E a Tokyo, quando?

di Il Cavaliere Nero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E a Tokyo, quando? -Ran- ***
Capitolo 2: *** E a Tokyo, quando? -Shinichi- ***
Capitolo 3: *** E a Tokyo, quando? -Shinichi e Ran- ***



Capitolo 1
*** E a Tokyo, quando? -Ran- ***


E a Tokyo, quando?

New York.
Splendida città americana.
Sede della Statua della Libertà.
Già, la statua della libertà! L’aveva vista per caso, aprendo gli occhi dopo quella lunga dormita, quando oramai l’aereo era atterrato e la mamma di Shinichi, la bella Yukiko, accompagnava lei e suo figlio ad uno dei teatri più famosi al mondo, per assistere allo spettacolo ‘Golden Apple’. *
Ran all’inizio aveva rimosso quell’episodio, ricordandolo solamente un anno dopo: la cattiva impressione ed il senso di colpa per aver salvato la vita ad un’assassina – ‘I want to thank you, my sweet angel. You helped me realize my dream’ le aveva detto Rose, poco prima dell’arresto, riferendosi all’omicidio di Heat- evidentemente avevano avuto la meglio sul ricordo delle esperienze piacevoli, portandola a rimuovere qualsiasi avvenimento vissuto in quella splendida città. E, sino a poco tempo prima, aveva completamente dimenticato anche il grande cambiamento avvenuto nel suo cuore: a New York lei aveva capito di amare Shinichi.

“Non so quale sia il motivo che spinge una persona ad un ucciderne un’altra, ma perché dovrebbe esserci una ragione per salvarla?”

Queste erano le parole che il giovane aveva rivolto al terribile serial killer giapponese in cui si erano imbattuti nel tentativo di recuperare il fazzoletto di Sharon, due anni prima. E Ran, alle sue spalle, si era sentita più leggera, libera dal terribile peso che sino ad allora le aveva gravato sullo stomaco, l’idea di essere stata complice di un’assassina. In quel preciso istante il suo unico pensiero fu: -Avrei dovuto capirlo prima, che sciocca sono stata…Shinichi ha ragione, non c’è un buon motivo per salvare la vita di qualcuno…- e poi, vinta dalla malattia, era caduta a terra, priva di sensi. Non aveva idea di cosa fosse accaduto dopo, e all’inizio i suoi sentimenti per Shinichi erano rimasti immutati: lui era il suo amico d’infanzia, dotato di un gran cuore.
E nient’altro.
Eppure, durante tutta la notte trascorsa a letto, incosciente per la febbre alta, i suoi sogni avevano avuto sempre lo stesso protagonista: il suo amico d’infanzia.
Vedeva il suo volto magro, esile all’età di sette anni, quando in piscina la teneva sulle spalle perché non si bagnasse i capelli; le guance piene di graffi quando, dopo una lite, entrambi arrivavano alle mani, ma era sempre lei ad averla vinta; i suoi occhi assottigliati quando, in prima elementare, le porgeva il cestino della merenda che qualcuno aveva nascosto e che invece lui aveva ritrovato* ; e infine, sentiva la sua voce, così calda e rassicurante:
“Ora siamo in albergo, Ran. E’ tutto finito.”
Avrebbe davvero voluto rispondergli, ma le mancavano le forze.
Avrebbe voluto allora sorridergli, per fargli capire di averlo sentito: ma era tanto debole da non riuscire a contrarre neppure un muscolo.
In sogno, aveva rivisto anche la scena vissuta poche ore prima: Shinichi che le urlava di abbandonare quel vecchio edificio abbandonato e cadente, Shinichi che l’aiutava a sostenere il corpo dell’uomo barcollante nel vuoto, Shinichi che la difendeva e spiegava all’assassino che non vi era alcun motivo logico per averlo sottratto alla morte.

“Non so quale sia il motivo che spinge una persona ad un ucciderne un’altra, ma perché dovrebbe esserci una ragione per salvarla?”

