Tra la sabbia e il mare

di Conny 348
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La notte dei desideri ***
Capitolo 2: *** La magnolia della città alta ***



Capitolo 1
*** La notte dei desideri ***


1. LA NOTTE DEI DESIDERI

 

La camera aveva poca luce e poi era molto più piccola di come da giù immaginava. Aveva pensato molto a lui qua dentro e lo immaginava sempre solo, chissà con quale diritto poi …
«Mettiti a sedere, cosa vuoi da bere?»
«Quello che hai purché sia forte»
Sarebbe tornato tra un momento a recitare la sua parte.
Eh già … Perché c’è sempre una parte da recitare, sarebbe stato tutto molto più facile se fosse tornato vestito solo del bicchiere … Poi tornò ed era così bello nell’accappatoio, ed era proprio quello che si era immaginata. Po le sue mani, e ancora le sue braccia … La camera era un flacone del profumo di lui.
Silenzio assordante. Caldo, tanto caldo.
Un letto morbido sotto di lei. Due corpi. I loro.
Ancora più caldo.
Il suo corpo era teso e rigido, l’unica cosa che la differenziava da una statua erano le morbide curve e il dolce calore che emanava. Sentiva il battito del cuore di lui sopra il suo, petto contro petto; non era pesante, anzi era quasi delicato, come se avesse paura di romperla.
Il corpo cominciava a rilassarsi, si vedeva il rosso sangue che le pulsava nelle vene che le dava un sano colorito rosato. La mano di lui tracciava il perimetro del suo corpo, un tocco delicato, come uno sbuffo di vento; ogni centimetro di pelle sfiorato fremeva e si contraeva … Si sorridevano.
Lei le passò una mano tra i capelli folti chiudendo gli occhi. Il letto era grande e comodo, i due bicchieri erano sul tavolo ancora pieni, i vestiti sul pavimento …
Lui continuava ad accarezzarla delicatamente, lei sentiva il suo respiro regolare sul collo: caldo, dolce, buono.
Non sapeva cosa stesse succedendo, aveva perso il controllo del suo corpo, era completamente annebbiata e vulnerabile ma non gliene importava niente. Era lì, con lui, in quella stanza, lontana dal mondo e dagli altri. Non avrebbe potuto chiedere di meglio.
I loro corpi s’incastrarono alla perfezione. Ora non c’era più silenzio. Si sentivano i battiti accelerati di due cuori, i respiri più brevi e frequenti, il caldo era diventato piacevole, piccole goccioline di sudore risplendevano alla luce soffusa. Un momento. Un solo momento. Lei si aggrappò ai suoi capelli scuri sollevando il busto dai cuscini per poi lasciarsi ricadere con un tonfo sordo. Stanca, confusa …
Aveva la sua testa appoggiata al seno, i capelli le facevano solletico. In quella stanza, quel giorno, qualcuno sussurrò un lieve ‘ti amo’ …
Adesso la quiete avvolgeva la casa in un dolce manto, regalando un po’ di tranquillità a quelle due anime tormentate che avevano trovato la pace l’uno nell’altra anche se solo per una notte.
Una lieve brezza marina gonfiava le tende bianche di lino leggero che contornavano le finestre della camera da letto, dove due figure dormivano un sonno senza sogni strette in un armonioso abbraccio infantile.
Chiunque li avesse visti li avrebbe scambiati per una coppia di sposini, spossati dopo una notte di piacere. Ma non c’era nessuno a guardarli. Non erano due sposi, erano troppo giovani, poco più che bambini. Il desiderio di entrambi aveva consumato, bruciato e illuminato le tenebre. Il piacere, intenso e caldo, era solo una conseguenza al bisogno e all’impazienza di lei mischiata alla bramosia e alla lussuria di lui.
La passione aveva tolto loro il fiato, mozzato a metà il loro respiro e prosciugato ogni forza da quei due corpi giovani e pieni di energia, lasciandoli lì, sfiniti, l’una nelle braccia dell’altro, a riposare la mente e il fisico dopo quella notte così lunga terminata in un sussurro.
Chissà come li avrebbe trovati il sole dell’alba. Se l’ansia volgare del giorno dopo si sarebbe tramutata in tenerezza o se la voglia di scappare e non tornare mai più avrebbe prevalso. In cosa si era trasformato quel morboso bisogno che li aveva tenuti uniti per una notte adesso che era mattina?
Mancava un’ora all’alba e le ultime stelle brillavano stanche nel cielo ogni minuto più chiaro, il leggero vento che spirava dal mare accarezzava la pelle abbronzata e inaridita dal sole dei due giovani, ancora stretti in quel dolce abbraccio silenzioso.
La ragazza si mosse, aprì gli occhi e quando realizzò dov’era e cosa era accaduto la notte prima si lasciò scappare un sospiro di soddisfazione. Con molta delicatezza spostò il braccio di lui dai suoi fianchi e scivolò via dal letto attenta a non svegliarlo. Il suo corpo nudo si muoveva silenziosamente per la camera ancora immersa nella semi oscurità, prese una camicia abbandonata sul pavimento dalla sera prima e se la infilò. Prima di uscire sul balconcino che dava sul mare, si girò a guardare il corpo di quello che era stato il suo compagno per poche, fugaci ore: il lenzuolo era scivolato via e lei accarezzava con gli occhi quelle scapole appuntite che sembravano lì lì per trasformarsi in ali.
