Don't Belive All you Read in the Bible; (Love's the Real Miracle).

di MrBadGuy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Made in Hell This One Too. ***
Capitolo 2: *** I Don't Want to Miss a Thing. ***
Capitolo 3: *** Leave me Alone. ***
Capitolo 4: *** They Lost the Game of Love. ***
Capitolo 5: *** Eclipse. (All you distruct, All you Save). ***
Capitolo 6: *** Help! ***
Capitolo 7: *** Hell for Everyone. ***
Capitolo 8: *** A Hard Life. ***
Capitolo 9: *** I'm Almost Ready. ***
Capitolo 10: *** The Same Old Games. ***
Capitolo 11: *** Lust. ***
Capitolo 12: *** Br(m)other Love. ***
Capitolo 13: *** Like a Rolling Stone. ***
Capitolo 14: *** What it Takes. ***



Capitolo 1
*** I Made in Hell This One Too. ***


 “Potrebbe accadere in qualunque momento, ma non potrei mai permettere che qualcosa di nostro morisse” continuò John, investito dalle sue stesse parole, travolto in pieno nella spirale delle sue, delle loro emozioni, Anthea lo azzittì baciandolo, gli buttò le braccia al collo e sfiorò le labbra con le sue, le carni rosee si cercavano, una con l’altra,
“Di nostro non morirà mai nulla, ricordatelo”.
Anthea e John si guardarono negli occhi e si resero conto, così, all’improvviso, di essere due ragazzini, “Credi che si rimetterà tutto a posto?”
“No, mai” sentenziò il bassista, mettendosi una mano in tasca, stringendo, con l’altra, quella della sua amata.
“Domani pomeriggio Dorothy verrà a casa mia per chiedere delle informazioni a David. Mi dispiace, non posso fare nulla per fermarla” la biondina abbassò lo sguardo e lo tenne basso fino al momento in cui John le mise due dita sotto al mento e dolcemente le fece alzare il viso.
Si promisero che non ne avrebbero più parlato, per un po’…

“…E questi in parole spicciole sono i passaggi che si seguono per abortire”, David guardava le sue ragazze, sudava freddo, temendo che quel consiglio fosse per sua sorella.
La spiegazione che aveva fornito non era sufficiente a chiarire tutti i dubbi di Dorothy, ma si sa, alcune domande non hanno risposta, forse è meglio così.
Anthea gli strinse una mano e lui quasi si sentì mancare, convinto che da un momento all’altro gli avrebbe detto di aver bisogno di…
Non riusciva a pensarci.
Poi il silenzio venne rotto dalla voce di Dorothy, che uscì dalle sue labbra in modo differente, adulto: “Non posso tenerlo, non posso promettergli un futuro. Non posso farlo nemmeno a me stessa, figurati a una piccola creatura indifesa che dipenderebbe in tutto e per tutto da me”,
“Non sono qui per giudicare, io”, David sfoderò una freddezza degna solo di uno del suo mestiere.
In un gesto di doloroso assenso, la moretta accettò la realtà: non poteva tenerlo, anche volendo non ne avrebbe avuto la possibilità.
“Va bene” sospirò David grattandosi la testa.
“Domani mattina chiamami per farmi sapere, ok?” Dorothy istintivamente si toccò il ventre attraverso il cotone leggero della maglietta enorme che indossava sopra a un paio di jeans che la sua amica avrebbe definito “più che da buttare”, un po’ perché erano vecchi e piuttosto rotti, un po’ perché ad Anthea la zampa di elefante proprio non piaceva.
La biondina la guardò contrariata, “Interessa a te, dovresti preoccupartene tu”, già odiava il fatto che Dorothy non volesse parlare a Roger dell’accaduto, solo all’idea che lei si permettesse di essere come sempre, la mandava fuori di testa.
Uno sguardo di sfida incatenò i quattro occhi delle ragazze, in piedi l’una davanti all’altra, “Anthie, non fare così, è già abbastanza difficile, ok?” c’era una punta di isterismo nella voce della mora,
“Ti ci sei cacciata tu in questo guaio, te ne ricordi?”
“Fanculo”, Dorothy se ne andò con le mani in tasca, profondamente offesa dal comportamento della sua amica, che più che aiutarla sembrava che volesse fare il contrario.
Eppure Anthea non voleva ferirla, anzi, si sentì quasi in colpa per il modo in cui aveva trattato la moretta, che aveva un estremo bisogno di comprensione.
Anthea non voleva pensarci, quindi dovette cercare una vita d'uscita, “Pronto?” John Deacon aveva risposto al telefono a bassa voce, probabilmente preso a fare qualcos’altro, tipo montare uno dei suoi marchingegni che gli servivano per qualcosa che la sua fidanzata non era in grado di capire,
“Sì, sono pronta, quando ci vediamo?”, la risata inconfondibile e cristallina della biondina fece sobbalzare lo studioso, che fece cadere per terra l’aggeggio a cui stava lavorando,
“Malediz… Sì amore, quando vuoi!”
“Fra quindici minuti al solito posto, ok?”
“Io…”
“Ti aspetto lì, non ritardare, ciao!”.
La sua camera era un casino, sentiva il bisogno di farsi una lunga doccia bollente, sua mamma gli aveva affidato un migliaio di commissioni, eppure, John Richard Deacon uscì in fretta dopo cinque secondi passati sotto l’acqua fredda, (non aveva di sicuro il tempo di mettersi a trafficare con i pomelli dell'acqua, lui!), dimenticandosi del resto del mondo.
-Dai John, lo sai che se arrivi in ritardo Anthea diventerà furiosa-, si ripeté un paio di volte, incentivandosi a camminare più velocemente, -E poi stai morendo dalla voglia di vederla.
 Bastò girare l’ultimo angolo per vederla, ed era lì: con addosso un paio di pantaloni a vita alta e una camicetta bianca infilata al loro interno, i capelli meravigliosamente sistemati su una spalla; gli occhiali da sole calcati sul naso.
John pensò che niente avrebbe potuto superare la bellezza di quella visione, se non quella in cui lei era nuda, seduta su di lui, mentre, con il viso contratto in un’espressione di puro piacere, gli graffiava il collo e ansimava.
“Ciao” la biondina gli andò incontro, gli cinse il collo con le proprie braccia e posò un bacio delicato sulle labbra del suo fidanzato,
“Scusa per i…”, un altro bacio;
“No, scusami tu; probabilmente ho interrotto qualcosa di importante che stavi facendo… Ma morivo dalla voglia di vederti”

 
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Ciao a tutti!
Questo è il sequel di Made in Hell, finalmente anche io mi sono decisa ad attivarmi!
-Si, sa, con i miei tempi...-
Insomma, i personaggi principali sono John e Anthea e ovviamente si parlerà anche degli altri, Dorothy e Roger in primis.
Comunque, cronologicamente si svolge appena dopo Made in Hell, al contrario del sequel di Cath che si svolge sei anni dopo!
Ah sì!
Vi linko qui le due storie di cui vi ho parlato sino a ora, ve ne consiglio la lettura, anche se questa storia può essere tranquillamente letta senza collegarla alle altre.
-Credo.-

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=794225" Made in Hell
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=906575&i=1" When You're Screaming in The Night
A presto!
MrB.

 

 


 

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Capitolo 2
*** I Don't Want to Miss a Thing. ***


“Dai, vieni dentro, facciamolo” Anthea tirava John per il colletto della polo, cercando di fargli varcare la soglia della porta di casa,
“Ma...” –Fanculo tutto-, si disse il ricciolino, chiudendosi la porta dietro le spalle, stringendo la sua ragazza fra le braccia, baciandola con foga.
 

I could stay awake, Just to hear you breathing;
Watch you smile while you are sleeping;
While you’re far away and dreaming.
 

Era bellissima mentre dormiva, rannicchiata sotto al lenzuolo, perfettamente stretta attorno al braccio maschile e slanciato di John, che cominciava a non sentire più il proprio arto, forse non gli passava il sangue fino alla mano; dopo essersi districato da quella morsa che poteva essere anche letale, il bassista posò le labbra sulla tempia coperta di boccoli biondi.
Il viso di Anthea, con su dipinto un piccolo sorriso di beatitudine, splendeva nella penombra della stanza in cui i due amanti si erano stretti fino alla fine, togliendosi il respiro a vicenda.
Chissà in quel momento che cosa stava vedendo, cosa veniva proiettato sugli schermi neri che erano le sue palpebre.
 

