Another World di Jaccquelyn (/viewuser.php?uid=212176)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Holmes Chapel ***
Capitolo 2: *** Associazione ***
Capitolo 3: *** Niente torte, ricorda ***
Capitolo 4: *** Marmo ***
Capitolo 5: *** Non sa niente ***
Capitolo 6: *** Fidarsi ***
Capitolo 7: *** Scusa ***
Capitolo 8: *** Turchia ***
Capitolo 9: *** Rimediare agli errori ***
Capitolo 10: *** Facciamolo ***
Capitolo 11: *** Amici ***
Capitolo 12: *** Niart ***
Capitolo 13: *** DE. ***
Capitolo 14: *** Indicazioni ***
Capitolo 15: *** Alexander, non Alex. ***
Capitolo 16: *** Si dice 'le' taglio la gola. ***
Capitolo 17: *** Piano B ***
Capitolo 18: *** Spari ***
Capitolo 19: *** Cartella ***
Capitolo 20: *** Tu rimani qua. ***
Capitolo 1 *** Holmes Chapel ***
‘Vivo in un piccolo paese
sconosciuto dell’Inghilterra, Holmes Chapel. Sconosciuto a
tutti tranne che
agli abitanti, probabilmente non è neanche sulla cartina
geografica, tanto a
chi interessa? Non succede mai niente di emozionante. Siamo un paesino
per
bene, tutti fanno il proprio lavoro senza scandali. Niente di segreto,
niente
di nascosto. Le vecchie ti controllano dal balcone se sei in strada, i
genitori
se sei in casa. A scuola sono tutti educati.
Facciamo schifo.
Mai mi è capitato di
esaltarmi per
qualcosa in sedici anni di vita. È fisicamente impossibile
vivere così! Come si
fa a essere amici di tutti? Come possono non esserci mai tragedie,
scoop,
pettegolezzi di cui parlare? Perché nessuno cerca di
distinguersi dalla massa e
fare un po’ di clamore, suscitare scalpore?’
Relazione finita. La consegno alla
professoressa e torno al mio banco. Holmes Chapel. Cittadina noiosa,
noiosissima, si direbbe. Beh, per chi non la conosce. E
sembra che
siamo veramente in pochi a conoscerla davvero e a gustarsi a fondo
tutta la
vita che c’è dentro. Tutti gli adulti sono
convinti che sia il migliore paese
del mondo, pulito dalle sozzerie degli adolescenti educati male. E gli
adolescenti glielo fanno credere. Perché sono intelligenti,
molto. Non lo dico
solo perché sono una di loro, però. E’
la verità.
Se noi provassimo a disturbare
questo grande cerchio vitale di questa piccola cittadina, succederebbe
il fini
mondo. Cosa farebbe il sindaco senza i suoi premi di paese
più pulito d’Inghilterra?
Cosa farebbero i vecchietti senza poter farlo diventare sempre
più bello e sano
con alberi e piante? E gli adulti in generale, senza avere un lavoro
perfetto,
dei figli perfetti e una vita perfetta in una cittadina perfetta?
Impazzirebbero.
Non possiamo strappare la gente dal
proprio mondo, sarebbe barbaro e inappropriato, contando che
è la nostra gente.
Quindi continuiamo a farli
vivere secondo la concezione di perfezione che si sono creati e non li
disturbiamo. Mai.
Il nostro lavoro lo facciamo di
notte, quando loro sono a dormire già da un pezzo per non
fare ritardo il
giorno seguente. Tutta la città va a letto alle nove di sera
e per le nove e
mezza non trovi più nessuno che è sveglio. A
parte noi. Poi tutti si svegliano alle sette per
intraprendere un’altra
noiosissima giornata sempre uguale alle altre.
Ma noi no. Siamo diversi. Si, il
giorno seguiamo il programma da manuale e facciamo i bravi, ma
è la notte che
la città si accende davvero, come non lo è mai
con la luce del sole. È la notte
che gli adolescenti vengono fuori a fare il proprio lavoro.
È la notte che
porta la magia.
Intendiamoci, non è
così per tutti.
Ci sono certi ragazzi che sono da manuale anche loro e andranno poi a
seguire
le orme dei genitori e forse sono anche in maggioranza.
Non che a noi interessi. Tanto
è
una cosa segreta, e deve rimanere tale.
-Dixon,
attenta.- mi
richiama la professoressa d’inglese, la Brown. Tutti
si girano verso di me come se avessi
commesso un reato, perché ineffetti non prestare attenzione
a scuola è quasi un
reato, qui. Non mi piace il mio cognome e odio essere chiamata con il
mio
cognome.. Dixon, Dixon, mi sa troppo di detersivo. Purtroppo non posso
cambiarlo. Il mio nome invece potrei cambiarlo, anche se poi tutti mi
indicherebbero per strada, ma non vorrei lo stesso. Eveleen mi piace. A
Holmes
Chapel c’è una sola Evellen. E sono io. Per questo
mi piace. Gli amici però mi
chiamano… aspetta, non possiamo usare soprannomi, ci
distingueremmo troppo. Loro mi
chiamano Leena.
-Si,
professoressa. Scusate.- le rispondo educatamente, come
è previsto che io faccia. Così,
mi arriccio i capelli mori con le dita e lancio una
breve
occhiata al secondo banco, dove è seduto Buck, incrociamo lo
sguardo per pochi
secondi ma so a cosa sta pensando. Tranquilla
Leena, ti sfogherai stasera. Si, lo farò di sicuro
e al pensiero i miei
occhi castani, poco più scuri dei capelli, iniziano a
illuminarsi.
Anche Buck è
l’unico a chiamarsi
così in tutta Holmes Chapel. All’inizio
scherzavamo su questo fatto ed è così che
siamo diventati amici e lui mi ha invitato a far parte di loro. Sia benedetto quel giorno.
Comunque, Buck non si
contraddistingue solo per il nome ma anche per la sua altezza. Gli
arrivo a
malapena al petto, che, inoltre, è davvero ben allenato.
Infatti guardare i
suoi occhi a mandorla è difficile, ma ne vale anche la pena
grazie al verde di
cui sono fatti. Nonostante tutto io continuo a prenderlo in giro
perché Buck mi
sembra tanto il nome che si dà in genere a un cane, ma
quando lo faccio lui
tira fuori la carta Dixon.
A scuola indossiamo
un’uniforme,
tutti uguale. I maschi pantaloni blu, camicia bianca e scarpe blu
eleganti e
verniciate. Le femmine gonna blu, camicia bianca, scarpe blu eleganti e
verniciate e calze che arrivano al ginocchio che sembrano fatte di
seta. Per
quanto riguarda il periodo primaverile ed estivo. D’inverno
le nostra calze
sono più spesse ed entrambi i sessi aggiungono un pullover
blu.
Siamo una massa uniforme di stessi
ragazzi e ragazze che camminano nella scuola per studiare esattamente
le stesse
cose. Non sono permessi i commenti personali agli insegnanti, chi li
aggiunge
viene licenziato all’istante.
È successo, una volta.
Era il mio professore preferito, il
professor Robinson. Si faceva chiamare per nome, Doug, e già
questo era un
enorme eccesso alla regola di base. Ma non è per questo che
è stato licenziato.
Era un professore di storia delle medie quindi doveva semplicemente
seguire il
programma e interrogare i ragazzi. Ma non faceva così.
Lui ci spronava a distinguerci.
Diceva che non saremmo finiti da nessuna parte, continuando
così. Dovevamo
andare via per poter vivere davvero, perché in questo paese
c’era tutto tranne
che vita. Pensate che tutti questi grandi
personaggi storici, disse una volta, abbiano
fatto le loro grandi imprese rispettando l’orario della
colazione e vestendosi
come gli altri? Pensate davvero che sia rispettando le regole che
lascerete il
segno in questo mondo? Esprimetevi. Non uniformatevi alla massa e
trovate la
vostra vera persona.
Mi ha ispirato Doug. Esprimersi.
Questa è la mia filosofia di
vita, con loro. Durante il giorno
purtroppo devo uniformarmi e cercare di non cacciarmi nei guai,
perché i guai
li porta la
notte. Ma
le parole di Doug mi rimasero impresse nella mente come pochissime
altre cose.
Seguo la lezione senza veramente
ascoltare e se la professoressa lo sapesse probabilmente rimarrebbe,
come
minimo, indignata. Ma poi la studierò pomeriggio, dalle tre
alle cinque,
nell’orario in cui si devono svolgere
i compiti. Si devono fare e non
puoi
evitarlo semplicemente perché il lavoro di alcuni adulti,
per fortuna non i
miei genitori, è proprio quello di sorvegliarci mentre li
svolgiamo. Non si può
parlare, né mettere in pausa il cervello per cinque minuti.
Quando suona la campanella non mi
scompogno e aspetto il mio turno per uscire dalle classe, poi mi dirigo
verso
la mensa, perché è scattata l’ora di
pranzo. Tutti abbiamo dei posti assegnati,
non possiamo sceglierli noi. I tavoli sono composti da venti posti e
ogni
classe ha un tavolo. Guarda caso, io non entro nel tavolo della mia
classe e
quindi sono stata assegnata al tavolo del quarto anno. Una del terzo
tra
diciannove del quarto.
Ma non mi preoccupo,
perché
dobbiamo mangiare in silenzio e poi abbiamo dodici minuti, prima di
rientrare
in classe, per mantenere una sana e composta conversazione. Di questo
tavolo
solo io e altre due persone, Aaron e Aaliyah, fanno parte di noi. Sono gemelli, ma non ho mai
approfondito la loro conoscenza, anche se tutti e tre sappiamo di che
pasta
siamo fatti. Mi sorridono sempre. E come non ricambiare? Loro sanno
distinguersi. È difficile che mi stia antipatico uno di noi, perché so che sono come
me, infondo. Vogliono esprimersi.
Sono seduta tra Zayn e Ivy, oggi.
C’era già il mio nome sulla sedia, dovevo
occuparla afforza. Mangiamo tutti
silenziosamente il nostro pudding e la nostra insalata scondita. La
sala è
talmente silenziosa che potrei far cadere il tappo di una penna e
risulterebbe
un rumore assordante. Dopo quattordici minuti suona una piccola
campanella,
meno forte di quella delle lezioni, che dà inizio ai nostri
dodici preziosi
minuti.
-Eveleen,
dove studi oggi?- mi chiede Zayn. E’ un
ragazzo in gamba, credo. Non è
‘reato’ studiare da altre persone perché
si è comunque sorvegliati.
-A
casa.- gli
rispondo.
-Cambiamolo
in ‘a casa tua, Zayn’.- ribatte lui. Non puoi avere una
relazione con un ragazzo
prima dei venti anni, quando hai undici mesi di tempo per trovare
marito e
sposarti. Però Zayn è sempre avventato con le
ragazze. Non ne ha mai avuta una,
ovviamente, ma si comporta come uno che ci sa fare parecchio.
Ineffetti, penso
anche che possa permetterselo, in un certo senso. Non ha la carnagione
chiara e
questo contrasta i suoi occhi che sono castani tendenti al giallo.
-D’accordo.-
gli
concedo. Perché tanto non mi cambia niente, non potremo
comunque parlare o fare
qualsiasi altra cosa che non riguardi lo studio.
Zayn mi sorride e si gira verso
Louis, un suo amico, per parlare compostamente con lui. Io gli sorrido
di
rimando e mi giro verso il mio bicchiere, un mio grande compagno di
conversazione, per aspettare che suoni la campana.
-Eveleen,
tu che ne pensi?- mi chiede Isabel, la classica
ragazza perfetta con capelli
biondi, occhi azzurri e pelle da favola. Non ho seguito la
conversazione e mi
scoccia sorbirne il riassunto, quindi rispondo con un semplice: -Secondo me hai ragione tu.- che non
può causarmi problemi. Lei si gira verso Celeste, la sua
migliore amica uguale
a lei, e le fa uno sguardo malizioso che sottintende Vedi?
Ho sempre ragione, io.
Driiin
Driiin Driiin. È
suonata la campanella e si torna alle aule, tavolo per
tavolo, senza fare confusione. Questa è la campanella del
primo tavolo.
Driiin
Driiin Driiin. Secondo
tavolo. Mi mancano ancora dieci campanelle,
aspettare è davvero straziante. Ma ovviamente lo faccio. E,
suonata la mia
campanella, mi alzo dalla sedia, la rimetto a posto e vado verso
l’aula. C’è un
ultima lezione dall’una alle due, poi possiamo andare a casa
a riposare e dopo
si fanno i compiti.
…
No, poi dobbiamo andare a casa a
riposare e dopo si fanno i compiti. Contando che sto sveglia per tutta
la
notte, avere un’ora di riposo il pomeriggio di certo non mi
dispiace.
Aula
di disegno. Non si può essere creativi neanche qui. Ti
siedi, metti il
grembiule, prndi una tela e cerchi di riprodurre al meglio quello che
il
professore appende alla lavagna. Alcuni sono proprio bravi, come
Desmond che è
uno di noi e ci è molto utile. Io faccio pena. Sono
eccezionale solo in
educazione fisica, nel resto vado bene –perché non
si può andare male- e in
arte me la cavo lo stesso grazie ai resoconti orali.
-Salve
mamma, buon pomeriggio
papà.- dico arrivata a casa ai miei
genitori. Perché dobbiamo essere formali anche con loro, e
rispettarli,
soprattutto. –Terrie è
tornata?- gli
chiedo dopo. Terrie è mia sorella, ma non è una
di noi. E’ troppo
pericoloso per lasciarglielo fare. Le voglio bene.
Anche se non quanto a loro. Perché
è
difficile voler veramente bene a qualcuno che non conosci e io non la conosco.
Né conosco i
miei genitori. Perché non posso. Con tutta la giornata
programmata non ho il
tempo di conoscere la mia famiglia, il che è alquanto
deprimente.
-Si,
è già in camera sua. Vai a
dormire.- mi
risponde papà, che sembra freddo
grazie al suo aspetto ma se lo conosci scopri che è peggio
delle tue
aspettative. Annuisco e vado in camera. Ho una camera tutta mia, Terrie
anche e
i miei genitori la stessa cosa. C’è anche una
camera in più nel caso ci dovesse
essere un altro bambino. Poi basta. Perché anche volendo non
si possono avere più
di tre figli. Se scoprono che sei incinta ti fanno abortire, quindi si
preferisce prevenire.
Mi
metto sotto le coperte, nonostante sia estate, e mi addormento
all’istante.
Un
rumore acuto mi sveglia alle tre meno due minuti, per dirmi di
prepararmi a studiare.
Prendo i libri e vado a casa di Zayn, che non è lontana
dalla mia.
Quando
busso mi viene ad aprire lui con un sorriso, ma intravedo
già una signora rigida
dietro di lui, che sicuramente non è la madre.
Sposto
velocemente lo sguardo da lei e lo dirigo su Zayn, sorridendogli di
ricambio.
Poi mi conduce di sopra, mi fa entrare nella sua camera, fa entrare la
signora
e si richiude la porta alle spalle.
Ci
mettiamo entrambi alla sua scrivania che è abbastanza grande
da ospitare tutti
i nostri libri e iniziamo a studiare, sotto lo sguardo attento della
signora.
Non tutti i guardiani, perché si chiamano così,
sono rigidi. Alcuni scherzano
anche con te. A bassa voce però, per non farsi sentire. Ma
la grande
maggioranza è come questa signora. Si siedono alle nostre
spalle con la schiena
eretta e le gambe accavallate. E ci guardano. Per tutto il tempo, in
silenzio.
L’unico
lato positivo è che non ti vedono in volto, quindi ogni
tanto io e Zayn ci
scambiamo occhiate e sorrisi, giusto per combattere la monotonia.
Ma non
possiamo fare più di questo.
Dooon.
Dooon. Dooon. Dooon. Quattro rintocchi di campana. Il
tempo di studiare è finito che tu abbia terminato i tuoi
compiti o meno.
Ora
abbiamo un po’ di tempo per noi dove possiamo fare
ciò che vogliamo –più o
meno- senza però disturbare la quiete pubblica.
-Andiamo
in piazza?- mi
chiede Zayn.
-Si,
prima passo da casa a posare i
libri.- così
mi accompagna in casa e di
nuovo fuori, diretti alla piazza. La piazza si trova esattamente al
centro di
Holmes Chapel ed è abbastanza grande e piena di verde, con
tanti fiori disposti
strategicamente per disegnare un semi cerchio colorato. Dai balconi
delle case
intorno sono sporte tutte le vecchiette più fortunate.
Più fortunate poiché in
piazza si sentono i discorsi migliori, in genere.
Ma
io e Zayn non abbiamo tanta voglia di parlare. Passeggiamo un
po’, stiamo
sdraiati sull’erba e ci scambiamo al massimo qualche battuta.
Poi lui fa un
gesto totalmente inaspettato sotto lo sguardo sconvolto delle vecchie.
Prende
un fiore blu e lo infila tra miei capelli con un sorriso. E da qui
capisco che
anche lui non ne può più di questa vita.
Perché questo è come un gesto di
ribellione, in un paese come questo.
E
penso che, forse, ci sono molti più ragazzi di quelli che noi conosciamo che vogliono esprimersi. E
noi dovremmo permetterglielo.
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Capitolo 2 *** Associazione ***
Adesso
nella mia casa regna il silenzio. Sono le nove e mezza passate e tutta
la mia
famiglia dorme. Tutta la mia città dorme. Sono le nove e
mezza passate e inizia
il mio lavoro.
Esco
di casa, facendo attenzione a non fare rumore, ma senza troppe
precauzioni.
Anni di abitudine mi dicono che nessuno si sveglierà.
Neanche se facessi cadere
un vaso a terra, ma preferisco non farlo per risparmiare domande
inutili. E
perché non potrei usare la storia del ‘sono
entrati ladri in casa’ dato che
ladri non ce ne sono, qui.
Percorro
tutta la città quasi di corsa, arrivata all’albero
x incontro Buck.
-Hey- gli sussurro per salutarlo. –Che faremo oggi?-
-Non lo
so.- mi
risponde Buck scuotendo la testa. –Vieni.-
sposta l’albero dove appare un buco grande quanto
il
perimetro di quest’utimo. Buck mi prende da sotto le ascelle
a mi aiuta ad
entrare. Non ci sono scale. Scivolo lungo la superficie e atterro su
una ventina
di puff, sistemati in quel punto per non farci male.
Mi
alzo e mi sposto, quando do il via a Buck scende anche lui. Camminiamo
sulla
roccia e varchiamo un arco dozzinale, per trovarci nella sala di
ritrovo, per
così dire.
Ci
sono ancora poche persone e Phillips, il capo, non si vede.
Però c’è qualcun
altro che vedo, una persona alta e muscolosa quanto Buck, ma senza il
suo
cipiglio serio.
-Liam!-
urlo.
Qui non ho paura di gridare, di dire esattamente
quello che penso e dire il mio parere, qui posso essere me stessa.
-Leena!-
urla
lui di rimando e viene accanto a me. Mi cinge con un
braccio e mi bacia la fronte. –Nuova
nottata, eh? Chissà che faremo..- dice
pensieroso. Ogni notte c’è qualcosa
di nuovo, non puoi mai sapere in cosa ti andrai a cacciare, ma ormai ci
sono
abituata. Ci siamo abituati quasi tutti, in realtà, a parte
i nuovi.
Il
più ‘vecchio’ è proprio Buck,
che è stato il primo ad entrare. È lui che
sceglie chi entra e chi no. Noi diciamo chi potrebbe essere un valido
candidato, lui lo spia per un po’ e vede se va bene. Se non
va bene per lui non
puoi opporti.
Mi
siedo tra Liam e Buck e aspettiamo. Iniziano a venire tutti e li saluto
con un
cenno del capo man mano che passano. Poi, finalmente, entra Phillips.
E’ un
adulto molto combattivo e nessuno sa guidare una spedizione meglio di
lui.
-Ci
siamo tutti?- tuona,
con la sua voce imperiosa e autoritaria. All’inizio
può far paura e, soprattutto, intimidire. Ma se lo conosci
capisci che è un
tipo apposto. Ovviamente non è di qui, lui viene da Londra,
una grande città.
-Sissignore.-
risponde
Buck prontamente, dopo una veloce occhiata in
giro.
Phillips
inizia a formare dei gruppi. Mi ha messa in quello più
numeroso, ma non bado
molto a questo. Quello che noto è che non sono nel gruppo di
Buck e Liam, e io
sono sempre con loro. Mi accorgo,
inoltre, che nel loro gruppo non ci sono ragazze.
-Gruppo
A – dice
Phillips. – Voi
venite in missione con me.- i ragazzi annuiscono e iniziano
a camminare verso
il varco che gli è stato indicato. –Gruppo
B- continua, riferendosi a noi. –Oggi
allenamento. Sapete dove andare.- con questo dovremmo essere
congedati,
infatti lui si volta per raggiungere i ragazzi. Anche il resto del mio
gruppo
inizia ad andare. Ma io sto un attimo ferma.
Perché
mi hanno diviso da loro? Cosa devono fare oggi? È talmente
pericoloso che
neanche io, che sono una delle migliori che hanno, posso andare? Non mi
va che
vadano da soli. Non che Buck e Liam non sappiano badare a se stessi, o
non
siano bravi, anzi. Ma io devo avere il controllo della situazione e
averli
vicini.
-Phillips-
dico
prima che varchi la soglia. Lui si gira
sorridendo. Mi conosce e probabilmente sapeva già che avrei
obbiettato. –Dove andate?- chiedo,
perché non
voglio ammettere di voler chiedere cosa lui pensava.
-Oh..
in missione.. – risponde evasivo, ma senza
smettere di sorridere. –Perché?-
-Niente.-
ribatto
seccata. –
Ma.. mi chiedevo se potevo essere utile, magari..-
-Leena-
esordisce
lui aumentando l’ampiezza del suo sorriso. –No,
grazie. Oggi non ci servirai.-
-Ma io
sono molto efficiente!- protesto.
-Devo
andare, il treno parte.- dice sempre sorridendo e voltando i
tacchi.
Che
missione devono fare? Ora questa domanda mi martella la testa. Che
missione?
Che missione? Perché non posso andare?
Mi
rendo conto distrattamente che non ho ancora mosso un passo, quindi
varco la
soglia e vedo il treno dell’addestramento, contrassegnato da
un’enorme D
arancione davanti a me. Non c’è nessuno dentro.
Gli altri sono già andati,
bene.
Salgo
sul treno e rivolgo un veloce saluto a Cesar, il conducente. Mi lascio
cadere
sul sedile. Tengo il conto. Uno, due, tre, quattro… dodici.
È andato abbastanza
piano, oggi. In dodici secondi siamo in Irlanda, a Mullingar.
Scendo
dal treno ed esco da sottoterra attraverso una piccola scaletta di
legno.
Mentre sono a metà qualcuno, da sopra, mi porge la mano. Una
mano che
conosco.
Sorrido.
–Ciao, Niall.- dico.
È un biondino
perennemente allegro, mio compagno di allenamento e me lo ritrovo
spesso anche
nelle missioni, penso che abbiamo lo stesso grado di preparazione.
L’unica
differenza è che io abito in Ighilterra e lui in Irlanda.
È un biondo tinto
sempre allegro, nonostante il suo lavoro.
-Oggi
anche tu qui, eh? Odio quando
non ci fanno andare, ci perdiamo tutto il divertimento.- commenta lui con un sospiro.
-Già..-
sbuffo
io. Ma la mia mente è altrove.
-Non
gli succederà niente.-
-Mmm?-
-A Buck
e Liam. Tranquilla, non gli
succederà niente.- annuisco. Probabilmente
è vero.
Insomma, finora sono successi ben pochi incidenti gravi, no?
Andiamo
insieme verso il primo esercizio, gli anelli in legno. È un
esercizio
abbastanza faticoso e richiede forza nelle braccia, ma è
anche uno dei miei
‘cavalli di battaglia’.
Ci
sono due colonne lontane e tra queste un lungo filo con degli anelli
attaccati.
Due anelli vicini, per le due mani, poi ad una generosa distanza gli
altri due.
Devi dondolare, saltare, fare quello che puoi per arrivare agli altri.
Se cadi,
sei nel fango.
Percorro
il filo facilmente e lo faccio al contrario, iniziano a farmi male le
braccia
ma non mollo.
-Vai,
Dixon, un altro paio.- mi urla il coach da sotto.
È facile dirlo, per lui. Ma
continuo a farli. Ho fatto tre volte andata e ritorno senza mai
fermarmi quando
mi siedo su una delle colonne. –Dixon!-
tuona
il coach. –Perché ti sei
fermata?!-
-Le
braccia. – ansimo. –Facevano
male.- scuote la testa indignato, ma so di dargli molte
soddisfazioni.
Molte più di tanti altri ragazzi.
Ma
io parto avvantaggiata. Ho iniziato che avevo solo sei anni, quindi mi
alleno
da tutta la
vita. Per
i nuovi arrivati è più dura.
Passo
da un esercizio all’altro a seconda dei comandi del coach,
poi, sfinita, mi
siedo per un po’ su una panchina. Mi raggiungono quasi
immediatamente Aaliyah e
Harry, un riccio di qui. Entrambi sono nuovi, ma, mentre Harry sembra
riuscire
perfettamente in tutto, Aaliyah, la mia compagna di tavolo, fa pena.
È brava
solo nel tiro del giavellotto, ma non serve a molto. Siamo evoluti
ormai e devi
saper tenere in mano un fucile almeno quanto sai tenere in mano un
bicchiere
d’acqua.
-Come
sta andando?- chiedo,
più a Harry che ad Aaliyah.
-Bene.
–
mi risponde appunto lui. –Ma non
sono portato per arrampicarmi, mi sa.-
-Un
po’ di allenamento e ce la
farai.- lo
rassicuro. E ne sono davvero
convinta, perché è un portento. Ci
sarà molto utile, tra qualche mese.
Riprendo
l’allenamento ma, nel bel mezzo della mia corsa ad ostacoli,
vengo interrotta
da una campana, segno che molti di noi se ne devono andare. Non tutti
siamo di
Holmes Chapel. In questo campo sono riuniti Holmes Chapel, Bradford,
Oxford e,
ovviamente, Mullingar. Holmes Chapel, Oxford e Mullingar fanno tutto di
nascosto, Bradford lo fa allo scoperto quindi rimane. Noialtri torniamo
al
treno.
Stavolta
arriviamo alla base in nove secondi, non è andato piano
almeno. Prima, considerando
i soliti orari, era in un ritardo pazzesco, ma tanto c’ero
solo io.
Il
Gruppo A non è ancora tornato. Dove
sono?
Mi
siedo in un angolo da sola, non ho voglia di parlare. Di solito nel
tempo che
rimane tra la fine dell’addestramento o della missione e
l’inizio della nuova
giornata mi scateno, in fatto di parole. Ma bisogna contare che di
solito ci
sono Buck e Liam con me. Ora no e non ho intenzione di proferir parola
finchè
non saranno al mio fianco.
Passa
un’ora. Ne passano due e sono le sei del mattino.
-Perché
non mi hanno mandata con
loro?!- urlo,
non riuscendo più a
trattenermi. Sebbene non mi sono rivolta a nessuno in particolare
né ho fatto
nomi tutti sanno a chi mi riferisco, perché ci conosciamo
tutti.
-Calmati,
ora verranno, vedrai.- mi rassicura, o almeno ci prova,
Dreda, una di quelle
ragazze che porta perennemente le treccine e sorride a tutti.
-Calmarmi?!
Calmarmi, dici?! Come
cavolo faccio se siamo in guerra e forse li hanno mandati in campo
aperto?!
Come posso calmarmi?! Potrebbero essere già morti!!- finita la sfuriata mi accascio di
nuovo a terra e nascondo
il volto tra le mani, senza piangere.
-Sai
com’è Phillips. Non succederà
niente di male a nessuno di loro.-
continua
Dreda dandomi una pacca sulla spalla.
Non me
ne frega niente di Phillips, vorrei dire. Di
sicuro li hanno portati in guerra e a quel punto Phillips diventa un
soldato
come un altro, punto.
Si,
siamo in guerra. Se lo dicessi in paese probabilmente mi
arresterebbero, ma è
la verità: tutto il mondo è in guerra. Tra le
materie prime che sono sempre più
rare e il crollo delle borse era chiaro che sarebbe scoppiata a breve.
Noi,
come Inghilterra, abbiamo qualche alleato (tra cui
l’Irlanda), ma ci sono
paesi, come la Russia, che combattono da soli. In uno stato
d’allarme così
grave c’è bisogno dell’aiuto di tutti i
cittadini per combattere. Ma alcune
città hanno chiuso le porte all’esercito e
preferito avere un diploma di bella
città piuttosto che aiutare la propria patria. Una di
queste, com’è evidente, è
la
mia. Quello
che il sindaco di ogni diversa città di questo genere non
sa, è che c’è
un’associazione segreta che addestra i giovani per mandarli a
svolgere varie
mansioni. A volte andiamo proprio in guerra. A volte facciamo le spie.
Ci sono
vari incarichi da fare e non capita mai che facciamo tutti quanti
l’allenamento, c’è sempre qualcuno in
missione.
Accetto
la tazza che mi porge Dreda e ne bevo avidamente il contenuto.
È una bevanda
molto più forte ed avanzata del caffè, ma ha
più o meno lo stesso scopo con un
sapore migliore. Ti fa rimanere sveglio tutto il giorno. A meno che non
sia il
tuo cervello ad impartire l’ordine di dormire (nel riposo
pomeridiano, ad
esempio), questa bevanda è in grado di farti stare in forze
per ventiquattro
ore, fino alla prossima. Se non ci fosse, tutto questo programma non si
potrebbe attuare.
Alle
sei e mezza iniziamo ad uscire, perché dobbiamo rientrare
nei nostri letti per
le sette, quando saremo svegliati. Sono un po’ esitante
perché gli altri non
sono ancora tornati, ma dopo cinque minuti mi costringo a salire.
Percorro
nuovamente la città insieme agli altri e li saluto man mano
che si fermano
davanti le loro case, poi entro nella mia e mi sistemo nelle coperte.
Ho
due minuti per dormire. Ovviamente non ci riesco e alle sette in punto
precise
vengo richiamata dalla campana. Mi lavo, mi vesto e faccio colazione
con una
semplice tazza di latte.
Quando
arrivo a scuola la prima cosa che faccio è guardarmi intorno
in cerca di Buck o
Liam. Quest’ultimo è più difficile da
trovare, in genere, ma Buck è nella mia
stessa classe quindi entro pazientemente nell’aula.
Mi
siedo al mio posto e quando lui entra ansimante sorrido mostrando tutti
i
denti, e lui fa lo stesso. Poi alzo le sopracciglia e lui mi fa cenno
per dirmi
che non è il momento di parlare. Stanotte. Si,
se non ti portano di nuovo via, penso. Ma ha ragione, non
possiamo parlare
qui.
A
mensa Zayn non mi toglie gli occhi di dosso e capisco dal suo sguardo
che c’è
qualcosa che non va, sta pensando a qualcosa che non può
dire e che riguarda
me. Nei dodici minuti in cui possiamo parlare non mi rivolge la parola
ma
continua a studiare il mio comportamento, ignorando le ripetute
proposte di
Louis ad accennare una conversazione.
Io
nel frattempo cerco di ignorare lui, perché non voglio avere
problemi di nessun
genere. Soprattutto con lui che, a mio parere, nasconde tanti segreti
dietro i
suoi sguardi inquisitori.
Eseguo
tutto il mio programma alla perfezione, dalla dormita ai compiti, ma
poi non so
cosa fare quindi vado in cerca di Liam, che non ho visto a scuola.
Fuori
casa però mi aspetta una sorpresa: Zayn. Un po’ me
lo aspettavo in realtà, ma
speravo di sbagliarmi.
Non mi dice niente, non mi saluta né mi sorride. Inizia a
camminare e so che si
aspetta che io lo segua.
Invece
entro velocemente in casa e mi richiudo la porta alle spalle. Spio
dalla
finestra, senza farmi vedere, cosa sta facendo. È parecchio
confuso e anche un
po’ arrabbiato, poi un lampo di comprensione gli attraversa
gli occhi e se ne
va soddisfatto.
Quando
sono sicura che è abbastanza lontano, esco di casa. Non so
precisamente perché
lo evito. Ma per qualche motivo non voglio parlare con lui, non me la
raccontano giusta, i suoi occhi. Perché è da
molto che ho imparato a leggere
gli occhi della gente e i suoi mi dicono solo mistero
mistero mistero. E questo non mi piace.
Cammino
cautamente verso casa di Liam, ma purtroppo devo passare anche davanti
quella
di Zayn. Prima controllo che non sia sulla strada, poi che non sia alle
finestre o balconi, infine passo di corsa.
Continuo
a camminare fino ad arrivare al limitare della città, dove
sta casa di Liam, ma
prima di poter bussare qualcuno mi ferma. E stavolta non mi invita
silenziosamente a seguirlo, ma mi spinge verso un albero.
-Che
hai fatto ieri notte?- sussurra Zayn per non farsi
sentire, ma con tono
accusatorio.
-Ho
dormito. Come te. Ora se
permetti devo andare da Liam.- lo
liquido.
-No,
non hai dormito. E neanch’io.
Non riuscivo a chiudere occhio e ho passato tutta la notte a guardare
il
panorama fuori dalla finestra, non che fosse un granchè. Non
è successo niente
di strano, a parte due volte. Prima sei passata, per venire verso
questo lato.
Poi sei tornata. Cos’hai fatto?- dice,
sussurrando tutto arrabbiato.
-Una
passeggiata.- rispondo
liberandomi dalla sua presa. –Ciao,
Zayn.-
-Lo
scoprirò, sai? Sono bravo in
queste cose. Se non me lo dici tu lo saprò da me.-
Non
gli rispondo e vado dritta a casa di Liam mentre lui mi passa davanti
per
andare via. Non lo scoprirai, Zayn.
E’
una cosa più grande di te, lascia perdere.
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Capitolo 3 *** Niente torte, ricorda ***
Non
sono andata da Liam dopo. Sono tornata a casa, mi sono buttata a letto
e ho
dormito, con le parole di Zayn che mi echeggiavano nella testa:
‘Lo scoprirò, sai? Sono
bravo in queste cose.
Se non me lo dici tu lo saprò da me.’
Che
vuole fare? Spiarmi? Potrebbe farlo. E a quel punto non saprei
più cosa fare… non
credo che riuscirei ad inventare un alibi, se mi vedesse scomparire
dietro un
albero.
Penso
ancora a cosa potrei fare mentre ceno compostamente con la mia
famiglia, ma è
quando tutti dormono che mi pongo realmente il problema.
Magari
era un bluff. Solo per spaventarmi. Magari non farà proprio
niente.
Ma
come posso esserne sicura? Devo rischiare? E se poi lo scopre cosa
succederà?
Mi ricatterà, lo andrà a dire a tutti? No,
quest’ultima cosa mi sembra meno
probabile, contando com’è lui. Non che io lo
conosca. Ma non ci vuole molto per
capire che si tiene tutto dentro. Non lo direbbe a nessuno. Userebbe la
cosa a
suo favore, però.
Zayn,
Zayn, Zayn. Perché vuoi causarmi tutti questi problemi?
Bene,
ho solo una possibilità, a questo punto. Oggi non vado,
anche se so che domani
mi si ripercuoterà tutto contro. Non posso farci niente,
devo proteggere il
segreto.
Arrivata
a questa conclusione mi stendo sul letto e ordino al mio cervello di
dormire,
perché contando che l’effetto della bevanda
durerà solo fino alle sei di
mattina, mi servirà un bel po’ di sonno per
affrontare la giornata che viene.
Ma
non ce n’è bisogno. La mattina dopo, prima di
poter entrare a scuola Buck mi
porge un bicchiere. –Bevi.- mi
dice.
–Phillips si è
arrabbiato, sai? Abbiamo
dovuto rimandare una missione. Vedi di esserci, oggi.- sussurra.
Annuisco e
non aggiungo altro, perché so che non è il luogo
adatto per parlare di questioni
del genere.
Neanche
si fossero messi d’accordo –o forse lo hanno fatto-
appena Buck se ne va mi
raggiunge Liam. –Non farlo
più.- mi
sussurra arrabbiato. Poi va via anche lui.
Ma
c’è qualcuno che rimane, c’era quando mi
ha parlato Buck e quando mi ha parlato
Liam. A dovuta distanza, Zayn mi osserva. Gli scocco un veloce sguardo
truce e
continuo a camminare anch’io, andando in classe.
Non
ne posso già più di Zayn.
Anche
a mensa continua a fissarmi in silenzio, spero solo che abbia capito
che non ho
più intenzione di parlare con lui. Ma purtroppo scattano i
dodici minuti.
-Stanotte
niente, eh?- mi
sussurra. Lo dice abbastanza piano da poter far finta di
niente. Quindi cerco di iniziare una conversazione con qualcun altro,
tipo
Bertha. Ma c’è un motivo se tutti i miei amici
sono maschi. Le ragazze sono
insulse e parlano sempre delle stesse cose. Vestiti, vestiti, vestiti. A scuola.
Qualche
volta ho anche provato ad uscire con loro, ma quando non
c’è la sorveglianza
l’argomento cambia in ragazzi, ragazzi, ragazzi. Ma andiamo!
I
ragazzi sono buoni solo per combattere.
Non
dormo nell’ora in cui dovrei, perché sono ancora
troppo irrequieta, solo che
non riesco a focalizzarne il motivo.
Fantastico.
L’unica
cosa positiva è che stavolta il guardiano è
Jethro, lui lo conosco. Oh si, è
uno dei pochi guardiani buoni. Quindi faccio i compiti con il suo aiuto
e
finchè non scatta la campana parliamo un po’.
Penso che probabilmente ci
sarebbe utile, è abbastanza muscoloso e massiccio. E non
rispetta le regole e
questo è fondamentale.
Purtroppo
le reclute possono essere solo adolescenti. Scusa, Jethro.
E
se..? Potrebbe essere Zayn una nuova recluta? Non so. Non mi fido di
lui per
ora. Certo, ha coraggio e va ammirato per questo, ma non basta da solo
per
entrare, più o meno. Il fatto è che non voglio
dargliela vinta.
Dopo
la campana decido di andare da Buck, è dall’altra
parte della città quindi non
dovrò neanche passare sotto casa di Zayn, perfetto.
Cammino
svelta per la città sentendomi osservata. Non dai sempre
presenti occhi dei
vecchietti, no. È una sensazione diversa che solo chi ha
fatto anni e anni del
mio lavoro può riconoscere. Qualcuno mi sta seguendo, ma non
vuole essere
visto.
Non
mi risulta difficile capire chi è quel qualcuno. A quanto
pare il ragazzo non
si è dato per vinto a scoprire cosa ho fatto.
Motivo
in più per parlare con Buck.
Abbandono
il mio passo svelto, perché ho paura che possa fargli capire
che so che lui
c’è, nascosto da qualche parte. Quindi comincio a
camminare molto lentamente e
quando arrivo sotto casa di Buck ringrazio gli angeli,
perché non sono abituata
a camminare piano.
Busso
più volte perché so che lui dorme di solito, ma
non mi interessa. Ha la
bevanda.
Si
decide finalmente ad aprire ed entro sollevata in casa sua, sollevata
sapendo
che Zayn non può. So esattamente dove andare
perché, com’è ovvio, tutte le case
sono uguali. Non possiamo neanche spostare o aggiungere un quadro.
Sarebbe
‘disordine’.
-E chi
poteva essere?!- sbuffa Buck vedendomi. E’
a torso nudo con dei pantaloncini
che gli arrivano al ginocchio. Non si vergogna e nemmeno io. Non
è solo perché
è il mio migliore amico: l’ho visto
così più e più volte e in alcune
missioni
ci è capitato di rimanere completamente nudi. Ma non puoi
essere schizzinoso,
in guerra.
-Sei
arrabbiato?- gli
chiedo, nonostante io sappia già la risposta.
-No.
Sono curioso. Che ti è
successo?- risponde
velocemente, quasi
accavallando le parole. Perché qua ci potrebbe sentire
chiunque. Ma fuori c’è
Zayn.
-Zayn.-
sussurro.
–Mi segue.
La scorsa notte non riusciva a dormire. Mi ha detto che mi ha visto
camminare
due volte: andata e ritorno. Vuole sapere cosa ho fatto.- rispondo
in un
veloce sussurro. Mi guarda per un po’, quasi a voler capire
se mento o meno, ma
sa che non gli mentirei mai. Soprattutto se riguarda
l’associazione.
-Non
puoi più mancare. Abbiamo
fatto rimandare una missione!- esclama
Buck e capisco che ha ragione.
-Farò
il giro in largo, oggi.- rispondo con una scrollata di
spalle. Lui annuisce e si
mette tra le coperte.
-Ora
voglio dormire.-
dice. –Se vuoi
rimani, ma non credo sia molto interessante guardarmi russare.-
-Tu non
russi.- ribatto.
Abbiamo dormito insieme più volte. –Ma
vado.-
Annuisce
e penso che sia un cucciolo tra le coperte, che tira sempre fin sopra
il naso,
anche con quaranta gradi. Poi mi balena in mente una sua immagine, con
il
fucile in mano, con un colpo che finisce dritto nel cuore di un soldato
nemico.
