Keeping Love Again

di taemotional
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Se la mente ordina, il corpo esegue. ***
Capitolo 2: *** Ti ho trovato. ***
Capitolo 3: *** Usiamola come bambola Voodoo! ***
Capitolo 4: *** In effetti sì, ieri sera qualcosa è successo. ***
Capitolo 5: *** Ti sfido a baciarmi. ***
Capitolo 6: *** Voglio fare l’amore con te. ***
Capitolo 7: *** Quei baci, quelle carezze... erano solo uno scherzo per te? ***
Capitolo 8: *** Voglio ricominciare a saltare. ***



Capitolo 1
*** Se la mente ordina, il corpo esegue. ***


Prefazione: Voglio ringraziare alcune persone che sono state fondamentali per la stesura di questa fic *w* Innanzitutto Rory! Senza di te sarei annegata nei miei stupidi dubbi esistenziali (?) e avrei buttato la fic nella famosa cartella degli “epic fail” x°D Grazie mille per il supporto ;_; E spero di far fruttare la tua idea sulla JongTae presto +___+ Poi... Vittoria, Koko,Aliona e la mia sister Mona! Grazie per averla letta anche voi passo dopo passo e per avermi spinto a continuarla ^^ (Aliona, ho usato una tua frase alla fine, spero me lo concederai :D) Infine grazie anche Gloria! Ahah eh sì! Sentirti dire ogni volta che la volevi leggere mi ha fatto davvero piacere! Spero che apprezzerai ^o^ (siamo proprio fissate!) Infine, un grazie a chi leggerà e commenterà una volta postata! E ora, buona lettura!!

NB: Sebbene la storia si svolga a Seoul, non ho usato il corretto modo coreano di relazionarsi. Quindi niente uso di onorifici e i personaggi si rivolgono tra di loro con il nome proprio.

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« Ti prego, continua a vibrare nel mio cuore,
Finché non diviene una eco nella mia vita, e infine sfocia nella voce.
Appaiono desideri, uno per uno.
Siamo diventate due persone,
Quando in principio eravamo una. »

-KEEPING LOVE AGAIN-

 
Sebbene fosse l’inizio di marzo, e la primavera era ormai alle porte, Choi Minho si era dovuto infilare la giacca prima di uscire dal locale.
Di solito non frequentava posti del genere, ma quel giorno la sua mente aveva deciso di impelagarsi con vecchi ricordi e il corpo aveva agito di conseguenza, portandolo in quel luogo. Nel suo caso, una risposta così repentina da parte del corpo non era una novità. Da sempre era abituato a pensare, a riflettere e a concentrarsi. Altrimenti bastava una svista, un calcolo sbagliato e il corpo sarebbe finito contro la sbarra orizzontale - posta a quasi due metri d’altezza - facendogli perdere la gara. Ogni fibra, muscolo o tendine del corpo doveva obbedire alla mente, non c’erano possibili alternative.
Uscito all’aria pungente di marzo, si era appoggiato al muro sul retro del locale e si era acceso una sigaretta. Ma anche il salto in alto faceva ormai parte di un passato che non può tornare. Sospirò inspirando una prima boccata.
Quella sera, dunque, la mente lo aveva portato dentro al locale. Niente di anormale, ma chissà cosa si aspettava di trovare.
Aveva guardato ogni singola figura in quel luogo, scrutato invano ogni possibile angolo o anfratto, e poi era uscito amareggiato. Cosa mi aspettavo di trovare dopo due anni? Lei?
Appoggiato al muro del retro, si era ritrovato a sbuffare e a maledire la sua mente per quel ritorno al passato. Lei gli aveva chiaramente detto che si sarebbe trasferita in Giappone per inseguire il suo sogno. Che sì, avrebbe esaudito quel suo ultimo desiderio ma che poi sarebbe scomparsa per sempre. Inspirò nervosamente una boccata di fumo. Non la doveva più cercare, e oramai non si vedevano più da due anni. Non c’era bisogno di contare i giorni, erano due anni precisi, senza ombra di dubbio. Perché il giorno dopo sarebbe stato il compleanno della loro bambina.  
“Oggi è piena la luna?”
Una voce lo fece sobbalzare e si voltò alle proprie spalle: un ragazzino dai capelli rossi teneva il naso all’insù verso il nero del cielo. 
“Come...?”
“No, dico... oggi è piena la luna?” ripeté la domanda tranquillamente. Minho spalancò la bocca per dirgli che non gliene fregava proprio nulla della luna in quel momento ma rimase zitto e buttò fuori il fumo con forza. Quindi alzò il viso pure lui. Dopo aver dato un’occhiata più o meno attenta, aggrottò le sopracciglia. Non c’era nessuna luna, o almeno non si riusciva a intravedere da quel punto. Stava per dirlo ma l’altro fu più veloce.
“Devi proprio fumare qui?” chiese con un tono acido portandosi la lattina di birra alle labbra, “Mi dai fastidio”
“Hey!” scattò Minho staccandosi dal muro ed ergendosi nei suoi 185 cm di altezza, “Senti un po’, pel di carota, siamo all’aperto e io faccio quello che voglio”
Il ragazzo volse il capo e gli lanciò un’occhiata truce. “Non nel punto in cui mi prendo una pausa dal lavoro”
Minho scoppiò a ridere, “Ma quanti anni hai per poter lavorare qui?”
“Diciotto” rispose tranquillamente l’altro, tornando ad occuparsi della propria birra.
“Il tuo capo lo sa? Guarda che non puoi lavorare in un posto simile se...”
“Il capo è un amico che mi ha assunto personalmente. Ora, se vuoi scusarmi, torno dentro a guadagnarmi qualche spicciolo. Addio” quindi si incamminò gettando con stizza la lattina a terra.
“Quell’uomo è uno sconsiderato!” gli gridò dietro Minho, appena prima che quel ragazzino insolente si fosse chiuso dietro la porta di servizio. Gli uscì un verso di disperazione e spense la sigaretta contro il muro. I ragazzi d’oggi sono proprio senza speranza, stava per pensare, ma interruppe quella riflessione dandosi un pizzico sulla guancia.
“Io non posso proprio parlare...”
 
Come può un ragazzo non ancora maggiorenne pretendere di crescere un neonato da solo?
Quando Minho aveva supplicato l’ex-ragazza di non abortire non aveva di certo pensato al latte, alle pappe, ai pannolini e a tutte le attenzioni di cui un neonato ha bisogno. Semplicemente non poteva lasciarglielo fare. Qualcosa dentro di lui si era attivato, impedendoglielo. E ancora ora, che ha vent’anni, che è maggiorenne, non sa quale parte della propria mente gliel’abbia ordinato. Ma se la mente ordina, il corpo esegue.
Come avrebbe fatto da solo?
L’equilibrio lo aveva ritrovato quando sua madre era venuta a saperlo. “Non ti preoccupare, ti aiuto io” gli aveva detto semplicemente quel giorno, quindi aveva preso carta e penna e aveva iniziato a scrivere tutto ciò di cui avevano bisogno.
La madre viveva da sola nell’appartamento sotto a quello di Minho - che avevano comprato alla notizia dell’arrivo del neonato, prima che lei mettesse la carriera davanti a tutto e decidesse di abortire - e quindi la bambina avrebbe avuto accanto una figura, se non propriamente materna, almeno femminile.
Poi, dal momento in cui la bambina aveva compiuto un anno, Minho aveva iniziato, più o meno, a cavarsela da solo e sua madre se ne prendeva cura solo nei momenti in cui lui era occupato con le lezioni e lo studio. Ormai stava per iniziare il secondo anno di università, ma, in principio, Minho aveva messo in discussione questo suo desiderio di continuare con la scuola. Avrebbe fatto il padre a tempo pieno, se solo sua madre non lo avesse persuaso a non abbandonare almeno gli studi, oltre che la sua promettente carriera sportiva.
Quando, quella sera, Minho entrò nella propria camera in punta di piedi sentì sua figlia muoversi nel piccolo letto. Gli si avvicinò e le carezzò il viso sudato.
“La nonna deve averti coperta troppo, eh?” mormorò togliendole di dosso la coperta più pesante. Poi si accucciò e poggiò delicatamente le labbra sulla fronte.
“Buona notte, Ai, e buon compleanno”
Ai, che significava amore nella lingua nativa di lei.
 

***

 
Minho corse giù per le scale con sua figlia in braccio e quasi andò a sbattere contro sua madre.
“Sono in ritardo!” si lamentò, lasciando Ai in braccio alla donna e fuggì verso l’uscita.
“Stai attento!” si preoccupò lei sistemandosi la bambina tra le braccia.
“Ah!” esclamò poi Minho tornando indietro e schioccando un bacio sulla guancia della figlia. “Mi dispiace ma oggi il papà deve restare via fino a tardi, ma ti prometto che uno di questi giorni ci andiamo a comprare il regalo, okay?”
Ai annuì debolmente e Minho sorrise. “A sta sera allora! Non penso di tornare per cena” e uscì di casa con le scarpe in mano.
 
Mentre era nella metro - e si allacciava le scarpe - tornò a pensare alla sera prima.
Quel posto gli era sembrato così diverso senza di lei, così vuoto senza quella presenza che si era sentito mancare. Decine di persone, eppure nessuna di quelle poteva colmare la voragine aperta dentro di sé. Come avrebbe vissuto se nemmeno Ai ci fosse stata? Era stata la sua salvezza. E la vita aveva continuato ad evolversi come un boomerang piatto. Con i suoi ritorni al passato, i rimpianti e le lacrime di notte, quando Ai dormiva. Ai, che sarebbe stata per sempre l’unico amore della sua vita.
La metro si fermò e per poco lui non si lasciava sfuggire la fermata dell’università. Scese velocemente, appena prima che le porte gli si chiudessero alle spalle, e la metro riprese la corsa silenziosa.
“Minho!”
Si voltò e vide un ragazzo andargli incontro. Indossava un cappello appariscente con la visiera tirata sul viso e un paio di occhiali da sole rosa. Se non fosse stato per il fatto che indossava la sua stessa divisa - sebbene quel ragazzo l’avesse ricucita per renderla estremamente attillata sulle gambe - Minho avrebbe pensato che non si riferisse a lui. Ma come aveva potuto dimenticarsi di quegli orrendi occhiali da sole?
Key! Quanto tempo!” esclamò dandogli una pacca sulla spalla.
Quello si mise l’indice davanti alla bocca.
“Non dirlo così forte! Che poi le fans mi trovano!”
Minho sbuffò. “Non atteggiarti come se fossi famoso, idiota. L’inverno non ti ha freddato i bollori?”
“Guarda che sono il ragazzo più bello dell’istituto. Se non mi camuffassi così, sai che confusione che avrebbero fatto le ragazze?”
“A me sembri solo più vistoso e riconoscibile con questo cappello, Kibum” ed enfatizzò l’ultima parola, “...ma l’hai lavato insieme alla sciarpa  del Gay Pride?”
Kibum sbuffò e lo superò verso l’uscita. Si voltò solo un secondo, “Però questa era carina, te lo concedo”
Minho rise e lo seguì fino a raggiungere la luce di quel sole primaverile.
 
Come succedeva ogni volta che se ne andava a spasso per la facoltà con Kibum - o Key, come lo chiamavano i suoi fan più accaniti - anche quel primo giorno di lezioni doveva sorbirsi gli sguardi indiscreti della gente, le risatine e le dita puntate verso la loro direzione.
“Te l’avevo detto che il cappello non funzionava...”
Kibum fece spallucce e intanto si guardava intorno con aria fiera e un sorriso raggiante gli si allargò sulla faccia.
Al contrario, il viso di Minho era, se possibile, sempre più oscurato. Si sarebbe voluto sotterrare, ma avrebbe dovuto scavare una bella buca se non voleva che la testa uscisse comunque dal terreno. Quelli erano i momenti in cui malediceva la propria altezza sconsiderata. Dopotutto non aveva certo bisogno di andare in giro con Kibum per essere notato dalla gente, era fin troppo conosciuto in quell’università prestigiosa, per essere un bel ragazzo, ma soprattutto per essere entrato grazie ad una borsa di studio conferitagli per doti sportive. Poi però nessuno lo aveva mai visto all’opera su un campo sportivo e lui faceva di tutto per evitare di parlare con le persone. Insomma, la sua riservatezza e il suo essere scorbutico avrebbero fatto scemare la sua popolarità se non avesse conosciuto e non stesse frequentando il ragazzo più popolare della scuola. Erano, in poche parole, la coppia più famosa dell’intero istituto. Non che fossero sul serio una coppia, nel senso stretto del termine, ma qualche diceria infondata continuava a girare tra i più invidiosi.
“Ma le ragazze, almeno loro, non si arrendono?”
Kibum lo guardò interrogativo, e intanto attraversavano l’ingresso principale.
“Intendo...” continuò Minho arricciando le sopracciglia, “Si vede lontano un miglio che sei gay”
“È difficile arrendersi così facilmente all’evidenza”
“Sei senza speranze...”
Un gruppo più vivace di ragazze del primo anno li additò con insistenza. “Ma quelli non sono Key e Choi??” dicevano tra di loro e Minho strinse, per l’ennesima volta, i pugni, fino a farsi male. Accelerò il passo verso i gradini d’ingresso.
Quella gente, che non sapeva nulla su di lui ma si credeva di conoscerlo essendo venuta a conoscenza di qualche pettegolezzo, lo mandava su tutte le furie. Con Kibum invece era stato diverso. Gli aveva sorriso con sincerità e gli aveva domandato il suo nome, come una persona normale. Era stata la sua sensibilità a fargli capire che poteva fidarsi di lui, che poteva dirgli tutto sul proprio conto, su di lei, su Ai e su tutti i sacrifici che sarebbe stato capace di fare per il suo bene. Forse è stato anche merito di Kibum se Minho si era deciso a frequentare il secondo anno.
“Minho! Aspetta!” gli gridò dietro Kibum vedendolo allontanarsi, ma un trambusto alle proprie spalle lo bloccò, facendolo voltare. Anche Minho, che era rimasto a metà degli scalini, e che si era girato per il richiamo dell’altro, notò qualcosa di anormale all’ingresso.
C’era uno strano movimento da parte degli studenti, che avevano iniziato ad accalcarsi al cancello. Sia Kibum che Minho non capirono subito l’origine di quell’agitazione complessiva, almeno finché un rombo non preannunciò l’arrivo di una costosa limousine nera che si fermò davanti l’ingresso. La folla ammutolì, mentre un ragazzo usciva da quell’auto nera fiammante sbattendosi con poca grazia la portiera alle spalle. Il maggiordomo, che lo aveva raggiunto per aiutarlo a scendere, rimase con le mani in mano.
“Sì, sì... Di’ a mio padre che seguirò le lezioni... almeno per oggi” mormorò il ragazzo scuotendo controvoglia una mano e si incamminò all’interno della facoltà, mentre gli altri studenti si allargavano per farlo passare.
Kibum era con la bocca spalancata, mentre seguiva cogli occhi la falcata sicura di quel ragazzino. Quando il nuovo arrivato fu sulle scale, alzò lo sguardo per guardare uno studente particolarmente alto che gli ostruiva il passaggio. Minho non si spostò, finché il ragazzo dai capelli rossi non sbuffò raggirandolo, e sparì dentro l’edificio con solo un brusio indistinto a fargli da scia.
 
“Ma l’hai visto? Sono indignato!” cinguettò Kibum a mensa, mentre Minho addentava un panino che si era portato da casa. “Ma chi si crede di essere quello lì! Voglio dire, non sono io il ragazzo più bello di tutta la scuola? E ora arriva quel figlio di papà che sventola qualche quattrino a destra e a manca e l’intera facoltà gli cade ai piedi... io non lo so, guarda... e poi quei capelli... ma chi si crede di essere? Non sono io quello che si tinge i capelli? Eeh!? Ma guardalo!! Ha ordinato da mangiare per una squadra di calcio! Oddio, ma quella non è la mia fan n.1?? Che ci fa là, da quello? Io sono qui!!! Minho, mi ascolti!?”
“Eh?”
Kibum sgranò gli occhi e iniziò a pestare i piedi per terra. Poi si calmò di colpo e mise il broncio.
“Non mi abbandonare pure te...”
Minho guardò verso il tavolo in cui era seduto il nuovo arrivato, lo trovò pieno di gente curiosa e che bombardava quel ragazzo di domande su tutto. Poi volse lo sguardo verso Kibum.
“Eddai, la gente si stufa subito delle novità... vedrai che entro qualche giorno tornerai ad essere il più stalkerato...”
“Non scherzare!” gridò Kibum, e si gettò sui suoi noodles al kimchi con espressione sconsolata.
“Davvero!” controbatté Minho, “Le persone si stancano facilmente...”
“Come vuoi te...”
Minho guardò ancora quel tavolo. Aguzzò la vista cercando di mettere bene a fuoco il viso del nuovo arrivato. Ma non ce n’era bisogno, lo aveva guardato bene quella mattina, sui gradini dell’ingresso. E non avrebbe confuso quell’insolenza con quella di nessun altro. Non poteva che essere un riccone, il figlio di un qualche direttore aziendale che va a lezione per passare il tempo, perché ha già i soldi che gli servono - o che gli avanzano - e un futuro assicurato. Non poteva che essere il ragazzino che il giorno prima gli aveva rovinato il momento serale della sigaretta.
“Qualcosa non quadra però...” mormorò storcendo la bocca. Non aveva detto di avere diciotto anni? Gli dovrebbe mancare ancora un anno prima di poter entrare in un’università...
“Minho” lo chiamò Kibum con fermezza, “Dobbiamo fare qualcosa”
“Eh? E cosa vorresti fare?” chiese Minho lasciando perdere quel suo pensiero.
“Che almeno riconosca la mia superiorità!” disse alzandosi, ma senza staccare gli occhi dal volto dell’altro. Gli brillavano di una strana luce.
“Mi spaventi...”
“Avanti, andiamo!”
“Senti, non ho ancora afferrato cos-”
“Ho capito, vado da solo” concluse Kibum voltandogli le spalle e si avviò a passo veloce verso quel tavolo affollato dalla parte opposta della mensa. Minho già si immaginava Kibum srotolare davanti a pel di carota tutti i motivi per cui lui era il migliore, il più bravo, il più bello, il più gay... no, forse quest’ultimo primato non era in pericolo... dopotutto, quel ragazzino non gli sembrava per niente dell’altra sponda. Comunque, la lista delle cose in cui Kibum era il migliore e l’altro poteva solo allearsi o perire miseramente sarebbe stata abbastanza lunga da permettergli di farsi una sigaretta. Si alzò svogliatamente e uscì dalla mensa grattandosi la testa. Per la prima volta, gli altri studenti non si voltarono al suo passaggio.
 