Laying close to you,
Feeling your heart beating.

 
John si adattò alla forma di Anthea, si strinse attorno a lei, poggiandole la testa sulla schiena.
Lì sentì una meravigliosa melodia vitale: tum-tum, tum-tum.
Non c'è niente di più confortante che sentire l’origine della vita della persona che si ama; il cuore è un organo perfetto che cerca di tirare avanti il più possibile, getta la spugna solo quando è stremato, solo quando è stato distrutto da pianti ed estreme gioie.
 

And thank God we are together,
I just want to stay with you in this moment forever,
Forever and ever.
 

Gli sarebbe bastato vivere un’eternità così.
Non gli interessava niente del resto.
Non avrebbe chiesto nient’altro dalla vita.
 

‘Coz even when I dream of you,
The sweetest dream I would never do,

 
Le palpebre divenivano sempre più pesanti, le braccia di Morfeo sempre più strette attorno a John, che si sentiva enormemente stanco.
 

I’d still miss you baby,
And I don’t want to miss a thing.

 
“Ti voglio sposare” disse il bassista quasi dormiente, fra un bacio e l’altro sulla schiena di Anthea, “Ti voglio sposare, davvero” ripeté, in un sospiro sommesso, temendo che Lei si svegliasse e lo sentisse; “Giuro che prima o tardi prenderò coraggio e te lo chiederò per davvero”.
Lui sapeva che avrebbe passato tutta la vita con la sua piccola biondina, ne era certo; l’avrebbe fatta diventare Anthea Bowie Deacon subito, ma John trovò il coraggio di chiederle una cosa del genere solo anni dopo.

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Capitolo 3
*** Leave me Alone. ***


“Come ti senti?” chiese per la terza volta la biondina, afferrando la mano di Dorothy, sdraiata sul lettino dell’ospedale, “Ti fa male?”
“Ancora?! Sto bene e no, non mi fa male”, alcune volte Anthea si preoccupava fin troppo per la sua amica, che aveva bisogno di tutto tranne che di compassione… Forse.
Offesa, la ragazza seduta sullo sgabello incrociò le braccia, stupita di quanto si sentisse ferita in quel momento.
Entrò David e sorrise alle due amiche innervosite, “L’operazione è andata bene, non sentirai dolore; il massimo che potresti avere sarebbero delle piccole perdite di sangue, niente di più”, fece una pausa, “Per il resto dipende da te”.
Essere trattata come una psicolabile o una deficiente, erano due cose che a Dorothy non piacevano, cosa sotto intendeva l’albino con quel “Per il resto dipende da te”?
Aveva forse pensato che non sarebbe stata in grado di fronteggiare la situazione? Perché avrebbe sbagliato: lei poteva farcela e come, con o senza Anthea, con o senza Roger, con o senza medici.
Forse era lei che si stava creando troppi film mentali.
Dorothy non era preoccupata per nulla delle cose su cui il Dottor Bowie la stava rassicurando, quindi si prese la libertà di non ascoltarlo e poco dopo di interromperlo, irritandolo leggermente  “Quand’è che potrò uscire da qui?”, l’idea che Roger la cercasse senza trovarla, o peggio, che potesse scoprire qualcosa, la mandava fuori di testa,
“Penso che domani mattina andrà bene” il dottore appuntò la data di entrata e della futura uscita della paziente sulla cartella clinica.
Era passata anche questa, “Ah, ricordati che fra venti giorni devi fare un test di gravidanza, per sicurezza”.
Le ragazze si ritrovarono di nuovo da sole, “Hai fame?”
“Oddio Anthea, oggi lo vedi John? Perché non anticipi l’appuntamento con lui?”, in quel momento, la moretta aveva bisogno di stare da sola, di prendere un po’ di respiro.
Offesa la più piccola delle due raccolse la sua borsa dal pavimento, “Va bene, chiamami, come al solito, quando hai bisogno” e poi lasciò la clinica passando per il portone principale, situato sulla stessa facciata della finestra di Dorothy, che poté vedere la folta chioma bionda allontanarsi, ben distinta fra le altre.
All’improvviso si sentì mancare, si sdraiò di nuovo sul letto che aveva abbandonato per affacciarsi; non riusciva a capire se si sentiva in colpa per aver ucciso un futuro essere vivente o per aver trattato male una delle persone che più si era più interessata a lei.
O forse, più di tutte le altre motivazioni, era per Roger che navigava nella sua beata ignoranza; lui era stato fortunato ad avere il ruolo più facile, in tutto quel casino, a lei era capitato quello più arduo.
Nessuna impresa, nella vita, l’avrebbe resa più provata di quell’aborto, di quella perdita.
Per un attimo pensò al viso dai tratti malinconici di Tim e si sentì rassicurata, ciò, di riflesso, la preoccupò ancor di più.
Sebbene fosse praticamente estate, il freddo era più che penetrante e insopportabile, questo ad Anthea proprio non piaceva, soprattutto perché aveva il vizio di vestirti molto leggera in quel periodo dell’anno; di tornare a casa non ne aveva voglia, Kensington era piuttosto lontana dal bar in cui si era data appuntamento con John, quindi decise di andare direttamente da lui.
Aveva promesso al suo fidanzato che non sarebbe mai andata a casa sua da sola, perché, a sentirlo, sembrava che la strada fosse frequentata da tipacci, che a lui non dicevano mai niente, ma ogni bella ragazza che passava per di lì veniva esaminata accuratamente e poi giudicata.
John non si infastidiva più di tanto quando la sua ragazza veniva guardata, il problema si creava nel momento in cui qualcuno le urlava dietro qualcosa, o fischiava, o, addirittura, si avvicinava un po’ troppo.
Avrebbe preso tutti i pugni del mondo a patto che la sua piccola non fosse toccata, ma ora lui non c’era.
“Ciao bellezza!” si sentì chiamare Anthea, che si girò di scatto per mandare a quel paese chiunque l’avesse chiamata in quel modo, ma poi si rese conto che era un ragazzo che aveva salutato la sua fidanzata, che, probabilmente, aveva appena incontrato.
John l’aveva mandata in paranoia, infatti, per come l’aveva detto lui, durante la strada che si doveva percorrere per andare a casa sua, si potevano incontratre “maniaci sessuali, drogati e violentissimi ubriachi”.
Insomma, una vasta scelta di gente per bene.

 
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Salve!
Premetto che mi sono sentita molto combattuta su questo capitolo, ma dopo un po' di lavoro mi sono decisa a postarlo.
Che dire, ovviamente il titolo è preso da una canzone che è molto cara e me e Cath: Let Me Live.
Ogni volta diciamo che vorremmo usarla come titolo di un qualche capitolo, ma non la mettiamo mai...
Comunque, io vi prometto che nel prossimo capitolo le danze cominceranno a movimentarsi, e anche tanto!
Per il momento, spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ovviamente, fatemi sapere la vostra!
Grazie a tutti, "Spero di aver passato l'audizione", cit. (Chi la capisce ha la mia stima).
MrB. 


-▲< 

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Capitolo 4
*** They Lost the Game of Love. ***


