Tra la sabbia e il mare di Conny 348 (/viewuser.php?uid=166378)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La notte dei desideri ***
Capitolo 2: *** La magnolia della città alta ***
Capitolo 1 *** La notte dei desideri ***
1.
LA NOTTE DEI DESIDERI
La
camera aveva poca luce e poi era molto più piccola di come
da giù immaginava.
Aveva pensato molto a lui qua dentro e lo immaginava sempre solo,
chissà con
quale diritto poi …
«Mettiti
a sedere, cosa vuoi da bere?»
«Quello
che hai purché sia forte»
Sarebbe
tornato tra un momento a recitare la sua parte.
Eh già
… Perché c’è sempre una
parte da recitare, sarebbe stato tutto molto più facile
se fosse tornato vestito solo del bicchiere … Poi
tornò ed era così bello
nell’accappatoio,
ed era proprio quello che si era immaginata. Po le sue mani, e ancora
le sue
braccia … La camera era un flacone del profumo di lui.
Silenzio
assordante. Caldo, tanto caldo.
Un
letto morbido sotto di lei. Due corpi. I loro.
Ancora
più caldo.
Il suo
corpo era teso e rigido, l’unica cosa che la differenziava da
una statua erano
le morbide curve e il dolce calore che emanava. Sentiva il battito del
cuore di
lui sopra il suo, petto contro petto; non era pesante, anzi era quasi
delicato,
come se avesse paura di romperla.
Il
corpo cominciava a rilassarsi, si vedeva il rosso sangue che le pulsava
nelle
vene che le dava un sano colorito rosato. La mano di lui tracciava il
perimetro
del suo corpo, un tocco delicato, come uno sbuffo di vento; ogni
centimetro di
pelle sfiorato fremeva e si contraeva … Si sorridevano.
Lei le
passò una mano tra i capelli folti chiudendo gli occhi. Il
letto era grande e
comodo, i due bicchieri erano sul tavolo ancora pieni, i vestiti sul
pavimento
…
Lui
continuava ad accarezzarla delicatamente, lei sentiva il suo respiro
regolare
sul collo: caldo, dolce, buono.
Non sapeva
cosa stesse succedendo, aveva perso il controllo del suo corpo, era
completamente annebbiata e vulnerabile ma non gliene importava niente.
Era lì,
con lui, in quella stanza, lontana dal mondo e dagli altri. Non avrebbe
potuto
chiedere di meglio.
I loro
corpi s’incastrarono alla perfezione. Ora non c’era
più silenzio. Si sentivano
i battiti accelerati di due cuori, i respiri più brevi e
frequenti, il caldo
era diventato piacevole, piccole goccioline di sudore risplendevano
alla luce
soffusa. Un momento. Un solo momento. Lei si aggrappò ai
suoi capelli scuri
sollevando il busto dai cuscini per poi lasciarsi ricadere con un tonfo
sordo.
Stanca, confusa …
Aveva
la sua testa appoggiata al seno, i capelli le facevano solletico. In
quella
stanza, quel giorno, qualcuno sussurrò un lieve ‘ti
amo’ …
Adesso
la quiete avvolgeva la casa in un dolce manto, regalando un
po’ di tranquillità
a quelle due anime tormentate che avevano trovato la pace
l’uno nell’altra
anche se solo per una notte.
Una
lieve brezza marina gonfiava le tende bianche di lino leggero che
contornavano
le finestre della camera da letto, dove due figure dormivano un sonno
senza
sogni strette in un armonioso abbraccio infantile.
Chiunque li avesse visti li avrebbe scambiati
per una coppia di sposini, spossati dopo una notte di piacere. Ma non
c’era
nessuno a guardarli. Non erano due sposi, erano troppo giovani, poco
più che
bambini. Il desiderio di entrambi aveva consumato, bruciato e
illuminato le
tenebre. Il piacere, intenso e caldo, era solo una conseguenza al
bisogno e
all’impazienza di lei mischiata alla bramosia e alla lussuria
di lui.
