Il Lupo e la Rosa

di Piccolo Fiore del Deserto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I - Ricordi ***
Capitolo 3: *** II - Incontri ***
Capitolo 4: *** III - Sivelle ***
Capitolo 5: *** IV - Regali ***
Capitolo 6: *** V - La Festa di Fidanzamento ***
Capitolo 7: *** VI - L'Enigma ***
Capitolo 8: *** VII - La Congrega del Salice ***
Capitolo 9: *** VIII - Il Mercato di Sedan ***
Capitolo 10: *** IX - Sorrisi di Dama e Spade di Soldati ***
Capitolo 11: *** X - D'una lite e un aiuto ***
Capitolo 12: *** XI - La Gran Maestra ***
Capitolo 13: *** XII - Litigio e Lezioni ***
Capitolo 14: *** XIII - Lezioni (seconda parte) ***
Capitolo 15: *** XIV - Puoi Perdonarmi? ***
Capitolo 16: *** XV - La Festa ***
Capitolo 17: *** XVI - Il Matrimonio (prima parte) ***
Capitolo 18: *** XVII - Il Matrimonio (seconda parte) ***
Capitolo 19: *** XVIII - Dea e Dio ***
Capitolo 20: *** XIX - La Prova ***
Capitolo 21: *** XX - Bocciolo ***
Capitolo 22: *** XXI - Di Amuleti e Notizie ***
Capitolo 23: *** XXII - Riccioli color del sangue ***
Capitolo 24: *** XXIII - Misteri ***
Capitolo 25: *** XXIV - Gelo di fine Maggio ***
Capitolo 26: *** XXV - Nessuna Notizia ***
Capitolo 27: *** XXVI - Alizée ***
Capitolo 28: *** XXVII - Amicizia ***
Capitolo 29: *** XXVIII - Notte di Mezza Estate (parte prima) ***
Capitolo 30: *** XXIX - Notte di Mezza Estate (seconda parte) ***
Capitolo 31: *** XXX - Gelosie nocive ***
Capitolo 32: *** XXXI - Una vita per una vita ***
Capitolo 33: *** XXXII - Di un ritorno e una scomparsa ***
Capitolo 34: *** XXXIII - La Tortura ***
Capitolo 35: *** XXXIV - Notte prima dell'alba ***
Capitolo 36: *** XXXV - Il Lupo ***
Capitolo 37: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo






Parigi, Agosto dell’Anno del Signore 1572.






In tanti erano accorsi in città per assistere alle nozze dei sovrani, entusiasti all’idea che forse da una tale unione potesse scaturire la pace tra le due religioni contrapposte.
Una moltitudine di persone si riversava lungo le strade in direzione della cattedrale ove si sarebbe ufficiato il sacro rito.
I colori sgargianti degli abiti dei cattolici si scontravano con quelli più austeri e scuri degli ugonotti e, dalle occhiate di disprezzo che si scambiavano, sembrava realmente lontana quella pace tanto agognata.
Una bambina dai corti boccoli biondi trattenuti da sottili nastri di seta sul capo, trotterellava tenendo strette le mani dei suoi genitori, felice all’idea di partecipare a un evento di cui, però, non ne comprendeva l’importanza.
Incrociò lo sguardo di un’altra bambina della sua età, abbigliata elegantemente di un rosa pallido, alla quale sorrise dolcemente. L’altra stava ricambiando, quando sua madre, notando l’indirizzo del suo sguardo, la fece procedere più celermente, voltandosi con aria sdegnata.
La piccola dai boccoli d’oro smise per alcuni istanti di trotterellare, guardando confusa i suoi genitori. Dove era il problema?
« Stai tranquilla figlia mia. Un giorno tutto questo avrà fine e potrai giocare con quella bambina senza occhiate malevoli e in tranquillità. »
Suo padre era un uomo molto ottimista; forse era uno dei pochi che realmente credeva che le guerre di religione si sarebbero concluse molto presto: e quel matrimonio ne era il principio.

*

Qualche notte più tardi la bambina era seduta nel suo letto, senza riuscire a prendere sonno poiché si sentiva euforica per l’esperienza vissuta: non riusciva a dimenticare tutto ciò che aveva visto. Al matrimonio, infatti, seguirono diversi giorni di festeggiamenti che coinvolsero tutta la popolazione parigina. Aveva riso, ballato, mangiato leccornie che non aveva mai assaggiato prima, e si era sentita veramente felice.
Sospirò per poi sollevare lo sguardo verso la finestra dell’abitazione nella quale risiedevano, rivolgendolo verso la porzione di cielo che riusciva a intravedere. Aveva imparato a non temere la notte, anzi, con il tempo ne era rimasta incantata. Adorava trascorrere le ore a guardare quei piccoli puntini luminosi sparsi nel cielo scuro e quella pallida luna che spesso riusciva ad illuminare i luoghi meglio di una semplice lanterna.
Era una notte limpida e silenziosa. Miriadi di stelle osservavano immote la terra sottostante, ma la loro luce era fievole e fioca se paragonata all’astro argenteo che mostrava il suo volto più completo.

Gli abitanti della capitale francese sembravano dormire tranquilli nonostante la forte calura estiva che bagnava le loro vesti di sudore.
La piccola spostò lo sguardo verso i genitori che dormivano abbracciati in un letto poco distante dal suo, in quella stessa stanza della casa, e sorrise.
Da quella sera tutto sarebbe cambiato in meglio.

Ma…
Bastò il suono di una campana a frantumare i loro sogni.

Non ci fu molto tempo per scappare. Urla di dolore, lamenti e terrore si diffusero rapidamente, quando armigeri senza scrupoli fecero violentemente irruzione nelle case degli ugonotti.
La piccola corse rapida tra le braccia della mamma, la quale, seppur terrorizzata, la strinse a sé con fare protettivo, ma i suoi occhi guizzarono verso il marito alla ricerca di un aiuto.
Dopo un primo momento di disorientamento suo padre le disse di nascondere la loro figlia. Non c’erano molti nascondigli nella casa, ma la loro bambina aveva le giuste dimensioni per entrare in una botola nel pavimento dove erano soliti nascondere le cose più preziose che possedevano.
Dopotutto lei valeva più di ogni altra cosa. Era realmente la cosa più preziosa da difendere e preservare.
« Desirée, ora ascoltami. Devi rimanere qui e stare zitta. Qualunque cosa succeda non uscire, non urlare, non farti vedere finché non sentirai il più assoluto silenzio. Allora scappa più veloce che puoi, e recati a Sivelle e chiedi di Madame Angélique Le Marchand. Lei ti aiuterà » le disse sua madre.
« Ma… »
Desirée, tuttavia, non comprendeva. Perché i suoi genitori nascondevano solo lei? Perché non trovavano anche loro un modo per salvarsi? Che cosa stava succedendo?
Prima che potesse aggiungere altro, però, fu suo padre a prendere parola.
« Niente ma, bambina mia. Non c’è più molto tempo, fa come ti dice tua madre. Presto. »
Seppur sconvolta, non riuscì ulteriormente a obiettare. Scese nella botola ma, prima che fosse richiusa sopra di sé, scrutò per l’ultima volta i volti amati dei suoi genitori. Loro si sforzarono di sorriderle per rassicurarla, poi sua madre richiuse la botola e si strinse al marito, consapevoli di ciò cui sarebbero andati incontro.














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Ebbene ci siamo! Finalmente ho completato una delle long che ho in mente e alla quale ho dedicato tutto il mio cuore. E' stato un lungo percorso, ma devo dire di esserne soddisfatta. Ammetto che pubblicarla qui mi mette un poco di paura, perché è una storia a cui tengo tantissimo, ci ho messo più di un anno a scriverla e tante volte volevo rinunciare e cancellare tutto. E' una storia che mi ha fatto gioire e piangere, una storia che sento profondamente legata al mio animo, una storia importante. Ricevere troppi commenti negativi, sarebbe una delusione per me, ma sono pronta ad accettare commenti costruttivi che mi aiutino a capire dove sbaglio (soprattutto errori grammaticali che mi sfuggono sempre, nonostante io legga e rilegga). Vi chiedo solo questo, rispettate le mie scelte stilistiche, lì non transigo proprio, perché sono cose personali (ad esempio ci saranno parole in francese, essendo ambientata in francia, ed è una mia scelta, quindi non la cambierò).

Anche se ho inserito un periodo storico ben preciso, non appartiene totalmente al genere storico, perché riconosco la mia ignoranza sull'epoca. Non so tutto e ho cercato di informarmi il più possibile, ma ammetto di avere i miei limiti, pertanto molte cose saranno anche di mia fantasia; inoltre ha elementi molto soprannaturali, quindi è anche logico introdurre fantasia oltre che realtà.

Anticipo anche che tratterà di religione, almeno in parte. Non è mia intenzione offendere nessun credo, perché io sono aperta a tutto; molte cose sono mie riflessioni, o anche concetti che ho letto in libri e che ho fatto miei, perché ci credo profondamente.

Ho parlato anche fin troppo. Benvenuti nel mondo de "Il Lupo e la Rosa", spero che vi piacerà!



Note.
- Pur non menzionandolo esattamente, il periodo preso in riferimento per l'inizio della storia è relativo alla Notte di San Bartolomeo.
La notte di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a Parigi. Il massacro ebbe luogo a partire dall'ordine di Carlo IX di uccidere sistematicamente i leader protestanti, fra i quali il capo militare e politico degli ugonotti, l'ammiraglio Gaspard de Coligny, che sei giorni prima si erano radunati a Parigi, una città fortemente cattolica, in occasione delle nozze fra la sorella del re, Margherita di Valois e il protestante Enrico III di Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia. (cit. Wikipedia)


- "
Ma…Bastò il suono di una campana a frantumare i loro sogni." La motivazione di questo mio scritto è la seguente:

Sembra che il segnale d'inizio della strage fosse fissato dallo scoccare di un'ora imprecisata della notte delle campane della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois, vicina al Louvre, dove molti dei nobili protestanti abitavano. (cit. Wikipedia)


- Sivelle è una città inventata da me.


ps. Non avrò dei periodi prestabiliti di aggiornamento. La storia è completa, ma la devo revisionare attentamente, quindi pian piano avrà luce ;)


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Capitolo 2
*** I - Ricordi ***


I
Ricordi









Mi svegliai di soprassalto visibilmente agitata dal medesimo sogno che aveva turbato a lungo le mie notti durante l’infanzia e che, sovente, si ripresentava anche a distanza di anni.
Il mio respiro era affannato e il cuore palpitava con forza.
I volti dei miei genitori continuavano a essere vividi dinanzi a me, anche ora che tenevo gli occhi bene aperti.
Ero solo una bambina di dieci anni quando armigeri, appartenenti alla fazione cattolica, spezzarono la tranquillità della mia famiglia e con essa anche i sogni in cui tanto avevano sperato i miei amati genitori.
Dopo essere stata nascosta sotto la botola nel pavimento, due uomini robusti e armati fino ai denti avevano fatto violentemente irruzione nella nostra abitazione e rivolto macabri sorrisi ai miei genitori ancor stretti l’una all’altro, forse nel vano tentativo di proteggersi a vicenda o suscitare un minimo di pietà agli occhi dei loro sconosciuti assalitori.
Tuttavia, non c’era neanche il benché minimo barlume di pietà. Avevano altezze differenti, ma gli stessi capelli corti, ispidi e scuri. Il più basso aveva un aspetto più minaccioso, una cicatrice gli deturpava il lato destro del viso e i suoi occhi, di un verde spento, denotavano una certa mancanza d’intelligenza che, invece, s’intravedeva negli occhi scuri e vispi del secondo armigero.
Potevo vedere tutto attraverso un’unica piccola fessura del pavimento ma, fossi stata realmente consapevole di ciò che presto si sarebbe presentato ai miei occhi, avrei lasciato da parte la mia immensa curiosità.
Sentii mia madre gemere, mentre i due sembravano rimanere inizialmente immobili a osservare la coppia spaventata.
« Guarda chi abbiamo qui. Un’ignobile coppia di vermi eretici. » disse l’armigero più alto, mentre l’altro sputò a terra con disprezzo, ma, lievi movimenti del suo corpo e del suo viso tradivano la sua voglia di agire, anziché parlare.
« Noi non siamo eretici » osò sfidarli mio padre con voce, almeno all’apparenza, sicura e decisa, che turbò per un attimo il più alto dei due cattolici.
« Non ti permettere di ribattere, sporco ugonotto. » sibilò e lanciò uno sguardo eloquente al suo compagno, prima di aggiungere « Anzi, prega perché questa notte sarà l’ultima che vedrai, insieme alla tua adorabile mogliettina. » rivolse uno sguardo avido verso mia madre, mentre il compagno ghignando si fece avanti e diede un pugno allo stomaco di mio padre che si ritrovò ad accartocciarsi su se stesso lasciando andare la presa di sua moglie, che urlò disperata chinandosi sul marito e implorandoli di lasciarli stare.
Io portai le mani alla bocca, smorzando il grido che mi avrebbe sicuramente fatta scoprire.
I lamenti e l’implorazione di mia madre, tuttavia, aumentarono il senso di potere e la sete di sangue dei due armigeri e, quello che accadde in seguito fu inevitabile.

Ancora a distanza di undici anni da quel fatale evento, rammentavo lo strazio provato nel sentire le urla e i gemiti di mia madre e i tentativi inutili di mio padre nel proteggere la donna amata.
L’ultima cosa che riuscii a vedere fu l’armigero più alto scagliarsi su mia madre, cercando di spogliarla e l’altro che infliggeva colpi sempre più violenti a mio padre.
Mi sentivo inerme e avvertivo una tremenda voglia di urlare, ma non avevo dimenticato le parole dei miei genitori; così, chiusi gli occhi e iniziai a fare un gioco che mi aveva insegnato la mia mamma.
In quell’oscurità che mi avvolse, iniziai a creare un mondo tutto mio. Pian piano delle fievoli lucine illuminarono il luogo nella mia testa e tante piccole creaturine dalle forme e dai colori più diversi mi sorridevano e iniziavano a cantare. Quel canto immaginario riuscì a superare le grida sopra di me e sembrai tranquillizzarmi.

Non seppi quanto tempo rimasi in quel mio mondo immaginario, ma quando tornai alla triste realtà, avvertii un completo silenzio laddove prima c’era l’orrore.
Decisi di attendere ancora un poco per essere del tutto sicura che i due “cattivi” si fossero allontanati e poi, quando mi sentii sicura, sgusciai fuori dal mio nascondiglio.
La nostra modesta abitazione era completamente sottosopra: c’erano oggetti rotti e sparsi a terra, cassetti aperti, letti disfatti e quello dei miei genitori era macchiato di tante piccole gocce di sangue che poi si ripetevano sul pavimento fino a congiungersi in una vera e propria chiazza più ampia.
Portai una mano alle labbra avvertendo una sensazione di nausea e poi continuai ancora a osservarmi intorno. Non c’era traccia umana nella stanza, oltre a me. I due armigeri se ne erano andati, ma avevano portato via anche i corpi dei miei genitori.
Avvertii solo in quel frangente un opprimente senso di solitudine che mi avvolse come una mosca nella ragnatela.
« Maman, Papa? » domandai, ma la mia vocina si perse, smorzata dalle lacrime che iniziarono a fuoriuscire dai miei grandi occhi azzurri.
Fui pervasa dal desiderio di raggomitolarmi a terra e restare lì, ma la paura che quegli uomini crudeli potessero tornare e il ricordo delle parole dei miei genitori mi spinsero a farmi forza. Rammentai la città citata da mia madre e, senza donare un ultimo sguardo al luogo, sgusciai fuori dalla casa e iniziai a correre più veloce che le mie gambine potessero permettermi, nel tentativo di allontanarmi da quel luogo di morte e disperazione.

*


Scesi dal mio letto ormai consapevole di non riuscire più a riprendere sonno. L’alba si avvicinava; il cielo, infatti, era meno scuro e tenui bagliori rossastri s’iniziavano a intravedere verso est.
Iniziai a camminare nella stanza. Era ancora presto per lavorare, ma non potevo permettermi di rivivere ancora una volta quelle immagini che, tuttavia, non mi abbandonavano.
Era stata dura per una bambina ormai orfana allontanarsi da quella città.
Avevo cercato di non farmi vedere, di correre veloce, ma più di una volta, nell’oscurità non ancora scomparsa, mi ero scontrata con degli strani oggetti ammassati sul terreno.
In un primo momento pensai che fossero proprio dei beni appartenenti agli ugonotti, e gettati fuori dalle loro abitazioni oppure dei massi, ma quando mi ritrovai a cadervi sopra, due occhi vacui e inespressivi mi fissarono.
Mi sfuggì un grido di terrore e cercai di rialzarmi, seppur con movimenti impacciati, per allontanarmi il più possibile da quei… cadaveri.

Al solo ricordo ancora rabbrividivo.
L’odio aveva portato due religioni a scontrarsi.
A lungo le guerre si erano ripetute e ancora accadevano.
Quella notte poi i corpi di migliaia di ugonotti furono ammassati sulle strade ed ero ormai certa che tra quelli ci fossero anche i miei genitori.
Lacrime calde presero a scorrere dai miei occhi nel ricordare la bambina che ero…
…una bambina costretta ad affrontare tante cose spregevoli in una sola notte.
Non seppi dove trovai la forza di andare avanti, nonostante il mio corpicino tremasse, i miei occhi fossero gonfi di lacrime e il mio cuore palpitasse senza tregua, ma la trovai e iniziai così il mio duro cammino verso Sivelle, la città dove forse avrei ritrovato un po’ di pace.

Furono giorni insidiosi. Per una bambina non era facile affrontare da sola un viaggio così lungo. La strada era colma di pericoli: agli animali selvaggi e ai briganti si univano persone che, ispirate a quella notte e istigate dai preti, continuavano a uccidere senza pietà altri ugonotti, unicamente colpevoli di professare diversamente la loro religione.
Oltre a ciò, la fame si faceva sentire, così come la stanchezza.
Alcune notti trovai riparo semplicemente in particolari insenature sul terreno, all’aperto; in altre occasioni trovai persone di buon cuore capaci di donarmi un po’ di pane e qualcosa di caldo, oltre a un giaciglio di paglia dove riposare.
Spesso ero invitata a rimanere di più, ma dovevo proseguire.
Quando il sogno stava ormai per spegnersi, come le mie forze, finalmente un uomo, al quel avevo chiesto informazioni, disse:
« Sivelle? È proprio davanti a te, bambina. »
Sorpresa e incredula guardai dinanzi a me e scorsi la città, che mi lasciò nettamente senza parole. Ringraziai velocemente il contadino e piansi di gioia.
Ce l’avevo fatta.
Sporca, stanca, affamata e con i piedi feriti per il lungo cammino, oltrepassai le mura e, dopo aver chiesto ulteriori informazioni sulla donna alla quale rivolgermi, mi presentai all’ingresso della sua casa e proprio di fronte a Madame Le Marchand, svenni.


*



Quando riaprii gli occhi, incontrai quelli indagatori di una donna minuta e paffuta, abbigliata con un modesto abito nero con pizzo bianco sulle maniche e sul corpetto; i suoi capelli striati d’argento s’intravedevano appena da sotto una cuffietta di lino anch’essa bianca.
« Finalmente hai aperto gli occhi, bambina » mi disse con una punta di nervosismo nel tono di voce « iniziavo a pensare che avresti dormito molte altre ore ancora. »
Sbattei le palpebre, confusa; in un primo momento non rammentai affatto dove mi trovassi e chi fosse quella donna che mi fissava intensamente con quei piccoli occhi grigi.
« Suvvia bambina, ora hai riposato abbastanza! Vuoi finalmente dirmi chi sei e come mai ti ho ritrovata svenuta dinnanzi alla mia dimora? »
Rimasi in silenzio per qualche istante ancora, ma notando la sua impazienza, decisi di non farla attendere oltre.
« Siete Madame Le Marchand? »
La mia voce era roca e bassa per essermi appena ridestata.
« Esattamente! Ma non ho ancora sentito il tuo nome. Forza bambina, non farmi attendere troppo che ho molto da fare. »
Pose le mani sui fianchi, chinando il busto verso di me.
« Io… sono Desirée Chervalie. La mia mamma mi ha detto di venire qua per stare al sicuro… »
In un attimo i ricordi si fecero vividi nella mia mente e rabbrividii sotto le lenzuola.
« Chervalie. Ho sentito già questo cognome; ma qual era il nome di tua madre? » mi chiese, lasciando il posto alla curiosità.
« Evelyne de Lys » risposi in un bisbiglio, mentre i miei occhi si riempirono di lacrime al solo nominare colei che amavo e non avrei mai più rivisto.
Nell’udire quel nome Madame Le Marchand sbiancò, guardandomi con più attenzione come se volesse trovare in me tutte le affinità possibili con mia madre. Effettivamente le somigliavo molto, per i lineamenti, gli occhi grandi color del cielo e i morbidi boccoli naturali, ma l’oro splendente dei miei capelli era un dono del mio adorato padre.
« Evelyne… la figlia di Evelyne » ripeté tra sé la minuta donna, provando a immaginare dalle mie condizioni quale terribile tragedia fosse accaduta.
Io non riuscii a dire molto; il mio corpo fu scosso da singhiozzi che non riuscii a frenare.
« Oh piccola, non piangere. Qui sarai al sicuro. »
L’espressione sul viso della donna si addolcì, ma si fece anche triste. Avvicinò le sue mani alle mie e le sfiorò appena, come se fosse a disagio con i bambini.
« Evelyne era una mia carissima amica, una donna così dolce… » sospirò « non ti preoccupare bambina, potrai rimanere di certo qui. Ora però alzati, lavati un poco con l’acqua in quella bacinella e poi, quando sarai sazia, deciderò cosa potrai fare. Vedi, anche se ero legata profondamente a tua madre, non posso prendermi totalmente cura di te senza nulla in cambio. Dovrai aiutarmi a mandare avanti questo posto in qualche modo, ecco. »
Allontanò le sue mani dalle mie e cercò di lottare per trattenere le lacrime.
Come presto intuii Madame Le Marchand non amava palesare di fronte agli altri i suoi sentimenti e le sue debolezze.
« Orsù non poltrire più! Ti attendo in cucina tra poco! » così dicendo mi diede le spalle e sgusciò rapida fuori dalla stanza.


Sarei voluta rimanere ancora del tempo in quel letto così confortevole come non provavo da qualche tempo, ma mi resi ben presto conto che restare ferma mi portava a pensare e ricordare avvenimenti ancora troppo freschi e dolorosi.
Scesi quindi dal letto, rabbrividendo un minimo al contatto dei miei piedi nudi con il pavimento. Diedi uno sguardo alla stanza, comprendendo di trovarmi in un ambiente non troppo ricco, ma neanche troppo modesto: oltre al letto, c’erano altri mobili, una sedia, una cassapanca e un piccolo tavolo con sopra una candela ormai conclusa. Mi avvicinai alla bacinella e affondai le mani nell’acqua fresca per poi detergere il mio viso, cercando di eliminare al meglio ogni sporcizia, passando poi alle varie parti del corpo.
In un tavolino trovai un pettine di legno con il quale avrei potuto districare i miei boccoli ribelli e ormai colmi di nodi. Notai la presenza di uno specchio nella stanza, e per un attimo ne rimasi colpita; non era un oggetto che tutti riuscivano ad avere, soprattutto di quelle dimensioni, che poteva riflettermi in modo completo.
Mi avvicinai e scrutai la mia immagine riflessa che mi osservava stravolta. Notai i segni della stanchezza e delle tante lacrime versate sul mio viso emaciato e scavato; il pallore e persino la luminosità dei miei capelli sembrava essersi mitigata. Mi sforzai di fare un sorriso ma apparve più come una smorfia, quindi mi fermai.
Avevo perso tutto: i miei genitori, la mia casa, la mia felicità e la mia vita, e ora dovevo ripartire da zero.
Lacrime impertinenti tentarono di uscire di nuovo dagli occhi, ma ad esse risposi con la rabbia. Iniziai a districare i nodi sul capo con foga, incurante del dolore provato. Non volevo più piangere, volevo essere forte, dovevo esserlo, ma mi sentivo prosciugata di tutte le energie.
Caddi sulle ginocchia e nascosi il mio viso, ormai rigato da lacrime salate, tra le mani. Mi era impossibile smettere di piangere, era un dolore troppo grande.

Dopo qualche minuto, tuttavia, mi risollevai e tentai di farmi forza. Con una manica della camicia detersi le lacrime e poi ripresi a spazzolarmi con più attenzione e cura.
Trovai sopra alla cassapanca un abito dalla foggia estremamente semplice, di un marroncino scuro, e lo indossai.
Tornando a specchiarmi mi sembrò di vedere una serva come mio riflesso, ma non m’importava. Io dovevo vivere e affrontare tutto con forza, senza mai dimenticare chi mi aveva salvata.

*


Madame Le Marchand mi attendeva in cucina come avvisatami.
Non appena mi rivolse lo sguardo, notai che i suoi occhi erano diventati rossi, come se avesse pianto, ma subito addossò la colpa alle cipolle che in quel momento stava tagliando.
« Vieni pure avanti Desirée, non rimanere immobile su quella porta » disse e non appena ebbi mosso qualche passo aggiunse « noto che l’abito ti sta bene, forse la gonna è un po’ corta, ma si potrà aggiustare in qualche modo. »
Mi fece cenno di accomodarmi su uno sgabello accanto a lei.
« Ci ho riflettuto un poco e credo che l’unico modo in cui potrai aiutarmi è nelle faccende domestiche. Sono una mercantessa di stoffe e qualcuno deve badare a questa dimora; un’altra persona farebbe al caso mio. Dopotutto io ti darò un tetto e del cibo e tu dovrai ricambiare in qualche modo. »
Compresi che non aveva tutti i torti, anche se l’idea di essere una sguattera non mi allettava particolarmente; ma avevo visto la vita di strada e non volevo assolutamente tornarci.
« Comprendo Madame e sono disposta a esservi utile in qualsiasi mansione voi vogliate affidarmi, dopotutto vi devo tanto… la vita stessa. » risposi, remissiva.
« Bene, allora collaborerai con gli altri membri della loggia nel ruolo di sguattera, almeno fino a quando non noterò o non sorgerà in te un particolare talento che mi spinga a rivalutare la tua posizione. » mi scrutò con quel suo sguardo penetrante ed io arrossii un poco. « ricordo che tua madre era molto brava a confezionare abiti… »
Mi lanciò l’idea ed io la colsi al volo.
« Sì, spesso la osservavo cucire… e qualche nozione me l’ha insegnata, ma… non credo di esserne ancora capace. » ammisi con estrema sincerità.
« Capisco, tuttavia quando vorrai e avrai tempo dopo aver adempito tutti i tuoi compiti quotidiani, potrai provare a vedere se quello potrà essere il tuo cammino, il tuo futuro ruolo in questa loggia. »
La sentii sospirare, ma non mi diede tempo di ribattere.
« Dunque, iniziamo a cucinare! Oggi Annette non c’è, ma da domani sarà lei a farti comprendere quali saranno i tuoi compiti. »
Annuii e iniziai ad aiutarla, ma nei miei pensieri risuonavano le sue parole che fecero scaturire in me un obiettivo da raggiungere. Sarei migliorata nel ricamo e nel cucito, volevo diventare una vera ed esperta sarta così da non trascorrere il resto dei miei giorni nelle vesti di sguattera e rinunciare a tanti possibili sogni.

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Capitolo 3
*** II - Incontri ***


II
Incontri





L’acqua nella bacinella era fresca e un brivido mi fece sussultare non appena le mie mani ne entrarono in contatto.
La primavera era appena iniziata, ma ancora non faceva così caldo da trovar piacere nel compiere quel gesto, tuttavia non eravamo abbastanza ricche da permetterci acqua calda ogni qual volta era nostro desiderio e ormai mi ero abituata.
Mi detersi il viso con cura, cercando di scacciare dalla mia mente le immagini del passato e, una volta asciutta, riflettei la mia immagine nel medesimo specchio che avevo visto la prima volta che mi ero risvegliata in quella che era ormai divenuta la mia stanza personale.
Quella che vidi riflessa, non era più un’orfana sperduta, affamata e impaurita, ma una donna che si era creata una vita nuova.
I miei corti boccoli biondi si erano allungati, scorrendo lungo la schiena fino alla vita come un soffice manto; il mio corpo era maturato, arrotondandosi un poco e perdendo quella piattezza tipica dell’infanzia.
Spesso avevo ricevuto complimenti, tuttavia non osavo vantarmi del mio aspetto perché non era tipico del mio carattere.
Osservandomi con più attenzione rividi entrambi i miei genitori: mia madre nelle linee delicate e armoniose del viso e nel piccolo naso all’insù, e mio padre nell’oro dei miei capelli e nelle labbra piene che ero solita arricciare in modo buffo quando qualcosa non andava secondo i miei piani, proprio come faceva lui.
Cercai di sorridere alla mia immagine riflessa e feci un profondo respiro: dovevo vivere il presente e non mostrare tristezze; il mondo va avanti senza attenderti e questo l’avevo ormai compreso da anni.
Quando mi sentii convinta e pronta ad affrontare la nuova giornata, indossai una camiciola bianca di cotone e sopra una semplice veste azzurra, con ricamata all’altezza del petto, sulla destra, il simbolo della loggia di Madame Le Marchand, ove dall’età di dieci anni ormai lavoravo.
Il colore, tuttavia, dimostrava il mio nuovo impiego: non ero più la sguattera, ma anni di impegno, devozione, frustrazioni, fallimenti e vittorie mi avevano portato a essere un sarta abile, capace di realizzare ogni genere di abito e accessorio per trasformare i desideri di tutte le dame e i messeri del luogo in realtà. Cercavo di lavorare per tutti; dai più poveri fino ai membri della corte stessa, allocata in un grande Palazzo sulla sommità di una collina circondata da un tranquillo torrente.
Negli ultimi anni avevo enormemente superato le aspettative di Madame Le Marchand e me stessa: ero diventata, infatti, la sarta più conosciuta e ricercata di Sivelle e ne ero orgogliosa.
Un raggio di sole s’infiltrò nella stanza illuminandola maggiormente. Ero ormai pronta a cominciare una nuova giornata.



*



Il rumore di una carrozza mi distolse ben presto dal mio lavoro. Stavo cucendo con cura un abito di seta rossa per una dama, quando alzai lo sguardo verso l’ingresso della Loggia. Non ero sola; nella sala grande molte donne, alcune ancor bambine, lavoravano ad altri vestiti nei loro rispettivi tavoli, ma tutte si accorsero dello stridio sulla strada ciottolosa.
Ben presto il silenzio fu ulteriormente interrotto dall’aprirsi dell’uscio, susseguito dall’ingresso di una graziosa dama abbigliata d’un abito giallo ocra.
La nuova arrivata fece vagare il suo sguardo nel salone e presto incrociò il mio, sorridendomi raggiante.
« Bonjour a tutte! » esordì chinando appena il capo e quindi si avvicinò al mio tavolo. « Desirée, ma chére, stavo giusto cercando te! »
« Eccomi, dunque. Cosa ti porta qui dama Lemoine? » chiesi con educazione, ma lei arricciò il naso contrariata.
« Oh, suvvia Desirée, quando imparerai a chiamarmi per nome? Siamo amiche dopotutto, non è forse vero? »
In effetti, eravamo amiche da diversi anni.
Ero a Sivelle da solo un anno quando la intravidi.
Sin dalla più tenera età era stata educata a corte per diventare una perfetta dama di compagnia del Conte della città.
Ricordavo bene il nostro incontro: io ero ancora solo una sguattera, ma quel giorno osservavo con minuziosa attenzione il lavoro di una sarta, in uno dei pochi momenti liberi e quando mi vide abbigliata in modo così scialbo – in contrapposizione al suo raffinato abito di raso rosa, ricco di pizzi e merletti – storse le labbra in una smorfia di disgusto che mi spinse ad arrossire, imbarazzata, e a provare il desiderio di svanire all’istante.
Non c’eravamo, quindi, apprezzate subito, ma col tempo la situazione mutò e mi ritrovai a essere la sua sarta personale, oltre che cara amica.
Spesso le prime impressioni sono errate, solo con il tempo puoi imparare a conoscere meglio chi hai davanti.
Con il trascorrere degli anni anche lei era mutata. Quella che, infatti, avevo ormai davanti agli occhi era una donna formosa, che riluceva di luce propria, grazie anche a quell’elegante abito giallo, dalla gonna ampia e il bustino stretto al petto, che risaltava le sue morbide forme, com’era di moda all’epoca. Il tutto era corredato da un grazioso cappellino sul capo, adornato da fiori bianchi e rossi di stoffa e guanti fino ai gomiti anch’essi gialli.
I capelli scuri come l’ebano erano lasciati sciolti, tirati indietro appena da forcine, e i suoi occhi verdi mi scrutavano desiderosi di una risposta.
« Perdonami Louise-Marie, non sono abituata a rivolgermi così a una dama di alto rango. » ammisi con sincerità, abbassando lo sguardo sulla morbida stoffa cui stavo lavorando.
Lei si chinò un poco verso di me, allungando poi le mani guantate ad afferrare le mie con delicatezza.
« E a un’amica? » domandò con dolcezza.
Sollevai di nuovo lo sguardo verso di lei e il mio cuore si sciolse di fronte a cotanto affetto.
Lei era come una sorella.
« A un’amica posso farlo… » risposi, rivolgendole un caldo sorriso. Bastò un attimo per farla tornare allegra e pimpante come prima.
« Bene, allora possiamo passare ad altri argomenti più interessanti! » esclamò, per poi scostare una sedia senza chiedere permesso alcuno e vi si sedette con la solita grazia frutto della sua educazione.
« Certamente. »
La osservai posare lo sguardo sull’abito che avevo smesso di cucire e credendo che quello fosse l’argomento, mi affrettai a dire:
« Non ho ancora concluso il tuo abito, ma se ti serve presto posso lavorarci l’intero giorno così da fartelo avere domani stesso. »
Louise-Marie posò la mano destra su quella morbida stoffa e poi scosse il capo.
« No, non sono qui per questo. Prenditi il tempo che ti occorre, non voglio che la mia cara amica, nonché sarta di fiducia, si stanchi troppo e realizzi un abito appena discreto. » replicò, arricciando le labbra e allontanando la mano dalla stoffa. « Sono qui per un altro argomento che ti riguarda più nel profondo… » si fermò e lessi un lampo birichino nei suoi occhi smeraldini « …del tuo cuore ».
Io arrossii di colpo comprendendo immediatamente il senso delle sue parole; sentii la gola arida, tanto che non riuscii a proferire parola alcuna.
La dama proruppe in una sonora risatina, coperta appena dalla mano destra guantata, facendo voltare con curiosità le altre donne presenti.
« Ma come sei dolce ma pétite Desy! » esclamò continuando a deridermi ancora un poco. « Basta accennare anche velatamente al tuo amore ed eccoti arrossire violentemente e non avere più parole. Sei proprio innamorata, n’est pas? »
Avvertii gli sguardi delle altre artigiane, i loro sorrisi, il brusio dei loro commenti e un crescente calore frutto dell’imbarazzo mi avvolse.
« Oh, ti prego, Lou, non ridere di me, mi metti in imbarazzo…» mormorai.
« Pardon ma douce! »
Si ricompose lanciando appena uno sguardo alle altre, prima di soffermarlo ancora una volta verso di me.
« Comunque sono qui per darti gli ultimi aggiornamenti sulla festa per il vostro fidanzamento ufficiale. Il Conte mi ha concesso il permesso di realizzarlo presso i giardini del suo Palazzo in caso di bel tempo, o nel Salone delle Feste in caso di pioggia. Certo, non sei una dama di corte, ma sei la sarta migliore di Sivelle ed anche il nostro Conte apprezza le tue qualità e ha accettato con piacere quest’evento, tanto più che il cuore che hai rubato appartiene a uno dei suoi soldati! »
La osservai gesticolare come il solito mentre parlava, e per un attimo sembrai rilassarmi, ma al pensiero del soldato il rossore tornò a farsi intenso sulle mie gote.
« Ti ringrazio infinitamente per tanto calore e per la tua immensa gentilezza, ma… »
Non mi fece terminare, scuotendo subito il capo, stizzita.
« Oh no! Non voglio sentirti dire ancora frasi come ‘non voglio una festa troppo sfarzosa’ o simili. Sei la mia migliore amica, la sorella che non ho mai avuto; hai realizzato tanti miei desideri con i tuoi meravigliosi abiti e accessori e ora sta a me! »
Tornò a prendermi le mani e l’espressione del suo viso si addolcì. « Meriti una festa da sogno. Smetti di essere solo un’artigiana almeno per un giorno e immagina di essere una vera dama che compie il primo importante passo per coronare il suo sogno d’amore con l’uomo che più ama. »
Sentii il cuore accelerare il battito di fronte a una tale dimostrazione d’affetto; i miei occhi si fecero umidi e, se non ci fosse stato il tavolo a dividerci, l’avrei abbracciata. Non potendolo fare, mi limitai a stringere un poco più forte le sue mani e a rivolgerle un sorriso denso di gratitudine. Notai anche la sua commozione che subito tentò di mascherare con una nuova risata cristallina.
« Grazie di cuore, sorella mia. Per me è molto importante quello che fai per noi… »
« Non devi ringraziarmi. Sai che è il mio dovere realizzare feste tese a rallegrare il Conte e le corte tutta. Tu sei abile a realizzare abiti, mentre io ho il dono di realizzare eventi importanti. » alzò il mento, fiera di sé, ma le nostre mani restarono unite.
« Sì, ho sentito parlare delle tue particolari abilità per le feste, e finalmente potrò vederlo con i miei occhi. »
Le mie parole contribuirono a rafforzare il suo ego; l’ammiravo per la sua sicurezza e quell’autostima che a me mancavano.
« Ma se sono qui è anche per avvisarti di una cosa. Ho bisogno di un altro abito per la festa: deve essere discretamente elegante e bianco come il latte… »
Portò l’indice della mano destra a picchiettarsi il mento, pensierosa: « … e poi potresti aggiungere dei pizzi all’altezza del petto e sulle maniche? Magari anche delle piccole rose di stoffa rossa, anzi no, forse meglio rosa, che si dipanano sulla gonna, ampia, chiaro. Ah già! Ricorda che il bustino deve mettere in mostra le forme, sai la moda… » gesticolò con la mano destra, mentre mi rivolgeva un sorriso malizioso. Io segnai tutto su un taccuino.
« Va bene. Devo abbinarci anche qualche accessorio? » le domandai.
« Certamente! Graziosi guanti di raso bianco e un cappellino abbinato. Lascio al tuo gusto e alla tua deliziosa immaginazione e creatività. Mi fido di te. »
« Tu riponi fin troppa fiducia in me, ma mi rendi felice. »
Lei sorrise deliziosa e poi aggiunse:
« Bien, credo che sia tutto. Fra tre settimane ci sarà il grande evento a Palazzo, tutto per te. »
Si alzò e, dopo essersi riassestata il lungo abito, aggiunse:
« A presto Desy e non stancarti troppo, dovrai essere deliziosa e riposata quel giorno. »
Annuii e mi alzai per rivolgerle un saluto più opportuno.
« Va bien, Lou, a presto ».
« Au revoir a voi tutte. »
Così dicendo, si voltò e uscì.
Lo stridio della carrozza ci indicò che si stava allontanando.
Non mi lasciai prendere troppo dalle emozioni; c’era molto lavoro da fare e non volevo essere canzonata dalle altre che di tanto in tanto mi lanciavano sguardi maliziosi e risatine. Tornai a occuparmi dell’abito, ma il mio cuore pulsava e la mia mente lavorava già a possibili immagini e risvolti dell’evento.
Il mio evento.


*



Quella stessa sera rimasi oltre l’ora consueta di lavoro, poiché ero presa da un’insana voglia di portare a termine, nella maniera più opportuna ovviamente, l’abito per la mia amica. A questo, si era poi aggiunta l’ispirazione per buttare giù una bozza della sua ennesima importante richiesta, e ben sapevo che non potevo lasciarmela sfuggire quando essa mi spronava, perché soltanto in quei momenti riuscivo realmente a disegnare qualcosa di unico e, seppur con modestia, perfetto.
Ero, dunque, sola in quell’ampio salone al pian terreno; le altre artigiane erano tornate alle proprie dimore, ormai stanche ma anche per andare a badare ai loro compiti di mogli e madri. La cosa, tuttavia, mi rendeva serena.
Con quel silenzio riuscivo maggiormente a non lasciarmi distrarre e potevo dedicarmi con maggiore attenzione a quella che ormai era diventata la mia arte, una sorta di magia.
Ero così presa dal mio disegno, da estraniarmi quasi dal mondo reale, tanto da non accorgermi sin da subito di un rumore alla porta.
Quando però, il rumore si fece più forte, dovetti abbandonare quello stato di trance e tornare alla realtà. Inarcai le sopracciglia, sorpresa, chiedendomi chi potesse giungere alla loggia a un’ora così tarda, quando ormai tutti erano tornati alle loro dimore per cenare e riposare.
Dopo un primo attimo di perplessità, alzai il tono di voce e dissi:
« Chi è a quest’ora della sera? »
Solitamente la porta della loggia non era serrata, per permettere ai clienti di entrare, senza dover fare alzare continuamente le sarte, ma a un’ora così tarda i rischi erano molti, e dovevo essere prudente prima di far entrare chiunque fosse all’esterno.
Una voce delicata, simile al suono delle acque, rispose:
« Vi chiedo perdono per l’ora, Mademoiselle, ma sono qui per un ordine importante, se è ancora permesso entrare. »
Ascoltai le sue parole, quella voce femminile che mi parve essere – non sapevo neanche io per quale motivo – rassicurante, e le permisi di entrare, nonostante non fosse più l’ora di lavorare.
« Venite dunque avanti, ho ancora qualche minuto per ascoltare le vostre richieste. »
Lasciai il carboncino in un apposito contenitore, e sospirando gettai un’ultima occhiata al disegno ancora incompleto dell’abito, prima di spostare lo sguardo verso la porta, da dove proprio in quel momento stava facendo il suo ingresso una giovane donna.
Era avvolta in un mantello scuro come la notte, il cui cappuccio fece scivolare non appena mise piede nel locale. Potei così osservarla meglio: morbide onde castano-biondo le incorniciavano il viso, scorrendo fino al collo; occhi grandi color del legno non indugiarono troppo sull’ambiente, quanto sul mio viso. Era piccola e formosa, e le sue labbra, carnose, si distesero in un sorriso luminoso, non appena incrociò il mio sguardo e si fece più vicina.
« Bonsoir Mademoiselle, sono profondamente dispiaciuta nel dovervi rubare tempo proprio a un’ora così tarda, ma non ci metterò molto, ve lo prometto. » disse, chinando appena il capo in segno di scuse.
Io scossi il capo e la invitai con un gesto della mano a sedersi senza problemi.
« Non vi preoccupate Mademoiselle, ditemi pure ciò che desiderate. Siete stata fortunata, questa sera mi sono persa nel mio lavoro e ho fatto tardi. » ammisi, arrossendo lievemente.
La giovane donna scrutò con curiosità e impertinenza il foglio su cui avevo disegnato una parte dell’abito, e annuì.
« Noto. Mi hanno detto che siete una grande artista, avete una particolare dote nel realizzare abiti per tutti i gusti, e avete suscitato sorrisi e realizzato desideri a molte dame e messeri della contea. » disse, scrutandomi con attenzione, e quello sguardo mi rese un po’ inquieta. Non amavo, infatti, essere guardata troppo a lungo. La donna dovette comprenderlo, giacché smise di fissarmi e si sedette con cura sulla sedia, aprendo un poco il mantello, lasciando intravedere al di sotto una veste verde scuro molto semplice, legata alla vita da un nastro di un verde più chiaro. Ora ero io a scrutarla con curiosità, domandandomi chi fosse.
« Le persone parlano in modo eccessivo, sono solo una sarta che ama il suo lavoro ed è felice di realizzare nel suo piccolo i desideri di chi si rivolge a me. » ammisi, palesando come sempre la mia – forse troppa – modestia.
« Non dovete essere troppo modesta, Mademoiselle, la vostra è una vera arte e dovreste essere orgogliosa di voi stessa. » replicò ma, dopo poco, aggiunse. « Ma non voglio perdermi in troppe chiacchiere, anche se conversare è una delle cose che mi riesce meglio. » emise una breve risatina « Se sono qui, è perché io e le mie sorelle vorremmo vedere con i nostri occhi ciò che siete capace di fare. »
Le sue parole m’incuriosirono, non sapevo ancora il suo nome, non essendosi presentata, e non l’avevo mai vista effettivamente, ma in fin dei conti non ero una che bazzicava troppo in città.
« Ditemi pure cosa devo fare e vedrò di accontentarvi. »
Lei posò le mani una sopra all’altra sulle gambe e cercò di spiegare al meglio ciò che voleva.
« Quel che vi chiedo è di realizzare dei piccoli sacchetti di velluto, blu notte, che possano essere facilmente chiusi tramite una sottile cordicella d’argento. » Si fermò, un attimo, forse cercando di visualizzare al meglio ciò che intendeva spiegare. Io, nel frattempo, presi un foglio e iniziai, tramite un carboncino, a tracciare la forma di quanto mi veniva detto.
« Dovrebbero esserne dieci in tutto, sì. Almeno al momento. Ovviamente se la vostra arte sarà di nostro gradimento, torneremo di certo a chiedervi altro, nel rispetto dei vostri ritmi e tempi, chiaramente. » fece un’altra pausa, soffermando lo sguardo di nuovo con insistenza su di me. Sembrava come se volesse analizzarmi, ma forse era una delle mie solite paure infondate.
« Ditemi, lo volete semplice o preferite aggiungerci una figura particolare sul davanti? » chiesi dopo aver tracciato una prima forma del sacchetto.
Lei sembrò rifletterci un attimo, ma poi i suoi grandi occhi marroni s’illuminarono di colpo, e le sue labbra si distesero a formare due parole, come trasportate da un soffio di vento.
« Una luna. » seguì una pausa « una luna piena, d’argento ovviamente, e ai suoi lati – sempre se lo ritenete possibile e fattibile – altre due lune nelle fasi in cui la… » si fermò un attimo, come accortasi di star per dire qualcosa di sbagliato « come quell’astro appare. Decrescente e Crescente. Il tutto deve essere unito, come se fossero tre volti, tre ‘sorelle’. »
Aggrottai la fronte, un poco perplessa da una tale richiesta, ma quando cercai di visualizzarla nella mia mente, mi ritrovai a sorridere. Non era male come immagine. Le tre facce della luna, e al centro proprio quella che io stessa preferivo sin da bambina.
Silenziosa iniziai a tratteggiare al centro del mio sacchetto quanto richiesto, e ancora una volta sentii lo sguardo della donna scrutare il mio operato con attenzione.
Quando ebbi concluso, dissi:
« Quindi, volete dieci sacchetti di velluto blu, possibilmente chiudibili tramite una corda d’argento, e al centro la rappresentazione delle tre fasi della luna. Tutto qui, vero? »
La donna annuì soddisfatta, e sorrise.
« Esattamente, Mademoiselle. Al momento non ho bisogno di altro. »
Ricambiai il sorriso, e lasciai il carboncino nel solito contenitore.
« Bene. Ho altri lavori da portare a termine, ma se m’indicate un periodo entro il quale li volete, cercherò di fare del mio meglio per rispettare i tempi e non farvi attendere troppo. »
« Fateli pure con calma, senza fretta. Quando avrete tempo e modo. »
Si alzò dunque, come se avesse finito il suo dire, ma prima che potesse allontanarsi, aggiunsi.
« Ma ditemi, come vi chiamate e dove potrò farvi consegnare questi sacchetti? »
Lei mi rispose con un sorriso enigmatico che non riuscii a comprendere.
« Quando sarà il momento, mi farò di nuovo viva. Attendete, e non fatevi troppe domande. Il mio nome? » chiese « potete chiamarmi Cécilie. »
Così dicendo, mi diede le spalle, ripose il cappuccio a coprire il capo, e uscì scomparendo ben presto nell’oscurità, lasciandomi di nuovo sola e senza parole.


















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Grazie a chi legge e lascia un pensiero!
Al prossimo capitolo :)

ps. Probabilmente nel prossimo inserirò i link delle immagini dei primi personaggi presentati ;)

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Capitolo 4
*** III - Sivelle ***


III
Sivelle



    « Sei rimasta a lavoro un’altra volta oltre il dovuto, non è vero? »
La voce di Madame Le Marchand mi distolse dai miei pensieri non appena misi piede nel nostro appartamento, situato in realtà al secondo piano della Loggia.
Io non risposi, ma il mio chinar del capo mi rese “colpevole” ai suoi occhi. Madame Le Marchand sbuffò e pose le mani grassocce sui fianchi, guardandomi con severità.
« Desirée così non va. » scosse il capo con veemenza. « È vero, in questi anni mi hai notevolmente sorpresa con le tue doti e la particolare abilità nell’apprendere il mestiere in poco tempo, ma seppur apprezzi l’attività all’ozio, non voglio che tu rimanga oltre l’orario stabilito. »
« Ma… » provai a obiettare alzando lo sguardo verso di lei, ma incontrando quel cipiglio, mi bloccai.
« Sei giovane e molto brava, devo ammetterlo, ma finirai per perdere tutte le tue energie se riposi poco. Voglio che le mie artigiane siano sempre sveglie e rapide, non dei fantasmi colmi di stanchezza. Ed è tutto! »
Mi limitai ad annuire, ma mi sfuggì un sorriso. Ormai avevo imparato a comprendere Madame: era una donna forte che non voleva palesare agli altri i suoi sentimenti per non dare mostra delle sue fragilità e non far comprendere così i suoi punti deboli; eppure scorsi nelle sue parole l’affetto che nutriva per me e che si era insinuato nel suo cuore in quegli anni trascorsi insieme.
« Ora cos’hai da sorridere tanto? Ti stai forse burlando di me? » mi chiese, irritata, socchiudendo gli occhietti piccoli e buffi in quel viso tondo e segnato da rughe.
« No, non lo farei mai, Madame » mi affrettai a risponderle sincera, rivolgendole solo l’appellativo con cui preferiva essere chiamata.
« Allora forza, vai a mangiare che il tuo pasto ormai sarà diventato freddo e poi subito a letto. » mi ordinò e, senza attendere risposta, si avviò verso la sua stanza.
Io prontamente obbedii e, grazie a quel breve “siparietto”, ero riuscita a dimenticare per un po’ quello strano incontro.



*



Ombre mi avvolgevano come una fitta nebbia.
Ero sola, ma non mi sentivo a disagio. Sentivo come di essere alla ricerca di una risposta alle mie domande. Ma quali quesiti effettivamente avevo?
Non riuscivo a comprenderlo. Più mi sforzavo di pensare, più la nebbia si faceva densa, impenetrabile.
All’improvviso in quel silenzio udii una voce di donna, potente, autoritaria, ma anche accogliente. Tuttavia c’era qualcosa di “sbagliato”. La udivo perfettamente ma non la comprendevo. Non riuscivo a capire quale linguaggio utilizzasse, ma profumava di antichità.
Cercai di avanzare verso quel suono, ma le ombre non si diradavano.
Quando ormai stavo per desistere, uno sguardo magnetico comparve in quell’oscurità, uno sguardo particolare che sembrava assumere tutti i colori nelle loro diverse sfumature, il viola si confondeva col blu, il verde si diradava nel giallo, e ancora altri si susseguivano, alternandosi come uno strano gioco di luci.
Sentii il mio corpo tremare e, presa da un’insolita paura e soggezione, cacciai un urlo e…
mi svegliai.



*



Come ogni domenica, gli abitanti di Sivelle interrompevano le loro mansioni per recarsi nella piccola chiesetta che sorgeva proprio al centro di una piccola piazza attorniata dalle case delle famiglie più facoltose.
Era costituita da rocce di travertino allineate saldamente le une alle altre, e al suo fianco sorgeva un campanile, contenente una sola campana, il cui suono, proprio in quel momento, sembrava richiamare ogni persona.
Sentii la voce di Madame chiamarmi e finii in fretta di indossare dei guanti neri in pizzo, prima di raggiungerla all’esterno.
Mi affiancai a lei e insieme seguimmo il flusso delle persone di nero vestite – stesso colore dei nostri abiti - che si accingevano a raggiungere la piazza.
Sivelle era una piccola cittadina appartenente alla regione più a est della nostra amata Francia, e confinava con paesi in cui l’influenza della riforma protestante più si avvertiva. Era uno dei pochi luoghi in cui gli ugonotti potevano sentirsi liberi di professare la loro religione senza correre il rischio di venire perseguitati, ma anche i pochi cattolici presenti non erano visti in malo modo.
La cittadina era circondata da spesse mura, come a difenderla da possibili attacchi esterni, e chiusa da un ampio portone di legno di pino, molto resistente.
Una volta oltrepassato l’ingresso principale, seguiva un sentiero, attorniato da una serie di case che a mano a mano che si avanzava, si facevano più diverse: le prime, infatti, erano di modesta fattura, alle quali seguivano i laboratori delle varie congregazioni di artigiani e, infine, quelle della borghesia più alta. Questo sentiero conduceva alla chiesa verso la quale eravamo dirette. Oltrepassata la piazza, poi, risaliva verso la collina, sulla cui sommità era addossato il Palazzo del Conte. Un fiume scorreva alla base, circondandola come un grazioso nastro azzurrino. Un piccolo ponte di legno, permetteva di oltrepassarlo, per accedere alle porte del Signore della città. La collina era, inoltre, decorata da filari di vigneti in successione, ove quasi tutti i giorni – eccetto quelli di festa - della stagione pertinente, i contadini vi lavoravano per estrarre il miglior vino della contea. Il vino del Conte, il più prelibato, almeno ascoltando le voci che si udivano in città.
Un aspetto particolare, tuttavia, si poteva intravedere verso est rispetto alla collina. Un piccolo sentiero ciottolato scorreva verso un boschetto, colmo di alberi di diversa natura, prevalentemente pini, dove i nobili erano soliti andare a caccia. Ma, fino a quel momento, non mi ero mai spinta oltre.

Provavo sempre un’insolita curiosità nell’osservare i cittadini, i loro vestiti e sorridevo quando ne notavo qualcuno che avevo cucito io stessa, ma anche i loro atteggiamenti, i loro sguardi. Spesso Madame mi richiamava e rimproverava per il mio sguardo spesso troppo eccessivo, non era una buona educazione in fondo, ma se la curiosità poteva avere un nome, quel nome era il mio.
Raggiungemmo l’ingresso della chiesa, ove il pastore Paul attendeva tutti per rivolgerci un segno di saluto, prima di prepararsi alla celebrazione del sacro rito. Concessi a Madame di salutarlo per prima, con rispetto, e poi gli porsi le mie mani, che lui accolse in una calda stretta.
« Mademoiselle Desirée, è una gioia rivedervi in quest’umile luogo. »
Chinai il capo con riguardo e sorrisi lievemente e, quando lui lasciò la stretta, raggiunsi di nuovo Madame, andando a trovare un posto ove sederci per assistere alla consueta celebrazione domenicale, insieme a tutti gli altri fedeli.

Assistetti al rito in religioso silenzio, mormorando le risposte quando era necessario. Quello era uno dei pochi momenti in cui non mi lasciavo trascinare troppo dalla curiosità, concentrando tutta la mia completa attenzione nelle parole di Padre Paul, il quale riusciva a tenere nel silenzio più assoluto tutti i suoi fedeli, pronti a pendere dalle sue labbra. Sapeva modulare la voce in modo tale da non risultare noioso, ma attrarre tutti ad ascoltarlo, così da comprendere al meglio la parola del Dio nel quale tutti noi credevamo fermamente.
La chiesa della cittadina era molto semplice; non presentava decorazioni eccessive, né quadri che ben spiccavano nelle ampie e lussuose chiese dei cattolici. L’unica cosa che spiccava era un crocifisso in legno, sul muro proprio dietro all’altare in cui Padre Paul predicava. Assorta nella preghiera, spesso restavo a fissare quell’immagine del Cristo sofferente, e mi sentivo cogliere da una duplice sensazione: tristezza per il suo dolore, e una sorta di profondo amore nell’apprendere che moriva per salvarci da quei peccati che spesso ci ritrovavamo ancora a compiere.
In quei momenti, la voce di mio padre risuonava nella mia mente, chiedendosi il motivo delle continue guerre di religione, quando entrambi credevamo nello stesso Dio. Vedevo ancora il suo volto sorridere al pensiero che presto tutto si sarebbe risolto, e invece…
I miei occhi si fecero umidi, colpa delle lacrime che impertinenti minacciavano di uscire, sicché abbassai lo sguardo cercando di non farmi notare da nessuno.
Tuttavia, proprio in quel momento, avvertii come la strana sensazione di essere osservata in modo insistente. Cacciai indietro le lacrime, e sollevai lo sguardo a guardarmi intorno, cercando di compiere movimenti leggeri per non apparire inopportuna, ma non riuscii proprio a comprendere il motivo di una tale sensazione. Tutte le persone intorno a me, guardavano o il Pastore o avevano gli occhi socchiusi, forse in una muta e intima preghiera.
Sospirai e tornai a donare la mia attenzione alle importanti parole di Padre Paul, lasciando da parte ciò che avevo provato.



*



Alla conclusione del rito, insieme a Madame Le Marchand, tornammo nella nostra dimora per pranzare. La spiacevole sensazione di essere osservata da non so chi, mi turbava ancora, ma tentai di non lasciarlo trapelare, sebbene fossi perfettamente consapevole di non essere per nulla un’ottima attrice, anzi…
Tuttavia, semmai Madame avesse compreso qualcosa nell’espressione del mio volto, non lo lasciò vedere e, dopo aver concluso il suo pranzo e aver scambiato poche parole, si alzò da tavola allontanandosi verso la sua stanza.
Io lavai un minimo i piatti su cui avevamo mangiato, e tornai nella mia stanza giusto il tempo per prendere un libro che mi aveva prestato gentilmente Louise-Marie.
Era un libro che trattava d’amore, di cavalieri cortesi che corteggiavano donzelle abbigliate con vesti fulgenti. Un libro che faceva accelerare il battito del mio cuore, a una parola, a un romantico gesto di galanteria, ma arrossire le mie gote di fronte al bacio, o a qualcosa di più intimo.
Quel giorno non dovevamo lavorare e decisi di godermi un poco di quel mio tempo libero sullo spiazzo d’erba vicino al fiume. Il sole era alto nel cielo e i suoi raggi emanavano un tepore confortevole, non eccessivo. Un’ottima giornata da trascorrere all’aperto, senza correre il rischio di scottarsi o star male.
Con il libro stretto al petto, m’incamminai verso il sentiero che conduceva verso la collina, ove l’imponente Palazzo spiccava e incantava, nonostante ormai fossi abituata a vederlo.
Quando ero piccina, la prima volta che lo vidi, restai completamente meravigliata da una tale costruzione; probabilmente molto piccola e semplice rispetto ai lussuosi palazzi di altri nobili e ovviamente dei Re, tuttavia per me era già incantevole.
Ora, invece, non mi sortiva lo stesso effetto, ma mi ritrovavo a sospirare al pensiero che lui fosse lì, che lui potesse pensarmi in quel momento, che lui potesse parlare di me.
Arrossii al solo pensiero, ritrovandomi a sorridere come una sciocca, suscitando perplessità nelle popolane che proprio in quel momento percorrevano il sentiero nella direzione opposta.
A volte ero proprio una timida sciocca.
Giunta allo spiazzo d’erba, cercai con lo sguardo un lato in cui potevo rimanere ben riparata dal sole. Non ero una dama dalla pelle perfettamente pallida, ma non volevo neanche apparire come una contadina, quindi cercavo di non prendere mai troppo sole.
Trovai un posto adatto; un albero protendeva i suoi rami adorni di foglie e riparava perfettamente dai raggi solari, creando una perfetta zona d’ombra sul terreno, dove mi accinsi a sedermi, sistemando al meglio la gonna dell’abito scuro e semplice.
Un boccolo dorato mi sfuggì dalle forcine e subito tentai di rimetterlo al suo posto, prima di guardarmi attorno per un attimo e, una volta constatato di essere sola, aprii il libro nella pagina in cui mi ero fermata, e ripresi a leggere con estrema attenzione, cercando di addentrarmi nella storia, lasciandomi coinvolgere come una vera e propria magia.
Leggere mi consentiva di andare in un mondo parallelo forse al mio, di estraniarmi dal mondo per qualche istante e immaginare scene che forse ancora non potevo vivere.
Mio padre mi aveva insegnato sin da piccola i primi rudimenti, e poi dovetti ringraziare la benevolenza della mia più cara amica, Louise-Marie, per essere riuscita successivamente a migliorare laddove avevo carenze.


