergli quasi senza accorgersene, ricambiata prontamente dall’uomo, che si scostò per permetterle di entrare.
« Buon giorno, Nicole. Prego, entra. Sei la benvenuta in casa nostra,» mormorò gentile, cortese e Nicole non attese altro prima di metter piede in casa. V’erano più quadri e le magnolie erano state sostituite con delle rose rosse perfettamente sbocciate.
« Di buon umore, Mikael?» gli domandò contenta di notare che vi fosse tanta pace in quella casa.
« Esattamente,» confermò, guidandola verso la sala, a sinistra dell’entrata. La musica era più alta lì e vi era più movimento di persone. Scorse Rebekah sul divano intenta a lasciarsi passare lo smalto sulle unghie da una donna mentre il ragazzo della sera prima, Kol, indossava la giacca. Elijah stava analizzando delle scarpe nere ed eleganti mentre Finn stava stringendo il papillon bianco, « Perché non dovrei?» continuò sulla soglia. Nicole non rispose, continuando a cercare il suo Klaus con lo sguardo, non trovandolo, « Posso presentarti i miei due figli che Niklaus non ha ancora provveduto a mostrarti? Loro sono Finn e Kol,» li presentò. Finn le sorrise benevolo, facendole una piccola riverenza con il capo che la fece sorridere di rimando. Si era sbagliata la notte prima. Sembrava davvero una brava persona, certamente molto introversa, ma buona e cortese. Kol, invece, le rivolse un sorriso più ampio e malandrino, sollevando le sopracciglia. Nicole quasi scoppiò a ridere. Doveva essere il più piccolo della famiglia e infatti il suo viso, privo di peluria e rughe, era infantile e bellissimo. Sembrava un angelo, almeno se non si scorgeva il lampo di malizia e scaltrezza che albergava nei suoi occhi marroni, « E lei è la mia splendida moglie, Esther,» esclamò mostrandole con la mano aperta la donna che era appena apparsa sulla soglia. Le sorrideva gentilmente e poi le fece cenno di raggiungerla all’interno della saletta dove lei si trovava. Nicole rivolse un lieve sorriso a Rebekah e a Elijah prima di entrare.
« Buon giorno, mia cara,» le sussurrò dolcemente, dandole le spalle e avanzando verso il pianoforte, « Accomodati,» la invitò indicandole una poltrona rossa vicino alla finestra. Lei, invece, si sedette sullo sgabello marroncino. Nicole obbedì prontamente e guardò la sala. Era bellissima, arredata con un gusto e un’eleganza che avrebbero fatto spalancare le labbra persino a Carol. Tutto in quella villa sembrava esprimere raffinatezza, cura dei particolare, arte e grazia. Non che si aspettasse diversamente da un millenario che aveva viaggiato per ogni paese del mondo, « Niklaus è dovuto andar via per un inconveniente spiacevole, ma questo mi offre la possibilità di conoscerti,» affermò complice, sorridendo lievemente. Nicole arrossì di poco sotto il suo sguardo, ma non si sottrasse. Esther era sicuramente una donna che non passava inosservata, e non solo per la sua avvenenza, bensì per i suoi modi e per quel potere che sprigionava quasi senza una reale consapevolezza. Era facile comprendere che Klaus fosse suo figlio.
« Credo che… mi conosca già,» mormorò prendendo coraggio. Esther rise, leggermente, e annuì. Nicole fu quasi colpita da quel gesto. Comprendeva perché Mikael non si fosse mai dimenticato di lei, anzi, in sua opinione, non v’era stata altra donna se non lei per mille lunghissimi anni.
« Questo è sicuramente vero, ma ti conosco come strega, non come persona. Rebekah mi ha raccontato che si è instaurato un bel rapporto tra di voi. Ne sono felice. Sono una persona molto diretta, Nicole Alexandra.»
« La prego, » la interruppe, trattenendo una smorfia e alzando la mano destra. Detestava il suo secondo nome. Era troppo duro contro la morbidezza del primo, « Mi chiami semplicemente Nicole, lo preferisco,» aggiunse più dolcemente. Esther annuì e si issò in piedi, percorrendo lentamente la distanza che le divideva, sino a sfiorarle la mano con un tocco gentile, materno, affettuoso, che la fece sentire bene. La percepì prontamente come sua simile, sua antenata e, soprattutto, sentì di potersi fidare di lei. Totalmente ed incondizionatamente. Sorrise e si immerse nel mare calmo che erano i suoi occhi, tanto diversi da quelli di suo figlio, ma capaci di scaldarla con lo stesso calore.
« Anche il secondo è uno splendido nome,» le mormorò carezzandole per l’ultima volta la mano per poi volgersi verso la sala dove i suoi figli si stavano vestendo per la festa. Sapeva che stavano udendo tutto ciò che le due si stavano scambiando e Nicole si domandò soltanto dove fosse Klaus. Era in pena per lui. Esther aveva parlato di uno spiacevole inconveniente e sperava non fosse nulla di grave. Ancora immersa in quei mesti pensieri non si accorse che lo sguardo della strega originaria era tornato a lei, « L’ha scelto tua madre, naturale, se non ne eri a conoscenza,» aggiunse con gentilezza vedendola sobbalzare. Scostò subito gli occhi azzurrini dalla donna che le era dinanzi per non farle scorgere che stava trattenendo le lacrime. Non avrebbe potuto aspettarsi altro, si disse con amarezza. Alexandra era un nome duro e poteva essere stato scelto solo da una persona come sua madre.
« Io… non lo sapevo,» si ritrovò a sussurrare, facendosi più piccola sulla poltrona. Esther le carezzò delicatamente la guancia e Nicole tornò a guardarla con gli occhi spalancati e incerti, ma la bontà che vi scorse servì a mitigare ogni suo dubbio o incertezza.
« Così come Elena Harriet,» le spiegò. La giovane annuì e sorrise, percependo il dolore svanire sotto quel tocco tanto affettuoso, « Dammi del tu, per favore,» aggiunse con un sorriso divertito, « Mio figlio è tuo,» sussurrò con tono indecifrabile. Nicole sgranò gli occhi, sobbalzò e schiuse le labbra allo stesso tempo. Avvampò il secondo successivo. Klaus… suo. Sua madre riteneva che oramai suo figlio le apparteneva. Percepì una calda ondata di amore infinito riscaldare il cuore lenendo ogni ferita. Sbatté le palpebre e sorrise, « Perdonami, non sono molto al passo con i tempi, ma nel passato due innamorati, stretti in un rapporto forte, si appartenevano. Non è molto attuale, credo,» soggiunse ironica.
« Comprendo. È un po’ strano per me sentire che Klaus è… mio,» le confessò issandosi in piedi prima di sentire il fragore della porta d’ingresso che veniva aperta con violenza. Esther sospirò e scosse il capo, prima di trarla a sé e farle cenno di tornare in sala.
« Penso che il nostro fiume in piena sia tornato,» le sussurrò nell’orecchio facendola sorridere prima che insieme raggiungessero la soglia. Klaus era in piedi dinanzi a Rebekah, che soffiava irata, con la mano che artigliava il braccio di sua sorella e un’espressione di pura collera negli occhi azzurri, « Niklaus, che modi, figliolo,» esclamò. La presa di Klaus si addolcì in un istante poi la lasciò andare. Rebekah si massaggiò l’avambraccio e i suoi occhi mandavano fiamme contro suo fratello. Mikael si era issato in piedi pronto ad aiutare sua figlia così come Kol e Finn, mentre Elijah era rimasto rilassato. Sapeva che non le avrebbe mai fatto del male. Klaus si volse verso di loro, verso sua madre, poi chinò il capo, sospirando amaramente, quasi in imbarazzo.
« Perdonami, madre, ma Rebekah ha fatto qualcosa che non doveva assolutamente fare,» aggiunse infuriato prima di tornare a sua sorella, « Perché hai attaccato Elena ieri notte?»
« Perché è una sgualdrina che mi pugnalato alle spalle e se non ci fosse stato Elijah avrei reso realtà il mio sogno di vendetta,» soffiò issandosi in piedi per fronteggiare suo fratello. Era di poco più bassa di lui, anche con i tacchi alti degli stivali, ma la sua aura era tanto minacciosa che anche Klaus avrebbe indietreggiato se non fosse stato tanto indispettito dal suo comportamento infantile, « A proposito, ti ho già detto che…,» incominciò rivolta a suo fratello che osservava divertito la scena.
« Perdonami, Rebekah, ma… insomma…,» la interruppe. Avrebbe voluto dirle che non era colpa di Elena, sebbene, effettivamente, la colpa era di sua sorella. Rebekah la fissò per un istante, ancora arrabbiata. Con lei. Perché sembrava più propensa a prendere le parti di una persona che l’aveva pugnalata alle spalle piuttosto che di lei, che si era comportata come da sorella.
« Davvero siete sorelle? Non è che vi hanno, che so…»
« Dopo tutto questo gran disastro nella mia famiglia, non credo che avrebbero avuto il coraggio di mentirci ancora,» la interruppe, per la seconda volta, ma quello per non sentire il dolore nel suo petto scuoterla con tutto il proprio potere. Klaus si mosse inquieto e Nicole gli rivolse un’occhiata di sfuggita, come se temesse di farlo apertamente dinanzi alla sua famiglia. Notava quando avrebbe voluto stringerla a sé e baciarla per farle risalire quel baratro nero che era diventata la sua mente.
« Cara, parlando di questo. Dall’Altro Lato ero in grado di scorgere tutto su di te perché sei l’unica discendente di Rowena, ma questo contatto non si è ancora interrotto e ieri notte ho visto alcuni tuoi ricordi di quando ancora non eri a conoscenza della tua natura,» la riportò alla realtà, quasi con dispiacere, Esther.
« Ricordi? Quelli che ho sognato anch’io?» domandò. Quelli di lei e suo padre. Suo padre, il suo caro John. Nuovamente la sensazione di quella mattina. Era surreale. Era come sentire gli occhi di suo padre fissi su di sé. Sapeva che era solo una vana illusione, ma era così dolce che le avrebbe creduto quasi senza remore. Se John… no. Scosse il capo e si costrinse ad accantonare quegli sciocchi pensieri. Non era da lei illudersi. Ritornò a Esther che aveva captato ogni sensazione nel suo animo e la osservava con un cipiglio di materno ammonimento.
« Sì, cara,» sussurrò dolcemente, « Quando hai scoperto di essere stata adottata, quando tuo padre ti ha portato alle cascate per poterti spiegare la motivazione delle sue scelte, e quando…,» si interruppe in evidente difficoltà prima di abbassare lo sguardo sul pavimento. I suoi figli la osservavano con le sopracciglia aggrottate. La loro madre non era mai in imbarazzo, anzi sapeva governare ogni situazione con maestria ed eleganza.
« Quando?» domandò soavemente, sfiorandole l’avambraccio e sorridendo incoraggiante. Le cascate. Quello era stato uno dei tanti colpi di testa di suo padre.