“Salve!” Anthea sorrise, nel modo che le sembrava il più cordiale e porse alla vedova Deacon il mazzo di fiori che aveva comprato durante il tragitto, “Per scusarmi della visita improvvisa le ho portato un pensierino”
“Ma dai! Non dovevi cara, poi devi cominciare a darmi del tu, oppure alla lunga mi sentirò sempre più vecchia” sorrise la signora, invitando con un cenno della mano la biondina a entrare, “John è in camera sua, penso si stia asciugando i capelli”.
Anthea aprì piano la porta della stanza senza bussare, perché tanto il ricciolino non avrebbe sentito per via del rumore del phon, “Ciao!” esclamò la ragazza una volta arrivata dietro di lui, proprio nel suo orecchio, al che, dopo aver cacciato un urletto tutt’altro che virile, lui la guardò sorpreso.
La ragazza gli si buttò al collo, “Che bello poterti stringere” esclamò, mettendo le mani fra i capelli castani, ancora umidi,
“Ma ciao piccola!” esclamò lui, immergendosi completamente nei fili d’oro profumati che l’avevano sommerso da quando Anthea l’aveva abbracciato, “Com’è che sei venuta qui?”
“Be’, era troppo tardi per tornare a casa e troppo presto per andare all’appuntamento e quindi ho deciso di venire direttamente qui! Non ti dispiace, vero?”
“Come potrebbe?”.
Fortunatamente non le chiese com'era venuta, dando per scontato che David l'avesse accompagnata, oppure avrebbero discusso.
John quasi non aveva il coraggio di dire ad Anthea che era stato invitato da certi amici dell’Università a un pub, quella sera, per una serata fra soli uomini, avrebbe preferito dare buca a tutti i suoi compagni più che vedere la sua fidanzata imbronciata.
“Sai” il bassista prolungò i suoi vocalici “Stasera se non abbiamo programmi, penso che passerò con degli amici in qualche pub, una cosa tranquilla, insomma...”
“No, non avevo alcun programma” sorrise tutt’altro che sincera lei, “Anzi, ho molte cose da fare! Cioè, tipo studiare…” fece spallucce e poi prese uno dei vinili del suo fidanzato e lo mise su.
Cominciò ad ancheggiare sulla voce di Elvis, John non poté fare a meno di arrossire quando Anthea gli mise le braccia al collo e cercò di trascinarlo sulla musica, “Dai, amore, balla con me!”.
“Ma non era una serata fra soli uomini?” il ricciolino guardò contrariato le ragazze, tutte a braccetto con i suoi amici.
Si accomodarono tutti a un tavolo e aprirono i menù, “Io prendo un boccale di birra e sto, oggi voglio tornare a casa sulle mie gambe”
“Facci il piacere” risposero tutti in coro, ridendo, le signorine rimasero composte, ma si lanciarono un sorrisino sotto i baffi,
“Comunque, non vi abbiamo ancora presentato. John, queste sono Lily, Jessica e Sammie!”.
Le tre Ladies tesero la mano in contemporanea, il ricciolo, più imbarazzato che mai, le strinse, una a una, per poi mettere in programma di non parlarci più per tutta la serata.
“Dai John! Solo un bicchiere in più! Sono due dita di vodka, cosa vuoi che ti facciano?”, il bassista, già disorientato, non se la sentì di rifiutare, scolando anche quel bicchierino; la sua situazione si aggravò, quasi non riusciva più a distinguere i suoi amici dalle loro accompagnatrici, che sicuramente non stavano messi meglio di lui.
“Penso che ora… Vado” le parole uscirono biascicate dalle labbra impregnate di alcool di John, che si alzò, lasciando dei soldi sul tavolo “Pagate per me con questi”, poi si avviò verso l’uscita senza riuscire a camminare su una linea retta.
Una volta fuori, la testa scombussolata del ragazzo, decise di portarlo a casa della sua fidanzata, che probabilmente stava dormendo, o si stava rilassando con una cioccolata calda fra le mani, o stava cenando; in realtà non aveva neanche idea di che ore fossero in quel momento.
Una volta suonato il campanello di casa Bowie, ammesso che fosse quello giusto, l’ubriaco si appoggiò alla porta, aspettando che gli fosse aperto.
Anthea non riusciva a dormire: quando David non era nel letto con lei perché aveva il turno di notte aveva un po’ di problemi ad addormentarsi, quella volta, per di più, era anche preoccupata per quel che potesse combinare il suo fidanzato senza di lei.
“Chi è?” chiese dall’altra parte la voce femminile, tremolò, spaventata
“Amore, sono a casa!”
“Ma che c…” Anthea riconobbe subito quella voce e aprì, guardò sconcertata John, che era in condizioni più che penose.
Lo tirò dentro a forza e si mise davanti a lui, dopo che lui era riuscito a focalizzare bene lo sguardo nei suoi occhi “Che cazzo hai combinato?”
“Io…” annaspò nei suoi pensieri confusi il ragazzo.
Qualunque cosa fosse presa ad Anthea, aveva bisogno di uno sfogo fisico: uno schiaffo duro, secco, si abbatté sul viso di John.

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Capitolo 5
*** Eclipse. (All you distruct, All you Save). ***


Il risveglio fu più duro di quanto qualunque umano in realtà si meritasse: un mal di testa tremendo e metà del viso completamente dolorante, erano il contrappasso che John doveva subire per quanto successo la sera precedente.
(Anche se lui ricordava poco e niente.
Non aveva idea di come si fosse potuto procurare quel tremendo fastidio alla guancia).
Si guardò attorno confuso, realizzando che quella non era camera sua o il suo letto e il suo odore non era nell’aria; c’era un dolce sentore di zucchero filato in quella stanza.
“OH DIO! Sono a casa di qualche puttana che ho conosciuto al pub, ci ho fatto sesso e…”, i pensieri di John di affollarono tutti in un momento.
In un unico flash vide il viso di Anthea ingrigito da un’espressione di pura delusione e rabbia, lei che piangeva, lui che veniva lasciato.
Doveva andarsene da lì al più presto.
Appena mise a fuoco gli oggetti attorno a sé, però, il ragazzo realizzò che gli era andata meglio di quanto si aspettasse, “Ma questa…”…
La camera di Anthea era ordinata e linda.
Si sentì morire di nuovo quando immaginò la scena che poteva aver visto la sua fidanzata la sera prima: lui ubriaco che le bussava, con i vestiti odorosi di alcool e l’alito pesante.
“Oh no” mormorò, raccogliendo i suoi pensieri in due semplici parole.
Quando scese le scale che portavano dal piano in cui vi erano prevalentemente camere da letto, John dovette sostenere lo sguardo accusatore di Anthea, seduta a fare colazione, vestita di un paio di pantaloncini e una canottiera bianca, che lasciavano trasparire molto di quel che Madre Natura le aveva donato.
Lei non disse nulla neanche quando lui prese posto davanti a lei, con fare assonnato, “Amore…” provò a chiamarla John, ma lei esplose:
“Avevi detto che sarebbe stata una cosa tranquilla!” urlò, conficcandogli ogni onda sonora a forza nelle tempie, come tanti piccoli aghi,
“Oddio ti prego…” mormorò, ancor più piano di quando aveva cominciato a parlare,
“Ti prego un cazzo! Mi hai fatto preoccupare! Eri ubriachissimo, avevo paura persino a farti addormentare! Temevo potessi non risvegliarti più!” una puntina di isterismo affiorò nella frase di Anthea, che sbatté un pugno sul tavolo.
Infastidito da quell’estremo nervosismo John scattò in piedi.
Si trovarono uno di fronte all’altro, “Questa mattina ho approfittato per prendere questo”
“Che c…” quando il bassista si trovò per le mani un depliant di un corso di recupero per alcolisti, tese i muscoli come una corda di violino, “Mi prendi in giro?” chiese, alzando la voce di un tono.
La biondina, furiosa, gli diede un altro schiaffo, questa volta sull’altra guancia.
Si guardarono in silenzio, stupiti della reazione di lei; John di sentì diventare un fuoco, per un attimo pensò di urlarle contro, di contraccambiare la violenza, ma della sua rabbia ne lasciò fuoriuscire solo un distillato: “Tolgo il disturbo” ringhiò, uscendo dalla porta d’ingresso, senza che lei lo accompagnasse.
David, che rientrava da un turno notturno piuttosto stremante, non fu contento di vedere un ragazzo, anche se era John, uscire dalla porta di casa sua.
Fortunatamente i due sguardi non si incrociarono, perché sennò Dio solo sa cosa sarebbe potuto succedere.
“Cazzo” ripeteva il bassista mentre camminava a passo sostenuto verso casa, tutto quel che stava succedendo era un inferno: il mal di testa, una litigata terribile con Anthea, suo fratello che lo aveva visto uscire di casa come se avesse passato la notte a scopare con lei, l’esame per l’Università che aveva da preparare.
“Oh, maledizione, l’esame”.

