Another World

di Jaccquelyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Holmes Chapel ***
Capitolo 2: *** Associazione ***
Capitolo 3: *** Niente torte, ricorda ***
Capitolo 4: *** Marmo ***
Capitolo 5: *** Non sa niente ***
Capitolo 6: *** Fidarsi ***
Capitolo 7: *** Scusa ***
Capitolo 8: *** Turchia ***
Capitolo 9: *** Rimediare agli errori ***
Capitolo 10: *** Facciamolo ***
Capitolo 11: *** Amici ***
Capitolo 12: *** Niart ***
Capitolo 13: *** DE. ***
Capitolo 14: *** Indicazioni ***
Capitolo 15: *** Alexander, non Alex. ***
Capitolo 16: *** Si dice 'le' taglio la gola. ***
Capitolo 17: *** Piano B ***
Capitolo 18: *** Spari ***
Capitolo 19: *** Cartella ***
Capitolo 20: *** Tu rimani qua. ***



Capitolo 1
*** Holmes Chapel ***



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‘Vivo in un piccolo paese sconosciuto dell’Inghilterra, Holmes Chapel. Sconosciuto a tutti tranne che agli abitanti, probabilmente non è neanche sulla cartina geografica, tanto a chi interessa? Non succede mai niente di emozionante. Siamo un paesino per bene, tutti fanno il proprio lavoro senza scandali. Niente di segreto, niente di nascosto. Le vecchie ti controllano dal balcone se sei in strada, i genitori se sei in casa. A scuola sono tutti educati.

                                                     

Facciamo schifo.

 

Mai mi è capitato di esaltarmi per qualcosa in sedici anni di vita. È fisicamente impossibile vivere così! Come si fa a essere amici di tutti? Come possono non esserci mai tragedie, scoop, pettegolezzi di cui parlare? Perché nessuno cerca di distinguersi dalla massa e fare un po’ di clamore, suscitare scalpore?’

 

Relazione finita. La consegno alla professoressa e torno al mio banco. Holmes Chapel. Cittadina noiosa, noiosissima, si direbbe. Beh, per chi non la conosce. E sembra che siamo veramente in pochi a conoscerla davvero e a gustarsi a fondo tutta la vita che c’è dentro. Tutti gli adulti sono convinti che sia il migliore paese del mondo, pulito dalle sozzerie degli adolescenti educati male. E gli adolescenti glielo fanno credere. Perché sono intelligenti, molto. Non lo dico solo perché sono una di loro, però. E’ la verità.

Se noi provassimo a disturbare questo grande cerchio vitale di questa piccola cittadina, succederebbe il fini mondo. Cosa farebbe il sindaco senza i suoi premi di paese più pulito d’Inghilterra? Cosa farebbero i vecchietti senza poter farlo diventare sempre più bello e sano con alberi e piante? E gli adulti in generale, senza avere un lavoro perfetto, dei figli perfetti e una vita perfetta in una cittadina perfetta?

Impazzirebbero.

Non possiamo strappare la gente dal proprio mondo, sarebbe barbaro e inappropriato, contando che è la nostra gente. Quindi continuiamo a farli vivere secondo la concezione di perfezione che si sono creati e non li disturbiamo. Mai.

Il nostro lavoro lo facciamo di notte, quando loro sono a dormire già da un pezzo per non fare ritardo il giorno seguente. Tutta la città va a letto alle nove di sera e per le nove e mezza non trovi più nessuno che è sveglio. A parte noi. Poi tutti si svegliano alle sette per intraprendere un’altra noiosissima giornata sempre uguale alle altre.

 

Ma noi no. Siamo diversi. Si, il giorno seguiamo il programma da manuale e facciamo i bravi, ma è la notte che la città si accende davvero, come non lo è mai con la luce del sole. È la notte che gli adolescenti vengono fuori a fare il proprio lavoro. È la notte che porta la magia.

Intendiamoci, non è così per tutti. Ci sono certi ragazzi che sono da manuale anche loro e andranno poi a seguire le orme dei genitori e forse sono anche in maggioranza.

Non che a noi interessi. Tanto è una cosa segreta, e deve rimanere tale.

 

-Dixon, attenta.- mi richiama la professoressa d’inglese, la Brown. Tutti si girano verso di me come se avessi commesso un reato, perché ineffetti non prestare attenzione a scuola è quasi un reato, qui. Non mi piace il mio cognome e odio essere chiamata con il mio cognome.. Dixon, Dixon, mi sa troppo di detersivo. Purtroppo non posso cambiarlo. Il mio nome invece potrei cambiarlo, anche se poi tutti mi indicherebbero per strada, ma non vorrei lo stesso. Eveleen mi piace. A Holmes Chapel c’è una sola Evellen. E sono io. Per questo mi piace. Gli amici però mi chiamano… aspetta, non possiamo usare soprannomi, ci distingueremmo troppo. Loro mi chiamano Leena.

-Si, professoressa. Scusate.- le rispondo educatamente, come è previsto che io faccia. Così, mi arriccio i capelli mori con le dita e lancio una breve occhiata al secondo banco, dove è seduto Buck, incrociamo lo sguardo per pochi secondi ma so a cosa sta pensando. Tranquilla Leena, ti sfogherai stasera. Si, lo farò di sicuro e al pensiero i miei occhi castani, poco più scuri dei capelli, iniziano a illuminarsi.

Anche Buck è l’unico a chiamarsi così in tutta Holmes Chapel. All’inizio scherzavamo su questo fatto ed è così che siamo diventati amici e lui mi ha invitato a far parte di loro. Sia benedetto quel giorno.

Comunque, Buck non si contraddistingue solo per il nome ma anche per la sua altezza. Gli arrivo a malapena al petto, che, inoltre, è davvero ben allenato. Infatti guardare i suoi occhi a mandorla è difficile, ma ne vale anche la pena grazie al verde di cui sono fatti. Nonostante tutto io continuo a prenderlo in giro perché Buck mi sembra tanto il nome che si dà in genere a un cane, ma quando lo faccio lui tira fuori la carta Dixon.

 

A scuola indossiamo un’uniforme, tutti uguale. I maschi pantaloni blu, camicia bianca e scarpe blu eleganti e verniciate. Le femmine gonna blu, camicia bianca, scarpe blu eleganti e verniciate e calze che arrivano al ginocchio che sembrano fatte di seta. Per quanto riguarda il periodo primaverile ed estivo. D’inverno le nostra calze sono più spesse ed entrambi i sessi aggiungono un pullover blu.

Siamo una massa uniforme di stessi ragazzi e ragazze che camminano nella scuola per studiare esattamente le stesse cose. Non sono permessi i commenti personali agli insegnanti, chi li aggiunge viene licenziato all’istante.

È successo, una volta.

 

Era il mio professore preferito, il professor Robinson. Si faceva chiamare per nome, Doug, e già questo era un enorme eccesso alla regola di base. Ma non è per questo che è stato licenziato. Era un professore di storia delle medie quindi doveva semplicemente seguire il programma e interrogare i ragazzi. Ma non faceva così.

Lui ci spronava a distinguerci. Diceva che non saremmo finiti da nessuna parte, continuando così. Dovevamo andare via per poter vivere davvero, perché in questo paese c’era tutto tranne che vita. Pensate che tutti questi grandi personaggi storici, disse una volta, abbiano fatto le loro grandi imprese rispettando l’orario della colazione e vestendosi come gli altri? Pensate davvero che sia rispettando le regole che lascerete il segno in questo mondo? Esprimetevi. Non uniformatevi alla massa e trovate la vostra vera persona.

Mi ha ispirato Doug. Esprimersi. Questa è la mia filosofia di vita, con loro. Durante il giorno purtroppo devo uniformarmi e cercare di non cacciarmi nei guai, perché i guai li porta la notte. Ma le parole di Doug mi rimasero impresse nella mente come pochissime altre cose.

 

Seguo la lezione senza veramente ascoltare e se la professoressa lo sapesse probabilmente rimarrebbe, come minimo, indignata. Ma poi la studierò pomeriggio, dalle tre alle cinque, nell’orario in cui si devono svolgere i compiti. Si devono fare e non puoi evitarlo semplicemente perché il lavoro di alcuni adulti, per fortuna non i miei genitori, è proprio quello di sorvegliarci mentre li svolgiamo. Non si può parlare, né mettere in pausa il cervello per cinque minuti.

Quando suona la campanella non mi scompogno e aspetto il mio turno per uscire dalle classe, poi mi dirigo verso la mensa, perché è scattata l’ora di pranzo. Tutti abbiamo dei posti assegnati, non possiamo sceglierli noi. I tavoli sono composti da venti posti e ogni classe ha un tavolo. Guarda caso, io non entro nel tavolo della mia classe e quindi sono stata assegnata al tavolo del quarto anno. Una del terzo tra diciannove del quarto.

Ma non mi preoccupo, perché dobbiamo mangiare in silenzio e poi abbiamo dodici minuti, prima di rientrare in classe, per mantenere una sana e composta conversazione. Di questo tavolo solo io e altre due persone, Aaron e Aaliyah, fanno parte di noi. Sono gemelli, ma non ho mai approfondito la loro conoscenza, anche se tutti e tre sappiamo di che pasta siamo fatti. Mi sorridono sempre. E come non ricambiare? Loro sanno distinguersi. È difficile che mi stia antipatico uno di noi, perché so che sono come me, infondo. Vogliono esprimersi.

Sono seduta tra Zayn e Ivy, oggi. C’era già il mio nome sulla sedia, dovevo occuparla afforza. Mangiamo tutti silenziosamente il nostro pudding e la nostra insalata scondita. La sala è talmente silenziosa che potrei far cadere il tappo di una penna e risulterebbe un rumore assordante. Dopo quattordici minuti suona una piccola campanella, meno forte di quella delle lezioni, che dà inizio ai nostri dodici preziosi minuti.

-Eveleen, dove studi oggi?- mi chiede Zayn. E’ un ragazzo in gamba, credo. Non è ‘reato’ studiare da altre persone perché si è comunque sorvegliati.

-A casa.- gli rispondo.

-Cambiamolo in ‘a casa tua, Zayn’.- ribatte lui. Non puoi avere una relazione con un ragazzo prima dei venti anni, quando hai undici mesi di tempo per trovare marito e sposarti. Però Zayn è sempre avventato con le ragazze. Non ne ha mai avuta una, ovviamente, ma si comporta come uno che ci sa fare parecchio. Ineffetti, penso anche che possa permetterselo, in un certo senso. Non ha la carnagione chiara e questo contrasta i suoi occhi che sono castani tendenti al giallo.

-D’accordo.- gli concedo. Perché tanto non mi cambia niente, non potremo comunque parlare o fare qualsiasi altra cosa che non riguardi lo studio.

Zayn mi sorride e si gira verso Louis, un suo amico, per parlare compostamente con lui. Io gli sorrido di rimando e mi giro verso il mio bicchiere, un mio grande compagno di conversazione, per aspettare che suoni la campana.

-Eveleen, tu che ne pensi?- mi chiede Isabel, la classica ragazza perfetta con capelli biondi, occhi azzurri e pelle da favola. Non ho seguito la conversazione e mi scoccia sorbirne il riassunto, quindi rispondo con un semplice: -Secondo me hai ragione tu.- che non può causarmi problemi. Lei si gira verso Celeste, la sua migliore amica uguale a lei, e le fa uno sguardo malizioso che sottintende Vedi? Ho sempre ragione, io.

 

Driiin Driiin Driiin. È suonata la campanella e si torna alle aule, tavolo per tavolo, senza fare confusione. Questa è la campanella del primo tavolo.

Driiin Driiin Driiin. Secondo tavolo. Mi mancano ancora dieci campanelle, aspettare è davvero straziante. Ma ovviamente lo faccio. E, suonata la mia campanella, mi alzo dalla sedia, la rimetto a posto e vado verso l’aula. C’è un ultima lezione dall’una alle due, poi possiamo andare a casa a riposare e dopo si fanno i compiti.

… No, poi dobbiamo andare a casa a riposare e dopo si fanno i compiti. Contando che sto sveglia per tutta la notte, avere un’ora di riposo il pomeriggio di certo non mi dispiace.

Aula di disegno. Non si può essere creativi neanche qui. Ti siedi, metti il grembiule, prndi una tela e cerchi di riprodurre al meglio quello che il professore appende alla lavagna. Alcuni sono proprio bravi, come Desmond che è uno di noi e ci è molto utile. Io faccio pena. Sono eccezionale solo in educazione fisica, nel resto vado bene –perché non si può andare male- e in arte me la cavo lo stesso grazie ai resoconti orali.

 

-Salve mamma, buon pomeriggio papà.- dico arrivata a casa ai miei genitori. Perché dobbiamo essere formali anche con loro, e rispettarli, soprattutto. –Terrie è tornata?- gli chiedo dopo. Terrie è mia sorella, ma non è una di noi. E’ troppo pericoloso per lasciarglielo fare. Le voglio bene. Anche se non quanto a loro. Perché è difficile voler veramente bene a qualcuno che non conosci e io non la conosco. Né conosco i miei genitori. Perché non posso. Con tutta la giornata programmata non ho il tempo di conoscere la mia famiglia, il che è alquanto deprimente.

-Si, è già in camera sua. Vai a dormire.- mi risponde papà, che sembra freddo grazie al suo aspetto ma se lo conosci scopri che è peggio delle tue aspettative. Annuisco e vado in camera. Ho una camera tutta mia, Terrie anche e i miei genitori la stessa cosa. C’è anche una camera in più nel caso ci dovesse essere un altro bambino. Poi basta. Perché anche volendo non si possono avere più di tre figli. Se scoprono che sei incinta ti fanno abortire, quindi si preferisce prevenire.

Mi metto sotto le coperte, nonostante sia estate, e mi addormento all’istante.

 

Un rumore acuto mi sveglia alle tre meno due minuti, per dirmi di prepararmi a studiare. Prendo i libri e vado a casa di Zayn, che non è lontana dalla mia.

Quando busso mi viene ad aprire lui con un sorriso, ma intravedo già una signora rigida dietro di lui, che sicuramente non è la madre. Sposto velocemente lo sguardo da lei e lo dirigo su Zayn, sorridendogli di ricambio. Poi mi conduce di sopra, mi fa entrare nella sua camera, fa entrare la signora e si richiude la porta alle spalle.

Ci mettiamo entrambi alla sua scrivania che è abbastanza grande da ospitare tutti i nostri libri e iniziamo a studiare, sotto lo sguardo attento della signora. Non tutti i guardiani, perché si chiamano così, sono rigidi. Alcuni scherzano anche con te. A bassa voce però, per non farsi sentire. Ma la grande maggioranza è come questa signora. Si siedono alle nostre spalle con la schiena eretta e le gambe accavallate. E ci guardano. Per tutto il tempo, in silenzio.

                     

L’unico lato positivo è che non ti vedono in volto, quindi ogni tanto io e Zayn ci scambiamo occhiate e sorrisi, giusto per combattere la monotonia. Ma non possiamo fare più di questo.

 

Dooon. Dooon. Dooon. Dooon. Quattro rintocchi di campana. Il tempo di studiare è finito che tu abbia terminato i tuoi compiti o meno.

Ora abbiamo un po’ di tempo per noi dove possiamo fare ciò che vogliamo –più o meno- senza però disturbare la quiete pubblica.

-Andiamo in piazza?- mi chiede Zayn.

-Si, prima passo da casa a posare i libri.- così mi accompagna in casa e di nuovo fuori, diretti alla piazza. La piazza si trova esattamente al centro di Holmes Chapel ed è abbastanza grande e piena di verde, con tanti fiori disposti strategicamente per disegnare un semi cerchio colorato. Dai balconi delle case intorno sono sporte tutte le vecchiette più fortunate. Più fortunate poiché in piazza si sentono i discorsi migliori, in genere.

Ma io e Zayn non abbiamo tanta voglia di parlare. Passeggiamo un po’, stiamo sdraiati sull’erba e ci scambiamo al massimo qualche battuta. Poi lui fa un gesto totalmente inaspettato sotto lo sguardo sconvolto delle vecchie. Prende un fiore blu e lo infila tra miei capelli con un sorriso. E da qui capisco che anche lui non ne può più di questa vita. Perché questo è come un gesto di ribellione, in un paese come questo.

E penso che, forse, ci sono molti più ragazzi di quelli che noi conosciamo che vogliono esprimersi. E noi dovremmo permetterglielo.

 

 

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Capitolo 2
*** Associazione ***



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Adesso nella mia casa regna il silenzio. Sono le nove e mezza passate e tutta la mia famiglia dorme. Tutta la mia città dorme. Sono le nove e mezza passate e inizia il mio lavoro.

Esco di casa, facendo attenzione a non fare rumore, ma senza troppe precauzioni. Anni di abitudine mi dicono che nessuno si sveglierà. Neanche se facessi cadere un vaso a terra, ma preferisco non farlo per risparmiare domande inutili. E perché non potrei usare la storia del ‘sono entrati ladri in casa’ dato che ladri non ce ne sono, qui.

Percorro tutta la città quasi di corsa, arrivata all’albero x incontro Buck.

-Hey- gli sussurro per salutarlo. –Che faremo oggi?-

-Non lo so.- mi risponde Buck scuotendo la testa. –Vieni.- sposta l’albero dove appare un buco grande quanto il perimetro di quest’utimo. Buck mi prende da sotto le ascelle a mi aiuta ad entrare. Non ci sono scale. Scivolo lungo la superficie e atterro su una ventina di puff, sistemati in quel punto per non farci male.

Mi alzo e mi sposto, quando do il via a Buck scende anche lui. Camminiamo sulla roccia e varchiamo un arco dozzinale, per trovarci nella sala di ritrovo, per così dire.

Ci sono ancora poche persone e Phillips, il capo, non si vede. Però c’è qualcun altro che vedo, una persona alta e muscolosa quanto Buck, ma senza il suo cipiglio serio.

-Liam!- urlo. Qui non ho paura di gridare, di dire esattamente quello che penso e dire il mio parere, qui posso essere me stessa.

-Leena!- urla lui di rimando e viene accanto a me. Mi cinge con un braccio e mi bacia la fronte. –Nuova nottata, eh? Chissà che faremo..- dice pensieroso. Ogni notte c’è qualcosa di nuovo, non puoi mai sapere in cosa ti andrai a cacciare, ma ormai ci sono abituata. Ci siamo abituati quasi tutti, in realtà, a parte i nuovi.

Il più ‘vecchio’ è proprio Buck, che è stato il primo ad entrare. È lui che sceglie chi entra e chi no. Noi diciamo chi potrebbe essere un valido candidato, lui lo spia per un po’ e vede se va bene. Se non va bene per lui non puoi opporti.

Mi siedo tra Liam e Buck e aspettiamo. Iniziano a venire tutti e li saluto con un cenno del capo man mano che passano. Poi, finalmente, entra Phillips. E’ un adulto molto combattivo e nessuno sa guidare una spedizione meglio di lui.

-Ci siamo tutti?- tuona, con la sua voce imperiosa e autoritaria. All’inizio può far paura e, soprattutto, intimidire. Ma se lo conosci capisci che è un tipo apposto. Ovviamente non è di qui, lui viene da Londra, una grande città.

-Sissignore.- risponde Buck prontamente, dopo una veloce occhiata in giro.

Phillips inizia a formare dei gruppi. Mi ha messa in quello più numeroso, ma non bado molto a questo. Quello che noto è che non sono nel gruppo di Buck e Liam, e io sono sempre con loro. Mi accorgo, inoltre, che nel loro gruppo non ci sono ragazze.

-Gruppo A – dice Phillips. – Voi venite in missione con me.- i ragazzi annuiscono e iniziano a camminare verso il varco che gli è stato indicato. –Gruppo B- continua, riferendosi a noi. –Oggi allenamento. Sapete dove andare.- con questo dovremmo essere congedati, infatti lui si volta per raggiungere i ragazzi. Anche il resto del mio gruppo inizia ad andare. Ma io sto un attimo ferma.

Perché mi hanno diviso da loro? Cosa devono fare oggi? È talmente pericoloso che neanche io, che sono una delle migliori che hanno, posso andare? Non mi va che vadano da soli. Non che Buck e Liam non sappiano badare a se stessi, o non siano bravi, anzi. Ma io devo avere il controllo della situazione e averli vicini.

-Phillips- dico prima che varchi la soglia. Lui si gira sorridendo. Mi conosce e probabilmente sapeva già che avrei obbiettato. –Dove andate?- chiedo, perché non voglio ammettere di voler chiedere cosa lui pensava.

-Oh.. in missione.. – risponde evasivo, ma senza smettere di sorridere. –Perché?-

-Niente.- ribatto seccata. – Ma.. mi chiedevo se potevo essere utile, magari..-

-Leena- esordisce lui aumentando l’ampiezza del suo sorriso. –No, grazie. Oggi non ci servirai.-

-Ma io sono molto efficiente!- protesto.

-Devo andare, il treno parte.- dice sempre sorridendo e voltando i tacchi.

 

Che missione devono fare? Ora questa domanda mi martella la testa. Che missione? Che missione? Perché non posso andare?

Mi rendo conto distrattamente che non ho ancora mosso un passo, quindi varco la soglia e vedo il treno dell’addestramento, contrassegnato da un’enorme D arancione davanti a me. Non c’è nessuno dentro. Gli altri sono già andati, bene.

Salgo sul treno e rivolgo un veloce saluto a Cesar, il conducente. Mi lascio cadere sul sedile. Tengo il conto. Uno, due, tre, quattro… dodici. È andato abbastanza piano, oggi. In dodici secondi siamo in Irlanda, a Mullingar.

Scendo dal treno ed esco da sottoterra attraverso una piccola scaletta di legno. Mentre sono a metà qualcuno, da sopra, mi porge la mano. Una mano che conosco.

Sorrido. –Ciao, Niall.- dico. È un biondino perennemente allegro, mio compagno di allenamento e me lo ritrovo spesso anche nelle missioni, penso che abbiamo lo stesso grado di preparazione. L’unica differenza è che io abito in Ighilterra e lui in Irlanda. È un biondo tinto sempre allegro, nonostante il suo lavoro.

-Oggi anche tu qui, eh? Odio quando non ci fanno andare, ci perdiamo tutto il divertimento.- commenta lui con un sospiro.

-Già..- sbuffo io. Ma la mia mente è altrove.

-Non gli succederà niente.-

-Mmm?-

-A Buck e Liam. Tranquilla, non gli succederà niente.- annuisco. Probabilmente è vero. Insomma, finora sono successi ben pochi incidenti gravi, no?

Andiamo insieme verso il primo esercizio, gli anelli in legno. È un esercizio abbastanza faticoso e richiede forza nelle braccia, ma è anche uno dei miei ‘cavalli di battaglia’.

Ci sono due colonne lontane e tra queste un lungo filo con degli anelli attaccati. Due anelli vicini, per le due mani, poi ad una generosa distanza gli altri due. Devi dondolare, saltare, fare quello che puoi per arrivare agli altri. Se cadi, sei nel fango.

Percorro il filo facilmente e lo faccio al contrario, iniziano a farmi male le braccia ma non mollo.

-Vai, Dixon, un altro paio.- mi urla il coach da sotto. È facile dirlo, per lui. Ma continuo a farli. Ho fatto tre volte andata e ritorno senza mai fermarmi quando mi siedo su una delle colonne. –Dixon!- tuona il coach. –Perché ti sei fermata?!-

-Le braccia. – ansimo. –Facevano male.- scuote la testa indignato, ma so di dargli molte soddisfazioni. Molte più di tanti altri ragazzi.

Ma io parto avvantaggiata. Ho iniziato che avevo solo sei anni, quindi mi alleno da tutta la vita. Per i nuovi arrivati è più dura.

Passo da un esercizio all’altro a seconda dei comandi del coach, poi, sfinita, mi siedo per un po’ su una panchina. Mi raggiungono quasi immediatamente Aaliyah e Harry, un riccio di qui. Entrambi sono nuovi, ma, mentre Harry sembra riuscire perfettamente in tutto, Aaliyah, la mia compagna di tavolo, fa pena. È brava solo nel tiro del giavellotto, ma non serve a molto. Siamo evoluti ormai e devi saper tenere in mano un fucile almeno quanto sai tenere in mano un bicchiere d’acqua.

-Come sta andando?- chiedo, più a Harry che ad Aaliyah.

-Bene. – mi risponde appunto lui. –Ma non sono portato per arrampicarmi, mi sa.-

-Un po’ di allenamento e ce la farai.- lo rassicuro. E ne sono davvero convinta, perché è un portento. Ci sarà molto utile, tra qualche mese.

 

Riprendo l’allenamento ma, nel bel mezzo della mia corsa ad ostacoli, vengo interrotta da una campana, segno che molti di noi se ne devono andare. Non tutti siamo di Holmes Chapel. In questo campo sono riuniti Holmes Chapel, Bradford, Oxford e, ovviamente, Mullingar. Holmes Chapel, Oxford e Mullingar fanno tutto di nascosto, Bradford lo fa allo scoperto quindi rimane. Noialtri torniamo al treno.

 

Stavolta arriviamo alla base in nove secondi, non è andato piano almeno. Prima, considerando i soliti orari, era in un ritardo pazzesco, ma tanto c’ero solo io.

Il Gruppo A non è ancora tornato. Dove sono?

Mi siedo in un angolo da sola, non ho voglia di parlare. Di solito nel tempo che rimane tra la fine dell’addestramento o della missione e l’inizio della nuova giornata mi scateno, in fatto di parole. Ma bisogna contare che di solito ci sono Buck e Liam con me. Ora no e non ho intenzione di proferir parola finchè non saranno al mio fianco.

Passa un’ora. Ne passano due e sono le sei del mattino.

-Perché non mi hanno mandata con loro?!- urlo, non riuscendo più a trattenermi. Sebbene non mi sono rivolta a nessuno in particolare né ho fatto nomi tutti sanno a chi mi riferisco, perché ci conosciamo tutti.

-Calmati, ora verranno, vedrai.- mi rassicura, o almeno ci prova, Dreda, una di quelle ragazze che porta perennemente le treccine e sorride a tutti.

-Calmarmi?! Calmarmi, dici?! Come cavolo faccio se siamo in guerra e forse li hanno mandati in campo aperto?! Come posso calmarmi?! Potrebbero essere già morti!!- finita la sfuriata mi accascio di nuovo a terra e nascondo il volto tra le mani, senza piangere.

-Sai com’è Phillips. Non succederà niente di male a nessuno di loro.- continua Dreda dandomi una pacca sulla spalla.

Non me ne frega niente di Phillips, vorrei dire. Di sicuro li hanno portati in guerra e a quel punto Phillips diventa un soldato come un altro, punto.

Si, siamo in guerra. Se lo dicessi in paese probabilmente mi arresterebbero, ma è la verità: tutto il mondo è in guerra. Tra le materie prime che sono sempre più rare e il crollo delle borse era chiaro che sarebbe scoppiata a breve. Noi, come Inghilterra, abbiamo qualche alleato (tra cui l’Irlanda), ma ci sono paesi, come la Russia, che combattono da soli. In uno stato d’allarme così grave c’è bisogno dell’aiuto di tutti i cittadini per combattere. Ma alcune città hanno chiuso le porte all’esercito e preferito avere un diploma di bella città piuttosto che aiutare la propria patria. Una di queste, com’è evidente, è la mia. Quello che il sindaco di ogni diversa città di questo genere non sa, è che c’è un’associazione segreta che addestra i giovani per mandarli a svolgere varie mansioni. A volte andiamo proprio in guerra. A volte facciamo le spie. Ci sono vari incarichi da fare e non capita mai che facciamo tutti quanti l’allenamento, c’è sempre qualcuno in missione.

 

Accetto la tazza che mi porge Dreda e ne bevo avidamente il contenuto. È una bevanda molto più forte ed avanzata del caffè, ma ha più o meno lo stesso scopo con un sapore migliore. Ti fa rimanere sveglio tutto il giorno. A meno che non sia il tuo cervello ad impartire l’ordine di dormire (nel riposo pomeridiano, ad esempio), questa bevanda è in grado di farti stare in forze per ventiquattro ore, fino alla prossima. Se non ci fosse, tutto questo programma non si potrebbe attuare.

 

Alle sei e mezza iniziamo ad uscire, perché dobbiamo rientrare nei nostri letti per le sette, quando saremo svegliati. Sono un po’ esitante perché gli altri non sono ancora tornati, ma dopo cinque minuti mi costringo a salire. Percorro nuovamente la città insieme agli altri e li saluto man mano che si fermano davanti le loro case, poi entro nella mia e mi sistemo nelle coperte.

Ho due minuti per dormire. Ovviamente non ci riesco e alle sette in punto precise vengo richiamata dalla campana. Mi lavo, mi vesto e faccio colazione con una semplice tazza di latte.

Quando arrivo a scuola la prima cosa che faccio è guardarmi intorno in cerca di Buck o Liam. Quest’ultimo è più difficile da trovare, in genere, ma Buck è nella mia stessa classe quindi entro pazientemente nell’aula.

Mi siedo al mio posto e quando lui entra ansimante sorrido mostrando tutti i denti, e lui fa lo stesso. Poi alzo le sopracciglia e lui mi fa cenno per dirmi che non è il momento di parlare. Stanotte. Si, se non ti portano di nuovo via, penso. Ma ha ragione, non possiamo parlare qui.

 

A mensa Zayn non mi toglie gli occhi di dosso e capisco dal suo sguardo che c’è qualcosa che non va, sta pensando a qualcosa che non può dire e che riguarda me. Nei dodici minuti in cui possiamo parlare non mi rivolge la parola ma continua a studiare il mio comportamento, ignorando le ripetute proposte di Louis ad accennare una conversazione.

Io nel frattempo cerco di ignorare lui, perché non voglio avere problemi di nessun genere. Soprattutto con lui che, a mio parere, nasconde tanti segreti dietro i suoi sguardi inquisitori.

 

Eseguo tutto il mio programma alla perfezione, dalla dormita ai compiti, ma poi non so cosa fare quindi vado in cerca di Liam, che non ho visto a scuola.

Fuori casa però mi aspetta una sorpresa: Zayn. Un po’ me lo aspettavo in realtà, ma speravo di sbagliarmi.
Non mi dice niente, non mi saluta né mi sorride. Inizia a camminare e so che si aspetta che io lo segua.

Invece entro velocemente in casa e mi richiudo la porta alle spalle. Spio dalla finestra, senza farmi vedere, cosa sta facendo. È parecchio confuso e anche un po’ arrabbiato, poi un lampo di comprensione gli attraversa gli occhi e se ne va soddisfatto.

Quando sono sicura che è abbastanza lontano, esco di casa. Non so precisamente perché lo evito. Ma per qualche motivo non voglio parlare con lui, non me la raccontano giusta, i suoi occhi. Perché è da molto che ho imparato a leggere gli occhi della gente e i suoi mi dicono solo mistero mistero mistero. E questo non mi piace.

 

Cammino cautamente verso casa di Liam, ma purtroppo devo passare anche davanti quella di Zayn. Prima controllo che non sia sulla strada, poi che non sia alle finestre o balconi, infine passo di corsa.

Continuo a camminare fino ad arrivare al limitare della città, dove sta casa di Liam, ma prima di poter bussare qualcuno mi ferma. E stavolta non mi invita silenziosamente a seguirlo, ma mi spinge verso un albero.

-Che hai fatto ieri notte?- sussurra Zayn per non farsi sentire, ma con tono accusatorio.

-Ho dormito. Come te. Ora se permetti devo andare da Liam.- lo liquido.

-No, non hai dormito. E neanch’io. Non riuscivo a chiudere occhio e ho passato tutta la notte a guardare il panorama fuori dalla finestra, non che fosse un granchè. Non è successo niente di strano, a parte due volte. Prima sei passata, per venire verso questo lato. Poi sei tornata. Cos’hai fatto?- dice, sussurrando tutto arrabbiato.

-Una passeggiata.- rispondo liberandomi dalla sua presa. –Ciao, Zayn.-

-Lo scoprirò, sai? Sono bravo in queste cose. Se non me lo dici tu lo saprò da me.-

Non gli rispondo e vado dritta a casa di Liam mentre lui mi passa davanti per andare via. Non lo scoprirai, Zayn. E’ una cosa più grande di te, lascia perdere.

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Capitolo 3
*** Niente torte, ricorda ***



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Non sono andata da Liam dopo. Sono tornata a casa, mi sono buttata a letto e ho dormito, con le parole di Zayn che mi echeggiavano nella testa: ‘Lo scoprirò, sai? Sono bravo in queste cose. Se non me lo dici tu lo saprò da me.’

Che vuole fare? Spiarmi? Potrebbe farlo. E a quel punto non saprei più cosa fare… non credo che riuscirei ad inventare un alibi, se mi vedesse scomparire dietro un albero.

Penso ancora a cosa potrei fare mentre ceno compostamente con la mia famiglia, ma è quando tutti dormono che mi pongo realmente il problema.

Magari era un bluff. Solo per spaventarmi. Magari non farà proprio niente.

Ma come posso esserne sicura? Devo rischiare? E se poi lo scopre cosa succederà? Mi ricatterà, lo andrà a dire a tutti? No, quest’ultima cosa mi sembra meno probabile, contando com’è lui. Non che io lo conosca. Ma non ci vuole molto per capire che si tiene tutto dentro. Non lo direbbe a nessuno. Userebbe la cosa a suo favore, però.

Zayn, Zayn, Zayn. Perché vuoi causarmi tutti questi problemi?

Bene, ho solo una possibilità, a questo punto. Oggi non vado, anche se so che domani mi si ripercuoterà tutto contro. Non posso farci niente, devo proteggere il segreto.

Arrivata a questa conclusione mi stendo sul letto e ordino al mio cervello di dormire, perché contando che l’effetto della bevanda durerà solo fino alle sei di mattina, mi servirà un bel po’ di sonno per affrontare la giornata che viene.

 

Ma non ce n’è bisogno. La mattina dopo, prima di poter entrare a scuola Buck mi porge un bicchiere. –Bevi.- mi dice. –Phillips si è arrabbiato, sai? Abbiamo dovuto rimandare una missione. Vedi di esserci, oggi.- sussurra. Annuisco e non aggiungo altro, perché so che non è il luogo adatto per parlare di questioni del genere.

 

Neanche si fossero messi d’accordo –o forse lo hanno fatto- appena Buck se ne va mi raggiunge Liam. –Non farlo più.- mi sussurra arrabbiato. Poi va via anche lui.

 

Ma c’è qualcuno che rimane, c’era quando mi ha parlato Buck e quando mi ha parlato Liam. A dovuta distanza, Zayn mi osserva. Gli scocco un veloce sguardo truce e continuo a camminare anch’io, andando in classe.

Non ne posso già più di Zayn.

Anche a mensa continua a fissarmi in silenzio, spero solo che abbia capito che non ho più intenzione di parlare con lui. Ma purtroppo scattano i dodici minuti.

-Stanotte niente, eh?- mi sussurra. Lo dice abbastanza piano da poter far finta di niente. Quindi cerco di iniziare una conversazione con qualcun altro, tipo Bertha. Ma c’è un motivo se tutti i miei amici sono maschi. Le ragazze sono insulse e parlano sempre delle stesse cose. Vestiti, vestiti, vestiti. A scuola.

Qualche volta ho anche provato ad uscire con loro, ma quando non c’è la sorveglianza l’argomento cambia in ragazzi, ragazzi, ragazzi. Ma andiamo!

I ragazzi sono buoni solo per combattere.

                                                                    

Non dormo nell’ora in cui dovrei, perché sono ancora troppo irrequieta, solo che non riesco a focalizzarne il motivo.

Fantastico.

L’unica cosa positiva è che stavolta il guardiano è Jethro, lui lo conosco. Oh si, è uno dei pochi guardiani buoni. Quindi faccio i compiti con il suo aiuto e finchè non scatta la campana parliamo un po’. Penso che probabilmente ci sarebbe utile, è abbastanza muscoloso e massiccio. E non rispetta le regole e questo è fondamentale.

Purtroppo le reclute possono essere solo adolescenti. Scusa, Jethro.

E se..? Potrebbe essere Zayn una nuova recluta? Non so. Non mi fido di lui per ora. Certo, ha coraggio e va ammirato per questo, ma non basta da solo per entrare, più o meno. Il fatto è che non voglio dargliela vinta.

 

Dopo la campana decido di andare da Buck, è dall’altra parte della città quindi non dovrò neanche passare sotto casa di Zayn, perfetto.

Cammino svelta per la città sentendomi osservata. Non dai sempre presenti occhi dei vecchietti, no. È una sensazione diversa che solo chi ha fatto anni e anni del mio lavoro può riconoscere. Qualcuno mi sta seguendo, ma non vuole essere visto.

Non mi risulta difficile capire chi è quel qualcuno. A quanto pare il ragazzo non si è dato per vinto a scoprire cosa ho fatto.

Motivo in più per parlare con Buck.

Abbandono il mio passo svelto, perché ho paura che possa fargli capire che so che lui c’è, nascosto da qualche parte. Quindi comincio a camminare molto lentamente e quando arrivo sotto casa di Buck ringrazio gli angeli, perché non sono abituata a camminare piano.

Busso più volte perché so che lui dorme di solito, ma non mi interessa. Ha la bevanda.

Si decide finalmente ad aprire ed entro sollevata in casa sua, sollevata sapendo che Zayn non può. So esattamente dove andare perché, com’è ovvio, tutte le case sono uguali. Non possiamo neanche spostare o aggiungere un quadro. Sarebbe ‘disordine’.

 

-E chi poteva essere?!- sbuffa Buck vedendomi. E’ a torso nudo con dei pantaloncini che gli arrivano al ginocchio. Non si vergogna e nemmeno io. Non è solo perché è il mio migliore amico: l’ho visto così più e più volte e in alcune missioni ci è capitato di rimanere completamente nudi. Ma non puoi essere schizzinoso, in guerra.

-Sei arrabbiato?- gli chiedo, nonostante io sappia già la risposta.

-No. Sono curioso. Che ti è successo?- risponde velocemente, quasi accavallando le parole. Perché qua ci potrebbe sentire chiunque. Ma fuori c’è Zayn.

-Zayn.- sussurro. –Mi segue. La scorsa notte non riusciva a dormire. Mi ha detto che mi ha visto camminare due volte: andata e ritorno. Vuole sapere cosa ho fatto.- rispondo in un veloce sussurro. Mi guarda per un po’, quasi a voler capire se mento o meno, ma sa che non gli mentirei mai. Soprattutto se riguarda l’associazione.

-Non puoi più mancare. Abbiamo fatto rimandare una missione!- esclama Buck e capisco che ha ragione.

-Farò il giro in largo, oggi.- rispondo con una scrollata di spalle. Lui annuisce e si mette tra le coperte.

-Ora voglio dormire.- dice. –Se vuoi rimani, ma non credo sia molto interessante guardarmi russare.-

-Tu non russi.- ribatto. Abbiamo dormito insieme più volte. –Ma vado.-

Annuisce e penso che sia un cucciolo tra le coperte, che tira sempre fin sopra il naso, anche con quaranta gradi. Poi mi balena in mente una sua immagine, con il fucile in mano, con un colpo che finisce dritto nel cuore di un soldato nemico. E penso che magari non sia proprio un cucciolo.

