She's the best drug I'll ever need. di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Everything
happens for
a reason. We just have to take the best of it.
Era il 20 gennaio sera ed ero nel pieno dello studio del francese,
quando un leggero bip bip dell'iPod mi convinse a mettere da
parte i libri e controllare cosa stesse succedendo nel mondo
reale.
"Sei stato/a aggiunto/a al gruppo The Motherfuckin' Deathbats,''
recitava la notifica con tono austero.
'Ah, wo, figo, sarà una cosa tipo il Green Army, andiamo a
dare un'occhiata,' mi dissi, non esattamente piena di voglia di
continuare a incasinarmi la testa con verbi ed eccezioni. Acchiappai il
pc, posato alla bell'e meglio sul comodino di camera mia, lo spolverai
con un soffio e lo accesi. Dopo un paio di minuti ero già
sul gruppo a studiarmi per bene i componenti, per decidere quale
sarebbe stato il mio approccio con loro o comunque cercare di capire
quante sarebbero state le notifiche. Già con l'Army era un
casino della madonna, figurati con due gruppi tra loro simili e con
altrettanti membri.
Scrollai un po' la pagina.
Pingu, Delfa, Redda, Olej.. Bene, almeno un po' di loro li conoscevo.
Il numero della gente nuova era comunque altissimo, quindi decisi che
avrei cominciato a parlare con quelli che come me conoscevano poca
gente e che quindi avrebbero cercato di fare amicizia più
facilmente degli altri. Il numero rimaneva comunque esorbitante.
Scendendo giù col dito, tuttavia, una ragazza
attirò la mia attenzione.
Capelli rossi scompigliati, trucco nero, occhi vispi e lineamenti
morbidi, la bocca nascosta da un piano bianco.
Quella ragazza l'avevo già vista da qualche parte, ne ero
certa, ma dove? Non riuscivo proprio a ricordarmi in che ambito
l'avessi conosciuta, se avessimo mai parlato o se ci fossimo state
antipatiche. Scartai tutte le ipotesi: andando a guardare le sue foto
capii che non eravamo mai state amiche e così mi misi
l'anima in pace, almeno sotto quel verso. Ingrandii la sua immagine del
profilo, e in un attimo ebbi un lampo di genio.
Massì, quella era Iris! Shelovesheroin! La tipa che avevo
visto su Twitter e che sembrava stimabile da ogni punto di vista,
mentale o estetico che fosse! Cazzo, quante volte avevo voluto
conoscerla per poterle dire che era una figa e che apprezzavo troppo il
suo modo di vedere le cose, ma non l'avevo contattata per vergogna!
Sorrisi tra me e me. L'occasione era arrivata, finalmente. Mi segnai
mentalmente di essere gentile con lei e continuai la mia ricerca tra i
membri. Non mi emozionai molto; c'era un sacco di casino e le notifiche
piombavano da tutte le parti. Si può dire che il primo
giorno il gruppo era così caotico che non riuscivo neanche a
ricordarmi come mi chiamavo, senza esagerare. Capii fin da quel momento
che sarebbe stato necessario disattivare le notifiche, o la mia poca
sanità mentale rimasta sarebbe scomparsa completamente nel
giro di pochissimo. Però già dal secondo giorno
le cose andavano meglio. Anche se tanta gente continuava a presentarsi,
avevamo già creato un documento in cui avevamo scritto il
nostro nome e le nostre band preferite, oltre ai nostri contatti di
Twitter e Tumblr, e avevamo cominciato a socializzare come se ci
conoscessimo da tanto. Non mi ricordo con chi parlai per primo, ma
ricordo i commenti fuori luogo del Grix e Camilla che gli dava retta,
come se fosse una cosa normalissima. Ora che lo conosco, ho capito che
non c'è niente di più normale e consono di dire
''E sì illusione che ci sia, ma stare così vicino
al culo di un cavallo non so fino a che punto gli può
giovare.'' E' una persona strana, Grix, è sempre allegro e
si apre poco con noi, però se sei giù di morale
puoi sempre contare su di lui, lo si vedeva fin dall'inizio.
I primi due giorni nel gruppo sono passati velocemente. Chiacchieravamo
tutti senza problemi e cominciava a formarsi quella che ora
è una famiglia unita ed amorevole, e poi eravamo tutti
eccitati dall'idea di un gruppo sugli Avenged Sevenfold dove non ci
sarebbero stati hater o non fan. Ultimamente è sempre
più difficile trovare gruppi del genere, perché
gli infiltrati arrivano sempre, presto o tardi, ed è una
cosa negativa sotto certi aspetti, anche se poi anche loro diventano
parte integrante della famiglia. Però si vede benissimo
quanto sono fuori luogo in un momento in cui tutto il gruppo
è su di giri per un concerto o un CD del gruppo X e i
non-fan stanno semplicemente lì tipo, 'Potrei comparlo e
andare a vederli, ma mi fanno schifo quindi passo.' Cioè,
dai, che cosa ci stai a fare nel gruppo? Conti i post?
Nei Deathbats non era così. Ogni momento era differente,
tutti i membri sprizzavano energia da tutti i pori e non potevi non
sentirti coinvolto in quest'atmosfera di allegria e voglia di
vivere, anche se eri depresso. Loro erano, e sono,
semplicemente tutto quello di cui puoi mai aver bisogno per star bene.
E poi loro hanno le loro fisse e delle curiosità
che non possono che attirarti, e una di queste curiosità
sono i fake. Okay, va bene, i fake ci sono sempre stati, ma questa
volta era diverso. E non solo perché io ero riuscita a
interpretare uno dei miei bassisti preferiti; ma perché poi
era successa una cosa che non mi era mai accaduta prima, quando rolavo
sulla pagina dei Chemical.
La gente si è messa a scegliersi i partner.
Okay, direte voi, e allora? No, non 'e allora.' Non capite. Non
è così semplice come sembra.
Nel marasma generale, in cui Syn si prendeva Zacky, Matt Val e Jimmy
resuscitava dal reame dei morti, io sono riuscita a 'riservarmi' una
ragazza. Giuls. Una ragazza vivace, castana, con gli occhi marroni e
dei lineamenti dolci e lisci; che pareva brillare tutta quando
sorrideva. Sembrava le si illuminassero gli occhi, talmente era bella.