Salì i gradini fino al terzo piano e sgusciò fuori dalla porta che dava sulla scala di sicurezza. Lì non andava mai nessuno, eppure dal balcone si poteva avere una bella vista del parco scolastico. Poco male, da quando aveva capito che nessuno avrebbe saputo di quel posto - a meno che non fosse scoppiato un incendio - aveva iniziato ad usarlo come nascondiglio segreto. E sebbene Kibum ne fosse a conoscenza, non c’era mai andato. Quel ragazzo aveva un senso dello spazio vitale a lui necessario che lo spaventava. Ma che lo faceva anche essere davvero riconoscente nei suoi confronti.
Si accese la sigaretta e si sedette su uno scalino, quindi si allungò sul pianerottolo con gli occhi chiusi. Pensò di sfuggita che forse era stanco di quel boomerang che era la sua vita. E pensò anche che aveva bisogno di una scossa che lo riportasse a vivere nel presente.
Ma forse era già arrivata, e semplicemente lui non se ne era ancora reso conto.
 
“Minho!”
Fece un respiro profondo e si voltò. Si stava stancando quel giorno di sentire la sua voce acuta che lo chiamava.
“Fai silenzio, siamo in biblioteca...” riuscì solo a dire, mentre qualche testa si voltava a guardarli e sorrideva. Ma certo, loro erano Key e Choi, avrebbero potuto tenere una partita di calcio in quel luogo e nessuno si sarebbe indignato.
Quando ognuno fu tornato ai propri libri, Minho si decise ad alzare lo sguardo verso Kibum e lo trovò più minaccioso che mai.
“Se non fai l’isterico e parli a bassa voce ti ascolto”
Kibum annuì convinto, fece un respiro profondo e iniziò: “È un viziato del cazzo”
“Kibum...”
“Non scherzo, lo sai come si chiama? Non puoi non saperlo, l’ha urlato, l’hai sentito no?”
“Ero fuori a fumare...”
“E sai chi è suo padre?” continuò Kibum senza ascoltarlo, il labbro inferiore gli tremò, “Minho, non capisci, sono rovinato”
Minho buttò fuori l’aria.
“Lo vedi come ci fissa la gente? Non è cambiato nulla, okay? Ti basterà partecipare anche quest’anno al festival culturale, avere una parte dignitosa nella recita e riavrai le tue fan. Sono sicuro”
Kibum si lasciò andare sul tavolo.
“Senti, da quant’è che non scopi?”
Kibum alzò di scatto la testa dal tavolo. “Ma vuoi parlare a bassa voce?”
“Io? Chi è qui quello che sbraita come un ossesso?”
“Va bene, va bene... ne riparliamo fuori, okay?”
Minho sorrise e tornò al suo libro di algebra. Visto? Basta poco per farlo stare zitto. Basta parlare della sua vita sessuale. Certo, un po’ gli faceva pena. Ma non poteva mica aiutarlo lui. Mica era gay. Figuriamoci.
“Kibum!” lo richiamò di colpo mentre l’altro si stava alzando.
“Cosa?”
“Come hai detto che si chiama?”
“Chi?”
“Dai, quel ragazzino viziato...”
“Non lo sai?”
“Ti ho già detto di no, mi ascolti?”
“Ma se suo padre è tipo l’uomo più ricco della Corea del Sud!”
“Non esageriamo...”
“E chi esagera, ha pure comprato l’ingresso all’università per il figlio con un anno di anticipo!”
“Insomma, come si chiama?”
“Lee Taemin”
 

***

 
Lee Taemin entrò nella propria camera e si abbandonò sul letto. Era una vita che non frequentava una lezione fuori da casa sua. Di solito i professori andavano da lui. Era dall’asilo, forse, che lui non andava da loro. Proprio ora quello doveva decidere di fare il padre?
 Si rigirò un paio di volte sopra le lenzuola cercando invano di addormentarsi. E poi, da non crederci, ora doveva pure mettersi a fare una caccia al tesoro? Ma certo, quello era stato l’unico motivo per cui era stato costretto a presentarsi a scuola.
“Trovami un giovane ragazzo, per la parte di quel modello che ti dicevo. Uno alto, si intende, e ben piazzato”
Ma certo, perché invece non si faceva un giretto in una qualche casa discografica e non si cercava un idol che fosse di suo gradimento? Ma che pretendi di trovare in una scuola... per quella tua stupida pubblicità, poi. Cosa vuoi fare, mettermi alla prova? Vuoi essere certo che io possa essere il tuo degno erede?
“Signorino!” lo chiamò senza preavviso qualcuno bussando leggermente alla porta. Si tirò su furioso.
“Lasciatemi in pace! Lo sapete che devo dormire di giorno!” gridò rivolto alla porta ancora chiusa. Che si aspettano? Che ora mi metta di colpo a fare il bravo bambino? Poi si alzò di scatto e andò a chiuderla a chiave. Due passate, il solito segnale di ‘non disturbare’, quindi tornò sul letto. Soffiò fuori l’aria con forza. Mio padre deve essere entrato qui oggi, c’è puzza di sigaro.
 
Mentre si stava infilando l’uniforme - camicia bianca infilata in un paio di pantaloni neri di raso e grembiule scuro legato in vita - il figlio del capo entrò nei camerini. Taemin lo osservò incuriosito, e intanto si arricciava le maniche fin sopra i gomiti.
“Sei in anticipo oggi, abbiamo appena aperto” commentò il ragazzo appoggiandosi al muro.
“Lo so, Jjong, sono arrivato presto perché ho una richiesta da farti...” replicò Taemin finendo di allacciarsi i bottoni della camicia.
“Ti ho già detto di evitare quel nomignolo! Non abbiamo più cinque anni!”
Taemin si mise a ridere e si infilò le scarpe laccate.
“Comunque... ti va bene se ‘sta sera me ne vado a mezzanotte? Non ho dormito niente oggi e domani sono costretto a tornare in facoltà... se non trovo in fretta quello che vuole mio padre finisco col morire per mancanza di sonno, e non scherzo”
Jonghyun, il figlio del proprietario di quel locale notturno in pieno centro, ma anche colui che in verità se ne occupava,  storse la bocca. Conosceva Taemin da quando era solo un bambino. Avevano appena tre anni di differenza, e quando erano piccoli amavano giocare insieme nel giardino della sua enorme villa, mentre il padre li osservava divertito, e ora si domandava dove fosse finito quel suo sguardo dolce e apprensivo. Quando era successo che quell’uomo aveva abbandonato il figlio in quel mondo perverso? E anche il proprio padre... no, quella era un’altra storia, e non aveva voglia di pensarci in quel momento.
“Non sarai un po’ troppo giovane per dormire di giorno e lavorare di notte?” provò a dire, sperando che Taemin un giorno cambiasse strada, e non facesse la sua stessa fine.
“Lasciami in pace... ti serviva un aiuto cameriere, no? Ti sto aiutando, dovrebbe bastarti. E poi, siamo uguali, io e te, no?”
Jonghyun si irrigidì, no, non erano affatto uguali, lui non aveva scelto di vivere in quel modo di sua iniziativa. Non c’era altra via d’uscita, ecco perché ora era lì, invece di uscire con gli amici, di studiare, di vivere una storia d’amore come tutti gli altri ragazzi della sua età. Come Taemin poteva benissimo fare.   
“Va bene, va bene...” sospirò ingoiando l’amaro, perché alla fine erano davvero simili, entrambi invischiati in quel mondo, e come potevano uscirne con le sole proprie forze? Erano appena dei ragazzi, catapultati con violenza nel mondo degli adulti. Jonghyun si sentiva ancora un bambino, costretto a crescere troppo velocemente per via della malattia del padre.
Ma quella era ancora la storia a cui non voleva pensare.
“Comunque, se vuoi...” continuò Jonghyun facendo per uscire, “...puoi prenderti anche un paio di serate libere, okay?”
“Sto bene. Mi basta andarmene un po’ prima”
L’altro annuì con un sospiro. Almeno tu, almeno tu che puoi... spero che qualcuno venga a prenderti, e ti porti via di qui.
 
Quando Taemin si avvicinò a quel tavolo per servirlo, non si aspettava di certo di trovare il ragazzo biondo che a pranzo gli aveva fatto drizzare i capelli per la disperazione.
“Ci rincontriamo” mormorò Kibum con gli occhi ridotti ad una fessura e un ghigno stampato sul volto. Taemin stava per ribattere quando un pensiero lo paralizzò. Nessuno a scuola doveva sapere quale fosse il suo lavoro notturno, o la notizia sarebbe circolata fino a raggiungere le orecchie onnipresenti del padre. Mosse silenziosamente la bocca e ne uscì qualche breve parola stentata.
“Come lo sapevi...”
Kibum scoppiò a ridere, sicuro per l’imminente vittoria. Appurato che quello che diceva Minho era vero - cioè che quel ragazzo ancora minorenne lavorava in un locale del genere - il giorno dopo lo avrebbe detto a tutto l’istituto, e si sarebbe ripreso il posto che gli spettava.
Indicò beffardo alla propria sinistra e Minho sospirò distogliendo lo sguardo. Come aveva fatto a farsi sfuggire un’informazione del genere...? Con Kibum poi!
Taemin guardò il ragazzo che era seduto al tavolo con quel biondino isterico. Strinse gli occhi cercando nella memoria un collegamento che gli sfuggiva.
“Scusa ma non lo conosco” disse tornando a guardare Kibum, che intanto si alzava trionfante.
“Non importa, lui conosce te, e ora sai cosa succede?”
Taemin lo ignorò un secondo e tornò a guardare Minho con le sopracciglia aggrottate.
“Sei forse una spia di mio padre? Che vuoi?”
“Hey! Non ignorarmi!” gridò Kibum facendo il giro del tavolo. Afferrò Taemin per la cravatta e lo strattonò. “Non sai con chi stai giocando”
“Non voglio giocare” sbuffò Taemin reggendo il suo sguardo, “Non ho ancora capito che problemi hai tu”
Minho si alzò di scatto, ma non fece in tempo a separarli che Kibum aveva già steso l’altro con una testata. Restò pietrificato, e anche i tavoli attorno ammutolirono. Qualche donna si portò le mani alla bocca, mentre altre avevano iniziato ad agitarsi perché, dopotutto, Taemin era il cameriere più bello là dentro, e nessuno poteva permettersi di toccarlo. Una ragazza aveva gridato, attirando le attenzioni di qualche altro cameriere nelle vicinanze.
“Ahi...” si lamentò Kibum con le dita che si tastavano la fronte.
Minho scansò bruscamente l’amico e si gettò sul ragazzo a terra.
“Stai bene?” chiese, sinceramente preoccupato, mentre provava a toccargli il sopracciglio spaccato da cui usciva un filo di sangue. Taemin si ritrasse di colpo, guardandolo con gli occhi colmi di odio. Minho si girò, afferrò un tovagliolo dal tavolo e glielo porse. “Blocca il sangue, fai da solo” gli disse, prima di alzarsi ed affrontare Kibum.
“Sei impazzito di botto?!” gridò Minho, con una veemenza tale che fece trasalire l’altro. Kibum non sapeva cosa rispondergli, non l’aveva mai visto così. Il dolore alla testa - divenuto improvvisamente talmente reale - gli fece rendere conto del proprio gesto e la lucidità tornò di colpo. Le gambe iniziarono a tremare, e dovette lasciarsi andare su una sedia, mentre milioni di lucine bianche gli offuscavano la vista.
“Che succede qui?” una voce sconosciuta fece voltare Minho, bloccandolo dal prendere a pugni l’altro. Jonghyun si faceva largo tra i tavoli e le persone fino a raggiungerli.
Qualche ragazzina si agitò ancor di più. “Quello non è il figlio del capo?” dicevano, “E’ Jonghyun!”
Taemin intanto si stava rialzando e Minho corse ad aiutarlo. Lo afferrò per un braccio e lo tirò su con una facilità impressionante. Quanto poteva essere gracile quel ragazzo?
“Taemin?” domandò Jonghyun cercando di guardargli il viso, ma questi si nascondeva, e intanto premeva il fazzoletto bianco sulla ferita. “Cos’hai?”
“Vado a prendere una boccata d’aria” mormorò allora il ragazzo, e si incamminò velocemente verso l’uscita sul retro.
Jonghyun si guardò attorno spaesato, poi si soffermò sul viso di Minho che, a quel contatto, chinò il capo e la schiena.
“Mi dispiace molto!” disse stringendo i pugni, “Lei è il figlio del direttore? Sono veramente dispiaciuto per il comportamento del mio amico... ce ne andiamo subito” e si girò verso Kibum per incitarlo ad alzarsi. Passò un suo braccio attorno al proprio collo e, con un ultimo inchino, si incamminò verso l’uscita.
 
“Che diavolo hai combinato per meritarti una testata?” domandò Jonghyun trattenendo una risata.
“‘Sta zitto...” si lamentò Taemin, mentre tornava a bagnare il fazzoletto con l’acqua del rubinetto del bagno. Quindi lo poggiò con una smorfia sul sopracciglio, “Quello là è pazzo”
Jonghyun si sedette su uno dei divanetti della toilette e accavallò le gambe.
“Quei due, frequentano la tua stessa università?”
“La checca bionda sì...”
“Taemin... capisco che sei arrabbiato, ma così mi sento insultato pure io” disse l’altro con un mezzo sorriso. Taemin fece un gesto di stizza con la lingua.
“Tu non sei un pazzo che prende a testate la gente senza motivo. Solo perché hai la luna storta”
Jonghyun fece spallucce. Era ancora convinto che un motivo ci fosse, se non altro il mero respirare di Taemin a volte era talmente fastidioso che si meritava un pugno solo per quello. Ovviamente l’unico problema dell’incidente era il fatto che fosse successo proprio nel locale. Questo, di certo, non sarebbe stato perdonato.
“Invece l’altro?”
“Eh?”
“Quello moro e alto” spiegò Jonghyun, “È stato gentile, no?”
Taemin chinò il capo.
“Sì, come un padre è gentile con il figlio”
“Perché? Che altro tipo di gentilezza ti aspettavi?”
“Ma che vai blaterando?” sbottò Taemin aggrottando le sopracciglia.
“Non fraintendere! La botta ti ha dato alla testa?” rise Jonghyun, “Intendo la gentilezza di un amico. Sicuro che non vi conosciate?”
Quello moro e alto...” mormorò Taemin a bassa voce, ripetendo le parole dell’altro. Bagnò ancora una volta il fazzoletto per prendere tempo. Faceva anche lui quell’università? Lo aveva già incontrato?
“Taemin...” Jonghyun lo riportò alla realtà, “Ti sei proprio affezionato a quel pezzo di carta! Cambialo, no? Non vedi che ti si scioglie in mano ormai?”
Taemin fissò il volto di Jonghyun con occhi socchiusi. Altro che fraintendimenti.
“Non farti strane idee” concluse Taemin, gettando il fazzoletto nel cestino senza guardarlo. E si guardò allo specchio, passando un dito sulla ferita, con la stessa apprensione con cui quel ragazzo moro e alto l’aveva sfiorato qualche momento prima.
“Comunque è strano” continuò Jonghyun col suo solito sorrisino, “Non sei tipo da tirarsi indietro in una rissa”
“Ora prendo a pugni te, se non la smetti” sibilò Taemin guardandolo attraverso lo specchio.
“Sul serio!”
“Non so” concluse secco Taemin, distogliendo lo sguardo. “Non so come, ma la rabbia dentro di me ad un certo punto è sparita di colpo”

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ATTENZIONE: Non credo che continuerò a postare il seguito su efp per il momento... se volete continuare a seguire la fanfic potete seguirmi su questa community di lj: QUI Scusate l'inconveniente ^^''

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Capitolo 2
*** Ti ho trovato. ***


Commento: Dato che nella community l'ho finita di postare, mi è venuta voglia di concluderla pure su efp... ^^ Quindi ecco un altro capitolo! Spero vi piaccia ^.^

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Minho sprofondò nel sonno, il mento scivolò dal palmo della mano e la fronte sbatté sordamente sul banco. Si ritirò su di colpo, con gli occhi sgranati e un evidente segno rosso in testa.

Ad alcuni compagni di classe sfuggì una risatina, mentre il professore - impegnato nella spiegazione di un complicato calcolo logaritmico - non si era reso conto di niente. Ovviamente nessuno osò dire nulla, e in breve ognuno tornò a spremersi le meningi per seguire lo svolgimento del problema.

Minho sbuffò, stropicciandosi gli occhi - decisamente gonfi - e ignorando il dolore alla fronte. Ma che diavolo, non era mai successo che si addormentasse nel bel mezzo di una lezione universitaria. Aritmetica poi! Che era la sua materia preferita sin dal liceo. Tutto grazie al piano diabolico di quell’impulsivo di Kibum. Lo cercò un po’ con lo sguardo, perlustrando invano l’intera aula. Non si era presentato a lezione, ma la cosa non lo stupiva molto. La sera prima, dopo essere usciti traballando dal locale, lo aveva riaccompagnato a casa e Kibum aveva costretto l’altro a restare fino a tardi.

“Forse ho fatto una cazzata...” gli aveva detto piagnucolando. Poi si era lasciato andare sul divano del salotto. “Scusami”

“Devi scusarti con quel ragazzo” aveva risposto lui con un sospiro, “Io non c’entro nulla”

“Ma sei arrabbiato con me...”

“Certo!”

“Ecco, vedi?”

Minho aveva soffiato forte l’aria fuori dai polmoni, e gli si era seduto di fianco.

“Non dovrei esserlo, comunque... è una cosa che succede spesso tra giovani, no?”

Kibum lo aveva guardato attraverso la fessura degli occhi socchiusi.

“Sembra proprio che tu non abbia venti anni”

“Certe volte me lo domando pure io, quanti anni abbia” aveva mormorato stancamente, “Kibum, sto sprecando la mia vita?”

 

A pranzo, mentre Minho mordeva con poca voglia il solito panino fatto in casa, Kibum apparve raggiante in mensa. Scorse velocemente l’interno e, dopo aver trovato il suo obbiettivo, prese fiato. Sembrava proprio che stesse per - come si dice - aprir bocca e dargli fiato, quando Minho lo bloccò ficcandogli il resto del panino in bocca e lo trascinò fuori.

“Non devi dire niente riguardo quel ragazzo, intesi!?” lo minacciò con sguardo truce. Era colpa sua se Kibum l’aveva scoperto, e non voleva affatto essere il responsabile se per quello ci fosse stata una qualche conseguenza spiacevole. Lo sguardo sconvolto che quel ragazzino aveva rivolto a Kibum vedendolo aveva mosso dentro di sé un certo istinto paterno. Quella stessa sensazione che era venuta fuori il giorno in cui aveva scoperto che lei aspettava sua figlia.