E penso che magari non sia proprio un cucciolo.
Mi
sporgo dalla finestra e vedo Zayn, ma non ne rimango sorpresa. Solo che
ora
devo scendere ad affrontarlo.
-Che
fai, mi segui anche, ora?- gli sbraito contro.
-Te
l’ho detto. Saprò cosa fai.- mi risponde Zayn tranquillo.
-Smettila,
Zayn. Non t’interessa
cosa faccio. Anzi, cosa non faccio,
perché non faccio niente di niente. –
-Allora
dimmi, cosa non hai fatto quella
notte?-
-Zayn,
basta.- urlo. –Lasciami
stare.- queste però sono parole a doppio
significato. Perché mentre per noi
significano di non aprire più l’argomento, per i
vecchi che stanno sui balconi
e non hanno ascoltato il resto –perché detto a
voce troppo bassa- significa
tutt’altro. Che ci prova con me. Che mi sta violentando, se
mi va bene.
E
questo è inaccepibile.
Però
sembra un ragazzo sveglio, Zayn, perché guarda subito sopra
e fa un sorriso ammiccante
alle vecchiette. Conquistandole sicuramente tutte.
Bene,
dopo di questa posso davvero andare via. Anche perché tra
poco è ora di cena e
non posso fare ritardo.
Sento
che mi sta rincorrendo per raggiungermi, ma non faccio niente per
aspettarlo.
Entro
in casa violentemente, sbattendo la porta con un forte tonfo, tanto a
quest’ora
non ci dovrebbe essere nessuno. E la mia teoria viene confermata dal
silenzio
che ne segue.
Corro
in camera mia e chiudo la porta. Mi accuccio sulla
sporgenza della finestra per
guardare fuori in pace.
Zayn
è ancora lì, ma il suo sguardo non mira alla mia
finestra. Alla porta. È
indeciso se bussare o meno. Si passa più volte una mano tra
i capelli, poi
scuote la testa e corre via.
Ora
c’è il vuoto fuori e penso a come lui lo colmasse
bene.
Perché
tra tutti gli edifici uguali, i fiori piantanti in numero preciso,
secondo uno
schema preciso, lui era davvero quello che portava un po’ di
colore al
panorama.
Beh,
tecnicamente di colore ce n’è abbastanza
perché, sebbene le case siano tutte
uguali sia dentro che fuori come forma, struttura e arredamento, i
colori
cambiano. Per far sembrare questa spenta città allegra. La
mia casa è rossa e
io la odio.
Il
rosso mi ricorda il sangue e tutti i soldati che ho ucciso fin da
piccola.
Ma
lui si distingue. Avrà una ventina di tatuaggi e ne sono
permessi solo tre a
persona. È uno dei tre ragazzi della città ad
avere un orecchino. È uno dei
cinque ragazzi della città ad avere la cresta. È
uno dei due ragazzi della
città, lui e il suo amico Louis, che non vanno sempre in
giro con quel
fastidioso sorriso soddisfatto.
È
esattamente l’opposto di quello che serve in questa
città, troppo diverso.
Campana.
Un’altra attività giornaliera è finita
per dare spazio alla prossima, la cena.
Magicamente
tutta la famiglia è a casa e sta prendendo posto a tavola
mentre mia madre
serve la cena che in questo momento tutte le mamme stanno servendo a
casa
propria. Neanche il cibo può essere originale.
Da
piccola, dopo i compiti, mi ero messa a cucinare una torta per portare
qualcosa
di nuovo in tavola. Era venuta benissimo e mi ero sbizzarrita con la
fantasia e
avevo anche scritto ‘Amo la mia famiglia’ con la glassa.
Pensavo
che sarebbero stati tutti felicissimi, quando l’avrebbero
vista.
Ma
non andò così.
Mio
padre ordinò a mia sorella di andare in camera e questa
lasciò solo la scia dei
suoi lunghi capelli neri e un vuoto nel quale rimbombavano ancora i
suoi
saltelli.
Poi
mia madre buttò velocemente la torta nel cestino, lavando,
in seguito, le mani
affusolate che non si era sporcata. Già a quel punto avevo
le lacrime agli
occhi. Perché ero piccola e volevo fare qualcosa di bello,
ma i miei sforzi non
erano stati apprezzati.
Successivamente
mio padre iniziò ad urlarmi contro. Inizialmente guardavo
mia madre con la
speranza che mi avrebbe difeso, protetto dalle cattive parole. Ma lei
stava
zitta e mi guardava freddamente. Così mi accucciai a terra e
ascoltai mio padre
gridarmi ogni cosa brutta che gli passava per la testa.
Arrivando
da ‘Non si fanno queste cose’ a ‘Sei la
figlia peggiore che potessi mai avere’.
Mamma, ovviamente, non replicò.
Scappai
in camera a singhiozzare rumorosamente e quel giorno non mi fu concessa
la
cena.
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Capitolo 4 *** Marmo ***
Come
avevo già detto a Buck, questa volta per raggiungere il
comando faccio il giro
in largo, non passando da casa di Zayn. E va tutto liscio, fin quando
non sono
dentro.
Mi
aspetta un Phillips arrabbiato, è arrivato prima del solito,
infatti insieme a
lui ci sono solo pochi altri ragazzi.
-Eveleen.-
non
mi ha chiamata Leena, brutto segno. –Ciao.
Ci hai degnato della tua presenza.- okay,
questo è altamente ingiusto. Capisco che è grave
che sono mancata, ma è l’unica
assenza in dieci anni. Si, magari la missione era stra-
super- mega importante, però sono stati loro
a volerla rimandare, non gliel’ho chiesto io.
-Scusa,
Phillips. Ho avuto dei
problemi.- gli
rispondo, senza alzare i toni.
-Dove
sono Liam e Buck?! Dobbiamo
partire immediatamente.- dice lui.
Neanche
l’avessero sentito i due si precipitano velocemente da noi,
scherzando e
parlando tra loro. Poi si ammutoliscono e ci guardano attenti.
-Andiamo.-
dice
Phillips.
Solo
noi? Di solito in missione vanno minimo dieci persone. Allora
è veramente
importante.
Ci
scambiamo una veloce occhiata con Liam e Buck e poi seguiamo Phillips
sul
treno.
Non
so dove dobbiamo andare, ma ci vogliono ventidue secondi, deve essere
un posto
lontano, se i nostri treni ad alta velocità ci hanno messo
così tanto.
Quando
scendiamo dal treno e risaliamo in superficie, la mia teoria del luogo
lontano
è confermata dal fatto che non riconosco neanche un
po’ quello che mi trovo
davanti.
Sto
guardando una montagna. Una montagna enorme con vari squarci bianchi
che la
cospargono, mi sembra marmo. Non sapevo si prendesse dalle montagne, ma
sono
sicura che in questa ce n’è in quantità
esorbitanti.
-Dove
siamo?- chiede
Liam.
-A
Carrara.- risponde
Phillips. Un nostro sguardo interrogativo gli fa
capire che non sappiamo dove si trova. –In
Toscana.- aggiunge, quindi. Ancora niente. Toscana?
Dov’è la Toscana? –Italia!-
sbuffa impazientito. Ah, ora
ho capito.
Bene,
cosa ci facciamo noi in Italia?
Phillips
ci spiega il piano.
Dall’altro
lato della montagna, ai suoi piedi, c’è una
struttura governativa. Devo entrare
dentro di questa e rubare dei file sulla montagna, intanto Liam e Buck
controllano le uscite e tutto il resto, coprendomi le spalle.
Sarò in
collegamento audio e video con Phillips, che vedrà e
sentirà quello che sento
io, grazie ad un cappello che mi porge, in cui è installata
qualcosa tipo una
mini-mini webcam potentissima.
Lo
indosso. Poi mi porge anche altri vestiti e penso che avrebbe potuto
farmi
cambiare in treno. Indosso la tutina aderente completamente nera e le
scarpe da
tennis nere. Capisco perché sono vestita così, mi
mimetizzo perfettamente con
il buio della notte.
-Non mi
dai un’arma? Neanche una
pistola?- chiedo
a Phillips, contrariata.
-Devi
essere veloce e leggera. È
per questo che ci sono loro.- risponde
lui, indicandomi con un cenno del capo Liam e Buck, impegnati a
prendere le
prorpie armi e nasconderle nelle varie parti del corpo.
Annuisco,
ma non sono proprio convinta. Sono vulnerabile senza un’arma
e questo non mi
piace. –E’ un
anti-proiettile.- dice
Phillips.
-Cosa?-
-Tutta la tuta. Stai
tranquilla.-
Non
è solo per mimetizzarmi che sono vestita così. E
non è per niente che Phillips
è uno dei migliori generali di tutta
l’associazione. Pensa a tutto.
E
bisogna pensare come il nemico, per arrivare a capirlo fino in fondo.
Mi
incammino verso la montagna con i due ragazzi alle calcagna.
-Ce la
faremo?-
gli chiedo in un sussurro.
-No,
moriremo tutti.- risponde Liam e questo mi
tranquillizza. Perché in ogni
missione dice così, e non succede mai.
Ci
facciamo spazio tra gli alberi e in un punto sono talmente fitti che
Liam deve
camminare avanti e staccare con un enorme coltello tutti i rami che
incontra,
aprendoci la strada.
Poi
si ferma di colpo.
Lo
scuoto un po’, ma continua a non muoversi. Così mi
alzo in punta di piedi per
guardare oltre la sua spalla. Quello che vedo mi fa rizzare tutti i
capelli.
Una quarantina di guardie, armate di fucile, sorvegliano
l’ingresso della
struttura. Non ci hanno visti, ma potrebbe succedere a momenti, quindi
tiro via
Liam.
Moriremo
tutti sul serio, penso.
Ma
guardando in faccia Liam non è paura che vedo. No, qualcosa
di molto diverso.
Qualcosa che inizia piano piano a farsi spazio sul volto di Buck quando
vede la
situazione e la comprende a pieno.
Lo
scintillare degli occhi. Il sorriso sulle labbra. Le mani che iniziano
a
muoversi frenetiche tra le armi, controllando se sono tutte cariche.
Loro
fremono di eccitazione. Vogliono
combattere. Ma io sono disarmata e da soli non ce la faranno
mai contro
tutte quelle guardie.
-Torniamo
indietro.- dico
a bassa voce. –Diremo
a Phillips che ci servono rinforzi.-
La
mia è una proposta ragionevole ed è esattamente
quello che dovremmo fare.
-Leena,
preparati ad entrare. – dice Buck guardando le guardie con
un sorriso.
-Sali
sull’albero, prima. – mi raccomanda Liam, nella stessa
identica posizione di
Buck.
Sono
folli. Sono completamente folli e
verrano uccisi. Tutti e due. Non posso lasciarglielo fare. -No. Sono troppi, non ce la farete.-
-Si,
invece. Sali sull’albero.- mi risponde Buck, sempre senza
guardarmi.
-Datemi
qualche arma. Combatto
anch’io. –
-Leena,
sali.-
-Mi
metto tra voi e loro,
altrimenti. E sapete che lo farei.-
stavolta ho la loro piena attenzione. Mi aiutano a salire
sull’albero e poi mi
porgono un fucile. Io sparerò da sopra, loro saranno
esposti. Spero solo che anche
i loro completi siano anti- proiettile.
Non
so come fanno a mettersi d’accordo senza mai parlare. Ma
fatto stà che sono
sempre coordinati nei movimenti e sanno sempre cosa fare. Sempre.
Camminano
in avanti, superando gli alberi. Sono esposti e precisamente davanti
alle
guardie. Quando queste iniziano ad accorgersene li guardano
interrogativi,
perché hanno nascosto le armi dietro la schiena.
Mi
danno le spalle, quindi non riesco a vedere i volti, ma sono sicura che
in
questo momento sono spaventati e innocenti. Perché?
Perché una guardia si
avvicina a loro, posando il fucile.
-Tutto
bene, ragazzi? Vi siete
persi?- gli
chiede, con fare paterno e
parlando un inglese sgrammaticato.
E
se fin’ora sono sembrati spaventati ora avranno sicuramente
un sorriso sghembo
e strafottente sul volto. Le guardie iniziano a capire la situazione e
impugnare i fucili, ma non prima che Buck faccia saltare la testa di
quell’uomo
vicino a loro.
-Tutto
bene, ragazzi? Vi siete
persi?- gli chiede, con fare paterno.
Magari
era davvero un padre e aveva una famiglia, qua in Italia. Dei figli che
lo
aspettano invano per giocare insieme. Una moglie che gli ha preparato
una
deliziosa cena per accoglierlo dopo il lavoro. Una cena che non
verrà mai
mangiata.
E
io sono troppo stupida. Troppo impegnata a pensare ad una famiglia
immaginaria
da non accorgermi quello che mi sta succedendo davanti agli occhi.
Fiotti
di sangue bagnano l’erbe fresca e illuminata dallo splendore
della luna piena.
Non ci sono urla, né si sentono rumori di colpi. Le guardie
sono troppo
professionali per urlare e le armi troppo evolute per emettere
qualsiasi genere
di rumore. Nessuno dentro la struttura può immaginare quello
che sta succedendo
fuori. Quello che due soli ragazzini con delle armi in tasca stanno
facendo a quaranta
guardie.
Ma
i ragazzini dovrebbero essere tre.
Guardo
distrattamente Buck e Liam e mi sembrano illesi. Impugno il mio fucile
e miro
al primo soldato, che sta caricando per sparare ad uno dei due.
Lo
colpisco alla testa. Non riesce a capire da dov’è
venuto il colpo. Quando mi
scorge, tra i rami dell’albero, non fa in tempo ad indicarmi
agli altri. La
morsa feroce della morte che l’ha accolto non glielo permette.
Lo
guardo negli occhi, finchè non li chiude. Ma non
c’è tempo per pentirsi o avere
moti di pietà.
Sparo
a più non posso a tutti gli uomini che vedo e in poco tempo
sono tutti morti.
Scendo
dall’albero con un balzo e raggiungo Buck e Liam. Da qui la
scena è ancora più
brutta. Faccio un passo in avanti e mi guardo la suola della scarpa:
coperta di
sangue fresco, denso, caldo. Mi esce un gemito e non so se è
provocato dallo
schifo che mi fa vedere tutto quel sangue o dal pensare che sono stata
io a
causarlo.
Entrambi
i ragazzi mi guardano in attesa di una mia reazione. Dalle nostre
precedenti
missioni sanno che uccidere e vederne le conseguenze mi fa sempre lo
stesso
effetto.
-Ragazzi,
che state aspettando?- dice Phillips,
dall’auricolare della webcam.
Mi
smuovo e cammino in avanti. Ora mi serve lucidità per
controllare la
situazione.
Non
posso di certo entrare dalla porta come se niente fosse. Mi guardo
intorno e
scorgo una piccola fessura in alto, entrerò da
lì. Ecco perché mi hanno voluta,
piccola e agile come sono posso infilarmi ovunque. Ed ecco
perché non posso
portare armi.
Ma
Buck e Liam non potranno entrare, quindi non avrò
protezione.
Ma ho
il giubotto, penso.
Tranquilla,
Eveleen.
Salgo
sulle spalle di Liam, che è più alto e mi spingo
con le mani nella fessura. Lì
dentro fa feddro. Scivolo guidata da Phillips che mi dice dove girare,
dove
fermarmi e quando proseguire.
Poi
sento un rantolo. Penso sia il mio stomaco, perché ineffetti
ho un po’ di fame,
quindi non ci faccio caso e vado avanti.
Di
nuovo. Stavolta è più forte e non si
può di certo accusare la mia pancia.
-Va
vià!- mi urla Phillips. –Veloce!-
faccio come mi dice e mi muovo più velocemente che
posso in quello spazio
stretto con i gomiti e le ginocchia.
Poi
lo sento. Qualcosa che si rompe. Dietro di me, sta cadendo lo spazio
dove io
sono intrappolata e la cosa non è passata inosservata. Urla,
pistole che
sparano al vuoto.
Continuo
ad avanzare in fretta. –Ci sei.
Ormai
non ci possiamo fermare, calati giù.-
Calarmi?
E da dove? Ah. C’è un pannello removibile poco
vicino a me. Cerco di toglierlo
ma ci vorrebbe qualcosa, un coltello magari.
Che
non tarda ad arrivare. Si conficca accanto a me, lo prendo e apro il
pannello.
Dopo
me ne rendo conto. Qualcuno con una pessima mira, dietro di me, cercava
di
colpirmi. La tuta non protegge anche dai coltelli, vero Phillips?!
Mi
giro e mi ritrovo faccia a faccia con un uomo sulla quarantina con una
grande
barba incolta, che mi guarda impaurito e non riesco a capirne il
motivo. Finchè
non realizzo. Io ho un coltello, lui è disarmato.
Ormai
sanno che sono qui quindi se lo dice ad altri non m’importa. –Va via e non te lo ficco in testa.- gli
dico. Capisce che non scherzo e fa dietro- front. Io mi calo
giù.
Guardando
bene la stanza, non è difficile capire quali sono i file che
devo prendere,
anche senza che Phillips me lo dica. C’è una
scatola enorme, di viola accesso,
con scritto ‘Fogli segreti.’. Non molto
intelligente da parte loro. In effetti,
non credo che siano molto intelligenti in generale, contando che non
hanno
protetto la stanza.
Prendo
la scatola e scappo dall’uscita alternativa segnalatami da
Phillips, non prima,
però, che mi venga conficcato un coltello nel fianco destro.
Non
ho il tempo di fermarmi e toglierlo, ma spero non abbia causato danni
gravi. Il
dolore è lancinante e mi rallenta di molto.
Vedo
Liam e Buck che corrono verso di me, ma io non ce la faccio
più e non ho forza
nelle braccia. Cado a terra.
Liam
mi prende in braccio, Buck prende la scatola, ed insieme corrono. Non
so verso
dove, Phillips probabilmente. Di sicuro qualcuno ci starà
inseguendo.
Ma
tanto sono già praticamente mezza morta, quindi va bene lo
stesso.
E
Liam e Buck se la caveranno, se mi lasciano qui.
Ma
non l’hanno fatto, evidentemente. Perché quando
rinvengo sto fissando entrambi
i loro volti preoccupati.
Il coltello dal fianco mi è stato tolto e la ferita pulita e
curata, ora si
riesce a malapena a vedere. Eppure sento ancora forti fitte, deve
ancora
guarire completamente, credo.
-I
file- sussurro.
–Sono al
sicuro?- non parlo a bassa voce perché siamo
controllati, anzi, siamo al
comando. Ma non riesco ad alzare il tono, per qualche motivo.
-Sei
stata bravissima, Leena.- interviene Phillips.
-Grandioso.-
dico,
e alzo una mano in segno di trionfo. Ma è troppo e
svengo di nuovo.
Mi
alzo e sono nel mio letto. Chissà chi mi ci ha portato. Mi
lavo, mi vesto e
faccio tranquillamente colazione, come se niente fosse. Ma la
verità è che mi
fa ancora terribilemente male il fianco. Non sempre, sia chiaro, ma le
fitte
sono talmente dolorose da farmi dimenticare i momenti di pausa.
Vado
a scuola tenendo una mano su di esso e penso che probabilmente ho
un’espressione sofferente in volto, ma quella non riesco a
toglierla.
-Hey- dice Buck. –Va
meglio?-
-No.
–
rispondo. –Ma
passerà.-
-Brava
ragazza, così si parla!- gli rivolgo un sorriso sghembo e mi
dispongo nel mio banco
della classe, pronta a un’altra terribile mattina.
A
volte mi lascio sfuggire dei gemiti di dolore durante le lezioni, ma
sono tutti
così concentrati sui professori che non se ne accorgono.
Meglio per me.
A
pranzo, però, sarà più difficile
perché per molto tempo, prima dei dodici
minuti, si deve stare in silenzio, quindi mi trattengo. Ma per fare
questo la
mia espressione sofferente diventa più intensa e non sfugge
ad alcune persone.
Ad Aaron e Aaliyah, per esempio, che sanno cos’è
successo. O a Zayn, che muore
dalla voglia di saperlo.
Per
fortuna però, sentendo i miei gemiti, ha il buonsenso di non
parlarmi, nei
dodici minuti. Gliene sono davvero grata.
Quando
torno a casa mi butto dirattamente sul letto, ma è un
errore, perché il tutto
mi si ripercuote sul fianco. Avrei preferito non dover mai scoprire
quanto
forte può essere il dolore provocato dalla lama di un
coltello. Avrei potuto
benissimo vivere senza saperlo.
Quel
giorno al comando fu tranquillo, per me. Fui esentata da missioni e da
allenamento.
Raggiunsi comunque la base a Mullingar ma fu solo perché non
volevo stare sola.
E per farmi somministrare un’altra dose della medicina che
non mi fa sentire il
dolore per un po’.
-Ho la
medicina, ora. Sul serio,
posso allenarmi.- dico al coach dopo
un’ora, perché
non ce la faccio davvero più a stare a guardare gli altri
che si allenano.
Ci
sono poche persone che conosco, Liam, Buck e Niall sono in missione per
fare
non-so-cosa. Sto diventando sempre più sospettosa riguardo
queste missioni di
soli maschi.
-Leena,
ho avuto ordini precisi, mi
dispiace.- mi
risponde il coach e per un
momento mi sembra davvero sinceramente dispiaciuto. –Pensi
che non preferisca guardare te eccellere piuttosto che questi
principianti, cui devi spiegare anche solo come si preme un grilletto?-
aggiunge
poi sottovoce, esasperato.
Christy
o Christine, non ricordo, una ragazza di qui, lo sente. Gli lancia
un’occhiata
che basterebbe da sola a dire tutto e poi esclama: -Ti
ringrazio della fiducia che riponi in noi!- così
scuote i
capelli neri e punta i suoi occhi celesti altrove, camminando furiosa
verso
qualche altro bersaglio. Il coach si limita a sorridere.
-Alcuni
dopo un po’ riescono
perfettamente, in realtà.- mi spiega il
coach. –Però
è comunque noioso dover
fare tutto il percorso d’accapo.- gli do una pacca
comprensiva sulla spalla
e poi vado a sedermi.
Guardo
i principianti di cui parla il coach iniziare ad adattarsi, ma non
sembrano
male. Diventeranno tutti molto bravi, secondo me. Ah, a parte Aaliyah.
Non
capisco perché continuano a farla allenare. Potrebbero
fissarla a qualche
computer e insegnarle a penetrare nella rete protetta, sarebbe
più utile da là.
Poi
c’è Harry, però, che è
l’eccezione a tutto quanto. Lui non è come
Aaliyah. Lui
non diventerà bravo, come gli altri. Lui lo
è già, che è diverso.
Sebbene sia nel programma solo da un mese, sono
convinta che prestissimo gli assegneranno degli incarichi. In fondo,
perché
sprecare tanta bravura?
Continuo
a guardarlo mentre salta da un anello all’altro. Poi si gira
verso di me e,
quando i nostri sguardi si incrociano, le sue dita si aprono
leggermente e lui
cade di peso nel fango. Si rialza brontolando e mi raggiunge.
-Sai
che è colpa tua, vero?- mi dice accusatorio, ma con un
evidente nota conciliante
nella voce.
-Oh si.
Sono io che mi distraggo
mentre sono a mezz’aria, no?- rispondo
ironica. Mi rivolge un sorriso sghembo e si siede accanto a me. Si
guarda per
un po’ schifato le parti del corpo piene di fango, poi lo
faccio alzare e lo
ripulisco con un getto di acqua fredda proveniente da una pompa. Tanto
è
estate.
Non
protesta e alza le braccia, per fare arrivare l’acqua anche
là.
-Grazie,
Leena.- figurati
Harry, per così poco. Non c’è neanche
bisogno di
ringraziarmi in realtà. Mi hai sollevato dalla noia, per
così dire.
-Non ce
la faccio più.- tra tutti i miei pensieri,
è questo che mi esce dalla
bocca.
-Vedrai,
per domani sarai già a
posto e potrai intraprendere le tue pericolose missioni di salvataggio
del
marmo.- mi
rassicura lui, con una punta di
ironia. Ma non ha capito.
-Non mi
riferivo a questo. – dico. E vedendo il suo sguardo
interrogativo continuo a
parlare. –Non possiamo essere
costretti
a fare tutto questo segretamente. Le città devono aprire gli
occhi! Non ci
possono controllare così, dobbiamo esprimerci!-
urlo io, in preda di mille emozioni.
-Capiranno,
prima o poi capiranno.-
mi
risponde Harry, guardandosi i
piedi.
E’
il poi che mi spaventa, Harry.
Contando che il prima è
già passato.
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Capitolo 5 *** Non sa niente ***
Un’altra
giornata passa tranquillamente, perché mi hanno dato una
boccetta della
medicina, quindi niente più fitte di dolore. Menomale. Non
avrei sopportato un
altro giorno in quel modo.
Liam
e Buck non vogliono dirmi niente delle loro missioni.
Zayn
non mi rivolge più la parola.
L’ultima
cosa è di sicuro positiva, perché almeno non mi
caccierò più nei guai (anche
se, per sicurezza, continuerò a fare il giro in largo.)
Ma Liam e Buck? Che hanno da nascondermi? Ovviamente non è
colpa loro, perché
se non devono parlare delle missioni, è stato Phillips a
ordinarglielo, ma
potrebbero fare uno strappo alla regola, per me.
Dopo
aver avuto una discussione al riguardo, non gli ho più
rivolto la parola, a
nessuno dei due. Non lo farò finchè non me lo
diranno e su questo sono molto
decisa.
E
sono altrettanto decisa quando parlo con Phillips. –Cosa
sono queste missioni?!- gli chiedo, digrignando, senza
accorgermene, i denti. Stavolta non sorride quando mi risponde: -Leena non puoi partecipare, sono cose
serie.- dal suo tono decido di non controbbattere. Per il
momento, almeno.
Quando
i due non-ti-dico-niente-e-non-mi-importa-se-sei-la-mia-migliore-amica
entrano,
non gli rivolgo il minimo sguardo. Ma li sento sospirare entrambi.
Succede
esattamente la stessa cosa il giorno dopo. Richiedo a Phillips delle
missioni e
lui non mi dice niente. Sento entrare i due traditori (al momento li
chiamo
così) e non li guardo nemmeno di striscio.
Però
c’è qualcun altro che noto e sarebbe impossibile
non farlo, dato che mi viene
davanti. Lo guardo con gli occhi sbarrati e non riesco a credere che
sia
davvero lui. Mia malavoglia, guardo Buck in cerca di una spiegazione,
lui mima
le parole ‘Ci serve’.
No,
no, no, non ci serve affatto. Possiamo farne benissimo a meno.
-Beh,
alla fine non l’ho scoperto
da solo, avevi ragione. Ma sono comunque qui, strano, eh?- non gli rispondo. –Comunque
non ho ancora capito niente. Però mi hanno detto che saremo
insieme
all’allenamento, qualunque cosa sia, quindi puoi spiegarmi
tu.- aggiunge,
senza farsi scoraggiare dal modo truce in cui lo guardo. –Mi
piacerebbe che ci fosse anche Louis, però. Anche se non so
di che
si tratta, sono sicuro che gli piacerebbe. Ho chiesto a Buck di
spiarlo.-
Non
ce la faccio più a sentirlo parlare, scuoto la testa
confusamente e mi giro dal
lato opposto, fissando il muro di pietra.
Alla
fine non l’ho scoperto da
solo. Sono qui. Saremo insieme all’allenamento. Ho chiesto a
Buck di spiarlo.
Buck!
Come ha potuto farlo entrare dopo che gli ho detto cosa mi ha fatto?! O
forse è
stato proprio per questo che ha iniziato a spiarlo? Pensava che se era
abbastanza coraggioso da affrontarmi valeva la pena spiarlo?
Guardo
Buck, cercando qualcosa. Non so di preciso cosa, forse un segno di
rimorso, di
pentimento. Un segno che non arriva. Si limita soltanto a dire di nuovo
‘Ci
serve’ a voce alta, stavolta.
-Certo
che vi servo.-
dice prontamente lui. –Anche se non
so a cosa.-
-Sta
zitto, Zayn.- gli
dico scocciata. Lui mi guarda divertito.
-Andiamo
all’allenamento?- non gli rispondo. Mi incammino
verso il treno e lui mi
segue. Inizia a sparare a vanvera una serie di cose: che non
è mai stato su un
treno, anzi, che non è mai uscito da Holmes Chapel; che
è eccitatissimo; che
non vede l’ora di capire tutto per bene; che non capisce come
facciamo a non
dormire a scuola e cose così.
-Ora
però dovresti dirmi cosa
dobbiamo fare.- dice Zayn scendendo dal treno.
-Okay,
senti. Siamo in guerra e noi
ci alleniamo per andare a fare varie missioni. Tutto qui.-
-Cosa?!-
urla
lui sconcertato.
-Non
devi farlo a forza, se non te
la senti rinuncia ora.-
-No,
volevo dire.. siamo in
guerra?-
-Non lo
sai?- dico,
vagamente confusa. Si, ci tengono segregati e ci
fanno uniformare, ma davo per scontato che avessero avvertito tutti
dello stato
di allarme in cui ci troviamo. Forse non è così,
però.
Zayn
scuote la testa, ancora più confuso di me. Capisco che deve
essere difficile da
digerire, il tutto. Adesso, in effetti, mi fa un po’ pena.
Lo
guido nel campo e gli dico di iniziare con i pesi, perché
per prima cosa devi
avere forza nelle braccia, per poter fare il resto.
-Non
è il mio compito, questo?- mi dice il coach, spuntato da
chissà dove.
-Non
con lui.- gli
rispondo con un sorriso.
-Va
meglio il fianco?-
-La
medicina non mi fa sentire
niente.-
-Menomale.
Mi hanno detto che hai
perso un sacco di sangue, sai? Potevi morire se restavi un altro
po’. – questo mi dà fastidio.
Parlare di cose che potevano accadere.
Non sono accadute,
punto.
Scrollo
le spalle incurante e mi metto davanti a Zayn, prendendo a mia volta
dei pesi.
-Aah.
– sospira
lui. –Ecco i
gemiti.- stai iniziando a capire ragazzo, bravo.
Non
so di preciso quanto è passato, ma non molto. Anzi,
pochissimo. Eppure Zayn
solleva già pesi più massicci dei miei e questo
non me lo spiego. Lo guardo
sconcertata e lui mi risponde con un semplice:
–Mi allenavo a casa.- Meglio, sarà
più facile prepararti e non
dovremo aspettare molto per averti in squadra, dovrei dire
sorridendo. Ma
l’unica cosa che mi esce è un: -Aaah.-
simile al suo di prima.
Perché
un po’ mi dà fastidio che sia già
così preparato, avrei preferito vederlo
impacciato e incapace, così da poterlo prendere in giro e
sfruttare la cosa a
mio favore. E invece eccolo qui, perfetto, muscoloso e forte. Il moto
di pietà
che mi aveva spinto ad essere amichevole con lui svanisce
d’un tratto.
Gli
dico di passare agli anelli e io me ne vado alla boxe.
Tiro
un pugno al sacco. Perché doveva
venire
proprio lui?
Pugno.
Intendo, ci sono così tanti ragazzi
che
potrebbero essere migliori!
Pugno,
pugno. Perché Buck ha fatto venire
Zayn,
che è già bravo?!
Pugno,
pugno, pugno, pugno. Do una velocissima sfilza di pugni e non riesco
più
neanche a contarli. Le mie sopracciglia sono corrugate nella
concentrazione e
le braccia agiscono automaticamente colpendo il sacco sempre con
più forza.
Poi
qualcuno mi picchietta sulla spalla. Io mi giro e gli tiro un pugno.
Chi poteva
essere, se non l’insulso Zayn?
-Oh,
scusa. – dico indifferente. –Sai
nelle missioni può succedere di molto peggio, in effetti
dovresti ritirarti, è
pericoloso.-
-Da
quanti anni ci sei, tu?- mi chiede da terra.
-Dieci.-
rispondo
secca.
-Se tu
ce l’hai fatta a sei anni
posso farcela anch’io.- afferma Zayn
convinto. Poi alza
il braccio, con il
palmo della mano voltato verso di me. Si aspetta che lo aiuti ad
alzarsi e si
sbaglia di grosso, infatti riprendo a tirare pugni.
-Sei
molto carina da arrabbiata.- mi dice Zayn. Mi fermo e lo guardo
prendere a pugni il
sacco vicino al mio.
-Grazie.-
rispondo
secca. –Lo
so.- poi mi tolgo i guantoni e vado verso un’altra
postazione, dove lui non
mi segue, per fortuna.
Mi
arrampico velocemente lungo tutta la ‘scala’ se
così si può chiamare quella
cosa e mi fermo un po’ di sopra. Qua posso avere un
po’ di pace, se anche
qualcuno provasse a salire, ci vorrebbe un bel po’ prima di
raggiungermi. Tre
quarti dei ragazzi e delle ragazze presenti qua non sanno arrampicarsi,
viene
considerata una dote speciale, il che è ridicolo.
È la cosa più semplice che ci
sia tra tutti gli esercizi.
Nemmeno
Buck ci riesce e Liam arriva al massimo a metà percorso.
Sento
urla di dolore e sospiri ripetuti provenienti da sotto, la visuale
perfetta sul
capo mi permette di vedere ogni singola persona che si allena e solo
ora mi
rendo conto di quanti siamo.
Al
suono della campana tutti si muovono agitati, a parte i
‘Bradfordiani’ che continuano
tranquillamente a fare qualsiasi cosa stessero già facendo.
Mi
calo giù dalla corda anch’io e atterro sul fresco
prato.
Raggiungo
il treno e occupo comodamente posto, ma stavolta non ho neanche il
tempo di
guardarmi intorno che siamo già arrivati.
Ovviamente
i ragazzi non ci sono ancora.
Mi
siedo su una poltroncina e sprofondo in quella, che prende la forma del
mio
corpo.
Githa
si avvicina a me e iniziamo a parlare del più e del meno,
ridacchiando spesso.
-.. e
poi il cibo della mensa fa
davvero schifo.- mi dice lei.
-Si,
è vero!! Che quello di casa,
poi?-
-La
scuola lo batte, fidati!-
-Fanno
schifo entrambi, dai!- concedo io, alzando le mani in
segno di resa.
-A
proposito di scuola, dov’è il
nuovo?- mi
chiede Githa. Improvvisamente
non mi sta più tanto simpatica. –Non
lo
so.- rispondo secca. Poi, mia malavoglia, mi guardo intorno
in cerca della
sua chilometrica cresta, ma non la vedo da nessuna parte.
‘Puoi
spiegarmi tu.’
Zayn
non sapeva che dovevamo tornare.
‘Puoi
spiegarmi tu.’
Avrei
dovuto dirglielo.
‘Puoi
spiegarmi tu.’
E
se fosse rimasto al campo, avendo visto che non tutti tornavano? E se,
in un
secondo -momento, avrebbero
incolpato
me?
..
Probabilmente devo togliere il se. Incolperanno
me, maledetta Eveleen.
Mi
alzo di scatto dalla sedia, provocando uno sconcertato sguardo di
Githa.
-E’
rimasto al campo, vero?- mi chiede. Annuisco piano,
mordendomi un labbro.
-Beh,
che aspetti? Muoviti!- continua lei, facendomi cenno di
andare. E chi sono io per
protestare? È esattamente ciò che devo fare:
muovermi.
È
improbabile che Phillips torni prima di me, ma se torna e né
io né Zayn ci
siamo, saranno guai seri. Peggio di non essere venuta.
Corro
verso il treno e dico a Cesar di andare al campo, in fretta. Ed
è quello che
fa.
Sono
al campo in meno di nove secondi e, nonostante la pioggia, corro per
cercare
Zayn. Ma tra le goccie che mi bagnano il viso e tutti i ragazzi che ci
sono,
proprio non riesco a vederlo.
-Zayn!!-
urlo.
–Zayn!!- aspetto
qualche secondo. No, niente. Non risponde. Ora sono davvero disperata,
come
faccio a trovarlo?
Sto
immobile per qualche secondo, quasi sperando che mi si materializzi
davanti..
però non succede. Niente va bene, da quando
c’è lui. E c’è solo da poche
ore,
cavolo!
Cosa
succederà tra una settimana? Mi porterà alla
morte?!
No,
devo calmarmi. Anche perché in realtà non
è tutta colpa sua.. anche un po’ mia,
perché l’ho lasciato solo. Ma l’ho fatto
perché lui era irritante, quindi
ritiro tutto. E’ completamente colpa sua.
Faccio
un respiro profondo e finalmente riesco a capire qual è la
cosa logica che devo
eseguire in questo momento, andare dal coach. È lui che lo
fa allenare, saprà
sicuramente dov’è.
Quando
lo raggiungo sono pervasa da una fitta al fianco, dovuta non solo
all’effetto
della medicina che cominciava a svanire, ma anche alla lunga e faticosa
corsa.
Prendo la boccetta dalla tasca e bevo un lungo sorso della medicina,
poi mi
rivolgo al coach:
-Dov’è
Zayn?-
-Se
n’è andato una mezz’ora fa. Non
so perché si è trattenuto più a lungo.
Perché, non è tornato?- mi risponde il coach, prestando la
sua attenzione ad un
paio di reclute invece che a me. Faccio segno di no con la testa, con
il
terrore che inizia a pervadermi il corpo, poi mi ricordo che non mi
guarda e
sbuffo un ‘no’, prima
di andarmene.
‘Se
n’è andato mezz’ora fa’
Okay.
Ma dov’è andato?! Al comando non c’era.
Quindi.. quindi un bel niente! Lui non
sapeva neanche come arrivare al treno! Dove diamine è
andato?!
Devo
stare tranquilla, in fondo non è colpa mia e di questo ne
sono completamente e
pienamente sicura. E allora perché sono qui, sotto la
pioggia, ad aspettare di
vederlo?
Perchè,
mentre cerco di trovare una risposta, mi contraddico da sola?
Devo
ammetterlo, almeno con me stessa. È colpa mia almeno quanto
è colpa sua. Né di
più, né di meno. Ma resta il fatto che siamo due
cretini e che io sono
un’irresponsabile.
Facendo
mente locale realizzo una cosa: nessuno gli aveva detto che ci
allenavamo a
Mullingar e lui, non essendo mai stato su un treno, non sapeva che
viaggiavano
così velocemente. Può aver pensato di ritornare a
piedi. E allora sarebbe un
enorme problema. Peggio del fatto che sta diventando giorno in fretta e
il
tempo a disposizione è sempre di meno. Perché
adesso non è più Phillips che mi
preoccupa, ma non riuscire più a trovare Zayn, questo mi spaventa sul serio.
Allora,
il treno del ritorno si prende dal luogo opposto di quello
dell’andata, ma lui
non lo sapeva ovviamente quindi
deve
aver preso la direzione del primo treno.
Cerco
di pensare il meno possibile al fatto che è colpa mia se lui
era così a corto
di informazioni e mi dirigo verso la zona sud-est del campo.
Ora
mi fermo a calcolare quanto può aver percorso.
Alla
fine non credo che sia andato molto lontano, per dei semplici motivi.
Prima
cosa, era sicuramente sfinito dal suo primo allenamento.
Seconda
cosa, non è abituato a camminare molto.
Saranno
passati al massimo una quarantina di minuti, adesso, quindi
m’ incammino.
-Zayn,
ci sei?!- grido,
ogni dieci metri che percorro. Non mi arriva mai
nessuna risposta. –Zayn?!- ormai
sono
entrata tra una fitta rete di alberi, spero solo di riuscirmi ad
orientare per
tornare indietro.
Mi
arrampico sull’albero più alto che trovo, andando
più in alto di quanto la
prudenza mi dice di fare. Eppure non riesco a vedere niente neanche da
lì, a parte
tanti, tantissimi alberi, in tutte le direzioni.
-Zayn!!-
grido,
con quanto fiato ho in corpo.
-Eveleen!!-
mi
arriva un altro grido in risposta, questa volta. Provo a
localizzare la voce e decido che direzione prendere, sperando sia
quella
giusta.
Scendo
dall’albero e inizio a camminare, urlando il nome di Zayn, in
modo che ogni
volta che mi risponde sono sicura di essere sulla strada giusta.
Eppure
non arrivo mai a lui. Adesso, che gli alberi stanno diventando meno
frequenti,
mi arrampico nuovamente, speranzosa di una vista più precisa.
Tecnicamente
riesco a vedere tutto quasi perfettamente, ma non riesco a vedere lui.
Scendo
di nuovo con un tonfo e sbatto contro qualcuno. Figurati
se non si era messo sotto di me, penso irritata.
|
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Capitolo 6 *** Fidarsi ***
Sto
guardando Zayn mentre si rialza. Da un lato vorrei dargli un enorme
abbraccio,
perché trovandolo mi sono risparmiata tantissimi problemi.
Però mi esce subito
un’occhiata torva e sbotto: -Cosa
pensavi di fare?!-
Si
massaggia il sedere e mi guarda curioso. –Pesi
più di quanto sembra, sai?-
Cosa?
Peso più di quanto sembra?! E ora che cavolo
c’entra questo?! Non si è forse
accorto che si era perso, che poteva non essere più
ritrovato?! L’unica cosa
che gli viene in mente di dire è davvero ‘Pesi
più di quanto sembra’ ?!