All’ennesima risposta indisponente, John l’aveva presa in braccio e l’aveva condotta in macchina, sotto lo sguardo incredulo di Miranda e Grayson. Si era dimenata tanto, rischiando anche di rovinare a terra, ma la presa di suo padre era forte, vigorosa e determinata. Gli aveva dato dei pugni sul petto, ma l’unica risposta che ebbe fu lo sbuffo intenerito e allo stesso tempo incredulo di John. Quando l’aveva adagiata sul sedile dell’auto, non aveva più opposto resistenza e si era abbandonata contro di esso, con le braccia conserte e un cipiglio di pura collera negli occhi chiari. John non aveva parlato per tutta la durata del viaggio, che durò poco a causa dell’eccessiva velocità con la quale l’auto si stava muovendo, e poi si era fermato dinanzi alla baita ai piedi delle cascate. Nicole le aveva guardate con sommo rispetto, riverenza e con tanto affetto, sorridendo quasi sognante.
« Vuoi che ti prenda in braccio di nuovo o preferisci scendere con le tue gambe?» le domandò ironico, caustico, estremamente irritante e Nicole si volse di scatto verso il sedile del guidatore. Non la stava guardando, ma aveva ancora le mani sul volante e un’espressione indecifrabile negli occhi che tanto li facevano rassomigliare.
« Perché qui?» chiese atona, non un’inclinazione nella sua lieve voce. John, finalmente, si voltò e la guardò, indecifrabile, le labbra sollevate in un impercettibile sorriso pacifico e benevolo. Nicole si scostò un ricciolo che era ricaduto sulla guancia e lo arrotolò sull’indice, distrattamente, intenta a scrutare l’uomo che le stava di fronte. Sembrava non aver alcuna intenzione di risponderle mentre spegneva l’auto e apriva lo sportello.
« Perché questo posto riesce sempre a calmarti e ho bisogno che tu stia calma,» mormorò semplicemente quando le vide schiudere le labbra per interrogarlo ancora.
« Perché? Cosa vuoi da me?»
« Io non voglio niente da te, Nicole,» esclamò ridendo appena, come se pensasse fosse ridicolo che lei rimuginasse su certe sciocchezze, mentre, invece, in sua opinione, era una domanda valida. Non sapeva la ragione per la quale l’aveva portata lì e la volesse calma. Era una speranza vana. Lei non si sarebbe mai calmata, non in sua presenza. Il dolore era ancora forte, la ferita aperta e sanguinante.
« E allora vattene,» soffiò con collera e irritazione mentre John chiudeva la portiera con un tonfo sordo capendo che non sarebbe uscita a breve, « Sparisci dalla mia vita,» continuò vedendo qualcosa vacillare negli occhi di quel padre che non l’aveva mai voluta, « In fondo l’hai fatto per sedici anni, cosa ti impedisce di farlo adesso?» domandò sorniona, con un sorriso di scherzo sulle labbra sottili ed esangui. Altezzosa, orgogliosa, fiera e superba. John sobbalzò visibilmente per l’inclinazione nella sua voce. Grayson l’aveva chiamato per quello e in quel momento comprendeva suo fratello e sua cognata. Non sopportavano più quella situazione. Qualcosa dentro di lui scattò e si portò la mano alla tempia, chiudendo gli occhi. Si odiava. Per quella dannata lettera che non avrebbe mai dovuto scrivere. Si era liberato la coscienza riversando tutto su quella di Grayson e della piccola donna dinanzi a lui. Era solo un vigliacco, sì, lo sapeva, ma doveva sistemare ogni cosa.
« Smettila,» la pregò riaprendo lentamente gli occhi azzurrini. Nicole sorrideva ancora e sembrava gloriarsi di essere riuscita a smuovere qualcosa nel suo animo che credeva di ghiaccio. Di pietra, si corresse. Suo padre aveva un cuore di pietra. Il ghiaccio poteva tramutarsi in acqua, la pietra rimaneva sempre e solo pietra, « Non parlare con quel tono indisponente e menefreghista,» aggiunse più indispettito e irritato come se stesse captando i suoi pensieri.
« Non me ne frega niente, quindi…» Scrollò le spalle e sbatté le labbra, sapendo di mentire. La verità era che a lei importava molto più di quanto lasciasse trapelare ogni giorno. Perché non era così difficile credere che John fosse suo padre, perché non doveva nemmeno far sforzi per notare quanto li accomunasse.
« Non te ne frega niente, Nicole?» le domandò in uno sbuffo incredulo e caustico. La giovane annuì,  « Seriamente? Allora perché non fai altro che piangere la notte?» continuò più malevolo. Sobbalzò e l’ira le occupò la mente, facendo nascere lacrime colleriche agli angoli degli occhi. Si mosse in un attimo e gli diede uno schiaffo che gli fece voltare il viso verso la strada.
« Tu… brutto, str…,» si interruppe solo quando le afferrò rudemente il polso. Notò che aveva il labbro insanguinato e un rivolo scarlatto stava scendendo verso il mento. Era arrabbiato, la presa era forte e la carne le bruciava sotto quel tocco così duro, scortese. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, era suo padre. E anche se non lo fosse stato era pur sempre un adulto e gli adulti dovevano essere trattati con rispetto.
« Una ragazza dell’alta società non parla in quel modo,» sibilò con gli occhi assottigliati prima di uscire dall’auto. Nicole osservò tutto il suo tragitto e lo vide fermarsi dinanzi alla sua portiera, il sangue che ancora gli macchiava la pelle abbronzata del volto. Sembrava essere ancora più infuriato dei pochi istanti precedenti e la giovane tremò, non per timore di lui, ma per quello di averlo ferito in quel modo così sciocco. Avrebbe voluto scusarsi, la parte più ancorata alla ragazza che era sempre stata le stava urlando di scusarsi con suo padre per ciò che aveva fatto, ma non vinse poiché Nicole Gilbert non esisteva più. Le aprì lo sportello e il suo sguardo di ghiacciò la fece quasi piangere, « E ora esci,» le ordinò ancora più sgarbato. Quando non le vide far alcun cenno, la prese per il polso e la fece alzare.
« Chi diavolo credi di essere per trattarmi in questo modo?» quasi urlò inviperita, massaggiandosi il polso ferito. John la osservò per un attimo, come in colpa per averle fatto del male, prima di scuotere il capo con foga.
« Tuo padre, ecco chi,» le rispose divertito, come se quella verità fosse ilare, non terribile. Nicole lo guardò con disprezzo per un istante di sorpassarlo e avanzare per il sentiero che conduceva alla baita, poi al ponte e infine al fitto bosco. Quando sfiorò il legno del corrimano del ponticello, sentì la sua voce richiamarla, « Dove vai?» le domandò incredulo prima di raggiungerla con ampie falcate, dopo aver chiuso l’auto. Non v’era nessuno, era una precauzione inutile. Camminò ancora con lui al suo fianco, senza guardarlo nemmeno per un attimo.
« Sono uscita e vado dove mi pare,» rispose semplicemente sorridendo nel sentire la natura serena sotto di sé. Il canto degli usignoli, lo scorrere dell’acqua del fiume, il fragore delle cascate, il suono del vento tra le fronde. Era meravigliosamente pacifico quel luogo. Le ispirata tanta di quella serenità da farle sentire di non dover temere nulla. Suo padre non era del suo stesso avviso, però, e le strinse il braccio, in prossimità dell’attaccatura con la spalla, facendole male. La sua magia, risvegliata dalla natura, la protesse e John tolse la mano di scatto. Sobbalzò e aggrottò la fronte, guardandola interrogativo.
« Cosa hai fatto?» le chiese preoccupato, dolcemente protettivo, totalmente dimentico di ogni sciocca rabbia. La giovane abbassò lo sguardo e chinò il capo. Non avrebbe dovuto usare la magia, non dinanzi a lui. La nonna l’aveva raccomandata di non far nulla dinanzi alle altre persone. Era per la sua sicurezza. Ma oramai era fatto, « Nicole, Nicole, guardami,» mormorò delicato, accogliente, paterno, prima di sollevarle il mento con l’indice sinistro sono a portarlo alla sua stessa altezza. Scorse il suo sorriso impercettibile, benevolo e gli si fece maggiormente vicina. Voleva che lui, che suo padre, la proteggesse da tutto ciò che le stava accadendo, « Sono serio. Che cosa, figliola?» Quell’appellativo la scosse internamente. Figliola. Non era la prima volta che la chiamava in quel modo, lo faceva sempre quando aveva un problema e a Nicole suonava così naturale quell’epiteto da farla sorridere ogni volta.
« Un incantesimo,» si ritrovò a mormorare con un filo di voce, guardandolo negli occhi chiari. John sospirò lievemente, serrò lo sguardo e le carezzò il mento prima di lasciarla andare e fare un passo indietro.
« La nonna Elizabeth ti ha…» incominciò prima di vederla annuire. Lo fece a sua volta poi le strinse le mani tra le proprie, il corpo proteso verso di lei per proteggerla da un male che solo lui era in grado di vedere, « Non devi farli. Non m’importa cosa ti ha detto la nonna, non puoi…»
« Perché no? Cosa c’è di male?» lo interruppe incredula. Non faceva nulla di male, mai, non era sua intenzione ferire nessuno.
« Tu sai cosa c’è a Mystic Falls?» le domandò cautamente, sperando che sua madre fosse stata previdente e lo avesse raccontato a sua nipote.
« Il Consiglio. Ma è contro i vampiri,» aggiunse incerta, non capendo la ragione di quella preoccupazione.
« Non solo, Nicole. Adesso ascoltami. Devi stare attenta e devi cercare di non…»
« Mi viene naturale, John. Io… non posso… non riesco a fermarmi quando sono arrabbiata o sono triste,» lo interruppe chinando lo sguardo, spazientita. John sospirò ancora e le prese la mano, stringendola e facendole cenno di avanzare verso la baita.  
« Prendiamo la funivia. Arriviamo in cima,» le propose dolcemente prima di posar un lieve bacio sulla sua fronte. Nicole annuì e si sedette al suo fianco. Suo padre azionò il meccanismo automatico e il mezzo partì, cominciando a percorrere il suo tratto in salita. Non era mai arrivata in cima alle Mystic Falls. Jeremy aveva sempre sofferto di vertigini ed Elena preferiva rimanere sul lago dove si potevano scorgere gli scoiattoli e i pettirosso. Sorrise per lo splendido panorama che la natura stava offrendo loro. Era meraviglioso. Gli alberi secolari, altissimi e sempreverdi, si estendevano per milioni di ettari e le cascate divenivano sempre più vicine. Suo padre era in silenzio, come sempre, ma le stringeva ancora la mano. Nicole posò il capo sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Era così stanca di fingere, di mentire, da stringerle il cuore in una morsa insopportabile. Odiava ciò che stava facendo a tutti, voleva soltanto che un giorno sarebbero riusciti a perdonarla. Si rannicchiò sul sedile e si lasciò cullare senza riaprire lo sguardo. Voleva sentire la natura, più che vederla. Arrivarono in poco più di mezzora e suo padre le fece cenno di scendere baciandole i capelli, pensando quasi che si fosse addormentata. Nicole spalancò gli occhi e discese dalla funivia, camminando e osservandosi intorno. Era stupefacente. Non v’erano parole per descrivere tanta maestosità e la giovane sorrise, promettendosi che, un giorno, avrebbe portato i suoi fratelli con sé per far veder loro cosa si erano persi in quegli anni.
« Sai perché ti ho portata qui? » domandò suo padre riportandola alla realtà. Nicole scosse il capo e lo guardò. Stava osservando lo splendido spettacolo con uno sguardo perso e preso da quella meraviglia, « Perché avevo bisogno di farti vedere quanto il mondo sia bello. Il mio lavoro mi permette di viaggiare e non ho visto che arte e bellezza in ogni luogo dove sono stato. Voglio che li veda anche tu, piccola. Voglio che tu veda la vera bellezza. E voglio che tu sappia che in tutto esiste un baluginio di bellezza. Mi capisci, cara?» continuò vedendola tanto confusa. La giovane scosse il capo e John le sorrise, annuendo e comprendendo i suoi dubbi.
« Perché mi dici questo?»
« Perché tu sei la creatura più bella che io abbia mai visto, ma la tua luce si sta spegnendo. Ed è colpa mia,» aggiunse mortificato e indispettito da se stesso. Nicole abbassò lo sguardo e lasciò che una lacrima le rigasse la gota pallida poi scosse il capo e riprese il controllo di se stessa.
« Perché l’hai fatto? Perché mi hai abbandonata?» domandò secca, diretta. Voleva saperlo. Doveva. Era da quella sera in cui aveva scoperto tutto che non aspettava altro se non ricevere una risposta. John la guardò e le prese il volto tra le mani, con tanta di quella delicatezza da farla internamente sorridere. Pensava fosse fatta di porcellana finissima? Forse era vero perché in quel momento anche un filo di vento sarebbe riuscita a spezzarla.
« Perché non mi merito una figlia come te, o come Elena. Voi siete ciò che di più caro ho e non voglio che… che,» si interruppe guardando le lacrime che le rigavano il viso. Stava piangendo, in silenzio, compostamente, senza un singulto, ma dentro di sé qualcosa nel suo cuore si stava incrinando del tutto, « La mia vita è un disastro, Nicole,» le confessò esasperato. Era vero. Non ne poteva più, non da quando aveva scritto quella lettera e Nicole l’aveva scoperta, « Non riesco a far nulla senza sbagliare qualcosa. Non ho mai avuto una relazione stabile, non riesco a rapportarmi con le persone. L’unica cosa che mi rende sereno è il mio lavoro,» le raccontò accorgendosi di quanto vuota fosse la sua esistenza, « Che vita credi vi avrei fatto fare?» le domandò sperando in una risposta, ma le lacrime rimasero mute e scomparvero sostituite da un calmo sorriso che gli spezzò il cuore, « Tu ed Elena meritate di meglio. Ti meriti il meglio, piccola mia,» le sussurrò.
« Ma io voglio te,» esclamò calma, posata, estremamente rilassata. John sobbalzò e Nicole scrollò le spalle, minimizzando il suo stupore, « A cosa mi serve avere il meglio se è soltanto una bugia?» domandò anche a se stessa. Era stanca di vivere nella menzogna e suo padre era l’unico a poterle far risalire quel baratro nero, « Ho avuto per tutta la vita il meglio, papà,» lo chiamò per la prima volta. John sobbalzò e sorrise, imbarazzato da quell’epiteto, ma riprendendosi subito per ascoltare le altre sue parole, « Sono stata lo spirito di Mystic Falls quando avevo solamente dieci anni. Sono stata educata da Carol Lockwood e mi sono fidanzata con Tyler quando ne avevo tredici. Ho sempre preso il massimo dei voti e sono stata la presidentessa del Comitato storico e reginetta dell’Homecoming. La mia vita era già scritta sino a due mesi fa. Sarei uscita dall’High School con il massimo, mi sarei sposata appena dopo aver finito la scuola. Un matrimonio sfarzoso a cui avrebbe partecipato tutta Mystic Falls. Un abito principesco, un cerimonia da sogno. E avrei preso lo stesso posto di Carol, rimanendo al fianco di mio marito a vita. E questo mi avrebbe reso felice. Ma ora, ora che lo sto dicendo, mi sembra tutto così dannatamente orribile e falso da farmi piangere. Io non voglio un matrimonio sfarzoso, voglio un marito che mi ami. Non voglio essere osannata, voglio delle persone che mi vogliano bene per ciò che sono. E soprattutto io voglio una vita dove i confini non esistono,» esternò finalmente libera di esprimere ciò che realmente pensata, senza dubbi o remore, senza rimpianti e afflizioni. Di fronte a quegli occhi lei era libera, « Quindi, papà, ho avuto per tutta la vita il meglio senza sapere di inseguire un incubo, non un sogno,» sussurrò semplicemente, rendendosi conto di quanto sciocca fosse stata nell’inseguire quel vanaglorioso desiderio di essere sempre la migliore in tutto, rinunciando ai suoi sogni e a se stessa per anni.
« Tu… io… cielo, non puoi immaginare quanto io ti ami, Nicole,» sussurrò incapace di dire altro. E ogni dubbio, ogni domanda, venne oscurata dalle sue braccia che la stringevano con tutto l’affetto con cui quel vuoto necessitava di essere colmato.

 

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Riemerse da quel mare di ricordi solo nel percepire gli sguardi di Klaus ed Esther fissi su di sé. La strega originaria sapeva che aveva rivissuto quel momento tanto dolce poiché l’aveva guardato anche lei con i suoi occhi e Klaus sembrava essere incapace di guardare altri che non fosse lei.
« Esther cara, hai sempre parlato con tanta franchezza,» li riportò alla realtà Mikael, attendendo ancora una risposta.
« Temo di aver compreso. Quando ho visto mia nonna morire?» domandò amaramente. Quello no, non l’avrebbe ricordato, non quella mattina. Era troppo doloroso. Esther annuì e chinò per un istante lo sguardo, « Non devi preoccuparti, Esther. Io sto bene. Davvero,» esclamò accorgendosi che era la verità. Era tutto finito, « Sono la più grande in famiglia. Sono abituata ad affrontare i problemi, ad analizzarli per essere di qualche aiuto agli altri e ho sempre ritenuto fosse mio compito stare bene per rassicurare gli altri. Mi viene naturale ormai,» continuò scrollando le spalle con un sorriso.
« Tu ed Elena non siete gemelle?» le domandò Elijah divertito da quella frase. Era anche lui il fratello maggiore e doveva essere stato una guida per gli altri.
« Sì, ma mi sono sempre vantata dicendo di essere nata dieci minuti prima di Elena,» spiegò ridendo appena, « E il mio parto fu più facile,» aggiunse più ironica ricordandosi dei racconti di suo padre su quella calda mattina di fine Giugno.
« Capisco,» mormorò semplicemente leggero e ilare, sorridendole. Aveva un bel sorriso, Elijah, le piaceva soprattutto perché lo rendeva più umano, addolcendo quella corazza di fredda calma che sembrava non abbandonarlo mai.

« Rebekah, dimmi quanto sono bello,» esclamò Kol rimirandosi nello specchio. Nicole quasi lo ringraziò per aver riportato un’atmosfera leggera in quella splendida villa.
« Mi dispiace, Kol, non posso essere ammaliata,» ribatté ironicamente sua sorella prima di abbandonarsi nuovamente sul divano seguita da Klaus che, calmatosi, si accomodò al fianco della sorellina.
« Son certo che Nicole sarà molto più gentile di te,» continuò, non scoraggiandosi, e facendole l’occhiolino. Tentò di non ridere, per non offenderlo, con molti sforzi, prima di annuire. Con quell’aria da bambino era semplicemente bellissimo.
« Stai molto bene, sì,» gli assicurò.
« Allora verresti al ballo con me, questa sera?» le domandò malizioso e scaltro, sollevando le sopracciglia allusivo.
« Fratello, giù le mani da lei,» quasi tuonò Klaus. Non era veramente arrabbiato, anzi sembrava piuttosto divertito perché sapeva che quel comportamento era volto soltanto a irritarlo, come ai vecchi tempi. Kol amava divertirsi stuzzicandolo sino allo sfinimento, « È un consiglio che non voglio essere costretto a darti di nuovo.»
« Quale ballo? » domandò Nicole, a nessuno in particolare.
« Questa sera ho indetto una festa per il ricongiungimento della nostra famiglia. Ovviamente tu e i tuoi fratelli siete invitati, con molto piacere,» le spiegò Esther con un dolce sorriso sulle labbra che Nicole ricambiò subito, « Niklaus, vuole solo provocarti, suvvia,» aggiunse mentre Klaus e Kol ancora si squadravano.
« Lo so, madre,» esclamò stando al gioco.
« Però non mi ha risposto.»
« Pensa che sei ridicolo. Dai Kol, non riusciresti a conquistare una donna nemmeno se l’ammaliassi o la minacciassi,» scherzò prima di ridere. Rebekah lo seguì subito e anche Elijah sembrava trattenersi a stento, notando quando il viso di Kol fosse diventato sorpreso, negativamente.
« Cos’hai detto, fratello? Ti sfido a ripeterlo.»
« Siete ridicoli, entrambi, e ci state facendo sfigurare dinanzi alla nostra ospite,» li riprese entrambi Elijah, mettendo fine a quello sciocco scherzo prima di prendere la giacca e indossarla.
« Kol, se vuoi, posso presentarti una ragazza. È bellissima, ed è molto simpatica. Si chiama Bonnie, Bonnie Bennett,» affermò ricordando che Bonnie non avrebbe avuto un cavaliere quella sera. Poi Kol le sarebbe stato simpatico, certo se non avesse saputo che fosse un vampiro, per giunta un Originale. Era quel tipo di esuberanza che Bonnie amava negli uomini.
« L’erede di Ayanna?» domandò Esther. Nicole annuì e la donna sorrise, « È davvero molto graziosa,» aggiunse prima che Rebekah sbuffasse sonoramente,  « Cosa c’è, tesoro?»
« Non la sopporto. È così seria.»
« Non è sempre stata così. Penso sia stata la morte di sua nonna, Sheila, a cambiarla,» mormorò Nicole, ben ricordando quella donna fuori dagli schemi che era la migliore amica di sua nonna.
« Come quella di Elizabeth mutò la tua,» ribatté Esther con un sospiro. Nicole non rispose, non ce ne fu necessità e ringraziò chiunque le avesse telefonato. Estratte il cellulare dalla tasca dei jeans e il bel viso di Elena le apparve.
« Perdonatemi, credo proprio di dover rispondere,» sussurrò rientrando nella sala per avere un minimo di riservatezza.