Questa frase le era risuonata per l’ennesima volta nella testa, poi si era svegliata. I suoi occhi, però, risultavano infastiditi dalla luce abbagliante che illuminava la stanza e dunque aveva portato immediatamente le mani sul volto.
“Posso spegnere la lampada, se vuoi.” le aveva assicurato una voce.
La ragazza allora si era voltata di scatto, trovandosi davanti al sorriso di Shinichi.
Ignorandone la motivazione, Ran si era comunque sentita avvampare, ed inconsciamente aveva ritirato il capo, spingendolo contro il cuscino, come se avesse voluto tenere la sua bocca ben distante dalle labbra dell’amico.
Amico?
Solo allora Ran era stata capace di vedere Shinichi quale il ragazzo che era diventato: non più il bambino che giocava con lei, ma il giovane che risolveva brillantemente dei casi difficili e la proteggeva da ogni pericolo. E le piaceva. Le piaceva da morire.
Questa presa di coscienza, però, le era costata cara: per tutta la restante giornata non era riuscita a guardarlo in faccia per la vergogna, come se lui –visto il detective eccezionale che era diventato- avesse potuto leggerle nella mente. Soltanto una volta era stata costretta a fissarlo, quando cioè Shinichi aveva voluto personalmente controllare che la sua febbre fosse scesa! Le loro fronti si erano incontrate e mentre il ragazzo monitorava la temperatura della pelle, Ran aveva avuto occasione di guardarlo negli occhi: brillavano di intelligenza.
Da quel giorno in poi, trascorrere del tempo con lui era stato sempre più piacevole: stava quasi già pensando di confessargli i suoi sentimenti –ci aveva provato, quel giorno, al Tropical Land! “Smettila di parlare di Sherlock Holmes! Vuoi capirlo o no che non vedevo l’ora di venire qui con te, tu non capisci cosa provo!” gli aveva urlato contro, ma lui era avvampato e, cercando di balbettare qualcosa, si era irrigidito completamente. Il coraggio aveva dunque abbandonato Ran, che subito si era finta divertita: “Ahah, perché ti imbarazzi tanto? Non sei affatto un bravo detective se non sei riuscito a capire che stavo scherzando!” aveva mentito spudoratamente *- quando il detective l’aveva abbandonata.
Le indagini, che tanto l’avevano affascinata perché le avevano rivelato l’acume di Shinichi, glielo avevano invece sottratto: e prima gelosa di tutte le sue ammiratrici, era divenuta allora gelosa dei casi, tanto più che il giovane faceva ritorno in città, a Tokyo, per risolverne alcuni, ma non poteva tornare per vedere lei.
Troppo tempo aveva represso questo risentimento. E quando l’aveva finalmente esternato
“Perché non chiedi a Shinichi cosa prova per te?” le aveva suggerito Sonoko.*
“Non permettergli di sfuggirti…Lui deve essere sincero e dirti cosa pensa di te. I tiri a effetto non funzionano! La vittoria arriva con tiri diretti, nel mezzo!” l’aveva incitata Kazuha. *
Già, a loro sembrava facile! Ma come avrebbe potuto rivolgersi a lui in tal modo?
“Ciao, Shinichi! Allora, come vanno le tue indagini? Ti è arrivato il maglione che ti ho spedito? Ah, e io ti piaccio?” non le pareva proprio il caso.
Spinta però dal desiderio di sapere, aveva deciso di terminare un sms a lui indirizzato con la sigla XXX, che rappresentavano dei baci: la professoressa Jodie gliel’aveva rivelato.*
In fin dei conti, tutte le volte (rare!) in cui si erano rivisti, lui era parso così sincero quando le aveva assicurato di sentire la sua mancanza, i suoi occhi sembravano così veritieri quando la fissavano dispiaciuti! Qualcosa doveva pur sentire!
Eppure a quell’sms Shinichi non aveva replicato. *
Per lei, era stato davvero un brutto colpo: per questa ragione, mesi dopo, aveva pensato di regalare il cioccolato cucinato nel giorno di San Valentino a suo padre* .
Ma, di nuovo, Shinichi era stato imprevedibile: non soltanto era tornato e, seppur non svegliandola, aveva mangiato quel dono d’amore, ma il White Day era tornato per la seconda volta, regalandole delle caramelle per la gola! *
Cosa voleva dunque significare? Le idee di Ran erano così confuse! Prima un’azione che la faceva sperare nell’amore ricambiato, poi un avvenimento che la rendeva sicura del contrario. E allora? Allora com’era possibile provare a tastare il terreno, ad ipotizzare una sua possibile replica a qualsivoglia dichiarazione? Dopotutto, la sola idea di voler tastare il terreno non reggeva: come si può farlo a distanza? Sarebbe stato possibile se si fossero visti tutti i giorni, frequentando la stessa scuola e uscendo insieme… ma così?
Prima le dava il suo numero di cellulare, rivelandole che alcune parole possono essere comunicate soltanto a voce, non per mezzo di un testo scritto, poi partiva senza aspettare il suo risveglio*.
Come doveva interpretare quei comportamenti così diversi, quasi contradditori? Shinichi era davvero un tipo imprevedibile. La sorprendeva sempre, sempre…ed anche per questo, lei lo amava.
Ogni volta che improvvisamente lui ricompariva, provava le stesse emozioni: dapprima percepiva il cuore battere sempre più forte, finchè i battiti non le si ripercuotevano nella gola; poi uno strano tremore s’impadroniva di lei, e lo stomaco iniziava a darle fastidio, procurandole la stessa sensazione che provava prima di un combattimento di karate (quando si era confidata con Kazuha, lei le aveva detto: “Capita anche a me! Credo siano le cosiddette ‘farfalle nello stomaco’ che tutti i romanzi d’amore citano sempre!”). E infine, percepiva il volto arrossarsi, sino a che tutto il corpo ribolliva.
E tutto questo era accaduto anche durante il festival scolastico, dopo aver visto Il Cavaliere Nero* sfilarsi la maschera per rivelare il volto di Shinichi. In quell’occasione, però, si era aggiunta una sensazione nuova, che in passato non aveva mai provato: Ran si era sentita una donna e aveva visto Shinichi come un uomo. Probabilmente la consapevolezza di averlo quasi baciato – o, come preferiva credere, di essere stata quasi baciata da lui- aveva molto contribuito, ma in ogni caso lei si era sentita per la prima volta attratta da Shinichi, e aveva iniziato a guardare il suo corpo con occhi diversi: le gambe, rese atletiche e veloci dal calcio, sempre ferme eppure sempre pronte a scattare; il petto, sempre eccessivamente coperto da vestiti inutili, ma che lei era certa fosse scolpito e ben allenato; le braccia, così muscolose da poterla proteggere, cingendola tutta; le mani forti, che spesso aveva osato immaginare scorrere avide sul suo corpo; le dita, che desiderava tanto giocassero tra i suoi capelli; le labbra, che, lo rimpiangeva amaramente, per pochissimo non era riuscita a baciare. Nel momento in cui aveva scoperto che dietro quella maschera non si celava il dottor Araide, ma Shinichi, aveva immediatamente pensato al bacio mancato: e prima un enorme imbarazzo, poi un profondo dispiacere si erano impadroniti di lei. Quanto avrebbe voluto che le loro bocche si unissero, che le loro lingue…! No, basta: non osava immaginare oltre, i suoi pensieri le sembrava quasi profanassero quel ragazzo tanto candido, danneggiassero il loro secolare rapporto.
Ran, negli ultimi tempi, non aveva idea di come comportarsi con lui. Ed il giorno in cui lei, suo padre e Conan avevano ricevuto ed accettato l’invito della signora , che li invitava a proprie spese in Inghilterra* , dapprima non aveva saputo cosa fare, soltanto poi aveva deciso: dopo aver ricercato in tutti i libri, frugato in qualsivoglia enciclopedia, trovato foto ovunque, si era dedicata ad una lunghissima lista di souvenir da acquistare o luoghi da visitare e fotografare, così da poter tornare a casa con una buona refurtiva di regali che poi avrebbe spedito a Shinichi… Londra è la città di Sherlock Holmes, dopotutto.
Gli aveva mandato un sms: “Indovina dove vado, Shinichi… A Londra!”
Non aveva ricevuto alcuna risposta.
All’interno della casa adibita a museo del più famoso investigatore del mondo, assistendo alla assolutamente non celata frenesia di Conan, gli aveva telefonato:
“Indovina dove sono, Shinichi! Nella casa di Sherlock Holmes!”
“Sì, lo immaginavo, mi avevi detto che saresti andata a Londra.” Un tono di voce neutro, assolutamente indifferente: possibile…?
“STUPIDO, STUPIDO, STUPIDO SHINICHI!” gli aveva allora urlato, interrompendo la comunicazione. Soltanto quando, ore dopo, si era ritrovata di fronte alla statua dell’investigatore aveva compreso la motivazione che forse aveva condotto il suo amico d’infanzia a tale freddezza: Londra era il luogo più sacro al mondo per lui, che probabilmente avrebbe considerato quel viaggio come una specie di pellegrinaggio…magari aveva colto nei racconti di Ran una presa in giro a suo sfavore, come se la ragazza avesse voluto canzonarlo: “Io sono a Londra, e tu no! Io sto visitando il museo di Sherlock Holmes e tu no!”
Le erano venute le lacrime agli occhi, al pensiero che il suo atteggiamento avesse potuto scatenare l’invidia o peggio, la rabbia, di Shinichi. Stava già pensando a come rimediare –un messaggio in codice! Cos’avrebbe amato di più?- che l’aveva scoperto in quella città.
“La soluzione è il Big Bang qui!” aveva esclamato, cercando poi di dissimulare quanto appena detto “Qui p-perché…sto vedendo un programma in tv riguardo l’Inghilterra!”
“Sei qui, Shinichi! Non è vero?” ma in cuor suo aveva sperato di sbagliarsi.
-Magari è vero che sta vedendo la televisione! La rabbia era tanta che ha cercato di calmarsi visitando Londra in modo virtuale!- ma, appena pensata, quella spiegazione le era parsa tanto strana…quasi comica!
-Ebbene, vediamo!- questa era stata la risoluzione finale. Per tutto il pomeriggio l’aveva inseguito, chiedendo a ogni passante se avesse visto un ragazzo giapponese. E quando ciascuno rispondeva affermativamente e le indicava la strada da percorrere, lei sperava che si trattasse di un altro ragazzo giapponese, un turista magari, persino Conan! Ma non lui.
Lui non poteva averle mentito così spudoratamente; inoltre, se davvero avesse deciso di nasconderle la sua presenza nella città dove lei stessa si trovava, il motivo poteva essere soltanto uno: non voleva vederla. Ma perché? Perchè non aveva voglia di incontrarla? Non riusciva a pensare ad una risposta senza che l’immagine del liceale-detective avvinghiato ad un’altra donna, prosperosa e affascinante, le invadesse la mente. E seppur la ragione di quel suo comportamento non fosse una fidanzata, certa era l’equazione: Shinichi non ha voglia di vedermi, quindi non gli piaccio.
Non mi ama.
E Sonoko e Kazuha che le avevano consigliato di essere sincera e chiedergli cosa provava! Le avrebbe riso in faccia.
“Well, the boy has run into the phone booth just now.” (Il ragazzo è entrato nella cabina telefonica proprio adesso.) le aveva infine risposto una donna che teneva per mano un bimbo, alla domanda: “Have you seen a Japanese boy?” (Ha visto un ragazzo giapponese?)
Il momento della verità era arrivato!
Lo aveva chiamato. Lui era uscito dalla cabina telefonica. L’aveva guardata con sguardo seccato. L’aveva trattata con il solito atteggiamento spavaldo e disinvolto: “Spiegare cosa? E’ capitato che mi trovassi a Londra. Tutto qui.”
E non aveva aggiunto nient’altro.
Quella sicurezza in quell’occasione le era parsa insolenza, strafottenza, superficialità.
Non solo le aveva mentito. Non solo era scappato. Non solo aveva evitato con ogni mezzo un loro possibile incontro. Ma aveva cercato di ingannarla: “Sto vedendo un programma in tv riguardo Londra!!” Quella frase le risuonò nella mente! Stava forse giocando a nascondino?
“Perché non mi hai detto che eri qui?” i sentimenti ebbero la meglio sull’orgoglio e volle chiederglielo: gli dava l’ultima possibilità di mostrarle una motivazione valida per quell’atteggiamento assurdo, come se non fossero amici d’infanzia ma semplici conoscenti.
“I-io avevo dimenticato di dirti che sarei venuto a Londra, e così…mi sembrava poco carino rivelartelo ora…”
“Hai avuto un sacco di occasioni per dirmelo!!” quello che aveva pensato, aveva detto: niente finzioni, niente bugie.
Lei non era menzognera come lui.
“Beh…”
Lei non si comportava come lui.
“Che sciocca sono stata…” si disse, abbassando gli occhi.
Lei non considerava il loro rapporto così poco importante, come invece faceva lui.
Tutte le sue ricerche, tutte le sue cure, le attenzioni che gli rivolgeva! Per non ricevere in cambio nulla. Shinichi la trattava come una rompiscatole, come se fosse un’ammiratrice fastidiosa.
-Love is zero…- improvvisamente si era ricordata le parole di Minerva e non era più riuscita a trattenere le lacrime.
“Calmati, dai!” Ma troppe volte Shinichi le aveva rivolto quella frase e così l’aveva liquidata.
“Smettila di piangere!” Il caso del diplomatico.
“Ti invito al Beika Center Building, così la pianti di piangere.” L’incontro durante il festival scolastico.
“Mica piangerai ora? Dai, non allontanarti da me.” Lo Shiragami.*
“Calmarmi?”
Ogni volta Shinichi la liquidava in quel modo, senza aggiungere altro.
“Se davvero ti definisci un detective dovresti capire cosa racchiude il mio cuore!” gli aveva urlato contro, piangendo senza freno.
L’orgoglio in quel momento aveva avuto la meglio su qualsiasi sentimento e lei era fuggita via: non voleva più vederlo! Se lui la teneva così in poco conto e non aveva intenzione di incontrarla quando ne aveva la possibilità, perché avrebbe dovuto farlo lei? Non voleva avere più niente a che fare con lui!
Ma la sua fuga era stata arrestata dal detective, che l’aveva afferrata per un braccio. E in un momento, mentre lei continuava a gridare di lasciarla andare, facendo voltare tutti i passanti, le parole di Shinichi l’avevano assalita:
“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?* ”
Non aveva capito subito. Aveva impiegato un paio di secondi per assimilare ciò che Shinichi le aveva appena rivelato: lui…lui l’amava? Man mano che il significato di quella frase le appariva chiaro, la mano con cui Shinichi teneva saldamente il suo braccio diveniva calda, poi bollente, infine incandescente! Quel contatto bruciava, bruciava dannatamente…
Per il ragazzo era probabilmente lo stesso, poiché l’aveva lasciata andare, quasi gettando via, lontano da sé quel braccio che rimaneva a mezz’aria.
“E come potrebbe l’amore valere quanto lo zero? Non farmi ridere! Lo zero è il valore da cui ogni cosa trae origine! Se non ci fosse, nulla potrebbe mai nascere…nulla si porterebbe a termine! Dillo alla regina dei campi da tennis…diglielo!*”
Non ci poteva credere…tante volte aveva immaginato quel momento e aveva sperato di sentirsi dire quelle parole durante qualche appuntamento e lui gliele aveva pronunciate proprio quando meno se l’era aspettato! Shinichi non era affatto cambiato: Shinichi era, come sempre era stato, imprevedibile.
Ran aveva sempre pensato che, in una situazione del genere, avrebbe percepito i battiti cardiaci accelerare vertiginosamente e il volto avvampare: in quel momento, invece, ebbe l’impressione che il suo cuore si fosse fermato e sentì freddo, tanto freddo. Per questo la mano del ragazzo che le aveva appena confessato d’amarla le era parsa tanto calda.
Non avrebbe mai dimenticato l’espressione del suo volto quando, dopo averle rivelato i suoi sentimenti, la fissava serio: quel momento era durato pochi istanti, subito dopo infatti i suoi occhi si erano chiusi, schivi. Ma quei pochi istanti , indelebili, non avrebbero mai abbandonato la sua mente, ma avrebbero anzi costituito i suoi più cari ricordi: i capelli spettinati per la corsa, gli occhi azzurri – gli stessi occhi azzurri che, due anni prima, la scrutavano preoccupato in un vecchio edificio newyorkese abbandonato- capaci di abbagliarla, le labbra serrate, le guance arrossate per quanto aveva detto. Mai come allora Shinichi le era apparso più bello.
In quel momento, infatti, Ran poteva vederlo quale l’uomo che era diventato: non più il giovane che risolveva brillantemente dei casi difficili e la proteggeva da ogni pericolo, ma l’uomo che l’amava. Che l’amava. Ed anche lei lo amava. Lo amava profondamente.
Sebbene non fosse riuscita a rispondergli per il grande imbarazzo che presto si era sostituito alla sorpresa – all’inizio era stato suo padre Kogoro a parlargli per chiedergli aiuto riguardo l’indagine londinese, e soltanto dopo un lungo arco di tempo si era decisa a prendere in mano il telefonino e comunicarci personalmente!-, lei lo amava.
-Non c’è bisogno che tu sottoponga a deduzioni il mio cuore, Shinichi, perché ti appartiene- avrebbe tanto voluto replicare…!
Ed infatti, qualche giorno dopo, Sonoko avrebbe convenuto con lei:
“Ma sei pazza, non gli hai risposto? Kudo-kun potrebbe pensare che il tuo silenzio equivalga ad un rifiuto! Sbrigati, chiamalo: io sarò il vostro pubblico!* ” le avrebbe detto.
Ma, per il momento, non le importava: perché dover elaborare attentamente una frase, quando poteva ripetere ancora e ancora quella che Shinichi le aveva suggerito?
“Il cuore della donna che si ama…come potrebbe essere oggetto di deduzione?”
Inoltre, quando finalmente l’avrebbe rivisto, quando finalmente l’avrebbe incontrato…le parole sarebbero venute da sole. Shinichi era un tipo troppo imprevedibile perché fosse possibile prepararsi un discorso: l’avrebbe guardato negli occhi, in quegli splendidi e brillanti occhi azzurri, e gli avrebbe rivelato i suoi sentimenti. Sempre che Shinichi, abile investigatore, davvero non li avesse già compresi…gli avrebbe chiesto anche questo. E l’avrebbe fatto a Tokyo; era curioso, infatti, come il loro rapporto avesse raggiunto le vette più alte soltanto all’estero: Ran aveva capito d’amarlo a New York. Shinichi aveva dichiarato d’amarla a Londra. Coincidenza davvero singolare! Beh, la loro città natale doveva senza dubbio riconquistarsi il primato.
-Non mi sfuggirai, Shinichi. Tornerai a Tokyo, e a Tokyo ascolterai le mie parole.-
Gliel’avrebbe detto: si sarebbe dichiarata. Ma l’avrebbe fatto solamente di persona, niente telefono, niente sms, niente intermediari.
Soltanto lui e lei.
Soltanto Shinichi e Ran.
D’altronde, il ragazzo stesso poco tempo prima le aveva detto:
“Ci sono cose che non possono dirsi se non a parole. Non è vero, Ran?* ”