Le sfuggì un sorriso nel notare i segni delle sue unghie sulle spalle del ragazzo. Era stata aggressiva, gli aveva rovesciato addosso tutto il rancore e la rabbia che aveva dentro. Lo aveva morso, graffiato, aveva avuto il desiderio di fargli male, sapendo che lui non avrebbe osato torcerle un capello. Fece una smorfia di dolore quando girò i polsi per raccogliere i suoi vestiti, li guardò stupita: erano arrossati e gonfi. Li massaggiò per qualche minuto, sapeva come mai le facevano così male. Era stato lui, l’aveva tenuta per i polsi mentre la schiacciava con il suo corpo. La dolcezza che c’era stata all’inizio era svanita nel giro di breve lasciando spazio solo al desiderio maniacale e alla smania di restare insieme sfruttando ogni secondo che quella notte aveva deciso di regalare a loro due. Lei con una forza da leone aveva incendiato quella stanza con il fuoco della passione che da sempre le bruciava nello stomaco e che non aveva mai lasciato uscire. Lui con la maestria dei domatori non le aveva permesso di distruggersi e aveva cercato di contenere quell’impeto spaventoso che non conosceva arginandola con il suo corpo, lasciando che sfogasse tutta la sua avidità sopra, dentro e contro di lui.
La ragazza uscì sul balconcino che si affacciava sul mare baciato dai primi, timidi, raggi di quel nuovo sole che non avrebbe mai visto i segreti del mondo che si nascondevano, protetti dall’oscurità della notte. Le urla dei gabbiani risuonavano nel vento come una promessa da mantenere ad ogni costo, l’odore salmastro saliva dal mare e le lambiva i capelli dandogli un odore strano, profumo di libertà e desideri da realizzare.
I suoi ricci biondo cinereo erano arruffati come il culo di una pecora dopo quella nottata, rientrò piano in camera, socchiudendo lievemente la finestra per non fare rumore ed evitare di svegliare il ragazzo che dormiva ancora come un sasso.
Si sedette sul bordo del letto e cominciò a rivestirsi, molto lentamente, come se le costasse una fatica immane infilarsi di nuovo quei vestiti freddi e un po’ umidi che graffiavano la sua pelle ancora calda. In cuor suo sperava che lui si svegliasse e in un sussurro le dicesse di rimanere lì, insieme, come lo erano stati quella notte. Sapeva che non sarebbe successo, lui avrebbe continuato a dormire mentre lei scivolava silenziosamente fuori da quella camera intrisa dai loro profumi per poi aprire la porta principale e uscire di casa, avrebbe continuato a dormire quando lei si sarebbe ritrovata a camminare sul lungomare con la sola compagnia dei gabbiani e qualche gatto, avrebbe continuato a dormire. Ignaro di tutto quello che succedeva intorno a lui, perso nel mondo segreto dei sogni e del subconscio, immobile in quel grande letto rotondo, però sarebbe stato solo. Al suo risveglio l’unico segno del passaggio di lei sarebbe stata l’impronta del suo corpo sul materasso di fianco a lui, nient’altro.
Con un profondo respiro il ragazzo si voltò dall’altra parte, infastidito dalla luce che filtrava dalle persiane di legno, lei si girò di scatto credendo – e forse sperando – che si fosse svegliato, ma lui continuò a dormire più soavemente di prima. Aveva talmente bisogno di lui che non sapeva chiederglielo. La ragazza rimase a fissarlo per qualche minuto con i suoi occhi a mandorla contornati da un’ombra nera che ormai caratterizzava il suo sguardo. Si alzò cautamente dal letto e chiuse meglio le persiane per evitare che il sole filtrasse e lo svegliasse troppo presto. Non s’infilò le scarpe, le prese in mano e a piedi nudi percorse la camera per raggiungere la porta, mentre appoggiava la mano sulla maniglia, il ragazzo bisbigliò qualcosa nel sonno. Lei si fermò e si avvicinò di nuovo al giaciglio per capire il significato di quel sussurro che in un soffio lui ripeté prima di cambiare nuovamente posizione dandole le spalle. Lei sorrise. Aprì la porta e uscì dalla stanza lasciandolo solo con i suoi sogni.
Qualche minuto dopo stava camminando verso il porto, dove i pescatori rientravano da una nottata di lavoro, alcuni sputavano bestemmie per lo scarso pescato, altri invece facevano porto con un sorriso che illuminava quei volti abbronzati e deteriorati dal sole e dalle intemperie. Uno di loro, vedendo che la ragazza era ferma a guardarli, alzò la mano con un gesto istintivo di saluto, lei ricambiò con un sorriso e un cenno del capo. Si voltò e il sole le colpì in pieno il viso ambrato, rimase qualche secondo ferma, con il sole del mattino dritto negli occhi, poi abbassò la testa e ricominciò a camminare. Ripensò al sussurro del ragazzo e un coraggio leonino le riempì gli occhi, aveva respirato il suo cuore e mormorato il suo nome.