Quindi la cosa più naturale che mi era passata per
l'anticamera del cervello era stata dire a tutti che era mia, e che
quindi nessuno poteva provarci con lei. L'ho scritto così,
senza neanche chiederle niente; fortuna che è pazza di
Johnny o mi avrebbe mandato a fanculo fin dal primo istante. Quando le
ho chiesto l'amicizia non pensavo sarebbe cambiato qualcosa, anche se
sotto sotto speravo almeno di diventare buoni amici, e quando sono
andata a guardarmi le sue foto ci sono rimasta uno schifo. Avete
presente quelle persone belle, ma belle davvero? Quelle così
meravigliose che ti crolla l'autostima sotto terra solo a guardargli la
punta delle scarpe? Lei è una di quelle. Dopo quattro foto
potevo ben dire di essere la persona più fortunata del mondo
ad avere una chance di diventare sua amica, se non di peggio. Ero come
sconvolta, sono rimasta a guardare quelle immagini per ore e ore, senza
avere il coraggio di commentargliele o mettere mi piace. Sembrava una
bambolina, una di quelle bambole fragili e perfette che quando le vedi
sugli scaffali nei negozi pensi, 'Wow, chissà come
dev'essere somigliare a una di quelle?' Cominci a chiederti
perché tu sia così imperfetta e loro sembrino
meravigliose in ogni piccolo dettaglio, e poi ti rispondi che
è normale, sono bambole. Be', io non potevo farlo. Lei era
vera, una ragazza in carne ed ossa, e guardando le sue immagini potevo
solo venire investita da un camion mille e mille volte, senza smettere
mai di trascinarmi sempre più giù, verso il buio,
verso l'oblio, verso la mancanza di autostima. Però era come
una droga; non riuscivo a smettere di guardarla, di sperare di
diventare un po' come lei, di poter acquisire anche solo un minimo
della sua bellezza, giusto quanto bastava per non sentirmi
più l'ultima merda della Terra, poi mi sarei accontentata di
essere okay. Anche se in realtà poco importava,
perché comunque il mio carattere ha sempre attirato solo
persone tristi, depresse o con tendenze autodistruttive, e lei non mi
sembrava affatto così. Mi sembrava così piena di
vita, di voglia di scherzare e ridere, che io e la mia apatia ci siamo
sentite completamente inutili, oltre che stupide. Più la
guardavo e più mi veniva voglia di chiederle se era vera, se
era davvero così, o semplicemente se sapeva di essere un
qualche tipo di dea scesa in terra; però la timidezza mi
bloccava.
"E se se l'è presa a male per quello che ho detto prima? Ho
usato poco tatto, magari l'ho irritata," continuavo a ripetermi. In
fondo non la conoscevo per niente, magari avevo esagerato e non me
n'ero resa conto, o magari lei era una di quelle che alle persone
comuni e un po' sfigate non rivolge neanche la parola. Più
guardavo quelle foto più non la smettevo di complessarmi, ma
al problema pose risposta lei. Mi aprì la chat,
così, a buffo, e mi salutò, chiedendomi come
stavo e tutte le classiche cose che ci si chiede aprendo una
conversazione per la prima volta. Io ero tesa, decisamente tesa, e non
sapevo cosa risponderle per non fare brutta figura o per non sembrarle
antipatica. 'Sii te stessa,' direbbero tutti, ma quella è la
cosa più complicata da fare, soprattutto quando sei in ansia
e ti senti come se ti mancasse l'ossigeno nei polmoni, come se il
sangue ti si fosse fermato nelle vene e il tuo cuore fosse
semplicemente imploso tutto d'un tratto. Giuls mi faceva sentire in
quel modo, fin dai primi tempi. E porca miseria, sembrava averci preso
gusto a parlare con me. Non potevo che esserne felice però,
mi sembrava di vivere in un sogno. Non mi sembrava neanche strano
sentirmi così, credevo fosse normale, in fondo stavo
parlando con la persona più bella che avessi mai visto in
vita mia e non potevo non sentirmi al settimo cielo. Però me
lo sentivo, da qualche parte nel profondo, la cosa non si sarebbe
fermata lì. No, lei era troppo perfetta perché mi
potessi accontentare del semplice fatto di chattarci di tanto in tanto;
sentivo come il bisogno di conoscerla, avvolgerla, farla diventare
parte integrante della mia vita, per poi non lasciarla andare
più via e tenerla al mio fianco per sempre. Una cosa un po'
da maniaci, forse, però non potevo fare a meno di
desiderarlo ogni volta che leggevo il suo nome sotto un post.
Dovevo farci amicizia. Non riuscivo a pensare ad altro, nonostante ci
provassi con tutta me stessa, e poco m'importava di ferire Elide, Julia
o chiunque ci tenesse a me, desideravo solo lei e solo lei riusciva a
farmi sentire così viva e allo stesso tempo così
morta. Aveva un qualche potere su di me, riusciva a farmi sentire come
non mi ero mai sentita prima, ed era bello, decisamente bello. Troppo
bello perché finisse. Però c'era sempre in mezzo
quella mia dannata timidezza; quindi non la cercavo mai e speravo
sempre che fosse lei a farlo visto che io non ne avevo la forza,
sebbene lo desiderassi con tutta me stessa. Bella cosa, il mio
carattere. La paura che avevo di rovinare tutto era addirittura
maggiore del desiderio di parlarle, di chiederle della sua giornata, di
passare del tempo con lei, e più i giorni passavano
più mi sentivo giù, inutile. Un pezzo di carbone
in mezzo agli zaffiri per farla breve. Però lei era un
raggio di sole, l'unica che riuscisse a tirarmi su in ogni momento del
giorno, qualunque cosa fosse successa. Se fossi credente potrei dire
che me l'ha mandata Dio, ma visto che non lo sono mi
accontenterò di dire che è semplicemente la cosa
più meravigliosa che sarebbe mai potuta capitarmi in questa
vita, senza esagerare. E l'unica cosa che mi costringeva a rimanere coi
piedi per terra era che la conoscevo da davvero troppo poco per poter
motivare le mie sensazioni, e che quindi non mi avrebbe presa sul serio
se gliel'avessi detto. Quindi l'unica cosa che mi restava da fare era
aspettare e rimanere sempre più intrappolata nella ragnatela
della sua perfezione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Come
riuscii a chiederle il numero rimane tuttora un mistero per me. Non
pensavo di avere le palle per espormi così tanto, anche se
in effetti non era tutta sta gran cosa, e scambiarsi il numero tra
'amici' è sempre stato normale. Ma cercate di capire, sono
una persona strana, fin troppo insicura per lanciarmi in questo genere
di cose, quindi questo rappresenta prima di tutto una vittoria contro
me stessa e la mia perenne insicurezza. Detto questo, lei non ha fatto
obiezioni e me l'ha dato subito, e già la sera stessa
stavamo messaggiando tranquillamente, come se fosse la cosa
più normale del mondo. Questa era una delle cose belle di
Giuls: con lei tutto sembrava naturale, ovvio; non si faceva tutti i
problemi che mi facevo io. Certo, questo significava che non aveva una
così grande considerazione di me, ma sticazzi, avevo il suo
numero e mi aveva pure autorizzata a parlarle quanto volevo. Che si
può voler di più dalla vita?
Posai il telefono sul cuscino accanto a me, sospirando. Certo che
questa Giulia era proprio una ragazza speciale. Mi aveva colpito,
affondato, distrutto, tutto in poco più di tre giorni. E
anche se ancora non volevo ammetterlo, sapevo che in fondo qualcosa era
già cambiata dentro di me, e che lei non sarebbe stata solo
passivamente parte della mia vita, ma avrebbe attuato grandi
cambiamenti nel mio carattere; e già il fatto di essere
lì ad aspettare un suo messaggio era una prova inconfutabile
di quanto avessi ragione.