^***^ ^***^ ^***^

Precisazioni
*(…) Golden Apple
:Volume 35, file 1-4.
*(…) il cestino della merenda che qualcuno aveva nascosto e che invece lui aveva ritrovato: E’ l’unico episodio effettivamente raccontato da Gosho a cui faccio riferimento. Gli altri sono solo frutto della mia fantasia. Ran rivela quando detto sopra alla sua ex maestra nel volume 10 .
* (…) Tropical Land (…): Volume 1, file 1, episodio 1. L’inizio dell’inizio dell’inizio, in poche parole!
* Perché non chiedi a Shinichi cosa prova per te?”: Volume 28, file 11.
*“Non permettergli di sfuggirti! Lui deve essere sincero e dirti cosa pensa di te! I tiri a effetti non funzionano! La vittoria arriva con tiri diretti, nel mezzo!”: Volume 30, file 1.
* la professoressa Jodie gliel’aveva rivelato: Volume 34, file 1.
*Eppure a quell’sms Shinichi non aveva replicato: Shinichi ignora quale sia il vero significato delle X. Pensa voglia dire “Accidentaccio!”. Quest’equivoco è presente nel manga e nel file citati sopra.
*San Valentino e White Day: rispettivamente, manga 33, file 6, manga 69 file 9.
*(…) non per mezzo di un testo scritto, poi partiva senza aspettare il suo risveglio: rispettivamente manga 47, file 4 e manga 63, file 2.
*Il Cavaliere Nero: Volume26 file 4.
* (…) che li invitava a proprie spese in Inghilterra: I riferimenti agli avvenimenti di Londra, appartengono agli episodi 616-621 .
*(…) Shiragami: Il caso del diplomatico (volume 10), del festival scolastico (il cavaliere nero, volume 26) e dello Shiragami sono i tre casi in cui Shinichi è effettivamente riapparso incontrando Ran, esclusi ovviamente i film e gli oav, che Gosho non cura personalmente.
(…)deduzione?: Mi perdonerete se traduco in modo piuttosto libero, il fatto è che non potevo tirarmi indietro dal dare anche io la mia "interpretazione" italiana della loro dichiarazione...l'ho amata davvero tanto! La frase originale era: “You’re really troublesome! You’re a troublesome tough case, you know? With all these distracting emotions, even if I were Holmes, it’d impossibile to figure out! The heart of a woman whom one like…how can someone accurately deduce that!!”
*(…)Diglielo!: La traduzione è ancora libera. In originale è : “And as for love being zero? Don’t make me laugh! You can tell the queen of the grass court this, too! Zero is where everything starts! Nothing would ever be born if we didn’t depart from there! Nothing would ever be achieved…tell her that!”
* (…)io sarò il vostro pubblico!: Abbiate pieta, non ho voglia di riandarlo a cercare xD Ma è il file che si trova due volumi dopo la dichiarazione di Shin ;D
* Ci sono cose che non possono dirsi se non a parole, non è vero, Ran?”: l’ho citato già sopra, ma comunque: volume 47, file 4.

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Note dell’autrice: Lo so, lo so, dovrei andare avanti con Un Silenzio Controproducente! E’ solo che, visto l’episodio 621 e sentite quelle stupende musiche di sottofondo (*ççççççççççççççç*) non sono riuscita a trattenere le dita e…ecco qua la fic XA Ho provato ad analizzare, dall’inizio alla “fine” il rapporto tra Shinichi e Ran. All’inizio avevo pensato ad una semplice one-shot, poi però ho voluto integrare questa storia con l’analisi di Ran e poi anche quella di Shinichi. Il prossimo capitolo conterrà quindi la descrizione dal punto di vista del nostro detective preferito. Prima però è meglio che concluda il trentaduesimo capitolo della fic “primaria” , poiché rischia di diventare una What If, dal momento che oramai la dichiarazione tra Shin e Ran è già avvenuta xD Oltre che i riferimenti agli avvenimenti effettivamente accaduti nel manga/anime, ho voluto narrare in questa storia i miei sentimenti, tutti i pensieri che mi hanno attraversato la mente quando ho assistito, man mano, allo svilupparsi del loro rapporto. Questa dichiarazione di Shin è stata, per me, del tutto inaspettata e per questo enormemente gradita. Da brava fan della loro coppia, mi auguro che sarà possibile coronare il sogno che in questa fic è stato di Ran, in realtà è mio xD di assistere ad un loro bacio! Spero di non essere stata troppo melensa, ho scritto davvero quel che provavo. E con questo, la smetto di annoiarvi: grazie di cuore a tutti coloro che leggeranno o recensiranno! Come detto nelle precisazioni, l’episodiocorrispondente al manga è il 621…ed è reso benissimo! *ç* Gustatevelo! ;D Un grosso bacione e a presto

XXX Cavy XXX

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Capitolo 2
*** E a Tokyo, quando? -Shinichi- ***


E a Tokyo, quando?