E’ incredibile. Questo ragazzo è davvero
incredibile, possibile che non si
renda conto della gravità della situazione. Lo guardo
più torva possibile e poi
gli dico –Seguimi.-
e
m’incammino verso il campo senza degnarlo più di
uno sguardo.
Non
parla, ma per fortuna ha il buonsenso di mettere da parte
l’orgoglio e seguirmi
davvero, anche se lo sento spesso inciampare tra i rami, dietro di me.
Patetico.
-Ti
vuoi muovere?!- urlo irritata, quando lui cade
nell’ennesimo viticcio.
-Sono
stanco e qui è pieno di
rami!!- protesta
Zayn sbattendo il pugno a
terra.
-Pensi
che io non sia stanca? E
sono venuta qua solo per te, quindi muoviti.-
Sebbene
al ‘solo per te’ fosse spuntato un sorriso sulla
bocca di Zayn, sparisce subito
dopo. Quasi immediatamente, come se avesse preso la scossa. –Beh, nessuno te l’ha detto.-
-E
secondo te sarebbe venuto
qualcun altro?-
dico, guardandolo più irritata che
mai. Il suo sguardo, invece, è pieno di auto-commiserazione,
ma non me ne può
fregare di meno. Mi volto e continuo a camminare, tirando un sospiro di
sollievo quando intravedo il campo. Non
ci sono più alberi, ora in cosa inciamperai, Zayn, nei tuoi
piedi? , penso.
Perché, in effetti, è possibilissimo.
Ma
non lo fa, fortunatamente. Anche se sarebbe stato meglio il contrario,
così
avrei potuto prenderlo in giro un altro po’.
Quando
arrivo al lato nord – ovest del campo e salgo sul treno, Zayn
è completamente
sconcertato. –Il treno è
qui?! Ecco
perché dall’altro lato non c’era
niente.- esclama.
-Dovevi
immaginarlo.- gli
rispondo dura. E non m’importa che non poteva, doveva
e basta. Lui sbuffa e poi mi
segue sul treno.
-Volete
che rallenti un po’?- ci chiede Giordan, il conducente
del ritorno, con un
occhiolino. Non sia mai, non voglio passare un minuto di più
con Zayn! E poi
perché dovrebbe rallentare?
-No,
grazie.- risponde
Zayn affabile. Evidentemente non sa che potrebbe
anche dirgli ‘Vaffanculo, ma che cazzo significa che mi
rallenti?!’ senza
andare in galera. Certo, ricevendo una risposta a tono, ma comunque
senza serie
ripercussioni.
E
non mi spreco a dirglielo. Insomma, è meglio se conserva le
buone maniere anche
qui, no? Sorrido impercettibilmente dietro la mia maschera arrabbiata:
mentre
per noi stare qui è una liberazione, per lui sarà
la stessa cosa con l’aggiunta
di faticosi allenamenti. Beh, è lui che è voluto
entrare, no?
Quando
il treno arriva, scendo velocemente per entrare nel comando: tutti
parlano
allegramente e Phillips non è ancora tornato. Sono un
po’ sollevata, però avrei
voluto fare quattro (o anche cinque) chiacchiere con Buck.
Raggiungo
nuovamente Githa e parlo con lei, lasciando Zayn da solo. A un certo
punto ci
mettiamo a ballare e inventare coreografie, ridendo come matte e tutti
si
siedono a guardarci. La cosa non ci dà fastidio, anzi, ci
ispira nuovi
balletti.
Danzo
divertita e a un certo punto alcuni ragazzi vengono a unirsi a noi ed
eseguiamo
dei passi sconosciuti (e probabilmente inventati da noi) ma molto
complessi. In
uno di questi un ragazzo mi prende in braccio, mi fa saltare in aria e
mentre
ricado girando, sono afferrata da un altro ragazzo. Non si
può dire che non fa
scena: i ragazzi e le ragazze che ci guardano fischiano e battono i
piedi.
Smettiamo
di ballare soltanto quando sentiamo il suono della campana e mi fermo
qualche
secondo per riposarmi e bere la bevanda, poi per evitare altri guai
vado da
Zayn. –Bevi questa bevanda, ti fa
restare in forze per la giornata. La campana
significa che devi tornare a casa. A
domani.- lo informo, aggiungendo un freddo saluto.
Mentre
me ne sto andando, lui mi afferra per un braccio, mi guarda qualche
secondo e
poi dice: -Sei molto brava a ballare.- mi
rigiro ed esco dal comando.
-Aspetta!
Eveleen! Come faccio a
salire, non ci sono scale!!- mi
urla Zayn da sotto.
C’è
una corda, imbecille. –Questo lo
scoprirai da solo.- gli rispondo e vado a casa.
A
scuola la giornata procede molto lentamente.. vengo interrogata
praticamente in
tutte le materie e, com’è giusto che sia, vado
bene. Tra tutta questa frenesia
ho avuto a malapena il tempo di scambiare un’occhiata con
Buck, ma tanto non
avremmo potuto comunque parlare, qui a scuola.
Sentendo
la campanella che indica l’ora del pranzo, è come
se mi accendessi, dopo essere
stata tutta la mattina spenta.
Mangio
il mio cibo triste e scondito, dovendomi sorbire ripetute occhiate e
sorrisi di
Zayn. –Allora, stasera che si fa?- mi
sussurra eccitato, nei dodici minuti.
-Shhh.-
lo
zittisco. –Ma sei
pazzo?! Devono spiegarti un sacco di cose.-
-Puoi
farlo tu.-
-Ho di
meglio da fare.- e la conversazione finisce. Vedo
Louis guardarlo
interrogativo e mi ricordo che Zayn aveva chiesto a Buck di seguirlo.
Improvvisamente so con sicurezza chi è che sta guardando
Buck in questo
momento.
Eppure
non mi va che Louis entri, sarebbe come avere due Zayn e
l’idea non mi fa di
certo saltare dalla gioia.
Non
riesco a dormire neanche quel pomeriggio e, passato il momento dei
compiti,
esco da casa come una furia dirigendomi da Liam.
-Vieni.-
gli
dico semplicemente quando mi apre la porta. Fa
quello che
dico e mi segue, mentre lo porto da Buck.
Lui,
ovviamente, non viene ad aprire e siamo
noi a dover salire, trovandolo nuovamente a petto nudo e scalzo.
-Prima
cosa: volete dirmi che
cavolo fate nelle missioni?-
-Scusa
davvero, non possiamo.- mi risponde Liam. Perfetto, tanto
non ci speravo neanche un
pochino, ma provare non mi costava niente.
-Va
bene. Sono segreti e.. posso
capirlo. Ma non posso capire- continuo,
stavolta guardando solo Buck. –Perché
non mi hai detto che avevi preso in considerazione Zayn?!-
-Lui ci
serve davvero, è già
potente. Ma tu ti saresti arrabbiata, volevo risparmiare alla tua voce
la
fatica di urlare.- mi risponde tranquillo. E questo mi
fa innervosire di più, non c’è niente
che odio di più che i calmi, durante una
lite.
-Pensavi
che non lo avrei fatto
dopo?!-
-Si, ma non avresti potuto fare niente per impedirlo.-
-Tutti
questi segreti- dico, indicandoli entrambi. –Che improvvisamente avete con me, non
piacciono. Non m’importa quanto
mi può far male o arrabbiare, dovete dirmi la
verità!!-
-Va
bene, Leena. Da oggi in poi lo
faremo. Entrambi.- mi dice Liam.
Tutto
un tratto sono sfinita, perché prende più energia
litigare con i propri
migliori amici, che andare in guerra. Almeno non ho più le
fitte al fianco,
altrimenti a quest’ora mi sarei già buttata sul
letto di Buck.
-D’accordo.- dico. –Si
è fatto
tardi, vado a casa.-
Esco
dalla stanza, ma non prima di ricevere due grandi baci sulla guancia.
Ecco, questi sono i miei ragazzi!
Mentre
cammino per andare a casa ripenso alle parole di Liam ‘Va
bene, Leena. Da oggi in poi lo faremo. Entrambi.’ nonostante
i
due baci finali, questo mi fece riflettere molto.
Da
oggi in poi? Prima non lo facevano?
E poi
perché Buck non ha detto niente?
Arrivata
a casa, mi butto sul letto, perché non riuscirò a
sopportare il silenzio della
cena, con tutto questo chiasso in testa, se prima non mi schiarisco le
idee.
Eppure,
la prima cosa che devo fare è realizzare che loro sono i
miei due migliori
amici da sempre, perché sto iniziando a dubitare della loro
lealtà proprio ora?
Buck
non ha parlato, è vero, ma lui è sempre stato di
poche parole e ha sempre
lasciato a Liam l’arduo compito di esprimersi per entrambi.
Ed è così da quando
li conosco. Conclusione: non devo pensarci più di tanto.
Bene.
Per fortuna riesco ad affrontare la cena senza impazzire e mi alzo
dalla tavola
per andare a letto. È quasi scandaloso come nella famiglia
non ci si scambia
neanche un bacio su una guancia.. come fanno i miei genitori? Come
hanno fatto
ad amarsi e avere due figlie, in un luogo dove l’amore non può esistere?
D’un
tratto mi ritrovo a pensare alla mia futura vita: in una casa uguale a
questa
ma di un altro colore, con un uomo dal volto sconosciuto, che non amo.
Eppure
sono costretta a mettere al mondo almeno un bambino. A questo punto non
sarebbe
meglio vivere esiliata, ma non permettendo a qualche altro esserino di
dover
vivere così.
Sussurro
un ‘Buonanotte’ a Terrie, ricevendo
un’occhiata stupita. Sarà così anche
per i
miei figli? Neanche loro si conosceranno, si parleranno?
Terrie.
Non sono mai riuscita a capire se a lei piace questo stile di vita,
forse ha
preso il mio tocco di ribellione e anche lei vuole distinguersi ed io,
da sorella
egoista, non glielo permetto.
Vado
in camera, passando da quella della mia sorellina, desiderando
più di ogni
altra cosa di sapere cosa pensa.
Guardo
la luna fuori dalla finestra che, con il suo bianco scintillare,
illumina tutta
la città, facendola diventare parte di un unico quadro.
L’orologio,
però, mi ricorda che è ora di andare, quindi
m’incammino verso il comando.
Ovviamente passando sotto casa sua trovo Zayn ad aspettarmi, con le
braccia
conserte e la schiena e un piede poggiate al muro
dell’edificio. Da quella
posizione ‘tosta’ potrei mettere una mano sul fuoco
sul fatto che mi sta
guardando torvo. Ma avvicinandomi scopro che non è
così, mi sta sorridendo.
-Ciao.- sussurra e cerca di darmi un bacio
sulla guancia, che
evito prontamente. Sono abituata al contatto solo con Liam e Buck,
neanche la
mia famiglia mi tocca e non deve assolutamente
farlo lui. Si ritira e mi guarda ancora più divertito.
-Ciao.-dico infine, con tono altezzoso.
Arriviamo
all’albero e ci caliamo di sotto, per sicurezza faccio andare
prima lui: non
voglio che mi cada addosso. Entriamo nella sala mezza piena, io mi
siedo e lui
m’imita.
-Allora-
inizia
quello che sicuramente sarà un lungo monologo. –Mi spieghi bene tutta questa storia?- oh.
Era meglio il monologo, penso.
-Tu per
qualche mese farai solo
allenamento, è questa l’unica cosa che devi
sapere. Ormai sai come entrare e
come uscire, quindi vedi di non perderti.-
-Perché,
tu non fai solo
allenamento?- scuoto
la testa. –Cosa si fa nelle
missioni? Voglio
eseguirle anche io.- afferma dopo.
-Non
puoi, ci sei solo da ieri.-
-Ma
sono bravo, posso farle!-
-No,
Zayn! Non puoi e basta!- urlo.
Normalmente
qui non si sarebbe sentito niente, essendo pieno di gente che urla,
parla,
ride, scherza. Eppure la mia voce risuona chiara e forte per tutta la
sala e
guardandomi intorno mi accorgo che siamo soli.
Mi
irrito più del solito – e del dovuto- costatando
che gli altri sono già
partiti, anche perché non so se Liam e Buck sono in missione
o in allenamento.
Io di sicuro la seconda, altrimenti mi avrebbero chiamato. Ultimamente
sto
facendo allenamento troppo troppo spesso.
Vado
veloce verso il treno ed entro, senza aspettare Zayn, che
però ce la fa lo
stesso a raggiungermi prima che Cesar parta. E per qualche motivo
questo mi fa
irritare nuovamente.
Quando
il treno si ferma, esco quasi di corsa e arrivo in men che non si dica
al
campo. Ma c’è qualcosa che non va: è
tutto vuoto. Nessuno si allena, nessuno
richiama i ragazzi, nessuno è seduto a riposarsi. Possibile
che sono tutti in
missione? No, non è per niente possibile, anche
perché qua non ci alleniamo
solo noi di Holmes Chapel.
Quando
Zayn mi raggiunge, nonostante non sappia tutto ciò di cui io
sono informata,
sembra turbato anche lui. –Non
c’è
nessuno.- dice, dopo un paio di secondi. Annuisco piano e mi
avvicino agli
esercizi, percorro il campo, setaccio il limitare del bosco, ma non
serve a
niente: siamo soli.
-Dovremmo
tornare indietro.- dico.
-Si,
andiamo.-
Siamo
solo a qualche metro dal punto dove dobbiamo prendere il treno, quando
succede
una cosa che non mi sarei mai e poi mai immaginata, non qui, non ora.
-Corri!!-
urlo
a Zayn, mentre una bomba cade sul treno.
L’impatto
ci fa saltare e ci ritroviamo a rotolare per terra, senza, per fortuna,
gravi
ferite o contusioni. Mi rialzo e aiuto Zayn, perché in
questo momento non posso
pensare né all’odio né a qualsiasi
altro sentimento personale. È l’istinto di
sopravvivenza che mi fa agire, ma non solo verso me stessa.
Siamo
arrivati a metà campo quando la seconda bomba finisce dove
c’era l’atro treno.
Rivolgo il mio sguardo verso l’alto, ma non riesco a
riconoscere la bandiera
che è disegnata sull’aereo sopra di noi. Non che
importi molto, in questo
momento.
Nel
momento in cui sento cadere la prossima bomba vado nel panico,
perché non ho la
minima idea di dov’è diretta e potrebbe finire
dritto dritto su di noi, che
siamo gli unici bersagli in movimento.
Ma
non mira a noi, bensì a un altro lato del campo. E
così anche la successiva,
cambiando lato e punto di arrivo.
Tutt’un
tratto riesco a realizzare uno schema mentale: stanno colpendo tutte le
possibili uscite, vogliono inchiodarci qui.
Inizio
a tremare, ma non è solo per il freddo pungente che, se mi
stessi allenando,
non sentirei. È la sensazione di paura, che ho provato
pochissime volte nella
mia vita.
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Capitolo 7 *** Scusa ***
Oddio,
adesso come ne usciamo?, penso infelicemente. Non mi sono
mai trovata in una
situazione del genere. Simile sì, ma avevo protezioni
addosso, armi in mano,
amici accanto. Ora non ho assolutamente niente, a parte Zayn, ma lui
non conta.
Bene,
ora devo mostrarmi tranquilla e padrona della situazione, non deve
trasparire
tutto lo stress che provo in questo momento, altrimenti sono fritta.
Non devo
farmi vedere debole da lui, anche se ora vorrei solo piangere sulla sua
spalla
che in questo momento mi sembra molto accogliente.
-Bene,
adesso troviamo un riparo
qui al centro e ci sistemiamo.- dico
con la voce più ferma che posso fare ora. Lui annuisce.
Ci
ripariamo sotto una specie di mini-caverna che non so davvero da dove
sia
uscita, forse è saltata dai cumuli del treno e ha preso
questa forma atterrando
qua. Mi sembra abbastanza resistente, quindi ci proteggerà
da eventuali
‘materie volanti’ come forse è questa.
Mi
sdraio all’interno e chiudo gli occhi, mentre sento Zayn
venire affianco a me.
Non ho intenzione di provare a dormire (anche perché con il
rumore assordante
delle bombe non ci riuscirei), ma voglio concentrarmi su altro.
Pensieri
felici.
Sono
tutti collegati all’associazione. Il mio primo allenamento,
quando ero piccola,
e il coach non faceva che lodarmi per la mia bravura, nonostante non
avessi
fatto ancora niente. Quando mi diedero la mia prima medaglia per una
missione
over-the-status ossia fuori il mio stato. E, soprattutto, quando
conobbi Buck e
Liam e stringemmo amicizia. Quelli sono i miei giorni preferiti.
Purtroppo
ricordare tutto questo non fa l’effetto che speravo. Mi
salgono le lacrime agli
occhi, pensando che avrei preferito avere loro due qua con me.
Perché avrebbero
già avuto un piano da attuare per scappare e proteggerci.
Invece sono con Zayn.
-E’
tutta colpa tua.- gli urlo. Non mi risponde. –Se non mi avessi intrattenuta, saremmo
andati con gli altri. E ora non
saremmo qui ad aspettare di morire.- gli urlo contro tutte
le cattiverie
che mi vengono in mente e lui non dice niente. Dio, quanto mi fa
arrabbiare
questa cosa. Incazzati, Zayn! Prenditela con me per le cose che ti
dico, urlami
contro, fammi sentire uno schifo. Perché non lo fai? Non
posso continuare ad
urlare, se tu non rispondi! Perché…
perché non ti arrabbi con me?
Do
voce ai miei pensieri, cercando di mantenere la voce ferma, decisa e
arrabbiata
per tutto il tempo, ma alla fine mi si spezza in un mezzo singhiozzo.
Mi
abbraccia da dietro e vorrei davvero rimanere in quel modo, sentirmi,
per
quanto poco, protetta. Insieme con qualcuno.
Invece gli dico –Lasciami.- e
mi
scanso da lui. Maledetto orgoglio.
-Mi
dispiace. So che è colpa mia,
scusami.-
dice Zayn. –D’ora in poi
farò quello che dirai tu. Scusa.-
Si
è scusato tre volte in meno di venti secondi, wow. Alla fine
anche il mio
orgoglio impallidisce, perché contro delle scuse sincere
–spero che lo siano-
non può dire niente neanche lui.
Quindi
mi giro e gli sorrido, sperando che capisca tutto. Che l’ho
perdonato per le
cose successe in precedenza e che, in fondo (ma tanto tanto tanto in
fondo) è
stata anche colpa mia. Ma non è facile capire qualcosa con
delle bombe che
minacciano di ucciderti, anche se, se i miei ragionamenti sono giusti,
non
dovrebbero farlo.
Tremo
e non so come smettere. C’è sempre quel freddo
pungente e quella sensazione
nello stomaco chiamata paura. Anche
Zayn
trema, dietro di me.
Non
posso fare a meno di pensare che lui sia qui solo da ieri, e
già si trova
coinvolto in questi casini che neanche io potevo prevedere. Povero Zayn, era meglio se
non entravi. Mi
avvicino un po’ a lui, restando girata dalla parte opposta e
permetto alle sue
braccia di accogliermi in un momento di debolezza. Un momento che
voglio far
notare il meno possibile, per questo non voglio che mi guardi il viso,
deformato dalla paura.
Nelle
sue braccia si sta meglio, entrambi gelavamo prima, ma ora riusciamo a
trattenere un po’ di calore per noi. Mi sento al sicuro. Per
quanto poco. Per
quanto sia in una specie di campo minato. In questo momento mi sento al
sicuro.
Non
so quant’è passato. Un’ora, due forse.
Eppure gli attacchi non sembrano voler
cessare. Continuano e continuano, le bombe cadono e delle
mitragliatrici
distruggono i nostri esercizi quotidiani. Sta finendo tutto in una
sera: tutta
la mia infanzia, i miei ricordi felici… sono tutti
cancellati.
Vorrei
davvero sapere quale nazione sta facendo questo, prendermela con
questa,
urlarci contro, pretendere di andare nelle missioni contro di loro. Ma
non ho
il coraggio di alzare lo sguardo. Fisso la maglia di Zayn e
nient’altro.
Adesso
ho il viso sprofondato nel suo petto e piango in silenzio, non ce la
faccio
più. Sentire queste ripetute esplosioni, e sapere che una
parte del mio cuore
se ne va con esse e con tutto questo campo.
Improvvisamente
sono felice che non ci siano Buck e Liam, né nessun altro di
noi ‘vecchi’.
Perché sarebbe stato terribile anche per loro. Io,
d’altronde, questo dolore lo
avrei provato lo stesso, quindi perché dover coinvolgere
anche gli altri? Una
cosa è certa, meno gente soffre meglio è.
Perché
Zayn in questo momento non può soffrire, non ha ricordi
legati a questo campo.
È di sicuro traumatizzato e impaurito, ma non credo che
soffra, che motivo ne
avrebbe? Io invece mi sento morire.
Ed
è strano questo. Perché mi sento più
viva durante le missioni, ad un passo
dalla vera morte, che ora, quando dovrei essere al sicuro.
Apro
lentamente gli occhi, puntandoli su quelli di Zayn. Mi ero addormentata.
Non
so come e con quale cavolo di coraggio in questa situazione, io mi ero
addormentata. Possibile?! Sono davvero messa così male?
-E’
finita.-
mi sussurra Zayn. –E’
tutto finito.-
Non
capisco di cosa sta parlando, perché io sento ancora i
rimbombi nelle mie
orecchie, ma quando mi azzardo ad alzare gli occhi al cielo, non vedo
niente, a
parte le stelle. È finita. È davvero finita e i
rimbombi stanno iniziando a
sparire. Siamo salvi.
Mi
alzo scoprendo di avere le gambe molli, ed esco da quello strano riparo
che
avevamo trovato: intorno a noi non c’è niente. Non
solo tutti gli attrezzi sono
stati distrutti, ma non aleggia neanche un po’ di polvere
nell’aria, come se
fosse stato tutto risucchiato, per non essere più neanche
ricordato.
Vado
verso l’uscita, dove solitamente si prende il treno di
ritorno per abitudine,
ma poi mi ricordo la dura e triste realtà. Non siamo salvi,
siamo ancora
intrappolati qui dentro, senza via d’uscita.
Mi
siedo per terra con un tonfo, senza alzare neanche un piccolo cumulo di
polvere
e aspetto che Zayn mi raggiunga. Ma non lo fa. Mi urla, invece,
qualcosa che
non capisco.
-Cosa?-
gli
chiedo, sperando che lui mi senta.
-Sono
venuti a prenderci, dobbiamo
andare.- stavolta
lo sento chiaro e forte,
perché è vicino a me, porgendomi una mano che io
afferro, come se fosse un’ancora
di salvezza. Ha ragione, ora lo vedo anch’io
l’elicottero silenzioso che vola
su di noi, perdendo man mano quota, fino a trovarsi per terra.
La
porta si apre con un secco scatto e sbuca il viso di Phillips, che ci
dice di
raggiungerlo in fretta. Quando siamo tutti insieme
sull’elicottero non ci dice
niente e non sembra volerlo fare. Guarda davanti a sé con la
fronte corrugata,
pensando, probabilmente, a come sia potuta succedere una cosa del
genere. A
come abbiano potuto scoprire questo campo che è proprio tra
una fitta rete di
boschi, e visto da sopra non si scorge neanche. Perché
è a questo che deve
pensare, non se noi stiamo bene, cosa abbiamo fatto, se siamo feriti.
Due
soldati in meno –per quanto bravi- non gli cambiano la vita,
commettere un’altra
volta un errore simile sì.
In
questo momento non voglio neanche la bevanda, preferirei dormire tutto
il
giorno e non fare nient’altro, non me ne frega della scuola.
Non me ne frega di
quello stupido programma. Che mi venissero a prendere! Che mi
arrestassero!
Saprei come scappare. A questo punto, preferisco vivere in
’esilio’ che in
questa stra maledettissima città, cavolo!
Sta
cadendo l’elicottero. No, non stiamo atterrando, stiamo
proprio cadendo e me ne
accorgo dall’improvvisa velocità che prendiamo.
A
questo punto mi chiedo se sia in atto un complotto per uccidermi,
chissà magari
è così. Eveleen Dixon, troppo pericolosa
perché continui a vivere.
Ma
dai! Non faccio paura neanche a un gatto appena nato.
Buffo,
probabilmente adesso morirò sul serio e l’unica
cosa cui riesco a pensare è a
chi faccio paura e a chi no.
Beh,
di sicuro non faccio paura al suolo, altrimenti non mi permetterebbe di
caderci
sopra. E forse sarebbe meglio, perché l’impatto
è potentissimo.
Sento
altri rimbombi: credo di averne avuti abbastanza per tutta la vita. Uno
strano fumo
s’insinua nelle narici e penso di perdere la coscienza. L’ultima
cosa che sento, è qualcuno che grida il mio nome.
Non
credo di essere morta, se lo fossi, non sarei così bagnata.
Eppure qualcosa
continua a gocciolarmi sul viso e non riesco a capirne la provenienza,
finchè
ho gli occhi chiusi. Adesso scopro anche di riuscirli ad aprire e
vedere
perfettamente, quindi abbandono l’idea della morte e mi
affaccio sulla nuova:
sono su un letto d’ospedale. Non l’ospedale vero,
quello del comando. Ci sono
già stata un paio di volte.
La
prima cosa che vedo, infatti, è il lettino davanti a me,
dove spunta, da sotto
le lenzuola, una cresta inconfondibile.
Poi
mi sento osservata e capisco da dove proveniva la sensazione di
bagnato. Liam e
Buck stanno piangendo e le loro lacrime mi cadono sul viso.
-Andiamo,
non credo di puzzare tanto!
Volete farmela proprio ora la doccia?- dico
ironica.
-Oddio
Leena! Noi pensavamo… tu…
insomma…- dice
Liam, capendosi da solo.
Poi
riesco a percepire altri spezzoni di frasi di entrambi: ‘Non
volevamo’, ‘Non
doveva andare così’, ‘Oddio, proprio
tu!’, ‘Dovevamo controllare tutti!’
Ma
non riesco a registrare bene tutte queste informazioni, per un forte
mal di
testa che mi scoppia, quindi ripiombo nel sonno.
Quando
mi sveglio, Buck e Liam non ci sono più. Sono sola nella
sala, a parte Zayn,
che mi sembra profondamente addormentato.
Chissà
perché il dolore al fianco si è risvegliato, ma a
parte questo non mi sembra di
aver avuto gravi ripercussioni.
L’orologio
appeso alla parete davanti a me, indica le sei. Devo tornare a casa.
-Zayn,
svegliati. Dobbiamo tornare
a casa. Zayn!- cerco
di svegliarlo, perché non
voglio che rimanga qua da solo. E per fortuna inizia a muoversi e
sorride alla
mia vista.
-Eveleen.
Dove siamo?-
-Avanti,
alzati. Torniamo a
casa.- gli dico, aiutandolo a scendere dal
letto. Sembriamo come
nuovi, ci hanno curato tutte le ferite superficiali, perché
sono sicura che ne
avessimo un sacco.
Lo prendo
per mano, perché nonostante tutto vedo che non si regge bene
sui piedi e
usciamo da lì, per entrare nella sala principale. In molti
se ne sono già
andati e appena mi vede anche Buck se lo concede, mentre Liam ci viene
incontro.
-State
bene?-
ci chiede preoccupato. Ha gli occhi rossi e il viso ancora
bagnato, strano, ci aveva visto tornare salvi, quindi perché
continua a
piangere?
Sia
io che Zayn annuiamo e, dopo un breve bacio che Liam mi dà
sulla fronte,
continuiamo a camminare e io lo aiuto a salire sulla corda.
Vedo
la sagoma di Buck che si allontana a passi svelti e mi chiedo il motivo
per cui
non mi abbia salutato.
Accompagno
Zayn fino a casa sua, sperando vivamente che non gli cedano le
ginocchia mentre
sale le scale. Poi continuo a camminare per la mia strada e trovo,
inaspettatamente,
Buck sotto casa.
-Scusa.-
mi
dice. Non mi dà il tempo di poter proferir parola tipo
‘Cosa?’ perché subito va via e scompare
dalla mia vista.
Non
ricordo di aver bevuto la bevanda, ma in qualche modo devono avermela
data,
perché non mi sento né stanca né
assonnata. Piuttosto mi siedo sul letto a
pensare, che è una cosa che faccio spesso ormai.
‘Non
volevamo’, ‘Non doveva andare
così’, ‘Oddio, proprio tu!’,
‘Dovevamo controllare tutti!’ ‘State
bene?’
‘Scusa.’
Parole
troppo distaccate e sconnesse l’una dall’altra per
poterci capire qualcosa.
Che
gli sta prendendo? Perché Liam e Buck sono così
strani ultimamente?
Ho
tanta paura che c’entri qualcosa con le loro missioni
segrete. Anzi, sicuramente c’entra
qualcosa con le loro
missioni, penso. Perché è da quando le
fanno che sono così.
‘Va
bene, Leena. Da oggi in poi lo
faremo. Entrambi.’
Mi
hanno promesso di dichiararmi sempre la verità, di essere
sempre sinceri.
Dovrei fidarmi. Allora perché sono sicura che ci sono
tantissime cose che mi
nascondete?
Che
cosa fate nelle vostre missioni?
|
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Capitolo 8 *** Turchia ***
A
scuola sembra tutto normale. Tranne per il fatto che ogni volta che
parlo con
Buck, cercando di guardarlo negli occhi, lui abbassa lo sguardo.
Subito.
Immediatamente. Come se si scottasse, come se lo scottassi io.
Non
voglio litigare di nuovo, desidero semplicemente che tutto ritorni come
prima,
quando non c’erano complicazioni, quando loro erano davvero sinceri.
Chiedo
troppo?
Zayn
mi rivolge un grande sorriso a pranzo ed io lo ricambio, è
forse l’unica cosa
positiva della mattina.
Passo
tutto il pomeriggio in casa. Eppure, a differenza delle altre volte,
non voglio
uscirne. Non ho paura di qualche altro attacco: se devo morire,
morirò.
Semplicemente non voglio sentire i miei amici mentire, ancora.
Ma
devo andare, non posso arrendermi così, né
mancare senza motivo.
Quando
arrivo al comando, sono tutti seduti a guardare Phillips, mentre
aspettano
ancora qualche altro ritardatario. Come me. Quindi occupo il mio posto
e
aspetto anch’io. Chissà per quale motivo inizia
subito… ero l’unica che
mancava.
-Allora,
ragazzi..- inizia,
visibilmente preoccupato. Ha molte rughe sul viso,
che in precedenza non avevo notato. –Ovviamente
nessuno di noi si aspettava una cosa del genere e siamo ancora
più sconvolti
del fatto che alcuni di voi- si soffermò a
guardare me e Zayn per qualche
secondo. –siano stati coinvolti.
Comunque abbiamo altre risorse, quindi finchè il campo a
Mullingar non sarà
ricostruito, voi andrete in uno vicino a quello. È ancora
più immerso nei
boschi, quindi… beh, speriamo che non accada niente di
grave. E in ogni caso,
speriamo di essere uniti.- detto questo, si girò
e andò via. Dopo qualche
secondo Liam e Buck fecero lo stesso, solo che sotto un diverso arco.
Ora che
ci penso, non sono sicura che siano sempre andati insieme, non ci ho
mai
prestato molta attenzione.
Né
io né Zayn possiamo allenarci, siamo troppo deboli per
farlo. Ci sediamo
sull’erba e parliamo un po’, inizio a conoscerlo
veramente.
Scherziamo,
ridiamo e mi rilasso più di quanto abbia fatto negli ultimi
giorni: non avrei
mai pensato di fare questo con Zayn. Perché sentivo che
saremmo diventati amici
e non era nei miei piani. Ma non tutto va sempre secondo i piani.
-Siamo
di più, non credi?- gli chiedo, riferendomi a tutti i
ragazzi che si allenano.
-Penso
che siano tutti di Holmes
Chapel. Ho sentito Phillips dire che Buck si sta proprio sbizzarrendo e
che non
ne capisce il motivo. E neanch’io.- mi
risponde Zayn pensieroso.
-Beh,
anche tu sei entrato ora.- ribatto io, per voler difendere
Buck.
-Si, ma
sono uno solo e Buck mi ha
seguito per due mesi. Non può averli sorvegliati tutti a
sufficienza, capisci
cosa voglio dire?-
-Si,
credo di si.- rispondo
stancamente.
Non
ho più voglia di pensare a cosa faccia o non faccia Buck, o
Liam, quindi decido
che alla prima occasione li affronterò seriamente. Continuiamo a parlare per
un po’, quando
suona la campana, però siamo quasi sollevati: il sedere fa
male se lo tieni per
troppo tempo a terra. Ci dirigiamo verso il treno, ma non lo prendiamo.
No,
non è perché Zayn m’intrattiene o
qualcosa del genere. C’è troppa gente e non
ci entriamo. Allora è vero che erano di Holmes Chapel e
sì, sono davvero
tantissimi!
Se prima eravamo un centinaio in tutta la città, ora siamo
di sicuro duecento,
o più.
Prendiamo
il treno seguente, insieme con altri ragazzi che guardiamo quasi
sconvolti.
Siamo decisamente troppi, per essere un’associazione segreta.
In tutto questo,
il segreto dov’è? Non capisco e non posso
schiarirmi le idee, perché Buck non
c’è quando torno al comando.
Il
comando è sempre stato notevolmente enorme, ma ora sembra
rimpicciolito di un
bel po’, con tutta quella gente che occupa spazio.
Qualcuno
mette musica e deve essere sicuramente uno dei nuovi, perché
è musica house e
non se ne sente spesso qua. I ragazzi iniziano a battere le mani a
tempo,
Amo
ballare e non m’importa di mettermi in mostra con questi
novellini. Faccio un
segno a Githa e stavolta anche ad Aaliyah e ci mettiamo davanti a tutti
a muoverci
a tempo, ridendo come matte.
Bum bum
bum
La
musica batte forte e noi continuiamo a ridere e a muoverci a tempo,
quasi fosse
un ballo di benvenuto per i nuovi arrivati. E neanche sento il dolore
al
fianco, perché passa in secondo luogo rispetto alla
felicità che provo in
questo momento. Perché è proprio ora, in questo
momento, mentre faccio la
cretina con le mie amiche, in un’associazione segreta, che mi
sento me stessa.
E non c’è niente di meglio di questo. Mi sento
libera, completamente libera di
fare tutto quello che voglio. Libera di poter non pensare a niente per
un po’.
Una
libertà che però dura sicuramente meno di quanto
sperassi. Tra tutti i volti
divertiti e spensierati che vedo al comando, ne riconosco uno con le
sopracciglia corrugate, l’espressione preoccupata sul volto.
Ed è proprio Buck
a riportarmi alla realtà, devo parlargli assolutamente.
Ma
c’è sempre qualcosa a mettersi tra di noi. Non
sono le cento (o più) persone
sedute, né la mia paura, ma una cosa che ti fracassa i
timpani. Altrimenti
chiamata campana. Cerco di restare, per potergli comunque parlare, ma
sono
travolta tra le persone che passano, quindi mi costringo a salire.
M’incammino,
ma non mi fermo sotto casa mia. Smetto di muovermi solo quando sono
sotto casa
di Buck, e lo aspetto.
-Dobbiamo
parlare.- gli
dico, appena è vicino a me.
-Non
ora, è troppo tardi. Va a
casa, Leena.-
mi risponde lui meccanicamente.
-No.
Dobbiamo parlare!- insisto io, perché mi
aspettavo di tutto tranne che un no.
-Guarda
l’ora. Tra due minuti devi
essere a tavola. Va a casa.-
purtroppo non posso che dargli ragione, quindi mi giro senza salutarlo
e vado
via.
Sono
seduta a tavola giusto in tempo, in effetti. Ma avrei preferito parlare
con
Buck.
Quando
siamo in classe, lo guardo, aspettando che i nostri occhi si incrocino
per
potergli dire qualcosa, ma aspetto invano. Non succede in classe
così come non
succede a pranzo.
Esco
da scuola seccata e arrabiata e vado a mangiare: minestra e pollo,
pranzo
delizioso davvero.
-Brava
mamma, mi è molto piaciuto
il pollo.-
mi azzardo a dire.
-Lo sai
che non lo cucino io, lo
manda il sindaco. A noi come agli altri.- mi
risponde mia madre freddamente, non abbandonando neanche per un secondo
la sua
usuale espressione. Ho provato più volte a fargli
complimenti, ma finiva sempre
male, con un ‘lo sai che..’.
‘Bel
vestito, mamma!’ ‘Lo sai che è
la divisa della domenica.’
‘Ohhh,
che bracciale carino!’ ‘Lo
sai che lo hanno tutte le donne sopra i quaranta anni.’
‘Penso
che quella gonna ti stia
molto bene.’ ‘Lo sai che è fatta su
misura.’
Dovrei
rinunciare, eppure in qualche modo cerco sempre di creare un rapporto.
O almeno
di ricordare che esisto e che sono sua figlia, non
un’estranea che mangia con
loro. Con papà invece è diverso.
L’unica volta in cui ci ho provato mi ha
guardata talmente male che non oserei più rifarlo.
‘Papi,
stai benissimo con la
barba.’ disse quell’innocua bambina di due anni,
che non poteva neanche
immaginare, allora, cosa volesse dire questo. Il padre
abbassò lentamente lo
sguardo su di lei, come si fa guardando un topo morto. E la
guardò con
altrettanto schifo. Come si guarda un corpo in putrefazione, pieno di
vermi.
Come si guarda qualcosa di cui ci si vuole liberare. Il sorriso della
bambina
svanì subito, non lento come la smorfia del padre, ma quasi
come se avesse
preso la
scossa. La
piccola si guardò i piedi, incerta sul da farsi. Pensava che
il padre a quel
punto l’avrebbe picchiata, o le avrebbe detto qualcosa. Ma
non fece niente. Quindi
girò i tacchi e se ne andò, prima che il
papà perdesse la pazienza con
quell’essere insignificante.
I
ricordi più traumatici sono dovuti a mio padre. Questo, ad
esempio, sembra che
non l’abbia vissuto io. Ho cercato di rimuoverlo con tutte le
mie forze e ora,
ogni volta che ci penso, è come se lo vivessi in terza
persona e quell’esserino
minuscolo e insignificante per il padre non fossi io. Semplicemente una
brutta
storia, di qualche altra bambina odiata, non voluta.
Non
ho mai visto i miei genitori fare a Terrie quello che hanno fatto o
detto a me.
Ne sono felice, perché almeno lei non sarà
traumatizzata. Ma ogni volta che ci
rifletto bene, capisco che non è per niente questo il motivo
per cui non lo
fanno, è che lei non si è mai
‘ribellata’. Non ha mai fatto un complimento,
né
mai rivolto la parola ai miei genitori, o a me. Lei è la
ragazza modello di
Holmes Chapel.
Mia
sorella è una di quelle persone che non potrebbe mai e poi
mai entrare
nell’associazione, me ne accorgo proprio ora, riflettendoci.
Mi
alzo dalla tavola senza fare altri commenti e vado in camera mia.
Io
dovevo nascere a Londra, che è
il cuore della guerra, penso, non
qui. Sarebbe meglio se questa città non
fosse mai esistita.
Siamo
in guerra da ventisette anni. Possibile che in tutto questo tempo
nessuno ha
provato, non so, a sostituire il sindaco? O anche solo a proporre
qualcosa di diverso?
Una
massa di persone che cercano di uniformarsi a tutti gli altri, ecco
cosa sono.
Brutti stupidi, non risolverete niente così. Esprimetevi.
Oh,
Doug, come vorrei che fossi qui con me a ispirarmi ancora!
Tin,
tin, tin.
Un
suono impercettibile mi fa scuotere, è arrivato il momento
di andare.
Non
incontro Zayn per strada, quindi entro sola. La scena che mi si pone
davanti è
incredibile: stiamo aumentando a vista d’occhio.
Di
tutti quelli che conosco, non vedo nessuno, quindi quando mi dicono che
non
posso ancora fare niente, mi dirigo al campo da sola, sapendo che anche
Zayn lo
farà.
Infatti
lo vedo e gli vado incontro, sollevata.
-E’
entrato Louis.- mi dice con un sorriso.
-Fantastico.-
rispondo,
senza troppo entusiasmo. Vuol dire che Buck lo ha
seguito solo per tre giorni.
-Ci hai
parlato?-
mi chiede Zayn, quasi leggendomi nel pensiero.
-No, ma
sono decisa a farlo, sul
serio.- annuisce
pensieroso. Purtroppo non
riesco mai a capire quali siano i suoi pensieri, ha uno sguardo
profondo e
incomprensibile. Eppure, al momento, mi fido più dei suoi
occhi misteriosi che
di quelli di Liam e Buck, perché nei loro riesco a leggere.
E leggo solo bugie.
Ci
andiamo nuovamente a sedere sull’erba, in un punto strategico
per guardare
Louis allenarsi, sotto richiesta di Zayn. Io, d’altra parte,
riesco a vedere
sia Niall sia Harry, il quale è migliorato tantissimo
dall’ultima volta che
l’ho visto allenarsi.
Niall
invece è sempre stato bravo, essendo al mio livello, ma
adesso posso giurare di
vedere i muscoli guizzare dalle sue braccia. Servirà per il
corpo a corpo.