Mi sporgo dalla finestra e vedo Zayn, ma non ne rimango sorpresa. Solo che ora devo scendere ad affrontarlo.

 

-Che fai, mi segui anche, ora?- gli sbraito contro.

-Te l’ho detto. Saprò cosa fai.- mi risponde Zayn tranquillo.

-Smettila, Zayn. Non t’interessa cosa faccio. Anzi, cosa non faccio, perché non faccio niente di niente. –

-Allora dimmi, cosa non hai fatto quella notte?-

-Zayn, basta.- urlo. –Lasciami stare.- queste però sono parole a doppio significato. Perché mentre per noi significano di non aprire più l’argomento, per i vecchi che stanno sui balconi e non hanno ascoltato il resto –perché detto a voce troppo bassa- significa tutt’altro. Che ci prova con me. Che mi sta violentando, se mi va bene.

E questo è inaccepibile.

Però sembra un ragazzo sveglio, Zayn, perché guarda subito sopra e fa un sorriso ammiccante alle vecchiette. Conquistandole sicuramente tutte.

Bene, dopo di questa posso davvero andare via. Anche perché tra poco è ora di cena e non posso fare ritardo.

Sento che mi sta rincorrendo per raggiungermi, ma non faccio niente per aspettarlo.

Entro in casa violentemente, sbattendo la porta con un forte tonfo, tanto a quest’ora non ci dovrebbe essere nessuno. E la mia teoria viene confermata dal silenzio che ne segue.

Corro in camera mia e chiudo la porta. Mi accuccio sulla sporgenza della finestra per guardare fuori in pace.

Zayn è ancora lì, ma il suo sguardo non mira alla mia finestra. Alla porta. È indeciso se bussare o meno. Si passa più volte una mano tra i capelli, poi scuote la testa e corre via.

Ora c’è il vuoto fuori e penso a come lui lo colmasse bene.

Perché tra tutti gli edifici uguali, i fiori piantanti in numero preciso, secondo uno schema preciso, lui era davvero quello che portava un po’ di colore al panorama.

Beh, tecnicamente di colore ce n’è abbastanza perché, sebbene le case siano tutte uguali sia dentro che fuori come forma, struttura e arredamento, i colori cambiano. Per far sembrare questa spenta città allegra. La mia casa è rossa e io la odio.

Il rosso mi ricorda il sangue e tutti i soldati che ho ucciso fin da piccola.

Ma lui si distingue. Avrà una ventina di tatuaggi e ne sono permessi solo tre a persona. È uno dei tre ragazzi della città ad avere un orecchino. È uno dei cinque ragazzi della città ad avere la cresta. È uno dei due ragazzi della città, lui e il suo amico Louis, che non vanno sempre in giro con quel fastidioso sorriso soddisfatto.

È esattamente l’opposto di quello che serve in questa città, troppo diverso.

 

Campana. Un’altra attività giornaliera è finita per dare spazio alla prossima, la cena.

Magicamente tutta la famiglia è a casa e sta prendendo posto a tavola mentre mia madre serve la cena che in questo momento tutte le mamme stanno servendo a casa propria. Neanche il cibo può essere originale.

 

Da piccola, dopo i compiti, mi ero messa a cucinare una torta per portare qualcosa di nuovo in tavola. Era venuta benissimo e mi ero sbizzarrita con la fantasia e avevo anche scritto ‘Amo la mia famiglia’ con la glassa. Pensavo che sarebbero stati tutti felicissimi, quando l’avrebbero vista.

Ma non andò così.

Mio padre ordinò a mia sorella di andare in camera e questa lasciò solo la scia dei suoi lunghi capelli neri e un vuoto nel quale rimbombavano ancora i suoi saltelli.

Poi mia madre buttò velocemente la torta nel cestino, lavando, in seguito, le mani affusolate che non si era sporcata. Già a quel punto avevo le lacrime agli occhi. Perché ero piccola e volevo fare qualcosa di bello, ma i miei sforzi non erano stati apprezzati.

Successivamente mio padre iniziò ad urlarmi contro. Inizialmente guardavo mia madre con la speranza che mi avrebbe difeso, protetto dalle cattive parole. Ma lei stava zitta e mi guardava freddamente. Così mi accucciai a terra e ascoltai mio padre gridarmi ogni cosa brutta che gli passava per la testa. Arrivando da ‘Non si fanno queste cose’ a ‘Sei la figlia peggiore che potessi mai avere’. Mamma, ovviamente, non replicò.

Scappai in camera a singhiozzare rumorosamente e quel giorno non mi fu concessa la cena.

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Capitolo 4
*** Marmo ***



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Come avevo già detto a Buck, questa volta per raggiungere il comando faccio il giro in largo, non passando da casa di Zayn. E va tutto liscio, fin quando non sono dentro.

Mi aspetta un Phillips arrabbiato, è arrivato prima del solito, infatti insieme a lui ci sono solo pochi altri ragazzi.

-Eveleen.- non mi ha chiamata Leena, brutto segno. –Ciao. Ci hai degnato della tua presenza.- okay, questo è altamente ingiusto. Capisco che è grave che sono mancata, ma è l’unica assenza in dieci anni. Si, magari la missione era stra-  super- mega importante, però sono stati loro a volerla rimandare, non gliel’ho chiesto io.

-Scusa, Phillips. Ho avuto dei problemi.- gli rispondo, senza alzare i toni.

-Dove sono Liam e Buck?! Dobbiamo partire immediatamente.- dice lui.

Neanche l’avessero sentito i due si precipitano velocemente da noi, scherzando e parlando tra loro. Poi si ammutoliscono e ci guardano attenti.

-Andiamo.- dice Phillips.

Solo noi? Di solito in missione vanno minimo dieci persone. Allora è veramente importante.

Ci scambiamo una veloce occhiata con Liam e Buck e poi seguiamo Phillips sul treno.

Non so dove dobbiamo andare, ma ci vogliono ventidue secondi, deve essere un posto lontano, se i nostri treni ad alta velocità ci hanno messo così tanto.

Quando scendiamo dal treno e risaliamo in superficie, la mia teoria del luogo lontano è confermata dal fatto che non riconosco neanche un po’ quello che mi trovo davanti.

                                                   

Sto guardando una montagna. Una montagna enorme con vari squarci bianchi che la cospargono, mi sembra marmo. Non sapevo si prendesse dalle montagne, ma sono sicura che in questa ce n’è in quantità esorbitanti.

-Dove siamo?- chiede Liam.

-A Carrara.- risponde Phillips. Un nostro sguardo interrogativo gli fa capire che non sappiamo dove si trova. –In Toscana.- aggiunge, quindi. Ancora niente. Toscana? Dov’è la Toscana? –Italia!- sbuffa impazientito. Ah, ora ho capito.

Bene, cosa ci facciamo noi in Italia?

Phillips ci spiega il piano.

Dall’altro lato della montagna, ai suoi piedi, c’è una struttura governativa. Devo entrare dentro di questa e rubare dei file sulla montagna, intanto Liam e Buck controllano le uscite e tutto il resto, coprendomi le spalle. Sarò in collegamento audio e video con Phillips, che vedrà e sentirà quello che sento io, grazie ad un cappello che mi porge, in cui è installata qualcosa tipo una mini-mini webcam potentissima.

Lo indosso. Poi mi porge anche altri vestiti e penso che avrebbe potuto farmi cambiare in treno. Indosso la tutina aderente completamente nera e le scarpe da tennis nere. Capisco perché sono vestita così, mi mimetizzo perfettamente con il buio della notte.

-Non mi dai un’arma? Neanche una pistola?- chiedo a Phillips, contrariata.

-Devi essere veloce e leggera. È per questo che ci sono loro.- risponde lui, indicandomi con un cenno del capo Liam e Buck, impegnati a prendere le prorpie armi e nasconderle nelle varie parti del corpo.

Annuisco, ma non sono proprio convinta. Sono vulnerabile senza un’arma e questo non mi piace. –E’ un anti-proiettile.- dice Phillips.

-Cosa?-

-Tutta la tuta. Stai tranquilla.-

Non è solo per mimetizzarmi che sono vestita così. E non è per niente che Phillips è uno dei migliori generali di tutta l’associazione. Pensa a tutto.

E bisogna pensare come il nemico, per arrivare a capirlo fino in fondo.

 

Mi incammino verso la montagna con i due ragazzi alle calcagna.

-Ce la faremo?- gli chiedo in un sussurro.

-No, moriremo tutti.- risponde Liam e questo mi tranquillizza. Perché in ogni missione dice così, e non succede mai.

 

Ci facciamo spazio tra gli alberi e in un punto sono talmente fitti che Liam deve camminare avanti e staccare con un enorme coltello tutti i rami che incontra, aprendoci la strada.

Poi si ferma di colpo.

Lo scuoto un po’, ma continua a non muoversi. Così mi alzo in punta di piedi per guardare oltre la sua spalla. Quello che vedo mi fa rizzare tutti i capelli. Una quarantina di guardie, armate di fucile, sorvegliano l’ingresso della struttura. Non ci hanno visti, ma potrebbe succedere a momenti, quindi tiro via Liam.

Moriremo tutti sul serio, penso.

Ma guardando in faccia Liam non è paura che vedo. No, qualcosa di molto diverso. Qualcosa che inizia piano piano a farsi spazio sul volto di Buck quando vede la situazione e la comprende a pieno.

Lo scintillare degli occhi. Il sorriso sulle labbra. Le mani che iniziano a muoversi frenetiche tra le armi, controllando se sono tutte cariche.

Loro fremono di eccitazione. Vogliono combattere. Ma io sono disarmata e da soli non ce la faranno mai contro tutte quelle guardie.

-Torniamo indietro.- dico a bassa voce. –Diremo a Phillips che ci servono rinforzi.-

La mia è una proposta ragionevole ed è esattamente quello che dovremmo fare.

-Leena, preparati ad entrare. – dice Buck guardando le guardie con un sorriso.

-Sali sull’albero, prima. – mi raccomanda Liam, nella stessa identica posizione di Buck.

Sono folli. Sono completamente folli e verrano uccisi. Tutti e due. Non posso lasciarglielo fare. -No. Sono troppi, non ce la farete.-

-Si, invece. Sali sull’albero.- mi risponde Buck, sempre senza guardarmi.

-Datemi qualche arma. Combatto anch’io. –

-Leena, sali.-

-Mi metto tra voi e loro, altrimenti. E sapete che lo farei.- stavolta ho la loro piena attenzione. Mi aiutano a salire sull’albero e poi mi porgono un fucile. Io sparerò da sopra, loro saranno esposti. Spero solo che anche i loro completi siano anti- proiettile.

 

Non so come fanno a mettersi d’accordo senza mai parlare. Ma fatto stà che sono sempre coordinati nei movimenti e sanno sempre cosa fare. Sempre.

Camminano in avanti, superando gli alberi. Sono esposti e precisamente davanti alle guardie. Quando queste iniziano ad accorgersene li guardano interrogativi, perché hanno nascosto le armi dietro la schiena.

Mi danno le spalle, quindi non riesco a vedere i volti, ma sono sicura che in questo momento sono spaventati e innocenti. Perché? Perché una guardia si avvicina a loro, posando il fucile.

-Tutto bene, ragazzi? Vi siete persi?- gli chiede, con fare paterno e parlando un inglese sgrammaticato.

E se fin’ora sono sembrati spaventati ora avranno sicuramente un sorriso sghembo e strafottente sul volto. Le guardie iniziano a capire la situazione e impugnare i fucili, ma non prima che Buck faccia saltare la testa di quell’uomo vicino a loro.

-Tutto bene, ragazzi? Vi siete persi?- gli chiede, con fare paterno.

Magari era davvero un padre e aveva una famiglia, qua in Italia. Dei figli che lo aspettano invano per giocare insieme. Una moglie che gli ha preparato una deliziosa cena per accoglierlo dopo il lavoro. Una cena che non verrà mai mangiata.

 

E io sono troppo stupida. Troppo impegnata a pensare ad una famiglia immaginaria da non accorgermi quello che mi sta succedendo davanti agli occhi.

Fiotti di sangue bagnano l’erbe fresca e illuminata dallo splendore della luna piena. Non ci sono urla, né si sentono rumori di colpi. Le guardie sono troppo professionali per urlare e le armi troppo evolute per emettere qualsiasi genere di rumore. Nessuno dentro la struttura può immaginare quello che sta succedendo fuori. Quello che due soli ragazzini con delle armi in tasca stanno facendo a quaranta guardie.

Ma i ragazzini dovrebbero essere tre.

Guardo distrattamente Buck e Liam e mi sembrano illesi. Impugno il mio fucile e miro al primo soldato, che sta caricando per sparare ad uno dei due.

Lo colpisco alla testa. Non riesce a capire da dov’è venuto il colpo. Quando mi scorge, tra i rami dell’albero, non fa in tempo ad indicarmi agli altri. La morsa feroce della morte che l’ha accolto non glielo permette.

Lo guardo negli occhi, finchè non li chiude. Ma non c’è tempo per pentirsi o avere moti di pietà.

Sparo a più non posso a tutti gli uomini che vedo e in poco tempo sono tutti morti.

 

Scendo dall’albero con un balzo e raggiungo Buck e Liam. Da qui la scena è ancora più brutta. Faccio un passo in avanti e mi guardo la suola della scarpa: coperta di sangue fresco, denso, caldo. Mi esce un gemito e non so se è provocato dallo schifo che mi fa vedere tutto quel sangue o dal pensare che sono stata io a causarlo.

Entrambi i ragazzi mi guardano in attesa di una mia reazione. Dalle nostre precedenti missioni sanno che uccidere e vederne le conseguenze mi fa sempre lo stesso effetto.

-Ragazzi, che state aspettando?- dice Phillips, dall’auricolare della webcam.

Mi smuovo e cammino in avanti. Ora mi serve lucidità per controllare la situazione.

Non posso di certo entrare dalla porta come se niente fosse. Mi guardo intorno e scorgo una piccola fessura in alto, entrerò da lì. Ecco perché mi hanno voluta, piccola e agile come sono posso infilarmi ovunque. Ed ecco perché non posso portare armi.

Ma Buck e Liam non potranno entrare, quindi non avrò protezione.

Ma ho il giubotto, penso. Tranquilla, Eveleen.

Salgo sulle spalle di Liam, che è più alto e mi spingo con le mani nella fessura. Lì dentro fa feddro. Scivolo guidata da Phillips che mi dice dove girare, dove fermarmi e quando proseguire.

Poi sento un rantolo. Penso sia il mio stomaco, perché ineffetti ho un po’ di fame, quindi non ci faccio caso e vado avanti.

Di nuovo. Stavolta è più forte e non si può di certo accusare la mia pancia.

-Va vià!- mi urla Phillips. –Veloce!- faccio come mi dice e mi muovo più velocemente che posso in quello spazio stretto con i gomiti e le ginocchia.

Poi lo sento. Qualcosa che si rompe. Dietro di me, sta cadendo lo spazio dove io sono intrappolata e la cosa non è passata inosservata. Urla, pistole che sparano al vuoto.

Continuo ad avanzare in fretta. –Ci sei. Ormai non ci possiamo fermare, calati giù.-

Calarmi? E da dove? Ah. C’è un pannello removibile poco vicino a me. Cerco di toglierlo ma ci vorrebbe qualcosa, un coltello magari.

Che non tarda ad arrivare. Si conficca accanto a me, lo prendo e apro il pannello.

Dopo me ne rendo conto. Qualcuno con una pessima mira, dietro di me, cercava di colpirmi. La tuta non protegge anche dai coltelli, vero Phillips?!

Mi giro e mi ritrovo faccia a faccia con un uomo sulla quarantina con una grande barba incolta, che mi guarda impaurito e non riesco a capirne il motivo. Finchè non realizzo. Io ho un coltello, lui è disarmato.

Ormai sanno che sono qui quindi se lo dice ad altri non m’importa. –Va via e non te lo ficco in testa.- gli dico. Capisce che non scherzo e fa dietro- front. Io mi calo giù.

Guardando bene la stanza, non è difficile capire quali sono i file che devo prendere, anche senza che Phillips me lo dica. C’è una scatola enorme, di viola accesso, con scritto ‘Fogli segreti.’. Non molto intelligente da parte loro. In effetti, non credo che siano molto intelligenti in generale, contando che non hanno protetto la stanza.

Prendo la scatola e scappo dall’uscita alternativa segnalatami da Phillips, non prima, però, che mi venga conficcato un coltello nel fianco destro.

Non ho il tempo di fermarmi e toglierlo, ma spero non abbia causato danni gravi. Il dolore è lancinante e mi rallenta di molto.

Vedo Liam e Buck che corrono verso di me, ma io non ce la faccio più e non ho forza nelle braccia. Cado a terra.

Liam mi prende in braccio, Buck prende la scatola, ed insieme corrono. Non so verso dove, Phillips probabilmente. Di sicuro qualcuno ci starà inseguendo.

Ma tanto sono già praticamente mezza morta, quindi va bene lo stesso.

E Liam e Buck se la caveranno, se mi lasciano qui.

 

Ma non l’hanno fatto, evidentemente. Perché quando rinvengo sto fissando entrambi i loro volti preoccupati.
Il coltello dal fianco mi è stato tolto e la ferita pulita e curata, ora si riesce a malapena a vedere. Eppure sento ancora forti fitte, deve ancora guarire completamente, credo.

-I file- sussurro. –Sono al sicuro?- non parlo a bassa voce perché siamo controllati, anzi, siamo al comando. Ma non riesco ad alzare il tono, per qualche motivo.

-Sei stata bravissima, Leena.- interviene Phillips.

-Grandioso.- dico, e alzo una mano in segno di trionfo. Ma è troppo e svengo di nuovo.

Mi alzo e sono nel mio letto. Chissà chi mi ci ha portato. Mi lavo, mi vesto e faccio tranquillamente colazione, come se niente fosse. Ma la verità è che mi fa ancora terribilemente male il fianco. Non sempre, sia chiaro, ma le fitte sono talmente dolorose da farmi dimenticare i momenti di pausa.

Vado a scuola tenendo una mano su di esso e penso che probabilmente ho un’espressione sofferente in volto, ma quella non riesco a toglierla.

 

-Hey- dice Buck. –Va meglio?-

-No. – rispondo. –Ma passerà.-

-Brava ragazza, così si parla!- gli rivolgo un sorriso sghembo e mi dispongo nel mio banco della classe, pronta a un’altra terribile mattina.

A volte mi lascio sfuggire dei gemiti di dolore durante le lezioni, ma sono tutti così concentrati sui professori che non se ne accorgono. Meglio per me.

 

A pranzo, però, sarà più difficile perché per molto tempo, prima dei dodici minuti, si deve stare in silenzio, quindi mi trattengo. Ma per fare questo la mia espressione sofferente diventa più intensa e non sfugge ad alcune persone. Ad Aaron e Aaliyah, per esempio, che sanno cos’è successo. O a Zayn, che muore dalla voglia di saperlo.

Per fortuna però, sentendo i miei gemiti, ha il buonsenso di non parlarmi, nei dodici minuti. Gliene sono davvero grata.

 

Quando torno a casa mi butto dirattamente sul letto, ma è un errore, perché il tutto mi si ripercuote sul fianco. Avrei preferito non dover mai scoprire quanto forte può essere il dolore provocato dalla lama di un coltello. Avrei potuto benissimo vivere senza saperlo.

 

Quel giorno al comando fu tranquillo, per me. Fui esentata da missioni e da allenamento. Raggiunsi comunque la base a Mullingar ma fu solo perché non volevo stare sola. E per farmi somministrare un’altra dose della medicina che non mi fa sentire il dolore per un po’.

-Ho la medicina, ora. Sul serio, posso allenarmi.- dico al coach dopo un’ora, perché non ce la faccio davvero più a stare a guardare gli altri che si allenano.

Ci sono poche persone che conosco, Liam, Buck e Niall sono in missione per fare non-so-cosa. Sto diventando sempre più sospettosa riguardo queste missioni di soli maschi.

-Leena, ho avuto ordini precisi, mi dispiace.- mi risponde il coach e per un momento mi sembra davvero sinceramente dispiaciuto. –Pensi che non preferisca guardare te eccellere piuttosto che questi principianti, cui devi spiegare anche solo come si preme un grilletto?- aggiunge poi sottovoce, esasperato.

Christy o Christine, non ricordo, una ragazza di qui, lo sente. Gli lancia un’occhiata che basterebbe da sola a dire tutto e poi esclama: -Ti ringrazio della fiducia che riponi in noi!- così scuote i capelli neri e punta i suoi occhi celesti altrove, camminando furiosa verso qualche altro bersaglio. Il coach si limita a sorridere.

-Alcuni dopo un po’ riescono perfettamente, in realtà.- mi spiega il coach. –Però è comunque noioso dover fare tutto il percorso d’accapo.- gli do una pacca comprensiva sulla spalla e poi vado a sedermi.

 

Guardo i principianti di cui parla il coach iniziare ad adattarsi, ma non sembrano male. Diventeranno tutti molto bravi, secondo me. Ah, a parte Aaliyah. Non capisco perché continuano a farla allenare. Potrebbero fissarla a qualche computer e insegnarle a penetrare nella rete protetta, sarebbe più utile da là.

Poi c’è Harry, però, che è l’eccezione a tutto quanto. Lui non è come Aaliyah. Lui non diventerà bravo, come gli altri. Lui lo è già, che è diverso. Sebbene sia nel programma solo da un mese, sono convinta che prestissimo gli assegneranno degli incarichi. In fondo, perché sprecare tanta bravura?

Continuo a guardarlo mentre salta da un anello all’altro. Poi si gira verso di me e, quando i nostri sguardi si incrociano, le sue dita si aprono leggermente e lui cade di peso nel fango. Si rialza brontolando e mi raggiunge.

-Sai che è colpa tua, vero?- mi dice accusatorio, ma con un evidente nota conciliante nella voce.

-Oh si. Sono io che mi distraggo mentre sono a mezz’aria, no?- rispondo ironica. Mi rivolge un sorriso sghembo e si siede accanto a me. Si guarda per un po’ schifato le parti del corpo piene di fango, poi lo faccio alzare e lo ripulisco con un getto di acqua fredda proveniente da una pompa. Tanto è estate.

Non protesta e alza le braccia, per fare arrivare l’acqua anche là.

-Grazie, Leena.- figurati Harry, per così poco. Non c’è neanche bisogno di ringraziarmi in realtà. Mi hai sollevato dalla noia, per così dire.

-Non ce la faccio più.- tra tutti i miei pensieri, è questo che mi esce dalla bocca.

-Vedrai, per domani sarai già a posto e potrai intraprendere le tue pericolose missioni di salvataggio del marmo.- mi rassicura lui, con una punta di ironia. Ma non ha capito.

-Non mi riferivo a questo. – dico. E vedendo il suo sguardo interrogativo continuo a parlare. –Non possiamo essere costretti a fare tutto questo segretamente. Le città devono aprire gli occhi! Non ci possono controllare così, dobbiamo esprimerci!- urlo io, in preda di mille emozioni.

-Capiranno, prima o poi capiranno.- mi risponde Harry, guardandosi i piedi.

E’ il poi che mi spaventa, Harry. Contando che il prima è già passato.

 

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Capitolo 5
*** Non sa niente ***



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Un’altra giornata passa tranquillamente, perché mi hanno dato una boccetta della medicina, quindi niente più fitte di dolore. Menomale. Non avrei sopportato un altro giorno in quel modo.

 

Liam e Buck non vogliono dirmi niente delle loro missioni.

 

Zayn non mi rivolge più la parola.

 

L’ultima cosa è di sicuro positiva, perché almeno non mi caccierò più nei guai (anche se, per sicurezza, continuerò a fare il giro in largo.)
Ma Liam e Buck? Che hanno da nascondermi? Ovviamente non è colpa loro, perché se non devono parlare delle missioni, è stato Phillips a ordinarglielo, ma potrebbero fare uno strappo alla regola, per me.

Dopo aver avuto una discussione al riguardo, non gli ho più rivolto la parola, a nessuno dei due. Non lo farò finchè non me lo diranno e su questo sono molto decisa.

E sono altrettanto decisa quando parlo con Phillips. –Cosa sono queste missioni?!- gli chiedo, digrignando, senza accorgermene, i denti. Stavolta non sorride quando mi risponde: -Leena non puoi partecipare, sono cose serie.- dal suo tono decido di non controbbattere. Per il momento, almeno.

Quando i due non-ti-dico-niente-e-non-mi-importa-se-sei-la-mia-migliore-amica entrano, non gli rivolgo il minimo sguardo. Ma li sento sospirare entrambi.

 

Succede esattamente la stessa cosa il giorno dopo. Richiedo a Phillips delle missioni e lui non mi dice niente. Sento entrare i due traditori (al momento li chiamo così) e non li guardo nemmeno di striscio.

Però c’è qualcun altro che noto e sarebbe impossibile non farlo, dato che mi viene davanti. Lo guardo con gli occhi sbarrati e non riesco a credere che sia davvero lui. Mia malavoglia, guardo Buck in cerca di una spiegazione, lui mima le parole ‘Ci serve’.

No, no, no, non ci serve affatto. Possiamo farne benissimo a meno.

-Beh, alla fine non l’ho scoperto da solo, avevi ragione. Ma sono comunque qui, strano, eh?- non gli rispondo. –Comunque non ho ancora capito niente. Però mi hanno detto che saremo insieme all’allenamento, qualunque cosa sia, quindi puoi spiegarmi tu.- aggiunge, senza farsi scoraggiare dal modo truce in cui lo guardo. –Mi piacerebbe che ci fosse anche Louis, però. Anche se non so di che si tratta, sono sicuro che gli piacerebbe. Ho chiesto a Buck di spiarlo.-

Non ce la faccio più a sentirlo parlare, scuoto la testa confusamente e mi giro dal lato opposto, fissando il muro di pietra.

Alla fine non l’ho scoperto da solo. Sono qui. Saremo insieme all’allenamento. Ho chiesto a Buck di spiarlo.

Buck! Come ha potuto farlo entrare dopo che gli ho detto cosa mi ha fatto?! O forse è stato proprio per questo che ha iniziato a spiarlo? Pensava che se era abbastanza coraggioso da affrontarmi valeva la pena spiarlo?

Guardo Buck, cercando qualcosa. Non so di preciso cosa, forse un segno di rimorso, di pentimento. Un segno che non arriva. Si limita soltanto a dire di nuovo ‘Ci serve’ a voce alta, stavolta.

-Certo che vi servo.- dice prontamente lui. –Anche se non so a cosa.-

-Sta zitto, Zayn.- gli dico scocciata. Lui mi guarda divertito.

-Andiamo all’allenamento?- non gli rispondo. Mi incammino verso il treno e lui mi segue. Inizia a sparare a vanvera una serie di cose: che non è mai stato su un treno, anzi, che non è mai uscito da Holmes Chapel; che è eccitatissimo; che non vede l’ora di capire tutto per bene; che non capisce come facciamo a non dormire a scuola e cose così.

-Ora però dovresti dirmi cosa dobbiamo fare.- dice Zayn scendendo dal treno.

-Okay, senti. Siamo in guerra e noi ci alleniamo per andare a fare varie missioni. Tutto qui.-

-Cosa?!- urla lui sconcertato.

-Non devi farlo a forza, se non te la senti rinuncia ora.-

-No, volevo dire.. siamo in guerra?-

-Non lo sai?- dico, vagamente confusa. Si, ci tengono segregati e ci fanno uniformare, ma davo per scontato che avessero avvertito tutti dello stato di allarme in cui ci troviamo. Forse non è così, però.

Zayn scuote la testa, ancora più confuso di me. Capisco che deve essere difficile da digerire, il tutto. Adesso, in effetti, mi fa un po’ pena.

Lo guido nel campo e gli dico di iniziare con i pesi, perché per prima cosa devi avere forza nelle braccia, per poter fare il resto.

-Non è il mio compito, questo?- mi dice il coach, spuntato da chissà dove.

-Non con lui.- gli rispondo con un sorriso.

-Va meglio il fianco?-

-La medicina non mi fa sentire niente.-

-Menomale. Mi hanno detto che hai perso un sacco di sangue, sai? Potevi morire se restavi un altro po’. – questo mi dà fastidio. Parlare di cose che potevano accadere. Non sono accadute, punto.

Scrollo le spalle incurante e mi metto davanti a Zayn, prendendo a mia volta dei pesi.

-Aah. – sospira lui. –Ecco i gemiti.- stai iniziando a capire ragazzo, bravo.

Non so di preciso quanto è passato, ma non molto. Anzi, pochissimo. Eppure Zayn solleva già pesi più massicci dei miei e questo non me lo spiego. Lo guardo sconcertata e lui mi risponde con un semplice: –Mi allenavo a casa.-  Meglio, sarà più facile prepararti e non dovremo aspettare molto per averti in squadra, dovrei dire sorridendo. Ma l’unica cosa che mi esce è un: -Aaah.- simile al suo di prima.

Perché un po’ mi dà fastidio che sia già così preparato, avrei preferito vederlo impacciato e incapace, così da poterlo prendere in giro e sfruttare la cosa a mio favore. E invece eccolo qui, perfetto, muscoloso e forte. Il moto di pietà che mi aveva spinto ad essere amichevole con lui svanisce d’un tratto.

Gli dico di passare agli anelli e io me ne vado alla boxe.

Tiro un pugno al sacco. Perché doveva venire proprio lui?

Pugno. Intendo, ci sono così tanti ragazzi che potrebbero essere migliori!

Pugno, pugno. Perché Buck ha fatto venire Zayn, che è già bravo?!

Pugno, pugno, pugno, pugno. Do una velocissima sfilza di pugni e non riesco più neanche a contarli. Le mie sopracciglia sono corrugate nella concentrazione e le braccia agiscono automaticamente colpendo il sacco sempre con più forza.

Poi qualcuno mi picchietta sulla spalla. Io mi giro e gli tiro un pugno. Chi poteva essere, se non l’insulso Zayn?

-Oh, scusa. – dico indifferente. –Sai nelle missioni può succedere di molto peggio, in effetti dovresti ritirarti, è pericoloso.-

-Da quanti anni ci sei, tu?- mi chiede da terra.

-Dieci.- rispondo secca.

-Se tu ce l’hai fatta a sei anni posso farcela anch’io.- afferma Zayn convinto. Poi  alza il braccio, con il palmo della mano voltato verso di me. Si aspetta che lo aiuti ad alzarsi e si sbaglia di grosso, infatti riprendo a tirare pugni.

-Sei molto carina da arrabbiata.- mi dice Zayn. Mi fermo e lo guardo prendere a pugni il sacco vicino al mio.

-Grazie.- rispondo secca. –Lo so.- poi mi tolgo i guantoni e vado verso un’altra postazione, dove lui non mi segue, per fortuna.

Mi arrampico velocemente lungo tutta la ‘scala’ se così si può chiamare quella cosa e mi fermo un po’ di sopra. Qua posso avere un po’ di pace, se anche qualcuno provasse a salire, ci vorrebbe un bel po’ prima di raggiungermi. Tre quarti dei ragazzi e delle ragazze presenti qua non sanno arrampicarsi, viene considerata una dote speciale, il che è ridicolo. È la cosa più semplice che ci sia tra tutti gli esercizi.

Nemmeno Buck ci riesce e Liam arriva al massimo a metà percorso.

Sento urla di dolore e sospiri ripetuti provenienti da sotto, la visuale perfetta sul capo mi permette di vedere ogni singola persona che si allena e solo ora mi rendo conto di quanti siamo.

Al suono della campana tutti si muovono agitati, a parte i ‘Bradfordiani’ che continuano tranquillamente a fare qualsiasi cosa stessero già facendo.

Mi calo giù dalla corda anch’io e atterro sul fresco prato.

Raggiungo il treno e occupo comodamente posto, ma stavolta non ho neanche il tempo di guardarmi intorno che siamo già arrivati.

Ovviamente i ragazzi non ci sono ancora.

Mi siedo su una poltroncina e sprofondo in quella, che prende la forma del mio corpo.

Githa si avvicina a me e iniziamo a parlare del più e del meno, ridacchiando spesso.

-.. e poi il cibo della mensa fa davvero schifo.- mi dice lei.

-Si, è vero!! Che quello di casa, poi?-

-La scuola lo batte, fidati!-

-Fanno schifo entrambi, dai!- concedo io, alzando le mani in segno di resa.

-A proposito di scuola, dov’è il nuovo?- mi chiede Githa. Improvvisamente non mi sta più tanto simpatica. –Non lo so.- rispondo secca. Poi, mia malavoglia, mi guardo intorno in cerca della sua chilometrica cresta, ma non la vedo da nessuna parte.

‘Puoi spiegarmi tu.’

Zayn non sapeva che dovevamo tornare.

‘Puoi spiegarmi tu.’

Avrei dovuto dirglielo.

‘Puoi spiegarmi tu.’

E se fosse rimasto al campo, avendo visto che non tutti tornavano? E se, in un secondo -momento, avrebbero incolpato me?

.. Probabilmente devo togliere il se. Incolperanno me, maledetta Eveleen.

Mi alzo di scatto dalla sedia, provocando uno sconcertato sguardo di Githa.

-E’ rimasto al campo, vero?- mi chiede. Annuisco piano, mordendomi un labbro.

-Beh, che aspetti? Muoviti!- continua lei, facendomi cenno di andare. E chi sono io per protestare? È esattamente ciò che devo fare: muovermi.

È improbabile che Phillips torni prima di me, ma se torna e né io né Zayn ci siamo, saranno guai seri. Peggio di non essere venuta.

Corro verso il treno e dico a Cesar di andare al campo, in fretta. Ed è quello che fa.

Sono al campo in meno di nove secondi e, nonostante la pioggia, corro per cercare Zayn. Ma tra le goccie che mi bagnano il viso e tutti i ragazzi che ci sono, proprio non riesco a vederlo.

-Zayn!!- urlo. –Zayn!!- aspetto qualche secondo. No, niente. Non risponde. Ora sono davvero disperata, come faccio a trovarlo?

Sto immobile per qualche secondo, quasi sperando che mi si materializzi davanti.. però non succede. Niente va bene, da quando c’è lui. E c’è solo da poche ore, cavolo!

Cosa succederà tra una settimana? Mi porterà alla morte?!

 

No, devo calmarmi. Anche perché in realtà non è tutta colpa sua.. anche un po’ mia, perché l’ho lasciato solo. Ma l’ho fatto perché lui era irritante, quindi ritiro tutto. E’ completamente colpa sua.

Faccio un respiro profondo e finalmente riesco a capire qual è la cosa logica che devo eseguire in questo momento, andare dal coach. È lui che lo fa allenare, saprà sicuramente dov’è.

Quando lo raggiungo sono pervasa da una fitta al fianco, dovuta non solo all’effetto della medicina che cominciava a svanire, ma anche alla lunga e faticosa corsa. Prendo la boccetta dalla tasca e bevo un lungo sorso della medicina, poi mi rivolgo al coach:

-Dov’è Zayn?-

-Se n’è andato una mezz’ora fa. Non so perché si è trattenuto più a lungo. Perché, non è tornato?- mi risponde il coach, prestando la sua attenzione ad un paio di reclute invece che a me. Faccio segno di no con la testa, con il terrore che inizia a pervadermi il corpo, poi mi ricordo che non mi guarda e sbuffo un ‘no’, prima di andarmene.

‘Se n’è andato mezz’ora fa’

Okay. Ma dov’è andato?! Al comando non c’era. Quindi.. quindi un bel niente! Lui non sapeva neanche come arrivare al treno! Dove diamine è andato?!

Devo stare tranquilla, in fondo non è colpa mia e di questo ne sono completamente e pienamente sicura. E allora perché sono qui, sotto la pioggia, ad aspettare di vederlo?

Perchè, mentre cerco di trovare una risposta, mi contraddico da sola?

Devo ammetterlo, almeno con me stessa. È colpa mia almeno quanto è colpa sua. Né di più, né di meno. Ma resta il fatto che siamo due cretini e che io sono un’irresponsabile.

 

Facendo mente locale realizzo una cosa: nessuno gli aveva detto che ci allenavamo a Mullingar e lui, non essendo mai stato su un treno, non sapeva che viaggiavano così velocemente. Può aver pensato di ritornare a piedi. E allora sarebbe un enorme problema. Peggio del fatto che sta diventando giorno in fretta e il tempo a disposizione è sempre di meno. Perché adesso non è più Phillips che mi preoccupa, ma non riuscire più a trovare Zayn, questo mi spaventa sul serio.

Allora, il treno del ritorno si prende dal luogo opposto di quello dell’andata, ma lui non lo sapeva ovviamente quindi deve aver preso la direzione del primo treno.

Cerco di pensare il meno possibile al fatto che è colpa mia se lui era così a corto di informazioni e mi dirigo verso la zona sud-est del campo.

Ora mi fermo a calcolare quanto può aver percorso.

Alla fine non credo che sia andato molto lontano, per dei semplici motivi.

Prima cosa, era sicuramente sfinito dal suo primo allenamento.

Seconda cosa, non è abituato a camminare molto.

Saranno passati al massimo una quarantina di minuti, adesso, quindi m’ incammino.

-Zayn, ci sei?!- grido, ogni dieci metri che percorro. Non mi arriva mai nessuna risposta. –Zayn?!- ormai sono entrata tra una fitta rete di alberi, spero solo di riuscirmi ad orientare per tornare indietro.

Mi arrampico sull’albero più alto che trovo, andando più in alto di quanto la prudenza mi dice di fare. Eppure non riesco a vedere niente neanche da lì, a parte tanti, tantissimi alberi, in tutte le direzioni.

-Zayn!!- grido, con quanto fiato ho in corpo.

-Eveleen!!- mi arriva un altro grido in risposta, questa volta. Provo a localizzare la voce e decido che direzione prendere, sperando sia quella giusta.

Scendo dall’albero e inizio a camminare, urlando il nome di Zayn, in modo che ogni volta che mi risponde sono sicura di essere sulla strada giusta.

Eppure non arrivo mai a lui. Adesso, che gli alberi stanno diventando meno frequenti, mi arrampico nuovamente, speranzosa di una vista più precisa.

Tecnicamente riesco a vedere tutto quasi perfettamente, ma non riesco a vedere lui.

Scendo di nuovo con un tonfo e sbatto contro qualcuno. Figurati se non si era messo sotto di me, penso irritata.

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Capitolo 6
*** Fidarsi ***



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Sto guardando Zayn mentre si rialza. Da un lato vorrei dargli un enorme abbraccio, perché trovandolo mi sono risparmiata tantissimi problemi. Però mi esce subito un’occhiata torva e sbotto: -Cosa pensavi di fare?!-

Si massaggia il sedere e mi guarda curioso. –Pesi più di quanto sembra, sai?-

Cosa? Peso più di quanto sembra?! E ora che cavolo c’entra questo?! Non si è forse accorto che si era perso, che poteva non essere più ritrovato?! L’unica cosa che gli viene in mente di dire è davvero ‘Pesi più di quanto sembra’ ?!
E’ incredibile. Questo ragazzo è davvero incredibile, possibile che non si renda conto della gravità della situazione. Lo guardo più torva possibile e poi gli dico –Seguimi.-

e m’incammino verso il campo senza degnarlo più di uno sguardo.