“Ehy, Kudo!”
La voce del detective dell’Ovest gli giunse un po’ troppo acuta, dall’altra parte del corridoio.
Si girò nella sua direzione, notando uno strano sorriso ad illuminargli il volto: sudò freddo.
Quando gli occhi di Heiji Hattori erano attraversati da quella luce, la sua energia vitale si convogliava nella sua anima per prendere la forma di una qualche frase assai pericolosa, e dannosa.
L’ultima volta che aveva scorto il suo sguardo brillare in quel modo, l’aveva sfidato.
Ovviamente, lui aveva vinto. Ma non prima di sentirsi apostrofare più e più volte “Kudo” non solo in presenza di Ran e Kogoro, ma persino di fronte alla ragazza che si atteggiava a detective.*
“Non c’è qualcosa che dovresti dire al tuo migliore amico?” calcò sulle ultime parole, circondandogli il collo con un braccio.
Conan fissò gli occhi sul volto del ragazzo dalla pelle scura, a pochi centimetri di distanza dal suo, mentre sorrideva sornione.
Improvvisamente capì, avvampando.
“Ovviamente no…” replicò, cercando di mascherare il rossore che pian piano gli imporporava le guance. Alle sue spalle, sentì Kazuha e Ran bisbigliare qualcosa tra loro:
“Come invidio Conan…” riuscì solo a captare.*
Toyama lo invidiava? Ma era impazzita, forse?
Avrebbe pagato oro per non avere quell’impiccione a scuoterlo per le spalle – impresa piuttosto facile per un diciasettenne che sfoggia la sua forza fisica con un bambino di sette anni-, mentre continuava a cantilenare:
“Non mentire…”
“Ti ho detto che non c’è niente!” rispose, spazientito. Chi diavolo l’aveva informato?
“Andiamo…” insistette Heiji “Dichiarami tutto!” insinuò con sguardo malizioso prima di scoppiare a ridere di gusto.
Il piccolo investigatore rimase in silenzio, squadrandolo con gli occhi assottigliati; poi si liberò dalla sua presa, maledicendolo in silenzio mentre si avviava verso l’uscita di quell’appartamento.
“Torna qua, non ti arrabbiare! Voglio sapere i dettagli!” sentì Hattori richiamarlo, ma non si fermò affatto. Chi gliel’aveva detto?
Sbuffò, raggiungendo Takagi mentre metteva le manette all’assassina che lui e il suo ‘migliore amico’, come lui stesso si era definito, avevano appena incastrato.
-Mhm, che razza di domande mi pongo…- si riprese poi, osservando Kazuha e Ran parlare accuratamente di chissà quale argomento.
Ricordava bene come la sua amica d’infanzia avesse riferito a Sonoko quanto era avvenuto a Londra; probabilmente, non aveva esitato a riporre la sua fiducia anche in Kazuha; peccato che la ragazza del Kansai non avesse temuto di mettere al corrente della questione anche il suo compagno di classe.
Sbuffò per la seconda volta, portando entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni.
-Questa notizia sta facendo il giro del mondo!- pensò, richiamando alla mente il bentornato con cui la piccola Haibara, gli occhi assottigliati e le labbra piegate in una smorfia di apparente indifferenza , lo aveva accolto nuovamente in Giappone:
“E allora? Non hai seguito le mie istruzioni, bensì assunto l’antidoto necessario al viaggio di ritorno per farti vedere dalla ragazza dell’agenzia investigativa! Spero almeno che tu non ti sia lasciato trascinare dal momento e non le abbia confessato nulla!”
Sul momento era avvampato, pensando che la scienziata si stesse riferendo alla sua dichiarazione; ma quando, fissandola negli occhi, non vi aveva letto altro che fastidio per le ‘istruzioni’ trasgredite, aveva compreso che Ai non sapeva nulla. Probabilmente, la sua intenzione era accettarsi che lui non avesse spifferato dell’apotoxina o dell’organizzazione –come già gli aveva impedito di fare la sera prima della recita scolastica del Teitan- .
D’altronde, come avrebbe potuto saperlo? Non lo aveva detto al dottor Agasa.
Non lo aveva detto a nessuno.
“Permettimi di ricordarti…” aveva però proseguito lei, istigata dal suo silenzio “…che quel farmaco ti permette di riacquistare il corpo da adulto per massimo ventiquattro ore. Sai bene cosa succederebbe se le dicessi la verità, tu stesso me lo rivelasti tempo fa!”
Il piccolo detective allora era trasalito, arrossendo.
“Vorrebbe vederti sempre con maggiore frequenza, e tu finiresti per ferirla!”
No, non si stava riferendo all’apotoxina e all’organizzazione.
Ai Haibara aveva intuito qualcosa, ma lui non aveva replicato in alcun modo, lasciandola nel dubbio; fortunatamente era poi intervenuta Ayumi nella discussione, invitandoli a giocare a nascondino e permettendogli di troncare lì il discorso. Erano affari suoi, dopotutto. Perché Ai s’intrometteva?
Inoltre, non aveva potuto fare altrimenti, la situazione gli era sfuggita di mano.
La biondina aveva ragione: lui stesso mesi prima, il giorno dopo San Valentino, si era sfogato con lei e con il professor Agasa; aveva rivelato loro di aver visto Ran piangere per lui, e di aver mangiato il suo cioccolato per farla sentire meglio.
Certamente non si era dilungato in particolari: non aveva detto di averle scattato una foto con il cellulare ed avergliela poi inviata come prova di essere passato di lì; e non aveva neppure fatto riferimento al nomignolo con cui si era firmato, Detective Kid. Un attimo di folle sincerità lo aveva sorpreso debole, scosso dalle lacrime della donna di cui era innamorato: cosa sperava di fare con quella firma? Si augurava che Ran intuisse e mettesse fine al suo tormento? Se fosse stato lei a smascherarlo e metterlo con le spalle al muro, certo non sarebbe stata colpa sua: la giovane karateka avrebbe saputo la verità senza che lui avesse alcuna macchia ad infangargli la coscienza.
Che ragionamento sciocco! La mattina dopo, se ne era reso conto: non poteva e non doveva lasciarsi andare ai sentimentalismi, non lui.
Il suo compito era di proteggere Ran, di impedirle in ogni modo di trovarsi in pericolo, coinvolta nelle trame dell’Organizzazione, non certo di cercare inconsciamente di rivelarle la sua vera identità: sarebbe stata una scelta egoista.
Ma una piccola parte di lui l’aveva sempre saputo, anche in quel momento:
“Quel cioccolato a forma di pesca era davvero delizioso!”* le aveva detto al telefono, lasciandole chiaramente intendere di non essere al corrente del significato che aver mangiato il suo dolce assumeva.
Quello non era un regalo di San Valentino: Ran non si impegnava in alcun modo con Shinichi, e Shinichi non si sbilanciava per niente nel loro rapporto.
Lei, dal canto suo, non gli aveva risposto nessun: “Ma che dici? Era a forma di cuore!” era sopraggiunto attraverso il telefono, ma solo: “L’ho comprato in un negozio davvero speciale…”
Avevano così messo a tacere momentaneamente la questione che, da anni, avevano in sospeso.
Ran per timidezza, Shinichi per cosa?
Per consapevolezza: riconoscere il valore di quel dono di cioccolato significava riconoscere ed anzi manifestare chiaramente i suoi sentimenti per la ragazza. E dopo averlo fatto? Lei sarebbe stata indubbiamente felice di una sua rivelazione, ma poi? Poi avrebbe voluto vederlo, ogni giorno di più; ogni ora lontano da lui la domanda: “Mi ama davvero?” l’avrebbe assalita, ogni notte il pensiero di poterlo abbracciare non l’avrebbe fatta dormire. E avrebbe pianto.
Avrebbe bagnato il suo volto di ancora più lacrime di quante già non ne versasse in quella condizione. Haibara aveva ragione: Shinichi stesso le aveva detto:
“Non la voglio far soffrire. Se non sto attento a quello che le dico, continuerà a desiderare d’incontrarmi! Continuerà a sognare qualcuno che potrebbe farla aspettare in eterno, ma io non voglio più vederla piangere. Meglio che mi cancelli dal suo cuore, piuttosto.”*
Poi, imbarazzato per quella confessione tanto profonda fatta ad una ragazza che oramai era una sua amica, si era affrettato a sdrammatizzare: “Sono ridicolo e infantile, vero?”
Ma quella battuta si era accompagnata ad un sorriso amaro.
Quel proposito, per quanto difficile, gli era parso corretto: l’unico modo per comportarsi con correttezza nei confronti di Ran.
Eppure nella sua mente avevano preso forma progetti ben diversi durante il festival scolastico.*
“Conan-kun!” lo richiamò una voce dai suoi pensieri.
“Cosa c’è, Ran-neechan?” le sorrise, scorgendo al suo fianco anche l’amica.
“Kazuha ed Heiji vanno direttamente in aeroporto, altrimenti rischiano di perdere il volo. Salutiamoli e andiamo in macchina, prima che inizi a piovere.”
Quindi, senza aspettare una replica, gli porse la mano; lui la osservò per qualche secondo, poi le sorrise infantilmente.
“Certo, Ran-Neechan!” rispose, redendo salda quella stretta: ma non appena sentì il tocco caldo della ragazza, percepì il cuore battergli violentemente nel petto.
Quelle dita gli avevano sfiorato il collo, in occasione del festival scolastico.
Quelle mani si erano adagiate sulle sue spalle, mentre lui percepiva chiaramente i suoi fianchi mentre le stringeva la vita in un abbraccio.
-Quella pettegola di Sonoko…- pensò arrossendo, mentre alzava lo sguardo per scrutare il corpo dell’amica d’infanzia intenta a prendere commiato da Kazuha. Era stata quell’impicciona di ereditiera a dirgli che, secondo il copione, Il Cavaliere Nero* doveva abbracciare la Principessa di Cuori e poi baciarla, senza mai pronunciare una parola.
E lui l’aveva fatto: prima si era beato del suo profumo, mentre la teneva stretta a sé; sebbene si trovassero su un palcoscenico, di fronte ad un pubblico agitato e chiacchierone – gli era parso di sentire la voce di Kogoro gridare: “Cosa fa quello là??”- e lei credesse che sotto quella maschera scura si nascondesse Araide, l’aveva lasciata andare davvero controvoglia: quanto tempo il desiderio di stringerla così a sé l’aveva colto, quante volte vedendola triste per la sua assenza aveva desiderato cingerla e sussurrarle all’orecchio: “Sono qui, Ran. Sono sempre stato qui”, quante parole era stato costretto a deglutire, incapace di compiere qualsiasi azione!
Era un bambino, non poteva abbracciarla come avrebbe fatto un uomo: le sue mani non sarebbero arrivate nemmeno a stringerle i fianchi.
Era Conan, non poteva abbracciarla come avrebbe fatto Shinichi: quel gesto avrebbe avuto il sapore d’affetto fraterno, non d’amore.
Quando finalmente aveva potuto circondarle la vita con le braccia, portare i loro corpi a stretto contatto, non aveva esitato un attimo a farlo; la sua mente, udite le parole di Sonoko –“Hai capito tutto? Il Cavaliere Nero afferra la principessa e le stampa un lunghissimo bacio sulle labbra. Ma non pronuncia mai una parola, chiaro?”- aveva rimosso immediatamente ogni sospetto; certo gli erano suonate strane, poco credibili: lui stesso, nei vestiti di Conan, aveva letto e recitato il copione in sua compagnia, per aiutarla; ma il desiderio di poter finalmente liberare i suoi istinti, invece di soffocarli, fu più convincente di qualsiasi raziocinio.
Lei gli aveva sussurrato poche parole imbarazzate, muovendosi lievemente tra le sue braccia nel tentativo di liberarsi dalla stretta:
“Dottor Araide, questo non era nel copione…”
Gli aveva solleticato l’orecchio.
Presa coscienza della situazione, si era poi allontanata da lui, facendo leva sulle mani contro il suo petto: i battiti cardiaci erano notevolmente aumentati, quando aveva percepito il suo tocco delicato sull’addome.
“Sei forse tu, l’uomo che mio padre ha ferito con la spada e allontanato dalla nostra corte tanto tempo fa? Nessuno poteva mai immaginare che tu fossi un principe!”
Shinichi ricordava quelle parole.
“Ascolta: se non hai dimenticato la promessa che ci siamo fatti quando eravamo bambini, ti prego…”
Erano le battute che preparavano la scena al bacio.
“Posa le tue labbra sulle mie, e rivelami chi sei veramente!”*
Era accaduto tutto molto, troppo velocemente.
Per un istante aveva percepito una forza, un desiderio ardente spingerlo irrimediabilmente in direzione di quelle labbra chiare; l’istante dopo i suoi occhi si erano dilatati nell’udire un grido scomposto.
Eppure quell’emozione burrascosa, quell'istinto dirompente che gli aveva donato il coraggio di compiere un’azione simile non l’aveva abbandonato, tutt’altro; persisteva nella sua anima, nel suo cuore, e lo spingeva a desiderare di ricreare quel momento, assaporare quella bocca che da anni bramava.
“Dopo devo dirti una cosa importante, quindi non scappare come sempre!” le aveva sussurrato, solleticandole deliziosamente l'orecchioper ricambiarle il favore di pochi minuti prima.
Ma l’indagine l’aveva coinvolto, i meccanismi del cervello l’avevano trascinato nella dimensione dell’inchiesta, gli sguardi compiaciuti di Megure e Takagi l’avevano adulato tanto da privarlo di quel primordiale coraggio.
Il giorno seguente aveva finto di non ricordare nulla, addirittura beffandosi di lei- “E’ proprio vero che un bell’abito rende grazioso anche un vecchio carretto!”*- fin quando non era stato costretto a riprendere il discorso:
“Avevi detto di dovermi parlare di qualcosa d’importante, ricordi?”
“Ne sia sicura?” L’adrenalina che aveva velocemente percorso da capo a piedi il suo corpo sul palcoscenico aveva esaurito la sua corsa.
“Come no! Me lo hai detto durante la recita, di che si trattava?” Gli era parso di vedere qualcosa – una luce, forse?- nei suoi occhi…una speranza.
Chissà quanto sarebbe durata ancora l’apotoxina, chissà quanto avrebbe dovuto ancora aspettare prima di poter riassumere le sue vere sembianze. Non doveva sprecare un’occasione tanto importante.
“Ah, ho capito! Certo che me lo ricordo!” dopo un bel respiro, si era deciso a tornare sui suoi passi.
Ma di certo l’aula affollata del Teitan non era il luogo più adatto ad una dichiarazione.
“Vediamoci questa sera, alle otto, al Beika Center Building! E’ il ristorante con vista panoramica…lì ti spiegherò tutto!”
Ma l’orgoglio da detective gliel’aveva fatta di nuovo e il tempo era scaduto.
Inutile era stato ogni tentativo di confessarle i suoi sentimenti nei panni di Conan: Ran non aveva voluto sentire ragioni:
“Non fare quella faccia! Io ce l’ho con quel detective stakanovista che pianta tutto e corre non appena sente parlare di un omicidio! Beh, ti va un buon dessert, Conan?”
E l’ultima domanda aveva chiuso lì il discorso.
Dalla delusione trasparita chiaramente dai suoi occhi quella sera, dalla tristezza evidente sul suo volto nei giorni seguenti, alla decisione di non rivelarle nulla, il passo era stato davvero breve.
Shinichi credeva d’aver fatto la scelta giusta.
Anche quando sentiva Sonoko incitarla a chiedergli cosa provasse per lei*, anche quando udiva Kazuha suggerirle di metterlo spalle al muro con colorite metafore sportive – “I tiri a effetto non funzionano! La vittoria arriva con tiri diretti, nel mezzo!”*- la sua scelta rimaneva salda, stabile.
Ma quando vedeva Sonoko rispondere imbarazzata ai commenti di Makoto sui suoi vestiti leopardati*, quando scorgeva Kazuha domandarsi se Heiji fosse geloso di un mago*…quando vedeva la ricca ereditiera e il karateka chiacchierare, quando osservava i due ragazzi del Kansai litigare, allora la sua fermezza vacillava, rischiando di perdere l’equilibrio sotto i colpi dell’invidia. Della frustrazione. Del risentimento.
Non lo dava a vedere: certo tali sentimenti in Conan non avrebbero avuto ragione d’essere.
Non si sfogava: i suoi genitori erano già abbastanza impiccioni senza che lui andasse ad aggiungere legna al fuoco.
Non chiedeva consiglio: Agasa gli avrebbe risposto di portare pazienza, come quando non sapeva in che maniera reagire alla preoccupazione di Ran* - “Stai calmo! Lo sai che la fretta è una cattiva consigliera! Razionale, flemmatico e prudente! Non era così anche il tuo caro Holmes, Shinichi?”*- mentre Ai si sarebbe limitata ad un’alzata di spalle.
Non che non tenesse a tutti loro, tutt’altro: semplicemente, per quel genere di problemi, non gradiva l’interferenza di nessuno; l’orgoglio, coadiuvato in buona parte da timidezza, lo bloccavano in ogni possibile sfogo.
Cercava di soffocare quelle emozioni fastidiose, tentava di distrarsi, ripensando all’ultimo racconto giallo letto la sera prima: ma una sensazione di insaziabile fastidio non l’abbandonava mai, sin quando non tornava a casa e se ne stava da solo, per un po’, nella sua stanza, distogliendo l’attenzione da Sonoko e Makoto; o finchè non raggiungeva i Detective Boys e li aiutava in un’indagine, dimenticandosi di Heiji e Kazuha.
Eppure quando calava la notte e il russare di Kogoro gli impediva di chiudere occhio, non poteva fare a meno di tornare col pensiero a quei quattro ragazzi, che erano il simbolo di ciò che lui non poteva avere. Di ciò che gli era stato violentemente sottratto.
Heiji trascorreva il tempo ad apostrofare Kazuha come un’allieva e prenderla in giro per le gambe cicciotte, Kyogoku si animava suggerendo gonne più lunghe e maglie meno scollate a Sonoko: lui avrebbe tanto voluto prendere in giro Ran per l’atteggiamento da maschiaccio, fare il tifo per lei durante le gare di karate, sentire gridare il suo nome da lei mentre giocava un’importante partita di calcio.
E non poteva.
Kazuha poteva telefonare ad Heiji e chiedergli di correre in suo aiuto perché c’era stato un omicidio, Sonoko poteva contare su Makoto, che l’avrebbe difesa da una banda di criminali assassini*; e Ran?
Ran poteva telefonare a Shinichi e ricevere, per tutta risposta, la voce registrata e meccanica della segreteria telefonica.
Non era affatto giusto.
Allora gli tornavano alla mente i sogni, le aspettative di pochi mesi prima: quando era un liceale e frequentava la scuola, quando aveva diciassette anni e usciva con Ran.
Ricordava con un sorriso divertito che gli increspava le labbra, immaginarsi la ragazza confessargli il suo amore – era successo al Tropical Land: lei l’aveva preso per un braccio trascinandolo verso il treno dei misteri, distraendolo dallo spettacolo di due fidanzati che si scambiavano un bacio; e lui aveva permesso alla sua mente di vagare e figurarsi Ran, vestita d’un bellissimo abito rosa, gettargli le braccia al collo: “Shinichi, anche io ti amo!” *- , ricordava il cuore perdere un battito quando lei, arrabbiata per il fallimento del padre, frantumava un muro di roccia con un solo pugno.
E si perdeva nei ricordi, prendendo sonno.
Quando, la mattina dopo, si svegliava, a fargli compagnia solo un senso indefinito d’inquietudine e amarezza. Guardandosi allo specchio, mentre si lavava i denti, scrutava la sua immagine riflessa: un bambino. Un bambino di sette anni.
Una volta gli era capitato di sorridere al suo riflesso, prendendosi gioco di se stesso: se quando aveva realmente sette anni qualcuno gli avesse detto che si sarebbe innamorato di Ran, sarebbe prorotto in una fragorosa risata. Avere un debole per una bambina che non si decide a chiamarlo per cognome?*
Eppure già quando erano bambini le voleva molto bene.
A questa considerazione aveva scosso la testa, riprendendosi ad alta voce: “Ma a cosa sto pensando?”
Certi sentimentalismi non erano da lui.
L’occasione di una vera distrazione, qualcosa che avrebbe potuto, dopo tanto tempo, renderlo davvero felice era comparsa inaspettata, come un fulmine a ciel sereno: la signora Diana aveva invitato lui, Ran e Kogoro a Londra, ed Haibara era riuscita a risolvere il problema del passaporto concedendogli due pasticche d’aptx.
Cosa avrebbe potuto desiderare di meglio?
“Prima andrò a Baker Street, poi a Hyde Park, dove Sherlock Holmes e Watson passeggiavano insieme! Dopo di che andrò al British Museum, che Holmes frequentava per svolgere ricerche!” come fosse un fiume in piena: “Se avrò tempo andrò a Dartmoor, dov’era ambientato Il Mastino Dei Baskerville, e anche alle cascate di Reichenbach, dove Holmes precipitò insieme al professor Moriarty!”*
Ran gli aveva telefonato più volte, informandolo del loro viaggio e chiedendogli quali souvenir desiderasse ricevere…e rischiando di scoprire che dall’altro capo del cellulare di Shinichi, fosse Conan a parlare.
L’aveva salutata frettolosamente, e lei si era adirata. Da lì in poi, aveva commesso uno sbaglio dopo l’altro: aveva risposto al cellulare di Shinichi senza l’ausilio del modulatore di voce, si era comportato con tanta leggerezza da lasciarsi sfuggire la sua posizione a Londra, aveva permesso a Ran di capire che si trovava lì, non era riuscito a sfuggirle, si era rinchiuso in una cabina telefonica da lei presidiata.
Infine, non aveva visto alternative: pur di non farle scoprire la sua vera identità, si era affrettato ad ingoiare la seconda pillola di apotoxina, riacquistando il corpo di un ragazzo.
Aveva temuto la sua rabbia, udendo l’ira trasparire dalle sue parole:
“Oramai non puoi più scappare. Spiegami la situazione…SHINICHI!”.
Aveva odiato le sue lacrime: tutta la fatica, tutti gli sforzi, tutti i sentimenti repressi…tutto era stato vano.
Quando provava a dimostrarle i suoi sentimenti la feriva; quando cercava di tenerle nascoste le sue emozioni la feriva allo stesso modo.
Non era bravo in quel campo: e mai più di allora gli pesò questa mancanza.
“L-lei aveva ragione! L’amore vale zero! Per quanto se ne accumuli, alla fine si finisce sempre sconfitti!”
Non sapeva più cosa fare. Facendo appello all’ultimo briciolo di sangue freddo rimastogli, aveva cercato di calmarla:
“Ma che stai dicendo?”
Di indirizzare il discorso su qualcos’altro:
“Hai conosciuto Minerva Glass? C’era un bambino con lei?”
Non era servito: la giovane continuava a trattenere le lacrime, scossa da mille fremiti.
“Ehi, calmati!” L’ultimo tentativo.
“Calmarmi? Se davvero ti definisci un detective dovresti capire cosa racchiude il mio cuore!”* gli aveva gridato, sollevando il volto per puntargli addosso uno sguardo addolorato. Poi aveva strizzato gli occhi, nel vano tentativo di contenere le lacrime.
“IDIOTA!!”
E, rivolgendogli le spalle, era corsa via.
E, per la prima volta, in lui aveva avuto la meglio l’istinto: senza ragionare neppure per un istante l’aveva rincorsa, gridandole di fermarsi, di aspettarlo.
L’impusilvità, nascosta in un angolo remoto del suo animo, era esplosa in tutta la sua forza per soggiogare temporaneamente la lucidità: infatti se avesse continuato ad agire secondo ragione, probabilmente avrebbe inventato una scusa credibile, e non avrebbe tradito il proposito che mesi prima aveva rivelato ad Haibara.
“Non la voglio far soffrire. Se non sto attento a quello che le dico, continuerà a desiderare d’incontrarmi! Continuerà a sognare qualcuno che potrebbe farla aspettare in eterno, ma io non voglio più vederla piangere. Meglio che mi cancelli dal suo cuore, piuttosto.”
Quelle parole erano ben distanti dalla sua testa, nell’oblio totale della sua memoria.
Ciò che gli interessava era raggiungere Ran, nient’altro.
Aumentando la velocità era riuscito, seppur con fatica, ad afferrarle un braccio per costringerla a fermarsi: “No! Lasciami andare!” aveva reagito, senza neppure degnarlo di uno sguardo.
“Continuerà a sognare qualcuno che potrebbe farla aspettare in eterno, ma io non voglio più vederla piangere”
Le lacrime bagnavano il suo volto, contratto in una smorfia di pura delusione:
“Lasciami andare, Shinichi!”
In quel momento al ragazzo si strinse il cuore.
Ran stava soffrendo enormemente, di nuovo a causa sua: pensava che lui non la volesse tra i piedi, che la reputasse una seccatrice.
Forse Ran stava iniziando a desiderare di poterlo dimenticare.
“Meglio che mi cancelli dal suo cuore, piuttosto.”
E lui non poteva permetterlo.
“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?* ”
Solo dopo essersi specchiato nei suoi occhi carichi di sorpresa aveva realizzato le sue stesse parole.
Aveva deglutito, in imbarazzo, e poi lasciato andare il suo braccio come per dimostrarle che, in fin dei conti, non gli importava più di tanto che lei sapesse: il suo corpo era tornato nuovamente quello di un detective razionale e distaccato. Ma la sua mente no:
“E come potrebbe l’amore valere quanto lo zero? Non farmi ridere! Lo zero è il valore da cui ogni cosa trae origine! Se non ci fosse, nulla potrebbe mai nascere…nulla si porterebbe a termine! Dillo alla regina dei campi da tennis…diglielo!*” aveva continuato, imperterrito, con gli occhi però chiusi perché Ran non potesse cogliervi la lotta che in quel frangente si stava consumando in lui.
La ragione lo accusava d’aver sbagliato, il sentimento di non aver mai fatto scelta più saggia.
Chi ascoltare?
Shinichi Kudo era un detective, dopotutto.
Il raziocinio era tornato a soffocare l’impulso e lui, rosso in volto, non aveva aggiunto altro.
Quella svista aveva avuto luogo a Londra, come se fosse una dimensione alternativa che con Tokyo non aveva niente a che fare; una volta fatto rientro nella loro città natale tutto sarebbe tornato come prima, senza alcun problema.
“Allaccia la cintura di sicurezza, Conan-kun” le parole di Ran lo fecero sussultare, ma ebbero l’effetto di catapultarlo nuovamente nel presente.
Il bambino annuì, seguendo le istruzioni, mentre la ragazza si voltava per donargli un sorriso sincero.
“Vorrebbe vederti sempre con maggiore frequenza, e tu finiresti per ferirla!”
Le parole di Haibara si fecero di nuovo prepotentemente largo nella sua testa.
Stavolta però, ricordò anche quale era stata la sua muta risposta:
-Non ho potuto fare altrimenti, Ran non dava segno di volerla finire…-
Sorrise.
Quel giorno, a Londra, non era stato un bravo detective: aveva ripetutamente sbagliato.
Forse sarebbe stato sufficiente uscire dalla cabina telefonica nei panni di Conan, lamentandosi di non voler tornare in albergo ma di continuare a visitare la città col professore; in effetti, lei aveva chiesto ai passanti di un giapponese, non di un ragazzo di diciassette anni: gli avrebbe creduto e non si sarebbe arrabbiata con Shinichi. Forse tutti quegli errori –la conversazione senza modulatore, il Big Ben, la rinuncia al piano- lui li aveva voluti; era incorso volontariamente in quell’assurda situazione, si era messo nei guai da solo.
Forse aveva voluto trovare un pretesto, facendo appello alla sua componente arazionale, per dirle quello che provava.
Tic tic tic.
Un leggero suono attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi: Hattori lo fissava dal vetro dell’automobile, picchiettando l'indice sulla superficie pulita.
Gli fece segno di abbassare il finestrino.
Conan lanciò allora uno sguardo a Ran e Kogoro, seduti nei posti anteriori ad ascoltare gli ultimi saluti di Kazuha.
Sbuffando, tirò giù il finestrino:
“Che altro c’è?!” sbottò, gli occhi ridotti a due fessure sottili.
Il detective del Kansai scosse la testa.
“Nulla” rispose, placido “Volevo salutarti.”
“Ciao.” Disse secco, facendo per sollevare il finestrino.
“Spero che sia andata bene.” Aggiunse però Hattori, repentino, quando il vetro li divideva per metà.
“Prego?”
“Spero che…sia andata bene. Nel senso, mi auguro che tutto si sia svolto come volevi.”
Gli sorrise, ma per tutta risposta ottenne uno sguardo interrogativo.
Ridacchiò, grattandosi la guancia con un dito: “Di averle detto tutto in modo carino, ecco…non so come avessi deciso di farlo…”
Conan lanciò uno sguardo rapido alla ragazza, ancora intenta a parlare con l’amica. Quindi tornò a puntare gli occhi sulla sagoma del ragazzo scuro.
“Non…avevo deciso…” gli rivelò, arrossendo un po’ “E’ capitato…”
“Beh…se avrai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. Anche se, di questo genere di argomenti, non mi intendo molto.”
“Lo so, signorino Kazuha è una mia allieva!” lo prese in giro, alzando un sopracciglio.
Heiji fece per replicare, indispettito, ma l'interpellata si affiancò a lui, agitando la mano in segno di saluto: la privacy era terminata.
Terminando di sollevare il finestrino, Conan notò lo sguardo seccato di Hattori, colpito nel vivo.
E sorrise soddisfatto mentre Kogoro accendeva il motore.
"Venite a trovarci presto a Osaka!" fu l'ultimo grido che sentì prima che il suo Oji-san cominciasse a lamentarsi: “Sto morendo di fame!”
“Oh, abbi pazienza! Appena arriviamo a casa vi preparerò del buon curry! A te piace il curry, vero, Conan?”
Ran era sorridente.
Da quando erano tornati da Londra, gli appariva radiosa, solare. Possibile che…?
"Certo!" annuì.
-Vorrà dire che dovrò sbrigarmi ad incastrare i membri dell’organizzazione e riprendermi la mia vecchia vita!- decretò, poggiando il mento sulla mano e fissando lo sguardo fuori dalla vettura: le case scorrevano veloci, mescolandosi al buio della notte.
Forse era il caso di cadere in quella svista anche a Tokyo, nella loro dimensione; perchè quella dichiarazione non avesse valenza onirica, ma reale.
Perchè Ran sapesse che Shinichi era innamorato di lei.