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Capitolo 6
*** Help! ***


“Ciao a tutti…” John cercò di darsi un tono, di mantenere un briciolo di dignità almeno in famiglia,
“Dove sei stato, tu?”
“Mamma… Non penso di avere voglia di parlarne” tagliò corto lui, sorpassando la donna con un grembiule magenta, per raggiungere camera sua, "Comunque ho dormito da Anthea, tranquilla", aggiunse, con un pizzico di sensi di colpa.
Si chiuse la porta alle spalle e si buttò sul letto, lasciando che il braccio destro rimanesse a penzoloni, verso il pavimento.
Più passavano i secondi più l’ansia per l’esame che avrebbe dovuto dare la settimana dopo cresceva, non sarebbe mai riuscito a ripassare tutto quello che avrebbero potuto chiedergli, per di più non aveva neanche voglia di studiare.
Era arrabbiatissimo con Anthea per averlo trattato in quel modo, per averlo umiliato.
"Come se non te lo fossi meritato, John".
E poi David l’aveva visto uscire di casa e il bassista non aveva avuto neanche il coraggio di guardarlo in faccia, aveva temuto di poter incontrare i suoi occhi ghiacciati e piuttosto spaventosi; non avrebbe retto la pressione e probabilmente sarebbe svenuto, oppure si sarebbe pietrificato.
Si sentì meglio un paio d’ore dopo essere tornato a casa, appena ebbe finito di mangiare qualcosa e di darsi una rinfrescata, il ragazzo dai capelli castani si mise sui libri.
Stava piegato sulla scrivania in legno immerso nei conti e nei progetti, ragionava a bassa voce, ma nella testa aveva tutt’altro.
Sul libro di testo non vedeva nessuna delle parole in realtà vi erano state stampate sopra, la mente di John era tutta da un’altra parte, forse ancora non si era ripresa dalla sbronza.
O forse stava entrando in un tunnel di cui non si riusciva a vedere l’uscita.
La porta della camera si aprì all’improvviso, molto nello stile di Anthea, al che il ricciolo sobbalzò, “Senti, per quello che è successo per ieri, mi dispiace” disse tutto d’un fiato John
“Qualunque cosa sia successa io non c’entro niente” esclamò una figura bionda, appoggiata allo stipite, “Oh Dio, che ti è successo? Sei uno zombie!”
“Ah, sei tu Roger… Be’, niente, ho passato la notte a studiare” mentì spudoratamente il bassista, anche se non ne era proprio capace.
Il suo collega musicista capì che non era la verità e in attesa che il suo amico cominciasse a raccontare cosa fosse veramente accaduto, Roger si spalmò sul letto, con un sospiro di sollievo, “Dai, muoviti”
“Sono stato uno stronzo con Anthea”
“E…?”.
Il telefono squillò proprio nell’orecchio di John, che si era addormentato con la testa sulla scrivania, le braccia attirate dalla forza di gravità verso il pavimento.
“Dio Santo” mugugnò il poveretto, a cui aveva cominciato a fischiare un orecchio, “Pronto?” rispose, cercando di sembrare vivo,
“Ciao, sono Liza del corso di matematica, sei John, vero?”
“In persona”
“Ah che bello! Bene, allora, senti, vorrei parlarti di una cosa importante relativa all’ultima lezione del Professore, è un problema?”
“No, dimmi pure”
“Be’, è un argomento un po’ lungo e non ci ho capito nulla… Possiamo vederci per studiarlo assieme?”.
Non era proprio il momento, non aveva voglia di vedere nessuno e per di più non voleva che ci fosse qualcuno da aiutare che lo rallentasse ancor di più, “Va bene”
“Ti va se ci vediamo alle due? Facciamo una sessione di studio lunghissima in un bar e poi ti offro la cena lì, ok? Conosco un bel posto carino, allora siamo d'accordo”, aveva fatto tutto da sola,
“Ok”.
Deciso il posto e l’ora, John dovette alzare il sedere snello, (ma così pesante) dalla sua camera, si infilò una maglietta a caso, prese al volo i suoi libri e uscì.

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Capitolo 7
*** Hell for Everyone. ***


Era uscito, chissà per quale oscura macchinazione del suo cervello, prima di quanto avrebbe dovuto. Forse indirettamente si voleva costringere a chiedere scusa ad Anthea, che probabilmente non l’avrebbe chiamato, se non fosse stato lui a farlo.
Moriva dalla voglia di vederla e al solo pensiero che lei potesse cambiare idea su di loro rabbrividiva, il peso che sentiva all’interno del petto gli stava schiacciando il cuore e i polmoni, persino respirare sembrava difficile.
Quello che lo faceva stare peggio era che Anthea probabilmente in quel momento si sentiva come lui, si era buttata sul divano e non aveva ancora trovato la voglia di alzarsi.
Effettivamente la biondina, appena John era uscito da casa sua, si era buttata sul sofà, fra un singhiozzo e l’altro, senza avere dei pensieri precisi.
“Che è successo, qui dentro?” David varcò la soglia della porta piuttosto adirato, “No sai, sono andato a lavorare una fottuta notte e quando ritorno vedo quello che esce dalla porta di casa” a ogni parola l’uomo si irritava ancor di più, poi guardò il viso umido di sua sorella,
“Senti, non cominciare anche tu, è stata già una mattinata piuttosto difficile”
“Ma se sono appena le sette. Tu mi devi delle spiegazioni”.
Le delucidazioni non tardarono ad arrivare, Anthea, in una valle di lacrime raccontò tutto a suo fratello, che le carezzava dolcemente i capelli e la ascoltava in silenzio, cercando di calmarla, “Vedrai, si rimetterà tutto al suo posto… Magari se ti scusassi per averlo quasi ucciso” accennò un sorriso, poco convinto,
“Chiedergli scusa?” gli occhi sgranati dicevano tutto, il corpo contratto ancor di più,
“Sei tu che gli hai mollato due pizze, mica io… Ora vado a dormire, ho sonno” sentenziò in fine il militare, alzandosi.
Anthea lo seguì mentre lui saliva le scale sfilandosi la t-shirt nera, scoprendo la schiena liscia e muscolosa, “Lui è venuto qui ubriaco, come un coglione! Perché è un coglione!”
“Piccola, tutti sbagliano. Lui non è differente, è come tutti gli altri, non può fare a meno di compiere degli errori… Convivici”, detto così, dopo aver baciato la fronte di sua sorella, David Bowie, (quello non famoso), si sdraiò stanco sul letto e in pochi minuti si addormentò.
Invece di sentirsi tranquillizzata, la ragazza, era ancora più agitata: errori? Non aveva mai visto il suo fidanzato come un essere imperfetto.
John era come gli altri? E allora, se per caso al suo posto ci si fosse trovato qualcun altro, lei sarebbe riuscita ad amarlo allo stesso modo e viceversa?
Ma dov’era il limite agli sbagli?
Qual era quel filo di seta, che, seppur così fino, era decisivo per una relazione?
Anthea non riusciva a visualizzarlo, era come nel mezzo di una tempesta di sabbia, dove tutto era offuscato.
Una mano magrissima si poggiò sulla spalla di John, che era seduto davanti a una Cola ghiacciata, “Ciao!”
“Liza, che piacere vederti” mentì il bassista, mentre si alzava per salutare la sua compagna di studi, che gli stampò un bacio sulla guancia,
(lui sperava in qualcosa di più formale).
Il ricciolo pensò per un attimo che se la sua fidanzata l’avesse visto, in quel momento, avrebbe cambiato colore dalla gelosia, si sentì sinceramente dispiaciuto, meccanicamente si guardò attorno nella speranza e nel timore di vedere quegli occhi verdi fra tutti gli altri.
“Scusa se ti sto rallentando con la preparazione dell’esame!” esclamò l’energica conoscente sedendosi di fronte a lui, “Ma sai, tu sei così bravo e intelligente e non ho potuto pensare che a te per un aiuto”
“Tranquilla… Sono avantissimo con lo studio” –Non è affatto vero, cazzo-.

 
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Salve di nuovo!
Allora, creo questa NdA soltanto per farvi notare che in questa storia ci sono dei riferimenti ad collaborazioni con Cath (Vedete Eyes, o Made in Hell).
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto, sto cercando di crearne di corti, perché secondo me risultano più leggeri, quando vengono letti.
Vi ringrazio per tutte le recensioni ricevute e per le visite, alla prossima.
MrB. 