Kibum ingoiò il pezzo di panino rischiando di strozzarsi. “Ma che diavolo fai!?”

“Ti impedisco di agire d’istinto, per la seconda volta”

“Senti...” sbuffò Kibum che sembrava essere tornato quello di sempre - ogni nota di risentimento della notte prima scomparsa chissà dove - “Passi che non posso prenderlo a testate, anche perché mi sono fatto un male boia pure io...”

“Perché non sei capace...”

“Dicevo!” riprese Kibum ignorandolo, “Passi questo, ma non posso nemmeno attaccarlo con le parole?”

“Vuoi che sia lui a dartele, questa volta? Kibum, che ne dici di lasciar perdere? Eh?”

“La fai facile tu...” mormorò Kibum sconsolato.

Certe volte Minho aveva l’impressione che l’altro ingigantisse all’inverosimile i propri problemi o sentimenti. Va bene provare emozioni - negative o positive che siano - per un certo evento, ma almeno una persona deve saperle soppesare e, in seguito, esprimerle con la giusta intensità. Che poi Minho era un tipo quasi privo di emozioni è un altro discorso.

“Certo...” continuò Kibum dopo qualche secondo, come se esprimesse il continuo di un suo pensiero, “...il tipo che ieri sera è venuto in soccorso di quella carota... era ben piazzato... non ti pare? Non vorrei mettermi a fare a testate con uno del genere...”

Minho lo lasciò perdere e iniziò a rimpiangere il fatto che un quarto del proprio panino se lo fosse mangiato Kibum. Poco male, avrebbe azzittito lo stomaco con una sigaretta, non aveva certo soldi da buttare in quella mensa.

“Era figo, vero? Vero?” continuava a saltellare Kibum, aspettando il responso dell’altro.

“Ma chi?”

“Quel tipo che è venuto ieri sera! Non l’ho visto bene che avevo uno stormo di lucciole davanti alla faccia... ma era figo, no?”

“Il figlio del direttore del locale? Jonghyun?”

“Quello che sia... non ne ho idea... però era figo, e se lo dico io significa che è vero”

“Era un bel ragazzo... oggettivamente” si affrettò ad aggiungere dopo che Kibum gli aveva lanciato un’occhiata di traverso. “E ora, mentre tu continui a fantasticarci sopra, io vado a farmi una sigaretta... ci vediamo domani!”

“Non vieni a fisica?”

“Posso permettermi di saltarla. Firmerai per me?”

 

Minho si distese sul solito pianerottolo delle scale di emergenza e tirò fuori l’accendino.

In quel luogo di silenzio si sentiva davvero in pace con se stesso, e i soliti interrogativi che gli arrovellavano la mente scomparivano di colpo. Anche se continuava a domandarsi chi pulisse un posto simile... Comunque, su quel pianerottolo, disteso tra i gradini che collegavano il terzo al secondo piano, c’erano solo lui e la sua sigaretta. E quella pace sarebbe durata in eterno, se non fosse stato che qualcuno aprì la porta d’emergenza catapultandosi con foga sul pianerottolo, e per poco non gli pestò la faccia.

“Ti ho trovato... allora sei proprio tu!”

Minho schiuse un occhio e, oltre il velo di fumo che si era creato sopra di lui, scorse il famoso ragazzino dai capelli rossi che lo additava poco cortesemente.

“Mi cercavi?” domandò Minho alzando la schiena da terra e rimettendosi seduto.

“Sì. Il tuo amico mi deve delle scuse” sentenziò sicuro indicandosi il sopracciglio coperto da un cerotto attaccato malamente. Minho lo guardò inclinando un po’ il capo.

“Io credo che la cosa debba essere reciproca...”

“Come scusa?!”

“Anche tu devi comportarti con educazione, se vuoi un responso simile dall’altra parte”

Il ragazzo dai capelli rossi lo guardò sbigottito.

“Per esempio...” continuò Minho spegnendo la cicca sotto ad una scarpa e lanciandola nel cestino del pianerottolo, “...sei arrivato, mi hai puntato il dito contro e non ti sei nemmeno presentato”

“Ci conosciamo!”

“Io non ti conosco”

“Sono Lee Taemin! Devi conoscermi, sono famoso!”

Minho sbuffò voltandosi di lato. “Pure tu con questa storia...?” borbottò tirandosi su. Si pulì i pantaloni e prese a guardare fuori, oltre il muretto delle scale. Quell’atteggiamento di superiorità che entrambi avevano gli dava fastidio, non c’erano dubbi. E forse un po’ c’entrava anche l’invidia. Perché loro erano in quella scuola grazie ai soldi dei loro genitori, mentre lui, abbandonato il salto in alto, doveva tirare avanti con solo la misera attività della madre e qualche lavoro estivo mal pagato.

“Che vuoi dire?” domandò l’altro pungente.

“Anche Kibum... siete così pieni di voi stessi... ma non importa...”

Taemin aggrottò le sopracciglia.

“Mi stai paragonando a quella checca?”

La frase arrivò come un ago alle orecchie di Minho, che non ci vide più. Pensò che non doveva permettersi... che non poteva... ma nemmeno la mente sapeva cosa pensare. E se la mente di Minho si scollega, il corpo potrebbe agire senza controllo.

Taemin venne di colpo sbattuto contro la porta di servizio, la maniglia conficcata nel fianco. Gli sfuggì un gemito di dolore. Provò a spostarsi, ma Minho lo teneva così stretto per la camicia dell’uniforme che non riusciva a muovere un muscolo, il viso a pochi millimetri di distanza da quello dell’altro. Avvertiva il suo fiato sulla bocca, e la paura salirgli in gola.

Ma passarono solo pochi secondi, e quella morsa si sciolse in un attimo, insieme alle gambe di Taemin, che cedettero. Si afflosciò al suolo con la mano premuta su un fianco.

Minho tornò in sé di colpo e gli occhi guizzarono spaventati sul corpo dell’altro. Indietreggiò lentamente. Taemin lo guardava con sguardo attonito.

“Scusami...” mormorò Minho portandosi una mano tra i capelli, e si lasciò andare anche lui.

Si ritrovarono seduti, l’uno di fronte all’altro. In silenzio.

Minho allungò il collo all’indietro, poggiando la nuca sul muretto alle proprie spalle. Non capiva perché gli succedeva tutto questo. Perché quando stava vicino a quel ragazzino si sentiva un altro? Qualcuno di incontrollabile, che non era se stesso. Si sentiva... un ventenne? E ciò gli faceva paura. Chiuse gli occhi. Aveva lavorato così tanto al proprio interno per maturare, crescere interiormente più degli altri, ed essere così un buon padre. Ed ora arrivava questa persona e gli mandava in frantumi tutto il lavoro che aveva faticosamente perfezionato in due anni. Dov’era finito quel boomerang piatto ma rassicurante?

Tornò con la mente alla sera prima, a quando si era rivolto a Kibum in quel modo... e aveva visto nei suoi occhi il riflesso di una persona che non era lui. Io non sono così impulsivo. Io sono una persona razionale, che ha sviluppato la mente con la matematica e il corpo con lo sport. Una combinazione perfetta di concentrazione e precisione, indistruttibile. Un castello di vetro che lui credeva di acciaio.

Osò riaprire gli occhi e guardare l’altro. Taemin era rimasto immobile.

Minho decise che doveva ignorare quello che era appena successo, ed andare avanti. O quell’evento si sarebbe aggiunto ai tanti che odiava, e che aveva vissuto. Si trascinò fino a sedersi vicino a lui. Taemin gli bloccò il polso, mentre Minho aveva allungato una mano verso il suo viso.

“Voglio solo sistemarti il cerotto...”

“Non ce n’è bisogno”

Ma Minho non ritirava la mano, insistette ancora un po’ e alla fine Taemin mollò la presa. Abbassò gli occhi mentre l’altro staccava lentamente il cerotto e lo riposizionava coprendo la ferita.

“Ecco...” disse Minho, e tornò ad appoggiarsi con la schiena al muro.

“Se volevi farti perdonare non ci sei riuscito... Mi hai infilato la maniglia della porta sul fianco! Mi resterà il livido”

Minho si voltò di colpo. “Cavolo...!” esclamò poggiandogli una mano sulle coste, “Dove? Fa vedere!”

Taemin si ritrasse di colpo. “Non mi spoglio mica!”

Minho sbatté un paio di volte le ciglia.

“Che problema c’è... comunque vuoi andare in infermeria? Ti accompagno, è stata colpa mia”

“Sì, è stata colpa tua. E no, non mi accompagni. Possibile che quando ci sei tu finisco col farmi male?”

Minho chinò un po’ il capo.

“Scusami...”

Taemin lo guardò di sottecchi. Sembrava davvero dispiaciuto.

“Allora...!” esclamò battendogli una mano sulla spalla, “...Se vuoi che ti perdoni devi farmi un favore”

“Dipende...”

“Hanno chiesto a mio padre un aiuto per fare una pubblicità di un orologio parecchio costoso... la gioielleria è quella che sta nel centro commerciale XX, hai presente? E hanno bisogno di un modello per le foto...” e qui Minho mise le mani avanti.

“Io? No, no... non mi ci vedo proprio in posa come una statua davanti a un obbiettivo! Scusami...”

“Guarda che non ti perdono, eh!” gridò Taemin cercando di afferrarlo mente l’altro si alzava di colpo e si allontanava.

“È tardi!” lo liquidò Minho imboccando la porta di servizio, “Ciao!” e corse giù per le scale.

 

Quando Minho mise piede nel salotto della madre, Ai lo fissò coi grandi occhi spalancati e un sorriso le si allargò sul viso.

“Papà è tornato presto oggi!” esclamò Minho avvicinandosi al divano - dove era seduta la figlia con le sue bambole - e lei allungò subito le piccole mani in alto. Minho la prese in braccio e gli baciò la fronte. “Allora, che hai fatto oggi?”

La bambina si sporse all’indietro ed indicò il divano, quindi mormorò qualcosa che somigliava alla parola bambole, ma che chiunque al di fuori di Minho non avrebbe saputo decifrare.

“Hai giocato con Soojung e Jinri?” chiese con un sorriso, “Se ti piacciono dovremo comprarne un’altra per il tuo compleanno!”

La bambina annuì timidamente e Minho prese a guardarsi intorno. “Dov’è la nonna?”

“Minho!” sentì la donna chiamarlo dalla cucina, “Sei tornato?”

Si avviò nell’altra stanza.

“Vuoi mangiare qualcosa?” domandò la madre vedendolo.

“Sto bene” rispose Minho, “Ai ha fatto merenda?”

“Non ancora...” rispose la donna finendo di preparare alcuni ingredienti sul tavolo.

Minho guardò Ai, “Hai fame?”

La bambina annuì di nuovo.

“Andiamo a casa allora!” esclamò Minho dirigendosi verso le scale interne che collegavano l’appartamento della madre con il proprio. “Oggi non dovrebbero esserci molti clienti al ristorante...” commentò poi, rivolto alla madre, “Chiudi presto e va a riposarti... non hai un bell’aspetto”

La madre annuì sorridendo.

“Non preoccuparti per me, tu piuttosto... questa sera esci?”

Minho guardò sua figlia, “Oggi no...”

“Allora anche tu non fare tardi!” disse la donna impostando il timer del forno “Buona notte per dopo!”

Minho annuì ricambiando la buona notte. Tornò in sala per recuperare le due bambole, quindi prese a salire le scale.

 

Mentre Minho era intento a tagliare una mela - e si stava impegnando molto, dato che intagliarla a forma di coniglietto non gli riusciva ancora bene - squillò il cellulare.

Ai guardò curiosa quell’ordigno poggiato sopra il tavolo - che si illuminava agitato - e continuò a scrutarlo, almeno finché Minho non lo afferrò per rispondere. Delusa, tornò alle sue bambole.

“Pronto? Kibum?”

-Minho! Ci hai messo un secolo a rispondere!-

“Scusa, avevo le mani occupate. Com’è andata la lezione?”

-Mah... il professore sembra sempre più matto... oggi si è messo a fare strane similitudini per farci capire come funzionava una legge fisica... non mi ricordo nemmeno quale fosse...-

“Interessante allora!” esclamò ironico Minho, cercando di incastrare il cellulare tra la spalla e l’orecchio, e poter tornare alle mele, “Hai preso appunti?”

-Ovvio, domani te li porto...-

“Grazie!”

-E di che... comunque non sei l’unico che oggi salta le lezioni!-

“Cioè...? Ah! Kibum, aspetta un attimo! Ai, non metterle in bocca...! Sono sporche...”

Kibum restò in attesa qualche secondo, poi la voce di Minho tornò udibile.

“Eccomi...”

-Ai decide di darsi al cannibalismo?-

Minho rise leggermente. “Quelle bambole profumano di cioccolata... e sai che ne va matta. Altro che questa frutta insapore!”

-Come biasimarla...-

“Comunque, dicevi?”

-Non mi ricordo... ah, sì! Parlavo di quello lì... quel Lee Taemin! Ha saltato pure lui le lezioni del pomeriggio.-

“Ah, quindi?”

-Quindi niente, non ha fatto altro che girare per la facoltà cercandoti... ma questa volta io non gli ho detto nulla che tu eri tornato a casa!-

Minho aggrottò le sopracciglia. Non demorde, ma io non lo farò mai quel servizio.

“Questa volta...?” chiese poi iniziando ad imboccare Ai, che non aveva alcuna intenzione di mangiare pezzi di mela informe.

-Ehm... ecco... sono stato io a dirgli dove ti trovavi oggi dopo pranzo... perdonami!-

Minho sbuffò e Ai, pensando che il padre fosse arrabbiato per quel suo capriccio, aprì la bocca e diede un piccolo morso alla mela.

“Kibum... lo sai che quel posto è off limits, no?”

-Scusami ti ho detto! Ma quello lì insisteva così tanto! Io gli ho detto: Perché lo cerchi così tanto? E lui dice:Deve assolutamente fare qualcosa che solo lui può fare qui dentro. Allora io gli faccio: Ti dico dov’è solo se tu te ne stai al tuo posto. E lui non capiva! Cioè! Nemmeno si era reso conto di nulla quello lì! Alla fine ha accettato, anche perché se tu gli dicevi di sì lui non sarebbe più venuto a scuola. Gli hai detto di sì, vero?-

Minho cercò di sistemare nella mente quello che Kibum gli stava dicendo.

“Io non posso accettare”

-Eh!? Ma di che si tratta? Qualcosa sullo sport?-

“No, no, non c’entra nulla... vuole che io posi per un servizio fotografico”

Kibum si lasciò sfuggire un grido.

“Non perforarmi le orecchie se ce la fai!” esclamò Minho, mentre l’udito tornava normale. Intanto Ai aveva finito la sua merenda ed era tornata ad occuparsi di Jinri. Minho prese a sparecchiare.

-Un servizio fotografico!?- gridò Kibum, -Accetta! Sai che figata!-

“Kibum, va contro ogni mia etica, lo sai! E poi sono padre, ti immagini che potrebbe pensare Ai se vedesse il mio faccione su un cartellone pubblicitario?”

-Penserebbe: Ho un papà davvero mitico!! O almeno io lo penserei!-

“Ma poi quello è un centro commerciale davvero grande... no, no... non si può...”

-Anche se sarebbe meglio che ci fossi io lì sopra...- continuò Kibum ignorandolo, -Ma perché solo tu puoi farlo? Anche io sono bello!-

Minho fece spallucce, e intanto infilava il piatto lavato nella credenza. “Glielo chiedo se puoi farlo te”

-Per carità! Ne andrebbe del mio orgoglio... ah, Minho! Ora ti saluto che è arrivato l’autobus! Ci vediamo domani pomeriggio? Facciamo un giro?-

“Pensavo di uscire con Ai domani! Rimandiamo?”

-Okay, okay! Ci vediamo dopodomani a lezione!-

“Ciao!”

Minho chiuse il cellulare e lo rimise in tasca. Davvero quel ragazzino lo avrebbe perseguitato finché non avesse accettato? Sospirò e si lasciò andare su una sedia.

Mentre guardava Ai giocare con le sue bambole iniziò a pensare a come potesse essere il proprio volto raffigurato su un cartellone pubblicitario del genere, e paragonava quell’immagine mentale alle fotografie del proprio passato. Gli venne in mente l’ultima volta che aveva posato davanti ad una macchinetta fotografica. Era passato così tanto tempo che ormai il ricordo visivo era scomparso. Restavano ormai solo le sensazioni positive che vi aveva legato col tempo. Ripensò alle raccomandazioni di lei, la sua voce che gli diceva come mettersi per far risaltare gli occhi e il fisico risuonava limpida. Gli diceva sempre che i capelli doveva tenerli un po’ lunghetti sui lati, per coprire le orecchie leggermente a sventola. Sorrise toccandosi i lobi. Da quel momento li aveva sempre tenuti in quel modo, come gli aveva suggerito.

Il fatto che lei fosse la fotografa che aveva scattato le foto del primo servizio fotografico della sua carriera di sportivo in ascesa era una informazione che si era tenuto da sempre per sé. Nemmeno la madre lo sapeva. In quel momento, mentre guardava Ai ridere così spensieratamente, pensò che sarebbe stato bello avere delle sue foto scattate da lei.

“Ai” la chiamò Minho improvvisamente, e lei alzo il viso, “Domani andiamo a comprare una nuova bambola?”

La bambina annuì sorridente.

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Capitolo 3
*** Usiamola come bambola Voodoo! ***


Commento: Non capisco se effettivamente qualcuno stia leggendo x°D Ma vabé! Ecco un altro capitolo ;D

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Taemin seguì il padre all’interno del centro commerciale.

“C’eri mai stato?” chiese il padre, fermandosi in mezzo alla piazzola della hall e guardando in alto, verso i balconi dei sette piani dell’edificio e più in alto, fino al soffitto di vetro.

“No...” rispose svogliatamente Taemin, senza alzare lo sguardo dallo schermo del cellulare.

“Vuoi mettere via quel coso e darmi retta?” chiese il padre iniziando a stancarsi. Taemin ripose l’iPhone in una tasca dei jeans e lo guardò fingendo attenzione.

“Ci sono, dovevo rispondere ad un messaggio...”

“Sbrighiamoci, che devo tornare in ufficio” riprese il padre, “Allora, questo è il centro commerciale più importante della mia catena. Ti mancano solo i tre anni d’università e poi sarai tu a dovertene occupare”

“Lo so già...” biascicò Taemin infilandosi un chewing-gum in bocca.