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Precisazioni:
*…ragazza-detective: Sera Masumi, file 778-780, volume 74 (Est vs West).
*Heiji che chiede a Conan informazioni su Londra: Scena che ho trovato spassosissima: file 786, volume 75.
*Le parole di Ai: volume 72. Non ho adottato la traduzione dell’edizione italiana, bensì quella inglese che mi sembra più letterale al giapponese.
* San Valentino e seguenti: Tutto l’episodio a cui faccio riferimento è nel volume 33.
* Anche qui, volume 33.
*Recital scolastico del Cavaliere Nero e della Principessa di Cuori: Volume 26.
*Come per il primo capitolo, faccio ampio sfoggio del mio nick XD Scusate questo vezzo!
*Recita: Le battute riportate sono quelle dell’anime tradotto dalla Mediaset in italiano, non del manga. Dovrebbe essere l’episodio 193. Ho voluto citare queste frasi perché dai tempi in cui avevo visto per la prima volta l’episodio le avevo adorate, sentendole pronunciare dai doppiatori italiani. Fu in quell’occasione che scelsi il mio nickname: ho voluto ripercorrere in queste righe, un po’ anche le mie emozioni.
*Battutona (!) di Shinichi: Questa citazione invece è del manga. Non riporto quella dell’anime perché era stato tradotto in modo errato, a mio giudizio: “Se ti riferisci al costume di scena ti stava a pennello, anche se una scollatura un po’ più profonda non avrebbe guastato!”
*Heiji geloso di un mago: Volume 47, file 8,9 10.
*Suggerimento di Agasa che cita Holmes: volume 2, file 6.
*Sonoko che dice a Ran di chiedere i sentimenti che Shinichi prova per lei: volume 28, file 11.
* Makoto che difende Sonoko: volume52, file9-10.
*Volume 33
*Shinichi chiede a Ran di chiamarlo per cognome quando ancora erano dei bambini: volume 55, file 6-7 *Ricordi di Shinichi: volume 1.
*Conan a Londra: Volume 71.
*Se davvero ti definisci un detective…: La traduzione italiana nel manga 72 è un po’ diversa. Tuttavia avevo tradotto così la versione inglese nel primo capitolo di questa fic e ho voluto mantenermi coerente.
*Il cuore della donna…: Vedi sopra.