« Ehi, cos’è questa storia?» esclamò Elena collerica come poche volte l’aveva udita.
« Elena, ti calmi per favore?» le domandò stancamente, passandosi una mano sulla fronte e sollevano alcuni boccoli biondi, scostandoli dal volto.
« Non ho alcun bisogno di calmarmi, Nicole. Cos’è? Prima fai quei discorsi, la famiglia, la lealtà, quello che eravamo, poi parli di John e Isobel e dopo te ne vai?»
« Non avevo più nulla da dire, Lena,» sussurrò semplicemente. Non era vero, e lei lo sapeva benissimo. Avrebbe voluto dir loro molto altro, ma non v’era riuscita e probabilmente non ne sarebbe mai stata in grado.

« Non chiamarmi Lena. Sono arrabbiata con te. Sei peggio di nostro padre certe volte,» sbuffò spazientita. Nicole scosse il capo, divertita, e sgranò gli occhi dalla sorpresa. Quando diceva “nostro padre”, intendeva sempre John mentre “papà” era soltanto per Grayson.
« Perché sono peggio di papà?» volle informarsi curiosa.
« Parlate e parlate e alla fine ve ne andate sempre.»
« Certo, se tu avessi perlomeno ascoltato papà, avresti compreso…»
« Compreso? Tu parli di comprensione?» la interruppe, la voce più acuta di due ottave. Nicole sospirò e si massaggiò la tempia, sapendo che un profondo mal di testa era in procinto di arrivare. Avrebbe voluto fumare, solo una sigaretta, o bere qualcosa per calmare suo corpo stanco, ma trovò di meglio. Guardò nella sala principale dove Rebekah analizzava criticamente un bellissimo vestito verde smeraldo che le aveva portato una delle cameriere. Però il suo sguardo non si soffermò a lungo sulla bella vampira, osservò suo fratello che sembrava non aver alcuna intenzione di scostare i suoi splendidi occhi azzurri da lei e gli sorrise dolcemente, venendo prontamente ricambiata dall’uomo che amava.
« Sì, Elena, io parlo di comprensione perché è così. Che cosa avrebbero dovuto fare? Erano troppo giovani per aver un figlio, figurati due. Era la scelta migliore,» tentò di farla ragionare, incredula che davvero non riuscisse a capire, ancora con lo sguardo a Klaus. Le dava forza, un’immensa potenza e sentì ogni ferita lenirsi. Klaus non era il meglio, questo lo sapeva meglio di qualsiasi altro, persino meglio dei suoi fratelli. Klaus era come suo padre, per certi versi. Solo, perso, abbandonato a sé stesso. Klaus era un ibrido e lei una strega. Andava contro ogni regola del mondo, era sbagliato. Però fu proprio nello sbaglio che riuscì a far quadrare il cerchio.
« Era la scelta più facile,» la corresse atona.
« Ehi, non te la puoi prendere con me per questo,» la riprese blanda, dolce, tentando di farla calmare, « L’ho scoperto prima di te e sono stata più male di te, Lena. Avevo perso la nonna, volevo più bene a John. Tu sei quella ragionevole in famiglia e dovresti capire. Io sono quella impulsiva e per poco non l’ho ammazzato. Credimi, avrei voluto, in quel momento. Perché non ce lo meritavamo. Ma poi l’ho ascoltato e qualcosa dentro di me si è mosso,» le raccontò con il cuore in mano, mettendo dinanzi a lei tutto ciò che pensava.
« Perché non me l’hai detto? Perché hai voluto affrontare tutto questo da sola?» le domandò incerta, come se non volesse davvero scoprire la risposta. Klaus fu costretto a scostare lo sguardo perché Esther gli aveva fatto cenno di scegliere l’abito per la serata. E sentì ogni forza cadere.
« Perché ho preferito di più soffrire da sola che vedere te, che sei una delle persona che amo di più, stare in pena per qualcosa che nessuno avrebbe potuto cambiare,» le confessò esasperata. Era così semplice da comprendere ed Elena avrebbe fatto lo stesso se l’avesse saputo per prima, e non certo per cattiveria.
« Mi dispiace,» sussurrò solamente facendola sobbalzare. Notò lo sguardo di Rebekah su di sé. Sapeva stessero ascoltando tutto, sebbene non volessero e continuassero a scegliere gli abiti. La vampira sembrava volerle dire di non cedere a quella patetica esternazione, ma Nicole voleva troppo bene alla sua sorellina per far tesoro di quel consiglio che celava un velo di gelosia.
« Cosa?» le domandò con un filo di voce.
« Mi dispiace. Deve essere colpa mia. Se non ti sei fidata di me… avrei potuto aiutare te. Tutta questa storia, Tyler, la magia. Sopportavi tutto da sola e io, al posto di starti vicino, io…»
« Ehi calmati, okay? È tutto passato, finito. È un capitolo chiuso e non serve che lo riapriate,» la rassicurò, « Io sto bene,» esclamò ancora più esasperata. Erano giorni che non diceva altro ed era diventato stancante, sebbene fosse la verità, « Ho superato tutto: la morte della nonna, questa storia dell’adozione, Tyler, quella notte, i due mesi successivi. Mi sono arrabbiata, tanto, mi sono sfogata e sono andata avanti. Vi chiedo, vi imploro, di fare altrettanto. Non mi importa assolutamente quante volte Jeremy dovrà andarmi contro o quante volte tu dovrai andarmi contro. L’importante è che, alla fine della fiera, noi rimarremo insieme,» esclamò dolcemente immergendosi negli occhi azzurrini di Rebekah, così simili a quelli del suo Klaus. Sapeva che avrebbe compreso sebbene odiasse Elena. Anche lei voleva che la sua famiglia fosse finalmente unita dopo mille interminabili anni.
« Non è un compito facile essere il padre ordinario di due figlie straordinarie,» recitò facendole aggrottare le sopracciglia. Non conosceva quelle parole, « Fu la prima frase della lettera che nostro padre mi scrisse prima di morire. La ricordo a memoria per quante volte l’ho letta, ormai,» mormorò dolcemente.
« Nostro padre e i suoi giochi di parole. Tante volte pensavo che le studiasse la notte per farmi ammattire. Era il suo modo per… non so.»
« Dirci che ci voleva bene non dicendocelo?» la interruppe ridendo amaramente. Nicole annuì tra sé. Con lei era più facile, ma non di molto. Con il suo carattere introverso John non era mai riuscito ad aprirsi se non in determinate occasioni, ma le faceva piacere fosse così. Non era mai stata una ragazza melensa e vogliosa di tante attenzioni. Vedere quella luce di amore nei suoi occhi esprimeva tutto ciò che aveva nel cuore.
« Già, credo.»
« Mi dispiace,» disse ancora una volta.
« Elena, quante volte hai intenzione di dirmi che ti dispiace questa mattina?» le chiese ironicamente divertita da quell’atteggiamento. Elena era sempre stata solita esternare tutto il proprio dispiacere, ma non così tante volte in una sola telefonata.
« Mi dispiace di avertelo portato via. È morto per me e tu sei rimasta sola. Di nuovo. è colpa mia.» Quelle parole le fecero male. Non era forse quello che aveva pensato quando Katherine le aveva raccontato come erano effettivamente andate le cose? Sì. Era colpa di Elena, ma era sua sorella e lei non poteva farle gravare quell’altro peso sulle spalle. Rebekah la stava scrutando per comprendere cosa risiedesse nella sua mente e Nicole fu costretta a scuotere il capo.
« Non devi nemmeno pensare a una cosa del genere, Lena. Non è vero, assolutamente,» mentì modulando la voce per farla sembrare comprensiva e accorta. La verità era che aveva un macigno nel cuore che non si era ancora dissolto. Perché, se non fosse stato per quella sua propensione al martirio, suo padre sarebbe stato ancora in vita. Avvampò e sobbalzò per quel pensiero, strabuzzando gli occhi. Era perfido, « Adesso, però, smettiamola di fare le sentimentali, suvvia. Stiamo diventando stucchevoli. Forse ho messo troppo miele nel tè,» esclamò con un tono di scuse per i suoi pensieri sconvenienti.
« E io troppo zucchero nel caffè.»
« Vieni al ballo?» le domandò a bruciapelo, ritornando nella sala, comprendendo che avevano affetta finito di parlare di cose spiacevoli.
« C’è un ballo?» le chiese sarcastica, ridendo appena.
« Sì e tu ci verrai. Per una volta ti toglierai quell’aria da martire impossibilitata a sorridere e riderai. Quindi trovati un accompagnatore, non Jeremy, uno vero, e comprati un vestito,» le ordinò perentoria per poi ridere e farle comprendere che stava scherzando.
« Altrimenti?»
« Altrimenti ti terrò il broncio per i prossimi… vent’anni, come minimo. Ti voglio bene,» le mormorò per scusarsi prima di interrompere la telefonata. Si accomodò sul divano al fianco di Rebekah che oramai si era seduta, abbandonando il vestito tra le mani di una cameriera soggiogata e si accorse che Kol la stava osservando con un sorriso sornione sulle belle labbra piene, « Perché mi guardi così?» gli domandò incerta.
« Sei lunatica come Nik,» le comunicò sarcastico. Klaus sbuffò sonoramente e si sedette accanto a lei. Arrossì appena, ma sorrise scuotendo il capo, « Splendido,» aggiunse inquadrandoli tra le sue dita come un fotografo. Scoppiò quasi a ridere. Quel ragazzo era semplicemente esilarante ed eccezionale, « Posso conoscere questa Bonnie Bennett, che ne dici?» le chiese, ricordandole la sua proposta.
« Okay. La chiamo e giuro di impiegarci meno tempo,» promise prima di comporre il numero di Bonnie.
« Con chi speri che vada, tua sorella? » le domandò Elijah incuriosito.
« Con Damon, ma vedremo,» esclamò prima di sentire che la sua amica aveva accettato la chiamata, « Bonnie, ciao, sono Nicole. Disturbo?»
« Tu? No. Il resto del mondo? Abbastanza,» soffiò mestamente facendola sorridere e sospirare insieme, allo stesso tempo.
« Tua madre equivale al resto del mondo?» le domandò dolcemente. Percepì che stava trattenendo il fiato, « Elena mi ha detto che l’hai incontrata,» le spiegò, « Non dev’essere stato bello, proprio no,» continuò amaramente. Non era stato bello per lei e sicuramente Bonnie si era trovata nella sua stessa situazione. Era suo compito darle una mano, « Ascoltami, Bonnie. La prima volta, la seconda veramente, che incontrai mia madre, stavo per provocarle un aneurisma irreversibile e l’avrei anche fatto se mio padre non mi avesse trattenuta,» le raccontò ridendo appena, senza felicità. Klaus posò la mano sulla sua, carezzandola lievemente e dandole una forza che non pensava di possedere.
« Mi ha abbandonata. E papà non sa nulla di questa storia perché è fuori per lavoro.»
« So come ci si sente, Bonnie, davvero.»
« Lo so,» sospirò ricordando che erano nella stessa situazione, « Come hai fatto ad andare avanti dopo?» Avrebbe voluto dirle che no, non era mai andata avanti, ma non le sarebbe stata di alcun aiuto se l’avesse detto, così pronunciò le parole più veri e facili che le vennero in mente.
« Non l’ho vista mai più da quella notte, nemmeno prima che morisse e ho provato un tale rimorso dentro di me… ma tu puoi conoscerla, Bonnie,» la spronò dolcemente. Era vero. Sua madre era morta. Tra loro era finita, ma Bonnie poteva conoscere la sua e riallacciare i rapporti con lei. Serviva così poco per essere felici.
« Non voglio, Nicole. Non voglio sapere nulla di lei,» si impuntò come una bambina, ma la giovane strega comprese che il suo era un dolore che si portava dietro dalla fanciullezza. Bonnie aveva sempre affermato che sua madre era morta, sebbene le fosse chiaro che aveva abbandonato lei e suo padre al loro destino.
« La scelta è solamente tua, Bonnie,» sospirò. Lei stessa aveva preso la stessa decisione, ma il vuoto di non sapere chi fosse sua madre non era mai stato colmato da niente e da nessuno, « Però sto per darti una scappatoia,» esclamò più allegra, guardando di sfuggita Kol.
« Quale?»
« Questa sera c’è un ballo,» incominciò.
« Non avrei un accompagnatore. Tuo fratello mi ha lasciata,» la interruppe triste. Nicole alzò gli occhi al cielo. Certe volte pensava che suo fratello fosse stupido. Tradire una ragazza come Bonnie era veramente da sciocchi.
« Lo so. Non parlo di Jeremy, infatti, che, tra l’altro, si è comportato da vero idiota. C’è un ragazzo, possiamo dire, molto carino,» incominciò allegra mentre Kol distendeva maggiormente le labbra, affascinante.  
« Un appuntamento al buio? Davvero?» domandò incredula, ridendo in uno sbuffo divertito.
« Sì, davvero.»
« Com’è? » le chiese più incuriosita e maliziosa.
« Alto, biondo, occhi… marroni, a me sembra simpatico e ha un bel sorriso,» lo presentò. Kol le fece l’occhiolino e le fece la stessa riverenza di Finn. La risposta di Bonnie non si fece attendere di molto.
« Ti avviso: se non ne vale la pena, lo rifilo a te, o a Care, per tutta la sera,» esclamò categorica facendola sorridere.
« Okay, Bon. Ti passa a prendere alle sette. Un bacio,» mormorò prima di chiudere la comunicazione. Kol, finalmente, rise. Aveva una bella risata, alta, allegra, briosa, simile a quella di Klaus e Rebekah.  
« Bel caratterino. Mi piace,» esclamò divertito, prima di sedersi su di una poltrona. Era meglio per loro ambientarsi presto a Mystic Falls e quella della festa era stata un’ottima idea.
« Lo troveresti anche a me un accompagnatore?» domandò Rebekah lamentosa come una bambina e Nicole si voltò lentamente, sgranando gli occhi. Lei, senza un accompagnatore? Impossibile. Era troppo bella. Rebekah le sorrise timidamente, poi scrollò le spalle, « Sto scherzando, davvero. Avevo già in mente un ragazzo, ma non credo ci verrebbe con me,» aggiunse con la voce più instabile e bassa.
« Dovrebbe essere davvero molto stupido,» esclamò veritiera con gli occhi ancora spalancati dall’incredulità.