*


« Quale adorabile creatura siede all’ombra di un albero in fiore e illumina il luogo più del sole, grazie alla sua fulgente bellezza! I miei occhi sono forse offuscati dai sogni, o noto veramente la fanciulla che mi ha rapito il cuore? »
Una voce maschile s’insinuò nel silenzio e in quel mondo in cui ero sprofondata; in un primo momento non ci feci molto caso, ma quando i suoni dei suoi passi si fecero più vicini, alzai lo sguardo e le mie gote si accesero di un rossore evidente che non ero capace di celare.
Presa da quell’improvvisa apparizione, chiusi di scatto il libro e tornai a guardare il terreno, imbarazzata.
« Oh, vi ho forse turbata, mia amata? Non era mia intenzione, e non volevo di certo interrompere la vostra lettura. Quel libro sembrava accendere in voi una strana luce negli occhi, che rapidi si muovevano, quasi come se lo voleste divorare. »
Il nuovo arrivato s’interruppe un attimo, fermandosi proprio di fronte a me. La sua figura mi schermò dalla luce del sole, ma non riuscii ancora a sollevare lo sguardo. Le mie dita stringevano frenetiche la copertina del libro, mentre tentavo di rilassare il mio cuore.
« Ma chére, posso sedermi accanto a voi, o reco disturbo? » proseguì e, nel momento in cui sollevai finalmente i miei occhi verso di lui, notai il suo sorriso divertito dalla situazione, cosa che ampliò il mio imbarazzo, ma che fece sorgere anche una lieve irritazione, cosa che, tuttavia, riuscii a trattenere.
« Non sono padrona di questo spiazzo, mon cher, né tantomeno voi mi disturbate. La vostra presenza qui mi rende felice, e sarei lieta di trascorrere dei momenti in vostra compagnia, se non avete altri impegni di sorta. »
A quelle mie parole lui ampliò il suo sorriso, ben felice di non aver ricevuto un diniego dalla sua futura sposa. Perché proprio di lui si trattava. Flaviano, il mio futuro marito.
Lui sfilò la spada che teneva sempre nel fodero con sé, e la posò a terra, scivolando poi a sedere sul manto erboso, proprio abbastanza vicino a me, così che i nostri corpi potessero avere un lieve contatto.
Mi sentii riscaldata dalla sua presenza, come ogni volta che potevamo trascorrere dei momenti insieme.
« Ho qualche ora di libertà e così avevo deciso di venire a trovarvi, ma per fortuna vi ho scorta fin troppo presto in un luogo anche molto intimo ove una coppia può rimanere al sicuro dagli sguardi inopportuni o pregni di curiosità. » mi sorrise divertito e notai una punta di malizia nelle sue labbra. « Vi piace veramente molto qui non è vero? »
« Sì, è uno dei miei posti preferiti. Qui posso avere un po’ di pace dalla frenetica vita cittadina, e posso rilassarmi per qualche ora, leggendo anche qualche libro o godendo del piacere che la natura può offrire. Non trovate anche voi che sia un luogo davvero rilassante? »
« Oh sì, non lo nego. Ma per me è un luogo anche molto importante, come credo che lo sia per voi. È sempre qui che vi ho vista la prima volta, qui che ho chiesto la vostra mano, qui che voi non mi avete rifiutato rendendomi l’uomo più felice della terra. »
Mi sfiorò appena le mani ed io mi sentii colta da un’incredibile felicità. Apprezzavo sempre molto il romanticismo di Flaviano, e forse era uno dei lati più importanti che mi avevano portata a cedere all’amore, a ritrovarmi tra le sue braccia, e presto completamente sua, uniti davanti agli uomini e a Dio.
« Voi avete reso me la donna più felice della terra, e ben lo sapete che da quando vi ho incontrato, questo è divenuto un luogo ancora più importante per me, il luogo del nostro amore. »
Abbandonai il libro sull’ampia gonna del mio abito, avendo cura di non lasciarlo cadere a terra, e strinsi con delicatezza le mani del mio amato, mentre lasciai scivolare il capo sul suo petto. Lui posò la guancia sul mio capo, per poi sfiorarlo con le labbra, donandomi un tenero bacio. Socchiusi gli occhi, assaporando la tenerezza di quei momenti che mi facevano dimenticare ogni genere di problema, ogni ricordo positivo o meno, concentrandomi unicamente sulla nostra felicità.
Rimanemmo in quella posizione per qualche istante, poi lui lasciò scivolare un braccio intorno al mio fianco, in modo da stringermi a sé, ed io con quel solo gesto mi sentii protetta, e non volevo minimamente arrivare al momento in cui ci saremmo dovuti allontanare.
« Vi sentite bene? » mi chiese, sfumando quel silenzio che era intercorso tra noi.
« Come potrei non sentirmi bene, quando sono al vostro fianco? » risposi, e lo sentii stringermi ancor di più, consapevole del suo piacere in quella mia risposta.
« Oh, Desy » si lasciò sfuggire, incurante delle regole di etichetta « mi rendete così felice, e presto sarete mia moglie e non dovremo più vivere distanti, anche se nel medesimo paese. »
Annuii semplicemente, sfiorando con le dita la sua mano, come se volessi disegnare un cerchio.
« Dama Lemoine poi sembra essere ancora più felice di noi. Corre di stanza in stanza, tormentando i poveri domestici e damigelle, con l’obiettivo di preparare al meglio ogni cosa. A volte fa quasi paura, molto più del Capitano Svensson quando ci da ordini. Le dame sono veramente pericolose quando si mettono in mente una cosa, e tra tutte quelle di Palazzo è la peggiore! Sembra quasi che debba organizzare una festa per lei stessa, anzi, non oso neanche immaginare cosa farà quando sceglierà l’uomo cui donarsi! »
Lo sentii ridere divertito e in un primo momento gli lanciai un’occhiataccia. Non lo apprezzavo quando si prendeva gioco della mia più cara amica.
« Lou si sta prodigando al massimo per il nostro benessere e per far sì che il nostro matrimonio sia meraviglioso. È una dama meravigliosa, che mi vuole un gran bene, e non è giusto farla passare come una persona pericolosa. »
« Voi siete troppo buona e vedete il meglio in ognuno. Non sto dicendo che non sia una brava dama, né che non vi voglia bene, anzi sono felice di quanto stia facendo, anche se credo di parlare per entrambi nel sostenere che le nostre anime potevano essere unite in modo anche più modesto; tuttavia voi non l’avete forse mai vista dare ordini a paggi, cameriere e altri domestici, è incredibile come faccia drizzare i capelli a tutti, dal terrore, non appena si ode unicamente il ticchettare delle sue scarpette nei corridoi del Palazzo. » continuò a ridere, incurante del mio sguardo accigliato e del fatto che, offesa come se stesse facendo un torto a me, mi ero staccata dal suo abbraccio, incrociando le braccia sotto il petto.
« Oh suvvia, mia dolcissima e buonissima Rosellina, non vi offendete in codesto modo! Non vi stavo offendendo, e non voglio offendere neanche la vostra amica, ma non sto mentendo nel dire che si comporta come una principessa viziata e arcigna, a volte. »
Continuai a sentirmi offesa, e alzai il mento, mentre le labbra si muovevano a formare una buffa smorfia. Lui non smise di ridere, ma poi decise di venirmi incontro e iniziò a sussurrarmi parole pregne di dolcezza e complimenti che adoravo sentire. Cercai in tutti i modi di non cedere, ma il suo respiro sul mio collo, le sue mani sui miei fianchi, i suoi baci sulle mie gote, e quelle parole mi tolsero ogni sentimento ostile.
« Mpff. Non si fa così però, io con voi sono offesa e non potete trattarmi in questo modo, ben sapendo quello che provo quando mi sfiorate, quando mi rivolgete complimenti, quando avverto il vostro corpo così vicino al mi… » ma mi resi troppo tardi di essere andata oltre, e portai la mano destra alle labbra, come per impedirmi di dire oltre, ed essere sconveniente. Tuttavia, lui mi guardò in un primo tempo profondamente stupito, ma poi i suoi occhi s’illuminarono e il suo viso sprigionò tutto il suo piacere nell’udire tali parole.
Prima che potessi scusarmi, mi attirò a sé e avvicinò il suo viso al mio. Io m’irrigidii per un solo istante, ma quando le nostre labbra combaciarono alla perfezione, dimenticai in un lampo tutto il discorso, ciò che avevo detto, dedicandomi completamente a quel bacio che, in fondo, ero consapevole di desiderare.
Come il solito fu sempre terribile il momento in cui dovevamo staccarci, perlomeno per permetterci di respirare.
Lui mi guardò sorridente, ed io ricambiai nel medesimo modo.
« Ammettetelo che vi fingete offesa per ottenere questo. Ma basta dirlo tranquillamente invece di fare tutte queste storie. »
Finse di fare l’altezzoso, ed io tentai giocosamente di scansarlo.
« Ma non dite sciocchezze soldato! Ammettetelo voi che non sapete resistere al fascino di questa deliziosa sarta. » sorrisi, fintamente vanitosa, e lui avvicinò le labbra al mio orecchio.
« Effettivamente non so proprio resistervi, mia futura mogliettina. »
Il suo sussurro scaturì un brivido lungo la schiena, cosa che per lui fu ben evidente, e riprese a baciarmi ancora, con più passione, tanto che se non fossimo stati attenti ci saremmo spinti troppo oltre.
« Direi che è meglio non esagerare, finirò per non resistere oltre al vostro fascino, mia cara Desy. »
Annuii, portando le mani al mio viso ormai porpora e ben caldo.
« Come siete dolce ma douce, arrossite così facilmente. Siete ancora più bella con quel rosso sulle gote e l’amore vivo che si legge nei vostri occhi. »
« Oh, suvvia smettetela di riempirmi di complimenti, altrimenti non riuscirò mai a far svanire questo rossore, e chissà cosa potrà pensare la gente. »
« Quale gente, non c’è nessuno qui, state tranquilla, e poi che male c’è nell’arrossire? Solo le malelingue potrebbero pensare che si sia … consumato qualcosa. »
« Ogni paese ha le sue malelingue, lo dovreste sapere. »
Lui assentì, ben consapevole di questo.
Parlammo ancora per alcune ore, fino a quando il sole non fu sceso all’orizzonte, colorando il cielo delle tenui tinte del rosa e dell’arancio. Il tramonto era qualcosa di così piacevole da osservare e, insieme al proprio amato, era ancora più meraviglioso se possibile.
Tuttavia, come tutte le cose, anche le più belle dovevano finire.
Lui si alzò e mi porse la mano per fare altrettanto. Con l’altra mano stringevo forte il libro al petto. Si chinò, poi, a prendere la sua spada inserendola di nuovo nel fodero.
« Bien, purtroppo è ora di separarci, ma presto condivideremo la stessa dimora e non saremo più così distanti. »
« Sì… »
« Vi auguro una buona nottata, ma chére. »
« Anch’io a voi, mon amour. »
Si chinò quel poco da consentirgli di sfiorarmi la fronte con un dolce bacio, e poi fece un piccolo inchino, al quale risposi.
Lo guardai allontanarsi, soffermandomi a osservare il suo fisico non eccessivamente muscoloso, ma adatto al combattimento, i suoi capelli castani che arrivavano a sfiorare le spalle, e quegli occhi color della terra sempre vivi nei miei pensieri.
Sospirai quando ormai non vidi che un unico puntino in lontananza, e tornai a guardarmi intorno. Non potevo attendere un minuto di più, presto sarebbe sopraggiunta la notte e sarebbe stato molto pericoloso per me.
Ma, non appena mossi il primo passo, fui colta dalla stessa strana sensazione vissuta in chiesa. Mi fermai, come convinta che qualcuno mi stesse osservando, e quando soffermai il mio sguardo sul sentiero che conduceva verso il bosco, mi sembrò di vedere due occhi luminosi, che scomparvero non appena me ne accorsi.
Colta da un brivido di paura, iniziai a correre via e non mi fermai fino a che non fui certa di essere al sicuro.








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Salve a tutti! :)
Sarò breve:
Sivelle, come già detto, è un paesino inventato da me. Ho letto che in alcune parti della Francia, all'epoca, i protestanti/ugonotti erano più presenti, ma non avendo notizie storiche accertate né una corretta rappresentazione dei paesi del tempo, ho deciso di inventarla totalmente, sperando di essere stata chiara nella descrizione.


Qui sotto vi mostro alcune immagini dei primi personaggi:

Louise-Marie -> Immaginatela con gli occhi verdi però!
Desirée
Flaviano


Le immagini sono di proprietà dei rispettivi autori (ci sono i nomi nelle foto), le ho solo prese come semplice presentazione e ispirazione per i personaggi della mia storia.

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Capitolo 5
*** IV - Regali ***


IV

Regali




    Le settimane seguenti mi concentrai soprattutto sul mio lavoro e riuscii ad allontanare da me la paura provata di fronte a quello strano sguardo.

Completai in breve tempo l’ampio abito di broccato e raso rosso destinato a Louise-Marie, adornandolo di pizzi e merletti come di suo gradimento e poi mi dedicai a quello bianco.
Lavorare per me non s’era mai presentato come un peso, perché avevo avuto la fortuna di fare quello che più mi piaceva: tagliare, creare forme, assemblare con l’ausilio di fili di ogni colore, scegliere le stoffe più adatte era come un gioco, un mondo speciale dove potevo sprofondare al colmo della gioia.
Certo, nel corso del tempo ero diventata molto conosciuta e apprezzata a Sivelle, quindi il carico di lavoro era notevolmente aumentato, tuttavia non mi scoraggiavo mai, neanche quando dall’eccessiva stanchezza crollavo sul letto ancora vestita.
Dopo aver segnato i punti con un gessetto bianco sulle parti in cui dovevo tagliare la stoffa, presi le forbici e, tenendola tesa, iniziai a farle scorrere senza sbavature.
Mi sentii osservata ma, sollevando lo sguardo, scorsi gli occhi grandi e accesi di curiosità di Julie, una bambina che lavorava nella loggia e che sognava di seguire un giorno la mia stessa strada.
Le sorrisi e lei sembrò assolutamente concentrata sui miei gesti ormai precisi e sicuri.
« Come siete brava mademoiselle Desirée, non fate errore alcuno! » disse cercando di assimilare, forse, la mia tecnica.
« E’ tutta questione di pratica, pétite Julie. Quando ho iniziato facevo tantissimi errori. »
« Davvero? » chiese, spalancando gli occhi dallo stupore.
« Sì. Bisogna cercare di imparare sempre dai propri errori, così che non se ne commettano altri. Questo può essere un discorso generale, ma lo possiamo applicare anche a questo lavoro. L’importante, poi, è non scoraggiarsi mai. »
La piccola mi guardò un po’ turbata, come se non riuscisse a comprendere appieno le mie parole.
« Credete che diventerò mai come voi? »
« Se ci metterai impegno e passione, potrai divenire anche più brava di me! » esclamai per incoraggiarla.
Julie arrossì e poi scosse il capo castano con enfasi.
« Oh no. Voi siete troppo brava, non potrei mai essere migliore! »
Mi fece ridere osservare con quanta innocenza e tenerezza parlava. Mi ricordava un po’ me, ai miei inizi in quella città.
« Lo vedremo ma pétite. Ora osserva con attenzione e quando sarà il tuo momento inizierai a provare. »
Julie annuì, ma il rossore sul suo faccino non scemò.
Io proseguii a imbastire l’abito sotto lo sguardo attento della bambina che non mi provocava, ovviamente, alcun timore.


*


Louise-Marie inviò una delle carrozze di corte per invitarmi a Palazzo, il giorno prima del grande evento.
Ero un po’ nervosa al pensiero che l’indomani mi sarei trovata al centro dell’attenzione, ma lei si era così prodigata nel realizzare al meglio quell’evento per me speciale che non volevo offenderla. I due vestiti, da lei richiesti, erano completi e li lasciai nelle mani di un paggio, chiusi con cura all’interno di scatole bianche.
Portai con me un ulteriore vestito, il migliore tra il mio guardaroba, che avrei potuto indossare per il mio fidanzamento ufficiale.
Così, dopo aver salutato Madame e le mie colleghe, salii in carrozza e mi lasciai condurre verso il Palazzo.
Quest’ultimo era un antico castello, in seguito modificato secondo la moda del tempo, per volere del precedente Conte di Sivelle.
Era completamente in pietra grigia perfettamente levigata, con due torrioni angolari ai due lati. Una fila di finestre rettangolari scorreva sulla parte alta del muro; e un immenso giardino circondata l’intero edificio, vero vanto dell’attuale Conte. Esso era infatti colmo di ogni genere di fiori e alberi, un luogo di ristoro e svago per le dame e i messeri che vivevano tra quelle mura.
Mi ero recata diverse volte a corte, ma in ogni occasione mi sentivo in preda all’ansia. Non ero abituata a quella vita, a quello sfarzo, anche se non potevo negare di non aver fantasticato su come mi sarei trovata nel ruolo di dama.
Quando finalmente raggiungemmo l’ingresso, il paggio aprì lo sportellino della carrozza, e mi tese la mano per aiutarmi a scendere e, non feci in tempo a guardarmi intorno, che subito il suono della sua voce mi raggiunse.
« Ma chére! Finalmente sei arrivata! »
Rivolsi il mio sguardo a Louise-Marie che mi si avvicinò con grazia, avvolta in un lussuoso abito verde, il cui bustino era adornato da tanti nastri e merletti gialli, tutti intrecciati tra loro.
« Il tempo che occorre dalla mia casa a Palazzo, con l’ausilio della carrozza. » risposi, con un leggero sorriso.
« Esattamente. Spero che George abbia condotto bene il mezzo, senza farlo sobbalzare troppo lungo il sentiero. »
Indirizzò uno sguardo indagatore verso il cocchiere, ma subito risposi al fine di chetarla.
« Non ci sono stati problemi di sorta; è stato un piacevole viaggio. »
Con la coda dell’occhio osservai il sorriso pieno di gratitudine di George, che rapidamente ricambiai e poi continuai a rivolgermi a Lou. « Anche se non c’era motivo di… »
Non riuscii a completare che la vidi aprire di scatto il ventaglio piumato, che reggeva nella mano destra, e iniziarlo a muoverlo con rapidità.
« Non iniziare a dire che non dovevo. Non è opportuno per una dama andare in giro a piedi con delle scatole pesanti da trasportare e poi ci avresti messo troppo tempo e si sa, le ore volano via come minuti, i minuti come secondi, e non possiamo permetterci di perdere tempo prezioso. Suvvia, tu » rivolgendosi al paggio con poca grazia « porta le scatole di Mademoiselle Chervalie nelle mie stanze, e tu, ma chére, vieni con me. »
Quando Lou dava ordini in quel modo era impossibile ribattere; pareva proprio essere lei la vera padrona del Palazzo, ma era “solo” una delle dame favorite dal Conte e dalla sua consorte.
« Ma chére ti vedo più irrequieta di me… » proferii mentre ci accingevamo ad oltrepassare l’ingresso, dirette alle sue stanze.
« Oh, lo sono! Vedi, il fidanzamento è solo domani e qui sembrano tutti dormire sugli allori; è importante che tutto sia perfetto e non abbiamo più molto tempo. Non devono esserci errori. » Arricciò le labbra, chiudendo poi di scatto il ventaglio, facendomi sobbalzare un poco per quel gesto rapido, deciso, ma soprattutto inatteso.
« Ma sono certa che avrai ormai preparato tutto al meglio delle tue possibilità. »
Lou si fermò e mi osservò con uno sguardo penetrante.
« Non bisogna mai accontentarsi, bensì tentare di avere e fare sempre di più. »
Mi limitai ad annuire come se avessi perso le parole di fronte a tanta decisione e, per un po’, continuammo a rimanere in silenzio, durante il nostro tragitto lungo uno dei corridoi costellato da una serie di ritratti della famiglia nobiliare che, per generazioni, aveva trovato lì la sua dimora.
Mi sorpresi nel non notare troppi paggi in giro, ma immaginai che Louise-Marie li avesse tutti impegnati in qualche modo. Mi ritrovai a ridere tra me, ma lei sembrò essere così concentrata nei suoi pensieri da non farci troppo caso o, se lo fece, non lo diede a vedere.
« Dormirai in una delle stanze degli ospiti, ma chére. Ho dato già tutte le disposizioni a riguardo. Stai tranquilla, non sarà molto distante dalla mia e per ogni desiderio o problema ci sarà una domestica al tuo servizio. »
« Sei fin troppo buona, te ne ringrazio. »
« Ma ora andiamo nelle mie stanze, così da poter osservare con più attenzione e senza disturbo alcuno le tue, sono sicura, meravigliose creazioni e parlare tra noi degli ultimi accorgimenti per domani. »
« Va bene, ma chére. Sono al tuo servizio. »
Le mie parole suscitarono una risata da parte della dama.
« Oh, non essere sciocca. Non sei un paggio qualunque, sei la mia più cara e fedele amica in questo ambiente di intrighi e invidie. »
Per un attimo avvertii una sorta di dispiacere in lei, una solitudine mascherata dall’ennesimo sorriso solare che, presto, le affiorò sulle labbra.
Prima che potessi analizzare troppo la sensazione, lei si bloccò.
« Eccoci arrivate. Entra pure. »
Con un gesto della mano mi invitò a precederla e subito dopo fece altrettanto, chiudendo la porta alle sue spalle.
Come al solito mi ritrovai a sospirare, incantata da quel suo piccolo mondo che suscitava sogni e paure in me: non ero abituata a quel lusso, ma ne rimanevo sempre abbagliata.
Su un lato della stanza era posizionato un letto a baldacchino, circondato da tende di velluto rosso sulle quali si dipanavano motivi floreali color dorato; stesso discorso si presentava sulle coperte. Nel lato opposto, accanto a una piccola finestra che dava sul giardino, era posto uno scrittoio con tutto l’occorrente per le lettere – fogli, piuma d’oca, ceralacca, calamaio – e alcuni libri, tutto in perfetto ordine.
Un cassettone – che sapevo essere colmo di vestiti – giaceva a terra, sul fondo del letto. Qualche altro mobilio – piccoli tavolini, alcuni oggetti particolari – completava il tutto, insieme a candele di diversi colori che erano pronte a illuminare il luogo non appena le ombre sarebbero calate all’esterno.
C’era un unico tappeto di damasco, di piccole dimensioni, al lato destro del letto; e un tavolino tondo, proprio al centro della stanza, su cui erano disposte due tazzine, una teiera fumante e un piccolo vassoio di deliziosi pasticcini.
« È sempre splendida… » mormorai estasiata.
« Non mi lascio mancare nulla, non è vero? » mi chiese mentre faceva qualche passo verso il tavolino « È questo quello che ho ottenuto grazie al mio impegno e alle mie qualità ed è per questo che poc’anzi tentavo di farti capire che non bisogna mai accontentarsi quando possiamo ottenere di meglio. »
« Oh, capisco. » mi limitai a rispondere, non del tutto convinta del discorso.
« Posso offrirti qualcosa, Desy? Avanti siediti pure senza complimenti. Gustiamo questo tè alla menta, ancora caldo, e questi adorabili dolcetti prima di pensare ad altro. »
Non me lo feci ripetere due volte e andai a sedermi su una delle due sedie e lei fece altrettanto.


Era piacevole conversare amabilmente con Louise-Marie; potevamo discorrere di tutto, perché c’era una fiducia reciproca.
Tuttavia era lei a tenere più a lungo i discorsi, perché poteva spaziare su un maggior numero di argomenti, su tutto ciò che accadeva a corte, sulle mode – che spesso mi risultavano utili per creare nuovi modelli – e su argomenti più piccanti che mi portavano ad arrossire violentemente.
Lei rideva divertita ogni volta di fronte al mio imbarazzo, ma amavo anche la sua sicurezza e la sua perenne solarità. Ero solita paragonarla al Sole, splendente e accecante, ed io ero la Luna, più modesta nella sua luce.
« Bien, direi che ora possiamo avere il piacere di osservare con attenzione le tue deliziose creazioni! » esclamò, e batté le mani eccitata all’idea. Si alzò, dunque, e andò ad aprire la prima scatola posata con cura su un tavolino.
Già prima di estrarlo, notai il suo sguardo farsi luminoso, mentre sfiorava la stoffa rossa. Con cura, poi, lo tirò fuori e lo visualizzò con maggiore perizia. Se lo appoggiò sul corpo e iniziò a volteggiare un poco nella stanza, come al ritmo di una danza, prima di fermarsi dinanzi allo specchio per ammirarsi con gioia.
« Delizioso. Anzi, di più! È incantevole, chérie, una vera e propria opera d’arte, ancor più bello di come lo immaginassi. » sospirò e, dopo qualche istante, aggiunse – più a se stessa che a me - « Domani sarò uno splendore… »
Io la guardai sorridendo di fronte a tanta gioia. Ero ben felice di averla accontentata di nuovo, e non mi importava della sua vanità che altri avrebbero forse criticato come eccessiva.
Dopo qualche istante, tuttavia, si voltò di nuovo verso di me e aggiunse: « Ma ovviamente meno di te! Domani sarà il tuo giorno di splendore; sarai raggiante e tutti ti apprezzeranno e ammireranno, vedrai. »
Mi sorrise, ma io abbassai lo sguardo, scuotendo il capo.
« Oh, non so se riuscirò davvero a reggere il confronto con la tua bellezza e grazia. »
« Mi aduli troppo e non ne comprendo il motivo. È vero sono dotata di una grazia e una bellezza superiore a molte altre dame che dimorano qui, ma tu non sei da meno. Spiegami il motivo per cui non riesci a comprendere di avere delle qualità che altre possono solo sognare. Non hai ancora appreso l’arte di compiacerti di te e delle tue doti naturali? La modestia è un’ottima cosa, ma occorre anche avere sicurezza di sé per affrontare al meglio le insidie che il cammino può presentarci. »
L’ascoltai con attenzione e mi trovai a concordare, ma non era facile per me trasformare quelle parole in fatti.
Tornai ad abbassare il capo, osservando il modo in cui le mani si agitavano nervose sulla veste azzurrina che indossavo. Ero veramente insoddisfatta di me, mi vergognavo, ma ero incapace di reagire veramente.
Louise-Marie, intanto, distese l’abito sul suo letto e lo rimirò ancora, come a volerlo analizzare sin nel più piccolo dettaglio. Accortasi del mio continuo silenzio, mi si avvicinò e pose l’indice della mano destra sotto il mio mento, nel tentativo di spingermi a sollevare il viso e lo sguardo verso di lei.
« Dolce Desy, non devi essere triste. Sono cose che ti dico per il tuo bene e che prima o poi apprenderai, ma ora non ti crucciare né fantasticare troppo e mostrami il tuo bel sorriso. »
Nonostante il mio umore fosse calato a un simile discorso, lei riuscì a farmi di nuovo rasserenare e farmi sorridere fino a che non ne fu ampiamente soddisfatta.
« Perdonami, sono una sciocca. Tu fai così tanto per me ed io permetto al mio umore di prendersi gioco di me. Smetto di essere triste, promesso, e mi impegnerò a migliorare me stessa. » anuii con vigore, prima di spostare lo sguardo verso l’altra scatola. « Ma ora perché non osservi anche l’altro vestito che mi hai ordinato? »
« Ah, già! Quasi mi dimenticavo! »
Tornò dinanzi alla seconda scatola e ne estrasse con grazia l’abito bianco, ma questa volta non eseguì i medesimi gesti. Lo scrutò con sguardo serio, analizzandolo nei minimi particolari e, prima che potessi chiedere se era di suo gradimento, iniziò a commentare:
« Raso e broccato bianco, bustino ben rigido, ricco di nastrini e pizzi in modesta quantità… forse ne avrei messi di più ma… »
Si voltò verso di me e aggiunse « … è decisamente perfetto per te. »
Spalancai gli occhi dallo stupore e poi, incerta, mi portai la mano destra al petto, indicandomi.
« Per me? »
« Mais oui! Hai sentito benissimo, mon amie. Non te l’ho detto subito altrimenti avresti obiettato o realizzato un abito eccessivamente semplice e poi perché non sarebbe più stato un regalo. »
Non riuscii a crederci e forse sembrai come un ebete ai suoi occhi.
« Un regalo… per me. »
Sentii gli occhi farsi umidi e appannarsi a causa delle lacrime imminenti.
« Oh, suvvia! Non devi piangere ora. Domani è il tuo evento speciale e devi essere perfetta. Non vorrai mica indossare quell’abitino lì, così scialbo e poco elegante? Questo è il mio regalo per te, ed è sicuramente ciò che meriti. »
Poteva essere insolito un regalo che si era creato con le proprie mani, ma quella sorpresa mi riscaldò il cuore e la parte razionale fu sopraffatta da quella emotiva. Mi buttai tra le sue braccia – rischiando anche di sgualcire l’abito che ancora teneva tra le mani – e non smisi di ringraziarla per diversi minuti che seguirono, mentre le lacrime mi rigavano il viso dall’immensa gioia.


*

Il giorno del mio fidanzamento ufficiale giunse fin troppo presto.
La notte precedente mi ritirai nella stanza che mi era stata riservata subito dopo la cena, nonostante non avessi la minima traccia di sonno. Cercai di calmarmi, ma ero colta da una serie di forti emozioni che non mi permettevano di addormentarmi con la dovuta tranquillità.
Mi rigirai più volte nel letto, confortevole senza dubbio, ma non ne ero abituata e anche questo contribuì a non farmi piombare in quel sonno ristoratore se non dopo alcune ore.
Quando i primi raggi di luce segnavano l’inizio di una nuova giornata, una delle domestiche di Palazzo mi venne a svegliare e ad aiutarmi nella mia preparazione.
Anche a questo non ero abituata minimamente; ero, infatti, solita vestirmi e lavarmi da sola, e cercai di rifiutare il suo aiuto, ma notando l’offesa nel suo sguardo accigliato, annuii controvoglia e la lasciai occuparsi di me.
Non appena ebbi indossato l’abito, mi rimirai per qualche minuto allo specchio: il bustino e la sottogonna, che si poteva intravedere facilmente, erano di broccato con disegni floreali dorati; il raso, invece, l’avevo usato per l’ampia gonna sovrastante e divisa in due al centro e per le maniche a sbuffo. Poco pizzo adornava il contorno del bustino, a delineare il seno.
Josephine, la domestica, m’invitò sedermi in modo da completare il tutto con un’ottima acconciatura. La invitai a non esagerare, poiché desideravo qualcosa di semplice.
I miei boccoli ribelli furono tirati all’indietro. Mi mordicchiai le labbra nel tentativo di non emettere gemiti, ma ben presto mi accorsi della cura e della particolare abilità che aveva. Raccolse due grandi ciocche in un’unica piccola treccia, mentre il resto dei capelli fu lasciato ricadere morbido lungo la schiena. Non ero ancora una donna sposata, e non dovevo dunque portarli legati del tutto. La fronte fu lasciata ben scoperta e, non appena ebbe completato questa prima fase, prese una retina velata e con perle e l’applicò con cura sul mio capo.
« Mia signora, cosa ne pensate? » domandò con tutto il rispetto, nonostante non fossi una nobile.
Mi osservai con attenzione, muovendo un poco la testa per vedere meglio, e sorrisi entusiasta. Quella che scorgevo, sembrava una vera e propria dama, e non la semplice sarta della loggia. Era splendido cosa potessero fare delle acconciature e dei vestiti raffinati.
« Perfetto. È assolutamente perfetto così. Vi ringrazio, avete un’abilità particolare. »
Le sorrisi, ma lei si limitò a chinare il capo. In quel momento sentii bussare alla porta, e mi voltai, invitando a entrare.
Con mia sorpresa Madame Le Marchand fece il suo ingresso nella stanza, tutta agghindata con il suo abito migliore, di un velluto violaceo, e capelli ben raccolti sul capo. Con curiosità, notai anche un ciondolo e orecchini abbinati. Era insolito vederla così.
« Oh, Desirée, bambina mia. » si lasciò sfuggire, completamente emozionata, proprio come me, ma poi notò la presenza di Josephine e borbottò qualcosa di non ben decifrabile, come nel vano tentativo di apparire non più così dolce.
« Madame… che gradita sorpresa. Pensavo di trovarvi dopo, in mezzo a tutti gli altri… ma sono felice di potervi vedere prima. »
Stavo per alzarmi, quando lei con un gesto della mano m’invitò a rimanere seduta dov’ero e, prima di rivolgermi parola, invitò l’altra a lasciarci sole e la domestica obbedì avendo già svolto il suo lavoro.
« Mia cara, se sono venuta qui è perché vorrei farvi ora il mio dono. No, non potevo aspettare, perché è qualcosa che potrà completare il tutto. »
« Cosa volete dire? » domandai, curiosa e allo stesso tempo titubante.
« Ve lo mostro subito, anche perché non sono brava come la vostra amica a parole. »
Si avvicinò di un passo ancora a me e mi tese una scatolina blu.
« Apritela. Apparteneva a vostra madre. »
Non riuscii a proferire parola. Lì dentro c’era qualcosa che apparteneva a mia madre e che ora mi veniva fatto in dono. Mia madre. Il solo pensiero che non poteva essere lì, in un momento importante per me, mi faceva affiorare le lacrime agli occhi.
« No, Desirée non piangete, altrimenti dovremo sentire la vostra amica strillare perché avrete gli occhi rossi e non sarete più perfetta. »
Il modo in cui lo disse, mi fece ridere, e cercai di cacciare indietro le lacrime, concentrandomi unicamente sulla scatolina.
L’aprii un poco esitante e notai uno splendido collier: era un ciondolo bianco simile a madreperla e la stessa forma a goccia si ripeteva negli orecchini. Era talmente splendido e di un valore ancora più elevato di un semplice prezzo, che mi sentii il cuore battere all’impazzata nel petto.
« È… è stupendo. Assolutamente stupendo. »
« Concordo. Era uno dei gioielli più preziosi, se non il più prezioso, di vostra madre. Un dono, sudato, di vostro padre e credo che ora debba appartenere a voi. »
Annuii, sfiorando appena il ciondolo non di grandi dimensioni, ma non per questo meno bello, anzi… amavo particolarmente i gioielli di grandezza minore, meno vistosi.
« Avanti, ora vi aiuto ad indossarlo. Non vorremo far tardi, no? »
« No, Lou non ne sarebbe poi così felice. Non credo che il ritardo sia annoverato tra le cose che rendono perfetto un tale evento. »
Risi divertita, e sentii la risata gracchiante di Madame, colei che per me, nonostante la freddezza apparente che aveva spesso, era come una madre.
Una volta che ebbi indossato il collier, ero davvero pronta.
L’evento poteva iniziare.
















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Spero che non vi sembrerà tutto troppo affrettato, ma non mi andava di concentrarmi troppo su tutta la relazione tra Flaviano e Desirée, perché non è solo su questo che si concentra la storia. Ma ci sarà parecchio su di loro! :)
Pian piano stanno comparendo tutti i personaggi, ma ci sarà ancora molto da dire!!!

Grazie a chi legge e a chi lascia un segno del proprio passaggio :)

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Capitolo 6
*** V - La Festa di Fidanzamento ***


V

La Festa di Fidanzamento




    Louise-Marie ci raggiunse pochi minuti dopo, raggiante nel suo abito di damasco rosso. I suoi lunghi capelli scuri erano perfettamente tirati indietro, trattenuti da un copricapo rosso con rifiniture verdi a forma di mezzaluna. Aveva gioielli scintillanti e ben visibili al collo e alle orecchie.
« Ma chére sei pronta? » chiese non appena la porta fu spalancata ma, dopo aver notato la presenza di Madame, le rivolse un inchino accennato. « Bonjour, Madame Le Marchand, lieta di vedervi. Non mi aspettavo minimamente di trovarvi qui. Siete incantevole, un abito superbo adatto a una persona talentuosa come voi. »
Madame non si lasciò incantare troppo da quei complimenti e rapida rispose:
« È stata una sorpresa anche per Mademoiselle Desirée, ma ora che ho adempiuto al mio compito, posso andare. Con permesso. »
« Oui, fatevi pure scortare al giardino, tutti gli ospiti si stanno recando in quel loco. Tutto è pronto, manca solo la futura sposina » disse Louise-Marie, consentendo a Madame di lasciare la stanza.
Avrei preferito presentarmi al fianco di quest’ultima, ma sapevo che a Madame non piaceva trovarsi al centro dell’attenzione, se non per lavoro.
Quando fu uscita, Lou mi si avvicinò e riprese a parlare:
« Oh, Desy, sei così incantevole! Josephine ha fatto un lavoro lodevole con i tuoi già sublimi boccoli d’oro, e… questi gioielli? »
Il suo tono si fece un misto tra lo stupore e la curiosità.
Io feci scorrere la mano al ciondolo, per sfiorarlo appena, e poi risposi:
« È un dono di Madame. Un ricordo di mia madre e mio padre… »
Lei conosceva perfettamente la mia storia e per un attimo acquietò la sua euforia per lasciare il posto alla delicatezza.
« È un dono delizioso. Qualcosa che dovrai custodire con estrema cura e attenzione. »
Annuii pur non avendo bisogno di consigli; era, infatti, logico che lo avrei custodito come il tesoro più prezioso.
« Oh, bien. Direi che è ora di andare. Il tuo fidanzato ti attende! » sorrise maliziosa e sembrò trarre piacere dal rossore che, come di consueto di fronte a certi argomenti, accendeva le mie gote.
« Un minuto ancora. »
Indossai i guanti bianchi con cura, sotto lo sguardo impaziente della mia amica.
« Pronta! »
« Andiamo allora. Ricorda: tutto deve essere perfetto e il troppo ritardo non è annoverato sulla lista delle cose che mirano alla perfezione assoluta. »
Mi fu impossibile trattenere una risatina di fronte a quella frase che, pochi minuti prima, avevo espresso io stessa e Lou mi lanciò un’occhiataccia, risentita.
« Ti stai burlando di me? » chiese con una punta di acidità.
« Oh no. Sai che non è mia intenzione offenderti. Non mi permetterò di guastare questa perfezione cui tu hai dedicato così tanto tempo e amore… e solo per me. »
Le sfiorai una mano e sorrisi con dolcezza e riconoscenza. « Non finirò mai di ringraziarti, mon précieuse amie. »
« Oh. »
Il suo viso si distese, lasciando affiorare un adorabile sorriso colmo di affetto.
« Basta ringraziamenti ora. »


*


Quando giungemmo in giardino non mi sentii più così pronta, ma rimasi incantata da una tale organizzazione. Tutto ciò era per me e Flaviano: la sarta e il soldato.
Era davvero troppo per noi ma, dopo un poco di esitazione, cercai di soffermarmi sulle parole di Lou, per stare bene io stessa e non farle qualcosa di sgradito: era il mio giorno, il mio evento e per una volta dovevo sentirmi come una vera e propria dama e non una semplice, seppur conosciuta e apprezzata, sarta.
Il giardino era disseminato dei primi fiori primaverili di diverse forme e colori, e nello spazio vicino al grande gazebo posto proprio al centro, erano sistemati una serie di tavoli ove gli ospiti potevano comodamente sedersi per assaporare le leccornie e le bevande sparse con il dovuto ordine su tavoli più lunghi o trasportati dai servi, ma anche conversare tranquillamente.
Il gazebo era adornato da una serie di grandi nastri bianchi, legati insieme da fiocchi dorati; e al centro erano posizionasti due violinisti, non potendo trasportare il clavicembalo fin lì.
« Lou… tutto questo per me? Ma… è delizioso, assolutamente notevole. Io… » allo sguardo minaccioso della mia amica, subito mi ripresi «… ti voglio davvero molto bene. »
« Anche io te ne voglio, ma non iniziare ad affogare nelle tue lacrime di gioia, trattienile per quando vedrai il tuo amato chiederti in sposa. Avanti, eccolo laggiù proprio dinanzi al gazebo, in compagnia del Conte, guarda. Oh, e c’è anche lui… »
Voltai rapida lo sguardo verso la direzione indicatami e scorsi il mio amato, vestito in un abito elegante di un blu acceso. Non l’avevo mai veramente visto in quel modo e quell’eleganza gli donava un maggior fascino. Mi sentivo davvero fortunata ad aver conquistato il suo cuore, così come lui aveva conquistato il mio. Tuttavia, non compresi bene le ultime parole di Lou e neanche il motivo per cui iniziava a farsi più agitata.
« Lui? Di chi parli? »
« Ma come non lo vedi. Il capitano delle guardie, quell’uomo alto proprio al fianco del tuo adorato Flaviano. Monsieur Mickel Svensson. Ah, è un tale uomo pieno di fascino, seppur nella sua compostezza dovuta al suo ruolo. Sembra sempre così rigido e distante, forse anche un po’ freddo, ma sono sicura che sia un uomo così ricco d’interesse, così… oh, ma cosa mi prende ora. »
Iniziò a sventagliarsi con foga, mentre scorsi il rossore accendersi sulle sue gote e, questa volta, fu il mio turno di sorridere maliziosa.
« Non dirmi che ti stai innamorando proprio del capitano! La mia cara amica, nonché sorella adorata, riesce a donare il suo cuore a qualcuno che non sia un nobile di alto rango? »
Continuando ad agitare il ventaglio davanti al viso, Louise-Marie mi lanciò una gelida occhiataccia.
« Oh, ma cosa dici. Io innamorata? No, assolutamente no. Penso solo che sia un tipo molto affascinante e… chissà, magari riuscirò ad attraversare la sua scorza. Poi cosa intendi insinuare con le tue parole, cara la mia sartina? Posso anche innamorarmi di un Capitano, non solo i nobili sono degni del mio interesse, anche se ovviamente non ci si deve mai fermare senza raggiungere il meglio. »
« Ma se il meglio fosse lui… » insinuai, divertita.
« Insomma! Se il meglio fosse lui, solo il tempo potrà dirlo. Ora mia cara, fatti avanti e ricevi tutti i complimenti, gli auguri e gli sguardi di tutti. »
Quello fu un vero e proprio colpo basso, e lei se ne accorse perfettamente, sorridendo angelicamente. Avrei voluto strozzarla ma, fatto un bel respiro profondo, avanzai in mezzo alle numerose presenze, di cui in grossa parte non conoscevo se non di vista o di fama.
C’erano dame di corte, tutte agghindate con abiti e gioielli lussuosi; c’erano messeri e uomini d’arme, compagni del mio amato, e alcuni bambini che correvano divertiti lungo i viali dei giardini. C’erano servi di ogni genere, pronti ad accontentare le esigenze di tutti i presenti. C’era la mia cara Madame Le Marchand che tentava di mascherare la sua gioia nel vedermi in quel momento. C’erano il Conte e la sua consorte, e infine il mio amato in compagnia del suo superiore, proprio l’uomo che tanto aveva agitato Lou.
Per prima cosa, ovviamente, mi avvicinai al Conte – un uomo di mezza età, basso e un poco grasso; era stempiato, ma si poteva ovviamente intuire che fosse biondo, mentre i suoi occhi erano azzurri, profondi e capaci di incutere rispetto –, andando a eseguire il più grazioso inchino, e così rimasi, con lo sguardo a terra, fino a che lui non mi diede il cenno di alzarmi.
« La nostra più brava sarta finalmente è giunta. Benvenuta dolcezza e accalappiatrice di soldati. »
Arrossii di fronte a una tale definizione, ma era risaputo che il Conte amava scherzare e avere intorno persone piene di spirito e allegria.
« Quando è il cuore che chiama, è difficile non rispondere. Vi ringrazio, Monsieur le Compte, per la grazia che mi avete concesso di avere un tale evento proprio qui nei giardini della vostra corte. »
Cercai di essere il più possibile sottomessa e modesta, e poi, quando lui me lo concesse, chinai di nuovo il busto verso la sua consorte, una donna di media altezza, dal naso stretto e particolare. I suoi occhi erano scuri come le tenebre, medesimo colore che si rifletteva sui capelli, completamente raccolti e adornati da perle e un velo blu.
« Lieta di avervi qui con noi, graziosa mademoiselle Desirée. » si limitò a dire, ed io prontamente risposi.
« Vi ringrazio, vostra grazia. È un onore per me essere qui. »
Finalmente fu il turno del mio amato di venirmi incontro, e fui esentata dal rimanere troppo a lungo in una posizione non comoda per via del bustino stretto, e di trovarmi proprio alla presenza dei due Conti, cosa che ovviamente non mi faceva sentire del tutto a mio agio.
« Desirée… » mormorò appena, rivolgendomi il più tenero dei sorrisi.
« Mon Amour… » risposi a mia volta, allungando una mano per il consueto e rispettoso baciamano.
Lui la prese nella sua e delicatamente vi avvicinò le labbra, senza tuttavia posarle assolutamente su di essa, soffiando appena un bacio, com’era corretto compiere.
Io sorrisi, deliziata dalla sua presenza, cercando di spingere via la voglia di averlo ancora più vicino a me. Pensieri non adatti di fronte a un tale pubblico.
« Finalmente, dunque ci siamo » disse, lasciando poi andare la mia mano, e limitandosi a guardarmi, seppur dai suoi occhi potessi scorgere lo stesso desiderio che si era insinuato con prepotenza in me. « Siete incantevole, una vera perla. Credo che i miei occhi non vi abbiano vista mai veramente come oggi, e il mio cuore si sia innamorato di nuovo. »
Arrossii violentemente nell’udire tali complimenti, proprio in quel momento.
« Anche voi siete delizioso. È, credo, la prima volta in cui riesco a vedervi con tali abiti, anziché con la vostra divisa. »
« E… sono dunque meno affascinante ai vostri occhi? »
« Oh, ma cosa dite! Per me siete ugualmente affascinante ai miei occhi. Non sono gli abiti ad aver spinto il mio cuore verso di voi, anche se di abiti io mi occupo ogni giorno, bensì le vostre qualità. »
Un colpo di tosse ci distolse, facendoci tornare alla realtà.
« Siete adorabili entrambi, e vi chiedo perdono se m’intrometto in tali amabili discorsi tra piccioncini innamorati, ma Monsieur Marli, non credete che sia corretto non lasciare da parte il vostro… superiore e permetterci di conoscerlo, ecco, e di poterlo far entrare in una conversazione più interessante? »
Voltandomi, vidi Lou sbattere le ciglia più volte con la chiara intenzione di poter conversare lei con il capitano. Trattenni a stento una risatina, lasciando a Flaviano il compito di rispondere e fare le dovute presentazioni.
« Avete ragione dama Lemoine, vi chiedo perdono per non averlo fatto prima. Ma quando i miei occhi si bloccano su un tale angelo, è difficile per me pensare ad altri. »
Mi scoccò un sorriso, mentre avrei voluto avere una maschera per smettere di arrossire in quel modo assurdo, e poi si volse verso il suo superiore. « Capitano Svensson, permettetemi di presentarvi la mia futura sposa e una dama altrettanto deliziosa. »
L’uomo, che fino a quel momento era rimasto in piedi in posa ben rigida e nel più assoluto silenzio, fece un unico gesto di assenso con il capo e, con pochi passi, si avvicinò al nostro gruppo.
Per un attimo mi sentii mancare. Era davvero un gigante, di fronte al quale mi sentivo come una minuscola formica.
Era magro, ma ben allenato; e dalla divisa che indossava – che neppure in quel momento aveva deciso di togliere – si potevano intravedere dei muscoli sulle braccia, cosa che Lou sembrò trovare decisamente interessante.
Aveva corti capelli neri, e impenetrabili occhi grigi. Una corta e ispida barba e dei baffetti circondavano le sue labbra rigide, nonostante si sforzasse di accennare un lieve sorriso al nostro indirizzo.
« Costei è Mademoiselle Desirée Chervalie, futura Madame Marli, » mi presentò Flaviano, sfiorandomi appena il braccio, poi proseguì « mentre dovreste aver sentito sicuramente parlare di Dama Louise-Marie Lemoine, colei che con il suo ingegno, la sua costanza e le grandi doti organizzative ci ha permesso di vivere questo sogno oggi. » Poi, soffermando di nuovo lo sguardo verso di noi, aggiunse:
« Mie care dame, vi presento il Capitano delle Guardie, Mickel Svensson. »
« Lieto di conoscervi Mademoiselle Chervalie. Flaviano mi ha parlato di voi. »
Chinò appena il capo, per poi passare a concentrarsi sulla mia amica. « Ho sentito parlare delle vostre doti che vi hanno portata ad essere molto apprezzata a corte. È un piacere per me fare la vostra conoscenza. »
M’inchinai con rispetto a lui, cercando di non pensare alla sua mostruosa altezza e a quella freddezza negli occhi e nei gesti, che non mi faceva essere del tutto tranquilla, e poi replicai:
« Sono finalmente onorata di conoscere un uomo di grande rispetto come voi. La vostra fama vi precede; Flaviano ama molto conversare non solo di me » sorrisi appena, prima di lasciare il mio posto a una Lou decisamente euforica, che tentava a stento di moderarsi.
« Oh, capitano. Non sapete con quale gioia riesco finalmente a rivolgervi parola. Ho sentito parlare molto delle vostre abilità, della vostra intelligenza e, sono veramente lieta di potervi conoscere di persona. »
S’inchinò anche lei, con una grazia notevolmente superiore alla mia, e poi tornò a rialzare lo sguardo su di lui.
Conoscevo quello sguardo: aveva puntato la sua preda e, probabilmente, la persona con cui avrebbe conversato per i prossimi minuti. Non le rivolsi neanche un sorriso, sapendo che ormai io ero parte di un altro mondo.
« Be’, iniziano le danze. Spero che non vi dispiaccia se vi porto via la vostra amica, dopotutto questo è il nostro momento! » disse Flaviano e, senza attendere una replica, mi porse il braccio, che presi ben presto, desiderosa di danzare e passare ogni momento possibile con il mio amato, lasciando così la possibilità alla mia amica di poter conoscere meglio Mickel.

Flaviano mi condusse proprio al centro del piazzale e, poco dopo, si radunarono intorno a noi altre coppie ben liete di poter danzare. Louise-Marie e Mickel, tuttavia, non si unirono almeno per il momento a noi.
Qualche istante ancora e poi i musicisti presero i loro strumenti e le prime note iniziarono a volare nell’aria.
Flaviano prese con grazia la mia mano destra ed eseguì un elegante inchino, così com’ero perfettamente consapevole stavano emulando gli altri uomini, e poco dopo fu il mio turno – e di conseguenza di tutte le donne presente – di ricambiare.
La musica iniziò con toni melodici e per nulla ritmati, e tutti iniziammo a eseguire i consueti passi specifici per quel ballo. Qualche passo avanti, altri indietro, e poi iniziammo a ondeggiare graziosamente con il busto, prima a destra, poi a sinistra, per poi ricongiungere le nostre mani.
Non ero un’abile ballerina, non avendo fatto un vero e proprio corso come le dame di corte, ma amavo muovermi al ritmo di quelle melodie che riuscivano a sprigionare quasi magicamente con quei semplici strumenti. Dopo un primo momento d’imbarazzo, mi lasciai andare, facendomi anche condurre dal mio amato che, nonostante il suo ruolo militare, era un abile danzatore.
Il ballo ci fece allontanare, spingendoci a danzare con altre persone, fino a che non avvertii di nuovo il suo piacevole tocco sulla mano e il mio cuore sussultò.
Gli sorrisi dolcemente e lui rispose con gioia. Era davvero un momento incantato per noi.
In pochi minuti il primo ballo ebbe fine; le note si susseguirono altalenanti fino a sfumare e lasciare il posto al silenzio.
Respirai un poco, serena, ma subito Flaviano mi coinvolse in un nuovo ballo, questa volta molto più ritmato. Saltelli e battiti di mano si susseguivano a movimenti più aggraziati e a passi ben precisi. Con quell’abito non era facile muoversi, ma non volevo neanche rinunciare ad avere un contatto così intimo che anche il ballo poteva dare. In fin dei conti, non potevamo avvicinarci troppo alla presenza di altri, per non apparire disdicevoli.
Ben presto, tuttavia, anche il secondo brano giunse alla sua fine e questa volta gli chiesi di riposarci un poco.
« Siete stanca mia amata? » mi chiese, tornando a donarmi il suo braccio, sul quale posai la mia mano.
« Sì, non sono così abituata e credo che due danze in successione possano bastare per ora, non trovate? »
« Concordo con voi, ma ve la cavate davvero bene. »
« Oh, voi siete davvero troppo di parte. Aprite gli occhi, mon cher, e valutate le cose come stanno realmente. Non sono una grande danzatrice, ma forse il vostro cuore è così folle d’amore per me che non riuscite a osservare bene la mia ben poca grazia nei movimenti. »
« Nient’affatto. Siete voi che avete sempre così poca stima nella vostra persona, da non accorgervi delle tante qualità che vi rendono così deliziosa. »
Arrossii e non risposi, anche perché proprio in quel momento ci raggiunse Louise-Marie, raggiante come non mai. Voltai appena lo sguardo verso Mickel, fermo immobile quasi come una statua nei pressi del Conte, sembrava serio e imperscrutabile.
« Deliziosi, davvero deliziosi! Un misto di eleganza e di grazia, e avete eseguito entrambe le danze al meglio. Siete un’ottima coppia sapete? » trillò la dama, sempre piena di elogi per noi. « Ma ora direi che sia il caso di passare alla parte principale di questo evento. Voi comprendete, nevvero, Monsieur Marli? »
« Comprendo benissimo dama Lemoine, e sono pronto a eseguire ciò per cui veramente siamo qui. »
Mi rivolse un sorriso adorabile, ed io ricambiai conscia di ciò che sarebbe successo a breve. Mi sentii cogliere da un’emozione indescrivibile, e se non ci fosse stato lui a sostenermi, non avrei saputo davvero come muovermi.
« Bien, allora venite con me! » esclamò Lou, avviandosi rapidamente sotto il gazebo dove ci invitò a posizionarci.
Sembrava davvero aver organizzato tutto al meglio, come una delle tante recite mascherate che amava creare a corte.
Louise-Marie, non appena fummo pronti, fece un cenno a uno dei musicisti, che eseguì una sola nota per richiamare l’attenzione di tutti i presenti.
« Vostre Grazie, Messieurs e Mesdames tutti. Finalmente è giunto il momento per cui siamo qui e che stavamo tanto aspettando. Monsieur Marli ora potrà chiedere la mano della dolce Mademoiselle Chervalie e tutti saremo pronti ad acclamare il primo passo verso la loro unione perfetta. »
Concluso il discorso, si avvicinò alle altre dame, e lasciò quella sorta di “palco” tutto per noi. L’idea di avere di nuovo tutti quegli sguardi su di noi mi agitò, ma rivolsi il mio sguardo al mio amato, cercando un po’ di sicurezza.
Lui mi guardò con intensità e prese con delicatezza le mie mani, stringendole tra le sue. Cercai di fare dei profondi respiri per rilassarmi e di perdermi nei suoi occhi castani, immaginando di essere soli, per essere del tutto tranquilla.
La sua presenza, il suo tocco e il suo sguardo riuscirono a farmi entrare in un mondo più intimo, nel quale tutti gli “spettatori” non potevano accedere. S’inginocchiò ai miei piedi e senza lasciarmi le mani, iniziò a parlare:
« Una stella del firmamento è caduta sulla terra e ha preso il nome di Desirée. Questa stella mi ha conquistato sin dal primo sguardo, il suo dolce sorriso ha acceso il mio cuore, e adesso devo chiederle di darmi la sua mano, o non saprò come vivere osservando le sue sorelle che la chiamano. »
Si fermò un attimo, mentre sentivo i miei occhi appannarsi per le lacrime di commozione che mi era difficile trattenere di fronte a una tale dichiarazione d’amore.
« Mia dolce volete, dunque, accettare la mia richiesta di fidanzamento e non spezzare il mio cuore che arde per voi? »
Rimasi in silenzio per qualche attimo nel vano tentativo di non parlare con voce roca o spezzata dall’emozione. Sfiorai le sue mani e, infine, risposi.
« La stella ha lasciato il suo amato cielo perché qui sulla terra ha trovato ciò che più desiderava: l’amore. Voi siete per me il dono più grande ed è il mio cuore che risponde per me e mi spinge a dirvi di sì. Io accetto la vostra richiesta e sono pronta a essere la vostra amante e la vostra sposa quando lo riterrete più opportuno. »
Non mi accorsi minimamente che i musicisti avevano ripreso a suonare una musica gioiosa, come a coronamento di quell’atto. Ero così concentrata su di lui e lui su di me che non m’importava minimamente del resto.
Si rialzò e posò un candido bacio sulla mia fronte, tutto ciò che poteva essere consentito di fronte a tutti, ma poi si chinò a sussurrare poche parole all’orecchio.
« Fra tre mesi sarete la mia sposa. »
Tre mesi ancora.
Chinai il capo appena e gli sorrisi ancora una volta.
Sposarlo e amarlo per il resto della mia vita era tutto ciò che più desideravo.

Il nostro intimo momento però ebbe termine, quando Louise-Marie e Madame Le Marchand ci raggiunsero per congratularsi con noi. Lasciai andare il mio amato, per fargli raggiungere i suoi compagni d’arme, ed io rimasi a conversare amabilmente con la mia più cara amica e quella che per me era ormai una madre.
Successivamente mi raggiunsero altre dame, e nella confusione sentii strattonarmi lievemente l’abito. Mi voltai, curiosa e al contempo un poco irritata, ma quando notai il viso di una bambina, le sorrisi, tranquilla.
« Mademoiselle… questo è per voi. »
Allungò la manina verso di me e mi consegnò un biglietto molto semplice.
« Chi ve l’ha dato? » domandai con curiosità.
« Non so il nome, mi dispiace. » si strinse nelle spalle e, prima che potessi dirle altro, si allontanò correndo, lasciandomi nella confusione.
Mi allontanai di pochi passi dalle altre, e aprii il biglietto, ma non compresi assolutamente cosa volesse dire.





















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Ci ho messo molto ad aggiornare, me ne rendo conto; ma la vita mi ha portata a scrivere un nuovo capitolo. Ho trovato lavoro e così il tempo da dedicare alla scrittura o, come in questo caso, alla rilettura di quanto già scritto ed eventuale correzione - e successiva pubblicazione - si è notevolmente ridotto, quindi pubblicherò ogni qualvolta ne troverò il tempo. Mi spiace...

Comunque, tornando al capitolo: non ricordo bene, sinceramente, se nelle mie ricerche fosse emerso che prima c'era il fidanzamento ufficiale e poi il matrimonio. Credo di sì, ma non ne sono certa. Tuttavia, è sempre il solito discorso: ho deciso di metterla nella sezione soprannaturale e non nello storico, perché, appunto, non volevo fare troppi errori "storici", a causa della mia scarsa conoscenza a riguardo. Quindi, spero che questo si chiaro.
Per il resto, mi spiace per chi odia il troppo miele, ma il mio Flaviano e la mia Desy sono molto romantici e sdolcinati, quindi... be', queste sono le loro parole! :P

A presto!
Grazie infinite a chi legge, commenta, inserisce la storia tra le preferite e seguite!

Un abbraccio.