Mi voltai verso il cellulare, controllando per l'ennesima volta se
fossero arrivati messaggi, ma la risposta continuava ad essere
negativa. Se il mio cellulare avesse potuto parlare, mi avrebbe
sicuramente detto di darmi una calmata e che mi avrebbe avvisata lui
quando sarebbe cambiato qualcosa, ma di lasciarlo in pace una volta per
tutte. Non aveva tutti i torti, in effetti, però avevo
voglia di parlare, parlare e parlare, ma non solo con lei, con tutti,
con una persona qualunque, con il primo sconosciuto che capita. Ogni
tanto mi prendono questi attacchi di parlantina, in cui racconterei la
mia vita da capo a fondo perfino al barbone sotto casa, però
grazie al cielo non sono così scema da darmi retta e farlo
davvero. Anzi, direi che non do quasi mai retta ai miei impulsi,
ragiono troppo meccanicamente per lasciarmi andare e smettere di
pensare alle conseguenze. Il che è un bene,
perché i miei si fidano di me e la gente mi ritiene una
persona intelligente e organizzata, ma dall'altra parte è un
disastro, perché non riesco ad aprirmi e buttarmi nelle cose
vere, come per esempio fare amicizia con qualcuno. A meno che non mi
cerchi lui, io non avrei mai il coraggio di avvicinarmi e dire ciao,
neanche per idea.
Mi misi l'anima in pace e intuii che si era addormentata, quindi posai
il telefono sul comodino, presi le mie pasticche e mi rigirai tra le
coperte, in cerca di una posizione comoda. Andava a dormire presto,
Giulia, ecco perché a differenza mia sembrava
così fresca e riposata, mentre io sembravo sempre uno zombie
imbottito di adrenalinici - sempre che esistano e non mi sia inventata
la parola. Be', diciamo che sembro uno zombie anche dormo tanto, quindi
non è che mi è mai cambiato molto dormire tre ore
piuttosto che otto; anzi, sono addirittura più carica.
Comunque, nonostante cercassi di addormentarmi da almeno quaranta
minuti, il sonno continuava a non arrivare. Pensavo al gruppo, alla
scuola, a ogni cosa che mi passava in mente, ma mi sentivo come in
mezzo al vuoto, in bilico fra cielo e terra, notte e giorno, sogno e
realtà. Era una sensazione bella, di calma interiore e
relax, cose che mancano nella mia vita di tutti i giorni. Mi rigirai
un'altra volta nel letto e agguantai l'iPod, mettendo su la colonna
sonora di Into The Wild. Che gusto c'è a sognare se poi le
tue avventure non sono accompagnate dalla musica? Tirai le coperte fin
sopra la testa e abbracciai il cuscino, chiudendo gli occhi. Mi sarei
addormentata, che lo volessi o meno.
La mattina dopo mi svegliai prima del solito, verso le sei e un quarto,
e rimasi sotto le coperte ad aspettare che il suono meccanico della
sveglia scattasse per una mezz'oretta circa, poi mi alzai e mi
trascinai verso il bagno. All'uscita della doccia mi avvolsi un
asciugamano attorno i capelli, che faceva più scena che
altro vista la loro loro scarsa lunghezza, e tornai in camera. Mi
lasciai cadere sul letto e socchiusi gli occhi per qualche secondo, poi
presi il cellulare tra le dita, rigirandomelo da una mano all'altra.
Non erano passati neanche tre minuti che lo schermò brillo e
comparve la scritta '1 messaggio da Giulss.' Sorrisi e lessi il
messaggio, le risposi e tirai fuori il phon, avvicinandomi allo
specchio per asciugare i miei spinaci rossicci. Stavano crescendo un
po', finalmente, e la gente non mi scambiava più molto per
un ragazzo, anche se era capitato più volte che mi
parlassero al maschile. Negli ultimi tempi tante persone mi si erano
avvicinate per conoscermi, e anche se non ne capivo bene il
perché ero felice, visto che sono sempre stata ignorata
dalla maggior parte della gente. Non che ci potessi fare niente, alla
fine mi ero abituata a essere la ragazza grassa e isolata da tutti, e
tanti saluti. Avevo smesso di soffrirci.
Mi passai una mano tra i capelli e controllai se erano ancora umidi. Mi
diedi un altro colpo di phon e poi lo portai al suo posto, nel
cassettone blu, e tornai in camera. Scambiai ancora qualche messaggio
con Giuls, mi ficcai le cuffie nelle orecchie e scesi per la colazione.
-Dormito bene?- mi domandò mio papà per prima
cosa, dando un sorso alla sua tazza di the.
-Più o meno, i gatti si sono dati alla pazza gioia
stanotte,- risposi con una scrollata di spalle.
-Ehh, lo so, purtroppo li ho sentiti anch'io. Tranquilla che sto
week-end La G li porta in campagna, così ce li leviamo tutti
e quattro dalle scatole e domani ci mangiamo la pizza.
-Ah, serio? Bona!
-Eh, infatti. Ci sei a pranzo?
-Ci sono sempre.
Finii di mangiare in silenzio, mentre lui si spostava in salotto per
vedere le previsioni del tempo.
La G è mia madre. Il suo soprannome sta per 'la grassa.'
Quando era incinta di me, infatti, è ingrassata tantissimo,
e nonostante tutto non ha mai perso quei chili di troppo, che per sua
fortuna le avvolgono solo le braccia e un po' le cosce. Non
è grassa lei, non più, però ormai il
soprannome è storia e non si cambia. Io ho preso da lei,
sotto questo senso, per i primi sei anni della mia vita il mio
soprannome è rimasto 'Pancità,' e nessuno voleva
cambiarlo per nulla al mondo. Giusto per far capire quanto la mia
famiglia sia brava coi nomi, oh.
Buttai giù l'ultimo sorso di caffè con fretta,
lavai i piatti, li sistemai per bene nella lavastoviglie e poi salii di
sopra a lavarmi i denti. In tutto questo Giuls mi doveva ancora
rispondere; probabilmente aveva di meglio da fare, non saprei dirlo con
certezza, però il suo messaggio mi arrivò che
erano le otto e un quarto passate. Molto probabilmente era una di
quelle persone con una vita sociale parecchio attiva, che anche la
mattina trovano sempre qualcuno con cui chiacchierare un po' o
scambiarsi qualche battuta. Non la biasimavo per questo, ma
chissà cosa si provava a essere una persona del genere,
cercata e apprezzata da tutti, senza eccezioni. Cioè, woah,
figo. Mi piacerebbe provarlo prima o poi, anche solo per un giorno;
così mi lascerei alle spalle tutta la merda che ho provato
in questi anni, specialmente nel 2009 e nel 2010, e potrei dire di aver
dimostrato a tutti quelli che mi prendevano in giro che in
realtà valgo qualcosa, e che erano loro a sbagliarsi sul mio
conto. Bho, sarebbe carino.
Cercai di concentrarmi sulla lezione, ma il francese non è
mai stato la mia lingua preferita e, sebbene fosse la materia
più importante del mio istituto, non mi ci applicavo
particolarmente, per questo fioccavano i 5 e mezzo. Ne ho presi una
marea, nel primo trimestre ho addirittura raggiunto la sufficienza una
sola volta, quindi il sei che mi son trovata in pagella è un
mistero ancora oggi. Fissai la lavagna con aria stanca e poi il mio
compagno di banco, che giocherellava con la matita senza badare
minimamente alle occhiate della professoressa. Mi piegai nuovamente sui
miei appunti e continuai a scrivere in modo meccanico, senza davvero
assimilare quello che la professoressa stava spiegando. Sentii la mia
tasca vibrare e feci scivolare il telefono nella felpa, in modo da
tenerlo al sicuro e poterlo comunque guardare quando fosse stato
necessario. A quanto pare pure Giuls si annoiava e non aveva voglia di
studiare. Le scrissi un messaggio di risposta e aspettai, ripetendo tra
me il verbo suivre, per far pensare alla prof che non ero completamente
alienata dal contesto. In realtà non mi ricordo neanche cosa
spiegò quel giorno, ma non dev'essere stato niente
d'importante visto che ora non ho problemi a scrivere. Be',
sì, okay, ce li ho, ma fare ripetizioni serve a questo, no?