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Capitolo 8
*** A Hard Life. ***


Quella villa così enorme e architettonicamente studiata al centimetro, era diventata tremendamente opprimente, così, la biondina decise di andare a farsi una bella passeggiata.
Per quanto bella potesse essere, viste le condizioni in cui la signorina stava.
Decise che non c’era bisogno di truccarsi e di mettersi a posto i capelli, bastava mettere un paio di occhiali da sole per non sbandierare al mondo le occhiaie che le si erano create sul viso dal colorito chiaro.
Uscì passandosi una mano fra i boccoli biondi, con la fronte corrugata in un espressione di dolore perché con le dita era incappata in qualche nodo.
I marciapiedi, a quell’ora, al centro di Londra, erano sempre piuttosto intasati, eppure, quel giorno, sembravano così desolati, Anthea vedeva tremendamente vuoto lo spazio alla sua sinistra, sempre occupato da John che le teneva la mano.
La ragazza tirò un sospiro e cercò di distrarsi guardando le vetrine, fortunatamente si era portata dietro dei soldi da spendere.
Far compere la rilassava.
Poi ebbe un flash guardando un negozio di intimo: un bellissimo completino la chiamava, da dietro la vetrina.
Avrebbe fatto pace con John senza fargli delle scuse, ma mostrandogliele.
Sarebbe impazzito.
-Andrà bene-, si convinceva la ragazza, mentre usciva dal negozio con il suo nuovo acquisto nella busta nera e lucida, -Non c’è niente che non può andare in noi-.
“Cuginetta!” uno scimmione alto un metro e novanta l’abbracciò all’improvviso e l’alzò da terra, ridendo,
“Mi hai fatto paura!” esclamò Anthea dopo aver lanciato un urletto,
“Maddai, il tuo cuginone ti ha spaventato? Scusami” la rimise a terra e le diede un bacio sulla guancia.
Luke era un ragazzo simpatico e un po’ goffo, dai capelli rossi e ben pettinati in un ciuffo che più agli anni Settanta, ormai alle porte, apparteneva ai Cinquanta.
 Il ragazzo faceva parte del ramo familiare materno, (l’unico con cui i due fratelli Bowie avevano rapporti, ma questa è un’altra storia), ed era sempre stato molto attaccato ad Anthea e David, essendo loro gli unici cugini che lo avevano accettato veramente, con il suo particolare senso dell’umorismo e la sua pungente sincerità.
“Figurati… Ti va di farmi compagnia?”
“Ma certo! Andiamo a berci qualcosa al bar, sembra che tu ne abbia bisogno, sai?” esclamò lui, mettendole un braccio sulle spalle amichevolmente,
“Hai proprio ragione, Luke” accennò un sorriso lei, consenziente.
Ed eccolo lì: preso a spiegare attentamente tutti i passaggi illustrati sul libro di elettronica, John Deacon parlava in modo disinvolto, sinceramente soddisfatto di poter esporre la sua materia con qualcuno che ne capisse, che potesse partecipare attivamente alla discussione. Ad Anthea non piacque vedere che era seduto al tavolo con una bella ragazza, assorta nei suoi discorsi, anzi, saltò su tutte le furie, “Ti va se ci fermiamo qui?” il ragazzo dai capelli rossi, che inconsciamente indicò proprio quello a cui sua cugina cercava di non pensare,
“Penso sia meglio scegliere un altro posto, il pub accanto magari. Mangiamo qualcosa di più caratteristico…” suggerì lei, più assente che presente, cercando di rimandare indietro le lacrime che si erano appollaiate sul bordo degli occhi.
Luke fece spallucce e attraversò la strada, la biondina invece cominciò a pregare che John la vedesse e che pensasse malissimo, che si sentisse malissimo, che svenisse sul tavolo su cui stava poggiando entrambi i gomiti.
Il ricciolino sgranò gli occhi, in uno spasmo convulso fece per alzarsi e raggiungere la sua fidanzata, che camminava sotto il braccio di un ragazzo che lui non aveva mai visto, era allibito: chi era? Da dove era uscito? Perché Anthea era con lui?
La mano di Liza, di nuovo, si posò sulla sua spalla, “Che succede?” chiese la ragazza, cercando con lo sguardo cosa stesse distraendo così tanto il suo compagno di studio,
“Eh… Io…” sussurrò lui, grattandosi la testa, poi la guardò negli occhi, “Che stavo dicendo?”.
John teneva ugualmente il suo sguardo vigile sulla biondina e quel tipo che sembrava un orso, li osservò entrare nel pub e si sentì morire; poi il suo cervello gli suggerì che la busta che teneva in mano Anthea era quella del loro negozio preferito di intimo.
Lo studioso non poté fare a meno di chiedersi che cosa avesse comprato la sua ragazza e a che scopo e capì che in quel momento non ci doveva pensare, a meno che non volesse scoppiare a piangere davanti a tutti, decise che era meglio andare un attimo in bagno: “Torno subito”.
La luce del bagno lurido del bar aveva deciso di fornire luminosità a intermittenza, ma John non se ne curò e si sciacquò la faccia, trattenendo il viso fra le mani, senza accorgersi che stava piangendo, prese un bel respiro.

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Capitolo 9
*** I'm Almost Ready. ***


“Siete pronti per ordinare le bevande?” il cameriere guardava i due clienti pronto ad annotare le richieste su un blocchetto,
“Per me un’acqua frizzante” l’inespressività regnava sovrana nelle frasi di Anthea, che sfogliava il menù, mentre teneva la testa appoggiata sulla mano sinistra,
“Io prendo una Coca Cola con ghiaccio, grazie”, Luke dopo aver ordinato si girò verso la sua cuginetta e le sorrise.
Non sembrava quella di sempre, il suo viso aveva una piega differente, più adulta, ma in primis più triste, “C'è qualcosa che non va?”
“Hai visto il tipo seduto al tavolo con quella ragazza, al bar qui accanto?”
“Chi? Quello tisico?”, Anthea sorrise alla domanda di suo cugino, lui aggiunse “Lo era davvero!”
“Sì, ma è anche il mio fidanzato”
“Ah… Com’è che non l’hai salutato?”
“Per lo stesso motivo per cui lui non ha salutato me, e comunque, abbiamo discusso di brutto, quindi…” concluse la biondina, mentre le veniva servita l’acqua frizzante in un bicchiere in vetro viola.
“Qualcosa da mangiare?”
“Oh, certo, un hamburger con triplo bacon per me e uno con tantissima maionese per la signorina, e, se possibile, tre porzioni di patatine con tutte le salse che avete!” il gigante sorrise amorevole ad Anthea che scoppiò a ridere,
“Come faremo a mangiare tutta quella roba?”
“Vedrai, avrai addirittura spazio per il dolce quando avremo finito” le diede un buffetto sulla guancia sorridendo ed entrambi bevvero un sorso dai loro bicchieri.
Dal momento in cui John aveva visto la sua fidanzata passeggiare con quello, i suoi neuroni si erano fottuti e non era più riuscito a formare un concetto di senso compiuto, “Senti, non mi sento proprio bene, preferirei tornare a casa” annunciò a Liza ritornando al tavolo essere uscito dal bagno,
“Va bene, sei sicuro di essere in grado di tornare da solo?”
“Sì, penso di riuscirci senza problemi”, dopo aver radunato tutti i libri e averli presi fra le braccia, John pagò quanto consumato alla casa e se ne tornò a casa, il suo rifugio sicuro.
Aveva un buco nell’anima, che se non fosse stato rattoppato in qualche modo, l’avrebbe consumato per tutta la vita, sempre e per sempre.
Cominciava a sentirsi veramente male, distrutto dall’assenza di Anthea talmente tanto che quando arrivò in camera e vide una loro foto, sviluppata una settimana prima, sentì il bisogno di piangere ancora un po’. Tanto aveva tempo per farlo, aveva la sensazione che non si sarebbe presentato all’esame, che l’avrebbe dato qualche mese dopo con le capre del corso, con quelli che generalmente non sapevano un bel niente.
Non ce la faceva neanche a pensare di aprire un libro, dopo la scena che lo aveva straziato poco prima: doveva assolutamente chiamare Anthea e chiarire quanto accaduto.
“Grazie per la cena” la biondina si alzò sulle punte per abbracciare suo cugino, che se ne stava andando da casa Bowie dopo un veloce saluto a David, che a sua volta strinse Luke, che rispetto a lui non sembrava più molto grande.
“Alla prossima, ragazzi!”
“Ci vediamo” l’albino chiuse la porta solo quando suo cugino era abbastanza lontano, sul vialetto, posò gli occhi su sua sorella, “Mi sono fottutamente preoccupato, potevi lasciarmi almeno un fottuto bigliettino per dirmi all’ora fottuta a cui saresti fottutamente tornata?”
“Senti, tu, non parlami a questa maniera, ho una certa età e non devo più avvertire papino che mangio fuori”.
Quelle parole suscitarono delle strane emozioni in entrambi, era inusuale che Anthea avesse detto papino, a David aveva creato una strana sensazione sentire quella parola; dopo tutto quello che avevano passato... La cicatrice del ragazzo pulsò per un attimo, per ricordargli che era ancora lì e che non se n’era andata.
Invece la biondina pensò al ballo di fine anno, quando quelle occupa letto su ordinazione l’avevano schernita davanti a tutti e Dorothy l’aveva protetta.
Già, Dorothy.
Avrebbe dovuto chiamarla per scusarsi, come sempre, di qualcosa che non aveva fatto, doveva cercare di farsi perdonare per degli errori che non le appartenevano; ma sapeva che se solo avesse provato ad aspettare una chiamata della sua amica, Anthea sarebbe diventata vecchia e nel frattempo avrebbe messo su famiglia.
Neanche a farlo apposta, in quel momento il telefono ruppe il silenzio doloroso creatosi fra i due Bowie, ovviamente fu lei a precipitarsi a rispondere:
“Pronto?”
“Allora sei viva, dov’eri finita?”.