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Capitolo 7
*** VI - L'Enigma ***


VI

L’Enigma



    Non ebbi il tempo di rifletterci troppo, poiché altre dame mi raggiunsero complimentandosi con me, felici – almeno all’apparenza – per me e il mio futuro sposo.
Nascosi, quindi, il biglietto all’interno del bustino, un luogo inaccessibile, perché non volevo, almeno al momento, comunicare nulla a nessuno. In fin dei conti, quel biglietto era riservato solo a me.
    Un sontuoso pasto fu servito e nelle ore successive dimenticai quel messaggio complesso – almeno a una prima e unica lettura superficiale – e cercai di godere tutto quello che era stato organizzato dalla mia più cara amica. Restammo lì fino al tramonto, deliziati dalle musiche che continuarono ad avvolgere il luogo per tutto il tempo, dalle danze che ben presto ripresero e coinvolsero maggiormente i presenti, e da un po’ di sane chiacchiere sui vari presenti e non. Notai quanto le dame amassero ciarlare sui più svariati argomenti e persone, ovvio. Tuttavia, dovevo ammettere che l’apprendere i segreti – magari non del tutto intimi – di persone conosciute o meno, m’incuriosiva. Dopotutto anche io ero una donna!
    Non appena il sole scomparve all’orizzonte, lasciando quelle sfumature rossicce che poi avrebbero teso al violaceo e infine al nero totale, salutai le dame e i messeri, in particolare Dama Lemoine, che ringraziai una miriade di volte e  chiesi il permesso di accomiatarmi al Conte e alla sua consorte. Ricevutolo, mi avvicinai a Flaviano, che mi accompagnò fin davanti casa. Mi donò un casto bacio sulla fronte e, dopo un piccolo inchino e un tenero sorriso, tornò al forte.
    Soltanto quando fui totalmente sola nella mia stanza, rammentai il biglietto e subito lo lessi:


Alla più abile sarta del villaggio queste parole sono rivolte,
le nostre congratulazioni per il gioioso evento le doniamo,
felicità ed amore sono perle che a lei non dovranno essere tolte,
ma presto e in modo strano alla richiesta arriviamo!

Se il dovere vostro avete compiuto con passione,
vi domandiamo ora una piccola concessione.
Consegnare potete di vostra gentile volontà,
ciò che rappresenta le nostre necessità?

Di dieci sacchetti noi stiamo parlando,
colei che li ha chiesti li sta aspettando;
le  tre facce della luna vi son disegnate,
le avete voi dunque ormai completate?

Ma presto la strada vi dobbiamo indicare,
affinché vane non siano le parole;
nel manto erboso vi invitiamo ad andare,
coperto di alberi e splendide aiuole.

Il ‘piangente’ immoto e nel silenzio v’attende,
le sue lunghe braccia verso terra tende,
accolta con gioia e passione sarete,
se la vostra mente e il cuore aprirete.

Ma con un monito concludere dobbiamo:
senza esitazioni da sola vi dovete presentare,
nessun compagno vi dovrà accompagnare,
se lieta volete rispondere al richiamo.

Questo è quanto.

Lessi più volte quella sorta di indovinello o strano enigma per cercare una soluzione, ma la mia mente era poco lucida per via del vino e della lunga giornata, ed i miei occhi faticavano a restare aperti. Accantonai, quindi, l’idea di decifrarlo e nascosi il foglio in una borsetta.

Quella notte riuscii a dormire senza problemi. La stanchezza mi aveva sopraffatta ed i sogni non vennero a turbarmi.




*


    Il giorno seguente fui sommersa dalle domande delle altre sarte, compresa la piccola Julie che mi osservava estasiata. Quella bambina vedeva in me un vero e proprio modello da seguire ma, seppur me ne compiacessi un poco, speravo che avrebbe trovato presto la sua via e volesse essere completamente se stessa e non una mia copia.

Il laboratorio, ove spesso regnava il silenzio intervallato unicamente dai tenui rumori di un lavoro così abitudinario e ripetitivo, era ora un turbinio di voci. Era difficile per me, perché non facevo in tempo a concludere una risposta che subito seguiva un’altra domanda. Erano tutte immensamente curiose non avendo potuto partecipare al mio fidanzamento. Volevano sapere del Conte della sua consorte, degli abiti delle dame – forse nella speranza di trovarvi un loro lavoro –, dello scambio delle promesse e del mio futuro sposo. Qualcuna s’azzardò a chiedere anche del famoso e freddo capitano delle guardie, ma alla fine arrivò Madame Le Marchand a interrompere tutto.
Batté due volte le mani riportando tutte all’ordine.
    « Basta chiacchiere! Il laboratorio non è un luogo dove ciarlare liberamente. C’è un lavoro da compiere e il tempo vola. Gli abiti non si creano dal nulla, quindi vi voglio tutte al vostro tavolo. Rapide. »
Tutte chinarono il capo e con un fruscio di vesti tornarono alle loro posizione, come dei veri e proprio soldati agli ordini del loro capo. Alcune borbottarono qualcosa, ma nessuno osò ribattere.
Io rivolsi un sorriso di ringraziamento a Madame, la quale però cercò di mantenere il medesimo sguardo serio. Non voleva fare favoritismi, sebbene tutte ormai sapessero che io ero quasi come una figlia per lei.
    « Mademoiselle Chervalie, lo stesso vale per voi e Julie, c’è ancora tanto da fare. »
    « Oui, Madame » replicammo all’unisono e ci sfuggì una breve risata, spezzata dall’occhiataccia che ci rivolse Madame.
Julie, in un gesto inaspettato, si volse verso di me e posò un bacio delicato sulla mia gota destra. Io rimasi sorpresa, ma poi le sorrisi dolcemente, carezzandole il capo. La feci scendere dalle mie gambe – su cui era seduta – ed entrambe tornammo ad adempiere le nostre rispettive mansioni.



*



    I dieci sacchetti erano conclusi. Li rimirai con attenzione per l’ennesima volta volendo sincerarmi che tutto fosse perfetto. Almeno nel mio lavoro volevo tendere alla perfezione; vedere i volti compiaciuti e felici della gente mi scaldava il cuore-

Ero rimasta come al solito da sola al laboratorio; le altre – compresa Julie – erano tornate alle loro dimore per ristorarsi. Deposi i sacchetti all’interno di una scatola blu e la chiusi, adornandola con un fiocco argentato.
Ripresi dunque il biglietto – che avevo sempre con me – e lessi ancora una volta quanto conteneva. Quel pomeriggio stesso avevo intenzione di risolvere quell’enigma, così da non pensarci più.
Dopo essermi ristorata un poco – con una zuppa di patate e verdure e un tozzo di pane – mi cambiai d’abito. Lasciai la divisa sul letto e optai per un semplice vestito panna senza troppe decorazioni. Non volevo essere troppo impacciata nei movimenti e, in fin dei conti, amavo quella semplicità – cosa che non apprezzava molto la mia amica Louise-Marie -.
Sciolsi i capelli, trattenendoli all’indietro con dei nastrini, in modo da lasciare la fronte scoperta e presi con me il mantello. Le temperature si alzavano sempre di più, ma non sapendo l’ora in cui sarei tornata, non volevo rischiare di prendere un malore.
Presi con me anche il pacchetto e, avvertita Madame che sarei stata via per una consegna, uscii diretta allo spiazzo d’erba nei pressi della collina ove sorgeva il palazzo del Conte.

    Le strade tornavano ad animarsi, anche se ero perfettamente consapevole che gran parte della popolazione pranzava con poco nel medesimo luogo in cui lavorava. Sivelle era composta da alcune corporazioni di artigiani: oltre alla nostra Maison, c’era quella di Monsieur Le Fer, un abile fabbro che, seppur avesse raggiungo un’età considerevole, non smetteva di forgiare armi di ogni genere; la Maison delle sorelle Precieux, le più conosciute orafe di quella contea; ma c’erano anche falegnami, conciatori e abili allevatori, presso i quali spesso i soldati si recavano per ottenere i giusti cavalli adatti alla corsa e al combattimento.
Tutte le botteghe erano situate nella parte più alta della città, nei pressi della piazza ove sorgeva la chiesa di Padre Paul, a pochi piedi di distanza dalla collina.
Man a mano che si procedeva verso l’accesso alla città, le case si facevano sempre più spoglie e povere di materiali. Lì vi vivevano i contadini che si recavano tutte le mattine a lavorare nelle terre esterne del Conte, fino al calare del sole. Altri, più fortunati, lavoravano invece presso i vitigni sulla collina, quando ovviamente era la giusta stagione. Lì si producevano i migliori vini della contea, rinomati anche alla corte reale di Parigi e forse anche fuori. Il Conte era ben orgoglioso del suo vino prelibato!
    
    Avanzai tranquillamente, salutando di tanto in tanto persone conosciute. Dall’osteria “Le Tre Spade” vidi fuoriuscire l’oste Jean, un uomo basso e panciuto, con pochi capelli sul capo ma una folta barba scura e arricciata. Il suo viso però denotava un’allegria contagiosa. Mi rivolse un goffo e divertito inchino ed io replicai reclinando il capo di lato.
    « Mastro Oste, lieto meriggio. »
    « Deliziosa Mademoiselle Chervalie mi sfiorate il cuore con il vostro sorriso e un saluto così soave! »
    « Non siate così plateale Monsieur, vostra moglie potrebbe non gradire e sono certa che vi osservi. »
Sorrisi divertita da questo consueto scambio di battute.
Lui era solito fare apprezzamenti a ogni donna nonostante fosse sposato, e spesso avevo notato la reazione non così allegra, ma ovvia e comprensibile, della moglie, che agitava il matterello e minacciava di tirarglielo in quella ‘zuccona vuota’, così diceva.
Eppure, nonostante questo, notavo un amore sincero tra i due, un legame che li univa da anni.
Jean borbottò qualcosa dietro il barbone e poi continuò.
    « La Mademoiselle vostra vorrebbe un bel bicchierino di vino? Oh, non vi sarà servito in calici come a corte, ma vi ci potete fidare del vostro oste preferito, no? »
    « Oh ma cosa pensate! Solo perché ho conoscenze a corte e ho avuto il permesso di fidanzarmi a palazzo non significa che io sia divenuta una perfetta e snobbante dama! » gonfiai le guance « e ho sempre apprezzato il lavoro… » calcai la parola « del mio oste preferito, ma sono costretta a rifiutare. Ben ricorderete quanto poco riesca a sostenere anche un solo e misero bicchiere di vino e non vorrei rischiare di arrivare ubriaca al luogo in cui sono diretta. »
Lui vibrò nell’aria una risata fragorosa e nasale, emettendo ogni tanto un suono simile al verso di un maiale, ed io non riuscii a non ridere.
    « Va bene Mademoiselle, ma sarà per un’altra volta, ci conto! E portate anche quel vostro soldato, così mia moglie starà calma. »
Intravidi proprio la moglie arrivare con un cucchiaio di legno bello lungo e un’aria arcigna. Era piccolina, ma paffuta. Capelli corti e bruni trattenuti con poca grazia sul capo da forcine. Il suo sguardo scuro indugiò su di me. La salutai con tranquillità e lanciai un saluto anche all’oste, prima di lasciarli ai loro battibecchi. Sivelle era diventata per me una vera casa.



*




    Raggiunsi lo spiazzo d’erba senza ulteriori indugi e rivolsi uno sguardo intorno a me.

Il luogo appariva deserto e solo un chiacchiericcio soffuso giungeva dalla collina vicina ove, a uno sguardo più attento, si potevano intravedere alcuni contadini al lavoro nell’orto del loro Signore, non potendo occuparsi dei vigneti in quanto non ci trovavamo nella stagione adatta.
Per il resto ero sola e potevo adempiere in tranquillità al mio scopo.
Mossi qualche passo verso il boschetto e cercai di comprendere dove potesse essere l’abitazione della donna così misteriosa.
‘Il Piangente’ pensai, cercando di riflettere con attenzione.
Se non ricordo male è un albero caratterizzato da lunghi rami che scivolano verso terra e la sfiorano…
Annuii al mio ragionamento, rammentando che anche nel biglietto si faceva riferimento a quella caratteristica.
Peccato che non riuscissi a scorgere nessun albero simile.
Mi grattai la nuca con la mano libera e restai per minuti interi a osservare tutti gli alberi che potevo vedere senza addentrarmi nel bosco.

    « Che state guardando di così interessante? Il bosco può darvi ispirazione per i vostri abiti? »
Sobbalzai non essendomi accorta di un’ulteriore presenza e, prima di rispondere, dovetti fare profondi respiri per riprendermi.
    « Flaviano! Ma vi sembra questo il modo di rivolgervi a me? Mi avete spaventata comparendo dal nulla. »
Sbuffai guardandolo male per un attimo.
Lui rise divertito alla mia reazione ed io mi voltai dalla parte opposta, offesa.
    « Oh, non fate così ora mia amata. » Mi avviluppò da dietro, stringendomi a sé, ma mi mantenni ancora rigida. « Non volevo spaventarvi, mi dispiace, ma cosa c’è di così interessante nel bosco? E che ci fate qui con quel pacchetto? Non ditemi che Dama Lemoine vi ha chiesto un altro vestito! »
Sollevò gli occhi al cielo quando gli rivolsi lo sguardo.
 « No, non è per lei. È per un’altra dama. »
Cercai di rilassarmi ancora tra le sue braccia e poi provai a inventare qualcosa.
« Dovrei consegnarlo tra qualche ora e, avendo del tempo libero, volevo trascorrerlo nel luogo ove mi trovo meglio. Tutto qui. » sviai lo sguardo sentendomi colpevole. Odiavo mentire in generale, ma con le persone amate mi sentivo anche peggio. Tuttavia dovevo farlo. « E sì, ero incuriosita dalla varietà degli alberi, ma aihmè, non trovo quello di cui tanto ho sentito parlare, e che vorrei vedere di persona. »
Flaviano sprofondò le labbra tra i miei boccoli, poi replicò:
« Di quale parlate? »
« Del salice. Voi sapete se qui è possibile trovarne uno? »
« Uhm… pensandoci bene, addentrandosi nel bosco e percorrendo un breve tratto, ne ho visto uno; ma non voglio che ci andiate da sola. Se è vostro desiderio vederlo vi ci posso accompagnare. »
Il sorriso, dapprima dolce, si ampliò facendosi malizioso quando mi sussurrò qualcosa all’orecchio destro che mi fece arrossire visibilmente.
Battei la mano libera sul suo petto ma, prima che potessi criticare, lui mi tolse il respiro e la facoltà di parlare, con un bacio carico di passione.
Era come se lo desiderasse da tempo, ed ora che lo aveva ottenuto, cercasse di renderlo magico e unico.
Mi lasciai trasportare da quell’ondata di emozioni, perdendo ogni freno o altro pensiero. Avvertii le sue morbide labbra combaciare alle mie, la punta della sua lingua sfiorare e chiedere come un muto permesso per accedere oltre e spaziare nella mia bocca; permesso che concessi.
Ero così coinvolta da quell’ardore che ci univa, che quasi non mi accorsi di aver fatto cadere mantello e pacchetto a terra. Soltanto quando entrambi avevamo bisogno di aria, ci staccammo, ma lui continuò a baciarmi dolcemente intorno alle labbra e sulla punta del naso.
Rimasi senza parole, imbarazzata ma anche estasiata.
Lui sorrise e poi disse:
    « Non immagini quanto avrei voluto farlo ieri. »
Io sprofondai il viso sul suo petto, non sapendo bene che dire e lui riprese: « Dovrei baciarti più spesso in tal maniera se ti faccio perdere le parole. »
Gonfiai le guance e tentai di colpirlo, ma lui afferrò prontamente le mie mani e rise.
    « Non si alzano le mani a un soldato! »
    « Ma al mio soldato impertinente sì. » replicai.
Poi entrambi scoppiammo a ridere. Tornò a cingermi i fianchi, tenendomi ben troppo vicina a sé, fino a quando una voce gelida e autoritaria ci raggiunse.
    « Soldato Marli, se avete finito con le smancerie vi attendo al Forte. »
Non era, in verità, una richiesta ma un ordine. Mi voltai intravedendo a pochi passi di distanza il capitano Svensson e mi accorsi di essere imbarazzata ma anche irritata dal suo dire.
Flaviano mi lasciò andare, scattando sull’attenti e rispondendo all’ordine.
    « Devo andare ». Mi rivolse un rapido sorriso e un baciamano sfuggevole e subito seguì il capitano.
    « Mademoiselle Chervalie. »
    « Capitano Svensson. » salutai con il medesimo tono freddo.
Non appena furono lontani, sbuffai irritata. Era sempre così freddo!

    Rimasta di nuovo sola, tuttavia, non persi tempo. Il sole stava scendendo all’orizzonte e non volevo far tardi. Indossai il mantello e presi anche il pacco e, titubante, mi avvicinai ai primi alberi.
Scrutai oltre, ma il bosco mi spaventava un po’.
Non avevo di che difendermi, ma la curiosità mi spinse ad abbandonare le paure e ad avanzare, fino a che, a pochi piedi di distanza non intravidi proprio quello che cercavo.
Un bellissimo esemplare di salice piangente troneggiava proprio al centro di quella piccola radura riparata alla vista da pini e altri alberi. Pian piano mi avvicinai, ma non notai abitazione alcuna.
Sospirai.
E ora?

Mi chiesi, non sapendo che fare. Sfiorai uno dei rami ma, proprio nel momento in cui pensai a uno sciocco scherzo, udii una voce.















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Grazie a chi legge e lascia un segno del proprio passaggio :) Spero che la storia possa piacervi e incuriosirvi! A presto :)

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Capitolo 8
*** VII - La Congrega del Salice ***


        VII
La Congrega del Salice


    « Finalmente siete giunta! Le altre avevano quasi perso la speranza, ma io, che vi ho vista di persona, sapevo che avreste decifrato il messaggio e sareste venuta da sola, come da noi richiesto ».
La voce era familiare, sebbene l’avessi udita un’unica volta e, quando il buio che mi aveva avvolta si diradò, notai la figura della giovane donna che mi aveva fatto richiesta dei sacchetti.
Ero confusa e un poco spaventata. Com’era finita lì non avendo notato se non il salice? E soprattutto dove mi trovato?
La donna era abbigliata con un lungo abito di velluto di un verde molto scuro; era di una semplicità disarmante e ricadeva sul suo corpo minuto ma formoso come una sorta di tunica.
I corti capelli castani e un poco ricci sulle punte erano sciolti e le ricadevano confusi sulle spalle, adornati da qualche piccolo fiore. Al collo aveva un ciondolo d’argento ben particolare, che si contorceva in una sorta di spirale al cui centro – nello spazio vuoto – era racchiusa una pietra verde.
    « Ma dove mi trovo? » chiesi, dopo un attimo di esitazione e smarrimento.
    « Nella mia umile dimora… Mia… forse sarebbe più corretto dire che ci vivo con le mie sorelle. » disse, gesticolando un poco con le mani.
Io la guardai, aggrottando la fronte, perplessa.
    « Ma davanti a me c’era solo un salice piangente, non ho visto nessuna casa… » obiettai.
    « Infatti, questa non è un’abitazione come tutte le altre. Dovete sapere che ci troviamo all’interno di una grotta che noi abbiamo arredato con tutto ciò che ci poteva essere utile. Non è delizioso? » strizzò gli occhi, sorridente.
    « Una grotta? Ma non ho visto nulla… » replicai ancora.
Lei rise divertita. « Lo so bene. Non tutti sono ammessi all’antro delle Streghe. »
Quell’ultima parola mi paralizzò. Spalancai gli occhi e poi, colta dalla paura, mi guardai attorno cercando una via di fuga.
    « Complimenti sorella! Sei riuscita a spaventarla. Ci vuole tatto, capisci? Non è così che si fa. »
Mi accorsi che la voce era diversa; era più acuta, quasi infantile, simile a quella di una giovane fanciulla.
    « Oh. Non era mia intenzione spaventarvi dolce Desirée. E tu, sorellina cara, invece di sgridarmi potevi accoglierla insieme a me, così magari in due non c’erano problemi. » ribatté la donna da me conosciuta rivolgendosi a qualcuno che non potevo ancora vedere.
    « Invece ti sbagli! Lei conosce solo te, se apparivo anch’io o solo io si sarebbe subito spaventata, non credi? » replicò l’altra voce, ma poi una terza voce più sottile e penetrante intervenne.
    « Basta così! Non è litigando in tal maniera che la potete rassicurare. »
   « Chi siete? » domandai con voce tremante, ma poi la paura mi spinse a continuare. « Insomma lasciatemi andare via; non voglio essere sacrificata al vostro Diavolo. Dio mio… »
Indietreggiai di qualche passo, poi aggiunsi: « Tenete i vostri sacchetti, ma lasciatemi vivere. Vi prego… »
La voce più giovane emise una risata divertita.
    « Siamo sicure che lei sia adeguata? Se crede tanto alle sciocchezze di quei preti o pastori che siano! »
    « È adeguata, io l’ho vista. Deve solo chetarsi. » rispose la voce più sottile.
    « Adeguata? No, io non sono adatta ai vostri riti… Vi prego, non voglio morire » urlai disperata, mentre lacrime scivolarono sulle mie gote.
    « Voi due, fatevi vedere o le faremo davvero perdere il senno » disse la donna conosciuta.
    In pochi istanti a lei si unirono altre due donne.
La prima aveva ancora delle fattezze infantili; corti capelli ricci di un marrone scuro le scivolavano corti sulle spalle e due occhi simili ad ambra mi osservavano con curiosità. Non era esile, ma paffuta, anche se aveva lineamenti graziosi. Era avvolta nella medesima tunica, ma rossa, colore che si rifletteva anche nella pietra del ciondolo portato al collo.
L’altra era una figura alta e sottile, dal viso pallido come la luna. Lunghi capelli lisci e di un biondo miele le arrivavano alla vita e due occhi verde-acqua mi scrutavano con intensità, come a volermi analizzare.
La sua veste era del colore delle viole, così come la pietra racchiusa nel ciondolo uguale alle altre.
    « Mademoiselle Chervalie non dovete avere paura. Siamo streghe, ma non facciamo del male a nessuno, tanto più a voi che siete stata così gentile da venire fin qui » disse la donna in verde, che già conoscevo. « Loro sono due delle mie sorelle, le altre avrai modo di conoscerle successivamente. Vedrete che vi troverete bene qui. »
    « Altre? » domandai, allarmata.
    « Oh sì! Le più potenti! » ridacchiò la più giovane.
    « Smettila Elodie! » ribatté la prima.
    « Perché mai? Ho solo detto la verità. »
    « Hai accusato me di non aver usato tatto ma tu stai facendo lo stesso. Così non l’aiuteremo a tranquillizzarsi. »
La piccina, che come compresi si chiamava Elodie, sbuffò e arricciò le labbra in una smorfia contrariata.
    « Il mio nome è Claire Morel, Maestra di Divinazione. Ho scorto il tuo viso nelle acque… »
La guardai perplessa non comprendendo le sue parole.
    « So che ora ti sembrerà strano e spaventoso, ma un giorno comprenderai… »
Non aggiunse altro, lasciandomi con ancora più pensieri.
    « L’offesa lì si chiama Elodie Dupont, Maestra di Teoria degli Elementi. » riprese parola colei che mi aveva accolta per prima.
    « So presentarmi anche da sola » sbuffò Elodie, ma l’altra la ignorò e aggiunse:
    « Se non l’avete dimenticato io sono Cécilie Bonnet, Maestra Erborista. » chinò leggermente il capo.
Non riuscii comunque a tranquillizzarmi. I loro visi erano sì graziosi e non sembravano pericolose ma non potevo fidarmi delle streghe. Padre Paul non ne parlava bene, così come tanti altri ecclesiastici o persone timorate di Dio.
    « Vi prego, Mademoiselle Desirée, seguiteci nella Grande Sala; lì potremmo parlare con più tranquillità, magari davanti a un sidro di mele… »
    «… e dei pasticcini! » concluse Elodie, ritrovando il sorriso.
Claire rimase silenziosa, ma sembrava scrutarmi dentro, mettendomi un poco in soggezione.
    « Giurate di non farmi male? » domandai con un filo di voce.
    « Assolutamente sì. Non vi faremo male. Credeteci » esclamò Elodie, facendo un passo avanti. Mi tese la mano ed io la guardai titubante.
    « Fidatevi di noi e se non vorrete rimanere, permetteteci almeno di essere ospitali e poi farete ritorno tranquillamente nella vostra dimora. » replicò Cécilie per incoraggiarmi.
Elodie continuava, invece, a guardarmi con un sorriso solare e contagioso. Cercai di calmarmi e, infine, acconsentii. Non mi fidavo, ma non sapevo neanche come scappare. Fu in quel momento che mi maledii per non averne parlato con Flaviano.
Con una mano libera sfiorai appena quella piccola e grassottella di Elodie e mi lasciai condurre in quella da loro chiamata come la ‘Grande Sala’.

 

*


    La Gran Sala era ampia e accogliente, sebbene le pareti fossero di nuda pietra grigia. Sembrava realmente di essere all’interno di una grotta, ma arredata come una perfetta casa. Solitamente le persone più povere non avevano che un misero arredamento composto di pochissimi elementi, ma quelle streghe sembravano avere una vera e propria arte nel rendere più grazioso il luogo in cui vivevano.
Fissai sbalordita ogni angolo e quasi non sentii che il tocco di Elodie era scomparso. Mi aveva lasciato la mano e aveva raggiunto saltellante le sue sorelle e ora mi osservavano tutte curiose. Non badai troppo a loro. Il mio cuore batteva furente, ma la meraviglia era molta. Vi era un tavolino proprio al centro, su cui erano posati dei libri e qualche pergamena e piuma d’oca; intorno erano disseminati una serie di cuscini di diversi colori, comodi giacigli, e in un angolo era posizionato un camino in cui una vivida fiamma zampillava nonostante fosse quasi estate. Di fronte era posta una sedia, in cui però non potevo scorgere se ci fosse o meno un’altra presenza. Continuai a guardarmi ancora attorno e quasi sobbalzai scorgendo delle fiamme bluastre immobili nell’aria; da lì sembrava provenire una strana luce che poteva illuminare il loco, altrimenti totalmente buio.
Vi erano inoltre tre porte scavate nella pietra, ma da quella posizione mi era impossibile scorgere oltre.
Elodie elevò una risata, divertita dalla mia reazione, ma fu bloccata da una leggera gomitata della sorella Cécilie, mentre la terza rimaneva perfettamente immobile come una splendida statua di tempi passati.
    « Cosa sono quei… cosi? » domandai, perplessa, indicando quelle strane luci.
    « Sono solo dei fuochi fatui, è ovvio! Non li avete mai scorti altrove? A volte si possono vedere presso i cimiteri. »
La voce di Elodie sembrava tranquilla, ma mi mise i brividi.
    « Elodie, ma insomma! Non metterle paura » esclamò Cécilie, prima di rivolgersi a me. « Mademoiselle Desirée vi prego non abbiate preoccupazioni. Quei fuochi fatui sono assolutamente innocui e non c’entrano nulla con la morte né vi arrecheranno danni; servono solo come illuminazione per questo luogo tanto oscuro. »
Fissai a lungo lo sguardo caldo e confortevole di Cécilie, cercando di trovare un poco di rassicurazione. Il suo dolce sorriso mi calmò, ma non del tutto. Era difficile essere totalmente tranquilla in un luogo così strano e sconosciuto.
Tuttavia annuii con il capo e feci un profondo respiro.
    « Perché non vi sedete, cara? » chiese ancora la stessa, per poi portare una mano alle labbra come accortasi di aver sbagliato qualcosa. « Oh, perdonatemi, posso chiamarvi così? Sapete sono così abituata a rivolgermi in tal modo alle mie sorelle e a dare del tu, che posso sbagliare, ecco. »
Le sue gote rosate si tinsero di una tonalità più tendente al rosso, e quella visione mi suscitò un lieve – ma ancor teso – sorriso.
    « Non ci sono problemi. » replicai, per poi aggiungere « tuttavia, non vorrei essere troppo scortese, ma la notte sta giungendo ed io dovrei tornare alla Maison, Madame Le Marchand potrebbe preoccuparsi, quindi… » ma non riuscii a concludere, che una voce roca e diversa dalle altre mi bloccò.
    « Angélique, la ricordo bene quella donna burbera ma determinata. Come sta la cara Angélique? »
Avevo udito quel nome un’unica volta: quando ero piccina non riuscivo a comprendere come potesse chiamarsi in quello strano modo la donna che mi aveva accolto. Avevo cercato di reprimere la mia curiosità, ma alla fine scoppiai e le chiesi, con paura ma gentilezza, quale fosse il suo vero nome.
Angélique, mi rispose, ma non voleva farsi chiamare così da nessuno. Solo poche persone al mondo avevano avuto il privilegio di appellarla in siffatta maniera, mia madre, la sua famiglia e… ora quella voce cui ancora non potevo affiancare un volto.
    « Chi, chi siete? Come fate a sapere il suo nome? » domandai, stringendo più forte a me i sacchetti che ancora serbavo tra le mani.
    « La saggia Ophélie sa molte cose; a lei dobbiamo la nascita di questa congrega, a lei la risposta a molti dei nostri dubbi. »
Questa volta fu Claire a esporsi, soffermando lo sguardo chiaro verso la sedia accanto al camino. Mi voltai a guardare meglio e scorsi una mano rugosa ed estremamente pallida stretta sul bracciolo della sedia.
    « Nobile Papavero sai bene che non è solo a me che dovete la nascita di questa congrega; senza la mia piccola Fresia tutto questo non sarebbe nato » rispose l’anziana, ed io rimasi silenziosa, non riuscendo a comprendere perché ora parlasse di fiori. Tutto mi sembrava sempre più strano e avevo sempre più voglia di andare via da quella sorta di incubo che stavo vivendo.         
    « Avete ragione, vi chiedo perdono. »

Sentii il verso gracchiante simile a una risata della vecchia, e poi fu il turno di Elodie.
    « Lei per me è come una cara nonnina. A lei e alla Gran Maestra io devo la mia vita. »
Detto ciò si avvicinò saltellante alla sedia e si adagiò a terra su un cuscino, posando il capo sul bracciolo, laddove v’era la mano rugosa che si posò quindi sul suo capo, accarezzandolo con lentezza.
    « Timida Rosa, vieni avanti, ti prego. C’è molto da dire, ma non è questo il momento. » si bloccò un attimo, ma io rimasi immobile.
    « Desirée fatevi avanti, la nostra Ophélie è la persona più buona che esista » m’invitò Cécilie, rivolgendomi l’ennesimo sorriso confortante.
    « Sempre troppo gentile, dolce Verbena » rise ancora, il medesimo gracchiare, e poi aggiunse « anche se volessi farti male, non ne avrei la forza. Sono troppo vecchia e debole, e non posso vedere, oh, almeno con questi occhi stanchi. »
Indecisa guardai le due streghe alla mia destra, e poi la piccola Elodie e quella mano rugosa alla mia sinistra. Sentii come una sensazione strana nel mio cuore, come se dovessi fidarmi. Guardai i sacchetti tra le mie mani, ma rimasi perfettamente in silenzio. Le altre m’imitarono, come in attesa di un mio gesto, una mia parola. Poi, Cécilie s’intromise di nuovo, avvicinandosi di qualche passo a me.
    « Lasciate pure a me i sacchetti, sono proprio curiosa di vederli, e avvicinatevi con tranquillità a lei; poi vi lasceremo andare e avrete tutto ciò che vi dobbiamo per la vostra arte e sublime creatività. »
Annuii senza parlare e le lasciai la scatola con i sacchetti, quindi prendendo un profondo respiro, mi avvicinai di qualche passo all’anziana. Elodie si spostò un poco, ed io potei guardarla meglio.
Effettivamente quella che apparve ai miei occhi era una signora piccola e piuttosto anziana vestita con una tunica grigia e una mantella sulle spalle incurvate; la sua pelle era piena di rughe, le sue labbra una linea rosata, ma quando mi sorrise notai che era ormai priva di denti. I capelli erano pochi ciuffi bianchi sparsi ai lati del viso scarno, sul quale comparivano due intensi occhi pallidi come neve. Mi sfuggì un lamento, e subito l’anziana li chiuse, spegnendo anche il suo sorriso.
Mi sentii tremendamente in colpa, e subito tentai di riparare l’errore commesso.
    « Mi dispiace, perdonatemi madame, vi prego. Non era mia intenzione prendermi gioco di voi o offendervi, né tantomeno turbarvi. Io… »
L’anziana sollevò la mano, che in precedenza carezzava il capo della piccola strega, e sfiorò la mia. Quella stretta mi destò un brivido, ma anche una sensazione di calore.
    « Non temere tenera e pallida Rosa; è normale la tua reazione e so che non è dettata dalla cattiveria. Il tuo cuore è puro e gentile, a nessuno puoi nuocere. In tanti mi hanno maltrattata, e altri ancora potranno farlo, ma superiore è chi non si abbassa ai pregiudizi e alle critiche della gente, ma da esse trae la forza per migliorare e andare avanti. » Si fermò ed io sentii i miei occhi pungermi per lacrime che non riuscivo a gestire.
    « So che sei molto provata ora e non ti tratterrò oltre, ma un giorno tornerai, perché sei parte di noi, devi solo capirlo. Dimmi unicamente questo, come sta la mia cara amica di un tempo, Angélique? »
Lasciai stare il primo discorso, incapace di dare una risposta e di comprendere fino in fondo le sue parole, ma alla domanda potevo rispondere tranquillamente.
    « Madame sta splendidamente. È sempre determinata e diligente nel suo lavoro, e la sua Maison consta di cinque sarte e una bambina apprendista. »
     « È sempre stata una donna molto forte e testarda; ero certa che queste sue caratteristiche l’avrebbero portata a un tale livello. La sua difficoltà però consisteva nell’esprimere emozioni, ma se vi ha accolto nella sua casa, qualcosa in lei sta mutando. »
    « Lei è come una madre per me e sono certa che abbia emozioni più di altre persone. »
L’anziana rise ancora e annuì.
    « Esatto. Ma ora vai pure, delizia, noi ti attenderemo quando sarai pronta. »
Mi lasciò la mano, ed io la guardai ancora con intensità e con occhi lucidi. Quella donna emanava saggezza, ma anche un calore materno.
    « Oh, ma ve ne andate già? E non li volete i nostri biscottini? » domandò Elodie, arricciando il naso contrariata.
    « Fiordaliso, piccina mia, lasciala andare. Lei tornerà » rispose ancora Ophélie, tornando ad accarezzarle il capo.
La piccola annuì, e sorrise a colei che aveva appellato nonna, ed io feci un piccolo inchino, cercando una via di uscita.
Claire mi guardò con intensità e poi disse:
    « Sorella mia, nelle acque scorgerò ancora il tuo volto, nei miei sogni udirò la tua voce, fino a quando non tornerai qui. »
Mi limitai a guardarla, accennando un lieve sorriso dubbioso.    
    « I sacchetti sono deliziosi! Proprio quello che cercavo. Hai un’abilità mirabile, mia cara. » Avrebbe continuato a lungo a fare complimenti se non avesse intuito la mia voglia di andare via. « Oh, questi sono per voi. A presto, carissima. »
Mi lasciò un sacchetto tintinnante di monete, il prezzo stabilito, e mi sorrise ancora con tenerezza. Io ricambia con un sorriso un po’ tirato e poi fu lei stessa ad accompagnarmi fuori.
Il buio mi avvolse prima di ritrovarmi di nuovo nella radura, proprio dinanzi al Salice. Curiosa cercai di scorgere la grotta lì nei pressi, ma non vidi nulla. Solo piante, alberi, prato.
Il sole stava tramontando all’orizzonte e il cielo stava già prendendo le tinte di un violetto scuro. Era tempo per me di tornare casa, e anche in fretta per non rischiare di essere aggredita da malintenzionati o briganti. Ma, proprio mentre stavo iniziando ad avanzare, avvertii la gelida sensazione di uno sguardo intenso rivolto proprio verso di me. Eppure, non vidi nulla.
Tremando, iniziai a correre, senza voltarmi neanche per una volta.








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Cécilie
Elodie
Claire


Come al solito, le immagini appartengono ai rispettivi autori (Melanie Delon, e Thali-n). Le ho solo prese per far comprendere come immagino i miei personaggi :)

Purtroppo non sono riuscita a trovare un'immagine adatta a Ophélie :(

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Capitolo 9
*** VIII - Il Mercato di Sedan ***


VIII
Il Mercato di Sedan



    Giunsi alla Maison poco prima che le ombre occupassero completamente il posto della luce. Avevo il respiro corto e affannato, il viso arrossato e probabilmente potevo apparire sconvolta. Non avevo pensato di poter destare preoccupazione ma, per mia fortuna, quasi la totalità della popolazione era ormai nelle proprie case. Entrai nel laboratorio e chiusi la porta alle mie spalle, bloccandomi lì per alcuni istanti. Tentai di riprendere fiato, di acquietare il battito incessante del mio cuore, di ricompormi un minimo. Madame non era sciocca e avrebbe sicuramente intuito che qualcosa non andava, ma io non ero neanche una buona attrice e me ne rammaricai. Non volevo farla preoccupare e, anche se non riuscivo a comprenderne il motivo, non volevo neanche tradire quelle donne. Streghe o meno non mi avevano fatto nulla e non era nella natura del mio cuore fare male alle persone.
Portai le mani al collo, a slacciare il laccio che teneva stretto il mantello, ma a causa del tremore lo trovai più complicato del solito. Dopo vari tentativi, tuttavia, riuscii a far scivolare il mantello tra le mie braccia e lo adagiai sopra il mio tavolo da lavoro.
Le immagini di quel luogo e di quelle persone tornarono vivide dinanzi ai miei occhi. Vedevo i loro sorrisi, le loro espressioni, i loro sguardi intensi. Rivedevo quell’anziana piena di rughe, ma dalla voce pacata e calda. Riprovai il brivido causato dal suo tocco sulla mia pelle. Non riuscivo a comprendere le emozioni che mi sconvolgevano l’animo. La paura si alternava alla curiosità, la voglia di non tornarci più all’insano desiderio di capirne di più.
Socchiusi gli occhi per un attimo e provai a rilassarmi. Quando fui pronta, decisi di salire al piano di sopra per andare a riposare ma, mentre passavo davanti alla porta della cucina, la voce di Madame Le Marchand mi bloccò.
    « Desirée, finalmente siete tornata! È stata una commissione lunga, non credete? »
Mi guardò con i suoi piccoli occhi grigi, indagatori, ed io cercai di mantenere ferma la mia voce.
    « Perdonatemi, la mia cliente mi ha trattenuta e tra una chiacchiera e l’altra non ho notato che il sole stava tramontando all’orizzonte. L'importante è essere tornata, giusto? »
Le donai un sorriso per quanto possibile allegro, ma lei non smise di guardarmi con assoluta serietà.
    « Mmh, va bien. Ma non tornate più così tardi, sapete bene che la notte è pericolosa e non voglio perdere una delle mie sarte migliori. »
Sentii nel mio cuore un caldo tepore, nel comprendere meglio le sue parole. Sapevo perfettamente che dietro quel suo finto opportunismo, mi voleva bene.
    « Farò più attenzione, promesso. Ora però chiedo il permesso di congedarmi, sono stanca e vorrei andare a riposare. »
    « Avete già mangiato? »
Odiavo mentire, ma non volevo rimanere oltre in sua presenza. Ero ancora scossa e rischiavo di essere scoperta, quindi dissi:
    « Mademoiselle Bonnet, la mia cliente, mi ha offerto dei deliziosi biscotti e del tè alle rose. Non ho molta fame quindi, ho solo tanta stanchezza. »
Madame Le Marchand mi osservò ancora, come se fosse dubbiosa circa le mie parole, e per un attimo ebbi paura che la mia menzogna fosse poco plausibile e i miei occhi o l’espressione del mio viso mi avessero tradita, ma lei annuì.
    « Bien, andate pure. Domani c’è molto lavoro. Dovreste venire con me al mercato cittadino, arriveranno mercanti delle Fiandre e anche italiani e vorrei vedere quali stoffe possono offrirci. »
    « Va bene, Madame. Vi auguro una lieta notte. »
Lei annuì di nuovo e tornò in cucina, ed io tirai un respiro di sollievo. Mi addentrai quindi nella mia stanza e li potei togliermi quella maschera, e buttarmi nel letto in preda a un nuovo tremore che speravo potesse presto sparire.


*


    Buio.
Mi avvolgeva, mi stringeva, mi soffocava.
Correvo veloce nella foresta, rischiando di cadere a terra a causa di rami o radici che fuoriuscivano dal terreno; rami mi sfioravano il viso, lasciando lievi ferite; la luna non sembrava mostrare il suo volto nel cielo. Anzi, non riuscivo a scorgere proprio il cielo sopra di me, come se la foresta fosse avvolta da una sorta di cupola fatta di rami intrecciati. Non riuscivo a respirare, nè a comprendere da chi stessi scappando.
Sentivo dei passi silenziosi dietro di me, sempre più vicini, un alito che mi sfiorava il collo.
Caddi.
Provai a strisciare a terra, a non lasciarmi completamente andare.
Poi una voce. Calda e fredda allo stesso tempo. Voce di bambina, di donna e d’anziana.
Era strana, impossibile da definire, eppure era chiara e cristallina come le acque di un torrente, sfuggevole come l’aria, forte come la terra e bruciante come le fiamme.

Figlia mia.
Sorella.
Ascolta il tuo cuore, non fuggire, non chiuderlo.
Loro ti attendono.
Il tuo destino ti attende.

Portai le mani alle orecchie, non volevo ascoltare, nè cedere. Gridai disperata, supplicandola di smettere.
Poi fui circondata da tante figure femminili abbigliate con colori diversi. Il verde, si alternava al rosso che sfumava nel viola, il grigio si legava al nero, il bianco al blu. Tutte mi fissarono con i loro occhi di sfumature differenti. Tutte mi chiamavano ‘sorella’. Tutte mi sorridevano, ma una mi fissava con uno sguardo freddo e penetrante.
Non riuscivo a smettere di guardarla, fino a quando il buio sfumò nella…
… luce.

*


    Spalancai gli occhi e scorsi un tiepido raggio di sole che penetrava dall’unica finestra della stanza e si rifletteva nei miei occhi. Era di nuovo giorno.
Ancora una volta non riuscivo a decifrare quel sogno. Immaginai che potesse riflettere l’avventura avuta la sera precedente. I colori di quei vestiti si riflettevano in quelli realmente indossati dalle sorelle streghe che avevo conosciuto, ma a questi se ne univano altri.
Lo sguardo penetrante della figura femminile vestita completamente di nero però mi aveva turbato. Non l’avevo incontrata e poi quella voce strana…
Era tutto così assurdo e cercai di trattenere un urlo di frustrazione. Sospirai e scostai la coperta che mi avvolgeva e scesi a terra. I piedi nudi a contatto con il pavimento di legno mi suscitarono un sorriso.
Dovevo prepararmi ed essere presentabile. Quel giorno era molto importante. Madame mi avrebbe portata con sé al Mercato di Sedan, la città vicina al nostro villaggio, ove avremmo dovuto fare scambi, importanti acquisti, ma anche vendite proficue.
Riflessi la mia immagine allo specchio e notai il mio viso ancora più pallido del solito e anche stanco. Scossi il capo, e andai a sciacquarmi un poco.
Presi un abito di lino verde e bianco, semplice e con pochi fronzoli. Non era occasione di vestirsi troppo elegante, ma neanche di sembrare una povera donna. Madame voleva che fossimo sempre perfette in questi eventi.
Raccolsi i capelli in una treccia e la legai con un nastro bianco. Dopo aver preso una piccola borsetta di stoffa da legare alla vita, scesi al piano inferiore, dove ad attendermi in cucina, sapevo di trovarci proprio Madame.
Mi scrutò con attenzione, come valutandomi da capo a piedi e poi assentì con il capo ed io sorrisi soddisfatta.
    « Mangiate qualcosa, Desirée e poi attendiamo l’arrivo di Julie, Sebastian e Jules, prima di partire. Avete tutto pronto? »
    « Oh, verrà con noi anche la piccola Julie? » chiesi sorpresa, ma poi annuii. « Sì, ieri in mattinata avevo preparato ogni pacco. I vestiti e gli accessori sono tutti pronti. »
Madame annuì di nuovo, facendomi segno di farle compagnia. Lei, come al solito, era abbigliata in nero, colore scelto dagli ugonotti ma prediletto da lei stessa. Conoscendola, anche se non avesse professato quella religione, avrebbe ugualmente indossato un tal – a mio parere triste – colore.
Mi sedetti al suo fianco e presi un poco di pane e della zuppa calda. Ero affamata, non avendo in verità mangiato nulla la sera prima, ma tentai di non apparirlo troppo per non destare sospetti.
In quel momento mi tornò in mente Ophélie, la sua conoscenza del vero nome di Madame e non resistetti all’impulso di domandare:
    « Madame, conoscete o avete mai conosciuto una certa Ophélie? »
La vidi bloccarsi all’istante, mentre il pane intonso nella zuppa, gocciolava sul tavolo.
    « Ho conosciuto molte persone in tutti questi anni, ma… come mai me lo chiedete? »
Mi pentii all’istante di averlo domandato, perché ora dovevo trovare un modo per non dire la verità.
    « Oh, ecco, parlando con Mademoiselle Bonnet è emersa la storia di quest’anziana e … » ma per fortuna lei riprese parola.
    « La vecchia Ophélie. Come dimenticarla. Era una donna molto saggia ma disposta ad aiutare tutti, in particolare aveva grandi abilità di levatrice. Difficilmente i bambini morivano se erano sottoposti alle sue cure. Ma proprio per questo non era ben vista dagli uomini, soprattutto dai preti » si bloccò per un attimo e poi riprese « La conoscevo bene sì, e in verità anche vostra madre, visto che è stata proprio Ophélie ad aiutarla a darvi alla luce. »
Quella rivelazione mi lasciò sgomenta. Spalancai le labbra e questa volta fui io a dimenticare zuppa e pane, lasciando che le gocce cadessero sul tavolo.
    « Oh… » fu l’unica risposta che riuscii a dare, ma subito Madame strinse gli occhi e quasi gridò.
    « Attenta Desirée, così vi macchiate l’abito! E non abbiamo tempo per aspettare il cambio. Forza, finite tutto e raggiungetemi al laboratorio. »
Annuii ancora profondamente scossa e mangiai a fatica l’ultimo pezzo di pane. Quell’anziana conosceva anche mia madre. Conosceva da sempre anche me.
Non avevo tempo di pensarci troppo. Il dovere veniva prima di qualsiasi altro pensiero.
Mi alzai e raggiunsi gli altri al laboratorio e lì vidi Julie rivolgermi un sorriso raggiante.
    « Desy! Vengo anch’io! » trillò euforica, stringendomi in un abbraccio stritolante.
    « Sì, l’ho sentito piccolina mia. »
    « Poche smancerie, qui dobbiamo partire. Rapide o cambierò la mia scelta. » ribatté Madame, e subito rispondemmo al suo ordine perentorio.
    « Vuoi aiutarmi con queste scatole? Le devi portare al carretto e Jules ti aiuterà. »
La bambina annuì desiderosa di fare del suo meglio e prese delle piccole scatole. Io ne presi altre e in breve tempo, grazie all’aiuto dei due uomini che fungevano da accompagnatori, ma anche come sorta di protettori, lasciammo Sivelle alla volta di Sedan, a poche ore di cammino.


*


    Il mercato di Sedan era conosciuto in quella parte della Francia, per la gran presenza di stranieri provenienti dalle regioni vicine, che portavano i loro prodotti o ricchezza nelle terre francesi. Veniva creato poche volte l’anno, ma era molto affollato. La città era più grande rispetto alla nostra Sivelle e aveva una piazza molto più ampia che permetteva di porre un gran numero di banchi per ogni genere di arte. Quando arrivammo con il nostro carretto colmo di abiti e accessori, c’era già una fila sul ponte che conduceva all’ingresso della città. Madame sbuffò odiando le attese e lo stare immobile, ma io non le badai. Guardavo curiosa l’espressione di Julie e rammentai la prima volta in cui fui condotta a un mercato del genere. Avevo poco più di lei, ma la sorpresa e la curiosità erano immense. Julie aveva gli occhi spalancati e non riusciva a mantenere le labbra chiuse. Guardava le persone, la città e non poteva quasi stare ferma. Più volte dovetti richiamarla per impedirle di spingersi troppo oltre. Era facile perdersi e ancora di più venire derubate. Purtroppo c’erano anche dei malfattori intenzionati a rubare bambine, per poi rivederle illecitamente ad altri in cambio di qualche bene materiale.
Quando finalmente riuscimmo a raggiungere la piazza centrale, antistante alla loggia, fummo accolte da un gran vociare e rumori di ogni genere. Ogni commerciante gridava, cercando di attirare clienti verso il loro banco, e c’erano anche conturbanti prostitute che mettevano in mostra il loro tipo di merce. Di tanto in tanto notai gli sguardi di Jules e Sebastian e scossi il capo. Sapevo bene quali fossero le loro intenzioni, ma i soldi che avrebbero ricevuto da Madame a seguito del loro servizio erano più importanti di un divertimento che potevano concedersi in un’altra occasione.
C’erano sarti, fabbri, falegnami, ma anche venditori di ogni genere di cibo; poco distante da lì v’erano altri tipi di attrazioni che non riuscivo proprio a concepire né amare, come combattimenti tra animali o simili.
Madame urlò, cercando di farsi udire da noi e ci fece segno di posizionarsi in un angolo della piazza dove potevamo sistemarci al meglio.
« Jules, Sebastian lasciate il carretto lì e iniziate a mettere il tavolo. Sì, con cura e bene in vista. Desirée, Julie, dopo posizionate i vostri prodotti sul tavolo in modo tale da attirare l’attenzione di ogni genere di dama o messere. »
Annuimmo tutti e adempiemmo quanto ci fu ordinato.
Madame intanto iniziò a girare per i vari banchi, andando alla ricerca di eventuali stranieri fiamminghi o italiani di cui apprezzava particolarmente le stoffe.
Era un’ottima mercantessa ed io ammiravo la sua particolare abilità nel convincere tutti i suoi interlocutori e la sua determinazione nel realizzare i suoi scopi.
Con la mia ingenuità sarebbe stato difficile fare altrettanto.
Posizionai con cura l’ultimo abito bianco e mi guardai intorno. C’era sempre un gran baccano, ma il mondo sembrava colorarsi e, seppur amassi maggiormente la tranquillità, poteva essere anche divertente quella parte di lavoro e soprattutto doveva essere proficua.
Iniziammo ad attirare persone e con sorpresa osservai la capacità di Julie di convincere le persone a fermarsi al nostro banco. Quando si voltò verso di me, le rivolsi un sorriso luminoso. Ero sempre più convinta che sarebbe stata una sarta eccellente e, chissà, forse un giorno avrebbe preso anche il posto di Madame alla guida della Maison. Io non ne avevo le vere capacità.
Madame dopo diversi minuti tornò da noi e osservò attenta il nostro operato. La vidi annuire col capo all’indirizzo di Julie e poi si rivolse a me:
    « Ho trovato dei mercanti di stoffe italiani, venite con me ed aiutatemi a decidere quali acquistare per futuri abiti. »
    « Va bien. Jules, Sebastian badate alla piccola. »
Seguii Madame verso il banco ove due uomini dalle vesti blu eleganti mostravano stoffe dai colori intensi e accesi. I miei occhi s’illuminarono alla vista di quei colori e di quei tessuti così morbidi e pregiati.
    « Incantevole Mademoiselle, volete saggiare la natura della nostra arte? Tastate pure queste stoffe di ogni genere. Lana, seta, lino, cotone, velluto… e ancora, ditemi come vi posso essere utile. »
Io sfiorai una stoffa di un blu intenso e rimasi abbagliata dalla sua morbidezza e lucentezza. Gli italiani erano davvero sublimi con la loro arte, ed io l’ammiravo come se fosse sempre la prima volta.
    « Vorremmo diverse stoffe per realizzare abiti estivi, quindi della seta e del cotone potrebbero esserci utili… e magari della lana per l’inverno. In cambio noi potremmo mostrarvi degli abiti completi, se voleste fare la cortesia di passare anche al nostro banco » rispose Madame. « Voi che ne dite, Desirée »
    « Oh, il vostro nome è sublime quanto la vostra bellezza. Potremmo parlare delle nostre rispettive abilità, appena possibile… » ammiccò l’uomo più giovane, dai corti capelli castani, occhi verdi e due baffi stretti e rivolti all’insù.
Io arrossii violentemente, ma ancora una volta fu Madame a salvarmi.
    « Non credo che potrete farlo, Messere. Non vorrei essere maleducata, ma state parlando con una donna impegnata ufficialmente con un soldato, e non vorrei trovarmi nella vostra situazione se lui verrà a sapere che fate la corte alla sua futura sposa. »
Le gote del mercante si accesero e subito perse la sua aria baldanzosa.
    « Perdonatemi, Mademoiselle. Non potevo saperlo e non era mia intenzione essere scortese. »
Tolse il cappello dal capo, chinandosi rispettoso ed io sorrisi e scossi il capo.
    « Non abbiate paura, non mi avete mancato di rispetto. Non mi conoscete e non potevate sapere della mia situazione, quindi niente scuse. Come vi ha detto Madame Le Marchand qui siamo solo per parlare di affari, quindi direi che per l’inverno potremmo prendere anche del velluto. Verde, o blu, credo che possano essere interessanti come colori, non trovate? »
Continuammo a discorrere a lungo, cercando di fare gli acquisti più adeguati senza ricorrere a un eccessivo dispendio di risorse monetarie; ma non era facile vincerla sugli italiani, ed io lo sapevo bene, giacché a pochi mesi di distanza ne avrei sposato uno. Eppure li trovai galanti e colmi di abilità artistiche da ammirare.
    « Vorrei anche questa stoffa rossa, se possibile. » udii dire Madame, che aveva preso di mira una superba seta di un rosso molto intenso, ma splendido.
    « Ottima scelta, Madame! » esclamò l’italiano più anziano, un uomo barbuto e dalla pancia grassoccia, ma dal sorriso gioviale. Sollevò più volte le folte sopracciglia all’indirizzo di Madame e disse « e voi, bella Madonna siete occupata? Che ne dite di passeggiare insieme e magari offrirvi un bel bicchiere di vino? »
Le sue rosse gote tradivano, probabilmente, il suo immenso amore per tale bevanda. A quella richiesta spalancai gli occhi, volgendoli poi verso Madame, curiosa di vedere la sua reazione. Lei, tuttavia, rimase impassibile. Si limitò a socchiudere gli occhietti piccoli e tondi e scrutarlo minacciosa.
    « Io non ho tempo per queste cose, desolata! Sono qui solo per acquisti… a-c-q-u-i-s-t-i comprendete? » scandì bene la parola, ed io non riuscii a trattenere un sorriso divertito.
    « Mais bien! » esclamò l’italiano, con un accento particolare e divertente. « Però è un bel peccato non concedervi in altri diletti, graziosa Madonna. » disse ancora, impertinente, con quella strana parola finale che non comprendevo bene, ma potevo solo immaginare.
Madame scosse il capo, ma non ribatté. Non amava ripetere due volte le medesime cose e quell’uomo sembrava come provarci gusto nel continuare quella sorta di battibecco, quindi il silenzio e il parlare di affari fu la scelta migliore.
Alla fine dei nostri acquisti, tornammo al nostro banco e notai l’eccitazione ancor più grande di Julie.
    « Desirée, Madame abbiamo fatto tante vendite! Guardate, i vostri abiti sono stati quasi tutti acquistati! »
    « Tutto questo è anche merito tuo, piccina mia. » le dissi, e le concessi una carezza sul capo.
    « Ottimo lavoro, bambina. » disse Madame, facendo affiorare un tenue rossore sulle gote dell’apprendista, poi aggiunse, « direi che per ora abbiamo fatto un ottimo lavoro, attendiamo l’arrivo degli italiani e poi potremmo andare a mangiare qualcosa alla locanda “Cappa e Merletto” prima di tornare indietro. »
La cosa fu vista con gioia da tutti. Ci impegnammo ancora per qualche ora, riuscendo a vendere quasi tutti i nostri manufatti – in verità erano anche opera delle altre sarte della Maison – e poi, dopo aver mangiato qualcosa alla locanda, facemmo ritorno alla nostra Sivelle, stanchi ma decisamente soddisfatti.
Sorrisi nel vedere Julie addormentarsi sul carretto. La piccina meritava un po’ di riposo dopo essersi comportata così egregiamente e, grazie a quella giornata, ero riuscita a non pensare troppo alle streghe.









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Eccomi, finalmente! In realtà questo capitolo è piuttosto tranquillo, è un poco una pausa a ciò che succederà in seguito :)
Era anche un modo per mostrare meglio alcuni personaggi e anche il lavoro della mia protagonista. Sedan ovviamente esiste davvero, ma l'esistenza di questo mercato è stata una mia invenzione. In fondo, credo che esisteva all'epoca.

Vi lascio l'immagine della piccola Julie, e vi ringrazio per aver letto!
Julie

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Capitolo 10
*** IX - Sorrisi di Dama e Spade di Soldati ***


IX
Sorrisi di dama, spade di soldati.