“Mi aspetto molto da te” continuò il padre guardandolo con serietà, ma Taemin già non lo ascoltava più. “Hai trovato il modello di cui ho bisogno? Quella è la gioielleria che farà la pubblicità”

Taemin lanciò un’occhiata al negozio - forse - più costoso dell’intero palazzo. Poi alzò lo sguardo verso un enorme cartellone ancora bianco.

“Ci sto lavorando...”

“Non sei nemmeno capace di trovare un ragazzo decente che posi con un maledetto orologio al polso? Non deve essere bellissimo, eh, poi ci pensa il computer”

Taemin scrollò le spalle.

“Hai una settimana” fece in tempo a dire il padre prima che un suo assistente gli dicesse all’orecchio che era in ritardo. “Di già? Che diamine... tanto torni in moto tu, no?”

Taemin annuì con un enorme bolla di gomma da masticare davanti alla faccia.

“Io torno a casa domani... fai il bravo qui a Seoul...” sbuffò il padre e si allontanò verso l’uscita con passo veloce. Una volta che fu scomparso dalla sua visuale, Taemin buttò la gomma nel primo cestino che trovò.

“Non ho tre anni...” mormorò, prima di alzare il viso verso il soffitto di vetro.

Quell’enorme posto sarebbe divenuto di sua proprietà? Chissà come si sarebbe divertito a mandarlo in rovina. Oppure, ancora meglio, poteva trasformarlo in un pub d’alta classe, con tanto di sala giochi e tavoli da biliardo. Mentre si divertiva ad immaginare quel posto vibrante di musica house, arrivò di fronte gli ascensori. Entrò nel primo disponibile e, arrivato all’ultimo piano, il settimo, uscì.

Quello era il piano ristorazione, e si poteva ordinare ogni tipo di cucina possibile. Decise che aveva fame, così si diresse verso il primo chiosco a portata di mano e si fece fare un hamburger. Quindi sedette svogliatamente su una panchina ad osservare la gente che passava.

Alla fine poteva benissimo abbattere quel posto e scappare con i fondi in un qualsiasi posto dell’Europa. L’Europa lo attirava. Non sapeva dire bene perché, ma in generale gli sarebbe piaciuto viaggiare e, se ne avesse avuto l’opportunità, se ne sarebbe andato là. In Francia, magari a Parigi. Chissà perché lo attirava quella città, forse per i dolci? A quel pensiero pensò che il panino non gli andava più, e aveva una voglia matta di torta al cioccolato. Quando era piccolo suo padre gliene riportava sempre una fetta dal lavoro, quindi di sicuro in quel posto c’era la pasticceria in questione. Si guardò un po’ intorno ma, nel momento in cui pensò che si sarebbe dovuto alzare per cercarla, qualcosa attirò la sua attenzione: una bambina con una grossa bambola in mano - che era quasi più grande di lei - stava camminando incerta davanti a lui. Una persona così piccola riesce a camminare da sola? Stava per fregarsene quando la bambina si voltò e prese a fissarlo.

“Vuoi mica spaventarmi?” chiese chinando leggermente la schiena in avanti. Ma la bambina non rispose. Rimase immobile, lo guardò per un altro po’, poi continuò la sua precaria passeggiata. Taemin si alzò di scatto e si guardò intorno. Era da sola?

“Hei, tu!” la chiamò raggiungendola, quindi le si accucciò davanti. “Non trovi più la mamma?”

Quella bambina lo osservò con i grandi occhi acquosi, ma non disse nulla. Chinò lo sguardo a terra e mormorò qualcosa. Taemin non fece in tempo a chiederle di ripetere che avvertì la voce di qualcuno chiamare un nome ad alta voce.

“È qui!” esclamò Taemin alzandosi in piedi. E quando Minho li raggiunse di corsa, prese in braccio la bambina e la strinse forte a sé, Taemin ci rimase di stucco.

“Ai, tranquilla, il papà è qui... ma non farmi prendere mai più un colpo del genere, capito?” le disse carezzandole i capelli, quindi fece per rivolgersi alla persona che l’aveva ritrovata ma rimase a bocca aperta.

“Tu?”

A Taemin cadde il panino dalle mani, ma tanto non aveva più fame.

“È tua figlia...?”

Minho si sarebbe sotterrato, se solo non si fosse riproposto il solito problema della buca profonda.

 

“Quanti anni ha?” domandò Taemin. Erano al secondo piano, seduti su una panchina dell’area bimbi, e Ai, poco distante da loro, mostrava orgogliosa la sua nuova bambola ad un altro bambino.

“Due...” rispose Minho senza distogliere gli occhi dalla figlia, “Appena compiuti”

Taemin annuì dondolandosi un po’ avanti e indietro. Non sapeva dire il perché, ma si sentiva a disagio.

“Com’è che si chiama?” provò a domandare ancora. Sperava che, parlando, un po’ della tensione si sarebbe sciolta.

“Ai... è un nome strano, lo so...”

“Mi piace... ma non è coreano, no?”

“E’ giapponese...”

“Ooh...”

“La madre è giapponese, è una fotografa famosa. E Ai è il suo nome d’arte...”

Taemin annuì. Non pensava che l’altro gli avrebbe detto tutte quelle cose di sua iniziativa. Temeva di poter essere invadente, invece Minho non sembrava scocciato. Si domandò pure dove fosse la madre in quel momento, perché, da come ne aveva parlato, aveva la sensazione che non fosse insieme a loro. Ma quello non glielo avrebbe chiesto, non ancora. Lo guardò e trovò il suo viso davvero tranquillo. Gli vennero in mente un altro milione di cose scontate da dire... deve essere dura senza madre, devi faticare parecchio con lo studio, di sicuro la tua non è una vita facile... anche io non ho una madre... e cose del genere. Invece restò in silenzio e tornò a guardare la bambina che, nel frattempo, si era alzata e ora si avvicinava a loro. Poggiò la bambola sulla gambe del padre.

“Ti piace molto, vero?” le chiese Minho col sorriso, “Come la chiamiamo?”

Ai contorse un po’ le mani, quindi si aggrappò ad una sua gamba e diede un’occhiata a Taemin. Lo indicò.

“Cosa...?” chiese ancora Minho, e guardò l’altro, che fece spallucce. “Lui è Taemin...”

“Tae...min...” ripeté la bambina continuando a guardarlo e intanto si dondolava avanti e indietro.

“Vuoi chiamarla Taemin...?”

Ai guardò la bambola e annuì. Minho si mise a ridere e le scompigliò un po’ la frangia scura. “D’accordo... vai a far vedere Taemin agli altri bambini allora!”

Mentre la bambina si voltava per tornare dai suoi nuovi amici, Taemin diede un pugno sul braccio di Minho.

“Ahi!”

“Dovevi impedirlo!”

“Ma cosa...!”

“Non può chiamarsi come me!” esclamò Taemin indignato, “Io sono un maschio!”

Minho trattenne una risata di scherno. “Deve averti scambiato per una ragazza...”

“Ma...!”

“Dovresti sentirti lusingato! Lei sceglie sempre nomi di idol per le sue bambole...!”

Taemin incrociò le braccia e mise il broncio. Minho rise per quella faccia buffa e prese a punzecchiarlo con un dito.

“Lì mi fa male! Ho davvero un livido per colpa tua!”

“Sì?” domandò Minho passando al solletico, “Non ci credo, fammi vedere!”

Taemin cercò di bloccargli le mani, ma non riuscì ad evitare di mettersi a ridere fino a farsi salire le lacrime.

“Smettila...!” esclamò, cercando di respirare, e Minho si fermò. Lo guardò in viso, mentre Taemin si spostava la frangia rossa dagli occhi, e fu come se lo vedesse per la prima volta. Qualcosa nello stomaco si contorse e dovette distogliere lo sguardo.

 

***

 

“Pronto, Kibum?”

-Minho!? Sei proprio tu?”

“Eh, certo che sono io! Ai mica riuscirebbe a telefonarti!” esclamò Minho distendendosi sul proprio letto, mentre la bambina già dormiva profondamente sul lettino accanto.

-No... è che era una vita che non mi chiamavi...-

“Davvero? Sarà che mi assilli ogni giorno e non sento il bisogno di telefonarti di mia iniziativa”

Kibum finse una risata, -Allora sentiamo, ora ne hai sentito il bisogno?-

Minho annuì, “Non sai chi ho incontrato oggi al centro commerciale XX...!”

-Jonghyun...?-

“Eh? E chi sarebbe...? Il tuo nuovo ragazzo?”

-Minho! Ma non te lo ricordi? È il figlio del proprietario di quel locale dell’altro giorno!-

“Aaaah... sì... ma che c’entra ora?”

-Boh, non lo so... mi è venuta voglia di rivederlo-

“Allora torna al locale! Così magari ti scusi per il diavolerio che hai combinato”

-Dici che dovrei?-

“Dico”

-Non lo so... ma insomma, chi hai incontrato? Nella lista rimane solo la carota pazza...-

“Kibum... la mia vita è davvero così scontata?”

-Abbastanza-

“Non mi aiuti così...”

-Scusa-

“Comunque sì... lui. Ed ero con Ai”

Kibum gridò.

“La smetti di uccidermi i timpani!?”

-Ma ora!? Ti ha visto con lei! Dille che è mia figlia! No, che è la figlia di tua cugina minore che è scappata di casa col ragazzo e ti ha affidato la figlia finché non si calmano le acque coi genitori!-

“Devi smetterla di vedere drama tu... ha capito che è mia figlia tanto...”

-Ma come è potuto succedere!! Di tutti gli abitanti che ha Seoul proprio lui dovevi incontrare? Ma che ci faceva là!?-

“Mi sono dimenticato di chiederglielo... comunque, sai? Mi ha fatto un’impressione diversa rispetto alle altre volte... e almeno questa volta non ne è uscito con un cerotto in fronte. Stava simpatico pure ad Ai! Pensa che ha chiamato la nuova bambola col suo nome!”

Kibum trasalì.

-Bruciala finché sei in tempo! Anzi! Usiamola come bambola Voodoo!-

“La smetti di fare l’idiota?”

-Okay...-

“Comunque non credo che ne parlerà in giro... voglio dire... noi sappiamo che lavora in un locale per adulti, no?”

-Ah! Lo possiamo minacciare! Scusa, scusa... torno serio... senti Minho, che ti dico? Vedi domani come si comporta...-

“E se trovasse un modello e smettesse di venire in facoltà?”

-Eh?-

“Ti aveva detto così, no?”

-Ah, è vero... certo che quel ragazzino è proprio strano...-

“Però provo simpatia per lui... domani gli chiediamo di pranzare al nostro tavolo?”

-Eh!?-

“Almeno le tue fan torneranno, no?”

-Sì, ma... Minho, certo che sei strano ultimamente... non ti staranno venendo pensieri poco casti su quel ragazzino?-

“Ma che vai blaterando!” sbottò Minho.

-Sarebbe ora che ti si smuovessero un po’ quei quattro ormoni che ti ritrovi!- esclamò Kibum ridendo.

“Non scherzare... sai che non potrei... no?”

-A parte la carota... che, in effetti, ritengo improbabile, non c’è qualche ragazza che ti piace? Dovresti provare a ricominciare con qualcuno, no?-

Minho, che qualche tempo prima gli avrebbe risposto con un secco e irremovibile no, restò in silenzio.

“Pensi davvero che con lui sia improbabile...? In effetti... ti ho chiamato proprio per questo”

Kibum non disse nulla per un po’.

-Sei serio...?-

“Credo di sì... ma, Kibum, io non mi ricordo più come ci si innamora...”

-Non esistono manuali...- disse Kibum dopo un po’ -Se è successo lo sai solo te-

“Ma forse mi sto inventando tutto... forse sono solo stanco di essere solo”

Kibum annuì con la voce e gli scappò una risatina.

“Che c’è?”

-Con tutte le ragazze che ti girano intorno, proprio la carota doveva essere??

Anche Minho rise.

“Tranquillo... è impossibile, lo sai meglio di me. Ci dormirò sopra e domani tornerà tutto come prima, no?”

-Massì, fatti una bella dormita! Ci vediamo domani!-

“Grazie della chiacchierata, a domani!”

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Capitolo 4
*** In effetti sì, ieri sera qualcosa è successo. ***


Commento: Grazie a tutte quelle che hanno inserito la fanfic tra le seguite, le preferite, le ricordate, a chi ha commentato e chi ha solo letto ^^
La storia finalmente inizia a prendere verso ;D Buona lettura! ♥


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Kim Jonghyun se ne stava nel suo studio, seduto alla scrivania, mentre finiva di compilare alcuni bilanci arretrati.


Allungò la mano oltre una pila di cartelline per arrivare alla caraffa d’acqua ma finì con l’urtarla, e la caraffa di vetro esplose a terra in mille pezzi.

“Maledetta...!” gridò alzandosi, rivolto non si sa bene a chi, e iniziò a racimolare con cautela i pezzi di vetro dal pavimento. Era tutto il pomeriggio che era chiuso in quel metro quadrato a compilare scartoffie e nemmeno si era reso conto che la notte era calata sulla città. Odiava i giorni di lavoro come quelli, quando la fine del mese era vicina e lui non aveva ancora sistemato i bilanci del locale. Fortunatamente gli mancavano appena una decina di pagine e si risedette alla scrivania con quel pensiero rassicurante. Fu in quel momento che si accorse di stare lavorando senza luce, con solo il bagliore lunare proveniente dalla finestra aperta. Accese la lampada alle sue spalle.

“Devo prendermi una pausa...” mormorò stropicciandosi gli occhi affaticati, e stava per rimettersi a scrivere quando la porta dello studio si spalancò di colpo e Taemin entrò nell’ufficio.

“Jjong! Che fai...?”

“Mi diverto a compilare tabelle... tu come te la passi?”

Taemin rise e fece per avvicinarsi alla scrivania, ma fu costretto a fermarsi prima per guardare a terra.

“Che diavolo...? Ma ha piovuto in questo sgabuzzino?”

“Un piccolo incidente... attento a dove cammini, piuttosto” rispose Jonghyun immerso in un conteggio complesso, “Potrebbero esserci dei pezzi di vetro che mi sono sfuggiti”

Taemin guardò un altro po’ a terra e annuì.

“A proposito... di sotto c’è un cliente che ti cerca”

Jonghyun non alzò la testa dai fogli.

“Chi è?”

Taemin fece spallucce, “Se scendi lo vedrai da solo”

“Finisco qui... digli di aspettare”

 

Chissà perché quando raggiunse l’ospite che lo aspettava al bancone non fu affatto sorpreso di trovare il biondino che qualche sera prima aveva fatto tanto trambusto nel proprio locale.

“Ci siamo già incontrati” disse incrociando le braccia, “O sbaglio?”

“Già, ma non è stato un bell’incontro” commentò Kibum poggiando i gomiti sul bancone. Passò attentamente lo sguardo su tutto il corpo dell’altro. Dopotutto la prima volta non era riuscito a metterlo bene a fuoco. Peccato, pensò.

“Hai ferito il cameriere più amato del locale...” e nel dire questo Taemin passò alle sue spalle con un vassoio pieno di stuzzichini. Fece un gesto con la mano libera come a voler dire: lascia perdere. Jonghyun lo ignorò, “...e hai spaventato alcune nostre clienti”

Kibum inspirò profondamente.

“La situazione mi era leggermente sfuggita di mano... ma...”

“E poi con quella testa devi avergli fatto proprio male...” riprese Jonghyun aggrottando le sopracciglia.

“Hey!” gridò Kibum seccato, “Guarda che stavo per scusarmi!”

“Ah...”

“Un minimo di tatto... comunque scusami, davvero... certe volte sono proprio impulsivo. E parlo senza pensarci”

Jonghyun sciolse le braccia e Kibum si beò della nuova visuale dei suoi bicipiti.

“Non basta scusarti a voce”

“Capito!” esclamò Kibum, e iniziò a sventolare la mano, “Vieni, ti offro da bere!”

Jonghyun si mise a ridere, “Questo è il mio locale!”

“E allora? Avanti, avanti!”

Jonghyun alzò un sopracciglio. Come gli aveva detto Taemin, quel tipo era davvero strano. Ma quella sera era così stanco mentalmente che non aveva voglia di mettersi a discutere.

“Come vuoi tu...” mormorò, fece il giro del bancone e si sedette su uno dei piccoli sgabelli dall’altra parte. Kibum alzò un braccio e chiamò il primo cameriere che passava di lì.

“Taemin!!!” gridò.

“Ma tu sei già brillo o sbaglio?”

Kibum lo guardò socchiudendo gli occhi, “Forse”

Taemin arrivò dietro il bancone e, con posa professionale, chiese cosa i signori volessero da bere. Taemin, non ti ci mettere pure te, pensò Jonghyun sconsolato.

“Una bottiglia di Dom Pérignon Rosé!”

Jonghyun sgranò gli occhi. “Scherzi spero!”

“Che c’è? Tanto offro io, no?”

“Ma un Martini con oliva non ti andava bene...?”

Taemin poggiò la bottiglia sul bancone e la stappò. Quindi preparò due bicchieri.

“Ora devi per forza pagarla” commentò col sorriso.

Kibum iniziò a versarla nel proprio bicchiere e poi in quello dell’altro senza troppe cerimonie.

“Hey, Kibum” lo chiamò Taemin.

“Cosa? Non vedi che sono occupato?”

“Non hai portato con te Minho?”

“Senti... lascialo stare, non vuole farla quella pubblicità...” mormorò Kibum, mentre Jonghyun gli toglieva la bottiglia dalle mani impedendo allo champagne di fuoriuscire dal proprio bicchiere.

“Comunque...” continuò Kibum alzando il calice, “Se lo cerchi è fuori in macchina, mi ha accompagnato... e ha insistito pure tanto per farlo...”

Jonghyun prese il proprio bicchiere e Kibum li fece incontrare. Tin, sorrise.

“Era da un po’ che non brindavo con un bel ragazzo...”

Jonghyun guardò Taemin allontanarsi con decisione, quindi tornò a posare gli occhi sul viso di Kibum.

“Non c’è bisogno di adularmi,” disse assaporando lo champagne rosato, “Facciamo che ti ho perdonato”

Kibum si scolò il proprio bicchiere tutto d’un fiato.

“Dico sul serio...” continuò Kibum con voce ferma. Non si era mai comportato in quella maniera, non aveva mai detto a qualcuno che era bello. Ma quando guardava quel ragazzo non poteva pensare ad un altro aggettivo. Sexy, forse... ma quello non riusciva a dirglielo. Non poteva, perché non lo conosceva. Di solito non importava, si sarebbe buttato, lo avrebbe sedotto e baciato. Poi, chissà, sarebbero finiti a letto. Invece non ci riusciva più. Forse, proprio come gli aveva detto Minho la sera prima, forse anche lui era stanco. E cercava solo un po’ di tranquillità. E stabilità emotiva.