 
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Salve!
Non im capita spesso di scrivere delle note alla fine del capitolo, ma questa è un occasione speciale.
Come ben sapete, oggi è il compleanno di mio marito, -?- John e mi sono stupita che nessuno abbia postato/aggiornato qualcosa con almeno un piccolo tributo a lui.
Ed è per questo che io sono qui, no? Ahah.
Insomma, tutto sommato stiamo parlando del creatore di tante Hit dei Queen, nonoché di un grande bassista e cazzone -?-.
Quindi, tanti auguri Johnny!! Ti amiamo tutti quanti ovviamente, (come dice Peter Hince, sei stato uno dei -membri- più grandi della band, lo ha cominciato a dire soprattutto dopo che ti ha visto in costume in piscina). Smetto di delirare.
Si ringrazia l'assistenza di Mr. BlindMan che mi ha ascoltato mentre rileggevo con tono atono tutta 'sta manfrina.
Grazie a tutti per le recensioni e le visite.
MrB.

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Capitolo 10
*** The Same Old Games. ***


“Potrei dire lo stesso di te” affermò la biondina, stringendo la cornetta, felice di sentire Dorothy, ma delusa dal fatto che non fosse il suo fidanzato,
“Sì, hai ragione. Senti, facciamolo veloce e senza dolore: mi dispiace per quello che è successo, scusami. Non parliamone più”
“Oh e va bene” ridacchiò Anthea, contenta che la sua amica avesse deciso di farsi sentire, di risolvere senza particolari tribolazioni.
Cominciarono a chiacchierare e la più piccola delle due gradì pensare ad altro, per un po’, ma il discorso, inevitabilmente, prese una piega fin troppo aspettata, “Con John come va?”
“Non lo so” l’apatia regnava sovrana
“Che caspita vuol dire?”
“Vuol dire che è venuto qui ubriaco e io gli ho tirato due schiaffi, oggi sono uscita ed era seduto a un tavolo con una brutta tr…”
“Non ti scaldare, testina, magari è sua cugina” pensò ad alta voce Dorothy dall’altra parte del filo.
Anthea si innervosì leggermente, ma pensò che era curioso che la sua amica avesse fatto un’osservazione del genere, siccome lei quel giorno si era incontrata proprio con Luke, che era suo cugino, poi realizzò che effettivamente non c’era molto da essere gelosa…
Forse doveva scusarsi con il suo fidanzato, per un attimo ripensò all’espressione di lui, avvilito, quando aveva pensato chissà che cosa ci fosse fra lei e il suo caro parente e si sentì piuttosto in colpa.
“Senti, mi hai aperto gli occhi, devo andare da lui”
“Va bene briciola, fatti sentire e fammi sapere” rispose la moretta, stiracchiandosi, buttandosi sul letto,
“Domani avrai mie notizie”
“Sono ansiosa, ciao!”.
Anthea corse su per le scale di casa, smaniosa di attuare il suo piano, di rivedere John sorridere, di poterlo baciare.
Prese la busta del negozio da cui aveva comprato quel bel completino che avrebbe fatto avvampare il bassista, lei si sarebbe divertita da morire nel vederlo imbarazzato, l’avrebbe baciato, spingendolo contro la parete, una cosa tira l’altra e sarebbero finiti a fare l’amore, come era successo tante altre volte.
Dopo aver messo quella cosuccia speciale, la biondina si infilò una camicetta viola con sotto un paio di Jeans chiari a vita alta, poi uscì di corsa di casa, cercando di arrivare il più veloce possibile a destinazione.
Bussò alla porta e ad aprire fu proprio John, che guardò a terra, con aria stanca, poi alzò lo sguardo e quasi involontariamente corse con gli occhi tutte le curve della persona che si trovò davanti, rimase senza fiato perché non si aspettava di ritrovarsi davanti Anthea e un po’ perché le sue curve gli piacevano tremendamente.
Dopo la felicità più pura venne la paura: e se fosse venuta per lasciarlo?
Senza aspettare che il ricciolino proponesse alla sua ragazza di accomodarsi, lei lo trascinò dentro, tirandolo per la mano, salì le scale con lui e lo portò in camera, lo spinse sul letto lei si accomodò a cavalcioni su di lui,
“Scusa se sono stata stronza. Quello con cui stavo ieri è mio cugino Luke, non... Non devi pensare male... ”, le informazioni erano fin troppe da metabolizzare, per entrambi,
“Non devi scusarti, sono io qui che… Che ho fatto una cazzata e mi dispiace da morire. Quella ragazza di ieri non è nessuno per me, solo una del mio corso di Università, mi ha assillato per far sì che studiassi con lei”, la bionda tirò un sospiro di sollievo
“Non parliamone più, ok?” sorrisero entrambi, teneri
“Ok”.
Si guardarono in silenzio, contemplando uno gli occhi dell’altro, felici di essersi ritrovati, contenti di aver fatto pace, e, per festeggiare, i due si baciarono lentamente, andando per gradi, come se fosse la prima volta.
Un bottone.
Due bottoni.
Tre bottoni.

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Capitolo 11
*** Lust. ***


“Sei…” John passò la punta delle dita sul pizzo nero del reggiseno, che racchiudeva i due cuscinetti abbondanti e morbidi che tanto gli piacevano, “Sei eccitante”, sussurrò lui, nell’orecchio di Anthea, temendo che potesse essere troppo volgare nei confronti della sua amata.
Invece a lei piacque.
“Ah sì? L’ho preso solo per te… Per farmi perdonare”
“Amore, vestita così non hai nulla da farti perdonare” ironizzò Deacon, sorridendo, con la sensazione che i vestiti gli stessero fin troppo piccoli
“Non hai ancora visto tutto”
“Io…”.
In quel momento la biondina si alzò e volse le spalle a John, cominciò a slacciarsi i jeans lentamente lasciando che la cinta tintinnasse, si piegò vistosamente per calarseleli, il bassista la guardava con la patta dei pantaloni gonfia, incuriosito.
Le culottes che Anthea indossava lasciavano ben poco all’immaginazione, se non nulla: erano completamente trasparenti e anche piuttosto piccine.
Non c’era tempo di parlare.
John fu subito sottomesso, non poteva fare a meno di accennare qualche spinta con il bacino; la sua fidanzata si teneva a cavalcioni su di lui, non poteva far altro che cercare il più possibile di sentirlo, sotto di lei, di assaporare le sue sporgenze.
Era incredibilmente piacevole, per entrambi, quella sensazione di pressione sulle parti più sensibili del loro corpo, per ogni secondo che passava, volevano essere sempre più stretti; John non desiderava altro che essere dentro di lei, nient’altro lo preoccupava.
La ragazza non sembrava essere d’accordo con lui. Dopo aver assaporato ancora un po’ quella sensazione di eccitazione quasi estrema, decise di farlo soffrire ancora un po’, di portarlo al limite.
Ad Anthea piaceva da morire vedere John contrarre i muscoli con gli occhi socchiusi e le labbra leggermente divise, mentre lei lo stuzzicava in tutti i modi, con le labbra, con la punta delle dita, con i seni.
Quando, finalmente, il momento più aspettato dal ricciolino arrivò, non poté risparmiarsi in nessun modo, un po’ perché doveva ripagarla per lei sue attenzioni, un po’ perché moriva dalla voglia di sentirla gemere e pregarlo di essere più violento.
 
 
I Want it All and I Want it Now.
 
 
Era così che funzionava fra loro.
Anthea venne più volte, graffiandogli il collo e le mani.
Lui raggiunse l’apice in un’ultima spinta, più fragorosa delle altre. 