E poi non faccio così schifo, solo che prima mi limitavo
semplicemente a non studiare, quindi i voti bassi erano normali.
Ad ogni modo, continuammo a parlare per tutta la mattinata,
finché non tornammo a casa ed entrammo sul gruppo.
Lì non ci cagammo molto, a dire la verità, e
comunque lei andò a lezione privata dopo neanche un'ora dopo
che si era collegata, quindi non potevo rimproverarmi niente.
Tornò verso le sei - sei e mezza, e la chat me
l'aprì lei. Parlammo così, di scemenze e roba che
non c'interessava minimamente ma che pensavamo potesse interessare
all'altra, creando così un ammasso di argomenti random e
senza senso. Però non m'importava, alla fine parlavo
così con tutti, non mi cambiava molto farlo pure con lei.
Anzi, forse era a lei che era importato qualcosa, anche se non l'aveva
dato a vedere per niente, mostrandosi molto gentile, oltre che
simpatica.
Onestamente, non mi ricordo molto di quel giorno; solo che mi disse che
mi voleva bene.
E quello fu il giorno più bello della mia settimana.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
I
giorni seguenti passarono senza troppi avvenimenti noti di importanza.
Infatti credo che il nostro rapporto si fosse limitato a diventare
grandi amiche, visto che ci parlavamo spesso, su Facebook e via
messaggi, e lei era presente in ogni parte della mia giornata.
Cominciai a vedermi più come una specie di tappabuchi che
altro; ma non un tappabuchi negativo, uno positivo, di quelli che sai
ci sarà sempre per te. Perché, in effetti, ogni
volta che lei aveva bisogno di me, io c'ero o cercavo di esserci, e mi
veniva l'ansia se non rispondevo in tempo reale, per questo controllavo
il cellulare ogni due minuti. Non c'era scusa che reggeva, non mi sarei
perdonata di non aver letto in tempo un qualsiasi messaggio, triste o
felice che fosse. Questa è un po' una mia mania, mi sento in
colpa se non rispondo subito alla gente, perché mi viene da
pensare che se smettessi di fare come faccio ora si sentirebbero un po'
l'ultima ruota del carro, cosa che a me succede molto spesso. E siccome
fa schifo, tratto gli altri come vorrei essere trattata io, senza farli
aspettare troppo tempo e senza demotivarli come la gente ha sempre
fatto con me, con Giuls, con quelli del gruppo. Noi siamo tutti un po'
sfigatelli, come direbbero gli altri; diversi, originali, vinili in un
mondo di CD per metterla breve. Non siamo mai stati accettati a fondo
da quelli che ci circondavano e ognuno di noi ha un brutto passato da
raccontare, chi più, chi meno, ma il bello di tutto questo
è che siamo cresciuti diventando in grado di ignorare gli
altri, quelli che vogliono solo distruggerci e vederci soffrire, e
abbiamo sempre consigli pronti per tutti, perché, cavolo, ci
siamo già passati noi. Infatti, sono più che
convinta che se la gente che prima c'insultava fosse costretta a
provare i nostri stessi sentimenti, rimarrebbe intrappolata in una
spirale di tristezza e autolesionismo, che noi invece siamo riusciti a
demolire appoggiandoci l'un l'altro. Perché, pensateci bene,
quelli che prendono in giro gli altri per sentirsi più
fighi, che hanno in realtà? Amici falsi, che gli sparlano
dietro con chiunque; una situazione difficile a casa di cui non possono
parlare con nessuno perché a nessuno interessa che stiano
male; un'autostima troppo alta che li porterà ad avere
problemi a relazionarsi con gente nuova; un gruppo di persone che li
disprezzerà sempre e comunque per le loro azioni; una
reputazione da smargiassi e stronzi che li porterà a essere
isolati; una mentalità stupida e chiusa, che gli impone di
comportarsi in modo altrettanto stupido; e solo una cerchia di fedeli,
che pendono dalle loro labbra nella speranza di ricevere una qualche
ricompensa e venir etichettati come quelli fighi, duri, che non hanno
paura di niente. Invece non è così,
perché l'unica cosa che riesci a pensare vedendoli
è che sono solo un branco di vigliacchi, dei codardi che
devono agire in gruppo perché da soli non hanno le palle per
fare assolutamente niente. Non parliamo poi delle cose pericolose,
quelle fatte solo per impressionare gli altri e far aumentare la
propria fama, che o finiscono bene, ma che vengono completamente
ignorate dagli altri, o male, e che proprio per l'esito negativo
verranno ricordate anche da quelli fuori dalla cerchia. Insomma, queste
persone si circondano da idioti con l'illusione di sentirsi meglio, ma
alla fine sono costrette a realizzare che sono state sole fin
dall'inizio e che non c'è mai stato davvero un singolo
ragazzo che volesse conoscerle per non approfittare della loro
situazione. A questo punto, i fortunati siamo noi, no? Abbiamo una
famiglia allargata e numerosa, che non smette mai di sostenerci;
combattiamo contro i nostri problemi tutti i giorni e sappiamo che
c'è sempre qualcuno che ci apprezza; perché anche
se di carattere possiamo non somigliarci, le nostre sofferenze sono le
stesse, e nonostante ci sia chi reagisce in un modo e chi in un altro,
alla fine ci complimentiamo tutti l'uno con l'altro per il nostro
coraggio e per la nostra determinazione a cambiare le cose. E anche nei
momenti più bui, sappiamo di poter contare sul prossimo,
perché, a differenza dei nostri aguzzini, noi possediamo un
cuore grande che, sebbene sia stato ferito e abusato da tutti,
è ancora capace di provare speranza e non ci
permetterà mai di arrenderci. Per quanto grandi le
difficoltà possano essere, non combatteremo mai da soli; e
alla fine è questa la cosa più bella, e se non
avessi avuto un passato del genere non sarei arrivata a conoscere delle
persone così meravigliose; quindi in un certo senso dovrei
ringraziare quelli che mi hanno reso una vita un inferno per otto anni,
anche se non ne ho la minima voglia. In fondo, se loro non fossero
stati così deboli, io ora non sarei così forte e
felice.
Ad ogni modo, le giornate passavano veloci e allegre, finché
la sera del 26 gennaio non successe una cosa che mi sconvolse a dir
poco. Ero appena andata a letto, saranno state le undici e mezza al
massimo, e stavo parlando con Giuls come al solito. Non mi ricordo
neanche di cosa, a esser sinceri, ma non doveva essere importante visto
che il mio cervello l'ha rimosso senza problemi o fatica. Comunque mi
ero infilata sotto le coperte da poco, forse dieci minuti, quando mi
arrivò un messaggio da parte sua.