Non parla, ma per fortuna ha il buonsenso di mettere da parte l’orgoglio e seguirmi davvero, anche se lo sento spesso inciampare tra i rami, dietro di me. Patetico.

 

-Ti vuoi muovere?!- urlo irritata, quando lui cade nell’ennesimo viticcio.

-Sono stanco e qui è pieno di rami!!- protesta Zayn sbattendo il pugno a terra.

-Pensi che io non sia stanca? E sono venuta qua solo per te, quindi muoviti.-

Sebbene al ‘solo per te’ fosse spuntato un sorriso sulla bocca di Zayn, sparisce subito dopo. Quasi immediatamente, come se avesse preso la scossa. –Beh, nessuno te l’ha detto.-

-E secondo te sarebbe venuto qualcun altro?- dico, guardandolo più irritata che mai. Il suo sguardo, invece, è pieno di auto-commiserazione, ma non me ne può fregare di meno. Mi volto e continuo a camminare, tirando un sospiro di sollievo quando intravedo il campo. Non ci sono più alberi, ora in cosa inciamperai, Zayn, nei tuoi piedi? , penso. Perché, in effetti, è possibilissimo.                                                                                              Ma non lo fa, fortunatamente. Anche se sarebbe stato meglio il contrario, così avrei potuto prenderlo in giro un altro po’.

Quando arrivo al lato nord – ovest del campo e salgo sul treno, Zayn è completamente sconcertato. –Il treno è qui?! Ecco perché dall’altro lato non c’era niente.- esclama.

-Dovevi immaginarlo.- gli rispondo dura. E non m’importa che non poteva, doveva e basta. Lui sbuffa e poi mi segue sul treno.

-Volete che rallenti un po’?- ci chiede Giordan, il conducente del ritorno, con un occhiolino. Non sia mai, non voglio passare un minuto di più con Zayn! E poi perché dovrebbe rallentare?

-No, grazie.- risponde Zayn affabile. Evidentemente non sa che potrebbe anche dirgli ‘Vaffanculo, ma che cazzo significa che mi rallenti?!’ senza andare in galera. Certo, ricevendo una risposta a tono, ma comunque senza serie ripercussioni.

E non mi spreco a dirglielo. Insomma, è meglio se conserva le buone maniere anche qui, no? Sorrido impercettibilmente dietro la mia maschera arrabbiata: mentre per noi stare qui è una liberazione, per lui sarà la stessa cosa con l’aggiunta di faticosi allenamenti. Beh, è lui che è voluto entrare, no?

 

Quando il treno arriva, scendo velocemente per entrare nel comando: tutti parlano allegramente e Phillips non è ancora tornato. Sono un po’ sollevata, però avrei voluto fare quattro (o anche cinque) chiacchiere con Buck.

Raggiungo nuovamente Githa e parlo con lei, lasciando Zayn da solo. A un certo punto ci mettiamo a ballare e inventare coreografie, ridendo come matte e tutti si siedono a guardarci. La cosa non ci dà fastidio, anzi, ci ispira nuovi balletti.

Danzo divertita e a un certo punto alcuni ragazzi vengono a unirsi a noi ed eseguiamo dei passi sconosciuti (e probabilmente inventati da noi) ma molto complessi. In uno di questi un ragazzo mi prende in braccio, mi fa saltare in aria e mentre ricado girando, sono afferrata da un altro ragazzo. Non si può dire che non fa scena: i ragazzi e le ragazze che ci guardano fischiano e battono i piedi.

Smettiamo di ballare soltanto quando sentiamo il suono della campana e mi fermo qualche secondo per riposarmi e bere la bevanda, poi per evitare altri guai vado da Zayn. –Bevi questa bevanda, ti fa restare in forze per la giornata. La campana significa che devi tornare a casa. A domani.- lo informo, aggiungendo un freddo saluto.

Mentre me ne sto andando, lui mi afferra per un braccio, mi guarda qualche secondo e poi dice: -Sei molto brava a ballare.- mi rigiro ed esco dal comando.

-Aspetta! Eveleen! Come faccio a salire, non ci sono scale!!- mi urla Zayn da sotto.

C’è una corda, imbecille. –Questo lo scoprirai da solo.- gli rispondo e vado a casa.

 

A scuola la giornata procede molto lentamente.. vengo interrogata praticamente in tutte le materie e, com’è giusto che sia, vado bene. Tra tutta questa frenesia ho avuto a malapena il tempo di scambiare un’occhiata con Buck, ma tanto non avremmo potuto comunque parlare, qui a scuola.

Sentendo la campanella che indica l’ora del pranzo, è come se mi accendessi, dopo essere stata tutta la mattina spenta.

Mangio il mio cibo triste e scondito, dovendomi sorbire ripetute occhiate e sorrisi di Zayn. –Allora, stasera che si fa?- mi sussurra eccitato, nei dodici minuti.

-Shhh.- lo zittisco. –Ma sei pazzo?! Devono spiegarti un sacco di cose.-

-Puoi farlo tu.-

-Ho di meglio da fare.- e la conversazione finisce. Vedo Louis guardarlo interrogativo e mi ricordo che Zayn aveva chiesto a Buck di seguirlo. Improvvisamente so con sicurezza chi è che sta guardando Buck in questo momento.

Eppure non mi va che Louis entri, sarebbe come avere due Zayn e l’idea non mi fa di certo saltare dalla gioia.

 

Non riesco a dormire neanche quel pomeriggio e, passato il momento dei compiti, esco da casa come una furia dirigendomi da Liam.

-Vieni.- gli dico semplicemente quando mi apre la porta. Fa quello che dico e mi segue, mentre lo porto da Buck.

 Lui, ovviamente, non viene ad aprire e siamo noi a dover salire, trovandolo nuovamente a petto nudo e scalzo.

-Prima cosa: volete dirmi che cavolo fate nelle missioni?-

-Scusa davvero, non possiamo.- mi risponde Liam. Perfetto, tanto non ci speravo neanche un pochino, ma provare non mi costava niente.

-Va bene. Sono segreti e.. posso capirlo. Ma non posso capire- continuo, stavolta guardando solo Buck. –Perché non mi hai detto che avevi preso in considerazione Zayn?!-

-Lui ci serve davvero, è già potente. Ma tu ti saresti arrabbiata, volevo risparmiare alla tua voce la fatica di urlare.- mi risponde tranquillo. E questo mi fa innervosire di più, non c’è niente che odio di più che i calmi, durante una lite.

-Pensavi che non lo avrei fatto dopo?!-
-Si, ma non avresti potuto fare niente per impedirlo.-

-Tutti questi segreti- dico, indicandoli entrambi. –Che improvvisamente avete con me, non piacciono. Non m’importa quanto mi può far male o arrabbiare, dovete dirmi la verità!!-

-Va bene, Leena. Da oggi in poi lo faremo. Entrambi.- mi dice Liam.

Tutto un tratto sono sfinita, perché prende più energia litigare con i propri migliori amici, che andare in guerra. Almeno non ho più le fitte al fianco, altrimenti a quest’ora mi sarei già buttata sul letto di Buck.

-D’accordo.- dico. –Si è fatto tardi, vado a casa.-

Esco dalla stanza, ma non prima di ricevere due grandi baci sulla guancia. Ecco, questi sono i miei ragazzi!

Mentre cammino per andare a casa ripenso alle parole di Liam ‘Va bene, Leena. Da oggi in poi lo faremo. Entrambi.’ nonostante i due baci finali, questo mi fece riflettere molto.

Da oggi in poi? Prima non lo facevano?

E poi perché Buck non ha detto niente?

Arrivata a casa, mi butto sul letto, perché non riuscirò a sopportare il silenzio della cena, con tutto questo chiasso in testa, se prima non mi schiarisco le idee.

Eppure, la prima cosa che devo fare è realizzare che loro sono i miei due migliori amici da sempre, perché sto iniziando a dubitare della loro lealtà proprio ora?

Buck non ha parlato, è vero, ma lui è sempre stato di poche parole e ha sempre lasciato a Liam l’arduo compito di esprimersi per entrambi. Ed è così da quando li conosco. Conclusione: non devo pensarci più di tanto.

Bene. Per fortuna riesco ad affrontare la cena senza impazzire e mi alzo dalla tavola per andare a letto. È quasi scandaloso come nella famiglia non ci si scambia neanche un bacio su una guancia.. come fanno i miei genitori? Come hanno fatto ad amarsi e avere due figlie, in un luogo dove l’amore non può esistere?

D’un tratto mi ritrovo a pensare alla mia futura vita: in una casa uguale a questa ma di un altro colore, con un uomo dal volto sconosciuto, che non amo. Eppure sono costretta a mettere al mondo almeno un bambino. A questo punto non sarebbe meglio vivere esiliata, ma non permettendo a qualche altro esserino di dover vivere così.

Sussurro un ‘Buonanotte’ a Terrie, ricevendo un’occhiata stupita. Sarà così anche per i miei figli? Neanche loro si conosceranno, si parleranno?

Terrie. Non sono mai riuscita a capire se a lei piace questo stile di vita, forse ha preso il mio tocco di ribellione e anche lei vuole distinguersi ed io, da sorella egoista, non glielo permetto.

Vado in camera, passando da quella della mia sorellina, desiderando più di ogni altra cosa di sapere cosa pensa.

Guardo la luna fuori dalla finestra che, con il suo bianco scintillare, illumina tutta la città, facendola diventare parte di un unico quadro.

L’orologio, però, mi ricorda che è ora di andare, quindi m’incammino verso il comando. Ovviamente passando sotto casa sua trovo Zayn ad aspettarmi, con le braccia conserte e la schiena e un piede poggiate al muro dell’edificio. Da quella posizione ‘tosta’ potrei mettere una mano sul fuoco sul fatto che mi sta guardando torvo. Ma avvicinandomi scopro che non è così, mi sta sorridendo.

-Ciao.- sussurra e cerca di darmi un bacio sulla guancia, che evito prontamente. Sono abituata al contatto solo con Liam e Buck, neanche la mia famiglia mi tocca e non deve assolutamente farlo lui. Si ritira e mi guarda ancora più divertito.

-Ciao.-dico infine, con tono altezzoso.

Arriviamo all’albero e ci caliamo di sotto, per sicurezza faccio andare prima lui: non voglio che mi cada addosso. Entriamo nella sala mezza piena, io mi siedo e lui m’imita.

-Allora- inizia quello che sicuramente sarà un lungo monologo. –Mi spieghi bene tutta questa storia?- oh. Era meglio il monologo, penso.

-Tu per qualche mese farai solo allenamento, è questa l’unica cosa che devi sapere. Ormai sai come entrare e come uscire, quindi vedi di non perderti.-

-Perché, tu non fai solo allenamento?- scuoto la testa. –Cosa si fa nelle missioni? Voglio eseguirle anche io.- afferma dopo.

-Non puoi, ci sei solo da ieri.-

-Ma sono bravo, posso farle!-

-No, Zayn! Non puoi e basta!- urlo.

Normalmente qui non si sarebbe sentito niente, essendo pieno di gente che urla, parla, ride, scherza. Eppure la mia voce risuona chiara e forte per tutta la sala e guardandomi intorno mi accorgo che siamo soli.

Mi irrito più del solito – e del dovuto- costatando che gli altri sono già partiti, anche perché non so se Liam e Buck sono in missione o in allenamento. Io di sicuro la seconda, altrimenti mi avrebbero chiamato. Ultimamente sto facendo allenamento troppo troppo spesso.

Vado veloce verso il treno ed entro, senza aspettare Zayn, che però ce la fa lo stesso a raggiungermi prima che Cesar parta. E per qualche motivo questo mi fa irritare nuovamente.

Quando il treno si ferma, esco quasi di corsa e arrivo in men che non si dica al campo. Ma c’è qualcosa che non va: è tutto vuoto. Nessuno si allena, nessuno richiama i ragazzi, nessuno è seduto a riposarsi. Possibile che sono tutti in missione? No, non è per niente possibile, anche perché qua non ci alleniamo solo noi di Holmes Chapel.

Quando Zayn mi raggiunge, nonostante non sappia tutto ciò di cui io sono informata, sembra turbato anche lui. –Non c’è nessuno.- dice, dopo un paio di secondi. Annuisco piano e mi avvicino agli esercizi, percorro il campo, setaccio il limitare del bosco, ma non serve a niente: siamo soli.

-Dovremmo tornare indietro.- dico.

-Si, andiamo.-

Siamo solo a qualche metro dal punto dove dobbiamo prendere il treno, quando succede una cosa che non mi sarei mai e poi mai immaginata, non qui, non ora.

-Corri!!- urlo a Zayn, mentre una bomba cade sul treno.

L’impatto ci fa saltare e ci ritroviamo a rotolare per terra, senza, per fortuna, gravi ferite o contusioni. Mi rialzo e aiuto Zayn, perché in questo momento non posso pensare né all’odio né a qualsiasi altro sentimento personale. È l’istinto di sopravvivenza che mi fa agire, ma non solo verso me stessa.

Siamo arrivati a metà campo quando la seconda bomba finisce dove c’era l’atro treno. Rivolgo il mio sguardo verso l’alto, ma non riesco a riconoscere la bandiera che è disegnata sull’aereo sopra di noi. Non che importi molto, in questo momento.

Nel momento in cui sento cadere la prossima bomba vado nel panico, perché non ho la minima idea di dov’è diretta e potrebbe finire dritto dritto su di noi, che siamo gli unici bersagli in movimento.

Ma non mira a noi, bensì a un altro lato del campo. E così anche la successiva, cambiando lato e punto di arrivo.

Tutt’un tratto riesco a realizzare uno schema mentale: stanno colpendo tutte le possibili uscite, vogliono inchiodarci qui.

Inizio a tremare, ma non è solo per il freddo pungente che, se mi stessi allenando, non sentirei. È la sensazione di paura, che ho provato pochissime volte nella mia vita.

 

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Capitolo 7
*** Scusa ***



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Oddio, adesso come ne usciamo?, penso infelicemente. Non mi sono mai trovata in una situazione del genere. Simile sì, ma avevo protezioni addosso, armi in mano, amici accanto. Ora non ho assolutamente niente, a parte Zayn, ma lui non conta.

Bene, ora devo mostrarmi tranquilla e padrona della situazione, non deve trasparire tutto lo stress che provo in questo momento, altrimenti sono fritta. Non devo farmi vedere debole da lui, anche se ora vorrei solo piangere sulla sua spalla che in questo momento mi sembra molto accogliente.

-Bene, adesso troviamo un riparo qui al centro e ci sistemiamo.- dico con la voce più ferma che posso fare ora. Lui annuisce.

Ci ripariamo sotto una specie di mini-caverna che non so davvero da dove sia uscita, forse è saltata dai cumuli del treno e ha preso questa forma atterrando qua. Mi sembra abbastanza resistente, quindi ci proteggerà da eventuali ‘materie volanti’ come forse è questa.

 

Mi sdraio all’interno e chiudo gli occhi, mentre sento Zayn venire affianco a me. Non ho intenzione di provare a dormire (anche perché con il rumore assordante delle bombe non ci riuscirei), ma voglio concentrarmi su altro. Pensieri felici.

Sono tutti collegati all’associazione. Il mio primo allenamento, quando ero piccola, e il coach non faceva che lodarmi per la mia bravura, nonostante non avessi fatto ancora niente. Quando mi diedero la mia prima medaglia per una missione over-the-status ossia fuori il mio stato. E, soprattutto, quando conobbi Buck e Liam e stringemmo amicizia. Quelli sono i miei giorni preferiti.

 

Purtroppo ricordare tutto questo non fa l’effetto che speravo. Mi salgono le lacrime agli occhi, pensando che avrei preferito avere loro due qua con me. Perché avrebbero già avuto un piano da attuare per scappare e proteggerci. Invece sono con Zayn.

-E’ tutta colpa tua.- gli urlo. Non mi risponde. –Se non mi avessi intrattenuta, saremmo andati con gli altri. E ora non saremmo qui ad aspettare di morire.- gli urlo contro tutte le cattiverie che mi vengono in mente e lui non dice niente. Dio, quanto mi fa arrabbiare questa cosa. Incazzati, Zayn! Prenditela con me per le cose che ti dico, urlami contro, fammi sentire uno schifo. Perché non lo fai? Non posso continuare ad urlare, se tu non rispondi! Perché… perché non ti arrabbi con me?

Do voce ai miei pensieri, cercando di mantenere la voce ferma, decisa e arrabbiata per tutto il tempo, ma alla fine mi si spezza in un mezzo singhiozzo.

Mi abbraccia da dietro e vorrei davvero rimanere in quel modo, sentirmi, per quanto poco, protetta. Insieme con qualcuno.
Invece gli dico –Lasciami.- e mi scanso da lui. Maledetto orgoglio.

-Mi dispiace. So che è colpa mia, scusami.- dice Zayn. –D’ora in poi farò quello che dirai tu. Scusa.-

Si è scusato tre volte in meno di venti secondi, wow. Alla fine anche il mio orgoglio impallidisce, perché contro delle scuse sincere –spero che lo siano- non può dire niente neanche lui.

Quindi mi giro e gli sorrido, sperando che capisca tutto. Che l’ho perdonato per le cose successe in precedenza e che, in fondo (ma tanto tanto tanto in fondo) è stata anche colpa mia. Ma non è facile capire qualcosa con delle bombe che minacciano di ucciderti, anche se, se i miei ragionamenti sono giusti, non dovrebbero farlo.

Tremo e non so come smettere. C’è sempre quel freddo pungente e quella sensazione nello stomaco chiamata paura.  Anche Zayn trema, dietro di me.

Non posso fare a meno di pensare che lui sia qui solo da ieri, e già si trova coinvolto in questi casini che neanche io potevo prevedere.  Povero Zayn, era meglio se non entravi. Mi avvicino un po’ a lui, restando girata dalla parte opposta e permetto alle sue braccia di accogliermi in un momento di debolezza. Un momento che voglio far notare il meno possibile, per questo non voglio che mi guardi il viso, deformato dalla paura.

Nelle sue braccia si sta meglio, entrambi gelavamo prima, ma ora riusciamo a trattenere un po’ di calore per noi. Mi sento al sicuro. Per quanto poco. Per quanto sia in una specie di campo minato. In questo momento mi sento al sicuro.

 

Non so quant’è passato. Un’ora, due forse. Eppure gli attacchi non sembrano voler cessare. Continuano e continuano, le bombe cadono e delle mitragliatrici distruggono i nostri esercizi quotidiani. Sta finendo tutto in una sera: tutta la mia infanzia, i miei ricordi felici… sono tutti cancellati.

Vorrei davvero sapere quale nazione sta facendo questo, prendermela con questa, urlarci contro, pretendere di andare nelle missioni contro di loro. Ma non ho il coraggio di alzare lo sguardo. Fisso la maglia di Zayn e nient’altro.

Adesso ho il viso sprofondato nel suo petto e piango in silenzio, non ce la faccio più. Sentire queste ripetute esplosioni, e sapere che una parte del mio cuore se ne va con esse e con tutto questo campo.

Improvvisamente sono felice che non ci siano Buck e Liam, né nessun altro di noi ‘vecchi’. Perché sarebbe stato terribile anche per loro. Io, d’altronde, questo dolore lo avrei provato lo stesso, quindi perché dover coinvolgere anche gli altri?  Una cosa è certa, meno gente soffre meglio è.

Perché Zayn in questo momento non può soffrire, non ha ricordi legati a questo campo. È di sicuro traumatizzato e impaurito, ma non credo che soffra, che motivo ne avrebbe? Io invece mi sento morire.

Ed è strano questo. Perché mi sento più viva durante le missioni, ad un passo dalla vera morte, che ora, quando dovrei essere al sicuro.

 

Apro lentamente gli occhi, puntandoli su quelli di Zayn. Mi ero addormentata.

Non so come e con quale cavolo di coraggio in questa situazione, io mi ero addormentata. Possibile?! Sono davvero messa così male?

-E’ finita.- mi sussurra Zayn. –E’ tutto finito.-

Non capisco di cosa sta parlando, perché io sento ancora i rimbombi nelle mie orecchie, ma quando mi azzardo ad alzare gli occhi al cielo, non vedo niente, a parte le stelle. È finita. È davvero finita e i rimbombi stanno iniziando a sparire. Siamo salvi.

Mi alzo scoprendo di avere le gambe molli, ed esco da quello strano riparo che avevamo trovato: intorno a noi non c’è niente. Non solo tutti gli attrezzi sono stati distrutti, ma non aleggia neanche un po’ di polvere nell’aria, come se fosse stato tutto risucchiato, per non essere più neanche ricordato.

Vado verso l’uscita, dove solitamente si prende il treno di ritorno per abitudine, ma poi mi ricordo la dura e triste realtà. Non siamo salvi, siamo ancora intrappolati qui dentro, senza via d’uscita.

Mi siedo per terra con un tonfo, senza alzare neanche un piccolo cumulo di polvere e aspetto che Zayn mi raggiunga. Ma non lo fa. Mi urla, invece, qualcosa che non capisco.

-Cosa?- gli chiedo, sperando che lui mi senta.

-Sono venuti a prenderci, dobbiamo andare.- stavolta lo sento chiaro e forte, perché è vicino a me, porgendomi una mano che io afferro, come se fosse un’ancora di salvezza. Ha ragione, ora lo vedo anch’io l’elicottero silenzioso che vola su di noi, perdendo man mano quota, fino a trovarsi per terra.

La porta si apre con un secco scatto e sbuca il viso di Phillips, che ci dice di raggiungerlo in fretta. Quando siamo tutti insieme sull’elicottero non ci dice niente e non sembra volerlo fare. Guarda davanti a sé con la fronte corrugata, pensando, probabilmente, a come sia potuta succedere una cosa del genere. A come abbiano potuto scoprire questo campo che è proprio tra una fitta rete di boschi, e visto da sopra non si scorge neanche. Perché è a questo che deve pensare, non se noi stiamo bene, cosa abbiamo fatto, se siamo feriti. Due soldati in meno –per quanto bravi- non gli cambiano la vita, commettere un’altra volta un errore simile sì.

In questo momento non voglio neanche la bevanda, preferirei dormire tutto il giorno e non fare nient’altro, non me ne frega della scuola. Non me ne frega di quello stupido programma. Che mi venissero a prendere! Che mi arrestassero! Saprei come scappare. A questo punto, preferisco vivere in ’esilio’ che in questa stra maledettissima città, cavolo!

 

Sta cadendo l’elicottero. No, non stiamo atterrando, stiamo proprio cadendo e me ne accorgo dall’improvvisa velocità che prendiamo.

A questo punto mi chiedo se sia in atto un complotto per uccidermi, chissà magari è così. Eveleen Dixon, troppo pericolosa perché continui a vivere.

Ma dai! Non faccio paura neanche a un gatto appena nato.

Buffo, probabilmente adesso morirò sul serio e l’unica cosa cui riesco a pensare è a chi faccio paura e a chi no.

Beh, di sicuro non faccio paura al suolo, altrimenti non mi permetterebbe di caderci sopra. E forse sarebbe meglio, perché l’impatto è potentissimo.

Sento altri rimbombi: credo di averne avuti abbastanza per tutta la vita. Uno strano fumo s’insinua nelle narici e penso di perdere la coscienza. L’ultima cosa che sento, è qualcuno che grida il mio nome.

Non credo di essere morta, se lo fossi, non sarei così bagnata. Eppure qualcosa continua a gocciolarmi sul viso e non riesco a capirne la provenienza, finchè ho gli occhi chiusi. Adesso scopro anche di riuscirli ad aprire e vedere perfettamente, quindi abbandono l’idea della morte e mi affaccio sulla nuova: sono su un letto d’ospedale. Non l’ospedale vero, quello del comando. Ci sono già stata un paio di volte.

La prima cosa che vedo, infatti, è il lettino davanti a me, dove spunta, da sotto le lenzuola, una cresta inconfondibile.

Poi mi sento osservata e capisco da dove proveniva la sensazione di bagnato. Liam e Buck stanno piangendo e le loro lacrime mi cadono sul viso.

-Andiamo, non credo di puzzare tanto! Volete farmela proprio ora la doccia?- dico ironica.

-Oddio Leena! Noi pensavamo… tu… insomma…-  dice Liam, capendosi da solo.

Poi riesco a percepire altri spezzoni di frasi di entrambi: ‘Non volevamo’, ‘Non doveva andare così’, ‘Oddio, proprio tu!’, ‘Dovevamo controllare tutti!’

Ma non riesco a registrare bene tutte queste informazioni, per un forte mal di testa che mi scoppia, quindi ripiombo nel sonno.

Quando mi sveglio, Buck e Liam non ci sono più. Sono sola nella sala, a parte Zayn, che mi sembra profondamente addormentato.

Chissà perché il dolore al fianco si è risvegliato, ma a parte questo non mi sembra di aver avuto gravi ripercussioni.

L’orologio appeso alla parete davanti a me, indica le sei. Devo tornare a casa.

-Zayn, svegliati. Dobbiamo tornare a casa. Zayn!- cerco di svegliarlo, perché non voglio che rimanga qua da solo. E per fortuna inizia a muoversi e sorride alla mia vista.

-Eveleen. Dove siamo?-

-Avanti, alzati. Torniamo a casa.-  gli dico, aiutandolo a scendere dal letto. Sembriamo come nuovi, ci hanno curato tutte le ferite superficiali, perché sono sicura che ne avessimo un sacco.

Lo prendo per mano, perché nonostante tutto vedo che non si regge bene sui piedi e usciamo da lì, per entrare nella sala principale. In molti se ne sono già andati e appena mi vede anche Buck se lo concede, mentre Liam ci viene incontro.

-State bene?- ci chiede preoccupato. Ha gli occhi rossi e il viso ancora bagnato, strano, ci aveva visto tornare salvi, quindi perché continua a piangere?

Sia io che Zayn annuiamo e, dopo un breve bacio che Liam mi dà sulla fronte, continuiamo a camminare e io lo aiuto a salire sulla corda.

Vedo la sagoma di Buck che si allontana a passi svelti e mi chiedo il motivo per cui non mi abbia salutato.

Accompagno Zayn fino a casa sua, sperando vivamente che non gli cedano le ginocchia mentre sale le scale. Poi continuo a camminare per la mia strada e trovo, inaspettatamente, Buck sotto casa.

-Scusa.- mi dice. Non mi dà il tempo di poter proferir parola tipo ‘Cosa?’ perché subito va via e scompare dalla mia vista.

 

Non ricordo di aver bevuto la bevanda, ma in qualche modo devono avermela data, perché non mi sento né stanca né assonnata. Piuttosto mi siedo sul letto a pensare, che è una cosa che faccio spesso ormai.

‘Non volevamo’, ‘Non doveva andare così’, ‘Oddio, proprio tu!’, ‘Dovevamo controllare tutti!’ ‘State bene?’ ‘Scusa.’

Parole troppo distaccate e sconnesse l’una dall’altra per poterci capire qualcosa.

Che gli sta prendendo? Perché Liam e Buck sono così strani ultimamente?

Ho tanta paura che c’entri qualcosa con le loro missioni segrete. Anzi, sicuramente c’entra qualcosa con le loro missioni, penso. Perché è da quando le fanno che sono così.

‘Va bene, Leena. Da oggi in poi lo faremo. Entrambi.’

Mi hanno promesso di dichiararmi sempre la verità, di essere sempre sinceri. Dovrei fidarmi. Allora perché sono sicura che ci sono tantissime cose che mi nascondete?

Che cosa fate nelle vostre missioni?

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Capitolo 8
*** Turchia ***



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A scuola sembra tutto normale. Tranne per il fatto che ogni volta che parlo con Buck, cercando di guardarlo negli occhi, lui abbassa lo sguardo. Subito. Immediatamente. Come se si scottasse, come se lo scottassi io.

Non voglio litigare di nuovo, desidero semplicemente che tutto ritorni come prima, quando non c’erano complicazioni, quando loro erano davvero sinceri.

Chiedo troppo?

 

Zayn mi rivolge un grande sorriso a pranzo ed io lo ricambio, è forse l’unica cosa positiva della mattina.

 

Passo tutto il pomeriggio in casa. Eppure, a differenza delle altre volte, non voglio uscirne. Non ho paura di qualche altro attacco: se devo morire, morirò. Semplicemente non voglio sentire i miei amici mentire, ancora.

Ma devo andare, non posso arrendermi così, né mancare senza motivo.

 

Quando arrivo al comando, sono tutti seduti a guardare Phillips, mentre aspettano ancora qualche altro ritardatario. Come me. Quindi occupo il mio posto e aspetto anch’io. Chissà per quale motivo inizia subito… ero l’unica che mancava.

-Allora, ragazzi..- inizia, visibilmente preoccupato. Ha molte rughe sul viso, che in precedenza non avevo notato. –Ovviamente nessuno di noi si aspettava una cosa del genere e siamo ancora più sconvolti del fatto che alcuni di voi- si soffermò a guardare me e Zayn per qualche secondo. –siano stati coinvolti. Comunque abbiamo altre risorse, quindi finchè il campo a Mullingar non sarà ricostruito, voi andrete in uno vicino a quello. È ancora più immerso nei boschi, quindi… beh, speriamo che non accada niente di grave. E in ogni caso, speriamo di essere uniti.- detto questo, si girò e andò via. Dopo qualche secondo Liam e Buck fecero lo stesso, solo che sotto un diverso arco. Ora che ci penso, non sono sicura che siano sempre andati insieme, non ci ho mai prestato molta attenzione.

 

Né io né Zayn possiamo allenarci, siamo troppo deboli per farlo. Ci sediamo sull’erba e parliamo un po’, inizio a conoscerlo veramente.

Scherziamo, ridiamo e mi rilasso più di quanto abbia fatto negli ultimi giorni: non avrei mai pensato di fare questo con Zayn. Perché sentivo che saremmo diventati amici e non era nei miei piani. Ma non tutto va sempre secondo i piani.

-Siamo di più, non credi?- gli chiedo, riferendomi a tutti i ragazzi che si allenano.

-Penso che siano tutti di Holmes Chapel. Ho sentito Phillips dire che Buck si sta proprio sbizzarrendo e che non ne capisce il motivo. E neanch’io.- mi risponde Zayn pensieroso.

-Beh, anche tu sei entrato ora.- ribatto io, per voler difendere Buck.

-Si, ma sono uno solo e Buck mi ha seguito per due mesi. Non può averli sorvegliati tutti a sufficienza, capisci cosa voglio dire?-

-Si, credo di si.- rispondo stancamente.

Non ho più voglia di pensare a cosa faccia o non faccia Buck, o Liam, quindi decido che alla prima occasione li affronterò seriamente.  Continuiamo a parlare per un po’, quando suona la campana, però siamo quasi sollevati: il sedere fa male se lo tieni per troppo tempo a terra. Ci dirigiamo verso il treno, ma non lo prendiamo.

No, non è perché Zayn m’intrattiene o qualcosa del genere. C’è troppa gente e non ci entriamo. Allora è vero che erano di Holmes Chapel e sì, sono davvero tantissimi!
Se prima eravamo un centinaio in tutta la città, ora siamo di sicuro duecento, o più.

Prendiamo il treno seguente, insieme con altri ragazzi che guardiamo quasi sconvolti. Siamo decisamente troppi, per essere un’associazione segreta. In tutto questo, il segreto dov’è? Non capisco e non posso schiarirmi le idee, perché Buck non c’è quando torno al comando.

Il comando è sempre stato notevolmente enorme, ma ora sembra rimpicciolito di un bel po’, con tutta quella gente che occupa spazio.

Qualcuno mette musica e deve essere sicuramente uno dei nuovi, perché è musica house e non se ne sente spesso qua. I ragazzi iniziano a battere le mani a tempo,

Amo ballare e non m’importa di mettermi in mostra con questi novellini. Faccio un segno a Githa e stavolta anche ad Aaliyah e ci mettiamo davanti a tutti a muoverci a tempo, ridendo come matte.

Bum bum bum

La musica batte forte e noi continuiamo a ridere e a muoverci a tempo, quasi fosse un ballo di benvenuto per i nuovi arrivati. E neanche sento il dolore al fianco, perché passa in secondo luogo rispetto alla felicità che provo in questo momento. Perché è proprio ora, in questo momento, mentre faccio la cretina con le mie amiche, in un’associazione segreta, che mi sento me stessa. E non c’è niente di meglio di questo. Mi sento libera, completamente libera di fare tutto quello che voglio. Libera di poter non pensare a niente per un po’.

Una libertà che però dura sicuramente meno di quanto sperassi. Tra tutti i volti divertiti e spensierati che vedo al comando, ne riconosco uno con le sopracciglia corrugate, l’espressione preoccupata sul volto. Ed è proprio Buck a riportarmi alla realtà, devo parlargli assolutamente.

 

Ma c’è sempre qualcosa a mettersi tra di noi. Non sono le cento (o più) persone sedute, né la mia paura, ma una cosa che ti fracassa i timpani. Altrimenti chiamata campana. Cerco di restare, per potergli comunque parlare, ma sono travolta tra le persone che passano, quindi mi costringo a salire.

M’incammino, ma non mi fermo sotto casa mia. Smetto di muovermi solo quando sono sotto casa di Buck, e lo aspetto.

-Dobbiamo parlare.- gli dico, appena è vicino a me.

-Non ora, è troppo tardi. Va a casa, Leena.- mi risponde lui meccanicamente.

-No. Dobbiamo parlare!- insisto io, perché mi aspettavo di tutto tranne che un no.

-Guarda l’ora. Tra due minuti devi essere a tavola. Va a casa.- purtroppo non posso che dargli ragione, quindi mi giro senza salutarlo e vado via.

Sono seduta a tavola giusto in tempo, in effetti. Ma avrei preferito parlare con Buck.

 

Quando siamo in classe, lo guardo, aspettando che i nostri occhi si incrocino per potergli dire qualcosa, ma aspetto invano. Non succede in classe così come non succede a pranzo.

Esco da scuola seccata e arrabiata e vado a mangiare: minestra e pollo, pranzo delizioso davvero.

-Brava mamma, mi è molto piaciuto il pollo.- mi azzardo a dire.

-Lo sai che non lo cucino io, lo manda il sindaco. A noi come agli altri.- mi risponde mia madre freddamente, non abbandonando neanche per un secondo la sua usuale espressione. Ho provato più volte a fargli complimenti, ma finiva sempre male, con un ‘lo sai che..’.

 

‘Bel vestito, mamma!’ ‘Lo sai che è la divisa della domenica.’

‘Ohhh, che bracciale carino!’ ‘Lo sai che lo hanno tutte le donne sopra i quaranta anni.’

‘Penso che quella gonna ti stia molto bene.’ ‘Lo sai che è fatta su misura.’

 

Dovrei rinunciare, eppure in qualche modo cerco sempre di creare un rapporto. O almeno di ricordare che esisto e che sono sua figlia, non un’estranea che mangia con loro. Con papà invece è diverso. L’unica volta in cui ci ho provato mi ha guardata talmente male che non oserei più rifarlo.

 

‘Papi, stai benissimo con la barba.’ disse quell’innocua bambina di due anni, che non poteva neanche immaginare, allora, cosa volesse dire questo. Il padre abbassò lentamente lo sguardo su di lei, come si fa guardando un topo morto. E la guardò con altrettanto schifo. Come si guarda un corpo in putrefazione, pieno di vermi. Come si guarda qualcosa di cui ci si vuole liberare. Il sorriso della bambina svanì subito, non lento come la smorfia del padre, ma quasi come se avesse preso la scossa. La piccola si guardò i piedi, incerta sul da farsi. Pensava che il padre a quel punto l’avrebbe picchiata, o le avrebbe detto qualcosa. Ma non fece niente. Quindi girò i tacchi e se ne andò, prima che il papà perdesse la pazienza con quell’essere insignificante.

 

I ricordi più traumatici sono dovuti a mio padre. Questo, ad esempio, sembra che non l’abbia vissuto io. Ho cercato di rimuoverlo con tutte le mie forze e ora, ogni volta che ci penso, è come se lo vivessi in terza persona e quell’esserino minuscolo e insignificante per il padre non fossi io. Semplicemente una brutta storia, di qualche altra bambina odiata, non voluta.

Non ho mai visto i miei genitori fare a Terrie quello che hanno fatto o detto a me. Ne sono felice, perché almeno lei non sarà traumatizzata. Ma ogni volta che ci rifletto bene, capisco che non è per niente questo il motivo per cui non lo fanno, è che lei non si è mai ‘ribellata’. Non ha mai fatto un complimento, né mai rivolto la parola ai miei genitori, o a me. Lei è la ragazza modello di Holmes Chapel.

Mia sorella è una di quelle persone che non potrebbe mai e poi mai entrare nell’associazione, me ne accorgo proprio ora, riflettendoci.

 

Mi alzo dalla tavola senza fare altri commenti e vado in camera mia.

Io dovevo nascere a Londra, che è il cuore della guerra, penso, non qui. Sarebbe meglio se questa città non fosse mai esistita.

Siamo in guerra da ventisette anni. Possibile che in tutto questo tempo nessuno ha provato, non so, a sostituire il sindaco? O anche solo a proporre qualcosa di diverso?

Una massa di persone che cercano di uniformarsi a tutti gli altri, ecco cosa sono. Brutti stupidi, non risolverete niente così. Esprimetevi.

Oh, Doug, come vorrei che fossi qui con me a ispirarmi ancora!

Tin, tin, tin.

Un suono impercettibile mi fa scuotere, è arrivato il momento di andare.

 

Non incontro Zayn per strada, quindi entro sola. La scena che mi si pone davanti è incredibile: stiamo aumentando a vista d’occhio.

Di tutti quelli che conosco, non vedo nessuno, quindi quando mi dicono che non posso ancora fare niente, mi dirigo al campo da sola, sapendo che anche Zayn lo farà.

Infatti lo vedo e gli vado incontro, sollevata.

-E’ entrato Louis.- mi dice con un sorriso.

-Fantastico.- rispondo, senza troppo entusiasmo. Vuol dire che Buck lo ha seguito solo per tre giorni.

-Ci hai parlato?- mi chiede Zayn, quasi leggendomi nel pensiero.

-No, ma sono decisa a farlo, sul serio.- annuisce pensieroso. Purtroppo non riesco mai a capire quali siano i suoi pensieri, ha uno sguardo profondo e incomprensibile. Eppure, al momento, mi fido più dei suoi occhi misteriosi che di quelli di Liam e Buck, perché nei loro riesco a leggere. E leggo solo bugie.

Ci andiamo nuovamente a sedere sull’erba, in un punto strategico per guardare Louis allenarsi, sotto richiesta di Zayn. Io, d’altra parte, riesco a vedere sia Niall sia Harry, il quale è migliorato tantissimo dall’ultima volta che l’ho visto allenarsi.