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Capitolo 12
*** Br(m)other Love. ***


“Che si mangia?”
“Bistecca con verdure”
“Non mi vanno le verdure”
“Smettila di fare la bambina, devi mangiarle perché ti fanno bene”.
Quando i piatti furono serviti David e Anthea mangiarono in silenzio, inusuale: quando si ritrovano assieme generalmente chiacchieravano il più possibile, così la biondina cercò di buttare le basi per un discorso che durasse più di una frase e mezzo “Com’è andata oggi, a lavoro?”
“Lavoro? Sì, una merda, sono stanco, preoccupato e non ho voglia di tornarci domani, ma…”
“Oh, hai l’umore sotto alle scarpe” sorrise divertita, allungando la mano su quella di suo fratello, maschile e decisamente più grande, “Vedrai che si rimetterà tutto a posto” sussurrò.
Non era così semplice e spicciolo come lo faceva lei, il sorriso canzonatorio perennemente stampato sulle labbra di David, quello con cui riusciva a spiegare la vita in poche parole, era scomparso.
Era incredibile come alcuni impieghi potessero diventare estremamente snervanti, alcune volte,
“Stasera pensi di avere voglia di dedicarmi un po’ di tempo?” azzardò lui, in un momento di ricerca d'affetto disperata,
“Ma certo fratellone”, Anthea scompigliò i capelli chiari dell'albino, che non sorrise mentre spingeva il piatto ancora semi pieno al centro del tavolo, mettendo ufficialmente fine al suo pasto.
Stavano salendo le scale, uno dietro all’altro, David, che stava davanti, rallentava il tutto per via del suo passo stanco, “Che ti prende? Ti senti bene”
“Dipende in che senso” rispose lui, poco convinto,
“In tutti quelli che vuoi, voglio soltanto che tu mi dica come mai stasera sei così giù”
“Senti” lui si girò, una volta arrivati in cima alle scale, mise una mano sul viso di Anthea, che lo guardò per un attimo confusa, negli occhi.
“A volte, capita, quando lavori nell’arma, di vedere cose che speri ti stiano lontane per tutta la vita. Non ti dico neanche che cosa, perché è meglio che tu ne rimanga il più fuori possibile, ok? Ma… Io sto bene, sono solo un po’ scosso, tutto qui. Mi passerà”, posò un bacio dolce sulla fronte della biondina, che mise una mano sulla sua, le dita si intrecciarono e non si lasciarono fino a quando i due arrivarono in camera.
Il letto ricoperto dai cuscini, la coperta verde scuro, i cuscini candidi, fu letteralmente invaso da un corpo piuttosto massiccio e si lamentò sotto il suo peso, “Un giorno di questi lo rompi, ne son certa” ridacchiò la più piccola dei due, infilandosi un paio di pantaloncini sotto una felpa enorme,
“E io sono sicuro che prima o poi, quando ti sarai appropriata di tutti i miei pigiami, sarò costretto a dormire in boxer o con i tuoi vestitini succinti…”.
Siete ufficialmente sfidati a immaginare un militare, alto un metro e novanta per ben ottantotto chili, con i lineamenti del viso tutt’altro che femminili, la barba incolta… Vestito di un reggiseno, un paio di mutandine più simili a filo interdentale, e, ciliegina sulla torta, delle infradito taglia trentotto.
Anthea non poté non cominciare a ridere, fino a sentire dei crampi intercostali che la costrinsero a piegarsi in due, ma non riuscirono a stoppare la sua risata, “Oh Dio” cercò di riprendere fiato dopo alcuni minuti, tempo di far mettere qualcosa di più comodo a David, che poi si era infilato sotto le coperte e aveva allargato le braccia,
“Ti sto aspettando!” la incitò, approfittando della comoda posizione per stiracchiarsi, al che la biondina si fiondò su di lui, con un balzo felino, impedendogli di respirare per qualche secondo per l’impatto.
“Sto per spegnere la luce, per godermi le coccole al buio” annunciò lui, “Qualcosa da comunicarmi?”
“Sì”
“Cosa?”
“Ho un ritardo… Ma Dave, sono pochi giorni, sono nervosa perché a breve c’è una partita importante di pallavolo, ho sopportato molte cose questi giorni. Insomma… Penso che sia per lo stress”
“Spero anch’io, piccola” rispose lui, con il fiato spezzato.
Anthea sentì suo fratello smettere di respirare del tutto, non sentiva più i capelli smossi da quel filo d’aria che lui espirava, vide la mano che la stringeva delicatamente, chiudersi in un pugno.
Quell’attimo le sembrò immenso.
In quel momento non aveva paura di diventare madre giovane, il vero problema era la reazione di David: l’avrebbe mai perdonata per avergli fatto una cosa del genere.
Per averlo deluso?



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"Chi non muore si rivede" 
cit..
Allora, spero di non essere sotterrata istantaneamente come succede in genere con le mie collaborazioni, (aggiornare è un diritto di tutti, ma regolatevi hahah), anche perché è un po' che non aggiorno, e me ne scuso, cercherò di sbrigarmi per le prossime volte.
Cari lettori, piccolo spoiler:
nella prossima scena potremo gustarci una meravigliosa scena DorothyxAnthea (amore lesbo, yee) aahhaha.
Alla prossima, e grazie,
MrB.

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Capitolo 13
*** Like a Rolling Stone. ***