"Stavo pensando che tipo
sono stupida (?) e che tu fai parte di tutta la mia giornata
perché ci sei fino a quando io crollo dalla stanchezza alla
mattina dopo e sei la prima persona che mi invia un messaggio e tipo io
ti amo o"
Il
mio cuore, Cristo santo, il mio cuore. Sembrava in procinto di
esplodere, di scappare via dal mio petto, di saltar via, di fare
qualsiasi cosa piuttosto che rimanere lì a fare il suo
lavoro; ma non potevo mica dargli tutti i torti. Arrossii come non ero
mai arrossita prima e rilessi il messaggio una decina di volte,
cercando inutilmente di calmarmi un po'. Non poteva essere possibile,
dovevo sbagliarmi, lei non mi aveva mai dato alcun segnale per cui
potessi capire che le piacevo, doveva prendermi in giro per forza, o la
cosa non si sarebbe spiegata. Però se mi aveva inviato il
messaggio c'era un motivo, no? Forse i miei sentimenti erano troppo
espliciti e lei lo faceva per pietà, oppure voleva solo
vedere la mia reazione a una sua dichiarazione per poi dire,
'Mannò, dai, scherzavo,' e riderci su. E in quel caso sarei
stata completamente fregata e non avrei avuto alcuna via d'uscita, non
avrei saputo come comportarmi e la naturalezza che c'era tra noi
sarebbe scomparsa completamente per non tornare mai più;
senza contare che probabilmente lei avrebbe cominciato a parlarmi
sempre di meno e in modo imbarazzato, per poi smettere definitivamente
di rivolgermi la parola e ignorare i miei post e i miei commenti per
evitare di creare situazioni equivoche o giù di
lì. In quel caso cosa avrei potuto fare? Assolutamente
nulla, solo soffrire, soffrire, soffrire; per poi morire dentro e
scivolare nuovamente nell'abisso oscuro della mia apatia, da cui non
sarei uscita per tanto, tanto tempo. E no, quello non doveva accadere,
proprio no. Non volevo perderla per nulla al mondo, e ormai mi ero
convinta che non fosse sincera e che volesse solo testare le mie
reazioni; quindi le risposi con un 'ti voglio bene adskfjdhgk.' Non
c'è bisogno di dirmi che è stata una mossa
stupida, lo so benissimo da sola, però era l'unica cosa che
mi fosse venuta in mente che non fosse qualcosa tipo, 'Oddio ti amo
anch'io ghjhkjg.' Le chiesi se scherzasse e lei mi rispose
negativamente, ma ormai il danno era fatto; e poi comunque non avevo
garanzie che lo dicesse senza secondi fini. Mi rendevo perfettamente
conto di stare esagerando, e anche tanto, ma non potevo non pensare
alle conseguenze, a quello che sarebbe potuto succedere, e mi ero in
qualche modo convinta che risponderle con un 'ti amo' non avrebbe
portato a nulla di buono, se lei stesse effettivamente scherzando. Le
dissi però che avevo un sorriso idiota stampato in faccia
che proprio non voleva andarsene e che il mio cuore stava battendo
all'impazzata, ma lei rise e cambiò discorso,
addormentandosi dopo poco tempo. Io lo presi come una conferma di
quello che temevo, e che per lei io significassi poco, se non
addirittura niente, e mi sentii un po' più sollevata a non
essermi esposta. Però non riuscivo ad accettarlo; non volevo
crederci più che altro, desideravo ardentemente sapere quali
erano davvero i suoi sentimenti e se mi aveva preso in giro o meno. Il
dubbio mi rodeva lo stomaco e mi fece venire la nausea, solo che il
senso di oppressione decise di non lasciarmi neanche quando
effettivamente vomitai, ma invece rimase a farmi compagnia fino alle
due, quando mi addormentai, e mi accompagnò nei sogni,
trasformandoli in incubi senza un attimo di luce. Quando mi svegliai,
la prima cosa che feci fu lavarmi la faccia con l'acqua fredda, nel
tentativo di svegliarmi e realizzare che quello non era solo un
ulteriore incubo ma la vita reale. Mi guardai allo specchio e notai le
occhiaie, che risaltavano notevolmente sulla mia pelle chiara, e sperai
che nessuno le notasse e mi chiedesse qualcosa, visto che sono comunque
una caratteristica che ho sempre avuto e che non mi
abbandonerà mai. Mi asciugai il viso gocciolante con un
asciugamano bianco e aprii l'acqua della doccia, sperando che il getto
di acqua calda mi potesse svegliare completamente e rimediasse
all'aspetto orribile che avevo guadagnato con quella notte di incubi.
Rimasi in doccia per un quarto d'ora circa e ci misi dieci minuti a
prepararmi, sebbene facessi tutto con movimenti meccanici e una
lentezza surreale. La mattina di solito sono sempre pimpante di
energia, ma quel giorno mi sembrava che muovere un singolo arto
richiedesse una fatica abnorme, talmente sentivo pesante il mio corpo.
Mi sembrava di essere diventata improvvisamente di metallo, un metallo
oscuro e compatto, di quelli che non lasciano passare un singolo raggio
di sole attraverso la loro massa, di quelli che pesano una
tonnellata e si sollevano con le macchine, perché per le
persone normali è uno sforzo troppo grande da sopportare. Mi
trascinai in camera e cercai il cellulare tra le lenzuola, lo strinsi
tra le dita e desiderai ardentemente che Giuls mi avesse spiegato
qualcosa riguardo la sera prima. In realtà non sapevo cosa
sperare, premendo il pulsante al centro, se di vedere un nuovo
messaggio o non trovarne alcuno, segno che avevo ragione io e non era
stato niente di serio. Mi ci volle un po' di tempo prima di premere
effettivamente il pulsante, i miei muscoli erano troppo tesi per
scattare o semplicemente muoversi in qualsiasi direzione e maniera.
Respirai a fondo e realizzai che in effetti no, non c'era nessun
messaggio, quindi ficcai il cellulare in tasca e scesi per la
colazione, un po' più rilassata. Evidentemente non gliene
fregava più di tanto di me, quindi potevo anche mettermi
l'anima in pace e archiviare quel messaggio nei meandri della mia
memoria. In ogni caso lo salvai, rimisi il cellulare in tasca, mi lavai
i denti e uscii di casa sbattendomi la porta alle spalle.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Il giorno
dopo lei si comportò come se niente fosse.
Non accennò minimamente alla sera prima e io non le chiesi
spiegazioni, rispettando la sua decisione di ignorare tutto e far finta
che non fosse successo niente. Una parte di me si sentì
sollevata e mi ringraziò di non essermi esposta troppo, ma
un'altra aveva sete di verità; voleva sapere cosa provasse
realmente Giuls nei miei confronti, se quello fosse stato un test o
meno, oppure anche solo se ci fosse rimasta male per quello che avevo
detto -o meglio, che non avevo detto-, ma principalmente voleva sapere
se mi stesse semplicemente prendendo in giro o se le piacessi per
davvero, almeno un pochino. Ammetto che avrei tanto voluto
chiederglielo, ma non si può parlare di queste cose con una
persona che magari scherzava e basta per vedere le tue reazioni, no? Se
avesse risposto che sì, effettivamente voleva solo sapere
come mi sentivo e vedere se sarei stata con lei, cos'avrei risposto?
Come avrei potuto reagire o anche solo pensare a una replica? Sarei
morta dentro all'istante e non avrei saputo dire altro che un inutile
'ah', per poi non espormi mai più e cercare di controllare
sempre e comuque le mie affermazioni, i miei pensieri e comunque tutto
quello che le dicevo per evitare dichiarazioni inconsapevoli o cose del
genere, e tutto quello stupido controllo avrebbe solo distrutto la
nostra amicizia, facendole pensare che non me ne importava niente di
lei e che non significava niente per me.
Come va avanti un rapporto se non c'è fiducia?