« Volevo tuo…,» si bloccò nel vederla sobbalzare. Aveva compreso subito.
« Mio fratello?Jeremy?» aggiunse quando la vide annuire in evidente imbarazzo.
« Ne hai altri, mio tesoro? Magari un tantino più gentili nei miei confronti? » le chiese Klaus, attirandola maggiormente a sé. Nicole si volse e gli sorrise per poi scuotere il capo.
« Purtroppo no. Mio fratello è molto timido, Rebekah,» comunicò rivolgendo lo sguardo alla bella vampira, « Dovresti invitarlo tu e non credo proprio ti direbbe di no, se lo conosco bene.»
« Finn, caro, tu con chi…?» chiese Esther affiancando suo marito sul divano, accomodandosi sulle sue ginocchia come una bambina. Mikael l’attirò maggiormente a sé e le cinse la vita sorridendo appassionato.
« Non andrò che con Sage, madre. Se lei vorrà venire, se mi rimembra ancora, sarò qui ad attenderla,» mormorò perso nei ricordi di quella donna che aveva amato con tutto se stesso novecento anni prima.
« Dopo novecento anni ancora con questa solfa…,» borbottò Klaus nel suo orecchio, soffiando quelle parole e facendola avvampare.
« Niklaus, ti ho sentito,» lo riprese Finn prima di lasciare la sala, probabilmente per cercare informazioni su Sage.
« Tu, Elijah?» domandò Mikael cortese, ben sapendo che il suo figlio maggiore provasse una forte avversione nei suoi confronti. Aveva dato loro la caccia per mille anni e lo spirito di protezione di Elijah era fortissimo.
« Non saprei, in verità.» Un suono li destò tutti. Era quello del campanello. Esther si scostò dalle gambe di suo marito e Mikael si issò in piedi, posandole un bacio sulle labbra, leggero e dolce, che fece sorridere Nicole. Dovevano essere davvero molto innamorati. 
« Chi sarà adesso? Sono troppo vecchio per questo,» esclamò prima di avvicinarsi alla porta d’ingresso. Apparve pochi secondi dopo con in mano una scatola marroncina con il fiocco bianco, « Nicole, per te,» mormorò porgendogliela con gentilezza. La giovane la osservò confusa per un attimo prima di poggiarla sulle sue gambe e aggrottò le sopracciglia.
« Per me? Cos’è?» gli domandò incerta di aver ricevuto un regalo inaspettato.
« Non mi hanno dotato del dono della preveggenza, indi per cui non saprei. Dovresti aprirlo,» le consigliò caldamente tornando a sedersi. Nicole scosse il capo e rise. Scartò il pacco e aprì la scatola ritrovandosi dinanzi a un corpetto azzurrino rifinito da delle perle bianche. Lo tolse dalla scatola e lo osservò. Era un lungo abito senza spalline, di seta azzurra con del tulle sulla gonna ampia e principesca. La stoffa era così impalpabile da scivolarle tra le dita. Spalancò le labbra e trattenne il fiato, sgranando gli occhi.
« Bellissimo,» esclamò Rebekah, « Chi te lo manda?» domandò guardando nella scatola un possibile biglietto. Lei sapeva bene che non c’era. Conosceva quell’abito, fin troppo bene. Scosse il capo.
« Non lo so. Non c’è scritto.»
« Ammiratore segreto?» domandò sarcastica e divertita la bella vampira.
« Non guardare me, sorellina. Non sono stato io,» esclamò Klaus sorpreso quanto lei, e anche un po’ irritato. Avrebbe voluto regalarle lui l’abito per quella serata speciale, magari facendolo scegliere a lei come quello dell’Homecoming, ma qualcuno l’aveva preceduto, regalando un vestito sontuoso e perfetto per lei, come se conoscesse i suoi gusti. Anche Nicole era turbata. Sì, quell’abito era lo stesso. Se lo portò al petto e riconobbe un lieve profumo maschile. Era il dopobarba di suo padre quello che sentiva? Tremò impercettibilmente e scosse nuovamente il capo. Era impossibile. Doveva soltanto averlo immaginato.
« Nicole, successo qualcosa?» le domandò cordialmente Esther mentre suo marito le carezzava distrattamente la schiena.
« No, ma… io… lascia perdere, Esther, ma le coincidenze cominciano a diventare inquietanti,» esclamò riponendo l’abito nella scatola. Non voleva accettarlo, ma era così bello, proprio come la prima volta che l’aveva visto in quella vetrina al fianco di suo padre.
« Dovremmo prepararci. Posso truccarti? Per favore,» la riportò alla realtà Rebekah prendendole le mani e sorridendole incoraggiante, non sapendo cosa le stesse attanagliando il cuore. E se fosse stato davvero John, il suo adorato papà? No, si disse di non potersi illudere ancora. John Gilbert era morto e non sarebbe tornato mai più.
« Se proprio vuoi, ma, ti prego, non la matita. La detesto,» esclamò divertita prima che Rebekah ridesse e si issasse in piedi porgendole la mano per fare lo stesso. Avrebbe sempre voluto avere una sorella, Rebekah, glielo aveva confesso la mattina precedente, ma dopo Henrik sua madre non aveva più potuto rimanere incinta. Nicole le prese la mano candida, piccola e fredda e si aiutò per alzarsi prendendo la scatola subito dopo. L’avrebbe accettato, di chiunque fosse stato, soprattutto se gliel’avesse donato lui.
« Aspetta, Bekah. Quanto entusiasmo,» le interruppe Klaus, alzandosi di scatto e poggiando una mano sulle loro intrecciate, « Vorrei parlare con Nicole da solo, se me lo permetti,» aggiunse più gentile. Rebekah annuì e la lasciò andare con lui. Dopo essere usciti dalla sala, Klaus la prese in braccio e la condusse nelle sue stanze con velocità vampirica, adagiandola sul suo letto per poi trarla a sé. Nicole lo abbracciò e finalmente lo baciò. A lungo, passionale e decisa, incominciando una danza che non avrebbe mai voluto terminare. Klaus le carezzava i capelli con delicatezza e sentiva il corpo del suo amato premere sul suo. Si abbandonò a lui totalmente e in pochi secondi si ritrovò distesa completamente, con Klaus sopra di lei che le baciava il mento per poi scendere lungo la linea del collo. Le lasciò un’umida scia di fuoco sino alla clavicola per poi percorrere l’incavo dei seni mentre le sue mani gli artigliavano i corti capelli e le sue gambe si avvolgevano alla vita di Klaus. Poi si scostò da lei, respirando a fatica e ricadendo sul letto. Chiuse gli occhi ancora scosso e Nicole vide i suoi canini sguainarsi. Gli carezzò la guancia e deglutì a vuoto. Si riprese dopo pochi istanti e le sorrise, riaprendo gli occhi e osservandola sognante, « Allora, questo ammiratore segreto? Nemmeno un’idea su chi possa essere?» le domandò malizioso prima di sollevarle l’orlo della maglia e posare la mano aperta sul suo fianco nudo.
« Sì, un’idea c’è, ma è quasi impossibile che sia…,» si interruppe vedendo un lampo attraversare le belle iridi del suo Klaus, « Oh Klaus, non sarai geloso?» chiese scaltra, ridendo appena e lasciandosi cingere da lui. La baciò ancora una volta, più calmo, lambendole soltanto le labbra e Nicole si nascose nell’incavo del suo collo, trovando lì un porto sicuro dove poter approdare senza alcun problema.
« Sì, invece. Verresti al ballo con me?» le domandò bisognoso di un suo sì che non tardò ad arrivare.
« Con immenso piacere,» sussurrò prima di baciarlo ancora, stando sopra di lui. Klaus la lasciò fare per alcuni istanti, il tempo di sentirla scendere sui suoi pettorali scolpiti fasciati dalla maglia, poi invertì le posizioni, baciandola con un desiderio quasi disperato, « Perdona mio fratello,» gli mormorò dolcemente quando si fu scostato.
« Lo capisco. Farei lo stesso per Bekah.»
« A proposito. Rebekah e Jeremy… come ti sembra?» domandò allusiva con le sopracciglia aggrottate. Klaus rise, roco, sensuale, tanto da farle aumentare il già potente calore al basso ventre, poi scosse il capo.
« Non durerà un secondo tra le braccia della mia sorellina. Mi spiace per lui, ma Rebekah Mikaelson ha bisogno di qualcuno di più resistente,» esclamò sfiorandole la pancia e disegnando delle linee invisibili.
« Credimi, mio fratello lo è.» Klaus sbuffò, malandrino e si mise a sedere contro la testiera del letto. Nicole lo seguì subito dopo lasciandosi cingere dalle sue forti, passionali braccia. L’uomo le posò un languido bacio sulla carotide poi si avvicinò al suo orecchio giocando con la pelle sensibile del lobo con i denti, ben attento a non farle male. Le mancò il respiro per un attimo e pensò che sarebbe svenuta lì, su quel letto enorme e comodo, sotto quel tocco meravigliosamente sensuale. E le sarebbe piaciuto. Chiuse gli occhi e tentò di ritrovare il respiro prima che Klaus le soffiasse nell’orecchio e la attirasse maggiormente a sé.
« Qual è la tua prima impressione su mia madre? » sussurrò roco, sentendo la sua eccitazione palpabile nell’aria. Notò che anche lui non era rimasto immune guardando l’orlo dei suoi jeans scuri e deglutì, tentando di ritrovare un minimo di decoro e ritegno.
« Una donna molto carismatica e… intensa,» rispose con il fiato corto, annuendo e scostandosi di poco, controllando le proprie pulsioni. La sua famiglia avrebbe potuto sentirli e sinceramente non voleva che Esther, o Mikael, o Elijah potessero trovarli in una situazione così intima. Klaus comprese i suo dubbi e la cinse senza alcuna pressione, ma non volendosi distaccare da lei più del dovuto, « Non ti fidi di lei?» sussurrò per non farlo udire agli altri. Klaus scosse il capo con foga e la stringe, avvicinando le labbra al suo orecchio.
« Né di lei e né di Mikael, mia dolce umana. Nemmeno Elijah. Rebekah crede fermamente che voglia ricongiungere la nostra famiglia, come Kol. Finn è solo un patetico idiota,» le raccontò velocemente, sperando che gli altri non captassero nulla. Il suo piano era piuttosto semplice. Aspettare. Aveva mobilitato i suoi ibridi, li aveva avvisati che ci sarebbero potuti essere dei problemi, ma fino a quel momento non avrebbe fatto nulla se non aspettare.
« Klaus, è tuo…» lo riprese non comprendendo che di Finn oramai non si fidava più. Aveva volto le spalle a tutti per amore di quella sciocca Sage, una ragazzetta della campagna che non aveva né ricchezze né avvenenza. Loro, figli di un grande proprietario terriero, non solevano mischiarsi con gente che rassomigliava a schiavi e servitori, ma Finn affermava con tanto ardore che Sage era diversa dagli altri.
« Non lo è mai stato,» soffiò con astio, traendola maggiormente a sé, « Gudmund si comportava da fratello molto più di lui,» affermò ricordando quel ragazzo alto, con profondi occhi azzurri, così simili ai suoi, e i capelli di un nero talmente inteso da confondersi con le tenebre della notte. Gudmund era stato un amico per trent’anni della sua vita. Era più grande di lui di qualche anno e tutta la sua famiglia era morta, a causa di Mikael. Perché Gudmund era il figlio di Hvitserk, ma ciò non era noto ad alcuno, « Perdonami, non lo conosci. È il figlio di mio padre, naturale, il mio fratellastro. È morto parecchi secoli orsono,» sussurrò ricordando che Mikael, venuto a conoscenza che v’era ancora un membro della sua famiglia, l’aveva ucciso dinanzi ai suoi occhi e a quelli di Rebekah in modo talmente brutale che le immagini faticavano ad andar via e abbandonarlo.  
« Hai mai…?»
« No,» la interruppe capendo cosa volesse sapere. Suo padre. Sapeva solamente quel nome e nient’altro. Non che gli importasse. Esther amava Mikael, il sentimento non si era spento nemmeno dopo mille anni e suo padre doveva averle fatto qualcosa di estremamente orribile e ripugnante, « è morto prima che io nascessi. Non l’ho nemmeno visto e mia madre non ne ha mai parlato,» sussurrò prima che Nicole lo baciasse facendogli dimenticare tutto. La distese sul letto e si trattenne a stento da farla sua in quel momento stesso. Sentire il suo corpo sotto il proprio era una sensazione di indescrivibile sensualità. Riusciva a percepire tutto. Il battito del suo cuore, forte come quello di un colibrì, il seno trepidante a contatto con il suo petto, i bacini adagiati l’uno sull’altro. Voleva liberarla di quegli schiocchi abiti per poterla guardare beandosi di una vista celestiale, ma doveva trattenersi, ritrovare il controllo di se stesso e l’unico modo era allontanarla da sé. Nicole mugugnò qualcosa insoddisfatta d’esser stata lasciata in quel modo e Klaus le carezzò la guancia rossa per l'ardore, « Adesso, però, ti lascio libera di andare. Ho delle orribili impressioni per questa sera. Spero soltanto di sbagliarmi. Faresti meglio a tenere gli occhi aperti e guardarti le spalle, tesoro,» le sussurrò, ben sapendo che ve ne fosse necessità. Avrebbe guardato quelle di entrambi. E anche di Rebekah. Kol ed Elijah erano in grado di cavarsela da soli, senza il suo aiuto.
« Lo senti anche tu?» domandò incredula, guardandolo con quell’innocenza di bambina che lo faceva fremere ogni volta. Impazzire. Sì, quella piccola donna lo faceva impazzire e tremare.
« Sono su questa Terra da mille anni e appartengo a due specie completamente distinte. Quando la natura si agita, posso percepirlo anch’io,» sussurrò prima di posare le labbra sulle sue, controllando i propri istinti. Non era ancora tempo. Voleva che tutto fosse perfetto per loro.
« Klaus…» lo chiamò subito dopo e lui ritornò ai suoi occhi, annuendo per farle cenno di continuare. Sembrava dovesse dirgli qualcosa di importante, di vitale « Ti amo,» gli confessò. Klaus spalancò gli occhi e tremò vistosamente. Aveva due scelte in quel momento: fuggire o amarla senza remore. Optò per la prima e scomparve, lasciandola lì sola e incredula.