-Dov’è
Louis?-
chiedo dopo un po’ a Zayn, che mi fa cenno con il capo.
Seguo il suo sguardo e trovo Louis. Neanche lui è male e
sembra anche molto in
forma. Anche se è più basso di Zayn, ha dei buoni
muscoli. E appena si gira
vedo i suoi occhi azzurri scintillare anche da qui.
-Fammi
indovinare, vi allenavate
insieme.- dico
a Zayn, doveva suonare come
una domanda, ma il tono di affermazione che ho usato è
più corretto.
-Già.
Sai, dopo i compiti e prima
di cena. C’è molto tempo da perdere.- mi
risponde Zayn con una scrollata di spalle. –Immaginavo.-
ribatto io.
Dopo
aver guardato per una mezz’ora buona gli altri allenarsi
riprendiamo a parlare,
io e Zayn. Come vecchi amici.
E
scopro cose che ieri non avevo chiesto. Tipo che gli è
appena nata una
sorellina e che anche il suo rapporto con i genitori non è
dei migliori, anzi.
Così penso che, quasi sicuramente, è la stessa
cosa per tutti noi. Giovani
menti incomprese e odiate.
Quando
arriva il momento di tornare al comando, sia io sia Zayn ci alziamo di
scatto e
corriamo verso il treno, riuscendo a prendere il primo. Ci sediamo
vicini e
scendiamo insieme all’arrivo.
Vedo
Liam e Buck, perfetto. Mi ‘catapulto’ verso di loro
a una velocità
impressionante.
-Ciao.-
li
saluto, freddamente. Loro mi rivolgono un breve e
conciso gesto del capo, ma quando faccio segno di seguirmi non
replicano.
Andiamo in una sala che è sempre vuota, quindi non saremo
disturbati e possiamo
parlare tranquillamente. Di tutto.
-Perché
dopo l’incidente delle
bombe vi siete sentiti in colpa?- inizio
senza preamboli, perché davvero non posso più
aspettare.
Eppure
loro la tirano per la lunga. Buck si siede a
terra con un tonfo e un sospiro, Liam
rimane in piedi a guardarmi.
-Abbiamo
fatto un patto con la
Turchia.- mi
risponde, ovviamente, Liam.
-Abbiamo
chi?- ribatto
subito, senza ancora aver elaborato ciò che mi ha
detto.
-Io e
Buck. Phillips… non ne sa
niente.- quindi,
loro hanno fatto un patto con
la Turchia. E
Phillips
non ne sa niente. Liam e Buck hanno fatto un patto col nemico senza
avvertire i
superiori. Okay, fin qui ci sono.
-In
cosa consiste questo patto?- gli chiedo.
Liam
tira un lungo sospiro, prima di parlare. –Noi
gli avremmo svelato dove si trovava uno dei nostri campi e gli avremmo
permesso, in una data stabilita, di distruggerlo. Appunto per non avere
morti.-
questa è la prima pugnalata. Sono stati loro a
permettere la distruzione
della mia infanzia, del mio campo. Sono stati loro che hanno fatto a
pezzi
tutto.
-E loro
in cambio cosa avrebbero
fatto?- dico,
e anche la mia voce si spezza
insieme al resto.
Stavolta
Liam sembra ancora più indeciso sul da farsi, parlare o non
parlare. Non so che
faccia abbia Buck, perché mi concentro solo su chi, in
questo momento, mi può fornire
informazioni. E Buck non parla mai.
-Loro
avrebbero distrutto Holmes
Chapel.- dice
Liam, infine.
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Capitolo 9 *** Rimediare agli errori ***
Le
rotelle nella mia testa girano a una velocità che fa
concorrenza a quella della
luce mentre assimilo le parole che mi sono appena state dette.
‘Loro
avrebbero distrutto Holmes
Chapel.’
‘Loro
avrebbero distrutto Holmes
Chapel.’
‘Loro
avrebbero distrutto Holmes
Chapel.’
Non
so con precisione quante volte questa frase viene ripetuta nel mio
cervello, ma
penso tante, perché la vedo scritta dappertutto: sui muri,
sulle sedie, sulla
fronte del ragazzo che l’ha pronunciata. Manca poco prima che
io scoppi, ma nel
frattempo cerco di tenere il tono più tranquillo possibile.
-E
perché voi gli avete chiesto
questo?- so
che il mio volto ha perso almeno
la metà del colorito originale. Ho le labbra secche e un
groppo in gola.
-Perché
così possiamo andarcene.- è sempre Liam parlare. –Andare
via di qui, a Londra, magari. Nessuno potrà impedirlo,
nessuno ci giudicherà.
Non vivremo più segregati, non faremo niente di nascosto!- gli
occhi gli
s’illuminano a queste avventate parole. Ripenso a tutte le
volte che ho
desiderato poter uscire allo scoperto, a tutte le volte che speravo di
svegliarmi e vivere altrove. Eppure credo che questo non sia comunque
un motivo
sufficiente per uccidere migliaia di persone che altra colpa non hanno
se non
essere nate nel luogo sbagliato.
E
ora si spiega tutto. Ecco perché ultimamente le entrate
nell’associazione erano
aumentate tanto: solo pochi prescelti potranno sopravvivere.
-Questo
quando dovrebbe succedere?-
-Lo
faranno domani notte, mentre
noi saremo al campo.- santissimo Dio.
Pugnalata numero due. Come possono essere così tranquilli?
Non pensano neanche
un po’ alle conseguenze? Non si sono minimamente affezionati
a questa città, ai
suoi abitanti? Sono consapevoli che saranno i responsabili della morte
di tutti loro?
Mia
madre. Mio padre. Mia sorella.
Per quanto mi possano odiare, per quanto il nostro rapporto possa
essere
brutto, non mi sognerei mai di ucciderli. Mai.
Penso
anche a Zayn, e alla sorellina che ha appena avuto.
Penso
a Liam, che ha due sorelle più grandi.
Penso
a Buck, che ha un fratello quasi suo coetaneo.
Non
gli importa niente di loro?
-Ucciderete
tutti. Anche la mia
famiglia, anche le vostre.- smetto
di guardare Liam per far volteggiare lo sguardo dall’uno
all’altro, in una
danza arrabiata.
-Mi
dispiace, tua sorella non era
adatta e neanche il mio.- mi dice Buck.
-E
tutte le persone che non
conoscete? Perché ce ne sono. E
magari potevano anche entrare, e invece saranno morte, domani a
quest’ora.- detto questo non reggo
più e mi accascio anch’io a terra.
-Andava
fatto.- mi
risponde di nuovo Liam, perché Buck non può
parlare per
più di cinque secondi.
E
adesso non penso più alle persone che conosco, ma
anch’io mi soffermo su quelle
che non conosco, e non incontrerò mai. A tutti quei volti
indistinti che vedo
camminando per i corridoi nella scuola, volti che potevano essere
salvati.
Agli
adulti invece, che in ogni caso sono destinati a morire,
perché non possono
entrare nell’associazione. A tutti i vecchietti che mi
fissavano e blateravano
mentre camminavo per strada, con i loro sorrisi spenti.
Penso
che nessuno potrà dirsi addio. Tutte le parole non dette, i
gesti non fatti.
Penso
che, in effetti, pensare sta uccidendo anche me. Tutto questo non
è giusto.
Non
è opera di due ragazzi di sedici e diciassette anni.
È opera di due mostri.
Improvvisamente
non voglio più stare nella loro stessa stanza, non voglio
neanche guardarli.
Ogni volta che pensavo alle bugie che mi dicevano, alle missioni che
facevano,
non avrei mai immaginato niente del genere. Non voglio neanche pensare
a come
siano riusciti a farlo, perché sfuggire al controllo di
Phillips è difficile.
-Ormai
è tutto fatto, vero? Non si
può ritirare tutto, no?- due domande. So
già la risposta, ma voglio soltanto esserne sicura.
-No- mi dice Liam. –Non
si può più tornare indietro.-
Non
riesco a guardarlo. Non riesco a incrociare lo sguardo di nessuno dei
due.
-Siete
dei mostri.- dico, con le lacrime agli occhi.
Senza aspettare risposta o contestazione esco da quel luogo,
perché davvero non
riesco a stare accanto a loro. Per quanto ne so potrebbero uscirgli
dieci
braccia dal petto, altri tre occhi e rincorrermi per volermi mangiare.
Visti i
loro pensieri, non escludo questa possibilità.
Entro
nella sala principale e guardo sconvolta i ragazzi riuniti
lì dentro. Siamo
così pochi, così pochi supersiti. Riusciranno a
combattere dopo aver perso
famiglia, amici e luogo di nascita? Sarà davvero servito a
qualcosa tutto
questo? No, certo che no.
È
già orribile uccidere persone in guerra, ma quantomeno
là sai di doverlo fare,
sai che sono nemici e se
non sei tu a uccidere, finirai ucciso. Come puoi, invece, uccidere
amici e
famiglia senza avere rimorsi e pentimenti per il resto della tua vita?
Perché
loro non sembravano per niente pentiti delle loro azioni e di sicuro
non
provano un briciolo di rimorso al riguardo.
Sento
che sto per crollare, non posso reggere il peso di tutto questo sulle
mie
fragili spalle. Una delle cose che la gente dà sempre per
scontato è la tua
forza. Pensano sempre che tu sia abbastanza forte da riuscire a
sopportare
tutto, mettono pesi sulle tue spalle che, secondo loro, sono abbastanza
forti
da reggere. Quello che non sanno è che mentre tu provi a
reggere quegli
innumerevoli pesi, man mano ti spezzi. E non sempre i pezzi possono
essere
aggiustati. La colla non basta in questo caso.
Io
sono sul punto di spezzarmi, con danni irreparabili. E lo farei, se non
fosse
per Zayn, che mi viene vicino. Mi prende la mano e mi fa sedere accanto
a lui.
Non
mi chiede spiegazioni, non accenna alla discussione che sa che ho avuto
con
Liam e Buck. –Piangi pure.- dice
semplicemente. E, come quella volta nella nostra
‘caverna’, la sua spalla mi
sembra veramente invitante. Mi ci butto sopra e inizio a piangere. E
sono tutti
troppo impegnati a ridere e scherzare per notare noi due.
Perché nessuno di
loro sa quanto orribile, sarà il loro destino. I superstiti
non sono mai felici
quanto si dice, anzi.
Io
ancora non lo sono, eppure mi sento già malissimo. Sento di
non meritare di far
parte di questo minuscolo gruppo di persone che
sopravviverà.
Oh
Zayn, non puoi capire quanto sei
terapeutico in questo momento, penso.
E io che pensavo sarebbe andata al contrario: tu mi avresti fatto
dannare e
Liam e Buck mi avrebbero consolata. Beh, sarebbe stato meglio in quel
modo, se
avesse significato niente più distruzione di Holmes Chapel.
A quel punto avrei
anche rinunciato a Zayn, nonostante ora sia diventato tanto importante
nella
mia vita.
-Non mi
piace vederti piangere- mi sussurra Zayn in un orecchio,
dopo avermi delicatamente
spostato una ciocca di capelli. –Sei
bella anche con gli occhi rossi, sì, però il tuo
fascino sparisce.-
Tolgo
il viso dall’incavo del suo collo e lo guardo in faccia,
concedendomi un
piccolo risolino. –Grazie.- dico,
tirando su con il naso.
-Sei
bellissima, Eveleen.- mi dice, asciugandomi le lacrime
con il dorso della mano e
spostando, infine, un’altra ciocca di capelli dal mio viso
bagnato. Adesso non
possono non essere chiare, le sue intenzioni.
-Non
c’è posto per noi in questo
mondo, Zayn. – gli dico, con le sopracciglia
corrugate.
-Oh,
no. A Holmes Chapel non c’è
posto per noi, ma questo è tutto un altro
mondo. Qua sì che c’è posto
per noi.- ribatte
lui convinto, ma senza smettere di giocare con i miei capelli.
-Tu…
non hai idea di cosa potrebbe
diventare, questo mondo.- gli dico,
guardandolo negli occhi, stavolta. E il cipiglio arrabbiato abbandona
il mio
viso, perché mi incanto nel castano-dorato delle sue iridi
profonde.
-Io so
solo che qui possiamo essere
felici, insieme.- mi risponde. Lascia i miei capelli
e mi prende le mani, continuando a guardarmi intensamente.
-Da
domani non ci sarà più
felicità.- sussurro piano. Tanto piano che tra
la confusione della sala è molto probabile che non mi abbia
sentito.
Infatti,
si avvicina piano, dandomi il tempo di pensare a ciò che sta
per fare. Mi alzo.
-Scusa…- gli dico. Zayn mi sorride dal
basso, quasi sapesse che lo
avrei rifiutato e, in qualche modo, so che questo non
comprometterà la nostra
amicizia. O almeno mi aggrappo a quest’illusione,
perché non posso più perdere
altre persone. Lui è davvero l’unico che mi rimane.
Inizio
a uscire e nel momento in cui aggrappo la corda suona la campana,
quindi direi
che sono abbastanza precisa nel fare le cose.
Vado
a casa e m’infilo sotto le coperte, godendomi qualche attimo
di caldo
rassicurante sotto il piumone e poi realizzo che oggi non ho preso la bevanda.
Sarà una
giornata molto dura. Ma non solo per me. Per molti sarà
l’ultima giornata della
loro vita. Oh, come vorrei gridare a tutti di scappare! O quantomeno di
fare
ogni cosa, tutto quello che vorrebbero fare e che fin’ora non
hanno fatto,
togliersi gli innumerevoli rimpianti e pentimenti. E
perché non farlo?, penso. Perché
sono ancora nel mio letto quando potrei fare il giro della
città, urlando a
tutti di divertirsi e dirsi gli ultimi addii?
In
un primo momento non riesco a darmi una risposta e sono davvero tentata
di
farlo, poi comprendo cos’è che mi ha fatto
escludere la possibilità fin
dall’inizio: mi prenderebbero per pazza. Dal primo
all’ultimo, nessuno mi
crederebbe.
Ma
almeno ci avrei provato, continuo a pensare, spinta dalla
mia assillante coscienza
che non vuole far morire tutti così. Eppure non posso
più darle retta, perché
se davvero mi scambiano per pazza, mi rinchiudono all’istante
in qualche
istituto. Non posso assolutamente permettermelo, non
nell’ultimo giorno di vita
di Holmes Chapel.
Quando
mi trascino fino al tavolo della cucina e vedo la mia famiglia, una
sensazione
nuova nasce in me. Quasi calore, nel costatare che sono ancora qui, con
me.
Fisso
intensamente ognuno di loro, per imprimerli nella mia memoria, nel modo
più
vivido e chiaro possibile. Raccolgo con gli occhi ogni particolare, dal
neo
sotto l’occhio di mia madre alla ruga di espressione di mio
padre, fino alle
mani esili di mia sorella. Per la prima volta in tutta la mia vita, non
voglio
lasciarli. Vorrei rimanere tutto il giorno a casa, seduta sul divano
con loro,
in silenzio, a contemplare i loro volti e i loro corpi. Ma non posso.
Mi
trattengo qualche secondo più del dovuto e già
ricevo un’occhiata di rimprovero
da mio padre. Loro non sanno che è
la
fine, penso, per loro niente
è
cambiato.
-Ciao,
mamma. Ciao, papà. Buon
lavoro.- dico,
prima di uscire dalla porta,
prima di poter ricevere altri strani sguardi o parole.
-Buona
scuola, Terrie.- continuo, rivolta a mia sorella,
quando siamo entrambe
sull’uscio di casa. Lei è incerta, prima mi guarda
con sospetto, poi rilassa un
po’ i muscoli del viso. –Si,
grazie…
anche a te.- mi risponde, quasi forzatamente.
Mi
incammino per andare a scuola, sorridendo a ogni vecchietto che vedo
affacciato
dalle finestre o dai balconi, a ogni adulto che corre freneticamente
verso il
lavoro.
Noto
cose di cui prima non mi era importato niente, come la linea perfetta
tra una
foglia e un’altra di un alberello su un balcone, o il colore
graduato delle
case più antiche. Non posso fare a meno di guardare anche la
scuola con occhi
diversi. I professori, che si distinguono tutti per la luce spenta
negli occhi,
segno di chi si è arresso alla vita già da molto
tempo. Gli alunni, che non
sono tutti uguali, almeno loro. Pensano di passare inosservati con gli
stessi
vestiti e le stesse espressioni sul viso, ma non sanno che sono gli
occhi che
parlano e spiegano molto più di quanto riesca la bocca. E
nei loro occhi
sto leggendo più cose di quanto abbia mai fatto su un libro.
C’è chi è felice e
convive bene con questo stile di vita. Chi, come i professori, ha
cercato di
combattere ma poi si è dovuto arrendere e ha gli occhi
spenti e inespressivi,
già a quest’età.
C’è chi, invece, ha una luminosa luce negli occhi,
che sembra
non spegnersi mai. Questi vanno avanti a testa alta, con andatura
regolare,
negli occhi lo scintillio folle di chi ha provato armi da fuoco. Noi
dell’associazione siamo i più vivi tra tutti.
Per
questo non posso che provare compassione, nei confronti di quelli che
gli occhi
ormai li hanno spenti. Perché non avranno più
un’occasione di riaccenderli.
Chiunque
sia tanto sfortunato da incontrare il mio sguardo, oggi, riceve un
sorriso in
cambio. Alcuni sono straniti, altri lo ricambiano. Ed è
questo che mi fa
felice, veder sorridere la gente e fargli provare, anche solo per un
istante,
la brezza della felicità pura e ingenua. Anche dei
professori ricambiano il
sorriso e mi sembra di scorgere, per meno di un attimo, un lieve
scintillio nei
loro occhi grigi. Com’è grigio tutto quanto. Ma
è sorprendente come un gesto
così piccolo come un sorriso possa rendere migliore la
giornata di qualcuno. A
pranzo parlo con chiunque non sia dell’associazione, nei
dodici minuti.
Quest’improvvisa socialità e voglia di parlare
spaventa alcuni, in un primo
momento, ma sono adolescenti, quindi si lasciano subito andare. Rido,
scherzo e
rallegro una quarantina di persone, ma non singolarmente. Mi sento un
tantino
meno in colpa, in questo modo. Anche se, forse per l’unica
volta, non ho davvero
nessuna colpa di quello che succederà. Ma non posso
perdonarmelo comunque. Così
faccio quello che dovrebbero fare Liam e Buck e rimedio ai loro errori.
Per
quanto posso.
A
casa, purtroppo, non ho la stessa possibilità.
Però cerco almeno di sorridere
ai miei familiari, sperando che mi ricordino così: con un
sorriso presente sul
volto. Poi mi rendo conto della crudeltà della cosa e spero
solo che, anche se
è impossibile, si salvino. Loro e tutti gli altri.
Dopo
non dormo e faccio solo finta di eseguire i compiti, perché
la mia mente è
altrove. E poi, se tutto va secondo i loro piani, non mi
servirà a niente.
La
prima cosa che faccio appena il guardiano - che saluto con un sorriso-
va via,
è cercare Zayn. Devo parlargli.
|
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Capitolo 10 *** Facciamolo ***
-Zayn!-
si
gira lentamente verso di me e sorride. Non subito, prima
mi scruta in volto, poi sorride, quasi rassegnato. –Devo
parlarti.- gli dico, quando siamo vicini.
-D’accordo.-
mi
risponde lui piano.
Lo
conduco fuori dalla piazza dove eravamo, fino ad arrivare agli alberi.
Supero
anche quelli e mi fermo solo in una piccola radura, dove possiamo
sederci e
parlare tranquillamente. Ed è proprio quello che dobbiamo
fare: parlare
tranquillamente. Perché argomenti così sottili,
non si possono dire in cinque
secondi, di fretta e furia. In fondo, gli sto per annunciare che la sua
città
sarà distrutta.
-Liam e
Buck- inizio,
digrignando i denti mentre pronuncio i loro nomi. –Mi
hanno detto che missione facevano.- Zayn
annuisce assorto, capendo che è essenziale che sia
concentrato, mentre parlo. –Loro…
hanno fatto un patto. Con la
Turchia, che è il nemico.-
-Perché?-
mi
chiede Zayn spalancando gli occhi inorridito, ma senza
scomporsi e tenendo un tono calmo.
-Hanno
pensato fosse necessario.
Per mettere in atto un loro piano.-
-Ovvero?
Arriva al dunque, per
favore.-
-Vogliono
distruggere Holmes
Chapel.- dico,
usando la stessa espressione
di Liam. Distruggere. Definitivamente.
Zayn
non dice niente, fissa il mio viso, ma non sta guardando me. Ha gli
occhi persi
nel vuoto, caretteristici di qualcuno che sta pensando intensamente a
qualcosa.
-Perché?-
mi
chiede di nuovo.
-Pensano
che così saremo… più
‘liberi’, diciamo.-
-E tu
cosa ne pensi?-
-Credo
che sia un’idiozia!- esclamo. –Non
è una
ragione sufficiente per uccidere tutti!-
-Si,
è vero. Ma c’è qualcuno cui
tieni davvero, in questa città?- mi
prendo qualche secondo per pensare. Però non sto riflettendo
sulla domanda in
sé, cioè se tengo a qualcuno, ma su
ciò che questa sottintende. Sta cercando di
farmi cambiare opinione, anche lui pensa che sia meglio distruggerla.
Che razza
di gente frequento, io?!
-Li
sostieni? Pensi davvero che
questo servirà ad aggiustare qualcosa?-
-Non lo
so e per fortuna non sono
io a decidere se farlo o no. Eppure penso che sarà un grande
miglioramento.
Insomma, pensa bene a questo posto, non potremo mai essere felici qua!-
-Davvero
non ti mancherà niente… o
peggio, nessuno?- gli chiedo in un sussurro.
-Beh,
in effetti, il mio cane…-
-Tu non
hai un cane.- lo
interrompo velocemente. Non possiamo averne.
-Si,
vive nei boschi. Gli ho
costruito una specie di cuccia. Vado a trovarlo e lo nutrisco, mi
mancherà
tantissimo.- Possibile che soffra più
a pensare
al suo cane morto che alla sua sorellina messa a tacere dopo pochi mesi
di
vita? Davvero noi umani siamo talmente senza cuore da preferire salvare
un
cane, piuttosto che un nostro pari? Con questo non penso che i cani, in
generale, non vadano amati, ma come preferire salvare la loro vita
piuttosto
che quella umana?
Saluto
velocemente Zayn e vado a casa per la cena.
Ora
sono l’esatto opposto di quello che ero stamattina. Adesso
anch’io inizio a
pensare che sia una cosa buona. Perché nessuno di noi si
merita la vita.
Nessuno
che desidera la morte di qualcun altro, o che non voglia
impedirlo, merita di vivere. E sono sicura che in questa
città tutti, dal primo all’ultimo, se fossero
stati in Zayn mi avrebbero
risposto la stessa cosa. Che era meglio così e gli
dispiaceva solo per il cane.
Perché tanto loro si salvavano, cosa gli importava?
Questi
ragionamenti non fanno davvero una piega. Importa eccome, se si tratta
di vite
umane, nostri simili. In questo momento provo odio profondo per tutta
la razza
umana, alla quale appartengo.
Però
neanche ora, se ci rifletto, studierei un complotto per uccidere tutta
la mia
città. In effetti, non ucciderei neanche una persona
innocente, neanche una. È
contraddittorio, giacchè sono un
soldato a tutti gli effetti. Ma quando vado in guerra, o nelle
missioni, non ho
altra scelta. O uccido loro o loro uccidono me.
Nella
vita ‘reale’, fuori dal campo di battaglia, non si
ragiona così. Perché nessuno
è pronto a ucciderti da un momento all’altro, la
scelta la hai, eccome se la
hai.
Dopo
cena entro nella mia camera. Però non aspetto che si
facciano le nove e mezzo
per uscire, mi calo dalla finestra e corro per la via. Lancio
dei
sassolini alla finestra di Zayn, e, quando spunta il suo volto, gli
mimo di
scendere.
-Non me
ne frega quello che pensi
tu. Dobbiamo fare qualcosa.- gli
dico velocemente e a bassa voce. Lui ci pensa su, valutando le mie
parole e ciò
che potrebbero comportare.
-Cosa?-
scandisce
lentamente, guardandomi negli occhi.
Si,
bella domanda. Che cosa possiamo fare?
Dobbiamo impedire che la Turchia bombardi Holmes Chapel. Che
cosa possiamo fare?
A
un tratto ho un’idea e mi chiedo come ho fatto a non pensarci
prima.
-Andiamo
in Turchia.- dico,
come se fosse la cosa più ovvia e semplice del mondo.
Non
mi risponde, ma la luce nei suoi occhi e il sorriso sulle sue labbra mi
dicono
che vuole farlo. È la sua prima
missione
e la fa anche senza autorizzazione, penso distrattamente.
Forse gli piace
di più così. Ma la verità è
che non so neanch’ io in cosa ci andremo a
cacciare.
Entriamo
al comando e non troviamo nessuno, per fortuna. È troppo
presto, infatti.
-Nell’armadietto
di Buck potremmo
trovare qualcosa che ci servirà.- dico
a Zayn.
-Perché
io non ho un armadietto?- mi chiede lui.
-Solo
Buck e Phillips l’hanno.- e il motivo è evidente,
anche se devo comunque
spiegarglielo. Phillips è il capo, quindi deve avere un
posto per conservare
tutti i file delle missioni da fare e già fatte. Buck ci
mette i fogli con i
suoi appunti riguardo i ragazzi che segue.
Sull’armadietto
c’è un codice che si deve inserire per farlo
aprire, ovviamente io lo so. È
il giorno in cui
Phillips l’ha incontrato: 04/11/2002, ma il codice
è di quattro cifre quindi
inserisco 4112 e lo accetta. Me l’aveva detto tempo fa,
quando gli serviva che
gli portassi un foglio. Vediamo, appunto, tantissimi fogli pieni di
nomi e di
scritte. E tra questi non si può non vedere una cartella
gialla, che si
distingue dal resto.
Do
una fugace occhiata a Zayn e la apro. C’è
un indirizzo e il nome dell’uomo con cui hanno
organizzato tutto. Perfetto, basta questo.
-Te la
senti?- chiedo
a Zayn, chiudendo la cartella velocemente.
-Facciamolo.-
mi
risponde lui con un sorriso.
Trascrivo
i dati su un foglio bianco e ripongo tutto in modo che non si capisca
quello
che abbiamo fatto.
Poi
prendo delle armi e due giubotti anti-proiettile che indossiamo.
Quando
siamo sul treno, chiedo a Cesar di portarci in Turchia. Secondo me lui
vive qui
dentro, ogni volta che vengo c’è sempre.
È possibile che ci sia anche il
pomeriggio.
-Aspettaci
dopo, non andare via
finchè non torniamo.- dico a Cesar.
Quando si fanno missioni non autorizzate è bene andare solo
con Cesar, che
rispetta il segreto. Giordan dice tutto a Phillips e poi sono guai.
Quando
arriviamo, ci troviamo proprio in un accampamento di soldati, quindi
qui vicino
ci deve essere il luogo di battaglia.
Dobbiamo
andare subito via, anche se loro non sanno che siamo inglesi, non
possiamo
rimanere qui.
Quello
che penso è confermato da un soldato turco che ci vede e
urla: -
Defol
buradan, çocuklar! -
Non
capisco niente di quello che dice, ma il gesto che fa con le mani
è palese: non
possiamo trattenerci oltre. Corriamo via e cerchiamo di capire
esattamente dove
siamo. Secondo le informazioni di Buck il luogo dove dobbiamo andare
non è
molto lontano da qui, quindi ci incamminiamo.
-Cosa vuoi
fare, precisamente?- mi
chiede Zayn, quando siamo fuori dall’edificio.
-Provare
a trattare, credo…- gli rispondo titubante.
-E se
non funziona?-
-Combattiamo.-
Entriamo
nell’edificio che, all’interno, è tutto
bianco, il che lo rende molto luminoso.
Ci avviciniamo a una signorina per chiederle se sa
dov’è Güçlü, e lei ci
dice
di andare fino all’ultimo piano, dove
c’è il suo ufficio.
Non
prendiamo l’ascensore per colpa mia, che per qualche motivo
non mi fido, quindi
facciamo sette piani a piedi e all’arrivo siamo sfiniti.
Busso decisa alla
porta del signor Güçlü ed entro.
Essendo
il capo di tutta questa missione, lo avevo immaginato vecchio e pieno
di rughe
sulla fronte. Con un’espressione costantemente riflessiva e
l’aspetto di chi ne
ha passate tante.
Invece ci troviamo davanti ad un uomo giovane, una
trentina d’anni al
massimo, dall’aspetto forte e vigoroso. I folti capelli neri
sono laccati
all’indietro e gli occhi ridotti a due fessure, mentre ci
scrutano. Si alza e
penso che sarà circa un metro e ottanta, e che
peserà molto. Perché ha
tantissimi muscoli ben sviluppati.
Non
sorride mentre ci dice: -
Sen
de kimsin? Siz ne yapıyorsunuz?-
Ovviamente
non capisco ciò che ha detto, ma per aver parlato con Liam e
Buck deve
conoscere anche l’inglese. –Puoi
parlare
in inglese?- gli chiedo.
-Siete
inglesi?- mi
risponde lui sospettoso, nella mia lingua.
-Amici
di Liam e Buck, penso che
lei li conosca.- l’espressione sul suo
viso si
alleggerisce. –Certo. Allora, cosa
volete?-
-Annullare
tutto.-
-Cosa?!-
chiede
Güçlü spalancando gli occhi di scatto.
-C’è
stato un cambio di programma.
Voi avete fatto ciò che volevate, adesso non vi chiediamo
niente in cambio. Non
dovete più farlo, semplice.- sono
io a parlare, ma non ce la farei se Zayn non mi tenesse stretta la mano
per
rassicurarmi. E per darmi forza. –I
tuoi
amici sanno che siete qui?-
-Si, ci
hanno mandato loro. E
dobbiamo tornare tra poco.-
-Bene.
Andate pure, allora. Annullo
tutto, come richiesto.-
-Arrivederci.-
-No,
non ci rivedremo. Ricordate
che il patto è finito.- dice
Güçlü e prima
di chiudere la porta sussurra velocemente qualche altra cosa in turco
che non
capisco.
Guardo
Zayn soddisfatta e lo abbraccio fortissimo, ci siamo riusciti!
Ce
l’abbiamo davvero fatta ed è andato tutto liscio
come l’olio! Neanche un
imprevisto, niente! E’ stato semplicissimo.
Usciamo
da quell’edificio e ci dirigiamo nuovamente verso il treno,
per tornare a casa.
Se siamo fortunati, arriveremo al comando prima ancora che ci
sarà Phillips. E gli altri due.
Ma
non può andare tutto bene: liscio come l’olio, ma
quando mai? Nessuna missione
è stata così semplice, doveva esserci un intoppo,
no? Beh, in questo caso è che
abbiamo sbagliato strada e ci troviamo sul campo di guerra, tra i
soldati che
combattono.
-Prendi
il fucile e fai quello che
faccio io!- urlo
a Zayn. Una scarica di
adrenalina mi attraversa il corpo e mi fa pulsare forte le vene. Inizio
a
correre cercando tenendo alto il fucile, poi arriva una serie di colpi
diretti
a noi. Rotolo per terra, salto e mi scanso in qualsiasi modo.
Però tiro
anch’io. Non contro i nostri, perché sarebbe
inutile, ma contro i Turchi.
Quando gli inglesi vedranno che siamo dalla loro parte smetterano di
puntare a
noi e a quel punto avremo un solo nemico comune.
-
Onları
öldürmek! – gridano
i Turchi. - Onları
öldürmek! –
Guardo
un soldato inglese e dopo qualche secondo questo mi fa cenno di
avvicinarmi,
così corro da lui, seguita da Zayn. –Perché
siete qui?- sbraita il soldato.
-Non
c’è tempo per spiegare,
dobbiamo andare via!- ribatto io
velocemente. Non so perché lo faccia, non so
perché si fida. Eppure ci dà una
scorta e questi ci accompagnagno fino al treno. Ne muoiono due.
Ma
noi siamo sani e salvi. Magari non proprio sani, poiché,
girandomi verso Zayn,
vedo che gli sanguina il braccio.
Ogni
tanto al comando guardiamo dei film, nel tempo libero. Beh, in
realtà
soprattutto di guerra, per ‘abituarci’ (anche se
nessuno di questi può
minimamente avvicinarsi alla vera distruzione che essa porta). In
questi film,
in situazioni analoghe alla nostra, ora che stiamo scendendo dal treno,
i
protagonisti camminerebbero con la schiena eretta, i capelli
scompigliati
perfettamente dal vento e un’espressione soddisfatta sul
volto. Noi siamo
tutt’altro. Il mio viso è preoccupato, quello di
Zayn sofferente. Lui è piegato
dal dolore al braccio, perché è la sua prima
ferita ed io cerco di distrarlo.
Il vento non c’è.
Al
comando ancora non sono arrivate molte persone, quindi andiamo
indisturbati
verso ‘l’ospedale’. Lì ci
togliamo i giubbotti, posiamo le armi e torniamo
normali, poi chiamo una dottoressa per fargli visitare il braccio di
Zayn.
-Lei
esca, per favore. Dopo lui la
raggiungerà tranquillamente.- mi
dice la donna.
-D’accordo.-
Stavolta
c’è molta più gente, compreso Phillips.
Compresi Liam e Buck. Loro non sanno
ancora niente, credo. Ma non voglio rovinargli la sopresa, anche se
devo
ammettere che non vedo l’ora che lo scoprano.
Gli
rivolgo un grande sorriso, poi vado a sedermi.
-Leena,
vieni anche tu.- mi dice Phillips riguardo alla
missione del giorno. No,
proprio no. Dopo tutto quello che ho fatto, non ce la faccio a fare
un’altra
missione oggi.
-Scusa
Phillips, oggi non ce la
faccio.- gli
rispondo. Lui annuisce e se ne
va seguito dagli altri e da Liam e Buck.
È
così che hanno fatto anche loro? Ogni volta che sono andati
in Turchia per
organizzare il piano, hanno semplicemente detto a Phillips che non
volevano
fare la missione? Li immagino già…
‘Ragazzi,
voi in missione.’
‘Scusa
Phillips, non ce la facciamo. Faremo
allenamento per un po’.’
E
Phillips, come con me, ci ha creduto. Perché non farlo,
contando che sono i
suoi migliori soldati? Peccato che siano dei traditori.
Non
vado neanche all’allenamento oggi. Aspetto al comando
finchè Zayn non esce
dall’ospedale e dopo stiamo un po’ insieme
lì. Lui è eccitatissimo per la sua
prima missione e pensa anche che sia magnifico che ci curino
così in fretta.
Buck
e Liam tornano giusto in tempo per andare a casa. La campana suona.
Si
scambiano uno sguardo d’intesa, senza sorridere, poi mi
guardano. Io, d’altra
parte, gli lancio un sorriso enorme. Mi guardano interrogativi e, sotto
il loro
sguardo, mi arrampico sulla corda.
Esco
dal buco dietro l’albero e mi affaccio sulla
realtà. Si, sulla realtà. Non su
una nuova realtà,
perché è sempre la stessa. Ogni
cosa è
al suo posto, come pensavo. Come deve essere.
Quando
mi sposto sale immediatamente Liam, seguito da Buck, poi da Zayn.
Immaginavo
che fossero stati loro i prossimi a venire, ma, mentre Zayn mi
affianca, gli
altri due mi guardano in un modo tale che potrebbero incenerirmi.
-Che
è successo?- mi chiede Liam a denti stretti.
-Niente,
non vedi? È tutto al
proprio posto. Non è successo proprio niente, e niente
doveva succedere.- rispondo io tranquilla, con un
sorriso e una scrollata di
spalle.
-Non
credere che sia finita qui.
Contatteremo di nuovo i Turchi, qualsiasi cosa tu abbia fatto o detto
sarà
annullata, dalle nostre parole. Se non è oggi
sarà domani, altrimenti tra due
giorni. Succederà, Leena.- per qualche
motivo, il fatto che mi abbia chiamato con il mio soprannome, ora che
lo
considero niente più di un essere
–perché non sono sicura che sia umano- mi fa
imbestialire. Tiro Zayn con me e vado via.
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Capitolo 11 *** Amici ***
Liam
e Buck mi sono letteralmente caduti dal cuore. Gli volevo tantissimo
bene, sono
le uniche persone che ero davvero sicura di amare e ora…?
Hanno rovinato tutto.
Forse sono sempre stati così ed io non me ne sono mai resa
conto. Non si può
cambiare tanto da un giorno all’altro. Eppure secondo me
c’è qualcun altro
compreso in tutto questo, oltre a loro. Per quanto siano intelligenti e
astuti,
non credo che sarebbero stati in grado di pensare così in
grande.
-Tutto
bene?- mi
chiede Louis. Gli rispondo con un semplice cenno del
capo.
-Oh,
s’immerge spesso nei suoi
pensieri.- dice
Zayn. Siamo in piazza, seduti
sul piccolo prato di fianco alla fontana. Ho accettato di venire
perché Zayn mi
ha supplicato, in pratica, altrimenti, sarei rimasta volentieri a casa
a
dormire. Senza contare che non conosco per niente Louis e non mi va di
conoscerlo.
Non
è perché voglio essere ostile o cose del genere.
Semplicemente ho già perso le
due persone di cui mi fidavo di più al mondo, quindi non
voglio affezionarmi ad
altri. Contando che già l’ho fatto con Zayn e ho
paura che possa tradirmi da un
momento all’altro.
Eppure
in questo momento vorrei che il tempo si fermasse. Io, Zayn e Louis
seduti
sull’erba a parlare per sempre. O anche senza parlare.
Semplicemente così.
Per
non dover affrontare missioni, per non dover andare contro Liam e Buck.
Perché
mi sto stancando di questa vita piena d’azione, se include il
dover andare
contro i miei ‘amici’. E
sono sicura che
dovrò farlo, perché Liam e Buck non si
arrenderanno. Ed io dovrò fermarli
ancora.
Ovviamente
Zayn sarà al mio fianco e magari ci sarà anche
Louis, stavolta. Però ho paura
anche di questo, perché anche loro potrebbero stancarsi ed
io rimarrei sola.
Beh,
ovviamente il tempo non si è fermato ed è ora di
cena, quindi ci ritiriamo
ognuno a casa propria. Ceno tranquillamente, non più pervasa
dalle riflessioni
di ieri, perché so che qualsiasi cosa vogliano fare
riuscirò a contrastarla.
Vado
a letto e mi concedo solo dieci minuti di sonno prima di andare, voglio
arrivare subito, seguire quei due.
Quando
arrivo al comando, non avrebbe dovuto esserci nessuno, invece, con mia
grande
sorpresa, inconro Phillips. Sarebbe una buona occasione per dirgli
tutto,
dovrei farlo? Potrebbe aiutarmi, magari. –Phillips.-
dico a voce bassissima. Ora me ne pento. Spero tanto che non
abbia sentito,
che m’ignori completamente. Non so perché.
-Che
c’è, Leena?- ovviamente mi ha sentito. Ma posso
comunque non dirglielo.
E per quale motivo, poi? Non potrebbe fare altro che aiutarmi, no?
-Devo…
dirti una cosa.- gli dico lentamente.
Lui
si gira verso di me. –Cosa?- così
gli dico tutto, di Liam e Buck e di quello che vogliono fare. Aspetto
con ansia
una sua reazione, che dica qualcosa di confortante. Invece sta zitto.
Sta zitto
e mi guarda. La sua mente, forse, è impegnata in riflessioni
troppo complicate
e contorte per poterle esprimere a parole.
-Ci
parlerò io.- dice Phillips infine.
Ora
sono molto più sollevata, perché Phillips sa
tutto ed è dalla mia parte, può
aiutarmi in ogni cosa che mi si presenti davanti.
Quando
vengono tutti, vedo Phillips prendere in disparte Liam e Buck, quindi,
sollevata, mi dirigo con Zayn e Louis all’addestramento.
E’
da un po’ che non mi alleno, in effetti. I miei muscoli hanno
perso il costante
esercizio e di questo sono davvero molto dispiaciuta quindi inizio
subito un
allenamento intenso, di quelli che si fanno poco prima di una missione.
-Leena
è da tanto che non ti
alleni. – osserva giustamente il coach. –Non puoi fare questi esercizi.-
-Si,
invece.- lo
liquido velocemente. Sono sempre stata gentile con lui,
ma oggi non ne ho proprio voglia. L’unica cosa che voglio,
ineffetti, è tornare
al comando e sapere cosa ha detto Phillips a Liam e Buck. E come hanno
reagito.
E,
forse, sapere se si sono tolti dalla testa quelle stupide idee. Se sono
tornati
come prima. Non che m’interessi.
Cedo
alle lamentele del coach dopo mezz’ora, perché non
ne posso più di sentirlo
parlare, quindi vado un po’ a riposare.
-Niall!-
dico,
è da tantissimo che non lo vedo.
-Qual
buon vento!-
ride lui. –Come mai
tanto impegnata ultimamente?-
-Ah,
niente di che.- gli dico. Ma dopo gli racconto
tutto senza esitazioni.
Perché lui è mio amico, e inoltre non
è di Holmes Chapel quindi avrà un
giudizio completamente distaccato. Ed è quello che mi serve:
un parere da
fuori.