Io di lei mi fidavo, e non volevo cambiare idea. Chi se ne frega dei
miei sentimenti, meglio la sua felicità. Così
finsi che non me n'importasse e che non fosse successo niente, per
evitare situazioni imbarazzanti e di metterla a disagio. Mille volte
meglio farla sentire bene per pochi secondi che raggiungere il mio
nirvana per cento anni e passare l'eternità senza di lei.
Comunque, curiosità a parte, quella non era una cosa troppo
difficile e potevo benissimo parlarle come prima, mantenendo
però un certo tatto e un po' di distacco, per evitare di
esagerare. Anche se qualcosa dentro mi rodeva alla grande, ero felice
di poter comunque rimanere al suo fianco e chiacchierare con lei del
più e del meno, come se fossimo sorelle o amiche di lunga
data, anche se io mi nascondevo dietro Johnny e pretendevo di esistere
solo sotto quell'aspetto. Ma d'altronde, chi vorrebbe essere me?
Erano passate da poco le due, comunque, quando m'inviò il
messaggio, allegandoci una foto.
"Guarda, questo è il tipo che m'interesserebbe"
Il tipo che m'interesserebbe.
Il tipo che m'interesserebbe.
Le piaceva qualcuno.
Un ragazzo. Un maschio. Un qualcuno che non sarei mai potuta essere.
Mi sentii una povera stupida e mi si riempirono gli occhi di lacrime in
una manciata di secondi, mentre venivo scossa dai tremiti.
Come avevo anche solo potuto pensare che avessi potuto piacerle?
Come avevo anche solo potuto sperare di significare il minimo per lei e
che almeno una parte di quello che mi aveva detto fosse stata vera?
Ero solo un'illusa e potevo solo maledirmi per non essermi data retta
fino in fondo quando mi ero ripetuta che stava solo scherzando e che
non poteva essere vero, perché in mezzo a tutte quelle
meraviglie che la circondavano non aveva senso che s'innamorasse
proprio di me, la piccola stupida ragazza tinta con mille problemi di
salute e di comportamento, uguale a tutti gli altri e senza un minimo
segno caratteristico che la differenziasse dalla massa.
Cioè, dai, andiamo, avrei dovuto capirlo da subito che era
una cosa impossibile e troppo surreale per essere presa sul serio
almeno un po' e che era ovvio che non le sarei mai potuta interessare.
Solo io avevo potuto crederci e sperarci, nonostante tutto, senza mai
scoraggiarmi troppo. Mi sentii un'idiota patentata e scoppiai in un
pianto silenzioso, mordendomi un dito per non emettere suoni e
trattenere le mie reazioni.
Che suono fa un cuore che s'infrange? Che rumore fa un'autostima che
crolla? Cosa si sente quando una persona muore dentro?
Niente? Oh. Bhe, meglio così, se le mie urla di dolore
fossero arrivate fino a casa sua, quella povera ragazza si sarebbe
spaventata a morte e sarebbe arrivata a pensare di essere un qualche
tipo di mostro, mentre invece era l'unica cosa perfetta della mia vita.
Comunque ero crollata completamente, sotto ogni aspetto, e mi sentivo
malissimo. Mi sembrava che qualcuno mi avesse smembrata dall'interno,
lentamente, senza recidere niente di vitale e lasciandomi solo la forza
per piangere e maledirmi in continuazione. Ero solo una scema, una
dannata scema. Mi ero illusa troppo e la verità era
finalmente venuta a galla, dopo tutto quel tempo, frantumando tutti i
miei sogni e quelli che mi sembravano dei problemi seri, ma che invece
erano solo delle altre stupidaggini.
Quindi era questo che provava realmente.
La notte prima mi stava solo prendendo in giro, cercando di capire
cos'avrei risposto a un'ipotetica domanda di quel genere e domandandosi
se sarei andata nel panico o se sarei rimasta cosciente e controllata
per tutto il tempo necessario. Grandioso. Decisamente grandioso. Mi
sentii invadere da un senso di nausea e amarezza e mi strinsi la vita
tra le braccia, cercando un po' di conforto in un abbraccio alquanto
patetico e da persona sola, e in un certo senso lo trovai. Mi asciugai
gli occhi con le dita e cercai di calmare il mio respiro almeno un po',
alla ricerca di un minimo di autocontrollo e di capacità di
parlare.
Non potevo lasciarla lì così, ad aspettare una
semplice risposta per tutto quel tempo, sarebbe parso troppo sospetto e
comunque lei avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava, oppure,
nella peggiore delle ipotesi, avrebbe frainteso e pensato che non me ne
fregava niente, e allora si sarebbe sentita ferita e se la sarebbe
presa, smettendo pian piano di parlarmi e facendomi soffrire ancora di
più, senza neanche sapere cosa mi avessero provocato le sue
otto parole, sparate lì alla leggera e senza troppe
riflessioni.
"Dio, basta dolore," sussurrai, prendendomi il viso tra le mani e
premendo i palmi contro le mie guance.
Risposi di sicuro con qualcosa di stupido e irrilevante, visto che l'ho
rimosso praticamente subito. Sicuramente le avrò chiesto
come si chiamasse il suo lui, come andassero le cose tra loro, se
fossero amici o se lui fosse fidanzato con qualcuno, per poi dirle che
non si doveva preoccupare, che le cose tra loro sarebbero andate alla
grande e che non ci sarebbe stato nessun problema, perché
lui si sarebbe innamorato subito di lei. E lo pensavo davvero;
d'altronde quale ragazzo potrebbe mai rifiutare una creatura
così bella e dolce, sapendo che lei non scherza nel
chiedergli di stare insieme perché lo ama davvero tanto?
Nessuno. Nessuno con un cervello o con un cazzo funzionante, che alla
fine in molti casi è la stessa cosa. Però il
pensiero che lui avrebbe potuto accettare di mettersi con lei solo per
approfittare della sua bellezza e portarsela a letto era troppo brutto
da sopportare, mi faceva star male e mi faceva rodere lo stomaco senza
sosta. Non poteva succedere una cosa del genere, non a lei, non l'avrei
mai sopportato. Però non potevo neanche parlare con lui o
dirle di stare attenta visto che, onestamente, chi è che
pensa che il proprio ragazzo finga di essere innamorato di lei solo per
arrivare nelle sue mutande? Nessuna. Cioè, sì,
forse dopo una relazione, ma nel momento in cui l'amore ti ha colpita
proprio in mezzo agli occhi non arriveresti mai a realizzare una cosa
del genere, mai. Cercheresti sempre un'altra soluzione, giustificando i
suoi comportamenti schifi fino allo sfinimento, e la cosa è
più che normale. Solo che, sapendo quello che sarei arrivata
a fare per lei, l'idea che qualcuno avrebbe semplicemente potuto
approfittarne mi faceva rosicare da morire e non volevo neanche
considerarla possibile, perché lei si meritava solo qualcuno
che riuscisse a farla sorridere sempre, non il primo idiota che
passava. Certo, non conoscevo per niente lui e sapevo che lei non era
quel tipo di ragazza, ma mi sentivo così stupidamente
protettiva nei suoi confronti da scandagliare anche la più
remota delle possibilità, pur di avere un piano completo
della situazione sotto gli occhi.
Non doveva soffrire. Mai e poi mai.