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Note dell’autrice: Ta-dan! Rieccomi qui XD Non posso assolutamente cominciare un’altra fic prima di portare a termine questa. Ho approfittato delle vacanze di Pasqua per terminare questo capitolo – spero di poter postare presto l’ultimo aggiornamento, una sorta di epilogo.
Descrivere il punto di vista di Shinichi è stato difficile, devo ammettere! Mentre con Ran, tuttavia, riesco a calarmi bene nella parte, con lui il compito è più delicato: innanzitutto è un ragazzo e non ho idea di come ragionino in questo senso i ragazzi XD In secundis, non è un ragazzo qualunque: il suo carattere è composto da mille sfaccettature, ho cercato di cogliere quelle che più gradisco nel tentativo comunque non di renderlo OOC. Ho voluto evidenziare come si finga virile, ma in realtà sia molto romantico (molti suoi gesti superano di gran lunga i concetti di galanteria tradizionale, ma decidere di non farsi avanti con la ragazza che si ama per non metterla in pericolo non è forse un gesto romantico?). Spero di non averlo reso troppo smielato, sarebbe un Shinichiomicidio XD.
Come ho scritto nelle note, le parti della dichiarazione non sono riprese dal manga 72 pubblicato in Italia ; mi sono rifatta alla versione inglese, trovata online, e da lì ho tradotto in modo piuttosto libero le parole di Ran e Shinichi. Questo perché il primo capitolo di questa fic risale a prima che la dichiarazione arrivasse in Italia XD ed io ho voluto renderle omaggio portando in un ‘bell’italiano’ il discorso. Poi, per coerenza, ho deciso di lasciare anche in questo secondo capitolo la stessa traduzione; inoltre, in questo modo ho l’impressione di partecipare in qualche modo anche io al loro rapporto ^^ una specie di empatia…vabbeh, è tardi e sono stanca, meglio che la smetta di dire sciocchezze XD
L’esordio di questo capitolo trae origine da un fatto effettivamente descritto da Gosho; ma lo sviluppo del colloquio tra Heiji e Conan è una mia modifica, come ho voluto immaginare siano andate le cose oltre il finale “Non devi dire niente al tuo migliore amico?” disegnato nell’ultima vignetta del file.
Per quanto riguardo lo stile, invece…ho voluto provare qualcosa di un tantino diverso da quello de Un Silenzio Controproducente: ultimamente ho letto Joyce e Woolf, si vede?XD Spero di non aver esagerato con la prosa e non aver reso tutto una sorta di enorme –ed incomprensibile!- flusso di coscienza (‘Stream of counciousness!!” direbbe la mia insegnante di inglese XD).
Ora, scusandomi per l’atroce ritardo (ma oramai ci sarete abituati! XD) rispondo ai recensori del primo capitolo:

_Rob_ Mia carissima! Ciao :D
Come sempre, sei stata gentilissima. Spero che tu possa dire altrettanto anche per la caratterizzazione di Shin, sono un po’ dubbiosa…mi sono presa la libertà di interpretare la sua dichiarazione alla luce di mie convinzioni, spero non opinabili XD
Un grande bacione e a presto ;)

SaraKudo: Ciao!!
Innanzittutto, mi scuso per il ritardo. In secondo luogo, ti ringrazio molto.
Anche io sono una grandissima fan ShinRan –le frasi del recital scolastico scritte in questo capitolo, non ho neppure avuto bisogno di andarle a rivedere. Le ricordavo a memoria per quante volte ho visto quell’episodio! XD- e devo ammettere che speravo da anni in uno sviluppo serio del loro rapporto. Tuttavia quella dichiarazione era totalmente inaspettata: è stata una sorpresa (naturalmente molto gradita!!) leggerla. Spero che anche la parte di Shin ti sia piaciuta. Descrivere Ran per me è stato un po’ più facile, sono riuscita bene a mettermi nei suoi panni. Con lui invece…in questa storia prevale l’idea che Shin si sia dichiarato perché in fin dei conti lo desiderava davvero. Non so se è la motivazione esatta, spero non risulti melensa! Ancora grazie e un bacio

Honeymoon: Ciao! ^^
Ti ringrazio infinitamente e mi scuso per il colossale ritardo! Cercherò di postare l’ultimo capitolo con maggiore celerità.
Anche io ho adorato quel momento, inoltre non me l’aspettavo affatto! Quindi è stata una doppia sorpresa. :D Spero che ti sia piaciuta anche la parte col nostro caro investigatore.
Bye bye

Miwa Ciao!
Ricevere tanti complimenti (grazie!!!) da qualcuno che non è del pairing ShinRan è un gran piacere :D Significa che non sei in qualche modo influenzata nel tuo giudizio, ma capace di rimanere imparziale. Inoltre, sono contenta di essere riuscita a trasmetterti qualcosa a proposito di questa coppia. Spero d’essere stata capace di fare altrettanto anche con questo aggiornamento.
Un bacio

@SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate: Ciao!! :D
E’ un piacere sapere che hai letto anche questa storia! Nel frattempo hai letto manga e visto gli episodi relativi alla dichiarazione?? Sono belli, vero? *-* Il pezzo iniziale con Hattori, descritto all’inizio di questo capitolo, fa riferimento ad alcuni spoiler. Spero di non averti rovinato di nuovo la sorpresa!!
Inoltre, spero che anche questo aggiornamento ti sia piaciuto!
Un enorme bacio

Shine_ Hey!
Oramai ottobre è passato da un pezzo, sono stata ben lenta :(…hai letto il 72 in italiano? Bello davvero *_____________*
Nel frattempo Un Silenzio Controproducente è finito :P Ti ringrazio molto per i complimenti, mi fa piacere sapere che ti piacesse (spero siano stati di tuo gradimento anche gli ultimi capitoli!). Anche io trovo Shin molto tenero in alcune sue manifestazioni XD ed onestamente, proprio per questo, avevo trovato troppo strano che di fronte ad una Ran in lacrime avesse continuato a preoccuparsi del caso e di Minerva. Ho deciso allora di leggere questa sua fissa come un modo per evitare lo ‘scontro’ con Ran, spero possa essere un’interpretazione fattibile: so che Shin è un maniaco dei misteri, ma sino a questo punto…! Mi auguro poi di non essere stata OOC. Descrivere il suo punto di vista è stato piuttosto difficile. Ciao! :D

Yume88: Hey!!
Hai letto anche questa? *-* e mi inserisci tra gli autori preferiti?? Ma è un onoreeeee *________* L’avevo detto e lo ripeto: tu sei davvero troppo gentile!!!
Leggere il tuo commento mi ha dato la spinta finale per postare questa parte; esclusi gli ultimi ritocchi, era pronta da un po’ ma temevo a pubblicarla perché temo di essere andato OOC…speriamo di no! Un bacione

Bene.
Prometto che cercherò di postare l’ultimo capitolo entro la prossima settimana –dovrò ricominciare a studiare e non credo avrò tanto tanto tempo nei prossimi due mesi per dedicarmi alla scrittura! ;__; -
Grazie ancora di cuore per l’affetto, i complimenti…e soprattutto, la pazienza.
All’ultimo capitolo,

Cavy-Chan

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Capitolo 3
*** E a Tokyo, quando? -Shinichi e Ran- ***


E a Tokyo, quando? - Epilogo

Shinichi e Ran

Il cielo limpido si tingeva di rosso, mentre i raggi del sole iniziavano a divenire sempre più flebili, rispecchiandosi sull’asfalto della strada: era il tramonto.
La ragazza, cercando di nascondere il tremore, si trovava in piedi contro la figura slanciata del ragazzo, stagliata sullo sfondo del sole che tramontava oltre l’orizzonte.
Tuttavia, non erano soli: pochi metri dietro Ran, c’era Sonoko, i calzoncini jeans a fasciarle metà coscia e il leggero top di cotone azzurroa testimoniare che le due ragazze stavano facendo allora rientro dal mare.
Pochi giorni prima, infatti, era stata recapitata all’agenzia investigativa una strana lettera: un invito ad una specie di convegno per detective, nei pressi di Yokohama, nella prefettura di Kanagawa.* Il tono beffardo del mittente aveva indotto Kogoro ad una sonora risata:
“Ahah! Ma con chi crede di avere a che fare questo qui? Io sono il grande Detective Dormiente* Kogoro Mouri, non temo il confronto con altri! Saranno sicuramente dei principianti paragonati a me! Ahah!!”
Quelle lodi rivolte a se stesso si erano prolungate per un altro paio di minuti, mentre Ran avvampava, portandosi un dito tra il colletto della camicia ed il collo nel tentativo di prendere aria. Si sentiva soffocare:
-Se davvero sono stati invitati i detective più famosi, allora…allora anche…-

“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?”