Appena
finisco di parlare, Niall fa una lunga pausa. Ora mi aspetto il peggio.
Ovvero
che lui sta prendendo tempo per dire che è
d’accordo con gli altri, e sarebbe
tutto più semplice senza Holmes Chapel. Gli ho raccontato
tutto proprio per
sentire il suo parere, ma forse non sono pronta.
-No.
Non devono assolutamente
farlo.-
dice Niall di botto, sbattendo le
palpebre più volte, come per cacciare via dei brutti
pensieri.
Sento
le mie guancie ardere e gli occhi illuminarsi, mentre il sorriso
compare
lentamente sul mio volto.
No. Non
devono assolutamente farlo.
E’
d’accordo con me. Sì, pensa che io abbia ragione.
Ho trovato qualcuno che è
dalla mia parte! Beh, oltre a Phillips, ma con lui non posso escogitare
grandi
piani. Ho Niall.
In
questo momento una felicità insensata mi attraversa tutto il
corpo, fino ad
arrivare al cervello, che manda l’ordine ai muscoli di
muoversi e abbracciarlo.
Succede tutto di fretta, mi alzo verso di lui e lo stringo un
fortissimo
abbraccio.
Qualcuno
tossisce. Non è Niall perché è
dall’altro lato della mia spalla e me ne sarei
accorta. Sciolgo l’abbraccio e cerco la persona che ha
tossito.
Zayn.
Lo
guardo sorridendo perché sono felicissima e non riesco a
pensare a niente,
neanche al motivo per cui ha tossito. Un lampo di gelosia gli schizza
negli
occhi quando si sofferma a guardare Niall, e svanisce così
com’è venuto: in un
attimo.
E
in quell’attimo il mio sorriso si spegne.
-Lui
è Niall, un mio amico.- lo presento un po’ sulla
difensiva.
Sei
bella anche con gli occhi
rossi. Sei bellissima, Eveleen. Qua sì che
c’è posto per noi. Io so solo che
qui possiamo essere felici, insieme.
Non
mi sono scordata delle parole di Zayn, nonostante provavo a non
pensarci.
Eppure il suo sguardo mi ha fatto tornare tutto in mente.
Ma
che ci posso fare se gli piaccio? Non butterò tutto al vento
per un amore, se
si può chiamare così, momentaneo. Devo
concentrarmi su due cose, ora.
-L’associazione.
-Salvare
Holmes Chapel.
Ovviamente
non mi voglio isolare con questo, ho bisogno dei miei amici, ma solo di
amici. L’amore porta solo
complicazioni,
ne sono al corrente persino io che non ne so niente.
Non
è vero che l’amore fa girare il mondo, lo fa
precipitare. E nel mio caso questo
è proprio adatto: sarebbe una distrazione e se mi distraggo,
non riuscirò a
fare niente perbene e Holmes Chapel potrebbe essere davvero spacciata.
Niente
amore, punto.
-Piacere
Niall, sono Zayn.- dice Zayn con un sorriso
visibilmente forzato. Niall non lo
nota ed io faccio finta di non averlo visto. Niall è sempre
allegro, gli
stringe la mano entusiasta e sorride compiaciuto. Poi si gira verso di
me, alza
un sopracciglio e indica impercettibilmente Zayn con la testa. Una
domanda: lui lo sa? Annuisco.
-Allora…
missione salviamo Holmes
Chapel, eh?- dice
Niall sorridendo e grattandosi
la testa, un po’ in imbarazzo. Anch’io mi sentirei
in imbarazzo, se Zayn mi
guardasse così male. Mi meraviglio che Niall non sia ancora
morto. Ci sono
alcune persone che sanno uccidere con la sola forza del
pensiero… o almeno
dicono così usciti dal manicomio.
-Si,
beh, ovviamente noi ci teniamo
molto.- risponde
Zayn, soffermandosi sul ‘noi’.
Sbuffo.
–Già anche Niall. Ora
continuo
l’allenamento, ciao Zayn, ciao Niall.- dico e li
saluto entrambi con un
bacio su una guancia.
Me
ne vado alla svelta e raggiungo la parete da scalare. Ahh, finalmente
la mia pace. Mi sporgo un
po’ più del
dovuto per vedere se Niall e Zayn stanno ancora parlando, ma non riesco
a localizzarli.
Poi vedo la cresta di Zayn e in seguito il biondo ossigenato di Niall,
sì, sono
ancora insieme. Li osservo per un po’, ma sembrano tranquilli
e, passato un po’
di tempo, ridono insieme.
Ora
è Harry che cerco, mi piacerebbe dire tutto anche a lui.
Due
ragazzi di Mullingar sono sempre meglio che uno.
Faccio
scorrere lo sguardo lungo tutto il perrimetro del campo, di un campo
che non è
il mio. Ora che ci faccio caso questo è più
grande. Ma è anche vuoto, perché
non ci sono ricordi collegati a esso.
Quando
trovo Harry è alla postazione del sollevamento pesi e mi
sorprendo nel vedere
quanto solleva. Migliora ogni giorno di più.
Scendo,
mia malavoglia, dalla parete e lo raggiungo correndo. Quando mi vede
arrivare
sorride e gli cade un peso a terra. È sempre talmente
incapace alla presenza di
gente. Lo aiuto a prendere il peso e poi mi siedo davanti a lui, con un
sorriso
che non promette niente di buono.
–Ciao.- dico
con tono adulatorio. Mi
rivolge un’occhiataccia prima di chiedermi: -Cosa
vuoi, Leena?-
Alzo
gli occhi al cielo e sospiro, poi racconto –per la terza
volta in una giornata-
tutta la
storia. So
che Harry non la prenderà bene quanto Niall,
perché è più affezionato a Liam e
Buck, soprattutto a Liam. Niall, invece, è sempre stato
piuttosto riservato con
loro, nonostante fossero amici.
Al
contrario di Niall lui risponde subito con un: -Sono
dei cretini.- e inizia a invenire contro i suoi amici,
dicendo che non capiscono niente e che le loro idee sono troppo
avventate e
catastrofiche. D’istinto stavo per dirgli di smetterla di
parlare male di loro,
ma mi fermo, perché penso esattamente le sue stesse cose.
Due
ragazzi di Mullingar dalla mia parte, perfetto.
Ahhhh.
Liam, Buck, non vi mettete contro di me, anch’io ho le mie
risorse.
Porto
Harry da Zayn e Niall, per fargli vedere i suoi compagni di missione,
nel caso
si presentasse l’occasione. Si salutano tutti con veloci
strette di mano.
-Beh, a
questo punto chiamo anche
Louis.- dice
Zayn un po’ irritato. Non dà
tempo a nessuno di parlare che già corre urlando a gran voce
il nome
dell’amico. Lo osservo mentre raggiunge Louis e gli dice
qualcosa, prima che si
dirigano nuovamente entrambi da noi.
-Beh,
ma Louis non sa.- dico irritata, non mi va di
spiegare di nuovo.
-Gli ho
detto tutto, tranquilla.-
-Quando?-
no,
non sono tranquilla se dici a tutti questi segreti.
-Quando
sei andata a dirlo a questo
riccio. A questo punto poteva saperlo anche Louis.- sì, bene, ha ragione. Ed
è innegabilmente geloso… poverino.
Campana.
Dobbiamo tornare al comando.
Saluto
Harry e Niall e mi dirigo, con Zayn e Louis, verso il lato opposto,
dove
dobbiamo prendere il treno.
Sono
sollevata vedendo Phillips, Liam e Buck al comando. Ora posso parlargli.
Mi
avvicino a loro, con Zayn e Louis alle calcagna, ma non dico niente.
Semplicemente perché prima che riesca a parlare Phillips mi
mette un dito
davanti alla bocca e mi fa cenno di seguirlo.
Entriamo
nella stessa sala, dove Liam e Buck mi hanno detto delle loro missioni
e questo
mi porta a dirigere lo sguardo su di loro. Non so di preciso che
occhiata è, se
da cane bastonato o da lupo che vuole sbranarti, credo un misto. Non
riesco a
fare bene nessuna delle due cose, in questo momento.
Zayn
e Louis entrano nella sala e Phillips non dice niente, quindi non
protesto.
Ci
sediamo tutti quanti. Aspetto impazientemente che Phillips inizi a
parlare.
-Eveleen…-
comincia
lui.
No.
Non può essere dalla loro parte, non può pensare
che le loro malsane idee siano
giuste. No. Mi ha chiamato Eveleen solo per coincidenza, punto.
-Abbiamo
parlato tutta la notte,
con Liam e Buck, intendo.- ma dai? Non
l’avevo capito, giuro. Cerco di sdrammatizzare nella mia
testa, perché
altrimenti scoppierei subito a piangere. Non c’è
bisogno che dica tutte queste
cose, si capisce tutto già dal fatto che mi ha chiamato
Eveleen. Non è una
coincidenza. –Penso che abbiano
ragione.- ecco, appunto. Phillips, no!
Sono
stata convinta dal primo momento che lui mi avrebbe appoggiato. Che
stupida!
Che gli importa a lui di Holmes Chapel? Lui ha la sua bella e libera
Londra.
Che
gli importa a lui dei cittadini? Lui ha noi soldati.
-Non
sono d’accordo.- ribatto piano, ma con crescente
rabbia.
-Non
importa. Finchè l’operazione
non sarà completata non potrai usare il treno se non ci sono
almeno trenta
persone con te.- risponde freddamente Phillips.
E ora
come faccio?, penso,
Non posso fare
niente se rimango a Holmes Chapel o al campo.
Perché
sono tutti così sviati mentalmente? Però non devo
gridare contro Phillips, o
cose del genere. Per quanto ne so, potrebbe anche segregarmi a vita al
campo e
non ci tengo per niente.
Ovviamente
questo non significa che io mi sia arresa, anzi.
L’ho
già fatto una volta e sono stata depressa per tutta la
giornata, ora è il
momento di agire e in un modo o nell’altro ci
riuscirò.
-D’accordo,
Phillips.- dico
con tranquillità, mentre la mia mente lavora frenetica
pensando a cosa fare.
|
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Capitolo 12 *** Niart ***
A
scuola non riesco a concentrarmi sulle lezioni. Lancio occhiataccie a
Buck e
penso, penso e penso ancora. Che cosa
possiamo fare?
Beh,
la cosa positiva è che so già con chi farlo.
Appena
arrivo al campo insieme a Zayn, Louis e altri ventisette (li ha contati
Phillips in persona) ragazzi, trovo Niall e Harry che mi aspettano
impazienti.
Mi
guardano interrogativi e aspetto che Zayn e Louis mi affianchino per
dire: -Dobbiamo fare qualcosa.- annuiscono.
Hanno capito.
Il
problema, uguale a quello di stamattina, è cosa. Ma cinque
menti funzionano
meglio di una, no?
-Allora,
riflettiamo. La scorsa
volta siete andati in Turchia… andiamo di nuovo
lì.- propone Louis. Si, siamo andati in
Turchia. E abbiamo
parlato con Güçlü, convincendolo a
ritirare l’ordine. Ma lui l’ha fatto solo
perché aveva già avuto ciò che voleva.
Quindi dovremmo offrirgli qualcosa
altrettanto preziosa? Tipo?
‘-Bene.
Andate pure, allora.
Annullo tutto, come richiesto.-
-Arrivederci.-
-No,
non ci rivedremo. Ricordate
che il patto è finito.-‘
Ricordate
che il patto è finito. –Non possiamo
tornare in quel luogo, ci uccideranno sicuramente!- dice Zayn, un istante prima che lo
facessi io. Anche lui ha
sentito le parole di Güçlü.
Ma
allora cosa possiamo fare? Di certo non possiamo andare in ogni stato
nemico
per vedere con quale hanno fatto un altro patto. Beh,
in realtà non potremmo andare da nessuna parte, penso.
Ci
hanno proibito l’accesso al treno. Però questo
è un problema che si affronterà
dopo, prima dobbiamo capire cosa possiamo fare. Magari Buck ha i fogli
nell’armadietto, come la scorsa volta. O forse li ha
Phillips, ma non sarà
difficile indovinare il suo codice. Una volta mi disse quello del suo
telefono
(lui che è di Londra può averlo) e si
lasciò sfuggire che metteva ovunque lo
stesso. 7339. Non so che significato abbia, ammesso che lo abbia.
Però
per vedere negli armadietti dovrei aspettare domani, perché
non posso tornare
solo con loro.
-Non
possiamo muoverci.- dico, seguendo il mio filo di
pensieri.
-Cosa?- chiede Harry.
-Non
possiamo prendere il treno,
eccetto che non ci siano trenta persone sopra.-
-Raduniamole.-
-Il
coach non lascierà mai andare
così tanta gente.- Deve esserci una soluzione, deve. C’è sempre una
soluzione, a volte
anche più facile di quanto si pensi. Qual è?
-Ma
certo! Il vostro treno!- esclamo, rivolta ai miei amatissimi
ragazzi di Mullingar.
Sono sempre più convinta che sia stato un bene rivelargli
tutto.
Annuiscono
tutti felicemente, soluzione trovata. Però i ragazzi di
Mullingar vengono a
piedi a questo campo, giacché è abbastanza
vicino, quindi dobbiamo arrivare al
loro comando e prendere il treno da lì.
Ci
incamminiamo e Niall e Harry sono in testa, per guidarci fino al loro
comando.
Ci inoltriamo nei boschi: Zayn cade più volte, non penso che
la scorsa volta
fosse dovuto alla stanchezza. Louis lo aiuta sempre a rialzarsi, ma io
mi sto
davvero spazientendo. Possibile che non sa camminare in mezzo agli
alberi?
Adesso ci sono anche dei luoghi, dove si riesce a camminare e altri in
cui non
si riesce?! Andiamo, Zayn! Riprenditi.
-Riesci
a percorrere due metri
senza cadere?!- sbotta Niall irritato al massimo.
Come me. Guarda Zayn in attesa di una risposta, ma lui si rialza, si
strofina i
pantaloni e continua a camminare indisturbato. Almeno fino alla
prossima
caduta.
Può
essere bravo quanto vuole sul terreno spianato, ma se non sa affrontare
i
boschi allora non è adatto.
‘-Piangi
pure.-‘
Non
sapeva cosa mi fosse successo, eppure mi aveva subito offerto conforto
e
protezione, per quanto potesse. E adesso io che facevo? Lo maledicevo
mentalmente soltanto perché inciampava.
-Dai,
poggiati a me. Magari va
meglio.- dico
a Zayn, e lui mi cinge le
spalle con un braccio e mi sorride. Mi accorgo che tutti ci guardano.
-Un
maschio. Che si fa aiutare da
una femmina. Che disonore!- borbotta
Harry contrariato, riprendendo a camminare. Maschilista.
Adesso
va meglio: Zayn continua a inciampare, ma almeno lo fermo prima che
possa
cadere, il che è un notevole miglioramento. Non capisco
cos’hanno i suoi piedi
contro il terreno dei boschi.
Nel
momento in cui i miei piedi toccano il suolo normale, non la terra,
tiro un
lungo sospiro di sollievo. –Zayn,
puoi
lasciarla ora.- dice Harry, mentre io fisso divertita Zayn
che si tiene
ancora stretto. –Già,
ora dovresti saper
camminare.- aggiungo ridendo. Tutta la faccenda ha un che di
comico. Zayn
mi lascia ma non si fa intimidire da Harry, lo guarda normalmente e fa
qualche
passo in avanti, come per provare che riesce a camminare. Ora, però, non
c’è il tempo per le
dimostrazioni.
Ci
intrufoliamo nel comando di Mullingar.
Pensavo
fosse uguale al nostro, pensavo –in realtà- che
fossero tutti uguali.
Ma
il nostro sembra ancora più rozzo e poco curato in confronto
a questo,
completamente tecnologico e ultra-moderno. Forse ci sono capi bravi
quanto
Phillips. Anzi, anche migliori. Magari se noi avevamo qualcun altro,
quello
avrebbe provato a fermare Liam e Buck, non sarebbe stato dalla loro
parte.
Mi
accorgo distrattamente che siamo fermi davanti ad una parete piena di
pannelli
e pulsanti. Niall ci spiega brevemente che il treno viene a comando,
senza
conducente, ma con una serie di meccanismi complicati. Tanto complicati
che non
sanno farli funzionare.
Perfetto. Perché ci hanno portato fin qua, allora? Giusto
per farci una bella
passeggiata al chiaro di luna, tra chi inciampa (Zayn) e chi si lamenta
di chi
inciampa (Harry) e tra gli amici silenziosi che non aiutano (Louis e
Niall).
Sono
l’unica con un po’ di senno?
Bene,
devo riflettere. Tra tutti questi pulsanti ce n’è
uno che farà arrivare il
treno. Non può essere così difficile trovarlo,
no? Insomma, deve collegarsi in
qualche modo alla figura o al nome del treno. Però sono
migliaia di pulsanti,
come farò a trovarlo?
-Come
si chiama il vostro treno di
partenza?- chiedo
a Niall ed Harry. Il nostro
ad esempio si chiama ‘D’. C’è
scritto anche sul treno stesso. Non è molto
originale ma almeno sappiamo riconoscerlo.
-Ne
abbiamo cinque.- mi risponde prontamente Harry. –Il primo si chiama Nortis, il secondo
Nicole, il terzo Niak, il quarto
Nuersu, il quinto Nasste.-
A
parte Nicole non credo che gli altri nomi esistano davvero.
Perché poi usarli
così… strani, difficili? Ci deve essere qualcosa
sotto. Un codice.
Iniziano
tutti con la ‘n’, può significare
qualcosa? Magari un pulsante con scritto…
‘5N’ oppure direttamente
‘NNNNN’? La seconda possibilità mi
sembra un po’
improbabile, ma con gli occhi cerco velocemente entrambe le
possibilità, ma non
ci vuole molto per capire che nessuna delle due è giusta.
Tutte le cose scritte
sui pulsanti sembrano anch’esse dei nomi. Tanti nomi, troppi
nomi. Come possono
essere ricordati tutti?
A
meno che il loro capo non abbia una memoria fotografica, è
impossibile.
Nortis,
Nicole, Niak, Nuersu, Nasste.
E
sono in ordine, dal primo al quinto. C’entra qualcosa
l’ordine? Penso di si,
perché Harry ha specificato dicendo ‘il
primo’ ‘il secondo’ e così
via. Sono in
un ordine preciso. E c’è sicuramente un motivo.
Niente è lasciato al caso in
cose come queste.
Nortis,
1. Nicole, 2. Niak, 3. Nuersu, 4. Nasste, 5.
Non
capire le cose mi porta a una frustazione terribile. So che ci sono gli
indizi,
so che probabilmente ho tutti gli elementi per capire il trucco. Eppure
non ci
arrivo proprio. Che cosa può essere? In cosa centra
l’ordine dei nomi?
Forse
però i numeri non indicano solo l’ordine dei nomi.
Forse
indicano anche le lettere.
(N)ortis:
prima lettera. N(i)cole: seconda lettera. Ni(a)k: terza lettera.
Nue(r)su:
quarta lettera. Nass(t)e: quinta lettera. Niart.
Niart…
e che vuol dire? Beh, però sembra che qua sia pieno di
parole senza senso.
-Vedete
se su un pulsante c’è
scritto ‘Niart’. – dico agli altri: potrebbe comunque
essere. Ed è comunque l’unica ancora cui
aggrapparsi.
-Niart!
Qua!- urla
Louis. Era davvero Niart! Sono un genio. Un vero
genio.
-Come
hai fatto ad arrivarci?- mi chiede Zayn ammirato. –Complimenti!-
-Si,
beh, andiamo?- m’interrompe
Harry, prima di farmi parlare.
Schiaccia
lui stesso il pulsante viola, che s’illumina
all’istante, lanciando un bagliore
viola lungo la stanza. Appena scompare
il bagliore, si apre il muro. Dove un secondo
prima c’era una comune riga, che pensavo servisse a dividere
determinati
pannelli da altri, c’è un varco. Si sente un forte
stridore.
Io,
Zayn e Louis siamo un po’ titubanti. Harry e Niall
attraversano il varco
tranquillamente: non sapevano il codice, ma l’avevano
già fatto altre volte.
Beh,
Niall di sicuro. Oggi sarà la prima missione di Louis ed
Harry.
Sto
facendo eseguire le missioni d’inaugurazione a troppe persone.
Saliamo
insieme sul treno che è uguale –almeno quello- al
nostro. Impostiamo su un
pannello più facile da capire la nostra destinazione e
infine partiamo, verso
Holmes Chapel. Arriviamo in un battibaleno e, scendendo, non parla
nessuno.
-Ma
certo. Ci sarei arrivato anch’io!-
eclama
Harry. –E’
‘train’ al contrario!-
Train
al contrario, in altre parole treno in inglese. Niart, train. Non
rispondo a
Harry solo per non ammettere di aver usato un ragionamento molto
più complicato
e contorto. E magari è stato solo un caso se ha funzionato.
Ma
non ho tempo per pensare a queste cose. Mi assicuro che il comando sia
vuoto e
vado velocemente verso gli armadietti.
Digito
‘4112’ su quello di Buck. E aspetto. E aspetto
ancora.
Qualcosa,
però, non quadra. Perché avrebbe già
dovuto aprirsi.
Codice
non valido. Codice non
valido. Codice non valido.
Appare
tre volte la scritta in rosso, prima di scomparire completamente. Ha
cambiato
il codice, adesso come facciamo? Di sicuro lo avrà fatto
anche Phillips.
Scassinare
–o anche solo provare- gli armadietti sarebbe troppo
avventato e si capirebbe
subito. Inizierebbero a fare domande, a cercare di capire come ho fatto
ad
arrivare fin qui. No, non posso farlo.
Non
possiamo fare niente. Dobbiamo solo origliare qualcosa, cercare di
scoprire, in
altri modi, con chi si stanno mettendo in contatto.
Ma
per ora dobbiamo tornare al campo.
Lancio
agli altri un’occhiata eloquente e vedo sui loro volti la
delusione nel
costatare che la missione è già giunta al
termine. Ma sono decisa a farla
continuare. Solo non oggi.
Quando siamo di nuovo al super tecnologico comando di Mullingar, mi
rendo conto
che dovremmo rifare la scampagnata a piedi. Oh, povera me.
-Andiamo?-
sorrido
a Zayn e gli porgo il braccio. Lui si accende il
volto e si aggrappa a me, senza pesarmi neanche un po’. Che
strano.
Camminiamo
sotto lo sguardo contrariato di Harry, che guarda Zayn come se fosse
solo un
intralcio. Louis e Niall ci ignorano. Arriviamo al campo prima del
previsto ed
è incredibile la velocità con cui tutti
–tranne Zayn- si dissolvono.
Rimane
un po’ a fissarmi incerto e oscilla avanti e indietro con le
mani dentro le
tasche dei pantaloni. –Grazie.- dice
infine. –Stai facendo la cosa
giusta,
Eveleen.- aggiunge dopo, come liberandosi da un grande peso.
E per qualche
motivo so che è sincero.
E,
nonostante non abbia mai dubitato di essere dalla parte
‘buona’, le sue parole
mi confortano, perché non sono sola. So che lui ci
sarà sempre.
-Zayn…-
vorrei
dirgli tutto questo. Rivelargli che in questo
momento lui è il mio unico punto di riferimento,
perché neanche Harry e Niall
sono come lui. Fargli capire che dopo l’allontanamento di
Liam e Buck, la
scintilla che ho dentro si sarebbe spenta, se non ci fosse stato lui.
Assicurargli
che non mi dimenticherò di tutto questo. Dirgli,
semplicemente, che è
importante per me. Eppure l’unica cosa che riesco a
pronunciare è un goffo –Grazie.-
perché non riuscirei a dire
tutto a quegli occhi. Troppo profondi, troppo indagatori. Non voglio
essere
‘scoperta’. Ed è questo il problema,
perché so che anche se non ho detto una
parola, lui ha capito tutto. Lui sa tutto.
Mi
lascia un altro po’ di tempo, ma vedendo che non parlo indica
con la testa il
campo. –Dobbiamo essere in forze,
no?- dice
con un ghigno.
Mi
concedo una breve risata e lo segue verso le strutture.
Sì,
dobbiamo essere in forze. Hai detto proprio bene Zayn.
Lancio
un’occhiata verso Harry, Niall e Louis, ma vedo solo
quest’ultimo impengnato
nella lotta. E’ bravo.
Sì,
saremo in forze. Saremo pronti.
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Capitolo 13 *** DE. ***
Sono
in piazza, ad aspettare Zayn e Louis. Penso che trascorreremo il tempo
libero
sempre così, ma non mi lamento, è piacevole.
Arrivano puntualissimi con un
sorriso sul volto mentre parlano disinvolti. Li saluto con la mano e li
invito
a sedersi accanto a me, ma restano alzati e scuotono la testa.
-Non mi
va di stare seduto.
Facciamo una passeggiata?- propone Louis.
Acconsento
e ci incamminiamo verso il limitare della città, sotto lo
sguardo attento dei
vecchietti. Ora mi chiedo se, ineffetti, non sia anche questa una
violazione
delle regole. Non che importi, ormai. Le regole sono davvero il mio
ultimo
problema.
Ci
scambiamo uno sguardo complice e anche un po’ preccupato di
fronte l’albero che
di solito spostiamo per entrare al comando, ma lo superiamo.
Arriviamo
facilmente in una piccola radura, senza che Zayn inciampi da nessuna
parte.
Penso che sia strano, però guardando a terra mi accorgo che
qua il terreno è
molto più solido e compatto e privo di rami caduti.
Qui
ci sediamo tra tante violette e tulipani. Zayn mi mette una violetta
tra i
capelli e penso al gesto che fece giorni fa, prima di entrare
nell’associazione, prima di iniziare a seguirmi per scoprire
il mio segreto.
Quando era ancora tutto perfetto.
Annuso
beatamente il profumo di tutti i fiori attorno a me e lo faccio
diventare la
mia droga, in quel posto, è tutto stupendo. Sorrido vedendo
Zayn e Louis
parlare felici, stavolta sembra davvero che il tempo si sia fermato ed
è
un’illusione che purtroppo abbandono troppo presto. Un
rumore. Non si sentono
spesso fruscii tra gli alberi qui, e Zayn e Louis sono troppo impegnati
a
parlare per accorgersene.
Mi alzo
e scruto dietro gli alberi. Magari l’ho immaginato, magari
è il cane di Zayn.
Che però dovrebbe essere dal lato opposto della
città.
M’inoltro
un po’ più nel bosco ma non vedo niente di strano.
Inizio a perdere di vista la
radura, eppure per qualche motivo non riesco a fermarmi, so che
c’è qualcosa.
Cammino
finchè non mi fanno male le gambe, poi mi appoggio a un
albero. La radura è
lontana e inoltrandomi nel bosco è diventato tutto
più buio. Perché l’ho fatto,
poi? Nessuno mi garantiva ci fosse veramente qualcosa.
Eppure
qualcosa c’è. E mi ha appena tappato la bocca e
gli occhi. Qualcuno, è
più corretto dire. Provo a urlare, a mordere la mano
che mi tiene la bocca chiusa, ma quella mi stringe ancora di
più, come una
morsa. Non vedo niente e non lo sopporto. Scalcio, mi agito, ma
continuo a
essere trascinata da qualcuno, verso dove non lo so.
-Ah,
sei tu.- sospira
una voce quando ci fermiamo. Mi lascia, ma nella
penombra del bosco non riesco a riconoscere l’uomo che sembra
aver riconosciuto
me. –Vieni.- mi dice.
Posso
scegliere. Non mi sta tirando, non mi tocca neppure. Però
non so chi è, né dove
mi vuole portare. Dovrei andare? C’è qualcosa
nella voce dell’uomo, che mi
porta a fidarmi di lui. Devo andare.
Lo
seguo lungo il bosco, attraverso un’oscurità che
non ho mai osato sfiorare. Si
sta facendo tardi. Zayn e Louis possono essere preoccupati e non so
quanto
manca all’ora di cena. Allora perché continuo a
camminare, invece di tornare
semplicemente indietro?
Usciamo
dal bosco e la luce del sole mi travolge in modo così
potente da farmi chiudere
gli occhi. Quando li riapro, dopo essermi abituata, ho davanti a me
l’ultima
persona che mi aspettavo di vedere.
-Ciao.-
mi
dice. Penso di aver perso la parola. Che posso
dirgli? Rispondergli con un saluto, ovvio. Ma come posso dire solo
‘ciao’ dopo
tutti questi anni in cui non lo vedo? Vorrei chiedergli
cos’ha fatto, dove l’hanno
portato. Come mai è tornato. Eppure non riesco a parlare.
Sto qui, a fissarlo.
A guardare il mio ex-professore di storia.
-Ti
ricordavo più loquace.- mi dice Doug con un sorriso.
Più loquace? Come posso
essere loquace se tu mi ‘rapisci’ e poi ti comporti
normalmente, dopo anni che
non ci vediamo? –Che ha fatto?- gli
chiedo in un sussurro.
-Oh,
non preoccuparti, sono
riuscito a scappare.- sgrano gli
occhi, ma non lo interrompo. A scappare da dove?
–Anche tu fai parte di
quell’associazione, no?- cosa? Ora sono veramente
sconvolta. Come fa lui a sapere
dell’associazione?
Annuisco
flebilmente, mentre lui continua. –Beh,
penso che dobbiate rivedere le vostre priorità.-
viene qua dal nulla e
vuole anche criticare il nostro lavoro? Che si aspetta, che adesso con
un
sorriso gli dica che ha ragione e che facciamo schifo?
Lo
guardo senza rispondere. –Andiamo,
non
sono venuto qua per essere osservato! Dobbiamo assolutamente parlare!- esclama
Doug irritato.
-Parla.-
ribatto
io, senza abbandonare il mio cipiglio scontroso.
E
lui lo fa, mi spiega tutto. Mi racconta che è riuscito ad
arrivare a Londra,
non specificando da dove è scappato. E’ entrato
nel governo, anche se in una
delle cariche minori e meno importanti, ma questo gli ha permesso di
scoprire
tantissime cose, come la nostra associazione. Dice che pochi giorni fa
c’è
stata una battaglia terribile a Londra, almeno due terzi –se
non più-
dell’esercito sono stati uccisi. Si stanno preparando a un
altro attacco dalla
Russia, ma sono in minoranza numerica e questo potrebbe portarli alla
definitiva sconfitta. E se è sconfitta Londra, è
sconfitta tutta l’Inghilterra,
che sarà occupata e ridotta in schiavitù. Servono
reclute nell’esercito. Ed è
questo che sta facendo Doug: gira di città in
città per mandare quest’appello.
Sa
quali sono le città libere e quelle che hanno
l’associazione. Nelle città
normali parla al sindaco e accetta chi vuole proporsi, per poi spedirlo
a
Londra per addestrarsi. Nelle città come la nostra, con
l’associazione, parla
con il capo di queste. Nel nostro caso dovrebbe parlare con Phillips.
Ma per
noi è più dura, perché saremo
sicuramente reclutati, senza neanche proporci;
anche se possiamo rifiutarci, se abbiamo motivi validi. Infatti, vuole
che
almeno la metà di noi entri nell’esercito,
lasciando stare tutte le precedenti
missioni o incarichi che avevamo intrapreso.
Penso
a Liam e Buck. Loro saranno sicuramente reclutati, ma la loro missione
sarà
portata a termine da Phillips. La nostra invece, che fine avrebbe
fatto?
Nessuno
la
continuerebbe. Non possiamo abbandonarla, non
possiamo abbandonare Holmes
Chapel, non proprio ora.
-Ti
aspetti davvero che saremo
felici di venire?- gli chiedo.
-No, ma
dovete farlo.
Quest’associazione combatte indirettamente per la patria, ora
dovete iniziare a
farlo in modo diretto.- mi risponde
Doug tranquillo.
-Siamo
già stati in guerra.- ribatto adirata.
-Non
per più di qualche ora.- mi risponde lui. –Senti,
questo è quanto. Devo parlare con il vostro capo adesso,
portami da lui.-
-No!- esclamo. –Non
andremo in guerra!-
-Allora
perché sei in questo
programma, se non per salvare la patria?!-
Sì,
è vero, sono qui per questo. Ma a volte ci sono cose
più importanti, non
possiamo abbandonare Holmes Chapel e lasciare che sia distrutta.
D’altra parte,
se non entriamo nell’esercito, c’è la
possibilità che tutta l’Inghilterra cada
nelle mani sbagliate. E a quel punto il mio sarebbe un ragionamento
solo
egoistico.
Ma forse in alcuni casi è opportuno essere un po’
egoisti.
-Portami
da Phillips.- ripete
Doug, soffermandosi su ogni parola. Riesco quasi a
vedere il fumo che esce dalle sue orecchie.
Beh,
solo perché alcuni di noi andranno nell’esercito,
non significa che ci andremo
tutti. E poi devono avere il consenso della singola persona, no?
Io dirò di no. E così faranno anche Zayn e Louis.
Harry e Niall sono di Mullingar,
quindi il problema non si pone. Non ci divideremo.
-Vieni.-
gli
dico a denti stretti, ma un po’ più serena.
Camminiamo
attraverso il bosco, ma in verità non so bene dove sto
andando. E’ facile
perdersi tra tutti quegli alberi identici.
Poi
inizio a sentire vari rumori di passi e di ragazzi che parlano e che
gridano il
mio nome. Ed è buffo perché è quasi
come quando io cercavo Zayn. Ma ora è lui
che ha trovato me, con Louis. Ed io sono con Doug.
Quando
ci scontriamo, finisco tra le braccia di Zayn, che mi stringe forte
esponendomi
le sue paure riguardanti dove potessi essere andata. Mi lascio
coccolare per un
po’ assorbendo il calore del suo corpo, poi lo rassicuro e
gli presento Doug; così
andiamo tutti insieme al comando, dove entra solo Doug, mentre noi
andiamo via.
Saluto
velocemente Zayn e Louis e mi dirigo verso casa per la cena.
Un’altra
persona è venuta a sconvolgere la mia vita. Ogni volta che
capisco qual è il
mio ruolo qui dentro, succede qualcosa che mi costringe a cambiare.
Solo che
stavolta non glielo permetterò, io salverò Holmes
Chapel.
Ceno
cercando di non mostrare impazienza ma dopo mi fiondo subito in camera.
Sposto
leggermente le tende, le luci delle altre case sono ancora accese. Di
conseguenza, lo sono anche quelle della mia. Mi calo dalla finestra
come ho già
fatto altre volte e cammino piano piano verso il comando. Attraverso il
solito
buco, sperando di trovare anche il solito comando.
Ma
non è così.
Nonostante
manchi ancora un bel po’ all’ora in cui ci
riuniamo, sono già presenti
tantissime persone, troppe per contarle. Per qualche motivo so
già chi c’è
sotto.
-Dov’è
Doug?-
chiedo a un ragazzo moro di cui non ricordo il nome.
-Quel
signore? E’ lì davanti! Non
sei eccitata di entrare nell’esercito?!- mi
risponde lui frettolosamente e sorridendo. Gli rivolgo
un’unica occhiata truce
prima di fiondarmi attraverso tutti quei ragazzi per vedere Doug.
Così
è davvero convinto a farlo e, evidentemente, Phillips gli ha
dato il suo
appoggio. Ma come giustificherà l’improvvisa
assenza di così tanti ragazzi
dalla città? È proprio questo che gli chiedo, ma
lui non lo prende come un
problema. ‘Holmes Chapel
saprà trovare
una scusa.’ mi dice. Ma certo, che gliene importa
a lui!
Guardo
la lista che ha in mano. È piena di nomi, così
tanti da far venire il mal di
testa solo a guardarli. Se Holmes Chapel
sarà distrutta, questi ragazzi saranno al sicuro,
così pensavano Liam e
Buck. Invece sarebbe comunque venuto Doug, andranno comunque verso una
morte
sicura.
Semplicemente
non posso sopportare nessuna delle due ipotesi, che diventano sempre
più
concrete.
Le
nostre missioni erano programmate e sicure, se succedeva qualcosa,
avevamo un
ospedale magnifico a distanza di dieci secondi. Non è come
stare costantemente sul campo di
guerra. Lì è
orribile. Ci sono stata una volta e mi prende la nausea solo a pensare
di
doverci rimettere piede.
Inoltre,
Holmes Chapel distrutta è una questione chiusa. È
barbaro e insensato, non
succederà e basta.
Come
fermare tutto questo?
|
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Capitolo 14 *** Indicazioni ***
C’è
nell’aria una disperazione che sono l’unica a
sentire, perché sono anche
l’unica che capisce a pieno quello che sta accadendo, al
contrario degli altri.
Inizio
a riconoscere sempre più volti tra quelli dei presenti,
sempre più nomi tra
quelli della lista di Doug: Aaron, Aaliyah, Jenette, Lucinda, Frankie,
Joshua…
troppi nomi per essere elencati tutti. Eppure ci sono, su quella
stupida e
distruttiva lista.
Come se la caverà l’incapace Aaliyah, in guerra? E
la
piccola Frankie,
che sebbene abbia solo un anno in meno di me, sembra almeno dieci volte
più piccola?
Le
missioni non sono mai state un obbligo, d’ora in poi per loro
lo saranno.
Potevano immaginare di andare incontro a cose ancora peggiori delle
nostre –in
confronto- stupide missioni? Non credo. Non lo immaginavo
neanch’io.
-Ancora
assolta nei tuoi pensieri?-
mi
chiede l’inconfondibile voce di
Zayn da dietro.
-Tu sai
cosa stanno facendo?- ribatto.
Ovviamente
non lo sa, gli ho presentato Doug, ma non gli ho detto altro. E ne
approfitto
per farlo ora, spiegargli tutta l’enorme complicazione della
guerra. Ci
raggiunge anche Louis e ascoltano entrambi interessati, ma non riesco a
decifrare le loro espressioni, finchè non ho finito di
parlare. Sembrano quasi…
felici. Possibile?
Li
guardo sconcertata per un po’, prima di chiedere: -Perché sorridete?!-
-Davvero
non capisci?- mi
chiede Louis, quasi deluso.
-Beh,
è semplice…- dice Zayn, con un tono
più dolce e comprensivo rispetto a
quello di Louis. –Pensaci. Appena
Liam e
Buck sapranno di questo, il loro piano non avrà
più senso! Volevano distruggere
Holmes Chapel per essere liberi… se andranno in guerra, lo
saranno. Non saranno
più sotto il controllo di questa città. Non
servirà a niente distruggerla!-
Beh…
il suo ragionamento non fa una piega. Non centra assolutamente niente.
Proprio
niente. Non è che se Liam e Buck vanno
nell’esercito la missione non si fa più,
no. Non capisco proprio come abbiano potuto pensare una cosa simile.
Così
stupida e insensata. E non capisco perché ho gli occhi pieni
di lacrime che mi
scendono sul viso.
Le
familiari braccia di Zayn mi avvolgono completamente, riesco a malapena
a
vedere dietro la sua spalla ma non m’importa. Mi godo
l’abbraccio più di ogni
altra volta, per qualche motivo ho bisogno di molto affetto. –Mi dispiace, saranno loro a
decidere…-
mi
sussurra Zayn cullandomi un po’. E in questo momento sento
come se ci fossimo
solo noi due, nonostante siamo circondati di persone. Eppure non riesco
a
capire le sue parole.
‘Saranno
loro a decidere.’
Che
intende? Chi dovrà decidere cosa? Lo stringo di
più a me e mi ci vuole un bel
po’ per riuscire a capire. Loro decideranno se andare in
guerra o meno, ed è
questo che mi spaventa. Ho paura che ci vadano. Ho paura di perderli.
Non conta
tutto quello che stanno fancendo, non contano le loro menti deviate.
Sono stati
miei amici per troppo tempo. Quando si è veramente amici,
non si smette mai di
esserlo, salvo che non lo si è mai stati. Non voglio che
vadano in guerra.
Preferisco averli qui e dover combattere su una facciata opposta alla
loro,
piuttosto che sapere che sono in guerra a combattere davvero contro
soldati
esperti.
Mi
stacco da Zayn e lascio che mi asciughi le lacrime sul viso. Non so
più cosa
devo fare. Ho perso la cognizione del tempo ed è
già tanto che so dove sono: ci
sono alcuni pianti che ti prosciugano completamente.
E
non posso fare a meno di trattenere nuovamente le lacrime quando vedo
le figure
di Liam e Buck, che si fanno spazio tra la folla. Mi
guardano per un momento, poi spostano la
loro attenzione verso Doug e la sua lista. Buck lo conosce, Liam no.
-Che
state facendo?- chiede Buck a Doug.
-Volete
entrare nell’esercito?- ribatte lui arrivando direttamente
al punto. Non capiscono,
sono stati colti alla sprovvista. Diverse emozioni si fanno largo sui
loro
volti. E l’espressione inorridita lascia quasi subito spazio
a quella
sospettosa. –Chi sei tu?-
chiede
Liam. –Giusto, non sei stato un mio
alunno. Beh, io sono Doug.- gli risponde velocemente Doug,
porgendogli la
mano.
Liam
non la prende. –Perché
sei qui?-
-Mmm.
Ci serviranno soldati con il
tuo carattere.-
-Perché
sei qui?- ripete
Liam, ancora più irritato.