Sospirai a fondo e mi appoggiai con le spalle al muro, lasciando
correre nuovamente le lacrime lungo le mie guance arrossate. Mi
congedai con la prima scusa che mi venne in mente, consapevole che me
ne sarei pentita, e scoppiai in un pianto silenzioso e senza speranze,
senza neanche provare a smettere. Dicono che l'amore uccida, e io mi
sentivo decisamente più morta che viva, anche se buttarmi
giù era la peggiore cosa da fare in un momento come quello.
Però non riuscivo a liberarmi da quei pensieri oscuri,
più pesanti di ogni materia che avessi mai conosciuto e
più tristi di quanto uno s'immaginasse che fossero. Non
l'avrei mai conquistata. Non avrei mai potuto dichiararmi e sperare in
un "ti amo anch'io, sai?" Non avrei mai potuto parlarle e dirle che era
la cosa più importante per me. Non avrei mai potuto fare
niente per farle capire quanto l'amavo senza suscitare la sua
pietà o portare del senso di colpa nel suo cuore. Avrei
dovuto tenermi tutto dentro, ancora, e non lasciarlo uscire mai,
neanche nel peggiore dei casi. Avrei dovuto tenermi dentro quel segreto
per tanto, troppo tempo, prima di poter cominciare a sperare in un
cambiamento dentro di lei e nella loro eventuale rottura. Avrei dovuto
aspettare settimane, forse mesi, prima che la figura di lui le
abbandonasse la mente, e dopodiché altre settimane per far
passare lo sconforto e il senso d'inadeguatezza da lui causati, poi,
forse, avrei potuto fare un passo avanti. Ma sarebbe stato comunque
inutile, perché una persona come me attira solo persone in
cerca di aiuto, aspiranti suicidi, approfittatori o ingrati; e lei non
apparteneva a nessuna di quelle categorie. Direi per fortuna, ma per me
non era una fortuna, anzi. Ormai ero completamente sicura che non avrei
mai avuto una buona possibilità ora che era entrato in campo
lui, e niente mi aveva fatto pensare che forse avrei potuto farcela
comunque, in qualche modo, e che la partita non era ancora finita.
Improvvisamente il mondo mi parve più grigio e triste di
quanto non fosse stato negli ultimi tempi e mi sentii sola come non
mai, mentre piangevo tutte le mie lacrime, nascosta da tutto e tutti, e
mi sentivo scivolar via tutta la speranza assieme al dolore.
Non avrei mai fatto breccia nel suo cuore. Mai.
Ed ero finalmente stata costretta ad accettarlo, volente o nolente che
fossi.
Mi abbandonai allo sconforto e passai il pomeriggio chiusa in camera a
fissare il vuoto, ignorando tutto quanto. Non m'importava
più niente di nessuno, ora che l'unica che desideravo voleva
un altro, e sentii l'apatia chiamarmi sempre più forte, con
voce dolce e suadente, e mi chiesi se non fosse la cosa migliore da
fare, per me e per tutti. Accarezzai l'idea per un po', poi mi tirai in
piedi, girai la chiave nella toppa e andai in bagno a lavarmi la
faccia. Al diavolo l'apatia, le sarei stata vicino fino alla fine e
chissene frega dei miei sentimenti. Non sarebbe cambiato niente.
L'amavo troppo per ignorare e buttare all'aria tutto, e sarei rimasta
cosciente tutto il tempo necessario, per quanto avesse potuto far male
e per quanto avessi potuto soffrire. Giulia veniva prima, sempre e
comunque.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
I
giorni successivi? Facilmente riassumibili con la parola merda ripetuta
almeno trenta volte. E, in effetti, quello non basta neanche a lasciare
intendere un ventisettesimo quanto cazzo abbia sofferto. Ma si sa, per
amore si diventa stupidi e si perde di vista tutto quello che
può far bene a se stessi, concentrandosi sugli altri e
cercando di farli sempre sorridere, perché i loro sorrisi ti
danno forza, ti fanno sentir bene, danno un senso alla tua esistenza. E
poi ci si ritrova dietro lo schermo di un computer a piangere tutte le
proprie lacrime per una persona che non ti ha neanche mai considerato
così importante per lei come invece hai fatto tu, povero
innamorato incompreso. Ma ehi, quando si arriva a questo punto ormai si
ha perso ogni rispetto per se stessi, ogni goccia di autostima, ogni
cellula del proprio cervello - si è nati e rimorti attorno a
questa persona, che ti sembra un dio, un adone, un qualcosa di
superiore che puoi solo amare e riverire fino alla fine della tua vita,
e non te ne frega più niente di starci male. Vuoi il meglio
per lei, non per te; non per il tuo stupido io inutile e odiato da
tutti, non per la tua persona fragile e devota, non per il tuo essere
senza valore e spina dorsale, pronto a rinunciare a tutto pur di
donarlo a lei. Non vuoi essere felice, vuoi che la tua persona speciale
sia felice, e appena lo realizzi ti fai in quattro per assecondarla,
per essere lì con lei, per aiutarla, per farla sfogare, per
riderci insieme o anche solo per passare il tempo; perché
alla fine il tempo passato con lei è il migliore del mondo,
ti fa sentire diverso, cambiato, ti fa camminare sulle nuvole e
respirare nello spazio. E poi appena se ne va ti sembra di
accartocciarti come una foglia divorata dalle fiamme, ti senti
diventare piccolo piccolo e perdi la linfa vitale che ti ha sempre
corso nelle vene, comincia la tua discesa verso l'inferno che
è la terra e ti ricordi improvvisamente che non sei un
alieno, che non sai volare e che non puoi neanche respirare l'aria
rarefatta che circonda il pianeta, quindi cadi, cadi, cadi, e soffri in
silenzio, anche se il dolore sembra lacerarti dentro. Perché
alla fine è l'unica cosa che puoi fare, soffrire, non puoi
certo andare da lei e dirle 'no, non andartene, senza di te sono
perduta' senza sembrare follemente innamorata di lei. Quindi la guardi
solo passare offline e allontanarsi dal computer, stringendo tra le
dita il pezzo di stoffa che hai stritolato durante tutta la sua
permanenza e cercando di mandar giù il groppo che ti si
è formato alla gola e che proprio non se ne vuole andare,
perché vuole lei, vuole la tua anima gemella, vuole vedere i
suoi occhi luminosi e i suoi capelli spumeggianti, e non vuole solo
immaginarseli. Vuole vederli muoversi spinti da un soffio di vento,
vuole vederla muovere le sue labbra perfette per formare un sorriso,
vuole vederla ridere e chiudere gli occhi con quella mossa carina che
fa ogni volta che è imbarazzata, vuole semplicemente
colmarsi di lei fino allo stordimento, perché sa quanto sia
importante per lei. Vuole viverla, vivere ogni secondo di lei, fino a
lasciarla stravolta e senza fiato, fino a vederla invecchiare e
diventare più saggia, fino a vederla diventare davvero
felice, fino a capire che, alla fine, non ha bisogno di te. E a quel
punto lo realizzi, ti rendi conto che ha la sua vita, le sue amiche, i
suoi giri, e che tu rimarrai sempre un qualcuno con cui lei
parlerà per noia, per buttare fuori un peso, per
pietà o perché comunque non ha niente di meglio
da fare; e ti senti morire. Ti senti morire, ma non vuoi lasciar
perdere, così la cerchi, la cerchi, la cerchi, fino a che
non se ne va, fino a che non fugge di nuovo dalla tua vita, fino a che