Anthea uscì di casa prima di essere costretta a fare colazione con suo fratello, che la sera prima non le aveva più risposto, aveva spento la luce e da quel momento non si era più mosso, non aveva neanche cambiato posizione nel sonno, ammesso e non concesso che avesse dormito.
L’unica di cui aveva bisogno, in quel momento era Dorothy.
Voleva vedere anche John, ma doveva venire a capo di quella situazione, doveva capire bene il modo in cui era più giusto mettergliela, in modo che lui non rischiasse l’infarto, o l’ictus.
Erano appena le sette di mattina e Anthea desiderava tutto tranne che disturbare l’intera famiglia di Dorothy.
“Maledizione!”, “Cazzo!”, “Porca puttana”, furono le uniche parole che ebbe la biondina mentre raggiungeva la camera di Dorothy arrampicandosi su appigli tutt’altro che stabili, arrivata a metà pensò che la finestra potesse essere chiusa, o che peggio, che Roger fosse steso a quattro (...o cinque) di bastoni sul letto, nudo; la ragazza rabbrividì e per poco non perse l’equilibrio, lanciò un’altra imprecazione, realizzando che non era molto furbo non suonare alla porta, per poi urlare a pochi metri dalle finestre delle camere da letto.
Ovviamente, Dorothy si affacciò, con la faccia di una che non dormiva da giorni, “Ma che cavolo stai facendo a quest’ora della mattina, attaccata alla grondaia di casa mia?”
“Poche storie, aiutami a salire!”.
Dopo delle comiche degne di Stanlio e Ollio, le due amiche riuscirono a trovarsi una davanti all’altra, nella camera della moretta, “Qual è il motivo per cui hai deciso di non usare più la porta di casa?”
“Non volevo disturbare i tuoi…”
“I miei non ci sono… Comunque, che succede? Mi devo preoccupare?!”, certe volte era inevitabile comportarsi come una sorella maggiore, (o una mamma),
“Buono a sapersi, allora… Be’, senti, ho un ritardo e lo so che non sembra, ma sto morendo di paura”
“Lo sappiamo tutti che hai un ritardo me…”, all’improvviso la moretta realizzò, ma tentò di rimanere calma, “D’accordo che la storia si ripete, ma non pensavo fosse qualcosa di così immediato!”.
Anthea si buttò sul letto, si sedette su qualcosa di duro e che scrocchiò, “Cazzo!”, Roger Taylor si alzò di scatto, svegliandosi in modo piuttosto doloroso, “Dorothy, ma perché cazzo non fai at…” mise a fuoco la figura della ragazza dai capelli chiari che lo guardava, con le sopracciglia aggrottate, ci mise un po’ per metabolizzare la sua presenza, “Che…”
“Roger, perché non ti vai a fare una doccia?” lo invitò Dorothy, “Su, su, hop hop!”, seppur lui non avesse capito un bel niente della situazione, era talmente rincoglionito che obbedì senza fiatare.
Anthea pregò Dio che avesse le mutande addosso e lil suo desiderio fu esaudito, rincuorata, almeno in parte, si girò di nuovo verso la sua amica, “Grazie…”
“Di niente sorella” disse di rimando, sedendosi accanto a lei, cingendole le spalle con il braccio destro, “Andrà tutto bene, okay? Cioè, non proprio okay, ma andrà!”
“Io lo spero… Lo spero davvero… Non so come dirlo a John”
“Sii delicata, a meno che non vuoi che ci rimetta qualche organo interno”, in coro, le due, risero.
“Posso usare il telefono, per chiamarlo?!”
“No che non puoi, devi pagarmi il gettone...”, Dorothy fece una pausa e prese un sospiro, "Ma che domande mi fai? Certo che sì!"
Anthea chiamò il suo fidanzato e si accordarono per l’ora in cui si sarebbero incontrati.
John poggiò la cornetta sulla base e riprese a leggere il libro che gli serviva per imparare tutte le nozioni che avrebbe dovuto discutere,  quando il telefono squillò di nuovo, “Piccola, dimmi” rispose, convinto che fosse Anthea,
“Come facevi a sapere che ero io?” Liza dall’altra parte del capo era meravigliata, mentre Deacon si sarebbe sotterrato volentieri, sperava che la terra gli si aprisse sotto ai piedi da un momento all’altro,
“Effettivamente non lo sapevo… Dimmi”
“L’appuntamento di oggi è confermato, vero?”
“Ah sì… Però a un certo punto…”
“Va bene! Corro a prepararmi, non voglio ritardare, a dopo!”,
tu-tu-tu-tu.
Era stato enormemente imbarazzante e strano, non solo perché John era convinto che fosse Anthea ad averlo richiamato, ma perchéLiza aveva creduto che quelle parole dolci, riservate solo e unicamente alla sua fidanzata biondo platino, fossero dirette a lei.
Forse avrebbe dovuto smettere di studiarci assieme, perché lei magari voleva qualcosa di più che qualche spiegazione.
Ma lui era un bravo ragazzo e si disse che non gli interessava alcuna ragazza al di fuori della sua, perciò non avrebbe dato spazio ad alcun gesto confidenziale.
Il tempo stava diventando piuttosto poco promettente, perciò il bassista prese un ombrello al volo, si recò al solito bar.
“Vediamo di fare qualcosa per i tuoi capelli e… Sei uscita struccata?” rise la moretta, accarezzando, tuttavia, amorevolmente i capelli della sua amica, che accennò un sorriso,
“Vogliamo giocare alla bella bambola da truccare e pettinare?” chiese, in tono giocoso,
“Perché no! Aspettami qui bambolina” rise Dorothy, allontandosi verso il bagno.
Ovviamente ci rimase più del previsto, Roger Taylor era ed è tuttora una valida motivazione per lasciare la propria migliore amica ad aspettare interminabili minuti seduta sul letto, piuttosto schifata all’idea di quel che stia succedendo all'interno della cabina doccia... Chissà...
“Eccomi!” esclamò Dorothy, tenendo fra le braccia una trousse degna di una diva di Hollywood, (di cui sapeva usare tre trucchi su un centinaio) e una spazzola dalle setole morbide,
“Mi stravizi! Ho fatto bene a regalarti questo set di trucchi!”
“No Anthie, veramente è il regalo meno azzeccato per me…” osservò l’altra, aprendo il diabolico marchingegno,
“Ma serve a me in occasioni come questa” le fece l’occhiolino la bionda, sorridendo.


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Vorrei farvi notare la battuta di Dorothy sulla "storia che si ripete", coincide con quel che ha detto Snafu/_Mayhem_/Cath/Mami/Papessa Suprema del TaylorCentrismo nella scorsa recensione...
E il capitolo l'ho scritto fin troppo tempo fa ahah.
Come avevo promesso ho aggiornato con tempi più brevi, siete felici? C:
Alla prossima e grazie a tutte,
MrB.

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Capitolo 14
*** What it Takes. ***


Era così affascinante mentre parlava, senza fermarsi, senza indugiare.
Sì, John Deacon era un vero capoccione dell’elettronica e sperava che questa sua attitudine l’avrebbe aiutato nel superare l’esame, di cui sapeva solo metà degli argomenti.
Liza accavallò le gambe e nel farlo se le scoprì ulteriormente, la gonna, già abbastanza corta, si alzò sulle cosce snelle e racchiuse da un paio graziosissimo di calze.
Era già incredibile avere una donna nel corso di ingegneria, figuriamoci averne una così bella.
Non le interessava che John fosse fidanzato o meno, a lei piaceva troppo e non era arrivata fino a quel punto per avere solo un paio di lezioncine sulle materie di scuola, che, fra l’altro, sapeva fin troppo bene.
Anthea li intravide in lontananza, mentre camminava sullo stesso marciapiede, cercò di soffocare un impeto di gelosia, senza riuscirci appieno.
Chissà, forse anche da quella distanza sarebbe riuscita a tirare a quella ragazza una scarpa in testa, prendendola in pieno.
Continuò ad avanzare, a quel punto anche il suo fidanzato la vide,
“Liza, devo dirti una cosa, Anthea...”
“Oh Dio, mi sta per dire che si è stancato di Anthea, questa è la mia occasione!” , Liza sorrise,
“No, sono io a doverti delle spiegazioni”
“Fammi finire, per favore…” cercò di riprendere il filo del discorso John, continuando a guardare dietro la spalla della sua compagna di studi,
“Davvero, so quanto sei timido e non voglio metterti in difficoltà… Lo farò io per te” e in quel momento la ragazza si alzò e posò le labbra su quelle del ricciolino, talmente velocemente che lui non poté neanche reagire.
La biondina, che vide la scena da dietro, si sentì morire, ed ebbe il bisogno di appoggiarsi a un palo della luce per sorreggere il peso del dolore, dello stupore.
Della rabbia.
Deacon, dal canto suo, chiuse gli occhi per un attimo, intimorito da tutta quella aggressività, poi li riaprì e il viso di Anthea era vividissimo, come se gli stesse a dieci centimetri, quando il realtà lo stava fissando a quattro o cinque metri di distanza.
Riusciva a distinguere senza alcun problema i denti che mordevano le labbra carnose, gli occhi inondati dalle lacrime, “Oh cazzo”, pensò solamente, mentre si alzava scostandosi da Liza, che sobbalzò e lo guardò confusa, “Ma che ti prende?”, aveva un tono quasi furioso,
“Che mi prende? Cosa prende a TE! Che cazzo hai in testa!?” John raccattò nevroticamente tutti i suoi libri e cercò di raggiungere la biondina, che era corsa via in direzione di casa.
“Anthea!” chiamò, con la piccola quantità di fiato che gli rimaneva in corpo, ma lei non rispose, non si girò nemmeno: non voleva essere vista in quelle condizioni da lui, non voleva nemmeno dargli la soddisfazione di guardarla negli occhi, perciò stringeva i pugni e camminava.
“Per favore, girati, maledizione!” in un secondo la biondina si sentì tirata per il braccio e fu costretta a ubbidire,
“Che vuoi da me, eh? Dimmi, vuoi masticarmi ancora un po’ e poi sputarmi?”
“Smettila di fare così e lasciami spiegare… Per favore...”, cercò di calmarla John, posandole una mano su un braccio,
“NO!” urlò dandogli una spinta, che gli fece cadere i libri di mano.
I due si guardarono, per un lungo attimo.
“E tu dovresti essere il padre dei miei figli?” riprese Anthea a parlare con qualche decibel di troppo, isterica, “Io non voglio! Più che altro faccio la ragazza madre single!”
"...La... Ragazza madre... Single?
Oh. Porca. Troia".



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MrB. è quiii!
Allora, ragazzi e ragazze, sono qui per dirvi che oggi non ho aggiornato, così, a caso, ma per un motivo in particolare, che Snafu capirà... :), spero che apprezzi.
(Sì, lo so che alla maggior parte di voi non suonerà bene come frase, ma è normale che sia così... Si tratta di un segreto di stato!!).
Capitolo breve ma intenso... E devo dire la verità, questo era l'ultimo che mi ero preparata tanto tempo fa, (o meglio, mi ero scritta solo la prima metà, il resto l'ho aggiunto prima di pubblicare, ma insomma, non potevo non farlo ;) ).
Come al solito ringrazio chi legge e recensisce,
tanto love.
MrB.

(BlueJayWay ti voglio tanto bene! Te lo scrivo anche qui così è ufficiale e non ci son dubbi!)

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