 

Nicole abbassò lo guardò sul proprio petto ansante e una lacrima le rigò il viso. Gli aveva detto che lo amava, pensava fosse giusto, pensava avesse replicato o perlomeno fatto un cenno, ma era andato via, abbandonandola su quel letto immenso che non sarebbe mai riuscita a riempire. Percepì una folata di vento e alzò lo sguardo, pregando che fosse tornato, ma invece sulla soglia v’era Rebekah con i due abiti tra le mani e un sorriso dolce sul bel volto d’angelo.
« Ehi, successo qualcosa?» le domandò vedendola così triste. Nicole sorrise, scosse il capo e dissimulò una calma che non le apparteneva. Si sentiva così dannatamente sola in quel momento, senza il suo Klaus ad amarla. Eppure lei lo sapeva, per la Dea. Lei sapeva che lui l’amava. E allora perché non riusciva a dirlo?
« No, Rebekah, non preoccuparti,» le assicurò scendendo dal letto e avanzando verso l’uscita per poi chiudersi la porta alle spalle.
« Ho chiamato tuo fratello. Ha detto di sì. Dovevi sentire la sua voce. Tremava. Fa sempre così? » domandò emozionata avanzando a passo svelto verso la sua camera. Nicole la seguiva con lo guardo fisso sull’abito. Illusa. Patetica illusa. Ecco quello che pensava di lei. Nessuno poteva rassicurarla del fantomatico amore che Klaus nutriva per lei, erano pensieri propri, non provati. Solo Klaus avrebbe potuto dirle che l’amava, ma non l’aveva fatto e doveva esserci una ragione che non sapeva avrebbe voluto scoprire. Poi v’era suo padre. Doveva proprio essersi immaginata tutto con lui. I ricordi, i sogni, il vestito, il suo profumo. Era inutile sperare ancora.
« Solo con le persone importanti,» le rispose sulla soglia della sua stanza principesca. Rebekah sorrise di gioia e chiuse la porta. Nicole si concesse un lungo bagno nella sua vasca personale con idromassaggio e i rubinetti d’oro zecchino poi fu il turno di Rebekah. Si vestirono entrambe senza una parola, poi la vampira sospirò e prese il pennello del fard colorandole gli zigomi con un rosa appena più scuro della sua pelle per farla rimanere sempre in imbarazzo.
« Dimmi,» la spronò infinite prendendo la trousse degli ombretti e optando per un bianco brillantinato, « Cos’è successo tra te e Nik che ti ha turbata?» le domandò prima di passare ai capelli. Li raccolse in un’acconciatura elaborata e meravigliosamente elegante, una crocchia abbellita da dei fiori bianchi che ben si adattavano al trucco leggero.
« Gli ho detto che lo amo e lui… non mi ha risposto,» le confessò sperando che riuscisse a mitigare i suoi dubbi. La sera era oramai scesa sulla città mentre Rebekah si truccava con veloce maestria e si raccoglieva i biondi e lisci capelli con un’acconciatura semplice e composta che ben si legava alle linee leggere del suo abito senza spalline. Indossò una collana di diamanti e le fece cenno di scegliere quella che lei voleva, « Insomma, io so che lui mi ama. Non starebbe con me altrimenti, ma non… non capisco perché debba essere così chiuso con me,» continuò optando per la più semplice che era in grado di scorgere. Una catenina d’argento con un piccolo cuore tempestato di veri diamanti.
« Devi lasciargli il suo tempo,» le comunicò dolcemente prendendole le mani. Erano oramai pronte e potevano parlare senza alcuna fretta, « Penso solo abbia paura di soffrire per amore una seconda volta. Ha bisogno di… sentirsi amato,» continuò. Nicole capiva quelle parole, le accettava, ma non riusciva ancora a comprendere l’atteggiamento di Klaus e Rebekah se ne rese conto, « Se tu sai, come lo so anch’io e come lo sa anche Nik, che ti ama, cosa t’importa se lo dica o meno?» le domandò scrollando le spalle. Avrebbe voluto dirle che non le importava, che il suo amore bastava per entrambi, ma non ci riusciva perché non era la verità. Lei voleva che Klaus l’amasse e quel dubbio non sarebbe scomparso sino a quando lui non si fosse aperto con lei.
« Io… vorrei solamente che lui…,» sussurrò prima che venisse interrotta da un lieve bussare alla porta. Si issarono in piedi entrambe e abbandonarono la signorile toletta prima che Esther, splendida in quell’abito nero impreziosito da piccoli dettagli luccicanti, entrasse completamente nella camera. Aveva lasciato i capelli sciolti e ricci.
« Di cosa si parla qui? Oh, siete degli splendidi angeli,» le osannò distendendo le braccia dinanzi a sé per accoglierle in un abbraccio dolcissimo.
« Sei davvero bellissima, mamma,» mormorò Rebekah quasi commossa. Per mille anni non aveva avuto sua madre accanto, ma erano ritornati ad essere la famiglia che erano sempre stati, forse anche migliore notando quanto si fosse stabilizzato il rapporto tra Mikael e Niklaus.
« Ti ringrazio, mia cara. Adesso dovreste scendere. Gli invitati sono arrivati e il tuo accompagnatore ti aspetta di sotto. A proposito, è molto carino,» sussurrò facendole l’occhiolino prima di uscire dalla camera. Le due la seguirono e Rebekah sorrise, davvero felice della sua scelta prima di farle un cenno e scomparire lungo la scalinata. Era tutto pronto e arredato a festa. Gli invitati era già tutti lì e Nicole cercò Elena e Jeremy. Suo fratello attendeva la bella vampira bionda che lo stava raggiungendo e non riuscì a vedere Elena, « Scendiamo anche noi, mia cara?» le domandò comprendendo che volesse averli accanto, « Parlavate di mio figlio?» continuò quando non la sentì rispondere. Nicole chinò il capo e annuì timidamente, sospirando di poco, prima di scorgere la bella figura di Klaus avanzare verso di loro con passo svelto e deciso. Lo guardò e venne sfolgorata da ciò che vide. Era splendido, elegante, semplicemente stupendo e le mancò nuovamente il respiro sentendo il suo sguardo su di sé.
« Sono semplicemente incantato da queste celestiali visioni tanto da non sapere che baciare per prima,» esclamò ilare dinanzi a loro. Esther rise lievemente e scosse il capo prima percepire una leggera pressione sui fianchi. Sorrise riconoscendo le mani esperte di suo marito che subito affiancò suo figlio.
« Niklaus, io bacio mia moglie, tu baci la tua fidanzata,» sbottò divertito e Klaus non se lo fece ripetere. Avanzò di un altro passo, le fece un inchino pieno di fine antichità e poi le sfiorò la mano portandola alle labbra e baciandole il dorso pallido. Nicole sbatté le palpebre per ritrovare il controllo di se stessa notando il suo avvenente sorriso che le stava facendo tremare le gambe, « Sei splendida, mia cara. Noto che la mia collana ti piace,» mormorò Mikael avvicinandosi di poco prima di baciarle le labbra in un tocco appena accennato. La complicità era così palpabile da farla sorridere e Klaus le lasciò la mano che ricadde lungo il fianco. Lo osservò con la coda dell’occhio mentre tentava di comprendere cosa le stesse artigliando la mente in una morsa terribile.
« Mikael, suvvia,» sussurrò Esther guardandosi intorno e sperando che nessuno li avesse visti in atteggiamenti così intimi. Elijah risalì la scalinata e affiancò suo fratello, dopo averle rivolto un lieve sorriso, poi Rebekah apparve, accanto a suo fratello che la guardava estasiato come poche volte l’aveva visto. Si riscosse solo quando incontrò gli occhi azzurri di sua sorella, miti e benevoli, e arrossì di colpo.
« Ehi Nicole, scusami per questa mattina. Sono stato indisponente, e sgarbato,» sussurrò tentando di ricevere il suo perdono. Nicole scosse il capo e gli fece cenno di non preoccuparsi,  che andava tutto bene, come effettivamente era. Era preoccupata per Jeremy e l’avrebbe protetto da ogni male.
« Chi ti ha annodato la cravatta? » gli domandò esasperata. Aveva sedici anni e non aveva ancora imparato che il lembo della cravatta andava inserito nell’apposito spazio. Si avvicinò e gliela sistemò in un attimo prima di allontanarsi e osservarlo nella sua interezza. Spalancò le labbra e sgranò gli occhi dalla sorpresa, « Ma questo è lo smoking… di papà?» gli domandò incredula che fosse già arrivato all’altezza del genitore. Jeremy sorrise e annuì timidamente.
« Sì. Elena l’ha riesumato dalla soffitta e… ho pensato di indossarlo. Che c’è? Mi sta male? » domandò più preoccupato, come se temesse di sfigurare dinanzi alla bella vampira che li stava osservando divertita.
« No. Sei bellissimo, davvero,» gli assicurò, baciandogli la guancia. Era così fiera di lui che le lacrime le velarono lo sguardo chiarissimo. Jeremy se ne accorse, arrossì e scosse il capo.
« Elena stava per piangere, tu sei commossa,» sbuffò.  
« La mamma, invece, sarebbe scoppiata a ridere, di sicuro,» affermò facendolo ridere. Probabilmente non era vero, ma le piaceva credere che sarebbe stato così. Forse Miranda sarebbe stata triste, ma l’avrebbe lasciato andare per la sua strada, avrebbe lasciato che il suo bambino diventasse adulto al fianco di una donna che sapesse amarlo quanto lei, « A proposito, nostra sorella dov’è? » continuò guardando verso l’ingresso, ma Elena non era ancora lì.
« L’ha chiamata nonna Norah. Ha detto che ci raggiunge appena ha finito di parlarle. Lei e il nonno sono a Miami adesso, gustando cocktail sulla spiaggia e sperando di vedere David Caruso,» le raccontò divertito facendole scuotere il capo e sbuffare. I suoi nonni materni, da quando Miranda si era sposata e Jenna aveva compiuto la maggior età, avevano deciso di fare un giro del mondo che non avevano interrotto mai. Erano tornati solamente al funerale di Miranda e Grayson, erano troppo lontani per tornare per quello di Jenna. Erano dall’altra parte del pianeta, in Croazia. Sua nonna Norah era uno spirito libero e Miranda aveva ereditato il suo carattere forte e indomito da lei mentre Jenna somigliava totalmente al nonno Chris.
« Spero non le abbiate detto che sono tornata in città,» esclamò preoccupata. Non voleva che loro sapessero del suo rientro. Era certa che sua nonna le avrebbe urlato contro di essere una svergognata per aver abbandonato tutto il quel modo così sciocco e insensibile.
« Perché no?» domandò Jeremy prima di schiudere maggiormente gli occhi dalla comprensione, « Già, prenderebbe il primo volo soltanto per ucciderti, giusto. Comunque non le ho detto niente e penso nemmeno Elena,» asserì dolcemente. Nicole stava per chiedergli con chi e Jeremy captò quel pensiero. Sul suo bel volto apparve un’espressione di pura contrarietà che le fece già intendere chi fosse il suo accompagnatore, « Ha detto che l’accompagnerà Damon. Ed evita di fare quella smorfia compiaciuta. Io non sono d’accordo.»
« Ma starai in silenzio e ti godrai la festa, non facendo rammaricare Rebekah per averti invitato. È un’anima pia e gentile se ha deciso di fare quest’arduo gesto di...,» si interruppe guardando Bonnie, sotto braccio di Kol, mentre saliva la scalinata. Era semplicemente splendida. Aveva un abito grigio e nero, senza spalline, lungo e stretto intorno ai fianchi e alle gambe con il corpetto impreziosito da dei disegni di perle brillanti, «  Ciao, Bon. Sei venuta?» le chiese, dimentica totalmente di suo fratello. Kol sembrava piuttosto soddisfatto, infatti le rivolse un bellissimo sorriso e le fece l’occhiolino mentre Bonnie, in imbarazzo, sorrideva e annuiva. Si era truccata pochissimo, solo con un ombretto scuro e brillante, e aveva lasciato i capelli sciolti, fermati alla sinistra con un fermaglio di perle bianche.
« Perfetto, ci siamo tutti,» esclamò Esther guardando i suoi figli, abbracciandoli con i suoi occhi accoglienti. Klaus le passò l’indice sul braccio nudo e Nicole si sentì quasi avvampare per quel tocco così pacato, ma che le scatenava miliardi di sensazioni, « Possiamo fare il nostro discorso di apertura? Vorresti pensarci tu, mio caro?»
« Certamente, madre,» rispose Elijah. Era il fratello maggiore e spettava di diritto a lui accogliere gli invitati nella loro casa. Nicole guardò verso Jeremy e Bonnie, facendo loro cenno di scendere. Percorsero la scalinata e la giovane bionda percepiva gli occhi appassionati di Klaus fissi sulle sue spalle per tutta la durata della discesa, poi Jeremy si eclissò, andando a prendere dello champagne e Bonnie si diresse verso Elena, Damon e Stefan. Elijah intraprese il suo discorso, ma Nicole non lo udì nemmeno intenta a guardare Klaus. Era stata una sciocca. Come poteva anche solo pensare che l’amore che lui nutriva potesse essere sminuito dalle parole che non aveva ancora pronunciato? Klaus l’amava, quello sguardo colmo di protezione, affetto e amore era inequivocabile. Nicole gli sorrise, dolcemente, con tutto l’amore di cui disponeva prima di essere affiancata da una donna alta. Notò il rosso scarlatto del suo vestito e le rivolse uno sguardo con la coda dell’occhio. Non la conosceva. Poteva avere poco meno di trent’anni e aveva gli di un azzurro inteso, il volto ovale più aguzzo sugli zigomi pronunciati e i capelli rossi e ricci. Sorrideva, guardando verso la scalina. Osservava Finn, ne era certa.
« Tu sei la ragazza di quel pazzo furioso di un ibrido psicopatico, vero?» le domandò leggera facendola sobbalzare. Klaus si mosse a disagio, probabilmente l’aveva ascoltata e Nicole si volse completamente verso la donna. Aveva una voce da soprano, avrebbe detto, sarcastica e superiore. Notò che portava un anello all’anulare e comprese che era una vampira, e una molto anziana per il pallore delle sue gote, « Io sono Sage, la…»
« La fidanzata di Finn?» la interruppe, sorridendo appena. Non le piaceva come avesse chiamato il suo Klaus, ma in fondo quella donna le sembrava davvero molto carismatica e il suo atteggiamento la incuriosiva. La donna distese maggiormente le labbra e annuì, prima di guardarla. Finn si era ormai accorto di lei e l’emozione nel suo sguardo scuro era stata la prova dell’amore che ancora nutriva verso di lei, « Mi chiamo Nicole, comunque,» si presentò. Sage rise e l’affiancò totalmente.
« Sei anche amica di quella stronza snob?» chiese poi guardando verso Rebekah che le rivolse un sorriso di scherno. Elijah aveva appena terminato di parlare e stava scendendo verso Carol mentre Klaus le raggiungeva a passo deciso.
« Sage, che bella sorpresa,» esclamò con un falso sorriso stando dinanzi a lei. L’espressione nei suoi occhi era di pura irritazione. Forse sperava che si fosse dimenticata di suo fratello. In fondo erano trascorsi novecento anni, ma l’amore di Sage doveva essere davvero fortissimo, « Finn ti sta osservando da circa… dieci minuti. Faresti meglio ad andare da lui e trattenere i tuoi insulti per te, mia cara,» esclamò infastidito mentre Sage sorrideva sorniona prima di guardare il suo Finn avvicinarsi a loro. Si stava trattenendo a stento dal correrle incontro e Klaus quasi fece una smorfia disgustata. Internamente la giovane strega scosse il capo, « Nicole non ha tempo da perdere con una come te,» soffiò prima che Sage lo fulminasse con lo sguardo e si voltasse verso di lei.
« Spero che tu stia attenta,» esclamò premurosa inchiodandola con i suoi occhi di ghiaccio. Finn affiancò Klaus, ma la donna quasi non se ne accorse, « Questa famiglia, i Mikaelson, non sono persone sane di mente. E il tuo Klaus, tanto amato, non è che un assassino della peggior specie,» continuò più malevola, scoccandogli un’occhiata di puro fuoco che la fece sobbalzare, « Non ha fatto che disseminare corpi smembrati, distruggere vite, quelle dei suoi fratelli, della sua famiglia persino, e arrecare sofferenza per mille anni. Tu sei una strega, puoi comprendere ciò che ti sto per dire. Non farà altro che distruggerti. Io mi guarderei le spalle da un mostro del genere,» le consigliò prima di voltarsi, lasciandola scossa da quelle parole. Non farà altro che distruggerti. Chinò lo sguardo sul pavimento di marmo scintillante sotto di sé e si accorse che i due vampiri erano spariti. Rimaneva solo Klaus. Non le credeva, no, mai. Lo amava, più della sua stessa vita, avrebbe fatto di tutto per lui, avrebbe perso tutto a causa del suo amore. Rialzò lo sguardo e lo puntò in quello di Klaus che la osservava ancora, tentando di comprendere a cosa stesse pensando, come se avesse creduto sul serio che avrebbe potuto ponderare sulle parole di Sage. Gli si fece maggiormente vicina, gli sorrise rassicurante e gli prese la mano, intrecciandola con la sua. Klaus sembrò stupito da quel gesto così affettuoso, ma subito dopo sorrise, comprendendo che il suo amore superava tutto. La strinse a sé, incurante di ogni persona che potesse vederli, e posò le labbra sulle sue, lambendole in un lieve bacio che le scaldò il cuore. Forse era cieca poiché non voleva vedere che Klaus era un assassino, ma era noto: l’amore non era che un destino rassegnato, una mano perdente. Ed era disposta a perdere tutto pur di averlo ancora con sé.
« Ci perderemo il ballo di apertura, tesoro,» gli sussurrò scostandosi di poco. Klaus sorrise e la condusse all’interno della sala dove la musica risuonava alta e sublime. Notò che tutti loro avevano preso posto. Jeremy e Rebekah, Kol e Bonnie, Mikael e Esther, Finn e Sage, Damon ed Elena, persino Elijah e Carol. Klaus danzava con una tale leggiadria che quasi si sollevavano dal pavimento e Nicole si appoggiò lui, immergendosi nei suoi occhi, vogliosa che nulla potesse separarli. Ma Klaus sbuffò irritato e la trasse maggiormente a sé, prima di rivolgere uno sguardo di fuoco a qualcuno che danzava poco distante.
« Gli staccherò davvero la testa se non la smette di fissarti,» soffiò malevolo e dardeggiante mentre Nicole seguiva la traiettoria dei suoi occhi fino a immergersi in quelli color del ghiaccio di Damon. La stava scrutando come la sera in cui aveva scoperto la sua storia e Nicole si sentì talmente a disagio da tenere più stretto Klaus. Non v’era altro da scoprire su di lei, ma quello sguardo non le piaceva. Damon mormorò qualcosa di inudibile per lei, « Dobbiamo andare di là, ha detto che c’è qualcosa che devono mostrarti,» le comunicò appena la musica fu finita. Scambiò un’occhiata d’intesa con i suoi familiari ed Elijah si congedò da Carol per seguirli in una sala laterale, quella stessa dove prima v’erano state le tombe.
« Che sta succedendo?» domandò a sua sorella che scrollò le spalle e rivolse uno sguardo a Damon.
« Non ne ho idea.» V’era anche Stefan al fianco di suo fratello e sembrava tanto rilassato da farle aggrottare le sopracciglia. Non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo e la mano di Klaus poggiata sulla sua schiena non contribuiva a farla sentire meglio. Elena perdurava a guardare Damon e i suoi occhi scuri erano come indecifrabili per il resto del mondo, ma lei la conosceva bene. Quello sguardo simboleggiava solamente amore e infinito affetto per Damon. Il vampiro dagli occhi di ghiaccio sghignazzò poco dinanzi alle loro espressioni sorprese e incredule prima di sorridere sornione.
« Indovinate così ha trovato il nostro squartatore di coniglietti nel bosco? » domandò indicando suo fratello che sbuffò sonoramente per quell’appellativo, « No. Non il lupo cattivo,» continuò rivolto a Klaus che soffiò e si mosse inquieto al suo fianco mentre Damon estraeva qualcosa dalla tasca dei pantaloni eleganti. Nicole notò solamente che luccicava, « Ma questo,» aggiunse mostrandolo. Era un bracciale, quasi infantile, sicuramente un dono di un ragazzo verso la sua amata. Nicole sobbalzò e sgranò gli occhi chiarissimi, scostandosi da Klaus per avanzare verso Damon, « Qualcuno di voi lo riconosce?» aggiunse in una richiesta totalmente inutile. Guardandolo più da vicino lo riconobbe totalmente. Era un bracciale di Tiffany, dalle maglie di argento e un cuore semplice e discreto, con una scritta incisa nel metallo. Sempre tuo, JG.
« Isobel. Era il braccialetto di Isobel. Dove l’hai trovato?» sussurrò emozionata. Non poteva crederci. Sua madre non se ne separava mai, o almeno nelle due volte in cui l’aveva vista.
« Certe volte penso che nessuno mi ascolti,» sbottò con finta irritazione mentre la giovane strega si sporgeva per accoglierlo tra le sue dita. Quando lo sfiorò delle immagini mitigarono tutti suoi dubbi. E tutto quanto tornò al proprio posto.