Il giorno seguente Madame ci diede, con sorpresa, una giornata di libertà.
Grazie al nostro lavoro, alla creatività e sudore quotidiano, eravamo riuscite a vendere quasi tutto e ottenere un bel gruzzoletto da mettere da parte. Madame era molto attaccata ai soldi e, quando un affare andava così bene, si poteva scorgere un sorriso nelle sue labbra, ma seppur fosse leggero e sottile, era risaltato dal luccichio dei suoi occhi, specchio di ogni genere di emozione.
Decisi di prendere un libro e recarmi presso il solito spiazzo d’erba, per leggere con assoluta tranquillità e perdermi in quei mondi dove dame eleganti e graziose venivano corteggiate da baldi cavalieri senza macchia e senza paura. Adoravo le storie d’amore, soprattutto quelle in cui la gentilezza e il romanticismo dominavano, ma non disdegnavo qualche tratto di drammaticità nella trama. A volte mi lasciavo così prendere, da esprimere chiaramente le mie emozioni, in lacrime e sorrisi, ma anche rabbia o felicità. Era splendida l’abilità di quegli scrittori. Non appena però ebbi raggiunto la piazza cittadina, sentii una carrozza fermarsi proprio a poca distanza. Curiosa sollevai lo sguardo, notando far capolino dalla finestrella il viso di Louise-Marie, circondato da un grazioso cappellino di seta dorata con graziose perline applicate lungo i bordi.
Riconoscendola le rivolsi un dolce sorriso, ma lei fu la prima a parlare:
    « Ma chére! Cercavo proprio te, che gran fortuna! Avevo intenzione di raggiungerti alla Maison per parlare di affari molto importanti per il tuo cuore, ma giacché ti trovo fuori, che ne diresti di venire a Palazzo? Così potremmo discorrere con maggiore tranquillità e comodità. Non fraintendermi, non ho nulla contro il laboratorio in cui lavori, ma devi ammettere che a Palazzo si sta molto meglio. Poi ti devo riferire anche di voci che ho appreso su delle piccole ma curiose novità accadute alla Corte di Parigi. Oh ma suvvia, sto parlando troppo e non posso occupare a lungo la strada. Vieni, vieni dentro. »
M’invitò con un gesto della mancina a salire, ma poi aggiunse, « Gustav, aiutate immediatamente Mademoiselle Chervalie a salire sulla carrozza. »
Gustav, un uomo molto magro e pallido, era il cocchiere. Aveva lunghi capelli neri raccolti in un nastro del medesimo colore e un viso affilato con un naso aquilino e occhi piccoli e un poco ravvicinati. Indossava un abito discreto, in nero con particolari rifiniture bianche, con copricapo abbinato.
All’ordine della dama, scese a terra e mi tese la mano ove posai la mia. Mi aiutò, dunque, a salire e mi ritrovai ben preso seduta proprio di fronte alla mia cara amica. Sapevo, infatti, che non potevo sfuggirle e, in fondo anche se avrei voluto un po’ di tranquillità e solitudine, non era carino declinare il suo caldo invito.
    « Ti ringrazio per l’invito, mon amie. »
Lei scosse il capo, come se non ci fosse bisogno di ringraziamenti, e poi indugiò con lo sguardo sul mio libro.
    « Oh, vedo che quel libro ti prende particolarmente, n’est pas? » chiese, sfiorando appena con la mano guantata la copertina. « Non ti ho disturbato vero? Volevi forse leggere? »
Fu il mio turno di scuotere il capo, rassicurandola:
    « Stai tranquilla, avevo del tempo libero e pensavo di andare allo spiazzo a leggere un poco questa graziosa e avvincente storia d’amore, ma non ci sono problemi ad accettare la tua proposta. Anzi, sono proprio felice di passare del tempo con la mia più cara amica e di sapere anche cosa ha in mente per le mie faccende di cuore. »
Una punta di rossore tinse le mie gote.
    « Splendido allora! Direi che possiamo andare dritte a Palazzo, ristorarci con deliziosi dolcetti e del tè e discorrere con tranquillità, poi… potremmo passeggiare nei giardini, è una giornata così incantevole per rimanere troppo al chiuso, e magari dopo potremmo fare una visitina al tuo amato… »
Notai i suoi occhi illuminarsi di colpo e compresi il suo vero scopo.
    « O forse vorresti incontrare il Capitano… » sorrisi maliziosa, e vidi le sue gote accendersi. Scosse il capo più volte, e poi rispose:
    « Chissà… »



*



    La Sala Turchese, così chiamata a proposito della pietra di quel colore, era ampia e accogliente e luogo ove le dame di corte potevano riunirsi per conversare, prendere tè o altre bevande e gustare deliziosi bon bon, ma anche per dilettarsi nei giochi più diversi o intonare canti e suonare strumenti. Lì a volte la Contessa veniva per essere catturata dalle abilità delle sue dame di compagnia e trovare un modo per sanare il tedio. C’erano giorni in cui anche il suo consorte poteva presentarsi con i suoi favoriti, ed era occasione in cui si creavano anche feste.
Quella vita io la potevo unicamente immaginare dai tanti racconti di Louise-Marie, ma spesso ci fantasticavo, arrivando infine a comprendere che quel mondo mi poteva sì piacere, ma non riuscivo a esserne parte. Non potevo, infatti, vedere ormai la mia vita senza il mio lavoro; anche se mi sarebbe piaciuto apprendere l’arte del canto, l’abilità particolare della mia amica e delle sue compagne nel suonare strumenti e altre peculiarità tipiche dei cortigiani.
    Ogni stanza del Palazzo in verità aveva un nome associato a una pietra o colore in particolare. La sala Rubino apparteneva al Conte, la sala Giada alla Contessa, la sala Diamante – decorata con diversi specchi appesi al muro – era il luogo ove si effettuavano le danze, quella Acquamarina dove si desinava e poi v’erano altre stanza da notte, e quelle della servitù al pian sotterraneo che non avevano, ovviamente, nomi ben precisi.
Noi, ci trovavamo dunque in quella Turchese, decorata con stoffe preziose sulle pareti, con particolari di foglie e fiori, e alcuni semplici quadri. V’erano poltrone che circondavano un grazioso tavolino di noce e non mancavano libri, strumenti musicali, tavoli da gioco e quant’altro dovesse essere utile alle dame.
In quel frangente la stanza era deserta, v’era solo una domestica pronta a servire gli ordini della mia amica.
    « Siediti pure, ma chére. »
M’indicò con la mano una delle poltrone, sulla quale mi adagiai dopo essermi tolta il semplice copricapo azzurrino in tinta col vestito. Poi si rivolse alla domestica:
    « Claudette, portateci una bottiglia di vino rosso e dei deliziosi bon bon. Noi vi aspettiamo qui. »
La giovane annuì e, dopo aver effettuato un rapido e goffo inchino, sparì dalla sala diretta alle cucine.
Louise-Marie andò a sedersi proprio al mio fianco e si tolse il cappellino dorato, adagiandolo sulla poltrona.
    « Allora, dimmi come stai amica mia? » mi chiese, cordiale.
    « Splendidamente. Ieri sono stata con Madame e la piccola apprendista al mercato di Sedan e i nostri affari sono andati benissimo; per questo mi hai trovata in strada. Madame ci ha concesso una giornata di libertà e ozio completo » risposi, mettendo da parte gli elementi negativi e le mie preoccupazioni. Volevo bene alla mia amica, ma non me la sentivo di raccontare a nessuno ciò che mi era successo. « E tu? »
    « Davvero? » esclamò, spalancando i grandi occhi di un verde splendente. « Ma non potevano esserci dubbi. L’abilità delle sarte della Maison di Madame Le Marchand è conosciuta anche al di fuori di Sivelle, in particolare la tua meravigliosa creatività. Avete venduto tutti i vostri manufatti? E com’era il mercato? » domandò, più per fare conversazione che per vero interesse, ma poi riprese fiato e continuò, rispondendo alla mia domanda. « Qui a corte solita vita. Allieto la Contessa e il suo consorte e sto già pensando a cosa realizzare per la festa d’inizio estate. Sai bene quanto loro ci tengano, e quest’anno spetta a me creare qualcosa di davvero speciale. Ho molte idee, ma devo comprendere quale sia la migliore, oh e poi c’è anche il tuo matrimonio da organizzare! »
Spesso non riuscivo a stare completamente dietro alla mole di domande e informazioni che riusciva a dispensare nel giro di qualche minuto, a volte addirittura secondo, ma cercai di trovare le parole per non dimenticare nulla.
    « Li abbiamo venduti quasi tutti, solo degli accessori sono rimasti. Il mercato era affollato, rumoroso e non credo adatto a una dama del tuo rango, ma colmo di cose interessanti. V’erano mercanti italiani con stoffe davvero incantevoli, estremamente morbide al tatto e dai colori sgargianti e vivaci. Dovrò mostrartele appena possibile. »
    « Oh sì, così ti chiederò un altro incantevole vestito!  » trillò ben felice della notizia, lasciandomi poi continuare.
    « Sarò lieta di crearlo » risposi e, dopo una piccola pausa, aggiunsi: « Sono davvero curiosa di vedere cosa sarai in grado di creare per la festa d’inizio estate. Ho avuto modo di conoscere e apprezzare le tue doti organizzative e la tua fantasia, quindi sono certa che riuscirai a creare un’atmosfera avvolgente e una festa che rimarrà nei cuori di molti, a lungo. »
    « Be’, mi basta che rimanga nel cuore del Conte e della sua Consorte, sai non vorrei minare la mia reputazione, bensì mantenere il ruolo di prima Dama, insomma. » M’interruppe di nuovo, incapace in verità di stare troppo a lungo in silenzio, se non quando a parlare erano proprio i Conti.
    « Ma non vorrei farti perdere tempo prezioso anche nell’organizzazione del mio matrimonio. Come ben sai si svolgerà proprio in quel periodo, e se non puoi, non devi preoccuparti. Avevo intenzione di fare una cerimonia semplice e anche a Flaviano l’idea non dispiace. »
L’espressione della mia amica, tuttavia, s’incupì e proprio in quel momento tornò la povera domestica con il vassoio, con due calici colmi di vino rosso, simile al sangue, e dei deliziosi bon bon di diversi colori.
    « Posateli pure lì, Claudette, e fate attenzione a dove mettete i piedi. Non voglio vedere neanche una goccia cadere sul tavolino. Poi potete andare. »
Il tono di Louise-Marie era brusco e minaccioso e la povera domestica quasi barcollò rischiando di commettere proprio il danno che la dama le aveva minacciato di non fare.
Tuttavia, si riprese e per sua fortuna adagiò con cura e senza problemi il vassoio sul tavolo e uscì velocemente dalla stanza, dopo un velocissimo inchino.
Louise-Marie prese subito uno dei calici e l’avvicinò alle labbra, e rimanemmo in silenzio per qualche lungo istante. Provai a schiudere le labbra, ma proprio in quel momento fu lei a parlare.
    « Io proprio non capisco il tuo insano bisogno di avere la semplicità ovunque. Hai una creatività incredibile e gli abiti che indossi sono così inadatti alla tua persona; e il matrimonio avviene un’unica volta nella vita – oh, certo, purché non si abbia la sfortuna di perdere il consorte, a quel punto è ovvio che si può organizzare un altro matrimonio quando il dolore sarà passato e un nuovo amore sarà nato – e tu non vuoi permettermi di organizzarlo. Deve essere speciale, rimanere nella memoria collettiva per il resto dei nostri giorni, e non qualcosa di banale. »
    « Non intendevo dire che non voglio il tuo aiuto, ma hai già molto da fare e non voglio impedirti di pensare con cura alla festa per il Conte. »
Il suo discorso in verità m’innervosiva, ma tentai ugualmente di mantenere la calma. Non era insito nella mia natura litigare, soprattutto con lei, ma a volte dovevo riconoscere che era difficile da gestire.
    « Organizzare feste e matrimoni è il mio lavoro. A te non viene impedito di tralasciare un abito, li devi creare tutti per soddisfare le esigenze della tua clientela e quelle di Madame. Sono capace e pronta a gestire due cose » borbottò, bevendo un sorso di vino. Rimasi in silenzio per un attimo, contando mentalmente per non sbottare e presi anch’io il vino, bevendone un piccolo sorso.
    « Se è tuo volere, non te lo impedirò. Ciò nonostante è il mio matrimonio e vorrei almeno indicare cosa preferisco fare. So benissimo che vuoi realizzarlo qui, proprio come il fidanzamento ufficiale, ma vorrei che a celebrarlo fosse Padre Paul nella chiesa sulla piazza, in modo tale che anche le persone di basso rango che mi conoscono e lavorano con me possano parteciparvi. »
Louise-Marie increspò le labbra, non totalmente soddisfatta da quella indicazione, ma non rispose, bevendo ancora un po’ di vino.    
    « Poi potremmo venire qua per il pranzo e le danze, ma prima del tramonto vorrei concludere per trasferirmi di nuovo in piazza. Lou, cerca di capirmi. Io non sono una dama di corte, appartengo a un rango più basso del tuo. Sto bene, è vero, ma voglio stare anche tra le persone che vedo ogni giorno. Accetto il tuo aiuto, ma solo se sarai disposta a seguire queste semplici disposizioni, altrimenti, perdonami, ma dovrò rifiutare. »
Per una volta la guardai determinata, tanto che lei non riuscì a obiettare troppo. Ero sempre incerta, ma su certe cose non volevo transigere.
    « Va bien, accetto i tuoi desideri, ma non li condivido, anzi li trovo incomprensibili. » replicò, con poche parole, poi aggiunse « ora mangia pure uno di quei deliziosi bon bon; la cuoca è mirabile nel realizzare questi dolciumi, e guarda non credi che siano divertenti così colorati? »
Era incredibile come mutasse il suo umore da un momento all’altro. La tensione sembrò un poco scemare, e tornammo a discorrere di argomenti più frivoli e mangiare quei sublimi dolciumi che non potevo permettermi altrove.



*



    « Forchetta! La chiamano proprio così.  È giunta voce che sia stata portata da cuochi italiani. È uno strano, piccolo, arnese con due punte acuminate che sono utili per prendere il cibo. Capisci? Notevoli questi italiani, non trovi? »
Louise-Marie mi stava parlando delle novità alla corte di Parigi, voci che erano giunte anche in quel lato della Francia. Io rimasi sbalordita da una tale invenzione ma anche affascinata. Amavo l’abilità degli italiani, che oltre a realizzare stoffe sublimi, erano capaci di creare arnesi molto utili come quella “forchetta”.
    « Vuoi dire che non mangiano con le mani o con il cucchiaio in Italia? » chiesi, un poco stupita.
    « Oh beh, questo non lo so. Credo che fino a questa strana ma utile invenzione, mangiassero esattamente come noi, ma dovresti chiedere conferma al tuo dolce amato italiano » disse, con un tono smielato, sbattendo le ciglia più volte, con fare ammiccante e giocoso.
    « Smettila, Lou! Poi ormai il mio amato italiano è come diventato francese. Non credo che conosca tanto di più delle novità create nella sua terra, giacché ormai sono anni che dimora nel nostro suolo » risposi.
    « Tuttavia sono davvero curiosa di vederla con i miei occhi questa strana forchetta; vorrei provare a usarla, chissà… »
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, mentre a braccetto procedevamo lungo i giardini del Palazzo, in direzione del Forte.
Man a mano che ci avvicinavamo, avvertii il tintinnare del ferro contro il ferro, un colpo di spada parato da un altro. Socchiusi leggermente gli occhi, come a voler meglio visualizzare nella distanza, e intravidi le figure dei soldati, vestiti in modo comodo, con semplici camiciole e pantaloni, intenti in uno dei tanti addestramenti.
    « Lou, ma sei proprio sicura che possiamo avvicinarci a loro? Non disturbiamo forse? » chiesi, un poco dubbiosa.
    « Sciocchezze, chérie! Una Dama può andare dove più desidera, e poi non andremo a disturbare, semplicemente a osservare gli uomini nel loro addestramento. Io non riesco a vedere proprio nulla di male in questo » replicò con supponenza.
    « Mi fido di te » mormorai, non del tutto convinta.
Raggiungemmo lo spiazzo di terra ove si trovava quel gruppo di soldati, tra i quali potei subito notare il mio amato.
Flaviano aveva lo sguardo serio e concentrato nella lotta. Non v’era sorriso sul suo volto, un poco tirato e rigido per lo sforzo, e perle di sudore gli scivolavano dai capelli, percorrendo la strada un poco ruvida e leggermente barbuta del suo viso. La sua camiciola era in parte aperta e notai gocce di sudore anche sul suo petto. Rimasi a guardarlo, come incantata, e quasi dimenticai la presenza della mia amica al mio fianco.
Dopo qualche istante la sentii sospirare e rinvenni. Mi voltai verso di lei, scrutandola curiosa e, seguendo la direzione del suo sguardo, non faticai a comprendere il motivo del suo sospiro e di quegli occhi puntati sulla preda. Il Capitano Svensson era immobile come una statua a poca distanza dai suoi soldati. Era alto e fiero, e scrutava con assoluta attenzione ogni uomo ai suoi ordini, pronto a dare consigli o rimproveri non appena vedeva qualcosa che non andava. Anche in quel momento notai quanto fosse un uomo di poche parole, ma ogni volta che parlava, riusciva a suscitare brividi, soprattutto quando imponeva ordini. Tornai a guardare la mia amica e mi sfuggì un sorriso nel pensare che sarebbe stata dura per entrambi, così abituati a comandare su tutti. Sarebbero stati in grado di non darsi ordini a vicenda?
Per un attimo la immaginai a impartire qualcosa al capitano, ma non riuscivo a vederlo pronto al suo servizio, docile come un agnellino agli ordini di una tigre, e scoppiai a ridere.
Subito Louise-Marie si voltò stralunata verso di me, bisbigliando:
    « Ora cosa c’è tanto da ridere? Suvvia, smettila Desirée, altrimenti possiamo disturbarli davvero. »
    « Scusami, Lou, ma è difficile smettere di ridere nell’immaginarti a dare ordini al capitano. Non ce lo vedrei proprio a fare il tuo servetto. »
    « Servetto? Ma cosa dici, io voglio amarlo, non usarlo come un paggio. Già ne ho abbastanza al mio servizio. Poi, con quell’uomo lì, così alto, così muscoloso e con quel fascino nordico così particolare, io ci farei altro » sfoggiò un sorriso malizioso.
    « Potresti dargli ordini anche in quel caso… » mi sfuggì, ma subito le mie gote si imporporarono furiosamente.
    « Desy! Non ti facevo così… così… insomma hai capito come! Sembravi così ingenua e dolce, incapace di parlare di certe cose e invece la mia amica sta crescendo. Ammettilo che ci pensi spesso, eh? »
    « Pensare a cosa? Lou, ma cosa stai dicendo, io volevo solo scherzare… »
Questa volta smisi davvero di sorridere, ma un calore crescente mi scaldò il viso, ormai color del pomodoro più maturo.
Non c’eravamo accorte però, che i nostri bisbigli – che in verità non erano così bassi – avevano fatto perdere la concentrazione di alcuni uomini, fino a quando non sentimmo tutti gli occhi puntati su di noi, compresi quelli di ghiaccio del Capitano Svensson.
Ci voltammo, ma subito mi ritrovai ad abbassare lo sguardo, vergognandomi per la situazione. Sentivo addosso anche lo sguardo del mio futuro marito, che doveva trattenere un sorriso. Non era il momento di giocare, lì stavano lavorando e avevano bisogno di tutta la concentrazione possibile, cosa che avevamo guastato.
Tuttavia, Louise-Marie riuscì a mantenere lo sguardo ben dritto, puntando quello del Capitano cui rivolse un amabile sorriso e un perfetto, quanto grazioso, inchino.
    « Capitano Svensson, spero che vorrete scusare la nostra impertinenza. Non volevamo disturbare né voi né i vostri uomini. Eravamo così curiose di vedere il vostro lavoro, con quanta concentrazione e costanza i soldati cerchino di migliorare per raggiungere la perfezione in battaglia e difendere il loro regno. »
    « Difendo chi è disposto a pagarmi, in questo caso il Conte. Questo non è un luogo adatto alle dame del vostro rango, né alle sarte che possono vedere il loro futuro marito in altra sede. Vi chiedo, pertanto, di allontanarvi o, se volete rimanere qui, di fare silenzio. »
Io avvertii un senso d’irritazione oltre all’imbarazzo precedente. Non era stata una mia idea andare lì, sapevo di poter vedere Flaviano quando volevo e in altra sede. Strinsi i pugni, cercando di trattenermi dal desiderio insano di ribattere inferocita, ma alzai lo sguardo diretto al mio amato. Lui mi guardò con serietà e quasi rimprovero ed io cercai di scuotere la testa, di comunicare con gli occhi, per fargli capire il mio dispiacere per la situazione. Lui accennò un rapido sorriso, come a volermi tranquillizzare, e poi tornò come prima, dando attenzione al capitano.
Louise-Marie intanto era rimasta senza parole, ma continuava a fissare con ostinazione il Capitano, come se non volesse farsi oltraggiare oltre. Ma, in fondo, lui aveva ragione.
    « Credo che ora possiamo andare, in fondo abbiamo già visto abbastanza » ribatté candidamente, come se le sue parole non l’avessero disturbata per nulla, a differenza mia, e poi replicò, « In fin dei conti, a noi dame bastano pochi minuti per ammirare gli addestramenti, poi sovviene la noia e il desio di cercare altre attività più dilettevoli per la nostra natura. Non è vero, Desy? »
Le lanciai un’occhiataccia nel volermi ancora coinvolgere, ma non risposi per nulla. Ero ancora irritata per dare una risposta corretta e priva d’impertinenza.
Lei non si turbò e continuò, visto anche il silenzio dall’altra parte – il capitano era tornato a essere una statua muta, dalla quale uscivano ogni tanto dei suoni difficili da comprendere, ma che forse volevano dire qualcosa -:
    « Au revoir, Capitano, lieta di avervi rivisto. Au revoir anche a voi Monsieur Marli, e a voi altri.  Buona continuazione! » detto ciò, girò i tacchi ed io con lei, senza lasciare un solo saluto se non un cenno del capo e uno sguardo ancora mortificato al mio amato, mentre mi trattenni nel lanciarne uno di fuoco a Mickel.
Tornammo tranquillamente verso il palazzo, con i nostri ombrellini bianchi per ripararci dal sole pomeridiano.
    « Non lo trovi un uomo affascinante? Oh, non riesco a resistere. Deve essere mio a ogni costo. Sento già d’amarlo! » esclamò, sotto il mio sguardo perplesso, che dovette notare, perché aggiunse, « dici che è troppo presto per dirlo? Ma dovresti saperlo che l’amore viene dal nulla ed io non mi sono mai sentita così verso un uomo. Ho avuto tanti corteggiamenti da svariati cortigiani e anche soldati, ma è lui che voglio, ne sono sicura. Il mio bel capitano! » sospirò incantata, ma io scossi il capo e alla fine sbottai.
    « Ora sono io a non capire te, sinceramente. Come fai ad amare un uomo simile? Capace solo di offendere ogni volta che apre bocca. A volte penso che sia molto meglio quando rimane in silenzio! Cosa che fa spesso, in verità. Sarà anche un bell’uomo, ma ha un carattere duro come la pietra. Non dovrebbe offendere delle donne, né tanto meno ritenersi chissà chi, pur avendo un ruolo importante a corte. »
Louise-Marie mi guardò a bocca aperta, forse incredula di fronte a quella mia reazione. Effettivamente era difficile vedermi arrabbiata, ma quell’atteggiamento mi aveva esasperata.
    « Oh, ma chére, io non vedo proprio nessuna offesa. In fondo aveva ragione, se tu non ti fossi messa a ridere in quel modo, forse saremmo potute restare ancor di più. »
La fissai sbalordita, ora era anche colpa mia?
    « Io non ti capisco » mormorai, ancor più irritata, ma lei riprese a decantare le virtù del capitano Mickel Svensson, qualità che in verità io non riuscivo proprio a scorgere in lui.
E così, in quella situazione d’irritazione per me e fantasie per lei, tornammo a Palazzo dove restai ancora per qualche ora, prima di tornare alla Maison.

















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Grazie a chi legge e lascia un segno :) Se vi va lasciate un pensiero!

Note:
La forchetta fu diffusa in Francia da Caterina de Medici, regnante nel periodo che ho preso per questa storia.

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Capitolo 11
*** X - D'una lite e un aiuto ***


X
D'una lite e un aiuto

    Percorrevo un sentiero delimitato da filari di pini ai lati che s’innalzavano verso il cielo. Alla mia destra vidi un campo di girasoli che volgevano i loro ‘sguardi’ al loro amato sole, splendente in un cielo limpido e privo di nuvole. Alla mia sinistra v’era un immenso prato verde, al centro del quale era posta un’antica abbazia priva del tetto, ma incantevole.
Non sapevo dove mi trovassi, non avevo mai visto quel luogo prima, ma rimasi folgorata da quella visione. Come spinta da una forza invisibile, mi avvicinai a quella costruzione religiosa, completamente in pietra, e mi persi nella sua sobrietà, ma anche nelle arcate che si dipanavano ai lati della navata centrale fino a quando, sollevando lo sguardo, un raggio di sole proveniente dal rosone in alto privo di decorazioni, mi accarezzò con il suo calore. Socchiusi gli occhi, beandomi di quella piacevole sensazione, e mi accorsi di stare infinitamente bene, come se quel luogo fosse parte di me, della mia vita, anche se non riuscivo a riconoscerlo, anzi, forse non lo avevo mai visto almeno in quell’esistenza.
Poi un leggero soffio di vento volteggiò tra i miei capelli, insinuandosi nei miei vestiti con impertinenza. Quando riaprii gli occhi, notai che s’era fatto di colpo buio e a quella vista l’abbazia sembrò più spettrale. Solo la luna riusciva a illuminarla un poco con il suo pallore.
Mi voltai, allarmata, mentre il mio cuore prese a battere furiosamente in petto. Volevo andare via da lì, ma quella medesima forza invisibile che ivi mi aveva condotto, ora m’impediva di muovermi.
Intorno a me, in breve tempo, si materializzarono diverse figure avviluppate in mantelli scuri come le tenebre, ma al di sotto le loro vesti erano di diversi colori. Ancora loro.
    « Ancora voi? Cosa volete da me? »
    « Nulla, non siamo noi a volerti qui, sei tu che ci cerchi, il tuo cuore ti conduce a noi e tramite i tuoi sogni puoi vederci » rispose, pacata e dolce, una delle figure.
    « Ma non è possibile questo. Io non sto cercando proprio nessuno, io non voglio neanche essere qui ».
    « Forse non puoi, perché hai paura, perché non vuoi fermarti ad analizzare quello che grida a gran voce il tuo cuore. Sorella, non chiuderlo, ma ascolta le sue parole. Non riesci a ricordare questo luogo? Un tempo tutto era nato qui, un tempo eri parte di noi. Ma puoi ancora esserlo e in realtà vuoi » un’altra voce, più roca ma dal sapore antico.
    « Io non lo ricordo questo luogo. È incantevole, ma non sono mai stata qui. Non capisco di cosa parlate. Voi mi confondete, mi fate male. Io… »
    « Eppure questo luogo era importante per te. L’amavi come si può amare un altro essere umano, un amico, un amante, un fratello, il più fedele degli animali. Era parte di te » rispose una terza voce, più soave, simile al canto d’un usignolo.
    « No, basta! Devo andare via di qui, lasciatemi… »
    « Nessuno te lo impedisce, sei tu che rimani ferma. Basta, sorelle, sta a lei capire ora. Va’ ».
L’ultima voce era più forte, autoritaria e in parte gelida come la pietra che componeva quell’edificio. Quando la guardai, notai due occhi grandi e d’un blu molto scuro che mi fissavano con intensità disarmante.
Urlai.



*


    Emisi un lamento, quando invece di infilzare l’ago nella stoffa, colpii l’indice della mano sinistra. Non riuscivo a concentrarmi dopo l’ennesimo sogno che mi aveva svegliata in preda all’ansia. Non comprendevo il motivo per cui sognassi sempre quelle figure, che ormai avevo capito essere le streghe, ma quegli occhi blu mi mettevano i brividi. Non li avevo scorti in nessuna delle sorelle conosciute e non potevo quindi sapere a chi appartenessero. Immaginai che tutto fosse frutto delle mie paure e dei pensieri che non riuscivo a cacciare. Volevo davvero porre una pietra sopra a quell’incontro, ma evidentemente non ne ero ancora capace. Forse quelle streghe mi avevano proprio colpita, magari mi avevano gettato un maleficio o chissà quale altra magia. Rabbrividii al pensiero, ma scossi la testa. Non poteva essere vero. Forse.
    « Ti sei fatta male, Desy? » mi domandò Julie, che come sempre era intenta a guardare il mio operato per assimilare la mia arte.
Io scossi il capo e le sorrisi tranquillamente.
    « No, sono solo errori che si fanno quando si è sovrappensiero. Ma non fa nulla. Vedi? Non esce più neanche il sangue. Ti consiglio di fare attenzione, però… non essere sbadata come me » risi, e lei si aggregò a me più serena.
Qualcuno bussò alla porta e tutte ci voltammo verso l’ingresso. Julie corse alla finestra e, sollevandosi sulle punte, guardò fuori per comprendere in anticipo chi fosse. Tornò a terra, si voltò con un sorriso divertito verso di me e disse:
     « Qualcuna ha ospiti speciali! »
Quindi aprì la porta, incurante del mancato ordine.
Non riuscii a dire nulla e quando scorsi il mio amato proprio all’ingresso, lo guardai sorpresa ma allo stesso tempo felice di vederlo. Tuttavia, quando tornò il ricordo del giorno precedente, arrossii ancor piena di imbarazzo.
    « Julie, c’è Desirée? » domandò lui, posando una mano a scompigliare i capelli della piccola e rivolgendole un ampio sorriso.
    « Oui, oui, è proprio lì! » esclamò lei, indicandomi con un dito.
Lui annuì e poi si voltò verso di me. Il sorriso dal suo volto scomparve e mi fissò con incredibile serietà. Abbassai lo sguardo per un attimo, poi lo riportai su di lui che si era ormai avvicinato al mio tavolo, dopo aver gettato un rapido saluto alle altre artigiane, che sorridevano divertite e bisbigliavano tra loro.
    « Flaviano, cosa ci fai qui? »
    « Ottima domanda. È proprio quella che volevo chiederti ieri, sai? » rispose lui, con una freddezza che non avevo mai udito prima. Lo guardai, perplessa, ma lui continuò. « Ho bisogno di parlarti. »
    « Bé, dimmi pure… » risposi, un poco offesa dal tono della sua voce.
    « Non qui. Vieni fuori, passeggiamo con calma e parliamo. Ti rubo solo qualche minuto. »
Volevo ribattere, ma poi annuii e lasciai la stoffa sul tavolo, prima di avvicinarmi a lui.
    « Andiamo pure. »
Uscimmo dal laboratorio, sempre sotto gli sguardi curiosi delle altre.

    Ci dirigemmo verso il sentiero che conduceva all’ingresso della città, probabilmente non aveva voglia di farsi bloccare da persone che potevamo sicuramente conoscere nella parte più benestante.
    « Ora puoi dirmi il motivo per cui sei venuto al laboratorio? Ma soprattutto come mai ti sei rivolto a me in un tono tanto freddo? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Se è per quel che è successo ieri, rinnovo le mie scuse, ma non era stata un’idea mia. Lo so, non è una giustificazione adatta, ma… »
    « Esatto. Non credi di avermi un po’ umiliato venendo lì e disturbando il nostro addestramento con risate e chiacchiere? » ribatté lui, gettandomi uno sguardo che non ammetteva quasi repliche. « Ho visto i miei compagni d’arme scuotere il capo e ridere di ciò che è successo, e il Capitano Svensson era visibilmente irritato dalla vostra interruzione priva di senso. »
Lo guardai, mentre un flusso di calore m’invase il viso. Iniziavo a irritarmi, pur sapendo di aver sbagliato.
    « Ho sbagliato, lo riconosco, ma non avevo nessuna intenzione di umiliarti né di disturbare. Sono stata una sciocca a ridere e me ne pento. Ma cosa posso fare ora? Devi odiarmi per un piccolo errore? Non ti capita mai di commetterne? E poi, il Capitano Svensson ci ha offese, ma questo a te non interessa vero? » sbottai, rammentando le parole di quell’uomo odioso.
La durezza dello sguardo di Flaviano aumentò, spingendomi quasi a non riconoscerlo più.
    « Non provarci neanche ad offendere il Capitano! Quello che vi ha detto era la più sincera verità. Non avrà usato toni cortesi, ma prova a immaginare per un attimo la situazione da un punto di vista che non sia il tuo ».
Si fermò spingendomi a fare altrettanto. Il mio volto s’era acceso, ma sul suo collo pulsava una vena, sintomo della sua rabbia.
« Lo so esattamente qual è la tua rovina. È quella Dama Lemoine che ti fa commettere tali sciocchezze, con la sua parlantina odiosa e il suo carattere da oca giuliva. »
All’udire quelle cattiverie, non riuscii più a trattenere il volume della mia voce, che divenne fin troppo alto.
    « No. Ora sei tu che non devi permetterti di offendere la mia più cara amica! Hai già dimenticato quello che ha realizzato per noi e quello che vuole creare per la nostra unione? Avrà anche una parlantina che non può piacerti, ma esercita egregiamente il suo ruolo di Dama e ci sarà un motivo se è la più amata dai Conti. Lei è gentile almeno, non è una statua di ghiaccio come il tuo Capitano! »
Lui si guardò per un attimo intorno, colto anche di sorpresa dalla mia reazione. Dei passanti si bloccarono a guardarci e subito mi sentii imbarazzata. Flaviano mi guardò così malamente che per un attimo mi chiesi se colui che avevo davanti fosse davvero il mio amato e poi parlò.
    « Non osare mai più alzare la voce contro di me, né in pubblico né in privato » sibilò.
    « Io non sono la tua serva, sono la donna che a breve sposerai. La tua futura moglie. »
Sapevo benissimo che le donne erano spesso viste come succubi dei mariti o come serve, ma quella era una cosa che non potevo accettare, forse osservando anche con quanta grinta e determinazione Madame Le Marchand si destreggiava tra gli uomini. Sin da piccola avevo giurato a me stessa, che il giorno in cui mi sarei sposata, non sarei divenuta una serva, ma una moglie, l’altra parte della coppia. Ugualmente importante.
    « Non so più se è quello che voglio. »
Quelle semplici parole mi trafissero come una punta di una spada molto affilata. Era come se avesse usato quell’arma contro di me, ma compresi che le parole facevano più male di una ferita fisica. Sentii il mio cuore infrangersi in mille pezzi e le lacrime che affiorarono subito ai miei occhi.
    « Come puoi dire questo? Come puoi soltanto pensarlo? Per uno stupido errore… »
Cercai di sfiorarlo, ma lui mi diede le spalle e se ne andò, diretto al forte.
Lo guardai allontanarsi e in quel momento non mi curai neanche degli sguardi della gente. Chi sorpresa, chi lanciava sguardi di disprezzo verso di me, altri che provavano compassione.
Non mi accorsi neanche di essere crollata a terra, mentre lacrime mi appannavano la vista.
Era la prima volta che litigavo con Flaviano. La prima terribile volta, e forse anche l’ultima.
Vidi il mio mondo idilliaco frantumarsi per una sciocchezza e non mi accorsi neanche quando delle mani affusolate mi strinsero a sé.



*



    « Non è consono per una donna del vostro rango, non troppo modesto, restare a terra alla mercé di tutti, soprattutto di chi ora vi guarda e critica per il vostro atteggiamento forse un po’ avventato, ma comprensibile, almeno da me. Sollevatevi, appoggiatevi a me, vi porto via di qui ».
La voce era vellutata, soave come un vento leggero, soffice come la stoffa. Alzai lo sguardo, ma le lacrime non mi permettevano di vedere ancora bene. Era una figura ammantata di nero, il cappuccio le copriva anche il capo e parzialmente il volto. Avrei voluto restare lì, ma le sue parole era veritiere e non aveva alcun senso quell’atteggiamento. Se volevo fare qualcosa per il mio rapporto con Flaviano, non dovevo restare lì a piangere. Non avrebbe risolto niente.
Mi sollevai, stringendomi al braccio della figura femminile, e con il suo aiuto avanzai verso la parte più alta della città.
    « Non voglio tornare al laboratorio. Non voglio che mi vedano così » mormorai, tra i singhiozzi.
    « So io dove portarvi, non abbiate paura. Mi conoscete già, e purtroppo sapevo cosa sarebbe successo oggi. Sono qui per voi, fidatemi di me, sorella mia ».
Quelle ultime parole mi fecero rabbrividire. L’osservai con più attenzione, e vidi una ciocca color miele e un pezzo dell’abito viola indossato dalla donna.
    « Voi? » chiesi, spalancando gli occhi sui quali erano cristallizzate le mie lacrime.
    « Sì, sono Claire. Vi prego, non vi fermate. Avete bisogno di una persona che vi dia conforto. Noi potremmo darvelo ».
Ero combattuta tra l’andare e restare. Tuttavia, in quel volto gentile e bello vidi un sorriso sereno e uno sguardo sincero. Annuii leggermente con il capo, e quindi cercai di avanzare più composta, sempre al suo fianco.
Immaginavo dove mi avrebbe condotta e, una volta vicina al Salice Piangente, mi sfuggì uno strano sorriso tirato.
    « Ma come fate ad andare nella grotta? » domandai.
    « Oh, è facile. Bisogna solo desiderarlo e credervi fermamente. »
La guardai perplessa, non comprendendo al massimo le sue parole, poi la vidi sfiorare con cura uno dei rami del salice e mormorare qualcosa che non potei udire.
In quel momento la radura sembrò scomparire e il buio invaderci. Claire mi guidò con cura verso quel corridoio che conduceva alla Grande Sala, e lì potei di nuovo vedere quel mondo magico e strano, che questa volta non mi destò la solita paura.
    « Desirée, siete tornata! » esclamò Elodie, sfoggiando un ampio sorriso luminoso.
   « Non avevo dubbi che sareste giunta di nuovo qui, è un piacere rivedervi abile sarta e sorella » aggiunse Cécilie, avvicinandosi a me, e sfiorandomi il viso con una carezza. « Oh, ma avete pianto? Cosa vi è successo, carissima? » chiese, notando i miei occhi ancora umidi e rossi.
    « Io… » sentii di nuovo il bruciore delle lacrime che mi ustionavano gli occhi ripensando alla mia lite con l’unica persona che avevo mai veramente amato.
Fu Claire a salvarmi, parlando a mio nome.
    « Quello che avevo visto, purtroppo si è avverato. V’è stato un litigio tra la nostra Desirée e il suo amato, monsieur Marli ».
La fissai sbalordita dalla sua conoscenza.
« Lui l’ha lasciata in lacrime, ma non so quali parole ha usato per farla stare così male ».
    « Sciocco di uomo! » sbottò Elodie, gonfiando le guance già paffute.
   « Oh, Desirée, sono immensamente dispiaciuta per quanto vi è accaduto. Ma vedrete che tutto si risolverà. I litigi dicono che fanno bene a un coppia, permettono di capirsi meglio e anche sapere se l’amore è reale » replicò, Cécilie con la sua dolcezza.
    « Gli uomini sono sciocchi e basta! » continuò Elodie, battendo i piedi a terra, stizzita.
Quella visione mi fece sorridere.
    « Come siete buffa! » esclamai e per un attimo mi sentii quasi meglio, ma il dolore nel cuore era grande e difficile da guarire.
    « Io buffa? Non riesco proprio a capire il perché lo dite. » mi rispose la più piccola tra di noi.
    « Io te l’ho sempre detto che lo fossi » ribatté Cécilie, divertita, « ma vediamola in modo positivo. Almeno sei riuscita a far sorridere, un poco, la nostra Rosa ».
Annuii, guardandomi poi intorno. Il mio sguardo scivolò presto verso la sedia posta dinnanzi al camino spento, ma prima che potessi chiedere qualcosa, Claire disse:
    « Ophélie non è qui. Sta riposando ora, la sua veneranda età non le permette di essere attiva come un tempo, ma potrete parlarle non appena si sveglierà. A lei farebbe piacere vedervi di nuovo ».
La guardai, ancora una volta sorpresa, dalla sua perspicacia. Aveva perfettamente compreso quale fosse la mia domanda.
    « Non vorrei disturbarla, ma… un giorno mi piacerebbe parlarle ancora ».
    « Sarà possibile, tanto tornerai spesso qui no? Ormai non hai più paura di noi, non è così? »
    « Elodie, rivolgiti a lei con il dovuto rispetto e con l’uso del voi » la rimbeccò Cécilie, e l’altra, prontamente rispose:
    « Oh, quante cerimonie! È una nostra sorella, o presto lo sarà comunque, perché dover usare quel voi che neanche mi piace! »
Scossi il capo e presi parola.
    « Non so se sarò mai una vostra sorella. Se sono qui, è solo perché non sapevo dove andare, non volevo tornare a casa e farmi vedere dalle altre o da Madame, né dalla mia più cara amica, Mademoiselle Lemoine. Eppure non volevo neanche rimanere sola. Non voglio approfittare della vostra gentilezza o disturbarvi, ma… ho bisogno di un po’ di tempo per riprendermi e… » mi fermai, non riuscendo ad esprimermi bene, ma poi aggiunsi « comunque, sorella o no, potete darmi del tu, se volete ».
    « Quella Dama odiosa è tua amica? » mi chiese Elodie, spalancando gli occhi. « Oh, ma come fai a sopportarla. Parla troppo e… »
    « Insomma, Elodie! Non permetterti di offendere una sua amica, non vedi che è già sconvolta? » la redarguì ancora Cécilie, mentre io cercavo di trattenere il senso di rabbia crescente nel notare che ancora una volta qualcuno era pronto ad offendere la mia più cara e fedele amica.
    « Cécilie ha detto giusto. Potete rivolgermi a me, con il tu, ma non offendere gratuitamente persone che non conoscete così bene. Ho già litigato per questo motivo con la persona che amo, ci metterei poco a farlo con chi conosco appena » replicai cercando di essere chiara, seppure la mia voce vibrasse per una duplice emozione: rabbia e tristezza.
Elodie mi guardò seria e poi si strinse nelle spalle.
    « Va bene, ti chiedo scusa » poi, dopo poco, sembrò mutar di nuovo atteggiamento. « Visto? Posso darle del tu! » sorrise fiera, rivolgendosi a Cécilie che sollevò gli occhi al cielo e poi si rivolse a me.
    « Non disturbate affatto, anzi e perdonate la sfrontatezza di questa testa dura » gettò un’occhiata verso l’altra strega più giovane ma poi, tornando su di me, aggiunse « potete rimanere qui il tempo che volete. Ma prego, sedetevi pure e questa volta non potete rifiutare il nostro sidro né i nostri biscotti. »
    « Questa volta non rifiuterò. Promesso ».
Mi avvicinai a uno dei cuscini sul quale mi adagiai con cura. Ero ancora un po’ tesa in quello strano luogo, ma in quel momento era il più adatto dove stare.
    « Vado subito a prendere i biscotti! » trillò Elodie, correndo rapida verso una delle tre porte che si aprivano da quella sala, e lì scomparve.
Cécilie e Claire si sedettero ai miei lati, e la prima mi versò un poco di sidro di mele in un bicchiere di legno. Me lo porse, e poi fece lo stesso per se stessa, per Claire e anche per la più piccina. La ringraziai e attesi che tutte fossero presenti e pronte, prima di bere.
Tuttavia, vidi Claire puntare lo sguardo verso una seconda porta, diversa da quella dove era appena scomparsa Elodie.
Claire era seria e imperscrutabile.  Poi, parlò:
    « Credo che dovresti aggiungere un altro bicchiere, Cécilie ».
Una piccola pausa e poi si rivolse a me. « Lei vuole vedervi ».
Io la fissai, non comprendendo, fino a che, voltandomi verso la porta, non incrociai due occhi di un blu molto scuro.






















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Ci ho messo un bel po' per aggiornare, ma ho passato una settimane colma di lavoro ed ero troppo stanca la sera per mettermi al pc e tentare di correggere il capitolo.
Spero che vi possa piacere e non esitate a lasciare commenti costruttivi e un vostro pensiero su quello che esce dalla mia fantasia. E' un mondo a cui tengo quello che racconto e spero che in qualche modo possa colpire.

A presto! Nel prossimo capitolo si saprà di più su quella "Lei".

ps. So che ancora questo "Lupo" non si vede, ma date il tempo al tempo! E' vero che è importante, ma la storia è raccontata dalla Rosa, come penso avrete capito :P

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Capitolo 12
*** XI - La Gran Maestra ***



XI
La Gran Maestra




    I fuochi fatui sembrarono affievolirsi, mentre il silenzio invase il luogo. Fui scossa da un piccolo brivido lungo la schiena, ma non riuscii a distaccare il mio sguardo da quello di lei.
Colei che era apparsa, quasi dal nulla, era una giovane donna molto bassa. A un primo sguardo mi sembrò quasi una bambina, ma il suo volto severo e quello sguardo serio e penetrante tradivano la mia sensazione. Aveva lunghi capelli neri, con morbide onde che le scivolavano leggere lungo la schiena, raggiungendo la vita. Piccole labbra serrate, naso sottile e una pelle molto chiara, risaltata ancor di più dall’essere vestita completamente di nero. Notai che era la medesima tunica che indossavano anche le altre, ma al collo portava un ciondolo diverso. V’erano le tre lune, connesse tra loro e al centro, proprio sulla luna piena, troneggiava una pietra d’onice.
Tra le braccia stringeva un gatto dal folto manto nero, cosa che avrebbe gettato sicuramente paura e superstizione tra la gente del paese, ma non su di me che a questo, almeno, non credevo. Il felino muoveva leggermente la lunga coda e teneva gli occhi socchiusi, donando fusa alla sua padrona ma, quando quest’ultima interruppe il suo tocco sul suo collo, lui spalancò gli occhi e li fissò su di me. Due perle d’ambra mi fissarono con intensità e mi fecero rabbrividire, come se anche lui potesse incutermi un certo timore.
Non sapevo che dire e, a quanto pare, nessuna di loro voleva parlare per prima, fino a quando il ritorno di Elodie pose fine a quel silenzio.
    « Ho portato anche dei biscotti alle mandorle. Ti piacciono, Desi… uh! » spalancò gli occhi nel notare la nuova arrivata, e poi le rivolse un caldo sorriso. « Maestra! Sei venuta a conoscere finalmente la sarta? » domandò, incurante di ciò che si era creato prima e avanzando verso il tavolino dove riporre tutto ciò che rischiava altrimenti di cadere: aveva infatti una ciotola colma di biscotti e una bottiglia di sidro nell’altra mano.
La Maestra, tuttavia, continuò a osservare imperturbabile me.
    « Io… »
Non sopportando quel silenzio iniziai a proferire parola, ma subito m’interruppe e una voce pacata e severa inondò la stanza.
    « Così siete voi la tanto decantata Desirée. Le mie sorelle non facevano altro che parlare di voi, della vostra abilità nel realizzare abiti di ogni genere nonché accessori », si fermò un attimo e poi aggiunse, « la scorsa volta siete scappata in preda alla paura. Oh, ho visto il vostro sguardo smarrito, il desiderio di essere di nuovo nella vostra abitazione per non essere uccisa dalle streghe. Perché è questo che pensate noi facciamo, non è forse vero? »
    « Io non lo credo… » dissi flebilmente, ma poi aggiunsi, « perlomeno non lo credo più ».
Lei annuì, mentre le altre rimasero sedute sui loro cuscini, osservandoci in silenzio. Anche Elodie, lasciato il tutto sul tavolino grazie all’aiuto di Cécilie, si adagiò su un altro cuscino iniziando a sgranocchiare un biscotto, incurante della scena.
    « Cosa vi ha fatto cambiare idea? » disse, rimanendo sempre in quella posizione, mentre il gatto le strusciava il muso sulla tunica come desideroso di attenzioni.
Cercai di rilassarmi un poco, per apparire comunque sincera. Avevo appena detto di non credere di essere in pericolo, ma il mio corpo sembrava dire il contrario. Cercai di essere meno rigida e di rispondere in tono più sicuro, per quanto possibile.
    « Il comportamento delle vostre sorelle. Mi hanno accolta con gentilezza e cortesia, e oggi è stata Mademoiselle Claire ha sostenermi quando il mio cuore è stato infranto da quello che credevo essere l’amore… » abbassai lo sguardo. Non volevo permettermi di rivivere l’immagine della discussione con Flaviano e soprattutto non volevo versare lacrime in quel frangente e davanti a una donna che emanava qualcosa che ancora non potevo comprendere. « Delle persone che si comportano in codesta maniera, non possono fare del male, né arrivare ad uccidere, credo. E… c’è anche chi mi ha fatto nascere ».
Sentii gli sguardi di tutte verso di me e timidamente arrossii, mantenendo lo sguardo basso.
    « Chi può dire se dietro un aspetto gentile, delle cortesie, non si nasconda un altro interesse? Credo che siate piuttosto ingenua, Desirée » rispose lei, tornando a dare attenzioni e coccole al gatto, che apprezzò con tanto di fusa.
Mi sentii offesa. Chi era lei, quella sconosciuta, per offendermi? Come osava parlarmi con quel tono da saccente, nascosto sotto una voce pacata? Ma d’altro canto, avvertivo una sensazione opposta, ossia che lei non fosse distante dalla verità. Ero sempre stata una persona ingenua, era facile prendersi gioco di me, eppure non riuscivo a cambiare.
    « Probabilmente sono una persona molto ingenua. Posso rischiare la mia vita qui, ma ho deciso di fidarmi. Non nego di avere una certa soggezione di voi e sì, anche del vostro gatto, ma questo non significa che mi basi sulle apparenze. Sbaglierò, ma sono fatta così. Se reco disturbo, tornerò alla mia dimora senza problemi. »
Non ero riuscita a trattenere del tutto la mia irritazione, ma dissi ciò che sentivo, con assoluta sincerità.
Le sue labbra si distesero in un sorriso ambiguo. Non comprendevo se fosse gentile o derisorio. Era una persona enigmatica.
    « Ophélie ha fatto nascere molte bambine e anche bambini. Non immaginavo che voi fosse tra di loro. Ora sta riposando e non la farò scendere qui con noi. Avrete tempo per parlarle in futuro. Apprezzo comunque le vostre parole, vi è sincerità ed è qualcosa che apprezzo. Soggezione? È bene che ci sia, ma spero che vi fiderete presto anche di me ».
Sembrò rivolgermi un sorriso che svanì rapidamente e mi lasciò confusa se ci fosse stato realmente o fosse solo immaginazione, poi riprese:
    « Ètoile ed io vi abbiamo osservata a lungo; avremmo voluto parlarvi la prima volta che le mie sorelle vi hanno condotta qui, ma voi siete scappata come in preda a un terribile incubo. In sogno vi abbiamo chiamata, avete sentito la Dea non è vero? Il suo sguardo, il suo potere. La madre vi ha voluta qui e ora che avete risposto al richiamo, possiamo finalmente mettervi alla prova ».
Guardai, un poco turbata, la giovane Maestra, ma non seppi cosa dire. In verità tante erano le domande che affollavano la mia mente, ma prima che potessi rispondere, notai di nuovo gli sguardi delle streghe rivolti verso di me.
Elodie sorrise raggiante, piccole briciole di biscotto le erano rimaste sulle labbra, e provai quasi divertimento nell’osservarla; Cécilie mi sorrise dolcemente, il suo sguardo confortevole mi fece quasi dimenticare del resto; e infine Claire mi guardò con intensità, ma sul suo volto pallido e bello non notai alcun tipo di emozione, erano i suoi occhi chiari a parlare, non il resto del corpo né le sue labbra.
    « Che tipo di prova? La Dea? Di che madre state parlando? » chiesi poi, confusa, rivolgendo di nuovo lo sguardo verso la Maestra, che finalmente si mosse. Avanzò di qualche passo verso di noi e potei notare che era a piedi nudi. Fece poi scivolare a terra il felino, che andò subito verso Elodie, desideroso di un biscotto, e tornò a guardarmi.
    « Oh, la curiosità non vi ha mai abbandonata, fa parte di voi anche in questa nuova vita ».
Le sue parole mi turbarono ancora di più, ma presto proseguì:
    « Ci sarà tempo per rispondere a ogni domanda. Saprete cosa intendiamo per Madre e chi veneriamo. No, non è nostra intenzione farvi ripudiare il vostro Dio, e presto comprenderete perché. I vostri preti, le vostre suore e gli altri membri di ogni ordine religioso condannano la nostra fede, ma non sanno che non è poi distante dalla loro. Ma non è questo il tempo di parlarne ». Si fermò per riprendere fiato ed io annuii, pur essendo ancora troppo confusa.    
    « Se è vostra intenzione entrare nella nostra Congrega e divenire una nostra sorella e parte della nostra famiglia, dovrete affrontare una piccola prova, più una sorta di rito, in verità. Tuttavia, dovete essere perfettamente certa delle vostre intenzioni. Non voglio costringervi né con la forza, né con la violenza, come probabilmente vi hanno sempre favellato i preti, bensì starà a voi pensarci, valutare e infine decidere. Se la vostra risposta sarà negativa, non vi sarà inflitto alcunché; l’unica cosa che vogliamo è il massimo riserbo e il silenzio su di noi, sulla nostra congrega e questo luogo. Vedete, come ben saprete, le streghe non sono bene accolte nel mondo ».
Annuii impercettibilmente con il capo, ascoltando con particolare attenzione il suo discorso. Non fiatai per non interromperla, assolutamente. La sua voce pacata era l’unico suono che si poteva percepire nella Grande Sala. Le sue parole mi provocarono un’emozione difficile da comprendere: come se nella mia mente vivessero più persone, più Desirée che esprimevano il loro pensiero alzando la voce, come nel tentativo di prevalere.
All’esterno silenzio, in me gran confusione.
Dovevo fare la mia scelta, alla quale in verità non sapevo d’essere pronta. Fino a quel momento ero cresciuta con la convinzione impartitami che le streghe fossero il male e ora mi si presentava l’occasione di essere una di loro. Non risposi subito, ma volsi lo sguardo verso le donne presenti.
Guardai il viso gentile di Cécilie e il suo dolce sorriso che non si stancava mai di riservarmi; il visetto paffuto e buffo di Elodie, che era rimasta immobile con ancora un biscotto, ormai a metà, infilato nella bocca, non avendo forse l’intenzione di guastare il silenzio con il suo sgranocchiare; e il viso serio e imperscrutabile di Claire, alla quale mi sentivo fortemente legata, senza tuttavia capirne il motivo. Spaziai ancora con lo sguardo, sentendomi osservata: due grandi occhi d’ambra, dalla nera pupilla ovale, mi fissavano con intensità, come se anche Ètoile, il gatto, attendesse la mia risposta.
Pensai alla vecchia Ophélie che mi aveva aiutata a venire al mondo e, d’un tratto, le mille voci nella mia testa si affievolirono, fino a scomparire del tutto, lasciandone prevalere solo una. Le mie labbra s’incurvarono in un mesto sorriso e mi alzai, riservando la mia attenzione esclusivamente alla Gran Maestra, che era rimasta perfettamente immobile nel punto in cui si trovava come una statua di cera, e dissi:
    « Mi avevano donato una visione errata di coloro che chiamavano streghe. Le hanno definite adoratrici del demonio, fattucchiere pronte a far del male alle persone, ai bambini in particolare, ma ora comprendo qual è la vostra vera natura. Sono stata accolta, consolata e compresa e infine il mio cuore mi ha dato la risposta. Non vi tradirei mai e sarò pronta a mantenere il silenzio una volta fuori di qui… » mi bloccai un attimo, mentre Cécilie ed Elodie non riuscirono a trattenere un lieve gemito, forse spaventate o rattristate dalla mia risposta, poi ripresi, «… questo perché è mio desiderio far parte della vostra congrega, se sarò reputata degna ».
Questa volta ad accogliere le mie parole non v’era più un religioso silenzio, ma acclamazioni di giubilo da parte di Elodie – che dalla gioia lasciò cadere a terra pure il suo amato biscotto -, una risata di Cécilie e un leggero sorriso da parte di Claire.
Tuttavia la Gran Maestra non mutò la sua espressione. Continuava a guardarmi con quei profondi occhi color delle acque più profonde, e seriamente.
    « Sapevo che saresti tornata a casa, Rose Blanche ».
La voce roca di Ophélie mi colse alla sprovvista. In un primo momento non riuscii a scorgerla nella penombra rischiarata solo da tenui luci azzurrine prodotte dai fuochi fatui, ma poi comparve proprio al fianco della Gran Maestra, la quale le sfiorò la mano con delicatezza.
Mi limitai a sorriderle gentilmente, ma poi fu la voce della giovane Maestra a risuonare imponente nella sala.
    « Così sia! »

    Il buio mi avvolse e il mio cuore sussultò.
Non riuscivo più a scorgere niente, solo oscurità. Ero come persa nel nulla e quella sensazione mi provocava un senso di soffocamento. Mi allarmai. Divenne più difficile respirare, nonostante fossi consapevole che anche in quel nulla vi fosse aria. Per un attimo ebbi paura di aver errato nella mia valutazione, nella mia scelta. La loro vera essenza era benevola? O forse mi avevano fatto un maleficio?
Ero morta?
Mi risposi che ciò non era possibile: sentivo ancora il mio corpo, respiravo, seppur a fatica, e riuscivo a muovermi anche se ero cieca.
Cercai di trovare un poco di tranquillità, consapevole che se mi fossi lasciata completamente andare all’inquietudine non ne sarei più venuta fuori. Il mio cuore pulsava con violenza, ma sembrava anche rispondere saggiamente alle mie paure. No, non potevo credere che quelle donne che mi avevano accolto e confortata come una sorella, fossero crudeli e adoratrici del demonio. Rammentai le parole della loro Maestra e ipotizzai che fosse quella “piccola prova” da superare. Tentai di controllare le mie emozioni, di tornare a respirare regolarmente e di mantenere la mente lucida e chetare il mio cuore agitato.
Chiusi gli occhi nel tentativo di usare il metodo che mi avevano insegnato i miei genitori quando ero bambina. La voce di mia madre sembrò rivivere nelle mie orecchie, come un suono soave e quasi celestiale.

« Ricorda, mon petit ange, quando hai paura e il tuo cuore batte forte, chiudi gli occhi e dai una forma alle ombre che vedi, dai loro vita, e dipingile dei colori che preferisci. Dai luce al buio e la paura svanirà. »

Mi sembrò di avvertire come un tocco leggero sul petto, come se mia madre fosse realmente lì con me. Per un attimo riuscii a sentirla di nuovo così vicina a me, che fui a un passo dal piangere.
Mi rifugiai nel mio buio personale e iniziai a disegnare forme e colori. Pian piano tutte le persone e i luoghi a me cari presero vita, alleviando le mie paure e la mia solitudine. Sorrisi, risate, gesti di affetto mi accoglievano, facendomi ritrovare la giusta quiete.

    « Puoi riaprire gli occhi, ora ».
Una voce distante risuonò in quell’oscurità e, quando aprii di nuovo gli occhi, mi accorsi di non essere più cieca. C’erano tutte le donne della Congrega del Salice, vestite con tuniche bianche e i capelli lasciati sciolti, privi di ornamenti. Non avevano gioielli addosso, né calzature. I piedi nudi sfioravano il pavimento di marmo bianco. Erano tutte situate attorno a una sorta di altare in pietra grigia, sul quale erano disposte bianche candele a gruppi di tre su entrambi i lati e, al centro, v’erano un coppa e un coltello entrambi d’argento, ma quest’ultimo aveva il manico nero.
Proprio dietro all’altare, erano disposte la Gran Maestra e Ophélie, la fanciulla e l’anziana. Al fianco di quest’ultima erano poste Elodie e Cécilie, all’altra estremità – proprio accanto alla Maestra – v’era Claire.
Ai piedi dell’altare, ovviamente, non poteva mancare il gatto che continuava a fissarmi con quegli occhi grandi e misteriosi, facendomi quasi sentire a disagio.
Rimasi, di nuovo, senza parole a quella vista, affascinata e spaventata allo stesso tempo, ancor di più nel costatare che anch’io fossi vestita nel loro medesimo modo.
    « Vieni avanti, Rosa Bianca » mi invitò, Ophélie.
Avanzai un poco incerta, sotto lo sguardo attento di tutti i presenti, e con un lieve gesto della mano rugosa, l’anziana m’indicò il punto ove dovevo fermarmi. A terra, proprio dinanzi all’altare, v’era un unico petalo della più pura delle rose. Lì sostai, soffermando il mio sguardo sulle donne dinanzi a me, in attesa di comprendere cosa dovesse accadere.

    « Sorelle mie, oggi siamo qui riunite al cospetto di questo sacro altare e degli dei che veneriamo, per accogliere una sorella che desidera tornare tra noi. La Dea l’ha chiamata e a noi è giunta ». La voce pacata ma risoluta della Gran Maestra si espanse nell’aria. Muta, rimasi ad ascoltarla. I suoi occhi indugiarono su di me e poi riprese a parlare « Desirée Chervalie, per potere accedere alla nostra Congrega, dovrai essere pronta a fare il tuo giuramento davanti alle Sacre Sorelle, ma soprattutto alla Dea e al suo Divino Sposo che tutto regolano e tutto vedono. Sei chiamata dunque a rispondere. È tuo reale desiderio far parte della Congrega del Salice? »
    « Sì, è mio desiderio ».
Rimasi sorpresa dal suono della mia voce, che non collimava con le emozioni provate e che si riversavano invece sul mio corpo scosso da leggeri, ma piacevoli brividi. Era sicuro, come se non avessi avuto dubbi, neanche un solo momento.
    « Giuri di mantenere il perfetto silenzio sul nostro ordine, anche se ci fosse in gioco la tua stessa vita? »
Quella domanda mi provocò un momento di esitazione. Ero veramente pronta a giurare e a rischiare la mia vita per loro? Ma questa volta non guardai neanche i visi delle persone che mi avevano accolta così gentilmente, la mia risposta la sapevo già, anche se era visibile la paura.
    « In verità v’è paura in me, ma sono pronta a giurare di mantenere il perfetto silenzio sull’ordine, anche a costo di perdere la mia vita. »
La mia voce apparve più incerta, ma la Gran Maestra non se ne avvide, o probabilmente decise di passare oltre.
    « Sorelle, volete dunque accettare la richiesta che qui ci viene proposta? »
Spostò lo sguardo verso ognuna delle donne presenti e, come mosse dallo stesso filo conduttore, risposero tutte nel medesimo momento.
    « Sì, lo vogliamo ».
    « La Dea e il Dio suo sposo ti hanno chiamata, le sorelle ti hanno accolta. La tua richiesta è dunque accettata. Porgi la tua mano col palmo verso l’alto, sorella, affinché il rito possa adempiersi ».
Non compresi il motivo, ma non mi bloccai nelle mie elucubrazioni mentali. Non era quello il momento. Allungai il braccio verso di lei, per poi aprire la mano, con il palmo verso l’alto. Avvertii il tocco ruvido della mano di Ophélie che la tenne lievemente, spostandola appena in modo tale da essere perfettamente sopra al calice.
La Gran Maestra impugnò il coltello dal nero manico e lo posò appena sulla mia pelle. Quel tocco freddo mi fece rabbrividire, unitamente a un poco di paura alla vista di quella lama.
    « Sul tuo palmo il simbolo del pentacolo sia tracciato; tutti gli elementi – Aria, Acqua, Terra e Fuoco e non ultimo, Akasha, lo spirito – convergano a questo rito e ti purifichino da ogni energia impura e negativa. Figlia, con questo gesto, il Dio t’accoglie! »
Tracciò un segno sconosciuto ai miei occhi, delle linee che man a mano si univano tra di loro a formare una sorta di stella. Il tocco dell’argento era sì lieve, che avvertii solo un leggero formicolio. L’aria intorno a noi sembrò mutare, facendosi più elettrizzante, quasi magica.
Abbassai per un attimo lo sguardo, quasi a voler mostrare deferenza alle divinità che presenziavano al mio rito. Tornai poi a seguire i movimenti della Gran Maestra, la quale posò di nuovo il coltello sull’altare e prese il calice, sollevandolo un poco dinanzi a sé, prima di prendere parola:
    « L’acqua purifica, allevia le sofferenze, ascolta e conserva i tuoi sussurri. La luna risplende alta nel cielo, a personificazione di Ella. Figlia, la Grande Madre ora ti accoglie, rivolgi a Lei i tuoi occhi, apri il tuo cuore, bevi dal Sacro Calice, suo ventre, e rinasci a vita nuova! »
Mi porse il calice ed io lo presi saldamente tra le mie mani. Lo portai alle labbra senza esitazione e bevvi quell’acqua limpida e fresca, ristorando non solo il corpo ma anche la mente. Quei semplici gesti sacri, non così dissimili dalle altre religioni in verità, mi spinsero a provare emozioni intense. Mi sentii davvero rinascere, come se da quel preciso istante la vecchia Desirée morisse, donando vita a una nuova me. Tutto era puramente simbolico, perché era difficile mutare la propria persona da un momento all’altro, ma ero felice.
Ogni problema sembrò svanire nel nulla, solo un senso di pace albergava nel mio cuore.
Restituii il calice alla Gran Maestra e vidi Ophélie porgermi qualcosa di bianco.
    « Una nuova vita ti attende, pétite Rose Blanche. Il tuo cammino è solo all’inizio, ma saprai dimostrare presto le tue qualità e capacità. Ricevi dalle mie mani la tunica da iniziata e il ciondolo che tutte ci lega ».
Chinai appena il capo in un gesto di muto consenso e presi la tunica e il ciondolo d’argento con una piccola perla bianca incastonata in una spirale argentea. Era simile a quello delle altre e avvertii ancora di più l’emozione di essere diventata una di loro.
    « Desirée Chervalie da oggi sarà nostra Sorella. Così è stabilito. Il rito si chiude ».