La
passione aveva tolto loro il fiato, mozzato a metà il loro
respiro e
prosciugato ogni forza da quei due corpi giovani e pieni di energia,
lasciandoli lì, sfiniti, l’una nelle braccia
dell’altro, a riposare la mente e
il fisico dopo quella notte così lunga terminata in un
sussurro.
Chissà
come li avrebbe trovati il sole dell’alba. Se
l’ansia volgare del giorno dopo
si sarebbe tramutata in tenerezza o se la voglia di scappare e non
tornare mai
più avrebbe prevalso. In cosa si era trasformato quel
morboso bisogno che li
aveva tenuti uniti per una notte adesso che era mattina?
Mancava
un’ora all’alba e le ultime stelle brillavano
stanche nel cielo ogni minuto più
chiaro, il leggero vento che spirava dal mare accarezzava la pelle
abbronzata e
inaridita dal sole dei due giovani, ancora stretti in quel dolce
abbraccio
silenzioso.
La
ragazza si mosse, aprì gli occhi e quando
realizzò dov’era e cosa era accaduto
la notte prima si lasciò scappare un sospiro di
soddisfazione. Con molta
delicatezza spostò il braccio di lui dai suoi fianchi e
scivolò via dal letto
attenta a non svegliarlo. Il suo corpo nudo si muoveva silenziosamente
per la
camera ancora immersa nella semi oscurità, prese una camicia
abbandonata sul
pavimento dalla sera prima e se la infilò. Prima di uscire
sul balconcino che dava
sul mare, si girò a guardare il corpo di quello che era
stato il suo compagno
per poche, fugaci ore: il lenzuolo era scivolato via e lei accarezzava
con gli
occhi quelle scapole appuntite che sembravano lì
lì per trasformarsi in ali.
Le
sfuggì un sorriso nel notare i segni delle sue unghie sulle
spalle del ragazzo.
Era stata aggressiva, gli aveva rovesciato addosso tutto il rancore e
la rabbia
che aveva dentro. Lo aveva morso, graffiato, aveva avuto il desiderio
di fargli
male, sapendo che lui non avrebbe osato torcerle un capello. Fece una
smorfia
di dolore quando girò i polsi per raccogliere i suoi
vestiti, li guardò stupita:
erano arrossati e gonfi. Li massaggiò per qualche minuto,
sapeva come mai le
facevano così male. Era stato lui, l’aveva tenuta
per i polsi mentre la
schiacciava con il suo corpo. La dolcezza che c’era stata
all’inizio era
svanita nel giro di breve lasciando spazio solo al desiderio maniacale
e alla
smania di restare insieme sfruttando ogni secondo che quella notte
aveva deciso
di regalare a loro due. Lei con una forza da leone aveva incendiato
quella
stanza con il fuoco della passione che da sempre le bruciava nello
stomaco e
che non aveva mai lasciato uscire. Lui con la maestria dei domatori non
le
aveva permesso di distruggersi e aveva cercato di contenere
quell’impeto
spaventoso che non conosceva arginandola con il suo corpo, lasciando
che
sfogasse tutta la sua avidità sopra, dentro e contro di lui.
La
ragazza uscì sul balconcino che si affacciava sul mare
baciato dai primi, timidi,
raggi di quel nuovo sole che non avrebbe mai visto i segreti del mondo
che si
nascondevano, protetti dall’oscurità della notte.
Le urla dei gabbiani
risuonavano nel vento come una promessa da mantenere ad ogni costo,
l’odore
salmastro saliva dal mare e le lambiva i capelli dandogli un odore
strano,
profumo di libertà e desideri da realizzare.
I suoi
ricci biondo cinereo erano arruffati come il culo di una pecora dopo
quella
nottata, rientrò piano in camera, socchiudendo lievemente la
finestra per non fare
rumore ed evitare di svegliare il ragazzo che dormiva ancora come un
sasso.