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Capitolo 2
*** La magnolia della città alta ***


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2. LA MAGNOLIA DELLA CITTÁ ALTA

 

Passeggiava sul lungo mare all’alba, non era tornata a casa dopo quella notte. Non aveva voglia di imbastire bugie sul perché era tornata così presto, sarebbe rientrata verso le undici con un sorriso luminoso che non avrebbe fatto insospettire i suoi genitori. Loro credevano che avesse trascorso la notte da una sua amica, le scappò in sorriso, non avrebbero mai neanche lontanamente immaginato che invece l’aveva passata tra le braccia e le gambe di un ragazzo. 
Continuava a camminare guardandosi la punta dei piedi e cercando di fare mente locale per ricordare ogni particolare della sera prima. Si ricordava della stanza e della luce soffusa, il grande letto rotondo con le lenzuola color avorio, il freddo del muro a contatto con la pelle quando si era ritrovata contro la parete avvinghiata al suo corpo, i baci passionali, le mani che correvano veloci … Un brivido le corse lungo la schiena e un sorriso soddisfatto le attraversò il viso.
Il sole tiepido dell’alba disegnava l’ombra della ragazza sulla passeggiata deserta.                                                                
Mentre camminava trascinando i piedi, passò di fianco a un negozio e vide il suo riflesso rispecchiato nella vetrina, si fermò a guardare quella ragazza che si trovava di fronte: stava vagabondando senza meta, all’alba, in un paese deserto, aveva i capelli tutti scompigliati e la camicetta sbottonata. Un’ondata di felicità la travolse. Si passò le dita tra i ricci biondi, si sistemò la camicetta stropicciata come meglio potè e  fece una linguaccia alla sua immagine riflessa prima di andarsene con il sorriso nel cuore. Si mise a camminare più velocemente di prima, non riusciva a stare ferma, brillava nonostante fossero le sei del mattino. Lentamente il paese si stava risvegliando, le panetterie alzavano le saracinesche, i bar preparavano i primi cappuccini della giornata, e i pensionati, con l’immancabile giornale sotto braccio, si salutavano da una strada all’altra urlando qualche parola incomprensibile in dialetto locale. Lei continuava nella sua folle passeggiata mattutina con un sorriso che illuminava più del sole. Stava camminando da una buona mezz’ora quando finalmente arrivò a destinazione. Non c’era nessuno lì, soprattutto a quell’ora del mattino, si accasciò sulla panchina semi nascosta dalla grande magnolia e guardò il mare.                        
L’aveva fatto. Come ci era finita in quella camera, con quelle lenzuola, tra quelle braccia? L’aveva fatto perche lo voleva, lo voleva da impazzire, chiedeva di essere desiderata, cercata, amata. Ci era riuscita, lo aveva assuefatto, lo aveva drogato di piacere e calore, solo per una notte, ma  quello strano, indimenticabile desiderio che li spingeva a stringersi l’uno all’altra non si sarebbe fermato lì, anzi, sarebbe diventato ogni giorno più bruciante. Strappò un fiore bianco dai rami sopra di lei e lo rigirò tra le mani.                            
I suoi occhi al chiaro di luna riflettevano le stelle che la guidavano verso la salvezza, l’aveva guardato a lungo quella notte, l’aveva aspettato per tanto tempo … Lui si era voltato verso di lei e tutto era esploso.                   
Il fiore di magnolia le accarezzava le mani mentre il mare luccicava alla luce di un nuovo giorno d’estate.     