 

http://oi48.tinypic.com/fz2gxz.jpg  vestito di Nicole
http://oi50.tinypic.com/23k6q1t.jpg vestito di Bonnie
http://oi48.tinypic.com/169hugg.jpg vestito di Sage

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Capitolo 27
*** Daddy issues ***


kk

Capitolo 27

Daddy issues

La luce aveva appena irradiato la camera di un motel, il più vicino a Mystic Falls. La stanza era completamente bianca, quasi asettica, senza nulla a decorarla, né un quadro né un mobile. Solo un letto, matrimoniale, con delle lenzuola bianche di acrilico, che pizzicavano sui corpi nudi dei suoi giovani abbracciati, ancora addormentati. La ragazza non poteva avere più di sedici anni, il volto da bambina, senza un filo di trucco, era posato sull’incavo del collo dell’altro. I lunghi capelli neri gli solleticavano il petto glabro e poco muscoloso mentre le sue braccia le cingevano i fianchi, attirandola di più a sé. La luce turbò lui per primo che aprì gli occhi e rivelò uno sguardo di un azzurro chiarissimo. Sbatté le palpebre per rendersi conto di dove si trovasse prima di accorgersi della giovane donna che aveva accanto a sé. Comprese e sorrise. Avevano fatto l’amore, per la seconda volta, la prima in cui entrambi non erano troppo ubriachi per ricordarlo al mattino. Lui l’amava e tanto, ma preferiva tenere quei pensieri per sé, non sapendo di essere ricambiato. Sciolse la presa e l’osservò. Le lenzuola lasciavano scoperta buona parte del suo seno florido e bianco, su cui spiccavano due turgidi capezzoli dalle areole rosse e screpolate, e dell’addome scolpito, che mostrava i suoi tre anni di cheerleading. La guardò, il ragazzo, beandosi di ciò che solo lui aveva il diritto di osservare, incantato dalla vista del suo splendido corpo. La giovane respirava lievemente, rilassata e pacata, e l’altro le carezzò la guancia prima di sporgersi e guardare la stanza. Sul pavimento v’erano i loro vestiti sparsi. La sua camicia vicino alla porta d’ingresso, poi i suoi jeans. Il vestito bianco della ragazza. I suoi boxer neri e le sue mutandine rosa. Sbuffò non riuscendo a trovare il suo reggiseno. L’aveva artigliato e con violenza, possesso e bramosia l’aveva gettato in un luogo che era impossibile scorgere. Avanzò nudo verso di suoi jeans e si calò per prendere un sacchetto nero, con un fiocco bianco, dalla tasca anteriore. La sera prima non aveva potuto regalarlo a lei, allo splendido angelo innocente che l’aveva stregato sin da subito, ma quella mattina avrebbe potuto rimediare. Non gli importava se sua madre si accorgesse che non aveva dormito a casa. Avrebbe pensato suo fratello a coprirlo. Lui sapeva ogni cosa sul suo amore, sebbene non approvasse tutta quella passione della ragazza per il soprannaturale. Si avvicinò al letto e si abbandonò a peso morto, ricadendo sul fianco e sollevando il materasso. La giovane, turbata, mugugnò qualcosa di incomprensibile e sbatté le palpebre rivelando gli occhi cerulei che quella mattina avevano assunto una tinta grigiastra, come quella di una perla o del mare in tempesta. Schiuse le labbra esangui e lievemente gonfie e lo guardò. Lui sorrideva e lei fece altrettanto il secondo dopo.
« Che ora è?» gli domandò, guardandosi intorno e coprendosi il seno con il lenzuolo bianco e quasi trasparente, come la sua pelle lattea. Si volse verso la finestra e si mise a sedere, schermandosi gli occhi con la mano. Sul suo bel volto apparve una smorfia indispettita e il ragazzo si appoggiò alla testiera, celando il regalo dietro la schiena.
« Non lo so, è tardi,» rispose atono, chinando il capo verso i fianchi della ragazza sui quali spiccavano i segni rossi dei suoi polpastrelli. Quella notte non aveva trattenuto nulla. Li carezzò e sospirò lievemente. Non avrebbe dovuto artigliarla in quel modo così rude, però era certo che alla giovane era piaciuta quella sua passionalità perché lui non lasciava mai trapelare nulla. Era apatico, con tutti, da sua madre e suo fratello ai suoi compagni di scuola che a stento riusciva a chiamare amici. La sua esistenza gli era sempre parsa insensibile, indolente e soprattutto passiva. Poi era arrivata lei, con la sua squadra. Non le aveva spostato gli occhi di dosso per tutta la durata della partita di football, non che avesse molto altro da guardare, e si era stupito del fatto che anche lei lo scrutasse mentre si muoveva sinuosa  con quel gonnellino svolazzante e quella maglietta che lasciava ben poco all’immaginazione. Riemerse da quel mare di rimembranze non troppo passate e le vide tenersi la mano destra sul viso mentre quella sinistra sollevava alcune ciocche nere e ricce che le erano ricadute sulla gota lievemente arrossata.
« Mio padre mi ucciderà,» sbottò scostando del tutto il lenzuolo lasciandogli per un attimo bearsi della visione del suo splendido corpo poi si chinò a cercare i suoi indumenti. Il reggiseno aveva una spallina attaccata alla lampada dell’unico comodino al fianco della giovane che si coprì subito il seno per poi scendere e cercare, « Perché non mi hai svegliata?» aggiunse gettandogli un’occhiata in tralice nel vederlo ancora lì, completamente nudo, a fissarla con quella insistenza.
« Sei bella quando dormi e poi volevo osservarti con la luce del Sole,» mormorò scrollando le spalle prima di sporgersi verso di lei e attirarla a sé. La schiena della giovane era contro il suo petto e il ragazzo le posò un languido bacio sul collo. Aveva tutta la biancheria addosso e le carezzò tutto il fianco indugiando sui segni rossi. Lei rise, lievemente, carezzevole e sensuale scostandosi  i capelli dal collo per lasciare che la baciasse meglio e appoggiandosi maggiormente a lui, sentendo crescere l’erezione, « L’ultima volta ero ancora un po’ alticcio per rendermi conto di quanto fossi dannatamente sexy,» le rivelò, soffiandole nell’orecchio per poi mordicchiarne il lobo. La giovane scosse il capo e prese un lungo respiro. Era davvero troppo tardi per un secondo round, oppure per un terzo. Si scostò da lui, e non fu molto complesso, e si voltò a guardarlo direttamente negli occhi azzurrini e furbi. Lui era scaltro, ma la giovane lo era molto di più.
« Sei un stupido, John Gilbert,» affermò ilare prima di issarsi in piedi e indossare il vestito bianco e semplice, un tubino che arrivava sino al ginocchio.
« Ma tu hai fatto l’amore con questo stupido,» contestò malizioso, prendendo i suoi boxer e indossandoli velocemente prima di afferrare i jeans. Doveva accompagnarla a casa, o almeno poco lontano dalla villa signorile dei suoi genitori, le persone più ricche del suo paese. La giovane sospirò lievemente e scosse il capo, per poi chinarlo sulle sue mani giunte. Cominciò a torturarsi il labbro inferiore.
« Non dovrà più capitare, John,» esclamò seria e austera, guardandolo direttamente negli occhi. John annuì e prese a chiudere i bottoni della sua camicia bianca e semplice. Sul letto era rimasto il regalo, ma nessuno dei due, così assorto nella contemplazione dell’altro, si accorse di quell’inutile dettaglio.
« Lo so,» ammise avanzando verso il letto per sedersi e infilarsi i mocassini neri, non guardandola più, « Sei solo una ragazzina. Non è giusto,» aggiunse come in colpa verso se stesso per ciò che avevano fatto insieme. La giovane, comprendendo il suo forte disagio e il risentimento nei confronti di sé, si avvicinò a lui, si inginocchiò alla sua stessa altezza, e gli prese il volto tra le dita, « È come se mi stessi…,» non aggiunse altro, sentendo le labbra della ragazza sulle proprie. Quasi lo fece distendere sul letto e John la strinse, facendo aderire i loro corpi. Le carezzò la schiena per poi immergersi nel mare nero dei suoi capelli che profumavano di fiori. 
« Fa’ silenzio, sciocco. Non sono una ragazzina e non ti stai approfittando di me,» gli assicurò, carezzandoli il volto con l’indice prima di accorgersi del regalo alle spalle del giovane che ancora la stringeva a sé, « Cosa nascondi lì dietro?» domandò dubbiosa. John prese il pacchetto e la giovane si accoccolò meglio sulle sue gambe, cinta dalle sue braccia forti. Glielo porse e lei lo guardò giocherellando con il fiocco e carezzando la stoffa nera.  
« Un bracciale,» le rivelò mentre lo prendeva tra le sue dita. Non era molto elegante né bello come tutti gli altri, ma a John era piaciuto subito. Aveva lo stesso colore dei suoi occhi quando brillavano di luce. Sì, a John piaceva per quello, perché le avrebbe ricordato lui ovunque sarebbe andata. Le dita della ragazza tremarono mentre leggeva la scritta e John le posò un lieve bacio tra i capelli. Era vero. Non sarebbe mai appartenuto a nessun’altra donna che non fosse stata Isobel Flemming e quella era una promessa, « Volevo lo portassi con te, ma se non vuoi, non importa,» aggiunse quando la vide tremare maggiormente. Isobel alzò lo sguardo di scatto, mostrandogli il suo un po’ spaurito, ma estremamente determinato e infuocato dalla passione. La giovane sorrise, prima lievemente, poi sempre con più felicità e forza prima di baciarlo con passione.
« Lo porterò con me. Per sempre.»

 

L’atmosfera mutò di colpo e in un attimo si ritrovò in un bosco, quello di Mystic Falls. Un uomo, lo stesso ragazzo che era in quella stanza, solo più adulto e disilluso, stava poggiando lo stesso bracciale su di una roccia ampia e bianca, totalmente levigata accanto a un pino secolare nei pressi della chiesa diroccata dei Fell. Vestiva con una camicia elegante, di raso nero, e un paio di jeans dello stesso colore. All’anulare sinistro, come se fosse stata la propria fede, portava un anello. Guardò il Sole e sorrise poi scomparve nell’ombra dei fitti alberi secolari, alzando le foglie che stridettero per poi ricadere blande sul terreno. Aveva terminato il suo compito.

 