Niall invece è sempre stato bravo, essendo al mio livello, ma adesso posso giurare di vedere i muscoli guizzare dalle sue braccia. Servirà per il corpo a corpo.

-Dov’è Louis?- chiedo dopo un po’ a Zayn, che mi fa cenno con il capo. Seguo il suo sguardo e trovo Louis. Neanche lui è male e sembra anche molto in forma. Anche se è più basso di Zayn, ha dei buoni muscoli. E appena si gira vedo i suoi occhi azzurri scintillare anche da qui.

-Fammi indovinare, vi allenavate insieme.- dico a Zayn, doveva suonare come una domanda, ma il tono di affermazione che ho usato è più corretto.

-Già. Sai, dopo i compiti e prima di cena. C’è molto tempo da perdere.- mi risponde Zayn con una scrollata di spalle. –Immaginavo.- ribatto io.

Dopo aver guardato per una mezz’ora buona gli altri allenarsi riprendiamo a parlare, io e Zayn. Come vecchi amici.

E scopro cose che ieri non avevo chiesto. Tipo che gli è appena nata una sorellina e che anche il suo rapporto con i genitori non è dei migliori, anzi. Così penso che, quasi sicuramente, è la stessa cosa per tutti noi. Giovani menti incomprese e odiate.

Quando arriva il momento di tornare al comando, sia io sia Zayn ci alziamo di scatto e corriamo verso il treno, riuscendo a prendere il primo. Ci sediamo vicini e scendiamo insieme all’arrivo.

 

Vedo Liam e Buck, perfetto. Mi ‘catapulto’ verso di loro a una velocità impressionante.

-Ciao.- li saluto, freddamente. Loro mi rivolgono un breve e conciso gesto del capo, ma quando faccio segno di seguirmi non replicano. Andiamo in una sala che è sempre vuota, quindi non saremo disturbati e possiamo parlare tranquillamente. Di tutto.

-Perché dopo l’incidente delle bombe vi siete sentiti in colpa?- inizio senza preamboli, perché davvero non posso più aspettare.

Eppure loro la tirano per la lunga. Buck si siede a terra con un tonfo e un sospiro, Liam rimane in piedi a guardarmi.

-Abbiamo fatto un patto con la Turchia.- mi risponde, ovviamente, Liam.

-Abbiamo chi?- ribatto subito, senza ancora aver elaborato ciò che mi ha detto.

-Io e Buck. Phillips… non ne sa niente.- quindi, loro hanno fatto un patto con la Turchia. E Phillips non ne sa niente. Liam e Buck hanno fatto un patto col nemico senza avvertire i superiori. Okay, fin qui ci sono.

-In cosa consiste questo patto?- gli chiedo.

Liam tira un lungo sospiro, prima di parlare. –Noi gli avremmo svelato dove si trovava uno dei nostri campi e gli avremmo permesso, in una data stabilita, di distruggerlo. Appunto per non avere morti.- questa è la prima pugnalata. Sono stati loro a permettere la distruzione della mia infanzia, del mio campo. Sono stati loro che hanno fatto a pezzi tutto.

-E loro in cambio cosa avrebbero fatto?- dico, e anche la mia voce si spezza insieme al resto.

Stavolta Liam sembra ancora più indeciso sul da farsi, parlare o non parlare. Non so che faccia abbia Buck, perché mi concentro solo su chi, in questo momento, mi può fornire informazioni. E Buck non parla mai.

-Loro avrebbero distrutto Holmes Chapel.- dice Liam, infine.

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Capitolo 9
*** Rimediare agli errori ***



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Le rotelle nella mia testa girano a una velocità che fa concorrenza a quella della luce mentre assimilo le parole che mi sono appena state dette.

‘Loro avrebbero distrutto Holmes Chapel.’

‘Loro avrebbero distrutto Holmes Chapel.’

‘Loro avrebbero distrutto Holmes Chapel.’

Non so con precisione quante volte questa frase viene ripetuta nel mio cervello, ma penso tante, perché la vedo scritta dappertutto: sui muri, sulle sedie, sulla fronte del ragazzo che l’ha pronunciata. Manca poco prima che io scoppi, ma nel frattempo cerco di tenere il tono più tranquillo possibile.

-E perché voi gli avete chiesto questo?- so che il mio volto ha perso almeno la metà del colorito originale. Ho le labbra secche e un groppo in gola.

-Perché così possiamo andarcene.- è sempre Liam parlare. –Andare via di qui, a Londra, magari. Nessuno potrà impedirlo, nessuno ci giudicherà. Non vivremo più segregati, non faremo niente di nascosto!- gli occhi gli s’illuminano a queste avventate parole. Ripenso a tutte le volte che ho desiderato poter uscire allo scoperto, a tutte le volte che speravo di svegliarmi e vivere altrove. Eppure credo che questo non sia comunque un motivo sufficiente per uccidere migliaia di persone che altra colpa non hanno se non essere nate nel luogo sbagliato.

E ora si spiega tutto. Ecco perché ultimamente le entrate nell’associazione erano aumentate tanto: solo pochi prescelti potranno sopravvivere.

-Questo quando dovrebbe succedere?-

-Lo faranno domani notte, mentre noi saremo al campo.- santissimo Dio. Pugnalata numero due. Come possono essere così tranquilli? Non pensano neanche un po’ alle conseguenze? Non si sono minimamente affezionati a questa città, ai suoi abitanti? Sono consapevoli che saranno i responsabili della morte di tutti loro?

Mia madre. Mio padre. Mia sorella.
Per quanto mi possano odiare, per quanto il nostro rapporto possa essere brutto, non mi sognerei mai di ucciderli. Mai.

Penso anche a Zayn, e alla sorellina che ha appena avuto.

Penso a Liam, che ha due sorelle più grandi.

Penso a Buck, che ha un fratello quasi suo coetaneo.

Non gli importa niente di loro?

-Ucciderete tutti. Anche la mia famiglia, anche le vostre.- smetto di guardare Liam per far volteggiare lo sguardo dall’uno all’altro, in una danza arrabiata.

-Mi dispiace, tua sorella non era adatta e neanche il mio.- mi dice Buck.

-E tutte le persone che non conoscete? Perché ce ne sono. E magari potevano anche entrare, e invece saranno morte, domani a quest’ora.- detto questo non reggo più e mi accascio anch’io a terra.

-Andava fatto.- mi risponde di nuovo Liam, perché Buck non può parlare per più di cinque secondi.

E adesso non penso più alle persone che conosco, ma anch’io mi soffermo su quelle che non conosco, e non incontrerò mai. A tutti quei volti indistinti che vedo camminando per i corridoi nella scuola, volti che potevano essere salvati.

Agli adulti invece, che in ogni caso sono destinati a morire, perché non possono entrare nell’associazione. A tutti i vecchietti che mi fissavano e blateravano mentre camminavo per strada, con i loro sorrisi spenti.

Penso che nessuno potrà dirsi addio. Tutte le parole non dette, i gesti non fatti.

Penso che, in effetti, pensare sta uccidendo anche me. Tutto questo non è giusto.

Non è opera di due ragazzi di sedici e diciassette anni. È opera di due mostri.

Improvvisamente non voglio più stare nella loro stessa stanza, non voglio neanche guardarli. Ogni volta che pensavo alle bugie che mi dicevano, alle missioni che facevano, non avrei mai immaginato niente del genere. Non voglio neanche pensare a come siano riusciti a farlo, perché sfuggire al controllo di Phillips è difficile.

-Ormai è tutto fatto, vero? Non si può ritirare tutto, no?- due domande. So già la risposta, ma voglio soltanto esserne sicura.

-No- mi dice Liam. –Non si può più tornare indietro.-

Non riesco a guardarlo. Non riesco a incrociare lo sguardo di nessuno dei due.

-Siete dei mostri.- dico, con le lacrime agli occhi. Senza aspettare risposta o contestazione esco da quel luogo, perché davvero non riesco a stare accanto a loro. Per quanto ne so potrebbero uscirgli dieci braccia dal petto, altri tre occhi e rincorrermi per volermi mangiare. Visti i loro pensieri, non escludo questa possibilità.

Entro nella sala principale e guardo sconvolta i ragazzi riuniti lì dentro. Siamo così pochi, così pochi supersiti. Riusciranno a combattere dopo aver perso famiglia, amici e luogo di nascita? Sarà davvero servito a qualcosa tutto questo? No, certo che no.

È già orribile uccidere persone in guerra, ma quantomeno là sai di doverlo fare, sai che sono nemici e se non sei tu a uccidere, finirai ucciso. Come puoi, invece, uccidere amici e famiglia senza avere rimorsi e pentimenti per il resto della tua vita? Perché loro non sembravano per niente pentiti delle loro azioni e di sicuro non provano un briciolo di rimorso al riguardo.

Sento che sto per crollare, non posso reggere il peso di tutto questo sulle mie fragili spalle. Una delle cose che la gente dà sempre per scontato è la tua forza. Pensano sempre che tu sia abbastanza forte da riuscire a sopportare tutto, mettono pesi sulle tue spalle che, secondo loro, sono abbastanza forti da reggere. Quello che non sanno è che mentre tu provi a reggere quegli innumerevoli pesi, man mano ti spezzi. E non sempre i pezzi possono essere aggiustati. La colla non basta in questo caso.

Io sono sul punto di spezzarmi, con danni irreparabili. E lo farei, se non fosse per Zayn, che mi viene vicino. Mi prende la mano e mi fa sedere accanto a lui.

Non mi chiede spiegazioni, non accenna alla discussione che sa che ho avuto con Liam e Buck. –Piangi pure.- dice semplicemente. E, come quella volta nella nostra ‘caverna’, la sua spalla mi sembra veramente invitante. Mi ci butto sopra e inizio a piangere. E sono tutti troppo impegnati a ridere e scherzare per notare noi due. Perché nessuno di loro sa quanto orribile, sarà il loro destino. I superstiti non sono mai felici quanto si dice, anzi.

Io ancora non lo sono, eppure mi sento già malissimo. Sento di non meritare di far parte di questo minuscolo gruppo di persone che sopravviverà.

Oh Zayn, non puoi capire quanto sei terapeutico in questo momento, penso. E io che pensavo sarebbe andata al contrario: tu mi avresti fatto dannare e Liam e Buck mi avrebbero consolata. Beh, sarebbe stato meglio in quel modo, se avesse significato niente più distruzione di Holmes Chapel. A quel punto avrei anche rinunciato a Zayn, nonostante ora sia diventato tanto importante nella mia vita.

-Non mi piace vederti piangere- mi sussurra Zayn in un orecchio, dopo avermi delicatamente spostato una ciocca di capelli. –Sei bella anche con gli occhi rossi, sì, però il tuo fascino sparisce.-

Tolgo il viso dall’incavo del suo collo e lo guardo in faccia, concedendomi un piccolo risolino. –Grazie.- dico, tirando su con il naso.

-Sei bellissima, Eveleen.- mi dice, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano e spostando, infine, un’altra ciocca di capelli dal mio viso bagnato. Adesso non possono non essere chiare, le sue intenzioni.

-Non c’è posto per noi in questo mondo, Zayn. – gli dico, con le sopracciglia corrugate.

-Oh, no. A Holmes Chapel non c’è posto per noi, ma questo è tutto un altro mondo. Qua sì che c’è posto per noi.- ribatte lui convinto, ma senza smettere di giocare con i miei capelli.

-Tu… non hai idea di cosa potrebbe diventare, questo mondo.- gli dico, guardandolo negli occhi, stavolta. E il cipiglio arrabbiato abbandona il mio viso, perché mi incanto nel castano-dorato delle sue iridi profonde.

-Io so solo che qui possiamo essere felici, insieme.- mi risponde. Lascia i miei capelli e mi prende le mani, continuando a guardarmi intensamente.

-Da domani non ci sarà più felicità.- sussurro piano. Tanto piano che tra la confusione della sala è molto probabile che non mi abbia sentito.

Infatti, si avvicina piano, dandomi il tempo di pensare a ciò che sta per fare. Mi alzo.

-Scusa…- gli dico. Zayn mi sorride dal basso, quasi sapesse che lo avrei rifiutato e, in qualche modo, so che questo non comprometterà la nostra amicizia. O almeno mi aggrappo a quest’illusione, perché non posso più perdere altre persone. Lui è davvero l’unico che mi rimane.

Inizio a uscire e nel momento in cui aggrappo la corda suona la campana, quindi direi che sono abbastanza precisa nel fare le cose.

Vado a casa e m’infilo sotto le coperte, godendomi qualche attimo di caldo rassicurante sotto il piumone e poi realizzo che oggi non ho preso la bevanda. Sarà una giornata molto dura. Ma non solo per me. Per molti sarà l’ultima giornata della loro vita. Oh, come vorrei gridare a tutti di scappare! O quantomeno di fare ogni cosa, tutto quello che vorrebbero fare e che fin’ora non hanno fatto, togliersi gli innumerevoli rimpianti e pentimenti. E perché non farlo?, penso. Perché sono ancora nel mio letto quando potrei fare il giro della città, urlando a tutti di divertirsi e dirsi gli ultimi addii?

In un primo momento non riesco a darmi una risposta e sono davvero tentata di farlo, poi comprendo cos’è che mi ha fatto escludere la possibilità fin dall’inizio: mi prenderebbero per pazza. Dal primo all’ultimo, nessuno mi crederebbe.

Ma almeno ci avrei provato, continuo a pensare, spinta dalla mia assillante coscienza che non vuole far morire tutti così. Eppure non posso più darle retta, perché se davvero mi scambiano per pazza, mi rinchiudono all’istante in qualche istituto. Non posso assolutamente permettermelo, non nell’ultimo giorno di vita di Holmes Chapel.

Quando mi trascino fino al tavolo della cucina e vedo la mia famiglia, una sensazione nuova nasce in me. Quasi calore, nel costatare che sono ancora qui, con me.

Fisso intensamente ognuno di loro, per imprimerli nella mia memoria, nel modo più vivido e chiaro possibile. Raccolgo con gli occhi ogni particolare, dal neo sotto l’occhio di mia madre alla ruga di espressione di mio padre, fino alle mani esili di mia sorella. Per la prima volta in tutta la mia vita, non voglio lasciarli. Vorrei rimanere tutto il giorno a casa, seduta sul divano con loro, in silenzio, a contemplare i loro volti e i loro corpi. Ma non posso. Mi trattengo qualche secondo più del dovuto e già ricevo un’occhiata di rimprovero da mio padre. Loro non sanno che è la fine, penso, per loro niente è cambiato.

-Ciao, mamma. Ciao, papà. Buon lavoro.- dico, prima di uscire dalla porta, prima di poter ricevere altri strani sguardi o parole.

-Buona scuola, Terrie.- continuo, rivolta a mia sorella, quando siamo entrambe sull’uscio di casa. Lei è incerta, prima mi guarda con sospetto, poi rilassa un po’ i muscoli del viso. –Si, grazie… anche a te.- mi risponde, quasi forzatamente.

Mi incammino per andare a scuola, sorridendo a ogni vecchietto che vedo affacciato dalle finestre o dai balconi, a ogni adulto che corre freneticamente verso il lavoro.

Noto cose di cui prima non mi era importato niente, come la linea perfetta tra una foglia e un’altra di un alberello su un balcone, o il colore graduato delle case più antiche. Non posso fare a meno di guardare anche la scuola con occhi diversi. I professori, che si distinguono tutti per la luce spenta negli occhi, segno di chi si è arresso alla vita già da molto tempo. Gli alunni, che non sono tutti uguali, almeno loro. Pensano di passare inosservati con gli stessi vestiti e le stesse espressioni sul viso, ma non sanno che sono gli occhi che parlano e spiegano molto più di quanto riesca la bocca. E nei loro occhi sto leggendo più cose di quanto abbia mai fatto su un libro. C’è chi è felice e convive bene con questo stile di vita. Chi, come i professori, ha cercato di combattere ma poi si è dovuto arrendere e ha gli occhi spenti e inespressivi, già a quest’età. C’è chi, invece, ha una luminosa luce negli occhi, che sembra non spegnersi mai. Questi vanno avanti a testa alta, con andatura regolare, negli occhi lo scintillio folle di chi ha provato armi da fuoco. Noi dell’associazione siamo i più vivi tra tutti.

Per questo non posso che provare compassione, nei confronti di quelli che gli occhi ormai li hanno spenti. Perché non avranno più un’occasione di riaccenderli.

 

Chiunque sia tanto sfortunato da incontrare il mio sguardo, oggi, riceve un sorriso in cambio. Alcuni sono straniti, altri lo ricambiano. Ed è questo che mi fa felice, veder sorridere la gente e fargli provare, anche solo per un istante, la brezza della felicità pura e ingenua. Anche dei professori ricambiano il sorriso e mi sembra di scorgere, per meno di un attimo, un lieve scintillio nei loro occhi grigi. Com’è grigio tutto quanto. Ma è sorprendente come un gesto così piccolo come un sorriso possa rendere migliore la giornata di qualcuno. A pranzo parlo con chiunque non sia dell’associazione, nei dodici minuti. Quest’improvvisa socialità e voglia di parlare spaventa alcuni, in un primo momento, ma sono adolescenti, quindi si lasciano subito andare. Rido, scherzo e rallegro una quarantina di persone, ma non singolarmente. Mi sento un tantino meno in colpa, in questo modo. Anche se, forse per l’unica volta, non ho davvero nessuna colpa di quello che succederà. Ma non posso perdonarmelo comunque. Così faccio quello che dovrebbero fare Liam e Buck e rimedio ai loro errori. Per quanto posso.

A casa, purtroppo, non ho la stessa possibilità. Però cerco almeno di sorridere ai miei familiari, sperando che mi ricordino così: con un sorriso presente sul volto. Poi mi rendo conto della crudeltà della cosa e spero solo che, anche se è impossibile, si salvino. Loro e tutti gli altri.

Dopo non dormo e faccio solo finta di eseguire i compiti, perché la mia mente è altrove. E poi, se tutto va secondo i loro piani, non mi servirà a niente.

La prima cosa che faccio appena il guardiano - che saluto con un sorriso- va via, è cercare Zayn. Devo parlargli.

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Capitolo 10
*** Facciamolo ***



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-Zayn!- si gira lentamente verso di me e sorride. Non subito, prima mi scruta in volto, poi sorride, quasi rassegnato. –Devo parlarti.- gli dico, quando siamo vicini.

-D’accordo.- mi risponde lui piano.

Lo conduco fuori dalla piazza dove eravamo, fino ad arrivare agli alberi. Supero anche quelli e mi fermo solo in una piccola radura, dove possiamo sederci e parlare tranquillamente. Ed è proprio quello che dobbiamo fare: parlare tranquillamente. Perché argomenti così sottili, non si possono dire in cinque secondi, di fretta e furia. In fondo, gli sto per annunciare che la sua città sarà distrutta.

-Liam e Buck- inizio, digrignando i denti mentre pronuncio i loro nomi. –Mi hanno detto che missione facevano.- Zayn annuisce assorto, capendo che è essenziale che sia concentrato, mentre parlo. –Loro… hanno fatto un patto. Con la Turchia, che è il nemico.-

-Perché?- mi chiede Zayn spalancando gli occhi inorridito, ma senza scomporsi e tenendo un tono calmo.

-Hanno pensato fosse necessario. Per mettere in atto un loro piano.-

-Ovvero? Arriva al dunque, per favore.-

-Vogliono distruggere Holmes Chapel.- dico, usando la stessa espressione di Liam. Distruggere. Definitivamente. 

Zayn non dice niente, fissa il mio viso, ma non sta guardando me. Ha gli occhi persi nel vuoto, caretteristici di qualcuno che sta pensando intensamente a qualcosa.

-Perché?- mi chiede di nuovo.

-Pensano che così saremo… più ‘liberi’, diciamo.-

-E tu cosa ne pensi?-

-Credo che sia un’idiozia!- esclamo. –Non è una ragione sufficiente per uccidere tutti!-

-Si, è vero. Ma c’è qualcuno cui tieni davvero, in questa città?- mi prendo qualche secondo per pensare. Però non sto riflettendo sulla domanda in sé, cioè se tengo a qualcuno, ma su ciò che questa sottintende. Sta cercando di farmi cambiare opinione, anche lui pensa che sia meglio distruggerla. Che razza di gente frequento, io?!

-Li sostieni? Pensi davvero che questo servirà ad aggiustare qualcosa?-

-Non lo so e per fortuna non sono io a decidere se farlo o no. Eppure penso che sarà un grande miglioramento. Insomma, pensa bene a questo posto, non potremo mai essere felici qua!-

-Davvero non ti mancherà niente… o peggio, nessuno?- gli chiedo in un sussurro.

-Beh, in effetti, il mio cane…-

-Tu non hai un cane.- lo interrompo velocemente. Non possiamo averne.

-Si, vive nei boschi. Gli ho costruito una specie di cuccia. Vado a trovarlo e lo nutrisco, mi mancherà tantissimo.- Possibile che soffra più a pensare al suo cane morto che alla sua sorellina messa a tacere dopo pochi mesi di vita? Davvero noi umani siamo talmente senza cuore da preferire salvare un cane, piuttosto che un nostro pari? Con questo non penso che i cani, in generale, non vadano amati, ma come preferire salvare la loro vita piuttosto che quella umana?

Saluto velocemente Zayn e vado a casa per la cena.

Ora sono l’esatto opposto di quello che ero stamattina. Adesso anch’io inizio a pensare che sia una cosa buona. Perché nessuno di noi si merita la vita.

Nessuno che desidera la morte di qualcun altro, o che non voglia impedirlo, merita di vivere. E sono sicura che in questa città tutti, dal primo all’ultimo, se fossero stati in Zayn mi avrebbero risposto la stessa cosa. Che era meglio così e gli dispiaceva solo per il cane. Perché tanto loro si salvavano, cosa gli importava?

Questi ragionamenti non fanno davvero una piega. Importa eccome, se si tratta di vite umane, nostri simili. In questo momento provo odio profondo per tutta la razza umana, alla quale appartengo.

Però neanche ora, se ci rifletto, studierei un complotto per uccidere tutta la mia città. In effetti, non ucciderei neanche una persona innocente, neanche una. È contraddittorio, giacchè sono un soldato a tutti gli effetti. Ma quando vado in guerra, o nelle missioni, non ho altra scelta. O uccido loro o loro uccidono me.

Nella vita ‘reale’, fuori dal campo di battaglia, non si ragiona così. Perché nessuno è pronto a ucciderti da un momento all’altro, la scelta la hai, eccome se la hai.

 

Dopo cena entro nella mia camera. Però non aspetto che si facciano le nove e mezzo per uscire, mi calo dalla finestra e corro per la via. Lancio dei sassolini alla finestra di Zayn, e, quando spunta il suo volto, gli mimo di scendere.

-Non me ne frega quello che pensi tu. Dobbiamo fare qualcosa.- gli dico velocemente e a bassa voce. Lui ci pensa su, valutando le mie parole e ciò che potrebbero comportare.

-Cosa?- scandisce lentamente, guardandomi negli occhi.

Si, bella domanda. Che cosa possiamo fare? Dobbiamo impedire che la Turchia bombardi Holmes Chapel. Che cosa possiamo fare?

A un tratto ho un’idea e mi chiedo come ho fatto a non pensarci prima.

-Andiamo in Turchia.- dico, come se fosse la cosa più ovvia e semplice del mondo.

Non mi risponde, ma la luce nei suoi occhi e il sorriso sulle sue labbra mi dicono che vuole farlo. È la sua prima missione e la fa anche senza autorizzazione, penso distrattamente. Forse gli piace di più così. Ma la verità è che non so neanch’ io in cosa ci andremo a cacciare.

 

Entriamo al comando e non troviamo nessuno, per fortuna. È troppo presto, infatti.

-Nell’armadietto di Buck potremmo trovare qualcosa che ci servirà.- dico a Zayn.

-Perché io non ho un armadietto?- mi chiede lui.

-Solo Buck e Phillips l’hanno.- e il motivo è evidente, anche se devo comunque spiegarglielo. Phillips è il capo, quindi deve avere un posto per conservare tutti i file delle missioni da fare e già fatte. Buck ci mette i fogli con i suoi appunti riguardo i ragazzi che segue.

Sull’armadietto c’è un codice che si deve inserire per farlo aprire, ovviamente io lo so.                       È il giorno in cui Phillips l’ha incontrato: 04/11/2002, ma il codice è di quattro cifre quindi inserisco 4112 e lo accetta. Me l’aveva detto tempo fa, quando gli serviva che gli portassi un foglio. Vediamo, appunto, tantissimi fogli pieni di nomi e di scritte. E tra questi non si può non vedere una cartella gialla, che si distingue dal resto.

Do una fugace occhiata a Zayn e la apro. C’è un indirizzo e il nome dell’uomo con cui hanno organizzato tutto. Perfetto, basta questo.

-Te la senti?- chiedo a Zayn, chiudendo la cartella velocemente.

-Facciamolo.- mi risponde lui con un sorriso.

Trascrivo i dati su un foglio bianco e ripongo tutto in modo che non si capisca quello che abbiamo fatto.

Poi prendo delle armi e due giubotti anti-proiettile che indossiamo.

Quando siamo sul treno, chiedo a Cesar di portarci in Turchia. Secondo me lui vive qui dentro, ogni volta che vengo c’è sempre. È possibile che ci sia anche il pomeriggio.

-Aspettaci dopo, non andare via finchè non torniamo.- dico a Cesar. Quando si fanno missioni non autorizzate è bene andare solo con Cesar, che rispetta il segreto. Giordan dice tutto a Phillips e poi sono guai.

Quando arriviamo, ci troviamo proprio in un accampamento di soldati, quindi qui vicino ci deve essere il luogo di battaglia.

Dobbiamo andare subito via, anche se loro non sanno che siamo inglesi, non possiamo rimanere qui.

Quello che penso è confermato da un soldato turco che ci vede e urla: - Defol buradan, çocuklar! -

Non capisco niente di quello che dice, ma il gesto che fa con le mani è palese: non possiamo trattenerci oltre. Corriamo via e cerchiamo di capire esattamente dove siamo. Secondo le informazioni di Buck il luogo dove dobbiamo andare non è molto lontano da qui, quindi ci incamminiamo.

-Cosa vuoi fare, precisamente?- mi chiede Zayn, quando siamo fuori dall’edificio.

-Provare a trattare, credo…- gli rispondo titubante.

-E se non funziona?-

-Combattiamo.-

Entriamo nell’edificio che, all’interno, è tutto bianco, il che lo rende molto luminoso. Ci avviciniamo a una signorina per chiederle se sa dov’è Güçlü, e lei ci dice di andare fino all’ultimo piano, dove c’è il suo ufficio.

Non prendiamo l’ascensore per colpa mia, che per qualche motivo non mi fido, quindi facciamo sette piani a piedi e all’arrivo siamo sfiniti. Busso decisa alla porta del signor Güçlü ed entro.

Essendo il capo di tutta questa missione, lo avevo immaginato vecchio e pieno di rughe sulla fronte. Con un’espressione costantemente riflessiva e l’aspetto di chi ne ha passate tante.                                                                                                                                                                   Invece ci troviamo davanti ad un uomo giovane, una trentina d’anni al massimo, dall’aspetto forte e vigoroso. I folti capelli neri sono laccati all’indietro e gli occhi ridotti a due fessure, mentre ci scrutano. Si alza e penso che sarà circa un metro e ottanta, e che peserà molto. Perché ha tantissimi muscoli ben sviluppati.

Non sorride mentre ci dice: - Sen de kimsin? Siz ne yapıyorsunuz?-

Ovviamente non capisco ciò che ha detto, ma per aver parlato con Liam e Buck deve conoscere anche l’inglese. –Puoi parlare in inglese?- gli chiedo.

-Siete inglesi?- mi risponde lui sospettoso, nella mia lingua.

-Amici di Liam e Buck, penso che lei li conosca.- l’espressione sul suo viso si alleggerisce. –Certo. Allora, cosa volete?-

-Annullare tutto.-

-Cosa?!- chiede Güçlü spalancando gli occhi di scatto.

-C’è stato un cambio di programma. Voi avete fatto ciò che volevate, adesso non vi chiediamo niente in cambio. Non dovete più farlo, semplice.- sono io a parlare, ma non ce la farei se Zayn non mi tenesse stretta la mano per rassicurarmi. E per darmi forza. –I tuoi amici sanno che siete qui?-

-Si, ci hanno mandato loro. E dobbiamo tornare tra poco.-

-Bene. Andate pure, allora. Annullo tutto, come richiesto.-

-Arrivederci.-

-No, non ci rivedremo. Ricordate che il patto è finito.- dice Güçlü e prima di chiudere la porta sussurra velocemente qualche altra cosa in turco che non capisco.

Guardo Zayn soddisfatta e lo abbraccio fortissimo, ci siamo riusciti!

Ce l’abbiamo davvero fatta ed è andato tutto liscio come l’olio! Neanche un imprevisto, niente! E’ stato semplicissimo.

Usciamo da quell’edificio e ci dirigiamo nuovamente verso il treno, per tornare a casa. Se siamo fortunati, arriveremo al comando prima ancora che ci sarà Phillips. E gli altri due.

Ma non può andare tutto bene: liscio come l’olio, ma quando mai? Nessuna missione è stata così semplice, doveva esserci un intoppo, no? Beh, in questo caso è che abbiamo sbagliato strada e ci troviamo sul campo di guerra, tra i soldati che combattono.

-Prendi il fucile e fai quello che faccio io!- urlo a Zayn. Una scarica di adrenalina mi attraversa il corpo e mi fa pulsare forte le vene. Inizio a correre cercando tenendo alto il fucile, poi arriva una serie di colpi diretti a noi. Rotolo per terra, salto e mi scanso in qualsiasi modo. Però tiro anch’io. Non contro i nostri, perché sarebbe inutile, ma contro i Turchi. Quando gli inglesi vedranno che siamo dalla loro parte smetterano di puntare a noi e a quel punto avremo un solo nemico comune.

- Onları öldürmek! – gridano i Turchi. - Onları öldürmek! –

Guardo un soldato inglese e dopo qualche secondo questo mi fa cenno di avvicinarmi, così corro da lui, seguita da Zayn. –Perché siete qui?- sbraita il soldato.

-Non c’è tempo per spiegare, dobbiamo andare via!- ribatto io velocemente. Non so perché lo faccia, non so perché si fida. Eppure ci dà una scorta e questi ci accompagnagno fino al treno. Ne muoiono due.

Ma noi siamo sani e salvi. Magari non proprio sani, poiché, girandomi verso Zayn, vedo che gli sanguina il braccio.

 

Ogni tanto al comando guardiamo dei film, nel tempo libero. Beh, in realtà soprattutto di guerra, per ‘abituarci’ (anche se nessuno di questi può minimamente avvicinarsi alla vera distruzione che essa porta). In questi film, in situazioni analoghe alla nostra, ora che stiamo scendendo dal treno, i protagonisti camminerebbero con la schiena eretta, i capelli scompigliati perfettamente dal vento e un’espressione soddisfatta sul volto. Noi siamo tutt’altro. Il mio viso è preoccupato, quello di Zayn sofferente. Lui è piegato dal dolore al braccio, perché è la sua prima ferita ed io cerco di distrarlo. Il vento non c’è.

 

Al comando ancora non sono arrivate molte persone, quindi andiamo indisturbati verso ‘l’ospedale’. Lì ci togliamo i giubbotti, posiamo le armi e torniamo normali, poi chiamo una dottoressa per fargli visitare il braccio di Zayn.

-Lei esca, per favore. Dopo lui la raggiungerà tranquillamente.- mi dice la donna.

-D’accordo.-

Stavolta c’è molta più gente, compreso Phillips. Compresi Liam e Buck. Loro non sanno ancora niente, credo. Ma non voglio rovinargli la sopresa, anche se devo ammettere che non vedo l’ora che lo scoprano.

Gli rivolgo un grande sorriso, poi vado a sedermi.

-Leena, vieni anche tu.- mi dice Phillips riguardo alla missione del giorno. No, proprio no. Dopo tutto quello che ho fatto, non ce la faccio a fare un’altra missione oggi.

-Scusa Phillips, oggi non ce la faccio.- gli rispondo. Lui annuisce e se ne va seguito dagli altri e da Liam e Buck.

È così che hanno fatto anche loro? Ogni volta che sono andati in Turchia per organizzare il piano, hanno semplicemente detto a Phillips che non volevano fare la missione? Li immagino già…

‘Ragazzi, voi in missione.’

‘Scusa Phillips, non ce la facciamo. Faremo allenamento per un po’.’

E Phillips, come con me, ci ha creduto. Perché non farlo, contando che sono i suoi migliori soldati? Peccato che siano dei traditori.

Non vado neanche all’allenamento oggi. Aspetto al comando finchè Zayn non esce dall’ospedale e dopo stiamo un po’ insieme lì. Lui è eccitatissimo per la sua prima missione e pensa anche che sia magnifico che ci curino così in fretta.

 

Buck e Liam tornano giusto in tempo per andare a casa. La campana suona.

Si scambiano uno sguardo d’intesa, senza sorridere, poi mi guardano. Io, d’altra parte, gli lancio un sorriso enorme. Mi guardano interrogativi e, sotto il loro sguardo, mi arrampico sulla corda.

Esco dal buco dietro l’albero e mi affaccio sulla realtà. Si, sulla realtà. Non su una nuova realtà, perché è sempre la stessa. Ogni cosa è al suo posto, come pensavo. Come deve essere.

Quando mi sposto sale immediatamente Liam, seguito da Buck, poi da Zayn. Immaginavo che fossero stati loro i prossimi a venire, ma, mentre Zayn mi affianca, gli altri due mi guardano in un modo tale che potrebbero incenerirmi.

-Che è successo?- mi chiede Liam a denti stretti.

-Niente, non vedi? È tutto al proprio posto. Non è successo proprio niente, e niente doveva succedere.- rispondo io tranquilla, con un sorriso e una scrollata di spalle.

-Non credere che sia finita qui. Contatteremo di nuovo i Turchi, qualsiasi cosa tu abbia fatto o detto sarà annullata, dalle nostre parole. Se non è oggi sarà domani, altrimenti tra due giorni. Succederà, Leena.- per qualche motivo, il fatto che mi abbia chiamato con il mio soprannome, ora che lo considero niente più di un essere –perché non sono sicura che sia umano- mi fa imbestialire. Tiro Zayn con me e vado via.

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Capitolo 11
*** Amici ***



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Liam e Buck mi sono letteralmente caduti dal cuore. Gli volevo tantissimo bene, sono le uniche persone che ero davvero sicura di amare e ora…? Hanno rovinato tutto. Forse sono sempre stati così ed io non me ne sono mai resa conto. Non si può cambiare tanto da un giorno all’altro. Eppure secondo me c’è qualcun altro compreso in tutto questo, oltre a loro. Per quanto siano intelligenti e astuti, non credo che sarebbero stati in grado di pensare così in grande.

-Tutto bene?- mi chiede Louis. Gli rispondo con un semplice cenno del capo.

-Oh, s’immerge spesso nei suoi pensieri.- dice Zayn. Siamo in piazza, seduti sul piccolo prato di fianco alla fontana. Ho accettato di venire perché Zayn mi ha supplicato, in pratica, altrimenti, sarei rimasta volentieri a casa a dormire. Senza contare che non conosco per niente Louis e non mi va di conoscerlo.

Non è perché voglio essere ostile o cose del genere. Semplicemente ho già perso le due persone di cui mi fidavo di più al mondo, quindi non voglio affezionarmi ad altri. Contando che già l’ho fatto con Zayn e ho paura che possa tradirmi da un momento all’altro.

Eppure in questo momento vorrei che il tempo si fermasse. Io, Zayn e Louis seduti sull’erba a parlare per sempre. O anche senza parlare. Semplicemente così.

Per non dover affrontare missioni, per non dover andare contro Liam e Buck.

Perché mi sto stancando di questa vita piena d’azione, se include il dover andare contro i miei ‘amici’.  E sono sicura che dovrò farlo, perché Liam e Buck non si arrenderanno. Ed io dovrò fermarli ancora.

Ovviamente Zayn sarà al mio fianco e magari ci sarà anche Louis, stavolta. Però ho paura anche di questo, perché anche loro potrebbero stancarsi ed io rimarrei sola.

 

Beh, ovviamente il tempo non si è fermato ed è ora di cena, quindi ci ritiriamo ognuno a casa propria. Ceno tranquillamente, non più pervasa dalle riflessioni di ieri, perché so che qualsiasi cosa vogliano fare riuscirò a contrastarla.

Vado a letto e mi concedo solo dieci minuti di sonno prima di andare, voglio arrivare subito, seguire quei due.

Quando arrivo al comando, non avrebbe dovuto esserci nessuno, invece, con mia grande sorpresa, inconro Phillips. Sarebbe una buona occasione per dirgli tutto, dovrei farlo? Potrebbe aiutarmi, magari. –Phillips.- dico a voce bassissima. Ora me ne pento. Spero tanto che non abbia sentito, che m’ignori completamente. Non so perché.

-Che c’è, Leena?- ovviamente mi ha sentito. Ma posso comunque non dirglielo. E per quale motivo, poi? Non potrebbe fare altro che aiutarmi, no?

-Devo… dirti una cosa.- gli dico lentamente.

Lui si gira verso di me. –Cosa?- così gli dico tutto, di Liam e Buck e di quello che vogliono fare. Aspetto con ansia una sua reazione, che dica qualcosa di confortante. Invece sta zitto. Sta zitto e mi guarda. La sua mente, forse, è impegnata in riflessioni troppo complicate e contorte per poterle esprimere a parole.

-Ci parlerò io.- dice Phillips infine.

Ora sono molto più sollevata, perché Phillips sa tutto ed è dalla mia parte, può aiutarmi in ogni cosa che mi si presenti davanti.

Quando vengono tutti, vedo Phillips prendere in disparte Liam e Buck, quindi, sollevata, mi dirigo con Zayn e Louis all’addestramento.

E’ da un po’ che non mi alleno, in effetti. I miei muscoli hanno perso il costante esercizio e di questo sono davvero molto dispiaciuta quindi inizio subito un allenamento intenso, di quelli che si fanno poco prima di una missione.

-Leena è da tanto che non ti alleni. – osserva giustamente il coach. –Non puoi fare questi esercizi.-

-Si, invece.- lo liquido velocemente. Sono sempre stata gentile con lui, ma oggi non ne ho proprio voglia. L’unica cosa che voglio, ineffetti, è tornare al comando e sapere cosa ha detto Phillips a Liam e Buck. E come hanno reagito.

E, forse, sapere se si sono tolti dalla testa quelle stupide idee. Se sono tornati come prima. Non che m’interessi.

Cedo alle lamentele del coach dopo mezz’ora, perché non ne posso più di sentirlo parlare, quindi vado un po’ a riposare.

-Niall!- dico, è da tantissimo che non lo vedo.