L’avrebbe cercata, si sarebbe sorpreso di non trovarla più sdraiata al suo fianco, nuda e ubriaca di vita addormentata tra le sue braccia. Si sarebbero incontrati quel pomeriggio, più luminosi che mai, uno con addosso l’odore dell’altra e con una notte che li guardava ancora nascosta dietro il sol leone.
 La sua amica le avrebbe chiesto spiegazioni, dopotutto aveva il diritto di sapere visto che doveva reggere il gioco con i suoi genitori, ma lei avrebbe abilmente evitato ogni domanda tuffandosi nel mare e riempiendola di spruzzi gelidi. Erano passate meno di ventiquattro ore e lei voleva già tornare in quella stanza, tra le sue braccia e sopra il suo corpo bollente.
Si alzò dalla panchina e si sporse sulla ringhiera che si affacciava sul mare, si vedevano gli scogli ancora deserti e baciati dal sole.
Si erano conosciuti lì un paio di anni prima, chi avrebbe mai potuto immaginare il futuro? La loro storia era continuata nonostante il dolore, le difficoltà e la distanza che sembrava infinita, ma loro erano rimasti lì. Erano duri a morire. Non l’avrebbero data vinta alla vita, il destino l’avevano deciso loro ed erano disposti a seguirlo a qualunque costo, si completavano. Si nutrivano della sicurezza del cieco amore dell’uno verso l’altra, della luce che gli riempiva gli occhi ogni volta che si vedevano e nelle lacrime che li annebbiavano quando erano costretti a tornare. La silenziosa promessa che sarebbero stati insieme tutta la vita, la consapevolezza e il tacito accordo di non sussurrarsi altro che un timido ‘mi manchi’ tutte le gelide sere d’inverno quando il caldo del piumino non penetrava fino al cuore e lo lasciava freddo e insensibile a qualsiasi cosa che non fosse la voce della persona amata.
Stranamente quella notte era stato diverso, era stata la passione a prendere il sopravvento, non l’amore. Lei se n’era andata all’alba, dopo aver sentito il suo nome morire sulle labbra del ragazzo che amava. Avrebbe voluto rimanere, l’avrebbe voluto con tutta sé stessa, ma il vento le aveva consigliato che sarebbe stato meglio andarsene, tanto lui sapeva che sarebbe tornata, più bella e innamorata di prima.
Si scosse da tutti i ricordi che le avevano violentato la testa.
Si sporse ancora di più sul parapetto dove la pittura verde si stava scrostando, divorata dal sale e dal vento. Il sole era ormai sorto e le spiagge cominciavano a popolarsi pian piano, da lassù sembravano tutti delle semplici formiche. I bambini più mattinieri avevano cominciato a rincorrere i palloni gonfi d’aria mentre i genitori ancora assonnati si sdraiavano sui lettini sperando di riposarsi ancora per un po’. Qualche giovane uomo sfoggiava il fisico modellato prima di tuffarsi nell’acqua per la solita nuotata mattutina, e poi c’erano gli immancabili vecchi pensionati seduti all’ombra di un ombrellone dell’ ‘Algida’ a giocare a scopa. Come ogni estate la storia si ripeteva.
Si appese ai rami bassi della magnolia e si fece dondolare come una scimmia con l’ombelico che faceva capolino dalla camicetta sgualcita. Il cellulare cominciò a squillare interrompendo il flusso dei suoi pensieri, lo sfilò dalla tasca e lesse il nome ‘Francesca’, erano da poco passate le otto del mattino, come faceva ad essere già sveglia? Ah già, il martedì mattina aveva lezioni di francese …  Lo lasciò suonare a vuoto, non aveva voglia di parlare al telefono, l’avrebbe incontrata tra poco più di due ore, che bisogno c’era di rispondere?
Mentre il telefono smetteva di squillare sentì dei passi avvicinarsi. Si sedette a gambe incrociate sulla panchina e guardò in direzione dei gradini, si chiese a chi potesse venire voglia di andare in quel posto alle otto e mezza di una mattina d’agosto.