Si
sedette sul bordo del letto e cominciò a rivestirsi, molto
lentamente, come se
le costasse una fatica immane infilarsi di nuovo quei vestiti freddi e
un po’
umidi che graffiavano la sua pelle ancora calda. In cuor suo sperava
che lui si
svegliasse e in un sussurro le dicesse di rimanere lì,
insieme, come lo erano
stati quella notte. Sapeva che non sarebbe successo, lui avrebbe
continuato a
dormire mentre lei scivolava silenziosamente fuori da quella camera
intrisa dai
loro profumi per poi aprire la porta principale e uscire di casa,
avrebbe
continuato a dormire quando lei si sarebbe ritrovata a camminare sul
lungomare
con la sola compagnia dei gabbiani e qualche gatto, avrebbe continuato
a
dormire. Ignaro di tutto quello che succedeva intorno a lui, perso nel
mondo
segreto dei sogni e del subconscio, immobile in quel grande letto
rotondo, però
sarebbe stato solo. Al suo risveglio l’unico segno del
passaggio di lei sarebbe
stata l’impronta del suo corpo sul materasso di fianco a lui,
nient’altro.
Con un
profondo respiro il ragazzo si voltò dall’altra
parte, infastidito dalla luce
che filtrava dalle persiane di legno, lei si girò di scatto
credendo – e forse
sperando – che si fosse svegliato, ma lui continuò
a dormire più soavemente di
prima. Aveva talmente bisogno di lui che non sapeva chiederglielo. La
ragazza
rimase a fissarlo per qualche minuto con i suoi occhi a mandorla
contornati da
un’ombra nera che ormai caratterizzava il suo sguardo. Si
alzò cautamente dal
letto e chiuse meglio le persiane per evitare che il sole filtrasse e
lo
svegliasse troppo presto. Non s’infilò le scarpe,
le prese in mano e a piedi
nudi percorse la camera per raggiungere la porta, mentre appoggiava la
mano
sulla maniglia, il ragazzo bisbigliò qualcosa nel sonno. Lei
si fermò e si
avvicinò di nuovo al giaciglio per capire il significato di
quel sussurro che
in un soffio lui ripeté prima di cambiare nuovamente
posizione dandole le
spalle. Lei sorrise. Aprì la porta e uscì dalla
stanza lasciandolo solo con i
suoi sogni.
Qualche
minuto dopo stava camminando verso il porto, dove i pescatori
rientravano da
una nottata di lavoro, alcuni sputavano bestemmie per lo scarso
pescato, altri
invece facevano porto con un sorriso che illuminava quei volti
abbronzati e
deteriorati dal sole e dalle intemperie. Uno di loro, vedendo che la
ragazza
era ferma a guardarli, alzò la mano con un gesto istintivo
di saluto, lei
ricambiò con un sorriso e un cenno del capo. Si
voltò e il sole le colpì in
pieno il viso ambrato, rimase qualche secondo ferma, con il sole del
mattino
dritto negli occhi, poi abbassò la testa e
ricominciò a camminare. Ripensò al
sussurro del ragazzo e un coraggio leonino le riempì gli
occhi, aveva respirato
il suo cuore e mormorato il suo nome.
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Capitolo 2 *** La magnolia della città alta ***
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2.
LA
MAGNOLIA DELLA CITTÁ ALTA
Passeggiava
sul lungo
mare all’alba, non era tornata a casa dopo quella notte. Non
aveva voglia di
imbastire bugie sul perché era tornata così
presto, sarebbe rientrata verso le
undici con un sorriso luminoso che non avrebbe fatto insospettire i
suoi
genitori. Loro credevano che avesse trascorso la notte da una sua
amica, le
scappò in sorriso, non avrebbero mai neanche lontanamente
immaginato che invece
l’aveva passata tra le braccia e le gambe di un
ragazzo.