Sorrise debolmente verso il viso dell’altro. Jonghyun lo guardava con serietà.

“Okay...” mormorò Kibum facendo per alzarsi, “Bevi pure il resto... Minho mi aspetta in macchina... dovevo solo venire a scusarmi...” ma Jonghyun lo bloccò afferrandolo per un polso.

“Minho, il tuo amico, è con Taemin ora”

“Ah...” disse Kibum continuando a fissare il punto in cui l’altro lo stringeva. Chissà che si era aspettato da quel gesto. Minho è con Taemin ora. Solo questo.

Ma Jonghyun si alzò lentamente dallo sgabello e lo costrinse a risedersi. Gli impedì di scendere ancora col proprio corpo. Se Kibum avesse voluto, in quella posizione avrebbe potuto stringergli la vita con le cosce. Invece rimase immobile, mentre i loro nasi si sfioravano. Jonghyun gli guardava ora le labbra, ora gli occhi. E intanto scioglieva la presa sul polso e risaliva il braccio sfiorandolo con le dita. Inclinò un po’ la testa.

“Non ho voglia di giocare” soffiò Kibum, e non sapeva dove trovava la forza di non stringerlo e sé e di non mordergli quelle maledette labbra.

“Stiamo giocando...?” domandò Jonghyun sorridendo leggermente.

“Ci sono le tue amate clienti... ti potrebbero vedere...”

“Il locale ha appena aperto, non c’è molta gente a quest’ora”

“Quindi che vorresti fare?” la voce di Kibum era quasi impercettibile, inudibile, se solo Jonghyun non fosse stato così vicino. Le labbra umide e leggermente schiuse erano troppo invitanti per non poterle baciare. Jonghyun le sfiorò con le proprie, e Kibum non si ritrasse.

“Io abito qua sopra” suggerì Jonghyun.

***


Taemin picchiettò con forza sul vetro del finestrino anteriore - quello del passeggero - e a Minho venne quasi un colpo.

“Vuoi farmi venire un infarto!?” gridò per farsi sentire oltre il vetro.

“Apri” disse semplicemente Taemin. Minho premette un pulsante sulla portiera e le chiusure scattarono. Taemin salì in macchina e richiuse lo sportello con forza.

“È fresco qui dentro”

“Per questo tengo i finestrini chiusi e l’aria condizionata accesa”

“Aah...” commentò Taemin guardandosi intorno curioso. Provò a spingere in basso il freno a mano ma questi non si mosse.

Minho lo guardò sorpreso. Premette il pulsante sulla sommità e sbloccò il freno. Quindi lo tirò di nuovo.

“Sembra che tu non sia mai salito su una macchina...”

Taemin fece spallucce, “Solo dietro, sulla limousine di mio padre...”

“Pazzesco... sei proprio un riccone tu... comunque che vuoi!?” esclamò Minho come se si fosse reso conto solo in quel momento che l’altro era lì. “Guarda che puoi chiedermelo pure in ginocchio, tanto io non poso per quel servizio!” anche se ci aveva pensato, e i soldi che gli avrebbero dato sarebbero stati non poco utili.

Taemin alzò le mani, “Tranquillo!”

“E allora cosa?”

“Tu piuttosto, che sei venuto a fare?” replicò Taemin vago.

“Ho accompagnato Kibum, che domande...” ma non disse altro. Non chiese che fine avesse fatto né perché non tornava. Qualche idea in mente ce l’aveva, ma era meglio non portarla in superficie.

“Ah, certo” commentò Taemin, “Ai dov’è?”

“Eh?”

“Tua figlia!”

Minho venne preso alla sprovvista. Sentirsi dire una frase simile da quel ragazzino gli aveva fatto uno strano effetto.

“È a casa... con mia madre... probabilmente già dorme”

“Capisco... mi andrebbe di rivederla...”

“Vieni a cena da me una sera” propose Minho e poi si rese conto di quello che aveva detto. Si voltò verso Taemin per vedere la sua reazione, ma l’altro stava annuendo tranquillo.

“D’accordo”

Minho tornò lentamente a poggiare la schiena sul sedile dell’auto.

“Okay...” mormorò.

Per qualche istante restarono in silenzio e a Minho venne l’idea di accendere la radio. Allungò una mano ma poi si bloccò, pensando che a quell’ora avrebbero passato solo smielate canzoni d’amore. E la cosa non gli sembrava adatta al momento. Allora si voltò verso Taemin e lo trovò che lo stava fissando.

“Che c’è...?” chiese Minho agitandosi.

“Sto aspettando...”

“Che?”

“Qualcosa, non so... tipo una particolare situazione che crei l’atmosfera giusta per cui possa succedere qualcos’altro”

Minho si irrigidì ma riuscì lo stesso a premere il pulsante d’accensione della radio. Come se fosse stato un riflesso involontario dei muscoli.

“Ecco, qualcosa come una canzone” continuò Taemin tranquillamente, e tornò a fissare il suo volto. Quindi fece perno con una mano sul sedile e si sporse verso l’altro. Minho spalancò gli occhi, ma non si ritrasse. Taemin arrivò a premere le labbra sulle sue con facilità.

La canzone alla radio era davvero smielata, una di quelle canzoni d’amore strappalacrime eseguite alla perfezione da una donna piuttosto attempata, ma la cui voce sembra non invecchiare mai. Un ultimo acuto, un vibrato e per qualche secondo calò il silenzio. Solo il fruscio dei vestiti contro la pelle e Taemin riuscì a sedersi sopra l’altro. Non aveva interrotto il bacio, e muoveva le labbra aspettando il momento in cui Minho avrebbe ricambiato. Ma non arrivò: Taemin bagnò il labbro inferiore dell’altro con la lingua e la scarica elettrica che percosse il corpo di Minho lo fece tornare in sé. Lo afferrò saldamente per le spalle allontanandolo con decisione.

“Sono padre!” esclamò Minho quasi fosse un grido.

“E allora?”

“Sono etero!”

“Si può sempre migliorare”

“No, no, no... no, no, non capisci...” mormorò Minho scuotendo con forza la testa. “Togliti subito di qui”

Ma Taemin non era intenzionato a spostarsi. Mentre la nuova canzone - decisamente più ritmata - invadeva l’abitacolo, Taemin pensò che faceva abbastanza caldo per potersi togliere di dosso la camicia. Iniziò a slacciarsi i bottoni partendo dall’alto.

“Che fai!?” esclamò Minho bloccandogli i polsi, “Potrei essere tuo padre!”

Taemin si spazientì e si liberò della sua presa con uno scatto. Quindi gli afferrò il viso tra le dita e si avvicinò pericolosamente.

“Ma non sei mio padre” sibilò sulla sua bocca, “Non lo sei e smettila di agire come se lo fossi. Hai solo un paio d’anni più di me” concluse secco. Poi aprì lo sportello dalla parte del guidatore e scese. Si sistemò la divisa come niente fosse e tornò verso il locale a grandi falcate.

Un bip ripetuto fece riscuotere Minho.

Il messaggio del cellulare diceva:

Torna pure a casa, grazie del passaggio. -Kibum.

 

Il risveglio del giorno dopo era stato più traumatico del solito. Alla fine era sceso dal letto per via della figlia: la bambina aveva avuto un incubo e ora piangeva disperata nel letto.

“Ai, Ai... va tutto bene, era solo un brutto sogno, vero?

Ma la bambina non la smetteva di gridare. Teneva ancora le palpebre chiuse con forza e Minho dovette prenderla in braccio.

“Su... su... il papà è qui... ora sei sveglia, okay?” cercò di rassicurarla carezzandole il capo con dolcezza.

Dopo un po’ Ai smise di gridare, e si aggrappò forte alle spalle del padre. Versò ancora qualche lacrima ma infine si calmò.

“È un po’ presto ma ormai siamo svegli” commentò allora Minho, “Andiamo a fare colazione?”

Ogni qual volta era stanco per via dello studio o - come quella volta - per un qualche altro problema, la madre era sempre pronta a preparargli la colazione, il pranzo o la cena. Anche in quell’occasione lei era là, con il grembiule legato in vita, che li guardava scendere le scale con sorpresa.

“Ho sentito Ai che piangeva?”

Minho scosse un pochino la figlia - che non aveva intenzione di staccarsi dalle sue spalle - e sorrise.

“Di’ alla nonna perché piangevi”

Ai guardò verso la donna con gli occhietti ancora socchiusi per il sonno interrotto brutalmente.

“Brutto sogno...” mormorò e la nonna si avvicinò subito per prenderla in braccio.

Minho si sedette sul tavolo scompigliandosi i capelli, mentre la madre continuava a consolare la nipotina.

“Perché siete qui? Che è successo?”

“Ho dormito malissimo...” si lamentò Minho poggiando la fronte sul tavolo. “Potresti prepararmi qualcosa? Anche un bicchiere d’acqua. Che io non ho le forze nemmeno per aprire il rubinetto”

La donna fece sedere la nipote su un cuscino a terra - dove di solito giocava con le sue bambole - e si mise subito ai fornelli.

“Ma che acqua! Devi mangiare... e se non hai voglia non andare a scuola oggi”

“Se non esco rischio di affossarmi sul letto...”

La madre sorrise, e gli mise davanti una ciotola di riso al kimchi. Posso farcela, posso farcela anche oggi, continuava a ripetersi nella mente, e intanto inforcava con decisione la colazione. Dai che domani è sabato, e la facoltà è chiusa.

 

Ma perché tutte io?

Arrivato davanti al cancello della facoltà rallentò il passo. Alla fine, si era trastullato così tanto che aveva pure rischiato di arrivare in ritardo. Soffiò fuori l’aria dalla bocca e fece un profondo respiro. Devo essere ottimista, cosa potrebbe succedere ancora?, aveva pensato, prima che qualcuno non arrivò davanti all’ingresso a cavallo di una moto. 

Il profondo rombo lo aveva fatto voltare di scatto e per poco quel motociclista non lo aveva preso sotto. Taemin scese dal sellino e si tolse il casco con noncuranza. I capelli rossi brillavano più del solito per via del sudore.

“Giorno” gli disse avvicinandosi, e intanto si sfilava i guanti di pelle. La solita ondata rumorosa di studenti si riversò verso l’ingresso. Vedere qualcuno arrivare in moto non era cosa da tutti i giorni, soprattutto se quel qualcuno è lo studente più ricco dell’università. E soprattutto se si mette a parlare con lo studente più popolare del secondo anno - se escludiamo una certa persona, obbietterebbe Kibum.

“Kawasaki Z750?” domandò Minho osservando le rifiniture argentate della carrozzeria.

Taemin alzò un sopracciglio, “Limited Edition” precisò.

Minho annuì dandogli subito le spalle. E fece per avviarsi da solo all’interno, quando Taemin lo affiancò.

“Te ne intendi?” gli domandò cercando di guardarlo in viso.

“Le moto mi piacciono in generale... ma mi piace guardarle sulle riviste”

“Perché?”

“Non lo vedi?” rispose Minho senza guardarlo, lo sguardo fisso in avanti, “La gente poi impazzisce”

“Non è così strano avere una moto...” obbiettò Taemin osservandosi intorno.

“Beh, dovevi proprio venire a lezione così?”

“La limousine avrebbe attirato troppo l’attenzione”

Minho sbuffò, “Non mi pare che sia cambiato molto... anzi... e poi tu sei minorenne”

“La regola della maggiore età è una stronzata” commentò Taemin imboccando per primo il portone d’ingresso, “So guidare meglio di chiunque altro a Seoul”

 

Minho si era seduto al solito tavolo e aveva tirato fuori il panino.

Anche quel giorno Kibum lo aveva abbandonato nelle lezioni mattutine, e si presentò solo all’ora di pranzo.

“Ti ho preso gli appunti...” disse Minho nel momento in cui Kibum si sedette di fronte a lui.

“Non ti puoi immaginare!” gridò Kibum ignorandolo, e sbatté una mano sul tavolo.

“No, non posso...” commentò Minho guardandolo svogliatamente. Possibile che quel ragazzo era sempre così brillante e pieno di energie? E brillante nel vero senso del termine. Sembrava avesse un’aura propria, e i capelli biondo ossigenato non aiutavano.

“Sono stato finora da Jonghyun, mi ha pure preparato il pranzo” disse Kibum guardando pieno d’aspettative l’altro.

“Ho notato... il numero del messaggio di ieri sera non era il tuo”

“Beh, tutto qui? Non vuoi sapere nient’altro? Minho, non ti rendi conto... lui è fantastico, dolce, bellissimo, ha polso al punto giusto, è forte, dotato, è...” ma si interruppe guardando la faccia disgustata dell’altro. “Cosa?”

“Dimmi pure in che posizione l’avete fatto, ormai che ci sei!”

Kibum rimase ammutolito, “Calmati... cos’hai?”

Minho richiuse il panino nel cellofan e lo rimise in borsa. Non era nemmeno la prima volta che Kibum gli parlava delle sue scappatelle amorose. Sul serio, che gli prendeva?

“Scusami, sono di cattivo umore...”

“Ieri sera è successo qualcosa, vero?”

Minho guardò involontariamente il tavolo dov’era seduto Taemin. Era sempre accerchiato da ragazze - e questa volta, probabilmente per via della moto, pure da ragazzi - ma rispondeva alle domande con più freddezza del solito.

“C’entra la carota?” chiese Kibum seguendo il suo sguardo, “Dicono tutti che oggi è arrivato in moto, quel montato.”

Minho guardò Kibum, e, per la prima volta, pensò che fosse il suo unico amico là dentro. Era una cosa triste, e bella allo stesso tempo. Perché Minho era un tipo che selezionava accuratamente le persone, le divideva in categorie. E la sezione amicizia non era di certo accessibile a tutti. Gli venne da sorridere. Nemmeno la sezione amore lo era. Pensava addirittura che fosse chiusa da tempo, eppure...

“Kibum...” lo chiamò.

Lui era stato l’unico sopravvissuto alla selezione e chi, meglio di lui, per parlarne? Quindi si ritenne quasi fortunato ad averlo trovato.

Kibum lo guardò aspettando che parlasse.

“In effetti, sì...” iniziò Minho cercando le parole, “...ieri sera qualcosa è successo”

“Eh... va avanti.”

“Taemin mi ha baciato, in auto. Ma io l’ho rifiutato.”

Kibum continuava a guardarlo come si guarda qualcuno che non ha ancora finito il discorso e ora sta aspettando un finale spiazzante. Ma Minho restò in silenzio.

“E poi?”

“E poi cosa?” chiese Minho aggrottando le sopracciglia.

“Finisci la frase... lui ti ha baciato, e tu l’hai rifiutato. Però...?”

“Però?”

“Però?” lo incalzò Kibum.

“Però... però... mi sono eccitato.”

“Bingo!” gridò Kibum alzandosi in piedi, “Io lo sapevo!” esclamò puntandogli il dito contro.

“Kibum...!” mormorò Minho facendosi piccolo sulla sedia, “Torna seduto!”

Qualcuno dai tavoli vicini si era voltato, incuriosito dal gesto teatrale di Kibum. Anche Taemin lo aveva guardato con la coda dell’occhio e si domandava dentro di sé cosa fosse successo.

Kibum tornò seduto e guardò Minho raggiante.

“Lo sapevo!” ripeté sottovoce, “Uno come te non è del tutto etero, te lo si legge in faccia!”

“Dici che sono bi...?”

“Ma chi se ne frega cosa sei!”

Minho si spiaccicò il palmo della mano in volto.

“L’importante è averlo detto” continuò Kibum convinto, “Sai quanto tempo ci ho messo io per dirlo ad alta voce, che mi si drizzava solo coi maschi?”

“Ma non l’hai tipo urlato dalla finestra dell’aula in quinta elementare?”

“Ah...” disse Kibum grattandosi il mento, “Sì, una cosa simile... vero, l’avevo rimosso”

“Non ce la faccio con te...” mormorò Minho sfinito, e si alzò. “Andiamo a lezione, che è meglio”

“Beh, che fai? Non glielo vai a dire? Ecco! Sta guardando verso di noi! Vai!”

Minho iniziò a sorridere e lo trascinò fuori dalla mensa.

“Andiamo...” mormorò a denti stretti.

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Capitolo 5
*** Ti sfido a baciarmi. ***


Commento: Forse i capitoli sono troppo corti? Non so xD Ma ho visto che le ultime fanfic che postano hanno dei capitoli che sembrano più delle drabble... quindi forse va bene come faccio io lol e poi una via di mezzo è anche l'ideale per leggere credo... e dal momento che aggiorno abbastanza spesso non dovrebbe essere un problema... Boh, fatemi sapere... detto questo, buona lettura!!! ^^

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Quando Minho tornò in appartamento la sera non trovò nessuno in casa. Solo un post-it attaccato al frigo lo stava aspettando.

 

Mi hanno chiamata al ristorante per un problema. Ho portato Ai con me.
Se torni per cena ho lasciato nel tuo frigo gli udon da riscaldare. -Mamma


Staccò il foglietto e lo ripose nel cassettino dei post-it, quindi decise che aveva fame. Aprì il frigo e iniziò a prepararsi la cena. Non ci mise molto, dopotutto era già pronta, eppure impiegò più di un’ora per finire. Non capiva il perché, ma la propria mente era collegata al corpo in maniera paurosa. Per il solito principio, se la mente è impegnata a riflettere, a contorcersi su se stessa per cercare di districare un qualche pensiero sensato, allora è praticamente impossibile per il corpo lavorare su qualcos’altro di differente.

Un tempo, quando pensava che c’era gente che a quarant’anni scopriva di essere omosessuale, gli veniva da sorridere. Possibile che una persona non riesca a conoscere se stessa dopo così tanto tempo? E se iniziava a conoscersi davvero in quel momento, come poteva pensare di amare un’altra persona? Amare, si domandava, non è conoscere l’altro? Io non amo uno sconosciuto. Io... fin’ora non ho amato me stesso?

Scoprire di potersi eccitare con qualcuno del proprio sesso è come dire: io fin’ora non sapevo di essere chi sono. Io non ho mai amato me stesso. Eppure gli bastava pensare ad Ai e tutto quel ragionamento sillogistico si sgretolava davanti ai propri occhi, e restava solo l’evidente. E cioè che lui aveva amato lei, che amava la propria bambina, e che poteva ora iniziare ad amare qualcun altro.