« Nicole, stai bene?» le domandò una voce conosciuta, femminile, preoccupata, facendola riemergere da quella visione passata. Le stava premendo sulle braccia e Nicole lasciò cadere il monile lungo la gonna ampia del suo bell’abito, facendolo rovinare a terra con un tonfo appena percettibile. Aprì gli occhi, che non sapeva di aver chiuso, e sobbalzò, prendendo un lungo respiro prima di puntare gli occhi in quelli marroni e ansiosi di sua sorella. Un'altra mano, più grande e maschile, era sulla sua schiena. Non servì volgersi per riconoscere il tocco del suo amato Klaus. Il suo profumo era inconfondibile. Notò che non era più solo loro sei in quella sala, ma si erano aggiunti anche gli altri Originali, suo fratello Jeremy, sempre al fianco di Rebekah, e Bonnie accanto a Kol. Esther la stava guardando e Nicole ricambiò lo sguardo, immergendosi per trovare un conforto che la strega più anziana prontamente le offrì. Come avendo captato i suoi pensieri, Esther annuì e le rivolse un sorriso ampio e pacifico, poi Nicole tornò a sua sorella, « Cos’è successo? Cosa hai visto?» le chiese preoccupata e ansiosa, temendo che avesse scorto qualcosa di estremamente terribile, conoscendo sua madre. Invece aveva visto qualcosa di bellissimo. Suo padre e sua madre. Innamorati come solo due ragazzi potevano esserlo. In quell’istante comprese tutto. Suo padre era vivo e le aveva lasciato dei messaggi per farle comprendere, ma non aveva voluto illudersi troppo in quei giorni. Invece, in quel momento, era tutto più chiaro e limpido come le acque di un lago, ma, per averne conferma, avrebbe dovuto guardare all’interno del suo dubbio.
« A chi vai di scoperchiare una tomba?» domandò ironicamente. Pronunciò quelle parole con trasporto e un piccolo sorriso sulle labbra esangui. Persino Klaus sobbalzò di poco nel sentirla parlare in quel modo. Elena la guardò sconcertata e sentiva gli occhi perforanti di Jeremy fissi su di sé come per comprendere se non fosse totalmente impazzita.
« Santo cielo, ma le visioni fanno ammattire le streghe?» chiese con finta preoccupazione Damon rivolto ad Esther e Bonnie.
« Nicole, sei seria?» tuonò Jeremy, scostandosi da Rebekah, gentilmente, e avanzando verso di lei sino a sfiorarle le spalle coperte dai suoi bei riccioli biondi. Klaus si scostò per lasciarla sfiorare dal suo fratellino, e da lui soltanto, e Nicole annuì, facendo comprendere a tutti che stava parlando sul serio. La consapevolezza diveniva più forte ogni secondo che passava. Sì, John Gilbert era ancora vivo. Non sapeva come e nemmeno perché, ma sentiva che suo padre camminava ancora sulla Terra, « Per l’amor di Dio, la tomba di chi?»
« Di mio padre, ecco di chi,» chiarì subito irritata che non la lasciassero andare. Non comprendeva come riuscissero a domandarle quelle sciocchezze. Avrebbe dovuto lasciarla fare. Voleva soltanto riabbracciare suo padre, percepire le sue braccia forti e vigorose che la cingevano con dolcezza infinita, sentire il suo respiro calmo, rivedere i suoi occhi chiari e splendidi come i propri. Invece doveva dar loro spiegazione, come se fosse stata una  bambina e loro i suoi genitori. Però erano i suoi fratelli e lei non doveva arrabbiarsi con loro senza una motivazione valida.
« Ma è morto da cinque mesi. Cosa pensi di trovarci?» aggiunse Elena con la voce più acuta di un’ottava scorgendo tutta la sua determinazione occuparle le iridi.
« Se non volete venire, nessuno vi costringe. Ci andrò da sola. Come faccio tutto il resto da una vita,» aggiunse con rabbia che non tentò nemmeno di celare. Odiava essere trattata come una ragazzina e loro non ne avevano alcun diritto. Erano più piccoli di lei e non sapevano cosa significasse sentire la magia spingere dentro di sé per fuoriuscire e avvicinarsi all’anima della persona a cui più voleva bene. Jeremy si scostò, come scottato dalle sue parole, sentendosi in colpa perché sapeva che, alla fine, erano stati loro a lasciarla sola, almeno da quando era tornata a Mystic Falls. Non rispettavano le sue decisioni, come pensassero davvero che non fosse in grado di decidere per la sua vita. Invece lei sapeva esattamente ciò che voleva, chi bramava al suo fianco, molto meglio di sua sorella. Lei desiderava solamente Klaus. Elena le posò una mano sul polso, bloccandola sul posto, « Elena, verrai con me?» le domandò cercando di comprendere cosa risiedesse nella mente della sua sorellina. Anche lei si stava convincendo a crederle. Forse anche lei poteva percepire che suo padre era ancora lì.
« Sì,» asserì atona, sebbene vi fosse una live sorpresa nella sua voce per ciò che ella stessa aveva appena pronunciato,« Anche se credo che tu sia completamente uscita di senno,» aggiunse con un velo di ironia mista a disappunto.
« Questa non posso perdermela,» esclamò Damon, ridendo appena, gli occhi più brillanti del consueto, « Ehi Stef, devi venire anche tu. Suvvia dopo la tomba di papà ci vuole pure quella di Johnny,» aggiunse vedendo che suo fratello lo stava fulminando con i suoi splendidi occhi verdi.
« Ti avrebbe piantato un paletto dritto al cuore se ti avesse sentito chiamarlo in quel modo, caro,» gli comunicò Nicole, marcando l’appellativo per fargli comprendere che il suo tono era più che sarcastico.
« Nicole, tesoro, davanti a Klaus,» alluse, guardando l’ibrido che si tratteneva a stento da sferragli un pugno in pieno viso che, certamente, l’avrebbe fatto svenire, « No,» negò facendole l’occhiolino. Per poco non scoppiò in un riso liberatorio. Tutta quella situazione era ridicola e paradossale, ma smorzava la tensione vigente tra i tre fratelli e probabilmente Damon lo stava facendo solo per non sentire Elena soffrire per lei, « Lui mi stacca la testa e poi come faremo a…»
« Zitto, Damon,» lo interruppe Stefan esasperato da quel comportamento infantile, « Prima che Klaus ti stacchi davvero la testa. E ora, non so se ho capito bene,» continuò guardando lei interrogativo.
« Ho visto mio padre,» gli confermò sottovoce, temendo che, se solo l’avesse pronunciato a voce più alta, quella consapevolezza nascente sarebbe stata stroncata, « E i miei ricordi non sono normali. È come se qualcuno li governasse indirizzandoli lì. E solo un vampiro può fare una cosa del genere.»
« Frena, frena,» esclamò Jeremy incredulo, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi assottigliati, come se non potesse credere alle proprie orecchie. Quell’anello era inequivocabile. Suo padre era un vampiro, « Stai dicendo che lo zio John è un vampiro? Quello zio John? Quello che non ha fatto altro che uccidere vampiri da quando è tornato a Mystic Falls?» le ricordò come credendola folle nel poter anche solo pensare a una prospettiva del genere. Lui non sapeva che John Gilbert avrebbe fatto di tutto pur di poter avere un altro giorno da vivere con le sue figlie. Jeremy non lo conosceva bene quanto lei. Avrebbe fatto di tutto per loro, anche gli atti più spregevoli. L’importante era saperle felici e al sicuro.
« E che li odia così tanto da ammazzarsi piuttosto che vedere sua figlia diventare una di loro?» aggiunse Elena supportando suo fratello e screditando lei, come sempre. Percepì una folata di vento provenire dalla porta della camera e tutti i vampiri si volsero verso di essa, mentre Nicole rimase a guardare sua sorella, facendole comprendere che quell’atteggiamento la feriva più di una lama di coltello.
« In questa città non si può avere una presentazione garbata e veritiera,» esclamò la voce ironica e strafottente di suo padre. Nicole trattenne il fiato per un secondo, poi si volse, lentamente, sino a scorgere gli splendidi occhi di John. Il suo sguardo si velò di lacrime colme di gioia e felicità mentre lo osservava. Aveva le braccia conserte e fasciate da una camicia nera ed elegante, di lino, e indossava dei jeans scuri. Certamente non era lo smoking per la serata, ma Nicole lo preferiva vestito in quel modo. John non guardava altri che lei, nemmeno Elena o Jeremy, solo e soltanto lei, sempre lei. Perché Nicole era la sua piccola bambina innocente che non aveva mai abbandonato il sogno di vederli nuovamente uniti, come la famiglia che avrebbero sempre dovuto essere.
« Papà,» lo chiamò dolcemente prima di percorrere quel breve tratto di strada e gettargli le braccia al collo. Lo abbracciò di slancio. Era più freddo, molto di più, ma non le importava. Era sempre il suo caro John. Suo padre ricambiò subito la stretta, cingendola con maggior vigore quasi issandola in alto. Nicole, sulla sua spalla, pianse una sola lacrima nel sentire che no, non era solo la sua immaginazione. Suo padre era davvero lì con lei e per lei.
« Bambina mia,» le mormorò tra i capelli, facendola sentire così amata e adorata come soltanto un’altra persona l’aveva fatto. Percepiva i suoi occhi, bellissimi come Oceani di pace e di amorevole comprensione, fissi sulle sue spalle. Era felice per lei, « Sono così fiero di te,» le confessò in un sussurro lieve, stringendola ancora di più contro di sé.
« Lena, tutto bene?» sussurrò Jeremy, avvicinandosi all’altra sua sorella che osservava la scena con le labbra schiuse e gli occhi sgranati. Non poteva credere a ciò che stava osservando e tremava lievemente. Si lasciò cingere dalle protettive braccia di suo fratello, abbandonando il capo sulla sua spalla. Nicole non sbagliava mai, sebbene fosse totalmente impossibile che John fosse lì.
« Non… non capisco,» esternò mettendo a nudo tutti i propri confusi pensieri. John alzò lo sguardo dai capelli di Nicole e la guardò a lungo, per la prima volta dopo tanto tempo e quello sguardo le fece quasi sanguinare il cuore. Non avrebbe mai dovuto esitare nel credere a sua sorella. Jeremy la lasciò andare, come per spronarla ad aggiungersi a quello splendido abbraccio familiare, ma Elena rimase ancorata a lui, come se avesse pensato che, se solo l’avesse lasciato, sarebbe crollata.
« Vi spiegherò tutto, cara, non preoccuparti. È bello vedervi di nuovo insieme. Come una famiglia,» aggiunse, scostandosi di poco da sua figlia che rimase al suo fianco. Sembravano due schieramenti, non una famiglia, pensò distrattamente Klaus, osservando la situazione dall’esterno. John e Nicole. Elena e Jeremy. Non erano insieme. Osservò i propri fratelli e Rebekah gli fece un breve cenno di tornare con loro. Mikael scrutava John come per trovare in lui un possibile nemico e, non trovando nulla, sorrise lievemente. Era la stessa espressione di quando gli aveva assicurato che avrebbero potuto tutti vivere sotto lo stesso tetto senza uccidersi o azzannarsi a vicenda. In un secondo fu al fianco di sua sorella, agglomerandosi alla sua famiglia finalmente ritrovata con la consapevolezza che avrebbe fatto di tutto affinché perdurasse quella calma affettuosità.
« Zio, ma…,» si interruppe Jeremy, osservandolo confuso di trovarlo lì. L’aveva visto morire dinanzi ai suoi occhi, aveva scorto Bonnie mentre attuava l’incantesimo e aveva letto il diario di Jonathan Gilbert. E invece John era ancora vivo e stava abbracciando la sua sorellina con tanto di quell’affetto da poter colmare ogni vuoto. E Nicole sembrava cotanto felice, in pace, completa da stringergli il cuore in una morsa di puro dolore. L’aveva riavuto indietro. Aveva nuovamente suo padre al suo fianco. Mentre lui aveva perduto il proprio per sempre. Quella consapevolezza lo feriva, annientava tutte le sue forze e gli avrebbe fatto versare molte lacrime se fosse stato solo. Però dinanzi a sé v’erano le sue sorelle, nonché gli Originali e i Salvatore. John tentò di sorridergli, sebbene avesse captato i suoi pensieri e carezzò la schiena di sua figlia, traendola più vicina a sé, come se avesse timore che, se l’avesse per un attimo lasciata, tutto quell’equilibrio si sarebbe dissolto dinanzi ai suoi occhi azzurri. Così tanto simili a quelli del suo caro padre, ma insieme così diversi.    
« Vuoi spiegarlo tu, Nicole?» domandò gentilmente alla sua figlia maggiore, come soleva sempre definirsi lei, prima di posare un dolce bacio tra i suoi profumati capelli biondi. Nicole sembrò incredula che avesse lasciato a lei il compito di esplicare ciò che erano soltanto supposizioni infondate e cominciò a rimuginare un attimo sulle parole migliori da utilizzare prima di posare il capo sulla sua spalla. E sorrise. Finalmente era casa.
« Se ho capito bene, dovrebbe essere accaduto che il sangue di vampiro presente in Elena quando Bonnie ha compiuto l’incantesimo, deve essere fluito dentro di te, trasformandoti,» tentò velocemente di svelare ciò che la sua magia le stava suggerendo con il suo linguaggio antico e incomprensibile per i suoi familiari.
« Quello che non capisco è perché,» la interruppe Elena incerta e incredula, con le sopracciglia aggrottate e le labbra lievemente schiuse, « Sei morto da cinque mesi. Avresti potuto mandarci un segnale, un qualche… che so, un segno,» continuò con la voce più acuta osservandolo quasi sino a perforarlo con quello sguardo indagatore. Si fidava di suo padre, quello era certo, ma doveva, avvertiva un profondo bisogno di sapere la ragione per la quale non si era rivelato subito a loro.
« Per questo posso spiegarvi io,» mormorò gentilmente la strega originaria, spostando l’asse dell’attenzione di tutti su di sé. Persino Mikael l’osservò confuso, con le labbra serrate per comprendere il significato delle parole della sua amata moglie. Che quell’uomo che stava stringendo con cotanto affetto quella che oramai era la donna di Niklaus potesse aiutarli per perseguire nei loro intenti?
« Esther?» la chiamò Nicole smarrita, ma non sbigottita o turbata. Si fidava di lei, quella ragazzina dal cuore grande che aveva rapito l’unico figlio non avuto da Mikael. E a ragione. Esther desiderava soltanto il bene per lei e sapeva benissimo che Niklaus l’avrebbe portata all’oblio perpetuo. Non poteva permetterlo. Era la sua ultima discendente. Senza di lei la sua dinastia sarebbe stata per sempre perduta. Le Bishop si sarebbero estinte dopo più di mille anni. No, Nicole avrebbe dovuto dimenticarsi di Niklaus e trovare un ragazzo umano che l’amasse e fosse in grado di generare un erede capace di far continuare la dinastia.
« Sì, cara. Jonathan non si è subito trasformato in un vampiro perché il sangue di Damon non ha agito immediatamente,» spiegò loro. Damon ricordò in un istante la mattina prima del sacrificio, quando aveva fatto bere il suo sangue ad Elena. Meglio vampira che morta, si era detto, ed Elijah lo aveva avvertito affermando che non avrebbe mai potuto ambire al perdono della donna che amava. La guardò con la coda dell’occhio. Era sobbalzata, ma tanto impercettibilmente che nessuno, nemmeno il suo caro Stefan, se ne era reso conto. A distanza di tempo la sua scelta sarebbe stata sempre la stessa. Avrebbe scelto lei sempre e comunque, perché amava quella splendida giovane donna che aveva tentato di trovare in lui una luce che Damon stesso credeva si fosse oramai spenta. Aveva lottato, contro di lui e contro il suo orgoglio. Avevano compiuto insieme un percorso che li aveva avvicinati indissolubilmente durante tutta l’estate. Elena s’accorse del suo sguardo ceruleo fisso su di sé e alzò i suoi grandi e dolci occhi da cerbiatto, quasi smarriti e alla ricerca di una meta, sino a incontrare i suoi. E tutto quel senso di turbamento scomparve dalle sue iridi.
« Possiamo dire che non voluto collaborare,» scherzò John ilare continuando a carezzare la sua adorata figlia. Klaus guardò la piccola creatura tra le braccia di quell’uomo amorevole. Era sua, e quello gli era ben chiaro in mente, ed era felice, molto. Non ricordava di averla scorta tanto contenta come lo era in quel momento e gli dispiacque che non fosse stato lui a offrirle tutta quella gioia. Almeno sino a quando Nicole non si volse per cercare il suo sguardo. Allora fu tutto perfetto.
« Serviva un elemento esterno e quindi, quando Abigail e Bonnie Bennett hanno aperto la mia bara, la natura si è mossa. È complesso da spiegare a delle persone che non conoscono nulla della magia,» aggiunse scrutandoli con comprensione, ben capendo che per i Salvatore, i Gilbert e anche per i suoi figli risultasse abbastanza difficile riuscire a comprendere come la natura si muovesse e come le linee magiche si azionassero.
« Vuoi intendere che le linee magiche si sono azionate come creando una scossa elettrica che ha messo in circolo il sangue?» domandò Nicole interessata, appassionata da quel racconto trasudante di magia antica e maestosa. 
« Esattamente.»
« Ho sentito accadere una cosa del genere solamente in Australia,» rimuginò tra sé l’ultima discendente della Bishop ancora stretta nell’abbraccio paterno. Avrebbe bramato rimanere tra le sue braccia per sempre per trovare la pace di cui necessitava per continuare a vivere. Suo padre era tranquilla pacatezza, un fiume che scorreva blando, una certezza radicata nel suo animo. Ma desiderava anche il fuoco ardente di passione dell’altro uomo della sua vita, il suo Klaus.
« Non ho capito molto, ma va bene lo stesso,» sussurrò Elena, prima di scostarsi da Jeremy, ancora imbarazzata per quello scambio di sguardi avvenuto con Damon pochi istanti prima. Era strano. Aveva percepito qualcosa nel suo cuore muoversi e un successivo calore invaderle l’animo nel percepire gli occhi color del cielo estivo di Damon fissi su di sé con tanta premura e considerazione. Con Stefan quello non era mai accaduto. La spaventava la quantità di emozioni che Damon era in grado di trasmetterle con un solo e unico sguardo, impercettibile per gli altri. Sapeva trasportarla lontano dal mondo, facendola quasi sollevare dal suolo per farle dimenticare ogni dolore. Era terrorizzata e aveva tentato con tutte le proprie forze di fuggire da se stessa e dai suoi sentimenti per il vampiro dagli occhi di ghiaccio. Se l’amore è vero, non puoi fuggire. Quelle erano state le parole di Lexi. Aveva sempre pensato che il suo amore vero, epico e splendente fosse Stefan. Però non era più così da molto tempo, oramai. Scosse impercettibilmente il capo e avanzò verso l’uomo dinanzi a sé. Era a lui che doveva rivolgere la propria attenzione in quel momento, « Papà,» lo chiamò per la prima volta dinanzi a lui. John la osservò con un sorriso appena accennato sulle labbra sottili come quelle di sua sorella. Nicole gli somigliava in tutto e per tutto, dall’indole misteriosa e silenziosa all’aspetto, ed Elena sentì di provare per lui lo stesso affetto che nutriva nei confronti della sua gemella, « Grazie per tutto quello che hai fatto per me,» tentò di modulare la voce, per non far trasparire tutta la propri emozione nel scorgerlo lì davanti a lei, e di non tremare. Ma non ci riuscì. John sembrò sorpreso di vederla cotanto trepidante, però le sorrise dolcemente, accogliendola. Nicole, comprendendo che volesse abbracciarlo e stringerlo a sé, si scostò, impacciata e imbarazzata.
« Oh sì, scusa,» sussurrò timidamente, osservandola con i suoi grandi occhi azzurrini stretti e straripanti di felicità e gioia. Perché finalmente erano una famiglia.
« Venite qui entrambe,» esclamò John, attirando le sue figlie a sé in un abbraccio dolce e amorevole, paterno e capace di rimarginare ogni ferita, « Non potete immaginare quanto sia stato doloroso non avervi potute abbracciare prima, piccole mie,» sussurrò accorato e mesto, stringendole con forza per non lasciarle mai andar via. Elena quasi trattenne le lacrime. Non era un tradimento. In quel momento comprendeva cosa Nicole avesse voluto esprimere. I ricordi di Grayson e Miranda non sarebbero stati dimenticati per essere sostituiti dai momenti con John. Potevano convivere senza essere un motivo di imbarazzo o di costernazione. Potevano essere una famiglia e vivere felicemente, rimembrando il passato, ma vivendo il presente e pensando al futuro, « Mi dispiace tanto, Nicole cara. Ti avevo giurato che…,» continuò più triste, quasi odiandosi per essere venuto meno alla parola data con la sua figlia maggiore.
« Va bene, papà. L’hai fatto per Elena, va bene,» mormorò accalorata, tentando di far comprendere a entrambi che, davvero, andava bene così. John si era sacrificato per Elena, per poterle far continuare la propria vita ed era giusto che fosse così.
« Però quello che hai…»
« Solo un attimo,» lo interruppe, sciogliendo l’abbraccio, costernata, e guardandolo direttamente negli occhi, « L’ho pensato soltanto per un attimo, papà. E non puoi immaginare quanto mi sia sentita in colpa per quello,» esclamò osservando da lui ad Elena senza sapere con quale dei due scusarsi maggiormente. Era vero. Per un attimo pensò che fosse tutta colpa di Elena se lei non aveva più il suo papà, ma dopo, dopo che l’accidia e l’amarezza erano scomparse lasciando il posto al dolore, tutto era tornato al proprio posto. Era certa che suo padre avrebbe fatto lo stesso per lei.
« Perché? È vero. È colpa mia. Io lo so che è mia la colpa, Nicole,» esclamò Elena costernata, guardandola con quei suoi grandi occhi sgranati per l’afflizione per la sua sofferenza immane. S’era sentita così sola senza il suo papà. Ma era lì, con lei. E quello era l’importante.
« Non parliamo di colpe. Non più e mai più,» affermò dolcemente posando altri due baci tra i loro capelli ricci. Suo fratello sospirò e chinò il capo, nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni di seta dello smoking di suo padre. Si mosse inquieto e Nicole comprese cosa gli stesse passando per la mente. Avrebbe tanto voluto rassicurarlo dicendogli che lui faceva parte della famiglia più di chiunque altro, ma rimase in silenzio poiché John prese la parola prima di lei, « Jeremy,» lo chiamò dolcemente per fargli alzare il capo. Il ragazzo obbedì e i suoi grandi occhi scuri mostravano un tale senso di smarrimento e abbandono da farlo sembrare un cucciolo spaurito. Mai l’aveva scorto in quello stato e se ne preoccupò notevolmente.
« Mi dispiace, zio, davvero. Ma avrei preferito che fossero altri a tornare, non tu,» esclamò duramente tanto che Nicole chinò il capo, nascondendo delle piccole lacrime che le stavano velando lo sguardo azzurrino, « Io ti voglio bene, ma…,» si affrettò a spiegare, distendendo le mani dinanzi a sé per fargli comprendere che non provava astio nei suoi confronti. Elena si mosse inquieta, tra le braccia di suo padre e lo sguardo comunicava una preghiera. Lo stava supplicando di non andare oltre, ma Jeremy aveva bisogno di sfogarsi, di parlare, di far comprendere loro che quella situazione era tutto fuorché idilliaca, « Oh Elena, non dire che non l’avresti voluto anche tu… Non fraintendermi, Nicole, ti prego,» aggiunse scorgendo negli splendidi occhi della sua sorella maggiore un dolore potentissimo e devastante. Era il suo sogno quello di rivedere la sua famiglia finalmente riunita, ed era anche quello di Jeremy, « Tu gli vuoi bene, lo capisco, ma non ha fatto che combinare casini. Ha ucciso Anna, il padre di Tyler. E anche prima non è che fosse una bravissima persona.» John chinò il capo, lasciando completamente andare le sue bambine. Tutto ciò che suo nipote stava affermando era vero. Però desiderava talmente tanto essere al fianco di quelle meravigliose e giovani donne che aveva amato sin da quando aveva scoperto la loro esistenza nell’utero di quella ragazza che gli aveva rapito il cuore.  
« Faremmo meglio a uscire. Sono questioni familiari,» esclamò Elijah atono, ma con forte decisione osservando che negli occhi chiari di quella che era la donna di suo fratello brillavano delle lacrime che stava tentando di celare persino a se stessa.
« Ti ringrazio, Elijah,» sussurrò davvero grata di quella cavalleresca bontà d’animo. Tutti uscirono, lasciando che i Gilbert potessero parlare come una famiglia senza bisogno di intermediari e osservatori, ma rimasero quasi sulla soglia, appropinquandosi alla scalinata che conduceva al piano inferiore, ancora ricco di invitati. La musica arrivava soffusa alle orecchie sensibili per captare ogni qualsivoglia suono. Era ovattata, ottenebrata dai loro pensieri. Erano stretti in cerchio, alcuni, come Stefan, Finn, Elijah e i coniugi Mikaelson, troppo assorti. Stavano tutti tentando di comprendere perché stesse accadendo quello. Era sovrannaturale, andava contro tutte le leggi del mondo eppure John Gilbert era ancora lì, pronto a combinar disastri,« Ascoltatemi un secondo,» esclamò Nicole con voce arrabbiata dalla piega che stava prendendo quella serata. Niklaus si volse verso la porta dello studio in cui si stava svolgendo quel dialogo familiare. La scrutò come se avesse voluto disintegrarla con la forza del pensiero per poter penetrare al suo interno e stringere la sua, e di nessun altro, Nicole tra le braccia. Mai l’aveva udita cotanto indispettita e avrebbe volentieri ucciso quel ragazzino strappandogli il cuore dal petto. Però aveva fatto un patto con la doppelganger. La vita di Rebekah per quella di Jeremy. E lui, per quanto potessero dir malignità, non era mai venuto meno alla parola data. Era un uomo d’onore.