Continuava a camminare
guardandosi la punta dei piedi e cercando di fare mente locale per
ricordare
ogni particolare della sera prima. Si ricordava della stanza e della
luce
soffusa, il grande letto rotondo con le lenzuola color avorio, il
freddo del
muro a contatto con la pelle quando si era ritrovata contro la parete
avvinghiata al suo corpo, i baci passionali, le mani che correvano
veloci … Un
brivido le corse lungo la schiena e un sorriso soddisfatto le
attraversò il
viso.
Il sole tiepido dell’alba disegnava l’ombra della
ragazza sulla
passeggiata deserta.
Mentre camminava trascinando i piedi, passò di fianco a un
negozio e vide
il suo riflesso rispecchiato nella vetrina, si fermò a
guardare quella ragazza
che si trovava di fronte: stava vagabondando senza meta,
all’alba, in un paese
deserto, aveva i capelli tutti scompigliati e la camicetta sbottonata.
Un’ondata di felicità la travolse. Si
passò le dita tra i ricci biondi, si
sistemò la camicetta stropicciata come meglio
potè e fece
una linguaccia alla sua immagine
riflessa prima di andarsene con il sorriso nel cuore. Si mise a
camminare più velocemente
di prima, non riusciva a stare ferma, brillava nonostante fossero le
sei del
mattino. Lentamente il paese si stava risvegliando, le panetterie
alzavano le
saracinesche, i bar preparavano i primi cappuccini della giornata, e i
pensionati, con l’immancabile giornale sotto braccio, si
salutavano da una
strada all’altra urlando qualche parola incomprensibile in
dialetto locale. Lei
continuava nella sua folle passeggiata mattutina con un sorriso che
illuminava
più del sole. Stava camminando da una buona
mezz’ora quando finalmente arrivò a
destinazione. Non c’era nessuno lì, soprattutto a
quell’ora del mattino, si
accasciò sulla panchina semi nascosta dalla grande magnolia
e guardò il
mare.
L’aveva
fatto. Come ci era finita in quella camera, con quelle lenzuola, tra
quelle
braccia? L’aveva fatto perche lo voleva, lo voleva da
impazzire, chiedeva di
essere desiderata, cercata, amata. Ci era riuscita, lo aveva
assuefatto, lo
aveva drogato di piacere e calore, solo per una notte, ma quello strano,
indimenticabile desiderio che
li spingeva a stringersi l’uno all’altra non si
sarebbe fermato lì, anzi,
sarebbe diventato ogni giorno più bruciante.
Strappò un fiore bianco dai rami
sopra di lei e lo rigirò tra le mani.
I suoi occhi al
chiaro di luna riflettevano le stelle che la guidavano verso la
salvezza,
l’aveva guardato a lungo quella notte, l’aveva
aspettato per tanto tempo … Lui
si era voltato verso di lei e tutto era esploso.
Il fiore di magnolia le accarezzava le
mani mentre il mare luccicava alla luce di un nuovo giorno
d’estate.
L’avrebbe cercata, si sarebbe sorpreso di non trovarla
più sdraiata al
suo fianco, nuda e ubriaca di vita addormentata tra le sue braccia. Si
sarebbero incontrati quel pomeriggio, più luminosi che mai,
uno con addosso
l’odore dell’altra e con una notte che li guardava
ancora nascosta dietro il
sol leone.
La sua amica le
avrebbe chiesto
spiegazioni, dopotutto aveva il diritto di sapere visto che doveva
reggere il
gioco con i suoi genitori, ma lei avrebbe abilmente evitato ogni
domanda
tuffandosi nel mare e riempiendola di spruzzi gelidi. Erano passate
meno di
ventiquattro ore e lei voleva già tornare in quella stanza,
tra le sue braccia
e sopra il suo corpo bollente.