Quelle parole le erano risuonate prepotenti nelle orecchie: forse quello sarebbe stato il momento giusto per rispondergli…certo, non era a Tokyo come si era prefissata, ma…
“Ma è grandioso! Capita nel week-end!” si era però intromessa Sonoko, che aveva accompagnato la sua amica a casa da scuola ed era salita in agenzia.
“Facciamo così, Ran: noi accompagniamo tuo padre per un pezzo, poi facciamo una piccola deviazione e andiamo in spiaggia! Dicono che il sole che batte su quella sabbia abbronzi tantissimo! Che ne pensi, eh?” aveva proposto, quasi urlando, con le mani all’altezza del petto.
“Ma…veramente…” gli occhi di Ran si erano ridotti a due minuscoli puntini scuri: i suoi piani così sarebbero andati in fumo…
“Ehm, io…” si schiarì la voce, cercando di assumere un certo contegno. Peccato che le sue guance color porpora tradissero i suoi veri propositi:
“Io preferirei stare al fianco di papà…voglio dire, dovesse servirgli una mano…dovesse succedergli qualcosa…”
“Oh, come sei noiosa, Ran!” aveva replicato Sonoko, ma con uno strano sorrisetto ad illuminarle il viso “E allora facciamo così: alla sera, dal ritorno dal mare, invece di tornare a casa raggiungiamo la villa stabilita per quest’incontro di fissati per i gialli, va bene? Tanto nella lettera c’è scritto che questa specie di convegno durerà tre giorni! Noi ci perderemo soltanto il primo pomeriggio!”
La karateka però non appariva convinta.
“Dai, dammi retta!” aveva insistito “Ti perderai soltanto le presentazioni! E poi…in questo modo, arriverai bella abbronzata per rivedere il tuo principe azzurro, non trovi?” aveva terminato il discorso ammiccando, dimostrandole così di aver perfettamente capito quali fossero i pensieri che affollavano la sua mente.
Con un sospiro, Ran aveva ceduto: e così, in quel momento, le due ragazze si trovavano proprio sull’autostrada di Tokyo, sulla via del ritorno. La giornata era stata nuvolosa, soltanto allora il cielo stava cominciando a rischiararsi.
“Abbronzarsi, eh?” l’aveva rimbeccata Ran in spiaggia.
“Suvvia, suvvia! Una donna che si rispetti deve sempre farsi attendere, non lo sai?” aveva risposto, facendo vagare lo sguardo tra gli uomini in costume alla ricerca di qualcuno che potesse dar loro uno strappo in automobile; non aveva la benchè minima voglia di prendere l’autobus.
“Questo vale anche per il tuo Shin-chan…lui non fa mica eccezione!” aveva terminato.
“Che faccia tosta hai!” gridò la giovane ereditaria, rivolta al ragazzo in piedi di fronte a loro.
Non c’era nessuno nel raggio di chilometri. Nessuno li avrebbe…disturbati.
Il giovane, per tutta risposta, alzò le spalle, rimanendo in silenzio. Lui e Ran si fissarono per qualche istante, ma mentre lui era deciso a restare immobile, lei era pronta a scattare.
“Non ti vergogni neanche un po’?” insistette la biondina, guardandolo in cagnesco.
Ran, voltatasi in direzione della sua amica, tornò a scrutare lui, vestito d’una camicia nera e di un paio di jeans scuri. Mentre lo sguardo indugiava sulle sue ciabatte infradito, sentì la sua voce articolare:
“E di cosa? Voi, piuttosto, non avreste dovuto intromettervi.” Alzò lo sguardo per puntarlo sulle sue labbra, piegate in una smorfia di fastidio. “Siete state bimbe cattive. Ed ora, ne pagherete le conseguenze.”
Sonoko si strinse immediatamente alle spalle di Ran, tremante: “Che…che facciamo ora?” le domandò, ricevendo per risposta:
“Sta’ indietro…”
-Con quelle ciabatte…- riflettè, tornando per un istante a fissargli i piedi -…sicuramente non sarà agile nei movimenti. Se provo con un Mikazuki geri…*-
Il giovane biondo iniziò a muovere dei passi verso di loro, che per tutta risposta indietreggiarono.
Ran sorrise amaramente: -Ma perché? Perché siamo così sfortunate? Tutte le volte che andiamo al mare ci imbattiamo in qualche pazzo omicida!-
Aveva ragione: così era capitato per molte volte.* E anche in quell’occasione, non c’era stata alcuna differenza! Per puro caso avevano assistito a quello che, a prima vista, era parso un incidente: una ragazza era annegata mentre faceva sub. Ma, naturalmente, in realtà si era trattato di omicidio; e l’assassino aveva ben chiaro che le due giovani avrebbero capito, prima o poi, la verità: lo avevano visto chiaramente armeggiare con la bombola d’ossigeno che poi la vittima aveva utilizzato per nuotare nelle profondità marine! Dopotutto erano entrate in quella stanza senza bussare!*
Per questa ragione si era offerto di dare loro un passaggio in macchina sino alla villa, salvo poi fermarsi nel luogo più deserto dell’autostrada di Tokyo per farle scendere dalla vettura con la scusa d’aver bucato ed eliminarle.
-Se fossimo venute via prima, avremmo incontrato qualcuno dei detective diretti al convegno, non siamo poi così distanti dal luogo dell’incontro! Maledizione…- imprecò Ran, lanciando uno sguardo al piccolo ponte che sovrastava le due corsie con i sensi di marcia opposti: era deserto.
“Chi delle due vuole andarsene per prima?” cantilenò, minacciandole con un pugnale estratto da chissà dove.
“R-Ran…” balbettò Sonoko, stringendosi con maggiore forza alle sue spalle. L’interpellata si liberò velocemente delle infradito –la considerazione fatta per l’uomo valeva anche per lei, che, inoltre, era abituata a combattere a piedi nudi- mettendosi in posizione d’attacco.
“Suppongo tu…” ghignò lui, facendo per correre nella sua direzione.
“INDIETRO, SONOKO!” ripeté lei, dandole una leggera spinta per allontanarla dalla lotta.
“RAN!” gridò, spaventata, cadendo seduta per terra: anche la giovane karateka stava correndo in direzione del ragazzo, desiderando tentare di disarmarlo. Ma proprio quando i due combattenti si trovavano a pochi centimetri di distanza e l’assassino aveva alzato il coltello oltre la testa per darsi lo slancio necessario ad affondare la lama, un oggetto velocissimo lo colpì al polso, facendogli perdere la presa.
“Acc…!” Imprecò quello, portando immediatamente la mano libera sulla pelle dolorante.
Ran ne approfittò: pose le mani di fronte a sé per difendersi da eventuali attacchi, piegò le ginocchia e portò tutto il peso su una gamba sola; alzò il piede destro per colpire l’aggressore, quando un secondo oggetto lo colpì, rapido quanto il primo, alla testa.
L’uomo cadde rovinosamente a terra, privo di conoscenza.
“Uh?” Ancora in posizione, con una gamba leggermente sollevata da terra, la ragazza guardò quel corpo sporco di sabbia disteso a terra.
Poi si girò, per scoprire che i due misteriosi oggetti erano due caschi blu, allora poco distanti da Sonoko.
“Sonoko!” si ricordò improvvisamente la ragazza, correndo ed inginocchiandosi alla sua altezza.
“Perdonami, ti ho fatto male?” le chiese, scuotendola lievemente per le spalle “Stai bene?”
“Ah..ah…” cercò di dirle lei, senza riuscire ad articolare parole di senso compiuto. Quindi, indicò con l’indice oltre le sue spalle.
Ran batté le palpebre un paio di volte, prima di capire:
-Ma certo!-
Chi mai era stato ad aiutarle?
Si voltò immediatamente nella direzione additata dall’ereditiera, focalizzando l’attenzione sul ponte, dove si trovava una moto nera come la notte; tuttavia, Ran concentrò lo sguardo sul ragazzo seduto su di essa.
La scura tuta da motocicletta gli fasciava il corpo, ma era abbastanza aderente da permettere di apprezzare i muscoli del giovane, appoggiato con i gomiti ad una borsa posta tra le sue gambe; i capelli neri erano mossi dal vento e quegli splendidi occhi azzurri, capaci di riflettere la flebile luce del sole, tramontato quasi del tutto, erano fissi su di lei.
Le labbra erano piegate in un sorriso sicuro, fiero.
“S-Shinichi!”
“K-Kudo!”
Lo chiamarono all’unisono le ragazze, gli occhi spalancati: il tono di voce era troppo basso perché lui potesse udire le loro parole, ma gli fu sufficiente leggere il movimento delle labbra per comprenderle.
“Vi cacciate sempre nei guai!” gridò, sorridendo. “Avanti, riportatemi i caschi!”

§§§

“Sei il solito sbruffone!” esclamò Suzuki, colpendolo ad una spalla con il primo casco recuperato da terra. Entrambe le giovani, infatti, avevano accontentato la richiesta del detective ed erano salite sul ponte grazie alle scalette che lo mettevano in comunicazione con la strada.
Mentre Kudo replicava, con sorriso audace, Mouri non credeva ai propri occhi: lo stomaco si era contratto in una morsa, le gambe le tremavano più di quanto non avessero fatto di fronte a quel terribile assassino e il volto le andava a fuoco.
In quello stato, non riusciva neppure ad avvicinarsi all’investigatore: si trovava infatti ad almeno un metro di distanza dagli altri due, che ancora continuavano a battibeccare.
Nel frattempo, Shinichi era sceso dalla sella per riporre il casco.
“Tsk!” esclamò Sonoko mentre lui le porgeva la mano per riprendere il secondo.
“Ce l’ha Ran!” gli rivelò.
Entrambi allora si voltarono a scrutarla e lei, al centro dell’attenzione, arrossì ancora di più.

“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?”