Da dietro il cespuglio fece capolino un vecchietto, camminava leggermente curvo, le mani intrecciate dietro la schiena tenevano il giornale e gli spessi occhiali a fondo di bottiglia gli ingigantivano gli occhi di un azzurro opaco. Un piccolo bassotto spelacchiato lo seguiva dondolando sulle zampette troppo corte, mentre la lingua gli penzolava fuori dalla bocca.
La ragazza gli fece spazio sulla panchina e l’ometto si sedette di fianco a lei mentre il cagnolino si sdraiava sfinito ai suoi piedi. Si tolse il basco scozzese e si passò un fazzoletto bianco sulla fronte per asciugarsi il sudore mentre la ragazza lo osservava incuriosita.
Il vecchio indicò il mare con un dito tremolante e disse con la voce roca « È bellissimo vero? » la ragazza sorrise abbassando gli occhi a mandorla « Oh sì » rispose « lo è eccome ». L’uomo si girò verso di lei, si sistemò gli occhiali sul naso e le chiese con tono stupito « Ma una signorina giovane come lei cosa ci fa a quest’ora del mattino seduta su una panchina tutta sola?».
La ragazza fece una smorfia divertita, la prima cosa che le venne in mente fu “scusi ma a lei cosa gliene frega di cosa ci faccio io qui?”, poi però si trattenne perché quel vecchio la incuriosiva, le ispirava quasi tenerezza, protezione. «Sono una persona molto mattiniera» -cazzata colossale- si disse «e poi da qui la vista è bellissima, si domina il mare» rispose.
Il veterano si pulì gli occhiali con un panno e la ragazza notò che i grandi occhi cerulei erano offuscati da un velo di lacrime, avrebbe voluto chiedergli se c’era qualcosa che non andasse ma non era sua abitudine farsi gli affari altrui, e tantomeno consolare persone sconosciute.
«Poi questo è il mio posto preferito in assoluto» proseguì lei «è come se tutte le belle cose del mondo fossero racchiuse una ad una nei fiori bianchi della magnolia. Sa, non mi era mai capitato di incontrare nessuno in questo luogo, di solito ci siamo solo io con i miei ricordi a tenermi compagnia» si zittì.
I petali del fiore che aveva tra le mani erano ormai sfioriti e così si alzò in piedi alla panca per prenderne un altro quando sentì la voce del suo vicino che le disse «Potresti raccogliere un fiore anche per me? Ho le anche troppo malmesse per permettermi di arrampicarmi come un gatto sugli alberi»
La giovane strappò due fiori candidi e ne porse uno all’anziano che cominciò ad accarezzarlo con una dolcezza quasi materna, come se fosse un animale da custodire.
«Sai» sospirò il vecchio «tu mi ricordi tanto la mia cara Inès … Ci siamo conosciuti proprio su questa panchina tanti anni fa, me lo ricordo come se fosse ieri, invece il tempo è passato e me l’ha portata via.
Erano gli anni della guerra e io con i miei compagni avevo fatto porto in questo paese dimenticato da Dio e dagli uomini, avevamo l’ordine di non muoverci da qui fino all’arrivo di nuove direttive. Le settimane passavano e non avevamo notizie da nessuno così decidemmo di allontanarci dal porto e dare un’occhiata in giro» si fermò in preda ad un attacco di tosse che termino con una bestemmia soffocata tra i denti «io ero giovane, bello e stupido, poi gli anni mi hanno tradito e io mi ritrovo ad essere solo un vecchio stupido, che cinquant’anni dopo si nutre ancora di ricordi …
Una calda sera di giugno dopo aver vagato per ore senza meta mi trovai davanti a questa grande magnolia e proprio su questa panchina, esattamente dove siamo seduti io e te ora c’era lei. Inès. Ancora oggi il suo nome mi fa vedere l’orizzonte che i miei occhi vecchi e stanchi si sono stancati di cercare.