Si alzò dalla panchina e si sporse sulla ringhiera che si
affacciava
sul mare, si vedevano gli scogli ancora deserti e baciati dal sole.
Si erano conosciuti lì un paio di anni prima, chi avrebbe
mai potuto
immaginare il futuro? La loro storia era continuata nonostante il
dolore, le
difficoltà e la distanza che sembrava infinita, ma loro
erano rimasti lì. Erano
duri a morire. Non l’avrebbero data vinta alla vita, il
destino l’avevano
deciso loro ed erano disposti a seguirlo a qualunque costo, si
completavano. Si
nutrivano della sicurezza del cieco amore dell’uno verso
l’altra, della luce
che gli riempiva gli occhi ogni volta che si vedevano e nelle lacrime
che li
annebbiavano quando erano costretti a tornare. La silenziosa promessa
che
sarebbero stati insieme tutta la vita, la consapevolezza e il tacito
accordo di
non sussurrarsi altro che un timido ‘mi
manchi’ tutte le gelide sere
d’inverno quando il caldo del piumino non penetrava fino al
cuore e lo lasciava
freddo e insensibile a qualsiasi cosa che non fosse la voce della
persona
amata.
Stranamente quella notte era stato diverso, era stata la passione a
prendere il
sopravvento, non l’amore. Lei se n’era andata
all’alba, dopo aver sentito il
suo nome morire sulle labbra del ragazzo che amava. Avrebbe voluto
rimanere,
l’avrebbe voluto con tutta sé stessa, ma il vento
le aveva consigliato che
sarebbe stato meglio andarsene, tanto lui sapeva che sarebbe tornata,
più bella
e innamorata di prima.
Si scosse da tutti i ricordi che le avevano violentato la testa.
Si sporse ancora di più sul parapetto dove la pittura verde
si stava
scrostando, divorata dal sale e dal vento. Il sole era ormai sorto e le
spiagge
cominciavano a popolarsi pian piano, da lassù sembravano
tutti delle semplici
formiche. I bambini più mattinieri avevano cominciato a
rincorrere i palloni
gonfi d’aria mentre i genitori ancora assonnati si sdraiavano
sui lettini
sperando di riposarsi ancora per un po’. Qualche giovane uomo
sfoggiava il
fisico modellato prima di tuffarsi nell’acqua per la solita
nuotata mattutina,
e poi c’erano gli immancabili vecchi pensionati seduti
all’ombra di un
ombrellone dell’ ‘Algida’ a giocare a
scopa. Come ogni estate la storia si
ripeteva.
Si appese ai rami bassi della magnolia e si fece dondolare come una
scimmia con l’ombelico che faceva capolino dalla camicetta
sgualcita. Il
cellulare cominciò a squillare interrompendo il flusso dei
suoi pensieri, lo
sfilò dalla tasca e lesse il nome
‘Francesca’, erano da poco passate le otto
del mattino, come faceva ad essere già sveglia? Ah
già, il martedì mattina
aveva lezioni di francese …
Lo lasciò
suonare a vuoto, non aveva voglia di parlare al telefono,
l’avrebbe incontrata
tra poco più di due ore, che bisogno c’era di
rispondere?
Mentre il telefono smetteva di squillare sentì dei passi
avvicinarsi.
Si sedette a gambe incrociate sulla panchina e guardò in
direzione dei gradini,
si chiese a chi potesse venire voglia di andare in quel posto alle otto
e mezza
di una mattina d’agosto.
Da dietro il cespuglio fece capolino un vecchietto, camminava
leggermente
curvo, le mani intrecciate dietro la schiena tenevano il giornale e gli
spessi
occhiali a fondo di bottiglia gli ingigantivano gli occhi di un azzurro
opaco.
Un piccolo bassotto spelacchiato lo seguiva dondolando sulle zampette
troppo
corte, mentre la lingua gli penzolava fuori dalla bocca.