-Qual buon vento!- ride lui. –Come mai tanto impegnata ultimamente?-

-Ah, niente di che.- gli dico. Ma dopo gli racconto tutto senza esitazioni. Perché lui è mio amico, e inoltre non è di Holmes Chapel quindi avrà un giudizio completamente distaccato. Ed è quello che mi serve: un parere da fuori.

Appena finisco di parlare, Niall fa una lunga pausa. Ora mi aspetto il peggio. Ovvero che lui sta prendendo tempo per dire che è d’accordo con gli altri, e sarebbe tutto più semplice senza Holmes Chapel. Gli ho raccontato tutto proprio per sentire il suo parere, ma forse non sono pronta.

-No. Non devono assolutamente farlo.- dice Niall di botto, sbattendo le palpebre più volte, come per cacciare via dei brutti pensieri.

Sento le mie guancie ardere e gli occhi illuminarsi, mentre il sorriso compare lentamente sul mio volto.

No. Non devono assolutamente farlo.

E’ d’accordo con me. Sì, pensa che io abbia ragione. Ho trovato qualcuno che è dalla mia parte! Beh, oltre a Phillips, ma con lui non posso escogitare grandi piani. Ho Niall.

In questo momento una felicità insensata mi attraversa tutto il corpo, fino ad arrivare al cervello, che manda l’ordine ai muscoli di muoversi e abbracciarlo. Succede tutto di fretta, mi alzo verso di lui e lo stringo un fortissimo abbraccio.

Qualcuno tossisce. Non è Niall perché è dall’altro lato della mia spalla e me ne sarei accorta. Sciolgo l’abbraccio e cerco la persona che ha tossito.

Zayn.

Lo guardo sorridendo perché sono felicissima e non riesco a pensare a niente, neanche al motivo per cui ha tossito. Un lampo di gelosia gli schizza negli occhi quando si sofferma a guardare Niall, e svanisce così com’è venuto: in un attimo.

E in quell’attimo il mio sorriso si spegne.

-Lui è Niall, un mio amico.- lo presento un po’ sulla difensiva.

Sei bella anche con gli occhi rossi. Sei bellissima, Eveleen. Qua sì che c’è posto per noi. Io so solo che qui possiamo essere felici, insieme.

Non mi sono scordata delle parole di Zayn, nonostante provavo a non pensarci. Eppure il suo sguardo mi ha fatto tornare tutto in mente.

Ma che ci posso fare se gli piaccio? Non butterò tutto al vento per un amore, se si può chiamare così, momentaneo. Devo concentrarmi su due cose, ora.

-L’associazione.

-Salvare Holmes Chapel.

Ovviamente non mi voglio isolare con questo, ho bisogno dei miei amici, ma solo di amici. L’amore porta solo complicazioni, ne sono al corrente persino io che non ne so niente.

Non è vero che l’amore fa girare il mondo, lo fa precipitare. E nel mio caso questo è proprio adatto: sarebbe una distrazione e se mi distraggo, non riuscirò a fare niente perbene e Holmes Chapel potrebbe essere davvero spacciata.

Niente amore, punto.

-Piacere Niall, sono Zayn.- dice Zayn con un sorriso visibilmente forzato. Niall non lo nota ed io faccio finta di non averlo visto. Niall è sempre allegro, gli stringe la mano entusiasta e sorride compiaciuto. Poi si gira verso di me, alza un sopracciglio e indica impercettibilmente Zayn con la testa. Una domanda: lui lo sa? Annuisco.

-Allora… missione salviamo Holmes Chapel, eh?- dice Niall sorridendo e grattandosi la testa, un po’ in imbarazzo. Anch’io mi sentirei in imbarazzo, se Zayn mi guardasse così male. Mi meraviglio che Niall non sia ancora morto. Ci sono alcune persone che sanno uccidere con la sola forza del pensiero… o almeno dicono così usciti dal manicomio.

-Si, beh, ovviamente noi ci teniamo molto.- risponde Zayn, soffermandosi sul ‘noi’.

Sbuffo. –Già anche Niall. Ora continuo l’allenamento, ciao Zayn, ciao Niall.- dico e li saluto entrambi con un bacio su una guancia.

Me ne vado alla svelta e raggiungo la parete da scalare. Ahh, finalmente la mia pace. Mi sporgo un po’ più del dovuto per vedere se Niall e Zayn stanno ancora parlando, ma non riesco a localizzarli. Poi vedo la cresta di Zayn e in seguito il biondo ossigenato di Niall, sì, sono ancora insieme. Li osservo per un po’, ma sembrano tranquilli e, passato un po’ di tempo, ridono insieme.

Ora è Harry che cerco, mi piacerebbe dire tutto anche a lui.

Due ragazzi di Mullingar sono sempre meglio che uno.

Faccio scorrere lo sguardo lungo tutto il perrimetro del campo, di un campo che non è il mio. Ora che ci faccio caso questo è più grande. Ma è anche vuoto, perché non ci sono ricordi collegati a esso.

Quando trovo Harry è alla postazione del sollevamento pesi e mi sorprendo nel vedere quanto solleva. Migliora ogni giorno di più.

Scendo, mia malavoglia, dalla parete e lo raggiungo correndo. Quando mi vede arrivare sorride e gli cade un peso a terra. È sempre talmente incapace alla presenza di gente. Lo aiuto a prendere il peso e poi mi siedo davanti a lui, con un sorriso che non promette niente di buono.  –Ciao.- dico con tono adulatorio. Mi rivolge un’occhiataccia prima di chiedermi: -Cosa vuoi, Leena?-

Alzo gli occhi al cielo e sospiro, poi racconto –per la terza volta in una giornata- tutta la storia. So che Harry non la prenderà bene quanto Niall, perché è più affezionato a Liam e Buck, soprattutto a Liam. Niall, invece, è sempre stato piuttosto riservato con loro, nonostante fossero amici.

Al contrario di Niall lui risponde subito con un: -Sono dei cretini.- e inizia a invenire contro i suoi amici, dicendo che non capiscono niente e che le loro idee sono troppo avventate e catastrofiche. D’istinto stavo per dirgli di smetterla di parlare male di loro, ma mi fermo, perché penso esattamente le sue stesse cose.

Due ragazzi di Mullingar dalla mia parte, perfetto.

Ahhhh. Liam, Buck, non vi mettete contro di me, anch’io ho le mie risorse.

Porto Harry da Zayn e Niall, per fargli vedere i suoi compagni di missione, nel caso si presentasse l’occasione. Si salutano tutti con veloci strette di mano.

-Beh, a questo punto chiamo anche Louis.- dice Zayn un po’ irritato. Non dà tempo a nessuno di parlare che già corre urlando a gran voce il nome dell’amico. Lo osservo mentre raggiunge Louis e gli dice qualcosa, prima che si dirigano nuovamente entrambi da noi.

-Beh, ma Louis non sa.- dico irritata, non mi va di spiegare di nuovo.

-Gli ho detto tutto, tranquilla.-

-Quando?- no, non sono tranquilla se dici a tutti questi segreti.

-Quando sei andata a dirlo a questo riccio. A questo punto poteva saperlo anche Louis.- sì, bene, ha ragione. Ed è innegabilmente geloso… poverino.

Campana. Dobbiamo tornare al comando.

Saluto Harry e Niall e mi dirigo, con Zayn e Louis, verso il lato opposto, dove dobbiamo prendere il treno.

Sono sollevata vedendo Phillips, Liam e Buck al comando. Ora posso parlargli.

Mi avvicino a loro, con Zayn e Louis alle calcagna, ma non dico niente. Semplicemente perché prima che riesca a parlare Phillips mi mette un dito davanti alla bocca e mi fa cenno di seguirlo.

Entriamo nella stessa sala, dove Liam e Buck mi hanno detto delle loro missioni e questo mi porta a dirigere lo sguardo su di loro. Non so di preciso che occhiata è, se da cane bastonato o da lupo che vuole sbranarti, credo un misto. Non riesco a fare bene nessuna delle due cose, in questo momento.

Zayn e Louis entrano nella sala e Phillips non dice niente, quindi non protesto.

Ci sediamo tutti quanti. Aspetto impazientemente che Phillips inizi a parlare.

-Eveleen…- comincia lui.

No. Non può essere dalla loro parte, non può pensare che le loro malsane idee siano giuste. No. Mi ha chiamato Eveleen solo per coincidenza, punto.

-Abbiamo parlato tutta la notte, con Liam e Buck, intendo.- ma dai? Non l’avevo capito, giuro. Cerco di sdrammatizzare nella mia testa, perché altrimenti scoppierei subito a piangere. Non c’è bisogno che dica tutte queste cose, si capisce tutto già dal fatto che mi ha chiamato Eveleen. Non è una coincidenza. –Penso che abbiano ragione.- ecco, appunto. Phillips, no!

Sono stata convinta dal primo momento che lui mi avrebbe appoggiato. Che stupida! Che gli importa a lui di Holmes Chapel? Lui ha la sua bella e libera Londra.

Che gli importa a lui dei cittadini? Lui ha noi soldati.

-Non sono d’accordo.- ribatto piano, ma con crescente rabbia.

-Non importa. Finchè l’operazione non sarà completata non potrai usare il treno se non ci sono almeno trenta persone con te.- risponde freddamente Phillips.

E ora come faccio?, penso, Non posso fare niente se rimango a Holmes Chapel o al campo.

Perché sono tutti così sviati mentalmente? Però non devo gridare contro Phillips, o cose del genere. Per quanto ne so, potrebbe anche segregarmi a vita al campo e non ci tengo per niente.

Ovviamente questo non significa che io mi sia arresa, anzi.

L’ho già fatto una volta e sono stata depressa per tutta la giornata, ora è il momento di agire e in un modo o nell’altro ci riuscirò.

-D’accordo, Phillips.- dico con tranquillità, mentre la mia mente lavora frenetica pensando a cosa fare.

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Capitolo 12
*** Niart ***



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A scuola non riesco a concentrarmi sulle lezioni. Lancio occhiataccie a Buck e penso, penso e penso ancora. Che cosa possiamo fare?

Beh, la cosa positiva è che so già con chi farlo.

 

Appena arrivo al campo insieme a Zayn, Louis e altri ventisette (li ha contati Phillips in persona) ragazzi, trovo Niall e Harry che mi aspettano impazienti.

Mi guardano interrogativi e aspetto che Zayn e Louis mi affianchino per dire: -Dobbiamo fare qualcosa.- annuiscono. Hanno capito.

Il problema, uguale a quello di stamattina, è cosa. Ma cinque menti funzionano meglio di una, no?

-Allora, riflettiamo. La scorsa volta siete andati in Turchia… andiamo di nuovo lì.- propone Louis. Si, siamo andati in Turchia. E abbiamo parlato con Güçlü, convincendolo a ritirare l’ordine. Ma lui l’ha fatto solo perché aveva già avuto ciò che voleva. Quindi dovremmo offrirgli qualcosa altrettanto preziosa? Tipo?

‘-Bene. Andate pure, allora. Annullo tutto, come richiesto.-

-Arrivederci.-                

-No, non ci rivedremo. Ricordate che il patto è finito.-‘

Ricordate che il patto è finito. –Non possiamo tornare in quel luogo, ci uccideranno sicuramente!- dice Zayn, un istante prima che lo facessi io. Anche lui ha sentito le parole di Güçlü.

Ma allora cosa possiamo fare? Di certo non possiamo andare in ogni stato nemico per vedere con quale hanno fatto un altro patto. Beh, in realtà non potremmo andare da nessuna parte, penso. Ci hanno proibito l’accesso al treno. Però questo è un problema che si affronterà dopo, prima dobbiamo capire cosa possiamo fare. Magari Buck ha i fogli nell’armadietto, come la scorsa volta. O forse li ha Phillips, ma non sarà difficile indovinare il suo codice. Una volta mi disse quello del suo telefono (lui che è di Londra può averlo) e si lasciò sfuggire che metteva ovunque lo stesso. 7339. Non so che significato abbia, ammesso che lo abbia.

Però per vedere negli armadietti dovrei aspettare domani, perché non posso tornare solo con loro.

-Non possiamo muoverci.- dico, seguendo il mio filo di pensieri.

-Cosa?- chiede Harry.                                                  

-Non possiamo prendere il treno, eccetto che non ci siano trenta persone sopra.-

-Raduniamole.-

-Il coach non lascierà mai andare così tanta gente.- Deve esserci una soluzione, deve. C’è sempre una soluzione, a volte anche più facile di quanto si pensi. Qual è?

-Ma certo! Il vostro treno!- esclamo, rivolta ai miei amatissimi ragazzi di Mullingar. Sono sempre più convinta che sia stato un bene rivelargli tutto.

Annuiscono tutti felicemente, soluzione trovata. Però i ragazzi di Mullingar vengono a piedi a questo campo, giacché è abbastanza vicino, quindi dobbiamo arrivare al loro comando e prendere il treno da lì.

Ci incamminiamo e Niall e Harry sono in testa, per guidarci fino al loro comando. Ci inoltriamo nei boschi: Zayn cade più volte, non penso che la scorsa volta fosse dovuto alla stanchezza. Louis lo aiuta sempre a rialzarsi, ma io mi sto davvero spazientendo. Possibile che non sa camminare in mezzo agli alberi? Adesso ci sono anche dei luoghi, dove si riesce a camminare e altri in cui non si riesce?! Andiamo, Zayn! Riprenditi.

-Riesci a percorrere due metri senza cadere?!- sbotta Niall irritato al massimo. Come me. Guarda Zayn in attesa di una risposta, ma lui si rialza, si strofina i pantaloni e continua a camminare indisturbato. Almeno fino alla prossima caduta.

Può essere bravo quanto vuole sul terreno spianato, ma se non sa affrontare i boschi allora non è adatto.

‘-Piangi pure.-‘

Non sapeva cosa mi fosse successo, eppure mi aveva subito offerto conforto e protezione, per quanto potesse. E adesso io che facevo? Lo maledicevo mentalmente soltanto perché inciampava.

-Dai, poggiati a me. Magari va meglio.- dico a Zayn, e lui mi cinge le spalle con un braccio e mi sorride. Mi accorgo che tutti ci guardano.

-Un maschio. Che si fa aiutare da una femmina. Che disonore!- borbotta Harry contrariato, riprendendo a camminare. Maschilista.

Adesso va meglio: Zayn continua a inciampare, ma almeno lo fermo prima che possa cadere, il che è un notevole miglioramento. Non capisco cos’hanno i suoi piedi contro il terreno dei boschi.

Nel momento in cui i miei piedi toccano il suolo normale, non la terra, tiro un lungo sospiro di sollievo. –Zayn, puoi lasciarla ora.- dice Harry, mentre io fisso divertita Zayn che si tiene ancora stretto. –Già, ora dovresti saper camminare.- aggiungo ridendo. Tutta la faccenda ha un che di comico. Zayn mi lascia ma non si fa intimidire da Harry, lo guarda normalmente e fa qualche passo in avanti, come per provare che riesce a camminare.  Ora, però, non c’è il tempo per le dimostrazioni.

Ci intrufoliamo nel comando di Mullingar.

Pensavo fosse uguale al nostro, pensavo –in realtà- che fossero tutti uguali.

Ma il nostro sembra ancora più rozzo e poco curato in confronto a questo, completamente tecnologico e ultra-moderno. Forse ci sono capi bravi quanto Phillips. Anzi, anche migliori. Magari se noi avevamo qualcun altro, quello avrebbe provato a fermare Liam e Buck, non sarebbe stato dalla loro parte.

Mi accorgo distrattamente che siamo fermi davanti ad una parete piena di pannelli e pulsanti. Niall ci spiega brevemente che il treno viene a comando, senza conducente, ma con una serie di meccanismi complicati. Tanto complicati che non sanno farli funzionare.
Perfetto. Perché ci hanno portato fin qua, allora? Giusto per farci una bella passeggiata al chiaro di luna, tra chi inciampa (Zayn) e chi si lamenta di chi inciampa (Harry) e tra gli amici silenziosi che non aiutano (Louis e Niall).

Sono l’unica con un po’ di senno?

Bene, devo riflettere. Tra tutti questi pulsanti ce n’è uno che farà arrivare il treno. Non può essere così difficile trovarlo, no? Insomma, deve collegarsi in qualche modo alla figura o al nome del treno. Però sono migliaia di pulsanti, come farò a trovarlo?

-Come si chiama il vostro treno di partenza?- chiedo a Niall ed Harry. Il nostro ad esempio si chiama ‘D’. C’è scritto anche sul treno stesso. Non è molto originale ma almeno sappiamo riconoscerlo.

-Ne abbiamo cinque.- mi risponde prontamente Harry. –Il primo si chiama Nortis, il secondo Nicole, il terzo Niak, il quarto Nuersu, il quinto Nasste.-

A parte Nicole non credo che gli altri nomi esistano davvero. Perché poi usarli così… strani, difficili? Ci deve essere qualcosa sotto. Un codice.

Iniziano tutti con la ‘n’, può significare qualcosa? Magari un pulsante con scritto… ‘5N’ oppure direttamente ‘NNNNN’? La seconda possibilità mi sembra un po’ improbabile, ma con gli occhi cerco velocemente entrambe le possibilità, ma non ci vuole molto per capire che nessuna delle due è giusta. Tutte le cose scritte sui pulsanti sembrano anch’esse dei nomi. Tanti nomi, troppi nomi. Come possono essere ricordati tutti?

A meno che il loro capo non abbia una memoria fotografica, è impossibile.

Nortis, Nicole, Niak, Nuersu, Nasste.

E sono in ordine, dal primo al quinto. C’entra qualcosa l’ordine? Penso di si, perché Harry ha specificato dicendo ‘il primo’ ‘il secondo’ e così via. Sono in un ordine preciso. E c’è sicuramente un motivo. Niente è lasciato al caso in cose come queste.

Nortis, 1. Nicole, 2. Niak, 3. Nuersu, 4. Nasste, 5.

Non capire le cose mi porta a una frustazione terribile. So che ci sono gli indizi, so che probabilmente ho tutti gli elementi per capire il trucco. Eppure non ci arrivo proprio. Che cosa può essere? In cosa centra l’ordine dei nomi?

Forse però i numeri non indicano solo l’ordine dei nomi.

Forse indicano anche le lettere.

(N)ortis: prima lettera. N(i)cole: seconda lettera. Ni(a)k: terza lettera. Nue(r)su: quarta lettera. Nass(t)e: quinta lettera. Niart.

Niart… e che vuol dire? Beh, però sembra che qua sia pieno di parole senza senso.

-Vedete se su un pulsante c’è scritto ‘Niart’. – dico agli altri: potrebbe comunque essere. Ed è comunque l’unica ancora cui aggrapparsi.

-Niart! Qua!- urla Louis. Era davvero Niart! Sono un genio. Un vero genio.

-Come hai fatto ad arrivarci?- mi chiede Zayn ammirato. –Complimenti!-

-Si, beh, andiamo?- m’interrompe Harry, prima di farmi parlare.

Schiaccia lui stesso il pulsante viola, che s’illumina all’istante, lanciando un bagliore viola lungo la stanza. Appena scompare il bagliore, si apre il muro. Dove un secondo prima c’era una comune riga, che pensavo servisse a dividere determinati pannelli da altri, c’è un varco. Si sente un forte stridore.

Io, Zayn e Louis siamo un po’ titubanti. Harry e Niall attraversano il varco tranquillamente: non sapevano il codice, ma l’avevano già fatto altre volte.

Beh, Niall di sicuro. Oggi sarà la prima missione di Louis ed Harry.

Sto facendo eseguire le missioni d’inaugurazione a troppe persone.

Saliamo insieme sul treno che è uguale –almeno quello- al nostro. Impostiamo su un pannello più facile da capire la nostra destinazione e infine partiamo, verso Holmes Chapel. Arriviamo in un battibaleno e, scendendo, non parla nessuno.

-Ma certo. Ci sarei arrivato anch’io!- eclama Harry. –E’ ‘train’ al contrario!-

Train al contrario, in altre parole treno in inglese. Niart, train. Non rispondo a Harry solo per non ammettere di aver usato un ragionamento molto più complicato e contorto. E magari è stato solo un caso se ha funzionato.

Ma non ho tempo per pensare a queste cose. Mi assicuro che il comando sia vuoto e vado velocemente verso gli armadietti.

Digito ‘4112’ su quello di Buck. E aspetto. E aspetto ancora.

Qualcosa, però, non quadra. Perché avrebbe già dovuto aprirsi.

Codice non valido. Codice non valido. Codice non valido.

Appare tre volte la scritta in rosso, prima di scomparire completamente. Ha cambiato il codice, adesso come facciamo? Di sicuro lo avrà fatto anche Phillips.

Scassinare –o anche solo provare- gli armadietti sarebbe troppo avventato e si capirebbe subito. Inizierebbero a fare domande, a cercare di capire come ho fatto ad arrivare fin qui. No, non posso farlo.

Non possiamo fare niente. Dobbiamo solo origliare qualcosa, cercare di scoprire, in altri modi, con chi si stanno mettendo in contatto.

Ma per ora dobbiamo tornare al campo.

Lancio agli altri un’occhiata eloquente e vedo sui loro volti la delusione nel costatare che la missione è già giunta al termine. Ma sono decisa a farla continuare. Solo non oggi.

 


Quando siamo di nuovo al super tecnologico comando di Mullingar, mi rendo conto che dovremmo rifare la scampagnata a piedi. Oh, povera me.

-Andiamo?- sorrido a Zayn e gli porgo il braccio. Lui si accende il volto e si aggrappa a me, senza pesarmi neanche un po’. Che strano.

Camminiamo sotto lo sguardo contrariato di Harry, che guarda Zayn come se fosse solo un intralcio. Louis e Niall ci ignorano. Arriviamo al campo prima del previsto ed è incredibile la velocità con cui tutti –tranne Zayn- si dissolvono.

Rimane un po’ a fissarmi incerto e oscilla avanti e indietro con le mani dentro le tasche dei pantaloni. –Grazie.- dice infine. –Stai facendo la cosa giusta, Eveleen.- aggiunge dopo, come liberandosi da un grande peso. E per qualche motivo so che è sincero.

E, nonostante non abbia mai dubitato di essere dalla parte ‘buona’, le sue parole mi confortano, perché non sono sola. So che lui ci sarà sempre.

-Zayn…- vorrei dirgli tutto questo. Rivelargli che in questo momento lui è il mio unico punto di riferimento, perché neanche Harry e Niall sono come lui. Fargli capire che dopo l’allontanamento di Liam e Buck, la scintilla che ho dentro si sarebbe spenta, se non ci fosse stato lui. Assicurargli che non mi dimenticherò di tutto questo. Dirgli, semplicemente, che è importante per me. Eppure l’unica cosa che riesco a pronunciare è un goffo –Grazie.- perché non riuscirei a dire tutto a quegli occhi. Troppo profondi, troppo indagatori. Non voglio essere ‘scoperta’. Ed è questo il problema, perché so che anche se non ho detto una parola, lui ha capito tutto. Lui sa tutto.

Mi lascia un altro po’ di tempo, ma vedendo che non parlo indica con la testa il campo. –Dobbiamo essere in forze, no?- dice con un ghigno.

Mi concedo una breve risata e lo segue verso le strutture.

Sì, dobbiamo essere in forze. Hai detto proprio bene Zayn.

Lancio un’occhiata verso Harry, Niall e Louis, ma vedo solo quest’ultimo impengnato nella lotta. E’ bravo.

Sì, saremo in forze. Saremo pronti.

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Capitolo 13
*** DE. ***



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Sono in piazza, ad aspettare Zayn e Louis. Penso che trascorreremo il tempo libero sempre così, ma non mi lamento, è piacevole. Arrivano puntualissimi con un sorriso sul volto mentre parlano disinvolti. Li saluto con la mano e li invito a sedersi accanto a me, ma restano alzati e scuotono la testa.

-Non mi va di stare seduto. Facciamo una passeggiata?- propone Louis.

Acconsento e ci incamminiamo verso il limitare della città, sotto lo sguardo attento dei vecchietti. Ora mi chiedo se, ineffetti, non sia anche questa una violazione delle regole. Non che importi, ormai. Le regole sono davvero il mio ultimo problema.

Ci scambiamo uno sguardo complice e anche un po’ preccupato di fronte l’albero che di solito spostiamo per entrare al comando, ma lo superiamo.

Arriviamo facilmente in una piccola radura, senza che Zayn inciampi da nessuna parte. Penso che sia strano, però guardando a terra mi accorgo che qua il terreno è molto più solido e compatto e privo di rami caduti.

Qui ci sediamo tra tante violette e tulipani. Zayn mi mette una violetta tra i capelli e penso al gesto che fece giorni fa, prima di entrare nell’associazione, prima di iniziare a seguirmi per scoprire il mio segreto. Quando era ancora tutto perfetto.

Annuso beatamente il profumo di tutti i fiori attorno a me e lo faccio diventare la mia droga, in quel posto, è tutto stupendo. Sorrido vedendo Zayn e Louis parlare felici, stavolta sembra davvero che il tempo si sia fermato ed è un’illusione che purtroppo abbandono troppo presto. Un rumore. Non si sentono spesso fruscii tra gli alberi qui, e Zayn e Louis sono troppo impegnati a parlare per accorgersene.

Mi alzo e scruto dietro gli alberi. Magari l’ho immaginato, magari è il cane di Zayn. Che però dovrebbe essere dal lato opposto della città.

M’inoltro un po’ più nel bosco ma non vedo niente di strano. Inizio a perdere di vista la radura, eppure per qualche motivo non riesco a fermarmi, so che c’è qualcosa.

Cammino finchè non mi fanno male le gambe, poi mi appoggio a un albero. La radura è lontana e inoltrandomi nel bosco è diventato tutto più buio. Perché l’ho fatto, poi? Nessuno mi garantiva ci fosse veramente qualcosa.

Eppure qualcosa c’è. E mi ha appena tappato la bocca e gli occhi. Qualcuno, è più corretto dire. Provo a urlare, a mordere la mano che mi tiene la bocca chiusa, ma quella mi stringe ancora di più, come una morsa. Non vedo niente e non lo sopporto. Scalcio, mi agito, ma continuo a essere trascinata da qualcuno, verso dove non lo so.

-Ah, sei tu.- sospira una voce quando ci fermiamo. Mi lascia, ma nella penombra del bosco non riesco a riconoscere l’uomo che sembra aver riconosciuto me. –Vieni.- mi dice. Posso scegliere. Non mi sta tirando, non mi tocca neppure. Però non so chi è, né dove mi vuole portare. Dovrei andare? C’è qualcosa nella voce dell’uomo, che mi porta a fidarmi di lui. Devo andare.

Lo seguo lungo il bosco, attraverso un’oscurità che non ho mai osato sfiorare. Si sta facendo tardi. Zayn e Louis possono essere preoccupati e non so quanto manca all’ora di cena. Allora perché continuo a camminare, invece di tornare semplicemente indietro?

 

Usciamo dal bosco e la luce del sole mi travolge in modo così potente da farmi chiudere gli occhi. Quando li riapro, dopo essermi abituata, ho davanti a me l’ultima persona che mi aspettavo di vedere.

-Ciao.- mi dice. Penso di aver perso la parola. Che posso dirgli? Rispondergli con un saluto, ovvio. Ma come posso dire solo ‘ciao’ dopo tutti questi anni in cui non lo vedo? Vorrei chiedergli cos’ha fatto, dove l’hanno portato. Come mai è tornato. Eppure non riesco a parlare. Sto qui, a fissarlo. A guardare il mio ex-professore di storia.

-Ti ricordavo più loquace.- mi dice Doug con un sorriso. Più loquace? Come posso essere loquace se tu mi ‘rapisci’ e poi ti comporti normalmente, dopo anni che non ci vediamo? –Che ha fatto?- gli chiedo in un sussurro.

-Oh, non preoccuparti, sono riuscito a scappare.- sgrano gli occhi, ma non lo interrompo. A scappare da dove? –Anche tu fai parte di quell’associazione, no?- cosa? Ora sono veramente sconvolta. Come fa lui a sapere dell’associazione?

Annuisco flebilmente, mentre lui continua. –Beh, penso che dobbiate rivedere le vostre priorità.- viene qua dal nulla e vuole anche criticare il nostro lavoro? Che si aspetta, che adesso con un sorriso gli dica che ha ragione e che facciamo schifo?

Lo guardo senza rispondere. –Andiamo, non sono venuto qua per essere osservato! Dobbiamo assolutamente parlare!- esclama Doug irritato.

-Parla.- ribatto io, senza abbandonare il mio cipiglio scontroso.

E lui lo fa, mi spiega tutto. Mi racconta che è riuscito ad arrivare a Londra, non specificando da dove è scappato. E’ entrato nel governo, anche se in una delle cariche minori e meno importanti, ma questo gli ha permesso di scoprire tantissime cose, come la nostra associazione. Dice che pochi giorni fa c’è stata una battaglia terribile a Londra, almeno due terzi –se non più- dell’esercito sono stati uccisi. Si stanno preparando a un altro attacco dalla Russia, ma sono in minoranza numerica e questo potrebbe portarli alla definitiva sconfitta. E se è sconfitta Londra, è sconfitta tutta l’Inghilterra, che sarà occupata e ridotta in schiavitù. Servono reclute nell’esercito. Ed è questo che sta facendo Doug: gira di città in città per mandare quest’appello.

Sa quali sono le città libere e quelle che hanno l’associazione. Nelle città normali parla al sindaco e accetta chi vuole proporsi, per poi spedirlo a Londra per addestrarsi. Nelle città come la nostra, con l’associazione, parla con il capo di queste. Nel nostro caso dovrebbe parlare con Phillips. Ma per noi è più dura, perché saremo sicuramente reclutati, senza neanche proporci; anche se possiamo rifiutarci, se abbiamo motivi validi. Infatti, vuole che almeno la metà di noi entri nell’esercito, lasciando stare tutte le precedenti missioni o incarichi che avevamo intrapreso.

Penso a Liam e Buck. Loro saranno sicuramente reclutati, ma la loro missione sarà portata a termine da Phillips. La nostra invece, che fine avrebbe fatto?

Nessuno la continuerebbe. Non possiamo abbandonarla, non possiamo abbandonare Holmes Chapel, non proprio ora.

-Ti aspetti davvero che saremo felici di venire?- gli chiedo.

-No, ma dovete farlo. Quest’associazione combatte indirettamente per la patria, ora dovete iniziare a farlo in modo diretto.- mi risponde Doug tranquillo.

-Siamo già stati in guerra.- ribatto adirata.

-Non per più di qualche ora.- mi risponde lui. –Senti, questo è quanto. Devo parlare con il vostro capo adesso, portami da lui.-

-No!- esclamo. –Non andremo in guerra!-

-Allora perché sei in questo programma, se non per salvare la patria?!-

Sì, è vero, sono qui per questo. Ma a volte ci sono cose più importanti, non possiamo abbandonare Holmes Chapel e lasciare che sia distrutta. D’altra parte, se non entriamo nell’esercito, c’è la possibilità che tutta l’Inghilterra cada nelle mani sbagliate. E a quel punto il mio sarebbe un ragionamento solo egoistico.
Ma forse in alcuni casi è opportuno essere un po’ egoisti.

-Portami da Phillips.- ripete Doug, soffermandosi su ogni parola. Riesco quasi a vedere il fumo che esce dalle sue orecchie.

Beh, solo perché alcuni di noi andranno nell’esercito, non significa che ci andremo tutti. E poi devono avere il consenso della singola persona, no?
Io dirò di no. E così faranno anche Zayn e Louis. Harry e Niall sono di Mullingar, quindi il problema non si pone. Non ci divideremo.

-Vieni.- gli dico a denti stretti, ma un po’ più serena.

Camminiamo attraverso il bosco, ma in verità non so bene dove sto andando. E’ facile perdersi tra tutti quegli alberi identici.

Poi inizio a sentire vari rumori di passi e di ragazzi che parlano e che gridano il mio nome. Ed è buffo perché è quasi come quando io cercavo Zayn. Ma ora è lui che ha trovato me, con Louis. Ed io sono con Doug.

Quando ci scontriamo, finisco tra le braccia di Zayn, che mi stringe forte esponendomi le sue paure riguardanti dove potessi essere andata. Mi lascio coccolare per un po’ assorbendo il calore del suo corpo, poi lo rassicuro e gli presento Doug; così andiamo tutti insieme al comando, dove entra solo Doug, mentre noi andiamo via.

Saluto velocemente Zayn e Louis e mi dirigo verso casa per la cena.

 

Un’altra persona è venuta a sconvolgere la mia vita. Ogni volta che capisco qual è il mio ruolo qui dentro, succede qualcosa che mi costringe a cambiare. Solo che stavolta non glielo permetterò, io salverò Holmes Chapel.

Ceno cercando di non mostrare impazienza ma dopo mi fiondo subito in camera. Sposto leggermente le tende, le luci delle altre case sono ancora accese. Di conseguenza, lo sono anche quelle della mia. Mi calo dalla finestra come ho già fatto altre volte e cammino piano piano verso il comando. Attraverso il solito buco, sperando di trovare anche il solito comando.

Ma non è così.

Nonostante manchi ancora un bel po’ all’ora in cui ci riuniamo, sono già presenti tantissime persone, troppe per contarle. Per qualche motivo so già chi c’è sotto.

-Dov’è Doug?- chiedo a un ragazzo moro di cui non ricordo il nome.

-Quel signore? E’ lì davanti! Non sei eccitata di entrare nell’esercito?!- mi risponde lui frettolosamente e sorridendo. Gli rivolgo un’unica occhiata truce prima di fiondarmi attraverso tutti quei ragazzi per vedere Doug.

Così è davvero convinto a farlo e, evidentemente, Phillips gli ha dato il suo appoggio. Ma come giustificherà l’improvvisa assenza di così tanti ragazzi dalla città? È proprio questo che gli chiedo, ma lui non lo prende come un problema. ‘Holmes Chapel saprà trovare una scusa.’ mi dice. Ma certo, che gliene importa a lui!

Guardo la lista che ha in mano. È piena di nomi, così tanti da far venire il mal di testa solo a guardarli. Se Holmes Chapel sarà distrutta, questi ragazzi saranno al sicuro, così pensavano Liam e Buck. Invece sarebbe comunque venuto Doug, andranno comunque verso una morte sicura.

Semplicemente non posso sopportare nessuna delle due ipotesi, che diventano sempre più concrete.

Le nostre missioni erano programmate e sicure, se succedeva qualcosa, avevamo un ospedale magnifico a distanza di dieci secondi. Non è come stare costantemente sul campo di guerra. Lì è orribile. Ci sono stata una volta e mi prende la nausea solo a pensare di doverci rimettere piede.

Inoltre, Holmes Chapel distrutta è una questione chiusa. È barbaro e insensato, non succederà e basta.

Come fermare tutto questo?

 

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Capitolo 14
*** Indicazioni ***



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C’è nell’aria una disperazione che sono l’unica a sentire, perché sono anche l’unica che capisce a pieno quello che sta accadendo, al contrario degli altri.

Inizio a riconoscere sempre più volti tra quelli dei presenti, sempre più nomi tra quelli della lista di Doug: Aaron, Aaliyah, Jenette, Lucinda, Frankie, Joshua… troppi nomi per essere elencati tutti. Eppure ci sono, su quella stupida e distruttiva lista.
Come se la caverà l’incapace Aaliyah, in guerra? E la piccola Frankie, che sebbene abbia solo un anno in meno di me, sembra almeno dieci volte più piccola?

Le missioni non sono mai state un obbligo, d’ora in poi per loro lo saranno. Potevano immaginare di andare incontro a cose ancora peggiori delle nostre –in confronto- stupide missioni? Non credo. Non lo immaginavo neanch’io.

-Ancora assolta nei tuoi pensieri?- mi chiede l’inconfondibile voce di Zayn da dietro.

-Tu sai cosa stanno facendo?- ribatto.

Ovviamente non lo sa, gli ho presentato Doug, ma non gli ho detto altro. E ne approfitto per farlo ora, spiegargli tutta l’enorme complicazione della guerra. Ci raggiunge anche Louis e ascoltano entrambi interessati, ma non riesco a decifrare le loro espressioni, finchè non ho finito di parlare. Sembrano quasi… felici. Possibile?

Li guardo sconcertata per un po’, prima di chiedere: -Perché sorridete?!-

-Davvero non capisci?- mi chiede Louis, quasi deluso.

-Beh, è semplice…- dice Zayn, con un tono più dolce e comprensivo rispetto a quello di Louis. –Pensaci. Appena Liam e Buck sapranno di questo, il loro piano non avrà più senso! Volevano distruggere Holmes Chapel per essere liberi… se andranno in guerra, lo saranno. Non saranno più sotto il controllo di questa città. Non servirà a niente distruggerla!-

Beh… il suo ragionamento non fa una piega. Non centra assolutamente niente. Proprio niente. Non è che se Liam e Buck vanno nell’esercito la missione non si fa più, no. Non capisco proprio come abbiano potuto pensare una cosa simile. Così stupida e insensata. E non capisco perché ho gli occhi pieni di lacrime che mi scendono sul viso.

Le familiari braccia di Zayn mi avvolgono completamente, riesco a malapena a vedere dietro la sua spalla ma non m’importa. Mi godo l’abbraccio più di ogni altra volta, per qualche motivo ho bisogno di molto affetto. –Mi dispiace, saranno loro a decidere…-

mi sussurra Zayn cullandomi un po’. E in questo momento sento come se ci fossimo solo noi due, nonostante siamo circondati di persone. Eppure non riesco a capire le sue parole.

‘Saranno loro a decidere.’

Che intende? Chi dovrà decidere cosa? Lo stringo di più a me e mi ci vuole un bel po’ per riuscire a capire. Loro decideranno se andare in guerra o meno, ed è questo che mi spaventa. Ho paura che ci vadano. Ho paura di perderli. Non conta tutto quello che stanno fancendo, non contano le loro menti deviate. Sono stati miei amici per troppo tempo. Quando si è veramente amici, non si smette mai di esserlo, salvo che non lo si è mai stati. Non voglio che vadano in guerra.
Preferisco averli qui e dover combattere su una facciata opposta alla loro, piuttosto che sapere che sono in guerra a combattere davvero contro soldati esperti.

Mi stacco da Zayn e lascio che mi asciughi le lacrime sul viso. Non so più cosa devo fare. Ho perso la cognizione del tempo ed è già tanto che so dove sono: ci sono alcuni pianti che ti prosciugano completamente.

E non posso fare a meno di trattenere nuovamente le lacrime quando vedo le figure di Liam e Buck, che si fanno spazio tra la folla. Mi guardano per un momento, poi spostano la loro attenzione verso Doug e la sua lista. Buck lo conosce, Liam no.

-Che state facendo?- chiede Buck a Doug.

-Volete entrare nell’esercito?- ribatte lui arrivando direttamente al punto. Non capiscono, sono stati colti alla sprovvista. Diverse emozioni si fanno largo sui loro volti. E l’espressione inorridita lascia quasi subito spazio a quella sospettosa. –Chi sei tu?- chiede Liam. –Giusto, non sei stato un mio alunno. Beh, io sono Doug.- gli risponde velocemente Doug, porgendogli la mano.