non scompare nel buio come una candela consumata. E allora rimani
lì, immobile, a leggere e rileggere la vostra conversazione,
e sorridi, sorridi come un pazzo, tiri fuori un pezzo di carta
stropicciata dalla tasca e cominci a scriverti tutto quello che vi
siete detti, in modo da rileggertelo poi a scuola e sentirla vicina,
anche se c'è un oceano di acqua e paure che vi separa, anche
se temi che non possiate mai essere più che amici, anche se
sai di non significare poi più di tanto per lei. Finisci di
copiare, rileggi tutto in cerca di errori, sospiri e chiudi il
computer. Domani sarà la stessa cosa, il giorno dopo pure e
così via fino allo sfinimento, finché non devi
partire, finché non sei costretto a lasciarla,
finché qualcosa non ti obbliga a dire basta e non cercarla
più per un po' di tempo. Ma anche lì la pensi, la
pensi tutto il giorno, il suo volto sorridente ti tortura e ti appanna
gli occhi di lacrime, senza stancarsi o darti un attimo di tregua. La
notte, il giorno, a scuola - non c'è momento in cui tu
riesca a dimenticarla, e quando poi torni a casa e ti scusi, le chiedi
come sta e lei ti dice che le sei mancata, allora ti senti bene con se
stessa e ti senti in dovere di darti un'altra opportunità,
perché, dopotutto, sei nata per amarla e lo farai fino alla
fine. E lo fai, alla fine, lo fai con tutta te stessa, anche se lei
sembra non accorgersene, e fai tutto il possibile per dimostrarle
quanto tu sia leale o quanto tu desideri la sua felicità,
anche a costo di qualunque cosa che ti è cara o di cui ti
è sempre importato. Dimentichi tutto, l'unica cosa che
esiste per te è lei. Anche se l'unica cosa che lei vede
è quello che le piace, anche se lei ha occhi solo per un
ragazzetto qualunque che non la degna poi di così tanti
sguardi. Lei sola esiste e lei sola può farti felice. Non ti
lasci condizionare, sai che è così e che lo
sarà per sempre; quindi aspetti, aspetti e aspetti,
perché, prima o poi, anche lei sarà costretta a
notarti, e a quel punto potrai parlarle in tutta sincerità e
spiegarle quanto sia stata importante per te, anche senza rendersene
conto, anche senza volerlo. E lì ti sentirai Dio.
Tirai su col naso. Un'altra giornata era passata e un altro foglio si
era riempito d'inchiostro; un inchiostro più profondo del
mare e più significativo di mille poesie del tuo artista
preferito, un inchiostro che semplicemente racchiudeva l'essenza della
felicità e che ti permetteva di arrivare sulla Luna con una
sola occhiata. Sospirai. Piegai il foglietto e lo infilai con cura
nella borsa, giù nella tasca segreta, dove nessuno dei miei
compagni avrebbe potuto guardare e trovarlo. Già, i miei
compagni. Chissà che avrebbero detto se l'avessero scoperto;
chissà se mi avrebbero seppellita di 'mi dispiace' e frasi
carine, come fanno tutti gli amici nei telefilm americani di fine
luglio, o chissà se mi avrebbero presa in giro o, non so, se
mi avrebbero detto che me lo meritavo perché alla fine non
ero tutto sto granché ed ero andata a pescarmi una preda fin
troppo eccessiva per me, e che quindi era ovvio che sarebbe successa
una cosa del genere. Chi lo sa, nella peggiore delle ipotesi sarebbero
stati semplicemente schietti e molto diretti, e avrebbero avuto pure
ragione, visto che non sono mai stata una ragazza particolarmente
bella, con tanti ammiratori o comunque circondata da gente che le vuole
bene e che è pronta ad appoggiarla in ogni sua mossa, ogni
giorno, nella vita reale. Per carità, su internet avevo
tanti amici, tante persone mi cercavano per chiedermi dei consigli
sulle loro vite o per raccontarmi com'era andata a finire con il loro
migliore amico, l'interrogazione di matematica o col loro fidanzato e
tanti killjoys venivano da me per raccontarmi delle loro esperienze
negative; ma quello non si può davvero contare come essere
ricercati, in quanto la gente nella vita vera mi ripudiava alquanto e
non mi considerava all'altezza di stare in sua compagnia, visto che ero
la sfigata, la timida, quella senza uno straccio d'amico. Ed
effettivamente non mi piacevo molto neanche io, quindi non potevo per
niente biasimarli o incazzarmi con loro; potevo solo tacere ed annuire,
perché alla fine non si sbagliavano più di tanto.
Ma si sa, alle medie e alle elementari i ragazzi sono cattivi,
calpestano gli altri per diventare popolari e non si curano di alcun
sentimento che non sia il proprio, quindi non mi pesava quasi neanche
più. Cioè, la mia autostima ne risentiva anche
troppo, ma non potevo incolparli e basta, non era nel mio carattere e
non avrebbe risolto nulla comunque, quindi mi limitavo a ignorarli e a
concentrarmi sui miei compagni nuovi, visto che all'inizio del liceo
non si può dire assolutamente nulla.
Mi alzai in piedi e spensi la luce, ignorando le urla arrabbiate di mia
madre e mettendomi a letto, tirandomi le coperte fin sopra la faccia e
sparandomi la musica dritta nelle orecchie. Come al solito, pensavo a
lei. Il quattordici febbraio era dietro l'angolo, ormai, e non speravo
neanche più di riuscire ad avere l'occasione giusta per
dichiararmi o anche solo spedirle un regalo, quindi il mio umore non
era esattamente dei migliori e la mia voglia di continuare a provare si
era persa per strada, per non essere più volgari. Avevo
pensato alla frase da dirle, a come avrei potuto comportarmi, perfino
al fatto che a dirglielo sarei stata io attraverso il mio profilo reale
e non quello di Johnny, ma semplicemente mi mancavano il coraggio e
l'occasione, visto che lei era comunque innamorata persa di un qualcuno
che non ero io e non potevo espormi così tanto senza mandare
a farsi fottere qualcosa del nostro rapporto; così tacevo e
aspettavo, senza rassegnarmi, il giorno in cui sarebbe finito tutto e
in cui avrei finalmente potuto essere sincera.
"E tu spegni quel cazzo di ipod, stronza!" la voce incazzata di mamma
si sentiva pure dal mio rifugio, quindi abbassai il volume e mi tolsi
un auricolare, giusto per sentirla andar via e sbattere la porta con il
suo solito modo stanco. Rimasi immobile ad ascoltare il silenzio per un
paio d'ore, mentre tutti dormivano, poi accattai il telefono e scorsi
la rubrica fino ad arrivare al suo nome, quindi mi fermai e rimasi a
rimirarlo per un po', passandomi il cellulare da una mano all'altra e
canticchiando la prima canzone che mi era passata per la testa. Le
inviai un 'buonanotte amore' e posai la testa sul cuscino, lasciando
ricadere il telefono al mio fianco e tornando a sognare un mondo in cui
io e lei non solo eravamo più che amiche, ma eravamo anche
vicine e sempre insieme, come se niente avesse mai potuto separarci,
come se non avessimo mai dovuto temer nulla, come se fossimo esistite
solo noi due. E in effetti per me era così, lo era sempre
stato. Si era trasformata nel mio mondo, e non potevo essere
più felice.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1044700
|