-Esattamente
per quello che ti ho
detto. Reclutare ragazzi per l’esercito.-
L’orrore
ricompare sui volti di Liam e Buck. Il loro piano non sta andando come
si
aspettavano, hanno capito che i ragazzi moriranno comunque. Non hanno
salvato
più vite possibile, le hanno solo portate verso una morte
diversa. Forse anche
peggiore, più lenta, più dolorosa. Non possono
accettare una cosa del genere,
non loro che pianificano tutto nei minimi dettagli.
Li
conosco troppo bene per non riuscire a decifrare il volto
apparentemente senza
emozioni di Buck, e il cipiglio cupo di Liam. Eppure non mi aspettavo
che Liam
mi afferrasse per un braccio e mi trascinasse via, seguito ovviamente
da Buck,
Zayn e Louis. Mi ha portato nella stessa ‘sala’
dove abbiamo parlato la prima
volta, quando mi disse del loro piano, e ora mi guarda quasi
aspettandosi
qualcosa da me.
-Beh?- gli chiedo io, perdendo la pazienza. In
questo
momento non vorrei trovarmi così vicina a loro,
perché so che sentire la loro
voce per troppo tempo mi farebbe scoppiare di nuovo a piangere.
Così come non
sentirla mai più.
-Come
‘beh’?! Dobbiamo fermarlo, è
ovvio!- mi
risponde Liam, guardandomi come
se avesse detto la cosa più ovvia del mondo. E di punto in
bianco scoppio a
ridere. Non so precisamente il perché, forse per
l’assurdità della sua
affermazione.
-Tu
vuoi far saltar in aria la tua
città, ma non accetti che dei ragazzi vadano
nell’esercito?- esclamo appena riesco a controllare
le risate.
-Non
capisci. Questi ragazzi
dovevano essere al sicuro qui.-
ribatte lui serio e irritato.
-Non
sarebbero mai stati al sicuro!
Qui siamo costantemente esposti al pericolo!-
-No,
appena il piano sarebbe stato
attuato si sarebbe ricreata la città, avrebbero vissuto
normalmente lì, con un
nuovo sindaco!-
-E
quanto ci sarebbe voluto? Vale
davvero la pena uccidere tutti! Rapisci il sindaco!-
-Si
rivolterebbero tutti contro.- dice Liam a bassa voce.
–Senti, non importa. Fa finta che non ti abbia detto nulla,
ciao.-
E
detto questo esce dalla stanza. –Buck…-
sussurro piano, ma non abbastanza per non farmi sentire. Ed
è così che Buck fa
una cosa del tutto inaspettata: si avvicina a me, un po’
incerto, e mi abbraccia.
Rimango spiazzata, non capisco il significato di questo gesto.
Però lo
abbraccio anch’io, perché mi è mancato
il suo profumo, i suoi abbracci così
rari ma così belli. Mi è mancato così
tanto da far male, così tanto che me ne
rendo solo ora di quanto. E in questo momento vorrei che anche Liam
fosse qui,
tra le mie braccia. –Dobbiamo
andare al
campo.- mi sussurra Buck, sciogliendo l’abbraccio.
Non
capisco più niente. Che cosa significa
quell’abbraccio? E’ dalla nostra parte?
Si è pentito? Perché non riesco a chiederglielo?
Me
ne sto zitta e ferma mentre la sala si svuota, lasciando me e Zayn
soli.
D’altra parte, lui che può fare? Non
può rispondere alle mie domande. Ma mi afferra
la mano, e mi aiuta a raggiungere il treno prima che parta, cosa che
probabilmente
non sarei riuscita a fare da sola.
Sono
distratta nel viaggio, neanche mi rendo conto di essere già
sul terreno del
campo fin quando Harry non mi schiaffeggia una guancia. Lo guardo come
se fossi
appena tornata da un sogno e lui mi regala un sorriso a cinquantasette
denti. Sorrido
appena, e saluto anche Niall, che mi travolge in un enorme abbraccio a
tre,
anche con Harry. Dire che questi ragazzi riescono sempre a portarmi il
buon
umore ( o almeno a scacciare momentaneamente quello cattivo)
è minimizzare il
concetto.
-Allora,
che facciamo?- chiede
Niall, entusiasta.
-Non
so… preferirei arrampicarmi un
po’, oggi.- dico riprendendo il mio tono
distratto.
-Cosa?
Intendevo per fermare Liam e
Buck.-
-Mmm.- me ne ero quasi dimenticata.
Sì, che possiamo fare?
Nonostante tutto non mi sembra una buona idea chiedere qualcosa a Buck,
al
riguardo. Non abbiamo indizi da cui partire, non abbiamo niente. Come
possiamo
attuare questo piano?
-Andiamo
al nostro comando. Di
sicuro Phillips e Doug saranno ancora là, con un
po’ di fortuna gli armadietti
saranno aperti e nessuno ci vedrà.- parla
Zayn al posto mio. È un piano molto approssimato e rischiamo
di essere
scoperti, malgrado questo sia anche l’unico piano che
abbiamo. O almeno una
piccola riproduzione di un piano.
Nessuno
ha niente in contrario, o niente di meglio da proporre. Ci dirigiamo
nuovamente
verso il comando di Mullingar, tengo Zayn sottobraccio. Da
lì torniamo al
nostro comando, dove ci sono sia Phillips che Doug, come previsto da
Zayn.
Passiamo
velocemente da una sala all’altra senza farci notare, fino ad
arrivare agli
armadietti. Quello di Phillips è aperto. Ed è
completamente vuoto.
La
mia espressione sconcertata è proiettata anche sui volti
degli altri, nessuno
di noi si aspettava questo. Che fosse chiuso, che non riuscissimo ad
aprirlo,
ma non che fosse vuoto. E ora? Provo ad aprire quello di Buck, giusto
per tentare
di fare qualcosa e per dare un senso all’essere arrivati fin
qua. Digito tutte
le combinazioni che penso possa aver usato, tutte quelle che per lui
significano qualcosa, poi mi arrendo e metto numeri a caso. Ed
è per pura
disperazione che, alla fine, riprovo con la vecchia combinazione.
Scatta.
Guardo
sorpresa tutti gli altri e apro l’armadietto velocemente. La
prima cosa che
vedo è una cartella, sopra c’è un
biglietto.
‘Fanne
buon uso.’
Ha
cambiato combinazione di proposito, per farmi avere la cartella.
Buck è
dalla nostra parte. Sono così felice che sento entrare nella
bocca aperta in un
sorriso il sapore salato delle lacrime. Che finalmente sono causate
dalla
gioia.
Apro
la cartella, facendo cadere il bigliettino che è raccolto da
Zayn. Ci sono
tanti fogli dentro questa, nel primo c’è una sola
parola, che occupa tutto il
foglio: RUSSIA.
Hanno
fatto un patto con la Russia. La Russia
che sta per attaccare Londra. La Russia che è il nostro peggior nemico in assoluto. La Russia
che può aver chiesto in
cambio qualsiasi cosa.
Nella
seconda pagina ci sono indicazioni con la scrittura di Buck.
‘‘Il
nostro
comando non arriva in Russia, neanche quello di Mullingar. Vai a
Bradford da
Mullingar. Il treno ti porta in una stanza gialla, apri la porta e ti
trovi due
corridoi davanti, prendi quello di destra. La prima porta, sul lato
sinistro
del corridoio, che incontri, aprila. C’è un
computer. La password del computer
è ‘7749795’. Apri il programma
‘Vacation’. Ti appare una schermata dove devi
digitare una parola, scrivi ‘Russia’. Torna nella
stanza da dove sei venuta e
prendi il treno. Durante tutto questo non farti vedere da nessuno. Il
treno ti
lascia all’aperto, là non ci sono comandi.
Sei in
un parco. Cerca l’albero con
inciso ‘JKRJK’. Quando sei davanti
all’albero, avrai una strada alla tua destra
e una strada alla tua sinistra. Sono entrambe piccole e losche. NON
entrare in
quella di sinistra. Vai a destra senza neanche guardare quella di
sinistra.
Cammina dritto finchè non vedi un edificio completamente
viola. Entra dentro.
Al segretario devi dire una sola parola ‘Russel’.
Ti porterà da lui. Lui sa
parlare inglese, quindi tranquilla. Mostragli il prossimo foglio e si
fiderà di
te. Fallo prima che ti punti la pistola alla testa, miraccomando.
Disdici tutto
il piano.
Ho
scritto tutto velocemente prima
di andare al campo, subito dopo che ho saputo dell’esercito.
Non posso fare io
tutto questo perché Liam è sempre con me. Mi
dispiace per tutto, Leena. Scusa
anche per la scrittura. Non volevamo
finisse così, pensavamo che qui sarebbero stati
al sicuro. Spero che troverai tutto questo prima che il piano sia
attuato,
perché quando avverrà, non lo so
neanch’io. Non dire a Liam di tutto questo, mi
prenderebbe per un mollaccione. So che ce la farai.
Buck.’’
Ha
pensato proprio a tutto e le indicazioni sono precise, spero solo che
sarà
facile quanto sembra. Prendo il prossimo foglio e passo questo agli
altri, per
farglielo leggere.
Nel
foglio c’è stampato un simbolo, grande quanto
tutta la
pagina. Il simbolo per
far sì che Russel si fidi di me. Una stella viola, con
dentro ‘H C’ stampato a
lettere grandi. E una ‘X’ su di queste. Non penso
significhi qualcosa di buono,
ineffetti.
Passo
anche questo agli altri e sfoglio velocemente i successivi fogli, che
sono foto
con nomi. Su ognuna di esse c’è scritto, oltre al
nome, se è una persona di cui
mi posso fidare o no. Direi che Buck ha fatto bene il suo lavoro.
-Allora, andiamo in
Russia…?- dice Niall. Capisco il suo tono un
po’ esitante, neanch’io
mi sento tanto sicura ad andare fin là. Il
nostro peggior nemico. Però mi fido di Buck, le
indicazioni sono precise.
Sappiamo tutto. Andrà bene.
-No,
prima a Bradford.- rispondo con un mezzo sorriso.
-Prima
dobbiamo tornare a
Mullingar, veramente.- dice Harry un
po’ irritato.
-Il
treno di Mullingar è già qui.- faccio notare io, e ci incamminiamo
senza più parlare.
Prendiamo
il treno e in qualche modo riusciamo ad arrivare a Bradford, con
l’aiuto di
molti pulsanti. Scendo dal treno e, nonostante abbia la cartella in
mano,
ripasso mentalmente, corridoio a
sinistra, prima porta a sinistra. Entro nel corridoio di
sinistra, è molto
grande e buio, non vedo l’altro lato. Prendo un po’
di coraggio e continuo a
immegermi nel buio, con una mano posata alla parete, per evitare di
perdere la
porta. Non sento i
ragazzi dietro di me, ma so che mi seguono. L’unica cosa che
sento, ineffetti,
è il freddo e duro marmo della parete. Camminare al buio mi
fa diventare
inquieta. Ne ho sempre avuto ‘paura’. Uccido uomini
indifesi e ho paura del
buio, che grande, enorme contraddizione. Ma guardando gli uomini so
cosa ho
davanti, con il buio non ho la stessa opportunità.
È
la parete a farmi da guida, quando la perdo, sono
persa. Come ora. Ho toccato qualcosa di diverso dal marmo, qualcosa di
caldo.
Qualcosa che prospetta guai.
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Capitolo 15 *** Alexander, non Alex. ***
Sono
tentata di gridare, ma sento che sarebbe ancora più
sbagliato. Tolgo lentamente
la mano e arretro un po’. Vado a sbattere contro qualcuno.
-Leena!!-
grida
Harry.
-Non
urlare!!- gli
rispondo io, gridando a mia volta.
-Volete
stare zitti?!- non ho parlato
io, né Harry. Né Louis, Zayn o Niall. Non
riconosco questa voce, ma qualcosa mi
dice che è della persona da cui mi stavo allontanando, dopo
averla toccata.
-Chi
sei?- sussurro.
-Chi
siete voi? Non siete di qui.- non è una domanda, ma
un’affermazione. Deve essersene reso
conto dalle voci, Harry parla con un inconfondibile accento irlandese
e,
sebbene pensassi che tutti noi inglesi parlassimo allo stesso modo,
questo
estraneo ha un accento molto tirato. Penso che per parlare in quel modo
dovrei
seguire corsi di dizione per almeno dieci anni. Ma
c’è anche un altro tocco
personale, nella sua voce, che nessun insegnante potrebbe insegnarmi.
Improvvisamente
mi riscuoto dai miei stupidi pensieri sull’accento di questo
ragazzo, perché mi
concentro su quello che Buck aveva scritto… non
farti vedere da nessuno. Questo ragazzo, sempre che non si
chiami ‘Nessuno’,
non può vederci né sapere di noi.
Vorrei
tanto poter comunicare mentalmente con gli altri, sarebbe tutto
più semplice…
conversazioni intere senza neanche scambiarsi un’effettiva
parola. Ma purtroppo
non posso, quindi sussurro a Harry. –Che
facciamo? Non può vederci, né sapere di noi.-
-Shhh.-
mi
zittisce lui come risposta. Come ‘shhh’? Non sarà zittendomi che risolvi il
problema
creato dal tuo stupido accento irlandese, penso. Lo sento
muoversi al mio
fianco e subito dopo sento un colpo. L’inconfondibile rumore
di un pugno sul
viso. Non credo che questo ci aiuterà a passare inosservati,
ma penso che per
ora ci passerò su. Tasto nuovamente il muro e trovo subito
la porta, che a
quanto pare era protetta da quel ragazzo. La apro piano, ma non mi
sembra che
ci sia qualcuno, così entro e la lascio aperta per far
venire gli altri. Dopo
aver acceso la luce, penso che Buck doveva essere più
preciso. Non c’è un computer.
Ce ne saranno almeno una
quarantina, se ci va bene. –Dite
che lo
fa ogni computer?- chiedo, incerta sulla mia stessa
richiesta.
-Dico
che lo fa il computer che ha
come password 7749795.- risponde Zayn
accigliato. Non posso che dargli ragione. È tutto troppo
complicato in questo
comando, non credo che i computer abbiano le stesse password.
Chissà come fanno
a ricordarsele.
Quindi
dovremmo provare ogni computer? Bah, se ci va bene sarà il
primo.
Ovviamente non era il primo. E neanche il secondo. Ma ventisette
computer dopo
riusciamo finalmente ad aprire quella maledetta schermata in cui Louis,
più
irritato che mai, digita ferocemente ‘Russia’.
Perfetto. Una cosa è andata, ora non ci resta
che tornare al treno. Se
non fosse che la porta è chiusa dall’esterno.
Proprio mentre sto per imprecare,
cade un foglio dalla cartella. ‘Potrebbe
volerci più di un giorno.’ Sì,
proprio sull’ultimo foglio dovevi scriverlo
questo, grazie tante. Passeremo la notte in una stanza piena di
computer e
radiazioni, che vuoi di meglio dalla vita?
-Bene,-
dico,
alzando e abbassando le braccia meccanicamente –Siamo
chiusi qui.- continuo
sorridendo, cercando così di sdrammatizzare.
-Cosa?!-
sbottano
insieme Niall e Louis. Cerco di sorridere per
farli, magari, un po’ calmare. Ma gli unici che mi sembrano
anche più calmi del
dovuto sono Harry e Zayn.
-Calmi.
Insomma, è confortevole
qui.- pessima
mossa. Ora sono ancora più
infuriati e la situazione degenera quando vedono il biglietto
‘Potrebbe volerci
più di un giorno’. Per qualche ragione,
però, presto più attenzione a Harry e
Zayn, perché sono davvero troppo calmi per i miei gusti. Ma
non ho tempo di
preoccuparmi di questo. E neanche di Niall e Louis, in
realtà. –Mettetevi
l’anima in pace e cercate un
posto comodo, dove dormire.- dico rivolta un po’ a
tutti. –Si, infatti.- dicono
Zayn e Harry
all’unisono, scambiandosi un’occhiata dapprima
divertita e poi indagatrice. Le
persone che dicono che le femmine sono complicate non hanno capito
proprio
nulla. Io non riesco mai a decifrare gli enigmatici comportamenti
maschili, ad
esempio. Ogni occhiata può essere fraintesa, ogni parola
presa per altre mille.
Altro che ragazze, sono i ragazzi quelli da rinchiudere!
Mi
sistemo in un angolino ben riparato della stanza e aspetto di prendere
il
sonno. Nel caso ci dovessimo alzare immediatamente abbiamo lasciato le
luci
aperte, quindi diventa più difficile chiudere gli occhi. I
posti degli altri
sono alquanto più azzeccati del mio. Niall si è
creato un letto con le varie
sedie e stessa cosa ha fatto Louis, sono in sintonia. Harry e Zayn
vagano
ancora distrattamente per la stanza. Alla
fine, Harry si decide a creare una postazione
con le sedie, a sua volta. E Zayn viene accanto a me.
Con
il passare dei minuti, sento sempre più gente russare.
Eppure io non riesco a
prendere pace. Già questo si può considerare un
imprevisto non poco grave. Ce
ne saranno altri? Andrà davvero tutto bene come speravamo? O
siamo stati
soltanto pazzi a voler intraprendere questa missione in campo nemico?
Almeno
finchè siamo a Bradford abbiamo un po’
più di protezione. Potremmo
scappare in ogni momento e riuscire
comunque a tornare a casa. Ma ho l’impressione che non
è da qui che dovremmo
scappare. –E’ un bel
guaio, eh?- sussurra
Zayn, accanto a me. Mi ero quasi scordata che fosse lì. –Intendo, chissà cosa
succederà a casa. Non ci vedranno, non saremo a
scuola. Un bel casino.- continua, più rivolto a
se stesso che a me. –Beh,
però ne vale la pena.- sospira
infine, guardandomi. Annuisco, non proprio convinta. Non sono
più nelle
condizioni di distinguere cosa vale la pena fare e cosa no. Chi sono io
per
giudicare chi deve morire e chi no? E chi è il governo per
poterlo fare? Non
dobbiamo condannare gli altri, quando i primi peccatori siamo noi.
Devono
morire tutti gli abitanti di Holmes Chapel, oppure l’intera
Inghilterra? Doug
l’ha messa su questo piano, ma d’altra parte non
credo che cambierebbe poi di
molto la situazione per cinque soldati in più. Io, Zayn e
Louis non aderiamo
sicuramente. Buck ormai è con noi. E Liam si
lascierà convincere da lui. Solo
cinque, non perde poi molto, l’esercito. Sì,
questa missione è giusta. Me ne
rendo completamente conto solo ora. –Sì,
ne vale la pena.- sussurro anch’io. –Ci
sono molte cose per cui vale la pena combattere…-
mi risponde Zayn. ‘Tipo?’
vorrei chiedere. Ma sarebbe
davvero giusto? Comportarmi così, come se non sapessi a cosa
allude? No, lo
farei sentire solo peggio. E l’idea che stia male non fa
altro che provocarmi
una morsa allo stomaco, è inconcepibile.
Cerco
una risposta da potergli dare. Qualcosa che non lo ferisca. ‘Alcune potrebbero essere messe da
parte’ ,
no, troppo cattiva. ‘Non tutte
quelle che
credi’ penso che si offenderebbe. Che posso
dirgli? Non voglio che si
creino malintesi, ma non voglio perderlo per nessuna ragione al mondo.
Che Buck
sia tornato o no non conta, è Zayn che è stato
con me per tutto questo tempo.
Certe cose non si dimenticano. Al contrario, vorresti sempre tenerle
con te.
Per questo non voglio perdere Zayn, che è diventato un punto
fermo, nella mia
vita.
Lo
guardo un po’ abbattuta. Non so proprio cosa rispondere. Lui
interpreta il mio
sguardo e lo capisce, come mi aspettavo. Però non mi
aspettavo che si
avvicinasse così tanto, così velocemente. Che
premesse le sue labbra sulle mie.
Che mi desse il mio primo bacio. Rimango a fissarlo un po’
sconvolta. –E questo, cosa
sarebbe?- chiedo.
-Un
‘ti voglio bene, amica mia.’-
risponde
Zayn tranquillo, sorridendo.
-Ci
sono altri modi per dirlo.- sussurro io. Poi sorrido a mia
volta, non so perché. E
poggio la testa sulla pancia perfettamente piatta di Zayn,
addormentandomi
all’istante.
Quando
mi sveglio, trovo tutti già alzati a parlottare. Zayn mi sta
accarezzando i
capelli, ed è molto rilassante, devo ammettere. Mi ricordo
improvvisamente
della ‘conversazione’ di ieri sera, quindi mi
sposto un po’ da Zayn e mi
concentro sugli altri. Parlano della missione. E non sembrano per
niente
preoccupati o altro, sono più che tranquilli. Mi chiedo che
razza di amici ho.
E rispondo immediatamente ‘i migliori’.
In
quanti avrebbero affrontato tutto questo con me? In quanti mi farebbero
stare
meglio con un solo sguardo, o anche meno? Nessuno.
Harry,
Niall e anche Louis. Non potevo chiedere di meglio.
Riguardo
Zayn… non so più come definirlo. ‘Ti
voglio bene, amica mia’. Un bacio sulla bocca
è tutto tranne un ‘ti voglio
bene’. Non che io sia esperta riguardo questo genere di cose.
Però questo lo
capirebbe chiunque. E la cosa ancora più strana è
che l’insinuazione che stia
nascendo qualcosa –cosa non lo so- non mi dà per
nulla fastidio. Anzi, mi
conforta il suo tocco ancora stabile sui miei capelli e mi consola
sapere che
lui ci sarà sempre. In fondo, la missione la stiamo facendo
lo stesso, quindi
cosa può esserci di sbagliato? Quali altre motivazioni ho
per rifiutarlo? Se
prima la risposta poteva essere ‘non
mi
piace’, ora non ce ne sono più.
-Buongiorno-
dico,
rivolta a tutti.
-Sveglia?-
mi
chiede Harry.
-‘Giorno!-
rispondono
Niall e Louis, quasi contemporaneamente.
Aspetto
qualche secondo, poi mi giro verso di Zayn per chiedergli, in tono
scherzoso,
come mai non mi avesse dato il buongiorno. Ma non posso parlare,
perché le sue
labbra sono di nuovo sulle mie. E stavolta il bacio dura di
più.
-Un
altro ‘ti voglio bene’,
ovviamente.- dico
ridendo, con il suo viso
ancora a un centimetro dal mio. –Dipende,
tu cosa vuoi che sia?- sussurra lui.
Gli
do un bacio sfuggevole e lui è tanto sorpreso dal gesto da
spalancare gli occhi
e allontanarsi un po’. –Non
so.- dico
infine. Mi restituisce il sorriso e ci accorgiamo
dell’improvviso silenzio che
regna nella stanza.
-Quindi
state insieme?- dice Harry inespressivo.
Si
sente un enorme contrasto con il tono della precedente domanda, quando
Niall
urla: -Congratulazionii!- si fanno
le congratulazioni quando ci si fidanza? E poi, stiamo davvero insieme?
Dopo
tre bacetti? Penso che sia solo un grande malinteso.
-Beh,
era ora!- esclama
invece Louis, facendo rabbuiare Harry ancora di
più. Ci manca solo che la nostra squadra si frammenti. Ora
di che? Non è
successo proprio niente. Tutte le cose che pensavo spariscono
gradualmente, guado
il viso triste di Harry e quelli felici degli altri. –Non
stiamo insieme.- dico infine, con tono inespressivo.
Anche
se non lo vedo, so che la mascella di Zayn si sta contraendo, dietro di
me. So
di aver causato confusione nelle teste dei ragazzi, che lavorano
frenetiche per
assimilare il tutto. So di aver reso felice Harry. So di aver salvato la
missione.
Perché se siamo divisi, non
riusciremo mai a fare niente di
buono. E i tempi in cui si poteva scherzare sulla morte sono finiti,
può essere
dietro l’angolo già in questo momento. –Usciamo
da qua.- dico alzandomi ed evitando accuratamente di
guardare Zayn. Come se
non lo sapessi già da prima, che l’amore rovina
tutto. Che avevo in testa? Come
ho potuto credere, anche solo per pochi secondi, che quella fosse la
cosa
giusta da fare? L’amore non è mai la cosa giusta.
L’amore complica tutto.
-Beh,
credo che abbiamo un
problema.- esclama
Louis piano, dopo aver
aperto la
porta. Come
se non ne avessimo per niente. Un problema in più, uno in
meno, che vuoi che
sia? E poi, cosa può essere di così grave?
Il
ragazzo che Harry ha steso. È davanti a noi, con un labbro
sanguinante e il
naso, probabilmente, rotto. Non è un brutto ragazzo, ha i
capelli corvini e gli
occhi color nocciola, profondi quasi quanto quelli di Zayn e dolci al
pari di
quelli di Liam. –Chi siete?- domanda,
con un tono di accusa nella voce. Eppure, noto, i suoi occhi non
perdono la
dolcezza che mi ha colpito. Decido di non mentire, per risparmiare
tempo. –Veniamo da Holmes Chapel.
Siamo in missione,
ci serve il vostro treno.-
-Interessante.
Sono già passati dei
ragazzi di Holmes Chapel, tempo fa.-
-Si,
Liam e Buck. Sono nostri
amici, dobbiamo completare la loro stessa missione.-
-Io li
ho aiutati, verrò anche con
voi.-
Stavolta
sono io a considerare interessante ciò che il ragazzo ha
detto. Non si è
presentato. Non ha fatto una domanda. Nonostante gli occhi dolci,
sembrava più
una minaccia. Del tipo ‘Se non mi
fate
venire dico a tutti che siete qui’. E io non
vorrei rischiare. So che anche
gli altri stanno valutando le parole di questo estraneo apparentemente
buono.
Ma è buono davvero? Come possiamo saperlo?
Scambio velocemente un’occhiata con Niall, Harry e Louis. Ma
è Zayn, dopo
essersi reso conto che non avrei guardato anche lui, a parlare. –D’accordo, andiamo.- Ha
preso la
decisione da solo, con voce ferma e fredda. Non si è
consultato con nessuno. E
nessuno se la sente di controbattere. Perché tutti sappiamo
qual è il suo stato
d’animo attuale, per colpa mia. Ora mi rendo conto che la
scelta era fra far
stare male Harry o far stare male Zayn. E io ho scelto Zayn.
Nonostante, lo
ammetto, sia innamorata di lui. Perché l’ho fatto?
La risposta mi balena in
mente e mi accorgo di essere una persona orribile. Perché
Zayn mi avrebbe
seguito, ascoltato comunque. Ciò che Harry avrebbe fatto
sarebbe stato
imprevedibile. Ho schifo di me stessa come non mai, ora.
-Bene,
con me sarete al sicuro.- dice il ragazzo. –Finchè
siamo qua.-
Riprendo
a concentrarmi su di lui. Chissà se è stato
medicato, dal sangue coagulato di
labbra e naso si direbbe di no. Mi avvicino a lui e pulisco il sangue
con la
manica, poi gli chiedo come si chiama. Alexander. Provo a chiamarlo
Alex, ma
ripresenta Alexander. Perfetto, nessun nomignolo. Prendo la cartella di
Buck e
seguo Alexander fuori dalla porta. È mattina ormai, eppure
il corridoio è buio
proprio come ieri notte. Strano. Quando raggiungiamo il treno, saliamo
e appena
si chiudono le porte, parte immeditamente. –Quindi…
sei stato con Liam e Buck la scorsa volta?- chiede Niall e
capisco che è
per far conversazione, più che per saperlo veramente. –Si, li ho aiutati. È grazie a
me che sono vivi.- risponde
Alexander con un sorriso. I suoi occhi mi portano a credere a ogni cosa
che
dice, gli dà un grande vantaggio questo. Mi portano a
fidarmi di lui. Ci vuole
più di quanto siamo abituati, per arrivare. Saranno passati
uno o due minuti.
Un tempo improponibile, con l’imbarazzo che regna. Nonostante
Alexander e Niall
stiano sostenendo una conversazione sorridendo, tutti gli altri sono
molto
tesi. Louis guarda Zayn preoccupato, quest’ultimo
–d’altra parte- fissa
ostinatamente il vuoto. Harry sembra piuttosto sereno adesso, mentre
segue la
conversazione di Alexander e Niall. Io? Non so cosa sto facendo io. Un
po’ di
tutto. Ascolto a tratti le voci che si susseguono. Scruto velocemente
Zayn.
Cerco di stabilire un contatto visivo con Louis, chiedergli scusa,
perché so di
aver deluso anche lui. Alla fine non riesco a fare niente. Siamo
arrivati e mi
sforzo di concentrarmi su di questo, siamo
in Russia.
Scendo
dal treno, come ha detto Buck, siamo in un parco. Anche questo
è piuttosto
buio, nonostante sia mattina. Chissà che ore sono. Non che
ora devo
concentrarmi su questo. Ricordo cosa devo fare: ‘Cerca l’albero con inciso
‘JKRJK’. Quando sei davanti all’albero,
avrai
una strada alla tua destra e una strada alla tua sinistra. Vai a destra
e cammina
dritto finchè non vedi un edificio completamente
viola.’
Qua
ci sono un milione di alberi, chissà quanto ci
vorrà a trovare quello che ci serve!
Ovviamente non avevo considerato che ci fosse Alexander che subito
s’incammina
e ci invita a seguirlo. Camminiamo per qualche centinaio di metri, poi
Alexander si ferma e ci indica la strada da prendere. Guardo
l’albero davanti a
noi e vedo la scritta JKRJK, siamo nel
punto giusto. Ciò che non mi quadra è la
strada che Alexander ci sta indicando. La strada di sinistra. Mentre
Buck aveva
detto di prendere quella di destra e se non mi sbaglio anche qualcosa
su quella
di sinistra. Che non dovevamo assolutamente prendere, o cose
così. Eppure
Alexander si sta dirigendo verso quella.
-Avanti!-
ci
incita.
-Buck
ci ha detto di prendere la
strada di sinistra.- ribatte subito Zayn.
-Si
sarà sbagliato. Ci sono stato
anch’io, ricordate? Fidatevi, andiamo.-
Ed
è questo il problema. Io mi fido. Mi basta guardarlo per
fidarmi. Zayn invece
non sembra così disponibile nei suoi confronti. –E se non mi fidassi?-
-Sbaglieresti.-
risponde
Alexander, fermo.
Così
lo seguiamo, nella strada di sinistra. Nella strada che, ricordo ora,
non
dovevamo neanche guardare.
Questa
strada mi fa venire un senso di claustrofobia peggiore del corridoio
presente
nel comando di Bradford. Posso toccare entrambe le parti del muro,
tanto che è
stretto. Ed è buio. Ma stavolta mi sento inquieta.
Perché questo non era
previsto da ciò che ha scritto Buck, questo è
tutto quello che ci ha
raccomandato di non fare. Tengo stretta la mano di qualcuno. Non so chi
è e in
questo momento non m’interessa tanto. Sono sicura solo che
non è Alexander, di
cui sento i passi davanti a me. E spero che non sia Zayn,
perché non farebbe
altro che distruggerlo ulteriolmente.
Proprio
quando penso che questa strada non abbia una fine, mi ricordo di una
cosa
fondamentale, presente nelle mie mani. Buck nella sua cartella ha messo
foto con
i volti di cui mi posso fidare e di cui non posso fidarmi.
Perché non mi sono
ricordata prima? Che stupida.
-Avete
una luce? Devo leggere una
cosa.- chiedo.
La mano che sto tenendo si
allarga un pochino, prima di tornare a stringermi, più forte
di prima.
-Tieni,
ma fai in fretta, ho poca
batteria.- mi
risponde Alexander.
Interessante, a Bradford permettono di avere dei telefoni personali.
Noi
abbiamo solo quello fisso. Che possiamo usare solo per parlare con il
sindaco,
se è molto importante.
Premo
un tasto qualsiasi, infine chiedo aiuto per sbloccarlo. Quando ho la
luce,
faccio tenere il telefono a Louis, mentre apro la cartella.
Giro
i vari fogli, infine
trovo il suo. Alexander. NON FIDARTI
ASSOLUTAMENTE.
Sconvolta,
chiudo la cartella.
Punto, per un momento, la
luce su Alexander, poi gli
restituisco velocemente il telefono. Abbiamo fatto un passo falso.
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Capitolo 16 *** Si dice 'le' taglio la gola. ***
So
che anche Louis ha visto la descrizione della foto. Così
come Zayn, che
continua a tenermi la mano, adesso. Una tacita domanda scorre fra noi: cosa facciamo?
-Dobbiamo
andarcene prima di
arrivare alla fine della strada.- sussurra
Louis al mio orecchio e a quello di Zayn, avvicinandoci. –Correte,
al mio via. Lo dico agli altri.- dice infine. Lo sento
muoversi dietro di me, mentre Alexander continua a procedere.
Succede
tutto in un attimo. Louis urla il via. Tutti iniziamo a correre ed io
non mollo
la mano di Zayn. Alexander ci urla contro qualcosa arrabbiato e, in
qualche
modo, so che in questo istante i suoi occhi non sono poi tanto dolci.
Corro
frenetica, e la strada sembra ancora più lunga. Louis, Harry
e Niall erano
dietro di noi, quindi ora corrono davanti a noi. Di conseguenza, i
passi che
vengono da dietro sono di Alexander e chissà chi altri.
Perché sono troppi i
rumori che sento.
Inizio
a sentire male a un fianco, ma non demordo. Almeno non
finchè mi afferrano un
braccio. La presa è forte ma continuo a correre e
strattonarlo, sperando che mi
lasci. Quando vedo la fine della strada, la speranza si accende in me.
Ce la
possiamo fare. È proprio all’ultimo,
però, che si ribalta la
situazione. Mi
strattonano forte, sento le dita di Zayn staccarsi dalle mie, dopo un
ultimo
tentativo di tenermi stetta. Sono scossa, strattonata e infine mi
poggiano un
coltello sulla gola. Siamo fuori dalla strada, ormai, e
c’è più luce in giro. –Seguiteci,
o gli taglio la gola.- sussurra
l’uomo che mi tiene. Non è Alexander. –Si
dice ‘le taglio la gola’.- sussurra Zayn
a denti stretti. Penso che in
questo momento la grammatica non sia la nostra priorità, no.
–Lasciala andare.- dice
dopo, più
convinto. –Ragazzino, non ti
conviene
fare il duro con noi. Venite spontaneamente, oppure…- preme
il coltello
sulla gola e sento qualche goccia di sangue uscire, mentre quel punto
mi
brucia. Non oso guardare gli altri. Da un lato voglio che continuino la
missione, anche senza di me. Dall’altro, non voglio morire. E
non so che
segnali potrebbe mandare il mio sguardo in questo momento. Mi limito a
non
muovermi, perché potrei peggiorare la situazione che
già è degenerata.
-Fermati!-
urla
Zayn, prima che l’uomo posi il coltello più in
profondità. –Veniamo,
veniamo.- presumo
che dovremo rientrare in quella strada e non mi va per niente. Ma non
sono
nelle condizioni di oppormi poiché, anche se hanno
accettato, l’uomo continua a
tenermi stretta. Per mia fortuna, non ci inoltriamo nel buio. Prendiamo
un’altra via per arrivare dall’altro lato.
Alexander spiega che prima eravamo
andati là per non vedere questi uomini e che ormai, quindi,
non ha più senso
camminare nel buio. In fondo non è male, essere portata in
braccio, senza dover
camminare. Se non fosse che non so dove stiamo andando, siamo in
territorio
nemico e, più precisamente, nelle
mani nel nemico. Se non fosse che almeno io, Zayn e Louis abbiamo una
reale
causa che ci ha portato qui. Niall e Harry sono qui unicamente per
colpa mia.
Camminiamo,
o meglio, camminano, per un bel po’ di tempo. Quella strada
non sembrava lunga.
Era lunga.
Chissà
che sta pensando Buck, non avendomi visto a scuola. Di sicuro ha capito
che ho
intrapreso la missione. Sarà
preoccupato? Immagino di sì. Ma non immaginava questo.
Probabilmente sapeva che saremmo rimasti a Bradford, e là
eravamo al sicuro.
Poi aveva dato precise indicazioni. Sia sulla strada da prendere, sia
su chi
fidarci. E noi non le abbiamo rispettate. Sono sicura che non
immaginasse
questo.
D’altronde
io stessa mi meraviglio di quanto siamo stati sconsiderati. Di quanto sono stata sconsiderata. Non mi sono
forse fidata subito di Alexander? Non ci ho messo qualche secondo per
farmi
convincere a prendere la strada sbagliata? Deve essere abituato a
mentire. È il
primo che riesce a raggirarmi in questo modo. Forse è per
questo che Buck al
‘non fidarti’ aveva aggiunto
‘assolutamente’. Sapeva che era pericoloso. In
fondo è più pericoloso chi riesce a convincere le
persone con le parole,
piuttosto che con la violenza. Ha il mondo
tra le mani.
Entriamo
in una casetta abbastanza carina all’esterno e terribilmente
misera
all’interno. Ora posso vedere bene chi siamo. Noi, Alexander
e due uomini che
ne valgono venti. La prima cosa che noto è che non chiudono
la porta a chiave.
Evidentemente non pensano che proveremo a scappare. Beh, io non potrei
farlo
senza ritrovarmi un coltello fino alle corde vocali. Ma magari gli
altri ce la
farebbero.
-Allora,
che volete? Tu non sei di
Bradford? Perché ci hai teso quest’imboscata?- dice Harry.
-Beh,
senza Holmes Chapel il nostro
sarebbe il comando più importante di tutta
l’Inghilterra. Contando che siamo
solo noi due e Oxford la concorrenza non è molta. E
poiché Oxford è irrilevante,
gli unici da eliminare siete voi. Quando abbiamo saputo del piano di
Liam e
Buck… ahhh, si che eravamo felici. E ora non vi permetteremo
di rovinare
tutto.-
spiega Alexander.
-Questi
due- dice
Harry indicando, con un cenno del capo, i due omoni
alle spalle di Alexander. E guardando, di conseguenza, me, che sono
trattenuta
da uno di loro. –Sono di Bradford?-
-Si.- risponde
Alexander. –Ma tu non sei di Holmes
Chapel. Sei
irlandese.-
-Io e
lui.- dice
Harry indicando Niall.
-Biondo,
occhi azzurri… sì, dovevo
immaginarlo.-
-E’
tinto.-
Non
capisco la piega che sta prendendo la
conversazione. Capelli. Che
c’entrano i capelli ora? A chi interessa? Perché
non
chiedono subito cosa intendono fare con noi? Perché non
arrivano al punto? Sono
troppo spaventata per parlare, altrimenti lo farei io. Ma il coltello
è così
vicino alla gola che ho paura che solo deglutire mi porterà
a toccarlo. Oso
guardare Zayn. Ovviamente il suo sguardo preoccupato era già
posato su di me.
Lo guardo in modo così eloquente che anche un cretino
capirebbe ciò che sto
cercando di dire. Chiedeteglielo! Cosa ne
sarà di noi? Ma
lui non muta la sua
espressione. Il che mi fa pensare che ha, o hanno, già un
piano.
Inizio
a convincermi che sarò morta prima che faccia buio e non
è un pensiero molto
gradito, in realtà.
Alexander
e gli altri stanno continuando a parlare, ma io non li ascolto. Mi
concentro su
Zayn e cerco di capire quale possa essere il piano. Non ci sono molte
possibilità in realtà. Per come la vedo io, siamo
in un vicolo cieco. Ma forse
loro hanno più vista di me. E forse, adesso ci arrivo, tutto
questo parlare è
solo un diversivo. È probabilissimo. Ma un diversivo per cosa, esattamente?
È
passato un bel po’. Non vedo un orologio da qualche giorno,
ma sono sicura che
almeno due o tre ore siano trascorse, tra le chiacchere
–sempre più
spensierate- dei ragazzi. Sono tutti seduti o sdraiati a parlare
allegramente.
Eppure l’uomo che mi tiene continua a rimanere in piedi. Non
si è stancato? E
il braccio non gli fa male? A me iniziano a far male le gambe. Sono
quasi
tentata di chiedergli di prendermi in braccio nuovamente. Ma qualcosa
stranamente mi ferma. Non so se è vedere il suo volto
burbero riflesso sulla
parete. O sentire la punta fredda del coltello che persiste sulla mia
gola. O
costatare che né le sue gambe né il suo braccio
sono stanchi. È un vero
portento, questo gli va riconosciuto.
Inizio
a sentire i crampi allo stomaco per la fame. Ho
saltato la colazione e sono sicura che
anche l’ora di pranzo sia passata da un pezzo.
A un tratto, con mio grande imbarazzo, il mio stomaco
emette un
brontolio che fa fermare a mezz’aria persino le parole dei
ragazzi. –Scusate.- dico
a bassa voce per la
paura del coltello e con le guancie in fiamme per
l’imbarazzo.
-Jody,
lasciala.- ordina
Alexander. Lui comanda loro che sono venti volte la
sua stazza? –Vai a prendere il
pranzo.-
Le
ultime cinque parole suonano così bene che mi sento quasi
leggera. E sono
talmente sollevata di non avere un coltello puntato sulla gola che
potrei
librarmi in aria in questo momento. –Posso
sedermi?- chiedo, quasi timidamente, ad Alexander. Mi fa
cenno di sì. Posso
costatare che è felice di questo potere che ha.