La ragazza gli fece spazio sulla panchina e l’ometto si
sedette di fianco a lei
mentre il cagnolino si sdraiava sfinito ai suoi piedi. Si tolse il
basco
scozzese e si passò un fazzoletto bianco sulla fronte per
asciugarsi il sudore
mentre la ragazza lo osservava incuriosita.
Il vecchio indicò il mare con un dito tremolante e disse con
la voce
roca « È bellissimo vero? » la ragazza
sorrise abbassando gli occhi a mandorla
« Oh sì » rispose « lo
è eccome ». L’uomo si girò
verso di lei, si sistemò gli
occhiali sul naso e le chiese con tono stupito « Ma una
signorina giovane come
lei cosa ci fa a quest’ora del mattino seduta su una panchina
tutta sola?».
La ragazza fece una smorfia divertita, la prima cosa che le venne in
mente fu
“scusi ma a lei cosa gliene frega di cosa ci faccio io
qui?”, poi però si
trattenne perché quel vecchio la incuriosiva, le ispirava
quasi tenerezza,
protezione. «Sono una persona molto mattiniera»
-cazzata colossale- si disse «e
poi da qui la vista è bellissima, si domina il
mare» rispose.
Il veterano si pulì gli occhiali con un panno e la ragazza
notò che i grandi
occhi cerulei erano offuscati da un velo di lacrime, avrebbe voluto
chiedergli
se c’era qualcosa che non andasse ma non era sua abitudine
farsi gli affari
altrui, e tantomeno consolare persone sconosciute.
«Poi questo è il mio posto preferito in
assoluto» proseguì lei «è
come
se tutte le belle cose del mondo fossero racchiuse una ad una nei fiori
bianchi
della magnolia. Sa, non mi era mai capitato di incontrare nessuno in
questo
luogo, di solito ci siamo solo io con i miei ricordi a tenermi
compagnia» si
zittì.
I petali del fiore che aveva tra le mani erano ormai sfioriti e
così si
alzò in piedi alla panca per prenderne un altro quando
sentì la voce del suo
vicino che le disse «Potresti raccogliere un fiore anche per
me? Ho le anche
troppo malmesse per permettermi di arrampicarmi come un gatto sugli
alberi»
La giovane strappò due fiori candidi e ne porse uno
all’anziano che cominciò ad
accarezzarlo con una dolcezza quasi materna, come se fosse un animale
da
custodire.
«Sai» sospirò il vecchio «tu
mi ricordi tanto la mia cara Inès … Ci
siamo conosciuti proprio su questa panchina tanti anni fa, me lo
ricordo come
se fosse ieri, invece il tempo è passato e me l’ha
portata via.
Erano gli anni della guerra e io con i miei compagni avevo fatto porto
in questo paese dimenticato da Dio e dagli uomini, avevamo
l’ordine di non
muoverci da qui fino all’arrivo di nuove direttive. Le
settimane passavano e
non avevamo notizie da nessuno così decidemmo di
allontanarci dal porto e dare
un’occhiata in giro» si fermò in preda
ad un attacco di tosse che termino con
una bestemmia soffocata tra i denti «io ero giovane, bello e
stupido, poi gli
anni mi hanno tradito e io mi ritrovo ad essere solo un vecchio
stupido, che
cinquant’anni dopo si nutre ancora di ricordi …
Una calda sera di giugno dopo aver vagato per ore senza meta mi trovai
davanti a questa grande magnolia e proprio su questa panchina,
esattamente dove
siamo seduti io e te ora c’era lei. Inès. Ancora
oggi il suo nome mi fa vedere
l’orizzonte che i miei occhi vecchi e stanchi si sono
stancati di cercare.