Liam non la prende. –Perché sei qui?-

-Mmm. Ci serviranno soldati con il tuo carattere.-

-Perché sei qui?- ripete Liam, ancora più irritato.

-Esattamente per quello che ti ho detto. Reclutare ragazzi per l’esercito.-

L’orrore ricompare sui volti di Liam e Buck. Il loro piano non sta andando come si aspettavano, hanno capito che i ragazzi moriranno comunque. Non hanno salvato più vite possibile, le hanno solo portate verso una morte diversa. Forse anche peggiore, più lenta, più dolorosa. Non possono accettare una cosa del genere, non loro che pianificano tutto nei minimi dettagli.

Li conosco troppo bene per non riuscire a decifrare il volto apparentemente senza emozioni di Buck, e il cipiglio cupo di Liam. Eppure non mi aspettavo che Liam mi afferrasse per un braccio e mi trascinasse via, seguito ovviamente da Buck, Zayn e Louis. Mi ha portato nella stessa ‘sala’ dove abbiamo parlato la prima volta, quando mi disse del loro piano, e ora mi guarda quasi aspettandosi qualcosa da me.

-Beh?- gli chiedo io, perdendo la pazienza. In questo momento non vorrei trovarmi così vicina a loro, perché so che sentire la loro voce per troppo tempo mi farebbe scoppiare di nuovo a piangere. Così come non sentirla mai più.

-Come ‘beh’?! Dobbiamo fermarlo, è ovvio!- mi risponde Liam, guardandomi come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo. E di punto in bianco scoppio a ridere. Non so precisamente il perché, forse per l’assurdità della sua affermazione.

-Tu vuoi far saltar in aria la tua città, ma non accetti che dei ragazzi vadano nell’esercito?- esclamo appena riesco a controllare le risate.

-Non capisci. Questi ragazzi dovevano essere al sicuro qui.- ribatte lui serio e irritato.

-Non sarebbero mai stati al sicuro! Qui siamo costantemente esposti al pericolo!-

-No, appena il piano sarebbe stato attuato si sarebbe ricreata la città, avrebbero vissuto normalmente lì, con un nuovo sindaco!-

-E quanto ci sarebbe voluto? Vale davvero la pena uccidere tutti! Rapisci il sindaco!-

-Si rivolterebbero tutti contro.- dice Liam a bassa voce. –Senti, non importa. Fa finta che non ti abbia detto nulla, ciao.-

E detto questo esce dalla stanza. –Buck…- sussurro piano, ma non abbastanza per non farmi sentire. Ed è così che Buck fa una cosa del tutto inaspettata: si avvicina a me, un po’ incerto, e mi abbraccia. Rimango spiazzata, non capisco il significato di questo gesto. Però lo abbraccio anch’io, perché mi è mancato il suo profumo, i suoi abbracci così rari ma così belli. Mi è mancato così tanto da far male, così tanto che me ne rendo solo ora di quanto. E in questo momento vorrei che anche Liam fosse qui, tra le mie braccia. –Dobbiamo andare al campo.- mi sussurra Buck, sciogliendo l’abbraccio.

Non capisco più niente. Che cosa significa quell’abbraccio? E’ dalla nostra parte? Si è pentito? Perché non riesco a chiederglielo?

Me ne sto zitta e ferma mentre la sala si svuota, lasciando me e Zayn soli. D’altra parte, lui che può fare? Non può rispondere alle mie domande. Ma mi afferra la mano, e mi aiuta a raggiungere il treno prima che parta, cosa che probabilmente non sarei riuscita a fare da sola. 

Sono distratta nel viaggio, neanche mi rendo conto di essere già sul terreno del campo fin quando Harry non mi schiaffeggia una guancia. Lo guardo come se fossi appena tornata da un sogno e lui mi regala un sorriso a cinquantasette denti. Sorrido appena, e saluto anche Niall, che mi travolge in un enorme abbraccio a tre, anche con Harry. Dire che questi ragazzi riescono sempre a portarmi il buon umore ( o almeno a scacciare momentaneamente quello cattivo) è minimizzare il concetto.

-Allora, che facciamo?- chiede Niall, entusiasta.

-Non so… preferirei arrampicarmi un po’, oggi.- dico riprendendo il mio tono distratto.

-Cosa? Intendevo per fermare Liam e Buck.-

-Mmm.- me ne ero quasi dimenticata. Sì, che possiamo fare? Nonostante tutto non mi sembra una buona idea chiedere qualcosa a Buck, al riguardo. Non abbiamo indizi da cui partire, non abbiamo niente. Come possiamo attuare questo piano?

-Andiamo al nostro comando. Di sicuro Phillips e Doug saranno ancora là, con un po’ di fortuna gli armadietti saranno aperti e nessuno ci vedrà.- parla Zayn al posto mio. È un piano molto approssimato e rischiamo di essere scoperti, malgrado questo sia anche l’unico piano che abbiamo. O almeno una piccola riproduzione di un piano.

Nessuno ha niente in contrario, o niente di meglio da proporre. Ci dirigiamo nuovamente verso il comando di Mullingar, tengo Zayn sottobraccio. Da lì torniamo al nostro comando, dove ci sono sia Phillips che Doug, come previsto da Zayn.

Passiamo velocemente da una sala all’altra senza farci notare, fino ad arrivare agli armadietti. Quello di Phillips è aperto. Ed è completamente vuoto.

La mia espressione sconcertata è proiettata anche sui volti degli altri, nessuno di noi si aspettava questo. Che fosse chiuso, che non riuscissimo ad aprirlo, ma non che fosse vuoto. E ora? Provo ad aprire quello di Buck, giusto per tentare di fare qualcosa e per dare un senso all’essere arrivati fin qua. Digito tutte le combinazioni che penso possa aver usato, tutte quelle che per lui significano qualcosa, poi mi arrendo e metto numeri a caso. Ed è per pura disperazione che, alla fine, riprovo con la vecchia combinazione. Scatta.

Guardo sorpresa tutti gli altri e apro l’armadietto velocemente. La prima cosa che vedo è una cartella, sopra c’è un biglietto.

‘Fanne buon uso.’      

Ha cambiato combinazione di proposito, per farmi avere la cartella. Buck è dalla nostra parte. Sono così felice che sento entrare nella bocca aperta in un sorriso il sapore salato delle lacrime. Che finalmente sono causate dalla gioia.

Apro la cartella, facendo cadere il bigliettino che è raccolto da Zayn. Ci sono tanti fogli dentro questa, nel primo c’è una sola parola, che occupa tutto il foglio: RUSSIA.

Hanno fatto un patto con la Russia. La Russia che sta per attaccare Londra. La Russia che è il nostro peggior nemico in assoluto. La Russia che può aver chiesto in cambio qualsiasi cosa.

Nella seconda pagina ci sono indicazioni con la scrittura di Buck.

 

‘‘Il nostro comando non arriva in Russia, neanche quello di Mullingar. Vai a Bradford da Mullingar. Il treno ti porta in una stanza gialla, apri la porta e ti trovi due corridoi davanti, prendi quello di destra. La prima porta, sul lato sinistro del corridoio, che incontri, aprila. C’è un computer. La password del computer è ‘7749795’. Apri il programma ‘Vacation’. Ti appare una schermata dove devi digitare una parola, scrivi ‘Russia’. Torna nella stanza da dove sei venuta e prendi il treno. Durante tutto questo non farti vedere da nessuno. Il treno ti lascia all’aperto, là non ci sono comandi.

Sei in un parco. Cerca l’albero con inciso ‘JKRJK’. Quando sei davanti all’albero, avrai una strada alla tua destra e una strada alla tua sinistra. Sono entrambe piccole e losche. NON entrare in quella di sinistra. Vai a destra senza neanche guardare quella di sinistra. Cammina dritto finchè non vedi un edificio completamente viola. Entra dentro. Al segretario devi dire una sola parola ‘Russel’. Ti porterà da lui. Lui sa parlare inglese, quindi tranquilla. Mostragli il prossimo foglio e si fiderà di te. Fallo prima che ti punti la pistola alla testa, miraccomando. Disdici tutto il piano.

 

Ho scritto tutto velocemente prima di andare al campo, subito dopo che ho saputo dell’esercito. Non posso fare io tutto questo perché Liam è sempre con me. Mi dispiace per tutto, Leena. Scusa anche per la scrittura. Non volevamo finisse così, pensavamo che qui sarebbero stati al sicuro. Spero che troverai tutto questo prima che il piano sia attuato, perché quando avverrà, non lo so neanch’io. Non dire a Liam di tutto questo, mi prenderebbe per un mollaccione. So che ce la farai.

Buck.’’

 

Ha pensato proprio a tutto e le indicazioni sono precise, spero solo che sarà facile quanto sembra. Prendo il prossimo foglio e passo questo agli altri, per farglielo leggere.

Nel foglio c’è stampato un simbolo, grande quanto tutta la pagina. Il simbolo per far sì che Russel si fidi di me. Una stella viola, con dentro ‘H C’ stampato a lettere grandi. E una ‘X’ su di queste. Non penso significhi qualcosa di buono, ineffetti.

Passo anche questo agli altri e sfoglio velocemente i successivi fogli, che sono foto con nomi. Su ognuna di esse c’è scritto, oltre al nome, se è una persona di cui mi posso fidare o no. Direi che Buck ha fatto bene il suo lavoro.

 -Allora, andiamo in Russia…?- dice Niall. Capisco il suo tono un po’ esitante, neanch’io mi sento tanto sicura ad andare fin là. Il nostro peggior nemico. Però mi fido di Buck, le indicazioni sono precise. Sappiamo tutto. Andrà bene.

-No, prima a Bradford.- rispondo con un mezzo sorriso.

-Prima dobbiamo tornare a Mullingar, veramente.- dice Harry un po’ irritato.

-Il treno di Mullingar è già qui.- faccio notare io, e ci incamminiamo senza più parlare.

Prendiamo il treno e in qualche modo riusciamo ad arrivare a Bradford, con l’aiuto di molti pulsanti. Scendo dal treno e, nonostante abbia la cartella in mano, ripasso mentalmente, corridoio a sinistra, prima porta a sinistra. Entro nel corridoio di sinistra, è molto grande e buio, non vedo l’altro lato. Prendo un po’ di coraggio e continuo a immegermi nel buio, con una mano posata alla parete, per evitare di perdere la porta. Non sento i ragazzi dietro di me, ma so che mi seguono. L’unica cosa che sento, ineffetti, è il freddo e duro marmo della parete. Camminare al buio mi fa diventare inquieta. Ne ho sempre avuto ‘paura’. Uccido uomini indifesi e ho paura del buio, che grande, enorme contraddizione. Ma guardando gli uomini so cosa ho davanti, con il buio non ho la stessa opportunità.

È la parete a farmi da guida, quando la perdo, sono persa. Come ora. Ho toccato qualcosa di diverso dal marmo, qualcosa di caldo. Qualcosa che prospetta guai.

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Capitolo 15
*** Alexander, non Alex. ***



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Sono tentata di gridare, ma sento che sarebbe ancora più sbagliato. Tolgo lentamente la mano e arretro un po’. Vado a sbattere contro qualcuno.

-Leena!!- grida Harry.

-Non urlare!!- gli rispondo io, gridando a mia volta.

-Volete stare zitti?!- non ho parlato io, né Harry. Né Louis, Zayn o Niall. Non riconosco questa voce, ma qualcosa mi dice che è della persona da cui mi stavo allontanando, dopo averla toccata.

-Chi sei?- sussurro.

-Chi siete voi? Non siete di qui.- non è una domanda, ma un’affermazione. Deve essersene reso conto dalle voci, Harry parla con un inconfondibile accento irlandese e, sebbene pensassi che tutti noi inglesi parlassimo allo stesso modo, questo estraneo ha un accento molto tirato. Penso che per parlare in quel modo dovrei seguire corsi di dizione per almeno dieci anni. Ma c’è anche un altro tocco personale, nella sua voce, che nessun insegnante potrebbe insegnarmi.

Improvvisamente mi riscuoto dai miei stupidi pensieri sull’accento di questo ragazzo, perché mi concentro su quello che Buck aveva scritto… non farti vedere da nessuno. Questo ragazzo, sempre che non si chiami ‘Nessuno’, non può vederci né sapere di noi.

Vorrei tanto poter comunicare mentalmente con gli altri, sarebbe tutto più semplice… conversazioni intere senza neanche scambiarsi un’effettiva parola. Ma purtroppo non posso, quindi sussurro a Harry. –Che facciamo? Non può vederci, né sapere di noi.-

-Shhh.- mi zittisce lui come risposta. Come ‘shhh’? Non sarà zittendomi che risolvi il problema creato dal tuo stupido accento irlandese, penso. Lo sento muoversi al mio fianco e subito dopo sento un colpo. L’inconfondibile rumore di un pugno sul viso. Non credo che questo ci aiuterà a passare inosservati, ma penso che per ora ci passerò su. Tasto nuovamente il muro e trovo subito la porta, che a quanto pare era protetta da quel ragazzo. La apro piano, ma non mi sembra che ci sia qualcuno, così entro e la lascio aperta per far venire gli altri. Dopo aver acceso la luce, penso che Buck doveva essere più preciso. Non c’è un computer. Ce ne saranno almeno una quarantina, se ci va bene. –Dite che lo fa ogni computer?- chiedo, incerta sulla mia stessa richiesta.

-Dico che lo fa il computer che ha come password 7749795.- risponde Zayn accigliato. Non posso che dargli ragione. È tutto troppo complicato in questo comando, non credo che i computer abbiano le stesse password. Chissà come fanno a ricordarsele.

Quindi dovremmo provare ogni computer? Bah, se ci va bene sarà il primo.

Ovviamente non era il primo. E neanche il secondo. Ma ventisette computer dopo riusciamo finalmente ad aprire quella maledetta schermata in cui Louis, più irritato che mai, digita ferocemente ‘Russia’.  Perfetto. Una cosa è andata, ora non ci resta che tornare al treno. Se non fosse che la porta è chiusa dall’esterno. Proprio mentre sto per imprecare, cade un foglio dalla cartella. ‘Potrebbe volerci più di un giorno.’ Sì, proprio sull’ultimo foglio dovevi scriverlo questo, grazie tante. Passeremo la notte in una stanza piena di computer e radiazioni, che vuoi di meglio dalla vita?

-Bene,- dico, alzando e abbassando le braccia meccanicamente –Siamo chiusi qui.- continuo sorridendo, cercando così di sdrammatizzare.

-Cosa?!- sbottano insieme Niall e Louis. Cerco di sorridere per farli, magari, un po’ calmare. Ma gli unici che mi sembrano anche più calmi del dovuto sono Harry e Zayn.

-Calmi. Insomma, è confortevole qui.- pessima mossa. Ora sono ancora più infuriati e la situazione degenera quando vedono il biglietto ‘Potrebbe volerci più di un giorno’. Per qualche ragione, però, presto più attenzione a Harry e Zayn, perché sono davvero troppo calmi per i miei gusti. Ma non ho tempo di preoccuparmi di questo. E neanche di Niall e Louis, in realtà. –Mettetevi l’anima in pace e cercate un posto comodo, dove dormire.- dico rivolta un po’ a tutti. –Si, infatti.- dicono Zayn e Harry all’unisono, scambiandosi un’occhiata dapprima divertita e poi indagatrice. Le persone che dicono che le femmine sono complicate non hanno capito proprio nulla. Io non riesco mai a decifrare gli enigmatici comportamenti maschili, ad esempio. Ogni occhiata può essere fraintesa, ogni parola presa per altre mille. Altro che ragazze, sono i ragazzi quelli da rinchiudere!

 

Mi sistemo in un angolino ben riparato della stanza e aspetto di prendere il sonno. Nel caso ci dovessimo alzare immediatamente abbiamo lasciato le luci aperte, quindi diventa più difficile chiudere gli occhi. I posti degli altri sono alquanto più azzeccati del mio. Niall si è creato un letto con le varie sedie e stessa cosa ha fatto Louis, sono in sintonia. Harry e Zayn vagano ancora distrattamente per la stanza. Alla fine, Harry si decide a creare una postazione con le sedie, a sua volta. E Zayn viene accanto a me.

Con il passare dei minuti, sento sempre più gente russare. Eppure io non riesco a prendere pace. Già questo si può considerare un imprevisto non poco grave. Ce ne saranno altri? Andrà davvero tutto bene come speravamo? O siamo stati soltanto pazzi a voler intraprendere questa missione in campo nemico? Almeno finchè siamo a Bradford abbiamo un po’ più di protezione.  Potremmo scappare in ogni momento e riuscire comunque a tornare a casa. Ma ho l’impressione che non è da qui che dovremmo scappare. –E’ un bel guaio, eh?- sussurra Zayn, accanto a me. Mi ero quasi scordata che fosse lì. –Intendo, chissà cosa succederà a casa. Non ci vedranno, non saremo a scuola. Un bel casino.- continua, più rivolto a se stesso che a me. –Beh, però ne vale la pena.- sospira infine, guardandomi. Annuisco, non proprio convinta. Non sono più nelle condizioni di distinguere cosa vale la pena fare e cosa no. Chi sono io per giudicare chi deve morire e chi no? E chi è il governo per poterlo fare? Non dobbiamo condannare gli altri, quando i primi peccatori siamo noi. Devono morire tutti gli abitanti di Holmes Chapel, oppure l’intera Inghilterra? Doug l’ha messa su questo piano, ma d’altra parte non credo che cambierebbe poi di molto la situazione per cinque soldati in più. Io, Zayn e Louis non aderiamo sicuramente. Buck ormai è con noi. E Liam si lascierà convincere da lui. Solo cinque, non perde poi molto, l’esercito. Sì, questa missione è giusta. Me ne rendo completamente conto solo ora. –Sì, ne vale la pena.- sussurro anch’io. –Ci sono molte cose per cui vale la pena combattere…- mi risponde Zayn. ‘Tipo?’ vorrei chiedere. Ma sarebbe davvero giusto? Comportarmi così, come se non sapessi a cosa allude? No, lo farei sentire solo peggio. E l’idea che stia male non fa altro che provocarmi una morsa allo stomaco, è inconcepibile.

Cerco una risposta da potergli dare. Qualcosa che non lo ferisca. ‘Alcune potrebbero essere messe da parte’ , no, troppo cattiva. ‘Non tutte quelle che credi’ penso che si offenderebbe. Che posso dirgli? Non voglio che si creino malintesi, ma non voglio perderlo per nessuna ragione al mondo. Che Buck sia tornato o no non conta, è Zayn che è stato con me per tutto questo tempo. Certe cose non si dimenticano. Al contrario, vorresti sempre tenerle con te. Per questo non voglio perdere Zayn, che è diventato un punto fermo, nella mia vita.

Lo guardo un po’ abbattuta. Non so proprio cosa rispondere. Lui interpreta il mio sguardo e lo capisce, come mi aspettavo. Però non mi aspettavo che si avvicinasse così tanto, così velocemente. Che premesse le sue labbra sulle mie. Che mi desse il mio primo bacio. Rimango a fissarlo un po’ sconvolta. –E questo, cosa sarebbe?- chiedo.

-Un ‘ti voglio bene, amica mia.’- risponde Zayn tranquillo, sorridendo.

-Ci sono altri modi per dirlo.- sussurro io. Poi sorrido a mia volta, non so perché. E poggio la testa sulla pancia perfettamente piatta di Zayn, addormentandomi all’istante.

Quando mi sveglio, trovo tutti già alzati a parlottare. Zayn mi sta accarezzando i capelli, ed è molto rilassante, devo ammettere. Mi ricordo improvvisamente della ‘conversazione’ di ieri sera, quindi mi sposto un po’ da Zayn e mi concentro sugli altri. Parlano della missione. E non sembrano per niente preoccupati o altro, sono più che tranquilli. Mi chiedo che razza di amici ho. E rispondo immediatamente ‘i migliori’.

In quanti avrebbero affrontato tutto questo con me? In quanti mi farebbero stare meglio con un solo sguardo, o anche meno? Nessuno.

Harry, Niall e anche Louis. Non potevo chiedere di meglio.

Riguardo Zayn… non so più come definirlo. ‘Ti voglio bene, amica mia’. Un bacio sulla bocca è tutto tranne un ‘ti voglio bene’. Non che io sia esperta riguardo questo genere di cose. Però questo lo capirebbe chiunque. E la cosa ancora più strana è che l’insinuazione che stia nascendo qualcosa –cosa non lo so- non mi dà per nulla fastidio. Anzi, mi conforta il suo tocco ancora stabile sui miei capelli e mi consola sapere che lui ci sarà sempre. In fondo, la missione la stiamo facendo lo stesso, quindi cosa può esserci di sbagliato? Quali altre motivazioni ho per rifiutarlo? Se prima la risposta poteva essere ‘non mi piace’, ora non ce ne sono più.

-Buongiorno- dico, rivolta a tutti.

-Sveglia?- mi chiede Harry.

-‘Giorno!- rispondono Niall e Louis, quasi contemporaneamente.

Aspetto qualche secondo, poi mi giro verso di Zayn per chiedergli, in tono scherzoso, come mai non mi avesse dato il buongiorno. Ma non posso parlare, perché le sue labbra sono di nuovo sulle mie. E stavolta il bacio dura di più.

-Un altro ‘ti voglio bene’, ovviamente.- dico ridendo, con il suo viso ancora a un centimetro dal mio. –Dipende, tu cosa vuoi che sia?- sussurra lui.

Gli do un bacio sfuggevole e lui è tanto sorpreso dal gesto da spalancare gli occhi e allontanarsi un po’. –Non so.- dico infine. Mi restituisce il sorriso e ci accorgiamo dell’improvviso silenzio che regna nella stanza.

-Quindi state insieme?- dice Harry inespressivo.

Si sente un enorme contrasto con il tono della precedente domanda, quando Niall urla: -Congratulazionii!- si fanno le congratulazioni quando ci si fidanza? E poi, stiamo davvero insieme? Dopo tre bacetti? Penso che sia solo un grande malinteso.

-Beh, era ora!- esclama invece Louis, facendo rabbuiare Harry ancora di più. Ci manca solo che la nostra squadra si frammenti. Ora di che? Non è successo proprio niente. Tutte le cose che pensavo spariscono gradualmente, guado il viso triste di Harry e quelli felici degli altri. –Non stiamo insieme.- dico infine, con tono inespressivo.

Anche se non lo vedo, so che la mascella di Zayn si sta contraendo, dietro di me. So di aver causato confusione nelle teste dei ragazzi, che lavorano frenetiche per assimilare il tutto. So di aver reso felice Harry. So di aver salvato la missione.
Perché
se siamo divisi, non riusciremo mai a fare niente di buono. E i tempi in cui si poteva scherzare sulla morte sono finiti, può essere dietro l’angolo già in questo momento. –Usciamo da qua.- dico alzandomi ed evitando accuratamente di guardare Zayn. Come se non lo sapessi già da prima, che l’amore rovina tutto. Che avevo in testa? Come ho potuto credere, anche solo per pochi secondi, che quella fosse la cosa giusta da fare? L’amore non è mai la cosa giusta. L’amore complica tutto.

-Beh, credo che abbiamo un problema.- esclama Louis piano, dopo aver aperto la porta. Come se non ne avessimo per niente. Un problema in più, uno in meno, che vuoi che sia? E poi, cosa può essere di così grave?

Il ragazzo che Harry ha steso. È davanti a noi, con un labbro sanguinante e il naso, probabilmente, rotto. Non è un brutto ragazzo, ha i capelli corvini e gli occhi color nocciola, profondi quasi quanto quelli di Zayn e dolci al pari di quelli di Liam. –Chi siete?- domanda, con un tono di accusa nella voce. Eppure, noto, i suoi occhi non perdono la dolcezza che mi ha colpito. Decido di non mentire, per risparmiare tempo. –Veniamo da Holmes Chapel. Siamo in missione, ci serve il vostro treno.- 

-Interessante. Sono già passati dei ragazzi di Holmes Chapel, tempo fa.-

-Si, Liam e Buck. Sono nostri amici, dobbiamo completare la loro stessa missione.-

-Io li ho aiutati, verrò anche con voi.-  

Stavolta sono io a considerare interessante ciò che il ragazzo ha detto. Non si è presentato. Non ha fatto una domanda. Nonostante gli occhi dolci, sembrava più una minaccia. Del tipo ‘Se non mi fate venire dico a tutti che siete qui’. E io non vorrei rischiare. So che anche gli altri stanno valutando le parole di questo estraneo apparentemente buono. Ma è buono davvero? Come possiamo saperlo?
Scambio velocemente un’occhiata con Niall, Harry e Louis. Ma è Zayn, dopo essersi reso conto che non avrei guardato anche lui, a parlare. –D’accordo, andiamo.- Ha preso la decisione da solo, con voce ferma e fredda. Non si è consultato con nessuno. E nessuno se la sente di controbattere. Perché tutti sappiamo qual è il suo stato d’animo attuale, per colpa mia. Ora mi rendo conto che la scelta era fra far stare male Harry o far stare male Zayn. E io ho scelto Zayn. Nonostante, lo ammetto, sia innamorata di lui. Perché l’ho fatto? La risposta mi balena in mente e mi accorgo di essere una persona orribile. Perché Zayn mi avrebbe seguito, ascoltato comunque. Ciò che Harry avrebbe fatto sarebbe stato imprevedibile. Ho schifo di me stessa come non mai, ora.

-Bene, con me sarete al sicuro.- dice il ragazzo. –Finchè siamo qua.-

Riprendo a concentrarmi su di lui. Chissà se è stato medicato, dal sangue coagulato di labbra e naso si direbbe di no. Mi avvicino a lui e pulisco il sangue con la manica, poi gli chiedo come si chiama. Alexander. Provo a chiamarlo Alex, ma ripresenta Alexander. Perfetto, nessun nomignolo. Prendo la cartella di Buck e seguo Alexander fuori dalla porta. È mattina ormai, eppure il corridoio è buio proprio come ieri notte. Strano. Quando raggiungiamo il treno, saliamo e appena si chiudono le porte, parte immeditamente. –Quindi… sei stato con Liam e Buck la scorsa volta?- chiede Niall e capisco che è per far conversazione, più che per saperlo veramente. –Si, li ho aiutati. È grazie a me che sono vivi.- risponde Alexander con un sorriso. I suoi occhi mi portano a credere a ogni cosa che dice, gli dà un grande vantaggio questo. Mi portano a fidarmi di lui. Ci vuole più di quanto siamo abituati, per arrivare. Saranno passati uno o due minuti. Un tempo improponibile, con l’imbarazzo che regna. Nonostante Alexander e Niall stiano sostenendo una conversazione sorridendo, tutti gli altri sono molto tesi. Louis guarda Zayn preoccupato, quest’ultimo –d’altra parte- fissa ostinatamente il vuoto. Harry sembra piuttosto sereno adesso, mentre segue la conversazione di Alexander e Niall. Io? Non so cosa sto facendo io. Un po’ di tutto. Ascolto a tratti le voci che si susseguono. Scruto velocemente Zayn. Cerco di stabilire un contatto visivo con Louis, chiedergli scusa, perché so di aver deluso anche lui. Alla fine non riesco a fare niente. Siamo arrivati e mi sforzo di concentrarmi su di questo, siamo in Russia.

Scendo dal treno, come ha detto Buck, siamo in un parco. Anche questo è piuttosto buio, nonostante sia mattina. Chissà che ore sono. Non che ora devo concentrarmi su questo. Ricordo cosa devo fare: ‘Cerca l’albero con inciso ‘JKRJK’. Quando sei davanti all’albero, avrai una strada alla tua destra e una strada alla tua sinistra. Vai a destra e cammina dritto finchè non vedi un edificio completamente viola.’

Qua ci sono un milione di alberi, chissà quanto ci vorrà a trovare quello che ci serve! Ovviamente non avevo considerato che ci fosse Alexander che subito s’incammina e ci invita a seguirlo. Camminiamo per qualche centinaio di metri, poi Alexander si ferma e ci indica la strada da prendere. Guardo l’albero davanti a noi e vedo la scritta JKRJK, siamo nel punto giusto. Ciò che non mi quadra è la strada che Alexander ci sta indicando. La strada di sinistra. Mentre Buck aveva detto di prendere quella di destra e se non mi sbaglio anche qualcosa su quella di sinistra. Che non dovevamo assolutamente prendere, o cose così. Eppure Alexander si sta dirigendo verso quella.

-Avanti!- ci incita.

-Buck ci ha detto di prendere la strada di sinistra.- ribatte subito Zayn.

-Si sarà sbagliato. Ci sono stato anch’io, ricordate? Fidatevi, andiamo.-

Ed è questo il problema. Io mi fido. Mi basta guardarlo per fidarmi. Zayn invece non sembra così disponibile nei suoi confronti. –E se non mi fidassi?-

-Sbaglieresti.- risponde Alexander, fermo.

Così lo seguiamo, nella strada di sinistra. Nella strada che, ricordo ora, non dovevamo neanche guardare.

 

Questa strada mi fa venire un senso di claustrofobia peggiore del corridoio presente nel comando di Bradford. Posso toccare entrambe le parti del muro, tanto che è stretto. Ed è buio. Ma stavolta mi sento inquieta. Perché questo non era previsto da ciò che ha scritto Buck, questo è tutto quello che ci ha raccomandato di non fare. Tengo stretta la mano di qualcuno. Non so chi è e in questo momento non m’interessa tanto. Sono sicura solo che non è Alexander, di cui sento i passi davanti a me. E spero che non sia Zayn, perché non farebbe altro che distruggerlo ulteriolmente.

Proprio quando penso che questa strada non abbia una fine, mi ricordo di una cosa fondamentale, presente nelle mie mani. Buck nella sua cartella ha messo foto con i volti di cui mi posso fidare e di cui non posso fidarmi. Perché non mi sono ricordata prima? Che stupida.

-Avete una luce? Devo leggere una cosa.- chiedo. La mano che sto tenendo si allarga un pochino, prima di tornare a stringermi, più forte di prima.

-Tieni, ma fai in fretta, ho poca batteria.- mi risponde Alexander. Interessante, a Bradford permettono di avere dei telefoni personali. Noi abbiamo solo quello fisso. Che possiamo usare solo per parlare con il sindaco, se è molto importante.

Premo un tasto qualsiasi, infine chiedo aiuto per sbloccarlo. Quando ho la luce, faccio tenere il telefono a Louis, mentre apro la cartella.  Giro i vari fogli, infine trovo il suo. Alexander. NON FIDARTI ASSOLUTAMENTE.

Sconvolta, chiudo la cartella. Punto, per un momento, la luce su Alexander, poi gli restituisco velocemente il telefono. Abbiamo fatto un passo falso.

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Capitolo 16
*** Si dice 'le' taglio la gola. ***



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So che anche Louis ha visto la descrizione della foto. Così come Zayn, che continua a tenermi la mano, adesso. Una tacita domanda scorre fra noi: cosa facciamo?

-Dobbiamo andarcene prima di arrivare alla fine della strada.- sussurra Louis al mio orecchio e a quello di Zayn, avvicinandoci. –Correte, al mio via. Lo dico agli altri.- dice infine. Lo sento muoversi dietro di me, mentre Alexander continua a procedere.

Succede tutto in un attimo. Louis urla il via. Tutti iniziamo a correre ed io non mollo la mano di Zayn. Alexander ci urla contro qualcosa arrabbiato e, in qualche modo, so che in questo istante i suoi occhi non sono poi tanto dolci.

Corro frenetica, e la strada sembra ancora più lunga. Louis, Harry e Niall erano dietro di noi, quindi ora corrono davanti a noi. Di conseguenza, i passi che vengono da dietro sono di Alexander e chissà chi altri. Perché sono troppi i rumori che sento.

Inizio a sentire male a un fianco, ma non demordo. Almeno non finchè mi afferrano un braccio. La presa è forte ma continuo a correre e strattonarlo, sperando che mi lasci. Quando vedo la fine della strada, la speranza si accende in me. Ce la possiamo fare. È proprio all’ultimo, però, che si ribalta la situazione. Mi strattonano forte, sento le dita di Zayn staccarsi dalle mie, dopo un ultimo tentativo di tenermi stetta. Sono scossa, strattonata e infine mi poggiano un coltello sulla gola. Siamo fuori dalla strada, ormai, e c’è più luce in giro. –Seguiteci, o gli taglio la gola.- sussurra l’uomo che mi tiene. Non è Alexander. –Si dice ‘le taglio la gola’.- sussurra Zayn a denti stretti. Penso che in questo momento la grammatica non sia la nostra priorità, no. –Lasciala andare.- dice dopo, più convinto. –Ragazzino, non ti conviene fare il duro con noi. Venite spontaneamente, oppure…- preme il coltello sulla gola e sento qualche goccia di sangue uscire, mentre quel punto mi brucia. Non oso guardare gli altri. Da un lato voglio che continuino la missione, anche senza di me. Dall’altro, non voglio morire. E non so che segnali potrebbe mandare il mio sguardo in questo momento. Mi limito a non muovermi, perché potrei peggiorare la situazione che già è degenerata.

-Fermati!- urla Zayn, prima che l’uomo posi il coltello più in profondità. –Veniamo, veniamo.- presumo che dovremo rientrare in quella strada e non mi va per niente. Ma non sono nelle condizioni di oppormi poiché, anche se hanno accettato, l’uomo continua a tenermi stretta. Per mia fortuna, non ci inoltriamo nel buio. Prendiamo un’altra via per arrivare dall’altro lato. Alexander spiega che prima eravamo andati là per non vedere questi uomini e che ormai, quindi, non ha più senso camminare nel buio. In fondo non è male, essere portata in braccio, senza dover camminare. Se non fosse che non so dove stiamo andando, siamo in territorio nemico e, più precisamente, nelle mani nel nemico. Se non fosse che almeno io, Zayn e Louis abbiamo una reale causa che ci ha portato qui. Niall e Harry sono qui unicamente per colpa mia.

Camminiamo, o meglio, camminano, per un bel po’ di tempo. Quella strada non sembrava lunga. Era lunga.

Chissà che sta pensando Buck, non avendomi visto a scuola. Di sicuro ha capito che ho intrapreso la missione. Sarà preoccupato? Immagino di sì. Ma non immaginava questo. Probabilmente sapeva che saremmo rimasti a Bradford, e là eravamo al sicuro. Poi aveva dato precise indicazioni. Sia sulla strada da prendere, sia su chi fidarci. E noi non le abbiamo rispettate. Sono sicura che non immaginasse questo.

D’altronde io stessa mi meraviglio di quanto siamo stati sconsiderati. Di quanto sono stata sconsiderata. Non mi sono forse fidata subito di Alexander? Non ci ho messo qualche secondo per farmi convincere a prendere la strada sbagliata? Deve essere abituato a mentire. È il primo che riesce a raggirarmi in questo modo. Forse è per questo che Buck al ‘non fidarti’ aveva aggiunto ‘assolutamente’. Sapeva che era pericoloso. In fondo è più pericoloso chi riesce a convincere le persone con le parole, piuttosto che con la violenza. Ha il mondo tra le mani.

Entriamo in una casetta abbastanza carina all’esterno e terribilmente misera all’interno. Ora posso vedere bene chi siamo. Noi, Alexander e due uomini che ne valgono venti. La prima cosa che noto è che non chiudono la porta a chiave. Evidentemente non pensano che proveremo a scappare. Beh, io non potrei farlo senza ritrovarmi un coltello fino alle corde vocali. Ma magari gli altri ce la farebbero.

-Allora, che volete? Tu non sei di Bradford? Perché ci hai teso quest’imboscata?- dice Harry.

-Beh, senza Holmes Chapel il nostro sarebbe il comando più importante di tutta l’Inghilterra. Contando che siamo solo noi due e Oxford la concorrenza non è molta. E poiché Oxford è irrilevante, gli unici da eliminare siete voi. Quando abbiamo saputo del piano di Liam e Buck… ahhh, si che eravamo felici. E ora non vi permetteremo di rovinare tutto.- spiega Alexander.

-Questi due- dice Harry indicando, con un cenno del capo, i due omoni alle spalle di Alexander. E guardando, di conseguenza, me, che sono trattenuta da uno di loro. –Sono di Bradford?-

-Si.- risponde Alexander. –Ma tu non sei di Holmes Chapel. Sei irlandese.-

-Io e lui.- dice Harry indicando Niall.

-Biondo, occhi azzurri… sì, dovevo immaginarlo.-

-E’ tinto.-

Non capisco la piega che sta prendendo la conversazione. Capelli. Che c’entrano i capelli ora? A chi interessa? Perché non chiedono subito cosa intendono fare con noi? Perché non arrivano al punto? Sono troppo spaventata per parlare, altrimenti lo farei io. Ma il coltello è così vicino alla gola che ho paura che solo deglutire mi porterà a toccarlo. Oso guardare Zayn. Ovviamente il suo sguardo preoccupato era già posato su di me. Lo guardo in modo così eloquente che anche un cretino capirebbe ciò che sto cercando di dire. Chiedeteglielo! Cosa ne sarà di noi?  Ma lui non muta la sua espressione. Il che mi fa pensare che ha, o hanno, già un piano.

Inizio a convincermi che sarò morta prima che faccia buio e non è un pensiero molto gradito, in realtà.

Alexander e gli altri stanno continuando a parlare, ma io non li ascolto. Mi concentro su Zayn e cerco di capire quale possa essere il piano. Non ci sono molte possibilità in realtà. Per come la vedo io, siamo in un vicolo cieco. Ma forse loro hanno più vista di me. E forse, adesso ci arrivo, tutto questo parlare è solo un diversivo. È probabilissimo. Ma un diversivo per cosa, esattamente?

 

È passato un bel po’. Non vedo un orologio da qualche giorno, ma sono sicura che almeno due o tre ore siano trascorse, tra le chiacchere –sempre più spensierate- dei ragazzi. Sono tutti seduti o sdraiati a parlare allegramente. Eppure l’uomo che mi tiene continua a rimanere in piedi. Non si è stancato? E il braccio non gli fa male? A me iniziano a far male le gambe. Sono quasi tentata di chiedergli di prendermi in braccio nuovamente. Ma qualcosa stranamente mi ferma. Non so se è vedere il suo volto burbero riflesso sulla parete. O sentire la punta fredda del coltello che persiste sulla mia gola. O costatare che né le sue gambe né il suo braccio sono stanchi. È un vero portento, questo gli va riconosciuto. 

 

Inizio a sentire i crampi allo stomaco per la fame. Ho saltato la colazione e sono sicura che anche l’ora di pranzo sia passata da un pezzo.  A un tratto, con mio grande imbarazzo, il mio stomaco emette un brontolio che fa fermare a mezz’aria persino le parole dei ragazzi. –Scusate.- dico a bassa voce per la paura del coltello e con le guancie in fiamme per l’imbarazzo.

-Jody, lasciala.- ordina Alexander. Lui comanda loro che sono venti volte la sua stazza? –Vai a prendere il pranzo.-

Le ultime cinque parole suonano così bene che mi sento quasi leggera. E sono talmente sollevata di non avere un coltello puntato sulla gola che potrei librarmi in aria in questo momento. –Posso sedermi?- chiedo, quasi timidamente, ad Alexander. Mi fa cenno di sì. Posso costatare che è felice di questo potere che ha.