« Jeremy, tutto ciò che ho fatto è stato per le tue sorelle,» cominciò John ragionevole. Niklaus poté immaginarlo con i grandi occhi chiari come quelli che tanto amava, sebbene non le avesse ancora rivelato nulla, spalancati e comprensivi nel tentativo di far riflettere il suo unico nipote.
« Non è vero. Tu l’hai fatto per te stesso, perché non sopporti i vampiri. E, din don, le tue figlie che razza di fidanzati hanno? Persino il tuo orgoglio si è fidanzata con un Originale.» Klaus finalmente comprese la provenienza di tutto quell’astio che aleggiava accanto alla figura della sua amata e per un attimo odiò quel ragazzino sfacciato che stava tentando con ogni mezzo di portarla via da lui. Nicole era sua. Assottigliò gli occhi azzurrini e tentò di non serrare i pugni, sebbene sulle sue labbra rosse e piene apparve un’espressione contrita e di puro disprezzo. Avrebbe ucciso chiunque si fosse messo tra lei e quella piccola e giovane donna senza provare alcun rimorso o scrupolo di coscienza, un’interiorità che gli era mancata non appena era divenuto un vampiro.
« Ma che problema hai, Jer?» domandò Nicole davvero incollerita. Quel tono lo rinfrancò, giovando al lupo dentro di lui, celato alla vista degli altri, ma sempre presente. Un’entità silenziosa che sussurrava parole di rancore infinito verso il prossimo.  
« Il mio problema è che lui è un mostro. E tu non sentirti esclusa da questo discorso, Elena. Damon, sul serio? Non è tanto migliore di lui.»
« Jeremy, io non credo… che sia il momento giusto per parlare di questo,»
sussurrò la doppelganger profondamente a disagio. Probabilmente aveva sperato che quella ramanzina inadeguata fosse soltanto per Nicole. Klaus osservò Damon di sottecchi. Sembrava abbastanza stupito, genuinamente si accertò, mentre Stefan sembrava non essersi accorto di quel tono utilizzato da quella che oramai non era più la sua fidanzata. Pensò che almeno una Petrova fosse stata in grado di scegliere a quale dei due fratelli donarsi.  
« Io, invece, sì. Sono stato in silenzio, sempre. Perché per gli altri io sono soltanto il vostro fratellino. Beh questo non è vero. Io sono vostro cugino e ora potete essere una bella famigliola felice e chi se ne frega se i miei genitori sono morti? Ve lo dico io: non frega a nessuno. Persino tu, Elena,» la accusò senza velare la voce da finte parole. V’era soltanto afflizione nella voce di quel ragazzo e Klaus quasi fu in grado di provare compassione per lui. Doveva sentirsi solo e quello riusciva a comprenderlo perfettamente avendo vissuto a stretto contatto con dei fratelli che non erano propriamente i suoi.
« Come puoi dirmi questo? » quasi urlò sua sorella maggiore. Klaus sentì provenire un singhiozzo dalle labbra completamente identiche a quelle della donna che aveva amato e da cui aveva ricevuto soltanto umiliazioni e dolori.
« Forse non dovreste ascoltare,» esclamò Esther, scrutandoli tutti con aria di materno disappunto.
« Io ci sto provando, seriamente, ma è impossibile. Parlano troppo ad alta voce,» ribatté Damon con un tono di falsa innocenza, tanto da beccarsi un’occhiata torva da parte della strega Bennett.

« Io li ho visti morire davanti ai miei occhi, Jeremy. Sarei dovuta morire anch’io e pensi che non mi sia sentita in colpa vedendomi ogni giorno allo specchio mentre loro erano sotto quattro metri di terra? Come credi che mi sia sentita, io?» continuò Elena ancora più addolorata tanto da far muovere, inquieto e pronto come lui a entrare in quello studio e stringere la sua damigella in pericolo, Damon. Stefan non sembrava toccato da ciò che stava avvenendo, o meglio, quando Klaus tentò di scrutare negli occhi di quello che era stato come un fratello per lui negli anni ’20, scorse il dolore di sapere che la ragazza stava soffrendo. Però sembrava il dolore di un amico, non di un innamorato.
« Non volevo succedesse questo, Jeremy. Davvero. Vorrei che ci fosse tuo padre al mio posto adesso perché lui è un miliardo di volte migliore di me, sia come uomo che come padre. Ho fatto i miei errori, lo so, ma ho completato la trasformazione per esservi accanto. Non sono qui per far del male a nessuno né per giudicare o…,» la voce di John si spense per loro e Klaus notò che qualcuno si stava avvicinando in una folata di vento gelido. Percepì un profumo tenue, due gocce di Chanel n° 5, invadergli le narici. Quella fragranza era ottima, sopraffina ed era appartenuta alle donne più avvenenti del mondo. Si volse sino a incontrare delle iridi azzurre, con qualche sfumatura grigio perla, della madre della sua Nicole. Sorrise divertito di scorgerla ancora in vita dopo che le aveva espressamente ordinato di esporsi al Sole senza la sua collana. Eppure era ancora lì e quello era ancora più inspiegabile della presenza di John che stava continuando a parlare, ignaro che a pochi metri vi fosse la donna che aveva amato più di se stesso.
« Isobel,» la accolse divertito Damon con un sorriso sornione e storto. Isobel sorrise, allegra quando lui. Indossava dei semplici jeans scuri e a sigaretta che mostravano la snellezza delle sue gambe, delle decolté dal tacco 16 nere anch’esse, e una camicia bianca di lino. I lungi ricci neri erano raccolti in una coda alta e il bel volto sembrava ancora più pallido rispetto all’ultima volta in cui l’aveva guardato, le labbra più esangui.  
« Felice di vedermi, Salvatore? Che discorsi noiosi. John è sempre il solito pacifista. Le mie figlie stanno bene, sì?» domandò accattivante osservando la porta dello studio con una certa soddisfazione.
« Sai che farà Nicole quando ti vedrà qui, vero Isobel?» domandò Klaus brioso, scoccandole un’occhiata in tralice, con la voce strascicata e lievemente arrochita dall’ironia. Aveva appreso che Nicole aveva promesso a sua madre che, se l’avesse vista un’altra volta, le avrebbe piantato un paletto direttamente nel petto.
« Mi pianterà un paletto dritto nel cuore, quella sciocchina,» sbuffò contrariata e allo stesso tempo divertita, « Ma non deve per forza vedermi. Le daresti un messaggio?» gli domandò celando la mano destra nella tasca dei pantaloni, cercando qualcosa.
« Non sono il tuo piccione viaggiatore, Isobel, né il tuo facchino. Ma mi piace un po’ di wrestling femminile certe volte. Dammi qua,» esclamò allungando la mano verso di lei. Isobel lasciò cadere un monile luccicante. Era un braccialetto di piccoli diamanti che avrebbe potuto indossare una bambina molto piccola. Aveva la catenina d’argento e, sotto quella luce, brillava come una serie di minuscoli arcobaleni.
« Lei sa cos’è. È stato un piacere rivedervi,» affermò prima di scomparire. Klaus non conosceva la ragione dell’improvvisa stretta al cuore che lo colse nell’aver quel minuscolo monile nella mano. Doveva appartenere a lei, alla sua Nicole. Lo lasciò scivolare nella tasca dei suoi eleganti pantaloni di raso e spostò il capo verso la porta dove poteva ancora udire delle voci concitate. Quella sera tutto era ancora da scoprire.

 

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Ingiustificabile. Questo ritardo è davvero ingiustificabile e mi scuso con tutte voi per avervi fatto attendere questo capitolo per cinque mesi, ma ho passato dei brutti momenti e la voglia di scrivere è scomparsa del tutto. Però odiavo lasciare questa storia in sospeso, soprattutto perché ho in mente anche una seconda parte. È prevista un’altra decina di capitoli per questa storia e la seconda parte sarà un po’ più breve, sulla ventina massimo. Spero che le persone che seguivano la storia non la abbandonino, ma capirò benissimo chi lo farà visto il ritardo eterno. Aggiornerò a metà della prossima settimana, Giovedì, se non prima. Un bacio grande e grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito o inserito tra le varie categorie la storia. Siete meravigliose.

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