Dimentico
quello che ho detto stamattina - forse è stato tutto
già cancellato da quando
mi ha tenuto la mano- e mi butto a capofitto tra le braccia di Zayn che
mi
accolgono, familiari, amiche, confertevoli. Immergo il viso nella sua
giacca e
resto così fin quando non arriva il pranzo. Stavolta non
riesco a capire
quant’è passato, ma di certo non molto. Non
rispetto alle altre volte in cui ho
‘contato’ il tempo.
Anche
se viene da una semplice busta, il pranzo è un vero e
proprio pasto regolare.
Manca la prima portata, però c’è roast
beef in abbondanza per tutti e le patate
avanzano pure. Infine, mangiamo anche un po’ di frutta.
Direi
che quando ti sequestrano ti fanno mangiare bene, perché
posso ritenermi
davvero soddisfatta.
Sto
per immergermi di nuovo tra le braccia di Zayn, quando Jody mi tira su.
Ha di
nuovo il coltello in mano. Ma è proprio necessario? Mi
faranno anche dormire in
piedi, come un cavallo? Mmm, chissà se Jody dorme. Non ha
mangiato, quindi
forse non ha bisogno neanche di dormire. Mi costringerà a
restare sveglia? Solo
all’idea impallidisco. Senza la bevanda, non posso resistere
tutta la notte.
Ricordo
distrattamente di aver visto un thermos nell’armadietto di
Buck, magari aveva
pensato anche a questo. Ma non ci abbiamo pensato noi. –Posso
almeno sedermi?- chiedo, sull’orlo della
disperazione.
L’attenzione di tutti è rivolta di nuovo a me.
Beh, non credo di aver chiesto la luna. O
forse si? Magari
per come ragionano loro sì. Ma in ogni caso io non posso
stare in piedi per
sempre.
Eppure
capisco che l’espressione sconcertata di Alexander non
è rivolta a me, ma a
Jody. –La stai facendo stare
alzata? È
così che si tratta una signora?- parole da vero
gentiluomo, se non contiamo
che sono pronunciate dallo stesso ragazzo che ha ordinato di puntarmi
un
coltello alla gola.
Comunque
sia, alla fine riesco perfino a ottenere di stare sdraiata accanto a
Zayn. E
cerco di non guardare la pistola che Jody, seduto su una sedia sopra di
me, mi
punta alla testa. Finchè sono fra le sue braccia,
andrà tutto bene, lo so.
Cerco
di convincermi che se Zayn è così calmo vuol dire
che ha un buon piano, quindi
mi tranquillizzo ancora di più. Anche se, devo ammettere,
che tutte le mie
paure sono passate da quando sono tra le sue braccia. Persino la
pistola
puntata al mio capo passa in secondo piano. –Tranquilla.-
mi dice Zayn. E poi mi dà un bacio.
Perché sa che ora
non lo rifiuterei. Perché, nonostante lo abbia fatto
soffrire, sa che sono
innamorata di lui e ho detto quelle parole solo per Harry.
Perché sa capirmi sempre
e comunque.
La
giornata trascorre tranquilla. In realtà, è forse
la più tranquilla da quando
ho sei anni. Nessuno chiede fin quando staremo qui, perché
–chi prima, chi
dopo- ci siamo arrivati tutti. Quando usciremo da qui, tre di noi non
possederanno una casa, dove tornare. Quando usciremo da qui, Holmes
Chapel non
esisterà più.
Ho
sempre una pistola puntata alla testa, o al cuore a volte, ma non sono
mai
stata così tranquilla. Perché so che non
sparerà. Non finchè io non proverò a
scappare. Quindi sto bene così. Con Zayn e i miei amici e
cibo a sufficienza.
Una pausa dalla mia vita frenetica. Anche se stiamo fallendo la missione. Ma
arrivati
a questo punto, non credo che sia più possibile riuscire. E
con l’arrivare
della sera e della cena, penso che alla fine Zayn neanche lo avesse un
piano. L’avrebbe
già attuato, no? O sta aspettando il momento giusto? Beh, in
ogni caso, io sto
bene anche così. Assaporo per la prima volta la brezza di
avere una vita
normale.
Quando
arriva l’ora in cui solitamente mi reco al comando, capisco
che però non mi
piace per niente. Sono fatta per vivere nel pericolo, avere
costantemente le
vene cariche di adrenalina. Stare ferma non è da me. Inizio
a diventare
claustrofobica. Mi sento oppressa. Non mi piace non poter uscire. Mi
alzo e
cammino. In avanti e in indietro. Dopo aver pensato che volessi uscire,
Jody si
calma perché capisce che non è così.
Ma la pistola non la abbassa. Io,
d’altra
parte, continuo a camminare. Per tutta la sera. Per
tutta la notte, o quasi. Mi fermo solo
quando Zayn mi guarda e apre le braccia. Mi tuffo di nuovo su di lui e
mi
addormento all’istante, come mi capita solo quando
l’ho vicino.
Il
giorno dopo, sono svegliata a mezzogiorno. Lo so perché
finalmente la casetta è
stata corredata di orologio. Il pranzo è già
servito. È la prima volta che mi
sveglio con il pranzo. Più che altro, è la prima
volta che mi sveglio così
tardi. Bello provare nuove esperienze. Eppure, non riesco a mangiare,
né a
sentirmi a mio agio. Mi sono appena svegliata. Devo farmi una doccia,
lavarmi i
denti, pettinare i capelli. Sono pur sempre una ragazza. Non posso
restare
sporca. –Mi sono appena svegliata.-
dico.
–Devo lavarmi.- stavolta
sono più
decisa, quando mi rivolgo ad Alexander, può fare tutto, ma
non impedirmi di
curare me stessa. M’indica il bagno, senza dire una parola.
Come se non sapessi
che fosse là. –Mi
servono un
accappatoio, un bagnoschiuma, uno spazzolino e un pettine.- aggiungo,
perché è meglio specificare.
-Bene.
Jody vai a prenderle tutto.
E anche per loro.- dice Alexander indicando gli altri.
Le sue cose devono essere già in bagno.
-E della
biancheria!- urlo prima che
Jody chiuda la porta. Se
c’è una cosa buona che ci hanno insegnato a Holmes
Chapel è che la pulizia
viene prima di tutto. Per questo sospiro di sollievo quando Jody
ritorna,
prendo le mie cose e mi dirigo nel bagno. Faccio una tra le doccie
più lunghe
della storia e mi avvolgo nel mio accappatoio nuovo di zecca.
È arancione e
profuma di albicocca, un classico. Mi lavo i denti accuratamente.
Cambio la
biancheria e rimetto i miei vestiti. Pettino i capelli uno a uno. E
continuo a
stare in bagno finchè la mancanza di Zayn supera la paura
della pistola. –Cercavi un modo per
aprire la finestra?- mi
chiede Alexander con un mezzo sorriso, quando rientro nella stanza. –C’è una finestra?- chiedo
distrattatemente. Devo essere molto convincente, perché non
protesta più. Vado
di nuovo accanto a Zayn, ma sorprendentemente lui si alza. –Dove vai?- gli chiedo
sbuffando. –In bagno, non sei
l’unica a doverti lavare.-
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Capitolo 17 *** Piano B ***
-Zayn- sussurro, mentre tutti tranne Jody
dormono. –Ma il tuo piano?-
-Il nostro piano.- mi corregge,
indicando gli altri. –Tranquilla.- mi
rassicura dopo. Sì, sto tranquilla. Soltanto mi piacerebbe
sapere almeno
qualcosa, senza essere all’oscuro di tutto. Non posso aiutare
così e se non
aiuto non servo a niente. E non voglio, per nessuna ragione al mondo,
sentirmi
inutile. È la condizione peggiore del mondo, non poter far
niente. Ma lo sopporto,
perché non ho altra scelta. E perché mi fido di
Zayn e di tutti gli altri. Lo
sopporto e aspetto che attuino questo stupido piano, nonostante non
abbia,
ormai, molta pazienza. Da quanto siamo qui? Due giorni? Mi pare di
sì. E io
sono ancora sorvegliata. Anche se non mi punta la pistola ora,
probabilmente
perché è troppo stanco. Sistemo meglio il viso
sul petto di Zayn e lo abbraccio
per assorbire il suo calore. Fa freddissimo. Non per questo si sono
preoccupati
di darci delle coperte, ovviamente. Alexander e l’omone senza
nome dormono
tranquillamente su dei materassi, con delle coperte imbottite al
massimo, che
sembrano davvero molto molto calde. Intanto, noi muoriamo di freddo e
Jody non
dorme per niente.
Sento
il respiro regolare e più calmo del solito di Zayn e capisco
che si è
addormentato. Cerco di calmarmi un po’ e miracolosamente, con
i denti che
sbattono, riesco anch’io ad addormentarmi.
Il
giorno dopo ho -per tutto il tempo- uno strano senso di dejaa-vu.
Facciamo le
stesse cose di ieri ed è un po’ straziante. Sembra
davvero una specie di
vacanza con i miei amici, anche se siamo chiusi in casa, dobbiamo
sussurrare
invece di parlare e siamo sorvegliati da due omoni e una pistola. Non
riesco a
rilassarmi completamente, però. Perché penso a
cosa starà succedendo a casa,
chissà cosa si sono inventati. Chissà cosa
pensano ora i miei genitori, o
Terrie. Povera piccola Terrie, la additeranno a scuola
perché sua sorella è
scomparsa. E le stesse persone parleranno tranquillamente con Buck e
Liam,
anche se loro sanno di questo. Perché scommetto che ormai
Buck gli ha detto
tutto, non può nascondere qualcosa a Liam, è
contro la sua natura. E Phillips?
È arrabbiato? Immagino di sì. Spero solo che
tutto questo non sia inutile, che
riusciremo a farcela. Che i ragazzi riescano ad attuare questo
misterioso
piano. E, soprattutto, che funzioni.
Alexander,
Jody e l’uomo senza nome sembrano piuttosto tranquilli, in
ogni caso. Molto
rilassati. Ogni tanto parliamo anche un po’. O almeno parlano, perché io non ho
intenzione di rivolgergli la parola.
Nemmeno di
guardarlo, in realtà, non voglio cadere vittima dei suoi
occhi. Mi basta
esserlo di quelli di Zayn.
Però,
devo ammetterlo, dopo altri due giorni di solita routine senza poter
uscire né
fare nient’altro, mi sono davvero stufata. Inizio a camminare
avanti e indietro
sempre più spesso e ormai neanche Zayn riesce a farmi
sedere. Anche perché sono
arrabbiata con lui. Con lui e con tutti gli altri. Non capisco
perché siamo
ancora qua, perché non hanno attuato il loro splendido
piano. E sono arrabbiata
anche con me stessa, poiché non ho pensato a nessun altro
piano di riserva.
Conto
i giorni che passano così come le ore e i minuti, anche se
non ce ne sarebbe
bigosno, visto che adesso abbiamo anche un orologio in casa. Ma che
altro posso
fare qui? Quando, secondo i miei calcoli, sono le nove e mezzo di sera,
mi
stendo per terra. Controllo l’orologio, per sicurezza.
Sì, sono le nove e
mezzo. Penso con nostalgia al campo e mi addormento.
Nel
momento stesso in cui Zayn mi scuote, capisco che
c’è qualcosa che non va. Di
certo non tengo il conto anche di notte, ma sono sicura che non sia
mezzogiorno. Sia perché non viene luce dalla finestra, sia
perché fa ancora
troppo troppo freddo, sia perché dormono tutti, sia
perché mi accorgo di aver
riposato di meno rispetto agli altri giorni. –Alzati
e chiama gli altri, ce ne andiamo.- mi sussurra Zayn
velocemente. Ah. È questo il grande piano? Il piano per cui
ho aspettato quasi
una settimana? Alzarsi nel bel mezzo della notte e, semplicemente,
andare via?
Non commento perché sono troppo stanca perché
possa farlo. Comunque, questo magnifico piano
potevamo farlo anche il
giorno dopo essere venuti, senza aspettare tutto questo tempo.
Mi
alzo con la schiena a pezzi. Non vedo l’ora di tornare a
dormire sul mio letto
comodo, non c’è niente di meglio. Passo oltre i
corpi addormentati di Alexander
e dell’uomo senza nome e scuoto piano Niall. –Svegliati-
sussurro. –Svegliati!-
Dopo una quindicina di secondi apre gli occhi e si alza in
piedi, senza bisogno
di spiegazioni. Ripeto la stessa operazione con Louis, mentre Zayn sta
cercando
di far alzare Harry, che ha il sonno più pesante. Quando
siamo tutti in piedi,
ci incamminiamo verso la porta, Zayn la apre, usciamo tutti e Louis se
la
chiude alle spalle. È stato tutto talmente semplice che ho
ancora la strana
illusione di essere in casa. È stato tutto talmente semplice
che sono altamente
innervosita per non averlo potuto fare prima.
Afferro
le braccia di Louis e Niall, convinta che Zayn e Harry mi seguiranno e
li
trascino un po’ più lontani dalla casa. Appena
siamo abbastanza lontani da
poter urlare senza essere sentiti da loro sbotto: -Allora?!
Perché avete aspettatato così tanto?!- li
guardo uno ad
uno e anche loro si scambiano occhiate, come se sapessero che gli avrei
fatto
quella domanda. –Secondo te nei
primi
giorni Jody dormiva?- mi chiede Harry, finito il simpatico
giro di sguardi.
–Cosa?- chiedo, confusa.
E sono
confusa davvero. Che significa questo? –Stava
sveglio tutta la notte, a osservare Alexander, anche se questo non me
lo
spiego. Comunque era sveglio, e non potevamo fare niente.-
Bene, capito. I
nostri… i loro piani sono stati ostacolati
dall’insonnia di Jody, in poche
parole. Perfetto. Ora preferisco allontanarmi da qua il prima
possibile.
È
molto buio, saranno le due o le tre del mattino. Avendo visto questo
quartiere
solo con la luce, nessuno di noi sa orientarsi per trovare la strada da
cui
siamo venuti, quella non buia e stretta. Non ho nessuna voglia di
entrare in
quella strada, ma purtroppo siamo costretti, se vogliamo andare via da
qui.
Quindi, controvoglia, ci avviamo verso il vicolo buio, che si trova
facilmente,
procedendo sempre verso avanti. Alla destra e alla sinistra del vicolo,
ci sono
dei muri lunghissimi e alla fine di uno di loro, probabilmente,
c’è la strada
non-buia. Però potrebbe non essere là. E nessuno
se la sente di rischiare,
quindi andiamo sul ‘sicuro’ e ci immergiamo nel
buio più totale del vicolo. Mi
guardo spesso indietro e appena non si vede più
l’inizio del vicolo afferro con
violenza la mano di Zayn e la stringo forte. Sento i passi dei ragazzi
davanti
a noi, e questo va bene. Quello che non va bene
è… la mia sensazione. Come
se ci stessero seguendo. Come se ci fosse qualcuno
dietro di noi che, tecnicamente, chiudiamo la fila. Non
è una bella
sensazione, ineffetti. –Zayn,
secondo te
siamo soli qui dentro?- sussurro.
-Io non
ho la minima idea di quello
che succeda qui dentro.- mi risponde. –Ma
lo spazio è strettissimo, non credo che
ci passerebbero altre persone.-
-Sì,
ma potrebbero precederci o seguirci.- continuo.
-Tranquilla,
finchè ci sarò io
nessuno ti farà del male.- mi rassicura
Zayn. Spero sia vero. Comunque, Alexander non mi ha fatto niente alla
fine.
Quindi forse Zayn ha ragione, con lui sono al sicuro. E, forse,
è proprio
perché ho pensato questo che qualcuno mi tappa la bocca. Penso
di
essere al sicuro e che succede? Vengo afferrata. Non potevo sperare di
peggio,
in un vicolo buio. Potrei essere accoltellata senza che nessuno se ne
accorga.
Ma qualcuno lo fa, perché la prima cosa che faccio
–d’istinto- è stringere di
più la mano di Zayn, fino a quasi stritorarla.
-Mmmm
mmmmm!!- grida
lui, e capisco che ha la bocca tappata come me. Mi
strattonano e perdo il contatto con la sua mano. Ora posso iniziare a
disperarmi. Scalcio, provo a urlare, mi dimeno in ogni modo possibile,
ma non
mi mollano. Sento parecchi colpi provenire da dietro, penso che anche
gli altri
stiano provando –a modo loro- di liberarsi. Chi sono questi
uomini? Dove ci
stanno portando? Non ho il tempo di pensare altro, perché un
colpo alla testa
mi fa svenire.
Quando mi sveglio, siamo di nuovo alla fine del vicolo, dal lato che
porta a
casa di Alexander. Non
riesco a guardare
l’uomo che mi tiene, ma vedo gli altri. Sono tutti della
stazza di Jody e
dell’uomo senza nome, forse un po’ più
magri. Sono sicuramente degli altri uomini
di Alexander, che deve aver già scoperto la bella sorpresina
di stamattina. Il
sole non è ancora sorto, si sveglia presto.
Chissà come ha fatto a svegliarsi
Zayn, invece, contando l’ora che era e che non aveva la sveglia. Lo
guardo e
mi accorgo che ha un livido su un occhio. Niall e Louis hanno le labbra
sanguinanti. Dal naso di Harry escono fiotti di sangue che mi fanno
venire la nausea. Devono aver
avuto un bel dibattito con gli uomini, dentro il vicolo. Il meno grave
è Zayn,
ma Harry andrebbe medicato subito. Ci si può dissanguare
tramite il naso? Se
continua così, penso di sì. Vedo che sta provando
a far cessare il sangue
strofinandosi il naso con una manica, ma la situazione sembra solo
peggiorare.
Gli faccio cenno di tamponare. Mi ringrazia.
Sono
sicura di avere anch’io un brutto livido sulla fronte, ma non
è di questo che
m’interesso. M’interesso di aver trascinato i miei
amici in tutto questo.
M’interesso di averli trascurati tutto il tempo per stare con
Zayn. M’interesso
del fatto che appena torneremo da Alexander, sicuramente lui non ci
tratterà
molto bene.
O
forse mi sbagliavo.
Appena
entriamo in casa, lui ci accoglie con un sorriso e ci fa sedere, come
se non
fosse successo niente, come se non avessimo provato a scappare.
-Beh,
ora sapete cosa succede.- dice, sempre sorridendo. –Che ne dite di dare una pulitina a
questo posto? E’ diventato
sporchissimo.- Noi scappiamo e lui ci chiede di pulire. Ci
chiede di
pulire. Lasciando stare che è già
un’assurdità in sé, perché
non ho mai pulito
e non inizierò a farlo per lui. Ma è incredibile
anche il contesto in cui ha
inserito la richiesta. Sospettavo
fosse pazzo, e ora ne ho la piena
conferma. Pff, pulire!
-Io non
pulisco proprio niente.- dichiaro.
-Davvero?
Bene, allora tu inizierai
con il bagno, su.- ribatte Alexander senza smettere di
sorridere. È buffo il fatto che nel momento in cui lui
finisce di parlare Jody
alza la pistola e con quella mi fa cenno di entrare nel bagno. Sono
terrorizzata, ma cerco di sorridere anch’io. Per
sdrammatizzare. O forse per
non far trapelare la mia paura. Guardo un’ultima volta
Alexander e poi entro
nel bagno e chiudo la porta, senza dire nient’altro. Sento
Zayn chiedere di potermi
aiutare. Ovviamente la risposta è negativa.
Sono
entrata in questo bagno molte volte, ma in nessuna di queste mi
è sembrato così
sporco come ora. Cerco di focalizzare bene la
situazione. Qualcuno
non ha scaricato il gabinetto e quella è la prima cosa che
faccio. Penso che
dovrei anche lavarlo, ma non so proprio con cosa. Con che cosa posso
pulire un
gabinetto? Uno straccio? E dove lo trovo? Quasi mi vergogno di non
sapere la
più elementare – probabilmente – delle
cose. Però non è colpa mia, casa nostra
era sempre pulita, anche se non ho mai visto né mia madre
né mio padre
occuparsi di questo. Dovrei chiedere a qualcuno, ma Zayn e Louis di
sicuro sono
nella mia stessa condizione. Non so se Harry e Niall sanno qualcosa, ma
m’imbarazzerebbe troppo chiederglielo, in ogni caso.
‘Hey
Harry! Sai per caso come si
pulisce un gabinetto? Perché io non so assolutamente niente
dato che una fatina
puliva casa mia di nascosto.’
Abbastanza
imbarazzante. E soprannaturale. No, devo chiederlo a qualcun altro.
Siccome la
pistola di Jody e i muscoli dell’altro uomo mi spaventano
troppo, mi decido a
chiamare Alexander. Cammino piano verso la porta, per avere
più tempo per
pensare se sia una buona idea o meno. Mentre abbasso la maniglia,
però, capisco
che alla fine non ho altra scelta. Apro poco poco la porta, lo spazio
sufficiente per vedere con un occhio. –Alexander-
dico. –Puoi venire un
attimo?- cerco
di concentrarmi solo su di lui, anche se so che tutti, Zayn
soprattutto, mi
stanno guardando male. Alexander rimane fermo e mi guarda sorridendo.
Non
capisco il motivo, quindi apro un po’ più la porta. L’uomo
senza nome
è magicamente davanti a me e in un nanosecondo il suo
braccio mi stringe la
gola. –Perché devo
venire? Mi hai teso
qualche trappola?- in un primo momento penso che sia stato
l’omone a
parlare, poi –nonostante la poca aria che mi arriva al
cervello- riconosco la
voce di Alexander. In fondo, questi uomini non fanno assolutamente
niente senza
che lui glielo ordini. Le dita intorno alla gola fanno male e non
riesco a
respirare bene. Se sto così ancora un po’, non
respirerò per niente. Girò
lentamente la testa, prima a destra poi a sinistra. Il movimento
è stato
talmente impercettibile che non penso l’abbia notato.
Così urlo ‘No’
con
voce roca e bassa, anche se ho usato tutto il mio fiato. –Lasciala.-
dice Alexander, dopo aver aspettato che il mio viso
diventasse viola. Senza smettere di sorridere, cammina verso di me,
entra il
bagno e mi fa cenno di seguirlo. Tasto piano la mia gola, ancora
dolorante, e
sono consapevole che i segni resteranno per un bel po’ di
tempo. Guardo
Alexander mentre mi viene incontro e poi entra nel bagno, spingendomi e
chiudendo la porta.
-Allora,
tu ne sai qualcosa?- gli chiedo, vedendo il suo sorriso
diventare più ampio.
Cosa c’è di comico nel pulire un bagno?
-Dipende,
tu di cosa stai
parlando?- mi
chiede a sua volta, facendo un
passo verso di me.
-Siamo
in un lurido bagno. Secondo
te di cosa posso parlare?!-
-Beh,
non so.- dice,
avvicinandosi ancora. –Magari vuoi
dirmi che sei stufa dei bacetti di Zayn. Magari – ma solo
magari- vuoi cambiare aria.-
-Sì,
apriamo la finestra.- dico, con un cenno di nervosismo,
indicandola e facendo un
passo verso essa. Di cosa sta parlando? Sono stufa dei bacetti di Zayn?
Perché
parla di questo? Perché sono qui sola con lui, maledetta me!
-No- mi risponde lui bloccandomi. –Tranquilla, resta qua. Io intendevo che
potrebbe servirti qualcosa di
diverso.- le ultime parole famose. E’
troppo vicino e la vista prolungata inizia a disgustarmi, se non per
gli occhi
che faccio a meno di guardare. Sono pronta a scansarmi in ogni momento,
ho i
riflessi prontissimi quando… la vedo. In
una delle tasche posteriori del jeans, Alexander ha
una pistola.
Tutto
un tratto mi viene in mente un Piano B che potrebbe finire male quanto
il
primo, se non di più, ma vale la pena provare.
Chiudo
gli occhi e immagino, il più vividamente possibile, il volto
di Zayn. In questo
modo, quando le labbra di Alexander si posano sulle mie non mi
ritraggo. Non
subito almeno. Poi mi allontano un po’ e lo guardo con il
meno disgustata
possibile, gli accarezzo il collo. Scendo fino alla schiena, lo vedo
sorridere.
Aspetto un po’, cercando di stare calma. E avviene tutto in
un nanosecondo, o
forse meno. Impugno la pistola e la sbatto forte contro la tempia di
Alexander,
facendolo svenire. Ora ho una pistola. Ho un’arma,
finalmente. Sono
praticamente imbattibile, non importa di Jody, né
dell’altro uomo senza nome.
Apro
la porta e con un calcio faccio uscire il corpo di Alexander, ancora
svenuto,
fuori dal bagno. Guardo le espressioni sconcertate di tutti e mi
assicuro che
vedano la pistola. –Ora si fa come
dico
io.-
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Capitolo 18 *** Spari ***
Mi preparo a sparare verso Jody o
l’altro uomo, ho tutti i
sensi all’erta, ma inaspettatamente si mettono a ridere. Non
capisco e non ho
intenzione di abbassare la pistola.
Quando poi iniziano a esclamare cose come
‘Sapevo
che ce l’avreste fatta’ sono talmente confusa da
abbassare il braccio senza
accorgermene. Le situazioni che si succedono in questi ultimi giorni
diventano
sempre più strane e insensate. Loro dovrebbero provare a
spararmi. Non ci
riuscirebbero, ovvio, ma dovrebbero provarci e non dire che ce
l’avremmo fatta.
Incuranti del corpo di Alexander
steso per terra, Jody e
l’altro uomo si siedono comodamente e iniziano a guardarci
con dei sorrisi che
normalmente avrei trovato teneri, ma ora considero molto inquietanti. –Cosa sta succedendo?- chiedo
con una
punta di ironia nella voce. Guardo Jody in attesa, ma è
l’altro uomo che inizia
a parlare. –Beh…- dal
primo momento
in cui apre la bocca per dire una sola parola, se può essere
chiamata tale,
cambio il suo nome in ‘uomo dalla voce profonda’. E
lui ci racconta come sono
organizzate le cose a Bradford. Il comando è diverso dal
nostro, il capo è il
padre di Alexander che, di conseguenza, può fare tutto
quello che vuole, come
circolare indisturbato per il comando di notte e avere due tirapiedi.
Peccato
che questi ultimi due non siano felici della posizione che sono
costretti a
occupare. In primo luogo, non possono svolgere nessuna vera missione.
In
secondo luogo, devono fare tutto quello che dice un deficiente. Hanno
sempre
voluto sbarazzarsi di lui e in questo periodo si sono affezionati a
noi, quindi
ci vogliono aiutare, in qualsiasi cosa dobbiamo fare; in qualsiasi cosa
che sia
una missione.
Sono un po’
restìa a fidarmi di loro, anche se la storia
che hanno raccontato sembra abbastanza credibile. Così
è Niall che dice di
fidarsi e che ci possono aiutare. Ho dato per scontato che il mio
parere fosse
il più importante, per qualche stupido motivo. Mi scervello
sempre per pensare
cosa rispondere alle proposte senza ricordare che ho anche altri
compagni di
missione.
Iniziamo a creare un piano
perché naturalmente Jody e
l’uomo dalla voce profonda non possono permettere che
Alexander si svegli e
loro non ci siano, o che non abbiano provato a fermarci.
Così decidiamo che
dopo averci accompagnati per un tratto di strada, loro torneranno qua e
diranno
ad Alexander, nel caso fosse già sveglio, di aver provato in
ogni modo a
fermarci. Secondo me possono anche evitare di accompagnarci, ora che
non c’è
Alexander tra i piedi non credo che succederebbe qualcosa, ma
ripensando al
vicolo buio e alle persone che c’erano dentro, non me la
sento di contestare.
Usciamo velocemente dalla casa, perché non vogliamo che
Alexander si svegli
quando siamo vicini, nel caso decidesse di venire a cercarci. Mi
accorgo
distrattamente che grazie a Jody e all’uomo dalla voce
profonda, la gente losca
che abita qui ci guarda con un misto di rispetto e paura. La loro
protezione ci
sarà molto utile, almeno finchè
l’avremo. Zayn mi prende la mano e gli sorrido.
Anche la sua protezione sarà utile, per il mio cuore. Cerco
di ricordare perché
dopo che c’eravamo baciati la prima volta non volevo stare
con lui. Guardo
Harry. Nonostante tutto sembra che l’abbia presa meglio della
prima volta.
Parla tranquillamente con Louis e Niall che sono diventati davvero
degli ottimi
amici, in questo periodo. Vederli tutti ridere, vedere che sono felici,
rende
felice anche me. Perché questa missione non è
stata un totale disastro, anche
se siamo solo a (un nuovo) inizio. Però ci ha uniti, questo
è sicuro. Do un bacetto
sulla guancia di Zayn e prendo a camminare a passo più
veloce, per affrettare i
tempi. L’unica cosa di cui dobbiamo realmente avere paura, in
questo momento, è
il tempo.
-Come
ti
chiami?- chiedo
intanto all’uomo dalla voce
profonda, perché è stressante doverlo chiamare
continuamente con un nome tanto
lungo, nei miei pensieri.
-Willy.-
mi
risponde sorridendo.
Stranamente, scoppio a ridere.
Willy? Jody e Willy. I
genitori non sono stati molto bravi nell’azzeccare i nomi. Di
sicuro ‘Jody’ e
‘Willy’ non sono adatti a due della loro stazza. E
sembra pensarlo anche Zayn,
che ridacchia silenziosamente. Ci scambiamo uno sguardo divertito. –Ho capito tutta la faccenda di
Alexander,
del perché vi sta antipatico e bla bla bla. Però
non ho ancora chiaro perché ci
volete aiutare. E’ una grossa responsabilità.
Davvero fate tutto questo perché
‘vi siete affezionati a noi’?- chiede
poi Zayn, con una punta di
scetticismo che cercò di non far trapelare, anche se io la notai. Sento
che
Harry, Niall e Louis smettono di parlare per ascoltare la
conversazione. Da
un lato anch’io iniziavo a farmi delle domande su questo, ma
dall’altro mi
fidavo di loro. Quindi aspetto la loro risposta, per placare i miei
–di sicuro
ingiustificati- dubbi. E si prendono un bel po’ di tempo
prima di parlare. –Più
che altro, abbiamo voglia di fare
qualcosa di più pericoloso che osservare un ragazzino.- risponde
Jody
infine con un’alzata di spalle. Penso che questa versione
potrebbe reggere.
Anche gli altri ragazzi sembrano più rassicurati e
continuano a parlare
allegramente. L’unico che non sembra ancora molto convinto
è Zayn, ma penso che
abbia paranoie inutili. Lui stesso ha detto che Jody durante la notte
guardava
Alexander e non me, e questo sembra combaciare perfettamente con tutto
il loro
racconto. Non vedo motivo di preoccuparsi. Do una stretta rassicurante
alla
mano di Zayn e continuo a camminare sorridendo, finalmente riusciremo a
portare
a termine la missione. Quando Buck ha
scritto che ci sarebbe voluto più di un
giorno, di sicuro non immaginava così tanto. Ci considera
morti? Non voglio
neanche pensarci.
-Allora,
secondo te com’è questo Russel?- mi
chiede Zayn per fare conversazione.
-Non ne
ho
idea, spero che non odi gli inglesi.-
-Scherzi?-
sbotta
Zayn. –Il suo
lavoro è ucciderli.- capisco che è
molto contrariato di incontrarlo, mentre
io avevo sottovalutato che è per colpa di questa gente che i
nostri muoiono. Ed
è per colpa nostra che questa gente muore. Si
riuscirà mai a terminare tutto
questo?
-Senti,
non
credo che tutto questo sia un lavoro da ragazzi, sinceramente.- dice Zayn esitando. –Sarà
una cosa difficile e lui sarà pronto a sparare
e…-
-Dove
vuoi
arrivare?-
-Non
voglio che
tu venga da lui.- Non voglio che tu venga da lui. Probabilmente in questo momento ho
gli occhi fuori dalle
orbite. –Insomma, intendo che
saresti
più utile come guardia. Entriamo noi con la pistola e tu ci
avvisi se succede
qualcosa.-
-Secondo
me ha
ragione!- esclama Harry avvicinandosi a noi.
La cosa sta superando il ridicolo. –Ragazzi,
io vado in missione da quando ero una bambina. Solo perché
sono una ragazza,
non potrei entrare? E come sono arrivata fin qui? Scherzi?- aggiungo
infine
guardando Zayn, con il suo stesso tono di prima.
-Ineffetti
ha
fatto le mie stesse missioni, se non di più. E’
brava.- dice
Niall tranquillo, camminando verso di noi con le mani
in tasca.
Intravedo, con la coda
dell’occhio, Zayn che gli lancia uno
sguardo poco amichevole.
-Non è perché sei
una ragazza.
Semplicemente, non voglio che ti succeda qualcosa, okay? L’ho
capita la situazione. Potremmo
essere uccisi in questo stesso istante, figurati se ci mostriamo a lui.-
improvvisamente mi apro in un dolce sorriso e non sono più
adirata. Sta
cercando, per quanto inutilmente, di proteggermi. E’ troppo troppo tenero.
Lo bacio. –Non
preoccuparti per me.- sussurro dopo e, togliendo le braccia
dal suo collo,
stringo forte la pistola sotto la felpa.
Camminiamo per tanto tempo e vedo
Louis che inizia a
muoversi con fatica, non essendoci abituato. Mi dispiace per lui, ma io
ho
esperienza quindi non sento molto più di quanto sentirei con
due passi. Però
riesco a capire che non c’era voluto tutto questo tempo per
arrivare dal parco
alla casa di Alexander. Anche gli altri sono inquieti.
D’altra parte, Jody e
Willy sembrano perfettamente sicuri. Eppure, dopo un’altra
decina di minuti
sono sicura che non sia al parco che stiamo andando. La strada era
quasi tutta
dritta e noi abbiamo preso come minimo sette curve. Jody e Willy ci
precedono,
convinti che li seguiremo. È palese che dobbiamo andarcene,
ma se lo facciamo
non troveremo più la strada per tornare al parco o anche a
casa di Alexander e
non so se sia una buona idea. Semplicemente, non possiamo
più seguirli. Come
facciamo? –Siamo arrivati.- dice
inaspettatamene Jody. Cerco di ricordare… di che colore
doveva essere
l’edificio? Perché l’ho dimenticato?
Doveva essere rosso? Mi pare di sì.
Scambio degli sguardi confusi con i ragazzi. Piano piano, per qualche
motivo,
iniziamo tutti a convincerci che è l’edificio
giusto.
-Percaso
conosciete Russel? Potete aiutarci?- chiedo.
-Oh no,
dobbiamo andare da Alexander e far sembrare la vostra fuga un
incidente.- si
affretta a rispondere Willy. Va bene, tanto non ci
speravo molto. Abbiamo iniziato da soli ed è così
che dobbiamo concludere.
-D’accordo,
ci
siamo. Andiamo, ragazzi.- sospira Harry.
Appena arriviamo sulla soglia
dell’edificio le porte si
aprono, dentro è molto più rustico rispetto alla
facciata esterna, ed è anche
deserto. Le porte si richiudono automaticamente dietro di noi, appena
varca la
soglia anche Niall. Non c’è molta luce,
l’unica aperta è di un lampadario sopra
di noi, che infonde una luce gialla e molto molto tenue. Non sembra
esattamente
il luogo, dove si coordinano spedizioni contro i paesi nemici. Non
sembra il
luogo, dove dovremmo essere in questo momento.
-C’è
nessuno?- prova
a dire Harry, ma senza alzare troppo la voce. È
chiaro che siamo soli o che chiunque ci sia, non ci sente.
C’è soltanto
un’altra porta oltre a quella da dove siamo entrati, quindi,
mentre gli altri
continuano a guardarsi intorno incerti, mi fiondo su quella. Non si
apre al
primo colpo, ma dopo una discreta serie di calci si spalanca davanti ai
miei
occhi. La luce è spenta ed è tutto estremamente
silenzioso, quindi deduco che
non ci sia nessuno dentro. Arranco nel buio cercando un interruttore e
quando
lo trovo e lo premo, mi si presenta davanti lo spettacolo
più piacevole degli
ultimi giorni. Non riesco a vedere le pareti perché nascoste
da centinaia di
scaffali con sopra probabilmente il doppio delle armi da fuoco. Sento
l’adrenalina che cresce dentro di me, ci sono da pistole
normali come la mia a
veri e propri fucili. Cambio la mia pistola con un’altra
più avanzata e prendo
qualche pallottola in più che conservo in tasca, non vale la
pena prendere un
fucile perchè sarebbe scomodo camminarci per la strada e
sembrerebbe troppo
aggressivo quando parleremo con Russel. Poi chiamo gli altri.
-Rifatevi
gli
occhi.- esclamo.
Esco dalla stanza per
lasciare spazio a loro, dato che non è molto grande. Ora
saremo tutti armati ed
è sicuramente un punto a favore. È per questo che
Jody e Willy ci hanno portati
qua? Presumo di sì, volevano aiutarci. Però ora
come facciamo a trovare il vero
edificio, giacché non sappiamo dove ci troviamo? Inoltre,
non capisco come
abbiamo potuto convincerci che era qui che stava Russel,
perché ora ricordo che
l’edificio doveva essere viola.
Ma non è viola che vedo
ora, solo nero. Accade tutto in un
attimo, quasi non me ne accorgo, persa com’ero nei miei
pensieri. La porta
della stanza dove ci sono i ragazzi si chiude di botto e la luce della
mia stanza
anche. Lancio un urlo istintivo e sento i ragazzi fare lo stesso. –State bene?- urlo poi.
-Sì,
che è
successo da te? Tutto bene?- risponde
Zayn dopo un nanosecondo.
-Si
è chiusa la
luce, ma va tutto bene, cerco l’interruttore.- gli dico e non ricevo risposta.
Almeno non da lui.
-Non ti
conviene venire da questo lato.- mi
dice una voce indefinita, molto roca.
-Chi
sei?- chiedo
a mia volta, cercando di mantenere la voce ferma e
di non sembrare spaventata. Potrei giurare di sentire i ragazzi
trattenere il
fiato, da dietro la porta.
-Nicholas,
tu
bellezza?-
-Eveleen.-
-Bene, Eveleen. Non pensi di essere un
po’
troppo giovane per tutto questo? Salvare una città, andare
in guerra, invadere
il territorio nemico… non sono cose che
un’adolescente è solita fare, vero?-
-Presumo
di no.
Ma mi sentirei più a mio agio a parlare con te con le luci
aperte.- a
discapito di quello che aveva detto prima, apre le luci.
Lo guardo in faccia.
Sento le mie pupille dilatarsi e
cerco di non aprire la bocca. Il suo viso
è
stato completamente deformato da chissà cosa e vedendo la
mia reazione si apre
in un ghigno poco gentile.
-Brutto
spettacolo, eh?- mi chiede, ma senza aspettare
risposta continua: -E’ questo che
succede in guerra, sai? Non ti conviene restare qui. Potrei ucciderti
solo per
esserci.-
-Ma tu
non sei
Russo.- dichiaro.
Ha l’accento tipico
inglese e in ogni caso non saprebbe parlarlo così bene, se
non fosse
dell’Inghilterra.
-No,
infatti.
Sai quanti anni ho? Diciotto. Io non volevo entrare
nell’esercito, ma sono stato
costretto. Perché non erano abbastanza. Perché
città come la tua, si rifiuta di
collaborare. Perché città come la tua, non
meritano di esistere!- urla l’ultima frase e
posso percepire tutto il risentimento
che prova verso Holmes Chapel. Posso capire perché proprio
lui sta cercando di
fermarci, armato solo di una vecchia pistola. Non ha più
niente da perdere,
niente da salvare. Potrebbe uccidermi adesso e suicidarsi
l’istante dopo e non
farebbe nessuna differenza. La sua vita è già
finita da un bel po’.
-Non
voglio
ucciderti.- sussurro.
-Lo
so.- ribatte
Nicholas. –Ma
io voglio uccidere te.- aggiunge con una lacrima. Non ha più niente da perdere. Alziamo
il braccio nello stesso
momento, ma mentre premo il grilletto più velocemente di
lui, capisco di fargli
un favore. Dritto in faccia, su quel viso che odia tanto. Il rumore del
colpo è
tanto assordante nelle mie orecchie che non mi accorgo dei ragazzi che
danno
ripetuti colpi alla porta per aprirla. Verso una lacrima
anch’io, per
quest’uomo mandato in una missione suicida. Per
quest’uomo che l’ha accettata
perché voleva porre fine alla sua vita. Per questa ragazza
che, per la prima
volta, uccidendolo l’ha aiutato.
-Leena,
siamo
chiusi qui dentro.- dice Niall, dopo un attimo di
silenzio che sembra un’ora. –Quell’uomo…
dovrebbe avere una chiave.-
Guardo nuovamente il corpo
dell’uomo, ormai ricoperto del
suo stesso sangue. Ovunque sia quella chiave, non andrò a
cercarla là.
-Non
posso
prenderla.-
dichiaro. Non rispondono, spero
che capiscano. Vorrei tanto avere Buck e Liam al mio fianco adesso,
perché
sapevano che effetto mi fa, in ogni caso, guardare la gente morire.
Puoi fare
questo ‘lavoro’ da tutta la vita, ma i sentimenti
non cambiano. Liam e Buck mi
avrebbero capita, gli altri probabilmente mi stanno solo considerando
codarda.