Gli venne da sorridere e scosse la testa. La propria mente viaggiava così velocemente che a volte faticava a tenerla a bada. Insomma, amare qualcun altro era un parolone. Forzò quel ragionamento. Ora poteva... riaprire quella sezione che portava la targhetta di amore.   

Il cellulare vibrò improvvisamente. Kibum gli aveva mandato un messaggio:

 

Glielo dirai? +__+  


Minho lo cancellò senza rispondere e spense lo schermo. Tornò ai propri udon. Insomma, quella sezione era rimasta barricata così a lungo che ora sentiva addirittura l’odore di muffa. Doveva pure sgranchirsi un po’, no?

Un altro messaggio.

 

Lo so che mi stai ignorando. Guarda che se non lo fai te glielo dico io. Mi fai pena a vederti così. Oggi non sembravi te a lezione...


Click. Cancellato.

Doveva mettersi in testa che la propria età fisica era diversa da quella mentale. E pure la masturbazione non era più divertente da un po’. Sentirlo muoversi da solo, senza che nessuno lo toccasse... ecco, quello era stato così rigenerante che non poteva capacitarsi delle proprie azioni. Come aveva fatto a rifiutarlo?

 

Oi, Minho! Sai che ho il numero di telefono di mezza scuola... non mi costringere! >.<


Certe volte aveva voglia di prendersi a botte e staccare quel maledetto cervello dal corpo. Eppure, quando era con Taemin, gli succedeva proprio quello. Il cervello staccava la spina e c’era solo il proprio corpo da ventenne a muoversi, come fosse spinto da volontà propria. Come poteva portare anche la mente a quell’età? Quand’era stata l’ultima volta che si era sentito così vivo, mentalmente e fisicamente?
 

Non ti sarai mica suicidato per quella rivelazione? Minho sei ancora giovane!! ;___;


Minho afferrò il telefono che non la smetteva di vibrare e scrisse un messaggio di risposta:
 

Kibum, mandagli un messaggio. Digli che voglio incontrarlo domani alla palestra XX. Alle 17 in punto.


 

L’ultima volta che si era sentito così vivo risaliva a due anni prima. A quando ancora praticava quello sport.

Guardò davanti a sé e focalizzò altezza e distanza in meno di un secondo. La mente ora era perfettamente allineata con quell’asta di quattro metri, posta a più di un metro e mezzo d’altezza. Prese un profondo respiro, ma non se ne accorse. Non c’era nulla al di fuori di quella distanza e di quell’altezza precisa. Nemmeno l’aria che inspirava. Quindi scattò in avanti.

Rincorsa, stacco, volo, atterraggio.

Si ritrovò disteso di schiena sul materassino di gommapiuma insieme all’asta. Sbatté con forza un pugno a terra. Era stato il terzo tentativo. Squalificato.

Sospirò. Piccole gocce di sudore gli imperlavano il viso e la schiena, ma lui se ne accorse solo in quel momento, quando la mente era ormai troppo stanca e non ce la faceva più. Respirava con fatica, ma nemmeno questo importava. Importava solo il fatto che non riusciva più a saltare. Si passò l’asciugamano sulla fronte e sulle punte dei capelli, quindi lasciò andare i muscoli e dimenticò il resto.

“Ti fermi qua?”

Una voce gli fece riaprire gli occhi e fece perno coi gomiti per guardare da dove provenisse. Taemin gli si avvicinava con le mani in tasca e gli occhi fissi sull’asta a terra.

“Certo che era alta...” commentò quasi più a se stesso, quindi la scansò dal materassino e si sedette accanto al corpo stremato dell’altro.

Minho lo guardò come se si fosse dimenticato che era stato lui stesso a invitarlo.

“Sei venuto...” riuscì solo a dire, coi polmoni a pezzi.

“Già, quel tuo amico pazzo mi ha mandato un messaggio.”

A Minho venne quasi da ridere. Kibum lo odiava e tanto non era riuscito a sfuggire alla tentazione di avere il suo numero. Era davvero il ragazzo più popolare e vanitoso dell’intera università.

“Che ridi?”

“Niente...”

“Comunque mi veniva un crampo allo stomaco ogni volta che ti vedevo saltare e sbattere contro l’asta.”

“A chi lo dici...”

“E’ uno sport che non avevo mai preso in considerazione, ma quando ti guardavo ora... non so, mi è piaciuto. Ho pensato che dovrebbe essere più visto in Corea, perché merita. E ho sperato che alla fine riuscissi a saltarla...”

Minho sorrise. E Taemin sgranò gli occhi.

“Sbaglio o è la prima volta che ti vedo sorridere? Questa è da immortalare!”esclamò tirando fuori l’iPhone.

“Non ci provare nemmeno!” gridò Minho cercando di impedirglielo, ma non riusciva a smettere di sorridere. E fini col ridere delle foto che gli aveva scattato. Erano venute tutte mosse, con la faccia di Minho che faceva smorfie cercando di rubare il telefono dalle mani dell’altro e le dita di Taemin davanti all’obbiettivo.

“Sei incapace!” gridò Minho scorrendole col dito una ad una.

“Tu non stavi fermo... Hey! Non provare a cancellarle!!”

“Ma sono venuto orrendo... sembra che ho le orecchie a sventola!”

“Tu hai le orecchie a sventola” rise Taemin distendendosi sul materassino a occhi chiusi. A quella frase Minho tornò di colpo serio. Scorse ancora una volta le fotografie. Da quando si lasciava fare foto in quel modo? Da quando il flash non gli mandava in confusione il cervello? Certo, quella non era una macchinetta fotografia, la macchinetta fotografica di lei, ma erano pur sempre foto... e lui non era mai riuscito a farsele fare, nemmeno con la figlia. E Ai lo voleva così tanto.

“Comunque aggiungi alla rubrica il tuo numero...” continuò Taemin, “Non voglio contattarti attraverso Kibum.”

Non sapeva dire il perché, ma fece come gli era stato detto. Scrisse il proprio numero e lo salvò. Forse perché Taemin, per la prima volta, aveva chiamato il suo amico col giusto nome, o forse perché aveva semplicemente voglia di dargli il numero.

Guardò il proprio profilo sul suo telefono e notò che si poteva associare una foto. Allontanò un po’ il telefono e si mise in posa. Click.

“Che fai?” chiese Taemin notando il flash.

“Ho messo la mia foto... ma mi è venuto il faccione!” esclamò Minho scoppiando a ridere. Taemin recuperò il proprio telefono e guardò la foto.

“Così ogni volta che mi chiami mi metterò a ridere! Non potrò mai più prenderti sul serio!”

Calò il silenzio per qualche secondo. Minho si era fissato sull’asta a terra davanti a sé.

“Perché, dovrei chiamarti così spesso?” domandò.

“Se vuoi” rispose prontamente Taemin e Minho si voltò a guardarlo. Era ancora disteso... Scorse velocemente il profilo del suo collo, salì fino al mento, indugiò sulle labbra schiuse... poi la curva del naso fino agli occhi, chiusi, calmi, ma forse in attesa. Si sporse un po’ verso di lui e gli fece ombra con la testa. Taemin aprì le palpebre, lentamente. Minho temeva che quel gesto potesse fermarlo, invece rimase immobile a fissarlo.

“Ti sfido a baciarmi” mormorò Taemin guardandolo con occhi languidi.

“Sai che non ho mai perso una sfida?”

“Ah sì? Allora ti sfido a baciarmi, ma non potrai toccare nessun’altra parte del mio corpo”

“Che gioco è?”

“Non è un gioco... è una sfida più difficile, che non vincerai”

Minho socchiuse gli occhi e si chinò di più.

“Se la supero cosa vincerò?”

“Niente...” continuò Taemin con un sorriso sghembo, “Se la vinci... perderai qualcos’altro”

 “Allora” soffiò Minho arrivato a sfiorare le sue labbra, “Non so più se voglio vincere...”

Taemin sorrise ancora e Minho puntò un gomito a lato del suo viso, quindi gli baciò il sorriso.

Chiusero gli occhi e Minho strinse i pugni. Questa volta Taemin rimase completamente immobile e lasciò le proprie labbra in balia di quelle dell’altro. Con lentezza, sembrava che Minho volesse assaporarne il sapore, o la morbidezza. Prese a mordicchiarle e a tirarle, finché Taemin non si lasciò sfuggire un mugolio. Allora, premendo di più sulla bocca dell’altro, infiltrò la lingua tra le sue labbra. Carezzò quella dell’altro con decisione ma si prese il tempo che gli occorreva per godersi il momento.

I movimenti di Minho erano talmente estenuanti che stava per perdere lui stesso la pazienza. E la passività con cui Taemin stava reagendo - o non stava reagendo - a quel bacio gli mandava in cortocircuito il cervello. Ancora una volta, perdeva la cognizione del proprio corpo.

Si staccò e riaprì gli occhi. Anche Taemin socchiuse le palpebre, e lo guardò con sguardo opaco. Ora Minho avrebbe potuto benissimo alzarsi, afferrare il piccolo asciugamano che si era portato da casa e andarsene da vincente. Ma la mente non aveva più controllo e il corpo gli imponeva di restare. Il capo si piegò di lato e le labbra incontrarono la pelle del suo collo. Prese a succhiarla e morderla, finché il respiro dell’altro non divenne pesante.

“Minho...” gli sfuggì insieme ad un ansimo, e, non appena quell’ennesimo morso lasciò un segno evidente sulla pelle chiara, Taemin non resistette. Gli passò le braccia attorno al torace, infilando subito le dita nei capelli umidi. Lo tirò di più a sé.

Minho sorrise solleticandogli la pelle col fiato, “E ora che sei stato tu a toccarmi?”

“Non conosci proprio le regole...” mormorò Taemin stringendogli leggermente i capelli, “Ora puoi farlo anche tu”

Minho percorse la sua pelle, sfiorandola col naso, fino a baciargli di nuovo la bocca.

“E se non volessi? Qui quello impaziente sembri proprio tu...”

“Non ti mollo finché non mi tocchi”

Minho staccò un gomito da terra e gli poggiò il palmo della mano su un fianco. Strinse leggermente, e intanto lo guardava, sorridendo alla vista del colorito acceso che si stava espandendo sulle sue guancie. Scese fino al bordo della maglia e arrivò a toccargli la pelle bollente della pancia. Taemin sussultò.

“Ho le mani fredde...” commentò Minho, “È per via della circolazione nelle braccia che...” ma Taemin interruppe il suo discorso afferrandogli saldamente il polso. Quindi staccò il capo dal materassino e raggiunse la sua bocca. L’altra mano, ancora immersa nei suoi capelli, lo aiutò in quel movimento.  

Minho chiuse gli occhi, e iniziò a scorrere lentamente la mano verso l’alto, percependo sempre più i leggeri addominali dell’altro formatisi sotto le proprie dita per quella posizione di sforzo muscolare. Arrivò fino al capezzolo, e iniziò a solleticarlo con il dito medio. Poi, con uno scatto del braccio, lo sorresse avvolgendogli il torace.

Gli stava di nuovo baciando il collo - il pomo d’Adamo era ben percepibile sotto la lingua ruvida - quando il telefono iniziò a squillare. Il suono rimbombò in meno di un secondo sulle alte pareti della palestra ma Minho sembrava non dargli peso. Fece distendere l’altro sotto di sé e gli alzò la maglia. Taemin mugugnò qualcosa, mentre l’altro risaliva con le labbra la pancia bianca e tonica. Taemin, gli occhi ridotti in una fessura, gli strinse una spalla, come se volesse attirare la sua attenzione.

“Uhn?”

“Il cellulare...” mormorò allora, trovando la voce chissà dove in quella gola secca e attraversata - fin ora - solo da gemiti.

“Lascia stare” disse Minho raggiungendo con la lingua il capezzolo già indurito.

Taemin allungò un braccio alla sua sinistra e afferrò la giacca dell’altro.

“Tua...”

“Eh?”

“Tua madre... ti sta chiamando...”

Minho vide che l’altro aveva il proprio telefono tra le dita. Lo prese di scatto.

“Pronto...?” rispose fissando Taemin che, intanto, tentava di rialzarsi facendo perno coi gomiti. Sebbene le braccia gli tremassero, riuscì almeno a tornare seduto. Si risistemò la maglia. Minho gli afferrò un polso e con gli occhi gli disse di aspettare.

“Okay... torno tra poco...” disse Minho al telefono, quindi spense la chiamata.

“Successo qualcosa?” chiese Taemin, mentre la sudorazione tornava lentamente normale.

“Ai... succede spesso che mi cerchi e si mette a piangere...”

“Devi andare”

Minho annuì, quindi posò lo sguardo sulla propria mano stretta attorno al polso dell’altro. La lasciò, e guardò il suo viso arrossato.

“Che c’è?” domandò Taemin fissando un punto imprecisato sul materassino.

“Sei deluso...?”

“Eh?” saltò su l’altro scuotendo la testa, “Perché dovrei?”

Minho fece spallucce e si alzò raccattando asciugamano e giacca, quindi mosse un paio di passi e scese dal materassino. Si voltò un’ultima volta prima di uscire.

“Comunque non mancherà un’altra occasione per approfondire la questione, no?”

Taemin sbuffò.

“Cos’è questa frase ad effetto!?” esclamò, “Sono io il tipo da frase ad effetto!”

Minho scoppiò a ridere.

 

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Capitolo 6
*** Voglio fare l’amore con te. ***


Taemin concluse il proprio turno lavorativo e si lasciò andare su una delle poltroncine del locale, come un qualsiasi cliente normale. Si passò una mano tra i capelli e sospirò.

“Qualcosa non va?”

Taemin si voltò alle proprie spalle e solo in quel momento vide Jonghyun che lo osservava appoggiato al separé di legno.

“Sei tu...” commentò tornando a poggiarsi allo schienale. Jonghyun fece il giro del divanetto e si sedette di fronte all’altro. Fece cenno ad un cameriere ed ordinò due birre medie.

“Offro io” disse sorridendo.

“Grazie”

Jonghyun alzò un sopracciglio.

“Allora... cos’hai?”

“Devo rifare il colore”

“Come scusa?”

“Non vedi?” chiese Taemin sporgendosi un po’ in avanti e afferrandosi una ciocca di capelli, “Ho la ricrescita”

Jonghyun abbassò il sopracciglio, “Pensavo che stessi cambiando, ma se è questa la tua preoccupazione allora forse mi sbaglio. Mi sbaglio?”

“Ma di che parli? In cosa dovrei cambiare...”

“Non saprei... il cambiamento è un processo così lento e graduato che a volte non ci si ricorda più come si era un tempo. Ma altre volte, soprattutto quando la causa è un incontro improvviso, il cambiamento può essere così accelerato che, da un giorno all’altro, non ci si riconosce più”

In quel momento il cameriere portò l’ordinazione e Taemin si fiondò sulla birra ingurgitandone quanta più possibile in un solo fiato. Quindi riappoggiò il boccale sul tavolinetto centrale.

“Ma di che parli...”

“Parlo dei tuoi interessi” iniziò Jonghyun bagnandosi appena le labbra sulla schiuma superficiale della propria birra, “Per esempio, ora frequenti regolarmente le lezioni, e Kibum mi ha detto che ti sei visto spesso con Minho durante quest’ultima settimana. Le due cose saranno collegate?”

Taemin rise debolmente. Dopo quella volta in palestra c’erano state parecchie altre occasioni - come le aveva definite Minho - per vedersi e approfondire la questione. Ormai il pianerottolo era divenuto il luogo dei loro incontri del dopo pranzo. Minho si fumava la sua sigaretta e Taemin restava in silenzio, concedendogli quei cinque minuti di relax. Poi potevano parlare. Di Ai e delle sue bambole (a Taemin, la nuova bambola, era saltato un occhio), di come procedeva il ristorante della madre, di Taemin (quello vero) e dei suoi turni di lavoro al locale, di suo padre e della sua vita precedente. Di come il termine concesso dal padre per cercare il modello fosse ormai scaduto.

“Ma ancora non si è fatto vivo” gli aveva detto Taemin una volta, mentre erano entrambi seduti, appoggiati al muretto che delimitava il pianerottolo. Minho gli circondava il collo col un braccio e Taemin poggiava la testa sulla sua spalla appuntita.

“Davvero non hai trovato nessuno? Possibile?”

Taemin avrebbe tanto voluto rispondere: O te o nessuno. Ma qualcosa glielo aveva impedito. Minho gli aveva dato l’impressione di aver rifiutato non per un mero capriccio. O per timore di cosa potesse pensare sua figlia se lo avesse visto posare su un cartellone pubblicitario. Era stato un rifiuto troppo veloce, come se avesse avuto di colpo paura per qualcosa. O di qualcosa.

“Possibile” aveva risposto lapidariamente.

“Perché non chiedi a Kibum? Lui sarebbe felice”

Taemin si era messo a ridere, “Il suo testone non entrerebbe nell’obbiettivo”

“Non sto scherzando!” esclamò Minho dandogli un leggero colpo in testa con la mano libera. Taemin aveva sorriso.

Poi, non si sa bene come, la conversazione quel giorno era scivolata su qualcosa di più astratto.

“Sai” aveva iniziato Minho, “Certe volte quando parli... il tuo accento mi suona strano”

“Cioè?”

“Non lo so... io, per via delle gare, sono stato in molti paesi intorno a Seoul... ma il tuo accento non lo riconosco. Non è l’accento di Seoul, né di nessun altro posto che conosco. Sembra quasi che tu non lo abbia”

“Non lo so... io ho sempre studiato in casa da piccolo, fino all’anno scorso, e non ho mai davvero incontrato gente esterna alla servitù. Mi è stato sempre insegnato a parlare il coreano standard e a scrivere hangul correttamente. Ho iniziato a uscire di casa quando ormai la mia formazione era completa e consolidata. Dici che è per questo?”

Minho aveva aggrottato le sopracciglia, e aveva iniziato a stringere la presa della mano sulla sua spalla. Come si può pensare di formare un ragazzo in questo modo? La formazione avviene, prima di tutto, dall’esperienza fuori di casa. E come può una persona non avere accento? Una persona senza accento non è come un vagabondo privo di origini?

Lo tirò un po’ più a sé.

“Anche se non sei cresciuto qui, pensi che potresti considerare Seoul come la tua vera patria?”

“Potrei iniziare”

“Allora ti insegnerò io la lingua di Seoul” disse Minho ridendo, e poggiò la fronte su quella dell’altro.

“Ah sì?” anche Taemin stava sorridendo.

Minho annuì e lo baciò con dolcezza.

Insomma, potevano parlare di tutto e di niente, e potevano anche baciarsi. Toccarsi, e scoprire con sorpresa che i loro corpi reagivano proprio allo stesso modo.