Non si accorse nemmeno di avere compagnia, era troppo concentrata nelle pagine del libro che teneva in grembo. La osservai di sottecchi, non è mai stato cavalleresco farsi sorprendere da una ragazza mentre la si guarda. Aveva dei lunghi capelli color dell’oro, ricci, disordinati, un lungo vestito bianco di lino leggero che si gonfiava leggermente a causa dello scirocco che spirava da est.  Quando finalmente alzò gli occhi dalle pagine scritte ebbe un sussulto, chiuse di scatto il romanzo e fece per andarsene, ma io le dissi “non trovi che sia presto per tornare a casa? Le stelle compariranno tra non meno di due ore, hai ancora un po’ di tempo prima di tornare a brillare lassù”. Mi sorrise sorniona, e tornò cautamente a sedersi. Mi accomodai vicino a lei. Aveva dei  grandi occhi nocciola che mi scrutavano curiosi e spaventati allo stesso tempo, chiedendosi da dove venissi e cosa ci facessi lì. Erano tempi diversi bambina mia, non era costume che una giovane ragazza si intrattenesse con uno sconosciuto in un luogo così isolato. Ma lei era lì, accanto a me.
“Qual è il tuo nome?” le domandai, “Mi chiamo Inès” mi rispose lei con una voce squillante “e il tuo straniero?” “Io mi chiamo Leonardo” le dissi.
Cominciammo a parlare, oh come parlammo, lei mi capiva meglio di chiunque avessi mai incontrato, mi capiva persino meglio di mio fratello Romeo. Purtroppo quando si è in buona compagnia il tempo mette le ali ai piedi e per lei venne il momento di tornare a casa. Non ci demmo nessun appuntamento, però il giorno dopo eravamo ancora lì, alla stessa ora. Continuammo così per mesi , fino al nostro primo bacio e fino a quando facemmo l’amore nascosti dai cespugli di mirto della flora mediterranea. Me lo ricorderò per sempre. Profumava di fiori, e aveva sempre qualche foglia incastrata tra i ricci biodi, era stupenda. Ogni giorno mi pareva sempre più bella, sapeva di avermi rubato il cuore, glielo leggevo negli occhi, eppure io non riuscii mai a catturare il suo, arrivai solo a sfiorarlo con la punta delle dita.
Non le dissi mai che l’amavo, anche se quella era la mia unica certezza.
Erano passati più di due anni da quando ci eravamo incontrati la prima volta e ogni sera ci incontravamo in questo posto, senza mai  prometterci nulla. Era così e basta.
Una sera di fine estate però io arrivai e lei non c’era. La aspettai tutta la notte ma lei non venne. Cercai di convincermi che l’avrei vista sbucare da dietro un cespuglio di mirto la sera seguente ma non fu così. Tornai lì ogni sera per anni ancora ma non la rividi mai più. Ancora oggi, quando il mio fisico me lo permette, vengo fino qui al crepuscolo e la aspetto.
L’ho amata per più di cinquant’anni, vorrei che lei l’avesse saputo.»
Il vecchio rimase in silenzio, scrutando il mare con aria assorta.
La ragazza che lo ascoltava rapita da più di mezz’ora si accorse che tutta la gioia che aveva in corpo fino a poco prima era svanita per lasciare il posto ad una cupa malinconia, fissò il mare che faceva da specchio a quel vanitoso sole che occupava tutto il cielo e una lacrima le rigò il viso.
Si alzò lentamente dalla panchina senza dire una parola e senza guardare il protagonista di quella straziante storia, faceva fatica a camminare, sentiva il cuore pesargli come piombo dentro il petto. Un passo.
Prima di voltare l’angolo la compassione prese il sopravvento e con le guance rigate di lacrime si girò verso il vecchio, la stava fissando con gli occhi offuscati dai ricordi, tese il fiore bianco verso di lei « Grazie …»

 

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