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Eccomi qui :)
Come anticipato nel prologo di questa storia, non voglio offendere religione alcuna, e lo ribadisco. Inoltre, tutte le informazioni che inserirò da questo momento in poi, sono prese da libri e siti internet, in quanto non sono una perfetta esperta nelle "antiche religioni", ma sono aperta a tutto. ;)
Ammetto già da ora che sono rimasta ammaliata dalla saga di Avalon di Marion Zimmer Bradley, quindi nelle mie storie di "magia", c'è sempre un lieve riferimento e spunto alle sue storie, anche se solo su alcuni cenni, ovviamente. Lei era talmente brava! Io l'adoro.

Vi lascio con l'immagine della Gran Maestra e con un saluto! :)

La Gran Maestra
(opera di Melanie Delon, stupenda vero?)


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Capitolo 13
*** XII - Litigio e Lezioni ***


XII
Litigio e Lezioni.



    « Desirée siete qui! Madame, è tornata! »
La vocina di Julie mi accolse non appena oltrepassai la porta della Maison, accompagnata da passi che risuonavano da una stanza attigua. Era tardi e mi sorpresi di trovare la piccola apprendista ancora lì.
    « Che ci fai ancora qui? » domandai, ma a rispondermi fu una voce più adulta, graffiante. Madame, infatti, aveva fatto il suo ingresso nella sala da lavoro.
    « Siamo noi a dover fare domande qui, non credi? » mi rivolse uno sguardo furente, prima di aggiungere, « Julie e le altre ti hanno visto uscire nel meriggio ma sei tornata solo ora. Dove sei stata? »
Rimasi immobile sul posto, proprio dinanzi alla porta d’ingresso e cercai di trovare una scusa plausibile per quella mia assenza. Non amavo inventare menzogne, ma non potevo neanche rendere nota la verità.
    « Flaviano è venuto a trovarmi. Julie e le altre possono confermare… » volsi lo sguardo verso la bambina, la quale annuì incerta. « Abbiamo passeggiato a lungo e, sapete come succede, temo di aver perso il senso del tempo ».
Madame mi scrutò con serietà. Strizzò i piccoli occhi grigi e storse il naso. Dal suo volto si poteva facilmente intuire che non mi credesse del tutto. La sua espressione si fece dura e, dopo aver tratto un profondo respiro, replicò:
    « Vuoi dunque farmi credere che hai trascorso ore con il tuo futuro sposo? »
    « Certo, è così… » nonostante tentassi di avere un tono sicuro, era palpabile la mia incertezza.
    « Menzogne! » tuonò, facendomi sobbalzare il cuore nel petto, mentre la piccola Julie saltò sul posto, anche lei colpita da quel tono improvviso. « Non mentirmi Desirée! Ti hanno visto in molti in strada, in compagnia del tuo uomo, è vero, ma hanno anche assistito alla scenata disdicevole e imbarazzante! »
Si bloccò per riprendere fiato. Il viso s’era fatto paonazzo e le mani tremavano in preda a un nervosismo lampante. Abbassai lo sguardo a terra, punta sul vivo. Mi sentivo sporca e triste al ricordo di quella lite che per qualche ora ero riuscita a mettere da parte.
    « Non ti ho cresciuta per fare sciocchezze in pubblico; avresti dovuto discorrere dei vostri problemi in privato. Non è così che ci si rivolge al tuo futuro marito, se ancora ti vorrà. Dovrai rispettarlo, ascoltarlo e non offenderlo davanti a decine di occhi curiosi e avidi di poter ciarlare liberamente per causare scandalo. Tutti parlavano di te e non aspettarti di ricevere apprezzamenti. Non hai pensato a questa Maison? Alle critiche che riceveremo? »
Quelle parole mi ferirono nel profondo. Mai prima di ora Madame mi si era rivolta con tono così aspro e parole così crudeli; proprio lei che non si faceva sottomettere da uomo alcuno, ora mi accusava di aver offeso l’uomo al quale dovevo solo assoluto rispetto.
Se ancora ti vorrà…
Quelle parole furono come un coltello dalla lama affilata che penetrava nel mio cuore, pronto a riaprire quella piaga ancora fresca. Flaviano mi avrebbe perdonata?
Non erano quelle le parole che volevo sentirmi dire. Forse ero infantile, ma non trovavo giusto essere accusata in una simile maniera. Avrei voluto essere compresa o perlomeno confortata, ma c’era solo rabbia e umiliazione.
Mi sentii invadere da un’energia particolare, un flusso di sangue che pompava nel cervello fino a farmi scoppiare.
Tornai a rivolgerle i miei occhi chiari, forse con sguardo stralunato e, come già accaduto nel meriggio, non riuscii a trattenere la rabbia.
    « Se cercate le scuse per la mia condotta e per avere portato scandalo nella vostra Maison, ve le porgo. Mi dispiace, non era mia intenzione colpire proprio voi che mi avete accolta come una figlia. Ma non mi pento di ciò che ho fatto. Sono pronta a dare rispetto al mio uomo, ma non voglio essere un animale che è privato della parola, dei pensieri, e criticata per le mie amicizie e per un piccolo errore commesso.
Sono stata con lui per qualche minuto e poi ho avuto bisogno di tempo per restare sola… »
    « Continui a mentire! Ti hanno vista andare via con una donna incappucciata! Chi era? Dove sei andata? E bada che come ti ho accolta qui, sono pronta a cacciarti ».
Quelle parole furono come la goccia che fa traboccare il vaso già colmo. La mia rabbia aumentò e avvertii come una patina opaca schermare i miei occhi, in preda alla furia ma anche a un enorme senso di tristezza.
    « Se è questo che volete, posso andarmene subito. Mi avete accolta come una figlia ma fate presto a darmi colpe e mandarmi via senza neanche concedermi il tempo di spiegare con più tranquillità e chiarezza il tutto. Volete sapere dove sono andata? Ebbene ve lo dico! Da persone che mi hanno accolta senza giudicarmi, ma pronte a confortarmi quando il dolore mi ha invasa e fatta crollare a terra alla mercé di tutti gli sguardi avidi di cui parlavate. Ma a voi interessa solo il vostro lavoro, non è vero? È poco importante sapere come sto, cosa è veramente successo. Non starò qui un momento di più. Sono grande abbastanza da prendere le mie decisioni, per stare fuori e non essere controllata per ogni mio piccolo movimento o discorso. Ho perso un futuro marito e ora perdo una madre e il mio lavoro. Spero che sarete contenta così, Madame Le Marchande. »
In quel preciso istante sentii come del fuoco alla guancia destra. Madame mi aveva colta alla sprovvista, colpendomi al volto.
Uno schiaffo.
Mai aveva alzato mani su di me.
Quello fu davvero l’ultimo colpo che potesse infliggermi.
Senza dire parola alcuna, mi voltai, aprii la porta e sgusciai fuori.
Non mi fermai quando Madame principiò a chiamarmi e neanche quando avvertii i gemiti e lamenti di Julie. Sentii lacrime bagnarmi il volto, ma non riuscirono ad alleviare il dolore alla guancia.
Come se la fiamma riuscisse per una volta a resistere all’acqua.

Avanzai a passo spedito verso un unico posto che potevo chiamare casa, dopo la Maison.

*

Fiordaliso

    « Quattro sono gli elementi, Aria, Acqua, Terra e Fuoco; tuttavia, mai dobbiamo dimenticare che senza il quinto non possiamo raggiungere quell’equilibrio cui noi streghe aspiriamo ».
La voce di Elodie risuonava vivace, mentre mi spiegava il ramo nel quale era esperta: gli elementi, la magia, gli incantesimi.
Eravamo sedute entrambe a terra, su dei cuscini, proprio dinanzi al camino lasciato spento. Le altre erano tutte altrove. Claire si trovava nella sua stanza, Cécilie si era recata al bosco per raccogliere erbe, e Ophélie riposava tranquilla. La Gran Maestra era difficile per noi capire dove si trovasse. Poteva essere ovunque, ma mai lasciava intendere nulla. Appariva all’improvviso e poi scompariva. Quasi come una sorta di fantasma, perennemente seguito dal gatto nero.
    « Posso chiedere qual è il quinto elemento? È qualcosa di tangibile che possiamo vedere, come gli altri? » domandai, incuriosita.
Elodie scosse il capo, tornando a osservarmi con un pizzico di serietà che però cozzava con quel viso paffuto e allegro che aveva.
    « L’aria si può sfiorare e respirare, l’acqua ci ristora e purifica, la terra scivola via tra le mani ma ci dona frutti, il fuoco ci riscalda, ma può anche ferire. Tuttavia, il quinto elemento è diverso. È lo spirito che è dentro ognuno di noi. È chiamato Akasha ed è capace di controllare tutti gli elementi, che se lasciati soli potrebbero scontrarsi e provocare danni gravi ».
Aggrottai per un attimo la fronte, un pochino perplessa. Per una persona che si trovava per la prima volta a discorrere di tali argomenti era difficile comprendere e credere a tutto subito, eppure mi sforzai di farlo.
    « Vuoi dire che tutti noi abbiamo il quinto elemento nel nostro corpo? E com’è possibile utilizzarlo per mantenere l’equilibrio? »
    « Tutti, ma solo in pochi riescono realmente a comprenderlo, accettarlo e come dire… attivarlo. Bisogna chiudere gli occhi al mondo esteriore e focalizzare la nostra completa attenzione al mondo interiore. Una volta che siamo in completo rilassamento e riusciamo a intravedere il nostro io più misterioso, occorre risvegliarlo: attingere le energie presenti in ogni elemento della natura, nell’aria, nell’acqua, nel fuoco, nella terra, e farle nostre. Non è facile i primi tempi, forse ti sentirai smarrita o incapace, ma poi tutto risulterà più chiaro. Sylvie ha visto qualcosa in te, così come Ophélie. Credici! »
Mi lanciò un sorrisone, come a volermi incoraggiare. Quando si trattava di spiegare qualcosa in cui era maestra, dovevo ammettere che se la cavava benissimo.
    « Sylvie? » chiesi, titubante.
  « Oooh! Non ti è stato ancora svelato il vero nome della Gran Maestra, eh? Ebbene, è Sylvie. Però… » mi fece un gesto di avvicinarmi, per sussurrarmi qualcosa. « Ti consiglio di chiamarla Gran Maestra fino a che lei non vorrà diversamente. Mh? »
Annuii senza esitazione e ci guardammo intorno, come se ci sentissimo osservate.
    « Continuerò a chiamarla così, stanne certa », le sorrisi dolcemente, tornando a distanziarmi un poco da lei.
    « Comunque, riprendiamo! Pian piano ti sarà insegnato a controllare il tuo spirito e a entrare in perfetta armonia con gli elementi e gli spiriti delle tue Sorelle. Non avere fretta, è questo che mi hanno insegnato e ti consiglio di rispettarlo. Sai? All’inizio avevo una gran voglia di imparare tutto subito, e ho rischiato più volte di farmi male o di farne alle altre, o ancora di distruggere la nostra dimora. Sylvie non è stata molto felice di ciò, no no ». Mosse l’indice della mano destra prima in un lato e poi nell’altro, come per meglio ampliare quel no. Mi sfuggì un sorriso divertito, riuscivo a sentirmi davvero a mio agio con lei.
    « Cercherò di non fare danni allora, e di essere paziente. Be’, almeno ci provo » mi strinsi nelle spalle, e poi Elodie riprese la parola.
    « Quale elemento ti attrae di più? La leggerezza dell’aria, ispiratrice di creatività e pensieri, la stabilità e la forza della terra, la quieta acqua, culla delle emozioni, o il fuoco ardente, purificatore ma anche distruttore? »
Posai l’indice della mano destra sulle labbra, pensierosa.
    « Non mi sono mai domandata una cosa simile. Sono sempre rimasta affascinata da due elementi in particolare, senza tuttavia disprezzare gli altri. L’aria e l’acqua. Quest’ultima è così rilassante e sembra davvero purificare l’anima e riempirla di emozioni più gioiose; ma l’aria è così libera, leggera, sfuggevole. Ti accarezza il volto, a lei puoi sussurrare pensieri e lei pare rispondere… »
Elodie sorrideva divertita e m’interruppe:
    « Insomma credo che tu sappia già la risposta. L’aria e l’acqua sono affini, ma in te sembra esserci soprattutto la prima. »
    « L’aria… » dissi quasi in un sussurro. « Sì, credo che sia questo l’elemento con cui mi sento più in armonia ».
    « Penso che Sylvie non sarà così felice di avere una rivale » mi rispose, con un tono così serio che quasi ci cascai. Mi sentii avvolgere da una sferzata di vento freddo. Mi voltai, quasi impaurita dalla presenza improvvisa della Gran Maestra. Ma non c’era.
Elodie proruppe con una risata che risuonò per tutta la grande sala.
« Stavo scherzando, credulona! Siamo tutte sorelle qui. Non c’è rivalità, non ho forse detto che il nostro scopo è raggiungere l’equilibrio? »
Tirai un sospiro di sollievo e annuii.
    « Sì, perdonami. Ma mi hai spaventata davvero. Ho quasi l’impressione di non piacerle ».
Lei scosse il capo, sfoggiando poi un sorrisone.
    « Non preoccuparti, è buona. Dovete solo conoscervi meglio ».
    « E, dimmi, il tuo elemento quale è? E le altre? »
    « Oh, quell’amante della natura e delle erbe di Cécilie non può che essere Terra, così come la nostra cara Ophélie. Entrambe gentili e stabili. Claire, che è capace di divinare, è affine all’acqua. Ed io… » i suoi occhi brillarono quando aggiunse « …adoro il fuoco. »
Mi sembrò quasi di vedere realmente delle fiamme nei suoi occhi d’ambra, ma fu un lampo, prima di tornare quieta.
    « Comunque, ti do subito una dimostrazione di ciò che so e imparerai a fare. Silenzio ora. »
Mi limitai ad annuire leggermente con il capo, rimanendo in totale silenzio. Elodie socchiuse gli occhi e per un attimo sembrò divenire quasi una statua, tanto era immobile. Scrutai il suo petto, per capire se respirasse ancora, e mi tranquillizzai nel vedere il suo respiro quieto ma presente.
All’improvviso mi sembrò quasi di percepire un’aria diversa intorno a me, e dei brividi stuzzicarono la mia pelle sulle braccia appena coperte dalla tunica bianca che indossavo. Sfiorai, inconsapevolmente, il ciondolo al collo come se quella perla candida potesse donarmi un poco di coraggio.
Quando stavo per interrompere quel silenzio, preoccupata, Elodie spalancò di scatto gli occhi. Due brillanti gocce d’ambra sembravano osservarmi, vuote, o forse distanti, come se non si trovasse più lì. La sentii mormorare qualche cosa che non riuscii, tuttavia, a comprendere e poi strofinò le sue mani per tre volte tra loro, fino a scatenare una piccola fiamma che mantenne nel palmo della mano sinistra.
Spalancai gli occhi allarmata e quasi gridai, ma nel vedere sorgere un sorriso soddisfatto sul suo viso, l’urlo si bloccò in gola.
Tranquillità contro paura.
Conoscenza contro ignoranza.
« Stai tranquilla Desirée. Presto imparerai anche tu a controllare gli elementi. Il tuo in particolare ».
In quel momento non riuscii a parlare, ma speravo in cuor mio di non dover mai imparare a creare fiamme semplicemente dalle mie mani.



*



Verbena

    « Cécilie potresti spiegarmi com’è fatta la pianta che mi hai citato? »
Ci trovavamo proprio al centro del bosco, molto lontane dalla radura dove amavo rimanere sola fino a pochi giorni prima, ma che ora era fonte di ricordi piacevoli che cozzavano con la dura realtà. Non avevo ormai più sentito Flaviano dal giorno della nostra furiosa lite e ormai erano passate due settimane. Mi mancava profondamente, ma ero troppo orgogliosa per tornare indietro, o forse avevo anche paura di essere rifiutata e che la nostra storia e possibilità di un futuro matrimonio fossero svanite del tutto. Non sentivo da tempo neanche Madame e le altre artigiane. Ormai vivevo con le streghe e da loro apprendevo un giorno dopo l’altro quanto c’era da sapere.
Quella nuova vita mi entusiasmava. Era così interessante apprendere cose nuove! No, al momento non volevo tornare indietro. Ero ancora troppo ferita e le mie sorelle erano per me una cura.
    « Ma certo, Desirée, te lo spiego subito ».
Fermò il suo passo sicuro e mi guardò, donandomi un lieto sorriso.
« In verità, dobbiamo trovare diverse erbe, per questo ho scelto il mattino presto per venire qui. Avremo un’intera giornata di attività, ma non pensi che sia splendido quello che la Dea ci offre? Guardati intorno, sorella mia ».
    « Sì, è un incanto essere qui. Ammetto che di notte il bosco mi provoca paure, ma di giorno sembra di vivere quasi una magia » sospirai, guardandomi intorno. Un soffio d’aria sfiorò i miei capelli ed io socchiusi gli occhi come ad assaporare quella sorta di carezza.
    « Dobbiamo cercare rosmarino, lavanda, menta e frassino, per quest’oggi. Conosci queste erbe? Sai come sono fatte o quale tra queste ti turba? »
    « Sono a conoscenza del rosmarino, adoro il profumo della lavanda e della menta, ma quale tra questi alberi è il frassino? Mi rammarico della mia ignoranza, ma non so distinguerli molto » abbassai lo sguardo, mentre le gote si tinsero di rosso.
La risata soave di Cécilie mi colse, mentre sentii la sua mano sul mio viso. Una vera carezza tra amiche. La guardai, inclinando un poco il capo, come a bearmi di quel gesto.
    « Non devi aver paura di confessare le cose che non sai, sorella. Non hai mai studiato come me l’importanza di ogni erba che la natura ci offre, le proprietà e i loro scopi curativi ma anche magici, oltre che tossici. Ma sono qui per questo. Per aiutarti a comprendere ».
Quella donna era la dolcezza fatta a persona. Sfiorai appena la sua mano, ancora posata sulla mia gota, poi tornammo a camminare tranquille e lei riprese:
    « Il frassino è un albero molto alto, con una chioma allungata, quasi a formare una sorta di cupola. La corteccia è grigio-verdastra, liscia nelle piante giovani, più rugosa in quelle più anziane, ma non è un problema questo, vanno bene entrambe ». Fece una breve pausa, riflettendo per qualche istante, e poi aggiunse, « i rami sono rivolti per lo più verso l’alto, ma altri ricadono verso il basso, anche se sono radi, ma speriamo di trovarne alcuni per facilitare il nostro lavoro » rise un poco. « Ha foglie particolari, formate da sette o nove foglioline ovali con margini seghettati dal colore verde intenso nella parte superiore, mentre più chiaro in quella inferiore. Ah già, c’è anche da dire che essendo primavera inoltrata, potremmo essere fortunate e vedere i fiori, che hanno una colorazione porpora. Credi che ti sia più facile, o è complicato ciò che ho detto? Non avere alcun timore se non sono stata chiara ».
Scossi appena il capo e presi parola:
    « Direi che è una spiegazione completa in ogni sua parte, ti ringrazio. Allora, non ci resta che osservare meglio la natura e trovare quel che è richiesto » le sorrisi, e tenendo con una mano una cesta di vimini, iniziai a inoltrarmi tra alberi e arbusti alla ricerca di quelle piante.

    Non fu complicato trovare la lavanda, il suo profumo era inconfondibile e mi estasiava. Ero solita metterne alcune gocce, quando mi recavo ai miei incontri quasi segreti con Flaviano.
Non mi concessi di pensare a lui, non volevo rattristarmi e chiudermi a riccio, proprio durante una lezione importante. Scossi il capo e mi avvicinai alla pianta. Prima di chinarmi decisi di informare anche Cécilie della mia scoperta.
    « Cécilie ho trovato la lavanda! Vieni a vedere!»
    « Arrivo subito, chère ».
Sentivo i suoi passi e nell’attesa decisi di iniziare a cogliere qualcosa, ma la voce di Cécilie tuonò all’improvviso, spingendomi a fare un balzo, ritrovandomi a terra.
    « NO! »
Mi massaggiai la parte indolenzita e guardai confusa l’erborista. Lei si chinò al mio fianco.
    « Scusa se ho urlato, doucer, e se ti ho spaventata, ma le erbe non si colgono solo con le mani. Serve questo ». Estrasse dalla corda che cingeva la sua vita, una sorta di falcetto dal manico bianco, poi aggiunse, « bisogna mormorare parole di ringraziamento alla Grande Madre e alla pianta che ci concede il suo dono e poi tagliare tutto con delicatezza. »
Ero decisamente turbata da quella spiegazione per me incomprensibile. Avevo sempre rispettato e cercato di non far male agli animali, ma mi lasciava perplessa il pensiero di conversare e ringraziare una pianta.
Cécilie non sembrò far caso al mio sguardo perplesso, ma dedicò la sua più completa attenzione alla pianta che teneva leggermente tra le dita come se non volesse ferirla e disse:
    « Piccola pianta di lavanda, noi chiediamo che tu ci conceda il tuo dono, affinché possa aiutarci nel nostro lavoro. Cresci rinvigorita dal nostro taglio, più forte e più potente! » si fermò per un attimo e poi la vidi socchiudere gli occhi per qualche istante, come in preghiera. « Grande Madre ti ringraziamo per quello che ora ci offri! »
Riaprì gli occhi e con un taglio netto le piante di lavanda scivolarono tra le sue mani e poi nella cesta, in un gesto abitudinario ed esperto.
Rimasi incanta nell’osservare con quanto amore esercitava il suo ruolo, quel suo lavoro, e per un attimo sentii la mancanza del mio. Tuttavia, iniziai ad aiutarla.

    Nelle ore successive riuscimmo a trovare anche la menta e il rosmarino. Erano piante piuttosto comuni e semplici da riconoscere. Osservavo ogni cosa come se per la prima volta vedessi davvero tutto quel mondo creato dalla Dea e dal Dio suo sposo. In verità questo concetto ancora non l’avevo fatto mio, avendo creduto unicamente in un solo Dio, e l’unica donna che pregavo era la Vergine Maria, però presto avrei porto le mie domande. C’era tempo per ogni cosa.
Cécilie m’indicò le erbe da evitare, in quanto tossiche, e notai la sua perfetta conoscenza di quel bosco. Camminava sicura, evitando ogni pericolo. Io a confronto mi sentivo impacciata e più d’una volta mi ferii lievemente, ma per mia fortuna quella candida tunica non era come uno dei miei abiti pomposi, ma lasciava ampia libertà di movimento.
Nell’attimo in cui stavamo tagliando l’ennesima fogliolina di menta, mi sorse una domanda:
    « Cécilie posso farti una domanda? »
Lei non sollevò il viso, così presa dal suo lavoro, tuttavia rispose:
    « Certo che puoi, che cosa vuoi sapere? »
     « Ho notato che c’è una differenza tra questo falcetto e il pugnale usato dalla Gran Maestra alla mia cerimonia d’iniziazione. Posso comprendere il motivo per cui in quell’occasione è stato utilizzato un pugnale dal manico nero e ora uno dal manico bianco? »
    « Be’, è molto semplice ma chère. Il coltello che hai visto all’iniziazione è chiamato Athamé, ed è sacro. È utilizzato soprattutto nelle cerimonie e nei riti, per tracciare il cerchio o il pentacolo, o altri simboli magici. Mai si deve fare un uso diverso, mai adoperarlo per ferire qualcuno. È gravissimo se una goccia di sangue cadesse sulla sua lama, perché il coltello perderebbe tutto il suo potere. »
    « Che genere di potere ha? » chiesi, interrompendola.
    « L’Athamé è capace di controllare gli influssi negativi e bilanciare l’energia, attirando quelle energie positive che possono permetterci di creare al meglio un rito o un incantesimo. Ha il manico di quel colore, perché il nero è l’essenza del colore piuttosto che un colore in sé, e riesce proprio a effettuare quanto ti ho spiegato ».
    « Capisco… mentre questo falcetto? »
    « Viene chiamato Bolline, e ha il manico bianco per distinguerlo appunto dall’Athamé. Ha la lama ricurva e affilata, per essere quindi in grado di scalfire il legno e le piante, al fine della raccolta delle erbe, ma anche per la creazione delle rune. »
    « Le rune? Che cosa sono? » domandai, incuriosita, ma la vidi ridacchiare divertita, e ciò mi spinse ad arrossire.
    « Sei piena di domande e questo ti porterà ad essere una grande strega, ne sono sicura. Ma per le rune non sta a me spiegare ». Raccolta l’ultima fogliolina, si rialzò e mi spinse a fare altrettanto. « L’ultima ricerca e per oggi abbiamo finito. Il Frassino ci aspetta! » così dicendo, prese quasi a saltellare. Rimasi notevolmente spiazzata dalla sua energia infinita, mentre io cominciavo a sentire la stanchezza, ma presi a seguirla prima di perderla e perdermi a mia volta in quel bosco che appariva infinito e denso di misteri da scoprire.


    « A cosa ci serviranno tutte queste erbe? » domandai in un attimo di silenzio, mentre raccoglievamo tranquille le foglie e anche qualche rametto e fiore di frassino. Cécilie, in verità, era salita su un ramo più grande, incurante della possibilità di cadere e farsi male. Dopo i primi tentativi per farla scendere, smisi comprendendo che forse era ormai esperta anche in quello. Io rimasi a terra, prendendo quelle foglie che potevo raggiungere grazie ai rami che si propendevano verso il basso.
    « Oh, per molte, molte cose. L’utilizzo di queste erbe è, infatti, molto vario. Si possono ottenere semplici decotti o infusi per la salute o per scopi puramente magici; si possono creare profumi e oli vari, o bastoncini d’incenso utili a purificare stanze o per la divinazione. Possiamo anche creare sacchetti nei quali andremo a raccogliere diverse erbe, secondo lo scopo che vogliamo avere; insomma, davvero una miriade di cose! » esclamò allegra, mentre i suoi occhi si facevano luminosi.
Io sorrisi e feci tesoro di tutte quelle informazioni.
    « Sarei curiosa di creare con te qualcosa ».
    « Ma lo faremo presto, ma douce soeur! T’insegnerò tutto quello che so, e sono certa che diventerai abilissima nell’uso di ogni genere di erba » mi sorrise dolcemente, prima di saltare giù, come se fosse la cosa più facile del mondo, e tornò a guardarmi. « Per oggi possono bastare. Ora vieni con me, conosco un posto dove trovare frutta succosa per ristorarci! »
Annuii e il mio stomaco con me, facendoci ridere di gusto, e poi fianco a fianco ci inoltrammo ancora una volta tra quegli alberi, cespugli e fiori, per raggiungere il luogo da lei citato.















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E si entra un poco nel mondo delle streghe :) Spero che il capitolo sia interessante e ripeto che tutto ciò che concerne la magia l'ho trovato sul web e su libri sulle erbe che avevo in casa, quindi spero di non aver fatto eventuali "errori".


Grazie a chi legge e ha inserito la mia storia tra le preferite, ricordate e seguite. Grazie a chi recensisce e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate :)

A presto!

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Capitolo 14
*** XIII - Lezioni (seconda parte) ***


XIII
 Lezioni
(seconda parte)







Papavero


    La stanza da letto di Claire era leggermente illuminata dalla fievole luce di alcune candele bianche poste su un tavolino accanto al letto. Mi aveva condotta lì per stare raccolte e sole in modo da comprendere i misteri della divinazione, ramo in cui era esperta.
Con curiosità osservai ogni spazio e arredo. Era tutto modesto e semplice. Le murature di roccia ci accoglievano come all’interno di una nicchia, da dove solo una piccola finestra si apriva per lasciare filtrare i tiepidi raggi della luna. Oltre al letto e al tavolino, c’era una cassapanca, dove probabilmente lasciava il suo guardaroba, e dei cuscini; tuttavia non appariva troppo spoglia. Candele, amuleti, pietre, carte e bacinelle riempivano gli spazi lasciati vuoti, e in tutto ciò dominava il colore viola che si rifletteva, del resto, anche nella sua tunica.
Eravamo adagiate su due cuscini ed io attendevo, trepidante, di conoscere qualcosa di più su quel campo che mi affascinava, ma incuteva paura nel medesimo tempo.
Claire mi sorrise leggermente, e poi inclinò il capo di lato.
    « Sembri preoccupata. La mia lezione forse ti spaventa? » domandò con voce delicata.
    « Devo ammettere che m’incuriosisce ma m’intimorisce un poco… »
Claire mi osservò, non convinta della mia risposta, ed io arrossii.
    « Be’, va bene, non solo un poco, ma moltissimo ».
Abbassai lo sguardo. Avevo ormai compreso che era difficile mentire di fronte alle streghe, ma soprattutto a chi aveva una più alta conoscenza della magia, come Claire, Sylvie e Ophélie.
    « Effettivamente questo ramo della magia è vasto e anche complicato. Non tutti sono realmente capaci di apprenderlo. Ci vuole tempo e tenacia. Ci vuole coraggio, perché è facile perdersi in altri mondi e correre il rischio di non tornare più indietro ».
Parlava in modo enigmatico, facendomi quasi rabbrividire, eppure una parte di me era desiderosa di andare avanti e forse un giorno arrivare a quella conoscenza.
Claire fece scivolare il suo sguardo verso una ciotola colma d’acqua, delle carte dalle strane figure, e un sacchetto nero. Vi erano anche pietre di diverso colore, che colpirono subito la mia attenzione. In particolare prediligevo le sfumature rosate.
    « La divinazione ha diverse vie. Possiamo semplicemente leggere le linee della mano, per comprendere il carattere e la vita di una persona », sfiorò leggermente una mano con l’altra, perdendosi quasi in un mondo tutto suo, come se parlasse a se stessa, « o possiamo usare le carte, in particolare, i trionfi. Essi non sono un mero gioco, ma un modo per leggere il passato, il presente e il futuro della persona che ce lo chiede, o anche il nostro. Possono apparire di difficile comprensione, perché ogni carta racchiude un significato profondo, un simbolo particolare; è come se fossero tante finestre che si affacciano su un altro mondo e che noi dobbiamo imparare a leggere e interpretare » sfiorò appena le carte, sospirando.
Rimasi perfettamente in silenzio, avendo quasi la paura di respirare. Sentirla parlare, osservare quegli apparenti semplici gesti, m’infondeva un senso di puro rispetto. Scivolai con lo sguardo verso le carte, curiosa di saperne di più, ma attesi, come se sentissi che quello non era il momento di porre domande.
    « Un altro metodo per osservare ciò che è accaduto o potrà accadere in futuro, è quello dell’acqua ». Si bloccò per un attimo e le sue dita affusolate sfiorarono la superficie dell’acqua nella bacinella. Vidi i suoi occhi illuminarsi, e ricordai quanto Claire fosse affine a quell’elemento. Le mie labbra si distesero in un sorriso al pensiero, ma ancora tacqui.  « È forse il metodo più difficile, quello che desta una maggiore preoccupazione. Il mondo tra i mondi… le immagini distorte… possono portare alla pazzia, hai bisogno di un appiglio stretto per tornare indietro, a casa, nel tuo mondo ». La sua voce divenne quasi un sussurro, mentre notai il suo volto farsi pallido. Istintivamente le sfiorai la mano che non era immersa nell’acqua, e cercai di “ridestarla”. Dopo qualche istante, lei spalancò gli occhi, guardandomi come impazzita, ma poi la vidi sorridere e rilassarsi. « Ti chiedo di perdonarmi, Desirée, spesso mi perdo nella mia spiegazione ».
    « Non preoccuparti… » mormorai per tranquillizzarla e, dopo averle sfiorato di nuovo la mano, ritirai la mia.
    « Comunque non useremo nessuno dei metodi finora analizzati. Ci sarà tempo di conoscerli in maniera profonda più avanti, oggi vorrei parlarti delle rune. Ne hai mai sentito parlare? »
    « Cécilie mi ha solo detto che con il Bolline si possono incidere anche le rune, ma cosa sono? » domandai.
    « Le rune sono un altro metodo per interrogarci sulla nostra vita e le nostre azioni. Possono essere delle pietre di diversi colori, ma più sovente sono di legno, come quelle che abbiamo nella nostra Congrega ». Prese il sacchetto nero tra le mani, e poi proseguì. « Esse sono il linguaggio segreto del mondo e il loro significato equivale, infatti, a segreto o sussurrare. Una volta incisi i ventiquattro segni sulle rune e purificate, vengono custodite in un sacchetto nero, come questo » lo sfiorò appena, ed io annuii. « Possono essere utilizzate anche come semplici talismani a seconda del problema che ci affligge o della protezione che vogliamo avere, ma oggi è mia intenzione mostrarti come si interpretano attraverso la divinazione ».
I miei occhi indugiarono sul sacchetto scuro, desiderosa di comprendere come fossero fatte e soprattutto il significato dei vari segni.
    « Inizieremo dal metodo più semplice. Quello che ti chiedo è di tenere il sacchetto tra le tue mani per qualche istante, per darmi modo di prepararmi ».
    « Certo! »
Presi il sacchetto tra le mie mani e lo sfiorai con attenzione, quasi fosse una reliquia, ma tornai ben presto a donare attenzione alla strega.
Claire, infatti, aveva preso un bastoncino fatto di erbe e posto all’interno di una sorta di piccola ciotola allungata. La vidi concentrarsi, proprio come aveva fatto Elodie nella mia prima lezione, socchiudere gli occhi e mormorare parole. D’un tratto spalancò gli occhi e strofinò le mani tra di loro, per poi soffiarvi dentro. Una piccola fiamma tendente al violaceo comparve tra le sue mani e di essa si servì per bruciare il bastoncino.
La osservai con le labbra spalancate, fino a quando un odore strano ma piacevole si diffuse nella stanza. Sapeva di fumo sì, ma profumato di erbe. Socchiusi gli occhi per aspirarlo un poco e mi parve di sentire odore di violetta e prezzemolo. Strana accoppiata, alla quale però sicuramente le streghe, soprattutto Cécilie, avrebbero dato una risposta.
    « Bene, ora ti chiedo di fare silenzio. Rilassati completamente, aspira l’odore dell’incenso e lasciati andare. Non deve esserci tensione, né pensiero alcuno. Potrà sembrare difficile, ma ti chiedo di impegnarti, altrimenti sarà difficile fare un’adeguata divinazione ».
    « Farò del mio meglio ».
  « Ne sono sicura. Ora, stringi a te il sacchetto, avverti l’energia che le rune sprigionano tra le tue mani, e pensa a una domanda che t’interessa in particolare. Quando sarai pronta, estraine una sola. Lascia che sia lei ad attrarti, ascolta il suo richiamo e quando l’avrai trovata, mostramela ed io ti spiegherò il suo responso ».
Mi limitai ad annuire di nuovo, cercando di iniziare subito a rilassarmi e raggiungere la perfetta concentrazione. Per agevolarla, socchiusi gli occhi e cercai di entrare in quel mondo, nel quale mi rifugiavo sin dall’infanzia. Tentai di allontanare da me ogni pensiero, ogni paura, ogni tristezza, e anche quel pensiero d’inadeguatezza per ciò che stavo facendo. Non era effettivamente facile non pensare, ma dovevo concentrarmi unicamente sulla domanda e sulle rune.
Aspirai più profondamente l’odore d’incenso, che sembrò aiutarmi. Mi sentii fremere, mentre la testa sembrava farsi più leggera. Nella mia mente iniziò a comparire la domanda cui dovevo dare una risposta. Fu proprio in quel momento che aprii il sacchetto e v’introdussi la mano destra. Iniziai a sfiorare le varie rune, con calma, cercando quella giusta, quella che poteva adeguatamente rispondere, quella che mi chiamava. D’un tratto la mia mano si fermò, quasi come se una forza sconosciuta la guidasse. Strinsi la runa e la estrassi, e solo in quel momento tornai ad aprire gli occhi e la mostrai a Claire.
Avevo la testa confusa, ma una strana energia, simile ad adrenalina, mi avviluppava il corpo. Eppure, volevo sapere la risposta.
Claire analizzò con cura la runa. Vi era inciso uno strano simbolo che io non riuscivo a comprendere. Sembrava una sorta di lettera dell’alfabeto, forse una “z” al contrario, o una “s” stilizzata e ruvida.
Poi la sentii mormorare il suo nome:
    « Eihwaz. Non so quale fosse la tua domanda, ma forse posso comprenderla. Tuttavia la risposta è positiva. Questa runa ti spinge a rialzarti dalla tua caduta e ricominciare da capo. È influenzata dalla luna, la Grande Madre che veneriamo, e ti dà la forza per superare le avversità e le depressioni e trionfare ».
Mi ritrovai a sorridere estasiata da quella sensazione e anche dalla risposta. Così confusa, non compresi appieno il motivo che invece doveva darmi immensa gioia.
    « Sarebbe meraviglioso… che Eihwaz mi aiuti davvero » dissi quasi in un sussurro.
    « Ti aiuterà, devi crederci. Ora però, dovresti riposare. Abbiamo usato il metodo più semplice, ma è stata la tua prima volta e non è facile gestire quel flusso di energia. Vieni con me, Desirée, ti conduco alla tua stanza ».
Mi alzai e, aiutata da lei, tornai nella mia piccola stanza per riposare.



*



Menta

    « Ophélie posso porti una domanda? »
    « Tutte quelle che vuoi, Rosa Bianca… »
    « Angé… Madame mi ha detto che sei stata tu ad aiutare mia madre a mettermi al mondo… è la verità? »
    « Evelyne… » sussurrò debolmente, « la ricordo ancora ora. Era così gracile ma determinata ad averti… ti amava già prima di vederti ».
Sentii le lacrime affiorarmi sugli occhi a quelle parole. Mia madre mi amava da sempre ed ero certa che anche per mio padre era lo stesso. Ero perfettamente consapevole che, sfortunatamente, non tutte le donne erano ben predisposte ad avere figli. Molte li perdevano presto, altre li mettevano al mondo unicamente per aiutarli nei lavori. Io ero fortunata. I miei mi avevano messo al mondo per amore e avevano donato la loro vita per proteggermi.
    Ero seduta a terra, su un cuscino, proprio accanto alla sedia di legno su cui era assisa l’anziana strega. Cercavo di starle vicina, ma non osavo sfiorarla. Ero ancora nuova nel gruppo, anche se ben presto tutte loro erano diventate come sorelle, eccetto Sylvie, la Gran Maestra, che vedevo unicamente di sfuggita insieme all’inquietante gatto nero.
Ophélie fissava il caminetto spento dinanzi a sé. Il suo sguardo chiaro e spento sembrava perdersi in mondi lontani, eppure con la mente ascoltava ogni mio sussurro e forse pensiero. Non vedeva bene e la sua pelle grinzosa denotava la sua veneranda età, eppure mi sembrava di avvertire un’energia impetuosa in lei.
    « Mi amavano molto… entrambi. Hanno fatto di tutto per proteggermi… » riuscii a mormorare prima che la voce mi si spezzasse in gola.
    « Non impedire alle lacrime di scendere, non sono mai un errore. L’acqua allevia tutti i mali ». Si fermò per un attimo e sentii d’un tratto la sua mano ruvida fendere l’aria alla ricerca del mio capo. L’agevolai, chinandomi verso di lei a sfiorare quasi le sue ginocchia coperte da una calda coperta, nonostante le temperature piacevoli della primavera inoltrata. Avvertii le sue dita scivolare tra i miei boccoli, morbidi movimenti che sembravano voler rilassare. In quel momento provai qualcosa di strano: come se quella barriera che tentavo di imporre alle mie lacrime, fosse logorata dall’acqua e calde lacrime si riversarono sul mio viso. « So che ti mancano molto. Non li ho potuti conoscere molto, ma il sorriso di Evelyne nel scorgere il tuo piccolo corpicino di neonata è ancora qui, davanti ai miei occhi. Un fascio di luce che allevia il buio che ormai mi avvolge. Piangi, bambina, e non impedire a barriera alcuna di lasciare scorrere l’acqua… »
Le sue parole roche aumentavano l’intensità dei miei sentimenti. Il mio corpo fu scosso da singhiozzi e, quasi inconsapevolmente, mi ritrovai col viso sulle sue gambe, come una bambina desiderosa della protezione di una persona amica.


    Quando riuscii a riprendermi un poco, mi accorsi di stare meglio. Quelle emozioni non erano facili da gestire, ma spesso piangere aiutava a chetare i pensieri e un blocco opprimente nel petto.
    « Ti senti meglio, Rosa Bianca? »
    « Sì… ti ringrazio, davvero. Ne avevo il bisogno… » risposi, portando un’ampia manica della tunica bianca a detergere il mio viso.
    « Lo sentivo, bambina, ma non devi ringraziarmi. Lasciati andare e non frenarti troppo ».
Annuii con un leggero gemito e sollevai il capo, guardandomi intorno. La grande sala era ancora vuota. Eravamo le uniche presenti, ma era meglio così. Comprendevo le parole di Ophélie ma non volevo piangere dinanzi a tutte.
    « Ophélie? »
    « Sì? »
    « Non vorrei essere indiscreta, ma potresti spiegarmi il motivo per cui ci chiami tutte con il nome di un fiore diverso? »
Il suo fragile corpo fu scosso da una risata roca, che la spinse poi a tossire un poco. Quando si riprese, puntò quegli occhi pallidi e spenti verso di me e disse:
    « Ho sempre amato i fiori, hanno profumi che incantano e colori che rallegrano il cuore. Non trovi? »
    « Sì, sono meravigliosi… » concordai, lasciandole quindi modo di proseguire, tanta era la mia curiosità.
    « Fin da giovane, ah, quanti anni or sono ormai… » sospirò « cosa stavo dicendo? Ah sì! Amavo donare agli altri il nome di un fiore, secondo le loro specifiche caratteristiche. Questa passione non è mai cessata. Inizialmente vedevano in me una ragazza folle, preda delle sciocchezze anziché del lavoro e cose più serie ». Arricciò le labbra sottili e sormontate da rughe, « ma erano loro a non capire! » sbuffò, spazientita, ma poi continuò, mentre in me saliva l’ansia dovuta alla curiosità incessante. « Così quando abbiamo formato questa congrega, ho continuato a farlo. Ognuna di voi ha un diverso nome di un fiore, perché ha certe caratteristiche che lo ricordano ».
    « Oh, capisco. È interessante ciò che dici. Come mai a me associ proprio la rosa bianca? » chiesi, ancora.
Ophélie trasse un profondo respiro e tornò a fissare il vuoto dinanzi a sé, prima di dire, quasi come se ripetesse qualcosa che ricordasse o avesse appreso da qualche tempo immemore:
    « La rosa bianca è simbolo di amore puro, candore, purezza d’animo e sentimento, innocenza, fedeltà, silenzio… è come un piccolo scrigno segreto, da scoprire lentamente, senza forzarlo, perché altrimenti potrebbe infrangersi. Essa è anche il riflesso dell’amore più forte della morte » fece una pausa, e poi tornò a donarmi attenzione. « Per queste ragioni ti affianco a un tale, nobile, fiore. Per me hai tutte queste caratteristiche, che ti rendono speciale. Come ognuno di noi ha particolarità ben precise che ci rendono speciali in modo diverso ».
Rimasi decisamente senza parole, incapace di formulare pensieri sensati. Mi ripetevo mentalmente quegli aggettivi che mi aveva rivolto, e sentii le mie gote accendersi piena d’imbarazzo. Mi sentii lusingata da un tale apprezzamento e le sfiorai leggermente la mano, per farle capire più con i gesti che con le parole l’affetto che iniziavo sempre più a provare per lei e il mio muto ringraziamento.
    « E le altre? Quali sono i significati dei loro fiori? » domandai non ancora sazia di risposte.
    « A Claire associo il papavero, considerato come il paladino dei sogni premonitori e delle sorprese. Alla dolce Cécilie è adatta la Verbena, per la sua purezza d’animo e d’intenti e le sue virtù medicinali. Per la piccola e allegra Elodie come non parlare del Fiordaliso, l’erba degli incantesimi, simbolo di felicità e leggerezza » si bloccò un attimo e la sua espressione si fece un poco più seria. « Infine, a colei alla quale ho donato per prima il mio cuore e il mio sapere, non posso non donare la Fresia. Non è un fiore conosciuto, in molti lo ignorano o non sanno neanche com’è fatto, per tal motivo è simbolo di mistero e fascino per l’arcano. Perfetto fiore per colei che di questa Congrega è Gran Maestra ».
Provai a immaginare tutti i fiori da lei descritti, associandone le caratteristiche alle sorelle dell’ordine ed effettivamente non potevo non concordare con lei, in modo particolare per la Gran Maestra, colei che più delle altre rappresentava ancora un mistero per me. Così fredda all’apparenza, così distante, e ancora riusciva a destare un poco di paura nel mio cuore.
La voce di Ophélie, tuttavia, mi distolse di nuovo ben presto dai miei pensieri.
    « Se ora hai terminato con la tua notevole curiosità, Rosa Bianca, ho un consiglio per te ».
    « Sono pronta ad ascoltarti… »
    « Non lasciare che odio e rabbia accechino il tuo cuore e ti impediscano di riportare alla mente i ricordi piacevoli e la vera natura dei sentimenti delle persone che ami e ti amano. Torna presto alla Maison. Angélique sarà pronta ad accoglierti di nuovo ».
Quelle parole riuscirono a turbarmi. Avevo tentato di non pensare a Madame, e ora la rabbia insieme alla tristezza tornarono ad albergare nel mio cuore.
    « Non credo che mi voglia ancora, e poi sto bene qui » risposi, freddamente.
Ophélie percepì forse il mio stato d’animo e altro non disse.


*

Fresia

    Il piccolo lago era immobile sotto lo sguardo narcisista dello spicchio di luna che vi si rifletteva. Quella notte era fresca e rabbrividii un poco al di sotto del nero mantello che andava a coprire la mia tunica bianca. Ma non erano solo le temperature a causarmi fastidio, ma anche le paure scaturite dal buio e dalla possibile presenza di minacce, da parte di uomini o animali, che potevano apparire all’improvviso in quel luogo proprio al centro del bosco. Recondito sì, ma anche per questo non sicuro, almeno ai miei occhi.
La Gran Maestra era immobile dinanzi alla distesa d’acqua. Di lei era appena percepibile la pelle lattea, tra l’immensa oscurità delle sue vesti e dei suoi lunghi capelli lasciati sciolti.
Non sapevo il motivo per cui mi aveva condotta lì, soprattutto senza le altre. Non potevo nascondere il timore che m’incuteva, seppur nella sua apparente piccola e fragile presenza.
    « Avete imparato le prime nozioni sugli elementi, sulle erbe e sulla divinazione » esordì, senza tuttavia rivolgermi lo sguardo, « e Ophélie vi avrà senza dubbio spiegato il perché dei nostri nomi floreali ».
Era l’unica ancora a darmi del voi, quando le altre ormai erano abituate a considerarmi già una sorella. La cosa mi turbava.
Tuttavia, schiarii la voce e annuii:
    « Sì, Gran Maestra. E ho trovato tutto molto interessante, anche se… »
  « … Non è facile per voi comprendere il nostro sapere » concluse lei, interrompendo senza troppe scuse le mie parole. Io trattenni l’impulso di reagire male e mi limitai ad annuire di nuovo.
    « Per una novizia cresciuta secondo un certo credo, non lo è. Come poter credere realmente che un umile essere umano possa controllare gli elementi, o comprendere che dietro ad ogni foglia, fiore o pianta si nascondano tanti significati e usi curativi, nonché magici? » si bloccò un attimo e feci per ribattere, ma lei mi precedette. « Ancora più pauroso deve essere leggere gli eventi del passato, presente e futuro, da una carta, una runa o ancor peggio dalle acque. Non è così? »
    « Le vostre parole sono veritiere, ma non comprendo dove volete arrivare con il vostro discorso. Io…»
Di nuovo fui interrotta da lei. Iniziò a ridere, come a prendersi gioco di me, ed io mi accesi d’irritazione. Cercai, però, di trattenermi non volendo distruggere anche quel rapporto. Non volevo perdere di nuovo qualcuno che mi aveva accolta. Un’altra famiglia. Respirai a fondo e la lasciai proseguire.
    « Non importa. In verità mi sto ancora chiedendo se siete veramente degna di far parte della Congrega del Salice ».
Spalancai gli occhi sorpresa e incredula a quel dire.
    « Perché dite questo? Quando vi ho dato modo, in questi giorni, di non essere degna? Sylvie in cosa ho sbagliato? »
La mia voce si fece acuta e lamentosa, ma poi rimasi completamente in silenzio quando lei si voltò e mi fulminò con i suoi grandi e intensi occhi di un blu molto scuro.
    « Avete sbagliato a credere di potervi rivolgere a me con quel nome. Io sono la Gran Maestra e solo così avete il permesso di chiamarmi. Sylvie è un nome che non deve uscire dalle vostre labbra, fino a che non lo vorrò io e non vi reputerò degna di essere una mia sorella ».
Tagliente, fredda, autoritaria. Le sue parole mi penetrarono nel petto come tante lame affilate e sembrò sollevarsi un vento improvviso, gelido come il ghiaccio, che mi sferzò il viso. Portai le mani a sfiorare le gote e quasi indietreggiai nel vedere quella figura minuta, apparire quasi più grande e imperiosa, anche se era frutto solo della mia immaginazione.
« Mi… mi dispiace. Io non volevo mancarvi di rispetto. Vi prego di perdonarmi, Gran Maestra. Non lo farò più, credetemi. Non voglio infrangere le vostre regole, voglio impegnarmi a fondo e fare in modo di essere degna di voi ».
Quasi balbettai nel proferire le mie scuse. Il vento gelido sembrava provenire da lei stessa, e s’insinuava con prepotenza sotto il mio mantello, spirali di ghiaccio che mi ferivano, spingendomi a rabbrividire. Tuttavia non si lasciò bloccare dalle mie scuse, come se non le bastassero, come se anche lei non fosse capace di gestire le sue emozioni. Una rabbia impetuosa sembrava sgorgare dal suo sguardo, che anche in quel frangente palesava un’insolita malinconia che non riuscivo a spiegarmi.
    « V-vi prego Gran Maestra, smettetela… così mi fate male! » strillai, prima di piegarmi su me stessa, come nel vano scopo di proteggermi da quella forza che non riuscivo a parare. Sentivo un freddo indescrivibile, e non riuscivo a bloccarla. « Placate la vostra collera, non volevo fare nulla di male… »
D’un tratto il vento sembrò affievolirsi, diventando come una muta carezza e poi si spense. Cercai di respirare un’aria più piacevole e, quando sollevai lo sguardo su di lei, mi accorsi che sembrava incredula, turbata, quasi triste.
Come se in quel momento non mi vedesse, immaginasse altro o finalmente fosse consapevole di ciò che mi stava causando.
    « Io… » si bloccò come per rimettere a posto i pensieri. « Noi streghe non siamo solite fare questo, ma non amo chi si arroga il diritto di pronunciare il mio nome senza permesso ».
Strinsi di più il mantello ad avvolgermi il corpo, cercando di scaldarmi un poco e abbassai lo sguardo. Non riuscivo a guardarla né a comprendere come potesse farmi del male, dopo che lei stessa aveva detto che le streghe non erano dei mostri capaci di infliggere dolore. Non risposi nulla. Forse attendevo le sue scuse, ma era una vana attesa.
    « Elodie mi aveva riferito che il vostro elemento è l’Aria, ma non sembrate averla accolta molto bene. Volevo mettervi alla prova, ma ammetto che è troppo presto per voi apprendere come muoverla al vostro volere ».
Rialzai lo sguardo verso di lei. Era tornata come prima: misteriosa, fredda, distante e con uno strano odio o disprezzo nei miei confronti. Non riuscivo a comprenderla. Avrei voluto porre tante domande, ma decisi di rimanere in perfetto silenzio. Non volevo subire altro.
Fu lei quindi a rompere di nuovo il silenzio.
    « È meglio tornare a casa. Un giorno, forse, vi spiegherò come manipolare il vostro elemento. Alle vostre domande risponderò quando sarà giunto il momento ».
Fissò ancora il lago e sollevò le mani. Con quel semplice gesto, la superficie dell’acqua s’increspò. Sembrò vibrare, come se volesse donarle il suo saluto.
Rimasi a contemplare il suo fare poi, quando lei riprese la strada del ritorno, la seguii silenziosa ma piena di domande e anche con un maggior timore di lei.





















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Ecco un altro capitolo che ci lascia conoscere un poco di più le streghe e le loro abilità. Forse sto andando un po' lentamente, ma mi preme far conoscere ogni personaggio e ogni aspetto della storia. C'è ancora tanto da dire, e gli aspetti soprannaturali sono legati soprattutto alla magia, appunto, e ad altro che ancora non svelo. Spero di aver scritto tutto in maniera adeguata, e ricordo che sulla divinzione e i significati dei fiori mi sono attenuta a informazioni prese dal web, più un poco di fantasia personale. Non è mio volere offendere nessuno, anzi sono affascinata dai vari strumenti divinatori e chissà che un giorno non li conoscerò in maniera più approfondita. :)


Grazie per aver letto :)

ps. Non so se riuscirò ad aggiornare di nuovo prima di natale. In caso contrario, vi anticipo già i miei auguri di passare un sereno Natale! :D





Note:
* Trionfi = Tarocchi. Ho letto che anticamente i tarocchi erano chiamati proprio Trionfi.
* EIHWAZ: Albero cosmico, scoprire qualcosa di celato nella terra, resurrezione, capacità di combattere i cattivi spiriti.
Runa coniugale
Rappresenta l'unione, i matrimoni e la fedeltà.
Rialzatevi e ricominciate da capo. Grazie alla sua influenza lunare Eihwaz vi da la forza per farvi superare le avversità che alla fine volgeranno a vostro vantaggio.Trionfo. Permette il superamento delle depressioni e combatte le infiammazioni ghiandolari e i disturbi epatici.

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Capitolo 15
*** XIV - Puoi Perdonarmi? ***


XIV
Puoi perdonarmi?



    « Il tuo malanno passerà presto con il mio delizioso infuso! » esclamò con gentilezza Cécilie, porgendomi una bella tazza fumante. La presi tra le mani e respirai quel calore piacevole, avendo quasi la sensazione di sentirmi meglio.
Il giorno dopo la strana “lezione” della Gran Maestra non mi sentivo per nulla bene. Avvertivo ancora un freddo incomprensibile e non facevo altro che starnutire. Per mia fortuna avevo un’eccellente conoscitrice di erbe.
    « Ti ringrazio, mia cara. Ci voleva proprio… » mormorai mogia, attendendo ancora qualche istante, per poi soffiare leggermente in modo da intiepidire quello strano infuso.    
     « Posso chiederti che cosa c’è dentro? » domandai, colta da curiosità.

    « Ma certamente. È a base di mirto, camomilla e ambrosia. In verità, vi sono altri metodi, ma credo che questo sia il più efficace. Te ne preparerò altri nel corso della giornata e vedrai che domani ti sentirai subito meglio » mi sorrise con dolcezza, posando delicata una mano sulla mia gota destra. Inclinai un poco il capo, come desiderosa di un gesto d’affetto dopo la paura scaturita la notte prima, e poi ricambiai il sorriso.
       « Sono sicura che sarà così. Mi fido delle tue abilità… »
Cécilie arrossì e scosse il capo.
    « Ora però non esagerare o quella lì si monterà la testa più del solito! » ci interruppe la voce impertinente e allegra della giovane Elodie, che era entrata nella gran sala proprio in quel momento.
Cécilie sbuffò, sollevando gli occhi verso l’alto.
     « Desy, cara, devo lasciarti alla nuova simpatica giunta. Ho delle commissioni da fare in città. Bevi tranquillamente l’infuso e non lasciarti esasperare troppo dalla grande Strega degli elementi ».
Io sorrisi divertita a quell’ennesimo scambio di battute. Le due riuscivano a rallegrarmi. Sembravano litigare di continuo, ma si scorgeva nei loro gesti e nei loro sorrisi che in realtà si volevano un gran bene.
    « Vai tranquilla, Cécilie. Cercherò di tenere a bada la piccola peste ».
Ridacchiai nello scorgere lo sguardo stupito di Elodie, che subito dopo arricciò il nasino contrariata.
    « Io non sono una peste e neanche troppo piccola! Non siete molto anziane di me, voi due. E tu, erborista perfettina e noiosa va pure, che so prendermi benissimo cura della nostra nuova sorella gracilina. Tzè! »
    « Va bien, trés bien. Au revoir à vous! »
Così dicendo, accompagnata dalla sua tenera risata, Cècilie scomparve ed io rimasi da sola nella grande sala con Elodie e il mio infuso, che presi a sorseggiare.
La giovane strega mi si avvicinò e mi scrutò con attenzione. A ogni suo movimento le treccine nelle quali erano raccolti i suoi scuri capelli, si muovevano ribelli. Io rimasi in silenzio, curiosa e perplessa dal suo sguardo indagatore.
    « Uhm… è stata Sylvie a ridurti così? Non deve essere stata una lezione facile. Oh, ma lei è sempre così! Anche se sembra molto strana con te, come se non le piacessi, ma non farci caso! » esclamò, stringendosi nelle spalle come se niente fosse.
Allontanai la tazza dalle labbra, stringendola ancora tra le mani e beandomi di quella calda e piacevole sensazione che mi donava, e annuii poi alle parole di Elodie.
    « Preferirei non parlare di ciò che accaduto. Anche se non comprendo il motivo per cui io non le piaccia. Ma… spero di riuscire ad essere degna del suo sguardo, prima o poi » dissi, seppure non fossi troppo convinta delle mie parole. Aveva suscitato sin dal primo momento un turbamento in me, ma ciò era accresciuto la sera precedente.
    « Difficile capire Sylvie, ma lei è fatta così. Prima o poi la conoscerai meglio e allora sarai meno turbata… forse » replicò, ancora con un tono tranquillo.
    « Forse… » ripetei in un sussurro flebile, prima di sorseggiare ancora l’infuso.
Elodie rimase in silenzio, prima di fare qualche passo nella stanza e divertirsi a far comparire e svanire più volte il fuoco nelle sue mani leggermente paffute. La scrutai in silenzio, quando un segreto desiderio si accese in me. Ripensai all’incontro con la Gran Maestra, alle sue parole dure, alla sua incapacità di accettarmi e credere nelle mie possibili capacità – in cui in verità, ancora non riuscivo a farlo neanche io – e una strana determinazione mi scaldò l’animo.
    « Elodie posso farti una richiesta? » domandai, rompendo il silenzio che si era creato.
Lei si voltò a guardarmi, inclinando il capo di lato, incuriosita.
    « Uh? Che richiesta? »
    « Ecco io… volevo chiederti se fosse possibile aiutarmi a comprendere come…usare, no, manipolare il mio elemento affine. Vorrei riuscire a fare ciò che sai creare tu, ma con l’aria. Credi che sia già possibile? »
Elodie mi scrutò seria, ma dall’espressione del suo volto paffuto non riuscivo a comprendere quali pensieri covasse.
    « Uhm… è ancora presto temo per te, ma… » si fermò, portando l’indice della mano destra sul naso, sfiorandolo un po’, come se volesse riflettere per bene, « credo che si possa fare. Anzi, facciamolo! In fondo, non c’è nulla di male! » esclamò gioiosa, come se non aspettasse altro.
Io sorrisi soddisfatta, ma proprio in quel momento avvertii come la spiacevole sensazione di essere osservata. Mi guardai intorno e mi sembrò di scorgere un’ombra svanire dalla porta che conduceva alle stanze, tuttavia non restai troppo turbata. Ero decisa a dimostrare di valere qualcosa. Finii l’infuso e poi mi dedicai completamente alla lezione pratica sugli elementi.