Proprio come quella volta - il giorno stesso del dialogo tra Taemin e Jonghyun al locale - quando Minho si era spinto un po’ più in là e Taemin, trasportato da quello che qualcuno chiama con il nome di atmosfera, lo aveva masturbato con la bocca.

“Taemin?” lo chiamò Jonghyun a quel punto preciso dei suoi ricordi.

“Eh?”

“Sei arrossito di colpo”

Taemin si portò le mani al viso e lo trovò bollente, “Dici?”

Jonghyun annuì con curiosità.

“Perché fa davvero caldo qua dentro! Dovresti accendere i condizionatori! L’estate si avvicina”

 

L’estate si avvicina. E con essa ritorna, come ogni anno, la voglia di mare. Ma Taemin il mare non l’ha mica mai visto. Come si può avere voglia di qualcosa che non si conosce?

“Minho” disse di colpo Taemin, mentre i due erano ancora una volta seduti sul pianerottolo, “Voglio fare l’amore con te”

A Minho, che non aveva ancora finita la propria sigaretta, andò di traverso il fumo e si ritrovò a tossire.

“Eh!?”

“Hai sentito benissimo!” disse Taemin incrociando le braccia, “Non farmelo ripetere, che è stato già abbastanza umiliante”

Oltre il muretto del pianerottolo, il sole scottava sull’erba del giardino scolastico. Alcuni studenti, i più vogliosi d’estate, erano già distesi su quel verde per beneficiare - mentre consumavano il proprio pranzo - degli sprazzi di sole.

“Ma...” continuò Minho lasciando poi la frase in sospeso. Non sapeva dove guardare, se a terra o se diritto negli occhi decisi dell’altro. Optò per la seconda.

“Che problema c’è?” domandò Taemin, “Non sei mica vergine!”

“Non c’entra nulla!”

“Giusto, è perché sono un ragazzo!”

“Taemin...”

“Ho capito” sbottò Taemin liberandosi dalla presa dell’alto. Quindi si alzò. “Benissimo” commentò ancora guardandolo fisso, prima di voltarsi e iniziare a scendere le scale.

Minho si alzò con un sospiro e si sporse oltre il muretto. Guardò la sua figura - rimpicciolita per la distanza - allontanarsi veloce su quel prato brillante. Provò a chiamarlo ma lui non si voltò. Solo qualche ragazza alzò lo sguardo in alto, verso le scale di sicurezza, per vedere da dove provenisse quel grido.
Ma Minho era già scomparso.


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Commento: Questo è stato un piccolo capitolo di passaggio! La smetterà mai Minho di farsi problemi?? ;D Kibum, pensaci tu!
Come sempre aspetto i vostri commenti! Al prossimo capitolo!
Chuuu ♥

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Capitolo 7
*** Quei baci, quelle carezze... erano solo uno scherzo per te? ***


Commento: Rieccomiiii! Pensavo che avrei diviso questo capitolo in due, invece rileggendolo a spezzoni ho capito che non poteva essere diviso in nessun punto... quindi pace! E' lungo, quindi leggete con calma ^^
La storia è pressocché finita, ma mi sono lasciata l'ultima mini scena (davvero mini) per una specie di epilogo finale! ^^ Concedetemelo xD
Allora grazie a tutti quelli che mi hanno seguito e commentato fin qui!!! ^o^ Spero che questo capitolo non vi deluda ^^ 
Buona lettura! ♥ Ci vediamo nell'epilogo!


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Taemin entrò nella propria camera e sbatté la porta con forza. Lanciò il casco a terra - si era dimenticato di legarlo alla moto - e si abbandonò sul letto. Quell’incoerente... quel bastardo che mi ha illuso... morse il cuscino con rabbia e strinse il lenzuolo con le dita.

Qualcuno bussò alla porta ma lui lo ignorò.

“Signorino... tutto bene?”

“Tutto bene!” si sforzo di dire Taemin, per evitare che continuassero a dargli fastidio. Ma bastò quella frase per rendere lucidi i suoi occhi. Li strinse forte premendoli contro il cuscino. E prese a respirare profondamente per calmarsi.

Il cellulare squillò di colpo. Aveva impostato una suoneria personale, e sapeva benissimo di chi si trattava.

 

***


Minho rispose.

-Minho!?- gridò Kibum.

“Cosa strilli?”

-Ho appena chiamato Taemin-

“Okay...”

-Okay un corno! Mi vuoi dire che diavolo succede?-

“Senti, ora non...”

-No, tu ora parli o vengo lì e ti tiro fuori le parole con le tenaglie!-

Minho sospirò e poggiò a terra la bambola dall’occhio rotto. Ai lo guardò incuriosita domandandosi perché di colpo il papà non volesse più giocare con lei. Minho le sorrise accarezzandogli i capelli.

“Il papà torna subito, okay? Continua a giocare”

-Minho, sto ancora aspettando-

“Davvero, tutto bene... te l’ho detto anche oggi a lezione, no?”

-Oggi ho fatto finta di nulla... ma non ci casco, sai? Ti conosco da troppo tempo, non puoi mentirmi. Tu mi dici che va tutto bene, ma Taemin piange... non è affatto bello quando piange! Ed è poco virile... Mi ha addirittura chiesto di farla io quella pubblicità. Non vi capisco...-

Minho raggiunse la cucina e aprì il rubinetto dell’acqua. L’acqua della cucina era sempre congelata. Ne bevve un paio di bicchieri.

“Mi ha chiesto di fare sesso”

-Non dirmi che ti sei rifiutato-

“Kibum! Ma che dovevo fare!? Non ero preparato!”

-Tu sei davvero l’idiota più grosso sulla faccia di questo schifo di pianeta-

“Senti, prima mi chiede di baciarlo... e va bene... ma poi... cosa vuole da me?”

Kibum rise isterico contro la cornetta.

-Te l’ha detto cosa vuole!!-

Minho si passò le dita sulla fronte corrugata.

“Ma non pensavo stesse facendo sul serio...”

-Cosa pensavi allora? Che ha diciotto anni, che è un bambino e che vuole le coccole?-

“Ecco... sì”

-Ora ti prendo a calci. Non provare nemmeno per un secondo a giustificare la faccenda in questo modo. Taemin non c’entra nulla. Sei tu che hai paura-

“Kibum, domani non penso di venire a scuola”

-Cosa fai, fuggi?-

“Sì, esatto, fuggo! Qualche problema?!” esclamò Minho, il volume della voce improvvisamente troppo alto.

-Ah! Chi è qui il bambino...?-

Minho chiuse la chiamata. E spense il cellulare. Senza pensare a niente tornò in sala dalla figlia.

“Sono qui” le disse sorridendo, e si accucciò al suo fianco.

La bambina allungò la bambola dall’occhio rotto verso il padre. Minho la prese.

“Cosa c’è?”

“Taemin?”

“Sì, si chiama così... non ti piace più?”

La bambina scosse la testa.

“Taemin grande... dov’è?”

“Taemin... è a casa...”

“Lo andiamo a trovare?” domandò ancora guardando il padre dritto negli occhi.

“Ora... ora lui sta dormendo... ci andiamo un altro giorno, okay?” rispose a sua figlia sorridendo, ma dentro qualcosa gli stava stritolando lo stomaco. La bambina annuì contenta.

 

Così come aveva detto, Minho non si presentò a scuola il giorno dopo, né quello dopo, né quello dopo ancora. Passava le sue giornate a casa, vivendo tra il letto, la cucina e il salotto, dove giocava con Ai. Il cielo fuori si era incupito, e quello sprazzo d’estate anticipata sembrava essere scomparso chissà dove.

Fu in uno di quei giorni, quando ormai ogni collegamento col mondo esterno sembrava essere stato troncato per sempre, che il telefono fisso squillò.

Minho, disteso sul letto accanto alla figlia addormentata, scattò seduto. Come poteva essere possibile? Il numero del telefono fisso era pressoché sconosciuto a tutti - e infatti si era sempre domandato perché dovessero continuare a pagare la compagnia telefonica dal momento che era inutilizzato.

Si alzò lentamente, e, sempre con calma, raggiunse il mobiletto dell’ingresso. Fissò il telefono squillare per un’alta manciata di secondi, quindi rispose.

“Pronto...?”

-Minho? Sei te?-

“Sì, chi parla...?”

-Sono Asuka, non riconosci più la mia voce?-

Minho ingoiò con difficoltà.

“Asuka?”

-Sì, esatto. Qualche tempo fa era il compleanno di tua figlia, se non sbaglio. Come sta? In questo momento sono in Corea per un servizio fotografico. Potrei vederla?- 

 

***


Taemin riaprì gli occhi di scatto e si guardò intorno spaesato.

“È stato solo un sogno...” mormorò, constatando che quella era la sua camera. Si alzò con difficoltà e guardò l’ora. Era davvero troppo presto per alzarsi, ma lui non aveva più sonno e di sicuro non voleva rischiare di sognarli di nuovo. Ma perché doveva sognare proprio quei due? E lei era così bella... così perfetta al suo fianco. Scosse la testa per allontanare quelle immagini dagli occhi e si alzò.

Era un mese, più o meno, che non lo rivedeva. Minho sembrava essersi dimenticato dell’esistenza dell’università. Dell’esistenza di Kibum - che, a quanto diceva lui, si rifiutava di incontrare - e di Taemin stesso.

Uscì dalla camera e una donna della servitù lo salutò con un inchino.

“Oggi è mattutino” gli disse sorridendo, “Non riesce a dormire bene?”

“Per niente” rispose Taemin sbuffando. Eppure la sera prima era restato al locale di Jonghyun fino a quasi le tre di notte. Facendo due calcoli veloci, aveva dormito sì e no cinque ore. E io ho bisogno delle mie nove ore di sonno per non essere di cattivo umore.

Insomma, se la notte era stata pessima per via del sogno - un sogno che in verità era accaduto sul serio qualche settimana prima, ma di cui Taemin non era di certo a conoscenza - e della mancanza di sonno, il giorno non si prospettava migliore. Anche perché quella mattina il padre si presentò a casa sua senza preavviso.

“Che ci fai qui?” gli domandò Taemin ritrovandoselo in sala proprio mentre stava facendo colazione. Il padre sorrise.

“Hai scelto un buon modello” disse, andando dritto al punto, “Quel ragazzo non ha nemmeno bisogno di ritocchi al pc, e non pretende nulla. Educato e gentile. All’inizio non voleva nemmeno ricevere la ricompensa per il servizio.”

Taemin annuì e finì la propria zuppa calda. Certo che con questa afa improvvisa di Maggio fa proprio schifo. Si arricciò le maniche della camicia e guardò verso il padre.

“Se avessi ancora bisogno di lui, immagino che verrebbe senza pensarci due volte.”

 

Kibum è proprio fatto per posare davanti ad un obbiettivo.

Taemin era al centro commerciale, e teneva il naso all’insù verso il cartellone pubblicitario della gioielleria. Insomma, in quello scatto Kibum sorrideva con una tranquillità tale che, se non lo avesse conosciuto personalmente, avrebbe potuto pensare che fosse il ragazzo più spensierato sulla faccia della terra. Sorrise. Educato e gentile. Ma chi? Kibum? Si portò una mano sulla bocca per trattenere una risata. E ripensò alle parole di Jonghyun... un incontro può davvero cambiare una persona.

Tornò di colpo serio. Come avevano fatto quei due a stare insieme tutto questo tempo senza problemi? Perché solo io... perché solo io devo avere tutti questi ostacoli tra me e Minho? Strinse i pugni con forza.

Voglio rivederti.

 

*** 


Quando Minho tornò a casa la sera, lasciò Ai a giocare in salotto, quindi si diresse verso la cucina per preparare la cena.  

Senza nessun motivo particolare, gli tornò in mente il giorno in cui Ai gli aveva detto di voler rivedere il vero Taemin. E, con un collegamento immediato, rivide la figura di Taemin nella propria macchina che gli esponeva lo stesso desiderio. Era passato così tanto tempo da quel momento, da quel loro primo bacio non voluto, che Minho si perse qualche istante a fare calcoli mentali.

Il tempo è così strano, e lo stesso vale per la mente. E la mente di Minho era proprio particolare. Non solo riusciva a comandare tanto facilmente il corpo, ma riusciva pure a selezionare i momenti da ricordare e quelli da eliminare. Nel suo caso però, non era andata proprio in quel modo. Non erano i ricordi a scomparire, ma tutto quello che può riguardare un determinato periodo temporale. I ricordi, se non sono visivi, sono fatti di sensazioni, no? Sensazioni, immagini, pensieri, azioni quotidiane. Come se si potesse mettere tutto ciò che riguarda la vita su un asse temporale, e poi si tagliasse via un’intera fetta con un coltello. Come in un collage mal fatto.

E lui in quel momento si rese conto che intere fette di vita erano sparite dalla propria testa. Cosa aveva fatto in quel mese abbondante di assenza scolastica? Cosa aveva pensato? Quel vuoto, riempito solo dalle lettere cartacee - perché il cellulare era ancora spento - di Kibum, dai sorrisi e dai pianti di Ai, da quell’apparizione improvvisa di Asuka. O forse non era nemmeno quella la giusta sequenza.


“Puoi rivedere Ai solo perché ancora non riesce a capire”

“Sta crescendo davvero in salute”

“Perché solo ora ti fai viva?”

“Cosa c’è, ti sono mancata?”

 “Non scherzare, la mia vita è andata avanti benissimo in questi anni”

“Già, mi aspettavo che mi cercassi”

“Non ce n’era bisogno”

“Tutto qui? Tutto qui quello che hai da dirmi?”

“Cosa ti aspettavi?”

Lei rise.

“Provi ancora qualcosa per me?”

Minho rise.

“Il nostro amore è finito nel momento in cui tu hai anche solo pensato di voler abortire”

“Sono contenta, perché anche la mia vita sta andando avanti. E ora sto per sposarmi”

“Congratulazioni”

“Non sembri felice”

“Non fraintendere”


Minho finì di pulire la bocca di Ai e si alzò per sparecchiare.

“Papà!” lo chiamò.

“Che c’è?”

“Voglio la cioccolata!”

“L’hai già mangiata questa mattina...”


Dopo il piccolo capriccio sulla cioccolata, finalmente Ai si stancò di piangere e crollò per il sonno. Minho la prese in braccio, quindi la fece distendere sul letto. Ai dormiva profondamente e lui tornò in sala indeciso sul da farsi.

Come poteva ammazzare il tempo quella sera? Ecco... la mente di Minho ammazzavaletteralmente il tempo. Sì, la propria mente era proprio furba ad agire in quel modo. Nemmeno fosse un giardiniere che taglia via i rami marci di una pianta, e ne modella la chioma, per dargli la forma che più gli piace.

Stava facendo di nuovo quel ragionamento quando gli venne voglia di uscire. Fece per chiamare Kibum - per andare a bere insieme, come erano soliti fare - ma restò col cellulare in mano. Solo quando lo vide spento si ricordò di tutto. E quasi gli venne voglia di ridere. Come sei furba, davvero.

Era ancora indeciso se avvisare la madre che sarebbe uscito - da solo ovviamente - o se mettersi a vedere la tv, quando il campanello suonò. Guardò verso la porta e si avvicinò.

“Chi è?” domandò, maledicendosi per non aver mai installato uno spioncino sull’anta. Ma nessuno rispose. Allora schiuse leggermente l’uscio - per vedere di persona chi fosse - ma non fece in tempo a mettere a fuoco il viso contratto di Kibum che quest’ultimo infilò un piede nella fessura, impedendo alla porta di richiudersi.

“Fammi entrare!” gridò Kibum mentre Minho tentava lo stesso di chiudere l’uscio. “Minho!”

“Entri solo quando non sei arrabbiato”

“Non sono arrabbiato” sorrise Kibum iniziando a spingere anche con la mani. Minho si arrese e lo lasciò entrare.

“Grazie” commentò Kibum precedendolo in sala. Quindi si sedette a terra su un cuscino, attorno al piccolo tavolinetto al centro della stanza. Minho, con un sospiro, fece lo stesso.

“Allora” iniziò Kibum, “Come va la vita da recluso?”

Minho non si sforzò nemmeno di sorridere.

“Anzi” disse Kibum alzando l’indice, “Da esule incompreso. Ti senti meglio?”

Minho ancora non si decideva a rispondere, così come non aveva mai risposto a tutte le lettere che Kibum gli aveva mandato e che erano rinchiuse in un qualche cassetto sperduto dentro casa.

“Ti senti... in pace con te stesso? Hai trovato il Nirvana così? La via del molle ti piace?” domandò Kibum mescolando a caso varie informazioni provenienti dalla sua testa. Minho aggrottò le sopracciglia.

“Ma che via?”

“Ah! Mi hai risposto!” esclamò Kibum puntandogli quel dito indice contro, “Comunque se fossi venuto a lezione di filosofia lo sapresti a cosa mi riferisco”

“Filosofia? Io non seguo quel corso”

“Ah no?” chiese Kibum sconcertato, “Ah, hai ragione... comunque sia... ora che hai ritrovato l’uso della parola, parliamo”

“Come sta Taemin?” chiese subito Minho, prendendolo di contropiede.

“Non... non mi aspettavo un riferimento così diretto... sta bene, comunque, ha ripreso a seguire le lezioni. E ora ha pure un fan club ufficiale. Se non ti svegli qualche fan se lo porterà via. Lo rapirà, nel vero senso del termine”

“Sono così accanite?”

“Parecchio...”

A Minho ricomparve il sorriso sul volto.

“Stai benissimo” disse Kibum sollevato, “Ah! A proposito!” esclamò tirando fuori dalla tasca anteriore dei jeans un pacchetto bianco e poggiandolo sul tavolinetto.

“Cos’è?”

“È la ricompensa per il tuo servizio fotografico”

“Non l’ho fatto mica”

“Lo so, l’ho fatto io al tuo posto. Considerami come... un supplente, mentre il grande modello era in pausa. Comunque sono tuoi”

Minho scosse la testa, “Lo sai che non posso accettarli”

“Okay... allora... sono il mio regalo di compleanno per Ai! Un po’ in ritardo... ma meglio tardi che mai! Comprale quello che vuoi”

Minho rise della testardaggine del proprio amico. Siamo proprio due teste dure, pensò poi distrattamente. Quindi tornò serio. Doveva dirlo. Dirlo al suo migliore amico.

“Ho incontrato Asuka” buttò fuori di colpo.

“Chi?”

“La madre di Ai. Abbiamo parlato...”


“Non sembri felice”

“Non fraintendere”

“Cosa dovrei fraintendere?”