Dimentico quello che ho detto stamattina - forse è stato tutto già cancellato da quando mi ha tenuto la mano- e mi butto a capofitto tra le braccia di Zayn che mi accolgono, familiari, amiche, confertevoli. Immergo il viso nella sua giacca e resto così fin quando non arriva il pranzo. Stavolta non riesco a capire quant’è passato, ma di certo non molto. Non rispetto alle altre volte in cui ho ‘contato’ il tempo.

Anche se viene da una semplice busta, il pranzo è un vero e proprio pasto regolare. Manca la prima portata, però c’è roast beef in abbondanza per tutti e le patate avanzano pure. Infine, mangiamo anche un po’ di frutta.

Direi che quando ti sequestrano ti fanno mangiare bene, perché posso ritenermi davvero soddisfatta.

Sto per immergermi di nuovo tra le braccia di Zayn, quando Jody mi tira su. Ha di nuovo il coltello in mano. Ma è proprio necessario? Mi faranno anche dormire in piedi, come un cavallo? Mmm, chissà se Jody dorme. Non ha mangiato, quindi forse non ha bisogno neanche di dormire. Mi costringerà a restare sveglia? Solo all’idea impallidisco. Senza la bevanda, non posso resistere tutta la notte.

Ricordo distrattamente di aver visto un thermos nell’armadietto di Buck, magari aveva pensato anche a questo. Ma non ci abbiamo pensato noi. –Posso almeno sedermi?- chiedo, sull’orlo della disperazione. L’attenzione di tutti è rivolta di nuovo a me. Beh, non credo di aver chiesto la luna. O forse si? Magari per come ragionano loro sì. Ma in ogni caso io non posso stare in piedi per sempre.

Eppure capisco che l’espressione sconcertata di Alexander non è rivolta a me, ma a Jody. –La stai facendo stare alzata? È così che si tratta una signora?- parole da vero gentiluomo, se non contiamo che sono pronunciate dallo stesso ragazzo che ha ordinato di puntarmi un coltello alla gola.

Comunque sia, alla fine riesco perfino a ottenere di stare sdraiata accanto a Zayn. E cerco di non guardare la pistola che Jody, seduto su una sedia sopra di me, mi punta alla testa. Finchè sono fra le sue braccia, andrà tutto bene, lo so.

Cerco di convincermi che se Zayn è così calmo vuol dire che ha un buon piano, quindi mi tranquillizzo ancora di più. Anche se, devo ammettere, che tutte le mie paure sono passate da quando sono tra le sue braccia. Persino la pistola puntata al mio capo passa in secondo piano. –Tranquilla.- mi dice Zayn. E poi mi dà un bacio. Perché sa che ora non lo rifiuterei. Perché, nonostante lo abbia fatto soffrire, sa che sono innamorata di lui e ho detto quelle parole solo per Harry. Perché sa capirmi sempre e comunque.

 

La giornata trascorre tranquilla. In realtà, è forse la più tranquilla da quando ho sei anni. Nessuno chiede fin quando staremo qui, perché –chi prima, chi dopo- ci siamo arrivati tutti. Quando usciremo da qui, tre di noi non possederanno una casa, dove tornare. Quando usciremo da qui, Holmes Chapel non esisterà più.

Ho sempre una pistola puntata alla testa, o al cuore a volte, ma non sono mai stata così tranquilla. Perché so che non sparerà. Non finchè io non proverò a scappare. Quindi sto bene così. Con Zayn e i miei amici e cibo a sufficienza. Una pausa dalla mia vita frenetica. Anche se stiamo fallendo la missione. Ma arrivati a questo punto, non credo che sia più possibile riuscire. E con l’arrivare della sera e della cena, penso che alla fine Zayn neanche lo avesse un piano. L’avrebbe già attuato, no? O sta aspettando il momento giusto? Beh, in ogni caso, io sto bene anche così. Assaporo per la prima volta la brezza di avere una vita normale.

Quando arriva l’ora in cui solitamente mi reco al comando, capisco che però non mi piace per niente. Sono fatta per vivere nel pericolo, avere costantemente le vene cariche di adrenalina. Stare ferma non è da me. Inizio a diventare claustrofobica. Mi sento oppressa. Non mi piace non poter uscire. Mi alzo e cammino. In avanti e in indietro. Dopo aver pensato che volessi uscire, Jody si calma perché capisce che non è così. Ma la pistola non la abbassa. Io, d’altra parte, continuo a camminare. Per tutta la sera. Per tutta la notte, o quasi. Mi fermo solo quando Zayn mi guarda e apre le braccia. Mi tuffo di nuovo su di lui e mi addormento all’istante, come mi capita solo quando l’ho vicino.

Il giorno dopo, sono svegliata a mezzogiorno. Lo so perché finalmente la casetta è stata corredata di orologio. Il pranzo è già servito. È la prima volta che mi sveglio con il pranzo. Più che altro, è la prima volta che mi sveglio così tardi. Bello provare nuove esperienze. Eppure, non riesco a mangiare, né a sentirmi a mio agio. Mi sono appena svegliata. Devo farmi una doccia, lavarmi i denti, pettinare i capelli. Sono pur sempre una ragazza. Non posso restare sporca. –Mi sono appena svegliata.- dico. –Devo lavarmi.- stavolta sono più decisa, quando mi rivolgo ad Alexander, può fare tutto, ma non impedirmi di curare me stessa. M’indica il bagno, senza dire una parola. Come se non sapessi che fosse là. –Mi servono un accappatoio, un bagnoschiuma, uno spazzolino e un pettine.- aggiungo, perché è meglio specificare.

-Bene. Jody vai a prenderle tutto. E anche per loro.- dice Alexander indicando gli altri. Le sue cose devono essere già in bagno.

-E della biancheria!- urlo prima che Jody chiuda la porta. Se c’è una cosa buona che ci hanno insegnato a Holmes Chapel è che la pulizia viene prima di tutto. Per questo sospiro di sollievo quando Jody ritorna, prendo le mie cose e mi dirigo nel bagno. Faccio una tra le doccie più lunghe della storia e mi avvolgo nel mio accappatoio nuovo di zecca. È arancione e profuma di albicocca, un classico. Mi lavo i denti accuratamente. Cambio la biancheria e rimetto i miei vestiti. Pettino i capelli uno a uno. E continuo a stare in bagno finchè la mancanza di Zayn supera la paura della pistola. –Cercavi un modo per aprire la finestra?- mi chiede Alexander con un mezzo sorriso, quando rientro nella stanza. –C’è una finestra?- chiedo distrattatemente. Devo essere molto convincente, perché non protesta più. Vado di nuovo accanto a Zayn, ma sorprendentemente lui si alza. –Dove vai?- gli chiedo sbuffando. –In bagno, non sei l’unica a doverti lavare.-

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Capitolo 17
*** Piano B ***



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-Zayn- sussurro, mentre tutti tranne Jody dormono. –Ma il tuo piano?-

-Il nostro piano.- mi corregge, indicando gli altri. –Tranquilla.- mi rassicura dopo. Sì, sto tranquilla. Soltanto mi piacerebbe sapere almeno qualcosa, senza essere all’oscuro di tutto. Non posso aiutare così e se non aiuto non servo a niente. E non voglio, per nessuna ragione al mondo, sentirmi inutile. È la condizione peggiore del mondo, non poter far niente. Ma lo sopporto, perché non ho altra scelta. E perché mi fido di Zayn e di tutti gli altri. Lo sopporto e aspetto che attuino questo stupido piano, nonostante non abbia, ormai, molta pazienza. Da quanto siamo qui? Due giorni? Mi pare di sì. E io sono ancora sorvegliata. Anche se non mi punta la pistola ora, probabilmente perché è troppo stanco. Sistemo meglio il viso sul petto di Zayn e lo abbraccio per assorbire il suo calore. Fa freddissimo. Non per questo si sono preoccupati di darci delle coperte, ovviamente. Alexander e l’omone senza nome dormono tranquillamente su dei materassi, con delle coperte imbottite al massimo, che sembrano davvero molto molto calde. Intanto, noi muoriamo di freddo e Jody non dorme per niente.

Sento il respiro regolare e più calmo del solito di Zayn e capisco che si è addormentato. Cerco di calmarmi un po’ e miracolosamente, con i denti che sbattono, riesco anch’io ad addormentarmi.

 

Il giorno dopo ho -per tutto il tempo- uno strano senso di dejaa-vu. Facciamo le stesse cose di ieri ed è un po’ straziante. Sembra davvero una specie di vacanza con i miei amici, anche se siamo chiusi in casa, dobbiamo sussurrare invece di parlare e siamo sorvegliati da due omoni e una pistola. Non riesco a rilassarmi completamente, però. Perché penso a cosa starà succedendo a casa, chissà cosa si sono inventati. Chissà cosa pensano ora i miei genitori, o Terrie. Povera piccola Terrie, la additeranno a scuola perché sua sorella è scomparsa. E le stesse persone parleranno tranquillamente con Buck e Liam, anche se loro sanno di questo. Perché scommetto che ormai Buck gli ha detto tutto, non può nascondere qualcosa a Liam, è contro la sua natura. E Phillips? È arrabbiato? Immagino di sì. Spero solo che tutto questo non sia inutile, che riusciremo a farcela. Che i ragazzi riescano ad attuare questo misterioso piano. E, soprattutto, che funzioni.

Alexander, Jody e l’uomo senza nome sembrano piuttosto tranquilli, in ogni caso. Molto rilassati. Ogni tanto parliamo anche un po’. O almeno parlano, perché io non ho intenzione di rivolgergli la parola. Nemmeno di guardarlo, in realtà, non voglio cadere vittima dei suoi occhi. Mi basta esserlo di quelli di Zayn.

Però, devo ammetterlo, dopo altri due giorni di solita routine senza poter uscire né fare nient’altro, mi sono davvero stufata. Inizio a camminare avanti e indietro sempre più spesso e ormai neanche Zayn riesce a farmi sedere. Anche perché sono arrabbiata con lui. Con lui e con tutti gli altri. Non capisco perché siamo ancora qua, perché non hanno attuato il loro splendido piano. E sono arrabbiata anche con me stessa, poiché non ho pensato a nessun altro piano di riserva.

Conto i giorni che passano così come le ore e i minuti, anche se non ce ne sarebbe bigosno, visto che adesso abbiamo anche un orologio in casa. Ma che altro posso fare qui? Quando, secondo i miei calcoli, sono le nove e mezzo di sera, mi stendo per terra. Controllo l’orologio, per sicurezza. Sì, sono le nove e mezzo. Penso con nostalgia al campo e mi addormento.

Nel momento stesso in cui Zayn mi scuote, capisco che c’è qualcosa che non va. Di certo non tengo il conto anche di notte, ma sono sicura che non sia mezzogiorno. Sia perché non viene luce dalla finestra, sia perché fa ancora troppo troppo freddo, sia perché dormono tutti, sia perché mi accorgo di aver riposato di meno rispetto agli altri giorni. –Alzati e chiama gli altri, ce ne andiamo.- mi sussurra Zayn velocemente. Ah. È questo il grande piano? Il piano per cui ho aspettato quasi una settimana? Alzarsi nel bel mezzo della notte e, semplicemente, andare via? Non commento perché sono troppo stanca perché possa farlo. Comunque, questo magnifico piano potevamo farlo anche il giorno dopo essere venuti, senza aspettare tutto questo tempo.

Mi alzo con la schiena a pezzi. Non vedo l’ora di tornare a dormire sul mio letto comodo, non c’è niente di meglio. Passo oltre i corpi addormentati di Alexander e dell’uomo senza nome e scuoto piano Niall. –Svegliati- sussurro. –Svegliati!- Dopo una quindicina di secondi apre gli occhi e si alza in piedi, senza bisogno di spiegazioni. Ripeto la stessa operazione con Louis, mentre Zayn sta cercando di far alzare Harry, che ha il sonno più pesante. Quando siamo tutti in piedi, ci incamminiamo verso la porta, Zayn la apre, usciamo tutti e Louis se la chiude alle spalle. È stato tutto talmente semplice che ho ancora la strana illusione di essere in casa. È stato tutto talmente semplice che sono altamente innervosita per non averlo potuto fare prima.

Afferro le braccia di Louis e Niall, convinta che Zayn e Harry mi seguiranno e li trascino un po’ più lontani dalla casa. Appena siamo abbastanza lontani da poter urlare senza essere sentiti da loro sbotto: -Allora?! Perché avete aspettatato così tanto?!- li guardo uno ad uno e anche loro si scambiano occhiate, come se sapessero che gli avrei fatto quella domanda. –Secondo te nei primi giorni Jody dormiva?- mi chiede Harry, finito il simpatico giro di sguardi. –Cosa?- chiedo, confusa. E sono confusa davvero. Che significa questo? –Stava sveglio tutta la notte, a osservare Alexander, anche se questo non me lo spiego. Comunque era sveglio, e non potevamo fare niente.- Bene, capito. I nostri… i loro piani sono stati ostacolati dall’insonnia di Jody, in poche parole. Perfetto. Ora preferisco allontanarmi da qua il prima possibile.

È molto buio, saranno le due o le tre del mattino. Avendo visto questo quartiere solo con la luce, nessuno di noi sa orientarsi per trovare la strada da cui siamo venuti, quella non buia e stretta. Non ho nessuna voglia di entrare in quella strada, ma purtroppo siamo costretti, se vogliamo andare via da qui. Quindi, controvoglia, ci avviamo verso il vicolo buio, che si trova facilmente, procedendo sempre verso avanti. Alla destra e alla sinistra del vicolo, ci sono dei muri lunghissimi e alla fine di uno di loro, probabilmente, c’è la strada non-buia. Però potrebbe non essere là. E nessuno se la sente di rischiare, quindi andiamo sul ‘sicuro’ e ci immergiamo nel buio più totale del vicolo. Mi guardo spesso indietro e appena non si vede più l’inizio del vicolo afferro con violenza la mano di Zayn e la stringo forte. Sento i passi dei ragazzi davanti a noi, e questo va bene. Quello che non va bene è… la mia sensazione. Come se ci stessero seguendo. Come se ci fosse qualcuno dietro di noi che, tecnicamente, chiudiamo la fila. Non è una bella sensazione, ineffetti. –Zayn, secondo te siamo soli qui dentro?- sussurro.

-Io non ho la minima idea di quello che succeda qui dentro.- mi risponde. –Ma lo spazio è strettissimo, non credo che ci passerebbero altre persone.-

-Sì, ma potrebbero precederci o seguirci.- continuo.

-Tranquilla, finchè ci sarò io nessuno ti farà del male.- mi rassicura Zayn. Spero sia vero. Comunque, Alexander non mi ha fatto niente alla fine. Quindi forse Zayn ha ragione, con lui sono al sicuro. E, forse, è proprio perché ho pensato questo che qualcuno mi tappa la bocca. Penso di essere al sicuro e che succede? Vengo afferrata. Non potevo sperare di peggio, in un vicolo buio. Potrei essere accoltellata senza che nessuno se ne accorga. Ma qualcuno lo fa, perché la prima cosa che faccio –d’istinto- è stringere di più la mano di Zayn, fino a quasi stritorarla.

-Mmmm mmmmm!!- grida lui, e capisco che ha la bocca tappata come me. Mi strattonano e perdo il contatto con la sua mano. Ora posso iniziare a disperarmi. Scalcio, provo a urlare, mi dimeno in ogni modo possibile, ma non mi mollano. Sento parecchi colpi provenire da dietro, penso che anche gli altri stiano provando –a modo loro- di liberarsi. Chi sono questi uomini? Dove ci stanno portando? Non ho il tempo di pensare altro, perché un colpo alla testa mi fa svenire.

Quando mi sveglio, siamo di nuovo alla fine del vicolo, dal lato che porta a casa di Alexander.  Non riesco a guardare l’uomo che mi tiene, ma vedo gli altri. Sono tutti della stazza di Jody e dell’uomo senza nome, forse un po’ più magri. Sono sicuramente degli altri uomini di Alexander, che deve aver già scoperto la bella sorpresina di stamattina. Il sole non è ancora sorto, si sveglia presto. Chissà come ha fatto a svegliarsi Zayn, invece, contando l’ora che era e che non aveva la sveglia. Lo guardo e mi accorgo che ha un livido su un occhio. Niall e Louis hanno le labbra sanguinanti. Dal naso di Harry escono fiotti di sangue che mi fanno venire la nausea. Devono aver avuto un bel dibattito con gli uomini, dentro il vicolo. Il meno grave è Zayn, ma Harry andrebbe medicato subito. Ci si può dissanguare tramite il naso? Se continua così, penso di sì. Vedo che sta provando a far cessare il sangue strofinandosi il naso con una manica, ma la situazione sembra solo peggiorare. Gli faccio cenno di tamponare. Mi ringrazia.

Sono sicura di avere anch’io un brutto livido sulla fronte, ma non è di questo che m’interesso. M’interesso di aver trascinato i miei amici in tutto questo. M’interesso di averli trascurati tutto il tempo per stare con Zayn. M’interesso del fatto che appena torneremo da Alexander, sicuramente lui non ci tratterà molto bene.

O forse mi sbagliavo.

Appena entriamo in casa, lui ci accoglie con un sorriso e ci fa sedere, come se non fosse successo niente, come se non avessimo provato a scappare.

-Beh, ora sapete cosa succede.- dice, sempre sorridendo. –Che ne dite di dare una pulitina a questo posto? E’ diventato sporchissimo.- Noi scappiamo e lui ci chiede di pulire. Ci chiede di pulire. Lasciando stare che è già un’assurdità in sé, perché non ho mai pulito e non inizierò a farlo per lui. Ma è incredibile anche il contesto in cui ha inserito la richiesta. Sospettavo fosse pazzo, e ora ne ho la piena conferma. Pff, pulire!

-Io non pulisco proprio niente.- dichiaro.

-Davvero? Bene, allora tu inizierai con il bagno, su.- ribatte Alexander senza smettere di sorridere. È buffo il fatto che nel momento in cui lui finisce di parlare Jody alza la pistola e con quella mi fa cenno di entrare nel bagno. Sono terrorizzata, ma cerco di sorridere anch’io. Per sdrammatizzare. O forse per non far trapelare la mia paura. Guardo un’ultima volta Alexander e poi entro nel bagno e chiudo la porta, senza dire nient’altro. Sento Zayn chiedere di potermi aiutare. Ovviamente la risposta è negativa.

Sono entrata in questo bagno molte volte, ma in nessuna di queste mi è sembrato così sporco come ora. Cerco di focalizzare bene la situazione. Qualcuno non ha scaricato il gabinetto e quella è la prima cosa che faccio. Penso che dovrei anche lavarlo, ma non so proprio con cosa. Con che cosa posso pulire un gabinetto? Uno straccio? E dove lo trovo? Quasi mi vergogno di non sapere la più elementare – probabilmente – delle cose. Però non è colpa mia, casa nostra era sempre pulita, anche se non ho mai visto né mia madre né mio padre occuparsi di questo. Dovrei chiedere a qualcuno, ma Zayn e Louis di sicuro sono nella mia stessa condizione. Non so se Harry e Niall sanno qualcosa, ma m’imbarazzerebbe troppo chiederglielo, in ogni caso.

‘Hey Harry! Sai per caso come si pulisce un gabinetto? Perché io non so assolutamente niente dato che una fatina puliva casa mia di nascosto.’

Abbastanza imbarazzante. E soprannaturale. No, devo chiederlo a qualcun altro. Siccome la pistola di Jody e i muscoli dell’altro uomo mi spaventano troppo, mi decido a chiamare Alexander. Cammino piano verso la porta, per avere più tempo per pensare se sia una buona idea o meno. Mentre abbasso la maniglia, però, capisco che alla fine non ho altra scelta. Apro poco poco la porta, lo spazio sufficiente per vedere con un occhio. –Alexander- dico. –Puoi venire un attimo?- cerco di concentrarmi solo su di lui, anche se so che tutti, Zayn soprattutto, mi stanno guardando male. Alexander rimane fermo e mi guarda sorridendo. Non capisco il motivo, quindi apro un po’ più la porta. L’uomo senza nome è magicamente davanti a me e in un nanosecondo il suo braccio mi stringe la gola. –Perché devo venire? Mi hai teso qualche trappola?- in un primo momento penso che sia stato l’omone a parlare, poi –nonostante la poca aria che mi arriva al cervello- riconosco la voce di Alexander. In fondo, questi uomini non fanno assolutamente niente senza che lui glielo ordini. Le dita intorno alla gola fanno male e non riesco a respirare bene. Se sto così ancora un po’, non respirerò per niente. Girò lentamente la testa, prima a destra poi a sinistra. Il movimento è stato talmente impercettibile che non penso l’abbia notato. Così urlo ‘No’  con voce roca e bassa, anche se ho usato tutto il mio fiato. –Lasciala.- dice Alexander, dopo aver aspettato che il mio viso diventasse viola. Senza smettere di sorridere, cammina verso di me, entra il bagno e mi fa cenno di seguirlo. Tasto piano la mia gola, ancora dolorante, e sono consapevole che i segni resteranno per un bel po’ di tempo. Guardo Alexander mentre mi viene incontro e poi entra nel bagno, spingendomi e chiudendo la porta.

-Allora, tu ne sai qualcosa?- gli chiedo, vedendo il suo sorriso diventare più ampio. Cosa c’è di comico nel pulire un bagno?

-Dipende, tu di cosa stai parlando?- mi chiede a sua volta, facendo un passo verso di me.

-Siamo in un lurido bagno. Secondo te di cosa posso parlare?!-

-Beh, non so.- dice, avvicinandosi ancora. –Magari vuoi dirmi che sei stufa dei bacetti di Zayn. Magari – ma solo magari- vuoi cambiare aria.-

-Sì, apriamo la finestra.- dico, con un cenno di nervosismo, indicandola e facendo un passo verso essa. Di cosa sta parlando? Sono stufa dei bacetti di Zayn? Perché parla di questo? Perché sono qui sola con lui, maledetta me!

-No- mi risponde lui bloccandomi. –Tranquilla, resta qua. Io intendevo che potrebbe servirti qualcosa di diverso.- le ultime parole famose. E’ troppo vicino e la vista prolungata inizia a disgustarmi, se non per gli occhi che faccio a meno di guardare. Sono pronta a scansarmi in ogni momento, ho i riflessi prontissimi quando… la vedo. In una delle tasche posteriori del jeans, Alexander ha una pistola.

Tutto un tratto mi viene in mente un Piano B che potrebbe finire male quanto il primo, se non di più, ma vale la pena provare.

Chiudo gli occhi e immagino, il più vividamente possibile, il volto di Zayn. In questo modo, quando le labbra di Alexander si posano sulle mie non mi ritraggo. Non subito almeno. Poi mi allontano un po’ e lo guardo con il meno disgustata possibile, gli accarezzo il collo. Scendo fino alla schiena, lo vedo sorridere. Aspetto un po’, cercando di stare calma. E avviene tutto in un nanosecondo, o forse meno. Impugno la pistola e la sbatto forte contro la tempia di Alexander, facendolo svenire. Ora ho una pistola. Ho un’arma, finalmente. Sono praticamente imbattibile, non importa di Jody, né dell’altro uomo senza nome.

Apro la porta e con un calcio faccio uscire il corpo di Alexander, ancora svenuto, fuori dal bagno. Guardo le espressioni sconcertate di tutti e mi assicuro che vedano la pistola. –Ora si fa come dico io.-

                                              

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Capitolo 18
*** Spari ***



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Mi preparo a sparare verso Jody o l’altro uomo, ho tutti i sensi all’erta, ma inaspettatamente si mettono a ridere. Non capisco e non ho intenzione di abbassare la pistola. Quando poi iniziano a esclamare cose come ‘Sapevo che ce l’avreste fatta’ sono talmente confusa da abbassare il braccio senza accorgermene. Le situazioni che si succedono in questi ultimi giorni diventano sempre più strane e insensate. Loro dovrebbero provare a spararmi. Non ci riuscirebbero, ovvio, ma dovrebbero provarci e non dire che ce l’avremmo fatta.

Incuranti del corpo di Alexander steso per terra, Jody e l’altro uomo si siedono comodamente e iniziano a guardarci con dei sorrisi che normalmente avrei trovato teneri, ma ora considero molto inquietanti. –Cosa sta succedendo?- chiedo con una punta di ironia nella voce. Guardo Jody in attesa, ma è l’altro uomo che inizia a parlare. –Beh…- dal primo momento in cui apre la bocca per dire una sola parola, se può essere chiamata tale, cambio il suo nome in ‘uomo dalla voce profonda’. E lui ci racconta come sono organizzate le cose a Bradford. Il comando è diverso dal nostro, il capo è il padre di Alexander che, di conseguenza, può fare tutto quello che vuole, come circolare indisturbato per il comando di notte e avere due tirapiedi. Peccato che questi ultimi due non siano felici della posizione che sono costretti a occupare. In primo luogo, non possono svolgere nessuna vera missione. In secondo luogo, devono fare tutto quello che dice un deficiente. Hanno sempre voluto sbarazzarsi di lui e in questo periodo si sono affezionati a noi, quindi ci vogliono aiutare, in qualsiasi cosa dobbiamo fare; in qualsiasi cosa che sia una missione.

Sono un po’ restìa a fidarmi di loro, anche se la storia che hanno raccontato sembra abbastanza credibile. Così è Niall che dice di fidarsi e che ci possono aiutare. Ho dato per scontato che il mio parere fosse il più importante, per qualche stupido motivo. Mi scervello sempre per pensare cosa rispondere alle proposte senza ricordare che ho anche altri compagni di missione.

Iniziamo a creare un piano perché naturalmente Jody e l’uomo dalla voce profonda non possono permettere che Alexander si svegli e loro non ci siano, o che non abbiano provato a fermarci. Così decidiamo che dopo averci accompagnati per un tratto di strada, loro torneranno qua e diranno ad Alexander, nel caso fosse già sveglio, di aver provato in ogni modo a fermarci. Secondo me possono anche evitare di accompagnarci, ora che non c’è Alexander tra i piedi non credo che succederebbe qualcosa, ma ripensando al vicolo buio e alle persone che c’erano dentro, non me la sento di contestare.
Usciamo velocemente dalla casa, perché non vogliamo che Alexander si svegli quando siamo vicini, nel caso decidesse di venire a cercarci. Mi accorgo distrattamente che grazie a Jody e all’uomo dalla voce profonda, la gente losca che abita qui ci guarda con un misto di rispetto e paura. La loro protezione ci sarà molto utile, almeno finchè l’avremo. Zayn mi prende la mano e gli sorrido. Anche la sua protezione sarà utile, per il mio cuore. Cerco di ricordare perché dopo che c’eravamo baciati la prima volta non volevo stare con lui. Guardo Harry. Nonostante tutto sembra che l’abbia presa meglio della prima volta. Parla tranquillamente con Louis e Niall che sono diventati davvero degli ottimi amici, in questo periodo. Vederli tutti ridere, vedere che sono felici, rende felice anche me. Perché questa missione non è stata un totale disastro, anche se siamo solo a (un nuovo) inizio. Però ci ha uniti, questo è sicuro. Do un bacetto sulla guancia di Zayn e prendo a camminare a passo più veloce, per affrettare i tempi. L’unica cosa di cui dobbiamo realmente avere paura, in questo momento, è il tempo.

-Come ti chiami?- chiedo intanto all’uomo dalla voce profonda, perché è stressante doverlo chiamare continuamente con un nome tanto lungo, nei miei pensieri.

-Willy.- mi risponde sorridendo.

Stranamente, scoppio a ridere. Willy? Jody e Willy. I genitori non sono stati molto bravi nell’azzeccare i nomi. Di sicuro ‘Jody’ e ‘Willy’ non sono adatti a due della loro stazza. E sembra pensarlo anche Zayn, che ridacchia silenziosamente. Ci scambiamo uno sguardo divertito. –Ho capito tutta la faccenda di Alexander, del perché vi sta antipatico e bla bla bla. Però non ho ancora chiaro perché ci volete aiutare. E’ una grossa responsabilità. Davvero fate tutto questo perché ‘vi siete affezionati a noi’?- chiede poi Zayn, con una punta di scetticismo che cercò di non far trapelare, anche se io la notai. Sento che Harry, Niall e Louis smettono di parlare per ascoltare la conversazione. Da un lato anch’io iniziavo a farmi delle domande su questo, ma dall’altro mi fidavo di loro. Quindi aspetto la loro risposta, per placare i miei –di sicuro ingiustificati- dubbi. E si prendono un bel po’ di tempo prima di parlare. –Più che altro, abbiamo voglia di fare qualcosa di più pericoloso che osservare un ragazzino.- risponde Jody infine con un’alzata di spalle. Penso che questa versione potrebbe reggere. Anche gli altri ragazzi sembrano più rassicurati e continuano a parlare allegramente. L’unico che non sembra ancora molto convinto è Zayn, ma penso che abbia paranoie inutili. Lui stesso ha detto che Jody durante la notte guardava Alexander e non me, e questo sembra combaciare perfettamente con tutto il loro racconto. Non vedo motivo di preoccuparsi. Do una stretta rassicurante alla mano di Zayn e continuo a camminare sorridendo, finalmente riusciremo a portare a termine la missione. Quando Buck ha scritto che ci sarebbe voluto più di un giorno, di sicuro non immaginava così tanto. Ci considera morti? Non voglio neanche pensarci.

-Allora, secondo te com’è questo Russel?- mi chiede Zayn per fare conversazione.

-Non ne ho idea, spero che non odi gli inglesi.-

-Scherzi?- sbotta Zayn. –Il suo lavoro è ucciderli.- capisco che è molto contrariato di incontrarlo, mentre io avevo sottovalutato che è per colpa di questa gente che i nostri muoiono. Ed è per colpa nostra che questa gente muore. Si riuscirà mai a terminare tutto questo?

-Senti, non credo che tutto questo sia un lavoro da ragazzi, sinceramente.- dice Zayn esitando. –Sarà una cosa difficile e lui sarà pronto a sparare e…-

-Dove vuoi arrivare?-

-Non voglio che tu venga da lui.- Non voglio che tu venga da lui. Probabilmente in questo momento ho gli occhi fuori dalle orbite. –Insomma, intendo che saresti più utile come guardia. Entriamo noi con la pistola e tu ci avvisi se succede qualcosa.-

-Secondo me ha ragione!- esclama Harry avvicinandosi a noi.

La cosa sta superando il ridicolo.  –Ragazzi, io vado in missione da quando ero una bambina. Solo perché sono una ragazza, non potrei entrare? E come sono arrivata fin qui? Scherzi?- aggiungo infine guardando Zayn, con il suo stesso tono di prima.

-Ineffetti ha fatto le mie stesse missioni, se non di più. E’ brava.- dice Niall tranquillo, camminando verso di noi con le mani in tasca.

Intravedo, con la coda dell’occhio, Zayn che gli lancia uno sguardo poco amichevole.

-Non è perché sei una ragazza. Semplicemente, non voglio che ti succeda qualcosa, okay? L’ho capita la situazione. Potremmo essere uccisi in questo stesso istante, figurati se ci mostriamo a lui.- improvvisamente mi apro in un dolce sorriso e non sono più adirata. Sta cercando, per quanto inutilmente, di proteggermi. E’ troppo troppo tenero. 

Lo bacio. –Non preoccuparti per me.- sussurro dopo e, togliendo le braccia dal suo collo, stringo forte la pistola sotto la felpa.                                

 

Camminiamo per tanto tempo e vedo Louis che inizia a muoversi con fatica, non essendoci abituato. Mi dispiace per lui, ma io ho esperienza quindi non sento molto più di quanto sentirei con due passi. Però riesco a capire che non c’era voluto tutto questo tempo per arrivare dal parco alla casa di Alexander. Anche gli altri sono inquieti. D’altra parte, Jody e Willy sembrano perfettamente sicuri. Eppure, dopo un’altra decina di minuti sono sicura che non sia al parco che stiamo andando. La strada era quasi tutta dritta e noi abbiamo preso come minimo sette curve. Jody e Willy ci precedono, convinti che li seguiremo. È palese che dobbiamo andarcene, ma se lo facciamo non troveremo più la strada per tornare al parco o anche a casa di Alexander e non so se sia una buona idea. Semplicemente, non possiamo più seguirli. Come facciamo? –Siamo arrivati.- dice inaspettatamene Jody. Cerco di ricordare… di che colore doveva essere l’edificio? Perché l’ho dimenticato? Doveva essere rosso? Mi pare di sì. Scambio degli sguardi confusi con i ragazzi. Piano piano, per qualche motivo, iniziamo tutti a convincerci che è l’edificio giusto.

-Percaso conosciete Russel? Potete aiutarci?- chiedo.

-Oh no, dobbiamo andare da Alexander e far sembrare la vostra fuga un incidente.- si affretta a rispondere Willy. Va bene, tanto non ci speravo molto. Abbiamo iniziato da soli ed è così che dobbiamo concludere.

-D’accordo, ci siamo. Andiamo, ragazzi.- sospira Harry.

Appena arriviamo sulla soglia dell’edificio le porte si aprono, dentro è molto più rustico rispetto alla facciata esterna, ed è anche deserto. Le porte si richiudono automaticamente dietro di noi, appena varca la soglia anche Niall. Non c’è molta luce, l’unica aperta è di un lampadario sopra di noi, che infonde una luce gialla e molto molto tenue. Non sembra esattamente il luogo, dove si coordinano spedizioni contro i paesi nemici. Non sembra il luogo, dove dovremmo essere in questo momento.

-C’è nessuno?- prova a dire Harry, ma senza alzare troppo la voce. È chiaro che siamo soli o che chiunque ci sia, non ci sente. C’è soltanto un’altra porta oltre a quella da dove siamo entrati, quindi, mentre gli altri continuano a guardarsi intorno incerti, mi fiondo su quella. Non si apre al primo colpo, ma dopo una discreta serie di calci si spalanca davanti ai miei occhi. La luce è spenta ed è tutto estremamente silenzioso, quindi deduco che non ci sia nessuno dentro. Arranco nel buio cercando un interruttore e quando lo trovo e lo premo, mi si presenta davanti lo spettacolo più piacevole degli ultimi giorni. Non riesco a vedere le pareti perché nascoste da centinaia di scaffali con sopra probabilmente il doppio delle armi da fuoco. Sento l’adrenalina che cresce dentro di me, ci sono da pistole normali come la mia a veri e propri fucili. Cambio la mia pistola con un’altra più avanzata e prendo qualche pallottola in più che conservo in tasca, non vale la pena prendere un fucile perchè sarebbe scomodo camminarci per la strada e sembrerebbe troppo aggressivo quando parleremo con Russel. Poi chiamo gli altri.

-Rifatevi gli occhi.- esclamo. Esco dalla stanza per lasciare spazio a loro, dato che non è molto grande. Ora saremo tutti armati ed è sicuramente un punto a favore. È per questo che Jody e Willy ci hanno portati qua? Presumo di sì, volevano aiutarci. Però ora come facciamo a trovare il vero edificio, giacché non sappiamo dove ci troviamo? Inoltre, non capisco come abbiamo potuto convincerci che era qui che stava Russel, perché ora ricordo che l’edificio doveva essere viola.

Ma non è viola che vedo ora, solo nero. Accade tutto in un attimo, quasi non me ne accorgo, persa com’ero nei miei pensieri. La porta della stanza dove ci sono i ragazzi si chiude di botto e la luce della mia stanza anche. Lancio un urlo istintivo e sento i ragazzi fare lo stesso. –State bene?- urlo poi.

-Sì, che è successo da te? Tutto bene?- risponde Zayn dopo un nanosecondo.

-Si è chiusa la luce, ma va tutto bene, cerco l’interruttore.- gli dico e non ricevo risposta. Almeno non da lui.

-Non ti conviene venire da questo lato.- mi dice una voce indefinita, molto roca.

-Chi sei?- chiedo a mia volta, cercando di mantenere la voce ferma e di non sembrare spaventata. Potrei giurare di sentire i ragazzi trattenere il fiato, da dietro la porta.

-Nicholas, tu bellezza?-

-Eveleen.-

-Bene, Eveleen. Non pensi di essere un po’ troppo giovane per tutto questo? Salvare una città, andare in guerra, invadere il territorio nemico… non sono cose che un’adolescente è solita fare, vero?-

-Presumo di no. Ma mi sentirei più a mio agio a parlare con te con le luci aperte.- a discapito di quello che aveva detto prima, apre le luci. Lo guardo in faccia.

Sento le mie pupille dilatarsi e cerco di non aprire la bocca. Il suo viso è stato completamente deformato da chissà cosa e vedendo la mia reazione si apre in un ghigno poco gentile.

-Brutto spettacolo, eh?- mi chiede, ma senza aspettare risposta continua: -E’ questo che succede in guerra, sai? Non ti conviene restare qui. Potrei ucciderti solo per esserci.-

-Ma tu non sei Russo.- dichiaro. Ha l’accento tipico inglese e in ogni caso non saprebbe parlarlo così bene, se non fosse dell’Inghilterra.

-No, infatti. Sai quanti anni ho? Diciotto. Io non volevo entrare nell’esercito, ma sono stato costretto. Perché non erano abbastanza. Perché città come la tua, si rifiuta di collaborare. Perché città come la tua, non meritano di esistere!- urla l’ultima frase e posso percepire tutto il risentimento che prova verso Holmes Chapel. Posso capire perché proprio lui sta cercando di fermarci, armato solo di una vecchia pistola. Non ha più niente da perdere, niente da salvare. Potrebbe uccidermi adesso e suicidarsi l’istante dopo e non farebbe nessuna differenza. La sua vita è già finita da un bel po’. 

-Non voglio ucciderti.- sussurro.

-Lo so.- ribatte Nicholas. –Ma io voglio uccidere te.- aggiunge con una lacrima. Non ha più niente da perdere. Alziamo il braccio nello stesso momento, ma mentre premo il grilletto più velocemente di lui, capisco di fargli un favore. Dritto in faccia, su quel viso che odia tanto. Il rumore del colpo è tanto assordante nelle mie orecchie che non mi accorgo dei ragazzi che danno ripetuti colpi alla porta per aprirla. Verso una lacrima anch’io, per quest’uomo mandato in una missione suicida. Per quest’uomo che l’ha accettata perché voleva porre fine alla sua vita. Per questa ragazza che, per la prima volta, uccidendolo l’ha aiutato.

-Leena, siamo chiusi qui dentro.- dice Niall, dopo un attimo di silenzio che sembra un’ora. –Quell’uomo… dovrebbe avere una chiave.-

Guardo nuovamente il corpo dell’uomo, ormai ricoperto del suo stesso sangue. Ovunque sia quella chiave, non andrò a cercarla là.