    Elodie mi condusse fuori da quella sorta di antro, dove vivevamo. Avevamo bisogno di uno spazio aperto per parlare con l’aria e spingerla a rispondere. Non ci allontanammo troppo dall’ingresso, per non rischiare di essere viste in pieno giorno e soprattutto perché era la prima volta per me e non volevamo rischiare di fare troppi danni.
    « Bene. Ci siamo ».
Si bloccò proprio al centro dello spiazzo d’erba di fronte all’ingresso e si voltò verso di me, con una luce giocosa nello sguardo d’ambra.
« Come ti ho già spiegato nella mia lezione, non è facile gestire gli elementi, ma pian piano possiamo imparare a controllare il nostro elemento affine. Ti ricordi come ho fatto io a creare la fiamma? »
Riflettei un attimo, ma trovai prontamente la risposta. Impossibile dimenticare quel momento.
    « Se non ricordo male, ti ho vista socchiudere gli occhi e rilassarti… o almeno così sembrava. Quando poi eri pronta, ho notato le tue labbra muoversi, ma non ho compreso le parole da te proferite. E poi… »
    « …si è sprigionato il potere. Esatto ». Annuì con il capo, prima di riprendere parola. « Questo dovrai fare. Devi cercare di rilassarti, chiudendoti in un mondo tutto tuo, dove niente può distrarti o ostacolarti. Quando sarai del tutto calma, dovrai provare a immaginare l’aria. Da dove può scaturire questo elemento? Concentrati su questo e poi mormora il tuo richiamo. Sii gentile e ferma nella richiesta, ed Ella ti risponderà. »
    « Ma cosa devo dire di preciso? C’è una formula prestabilita che devo sapere? » chiesi, titubante.
Elodie scosse la chioma castana e poi rispose:
    « No. Non esistono formule a riguardo. Ognuna di noi ha il proprio modo di richiamare l’elemento. Penetra nel tuo io più profondo e trai dal tuo stesso spirito la risposta. Troverai le parole. Provaci ora. Io sarò qui a controllare la situazione ».
Guardai quella strega, apparentemente molto giovane e giocosa, ma quando si trattava di entrare nel vivo degli incantesimi, sembrava trasformarsi in un’altra persona: più adulta, più saggia. L’ammirai estasiata, ma poi decisi di compiere l’atto.
Avevo paura. La mia incapacità di credere in me stessa era forte e, in verità, le parole della Gran Maestra mi penetravano nel cuore, infliggendomi dolore. Tuttavia, quelle stesse parole, riuscivano a provocarmi qualcosa di diverso e opposto. Avevo voglia di dimostrare di essere anch’io in grado di essere una grande strega.
Lasciai sprofondare i piedi ben saldi sul terriccio e trassi un respiro profondo. Chiusi gli occhi, cercando quel mondo che tante volte mi aveva aiutato. Pian piano armonizzai il respiro al battito del mio cuore. Dapprima troppo accelerato e poi piano piano sempre più debole. Scrutai dentro di me, cercando la risposta alle mie domande. Mi sentivo più serena, ma anche turbata. Volevo conoscere le parole giuste, per non sbagliare.
D’un tratto una fievole luce illuminò quel buio e mi sembrò di scorgere un’altra me, perfettamente uguale nel fisico, ma risplendeva di una strana energia interiore.
Quella figura mi sorrise e sembrò parlarmi con quegli occhi di cielo. Io ebbi come la sensazione di volermi avvicinare, ma qualcosa me lo impedì.
Ella soffiò verso di me e scomparve. Ma mi aveva lasciato quello che cercavo.
Come mosse da una forza esterna, le mie labbra iniziarono a mormorare parole. Quella muta preghiera. Quel richiamo che doveva raggiungere il mio elemento.
Tornai a chiudere le labbra, ma non avvertii rumore né cambiamento alcuno.
Tutto sembrava immobile intorno a me, ma non mi persi d’animo.
Rimasi ancora ferma, in attesa.
E finalmente l’Aria rispose.
Un flebile vento si sollevò, smuovendo le fronde degli alberi e facendo volar via gli uccelli. In breve tempo, una spirale d’aria sembrò avanzare rapidamente verso di noi. Quando iniziò a sfiorarmi il viso, aprii gli occhi. Avvertii come una carezza invisibile toccarmi le gote, il collo e i capelli, e intrufolarsi impertinente nella mia tunica. Tuttavia non provavo disagio. Era come se fosse parte di me, del mio essere. Mossi leggermente le mani, come se volessi sfiorare anch’io quell’entità invisibile, ma ella si spostò, raggiungendo Elodie, e tormentando fastidiosa la strega, introducendosi tra i suoi capelli, scompigliandole le trecce e la veste rossa.
Volevo far qualcosa, ma non riuscivo a richiamare il vento. Provai a muovere le mani, ma non conoscendo gli effetti, notai che incrementavo il danno. Elodie iniziò a ridere per il solletico che provava, ma poi a gridare infastidita.
Si lamentò e chiese più volte all’entità di porre fine a quel gioco fastidioso.
    « Desirée resta immobile, non agitarti più o è peggio! Oh, povera me. Smettila Aria, smettila per pietà! » esclamò furibonda, cercando di bloccare la veste che si solleva e che rischiava di mostrare il suo corpo nudo.
Poi, d’improvviso sentii un’altra presenza alle mie spalle, e il vento cessò.
Mi voltai e incontrai lo sguardo blu della Gran Maestra. Impallidii, temendo il peggio. Ma da lei non emerse che un sorriso. Un sorriso strano che non riuscivo a decifrare. Non comprendevo se era fiera o divertita dal mio fare, o se semplicemente fosse ancor più convinta delle mie incapacità. Non riuscii a trovare la risposta, che scomparve così come il vento.
Elodie si riprese, tentando di sistemare un poco i capelli, ma invano. Erano intrecciati e difficili da districare con le semplici dita. Sbuffò e ci rinunciò, rivolgendomi poi parola.
    « Come prima prova non è andata male. Ma dovrai riuscire a gestire meglio l’elemento che richiami. Se ti sfugge, può creare danni seri ».
Chinai lo sguardo a terra, imbarazzata, ma lei aggiunse: « Oh, suvvia Desirée! Cos’è quella faccia? È andata più che bene, non puoi sapere subito controllare l’elemento. Non sai quante cose ho bruciato io agli inizi! Ma è meglio non rammentare quegli episodi! » ridacchiò di nuovo serena, e non disse nulla a riguardo di Sylvie. Forse non l’aveva notata.
    « Shhh, sta arrivando qualcuno » sussurrò, ed entrambe rimanemmo in silenzio e vigili ad osservare il bosco.



    Dal sentiero davanti a noi si susseguiva il suono di passi in avvicinamento. Elodie si pose al mio fianco ed entrambe rimanemmo a guardare chi fosse. Era tardi per scappare e se ci fosse stato qualcuno, era forte la probabilità che ci avesse visto fare quella sorta d’incantesimo. Cercavo di apparire forte fuori, ma dentro di me mi sentivo come una debole foglia sferzata dal vento. Tremavo e avevo paura molto più per la mia piccola sorella che per me in verità.
Pian piano la figura tra gli alberi prese forma, divenne più visibile, e una voce emerse:
    « Cosa hai fatto ai capelli Padrona degli Elementi? Qualcuno si è divertito con te? O forse un simpatico scoiattolino ci ha giocato? » rise e poi aggiunse. « Comunque devo dire che stai quasi meglio del solito. Anzi, leviamo pure il quasi ».
Elodie ed io sospirammo all’unisono nel scorgere la cara Cécilie che si avvicinava senza turbamento alcuno a noi. Tornai a rilassarmi e a scrutare la reazione della strega al mio fianco. Quest’ultima aveva gonfiato le guance e buttato fuori l’aria, arrabbiata.
    « Ma come sei simpatica Mademoiselle delle erbe so tutto quanto! » sbottò, stringendo poi i pugnetti, minacciosa. « Se vuoi, posso fare anche a te un nuovo taglio. Il mio amico… fuoco » scandì bene l’ultima parola « vorrebbe divertirsi un po’ ».
Cécilie si bloccò all’istante e per un attimo la vidi impallidire, ma poi rovesciò il capo all’indietro emettendo una sonora e piacevole risata.
    « No, ma chére, ti ringrazio. Non voglio nulla… Tieni a bada il tuo amico ».
Un sorriso sfuggì dalle mie labbra nell’osservare le due sorelle sempre così adorabili insieme, ma poi scorsi Cécilie farsi seria e rivolgermi parola.
    « Desirée, ma douce, ho una notizia per te… »
E d’un tratto il sorriso svanì rapidamente come era giunto.



*



    Tutte le streghe erano radunate nella Grande Sala.
Cécilie stava comunicando la notizia all’intera congrega, poiché ci riguardava tutte, anche se me in particolare.
Ero seduta su una sedia, così come Ophélie era adagiata nella sua, mentre le altre rimasero in piedi, disposte quasi in una sorta di semicerchio davanti al quale si trovava la strega erborista. Tutte eravamo mute ad ascoltare le sue parole.
    « … e così, non volendo credere unicamente alle mere voci di paese, mi sono recata alla Magione delle Sarte, in modo tale da valutare di persona la gravità dei fatti ».
Rabbrividii e impallidii a quel dire, eppure non espressi parola alcuna, tanto ero spaventata dalla notizia.
    « In effetti le voci per una volta sfortunatamente non erano infondate. L’ho vista » si bloccò un attimo, incontrando i miei occhi e poi aggiunse: « Ho visto Madame e mi è sembrato di scorgere quasi un’altra persona. Ha il volto emaciato, i capelli sembrano essere sbiaditi troppo presto, e appare spenta… come se avesse perso tutta quell’energia e quella determinazione che tanto la caratterizzavano. Desy… mi dispiace dirti queste cose, ma ho paura che non stia bene… ».
I miei occhi erano gonfi di lacrime che tentavo con la forza di cacciare indietro. Avrei voluto parlare, ma era come se la mia voce fosse svanita nel nulla.
Le altre spostarono la loro attenzione su di me e poi sulla Gran Maestra la quale scambiò uno sguardo rapido con Ophélie.
Le guardai annuire a vicenda, come se avessero comunicato unicamente con gli occhi senza bisogno di parole.
    « Non c’è molto da dire a riguardo, sennonché Madame ha bisogno di voi ».
A parlare ora era la Gran Maestra che puntava il suo scuro e profondo sguardo su di me.  « Dovete tornare alla Magione. Dovete parlarle e aiutarla ».
    « Ma io… non posso lasciare la congrega così presto. Ho ancora tanto da imparare…»
    « Rosa Bianca non mentire a te stessa o te ne pentirai. La Congrega per te ci sarà sempre, non svanirà. Ogni volta che avrai del tempo, potrai venire qua e continuare con le lezioni. Ma ora è il momento di tornare indietro. Angélique ha bisogno di te… ti ama come una figlia. Non permettere alla rabbia di offuscare i sentimenti che albergano nel tuo tenero cuore. Corri da lei, bambina, e correggi l’errore ».
La voce roca ma amorevole di Ophélie mi diede la scossa giusta per reagire. Lacrime silenziose scivolarono sulle mie pallide gote, ma annuii con il capo. Aveva ragione, dovevo tornare a casa. Dovevo aiutare Madame, come lei aveva aiutato me nel momento del bisogno.
    « Va bene… Andrò subito e, se mi vorrete ancora, tornerò qui ogni volta che potrò ». Il mio sguardo si spostò tra le varie streghe, fino a soffermarsi su Sylvie, che mi scrutò impassibile e decisa.
    « La Congrega è sempre qui. Ora andate ».
Senza pensarci due volte, raggiunsi l’uscita dell’antro per tornare indietro.



*



    Quelle settimane trascorse lontane dal centro di Sivelle mi avevano quasi resa estranea; mi sembrava di percorrere strade appartenenti a un passato lontano, ma fu ugualmente facile riconoscere la porta della Magione che sin dalla più tenera età avevo avuto come casa. Non la semplice dimora dove riposare, ma un rifugio sicuro e saldo dove vivere ed essere amata da colei che mi reputava come una figlia, nonostante il suo atteggiamento burbero.
Giunta dinanzi alla porta mi fermai. Trassi un profondo respiro e non mi curai delle voci invadenti dei popolani che sussurravano il mio nome, stupiti, e mi guardavano come se vedessero un spettro. Ero tornata sì, e volevo sistemare le cose, anche se non avevo preparato discorsi o altro.
In fondo sarebbe stato il cuore a comunicare.
Dopo ancora un attimo di esitazione, aprii la porta e sgusciai all’interno. Non appena entrai, sentii gli sguardi di tutti i presenti – sarte ed eventuali clienti – verso di me. Ci fu silenzio, interrotto poi da mormorii ed esclamazioni di stupore, sorpresa, e forse anche parole non proprio carine. Alcune sorrisero per il mio ritorno e tra tutte, Julie, la piccola apprendista, palesò apertamente la sua gioia correndo verso di me.
    « Desirée! Sei tornata! » esclamò, in preda all’euforia e alle lacrime.
La strinsi a me, ritrovando quell’affetto sincero che ricambiavo per la bambina e le sfiorai teneramente i lunghi capelli castani.
    « Sì, pétite. Ma ora ho bisogno del tuo aiuto… Dov’è Madame? Portami da lei… »
Non volevo perdere tempo e Julie lo comprese. Non aggiunse parola alcuna ma, prendendo la mia mano, mi condusse verso il corridoio che dava alle stanze. Salimmo una scala di legno e raggiungemmo la sua stanza. Lì, mi lasciò.
    « Grazie, Julie. Sei un vero tesoro. Ho bisogno di restare sola con lei, mi aiuti a fare in modo che non sia disturbata? »
Lei agitò il capo in segno affermativo e mi donò un sorriso solare. Rimase ancora qualche istante a guardarmi, sprizzando felicità da tutti i pori, e poi mi lasciò sola.
Fui scossa di nuovo dal tremore e dalla paura per ciò che avrei trovato oltre quella porta, ma non potevo esitare oltre. Così aprii e m’introdussi all’interno.
    « Chi apre la mia porta senza permesso? Julie, ti ho detto mille volte di bussare… »
    « Non… non è Julie… »
Madame giaceva su letto, avvolta nella sua solita veste nera, che però ora appariva sgualcita – a differenza del suo perfetto modo di trattare la stoffa -. Aveva effettivamente un’espressione terribile: il viso era solcato da rughe più visibili e appariva più magra del solito. Appariva debole, come se avesse perso tutta la sua energia. Non era più la Madame Le Marchand che conoscevo. Mi sembrava quasi un’estranea. Tuttavia, scrutando nei suoi occhi grigi, la scorsi.
Era lei. La vera Angélique era lì, che mi guardava a bocca aperta, sconvolta ma allo stesso tempo felice della mia apparizione.
    « De- Desirée… sei tu? Sei davvero tu? Figlia mia sei tornata? Non è un’apparizione, vero? Oh, cielo. Sto impazzendo? »
Era sconvolta e agitata. Rapida, mi avvicinai a lei, chinandomi e afferrando le sue mani che tendeva verso di me. Sembrava più gracile, più anziana e quella visione mi riempiva il cuore di un’estrema tristezza, alimentata dal mio senso di colpa. Era per un mio errore, per la rabbia che mi aveva accecato se ora si trovava in quello stato.
Ero stata una stupida, una maledetta sciocca. Avevo fatto del male alla persona che mi aveva accolto quando tutto sembrava perduto per me.
Tutta quella consapevolezza si esternò con lacrime che non riuscii a gestire.
    « Madame… madre mia. Puoi perdonarmi? » dissi, tra le lacrime, sfiorando con delicatezza quelle mani che a lungo avevo guardato per imparare il mestiere, quelle mani che mi avevano sfiorato in gesti di vero affetto, quelle mani un tempo forti che ora sembravano così fragili, così facilmente distruttibili.
La vidi piangere, forse per la prima volta in tutta la mia vita. Erano lacrime di gioia, sentimento che si rifletteva anche nelle sue labbra distese in un sorriso luminoso.
    « Desirée sei tornata davvero. Sei qui. Oh, sento le tue mani, non sono impazzita. Devi perdonarmi tu per come ti ho trattata, io non volevo. Io avevo paura che ti fosse successo qualcosa… io… » portai due dita a sfiorare le sue labbra con delicatezza, muto segno per spingerla a non dire quelle cose.
    « Non dire così. È soltanto colpa mia se me ne sono andata, non dovevo reagire così, dovevo comprenderti. Ma ora sono qui e ti aiuterò a stare meglio. Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto che con i miei gesti, le mie parole e la mia stupidità ti abbia spinto a diventare quasi lo spettro di te stessa… Una donna così determinata… è tutta colpa mia. Perdonami, se puoi ».
Madame liberò una mano dalla mia stretta e la pose sul mio viso. Tentò di asciugare una lacrima e di calmarmi, come se ancora una volta fossi io quella da proteggere, da aiutare.
    « Ti ho già perdonata. Sei tornata da me… non mi hai abbandonata. È questo l’importante. Mi riprenderò, vedrai. Ma ora non piangere più, bambina » sussurrò parole che mai avevo veramente udito provenire dalle sue labbra. Quella burbera donna che tentava di celare sempre i suoi veri sentimenti, finalmente si presentava per ciò che era, per la sua meravigliosa bontà e il grande affetto che aveva nutrito sin dal primo istante per me.
Le volevo bene. Bene come si può volere a una madre.
Non era la mia vera madre, ma in quel momento compresi che poteva essere come una seconda, importante e meravigliosa, madre.
Un tassello della mia vita era tornato al suo posto.
Non mi sentivo più sola.
Avevo ritrovato la mia Madame. Avevo una seconda famiglia nella Congrega del Salice, e solo una cosa mancava per completare il tutto.
    « Resterai? » aggiunse, quando ci fummo tranquillizzate un poco.
    « Fino a quando tu vorrai… » risposi, donandole un sorriso. « Ma ora cerca di riposare. Io sarò qui al tuo risveglio… »
    Rimasi al suo fianco fino a quando non si fu completamente calmata. Le sfiorai il viso con dolcezza e scostai i capelli madidi di sudore che la disturbavano.
Quando si addormentò serena, la vegliai ancora per qualche minuto, e finalmente sentii il mio cuore liberarsi da un grande peso. Avevo preso la decisione più giusta e ora si trattava solo di andare avanti. Riprendere il mio lavoro e tornare alla congrega ogni volta che potevo.
Lasciai Madame a riposare e tornai verso il pianterreno. Il numero di clienti si era ridotto, e le sarte erano prese dal loro lavoro. Julie mi scorse e mi venne incontro; aveva tra le mani una sorta di lettera che mi porse.
    « È venuto un paggio dal Palazzo del Conte, e mi ha chiesto di consegnarti questa ».
Curiosa la ringraziai e l’aprii subito. Scorsi velocemente il foglio per capire da chi provenisse e il nome di Louise-Marie bloccò il battito accelerato del mio cuore.
No, non tutti i tasselli della mia precedente vita erano tornati al loro posto.

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Capitolo 16
*** XV - La Festa ***



XV
La Festa


    
    Gentile Mademoiselle Chervalie,
Siete cordialmente invitata a Palazzo il giorno XXI del sesto mese per partecipare alla Festa di Inizio Estate organizzata dalla Prima Dama, Mademoiselle Louise-Marie Lemoine, in onore delle sue Grazie il Conte e la Contessa di Sivelle.
Il tema è, appunto, l’Estate. La sproniamo, dunque, a presentarsi con un vestito e una maschera adatti.


Il biglietto d’invito era decorato con ghirigori armoniosi agli angoli e si terminava con il timbro di ceralacca rappresentante unicamente l’iniziale della famiglia del Conte, una grande “B” stilizzata, a significato di “Bouvoir”.
Guardando meglio notai la presenza di un ulteriore foglio e subito, seduta tranquilla nel mio spazio riservato del laboratorio, iniziai a leggere.
La scrittura era molto sottile ma armoniosa nelle forme e riconobbi subito la mano ferma e precisa di Louise-Marie.



    Ma chére Desirée,
sono settimane che non ho avuto il piacere di vederti né conversare un poco con te, ma sono stata molto impegnata nella perfetta organizzazione di questa festa. Come ben sai, sono la Prima Dama di questo Palazzo e non posso sfigurare di fronte agli occhi degli amati e rispettati Conti, né permettere alle altre dame di prendere il mio posto. Sarebbe un’umiliazione e un’ingiustizia dopo tanto lavoro per raggiungere la perfezione, non trovi?
Ho udito, tuttavia, delle voci su di te, ma preferisco ascoltare le tue parole, piuttosto che dare adito a delle chiacchiere di dame.
La festa, come potrai leggere anche nell’invito, ha come tema l’estate. Sono sicura che con la tua abilità particolare riuscirai a creare un ottimo costume e una maschera adatti all’occasione. Mi raccomando, però, non cedere come sempre alla tua semplicità! Realizza qualcosa di superbo e splendente per la tua genuina persona.
Per quanto riguarda me, non porti pensiero alcuno. Quella sera stessa capirai…
Ho tante novelle di cui parlarti e fremo dalla voglia di farlo al più presto. Ma non manca molto all’evento.
Ti prego di non mancare ma douce et précieuse amie.

Con affetto,
Louise Marie Lemoine.




Sospirai, una volta concluso di leggere e posai entrambi i fogli sul tavolo. Non avevo granché voglia di partecipare a una festa, soprattutto con Madame in quelle condizioni e con la paura di incontrare di nuovo Flaviano, magari già in compagnia di un’altra dama. Solo a pensarci, mi lacrimava il cuore.
Avvertii come la sensazione di essere osservata e, voltandomi, scorsi gli occhi nocciola della piccola apprendista, che nell’essere scoperta si affrettò ad abbassarli, arrossendo tutta.
Allungai una mano a sfiorarle il viso, delicata, e poi le sorrisi.
    « Sei curiosa Julie? » chiesi con assoluta tranquillità.
Lei annui, ma il rossore si fece più evidente sulle sue gote.
    « Vi chiedo perdono Desirée ».
    « Non c’è motivo di scusarsi. La curiosità è legittima e non ci vedo nulla di male a dirti cosa ho ricevuto », mi affrettai a rispondere per toglierla dall’imbarazzo. « Si tratta di un invito per una festa in maschera che si terrà a Palazzo il giorno di inizio estate. Mademoiselle Lemoine preme per avermi lì quel giorno, ma non sono convinta di ciò ».
Julie tornò a guardarmi, i suoi occhi erano luminosi e quasi persi a sognare forse quel mondo, quella festa alla quale lei non poteva partecipare.
    « Oh, una festa! » esclamò estasiata « sarebbe così bello andarci… », ma poi sospirò tristemente.
Posai le mani sulle sue spalle e dissi:
    « Potessi ti porterei con me. Ma non temere, prima o poi, se dimostrerai le tue abilità nascoste, sono sicura che diventerai una sarta eccellente e riceverei ordini dalle dame e chissà, forse anche dalla Contessa e dal suo Consorte. Allora potrai accedere a Palazzo… »
Non era bello illudere una bambina, ma volevo tranquillizzarla e in fondo nel mio cuore speravo davvero nell’esito delle mie parole. Con impegno e determinazione e quell’amore per il lavoro che già dimostrava in tenera età sarebbe potuta diventare una sarta eccellente, forse anche più di me.
La vidi sorridere e annuire, mentre sembrava perdersi ancora nei suoi sogni.
    « Ma ora è meglio pensare a quale vestito creare per la festa… non so ancora se ci andrò, ma il tempo è poco. Vuoi darmi qualche consiglio? »
Julie a quella domanda esclamò un “sì” decisamente allegro e convinto, e quella felicità mi scaldò il cuore.



*



    Madame dormiva quieta nella sua stanza, dopo aver mangiato la zuppa di verdure che le avevo preparato. La guardai per qualche minuto, come per controllare la situazione, ma poi sorrisi. Era trascorso un solo giorno da quando ero tornata, ma sembrava già riprendersi. Spesso sono le emozioni più estreme che spingono ad ammalarsi.
Chiusi la porta ponendo attenzione a non fare troppo rumore e tornai al pian terreno. Della stoffa gialla mi attendeva, per diventare presto un abito.
Non era ancora facile abituarsi di nuovo a quella vita, dopo aver trascorso settimane con le streghe. Mi mancava la loro presenza, l’apprendere ogni giorno nozioni nuove e la voglia di dimostrare a Sylvie che poteva fidarsi di me.
In risposta ai miei pensieri, trovai proprio due delle mie nuove sorelle ad attendermi accanto al mio tavolo da lavoro.
Elodie e Cécilie mi sorrisero gioiose. Era insolito vederle in abiti da popolane, anziché con le loro tuniche di diverso colore, ma la loro presenza mi riempì di un’impensabile contentezza.
Andai loro incontro, accogliendole con un sorriso di rimando e poi, una volta abbastanza vicina a loro, dissi:
    « Mademoiselle Dupont, Mademoiselle Bonnet, benvenute alla Magione ». Non potevo rivolgermi a loro in altro modo; c’erano altre sarte lì accanto, e per fortuna riuscii a frenare il mio desiderio di accoglierle con un più intimo “sorelle”. « A cosa devo la vostra deliziosa presenza? »
Le due streghe si guardarono a vicenda, e poi annuirono comprensive. Fu Cécilie a parlare per prima.
    « Mademoiselle Chervalie, vi ringraziamo per la vostra accoglienza. Siamo qui per… » ma si bloccò, incapace di riuscire a dire una qualche bugia. In suo aiuto, intervenne la più giovane.
    « … fare un ordine sì. Avremo bisogno di altri deliziosi sacchetti, come vi abbiamo già chiesto in passato. Come ricorderete, siamo rimaste affascinate dalla vostra superba abilità nel confezionarli ».
Guardò Cécilie e le lanciò uno sguardo di sfida. Come se volesse farle comprendere la sua abilità, contro la mancanza dell’erborista. Quest’ultima aggrottò a fronte, scuotendo poi il capo.
    « Sono felice di questo e pronta a realizzarne degli altri », replicai reggendo il gioco. « Questa volta quanti ne volete? Devono essere sempre uguali ai precedenti? » chiesi, prendendo poi un foglio dove poter appuntare, o almeno fingere di farlo, il loro dire.
    « Sì, come i precedenti, se possibile » rispose Cécilie, per poi abbassare la voce e dire… « Come stai, sorella? »
    « Sto bene, credo. È stato terribile vedere Madame in quelle condizioni, ma ora si sta riprendendo. Abbiamo chiarito tutto…» risposi, a voce bassa, mentre chinavo il capo verso il foglio, fingendo di scrivere, poi alzai il tono appena un poco. « Bene… e quanti? »
    « Credo che una decina possono bastare… » replicò Elodie e poi anche lei abbassò la voce « Menta sarà contenta della notizia, ma non aveva dubbi su di te », ridacchio sommessamente.
    « Sì, dieci » confermò Cécilie « e… con il tuo amato? » mormorò poi.
A quella domanda la mia mano tremò, macchiando il foglio con l’inchiostro.
Elodie lanciò un’occhiataccia alla sorella, come volendo criticarla per ciò che aveva chiesto, mentre Cécilie arrossì sentendosi in colpa.
    « Oh che sbadata! Scusatemi, prendo un altro foglio ». La mia reazione attirò lo sguardo delle mie colleghe e, per qualche minuto, mi sentii osservata. Cercai di tranquillizzarmi e gestire le emozioni. Non ero brava a fingere, né a indossare maschere, ma tentai di risolvere tutto e sperai mentalmente che pensassero che ciò fosse dovuto alla mia mancanza e al tempo che mi occorreva per riabituarmi a quel ritmo lavorativo.
    « Ecco qui. Quindi, ricapitolando… sono dieci sacchetti blu, con la triplice luna raffigurata sul davanti… » scribacchiai un appunto veloce e poi sussurrai: « Non so. Ci sarà una festa a Palazzo, a inizio estate. Forse lì avrò una risposta… ». Socchiusi un attimo gli occhi, per poi fare un profondo respiro. Il mio cuore martellava così forte che temetti di essere scoperta.
Cécilie allungò una mano a sfiorare appena la mia, in un muto segno di comprensione e affetto. Ricambiai con un sorriso, che sembrò più una smorfia, tanto era teso.
    « Perfetto così. Prendete il vostro tempo, non abbiamo fretta », borbottò Elodie, per poi aggiungere, « Fresia ti attende, quando sarai pronta a tornare… ».
Annuii e un brivido scorse lungo la mia schiena quando rammentai quei profondi e intensi occhi blu notte, e poi aggiunsi:
    « Devo concludere alcune cose, ma poi mi occuperò di quanto da voi richiesto. Vi contatterò io stessa, quando sarà il momento ».
Le due annuirono, comprendendo anche il duplice messaggio che volevo far intendere.
Poi mi lasciarono sola, presa da pensieri diversi e con un abito da realizzare.



*


    Il sole.
Julie mi aveva consigliato proprio il sole come riferimento all’estate.
Effettivamente era il giusto simbolo per tale stagione ed io ero illuminata da quel caldo astro che sempre brilla in cielo.
L’abito che avevo realizzato per la festa era completamente giallo, ad eccezione delle maniche e della sottogonna che erano bianche.
Aveva particolari rifiniture del medesimo colore pallido, ma nulla più. Per me era già abbastanza elegante, ma mi concessi una maggiore scollatura. Non compresi il motivo della mia scelta, ma forse inconsciamente una parte di me vedeva in questo un tentativo di riconquistare l’amore perduto.
Sospirai al pensiero e tornai a guardare la mia immagine riflessa allo specchio. Avevo intrecciato i miei lunghi boccoli in un’acconciatura semplice ma ordinata, ed erano adornati con nastrini e fiorellini di stoffa.
Indossai gli unici gioielli che avevo con me, donatomi da Madame in ricordo della mia cara madre: il ciondolo e gli orecchini bianchi a  forma di goccia.
Non ero abbastanza ricca da permettermi troppi gioielli.
Ero combattuta. Tremendamente confusa.
Dovevo andare realmente alla festa o restare lì a occuparmi di Madame Le Marchand, che io stessa avevo contribuito a far ammalare?
Rimasi a guardare con sguardo perso quella figura allo specchio. Cercai di valutare tutti gli aspetti positivi e quelli negativi e, infine, decisi che era meglio restare.
Portai le mani sui capelli, nel tentativo di guastare quell’acconciatura, quando la porta della mia stanza si aprì senza il permesso.
    « Desirée? »
Mi voltai, tenendo tra le mani un unico fiorellino che ero riuscita a districare, e notai la presenza di Madame. Aveva ancora il viso emaciato e i capelli ormai erano completamente bianchi, eppure c’era una luce determinata nel suo sguardo, così come l’avevo vista in tutti gli anni trascorsi in quella Magione.
    « Madame, cosa ci fate qui? » domandai, perplessa. Mi avvicinai a lei, ma con un cenno della mano mi spinse a fermarmi.
    « Non crederai che io sia disposta a rimanere a letto un giorno di più, vero? » borbottò, scuotendo poi il capo. Fu lei ad avvicinarsi a me, e poi aggiunse: « Questo vestito è davvero incantevole. Segno che la tua pausa ha avuto un buon effetto sulle tue già incredibili doti ».
Come sempre arrossii, incapace di trattenere le emozioni di fronte a un complimento.
    « Vi ringrazio, ma stavo appunto svestendomi. Non credo che sia giusto partecipare alla Festa. Rimarrò qui, con voi ».
La vidi aggrottare la fronte e stringere gli occhi, e poi replicò:
    « Non dire sciocchezze, bambina mia. Io sto già meglio e tu non devi rimanere qui a badare a una vecchia. Vai a quella festa, divertiti e cerca di rimediare anche a quel che ti turba ancora l’animo » si fermò per un attimo, e sfiorò la mia mano, prendendone il fiorellino, che subito mi aiutò ad applicare di nuovo tra i capelli. « Non farlo per l’onore di questo laboratorio, fallo per il tuo cuore ferito ».
Quelle parole riuscirono a scaldarmi il cuore e a spingermi a non ribattere oltre.
Mi voltai verso di lei e presi le sue mani, lievemente rugose e ancora deboli, tra le mie.
    « Vi ringrazio, madre mia. Ci proverò… »
Le posai un lieve bacio sulla guancia destra e sorrisi divertita nel sentirla borbottare. Come al solito non voleva dimostrarsi troppo sensibile.
    « Basta ringraziare, c’è una festa che ti aspetta ragazza! E domani tanto lavoro! Orsù, via via, prima che cambi idea e ti costringa a rimanere qui! »
Risi divertita e presi la mantella più leggera e la maschera.
Quest’ultima era rivestita di stoffa gialla e, proprio tra i due buchi per gli occhi, troneggiava una sorta di sfera dorata, a rappresentazione del sole.
Ero pronta.



*


    La sala Diamante era riccamente decorata per l’occasione. V’erano arazzi della famiglia del Conte disposti tra uno specchio e l’altro lungo le pareti. Nastri, candele e decorazioni di ogni colore, adornavano la sala, rendendola notevolmente luminosa e colorata. V’erano tavoli disposti lungo un lato della gran sala, ricoperti da tovaglie bianche e, tra le varie vivande e vassoi, spiccavano elementi floreali. Sul lato opposto, v’erano disposti i musicisti, che con vari strumenti stavano già allietando i numerosi ospiti. Cortigiani, dame, soldati, e altri ospiti riempivano con il loro vociare il loco, e una moltitudine di colori diversi abbigliavano i loro corpi. Tutti erano coperti da una maschera ed era ben difficile riconoscere le persone. Consegnai il mio invito a un paggetto e, una volta avuto il permesso, iniziai a muovere i primi passi, con l’intenzione di trovare la mia cara amica.
Louise-Marie aveva proprio pensato a tutto ed era bravissima a organizzare tali eventi.
Mi guardai intorno e scorsi, seduti nei loro posti d’onore, il Conte e la Contessa, privi di maschere e intenti a mangiare carne prelibata. Alla giovialità del Conte si alternava la freddezza composta della consorte.
Mi avvicinai a loro e rivolsi un inchino, togliendomi per qualche istante la maschera al fine di farmi riconoscere almeno ai padroni del palazzo.
Il Conte mi sorrise, e alzò divertito una coscia di pollo in aria, invitandomi a divertirmi, la Contessa mi rivolse un rapido e sfuggevole saluto.
Tornai a indossare la maschera e, dietro a quel vezzo, inizia a far vagare lo sguardo. Era difficile comprendere quale maschera potesse celare la mia amica. V’erano diverse dame dai capelli scuri. Gli unici privi di copertura, oltre ai due nobili, erano i soldati che si occupavano della vigilanza.
Individuai ben presto la figura imponente del Capitano Svensson, ma lui non parve darmi troppa attenzione. I nostri sguardi s’incrociarono per un solo istante, ma non riuscii a reprimere un sentimento di disprezzo per quell’uomo sempre freddo e misterioso.
Infine, avvertii il mio cuore martellare in petto, come se fosse esso stesso a voler cercare… lui. Ma nonostante mi sforzassi di osservare ogni punto della sala, non riuscii a scorgerlo.
Dove era?
Fui scossa da un brivido di paura al pensiero che si fosse trasferito altrove… e se non l’avessi più visto?
Cercai di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire, quando la musica sfumò e la voce armoniosa e squillante di Louise-Marie vibrò attirando l’attenzione di tutti.

    « Mesdames et Messieurs, benvenuti alla festa d’inizio Estate, realizzata in onore dei nostri amati e rispettati Conte e Contessa Bouvoir » rivolse un perfetto inchino al loro indirizzo e notai entrambi sorriderle di rimando; poi tornò a rivolgersi agli altri. « Sono lieta di vedere così tante persone a Palazzo questa sera e di notare quante maschere attinenti al tema siete riusciti a indossare. Ma… voi, monsieur, con quel becco lungo avete un’atmosfera lugubre che ben non si addice a una stagione luminosa come quella a cui diamo inizio » disse, rivolgendosi a un uomo vestito di scuro, con una maschera bianca da cui sembrava spiccare un becco pronunciato. Tutti nella sala risero e la sua parlantina riuscì a far sciogliere un poco anche la freddezza della Contessa. Solo il Capitano Svensson rimase imperturbabile. « Difficile scovare chi si nasconde dietro quel fiore, o chi dietro quella maschera colma di voluminose piume rosa, ma in fondo è proprio questo il divertimento! Ma ora basta parole, lasciamo che sia la musica a parlare! »
Diede un segno ai musicisti, che iniziarono ben presto a suonare una musica ritmata, che produsse divertimento tra i presenti. Subito i cortigiani si avvicinarono alle dame e, a seguito di un cortese inchino, iniziarono poi a saltellare e ballare tra loro.
Io rimasi in disparte per un attimo, non avendo intenzione di ballare con nessuno che non fosse l’uomo che amavo e poi, notando che Louise-Marie non si era buttata di nuovo nelle danze, mi avvicinai a lei.
    « Lou? » le sfiorai il braccio, lievemente e lei si voltò guardandomi con attenzione per qualche momento, ma poi sorrise raggiante, da sotto la maschera rossa adornata da una folta copertura di piume.
    « Desy! Sei venuta! » esclamò, contenta, e mi avvolse tra le sue braccia. « Temevo che non arrivassi più. Ma che abito meraviglioso, sei splendente come il sole! »
    « Ed è proprio il sole che ho scelto di “interpretare”… » risposi, pacata, una volta che mi aveva liberata da quell’abbraccio.
    « Scelta attinente, ben fatto! » asserì lei, soddisfatta. « Anche se avrei messo perle tra i capelli, anziché quei miseri fiorellini. E, sì, anche sull’abito… » borbottò, analizzandomi con più attenzione.
Io non dissi nulla, abituata com’ero alle sue esternazioni.
    « Tu, piuttosto, indossi un abito nuovo e… delizioso » mormorai, sfiorando quella stoffa completamente rossa, con intarsi dorati e perline lungo tutta la scollatura, notevolmente pronunciata.
    « Oh sì, ho scelto di essere una superba rosa rossa e quest’abito non è solo delizioso, è magnifico! » esclamò, girandosi su se stessa, per poi guardarmi più seria. « Perdonami se non l’ho chiesto a te, ma ci siamo perse di vista da molto ed io non avevo molto tempo e non volevo scomodarti sempre. Così ho convinto il Conte di farlo arrivare direttamente da Parigi. Questo, tuttavia, non significa che smetterò di acquistare abiti da te. Sai quanto io ti ammiri. Ma… non è sublime? » disse ancora.
    « Sì, lo è davvero. Non farti problemi, non mi offendo per la tua scelta. » risposi con assoluta sincerità, mentre i miei occhi analizzavano con attenzione l’abito, dalle ampie maniche svasate e dalle linee perfette. In fondo, avevo ancora tanto da imparare! Di fronte ai grandi sarti parigini non potevo competere. Sospirai appena, ma poi Louise-Marie mi afferrò per un braccio e mi condusse in un angolo più lontano dalle danze.
    « Oh Desy, devo raccontarti una cosa bellissima! »
    « Ti ascolto, ma chére, cosa è successo da renderti così raggiante? »
    « Non riesco ancora a crederci in verità. Io, la prima dama di questo Palazzo, così corteggiata e ammirata da molti dei cortigiani presenti, mi sono innamorata! Credo di non aver mai provato un sentimento simile. Certo, ero lusingata di fronte alle poesie che mi decantavano taluni, o ai complimenti e alle attenzioni di altri, ma provare un sentimento così forte per qualcuno così diverso da me! Tuttavia, nel momento in cui ho compreso questo, non potevo farmi sfuggire la preda » ridacchiò divertita. « Pensa! Sono sempre stata io a essere corteggiata, ma per una volta ho deciso di fare in modo di conquistare! »
Un presentimento iniziò a sorgere in me, tuttavia chiesi:
    « Tu innamorata? E di chi, mia cara? »
Lei prese il ventaglio e iniziò a sventolarsi il viso in maniera frenetica, ma poi replicò:
    « Oh, credevo che ormai l’avessi compreso! Ma del Capitano Svensson, chi altri? Quell’uomo dalla bellezza sublime, dagli occhi così chiari d’apparire simili al ghiaccio, dalla forza e dalla sua capacità di comando » sospirò, beata, ed io scossi il capo incredula.
    « Lou! Non ricordi il modo in cui ci ha trattate quando l’abbiamo distolto dai suoi doveri? È un uomo freddo, arrogante, e così diverso da te. Sei proprio sicura di questo sentimento? »
    « Ma certo, che domande! Sono tutta un tremito quando lo vedo e quando mi rivolge parola… »
    « Ah, perché ora parla di più? Ed è capace di dire cose carine? » domandai, con un tono ironico che non riuscii a trattenere.
    « Non essere critica. Parla meno di me, beh, diciamo notevolmente meno, ma… quel che conta è che, sono riuscita a penetrare nella sua scorza da duro e… presto ci fidanzeremo! O meglio, è come se lo fossimo già, ma non è stato reso ufficiale. Chérie, ma précieuse amie, non è stupendo? »
Ero di nuovo combattuta e perplessa. Pensieri diversi si agitavano nella mia testa, scontrandosi continuamente. Dovevo essere felice per la sua gioia, e lo ero, ma non riuscivo a credere che potesse innamorarsi di lui, e forse egoisticamente li invidiavo. Loro si erano uniti ed io avevo litigato e perso il mio amato, per colpa della nuova coppia che si era formata. Non volevo condannarli, ma non riuscivo a essere del tutto contenta per ciò che era accaduto.
    « Io… sì, credo che lo sia… » mormorai appena.
Lei non sembrò turbarsi di fronte a quella mia reazione non così esagerata, ma prima di dedicarsi ad altro, aggiunse:
    « Mon amie, c’è anche lui questa sera. Non so cosa sia successo tra di voi, ma l’ho visto molto triste. Molte dame hanno tentato di farsi notare, ma lui è sempre stato schivo, si è tenuto lontano, e aveva un perenne sguardo malinconico. Mickel… voglio dire, il Capitano Svensson dice che non riesce a concentrarsi del tutto nel suo ruolo di soldato, e con questi pensieri in testa rischia di perdere il posto… Cercate di chiarirvi. È proprio lì… ma ora ti lascio. Divertiti chére! » mi sfiorò appena il volto, ma io ormai ero persa.
Non appena me l’aveva indicato, avevo puntato gli occhi su di lui.
Lui era lì. Lui non era andato via.
Lui non aveva altre donne, anzi le aveva rifiutate.
Lui rischiava di perdere il posto, perché era triste per me.
Lui mi amava ancora.
Lui… stava venendo verso di me.



*



    Non riuscivo a muovermi e credevo di aver perduto anche l’uso della parola. Flaviano, vestito con la sua perfetta divisa, stava camminando verso di me. D’un tratto sembrò come se tutto quel vociare, quei rintocchi dovuti ai passi di danza, quel rumore di cibo masticato e bicchieri tintinnanti svanisse, e l’unica cosa che rimaneva eravamo noi due e la musica come sottofondo.
Una volta abbastanza vicino a me, tolse il copricapo dalla testa e lo portò al petto, facendo un inchino. Ringraziai mentalmente la maschera che in parte copriva il mio viso, eppure da quel forte calore che avvertivo sul viso, temevo che il rossore fosse ugualmente ben visibile.
    « Il sole… ho sempre pensato a voi come al sole che rischiarava la mia vita ».
Deglutii, cercando di rispondere qualcosa, ma quelle parole sciolsero il mio cuore e i miei occhi si fecero umidi.
    « Ora non sono più il sole per voi? » domandai, rivolgendomi a lui con quel ‘voi’ che eravamo soliti usare dinanzi ad altri.
Quella mia domanda sembrò turbarlo un poco. Vidi la mascella contrarsi, ma poi mi sorrise, teso. Portò una mano a cercare la mia, la sfiorò delicatamente e poi replicò:
    « Sono settimane che tento di reprimere i miei sentimenti per voi, di togliervi dalla mente e dal cuore, ma sento solo tanto freddo e vuoto. Voi siete sempre lì, come una luce nell’oscurità, come il calore di cui ho bisogno ». Si fermò, per un attimo, mentre il mio cuore batteva così forte da poter essere quasi udito. « Mi dispiace per il modo in cui vi ho lasciata, alla mercé di tutti, ma in quel momento io ero arrabbiato. Non voglio che accusiate il mio Capitano, ma sono consapevole di aver fatto il medesimo errore nel criticare una vostra cara amica. Potete dunque perdonarmi, mio sole? »
Sentii lacrime calde sfiorarmi le gote, scivolando fino alle labbra. Per settimane avevo immaginato quel momento, ero preda di pensieri e visioni tristi che lo vedevano tra le braccia di un’altra, ma come potevo non fidarmi di lui? Lui era la fonte della mia felicità e non volevo perderlo. Mai.
Strinsi la sua mano e annuii con il capo più volte.
    « Sono io ad aver sbagliato tutto. Io che mi sono sentita ferita nell’orgoglio di fronte a parole veritiere. Dovete voi perdonare me, per le mie mancanze, per avervi mancato di rispetto davanti a tutti. Io… io sono persa senza di voi. Perdonatemi, Flaviano, perdonatemi… Io vi amo… io… »
Bloccò le mie parole, stringendomi a sé. Sprofondai tra le sue braccia e posai il capo sul suo petto. Mi sentivo così felice e anche così leggera. Era come se il macigno che avevo sul cuore si fosse sgretolato in mille piccoli pezzi invisibili.
    « Vi amo anche io, mia futura sposa » aggiunse lui in un sussurro. Alzai il capo e sorrisi di una gioia indescrivibile. Tutta la sofferenza sembrò scomparire, era come tornare indietro a quei meravigliosi momenti insieme.
Tuttavia, qualcuno si schiarì la voce e mi fece tornare alla realtà. Eravamo abbracciati proprio in una grande sala piena di persone che potevano vederci e sparlare di noi.
    « Ma douce, sono lieta di vedere che abbiate risolto tutto, ma… non mi sembra opportuno farvi vedere da tutti in codesta maniera. Asciugate le vostre lacrime e magari assumete una posizione più decorosa per entrambi. Ah, credo proprio che abbiate suscitato l’invidia di alcune dame, guardatele come vi lanciano lampi d’odio… »
Louise-Marie emise una risata cristallina ed io notai che effettivamente alcune dame mi stavano fissando e dalla tensione con cui reggevano i ventagli – come se volessero romperli – non mi sembravano così felici, ma non me ne importava. Io ero felice.
Mi allontanai riluttante dall’abbraccio del mio amato e, solo in quel momento, notai che la mia amica non era sola. A lei si era aggiunto il Capitano Svensson, che mi guardò con sguardo indecifrabile. Alto e preciso nella sua posa, se non fosse per il braccio piegato al fine di permettere alla dama di posare la sua candida mano affusolata su di esso.
Mi era difficile credere ancora che tra quei due fosse sbocciato un amore, ma ero felice per la mia amica e pronta a cercare di andare d’accordo – almeno un poco – con quell’uomo freddo e distaccato.
    « Capitano Svensson, lieta di rivedervi » dissi, chinandomi un poco.
    « Mademoiselle Chervalie… » chinò appena il capo e batté i tacchi in un perfetto saluto militare. Quella freddezza era in netto contrasto con l’estroversa dama al suo fianco.
    « Direi che è venuto il momento di divertirsi un poco, non trovate? » disse Lou, rivolgendosi a tutti, ma poi concentrò la sua attenzione sullo svedese al suo fianco. « Mon cher so che non amate danzare, ma spero che permetterete al vostro sottoposto di effettuare almeno un ballo con la sua amata dopo settimane di lontananza » sfarfallò le ciglia nere, e lui sembrò rifletterci un poco su. Temetti di ricevere un no deciso, o una qualche offesa, ma cercai di rimanere composta per non turbare il mio amato.
    « E sia » si limitò a dire, senza neanche mostrare la parvenza di un sorriso. Lo sentii borbottare poi qualcosa in una lingua per me incomprensibile, ma non me ne curai.
    « Eccellente! Chérie, Monsieur Marli, prego andate pure a danzare. C’è una festa in corso! » esclamò raggiante la dama, per nulla turbata dalla risposta del suo amato e noi non ce lo lasciammo ripetere due volte.
Stretta al braccio del mio futuro marito, mi ritrovai al centro della sala. Un’altra musica, a ritmo altalenante, vibrò nell’aria. Ci disponemmo uno dinanzi all’altra e iniziammo a svolgere quei passi adeguati appresi in tempi passati. Un inchino e un giro, un saltello e un nuovo giro. Le nostre mani si sfiorarono, palmo a palmo, e iniziavamo a girare, sempre guardandoci negli occhi.
I nostri sguardi emanavano una felicità che per gli altri era difficile, forse, comprendere.
La mia vita iniziò di nuovo ad andare nel verso giusto.
In verità, non facemmo un unico ballo. Al primo ne seguì un altro e poi un altro ancora. Non volli guardare lo sguardo del suo Capitano, per me c’erano soltanto lui e quella musica che ci univa.
La serata proseguì al meglio, fino a notte fonda.
Quando venne il momento di tornare a casa, fu Flaviano stesso ad accompagnarmi. E sotto lo sguardo attento del volto scuro della Madre e delle sue piccole sorelle ci scambiammo un bacio del nostro ritrovato amore.

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Capitolo 17
*** XVI - Il Matrimonio (prima parte) ***



XVI
Il Matrimonio
(Prima Parte)



 
    « Tenete gli occhi ben chiusi, Desirée. Non apriteli eh! » esclamò Julie, mentre tenendomi con la sua piccola mano mi guidava in qualche punto della Magione che non potevo sapere, avendo gli occhi chiusi.
    « Ma dove mi stai portando? Perché tutto questo mistero, pétite? » domandai, curiosa, mentre tentavo con la mano libera di tastare il muro, ma prendendo spesso l’aria. Non era facile muoversi al buio, eppure volevo fidarmi di quella bambina.
    « Oooh, non posso proprio dirlo! Su, seguimi, seguimi! » trillò, ridendo divertita, mentre continuava a tirarmi, spingendomi quasi a traballare.
    « Però vai piano, che se non vedo dove vado rischio di cadere », borbottai.
Continuammo così per pochi minuti, fino a quando Julie non si fermò, arrestando anche il mio passo.
    « Ora posso aprire gli occhi? » domandai, ma a rispondermi non fu la vocina della bambina, bensì quella più roca e autoritaria di Madame Le Marchand.
    « Aprili pure ora ».
Aprii gli occhi, venendo subito disturbata da una luce che proveniva da una delle finestre. Ci misi un poco a riabituarmi, dopo aver vagato nell’oscurità, ma quando finalmente tornai a distinguere perfettamente il mondo intorno a me, notai che tutte le sarte erano disposte alle spalle di Madame, compresa Julie che mi aveva lasciato la mano.
Inclinai il capo di lato, confusa, e dissi:
    « Che succede qui? Come mai state tutte ferme lì? »
Julie portò le manine sulle labbra, cercando di nascondere una risatina. Le altre mi sorrisero, guardandosi poi l’un l’altra con fare cospiratorio, ma fu di nuovo la nostra Maestra a prendere parola.
    « Ho deciso di concedere a tutte una pausa, per un motivo molto importante » si fermò, prendendo tutto il tempo necessario, come a volermi incuriosire maggiormente. « Eponine, sareste così gentile da avanzare e porvi al mio fianco? »
La sarta appena chiamata, era una donna poco più grande di me, dai lunghi capelli castani raccolti in una treccia legata da un unico nastro, e occhi sottili molto scuri. Indossava la nostra divisa, un semplice vestito marroncino, e recava tra le braccia una strana scatola chiara, che subito attirò la mia attenzione.
Fremevo dalla curiosità di vedere, comprendere, risolvere quello strano mistero, eppure dall’altra parte c’erano solo sorrisetti e silenzio.
Alla fine sbuffai, spazientita:
    « Oh! Suvvia, cos’è questo mistero? Cosa c’è in quella scatola? »
    « Aprila e porrai fine alla tua mostruosa curiosità », fu la semplice risposta di Madame, che con un segno del capo diede l’ordine a Eponine di consegnarmi la scatola.
Non ci pensai due volte e la posi sul mio tavolo. Sfiorai appena la superficie, gettando prima uno sguardo alle donne presenti e poi tolsi il coperchio, restando a contemplare una meravigliosa stoffa rossa, che estasiata sfiorai.
    « Ma… » non riuscii a dire parola, come se tutto ciò mi avesse privato della voce, ma poi ancora una volta Madame prese parola.
    « Tra due settimane finalmente ti sposerai, ragazza mia », azzardò a rivolgersi così dinanzi a tutte, « e da molto tutte noi abbiamo lavorato al regalo di nozze di cui ti facciamo dono. Guardalo bene, Desirée, quello sarà il tuo abito da sposa… »
    « Il… mio… » ancora una volta, dalle mie labbra uscirono suoni spezzati, che fecero ridere le donne, e poi la piccina si avvicinò e disse:
    « Anch’io ho partecipato, sapete? Oh Desirée, ho cucito io quei fiorellini sull’abito! » esclamò orgogliosa di sé.
    « Sì, Julie sta già dimostrando ottime doti, potrebbe essere una vostra perfetta rivale » aggiunse Madame, guardando ogni sarta presente, compresa me. « Ma orsù! Quanto ci metti a estrarlo e a dirci il tuo pensiero? » borbottò ancora, ed io risposi subito a quella sorta di ordine.
Con le mani che mi tremavano dall’emozione, estrassi l’abito rosso e lo guardai in completa estasi. V’era dell’oro spruzzato sulle maniche e diverse rifiniture che si dipanavano per tutto il vestito. Aveva una scollatura non esagerata e maniche ampie che ricadevano verso il basso, come la moda del tempo. Era l’abito più bello che avessi e il più importante, giacché l’avrei indossato il giorno delle mie nozze, ed era un dono di una delle mie famiglie.
    « Meraviglioso… » sussurrai, non riuscendo a distoglierne lo sguardo « assolutamente meraviglioso, e questi fiorellini sono cuciti alla perfezione. Hai delle doti eccezionali, piccola mia ».
Sorrisi a Julie e poi dedicai la mia attenzione a tutte le altre, compresa ovviamente Madame.
    « Vi ringrazio di cuore per questo dono. Io… non potevo immaginare che voleste farmi un pensiero simile. Lo indosserò di certo, è perfetto. Assolutamente perfetto! »
    « Il rosso indossato durante un matrimonio propizia le nascite » disse ancora Madame, spingendomi un poco ad arrossire.
Poi tutte si strinsero intorno a me, facendomi complimenti e gli auguri più cari, per una vita piena di gioia e tanti bei figli. Ed io le ringraziai più e più volte, ancora beata alla vista di un simile abito.



*


    Le sorelle Precieux ci accolsero con uno strano luccichio negli occhi. Erano le uniche gemelle presenti a Sivelle ed era particolarmente difficile distinguerle, se non fosse per un neo scuro che spiccava poco sotto il labbro inferiore di Adeline, cosa che invece aveva evitato Gwendoline.
 Entrambe d’una altezza superiore alla media femminile, avevano un corpo sottile e privo di curve, che fasciavano con perenni abiti scuri. I loro capelli sottili e scuri erano raccolti in chignon coperti da reticelle adorne di piccole gemme.
    « Mesdames, Monsieur, benvenuti! Ma non rimanete all’ingresso, entrate, entrate!  Presto! » ci accolse Adeline, spostandosi per darci modo di fare il nostro ingresso. In verità sembrava aver fretta di averci tra le sue grinfie, e la cosa m’incuteva un poco di terrore.
    « Dici che usciremo vivi dalla casa di queste megere? » sussurrò al mio orecchio, Flaviano, sorridendomi divertito.
    « Non essere così crudele, suvvia. Sono le orafe più abili di Sivelle ».
    « Ma sono anche le uniche… e gira voce che facciano strani esperimenti nel loro laboratorio, per creare chissà quali gioielli e racimolare ancora più soldi! » vibrò ancora lui, facendomi rabbrividire. Lo colpii lievemente con una mano, posata sul suo braccio, e risposi:
    « Smettila, così mi fai paura ».
Lui trattenne una risata, prima di essere interrotto dalla voce squillante di Louise-Marie che ci aveva gentilmente accompagnati.
    « Piccioncini cari, cosa state aspettando? Entriamo! » esclamò, intrufolandosi all’interno del laboratorio e iniziando a ciarlare amabilmente con Adeline, sui nuovi gioielli, sua conosciuta passione.
Le seguimmo subito dopo e, curiosa, iniziai a guardarmi intorno. Il laboratorio delle due sorelle era grande quanto il nostro, nonostante vi lavorassero quasi unicamente le due, con l’aggiunta di altri due apprendisti – di cui in quel momento non vi era traccia – ma era addobbato con strani strumenti di cui non comprendevo l’uso. Su delle piccole scatole, v’erano disposti gioielli di diverso tipo: bracciali, collane, anelli, orecchini, di diverse forme e colori, e mi brillarono gli occhi di fronte a una tale bellezza. Erano le uniche orafe del villaggio, tuttavia la loro bravura era sorprendente.
Gwendoline ci attendeva dietro a un tavolo e, quando ci vide, ci salutò nel medesimo modo frettoloso della sorella.
Ci fecero accomodare su delle sedie, disposte proprio di fronte a quel tavolo, e loro fecero altrettanto. I loro occhi scuri indugiarono su di me, come per valutarmi, e poi la stessa attenzione fu riversata verso il mio amato e verso Louise-Marie. Si guardarono a vicenda e poi presero parola, o meglio fu Adeline a farlo.
    « Si è molto mormorato sul vostro imminente matrimonio. Oh, per un attimo temevamo che non ci fosse più nulla, dopo quell’increscioso incidente di percorso » emise una risata sguaiata, che m’irritò un poco, e fece anche irrigidire Flaviano. Gli sfiorai appena la mano, cercando di tranquillizzarlo, ma poi l’orafa continuò. « Ma ora che tutto si è meravigliosamente risolto, possiamo fare grandi affari! » esclamò, con un luccichio nello sguardo.
A quel punto s’intromise la sorella, dalla voce più pacata.
    « Mia sorella vuole dire che siamo pronte a realizzare ogni vostro desiderio, per rendere quel giorno speciale. Ditemi dunque quale gemma preferite, se volete l’oro prezioso, l’argento o qualche metallo più grezzo ».
    « Oh, ma un metallo più grezzo per le nozze non s’addice mica! » borbottò Adeline e trovò la complicità della dama di corte.
    « Esattamente. È un giorno speciale, come voi avete detto Mademoiselle Precieux e non voglio cose scialbe per la mia cara amica e il suo sposo. È mia intenzione fare loro un regalo come si sovviene, e sapete che sono disposta a spendere molto se dovesse servire ».
Spalancai le labbra, sorpresa, e mi voltai verso Louise-Marie:
    « Ma… ma… un regalo? »
    « Certo, sciocchina! È il vostro matrimonio ed io devo farvi un regalo adatto! » esclamò, come se fosse la cosa più normale del mondo.
    « Già stai organizzando tutta la cerimonia, non credi che possa bastare? » replicai.
    « Non posso realizzarla come vorrei, giacché c’è una sartina qui che non desidera grandi eventi e vuole festeggiare anche tra il popolo. Se avessi avuto la completa libertà, avrei creato qualcosa di meraviglioso e indimenticabile e saremmo rimaste a Palazzo fino all’alba. Ma, aihmé, devo rispettare il tuo pensiero e quindi ora non mi resta che fare qualcos’altro, e non ammetto repliche, di grazia » alzò il mento fiera, tornando a guardare le due sorelle che per tutto il tempo ci avevano osservate con sguardo attento, rimanendo in silenzio, come del resto vi rimase il mio futuro sposo.
Desistetti presto, conoscendo quel tono. Non sarei mai riuscita a bloccarla quando si metteva in mente una cosa, così mi limitai a sospirare e aggiungere unicamente:
    « Però non voglio cose esagerate… »
Louise-Marie sbuffò contrariata, ma non mi diede attenzione, tornando a parlare amabilmente con le due sorelle, che ben conoscevano l’amore della dama per i loro manufatti.
    « Dovete realizzare due anelli, ovviamente, e se posso permettermi, direi che sia carino farli della medesima fattura, se non fosse per la gemma di diverso colore… Avete dei modelli che potete farci vedere? »
Adeline prese subito la parola, anticipando la sorella.
    « Certamente, mademoiselle Lemoine ». Si alzò, recandosi verso un mobiletto dal quale estrasse dei fogli pieni di bozzetti, che subito ci mostrò. « Abbiamo anelli di diverse forme e materiali. Guardate qui. Ci sono anelli d’argento con mani stilizzate che sembrano sorreggere un cuore; anelli d’oro intarsiati su cui spiccano gemme molto grandi, o altre di minori dimensioni. Avete inoltre un’ampia varietà di scelta: rubino, ametista, zaffiro, smeraldo, acquamarina, perla… »
    « …ma quest’ultima, come ben saprete, vale di più. » aggiunse Gwendoline, come se fossero abituate a completare l’una i discorsi dell’altra e viceversa. « Abbiamo inoltre bisogno di misurare l’ampiezza delle vostre dita, ovviamente, per non correre il rischio di fare anelli troppo piccoli o pericolosamente grossi. »
Flaviano ed io annuimmo, ma fu Louise-Marie ad anticiparci:
    « Sono tutti molto deliziosi, sublimi! Oh guardate questo, e anche questo. Come li vorrei, dovrò proprio tornare presto da voi, sapete? Ma, ora sono qui per la mia Desy, quindi devo impegnarmi sì. Credo che questo qui d’oro con la grande gemma d’ametista potrebbe andare bene, ma anche l’altro di smeraldo… e questo? Non lo trovate assolutamente meraviglioso? »
Incredibile a dirsi, la mia amica era rimasta abbagliata da tutti quegli anelli sfarzosi che io avevo immediatamente e mentalmente lasciato da parte. Sapevo benissimo cosa volevo. Qualcosa di più raffinato sì, perché era comunque un’occasione speciale, ma non troppo pomposo. La semplicità mi accumunava al mio uomo, che infatti guardava con perplessità la mia amica, restando comunque in silenzio per rispettare ciò che c’eravamo ripromessi, quando avevamo finalmente risolto il nostro scontro.
Trascorremmo diversi minuti che divennero quasi ore a discutere su quale anello scegliere. Louise-Marie continuava a sostenere la sua tesi, noi ribattevamo di volere qualcosa di più semplice e ovviamente le due sorelle cercavano di trovare il modo di guadagnare, tenendoci buoni, ma anche cercando di dare ragione alla Dama, che optava sempre per i gioielli più costosi.
Alla fine riuscimmo a entrare in sintonia, scegliendo due anelli molto simili. L’unica cosa che li distingueva erano i materiali e le pietre di diversi colori. Per me fu scelto l’oro e il rubino, perfettamente abbinati all’abito; per Flaviano l’argento e lo zaffiro.
Erano anelli di fattura semplice, ma raffinati, con uno strano motivo stilizzato che ricordava come la figura di due angeli che con le loro mani sorreggevano le due diverse pietre.
Ci misurarono lo spessore delle nostre dita e poi Louise-Marie prese accordi sui tempi di consegna e il successivo pagamento.
Intanto, il nostro matrimonio si avvicinava sempre di più.