A parte Niall, nessuno di loro sa cosa significa avere sangue umano
sulla
coscienza.
E nessuno di loro ha una mente
molto agile, evidentemente.
Sono in una stanza piena di fucili, possono far saltare via la porta
con un
solo colpo, se prendono quello giusto. Anche il muro, volendo.
-Ora io
mi
sposto. Prendete un fucile e buttate giù la porta, okay?- gli
spiego, sperando
che non mi prendono alla lettera. Per quanto ne so, Louis potrebbe
usare il
fucile per colpire ripetutamente la porta. Spero
che Niall gli dia un po’ di buon
senso.
-No,
esci
dall’edificio, non si sa mai.- mi
dice Zayn preoccupato. Abbiamo affrontato un bombardamento, insieme,
coperti
solo da un pezzo di chissà cosa e si preoccupa per questo?
Sbuffo con
impazienza ed esco dall’edificio.
Sento il primo colpo di sparo. Non mi hanno –fortunatamente-
preso alla
lettera.
Poi appare davanti a me qualcuno
che non mi sarei proprio
aspettata di vedere e non ci pensa due volte prima di spararmi.
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Capitolo 19 *** Cartella ***
Faccio un balzo di lato, vedo tutto
a rallentatore. Il
proiettile, quasi invisibile, si avvicina sempre di più e
colpisce con violenza
la
spalla. Il
dolore s’impossessa di me, lancio un piccolo urlo, poi non mi
esce più niente.
Sento altri spari, passi. Non riesco ad alzare lo sguardo, in qualche
modo mi
trovo sdraiata per terra. La risata di Alexander è
l’ultimo suono che riesco a
percepire veramente, poi smette anche quello. Continua a scendere
sangue dal
mio braccio. Devo rimanere cosciente.
Non ho capito che è
successo e ora sento solo voci in
lontananza. Devo rimanere cosciente.
Qualcuno mi sta toccando, mi culla,
mi sussurra qualcosa
che non riesco a capire. Devo rimanere
cosciente.
Alzo
con fatica lo sguardo in tempo per vedere Zayn che si toglie la felpa e
strappa
la
maglietta. Perché
lo fa? Fa freddo. Tanto freddo. Cosciente,
cosciente.
Inizia a girare la maglietta
strappata intorno al mio
braccio, vuole fermare il sangue. Bene, bravissimo. Rimanere cosciente
sarà più
facile se non continuo a perdere sangue.
–Dai
Eveleen,
ce la puoi fare, alzati.- mi incoraggia
Zayn. Mi aggrappo a lui e mi alzo. Sbatto più volte le
palpebre, poi inizio a
mettere a fuoco la situazione.
Un altro cadavere è a
qualche metro da me. È Alexander.
-Che
è
successo?- domando
tastandomi il braccio.
Niente di veramente grave.
-Beh,
ti ha
sparato.- spiega
Zayn, come se fosse la cosa
più ovvia. E un po’ lo è. –Ha detto che
siamo stati degli sciocchi a fidarci di Jody e Willy e che era tutta
una farsa.
Poi ha iniziato a dire cose senza senso e a sparare al vuoto. Quando ha
puntato
la pistola contro di me, che mi ero mosso per soccorrerti, Niall gli ha
sparato.-
Quindi, non solo ci siamo fidati
delle persone sbagliate,
ma non abbiamo la minima idea di dove ci troviamo. Perfetto, direi,
davvero
perfetto.
-Prima
cosa.- dichiaro,
guardando il torso nudo di Zayn. –Zayn,
indossa la felpa, fa freddo.- lui
sorride malizioso, ma si affretta a raccogliere la felpa da terra e
scrollare
la polvere, prima di indossarla.
-Seconda
cosa.-
continua
Louis al mio posto.
-Come
va il
braccio?-
chiedono in coro Louis e Niall. Il
secondo punto era chiedermi del braccio o parlare in coro? Boh.
-Va
bene,
grazie. Pensiamo a che fare ora, più che altro.- rispondo con una punta
d’irritazione, mentre arriva una
fitta di dolore dal braccio, quasi volesse ricordarmi che, ineffetti,
non sta
bene. Eppure in questo momento non m’interessa minimamente
della pallottola nel
mio braccio, a casa me lo cureranno. Ma è questo il punto,
prima ci dobbiamo
arrivare a casa. E per arrivarci dobbiamo completare questa dannata
missione.
Ora, come facciamo a capire dove siamo? Io di certo non ho preso nota
della
strada che facevamo, non pensavo ce ne fosse bisogno, in
realtà.
-Bene,
allora
andiamo.-
dice sbrigativo Niall.
-Dove?!
Come
facciamo a capire dove siamo?- domando
scettica.
-Al
contrario
di te, io mi sono guardato intorno mentre venivamo. So come tornare al
vicolo e
poi è tutto fatto.- ah. D’accordo, questa
non me lo aspettavo.
Sa come tornare al vicolo, perfetto.
Così ci incamminiamo
nuovamente, senza aver riposato
neanche un attimo. Niall è in testa e cammina a passo
sicuro, ma vedo la
frustrazione dipinta sui volti di tutti i miei compagni. Se per tornare
ci
vorrà quanto ci abbiamo messo per arrivare, non siamo in
buone condizioni,
ecco. Tutti stanchi e ancora doloranti, seppur armati, non serviremo a
molto.
Mi balena in mente la stupida idea di fermarci per un po’
nell’edificio con le
armi, ma la declino prima ancora di proporla. Non abbiamo tempo da
perdere e c’è
l’uomo morto, lì dentro. Non credo che riuscirei a
rivederlo.
Di nuovo, sento il bisogno
impellente di avere Liam e Buck
al mio fianco.
Cerco di non pensarci e guardo
Zayn, con fare
rassicurativo. Dopotutto, ci siamo quasi ormai e non
c’è nessun nemico che ci
può sviare. Non vorrei essere positiva, contando che ogni
volta che ho pensato
bene, in questa missione, è andato tutto storto. Eppure, non
posso guardare
Zayn e dirgli che stiamo andando al macello. Cosa ci aspetta lo
scopriremo
dopo.
Chi
vivrà vedrà.
In questo caso non mi sembra molto
appropriata questo
detto, così accartoccio anche quella in un lato oscuro del
mio cervello.
Vivremo tutti e vedremo tutti.
Durante il cammino, i vari
tentativi di Louis per iniziare
una conversazione sono subito interrotti da sbuffi e sguardi truci dei
ragazzi,
troppo stanchi per parlare. Gli do una pacca sulla schiena,
perché sarà almeno
la quindicesima volta che ci prova, e gli sorrido. Posso comprendere il
suo
bisogno di parlare, questo silenzio è alquanto imbarazzante
e tutti iniziamo
segretamente a chiederci se Niall sa davvero dove stiamo andando.
Certo, c’è
voluto molto tempo per arrivare a quel luogo e non ce ne stiamo
mettendo di
più, per ora. In situazioni del genere, però,
alcune domande te le poni. È continuamente
questione di vita o di morte e noi abbiamo già fatto troppi
passi falsi che non
potevamo permetterci. Penserei che a questo punto la Russia abbia
già
bombardato Holmes Chapel, ma se fosse così Alexander non
avrebbe continuato a
cercare di fermarci, no? Chissà cosa stanno facendo ora Jody
e Willy, non
vedendolo tornare. Bugiardi. Spero
tanto che vengano a cercarlo e rimangano terrorizzati a vita vedendo il
suo
corpo esangue. Beh, forse proprio questo no. È alquanto
cattivo come pensiero.
E perverso in modo molto negativo. Scuoto energicamente la testa, come
a
volermene liberare.
-Tutto
bene?- mi
chiede Zayn, turbato da questo strano gesto. Annuisco e
mi alzo sulla punta dei piedi per dargli un veloce bacio, poi continua
il
cammino.
Non per molto, però. –Eccoci.-
annuncia Niall qualche minuto dopo. –Quello
è il vicolo, ci basta attraversarlo e saremo arrivati nel
parco.-
-E se
lo
facessimo di corsa? Renderebbe tutto meno brutto?- chiedo stupidamente.
Sento il braccio di Zayn che mi
circonda la vita e mi
stringe un po’ a sé. –Magari
possiamo
sparare a vanvera davanti a noi, così saremo sicuri di
essere soli e…- inizia
Louis, le gote rosse per l’emozione di dire qualcosa
– a suo parere-
fantastica.
-…E
non
passeremo per niente inosservati.- termina
Harry, sconsolato, al suo posto.
-Corriamo,
se
c’è qualcun altro, gli spariamo
all’istante.- decide in fretta e con
determinazione Niall, prima di
perdere altro tempo.
Ci scambiamo tutti un ultimo
sguardo preoccupato,
impugniamo bene le armi e ci precipitiamo con velocità nel
vicolo. Avendo
camminato per tanto tempo, siamo stanchissimi e ansanti già
dopo cinque metri,
ma nessuno osa fermarsi. La mia milza chiede pietà e sento
che il mio braccio,
sollevato nello sforzo di tenere la pistola, preferirebbe non far parte
del mio
corpo, in questo momento.
Di corsa la via sembra molto meno
lunga e per fortuna non
siamo interrotti, quindi quando arriviamo nel parco, siamo
più stanchi e più
soddisfatti possibile. Probabilmente, è la prima cosa buona
che facciamo in questa
missione.
-Cercate
l’albero.- dico abbastanza inutilmente,
perché
tutti si erano già messi all’opera. Anche questo
compito non richiede uno
sforzo particolare: sapevamo già che era in corrispondenza
del vicolo.
Sollevati e festosi, ci avviamo
verso la strada giusta. Con
qualche giorno di ritardo, ma finalmente ci siamo.
E’ impossibile non notare
la differenza tra le due parti
della città e capisco perché Russel si trovi qui
e non dal lato di Alexander.
Qui tutto è pieno di vita, posso sentirla anche uscire da un
palazzo grigio. La
gente è rilassata e chiacchera allegramente per strada, come
se la guerra non
ci fosse. Dalle vetrine dei bar s’intravedono dei vecchi che
fanno un brindisi
allegro con pinte di birra. I negozi sono affollati e nessuno ne esce a
mani
vuote. In pochi passi che ho fatto, già tre o quattro
persone mi hanno sorriso
allegramente. Non ho mai visto dei sorrisi così sinceri tra
sconosciuti, a
Holmes Chapel e potrei giurare che non ci sono da
nessun’altra parte.
Se non fossimo nemici giurati,
potrei quasi dire che i
Russi mi stiano simpatici. Chissà perché i nostri
non li bombardano. È
dall’inizio della guerra che combattiamo sempre sulle terre
inglesi e siamo noi
a ricevere le peggiori sconfitte, per fortuna non ancora nucleari,
perché
provocherebbero enormi casini. Inizio a pensare che i Russi siano
ancora più
forti di quanto immaginavamo. Una signora mi sorride, stringendo la
mano di sua
figlia che non avrà più di cinque anni. Avrebbe
fatto lo stesso se avesse
saputo che sono inglese? La figlia si sarebbe spaventata? Se qualcuno
sapesse
da dove veniamo, staremmo ancora camminando tranquillamente in questa
via?
Aumento il passo, un po’
inquieta, e mi assicuro di zittire
chiunque di noi provi a proferire una sola parola. Non è il
momento né il luogo
adatto per parlare.
Ovviamente, se qualcuno ci
attaccasse ora, potremmo
benissimo ucciderlo, essendo tutti armati. Ma poi si creerebbe una vera
e
propria strage, giacché verranno a vendicarlo in men che non
si dica. Dobbiamo
passare inosservati e arrivare da Russel prima che faccia buio, magari.
Se la
città è così attiva di giorno,
sarà altrettanto –se non di più- la
notte.
-Come
faremo…?-
comincia
Zayn.
-Shhhh.-
lo
zittisco prontamente, e arrabbiata. Ho zittito ognuno di
loro un numero abbastanza grande di volte per convincerli a non
provarci più,
eppure continuano. Che rabbia. Anche
Zayn però sembra perdere le staffe. Mi afferra per un
braccio e avvicina la sua
bocca al mio orecchio, parlando in un sussurro veloce e arrabbiato.
-Cara
‘signorina
zittiamo tutti quanti’, come facciamo a chiedere alla
segretaria di Russel
senza farle capire che siamo inglesi?- che
domanda stupida.
Buck non mi ha detto niente di
questo, basterà nominare
Russel e lei ci porterà da lui, semplicissimo, no? Tanto
rumore per niente. Gli
sussurro tutto a mia volta, ma – come sempre- non sembra
essersi rassicurato.
Prendo nota mentale di preparagli una camomilla al giorno, quando
saremo a
casa, sarà molto utile sia per i miei che per i suoi nervi.
Do un colpetto alla spalla di
Harry, accanto a me, e gli
indico l’edificio che abbiamo davanti. Lui a sua volta
dà un colpetto a Louis e
si crea una specie di domino, fino ad arrivare all’ultimo,
Niall. L’edificio
viola, ci siamo. Tiro un profondo respiro ed entro per prima, aprendo
la porta
bianca come la neve più pura, appena caduta dal cielo. Dentro sembra come essere in
un altro mondo.
Lontano dalla guerra, lontano dalla felicità e
spensieratezza delle vie di
fuori, lontano dalla nostra epoca.
Davanti a me
c’è una scalinata di legno, ricoperta da un
tappeto rosso, così enorme e imponente da farmi credere di
essere entrata in
una reggia. Ai muri sono appesi quadri di ogni genere, alcuni
inquietanti in
realtà, ma nel complesso sono straordinariamente magnifici.
Il soffito è tanto
alto da farmi credere di essere sul fondo di un enorme e ben arredato
pozzo,
cancello l’idea dalla mente solo perché su di esso
ci sono incise immagini di
angeli in guerra, quasi come in una delle più imponenti
chiese. La mia
perlustrazione del luogo è bruscamente interrotta dal rumore
della porta che si
chiude e da un piccolo colpo di tosse tipicamente femminile. Mi accorgo
che
accanto a noi ci sono una scrivania e una donna –signorina,
più che altro. La
postazione è perfettamente accordata con tutto il resto, il
legno è lo stesso
di quello delle scale e le incisioni d’oro sono uguali a
quelle presenti sulle
cornici degli innumerevoli dipinti. Mi aspetto, alzando lo sguardo, di
incrociarlo con una signorina vestita in modo antico, magari con uno di
quegli
splendidi vestiti enormi e ingombranti, come raffigurati in alcuni dei
migliori
– a mio parere- dipinti. Invece il mio sguardo quasi sognante
incontra degli
occhi verdi duri come il ghiaccio che mi squadrano dall’alto
al basso. Il
completo che indossa, sebbene abbinato al rosso del tappeto che ricopre
le
scale, non c’entra niente con come l’avevo
immaginato. Una semplice e comoda
camicia bianca, ricoperta da un cardigan rosso e una gonna, anche
abbastanza
corta, rossa. Si sente il rumore rimbombante dei tacchi mentre questa
fa il
giro della scrivania per avvicinarsi a noi.
Dice qualcosa con un tono
interrogativo, che assumono anche
i suoi occhi. Non sapendo niente di russo, e sperando che abbia chiesto
qualcosa tipo ‘cosa ci fate qua?’, rispondo con una
sola, semplice parola.
-Russel.-
dico
chiaro e forte, cercando di non far sentire troppo
l’accento inglese. La signorina non batte ciglio e dice
qualcosa molto simile
alle parole di prima. D’altro canto io, anche
perché non saprei fare altro, non
demordo.
-Russel.-
ripeto
con decisione, assumendo un tono e un espressione
più determinata. Lei mi squadra per qualche altro secondo
con sguardo
incriminatore, infine rivolge una veloce occhiata agli altri ragazzi e
si
decide a guidarci attraverso l’edificio.
Saliamo più di cento
gradini, prima di arrivare a un
corridoio, ampio ma debolmente illuminato, nel quale si trovano
–se ho contato
bene- dodici stanze. Le superiamo quasi tutte e la signorina si ferma
davanti a
una delle ultime e poi bussa piano.
Una voce grida qualcosa e la
signorina risponde, sempre
senza farci capire niente, poi apre la porta e ci fa cenno di entrare.
Sento i
suoi passi veloci abbandonarci appena ci richiudiamo la porta alle
spalle.
Anche questa stanza, che presumo
sia il suo ufficio, non si
allontana da tutto quello che abbiamo visto prima. La moquette rossa
è soffice
e sicuramente costosa ed è tutto fatto di legno intagliato
d’oro. È
incredibilmente grande per essere un luogo dove si sta prevalentemente
dietro
una scrivania e contiene mobili, come due divanetti, che non mi sarei
aspettata
di vedere. Un colpo di tosse attira la mia attenzione e alzo lo sguardo
verso
un uomo. Eccolo, finalmente. Russel, un uomo sulla quarantina
abbastanza
stempiato, con occhi color del ghiaccio che non trasmettono emozioni,
freddi e
calcolatori.
-Uhm…
salve.- dice
Niall un po’ in imbarazzo. Siamo al passo decisivo.
Mentre Russel con un ovvio
movimento impugna la pistola, ne
ha già puntate cinque alla testa. Lascia cadere il braccio
sui fianchi.
-Chi
siete? Che
cosa volete?- chiede
nervoso.
-Siamo
stati
mandati da Liam e Buck, dobbiamo annullare le precedenti prescrizioni.-
risponde
sempre Niall.
-Voglio
le
prove.- dice
Russel risoluto, evidentemente
cinque pistole non lo spaventano più di tanto.
-Leena,
dagli
il foglio.- il
foglio, sì, quello con il
simbolo. Il foglio che è nella cartella. La
cartella… che è a casa di
Alexander.
-Eveleen?-
mi
richiama Louis.
-Io…
non la ho.-
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Capitolo 20 *** Tu rimani qua. ***
Metto un braccio davanti al viso e
chiudo gli occhi, un
riflesso di protezione. E devo proteggermi perché sono
sicura che adesso tutti
mi grideranno contro ed è molto peggio questo che il braccio
ancora pulsante,
sotto la stretta maglietta di Zayn. Dato che non sento parlare nessuno,
socchiudo un po’ un occhio, per spiare. Non mi stanno neanche
fissando.
-L’hai
lasciata
a casa di Alexander, vero?- dice Harry
senza girarsi verso di me. Sentire il suo tono freddo, deluso e
distaccato è
come ricevere una pugnalata al cuore.
-E’
che… - provo a spiegare. Ma che
c’è da dire? –E’
successo tutto così in fretta… Io… Non
ci ho proprio pensato…- prima di poter continuare
a scusarmi con parole
inutili, Harry alza la mano per zittirmi.
-Allora,
chi
va?- dice
seccato, evitando
accuratamente il mio sguardo.
-Io!
E’ colpa
mia e devo risolverl…- sono zittita
nuovamente, ma questa volta da Zayn. Anche lui non mi guarda, alza
semplicemente la mano e parla senza emettere suono con tutti gli altri.
Tra
tutte le labbra che si muovono freneticamente, distinguo molti
‘eh?’ ‘come?’ e
‘che hai detto?’, ma non capisco molto di
più.
Sposto lo sguardo su Russel che
guarda la scena assorto, ha
abbassato la guardia per cercare di capire cosa dicono. Mi sento
tremendamente
in colpa, sì, ma sono anche seccata di non essere coinvolta
in questa bella
chiaccherata.
Dopo non molto smettono e puntano
lo sguardo su Russel.
-So che
è
insolito e che siamo inglesi- dice Niall, sottolineando il
‘siamo’, anche se lui non lo è
per niente. – Ma avremo la prova
che
siamo stati mandati da Liam e Buck, se ci dà la
possibilità di andarla a
prendere.-
Immagino la risata di Russel prima
ancora che prenda forma
sulle sue labbra e non posso biasimarlo. Come può fidarsi di
noi? Armati e
venuti dal nulla. Inglesi, per giunta.
-Va
bene, ma vi
concedo al massimo fino alle ventitrè e trentra.- dice Russel sorprendentemente dopo
aver smesso di ridere.
-Grazie.-
risponde
Niall freddo. –Ragazzi,
andate.- mentre Zayn, Harry e Louis si avviano verso la porta
mi sento
spaesata. Io resto qua? E Zayn va da solo? Nessuno di loro tre
è esperto.
Certo, Harry ormai si allena da un bel po’, ma non ha
esperienza. Non possono
andare soli. Zayn non può andare solo.
-E io?-
chiedo,
quasi implorando in realtà.
-Tu
rimani qua
con me.- risponde
sempre Niall, mentre tutti
tranne Zayn si girano a guardarmi. Eppure, neanche questo mi quadra.
Insomma,
lui è il più bravo tra loro, perché
non va lui e rimane qualcun altro? Vogliono
cacciare i migliori? A che gioco stanno giocando?
-Zayn…-
si
gira anche lui, lentamente. Il suo viso è una maschera,
non riuscirei a capire cosa sta pensando neanche se sapessi leggere nel
pensiero, credo. Nel mio invece, potrebbe leggere di tutto. Sono sicura
di
avere le guance rosse, perché le sento molto accaldate e
inizio a vedere
appannato per le lacrime agli occhi. Semplicemente, non voglio che
vada. Non
senza di me. E non m’importa se lui è il maschio
ed io la femmina, anche perché
non credo a queste scemate. Fare una cosa pericolosa insieme
è un conto, che la
faccia solo lui è un altro.
-Tu
rimani
qua.- dice
Zayn, ripetendo le parole di
Niall. La sua voce è talmente priva di emozione che quasi
non la
riconosco. Mi lascio
sfuggire una lacrima, ma mi volto velocemente. Io non piango. Asciugo
il viso. Riprenditi, Eveleen, smettila. Quando
mi
volto, Harry e Louis sono già usciti. Zayn si avvicina e mi
bacia. Purtroppo mi
lascia dopo pochi secondi ed esce senza aggiungere altro.
Appena la porta si chiude, mi
concentro per un attimo su Russel,
abbandonando gli altri pensieri.
-Beh,
accomodatevi.-
dice indicandoci il divano. –Faccio
portare il pranzo.-
Invece di pensare alla sua
improvvisa gentilezza, la mia
mente parte in fantasie sul cibo, mentre Niall –i cui occhi
brillano- fa lo
stesso. Immagino che in un luogo del genere non prendano il take-away
come da
Alexander, dove non mangiavamo altro che schifezze, oltre al roast-beef
del
primo giorno. Sarà bello fare di nuovo un pasto sano. Mi
accorgo distrattamente
che Niall si è già spaparanzato, a suo agio, sul
divano e sto per fare lo
stesso, ma poi mi fermo. E se fosse tanto arrabbiato da non volermi
accanto?
Niall non è proprio il genere di persona che porta rancore,
ma chi lo sa,
magari in questo momento mi odia. E avrebbe pienamente ragione,
perché andare e
tornare da casa di Alexander non è una passeggiata.
Chissà cosa ne sarà del suo
corpo. E chissà se Niall prova quello che sento io quando
uccido qualcuno o no.
Tutto riporta a Niall, devo parlargli e chiarire tutto immediatamente.
-Niall…
ma ora
mi odi?- mi
sento tanto come una bambina,
che dondola su un piede all’altro mentre aspetta una risposta
ad una domanda
abbastanza stupida.
-Certo
che no!-
esclama
lui ridendo. Bene, va molto
meglio.
-Gli
altri mi
odiano?- gli
chiedo nuovamente, dopo essermi
seduta accanto a lui, trattenendomi dallo specificare il nome di Zayn.
-Non ti
odia
nessuno, men che meno Zayn.- perfetto,
ora va
ancora meglio di prima.
Poggio la testa sulla sua spalla e
mi rannicchio sul
divano, non m’importa quanto antico possa essere.
-Secondo
te,
fra quanto torneranno?- chiedo a Niall.
-Se torneranno.- sussurra lui, poi mi guarda
agitato, consapevole di averlo
detto con voce più alta di quanto avrebbe voluto.
Che vuol dire se torneranno? Come se torneranno? Perché non
dovrebbero tornare? Non c’è nessun motivo
per non tornare! Perché se torneranno?!?
-Beh, ci sono Jody e Willy da qualche
parte e ora sappiamo che non sono con noi, quindi…- spiega
Niall dopo un
mio sguardo allarmato.
Sì ha ragione e immagino
che i ragazzi già lo sapevano,
quando hanno scelto di andare. E Zayn non mi ha concesso di
accompagnarli per
proteggermi, anche se non ce n’è bisogno e non
l’ha ancora capito. Ora che ci
penso, rimpiango di essere stata così stupida, avrei dovuto
impormi e andare
con loro in ogni caso. Chi sono loro per dirmi cosa fare? Assolutamente
nessuno.
Mi concentro per un po’
sul velluto del divano,
accarezzandolo dolcemente. In fondo, a cosa sarebbe servito? Ad averli
ancora
più contro di me, nient’altro. E poi,
‘sottostare’ a
quello che hanno deciso è il minimo, dopo
quello che io ho fatto. Come ho
potuto dimenticare la cartella, la cosa più importante,
fondamentale?
Non ho mai fallito una missione,
né l’ho allungata. Certo,
questa è un po’ diversa e non avevamo esattamente
un limite di tempo, al
contrario abbiamo saputo –un po’ in ritardo- che
sarebbero stati necessari di
sicuro più giorni. Tecnicamente, non posso rimproverarmi del
tempo. Ma di tutto
il resto sì, è la missione peggiore che abbia mai
fatto. Anche se non posso
usare ancora il termine ‘fatto’, siccome non
è terminata e non so neanche come
andrà a finire. Un totale disastro, è tutto un
totale disastro. Come sono
diventata così? Gli eventi successi… Liam e Buck
che mi danno le spalle, la
notizia di Holmes Chapel, questo rapporto con Zayn… non
avrebbero dovuto farmi
diventare più attenta? Beh, tutti tranne uno. Zayn.
No, di certo non collabora a farmi stare attenta sul mio
compito, anche solo con un bacio, eppure mi è sempre stato
accanto e mi ha
aiutato. È inutile, la colpa non posso proprio darla a
nessuno. Sono stata io.
In qualche modo, sono diventata un fallimento.
Inevitabilmente, mi scende una
lacrima sulla guancia e la
scaccio subito sprezzante. Anche questa storia del pianto, ma andiamo!
Il
termine esatto con cui mi descriverei in questo momento è
mollacciona.
-Leena?-
mi
chiede Niall con una vocina piccola piccola, un po’
turbato. –Perché stai
piangendo? Vedrai
che andrà tutto bene.-
Non sono rassicurazioni che voglio.
Né voglio queste
stupide promesse che sappiamo entrambi che non può
mantenere. E non voglio, per
nessuna ragione al mondo, mostrarmi così fragile come in
questo momento.
-Sì,
com’è
andato bene finora.- dico, con la voce più
distaccata e
sprezzante che riesco a emulare. Purtroppo, sull’ultimo la
mia voce si spezza e
sussurro pianissimo un piccolo ‘grazie a me’.
-Hey,
hey, hey.
Ascoltami.-
dice Niall, poi mi prende con
dolcezza il viso per puntare i suoi occhi nei miei. –E
guardami.- aggiunge piano.
-Ti
sembra
davvero che questa missione sia un fallimento?- continua. –Pensi
che
tutti avrebbero saputo affrontare quello che c’è
capitato? Ci sono stati degli
imprevisti, d’accordo, ma è normale!
D’altronde, non sapevamo esattamente
a cosa andavamo incontro. E
poi perché dovrebbe essere colpa tua? Ti sei comportata
benissimo, come in ogni singola missione,
capito?-
fissare quegli occhi color mare deve fare male, perché anche
i miei iniziano a
riempirsi nuovamente d’acqua. Giro di scatto la testa per
asciugarmi, ma Niall
si alza e viene davanti a me, seduto sulle ginocchia.
-E…-
dice,
cogliendo una lacrima dalla mia guancia. –Ricorda
che piangere è umano.-
Lo guardo di nuovo, mi passo una
mano sul viso e tiro su
con il naso, poi lo stringo in un enorme abbraccio. Amo gli abbracci
come
questi, quelli che sottintendono tante cose, quelli che contengono
tanti
‘grazie’ mai detti, quelli che servono per far
capire quanto realmente bene
vuoi a una persona. E Niall è sempre stato bravo a darli.
Toc toc
toc.
Qualcuno bussa flebilmente.
Toc toc
toc.
Adesso un po’
più forte.
Toc toc
toc.
Guardo Russel che, senza degnarsi
di osservare la porta, si
è limitato a fare un cenno con la mano, come a dire
‘entra, prego’. Peccato
che nessuno sa vedere attraverso i
muri.
Toc toc
toc.
Lascio Niall e cerco di capire cosa
dice la voce che ha
iniziato a parlare, ma conversa fitto fitto in russo e non comprendo
una sola
parola, anche se capisco che è la sua segretaria, la stessa
che ci ha accolti.
Russel fa un cenno affermativo con la testa. È troppo stanco
per parlare? Mi
spazientisco e vado ad aprire la porta.
Purtroppo stava per ribussare, con
il gomito, e quasi mi
cade a dosso, ma la sorreggo. È logico che non potesse
aprire la porta, con
entrambe le mani regge un vassoio che dubito, possa passare attraverso la
porta. Sorprendentemente
la signorina si ricompone alla velocità della luce ed entra
nella stanza per posare
il vassoio su un tavolino. Ci sono due piatti, le posate, i bicchieri e
una
quantità immensa di cibo, per un ripiano così
piccolo. Niall si fionda
velocemente sul cibo e lo faccio anch’io. Assaggio tutta roba
mai provata in
vita mia, ma estramamente buona, devo ammettere. Poi penso a quanto sia
meschino mangiare mentre Zayn, Louis e Harry chissà cosa
stanno facendo e mi
viene un nodo allo stomaco. Lascio cadere la posata sul vassoio,
ringrazio
Russel per il pranzo e mi siedo compostamente sul divano.
Che cosa stanno facendo? Stanno
bene? Qualcosa sta andando
storto?
Queste ultime tre domande mi
tartassano ogni parte del
cervello fino la sera. Al
contrario di Niall, ho rifiutato la cena e mi sono rannicchiata in un
piccolo
angolo del divano a tormentarmi, con il cuore che batte
all’impazzata. Quando
Niall finisce di mangiare, si avvicina mettendomi un braccio intorno
alla vita
e si unisce alla mia veglia silenziosa. Alle undici, Russel alza la
testa dai
suoi fogli e inizia a fissare concentrato la
porta. Evidentemente,
si aspettava davvero che avrebbero fatto ritorno. E lo faranno, ne sono
sicura.
Perché sono in gamba e sanno cavarsela. No,
sono tutti principianti, sussurra maligna la mia coscienza
sporca. Ce la
faranno.
23.29, non ci credo che manchi solo
un minuto e non spero
neanche che arrivino proprio sullo scattare del trenta, come gli eroi
di solito
fanno. Siamo spacciati. E lo sono anche loro, che è
successo?
-Perché
non sei
andato tu?- sbotto,
rivolta a Niall. –Sai di essere
più bravo di loro, non
dovevi rimanere qui, non dovevi! Perché l’hai
fatto?!- in questo momento,
una cosa tanto infantile come prendersela con Niall, è
ottima per sfogare la
mia rabbia.
-Perché
Zayn
voleva che restassi a ‘proteggerti’!- urla
anche lui, è preoccupato come me.
-Non
dovevi
dargli ascolto! Dovevi importi, cavolo! Vedi che fine hanno fatto senza
di
te?!- le
lacrime ritornano. Il pensiero
che non sono tornati è orribile e opprimente.
-Come
facevo?!
Erano tutti distrutti per dover tornare indietro e non me la sentivo di
discutere, d’accordo?!-
-Non…
non
c’entra niente! Tu dovevi… fermarli…
dovevi…-
scoppio a piangere e cado per terra sulle ginocchia.
Che cosa doveva fare? Era esattamente nella
mia situazione e ha scelto quello che ho fatto anch’io. E
siamo stati entrambi
degli stupidi, dei grandissimi stupidi. E loro non ci sono. Zayn,
Louis, Harry.
Voglio disperatamente sapere cos’è successo, se
almeno sono ancora vivi. Non
riesco a fermare queste stupide lacrime e inevitabilmente Niall mi
abbraccia da
dietro e mi aiuta ad alzarmi.
-S-scusa…- gli dico, fra i singhiozzi. Lui
scrolla le spalle e mi
abbraccia di nuovo, quando lo guardo negli occhi, vedo che li ha lucidi
anche
lui.
-Se voi
due
avete finito- ci
interrompe Russel, di cui
fin’ora mi ero dimenticata, glaciale. –Direi
che il tempo a disposizione è terminato.- continua
con un piccolo ghigno.
-Sì,
ma noi…- inizia Niall, che viene subito
interrotto. Non da una
sfuriata di Russel, non da qualche mia parola rassegnata, ma dalla
porta che si
apre energicamente. Entra per primo Louis, affannato, e chiaramente
anche lui
ha pianto; io mi asciugo il viso. Poi Harry, che si sorregge a Louis.
Infine,
chiudono la
porta. Noto
che sono entrambi pieni di lividi e… e…
dov’è Zayn? Inizio a guardarmi intorno,
sperando che in qualche modo mi fosse sfuggito alla vista e si fosse
nascosto
da qualche parte, per cogliermi alla sprovvista e darmi un bacio.
Eppure, non
lo trovo.
Guardo distrattamente Louis che
porge il foglio a Russel e cerco
di stabilire un contatto visivo con Harry, che sembra quello messo
–psicologicamente- meglio. Lui scuote la testa e mi fa un
veloce segno con la
mano. ‘Dopo’. D’accordo, cerco di
concentrarmi per quanto posso sulla
conversazione, ma adesso Russel sta parlando al telefono in Russo e mi
è davvero
impossibile capire.
Quando chiude la chiamata, sembra
abbastanza seccato. Punta
i suoi occhi di ghiaccio su ognuno di noi –Gli
aerei sono già partiti da un po’, non posso farci
niente, non ero stato
avvisato.- dice infine, pronunciando l’ultima
frase tra i denti.
Capisco il significato di quello
che ha detto con qualche
secondo di ritardo e mi accascio sul divano, sentendomi vuota.
Missione
Fallita.
Ormai, a che serve tornare?
Potremmo rimanere qui per
sempre e sarebbe lo stesso. Magari non proprio in Russia, dove ci
odiano a
prescindere, ma in qualsiasi altro luogo. Niall si siede, rassegnato,
accanto a
me. Mi aspetto lo stesso da Louis e Harry, ma quando alzo lo sguardo
vedo che
sussurrano veloci e preoccupati e si muovono entrambi nervosamente da
un piede
all’altro.
-Che
fate
seduti?- grida
Louis, con le lacrime che
scorrono velocemente sul viso. –Dobbiamo
andare, alzatevi, veloci.-
-Beh,
addio.- dice
Russel, tornando al suo lavoro. Nessuno di noi lo
considera.
-Perché
così di
fretta? Che succede?- chiede Niall,
io sono troppo impegnata a guardare Louis. Se sta piangendo in questo
modo ci
deve essere un motivo.
-Vi
diremo per
strada, andiamo.- risponde Harry, con voce
leggermente più calma rispetto a Louis. Mi alzo nello stesso
momento di Niall e
tutti insieme usciamo velocemente dall’edificio, senza
salutare nessuno.
-Allora?
Che
succede?- dice
Niall mentre quasi corriamo
per la strada.
-Abbiamo
dovuto… naturalmente non volevamo, ma siamo stati
costretti… lui ci ha detto…
ma noi volevamo rimanere…- inizia Harry
balbettando.
-Harry!-
esclama
Niall.
-Zayn
è rimasto
indietro.- spiega
Harry, mentre Louis
singhiozza più rumorosamente. –C’erano
Jody e Willy e… beh, sono più forti…
non ce l’abbiamo fatta, l’hanno preso
all’ultimo e lui ci ha detto di ‘muovere il culo e
andarcene’…-
Mi fermo un momento, cercando di
non ricominciare a
piangere, perché per oggi l’ho fatto abbastanza. –Se hanno preso Zayn, perché
torniamo a Holmes Chapel, prima di andare
a cercarlo?- dico, massaggiandomi le tempie.
-Aveva
detto
che sarebbe andato direttamente là, appena si fosse
sbarazzato di quei due.-risponde sempre Harry, incitandomi
con un gesto a
riprendere a camminare.
-D’accordo,
ma
se non ci fosse riuscito?- e la risposta
prende forma nella mia mente appena lo chiedo. Se non è a
Holmes Chapel, è
morto sicuramente. E capisco perché ci stiamo dirigendo
prima là: se fosse
tornato, potrebbe essere coinvolto nella distruzione più
totale e morire
comunque. In caso sia morto qui… torneremo a prendere il
corpo. Non riesco
proprio a pensare che sia già morto, quindi affretto il
passo, andando in testa
alla fila. Questo mio comportamento deve aver fatto intendere che ero
arrivata
alla soluzione, poichè nessuno mi risponde.
Quando –dopo quella che
sembra un’eternità- arriviamo
all’albero JKRJK, è davvero una sollevazione non
dover proseguire dritto, verso
il vicolo buio, ma andare finalmente verso il treno. Mentre aspetto di
arrivare
a Bradford, do un lungo abbraccio a Louis, che ricambia entusiasta,
essendo
l’unica che posso capire i suoi sentimenti. Anzi, forse per
lui è peggio,
perché lo conosce da sempre. Nel momento in cui ci lasciamo,
arriviamo al
comando e ci dirigiamo velocemente verso il treno per Holmes Chapel,
dimenticando di dover inserire il codice. Così andiamo in
quella sala, dove è
iniziato tutto, scriviamo ‘Holmes Chapel’ sul
computer che ormai conosciamo e
ce ne andiamo alla svelta, per paura di altri imprevisti.
In pochissimi secondi, siamo a
Holmes Chapel e scendere dal
treno è quasi surreale. Siamo a Holmes Chapel, alla mia
amata Holmes Chapel,
siamo a casa. Come se sapesse del nostro arrivo, Phillips si dirige
verso di
noi e consegna dei foglietti a me e Louis.
-Questi
sono i
vostri alibi, andate immediatamente dal sindaco e dopo facciamo i
conti. Voi
due- continua,
rivolto a Niall e Harry. –Ve la
sbrigate a Mullingar.-
-No,
no. Non
capisci! Noi abbiamo fallito, gli aerei stavano già
partendo, dov’è Zayn?!- sbraito velocemente.
-E’
andato al
municipio!-
esclama Phillips sbarrando gli
occhi.
Lascio volare il foglietto via
dalle mie mani e corro.
Sbatto contro un sacco di persone, alcuni mi riconoscono, altri mi
riserbano
solo occhiate di odio per il trattamento.
-Leena!-
grida
qualcuno afferrandomi per un braccio. E’ Aaliyah,
sapevo che non l’avrebbero presa nell’esercito,
incapace com’è.
-Ciao,
Aaliyah,
felice di rivederti.- dico
velocemente saltellando da un piede all’altro. –Ora
scusa ma devo andare.-
-Aspetta!
Perché? Anche Zayn prima faceva così! Non
racconti niente?- Zayn.
-No!
Cioè sì,
ma dopo. Devo fare una cosa urgente, ciao!- dico,
facendo per andarmene, ma questa mi blocca di nuovo.
-Ma…-
al
diavolo! Non la lascio finire di parlare, mi libero
dalla presa e corro via.
Mi arrampico su per il buco e mi
preparo a correre nuova…
mente. Fuoco. C’è
solo fuoco davanti
a me. Tutti gli edifici, ogni cosa. Tutto un unico essere di fuoco.
Zayn… Zayn…
non può essere vero. Senza essermene resa conto
sono per terra in ginocchio e ora dietro di me ci sono Niall e Harry,
con la
bocca spalancata, mentre Louis è al mio fianco, nelle mie
stesse condizioni.
-Ci ha
detto di
dirti che ti amava, nel caso fosse finita così.- sussurra Harry, con le lacrime agli
occhi.
Mi ama,
Zayn mi
ama. Anzi, mi amava.
Che cosa me ne faccio ora di queste
parole?
È finita. È
tutto finito ed io non sono riuscita a salvare
nessuno. Neanche Zayn.
Le lacrime cessano di scendere di
botto ed io mi rialzo.
Non importa se sto continuando a respirare, non importa se posso
sentire il mio
cuore battere. La mia vita sta bruciando, diventando cenere. Insieme a
Holmes
Chapel, insieme alla mia famiglia, insieme a Zayn.
_______
GRAZIE!
Grazie a tutti per
aver seguito questa storia fino all'ultimo!
Grazie
perchè per me significa davvero tanto!
Grazie per tutte le
recensioni e le belle parole!
Grazie
perchè mi avete resa davvero felice!
Non so che dire, sono
così triste che questa storia sia finita perchè
scriverla mi è piaciuto un sacco.
Ho aggiunto un
Missing Moment dal punto di vista di Zayn, che fa capire cos'ha fatto
lui in quest'ultimo capitolo e com'è morto: 'Trouble' (potete cliccare
sul nome per vederlo)
Beh, non è detto che non scriva un seguito in futuro
perchè... Beh, Leena non si arrende mai, giusto? E ho
comunque tante idee.
Ripeto: GRAZIE.
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