“Torni di colpo e parli come se mi conoscessi”

“Infatti non ti capisco, sei cambiato”



Kibum sgranò gli occhi. Ma non fece in tempo a gridare o a impazzire, come è solito fare in queste occasioni, che Taemin apparve sull’ingresso della sala.

“Taemin?” domandò Kibum scioccandosi ora per quella apparizione improvvisa. “Come sei entrato?”

“La porta era aperta” rispose semplicemente, passando lo sguardo dal volto isterico di Kibum a quello privo di sentimento di Minho. Taemin era lì, di fronte a lui. Quel muro così alto, costruito e ricostruito con tanta difficoltà, lui riesce a distruggerlo ogni volta come se fosse fatto di carta. E io non posso farci nulla.

“Io vado” disse Kibum alzandosi di colpo, “Ho lasciato il gas aperto” e uscì di corsa chiudendosi la porta dell’appartamento alle spalle. La sbatté forte, come fosse un segnale di via libera per gli altri due.

“Lo sai che era una scusa quella, vero?”

“Ovviamente” commentò Minho con tranquillità.

“Cos’è?” domandò Taemin indicando il pacchetto bianco sul tavolinetto.

“Se l’è dimenticato Kibum...” rispose l’altro, quindi si alzò, “Preparò del tè, okay?”

Fece per avvicinarsi verso la cucina, ma Taemin gli si parò davanti.

“Che sei venuto a fare?” domandò Minho volgendo il capo di lato.

“Volevo vederti” rispose Taemin, “Lo sai che sono un riccone viziato. E quando voglio una cosa la ottengo”

“E ora che mi hai visto?”

“Voglio chiederti una cosa”

“Ti ascolterò”

“Quei baci, quelle carezze... erano solo uno scherzo per te?”
 


“Sono cambiato?”

“Sì, ma probabilmente siamo cambiati entrambi”

“Già... tu di certo due anni fa non ti saresti mai sposata”

“Mi conosci bene”

Minho sorrise.

“Minho, stai vivendo bene?”

“Eh?”

“Anche io ti conosco, e conosco il tuo sorriso. Sei davvero triste”

 

“Io... io... sì, Taemin, lo erano” rispose Minho con voce stanca.

Gli occhi di Taemin, così scuri e caldi, si congelarono di colpo. Ma Minho lo bloccò per le spalle prima che potesse fare o pensare qualsiasi cosa.

“Non è così anche per te?” diede voce ai propri pensieri sinceramente. Ora è il momento, basta arrovellarsi il cervello da soli.

“No” rispose secco Taemin, “No...”

Era il turno del cuore di Minho. Che si congelò all’istante.

“Kibum mi ha confessato...” continuò Taemin con un tono di voce che non sembrava affatto provenire dalla sua bocca, “...che tempo fa gli hai detto una frase...”

Minho continuò a fissarlo senza riuscire a pronunciare alcuna parola.

“Gli hai detto... Kibum, io non mi innamorerò mai più” e sorrise tristemente, “È così, Minho?”

“Sì... l’ho detta...”

Taemin chinò il capo e lo appoggiò al suo petto. Le dita, che aveva portato a stringere la sua maglia, presero a tremare.

“Avrei dovuto dirtelo sin dall’inizio...”

“Cosa...?” mormorò Taemin.

Taemin, non innamorarti di me

 

 “Posso innamorarmi di qualcun altro?”

“Eh?”


“E ora che ormai è troppo tardi?” domandò Taemin circondandogli la vita con le braccia.

“Non rendere le cose più complicate...”

Taemin alzò la testa di colpo e lo guardò sconcertato.

“Non c’è nulla di complicato!”

“Lo so!” esclamò Minho scuotendo il capo, “È tutto nella mia mente...!”

“Dove?” domandò Taemin allungando un braccio fino a sfiorare la sua testa, “Dimmi dove e ci penso io. Ti ho già detto che se voglio una cosa la ottengo, no?”

A Minho uscì un mezzo sorriso.

“Non lo so dove”

“E cosa sai...?” domandò ancora Taemin abbassando leggermente lo sguardo.

“Che non voglio vederti così...” mormorò Minho piegando il collo per guardarlo dritto in faccia, “Non piangere più per colpa mia, okay?”
 


“Eh?”

“Posso innamorarti di qualcun altro senza sentirmi in colpa?” domandò ancora.

Lei rise.

“Da quando sei così?”

“Da quando ho incontrato una persona”

“Minho, ricomincia pure, così come ho fatto io. Anzi, piuttosto, questo è un continuo. Puoi continuare”

“Non voglio fermarmi”

“Non devi fermarti”

“Non voglio fare un torto ad Ai”

“Non lo stai facendo”


“Ho sognato che ti vedevi con la madre di Ai... e prima hai detto che è successo sul serio”

“Davvero l’hai sognato?”

Taemin annuì, “Lei era davvero bella”

“Ma quanto ci hai pensato...?” chiese Minho ridendo soffusamente.

“Ho pensato molto...” rispose Taemin, “Ho pensato che va bene anche così, anche se tu non vuoi fare l’amore con me”

Minho lo guardò come fosse la prima volta, come se riconoscesse solo in quel momento che Taemin era serio, che per lui quella non era di certo stata una cotta passeggera. Che lo amava sul serio?

Si chinò sul suo viso e ritrovò le sue labbra sempre morbide, sempre della stessa consistenza. Strinse il suo corpo, inspirò il suo profumo, si perse nella sua bocca. Voleva che la mente continuasse quell’opera di sabotaggio dei ricordi, e che gli cancellasse il ricordo di tutti quei giorni senza di lui dalla testa. Voleva tornare sul pianerottolo, a quel giorno in cui il sole scottava sul prato, a quando Taemin gli aveva fatto quella domanda così banale quanto distruttiva.

“Non hai capito nulla” disse Minho cercando di strappargli via i vestiti con le dita.

“Fammelo capire allora” mormorò Taemin con gli occhi che guizzavano impazziti sul suo viso cercando una risposta, “Una volta per tutte...”

Minho lo strattonò per un polso e lo spinse sul divano.

“In camera c’è Ai che dorme...” spiegò Minho chinandosi su di lui. Gli sfilò la t-shirt con facilità. “E poi non ho sistemato il letto questa mattina”

“Mi piace il letto sfatto” commentò Taemin distendendosi. Minho gli slacciò il bottone dei jeans senza troppe cerimonie e cercò subito di sfilarli.

“Sono sudato” rise Taemin per gli sforzi dell’altro. E cercò di aiutarlo con le dita. Una volta che riuscirono a togliere anche quelli Minho gli allargò le gambe e si posizionò subito tra di esse, raggiungendo ancora una volta le sue labbra con le proprie. Le tormentò un po’ con i denti quindi si ritrasse. Taemin lo guardò impaziente mentre si toglieva di dosso la polo a maniche corte e si sfilava la cintura. Quindi sorrise.

“Anche dopo due anni di pausa il tuo corpo è sempre perfetto” commentò passandosi la lingua sul labbro inferiore.

Minho fece scivolare una mano sulle sue cosce glabre fino all’inguine.

Sempre?”

“Mi sono...” e qui Taemin fu costretto a fare una pausa - le dita dell’altro avevano preso a toccargli il sesso appena eccitato da sopra gli slip,“...documentato”

“Su di me?”

“Su di te... quando cercavo informazioni per la storia del modello... ho cercato anche alcune tue foto...”

Minho strinse di più e Taemin gemette con un sussulto. Infossò le unghie sul divano. Minho rilassò la presa e fece scivolare le dita sotto quel tessuto aderente.

“Ma stai tranquillo, Minho...” continuò poi Taemin, quando il respiro glielo concedette, “Non ti chiederò mai più di posare come modello...” e sorrise, “Le foto non ti rendono giustizia”

Minho restò sorpreso, quindi sghignazzò, “Lo prenderò come un complimento”

“Lo è...!” buttò fuori l’altro insieme all’ennesimo gemito. Anche il respiro di Minho si stava facendo pesante, ma non gli importava. Si chinò lo stesso tra le sue gambe e gli leccò il sesso - ormai totalmente eretto - lungo tutta la lunghezza.  

 

Fare l’amore con una donna è tutt’un'altra storia. Minho lo aveva pensato, mentre spingeva con tanta difficoltà per riuscire ad entrare nel corpo di Taemin. Mai come in quel momento pensò che quell’azione fosse contro natura, e mai come in quel momento voleva a tutti i costi arrivare fino in fondo. Forse poteva addirittura paragonare quel sentimento alla determinazione che gli invadeva la mente e il corpo durante il salto.

“Ti ho fatto male” ansimò Minho mentre Taemin sembrava in fin di vita sul divano, e lui si era dovuto stendere a terra per lasciargli spazio. Faceva davvero troppo caldo per stringersi in quel piccolo spazio e non erano di certo in un drama.

“No...” replicò Taemin senza fiato. Poi rise, “Sei stato bravissimo”

“Hai esperienza?” domandò Minho cercando di tirarsi su.

“Che dici...” rispose Taemin indignato, “Non sono mica gay”

“Nemmeno io”

“Però sto cambiando idea”

Minho cercò di ridere con quel poco fiato che aveva recuperato. “La prossima volta ti faccio cambiare idea del tutto”

“Non vedo l’ora”

Minho riuscì ad alzarsi in piedi e iniziò a rivestirsi.

“Che fai?” domandò Taemin guardandolo di traverso.

“Eh?”

“Non hai un bagno in questa casa? Non ci facciamo una doccia...?”

“Vuoi? Ho la vasca” sorrise Minho ributtando i pantaloni a terra, quindi si avvicinò a Taemin. Un braccio sotto al collo, l’altro sotto alle ginocchia e lo tirò su.

“Che fai!?” gridò Taemin ritrovando le energie di colpo. Iniziò a divincolarsi ma la presa dell’altro non lo mollava.

“Se non stai fermo ti butto fuori dalla finestra”

Taemin gli circondò il collo con le braccia e infilò la testa nell’incavo del collo. “È davvero troppo umiliante”

 

“Che caldo...” si lamentò ancora Taemin, rannicchiato in un angolo della vasca vuota, mentre Minho cercava nel piccolo armadietto del bagno qualche sale da bagno profumato.

“Apri l’acqua intanto...” gli disse Minho con la testa infilata nell’armadietto. Taemin gli fissava la linea della schiena e pensò che il colore della sua pelle sarebbe stato ancora più bello se si fosse abbronzato un po’. Aggrottò le sopracciglia e si alzò per aprire l’acqua del rubinetto. Mentre l’acqua fredda riempiva la vasca, e Minho tornava con i sali profumati in mano, a Taemin saltò in mente un’idea pazza. Ma tanto, di azioni pazze ne stava facendo anche troppe.

“Voglio andare al mare” disse di colpo, “Andiamo al mare, non ci sono mai stato. Andiamo con la mia moto”

Minho si immobilizzò per un istante a cavallo della vasca. Quindi entrò e si immerse anche lui. 

“Con la moto”

“Con la moto” ripeté Taemin convinto.

“Non ci pensare nemmeno”

“Perché!?”

“Perché tu sei minorenne, non ti faccio guidare fino al mare” rispose tranquillamente Minho, e lo afferrò per una spalla. Lo fece voltare e lo tirò a sé in un abbraccio. Taemin mise il broncio, ma subito iniziò a sciogliersi, insieme a quei sali al profumo di limone.

“Se vuoi andiamo, ma con la mia auto”

“Davvero?” domandò Taemin volgendo il capo all’indietro per guardarlo, “E portiamo anche Ai?”

Minho annuì con un sorriso, “Nemmeno lei ci è mai stata”

Taemin gli gettò le braccia al collo e reclamò un altro bacio. Minho venne colto di sorpresa e il sedere gli scivolò, facendoli finire entrambi sotto il livello dell’acqua. Riemersero e Taemin non ce la faceva a smettere di ridere.

“Hey!” annaspò Minho passandosi una mano sul viso, “Avvisa almeno! Ci farai affogare entrambi!”

“Immagina quello che potrò fare al mare!”

“Non ci devi nemmeno provare!”

“Andiamo alla spiaggia di Muchangpo” disse Taemin cambiando discorso, “Andiamo per il 15 di Luglio, così festeggiamo anche il mio compleanno e vediamo la divisione delle acque[1]!”

Minho ci pensò su un attimo, quindi rispose affermativamente.

Taemin batté le mani entusiasta, “Ti amo!” esclamò senza pensarci e Minho restò senza parole. Anche Taemin ammutolì con gli occhi sgranati, ma subito tornò a ridere.




[1] Nella spiaggia di Muchangpo, sulla costa occidentale della Corea, si verifica due volte all’anno (il 15 e 30 Luglio del calendario lunare) un fenomeno chiamato “Divisione delle acque” (con riferimento biblico a Mosè) in cui l’acqua, con la bassa marea, si spacca, creando un cammino di sabbia da cui è possibile avere una meravigliosa vista dell’alba.

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Capitolo 8
*** Voglio ricominciare a saltare. ***


Commento: Alla fine, anche se la metà dei miei lettori mi ha abbandonata (xD), ho finalmente postato questo epilogo!! ^o^
Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui!!! ♥♥ Alla prossima fanfic! (che sarà una JongTae fantasy uhuhuhuh) 

E buona lettura!!! <3

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Alla fine, erano partiti tutti e cinque per il mare.

 

“Ai starà bene con Kibum?” domandò Taemin stringendogli di più la mano.

“Si conoscono da molto tempo, e poi c’è anche Jonghyun, no?”

“Non mi fido di nessuno dei due”

Minho rise, “Dovrei essere io quello preoccupato”

“Okay, ti restituisco il tuo ruolo”

Si erano allontanati dagli altri, e ora camminavano da soli su un tratto di spiaggia deserta. Il punto preciso in cui succedeva quel miracolo lo avevano lasciato alle spalle, lo avevano lasciato alle persone che, a differenza di loro, non avevano bisogno d’intimità a quell’ora buia. Era mattina, ma il sole non si era ancora deciso a sorgere, e quella luminescenza che anticipava l’alba si incominciava a intravedere solo da pochi minuti. Minho guardò verso l’orizzonte.

“Non volevi vedere l’alba seduto su quel tratto di spiaggia emerso? Se non ci sbrighiamo la perdiamo”

Taemin fece spallucce, “Mi bastava venire a vedere il mare, e poi là c’è troppa gente”

Minho annuì con un sorriso, “Sediamoci qui allora”

Trovarono uno scoglio più liscio e ci salirono sopra. Si sedettero alla sua estremità, in modo da poter bagnare i piedi.

Taemin sospirò.

“Che c’è?”

“Niente...”

“Sei pensieroso oggi, vuoi dirmi che hai?”

“Non voglio pensare a Seoul in questo momento, ma non posso farne a meno”

“Pensi a tuo padre?”

“Anche...”

Minho gli passò il braccio attorno alle spalle, e Taemin appoggiò la testa sulla sua spalla.

Minho era ancora convinto che quell’atteggiamento di Taemin nei confronti del padre fosse causato da una ribellione adolescenziale. Ma cosa poteva dirgli? Se vuoi, fai quello che vuoi? Se non vuoi, non ereditare il centro commerciale? Chi era lui per potergli dire una cosa simile? Quindi restò in silenzio, perché nemmeno lui sapeva come poterlo aiutare in quel momento. Non poteva intromettersi, ma sperò che prima o poi il padre si decidesse ad affrontare la questione, invece di dare ordini e apparire nella vita di Taemin a suo piacimento. Quante volte aveva avuto l’istinto di presentarsi da lui, inginocchiarsi di fronte alla sua persona, e implorarlo di lasciar vivere Taemin come tutti i ragazzi della sua età. Una vita che nemmeno a lui stesso era stata concessa di vivere.

Ma ingoiò tutti quei pensieri e decise di parlare d’altro. Forse il giorno in cui ne avrebbero discusso sarebbe arrivato, ma era ancora troppo presto.

“Taemin, queste carezze, non sono più uno scherzo” disse semplicemente.

Taemin voltò il capo per sorridergli.

“Idiota, quella è una storia vecchia”

“Ma volevo dirtelo lo stesso”

“Lo so...” mormorò Taemin tornando a guardare le sfumature sempre più accese dell’alba. La luna, al contrario, era sempre più sfocata. Ancora pochi minuti e sarebbe scomparsa del tutto, nascosta dalla luce accecante del sole. Minho la osservò ricordandosi di un’altra vecchia storia.

“Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti?”

Taemin aggrottò la fronte.

“Dici... quella notte fuori dal locale?”

“Sì! Mi hai riconosciuto allora! Tu eri in pausa e io...” io ero tornato lì per inseguire i fantasmi del passato. Non era affatto vero che aveva smesso di amarla il giorno in cui lei gli aveva espresso quella sua volontà. Strinse di più Taemin a sé e continuò: “Io ero là fuori, a fumare. Tu hai chiesto se la luna fosse piena, ma in verità da quel punto la luna non si vedeva... per un momento ho pensato che fossi cieco!”

Taemin sghignazzò, “La tua immaginazione è così vivida per alcune cose, ma inesistente per altre. Lo studio fa male, l’ho sempre pensato! Soprattutto quello della matematica!”

“Forse hai ragione” accordò Minho ridendo anche lui.

“Se non la vedevi, non era mica detto che non ci fosse da qualche parte nel cielo! Anche ora, pensi che se non si veda più significa che è esplosa o cose simili?”

“Credo solo a ciò che vedo” rispose Minho afferrando il viso dell’altro con le dita, e lo voltò verso di sé. Taemin prolungò quel movimento per baciarlo. Chiuse gli occhi.

“Aspetta... devo dirti una cosa” mormorò l’altro sulle sue labbra, fermandolo.

“Fa’ in fretta”

Minho rise, “Voglio ricominciare a saltare”

Taemin sgranò gli occhi sbigottito.

“Tu sei il primo a cui lo dico” continuò Minho.

“È... è fantastico!”

“Dici?”

“Certo! Ma perché solo ora?”

Minho tornò a guardare verso il sole che faceva finalmente capolino sull’orizzonte.

“Ho pensato che non potevo mettere anche questo peso sulle spalle di Ai. Se un giorno venisse a sapere che ho mollato il salto per crescere lei... non pensi che possa sentirsi in colpa?”

Taemin restò sorpreso.

“Io... non lo so... ma credo che sarebbe orgogliosa di te in entrambi i casi”

Minho sorrise e tornò a quel bacio umido. 

“Dove eravamo rimasti?”



« Il profumo della tua sincerità

È più profondo e costante di quello di chiunque altro.

Appoggiati alla mia spalla, accoglierò tutta la tua tristezza.

Se lo desideri, io ti darò tutto. »

-LOVE SHOULD GO ON-

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