*
    

    Mi sembrava di vivere un sogno, ma per una volta quella che affrontavo era la più rosea realtà.
Il giorno delle mie nozze era finalmente giunto, ma tremavo dalla paura e dalla gioia insieme. Avevo fantasticato spesso su quel momento, ma tra il pensiero e l’atto c’era molta differenza.
Con l’aiuto di alcune sarte, avevo indossato l’abito. Volevano tutti farmi sentire una vera dama, nonostante fossi di uno status inferiore ed io non lo impedii. L’abito mi fasciava il corpo e ricadeva ampio fino a terra. L’ampia scollatura lasciava appena intravedere i seni, sul quale scivolava il ciondolo a forma di perla, di mia madre. In quell’occasione era d’obbligo indossare la sua parure.
Le maniche erano strette fino all’altezza del gomito, per poi aprirsi a ventaglio e ricadere verso il basso, come lunghi veli.
Rosso e oro.
Colori che si riflettevano anche sui miei capelli. Eponine me li aveva raccolti in una lunga coda, stringendoli con un nastro rosso, che partiva da una sorta di cuffietta dorata, con piccole perline. Era stato doloroso domare i miei boccoli ribelli, ma alla fine il risultato fu sorprendente. Rimirai la mia figura allo specchio e non riuscivo davvero a credere che fossi io. La bambina si era mutata pian piano in ragazza, e poi in donna. Ero pronta a prendere marito, nonostante fossi già in là con gli anni rispetto a molte altre. Ma in fondo, io non avevo parenti che potessero scegliere al mio posto il mio futuro compagno. Ero, forse, una privilegiata, perché avevo scelto ed ero stata scelta per amore.
Julie comparve al mio fianco, facendomi tornare finalmente alla realtà. Ero così presa da me stessa che quasi non me ne accorsi, ma quando mi voltai verso di lei, notai il suo paffuto visetto comparire dietro un bouquet di rose bianche. I miei fiori preferiti. Una parte di me.
    « Siete bellissima, Desirée » sussurrò, un poco timida, guardandomi con due occhi luminosi ed estasiati. Io le sorrisi e le sfiorai la gota destra delicatamente.
    « E voi siete un tesoro, pétite ».
Presi dalle sue mani il bouquet e respirai il buon profumo emanato dalle rose. Ora ero veramente pronta per andare.

    Il sacro rito si sarebbe svolto presso la Chiesa di Padre Paul, al centro della piazza di Sivelle. Man a mano che mi avvicinai, a piedi, seguita dalle altre sarte e da Madame Le Marchand, notai quanto quel luogo fosse già gremito di gente. Solitamente tutto il paese si riuniva per osservare un matrimonio o una qualche altra cerimonia. V’erano sia invitati che curiosi, ma nessuno poteva impedirlo.
Mi sentivo imbarazzata nel notare tutti gli sguardi rivolti verso di me. Molte persone mi sorrisero e chinarono il capo, altri ragazzini facevano apprezzamenti a volte volgari, cui cercai tuttavia di non badare.
Tra i tanti volti mi sembrò di scorgere le varie streghe, che mi sorridevano, ad eccezione dell’anziana Ophélie, che ormai non usciva più dalla sua dimora, e di Sylvie. O almeno così mi parve. Sorrisi loro, e pian piano, a piccoli passi per non cadere, mi avvicinai al sagrato, dove vidi il mio amato abbigliato di tutto punto, completamente in blu, e al suo fianco Louise-Marie aggrappata con fierezza al braccio del suo amato Capitano Svensson.
Mi sentii venir meno, mentre il cuore aumentava sempre di più il suo battito, e fui grata quando avvertii la mano di Madame prendere la mia, per sostenermi e compiere un gesto importante.
Non c’era mio padre, né la mia vera madre, c’era solo lei che poteva consegnare la sposa al marito.
Padre Paul ci guardava in silenzio e accorto, posto proprio dinanzi al portone della cappella. Tra le mani aveva un piccolo libretto.
Ci fermammo proprio dinanzi a lui. Madame affidò la mia mano a quella di Flaviano, che mi sorrise raggiante. Ricambiai il sorriso, un poco timida, e poi il rumorio della folla fu interrotto dalle parole alte e pacate del Pastore.
    « Fratelli e sorelle, siamo raccolti alla presenza di Iddio per esprimergli la nostra riconoscenza per il dono del matrimonio ed essere testimoni tutti dell’unione di due anime. Con le nostre preghiere e il nostro raccoglimento, possiamo rivolgerci a Lui, affinché faccia scendere su questa coppia la sua benedizione ».
Ora che ero così vicina al mio amato e che mi stringeva la mano, quasi sentii la voce del Pastore affievolirsi. Sembrava provenire da lontano, eppure riuscivo a comprendere ogni parola. Sapevo che presto avrei dovuto rispondere. Il rito si sarebbe ufficiato sul sagrato, per poi passare alla messa vera e propria all’interno della Chiesa. Padre Paul aprì il libretto che serbava tra le mani, e iniziò a proferire tutto ciò che le Sacre Scritture riferivano a riguardo del Matrimonio. Non era la prima volta che udivo ciò, ma cercai di rammentare ogni parola.
    « Iddio ci ha creati uomo e donna e ci ha dato il matrimonio per confortarsi l’un l’altra, vivere fedelmente in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia, nella gioia come nel dolore, per tutti i giorni della loro vita. Che i mariti amino le proprie mogli, come Cristo ama la sua Chiesa e che le mogli siano umilmente sottomesse ai mariti,  come si conviene nel Signore, poiché il marito è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa… ».
Ascoltai quelle parole, abbassando lo sguardo per un attimo, così come fece Flaviano, in segno di puro raccoglimento. Quando, finalmente Padre Paul ebbe terminato quella prima parte, portò una mano sopra le nostre, ancora – in verità – unite e disse:
    « Monsieur Marli, Mademoiselle Chervalie se è vostra reale intenzione sposarvi, unite le vostre mani e levate al cielo le vostre promesse, così da legarvi l’uno all’altra come marito e moglie ».
Volse lo sguardo verso Flaviano che, schiaritosi la voce, disse:
    « Io Flaviano prendo voi Desirée come mia legittima sposa, e prometto davanti a Iddio e a tutti questi testimoni di essere sempre vostro fedele e amorevole marito, nella ricchezza come nella povertà, nella gioia come nel dolore, in salute e in malattia, fintanto che entrambi vivremo ».
Sentii per un attimo la sua mano tremare, ma poi me la strinse leggermente di più. Quando iniziai a parlare, mi accorsi che l’emozione era notevolmente forte in me, tanto che la mia voce tremolava mentre ripetevo la medesima promessa.
« Io Desirée prendo voi Flaviano come mio legittimo sposo, e prometto davanti a Iddio e a tutti questi testimoni di essere sempre vostra fedele e amorevole moglie, nella ricchezza come nella povertà, nella gioia come nel dolore, in salute e in malattia, fintanto che entrambi vivremo ».
Alle mie spalle sentii qualcuno singhiozzare, ma presto la voce quieta del Pastore tornò a elevarsi:
    « Cosa portate come segno della vostra promessa? »
Louise-Marie con discrezione si avvicinò, consegnando a Padre Paul un semplice cuscinetto con i due anelli. Quello era il nostro segno. Il simbolo materiale della nostra unione.
Padre Paul levò la mano sui due anelli e riprese parola:
    « Con la Tua Benedizione, o Dio, possano questi anelli essere per Monsieur Marli e Mademoiselle Chervalie simboli di un amore e di una fedeltà senza fine, rammentando loro il patto che oggi hanno sancito ».
Flaviano prese l’anello rosso, poi tornò a sfiorare la mia mano sinistra e, mentre lo inseriva, disse:
    « Desirée, ricevete quest’anello come segno del mio amore e della mia fedeltà e prometto di onorarvi per tutto il resto dei miei giorni ».
Osservai l’anello al mio dito e sentii gli occhi farsi umidi, ma poi presi l’anello blu e sfiorai delicata la sua mano, prima di ripetere la medesima formula.
Quando entrambi avevamo ormai i nostri deliziosi anelli al dito, Padre Paul prese le nostre mani e si rivolse a tutti i presenti:
    « Davanti a Iddio e a tutti voi, Monsieur Marli e Mademoiselle Desirée si sono scambiati le loro promesse. Le hanno confermate unendo le loro mani e scambiandosi gli anelli. Io proclamo, quindi, che ora essi siano marito e moglie, così che non sono più due, ma una carne sola » si fermò un attimo, prima di concludere: « Quello che Iddio ha congiunto, l’uomo non lo separi ».
Flaviano ed io volgemmo i nostri sguardi l’uno verso l’altra. Eravamo emozionati, ma colti da una felicità inesprimibile. Poi, si chinò verso di me e sfiorò appena le mie labbra in un dolce bacio. A quel punto la folla inebriò l’aria di acclamazioni, risate, applausi e anche lacrime. Madame mi raggiunse per prima, cercando di celare l’emozione. Louise-Marie aveva lacrime ancora sul volto e mi abbracciò con euforia. Ricevetti le felicitazioni di diversi soldati, Capitano in primo luogo – che mi sembrò anche piuttosto gentile – e di ogni persona che conoscevo. V’erano diversi artigiani, ma anche l’oste e sua moglie, e molti altri che mi avevano accolta quando ero ancora bambina.
L’euforia però durò poco, poiché ci aspettava comunque la santa messa, in un’atmosfera più raccolta all’interno della Chiesetta.
Prima di entrare cercai le mie adorate sorelle, ma non riuscii a scorgere i loro visi. Eppure sentivo la loro presenza, vicina, scaldarmi il cuore.
    « Tua madre e tuo padre sarebbero orgogliosi di te ora… » sussurrò appena Madame Le Marchand ed io non riuscii a trattenere le lacrime. Alzai il viso verso il cielo e fui certa che in fondo anche loro erano lì a osservarmi in quel magico e importante momento.


*



    Come richiesto da me e Flaviano la festa fu divisa in due momenti. Nel meriggio saremmo rimasti con la popolazione di Sivelle in piazza; la sera ci saremmo presentati a Palazzo, dove ci avrebbero ben accolto i Conti.
Louise-Marie mi salutò subito dopo la messa, dovendo tornare a corte per sistemare gli ultimi dettagli; dopotutto era pur sempre la prima dama della Contessa e non poteva scegliere liberamente di trascorrere troppo tempo lontano da Palazzo. La lasciai andare in compagnia del Capitano, ben conscia del suo desiderio di rimanerci sola e assieme al mio amato ci palesammo al centro della piazza, dove erano state imbandite lunghe tavolate in nostro onore, proprio grazie al caro Oste Jean e alla sua gelosa moglie.
V’era un cantastorie che allietava l’aria con note allegre del suo liuto; bambini si rincorrevano giocosamente, donne vestite con il loro abito più buono che ciarlavano animatamente tra loro, uomini che bevevano e mangiavano con gusto. Ammirai curiosa tutto ciò che avevano organizzato per noi, e mi sentii cogliere da una strana emozione. Tutti loro mi amavano realmente, ed io mi sentivo veramente accolta, nonostante pochi mesi prima non avessi mostrato un buon lato del mio carattere.
Flaviano sorrideva, parlava un minimo con chi gli rivolgeva parola, ma poi non aveva occhi che per me. Eravamo finalmente marito e moglie e nessuno poteva separarci, se non Dio stesso… o la Dea.
A quel pensiero, cercai di nuovo con lo sguardo le streghe, fino a quando non le notai ridere felici sedute a un tavolo. Elodie, Cécilie e Claire erano proprio lì, abbigliate con deliziosi e semplici abiti, diversi dalle tuniche, se non fosse per i medesimi colori: rosso, verde e viola.
    « Marito mio permettetemi di salutare delle persone a me care. Voi se volete iniziate pure ad accomodarvi ».
    « Va bene, mogliettina » ridacchiò, divertito, per poi posare un soffice bacio sulla mia fronte. Mi lasciò andare e lui s’avvicinò a un gruppo di uomini intenti a discorrere tra loro, tra un boccale e un altro di birra.
Mi avvicinai alle mie sorelle e dissi:
    « Sorelle mie, che piacere avervi qui. Non sapete quanto per me sia cosa gradita… »
Elodie e Cécilie ridacchiarono, mentre Claire mi donò un lieve sorriso.
    « Non potevamo mancare, n’est pas? » disse la più piccina delle tre « e poi con tutto questo ben di Dio e della Dea! » esclamò, guardandosi intorno con occhietti avidi.
 A essa seguì l’erborista, come al solito facevano coppia fissa.    
« Ma Rose non dare ascolto a questa zuccona vuota » portò una mano chiusa a pugna a battere sopra la testolina castana della sorella, che subito si lamentò, gonfiando poi le guance e lanciandole occhiate cariche di finto odio. « Siamo qui per rendere omaggio alla felicità della nostra cara sorellina. Sei incantevole, sai? »
Arrossii alle sue parole, non riuscendo a dire nulla.
Claire restava immobile sulla sedia. Ammirai la nobiltà della sua postura e dei suoi movimenti. Così curati, così precisi e ancora una volta mi domandai sul suo passato. Dopo qualche istante di silenzio, s’alzò e prese delicatamente le mie mani.
    « Desirée meriti tutto questo. Noto l’ammirazione e l’affetto che molti cittadini nutrono per te, ma fai attenzione ».
    « Oh, Claire! Non iniziare eh! C’è da divertirsi oggi, orsù! Desirée non ti dispiace vero, se vado a procacciarmi il cibo prima che quelle ciccione avide lì finiscano tutto? » borbottò Elodie, impaziente.
Io rimasi per un attimo soggiogata dallo sguardo d’acquamarina di Claire e turbata dalle sue parole, ma poi il borbottare della maestra degli elementi mi fece tornare a sorridere.
    « No, non mi dispiace. È una festa ed è giusto divertirsi e mangiare quel che c’è. Vai pure mia cara e grazie di essere venuta ».
Elodie sorrise, raggiante, e prese una manica del vestito di Cécilie, spingendola ad andare con lei.
    « Ma insomma, ti sembra il modo di comportarti davanti alla gente? » si lamentò l’erborista, prima di tornare su di me. « Scusala Desirée… ma… » si strinse nelle spalle ed io scossi il capo, rivolgendole poi un sorriso di assenso.
    « Fame. Ora andiamo! » con queste parole di Elodie, le due scomparvero attirando anche gli sguardi stupefatti delle persone intorno.
Rimasi con Claire e lei, dopo qualche altro istante di silenzio, aggiunse:
« Quelle due ragazze sono davvero indisciplinate, ti chiedo perdono. Difficile per loro imparare le regole, ma sono adorabili anche così » mormorò con voce pacata. « Sono sinceramente contenta per te, soeur, noto l’amore negli occhi di tuo marito. Un amore vero, come sono riuscita a vederlo solo una volta negli occhi di un uomo ». Sospirò e per un attimo riuscii a leggere una qualche emozione in quei suoi occhi chiari. Come un lampo fulmineo di malinconia, che ben presto scomparve lasciando il posto alla tranquillità. « Ti chiedo venia, è la tua festa e non posso dar adito a ricordi di un passato che non potrà tornare. Sii felice mia cara. E quando puoi, torna alla Congrega, la Gran Maestra e la Venerabile Ophélie ti attendono ».
Mi sorrise, sfiorandomi poi con la mano destra il viso.
    « Stai tranquilla sorella, puoi parlare con me dei tuoi ricordi se vorrai » sfiorai la mano che mi pose sul viso, e aggiunsi: « Riferisci alla Gran Maestra e alla cara Ophélie che non appena potrò, farò ritorno e che rispetterò il giuramento che ho fatto ».
In quel momento giunse Julie, con il visetto rosso per la corsa e il gioco.
    « Desirée! » si buttò praticamente tra le mie braccia, desiderosa di un abbraccio ed io l’accolsi serena. Adoravo quella bambina come una sorellina.
    « Ma pétite, ti stai divertendo? » chiesi, ma quando rialzai lo sguardo su Claire, notai che era immobile con gli occhi spalancati, come se si sentisse male. Sembrava terribilmente spaventata, ma appena la sfiorai per sincerarmi delle sue condizioni, tornò tranquilla come se nulla fosse.
« Claire stai bene? »
    « Sì… bene », sussurrò « vai pure con la bambina Desirée, io raggiungerò le altre ». Chinò appena il capo ed io la guardai avanzare, non credendo del tutto alle sue parole. Julie non si staccò facilmente da me, così la presi per mano e tornai ad avvicinarmi a mio marito.
Flaviano, non appena mi vide, mi avvolse con un braccio; tuttavia quando scorse anche la bambina, disse:
    « Mademoiselle Julie felice di vederti ». Fece un lieve inchino e la bambina arrossì completamente, prima di fuggire via, lasciandomi libera.

    « Madamigella Marlì ora la dobbiamo chiamare, è giusto? » la voce dell’oste mi raggiunse, facendoci voltare entrambi verso di lui e la figura minuta della moglie che compariva alle sue spalle, con un coltellaccio in mano, presa a tagliare la carne e valutare la situazione.
    « Potete chiamarmi sempre Desirée, se volete » risposi, sorridendo divertita.
    « Oppure Marli, non Marlì. » bofonchiò Flaviano, desideroso di sentir pronunciare nel modo corretto il proprio nome di famiglia.
    « Marlì che ci ho detto? Marlì! »
Mi sfuggì una risata nel sentire l’ennesimo errore ripetuto più volte e sfiorai appena il braccio di mio marito per tranquillizzarlo un poco. Lui provò ancora a spiegare il corretto accento, ma alla fine desistette.
    « Be’, Mademoiselle Desirée volete almeno oggi provare il mio buon vino? » domandò memore del mio rifiuto mesi prima.
    « Oggi credo proprio che un goccetto lo farò. Ma non esagerate, buon Oste. Sapete quanto poco io possa gestire tale bevanda ».
Lui rise rocamente, ma la sua risata mi faceva allegria e poi riempì due bicchieri fino all’orlo, porgendone uno a me e l’altro a Flaviano.
    « Bevete, bevete! Che il vino non fa male! Alla coppietta! » esclamò, alzando un altro bicchiere e a lui seguirono altre invocazioni. Tutti coloro che avevano un bicchiere colmo di birra o vino, o anche semplicemente di acqua, li levarono in alto e brindarono alla nostra unione.
Flaviano buttò giù velocemente il suo vino – un po’ annacquato in verità – io lo bevvi con più discrezione, sentendo già la mia testa annebbiarsi lievemente.
    « E così un’altra donzella splendente non è più libera, oh perbacco! » esclamò ancora Jean, mentre la mogliettina Annette gli lanciava un’occhiataccia.
    « Che importanza ha? Avete il fiore più bello e splendente al vostro fianco! » ribattei io, un poco più loquace, e notai Annette arrossire e ringraziarmi con lo sguardo.
    « Oh sì, oh sì! È proprio così, a mia moglie, il fiore più splendente che c’è! » e così continuò a bere e far bere, in un gioco divertente e allegro, seppur io non potessi più parteciparvi.
In quel momento, il cantastorie iniziò a suonare un ritmo sempre più movimentato che spinse gran parte delle ragazze e dei ragazzi ad andare al centro della piazza. Flaviano mi afferrò la mano e mi condusse con le altre.
Senza bisogno di domande, iniziamo a eseguire i passi consoni alla musica. Ci venimmo incontro e poi allontanammo, in un gioco divertente. Mi sollevò da terra e poi tornai nella posizione iniziale. Volteggiamo, girammo, sfiorammo le nostre mani, mentre la musica ci circondava e il gran vociare non sembrava sovrastarla.
I nostri sguardi s’incrociarono più e più volte. Mi sentivo allegra, meno pudica, più desiderosa di stare con lui. Volevo vivere ogni singolo frammento di quella felicità che tanto mi ero meritata, o meglio, entrambi meritavamo e nessuno poteva guastarla.
A quel ballo ne seguì un altro e un altro ancora.
Qualche volta lui fece volteggiare la piccola, emozionata Julie; mentre io ballavo con qualche uomo di mezza età. Altre volte v’erano danze in cui potevamo danzare tutti insieme e non a coppie.
L’aria gioiosa colse tutti. Non riuscivo a scorgere nessun viso triste, né stanco nonostante i gran lavori settimanali, ma tutti sembravano ugualmente desiderosi di vivere quel momento.
Quando ormai tutti furono stanchi delle danze, il cantastorie si sedette su un grosso masso e iniziò a raccontare le avventure di un famoso Cavaliere che aveva attraversato popoli e regni, per scoprire la verità sui suoi genitori e la sua vita. Aveva sconfitto uomini cattivi, contratto grandi amicizie e trovato il vero amore.
Restai ad ascoltare in disparte, quando un tratto della storia attirò maggiormente la mia attenzione.

Tra le tante avventure, un dì il Cavaliere dovette affrontare le tentazione di una potente Maga. Costei viveva in una grotta dalla quale, una volta entrati, era ben difficile tornare indietro.
Di spirito coraggioso e incapace di sottrarsi anche alle prove più dure, armato unicamente della sua spada, il Cavaliere vi entrò, pregando in cuor suo la Santa Vergine affinché venisse in suo aiuto.
Un vento gelido gli sferzò il viso, v’era un volar silenzioso di pipistrelli, unito al brulicar di vermi e uno strisciar di serpenti. La nausea lo colse, tuttavia non demorse. Proseguì e nel giro di pochi minuti l’ambiente sembrò mutar di colpo.

Sentii lo stupore crescente nei bambini tutti incantati dalla narrazione, e anch’io rimasi in silenzio, desiderosa di sapere altro.


Una calda luce illuminò il buio e comparvero tre donzelle di bianco vestite che lo accolsero con dolci sorrisi che scaldavano il cuore.
“Benvenuto Cavaliere, nel regno della Grande Maga. Venite con noi, lei vi sta aspettando”.
La loro voce era carezzevole come seta e lui rimase in parte abbagliato, ma quando riuscì a scorgere la padrona di quel regno, rimase senza parole.
Costei era una fanciulla dalla bellezza incantevole. Lunghi capelli color dell’oro scivolavano fino ai suoi piedi nudi, occhi d’ambra erano riflessi in quelli azzurri del baldo cavaliere.
Il suo regno era splendente. La vide scendere da una grande scalinata bianca, del suo sfavillante palazzo di cristallo, e tutt’intorno vera un grande parco verde adorno di fiori, e nell’aria volavano farfalle e cinguettavano lieti gli uccelli.
La Maga iniziò a rivolgergli parola, con tono gentile e premuroso.
“Ben arrivato nel mio regno, nobile Cavaliere. Io ti conosco, ti ho già veduto, e ti voglio bene. Resta nel mio palazzo, osserva le mie ricchezze e forse poi potrò donarti ciò che cerchi”.
Il Cavaliere non si fece incantare troppo. Osservò sì, il Palazzo, le sue immense ricchezze, ma subito chiese dei suoi genitori, che tanto andava cercando.
La Maga, però, desiderosa di tenerlo con sé gli disse di attendere un anno almeno prima di sapere la risposta.
Il Cavaliere non potendo far altro, accettò, credendo alla Maga. Ma non sapeva che di notte, ella assumeva le fattezze di un mostruoso serpente, che morde e avvelena gli ospiti presenti, sue antiche vittime.
Perché dovete sapere che la perfida maga attirava i suoi ospiti nella sua alcova, e se loro non erano così coraggiosi da dire di no, venivano tramutati l’indomani in bestie orribili e costretti a vivere per sempre in quello strano mondo, che mutava al calar del sole. Di notte difatti, tutto diventa vuoto, triste, scheletrico. Non vi sono fiori, farfalle, uccellini. Tutto ha odore nauseabondo e di morte.
Tuttavia il nostro baldo giovane riuscì a dire sempre no alla bella, quanto malvagia maga, e arrivati al giorno fatidico – dopo un anno esatto dal loro incontro – riuscì a sfuggire dalle tentazioni, ad avere la sua risposta e a scappare da un mondo tanto orribile.
Grazie anche alla sua immensa fede nel buon Dio… E così…

Non ascoltai altro, immaginando la fine del viaggio del coraggioso cavaliere.
Non riuscivo a credere a una maga così cattiva, non dopo aver conosciuto delle streghe dai caratteri adorabili. Forse per questo mi rimase impresso quel pezzo del racconto. Così presa da quella storia e dalle mie riflessioni, sobbalzai quando udii una voce alle mie spalle.
    « Come al solito le streghe o maghe vengono viste male da chi non conosce i loro veri poteri e la loro natura ed ecco che sorgono leggende e storie simili. Bah » borbottò a bassa voce Elodie, affiancata da Cécilie e Claire che sembravano aver ascoltato tutto anche loro.
    « Sì, lo pensavo anch’io… »
    « Ognuno ha le sue credenze, purché non si ricorra al male » mormorò Claire e Cécilie aggiunse:
    « Ora però noi dobbiamo andare, dolce Rosa. Continua a divertirti e… ci vediamo presto ».
Le salutai e guardai allontanarsi, prima di tornare a donare attenzione al cantastorie che continuava a raccontare quella strana storia.
Ma ben presto fui raggiunta da Flaviano.
    « Dovremmo andare a Palazzo, l’ora è tarda e ben conoscete la vostra amica, oltre che i Conti ».
Annuii e cercai Madame e altre persone a me più care per poterle salutare. In verità, sarei voluta rimanere lì, perché quello era il mio vero mondo, ma non potevo mancare di rispetto ai Conti che mi avrebbero accolta per una festa in mio onore, né alla mia più cara amica che tanto si era adoperata per quel giorno.
Così, con Flaviano ci avviammo verso il Palazzo. La festa non era ancora finita.


















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E così finalmente ci siamo! I due piccioncini si sono sposati, ma la festa di matrimonio non è ancora finita. Finora vi piace? Prima di passare alle note, doverose per questo capitolo, volevo chiarire una cosa: ho inserito questa storia nella  sezione soprannaturale perché ci sono due elementi, quali le streghe e - in minima parte - i mannari che fanno parte di ciò. Ma non vi aspettate grandi elementi soprannaturali, ecco, non vorrei deludere.

Detto ciò, passiamo alle note:
- L'abito rosso, come ha spiegato anche Madame, era utilizzato nel medioevo nei matrimoni per propiziare le nascite e la fertilità.
- Per il rito religioso ho preso ispirazione dal web (anche se naturalmente sono frasi che si dicono tuttora).
- La storia narrata dal cantastorie è liberamente tratta da "Il Guerrin Meschino", un'opera letteraria, a metà strada fra la favola e il romanzo cavalleresco, scritta intorno al 1410 dal trovatore toscano Andrea da Barberino. La "Maga" fa riferimento alla Sibilla Appenninica delle mie zone - Marche - e ho voluto inserirla in questa storia!


Credo di aver concluso per oggi! A presto, e grazie a chi legge, inserisce la storia tra le preferite, ricordate e seguite e lascia anche un commento!

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Capitolo 18
*** XVII - Il Matrimonio (seconda parte) ***


XVII
Matrimonio
 (Seconda Parte)   





    Un’atmosfera diversa si respirava a Palazzo, sfarzosamente addobbato per l’evento.
La Sala Diamante risplendeva di luce e un insieme confuso di voci ci accolse. Il paggetto tentò di sovrastare il chiasso al fine di annunciarci, ma fu unicamente il gesto del Conte a richiamare tutti all’attenzione.
La musica si spense e le coppie danzanti si fermarono un po’ controvoglia e si disposero ai lati al fine di non intralciare il nostro cammino.
Avrei dovuto sentirmi come una nobildonna in quel momento, invece provavo un grande disagio. Non amavo essere al centro dell’attenzione, sotto quegli sguardi di persone che conoscevo appena o mi erano sconosciuti e in un mondo che non mi apparteneva. Se non ci fosse stato Flaviano a stringermi la mano che si aggrappava al suo braccio, probabilmente sarei caduta, divenendo lo zimbello del Palazzo e fonte di chiacchiere che si sarebbero spente solo all’emergere di un altro scandalo.
Rimpiansi la piazza, quella gente semplice che amava divertirsi con poco e le persone che mi avevano cresciuta e accolta. Ma non potevo declinare l’invito a quella festa a cui Louise-Marie si era prodigata per mesi per raggiungere quell’ideale di perfezione al quale sempre aspirava e non potevo neanche ribellarmi al volere del Conte.
Intravidi la mia amica in un angolo della sala, non troppo distante dal trono su cui erano assisi i due Conti, e in compagnia del suo amato Capitano. Le sorrisi, un poco tesa, e poi andammo a inchinarci di fronte ai due nobili.
Erano riccamente abbigliati e ci scrutavano in modo diverso. Il Conte sorrideva allegro, il faccione a forma di luna piena arrossato a causa del vino; sua moglie, in netto contrasto, ci guardava quasi con freddezza o forse, semplice noia.
Il Conte proruppe in una risata fragorosa, mentre puntava gli occhi su di me.
    « Così la nostra deliziosa sarta si è sposata con il nostro baldo soldato » si fermò, buttando giù altro vino, come se per lui non fosse abbastanza – ma dopotutto nessuno poteva osare negargli qualcosa – e poi riprese, « siete incantevole, Madame. Se non foste una donna del popolo, sareste forse la nostra prima dama! »
Continuò a ridere, mentre i cortigiani lo copiavano – come dovevano fare per entrare nelle sue grazie – ma, oltre alla consorte, scorsi un’altra persona che non sorrideva minimamente. Anzi, il suo viso era quasi teso, mentre i suoi occhi verdi erano puntati su di me.
Louise-Marie era immobile, come una statua di marmo che emanava una strana energia. Provai un brivido nell’intercettare il suo sguardo e subito mi voltai, cercando di rispondere con parole adeguate.
    « Vostra Grazia è troppo gentile con me ». Tenni lo sguardo basso, mentre continuavo. « Tuttavia avete già una prima dama che potrebbe gettare invidia presso altre corti. Così graziosa, abile, esperta nel suo ruolo. Io, al contrario, non saprei proprio come muovermi a corte e mai anelo al suo posto. Sono umilmente felice di svolgere il mio lavoro e, fino a quando lo vorrete, di essere la sarta di questo Palazzo ».
Il Conte mi analizzò per qualche minuto e poi le sue labbra si distesero in un nuovo, largo, sorriso che ben presto si trasformò in una fragorosa risata.
    « Va bien! Ora andate pure a divertirvi, suvvia! Bevete, danzate, musica! E altro vino per me! » esclamò, alzando il suo calice d’oro, rivolgendosi a uno dei paggetti.
Io sospirai, desiderosa di allontanarmi al più presto da loro e, insieme a mio marito, mi avvicinai ben presto a Louise-Marie e al Capitano Svensson. Non appena le fui vicina, però, continuai a percepire uno strano attrito, come un sentimento negativo da parte sua nei miei confronti.
La sentivo fredda, distaccata, ma ben presto il suo viso contratto si distese e mi sorrise raggiante, seppure i suoi occhi non riuscissero a mentire.
    « Ma chére! Finalmente siete arrivati! » esclamò, prendendo le mie mani e rubandomi praticamente al mio amato. « Spero solo che non vi abbiano sgualcito questo delizioso abito ».
Storsi un poco le labbra, contrariata, ma poi mi tranquillizzai. Era la mia festa e non volevo rovinare tutto.
    « Sono stata attenta ed è perfetto così come quando me l’hanno regalato » feci una pausa, voltandomi per un attimo verso Flaviano che mi sorrise. « Ti chiedo perdono se ho fatto tardi, ma le ore son passate così celermente… »
    « Non c’è da preoccuparsi, ora siete qui e danzeremo fino al mattino! » esclamò raggiante, per poi lasciarmi le mani e tornare ad avvinghiarsi al suo amato.
Voltai lo sguardo su quest’ultimo – in verità alzai proprio il volto per guardarlo dal basso – e feci un leggero inchino.
    « Capitano Svensson è un vero piacere per me rivedervi ».
    « Madame. Vi faccio le mie congratulazioni » si limitò a dire, come al solito di poche parole.
    « Vi ringrazio » sorrisi leggermente, mentre mi sentivo come analizzata dalla mia amica.
    « Se avete fame c’è ancora tanto sul tavolo. Le danze sono iniziate da un’ora appena, ma potete unirvi. Il Conte e la Contessa ci hanno accordato il permesso di continuare a divertirci fino alle prime luci dell’alba, senza problemi. Quindi che aspettiamo? » proferì Louise-Marie, vagando con lo sguardo tra me, Flaviano e il Capitano.
    « In verità sono un po’ stanca » iniziai, ma vedendo un guizzo di rabbia nello sguardo della dama, continuai « ma parteciperò senz’altro a qualche danza, subito dopo essermi rifocillata per bene ».
Lei gioì e, una volta vicini alle tavole imbandite di ogni genere di leccornia, la attirai a me.
    « Lou posso chiederti una cosa? »
    « Mh? Dimmi pure… »    
    « Ho notato che non hai gradito le parole del Conte… »
Lei mi guardò con il medesimo sguardo che mi aveva causato un leggero tremore, ma io continuai senza esitare troppo. « Tuttavia nella mia risposta ero sincera. Anche se avessi nobili natali, non ruberei mai il posto che ti appartiene. È tuo, io non ne sono interessata né vi aspiro. Il mio unico interesse è l’arte della sartoria e, da oggi, essere una buona moglie. Devi credermi, Lou ».
Presi le sue mani tra le mie e le sorrisi con dolcezza. Sul suo volto sembrarono succedersi diverse emozioni: dalla freddezza e forse paura di veder svanire il suo posto a Palazzo, all’incertezza e titubanza di fronte alle mie parole. Alla fine, vidi sorgere sulle sue labbra un tenue sorriso di risposta. Strinse un pochino di più le mie mani, ed annuii.
    « Ti credo mon chére amie ».
Sospirai serena e la serata proseguì più leggera.
    
    Nonostante avessi già mangiato, cercai di accontentare la mia amica, prendendo qualche delizioso dolcetto che non si poteva trovare in una piazza cittadina. Adoravo quei deliziosi biscotti al cioccolato, alimento proveniente da terre lontane e a me sconosciute, e ne mangiai diversi.
    « Se continuerete così, rischio di veder svanire la splendida dama che ho sposato. Basta biscotti ora, moglie mia, potete concedermi l’onore di questo ballo? »
Flaviano mi tese la mano ed io buttai giù l’ultimo pezzo di biscotto che tenevo tra le dita, prima di posare una mano sulla sua. Lo vidi sfiorarmi le labbra con l’altra libera, e arrossii visibilmente. Ero pronta a fargli presente che eravamo ancora in pubblico e non poteva concedersi simili gesti, quando mi fece notare che aveva allontanato dalle mie labbra il frutto della mia golosità: una piccola gocciolina di cioccolato, cosa che mi portò ad arrossire ancora di più d’imbarazzo.
Flaviano rise divertito nel vedermi in quel modo ed io mi morsi le labbra, un poco irritata, ma ben presto ci trovammo al centro della gran sala insieme ad altre coppie.
La stanchezza che mi aveva colta, scomparve. Mi sentii come nuova, piena di energia e voglia di divertirmi. Danzammo per ore diverse armonie, suoni, musiche e tipologie di danza si alternarono, ma ci sembrava impossibile fermarci.
Quando ormai mi sentii esausta, scivolai su una poltroncina tra altre dame più anziane – e talune anche giovani – per riposare, mentre Flaviano raggiungeva i suoi compagni d’arme.
Cercai di riprendere fiato e con lo sguardo vagai per la grande sala. Quel mondo così ricco e scintillante era distante da me, eppure avevo il permesso di accedervi. Per un attimo lasciai libera la mente, immagini di me adorna di abiti e gioielli elegantissimi s’unirono a danze e feste di ogni genere. Scossi tuttavia il capo e quella visione svanì. No, quel mondo – seppur fosse meraviglioso – non faceva per me.
Tornai alla realtà e notai che Louise-Marie si era aggiunta al gruppetto di dame. Tutte avevano un ventaglio – di materiali e forme diverse – che agitavano freneticamente e ogni tanto lo bloccavano per guardarmi come da dietro quella copertura, bisbigliando poi qualcosa tra loro. Ecco, quello era l’aspetto che meno amavo della corte.
Sospirai un poco, ma poi dedicai la mia attenzione alla mia amica.
    « Ho notato che ormai con il Capitano Svensson fai coppia fissa… »
    « Uh? Mais Oui » rispose, distogliendo lo sguardo proprio rivolto verso il suo amato. « Non è meraviglioso? Tu sposata ed io… credo di essere davvero innamorata ».
La guardai sorpresa. In tutti quegli anni si era infatuata di numerosi cortigiani o uomini d’arme, ma spesso si trattava solo di pura voglia di essere apprezzata, adulata, corteggiata. Non l’avevo, però, mai sentita dire quella parola.
    « Innamorata? Davvero? In così poco tempo? »
    « Perché occorre del tempo preciso per innamorarsi? » mi domandò, dura.
    « No, non fraintendermi. Non volevo dire questo, ma scusami se ti dico che mi fa un certo effetto sentirti dire che sei innamorata. Anche se, sono davvero felice per te ».
    « Credo di esserlo, sì. Non era mai successo prima, tu lo sai bene » bisbigliò, non volendo far trapelare tutta la conversazione tra le dame. « Ma mi sento strana. Prima era diverso… mi piaceva essere corteggiata, adulata da più uomini. Ora sono io che ho corteggiato, sì, questo non è proprio quello che una buona dama dovrebbe fare, ma era così freddo e chiuso, eppure doveva essere mio. Pensavo che fosse solo un gioco frivolo, e invece… Oh Desy, provo qualcosa di strano, proprio qui » mi prese una mano e la posò sul suo cuore che batteva molto forte, « e ora non vedo che lui; sto anche allontanando tutti gli uomini da me. Certo, non posso essere troppo fredda, sono pur sempre una Dama di corte e si sa che bisogna avere un certo fascino e suscitare l’interesse di numerose persone, per essere popolare agli occhi degli altri e del Conte. Eppure, non penso ad altri che a lui… » sospirò ed io portai la mia mano ad accarezzarle il volto, con delicatezza.
    « Sì, questo è sicuramente amore. La mia splendida Lou innamorata! » esclamai, e se non fosse per l’etichetta da seguire, l’avrei abbracciata così forte da imprimerle tutto il mio affetto. « Sono così felice per te, amica mia ».
Lei mi sorrise, ma poi sentimmo delle risatine dietro di noi.
    « Ma cosa hanno tanto da confabulare quelle lì? » mormorai, un poco irritata, indicando con un lieve gesto del capo le dame dietro di noi.
    « Oh, ma come ma chére, non lo hai capito ancora? È tutta la sera che si chiedono se sei pronta alla tua prima notte, o forse sarebbe meglio dire alba, con lui » un sorriso malizioso le sfiorò le labbra e, nel momento esatto in cui compresi a cosa si riferissero in particolare, il mio viso s’imporporò violentemente.
    « Ma… ma… »
Tutte scoppiarono a ridere nel vedermi così facile preda dell’imbarazzo, e nel momento in cui avvertii anche gli sguardi degli uomini su di me, avrei voluto poter usare la magia per scomparire.



*


    La serata proseguì a suon di risatine e consigli che non fecero altro che aumentare il mio imbarazzo e la mia paura. Non avevo mai parlato prima di certe cose, né ero preparata e quando mi ritrovai da sola con mio marito nella nostra casa – non troppo distante dalla piazza cittadina – iniziai a provare un crescente timore. Dame più esperte – che a loro dire avevano fatto certe cose più volte – mi dissero che dovevo rimanere immobile per diversi minuti subito dopo che il seme fosse entrato nel recipiente. Trovai quella descrizione non adatta, ma a questa seguirono altre domande di dame più inesperte – proprio come me – che si chiedevano se provocasse davvero dolore.
Dolore.
Io non volevo provare dolore, ma non sapevo neanche cosa aspettarmi di preciso. In verità non avevo neanche mai visto in modo completo il corpo nudo di un uomo.
Flaviano mi prese per mano e mi condusse verso la stanza che da quel giorno stesso avremmo condiviso per il resto delle nostre vite. I miei occhi scivolarono sui pochi ma adeguati mobili esistenti e sul letto proprio al centro, adornato sui lati da tende di tessuto semplice, sulle quali spiccavano motivi floreali. Non era nulla di eccessivo o sfarzoso, ovviamente, ma mi faceva sentire ugualmente importante.
Non ci furono molte parole tra noi, ma era evidente il forte imbarazzo che emanavo, in netto contrasto con la sicurezza – almeno apparente – dimostrata dal mio amato.
Mi lasciò dinanzi al letto ed io vi scivolai a sedere. Ero impacciata e timorosa, e lui cercò in tutti i modi di dimostrare quella dolcezza e gentilezza che tanto mi avevano conquistata.
    « Finalmente soli, mia dolce mogliettina » soffiò al mio orecchio, facendomi rabbrividire di piacere, e le sue mani mi sfiorarono leggermente il viso.
Socchiusi appena gli occhi, per poi ritrovare le sue labbra sulle mie. Le avviluppò in un casto bacio, che ben presto si fece più spinto. Portai le mie mani sul suo viso, chinato su di me, e ricambiai con passione e, quando lui cercò di aprire le mie labbra non mi opposi, avvertendo la sua lingua che andava a cercare la mia.
Nulla e nessuno poteva impedirci di lasciarci andare e, man a mano che lui mi baciava e accarezzava, sentivo svanire quella rigidità dovuta alla paura.
Ero fortunata. Non essendo una nobildonna non avevo dovuto sposare un uomo sconosciuto e non amato e nessuno si aspettava che dovessi concepire subito dopo l’atto, per consumare del tutto il matrimonio. Ero una donna del popolo, forse più benestante grazie alle mie doti, ma potevo scegliere liberamente chi amare.
Io amavo quel romantico soldato e lui mi ricambiava. Nessuna paura poteva guastare quel momento, o almeno credevo.
Flaviano continuò a sfiorare il mio viso e a baciarmi, ma m’invitò a scivolare pian piano sul letto, distesa. Acconsentii e in breve tempo mi fu sopra. I nostri vestiti rappresentavano ancora un ostacolo per noi, e ben presto lo sentii vagare sul corpetto del mio abito, tentando di sfilarlo in qualche modo.
Smettemmo di baciarci per qualche istante e lo aiutai a svestirmi. Non era facile, ma logicamente ero io a conoscere meglio l’abito di una donna.
Alzai poi le braccia e lui lo sollevò, ritrovandomi ben presto unicamente con una camiciola di lino, che lasciava trasparire il mio corpo nudo. In quel momento avvertii il sangue raggiungere il viso, sicuramente ero arrossita. Vidi una luce nei suoi occhi, la sua voglia era palese e non perse altro tempo. Iniziò a togliersi tutto, fino a quando non fu completamente nudo ai miei occhi e, con curiosità, iniziai ad osservarlo, sebbene fosse buio. Rimasi un poco stupita da ciò che vidi, forse spaventata. Ero del tutto vergine. Mai avevo veduto, mai ero giaciuta con qualcuno. Era la mia prima volta su tutti i fronti.
Lui tornò a rivolgermi la parola e, notando il mio sguardo curioso, rise divertito.
    « Siete rimasta sconvolta, ma douce? »
Tentai di rispondere, ma dalle mie labbra uscì solo un mormorio confuso. Abbassai lo sguardo, e poi cercai di parlare di nuovo ma lui pose le dita sulle mie labbra, come a zittirmi.
    « Tranquilla… »
Annuii leggermente con il capo e lui iniziò a sfilare l’ultima parte di stoffa che ancora mi copriva. In un attimo fummo entrambi nudi, così come Dio ci aveva creati. Lui portò le mani sul mio seno, iniziando ad accarezzarlo, e poi alle carezze seguirono i baci.
Provai una sensazione di benessere che non riuscivo a comprendere, e non riuscii a trattenere dei gemiti che tuttavia mi facevano vergognare.
Mi sentivo imbranata, confusa, incerta. Era tutto nuovo per me. Ero come una bambina di fronte a qualcosa che non aveva mai visto.
Flaviano tornò a guardarmi, sussurrandomi parole dolci nel tentativo di tranquillizzarmi, e poi le sue mani scivolarono sulle mie gambe, nel tentativo di aprirle. In quel momento m’irrigidii, ma lui cercò di rilassarmi ancora.
Lo sentii sfiorarmi in quel punto proibito. A quel gesto rabbrividii e tentai di chiudere le gambe, spaventata.
Mi sentivo una sciocca, una ragazzina spaventata che non riusciva a rilassarsi neanche di fronte alle sue parole, alla sua tenerezza e delicatezza in ogni movimento.
Lui si fermò, e tornò a baciarmi il viso, che ben presto si bagnò delle mie lacrime.
    « Mon Amour, non dovete reagire così… state calma, non me la prendo se non vi sentite pronta. È normale avere paura, ma non vi farò alcun male. Siete il mio tesoro grande, la stella più splendente del firmamento, la perla del mio cuore. Mai vi ferirò… »
Mi baciò sulle labbra ed io ricambiai con foga. Volevo smetterla di piangere, ma quelle lacrime impertinenti erano più forti di me.
    « Se non ve la sentite, potremmo provarci domani… o quando più vi aggrada » continuò lui, ma io scossi il capo. No, io lo volevo davvero e non avrei lasciato che la mia paura prevalesse sull’amore.
    « No… possiamo. Io lo voglio davvero… ho solo paura, ma voglio farlo. Io vi voglio… vi amo… ».
Lui mi sorrise e riprese a baciarmi. Cercai di concentrarmi unicamente su di questo, e anche quando lui tentò di nuovo di far scivolare il dito dentro di me, non mi opposi. Lo lasciai fare, anche quando ne introdusse altri, come a volermi rendere veramente pronta. Una sensazione di piacere mi avvolse e mi sentii un poco bagnata. Proprio in quel momento, lo vidi muoversi su di me, e compresi che il momento era giunto.
    « Fate piano, ve ne prego… » mormorai.
Lui mi baciò ancora sulle labbra e poi iniziò a penetrarmi.
Non fu facile, perché la mia rigidità non aiutava. Tuttavia lui continuò, cercando di farlo con una delicatezza che non immaginavo fosse possibile in un uomo, ed io pian piano tentai di rilassarmi.
Eppure quando entrò completamente in me, sentii un dolore molto forte che mi spinge quasi a urlare.
Era quello perdere la verginità?
Avrei voluto bloccarlo, farlo smettere, e in un primo tempo tentai realmente di togliermelo di dosso, ma lui mi bloccò e continuò a baciarmi come nel tentativo di placarmi.
Quando al dolore subentrò un’altra sensazione, di piacere, pian piano mi rilassai. Lo sentii muoversi sopra di me, con più foga, ed io mi limitai a stare ferma, non sapendo effettivamente cosa fare, come muovermi.
Fino a che lui non si bloccò, emettendo un gemito più forte, e si accasciò su di me. Lo strinsi a me per qualche minuto e poi lui si staccò, scivolando su un lato del letto.
Mi accolse di nuovo tra le sue braccia, mi sorrise e riempì ancora di carezze.
Non avevo provato una grande sensazione di estremo piacere, così come alcune dame mi avevano detto, ma la felicità di essere stata completamente sua e di aver superato la mia paura riempì il tutto.  Sorrisi tra le lacrime, e lentamente mi addormentai tra le sue braccia.
Ora eravamo davvero marito e moglie ed io mi sentivo cresciuta.



*



    Soltanto quando la luce si fece più intensa, aprimmo gli occhi. Per una volta potevamo dormire fino a tardi, senza problemi. Ci avevano concesso una giornata tutta per noi, priva dei nostri rispettivi lavori. Fui la prima a svegliarmi e rimasi a contemplare il mio amato, il cui volto era rischiarato da un raggio di luce che penetrava dalla finestra. Rimasi in silenzio e immobile, quasi per paura di svegliarlo, ma poi gli sfiorai il volto con la mano destra e mi chinai a baciarlo sulle labbra.
Lui emise un mormorio confuso, prima di aprire gli occhi, sbattendoli più volte per vedere bene.     
    « Bonjour mon mari » dissi, e lui mi avvolse tra le sue braccia, schioccandomi un bacio sulle labbra e replicando:
    « Bonjour ma douce femme ».
Iniziò a baciarmi come qualche ora prima e ben presto ci ritrovammo nella medesima situazione. La seconda volta però fu più semplice. Mi accorsi di avere meno paura e molta più voglia e la sensazione che provai una volta che fu dentro di me, fu intensa e complicata da spiegare a parole. Mi sentii sprofondare come in un sogno dalle tinte più splendenti, mi sentivo leggera, felice come non mai, e provai un piacere così forte che quasi temevo di morirne.
A prevalere fu la dolcezza e la delicatezza nei modi. Amavo questo di lui. La sua capacità di rendermi quasi davvero come una regina. Una donna amata in ogni suo aspetto. Tra le sue braccia mi sentivo protetta e non avrei mai voluto scendere da quel letto e soprattutto allontanarmi da lui.

La vita però doveva andare avanti. Riluttante mi alzai dal letto e mi coprii con una camiciola abbastanza lunga di lino bianco. Mi sfilai il nastro e le perline dai capelli, che si erano aggrovigliati in una massa inestricabile. Non fu per niente facile, dovendo fare tutto da sola, ma d’un tratto sentii delle mani grandi seguire le mie. Non mi voltai, ma sorrisi. Flaviano si era alzato e mi aiutò a sfilare tutto, cercando di farlo con molta cura. Quando finalmente fui libera, sfilai anche il nastro rosso e scossi un po’ la testa lasciando liberi i miei capelli. Mi voltai dunque verso di lui, e portai le braccia al suo collo e lui mi avvinghiò a sé. Ci sembrava impossibile stare troppo lontani, come se anche quell’atto, quella notte e quel mattino, ci avessero uniti ancora di più.
    « Dovreste lasciarmi andare, maritino. Non possiamo vivere tutto il giorno in questa stanza » mormorai, tra un bacio e un altro.
    « Non mi sembra una cattiva prospettiva vivere qui, dopotutto v’è tutto ciò di cui ho bisogno: il mio splendido sole che stringo tra le braccia ».
    « Se continuate così, potrei davvero non farvi uscire più da qui e… » ammiccai indicando il letto, e lui sorrise malizioso e anche stupito da quel mio ardire.
    « Siete insaziabile » sussurrò lui, avviluppando il mio orecchio destro con le sue labbra, provocandomi un forte brivido lungo la schiena.
    « E voi un demone tentatore… » replicai, ma lo vidi fermarsi, come se avessi detto qualcosa di orribile. Lo guardai perplessa ma, prima che potessi replicare, lui tornò a sorridere e si staccò da me.
    « Meglio fermarci qui, o non risponderò di me e vi ritroverete incatenata su quel letto » ridacchiò e si avvicinò a una cassapanca, andando ad estrarre dei comodi abiti cittadini e non la sua divisa.
Risi con lui, poi mi sciacquai leggermente il viso e tornai a indossare un abito molto semplice, di seta rosa. Nel momento in cui andai a scostare le coperte, notai una macchia rossa sulle lenzuola. L’imbarazzo si unì ben presto alla gioia.
No, non ero più una vergine. Ora ero una donna completa.


*



    « Allora come è andata? Com’è? Come diceva quella smorfiosa di Angeline, o come sosteneva Sophie? Provoca dolore o piacere? E… insomma, devi raccontarmi tutto! »
Louise-Marie non aveva perso tempo ed era venuta a trovarmi quello stesso meriggio. Flaviano era uscito per delle commissioni e ci trovavamo sole, dietro una boccale di buona birra. Ovviamente immaginavo tutte quelle domande, ma non era per me facile esprimere delle emozioni tanto intime. Tuttavia ero consapevole che di lei potevo fidarmi. Custodiva da sempre i miei pensieri come io ero la custode dei suoi.
    « Be’ ecco… non è facile spiegarlo a parole. Diciamo che sia Angeline sia Sophie avevano una parte di ragione ».
La dama mi osservò con fare incuriosito ma anche con una punta di perplessità nello sguardo.
    « Inizialmente non è andata così bene… ero così tesa dopo tutti quei discorsi. Sai che non ho visto mai un uomo nudo e mai mi ero mostrata senza abiti di fronte a un uomo e già questo era fonte di grande imbarazzo per me. A ciò si è unita la mia paura del dolore. Temevo che… il suo membro potesse dolermi e quando ha tentato di provarci, io mi sono opposta. Mi sono sentita male. Non mi sentivo pronta. Ero solo un’imbranata capace di piangere… ma Flaviano è stato così dolce con me, così attento e delicato. Voleva anche smettere sai? »
    « Oh… realmente? » domandò « ma in fondo lui è sempre stato così adorabile con te, ma chére. Sei molto fortunata » mi sfiorò appena la mano, e poi riprese a bere un goccio di birra.
    « Sì, lo sono. Ma alla fine ho cercato di rilassarmi ed è successo. Inizialmente ho provato un dolore molto forte, stavo per oppormi di nuovo, ma ormai… be’, ecco, lui era dentro », sentii affiorare il rossore sulle mie gote e abbassai lo sguardo. « Quindi ha continuato e poi c’è stato piacere. Sì. Anche se non era così forte, ma nella seconda… ».
Louise-Marie spalancò bocca e occhi, notevolmente stupita dal mio dire e quasi non si strozzò con la birra.
    « Se - seconda?!? Desirée! L’avete fatto due volte? Due volte la sua asta è penetrata nel tuo punto proibito? », domandò a voce anche alta, tanto che temetti che la potessero udire da fuori.
    « Abbassa la voce, per carità! Non vorrei rendere pubblico un fatto privato! » la rimproverai, ma poi aggiunsi. « Be’, questa mattina è successo di nuovo ed è stato meraviglioso. Ero più sicura, più sciolta e… ed è difficile esprimere quello che ho provato, è una sensazione di pura estasi e… be’, penso che possa bastare no? » domandai, ormai all’apice dell’imbarazzo.
    « Bastare? Oh no, ora dovrai raccontarmi anche il più piccolo particolare! La mia sorellina insaziabile! Oh Cielo, chi l’avrebbe mai detto che proprio tu potessi anticiparmi e addirittura farlo due volte nel giro di poche ore! Ah, dietro il tuo visetto d’angelo si nasconde una maialina, oh sì! Dovrei dirlo a tutte quelle sapientone che ciarlavano a vanvera ieri sera. Sai, Angeline in realtà non si sa se ha davvero consumato qualcosa, c’è chi dice che sia più vergine di te, ma lei ama parlare e vantarsi di cose non fatte, perché così crede di poter raggiungere il massimo della popolarità che però io ho, conservando ancora le mie doti. Ma ora la mia dolce Desy è cresciuta e… »
    « No! Non dovrai raccontarlo a nessuno. Giuramelo » le dissi, guardandola con un’intensità tale da spingerla a bloccare il suo discorso che rischiava di andare piuttosto per le lunghe. Lei sembrò rifletterci un po’ su e poi ridacchiò.
    « Sciocchina, credi davvero che sarei capace di rivelare al pubblico le tue cose più intime? Non lo farei mai, parola di Dama, anzi, di Prima dama » si segnò sul cuore e poi mi sfiorò di nuovo la mano. Dopodiché alzò il calice e mi spinse a fare altrettanto.
    « Brindiamo alla mia sorellina maialina e al suo amore! »
Le lanciai un’occhiataccia, ma poi presi il boccale e lo alzai, replicando.
    « All’amore vero che entrambe abbiamo trovato ».
Lei sorrise e, dopo aver fatto schioccare i nostri boccali, li portammo alle labbra proprio nel momento in cui Flaviano aprì la porta e ci udì.
    « A cosa si brinda qui? » domandò, curioso.
    « Semplicemente a noi. Al nostro amore… » mormorai dolcemente, lasciando il boccale e avvicinandomi di nuovo a lui. Sgusciai tra le sue braccia, e poi tornai a sorridere alla mia amica che ricambiò.
Avevo raggiunto la felicità cui anelavo e nessuno poteva distruggermela tanto facilmente.

    





















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Spero di non essere sfociata nel rosso. Ho cercato di non descrivere con precisione tutto l'atto, quindi mi auguro di poter lasciare il rating all'arancione.
E così, finalmente i due si sono sposati e uniti del tutto. E ora cosa succederà? Cosa attenderà Desy?
Spero che questa storia vi possa ancora curiosire e che il ritmo apparentemente lento non sia noioso. Mi piace descrivere tutto, fa parte del mio stile.
Anticipo, però, che ho intenzione di scrivere una storia su un altro personaggio: Claire! Ma è ancora tutto nella mia testa per ora e spero di riuscire a renderla maggiormente soprannaturale di questa!