-Non posso prenderla.- dichiaro. Non rispondono, spero che capiscano. Vorrei tanto avere Buck e Liam al mio fianco adesso, perché sapevano che effetto mi fa, in ogni caso, guardare la gente morire. Puoi fare questo ‘lavoro’ da tutta la vita, ma i sentimenti non cambiano. Liam e Buck mi avrebbero capita, gli altri probabilmente mi stanno solo considerando codarda. A parte Niall, nessuno di loro sa cosa significa avere sangue umano sulla coscienza.

E nessuno di loro ha una mente molto agile, evidentemente. Sono in una stanza piena di fucili, possono far saltare via la porta con un solo colpo, se prendono quello giusto. Anche il muro, volendo.

-Ora io mi sposto. Prendete un fucile e buttate giù la porta, okay?-  gli spiego, sperando che non mi prendono alla lettera. Per quanto ne so, Louis potrebbe usare il fucile per colpire ripetutamente la porta. Spero che Niall gli dia un po’ di buon senso.

-No, esci dall’edificio, non si sa mai.- mi dice Zayn preoccupato. Abbiamo affrontato un bombardamento, insieme, coperti solo da un pezzo di chissà cosa e si preoccupa per questo? Sbuffo con impazienza ed esco dall’edificio.
Sento il primo colpo di sparo. Non mi hanno –fortunatamente- preso alla lettera.

Poi appare davanti a me qualcuno che non mi sarei proprio aspettata di vedere e non ci pensa due volte prima di spararmi.

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Capitolo 19
*** Cartella ***



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Faccio un balzo di lato, vedo tutto a rallentatore. Il proiettile, quasi invisibile, si avvicina sempre di più e colpisce con violenza la spalla. Il dolore s’impossessa di me, lancio un piccolo urlo, poi non mi esce più niente. Sento altri spari, passi. Non riesco ad alzare lo sguardo, in qualche modo mi trovo sdraiata per terra. La risata di Alexander è l’ultimo suono che riesco a percepire veramente, poi smette anche quello. Continua a scendere sangue dal mio braccio. Devo rimanere cosciente.

Non ho capito che è successo e ora sento solo voci in lontananza. Devo rimanere cosciente.

Qualcuno mi sta toccando, mi culla, mi sussurra qualcosa che non riesco a capire. Devo rimanere cosciente.

 Alzo con fatica lo sguardo in tempo per vedere Zayn che si toglie la felpa e strappa la maglietta. Perché lo fa? Fa freddo. Tanto freddo. Cosciente, cosciente.

Inizia a girare la maglietta strappata intorno al mio braccio, vuole fermare il sangue. Bene, bravissimo. Rimanere cosciente sarà più facile se non continuo a perdere sangue.

–Dai Eveleen, ce la puoi fare, alzati.- mi incoraggia Zayn. Mi aggrappo a lui e mi alzo. Sbatto più volte le palpebre, poi inizio a mettere a fuoco la situazione.

Un altro cadavere è a qualche metro da me. È Alexander.

-Che è successo?- domando tastandomi il braccio. Niente di veramente grave.

-Beh, ti ha sparato.- spiega Zayn, come se fosse la cosa più ovvia. E un po’ lo è. –Ha detto che siamo stati degli sciocchi a fidarci di Jody e Willy e che era tutta una farsa. Poi ha iniziato a dire cose senza senso e a sparare al vuoto. Quando ha puntato la pistola contro di me, che mi ero mosso per soccorrerti, Niall gli ha sparato.-

Quindi, non solo ci siamo fidati delle persone sbagliate, ma non abbiamo la minima idea di dove ci troviamo. Perfetto, direi, davvero perfetto.

-Prima cosa.- dichiaro, guardando il torso nudo di Zayn. –Zayn, indossa la felpa, fa freddo.- lui sorride malizioso, ma si affretta a raccogliere la felpa da terra e scrollare la polvere, prima di indossarla. 

-Seconda cosa.- continua Louis al mio posto.

-Come va il braccio?- chiedono in coro Louis e Niall. Il secondo punto era chiedermi del braccio o parlare in coro? Boh.

-Va bene, grazie. Pensiamo a che fare ora, più che altro.- rispondo con una punta d’irritazione, mentre arriva una fitta di dolore dal braccio, quasi volesse ricordarmi che, ineffetti, non sta bene. Eppure in questo momento non m’interessa minimamente della pallottola nel mio braccio, a casa me lo cureranno. Ma è questo il punto, prima ci dobbiamo arrivare a casa. E per arrivarci dobbiamo completare questa dannata missione. Ora, come facciamo a capire dove siamo? Io di certo non ho preso nota della strada che facevamo, non pensavo ce ne fosse bisogno, in realtà.

-Bene, allora andiamo.- dice sbrigativo Niall.

-Dove?! Come facciamo a capire dove siamo?- domando scettica.

-Al contrario di te, io mi sono guardato intorno mentre venivamo. So come tornare al vicolo e poi è tutto fatto.- ah. D’accordo, questa non me lo aspettavo. Sa come tornare al vicolo, perfetto.

Così ci incamminiamo nuovamente, senza aver riposato neanche un attimo. Niall è in testa e cammina a passo sicuro, ma vedo la frustrazione dipinta sui volti di tutti i miei compagni. Se per tornare ci vorrà quanto ci abbiamo messo per arrivare, non siamo in buone condizioni, ecco. Tutti stanchi e ancora doloranti, seppur armati, non serviremo a molto. Mi balena in mente la stupida idea di fermarci per un po’ nell’edificio con le armi, ma la declino prima ancora di proporla. Non abbiamo tempo da perdere e c’è l’uomo morto, lì dentro. Non credo che riuscirei a rivederlo.

Di nuovo, sento il bisogno impellente di avere Liam e Buck al mio fianco.

Cerco di non pensarci e guardo Zayn, con fare rassicurativo. Dopotutto, ci siamo quasi ormai e non c’è nessun nemico che ci può sviare. Non vorrei essere positiva, contando che ogni volta che ho pensato bene, in questa missione, è andato tutto storto. Eppure, non posso guardare Zayn e dirgli che stiamo andando al macello. Cosa ci aspetta lo scopriremo dopo.

Chi vivrà vedrà.

In questo caso non mi sembra molto appropriata questo detto, così accartoccio anche quella in un lato oscuro del mio cervello. Vivremo tutti e vedremo tutti.

 

Durante il cammino, i vari tentativi di Louis per iniziare una conversazione sono subito interrotti da sbuffi e sguardi truci dei ragazzi, troppo stanchi per parlare. Gli do una pacca sulla schiena, perché sarà almeno la quindicesima volta che ci prova, e gli sorrido. Posso comprendere il suo bisogno di parlare, questo silenzio è alquanto imbarazzante e tutti iniziamo segretamente a chiederci se Niall sa davvero dove stiamo andando. Certo, c’è voluto molto tempo per arrivare a quel luogo e non ce ne stiamo mettendo di più, per ora. In situazioni del genere, però, alcune domande te le poni. È continuamente questione di vita o di morte e noi abbiamo già fatto troppi passi falsi che non potevamo permetterci. Penserei che a questo punto la Russia abbia già bombardato Holmes Chapel, ma se fosse così Alexander non avrebbe continuato a cercare di fermarci, no? Chissà cosa stanno facendo ora Jody e Willy, non vedendolo tornare. Bugiardi. Spero tanto che vengano a cercarlo e rimangano terrorizzati a vita vedendo il suo corpo esangue. Beh, forse proprio questo no. È alquanto cattivo come pensiero. E perverso in modo molto negativo. Scuoto energicamente la testa, come a volermene liberare.

-Tutto bene?- mi chiede Zayn, turbato da questo strano gesto. Annuisco e mi alzo sulla punta dei piedi per dargli un veloce bacio, poi continua il cammino.

Non per molto, però. –Eccoci.- annuncia Niall qualche minuto dopo. –Quello è il vicolo, ci basta attraversarlo e saremo arrivati nel parco.-

-E se lo facessimo di corsa? Renderebbe tutto meno brutto?- chiedo stupidamente.

Sento il braccio di Zayn che mi circonda la vita e mi stringe un po’ a sé. –Magari possiamo sparare a vanvera davanti a noi, così saremo sicuri di essere soli e…- inizia Louis, le gote rosse per l’emozione di dire qualcosa – a suo parere- fantastica.

-…E non passeremo per niente inosservati.- termina Harry, sconsolato, al suo posto.

-Corriamo, se c’è qualcun altro, gli spariamo all’istante.- decide in fretta e con determinazione Niall, prima di perdere altro tempo.

Ci scambiamo tutti un ultimo sguardo preoccupato, impugniamo bene le armi e ci precipitiamo con velocità nel vicolo. Avendo camminato per tanto tempo, siamo stanchissimi e ansanti già dopo cinque metri, ma nessuno osa fermarsi. La mia milza chiede pietà e sento che il mio braccio, sollevato nello sforzo di tenere la pistola, preferirebbe non far parte del mio corpo, in questo momento.

Di corsa la via sembra molto meno lunga e per fortuna non siamo interrotti, quindi quando arriviamo nel parco, siamo più stanchi e più soddisfatti possibile. Probabilmente, è la prima cosa buona che facciamo in questa missione.

-Cercate l’albero.- dico abbastanza inutilmente, perché tutti si erano già messi all’opera. Anche questo compito non richiede uno sforzo particolare: sapevamo già che era in corrispondenza del vicolo.

Sollevati e festosi, ci avviamo verso la strada giusta. Con qualche giorno di ritardo, ma finalmente ci siamo.

E’ impossibile non notare la differenza tra le due parti della città e capisco perché Russel si trovi qui e non dal lato di Alexander. Qui tutto è pieno di vita, posso sentirla anche uscire da un palazzo grigio. La gente è rilassata e chiacchera allegramente per strada, come se la guerra non ci fosse. Dalle vetrine dei bar s’intravedono dei vecchi che fanno un brindisi allegro con pinte di birra. I negozi sono affollati e nessuno ne esce a mani vuote. In pochi passi che ho fatto, già tre o quattro persone mi hanno sorriso allegramente. Non ho mai visto dei sorrisi così sinceri tra sconosciuti, a Holmes Chapel e potrei giurare che non ci sono da nessun’altra parte.

Se non fossimo nemici giurati, potrei quasi dire che i Russi mi stiano simpatici. Chissà perché i nostri non li bombardano. È dall’inizio della guerra che combattiamo sempre sulle terre inglesi e siamo noi a ricevere le peggiori sconfitte, per fortuna non ancora nucleari, perché provocherebbero enormi casini. Inizio a pensare che i Russi siano ancora più forti di quanto immaginavamo. Una signora mi sorride, stringendo la mano di sua figlia che non avrà più di cinque anni. Avrebbe fatto lo stesso se avesse saputo che sono inglese? La figlia si sarebbe spaventata? Se qualcuno sapesse da dove veniamo, staremmo ancora camminando tranquillamente in questa via?

Aumento il passo, un po’ inquieta, e mi assicuro di zittire chiunque di noi provi a proferire una sola parola. Non è il momento né il luogo adatto per parlare.

Ovviamente, se qualcuno ci attaccasse ora, potremmo benissimo ucciderlo, essendo tutti armati. Ma poi si creerebbe una vera e propria strage, giacché verranno a vendicarlo in men che non si dica. Dobbiamo passare inosservati e arrivare da Russel prima che faccia buio, magari. Se la città è così attiva di giorno, sarà altrettanto –se non di più- la notte.

-Come faremo…?- comincia Zayn.

-Shhhh.- lo zittisco prontamente, e arrabbiata. Ho zittito ognuno di loro un numero abbastanza grande di volte per convincerli a non provarci più, eppure continuano. Che rabbia. Anche Zayn però sembra perdere le staffe. Mi afferra per un braccio e avvicina la sua bocca al mio orecchio, parlando in un sussurro veloce e arrabbiato.

-Cara ‘signorina zittiamo tutti quanti’, come facciamo a chiedere alla segretaria di Russel senza farle capire che siamo inglesi?- che domanda stupida.

Buck non mi ha detto niente di questo, basterà nominare Russel e lei ci porterà da lui, semplicissimo, no? Tanto rumore per niente. Gli sussurro tutto a mia volta, ma – come sempre- non sembra essersi rassicurato. Prendo nota mentale di preparagli una camomilla al giorno, quando saremo a casa, sarà molto utile sia per i miei che per i suoi nervi.

 

Do un colpetto alla spalla di Harry, accanto a me, e gli indico l’edificio che abbiamo davanti. Lui a sua volta dà un colpetto a Louis e si crea una specie di domino, fino ad arrivare all’ultimo, Niall. L’edificio viola, ci siamo. Tiro un profondo respiro ed entro per prima, aprendo la porta bianca come la neve più pura, appena caduta dal cielo.  Dentro sembra come essere in un altro mondo. Lontano dalla guerra, lontano dalla felicità e spensieratezza delle vie di fuori, lontano dalla nostra epoca.

Davanti a me c’è una scalinata di legno, ricoperta da un tappeto rosso, così enorme e imponente da farmi credere di essere entrata in una reggia. Ai muri sono appesi quadri di ogni genere, alcuni inquietanti in realtà, ma nel complesso sono straordinariamente magnifici. Il soffito è tanto alto da farmi credere di essere sul fondo di un enorme e ben arredato pozzo, cancello l’idea dalla mente solo perché su di esso ci sono incise immagini di angeli in guerra, quasi come in una delle più imponenti chiese. La mia perlustrazione del luogo è bruscamente interrotta dal rumore della porta che si chiude e da un piccolo colpo di tosse tipicamente femminile. Mi accorgo che accanto a noi ci sono una scrivania e una donna –signorina, più che altro. La postazione è perfettamente accordata con tutto il resto, il legno è lo stesso di quello delle scale e le incisioni d’oro sono uguali a quelle presenti sulle cornici degli innumerevoli dipinti. Mi aspetto, alzando lo sguardo, di incrociarlo con una signorina vestita in modo antico, magari con uno di quegli splendidi vestiti enormi e ingombranti, come raffigurati in alcuni dei migliori – a mio parere- dipinti. Invece il mio sguardo quasi sognante incontra degli occhi verdi duri come il ghiaccio che mi squadrano dall’alto al basso. Il completo che indossa, sebbene abbinato al rosso del tappeto che ricopre le scale, non c’entra niente con come l’avevo immaginato. Una semplice e comoda camicia bianca, ricoperta da un cardigan rosso e una gonna, anche abbastanza corta, rossa. Si sente il rumore rimbombante dei tacchi mentre questa fa il giro della scrivania per avvicinarsi a noi.

Dice qualcosa con un tono interrogativo, che assumono anche i suoi occhi. Non sapendo niente di russo, e sperando che abbia chiesto qualcosa tipo ‘cosa ci fate qua?’, rispondo con una sola, semplice parola.

-Russel.- dico chiaro e forte, cercando di non far sentire troppo l’accento inglese. La signorina non batte ciglio e dice qualcosa molto simile alle parole di prima. D’altro canto io, anche perché non saprei fare altro, non demordo.

-Russel.- ripeto con decisione, assumendo un tono e un espressione più determinata. Lei mi squadra per qualche altro secondo con sguardo incriminatore, infine rivolge una veloce occhiata agli altri ragazzi e si decide a guidarci attraverso l’edificio.

Saliamo più di cento gradini, prima di arrivare a un corridoio, ampio ma debolmente illuminato, nel quale si trovano –se ho contato bene- dodici stanze. Le superiamo quasi tutte e la signorina si ferma davanti a una delle ultime e poi bussa piano.

Una voce grida qualcosa e la signorina risponde, sempre senza farci capire niente, poi apre la porta e ci fa cenno di entrare. Sento i suoi passi veloci abbandonarci appena ci richiudiamo la porta alle spalle.

Anche questa stanza, che presumo sia il suo ufficio, non si allontana da tutto quello che abbiamo visto prima. La moquette rossa è soffice e sicuramente costosa ed è tutto fatto di legno intagliato d’oro. È incredibilmente grande per essere un luogo dove si sta prevalentemente dietro una scrivania e contiene mobili, come due divanetti, che non mi sarei aspettata di vedere. Un colpo di tosse attira la mia attenzione e alzo lo sguardo verso un uomo. Eccolo, finalmente. Russel, un uomo sulla quarantina abbastanza stempiato, con occhi color del ghiaccio che non trasmettono emozioni, freddi e calcolatori.

-Uhm… salve.- dice Niall un po’ in imbarazzo. Siamo al passo decisivo.

Mentre Russel con un ovvio movimento impugna la pistola, ne ha già puntate cinque alla testa. Lascia cadere il braccio sui fianchi.

-Chi siete? Che cosa volete?- chiede nervoso.

-Siamo stati mandati da Liam e Buck, dobbiamo annullare le precedenti prescrizioni.- risponde sempre Niall.

-Voglio le prove.- dice Russel risoluto, evidentemente cinque pistole non lo spaventano più di tanto.

-Leena, dagli il foglio.- il foglio, sì, quello con il simbolo. Il foglio che è nella cartella. La cartella… che è a casa di Alexander.

-Eveleen?- mi richiama Louis.

-Io… non la ho.-

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Capitolo 20
*** Tu rimani qua. ***



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Metto un braccio davanti al viso e chiudo gli occhi, un riflesso di protezione. E devo proteggermi perché sono sicura che adesso tutti mi grideranno contro ed è molto peggio questo che il braccio ancora pulsante, sotto la stretta maglietta di Zayn. Dato che non sento parlare nessuno, socchiudo un po’ un occhio, per spiare. Non mi stanno neanche fissando.

-L’hai lasciata a casa di Alexander, vero?- dice Harry senza girarsi verso di me. Sentire il suo tono freddo, deluso e distaccato è come ricevere una pugnalata al cuore.

-E’ che… - provo a spiegare. Ma che c’è da dire? –E’ successo tutto così in fretta… Io… Non ci ho proprio pensato…- prima di poter continuare a scusarmi con parole inutili, Harry alza la mano per zittirmi.

-Allora, chi va?- dice seccato, evitando accuratamente il mio sguardo.

-Io! E’ colpa mia e devo risolverl…- sono zittita nuovamente, ma questa volta da Zayn. Anche lui non mi guarda, alza semplicemente la mano e parla senza emettere suono con tutti gli altri. Tra tutte le labbra che si muovono freneticamente, distinguo molti ‘eh?’ ‘come?’ e ‘che hai detto?’, ma non capisco molto di più.

Sposto lo sguardo su Russel che guarda la scena assorto, ha abbassato la guardia per cercare di capire cosa dicono. Mi sento tremendamente in colpa, sì, ma sono anche seccata di non essere coinvolta in questa bella chiaccherata.

Dopo non molto smettono e puntano lo sguardo su Russel.

-So che è insolito e che siamo inglesi- dice Niall, sottolineando il ‘siamo’, anche se lui non lo è per niente. – Ma avremo la prova che siamo stati mandati da Liam e Buck, se ci dà la possibilità di andarla a prendere.-

Immagino la risata di Russel prima ancora che prenda forma sulle sue labbra e non posso biasimarlo. Come può fidarsi di noi? Armati e venuti dal nulla. Inglesi, per giunta.

-Va bene, ma vi concedo al massimo fino alle ventitrè e trentra.- dice Russel sorprendentemente dopo aver smesso di ridere.

-Grazie.- risponde Niall freddo. –Ragazzi, andate.- mentre Zayn, Harry e Louis si avviano verso la porta mi sento spaesata. Io resto qua? E Zayn va da solo? Nessuno di loro tre è esperto. Certo, Harry ormai si allena da un bel po’, ma non ha esperienza. Non possono andare soli. Zayn non può andare solo.

-E io?- chiedo, quasi implorando in realtà.

-Tu rimani qua con me.- risponde sempre Niall, mentre tutti tranne Zayn si girano a guardarmi. Eppure, neanche questo mi quadra. Insomma, lui è il più bravo tra loro, perché non va lui e rimane qualcun altro? Vogliono cacciare i migliori? A che gioco stanno giocando?

-Zayn…- si gira anche lui, lentamente. Il suo viso è una maschera, non riuscirei a capire cosa sta pensando neanche se sapessi leggere nel pensiero, credo. Nel mio invece, potrebbe leggere di tutto. Sono sicura di avere le guance rosse, perché le sento molto accaldate e inizio a vedere appannato per le lacrime agli occhi. Semplicemente, non voglio che vada. Non senza di me. E non m’importa se lui è il maschio ed io la femmina, anche perché non credo a queste scemate. Fare una cosa pericolosa insieme è un conto, che la faccia solo lui è un altro.

-Tu rimani qua.- dice Zayn, ripetendo le parole di Niall. La sua voce è talmente priva di emozione che quasi non la riconosco. Mi lascio sfuggire una lacrima, ma mi volto velocemente. Io non piango. Asciugo il viso. Riprenditi, Eveleen, smettila. Quando mi volto, Harry e Louis sono già usciti. Zayn si avvicina e mi bacia. Purtroppo mi lascia dopo pochi secondi ed esce senza aggiungere altro.

Appena la porta si chiude, mi concentro per un attimo su Russel, abbandonando gli altri pensieri.

-Beh, accomodatevi.- dice indicandoci il divano. –Faccio portare il pranzo.-

Invece di pensare alla sua improvvisa gentilezza, la mia mente parte in fantasie sul cibo, mentre Niall –i cui occhi brillano- fa lo stesso. Immagino che in un luogo del genere non prendano il take-away come da Alexander, dove non mangiavamo altro che schifezze, oltre al roast-beef del primo giorno. Sarà bello fare di nuovo un pasto sano. Mi accorgo distrattamente che Niall si è già spaparanzato, a suo agio, sul divano e sto per fare lo stesso, ma poi mi fermo. E se fosse tanto arrabbiato da non volermi accanto? Niall non è proprio il genere di persona che porta rancore, ma chi lo sa, magari in questo momento mi odia. E avrebbe pienamente ragione, perché andare e tornare da casa di Alexander non è una passeggiata. Chissà cosa ne sarà del suo corpo. E chissà se Niall prova quello che sento io quando uccido qualcuno o no. Tutto riporta a Niall, devo parlargli e chiarire tutto immediatamente.

-Niall… ma ora mi odi?- mi sento tanto come una bambina, che dondola su un piede all’altro mentre aspetta una risposta ad una domanda abbastanza stupida.

-Certo che no!- esclama lui ridendo. Bene, va molto meglio.

-Gli altri mi odiano?- gli chiedo nuovamente, dopo essermi seduta accanto a lui, trattenendomi dallo specificare il nome di Zayn.

-Non ti odia nessuno, men che meno Zayn.-  perfetto, ora va ancora meglio di prima. 

Poggio la testa sulla sua spalla e mi rannicchio sul divano, non m’importa quanto antico possa essere.

-Secondo te, fra quanto torneranno?- chiedo a Niall.

-Se torneranno.- sussurra lui, poi mi guarda agitato, consapevole di averlo detto con voce più alta di quanto avrebbe voluto.

Che vuol dire se torneranno? Come se torneranno? Perché non dovrebbero tornare? Non c’è nessun motivo per non tornare! Perché se torneranno?!?
-Beh, ci sono Jody e Willy da qualche parte e ora sappiamo che non sono con noi, quindi…- spiega Niall dopo un mio sguardo allarmato.

Sì ha ragione e immagino che i ragazzi già lo sapevano, quando hanno scelto di andare. E Zayn non mi ha concesso di accompagnarli per proteggermi, anche se non ce n’è bisogno e non l’ha ancora capito. Ora che ci penso, rimpiango di essere stata così stupida, avrei dovuto impormi e andare con loro in ogni caso. Chi sono loro per dirmi cosa fare? Assolutamente nessuno.

Mi concentro per un po’ sul velluto del divano, accarezzandolo dolcemente. In fondo, a cosa sarebbe servito? Ad averli ancora più contro di me, nient’altro. E poi, ‘sottostare’ a  quello che hanno deciso è il minimo, dopo quello che io ho fatto. Come ho potuto dimenticare la cartella, la cosa più importante, fondamentale?

Non ho mai fallito una missione, né l’ho allungata. Certo, questa è un po’ diversa e non avevamo esattamente un limite di tempo, al contrario abbiamo saputo –un po’ in ritardo- che sarebbero stati necessari di sicuro più giorni. Tecnicamente, non posso rimproverarmi del tempo. Ma di tutto il resto sì, è la missione peggiore che abbia mai fatto. Anche se non posso usare ancora il termine ‘fatto’, siccome non è terminata e non so neanche come andrà a finire. Un totale disastro, è tutto un totale disastro. Come sono diventata così? Gli eventi successi… Liam e Buck che mi danno le spalle, la notizia di Holmes Chapel, questo rapporto con Zayn… non avrebbero dovuto farmi diventare più attenta? Beh, tutti tranne uno. Zayn. No, di certo non collabora a farmi stare attenta sul mio compito, anche solo con un bacio, eppure mi è sempre stato accanto e mi ha aiutato. È inutile, la colpa non posso proprio darla a nessuno. Sono stata io. In qualche modo, sono diventata un fallimento.

Inevitabilmente, mi scende una lacrima sulla guancia e la scaccio subito sprezzante. Anche questa storia del pianto, ma andiamo! Il termine esatto con cui mi descriverei in questo momento è mollacciona.

-Leena?- mi chiede Niall con una vocina piccola piccola, un po’ turbato. –Perché stai piangendo? Vedrai che andrà tutto bene.-

Non sono rassicurazioni che voglio. Né voglio queste stupide promesse che sappiamo entrambi che non può mantenere. E non voglio, per nessuna ragione al mondo, mostrarmi così fragile come in questo momento.

-Sì, com’è andato bene finora.- dico, con la voce più distaccata e sprezzante che riesco a emulare. Purtroppo, sull’ultimo la mia voce si spezza e sussurro pianissimo un piccolo ‘grazie a me’.

-Hey, hey, hey. Ascoltami.- dice Niall, poi mi prende con dolcezza il viso per puntare i suoi occhi nei miei. –E guardami.- aggiunge piano.

-Ti sembra davvero che questa missione sia un fallimento?- continua. –Pensi che tutti avrebbero saputo affrontare quello che c’è capitato? Ci sono stati degli imprevisti, d’accordo, ma è normale! D’altronde, non sapevamo esattamente a cosa andavamo incontro. E poi perché dovrebbe essere colpa tua? Ti sei comportata benissimo, come in ogni singola missione, capito?- fissare quegli occhi color mare deve fare male, perché anche i miei iniziano a riempirsi nuovamente d’acqua. Giro di scatto la testa per asciugarmi, ma Niall si alza e viene davanti a me, seduto sulle ginocchia.

-E…- dice, cogliendo una lacrima dalla mia guancia. –Ricorda che piangere è umano.-

Lo guardo di nuovo, mi passo una mano sul viso e tiro su con il naso, poi lo stringo in un enorme abbraccio. Amo gli abbracci come questi, quelli che sottintendono tante cose, quelli che contengono tanti ‘grazie’ mai detti, quelli che servono per far capire quanto realmente bene vuoi a una persona. E Niall è sempre stato bravo a darli.

Toc toc toc.

Qualcuno bussa flebilmente.

Toc toc toc.

Adesso un po’ più forte.

Toc toc toc.

Guardo Russel che, senza degnarsi di osservare la porta, si è limitato a fare un cenno con la mano, come a dire ‘entra, prego’. Peccato che nessuno sa vedere attraverso i muri.

Toc toc toc.

Lascio Niall e cerco di capire cosa dice la voce che ha iniziato a parlare, ma conversa fitto fitto in russo e non comprendo una sola parola, anche se capisco che è la sua segretaria, la stessa che ci ha accolti. Russel fa un cenno affermativo con la testa. È troppo stanco per parlare? Mi spazientisco e vado ad aprire la porta.

Purtroppo stava per ribussare, con il gomito, e quasi mi cade a dosso, ma la sorreggo. È logico che non potesse aprire la porta, con entrambe le mani regge un vassoio che dubito, possa passare attraverso la porta. Sorprendentemente la signorina si ricompone alla velocità della luce ed entra nella stanza per posare il vassoio su un tavolino. Ci sono due piatti, le posate, i bicchieri e una quantità immensa di cibo, per un ripiano così piccolo. Niall si fionda velocemente sul cibo e lo faccio anch’io. Assaggio tutta roba mai provata in vita mia, ma estramamente buona, devo ammettere. Poi penso a quanto sia meschino mangiare mentre Zayn, Louis e Harry chissà cosa stanno facendo e mi viene un nodo allo stomaco. Lascio cadere la posata sul vassoio, ringrazio Russel per il pranzo e mi siedo compostamente sul divano.

Che cosa stanno facendo? Stanno bene? Qualcosa sta andando storto?

 

Queste ultime tre domande mi tartassano ogni parte del cervello fino la sera. Al contrario di Niall, ho rifiutato la cena e mi sono rannicchiata in un piccolo angolo del divano a tormentarmi, con il cuore che batte all’impazzata. Quando Niall finisce di mangiare, si avvicina mettendomi un braccio intorno alla vita e si unisce alla mia veglia silenziosa. Alle undici, Russel alza la testa dai suoi fogli e inizia a fissare concentrato la porta. Evidentemente, si aspettava davvero che avrebbero fatto ritorno. E lo faranno, ne sono sicura. Perché sono in gamba e sanno cavarsela. No, sono tutti principianti, sussurra maligna la mia coscienza sporca. Ce la faranno.

23.29, non ci credo che manchi solo un minuto e non spero neanche che arrivino proprio sullo scattare del trenta, come gli eroi di solito fanno. Siamo spacciati. E lo sono anche loro, che è successo?

-Perché non sei andato tu?- sbotto, rivolta a Niall. –Sai di essere più bravo di loro, non dovevi rimanere qui, non dovevi! Perché l’hai fatto?!- in questo momento, una cosa tanto infantile come prendersela con Niall, è ottima per sfogare la mia rabbia.

-Perché Zayn voleva che restassi a ‘proteggerti’!- urla anche lui, è preoccupato come me.

-Non dovevi dargli ascolto! Dovevi importi, cavolo! Vedi che fine hanno fatto senza di te?!- le lacrime ritornano. Il pensiero che non sono tornati è orribile e opprimente.

-Come facevo?! Erano tutti distrutti per dover tornare indietro e non me la sentivo di discutere, d’accordo?!-

-Non… non c’entra niente! Tu dovevi… fermarli… dovevi…- scoppio a piangere e cado per terra sulle ginocchia.  Che cosa doveva fare? Era esattamente nella mia situazione e ha scelto quello che ho fatto anch’io. E siamo stati entrambi degli stupidi, dei grandissimi stupidi. E loro non ci sono. Zayn, Louis, Harry. Voglio disperatamente sapere cos’è successo, se almeno sono ancora vivi. Non riesco a fermare queste stupide lacrime e inevitabilmente Niall mi abbraccia da dietro e mi aiuta ad alzarmi.

-S-scusa…- gli dico, fra i singhiozzi. Lui scrolla le spalle e mi abbraccia di nuovo, quando lo guardo negli occhi, vedo che li ha lucidi anche lui.

-Se voi due avete finito- ci interrompe Russel, di cui fin’ora mi ero dimenticata, glaciale. –Direi che il tempo a disposizione è terminato.- continua con un piccolo ghigno.

-Sì, ma noi…- inizia Niall, che viene subito interrotto. Non da una sfuriata di Russel, non da qualche mia parola rassegnata, ma dalla porta che si apre energicamente. Entra per primo Louis, affannato, e chiaramente anche lui ha pianto; io mi asciugo il viso. Poi Harry, che si sorregge a Louis. Infine, chiudono la porta. Noto che sono entrambi pieni di lividi e… e… dov’è Zayn? Inizio a guardarmi intorno, sperando che in qualche modo mi fosse sfuggito alla vista e si fosse nascosto da qualche parte, per cogliermi alla sprovvista e darmi un bacio. Eppure, non lo trovo.

Guardo distrattamente Louis che porge il foglio a Russel e cerco di stabilire un contatto visivo con Harry, che sembra quello messo –psicologicamente- meglio. Lui scuote la testa e mi fa un veloce segno con la mano. ‘Dopo’. D’accordo, cerco di concentrarmi per quanto posso sulla conversazione, ma adesso Russel sta parlando al telefono in Russo e mi è davvero impossibile capire.

Quando chiude la chiamata, sembra abbastanza seccato. Punta i suoi occhi di ghiaccio su ognuno di noi –Gli aerei sono già partiti da un po’, non posso farci niente, non ero stato avvisato.- dice infine, pronunciando l’ultima frase tra i denti.

Capisco il significato di quello che ha detto con qualche secondo di ritardo e mi accascio sul divano, sentendomi vuota.

Missione Fallita.

Ormai, a che serve tornare? Potremmo rimanere qui per sempre e sarebbe lo stesso. Magari non proprio in Russia, dove ci odiano a prescindere, ma in qualsiasi altro luogo. Niall si siede, rassegnato, accanto a me. Mi aspetto lo stesso da Louis e Harry, ma quando alzo lo sguardo vedo che sussurrano veloci e preoccupati e si muovono entrambi nervosamente da un piede all’altro.

-Che fate seduti?- grida Louis, con le lacrime che scorrono velocemente sul viso. –Dobbiamo andare, alzatevi, veloci.-

-Beh, addio.- dice Russel, tornando al suo lavoro. Nessuno di noi lo considera.

-Perché così di fretta? Che succede?- chiede Niall, io sono troppo impegnata a guardare Louis. Se sta piangendo in questo modo ci deve essere un motivo.

-Vi diremo per strada, andiamo.- risponde Harry, con voce leggermente più calma rispetto a Louis. Mi alzo nello stesso momento di Niall e tutti insieme usciamo velocemente dall’edificio, senza salutare nessuno.

-Allora? Che succede?- dice Niall mentre quasi corriamo per la strada.

-Abbiamo dovuto… naturalmente non volevamo, ma siamo stati costretti… lui ci ha detto… ma noi volevamo rimanere…- inizia Harry balbettando.

-Harry!- esclama Niall.

-Zayn è rimasto indietro.- spiega Harry, mentre Louis singhiozza più rumorosamente. –C’erano Jody e Willy e… beh, sono più forti… non ce l’abbiamo fatta, l’hanno preso all’ultimo e lui ci ha detto di ‘muovere il culo e andarcene’…-

Mi fermo un momento, cercando di non ricominciare a piangere, perché per oggi l’ho fatto abbastanza. –Se hanno preso Zayn, perché torniamo a Holmes Chapel, prima di andare a cercarlo?- dico, massaggiandomi le tempie.

-Aveva detto che sarebbe andato direttamente là, appena si fosse sbarazzato di quei due.-risponde sempre Harry, incitandomi con un gesto a riprendere a camminare.

-D’accordo, ma se non ci fosse riuscito?- e la risposta prende forma nella mia mente appena lo chiedo. Se non è a Holmes Chapel, è morto sicuramente. E capisco perché ci stiamo dirigendo prima là: se fosse tornato, potrebbe essere coinvolto nella distruzione più totale e morire comunque. In caso sia morto qui… torneremo a prendere il corpo. Non riesco proprio a pensare che sia già morto, quindi affretto il passo, andando in testa alla fila. Questo mio comportamento deve aver fatto intendere che ero arrivata alla soluzione, poichè nessuno mi risponde.

Quando –dopo quella che sembra un’eternità- arriviamo all’albero JKRJK, è davvero una sollevazione non dover proseguire dritto, verso il vicolo buio, ma andare finalmente verso il treno. Mentre aspetto di arrivare a Bradford, do un lungo abbraccio a Louis, che ricambia entusiasta, essendo l’unica che posso capire i suoi sentimenti. Anzi, forse per lui è peggio, perché lo conosce da sempre. Nel momento in cui ci lasciamo, arriviamo al comando e ci dirigiamo velocemente verso il treno per Holmes Chapel, dimenticando di dover inserire il codice. Così andiamo in quella sala, dove è iniziato tutto, scriviamo ‘Holmes Chapel’ sul computer che ormai conosciamo e ce ne andiamo alla svelta, per paura di altri imprevisti.

In pochissimi secondi, siamo a Holmes Chapel e scendere dal treno è quasi surreale. Siamo a Holmes Chapel, alla mia amata Holmes Chapel, siamo a casa. Come se sapesse del nostro arrivo, Phillips si dirige verso di noi e consegna dei foglietti a me e Louis.

-Questi sono i vostri alibi, andate immediatamente dal sindaco e dopo facciamo i conti. Voi due- continua, rivolto a Niall e Harry. –Ve la sbrigate a Mullingar.-

-No, no. Non capisci! Noi abbiamo fallito, gli aerei stavano già partendo, dov’è Zayn?!- sbraito velocemente.

-E’ andato al municipio!- esclama Phillips sbarrando gli occhi.

Lascio volare il foglietto via dalle mie mani e corro. Sbatto contro un sacco di persone, alcuni mi riconoscono, altri mi riserbano solo occhiate di odio per il trattamento.

-Leena!- grida qualcuno afferrandomi per un braccio. E’ Aaliyah, sapevo che non l’avrebbero presa nell’esercito, incapace com’è.

-Ciao, Aaliyah, felice di rivederti.- dico velocemente saltellando da un piede all’altro. –Ora scusa ma devo andare.-

-Aspetta! Perché? Anche Zayn prima faceva così! Non racconti niente?- Zayn.

-No! Cioè sì, ma dopo. Devo fare una cosa urgente, ciao!- dico, facendo per andarmene, ma questa mi blocca di nuovo.

-Ma…- al diavolo! Non la lascio finire di parlare, mi libero dalla presa e corro via.

Mi arrampico su per il buco e mi preparo a correre nuova… mente. Fuoco. C’è solo fuoco davanti a me. Tutti gli edifici, ogni cosa. Tutto un unico essere di fuoco.

Zayn… Zayn… non può essere vero. Senza essermene resa conto sono per terra in ginocchio e ora dietro di me ci sono Niall e Harry, con la bocca spalancata, mentre Louis è al mio fianco, nelle mie stesse condizioni.

-Ci ha detto di dirti che ti amava, nel caso fosse finita così.- sussurra Harry, con le lacrime agli occhi.

Mi ama, Zayn mi ama. Anzi, mi amava.

Che cosa me ne faccio ora di queste parole?

È finita. È tutto finito ed io non sono riuscita a salvare nessuno. Neanche Zayn.

Le lacrime cessano di scendere di botto ed io mi rialzo. Non importa se sto continuando a respirare, non importa se posso sentire il mio cuore battere. La mia vita sta bruciando, diventando cenere. Insieme a Holmes Chapel, insieme alla mia famiglia, insieme a Zayn.






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GRAZIE!
Grazie a tutti per aver seguito questa storia fino all'ultimo!
Grazie perchè per me significa davvero tanto!
Grazie per tutte le recensioni e le belle parole!
Grazie perchè mi avete resa davvero felice!
Non so che dire, sono così triste che questa storia sia finita perchè scriverla mi è piaciuto un sacco.
Ho aggiunto un Missing Moment dal punto di vista di Zayn, che fa capire cos'ha fatto lui in quest'ultimo capitolo e com'è morto: 'Trouble' (potete cliccare sul nome per vederlo)
Beh, non è detto che non scriva un seguito in futuro perchè... Beh, Leena non si arrende mai, giusto? E ho comunque tante idee.


Ripeto: GRAZIE.

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