Ancora quelle parole!
Deglutì cercando di muovere qualche passo, ma sussultò quando si accorse che Shinichi si stava avvicinando. Si fermò a pochi centimetri di distanza da lei, sorridendole:
“Ti spiace?” le domandò inchinandosi leggermente per prendere il casco dalle sue braccia, piegate lungo i fianchi.
“Ah…n-no…” rispose lei, scattando indietro: Shinichi le aveva sfiorato le dita.
Sonoko ghignò, lui battè le palpebre un paio di volte. Poi si girò verso Suzuki:
“Mettilo vicino all’altro!” Si raccomandò, lanciandole il casco con un abile movimento del polso.
“E-Ehy!” si lamentò, afferrandolo per un pelo. Ma risollevato lo sguardo dall’oggetto, notò che il liceale aveva preso per mano Ran e la stava conducendo sulle scale che portavano alla strada.
Sbuffò sonoramente, avviandosi alla moto: “SBRIGATEVI! NON MI PIACE FARE IL TERZO INCOMODO!”
“Sh-Shinichi!” lo richiamò lei, paonazza. “C-cosa…?” però si lasciò trascinare da lui, trovandosi poi con le sue mani a reggerla per i fianchi. Realizzò che si trovavano sotto le scale, nascosti dalla vista impertinente di Sonoko: il ragazzo era appoggiato con la schiena al muro della colonna laterale del ponte e la teneva per la vita, vicino a lui.
“Ahm…” cercò di dire qualcosa, ma la saliva le andò per traverso.

“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?”

Erano a Tokyo.
Era il momento di rispondergli.
Era il momento di dirglielo.
“Ciao.” La salutò lui, attirando così i suoi occhi sorpresi sul suo volto.
Rise: “Mi sembrava che ci fossimo incontrati in modo alquanto bizzarro, quindi…ricominciamo! Ciao” ripetè, ammiccandole.
Ran si lasciò andare ad un sorriso, sostenendo il suo sguardo.
Così da vicino poteva scorgere del rossore sulle guance dell’amico: ma poteva anche apprezzare il suo volto, dannatamente bello.
A quei pensieri si imbarazzò ancora di più, abbassando immediatamente lo sguardo; ma, seppur senza intenzione, finì a fissare la pelle che la tuta, sbottonata più del dovuto, lasciava intravedere: un petto decisamente ben allenato, dei muscoli davvero scolpiti. Un corpo forte, vigoroso…

“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?”

Tornò immediatamente a fissarlo negli occhi, deglutendo a disagio.
Shinichi le sorrise di nuovo: “Non riesci proprio a stare lontana dai guai…se non ci fossi io a salvarti!” scherzò.
“Da che pulpito, eh! Sei tu quello che è fissato con i misteri!” riuscì a dire, spinta dal tono beffardo del ragazzo.
Lui le rispose con l’ennesimo sorriso. L’ennesimo raggiante sorriso.
Era davvero contento di poterla finalmente incontrare con il suo vero corpo!
Non appena aveva letto la lettera spedita a Kogoro, aveva sperato fosse arrivata anche a lui: si era dunque rivolto al professor Agasa, pregandolo di controllare nella cassetta delle lettere di villa Kudo.
In effetti, l’invito era lì, tra i volantini degli sconti al supermercato e la pubblicità di un nuovo negozio di videogiochi. Quindi, rapidamente perché Subaru non lo notasse*, lo aveva preso e poi l’aveva presentato ad Ai:
“Haibara! Pensa a quanti investigatori ci saranno! Magari si tratta di un’indagine importante!”
Lei lo aveva osservato con gli occhi a fessure.
“Suvvia, Haibara! Io sono un investigatore! Non puoi negarmelo!”
“Tre giorni, tre pasticche di antidoto, Kudo. Non una di più. Se le sprechi per la ragazza dell’agenzia investigativa, affari tuoi! Non ho intenzione di soccorrerti, stavolta.” Aveva ceduto, consegnandogli l’apotoxina.
Per aspettare che quella sostanza facesse effetto, aveva dovuto aspettare per ben due ore; poi, si era attardato cercando nel garage della sua vecchia casa la moto appartenuta a suo padre, ben attento a non farsi sentire da Okiya.
A quel punto, si era ovviamente fatto tardi e lui si era ritrovato a percorrere l’autostrada di Tokyo in un ritardo bestiale. Fortunatamente, al di là di ogni aspettativa, era invece stato di un tempismo perfetto!
“Stai andando…alla villa di Yokohama?” Ran lo richiamò dai suoi pensieri, eppure lui non smise di scrutarle il corpo, vorace, desiderando marchiare a fuoco nella mente ogni dettaglio scorto da quell’altezza. Dalla sua altezza.
“Può darsi.” Rispose, elusivo. “E tu?”
“No.” Rispose immediatamente lei, la faccia tirata di chi cerca di trattenere un sorriso. “Però, se tu ci vai…”
“Ah, sì?” ridacchiò lui, attirandola di più a sé. Continuò a far guizzare lo sguardo da una parte all’altra del suo corpo, senza curarsi di nasconderle quella scrupolosa osservazione .
Ran infatti se ne accorse: vide chiaramente il suo sguardo esitare e sostarsi, e sentì il cuore mancarle un battito. Conosceva i sentimenti di Shinichi, lui stesso glieli aveva rivelati. Doveva dunque dedurne che fosse anche attratto da lei? Quell’idea le si insinuò nel cervello, lusingandola e donandole un po’ di coraggio.
“Shinichi…” iniziò, pronta a dichiarargli i suoi sentimenti.
“E’ una bella serata, Ran.” La interruppe lui, tornando a fissarla negli occhi.
Che senso aveva continuare a fingere che non fosse successo nulla? Che a Londra non le avesse detto la verità? Non era stata una cattiva mossa, lei appariva serena e non aveva dato impressione di volerlo vedere più di quanto non facesse prima. Semplicemente, era più tranquilla: non parlava più di possibili ammalianti ammiratrici, non sembrava sospettare più che lui intrattenesse, lontano da casa, torbidi rapporti con donne prosperose. Sapeva che l’amava: e questo le bastava.
E allora, perché indugiare oltre? Perché non battere sul tempo Kyogoku ed Hattori, che erano tanto sciocchi da continuare a perdere il loro tempo parlando di abiti adeguati ad una diciassettenne o litigando a causa di un appuntamento dimenticato?
Non c’era ragione d’aspettare.
Presa questa decisione, le sorrise: “Non ti sono sempre piaciuti, i tramonti, Ran?”
Ma non attese una risposta; chiudendo gli occhi, si sporse sul suo viso, il cuore che batteva a mille.
Dal canto suo, la ragazza percepì una scarica elettrica pervaderle il corpo alla vista di Shinichi che, ad occhi serrati, si avvicinava a lei; quindi rimase immobile, incapace di qualsiasi movimento, aspettando di sentire la bocca del ragazzo sulla sua.
E mentre le labbra di lui stavano per azzerare la distanza tra loro e lei stava per chiudere definitivamente gli occhi, un urlo li bloccò:
“ALLORA, CHE STATE FACENDO? AVETE INTENZIONE DI LASCIARMI QUI DA SOLA ANCORA PER MOLTO?”
“Sonoko…” si lasciò sfuggire in un lamento di fastidio lei, sospirando. Quel momento era rovinato!
Ma Shinichi non la pensava allo stesso modo: aveva riaperto gli occhi, ma non si era affatto allontanato dal viso dell’amica, anzi. Le sussurrò, malizioso, sulle labbra:
“Lasciala parlare…” poi gridò in risposta:
“CHIAMA LA POLIZIA, QUEL TIZIO POTREBBE RIPRENDERE I SENSI!”
Quindi chiuse di nuovo gli occhi, baciandola.
-Spiacente Suzuki, ma non ti permetterò di far vincere Kyogoku…- fu l’ultimo pensiero prima che il profumo di Ran gli facesse perdere la cognizione di tempo e spazio. -Questa partita, l’ho vinta io…-
Una rivalsa contro i suoi stessi pensieri, che troppo spesso avevano sottolineato la fortuna di quei due giovani, destinati ad incontrarsi ogniqualvolta volessero, contro la sua cattiva sorte, che invece gli concedeva la possibilità di parlare con Ran solo attraverso un modulatore vocale.
L’uno poteva percepire chiaramente il battito accelerato dell’altro, mentre il bacio timido diveniva più passionale ed entrambi, quasi all’unisono, aprivano la bocca per lasciare che i loro sentimenti assumessero una forma più adulta.
Rapita dal contatto con la lingua del ragazzo, gli circondò il collo con le braccia, stringendosi a lui: e mentre Shinichi attirava a sé i fianchi della giovane, facendo combaciare perfettamente i loro corpi, Ran pensò che non fosse più necessario rispondere alla sua dichiarazione.
Entrambi sapevano d'amarsi.
Così, nel momento in cui Sonoko chiedeva concitatamente alla polizia di sbrigarsi a raggiungerli, finalmente Tokyo vedeva Shinichi e Ran amarsi e regalava loro, quasi come dono augurale, un magnifico tramonto rosso fuoco.

§§§

Precisazioni:

*La città e la rispettiva prefettura esistono realmente, sono nella zona del Kanto di Honshu.
*Detective Dormiente: in effetti non suona troppo bene XD Però non sapevo in che altro modo tradurre Sleeping Kogoro-san!
*Mikazuki geri: calcio a mezzaluna.
*Assassini al mare: Varie volte è capitato, in più file e volumi. Mi è sembrato pedante elencarli tutti.
*…senza bussare: ho ‘copiato’ l’espediente del volume 5, file 1, il caso dell’uomo bendato.
*L’invito era lì (…)…rapidamente perché Subaru non lo notasse: So bene che Conan sembra fidarsi molto di Okiya, però è anche vero che ha chiesto a Ran di non parlare mai di Shinichi di fronte a lui. Quindi mi sono allineata all’idea che il detective non gradisca che Okiya sia informato delle cose che riguardano Shinichi.
*Shinichi chiede a Ran di chiamarsi con il cognome in luogo del nome nell'episodio 476 della numerazione originale giapponese.

§§§

Note dell’autrice: The end! Anche questa breve fic è finita!
All’inizio della storia avete pensato che il ragazzo con le infradito fosse Shin, vero? Ahah, spero che questa piccola ‘trappola’ vi sia piaciuta, ho voluto creare una specie di equivoco/scambio di persona per non rendere il finale troppo ovvio.
Ho alternato le riflessioni indirette di Shinichi a quelle di Ran, spero sia chiaro quando faccio parlare la coscienza di uno e quando quella dell’altro, di solito non sono troppo brava in queste cose. Infine, ho tentato di realizzare una ‘summa’ delle riflessioni esposte nei due capitoli precedenti. Ahah, e ho voluto assegnare anche una piccola parte a Sonoko, senza la quale il rapporto tra Shin e Ran sarebbe ‘incompleto’ XD Spero vi sia piaciuto!

Un ringraziamento particolare va ai commentatori del secondo capitolo: Shine_, Yume98, SaraKudo, _Rob_, 88roxina94, mangakagirl.

Detto questo, siamo giunti al termine. Prometto di tornare presto (conoscete oramai il mio concetto di ‘presto’ ^^”) con la prossima fanfic.
Vi ringrazio enormemente per i commenti, o anche solo per aver letto la fic: mi avete colmato il cuore di gioia!
Un grande bacio,

Cavy-chan

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