Non si accorse nemmeno di avere compagnia, era troppo concentrata nelle
pagine del libro che teneva in grembo. La osservai di sottecchi, non
è mai
stato cavalleresco farsi sorprendere da una ragazza mentre la si
guarda. Aveva
dei lunghi capelli color dell’oro, ricci, disordinati, un
lungo vestito bianco
di lino leggero che si gonfiava leggermente a causa dello scirocco che
spirava
da est. Quando
finalmente alzò gli occhi
dalle pagine scritte ebbe un sussulto, chiuse di scatto il romanzo e
fece per andarsene,
ma io le dissi “non trovi che sia presto per tornare a casa?
Le stelle
compariranno tra non meno di due ore, hai ancora un po’ di
tempo prima di
tornare a brillare lassù”. Mi sorrise sorniona, e
tornò cautamente a sedersi.
Mi accomodai vicino a lei. Aveva dei
grandi occhi nocciola che mi scrutavano curiosi e
spaventati allo stesso
tempo, chiedendosi da dove venissi e cosa ci facessi lì.
Erano tempi diversi
bambina mia, non era costume che una giovane ragazza si intrattenesse
con uno
sconosciuto in un luogo così isolato. Ma lei era
lì, accanto a me.
“Qual è il tuo nome?” le domandai,
“Mi chiamo Inès” mi rispose lei con una
voce
squillante “e il tuo straniero?” “Io mi
chiamo Leonardo” le dissi.
Cominciammo a parlare, oh come parlammo, lei mi capiva meglio di
chiunque
avessi mai incontrato, mi capiva persino meglio di mio fratello Romeo.
Purtroppo quando si è in buona compagnia il tempo mette le
ali ai piedi e per
lei venne il momento di tornare a casa. Non ci demmo nessun
appuntamento, però
il giorno dopo eravamo ancora lì, alla stessa ora.
Continuammo così per mesi ,
fino al nostro primo bacio e fino a quando facemmo l’amore
nascosti dai
cespugli di mirto della flora mediterranea. Me lo ricorderò
per sempre.
Profumava di fiori, e aveva sempre qualche foglia incastrata tra i
ricci biodi,
era stupenda. Ogni giorno mi pareva sempre più bella, sapeva
di avermi rubato
il cuore, glielo leggevo negli occhi, eppure io non riuscii mai a
catturare il
suo, arrivai solo a sfiorarlo con la punta delle dita.
Non le dissi mai che l’amavo, anche se quella era la mia
unica certezza.
Erano passati più di due anni da quando ci eravamo
incontrati la prima
volta e ogni sera ci incontravamo in questo posto, senza mai prometterci nulla. Era
così e basta.
Una sera di fine estate però io arrivai e lei non
c’era. La aspettai
tutta la notte ma lei non venne. Cercai di convincermi che
l’avrei vista
sbucare da dietro un cespuglio di mirto la sera seguente ma non fu
così. Tornai
lì ogni sera per anni ancora ma non la rividi mai
più. Ancora oggi, quando il
mio fisico me lo permette, vengo fino qui al crepuscolo e la aspetto.
L’ho amata per più di cinquant’anni,
vorrei che lei l’avesse saputo.»
Il vecchio rimase in silenzio, scrutando il mare con aria assorta.
La ragazza che lo ascoltava rapita da più di
mezz’ora si accorse che
tutta la gioia che aveva in corpo fino a poco prima era svanita per
lasciare il
posto ad una cupa malinconia, fissò il mare che faceva da
specchio a quel
vanitoso sole che occupava tutto il cielo e una lacrima le
rigò il viso.
Si alzò lentamente dalla panchina senza dire una parola e
senza
guardare il protagonista di quella straziante storia, faceva fatica a
camminare, sentiva il cuore pesargli come piombo dentro il petto. Un
passo.
Prima di voltare l’angolo la compassione prese il sopravvento
e con le
guance rigate di lacrime si girò verso il vecchio, la stava
fissando con gli
occhi offuscati dai ricordi, tese il fiore bianco verso di lei
« Grazie …»
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