A presto, e grazie di cuore a chi ha inserito questa piccola storia tra le preferite, seguite e ricordate! :)
e soprattutto all'unica che sta commentando ogni capitolo, e a cui va tutto il mio affetto! Anche se non ti conosco personalmente, grazie di cuore! Le tue parole mi spingono davvero ad andare avanti! Grazie, Mitzune_chan!

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Capitolo 19
*** XVIII - Dea e Dio ***


XVIII
Dea e Dio

  

     La mia vita era in parte cambiata.
Prima ero solo una sarta che di tanto in tanto aveva il permesso di accedere a Palazzo, mentre ora dovevo districarmi in varie cose. Ero una moglie e dovevo prendermi cura della casa e del mio amato marito, ma allo stesso tempo Flaviano aveva accettato di non recludermi totalmente in quel luogo. In molte, una volta sposate, dovevano rimanere in casa e occuparsi esclusivamente di ciò e della futura prole, ma io non avevo alcuna intenzione di abbandonare il mio lavoro, che tante gioie mi aveva dato, e neanche le mie sorelle streghe.
Odiavo mentire o omettere dettagli ma, sebbene mi fidassi e amassi in modo sincero il mio sposo, non volevo distruggere la mia promessa: non potevo dirgli nulla della Congrega.
I primi giorni, non fu facile recarmi al Salice. Temevo di essere osservata, seguita, giacché ancora la concentrazione era rivolta sulla novella sposina. Tuttavia, Flaviano trascorreva quasi tutte le intere giornate al Forte e così, una volta concluso il mio lavoro alla Magione di Madame le Marchand, sgusciavo via raggiungendo le mie, ormai, adorate sorelle.
Tutte mi accoglievano con gioia, eccetto Sylvie, la Gran Maestra, che ancora mi osservava con un’incomprensibile freddezza. Avrei voluto parlarle, penetrare in quella barriera di ghiaccio e farmi accettare anche da lei, ma non sempre era facile. O forse, non avevo abbastanza determinazione.
Le altre streghe trascorrevano ogni momento che potevo concedere loro spiegandomi in maniera più approfondita la magia.
Elodie mi aiutò a comprendere maggiormente gli elementi, focalizzandomi soprattutto sul mio, l’aria, e insegnandomi a gestirlo. Inizialmente non fu facile ma man a mano che mi esercitavo, che entravo in contatto con quella fonte di energia, mi sentivo potente. Non si trattava, però, di un sentimento negativo. Più volte Elodie mi aveva ribadito che le streghe non usano gli elementi per scopi malvagi, bensì traggono tutta l’esperienza necessaria dalla natura, per poi creare insieme l’armonia. I rituali da loro svolti – ai quali mi trovavo a partecipare raramente, giacché si svolgevano di notte e mi era impossibile lasciare mio marito – si concentravano unicamente sul richiamo della Dea e del Dio suo sposo, e sull’utilizzo di erbe magiche, sapientemente amalgamate da Cécilie, che tanto si prodigò nel farmi conoscere ogni genere di pianta.
Le lezioni con Claire erano le più difficili. Non era facile imparare i vari significati delle rune e degli altri strumenti. M’insegnò l’importanza delle pietre, che mutavano il loro utilizzo e il loro potere sulla base anche del colore e delle loro caratteristiche e mi ritrovai a incantarmi di fronte all’ametista, una pietra violacea, e al quarzo rosa.
L’ascoltavo sempre con muto silenzio, azzardandomi a far domande solo qualora non riuscissi a comprendere la sua spiegazione, ma rimasi sempre più affascinata da quel mondo misterioso e dalla sua infinita sapienza, nonostante avesse solo la mia età.
Soprattutto con lei sviluppai un rapporto più intimo. Era come se la conoscessi da sempre, da una vita precedente a quella. Spesso lei faceva sogni terribili che la portavano a svegliarsi urlando, pallida e fragile. Quando la trovavo così, mi prodigavo per starle vicina e farla sentire meglio. Tra tutte le streghe, era lei alla quale mi sentivo più affine.

    Una sera, quando il sole stava appena tramontando all’orizzonte e lasciava una scia violacea nel cielo, ci trovavamo tutte al di fuori dell’antro, sedute sullo spiazzo d’erba. Grazie alle temperature molto alte di quella piacevole estate, anche Ophélie si trovava con noi. Avevo il capo appoggiato sul suo petto e lei mi sfiorava un poco i capelli. Dovevo tanto a quell’anziana strega. Mi aveva fatto nascere e aveva aiutato mia madre a riprendersi dai dolori del parto. Per me era come una vera e propria nonna, sapiente e deliziosa, alla quale poter riferire i propri pensieri e dalla quale trarre saggi consigli.
Stavo riflettendo sull’ultimo rituale al quale avevo assistito. Osservando le varie streghe non avevo notato troppe differenze dai rituali cattolici o protestanti. Eppure tra le due religioni a lungo era scorso il sangue, ed entrambe non accettavano il rito pagano.
    « Ophélie perché in questa congrega si parla di un Dio e una Dea? »
Quella domanda mi sfuggì dalle labbra e quasi non mi accorsi di essere stata proprio io a parlare.
Ophélie mi sfiorò appena il viso con la sua mano rugosa e, dopo aver emesso un sospiro, rispose:
    « Il nostro credo si fonda sulla duplice entità del maschile e del femminile, Rosa Bianca, oltre che sulla perfetta armonia con la natura che il Dio e la Dea ci hanno donato e nella quale sempre si rispecchiano ». Si fermò per riprendere fiato e m’indicò con un dito la natura circostante, anche non potendo vedere. « Guardati intorno, bambina mia, in ogni foglia, fiore, albero, in ogni granello di terra si può vedere l’energia e l’amore degli Dei, ma possiamo trovare tutto ciò anche dentro di noi. Quando tessiamo un incanto, prepariamo una pozione o eseguiamo anche il più semplice rituale, la Dea e il suo Sposo sono in noi. Grazie al loro aiuto possiamo realizzare tutto questo ».
Io non osai rispondere, cercando di far mio quel concetto. Mi guardai intorno, osservai gli ultimi raggi di sole sfiorare le foglie degli alberi, e sprofondai una mano verso il basso a raccogliere un poco di terriccio. I miei occhi chiari si soffermarono sui quei minuscoli granelli, cercando di comprendere come potessi trovare lì il Dio e la Dea che tanto veneravano.
    « Anche per i cattolici e i protestanti Dio si manifesta in ciò che ha creato, ma non compare una Dea… »
    « Ne sei proprio sicura? » domandò una terza voce che subito associai alla Gran Maestra.
Si era materializzata alle nostre spalle, come dal nulla – sebbene sapessi che nessuna delle streghe era capace di magie simili – e tra le braccia stringeva docilmente il gatto nero, che mi fissava con quei grandi occhi gialli. Mi scostai da Ophélie, notando per l’ennesima volta lo sguardo contrariato di Sylvie – che forse non gradiva quel contatto – e le donai la mia attenzione, non riuscendo a comprendere la sua domanda.
    « Be’, sì… fin da bambina mi è stato insegnato che esiste un unico Dio, altri non ve ne sono » bisbigliai, confusa.
Lei sorrise, ma sembrava un sorriso sarcastico, e non sincero.
    « I vostri preti o pastori non venerano anche la Madre del Cristo? Pensaci un poco, non vedi in lei come l’immagine cristianizzata della Dea? »
Strinsi le labbra, come se fossi stata colta da un sentimento strano. Se ci fossero stati ecclesiastici in quel momento, per lei sarebbe seguita una morte certa per blasfemia. Ero scossa da emozioni contrastanti: da una parte, la religione che sin da piccola avevo professato, dall’altra quel loro credo al quale mi stavo pian piano avvicinando. Nel momento in cui iniziano a formarsi delle domande, ecco che diviene più difficile avere fede. In quell’attimo, infatti, iniziai a pormi vari quesiti e provai a immaginare il dolce volto di Maria sulla modesta statua di legno laccato, unico adornamento della piccola chiesetta di Padre Paul. La Dea da loro adorata poteva essere associata realmente all’immagine della Madonna? O era considerato un vero e proprio atto di blasfemia? Mi sentivo inerme, completamente confusa, in quel groviglio di pensieri e domande cui non sapevo trovare una risposta.
Sylvie, la Gran Maestra, si limitò a sorridere soddisfatta e avanzò di qualche passo, bloccandosi appena dinanzi a noi, senza tuttavia celarci l’immagine del sole calante sulla quale soffermava i suoi occhi scuri.
Ophélie allungò una mano a cercare la mia ed io gliela donai, lasciandogliela stringere leggermente.
    « La mia piccola Fresia non ha intenzione di importi il nostro credo, vuole solo farti comprendere quello che pensiamo » mormorò con voce un poco rauca, ma poi sollevò lei stessa lo sguardo vacuo verso il sole, di cui poteva forse vedere una fioca luce a causa della sua vista appannata. « C’è stato un tempo in cui i popoli adoravano solo la Grande Madre Terra. Tutti gli uomini erano considerati uguali, perché tutti erano i suoi figli. A lei poi si affiancarono figure maschili. La Dea fu poi associata alla Luna, nel suo triplice aspetto, il Dio, suo sposo, al lucente Sole. Per molto tempo si è parlato e si parla ancora di molti Dei e molte Dee, ma la realtà è una sola… »
Come a completamento del suo discorso, udii la voce della Gran Maestra continuare:
    « Tutte le Dee sono un’unica Dea, come tutti gli Dei sono un unico Dio. Non importa i tanti nomi che le varie religioni rivolgono loro, resteranno sempre un’unica Dea e un unico Dio ».
Ripetei tra me e me quella prima frase, come se ne fossi rimasta incantata. Quelle parole riuscirono a sciogliere un poco quel groviglio di pensieri e farli fluire in modo più semplice. Tuttavia, c’erano ancora domande e quindi presi parola.
    « Se quanto dite è vero, perché ci sono continue lotte tra le religioni? Perché cattolici e protestanti si uccidono a vicenda ed entrambi condannano i culti pagani, considerandoli opera del Demonio? » mormorai, rabbrividendo nel proferire l’ultima parola.
    « È una domanda che spesso mi sono chiesta e ancora non ho trovato la giusta risposta » replicò, Sylvie, e la vidi socchiudere gli occhi per qualche istante. « Loro non comprendono la parola tolleranza. Nei secoli passati hanno distrutto ogni simbolo pagano o, qualora non potessero, ne hanno modificato il nome. Osserva le feste, se ne sono appropriati cambiando il nome in uno più consono alla loro religione, osserva come la Dea sia stata rilegata in secondo piano. Loro hanno paura… ».
Aprì di scatto gli occhi e non si accorse che le sue mani erano sprofondate con troppa irruenza nel folto pelo del gatto che, miagolando infastidito, le sgusciò via allontanandosi dal luogo. « Per loro le donne sono figlie del peccato, amanti del Demonio, che devono essere condannate o poste in un piano inferiore. È facile per le donne sedurre e fare cadere in tentazione gli uomini. Non è stata forse la prima donna a far cadere nel peccato il primo uomo, dopotutto? » si bloccò, riprendendo fiato.
Ophélie socchiuse gli occhi, mentre la sua mano grinzosa sfiorava la mia, come a volermi tranquillizzare, in netto contrasto con la rabbia che ora trapelava dagli occhi della Gran Maestra, che verso di me aveva rivolto lo sguardo.
    « Odiano sentirsi deboli e ci attaccano se siamo belle. Odiano sentirsi inferiori a noi per intelligenza e ci rilegano a semplice compito di moglie e madre, che deve crescere i suoi figli e obbedire sempre al marito. Non attacco nessuna religione, anzi, sono aperta alle altre, perché nell’immagine della Santa Vergine io scorgo il volto della Dea e so che lei non è mai scomparsa, nonostante i suoi figli e le sue figlie siano torturati e uccisi, e i suoi simboli distrutti. Lei vive ancora, ma loro non lo sanno o forse fingono di non sapere » sospirò, cercando poi di rilassare le mani che si erano chiuse a pugno. « Siamo costrette a nasconderci, a non palesare agli altri il nostro credo, dobbiamo stare attente anche a come agiamo, a ciò che diciamo. Molte sorelle sono morte, ma la morte genera solo altra vita. Torneranno, torneremo tutte. La vita è un circolo che non avrà mai fine ».
Vidi i suoi occhi farsi umidi, nel dire quelle ultime parole. In quel volto perennemente freddo e distante, colsi un’emozione forte e forse impossibile realmente da celare. Avrei voluto alzarmi e accoglierla tra le mie braccia, per confortarla, ma non osai farlo. Eppure, proprio in quel momento mi accorsi che probabilmente il suo atteggiamento era dovuto a un dolore ancora vivido, a una ferita che ancora sanguinava.
    « Fresia, ma petite joie » mormorò Ophélie, e lasciò la mia mano, indirizzandola verso l’alto, verso di lei. La Gran Maestra si riscosse da quell’attimo di debolezza e accolse la mano dell’anziana tra le sue. Mi scostai un poco, immobile e muta spettatrice di quel momento. Non volli disturbarle e così rivolsi il mio sguardo al cielo.
Dopo qualche minuto, Sylvie si allontanò da noi, limitandosi a guardarci. Ophélie tornò di nuovo a donarmi attenzione e riprese:
    « Rosa Bianca? »
    « Sì? »
    « Credo che per oggi possiamo concludere qui. Chiedo venia mia cara, ma avrai assimilato fin troppi dubbi e argomenti su cui riflettere. Ci sarà tempo per comprendere ancor meglio gli Dei che tutti noi veneriamo ».
Effettivamente in quel momento mi sentivo colma di pensieri, altro mi sarebbe stato difficile comprenderlo tutto in una volta.
    « Va bene, Menthe. Vuoi che ti aiuti a tornare dentro? Il sole è ormai quasi scomparso all’orizzonte e per me è venuto il momento di tornare a casa ».
    « Certo, bambina, certo. Accompagna questa povera vecchia dentro e poi torna dal tuo amato sposo ».
Senza perdere tempo mi alzai e tesi le mani verso di lei. L’aiutai ad alzarsi a sua volta e, sempre porgendole il mio braccio come appoggio, la condussi all’interno della grotta. Poi ripresi la strada verso casa, senza togliermi dalla testa le mille domande cui dovevo donar risposta.


*
    
    « Mon amour? »
La voce di Flaviano mi accolse non appena misi piede in casa. Mi sentivo ancora scossa dalle diverse rivelazioni alla mia domanda e, in un primo momento, non vi badai.
    « Mon amour, tutto bene? » domandò ancora e solo in quel momento posai lo sguardo su di lui che, abbigliato con una semplice camiciola bianca e braghe scure mi guardava, preoccupato.
    « Oh, sì, io sto bene, ma voi cosa ci fate già qui? » chiesi, non immaginando di arrivare dopo di lui.
    « Abbiamo concluso prima al Forte e sono tornato dalla mia bella mogliettina » mi cinse i fianchi con le mani ed io scivolai con il capo sul suo petto per qualche minuto. Aspirai il suo odore, percepii il suo calore e mi sentii al sicuro tra le sue braccia. « Come mai non vi ho trovata in casa? » domandò, inarcando un sopracciglio.
    « Io… sono andata a trovare delle care amiche e non mi sono accorta dello scorrere delle ore. Non potevo immaginare che il vostro ritorno anticipato, ma ora vi preparo subito qualcosa da mangiare » mormorai, cercando di apparire convincente.
Lui mi scrutò il viso con perizia, come se cercasse di comprendere se il mio dire fosse veritiero o meno, ma dopo qualche minuto disse:
    « E chi sono queste amiche? Le conosco? O intendete Mademoiselle Lemoine e le altre noiose dame? »
    « No, non ero a Palazzo, non conosco solo Louise-Marie, seppur sia la mia amica più cara. Sapete, mon cher, sono una sarta rinomata a Sivelle; ogni giorno vengono numerosi acquirenti e a volte ho avuto il piacere di intrattenere piacevoli conversazioni con alcune persone, che in seguito sono diventate amiche. Comprendete? » gli sorrisi, divertita. « Non so se le ricordi, ma c’erano al nostro matrimonio… Erano tre deliziose fanciulle, abbigliate con colori vivaci… »
    « Spero che non vi intratterrete anche con uomini, e sulle dame non posso ricordarlo giacché non avevo occhi che per voi in quel momento, come sempre, ma douce ».
Mi sfiorò le labbra non lasciandomi il tempo di replicare ed io mi abbandonai a quel bacio.
    « Mi piace vedervi così geloso, ma mai arrecherò danni al nostro amore, perché è solo per voi che il mio cuore batte… » mormorai, non appena ci fermammo per riprendere il respiro.
Mi strinse maggiormente a sé, e notai i suoi occhi farsi luminosi e le sue labbra distendersi in un sorriso più ampio. Dopo poco tornò a baciarmi con più passione, ma ben presto un rumorio particolare provenne dal suo stomaco.
Io risi divertita nel scorgere il rossore su quel viso leggermente olivastro, tipico dei mediterranei.
    « Credo che sia meglio andare a cucinare ».
Lui annuì e mi sciolse dal suo abbraccio.

    Quella sera, dietro a due ciotole di brodo di legumi e pane e due caraffe di birra, discorremmo delle nostre rispettive giornate. Flaviano era un tipo abbastanza espansivo: mi raccontava spesso aneddoti accaduti nel corso delle ore di lontananza, ma non entrava particolarmente nello specifico del suo lavoro. Non era permesso alla moglie conoscere tutto del lavoro del rispettivo marito, ma ciò non mi dispiaceva. Mi fidavo ciecamente di lui e non volevo intervenire in quella parte del suo mondo più intima e inaccessibile, come del resto ne avevo una io.
In realtà, spesso mi era capitato di volergli riferire tutto e anche in quel momento volevo svelare tutto ciò che il mio cuore racchiudeva, ma mi era difficile confidargli un segreto tanto importante in cui era implicata anche la vita di diverse donne. Mio marito era un uomo molto dolce, romantico e intelligente, ma non sapevo come potesse reagire a una rivelazione inerente le streghe.
Cercai di sondare il terreno, con una semplice domanda:
    « Flaviano, voi cosa ne pensate delle altre religioni? »
Lui mi guardò sorpreso, non attendendosi forse una tale curiosità.
    « Voi sapete la religione che mi è stata impartita sin dall’infanzia e che professo, e sapete anche che da quando sono arrivato in Francia ho accettato anche quella protestante, giacché altrimenti sarebbe difficile vivere in codesta cittadina » si fermò per un istante, e bevve un sorso di birra, prima di proseguire. « Cosa volete sapere di preciso? »
    « Ecco… quelle che vengono definiti culti pagani, li accettereste mai? »
Lui spalancò gli occhi e poi sembrò farsi serio di colpo. Il suo sguardo non era più luminoso, ma era come se un’ombra gli fosse discesa sul viso. Quasi rabbrividii nel rimembrare un unico momento in cui l’avevo visto come ora: quando avevamo litigato.
    « Non comprendo la vostra curiosità, ma sono pronto a dirvi che non accetto questi culti del Demonio. Mia madre è morta nell’atto di dar alla luce mio fratello, ed è chiaro che è stata opera di quella strega e delle sue strane erbe ». Non urlò, ma il suo tono fu così tagliente da spingermi a non chiedere altro. Avevo paura della sua reazione e da quel momento in poi compresi che fosse meglio trattenere quel segreto per me e non lasciare trapelare nulla. Amavo immensamente quell’uomo e sapevo che non mi avrebbe fatto del male. Non lo avrei abbandonato per un pensiero simile dovuto anche alla tristezza per quell’increscioso avvenimento, né ci avrei litigato. Nulla poteva rovinare il nostro matrimonio, sebbene nel mio cuore si aprisse una crepa, piccola ma pulsante, per dover sempre mentire all’uomo che amavo al fine di proteggere le sorelle per cui provavo, ormai, un affetto immenso.

Quella notte, subito dopo aver fatto l’amore, dormii poco e male. Incubi tormentarono il mio sonno. Voci, grida, litigi non resero quiete quelle ore che mi separavano al mattino e, quando mi svegliai, notai l’altra parte del letto vuota. Mio marito si era già recato al forte e un nuovo giorno doveva iniziare anche per me.


*


    In una calda notte d’agosto, Sylvie decise che era giunto il momento di accettare in maniera ufficiale il mio ingresso nella Congrega. L’oscurità era quasi totale, se non fosse per un tiepido falcio di luna che sembrava sorridermi in cielo.
Ero elettrizzata, ma anche spaventata non conoscendo la prova che avrei dovuto affrontare per essere realmente ritenuta degna di diventare strega.
Flaviano quella notte doveva rimanere al Forte e non dovetti, quindi, inventare scuse per la mia assenza. Probabilmente non avrebbe accettato, né compreso – anche giustamente – di vedere sua moglie fuori di notte a fare chissà cosa. Tuttavia mi reputavo fortunata nell’avere al mio fianco un marito non opprimente né tantomeno intollerante. Avevo la mia libertà che altre donne del popolo potevano solo invidiare, ergo non potevo lamentarmi.
    Fui condotta fuori dall’antro da Claire, strega scelta per guidarmi in quella prova. Ero felice di averla al mio fianco, perché proprio con lei ero entrata più in sintonia. Non vidi le altre, ma immaginai che mi stessero attendendo nel luogo prestabilito.
Indossavo unicamente la tunica bianca che mi avevano donato al mio ingresso nell’ordine, ma non potevo avere alcun tipo di ornamento: né fermagli o nastri né gioielli e, cosa ancor peggiore, dovevo lasciare anche i miei calzari.
A piedi nudi avanzai lungo il sentiero che conduceva nel fitto del bosco. Non v’era alcun alito di vento e la mia fronte era già madida di sudore.
Per me fu scelta proprio la notte in cui si diceva cadessero dal cielo le stelle, associate alle lacrime di un santo, ma non sapevo se anche le streghe credessero in una leggenda simile.
    Claire mi teneva per mano, valida guida luminosa in quel buio.
Dopo un breve tratto di cammino, mi fece fermare all’inizio del bosco, laddove gli alberi erano più fitti e formavano uno stretto sentiero. La notte non era così luminosa ma, a una visione più attenta, scorsi una serie di petali bianchi posti come a definire un percorso da seguire. Sollevai lo sguardo sulla strega al mio fianco, come a porle una muta domanda e lei disse:
    « Qui devo lasciarti giacché ora inizia la tua prova. Segui il percorso indicato dai bianchi petali e sii pronta ad affrontare gli ostacoli che la Dea porrà sul tuo cammino ».
Per un attimo mi sentii mancare. Da quel momento in poi sarei rimasta sola, priva di consigli e di appoggio, e la paura sembrò avvilupparmi in una stretta morsa. Impallidii e non smisi di guardare Claire, il cui viso non sembrava lasciar trapelare emozioni. Per un attimo pensai di non essere degna né veramente pronta. Una voce insidiosa mi sussurrava all’orecchio di lasciare stare, ma poi sentii la mano affusolata di Claire sfiorarmi il viso con dolcezza.
    « Ci vediamo alla fine del percorso, sorella mia » mi sorrise e poi svanì nel nulla, lasciandomi sola.
Quelle sue parole, sorella mia, sortirono un effetto positivo in me. Il cuore batteva ancora con prepotenza nel petto, ma una nuova voce, più potente e chiara, s’impose sulle altre velenose. Trassi un profondo respiro e sollevai lo sguardo verso il tiepido raggio di luna nel suo ultimo quarto. Non ero sola, la Dea era al mio fianco.














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Ecco qui il nuovo capitolo. Voglio dire solo due cosine a proposito:
1) Non è assolutamente mia intenzione offendere alcuna religione con quanto ho scritto in tale capitolo, anzi, io ho una mente abbastanza aperta.
2) La frase "tutte le dee sono un'unica dea e tutti gli dei sono un unico dio" è liberamente ispirata/presa dalla Saga di Avalon di Marion Zimmer Bradley, autrice che adoro immensamente e che, con le sue opere, mi ha spinta a riflettere parecchio. Questa frase mi è entrata così dentro, che non potevo non inserirla in questa storia.

Tutto qui :)

A presto e grazie a chi legge e lascia un segno!



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Capitolo 20
*** XIX - La Prova ***


XIX
La Prova



  
 Avanzai lentamente facendo attenzione a seguire la strada tracciata dai petali. Non potevo immaginare cosa avrei dovuto affrontare, ma dopo pochi minuti mi accorsi di essere entrata come in una sorta di labirinto. Rami più bassi mi sferzarono le braccia coperte solo da una leggera tunica, e i rumori della notte mi facevano compagnia.
Dopo diversi minuti di cammino, avvertii l’aria farsi ancora più calda, tanto da spingermi a respirare a fatica. Il sudore si addensò come tante piccole gocce sulla mia fronte per poi scivolare sulle gote. Mi fermai per alcuni istanti, volendo appurare che stessi seguendo il corretto percorso e, quando notai i petali dinanzi a me e ai lati, compresi che probabilmente avrei dovuto affrontare un ostacolo.
Infatti, così fu.
All’improvviso cominciai a vedere offuscato, come se una patina trasparente fosse calata dinanzi ai miei occhi rendendo la vista distorta. Respiravo ancor più a fatica e in breve tempo iniziai a tossire, quando ecco che compresi la fonte di quel mio disagio: un muro di fuoco era comparso proprio di fronte a me, rischiarando il luogo.
La fiamma illuminava l’oscurità, riflettendosi sul mio volto. Avvertivo un caldo indescrivibile, mentre strisce sottili scarlatte si tendevano verso di me nel vano tentativo di avvilupparmi. Inconsapevolmente indietreggiai, ma il mio sguardo rimase vigile e diretto verso il primo elemento, la prova iniziale.
Cercai di fare dei profondi respiri, tesi ad armonizzare il battito del mio cuore e ad acquietare la mia paura. Valutai mentalmente cosa fare. Non v’erano altre vie da seguire. Il labirinto di petali di rose permetteva di seguire unicamente quella strada, quindi dovevo comprendere come oltrepassare quella barriera scarlatta senza ustionarmi.
Ripercorsi mentalmente tutte le lezioni affrontate con le varie Streghe, fino a che nella mia mente non si materializzò la voce squillante di Elodie e la sua spiegazione attinente gli elementi. Mi concentrai unicamente sulle informazioni che avevo assimilato sul fuoco.

Il fuoco è l’elemento del Sole, della forza, del coraggio e della vitalità. Luce e fiamma che alimentano il mondo. Simbolo di purificazione e di rigenerazione.

Ripetei più volte quelle parole a me stessa, mentre gocce di sudore iniziarono a imperlare la mia fronte, rigandomi poi il viso, simili a lacrime silenziose. Il calore era sempre più potente e il cuore non smetteva di battere con violenza. Mi sentii smarrita, incapace di credere alle mie potenzialità. Non avevo forza, né coraggio, forse non valevo niente come strega. Come sovente, mi lasciai avvolgere da quel senso d’inferiorità e incapacità di andare avanti che quasi fui sopraffatta. Volevo smettere, sin da subito.
Eppure una parte di me, piccola ma presente, tentava di farsi strada, di spingermi a reagire, incapace di credere che potessi cedere al primo ostacolo. Lottò con il muro che avevo eretto e fuoriuscì sottoforma della voce chiara e allegra di Elodie, che assunse però una sfumatura seria nel dire certe parole.

Ricorda sempre, Desirée, il fuoco è capace di bruciare solo se credi veramente in questo. Devi riuscire a comprenderlo, ad avvicinare il tuo spirito a lui, a smettere di pensare, ma vederlo come un qualcosa di positivo, incapace di far male, facile da gestire. Noi streghe possiamo entrare in contatto con ogni genere di elemento, comprenderlo, e manipolarlo a nostro piacimento purché non siano usati per gettar scompiglio o provocare dolore.
Desirée chiudi gli occhi e inizia a vedere la fiamma non dinanzi ai tuoi occhi, ma dentro di te. Rendila un tiepido calore, incapace di nuocere al tuo corpo, a te stessa.

Trassi un respiro più profondo e finalmente risposi a quella piccola parte di me, lasciandola guidarmi del tutto. Scrutai per l’ultima volta la fiamma dinanzi a me e, poi, chiusi gli occhi non curandomi più di quelle strisce sottili che tentavano di sfiorarmi.
In quell’oscurità che ora era la mia mente, cercai di concentrarmi sulla fiamma, facendola materializzare dentro di me. Una tiepida scintilla emerse e pian piano si fece sempre più ampia, fino a diventare simile a uno sfavillante fuoco. Sentii il mio corpo riscaldarsi, ma rimasi il più tranquilla possibile. Avevo bisogno di concentrazione per entrare in perfetta armonia con quell’elemento. Man a mano che mi concentravo sulla fiamma, scacciavo ogni altro pensiero. Niente più paura, niente più incapacità di agire, niente più blocchi. Mi lasciai accarezzare da quelle lingue scarlatte, gialle e arancioni, con spruzzi di viola di tanto in tanto, e mi accorsi che non faceva male.
Come spinta da una forza sconosciuta, avanzai verso la fiamma reale, sempre mantenendo gli occhi chiusi. Sapevo che quello era un momento cruciale. Un minimo di esitazione, un pensiero negativo, e mi sarei fatta male, forse anche molto.
Il calore era ormai indescrivibile, eppure non desistetti. Guidata da quella fiamma interiore che non bruciava, attraversai quella barriera di luce e fiamma e, nel momento in cui aprii gli occhi, mi ritrovai, di nuovo, nella perfetta oscurità.
Il fuoco era sparito. Rapida andai a osservare le mie mani, le braccia coperte appena dalla leggera veste bianca e mi accorsi con sorpresa di non avere neanche la benché minima ustione.
Mi voltai per qualche istante a guardare il sentiero dietro di me e poi sorrisi, eccitata. Avevo superato la prima prova, l’elemento che in me destava un maggior terrore.

    Volsi lo sguardo verso il cielo, a ringraziare la Dea sotto la forma di un falcio di luna e proseguii. Il sentiero tracciato attraversava alberi più diversi, non proseguiva mai del tutto dritto, ma spesso dovevo voltarmi a destra o a sinistra fino a che non mi ritrovai in un punto da cui non riuscivo più a scorgere neanche quella tiepida luce della luna e delle stelle, sue sorelle, che fino a quel momento mi avevano guidato.
Intorno a me il buio regnava sovrano e al suo fianco il silenzio insistente mi gettava ancor di più nello sconforto.
Mi mordicchiai le labbra e strinsi al petto le braccia come vano tentativo di incoraggiare me stessa. Quella piccola parte di me che mi aveva permesso di superare la prima prova non era scomparsa e quindi riuscii a proseguire. Non riuscivo a scorgere neanche i miei piedi e mi vidi costretta ad allungare le mani nel tentativo di comprendere se potessi aggrapparmi a qualcosa o meno. Tastai il vuoto più volte, fino a che non mi ritrovai a toccare qualcosa di freddo e duro, quasi granitico, che compresi, ben presto essere una spessa roccia. Continuai a camminare, sempre sfiorando quella sorta di parete, che mi dava un poco di sicurezza nei miei movimenti, quando sentii una sorta di fruscio, un battito d’ali e un suono che non compresi subito. Mi fermai, tesa, e il suono scomparve per un istante come a farsi beffa di me. Un passo ancora ed esso tornò più potente, fino a che qualcosa non mi sfiorò e potei osservarlo meglio solo quando mi era ormai a un palmo dal viso. Un piccolo pipistrello nero e peloso stava volando proprio verso di me. Istintivamente mi accucciai a terra e gettai un grido, il cui eco si ripercosse per tutta quella che ormai, come avevo compreso, era una caverna.
Rimasi per qualche secondo in quella posizione, e tastai appena sotto i miei piedi. V’era del terriccio fresco e un poco bagnato. Lo lasciai scivolare di nuovo dalle mie mani e, una volta ripresami dallo spavento, mi rialzai e ripresi il cammino.

La Terra è simile al ventre della madre. Ti protegge, accoglie, nutre, cresce, fortifica. Lascia sprofondare i tuoi piedi nudi sul terriccio, Desirée, attrai da esso l’energia. Senti la voce che da essa proviene e falla arrivare al cuore. Quasi nessuno ormai è capace di ascoltare realmente il respiro della terra, così preso da pensieri e attività della vita. Eppure, se tutti ci fermassimo per qualche istante, scopriremmo una sensazione difficile da descrivere a parole, ma intensa e altrettanto difficile da dimenticare.

Le parole dell’anziana strega si univano a quelle della giovane Elodie ed erano limpide e chiare in quell’oscurità accecante che mi avvolgeva.
Provai la sensazione di essere di nuovo un neonato nel ventre della propria madre, cieco al mondo, ma cullato dalle sue parole e amato in modo incondizionato. La grotta, rappresentazione reale della terra in quel momento, mi avvolgeva ma non mi faceva più paura. Avanzai a piedi nudi, sprofondandoli nel terriccio fresco, e rabbrividii un poco. Eppure era un’emozione intensa. Gocce d’acqua, provenienti dalle profondità del luogo, producevano un suono nel loro scivolare verso il basso. A ciò si unì una voce lontana, di donna, che sembrava cantare una dolce nenia per acquietare e far addormentare il proprio figlio. Una voce che ben presto si fece più vicina, più reale. Una voce che profumava di un passato impossibile da dimenticare.

La voce di mia madre.

Lacrime silenziose bruciarono i miei occhi e non fui capace di trattenerle. Gridai il suo nome, ma la mia voce produsse unicamente un eco al quale non vi fu risposta. Il canto si smorzò per qualche minuto, ma poi si fece più vivo.
Mi fermai e mi sembrò di essere avvolta dall’abbraccio protettivo di mia madre. Le sue mani invisibili mi sfiorarono i capelli e la sua voce, colma di dolcezza, tentava di rassicurarmi. In mezzo a tanto amore, la tristezza vi s’introdusse, spingendomi ad aumentare il pianto, singhiozzi incontrollabili facevano sobbalzare il mio corpo, mentre continuavo a invocarla, a dire tutto ciò che il mio cuore aveva serbato fino a quel momento. Non potevo vederla e, sicuramente, era tutto frutto di un’illusione, ma non m’importava. Piansi come una bambina e non mi accorsi minimamente dello scorrere del tempo. Sarei voluta rimanere lì. Sentivo la mancanza di quei gesti d’affetto che mi erano stati tolti quando ancora ero troppo piccola per capire, troppo piccola per rimanere sola, senza una madre, né un padre.
« Desirée, ma petite et douce fille. Ora devi andare. Non puoi più trattenerti qui. Un’altra prova ti attende, ma io ti sarò sempre vicina ».
« Madre, madre mia. Non lasciarmi di nuovo sola, non abbandonarmi. Ho bisogno di te ».
« Sei ormai una donna e di te tanto sono orgogliosa. Ma ora va’ ».
Tentai di ribattere, di trattenerla, ma dopo aver sentito come un soffio, un bacio leggero sulla gota destra, la voce e quell’inconsueta presenza mi abbandonarono, lasciandomi di nuovo nell’opprimente oscurità.
Mi sentivo piccola e indifesa, e non riuscii a smettere di piangere. Mi avvolsi le braccia intorno al busto, come nel vano tentativo di colmare quell’abbraccio non più esistente, e rimasi lì ancora per qualche tempo.
Quando mi fui ripresa, cercai di trovare la medesima determinazione che nella prima prova mi aveva spinta.
Era bello rimanere in quel guscio protettivo, ma la vita doveva sorgere. Io dovevo rinascere e divenire quella per cui la Dea mi aveva chiamata.
Trassi un profondo respiro e tornai ad avanzare, ancorandomi ancora alle pareti della grotta, fino a che nel bel mezzo del buio, scorsi una luce lontana, proveniente da un foro che in principio mi parve troppo piccolo per passarvi, ma compresi che diveniva sempre più grande quanto più mi avvicinavo. Era la luce in fondo al tunnel. La mia rinascita.
Schermai i miei occhi nonostante la luce fosse fievole, ed emersi dalla grotta, come un figlio lascia il grembo della madre.
Avevo superato la seconda prova, ma non ebbi tempo per stare tranquilla poiché fui colpita da un getto d’aria così potente che quasi mi spinse indietro.

    L’aria il terzo elemento, l’ennesima prova.
Chiusi gli occhi, mentre le raffiche di vento mi sferzavano il viso con violenza. I miei capelli si riempirono di foglie e polvere sollevata da quell’elemento impetuoso. La mia veste bianca si sollevò lasciando emergere le mie gambe nude. Con una mano tentai di schermarmi il viso, con l’altra di tenere al suo posto la tunica. L’aria tuttavia non era così gelida, ma era come essere colpita da aghi acuminati, sottili e invisibili, impossibili da bloccare.
Tentai di avanzare, pur con enormi difficoltà, ma ad ogni passo che facevo in avanti, il vento mi spingeva indietro di tre. Mi ritrovai esattamente al punto di partenza, l’uscita della grotta, e pian piano mi sentii sempre più stanca. Lottare non era facile, ma c’era un unico lato positivo in tutto ciò: l’aria era il mio elemento, la mia essenza ne era imperniata, ed io potevo dimostrare in tale occasione i miei miglioramenti nel riuscire a manipolarlo.
Cercai di rimanere ancorata a terra, ma allontanai la mano dal viso e lasciai la veste, non impedendole ulteriormente di sollevarsi. Non avevo motivo di essere troppo pudica in tale situazione, nessuno mi osservava né tanto meno avrebbe potuto giudicarmi. Ero sola.
Non aprii gli occhi, ma cercai di respirare seguendo il ritmo del mio cuore. Scacciai dalla mia mente ogni pensiero che potesse nuocermi e farmi perdere la concentrazione e mi focalizzai unicamente sull’aria, su quel vento impetuoso che continuava a sferzarmi il viso e il corpo, come se volesse scagliarmi addosso tutta la sua rabbia.
Ascoltai la sua voce imperiosa, quel suono tipico del vento forte, e cercai un contatto con la natura. Dentro di me rivolsi le mie parole alla Dea, alla ricerca di un aiuto e di sostegno e, quando finalmente mi sentii pronta, provai una sensazione piacevole. Un leggero formicolio sfiorava le mie mani, raggiungendo le braccia e poi tutto il corpo. Era energia pura che scorreva nelle mie vene, e mi faceva sentire forte. Le mie labbra si distesero in un sorriso lieve e poi sollevai le mani verso l’alto, tese proprio contro quella sorta di minaccia invisibile, e mormorai parole che sorsero spontanee, come se fossero sempre state lì, dentro di me, e non attendessero altro di essere proferite.
Mentre mormoravo quella sorta di richiamo, di formula magica, le mie mani iniziarono a muoversi come sorrette da un filo invisibile. Volevo attirare il vento a me, farlo rispondere al mio richiamo, muovere al mio volere, attrarlo a me e dentro di me. Non era facile, per nulla, ma non demorsi. Mani invisibili continuarono a schiaffeggiarmi, ma non persi la dovuta concentrazione. Aumentai il volume della mia voce, ripetendo le medesime parole più volte, come una litania che non aveva fine. Accarezzai l’aria, cercai di avvilupparla nelle mie mani, di armonizzarla al mio volere, fino a quando il vento si fece via via più leggero. Dall’urlo imperioso che aveva fino a quel momento emesso, la sua voce diminuì d’intensità, facendosi pian piano leggera e soffice come la brezza estiva. Divenne poco più di un sussurro che ascoltai deliziata. Ricambiai il suo saluto, le sue parole delicate, e mi lasciai avvolgere come da un abbraccio, mentre rivoli d’aria s’insinuarono impertinenti nella mia veste, tra i miei capelli – ormai in disordine – e mi sfiorarono il viso, come soffice carezza.

Hai mai udito le voci del vento?
L’Aria, simbolo di libertà e di spazio, ha voce leggera e porta consigli. Fermati ad ascoltare la voce dei suoi figli. Il vento dell’est porta cambiamenti, quello del sud ti consiglia sull’amore e infonde il coraggio, ma non dimenticarti di ascoltare quello dell’ovest signore della purificazione, che porta rilassamento o quello del nord che sussurra al tuo orecchio la via per giungere alla Verità.

La voce di Sylvie giungeva chiara alle mie orecchie, ed io non riuscivo a smettere di sorridere. Le sue parole erano veritiere. L’aria è densa di consigli da seguire. Essa ti parla, spetta solo a noi fermarci ad ascoltarla, aprire la mente e il cuore alle sue parole.
Mi beai ancora di quella confortante sensazione, poi sentii svanire il vento e l’aria tornò a farsi umida. Guardai con attenzione davanti a me e notai che il percorso delimitato dai petali di rosa bianca proseguiva.
Non persi altro tempo e avanzai.

    Un sorriso persisteva sulle mie labbra mentre proseguivo il mio cammino. Non sapevo quante altre prove avrei dovuto affrontare, ma mi sentivo forte e determinata e soprattutto ero orgogliosa di me per come avevo manipolato l’elemento verso cui il mio spirito era affine. Sentivo ancora l’energia dell’aria dentro di me e ne ero elettrizzata.
All’improvviso avvertii che qualcosa sotto i miei piedi era mutato: non più erba e terra, ma l’acqua di quello che mi accorsi essere un lago.
Mi fermai, non comprendendo cosa avrei dovuto fare, quando una voce a me familiare e benvenuta mi disse:
    « Hai attraversato il muro di fuoco e da esso hai tratto la forza e ne sei stata purificata. Nel ventre della Madre ti sei ritrovata e il suo abbraccio ti ha confortata. Il vento impetuoso hai saputo trattenere, ma ora è della sacra acqua che sei chiamata a rinascere a vita nuova, se veramente ne sei degna ».
La voce di Sylvie risuonava alta e chiara, anche se non potevo vederla.
    « Cosa devo fare? » domandai « sono pronta a rinascere ».
   « Togli le tue vesti, figlia, e immergiti nel lago. Lascia che l’acqua deterga il tuo corpo e lavi ogni tua impurità. Poi sorgi a nuova vita e appari alla presenza della Dea dai tre volti. Vai! »
Annuii e, sebbene fossi restia a denudarmi del tutto, mi liberai della stoffa bianca, ritrovandomi ben presto nuda. Con le braccia, tuttavia, tentai di nascondere la mia intimità, mentre avanzavo verso la parte un poco più profonda del lago, al fine di immergermi del tutto.
L’acqua fresca a contatto con il mio corpo nudo mi provocò un brivido, ma ben presto riuscii a lasciarmi coinvolgere totalmente dal piacevole benessere che ne scaturiva. La sentivo accarezzarmi, scivolare in ogni parte del mio essere, e avevo realmente la sensazione che potesse purificarmi totalmente. Ero totalmente sprofondata in quel lago e i suoni della natura, già abbastanza silenziosi in quella notte, si fecero sempre più soffusi, lontani. C’ero solo io e quell’elemento che scorreva in ogni parte di me, insinuandosi anche ove la mia intimità non era più celata da vesti. Sorrisi lievemente, allietata da quel piacere e da quel silenzio e poi, quando non ce la facevo più a trattenere il respiro, emersi con il capo. Trassi un profondo respiro, quell’aria tiepida che non mi rendeva spiacevole quella sorta di bagno notturno, quella prova semplice ma sacra che dovevo adempiere.
Sentii il mio corpo ormai completamente rilassato. Come se l’acqua avesse alleviato e cancellato ogni pensiero, ogni problema, ogni paura. Mi sentivo nuova, come se in quel preciso momento una nuova Desirée fosse nata.
Ben presto quella solitudine e quel silenzio furono interrotti dalla voce alta e, quasi, sovrumana della Gran Maestra che a me rivolse le sue parole:
    « Sorgi a nuova vita, Desirée, figlia della Dea. Esci dalle acque e vieni incontro al tuo nuovo destino. La Dea e il Dio suo sposo ti chiamano, vogliono da te il giuramento. Sei dunque pronta? »
Rimasi in silenzio solo per qualche istante, quando le mie labbra si schiusero da sole e, come mosse da un filo invisibile, dissero:
    « Madre mia, Padre, la vostra umile figlia è pronta a rispondervi ».
Senza perdere tempo uscii completamente dal lago. Gocce rimasero sul mio corpo ancora privo di veli, ma ora non sembravo avere titubanze, né pudore. Avanzai senza coprirmi, illuminata lievemente dalla pallida luce lunare che sfiorava la mia pelle candida.
Ad attendermi a poca distanza dalla riva, notai la presenza di sei figure, più altre due distanti, che sorreggevano torce per rischiarare il luogo.
Riconobbi ben presto la mia amata sorella, Claire, che aveva tra le mani un involucro scuro. Al centro era posta Sylvie, che appariva molto più grande rispetto alla sua bassa statura, come se in lei vi fosse un’altra entità, forse l’emanazione della Grande Dea. Ma le altre erano coperte da veli. Non riuscivo a scorgere i loro volti, ma potei intuire la presenza di un uomo e solo in quel momento una punta di rossore m’imporporò il viso. Avrei voluto nascondermi, ma fui attratta dallo sguardo lucente della Gran Maestra. Mi fissava con un’intensità particolare, ma v’era severità nel volto.
Non disse nulla, ma parve volgere appena lo sguardo verso la figura ammantata di bianco.
Mi voltai ed ella avanzò d’un passo verso di me. Sorreggeva tra le mani un oggetto d’argento, dalla forma della luna crescente. Dietro il velo candido, scorsi un viso conosciuto. Elodie, la più piccina tra le streghe, mi rivolse un sorriso gioioso ma poi disse:
    « Io sono la Vergine, la fanciulla inviolata, spensierata, curiosa e affamata di conoscenza. Emanazione della purezza, del candore. Rappresento l’inizio della vita, la luce e la speranza. Figlia dell’Alba, io sono il principio. La luna crescente è il mio volto. A te ora chiedo, sorella, sei disposta ad accettarmi? »
Ascoltai le sue parole con attenzione. Fissai il primo volto della Dea e poi chinai il capo, portando le mani incrociate all’altezza del petto, e dissi:
    « Sì, ti accetto ».
La Vergine annuì mestamente e poi tornò alla sua posizione. Il suo posto fu ben presto preso dalla seconda figura, ammantata completamente di un rosso scuro. Tra le mani sorreggeva un oggetto rotondo d’argento, simbolo della luna piena. Scorsi il viso di Cécilie e attesi le sue parole.
    « Io sono la Madre che ascolta con compassione e amore. Emblema di fertilità e protettrice degli amanti. Donna matura, sposa, e generatrice di vita. Simbolo di potenza, di sessualità femminile, di creazione. La Luna piena è la mia personificazione. A te ora chiedo, figlia amata, sei disposta ad accettarmi? »
Ripetei il medesimo gesto e ancora le medesime parole. Non v’era altro da dire.
    « Sì, ti accetto ».
La Madre sorrise dietro il velo scarlatto e andò a posizionarsi al suo posto. Dopo di lei seguì la Vecchia che sorreggeva il medesimo oggetto d’argento, ma nella forma della luna calante. Già prima di scorgere il suo volto, compresi che spettava a Ophélie quel ruolo e le sorrisi con dolcezza, nonostante fosse ammantata con un colore spento, lugubre, come le tenebre.
Nonostante la sua cecità, la vidi disporsi perfettamente dinanzi a me e prendere parola.
    « Io sono l’Anziana, la Saggia, emanazione del mistero, della conoscenza. Mio è il potere di scorgere oltre il mondo che ci circonda, sollevando il velo, il confine con gli spiriti. Io sola comprendo il mistero della morte, della fine, la capacità di abbandonarsi all’oscurità senza paura. Io sono la fine, il vespro. La luna calante mi rappresenta. A te ora chiedo, bambina, sei disposta ad accettarmi? »
Le sue parole produssero in me dei brividi lungo la schiena. Parole di morte, di velo tra i mondi, la fine, non rincuoravano. Eppure, proprio in quel momento appresi una consapevolezza nuova. Quei tre volti facevano parte di me, di ogni donna. Erano state scelte Elodie, Cécilie e Ophélie, ma qualsiasi altra donna poteva rappresentare la Dea, a seconda delle fasi della vita. La Dea si poteva scorgere in ognuna di noi. Io ero stata Vergine, sarei diventata Madre e infine Anziana.
Quella consapevolezza mi fece affiorare un sorriso sulle labbra e chinandomi appena, dissi.
    « Sì, ti accetto ».
Con passo incerto anche l’Anziana tornò al suo posto e fu di nuovo la volta di Sylvie di parlare.
    « Hai accettato la Dea nel suo triplice volto, ma non v’è solo lei. Al suo fianco sorge il suo sposo adorato. Per essere accettata ed entrare nel nostro ordine, ti è chiesto di ascoltare anche le parole del Dio ».
L’unica figura maschile avanzò di un passo verso di me. Era completamente nudo, come me, e la cosa mi imbarazzò. Per un attimo mi sentii in colpa. Il mio sposo neanche sapeva che ero lì, e soprattutto così vicina a un altro uomo, privo di vesti, di protezione.
Ma una voce in me mi riscosse da quei pensieri negativi. Quell’uomo, di cui non potevo scorgere il volto perché protetto da una maschera rappresentante il sole, era la mera rappresentazione del Dio, e nulla sarebbe successo tra di noi. Dovevo stare tranquilla.
Respirai profondamente al fine di tranquillizzarmi, e lui parlò. La sua voce era forte e sicura.
    « Io sono il Dio, sposo della Dea. Io sono il Sole, la luce che rischiara il giorno. Sono il seme che germoglia nella terra. Non può esistere il mondo senza il Dio o senza la Dea. Noi siamo complementari. Dalla Dea nasco, a lei dono amore e in lei muoio per rinascere poi ancora, in un ciclo che non ha mai fine. A te ora chiedo, tu che sei fanciulla, madre, e anziana, mia amante e sposa, sei disposta ad accettarmi? »
Il mio volto pallido era ora completamente rosso dall’imbarazzo, ma ascoltando le sue parole mi accorsi di essere realmente di fronte all’emanazione del Dio, e abbassando lo sguardo dissi:
    « Sì, io ti accetto ».
Il Dio non mi sfiorò. Si limitò a guardarmi ancora dietro quella maschera, e poi tornò al fianco della Gran Maestra che sollevò le braccia al cielo.
    « Hai affrontato ogni prova con coraggio e determinazione, hai accettato la Dea e il Dio suo sposo, e loro hanno accettato la tua richiesta. Fratelli e sorelle tutte, Desirée oggi lascia la sua vecchia vita per entrare nella nuova. Sorgi radiosa tu che sei fanciulla, madre e anziana, e oggi sorella. A te è concesso il permesso di accedere alla Congrega del Salice. A te è donata una veste nuova, una diversa pietra. Benvenuta… Strega! ».
Quell’ultima parola mi donò reazioni contrastanti. Brividi ma anche eccitazione. Non ero più una semplice neofita, ora ero realmente una rappresentante della Congrega, una vera sorella per tutte loro, una strega.
Avevo superato ogni prova, accettato gli Dei, una nuova religione non così distante dalle altre, in verità, ed ero stata presa. Ero orgogliosa di me e lessi nei loro sguardi lo stesso sentimento.
Claire mi si avvicinò e mi donò quello strano involucro che avevo intravisto in precedenza. Era una nuova tunica, di un blu intenso, con annesso un ciondolo con uno zaffiro del medesimo colore.
Mi aiutò a indossare il tutto e finalmente non fui più nuda al mondo.
La mia nuova vita aveva inizio.
Ora ero una strega.



















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Questo è uno dei capitoli che mi è piaciuto di più scrivere, anche se uno dei più complicati. Quando scrivo di magia - un elemento che amo inserire nelle mie storie - non è mai veramente facile. Anche qui, lo ammetto, si sentono i riferimenti alla Saga di Avalon, anche se ho cercato di rinterpretarli a mio modo, e mi auguro di averci messo un pizzico di originalità.
L'idea, in fondo, è di mostrare l'antico credo, prima dell'avvento del cristianesimo e... ho dovuto per forza di cose trarre informazioni dal web e dai libri che ho letto.
La dea è sempre stata identificata con un triplice volto, Vergine, Madre e Anziana e non potevo non inserire questo particolare. Il dio è identificato con il sole, per questo ho inserito quella maschera.
Spero che possa piacervi :)

Grazie a chi legge, ha inserito la mia storia nelle varie sezioni, e commenta ! Grazie infinitamente anche per il vostro aiuto :)


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Capitolo 21
*** XX - Bocciolo ***


XX

  Bocciolo  



    La mia vita era notevolmente cambiata. Ero giunta come una bambina orfana, e nel giro di circa dieci estati mi ritrovavo moglie dell’uomo che amavo sin dal primo momento in cui i nostri sguardi s’incrociarono, e strega. Avevo molte persone intorno che mi volevano bene e verso le quali provavo un affetto sincero. Non ero sola ma attorniata da sentimenti che mi scaldavano il cuore. Ero felice, vedevo tanta luce intorno a me, e solo un piccolo spazio oscuro nel fondo del mio cuore non mi permetteva di essere del tutto serena con me stessa: non potevo dire a mio marito della mia seconda natura, lui non avrebbe capito, e forse temevo che il suo amore potesse mutare. Probabilmente sbagliavo a pensarla in quel modo, a volte mi sentivo terribilmente in colpa: era come se non credessi in maniera totale nel suo amore, come se temessi di essere ripudiata per quella vita oscura agli occhi di tanti, ma per me essenziale. Nessuno mi avrebbe mai allontanata dalle mie sorelle, nessuno poteva permettersi di non essere più ciò che ero veramente, e di cui ero orgogliosa.
Non dissi mai a Flaviano la realtà dei fatti, ma cercai di tramutare le mie bugie – che tanto m’infastidiva dire, anche perché non ero mai stata un’ottima attrice – in qualcosa che aveva almeno il sapore di una mezza verità. Cercavo di dividere le ore delle giornate tra il mio lavoro, il mio sposo e il nostro nido d’amore e le mie sorelle, che non smisero di insegnarmi altre cose che fino a quel momento ignoravo totalmente. Non era facile gestire tale situazione, la sera spesso ero esausta, ma cercavo di farmi trovare sempre in casa al suo ritorno. Il suo lavoro, in fondo, mi era di grande aiuto. Trascorreva gran parte delle giornate con gli altri soldati, e anche lui tornava a casa molto stanco. Ciò nonostante il nostro amore era sempre più vivo, e così la passione che ci univa quasi ogni notte sul talamo che condividevamo. In quei momenti era come se la stanchezza scomparisse per un attimo, lasciando il posto a un forte desiderio che ci spingeva l’una tra le braccia dell’altro, l’uno dentro l’altra.
    Ai momenti con lui, succedevano quelli a lavoro. Madame Le Marchand si era ripresa del tutto, anche se i segni del suo malore erano visibili sul suo viso invecchiato e i suoi capelli ormai bianchi. Tuttavia, aveva ripreso il pieno controllo della Magione e controllava imperturbabile l’operato di ognuna di noi. Non v’era più tensione tra di noi. Avevo compreso che il suo affetto nei miei riguardi era del tutto sincero ed io ricambiavo a mio modo: era per me la madre che mi era venuta a mancare troppo presto.
    Vedevo meno la mia cara amica Louise-Marie, ma ogni volta che mi invitava a Palazzo non smetteva di parlarmi di sé e del suo amore con il freddo Capitano Svensson. Ancora non riuscivo a comprendere come potesse essere nato qualcosa tra due persone tanto diverse, ma ero realmente felice di sapere che finalmente anche il cuore libertino della mia amica e sorella si era legato a quello di un solo uomo, anche se ovviamente non riusciva a smettere di dedicare sorrisi e attenzioni ai cortigiani che l’adulavano per le sue qualità. Le altre dame mi osservavano con strani sguardi, nei quali scorgevo forse sentimenti d’invidia o superbia. Si ritenevano superiori per la loro posizione sociale, più alta sicuramente della mia e quasi mi osservavano con sdegno, forse per la mia presenza in un luogo a me non troppo affine. L’invidia però era dovuta alla mia situazione rispettevole: ero una donna sposata e la mia abilità nel realizzare abiti e accessori, incrementavano il mio prestigio agli occhi del Conte e della sua Consorte. Così le dame non osavano disprezzarmi in modo troppo palese, ma mi accettavano e cercavano di essere perlomeno gentili nei miei confronti. Non amavo molto la loro compagnia, ma non potevo far a meno di quella di Louise-Marie, della sua solarità e – anche se a volte eccessiva – della sua parlantina che mi faceva un poco svagare dai miei tanti doveri.
    Nei restanti momenti della giornata, mi recavo alla Congrega del Salice. Le mie sorelle erano perfettamente consapevoli della mia impossibilità di stare con loro tutto il tempo, ma ogni volta mi accoglievano con calore e affetto, e persino lo sguardo di Sylvie, la Gran Maestra, non era più così severo nei miei riguardi. Persino Ètoile, il misterioso gatto della congrega, aveva osato strusciarsi sulle mie gambe ed emettere le sue deliziose fusa, forse in segno di accettazione.
M’insegnarono a catalizzare meglio l’energia degli elementi, soprattutto dell’aria che mi era più affine; spesso Sylvie stessa provava a costatare i miei miglioramenti, attraverso prove che svolgevamo all’aperto, nel folto del bosco laddove altre persone non potessero vederci.
In verità temevo sempre di essere scoperta, ma la tranquillità delle mie sorelle mi rilassava e finii per non pensarci più.
Ophélie e Cécilie continuarono a spiegarmi in maniera più dettagliata ogni genere di erba, e potei prima assistere poi operare personalmente alla preparazione di speciali unguenti e oli che potessero curare ferite più o meno gravi. Ero solita meravigliarmi per la loro sapienza, e nell’utilizzare solo delle semplici erbe per guarire dei malanni. Era strano, interessante, magico, ma, a pensarci bene, erano le stesse erbe che prelati e monache usavano tranquillamente, senza correre il rischio di essere additati come eretici. Man a mano che conoscevo quel nuovo mondo, mi ponevo sempre più domande alle quali non riuscivo a trovare risposta. Come potevano accusare e uccidere persone solo perché avevano esperienza nell’utilizzare erbe o credevano in qualcosa così simile a quella religione che tanto sostenevano essere l’unica da seguire, perché la vera in assoluto?
Il mio cuore e il mio animo sensibile non riuscivano a comprendere tanta malvagità, e a volte emergeva nella mia mente un pensiero che forse non sarebbe stato apprezzato dai popolani e dagli ecclesiastici: e se il malvagio si annidasse proprio negli animi di coloro che accusavano gli altri di essere eretici?
Quelle domande, quei pensieri, quelle risposte le serbavo per me.

    Era una tiepida mattina di fine estate, il sole era sorto solo da qualche ora e mi trovavo immersa nella radura dinanzi all’ingresso dell’antro. Flaviano era andato via molto presto, ed io ne avevo approfittato per raggiungere le mie sorelle, giacché il pomeriggio lo avrei dovuto trascorrere tutto tra la Maison, la mia dimora e una visita a Louise-Marie che doveva raccontarmi nuove notizie che aveva appreso nei corridoi del Palazzo.
Soffiava una leggera brezza che sembrava portare fievoli sussurri, mentre mi sfiorava il volto. Mi avvolsi nella mantellina scura, e portai di nuovo lo sguardo verso Cécilie che mi stava mostrando un’erba particolare, spiegandomi gli effetti che avrebbero prodotto sul corpo umano. Ascoltavo con attenzione la sua voce pacata, la sua capacità di far comprendere anche le cose che mi apparivano più complesse, quando un rumore proveniente dal mio stomaco mi spinse ad arrossire. Lo sentii gorgogliare, ma non ne compresi il motivo, fino a quando un senso di nausea giunse fino alle mie labbra. Le serrai, ma feci appena in tempo a voltare il capo di lato, che vomitai tutto quel poco che avevo mangiato. Rimasi alcuni istanti in quella posizione, cercando di respirare un poco a fatica; lo stomaco mi bruciava, e le mie labbra avevano un sapore sgradevole. Cécilie, allarmata, si protese verso di me e mi tenne il capo, aiutandomi in quella situazione inconveniente.
Quando finalmente sembrai calmarmi, sollevai il viso e guardai smarrita la strega erborista al mio fianco. Lei prese un fazzoletto dalla tasca della sua tunica e mi tamponò con delicatezza le labbra, prima di dire:
    « Non ti senti bene, Desirée? »
    « Non capisco… ho mangiato poco questa mattina, ma… forse qualcosa che era andato a male » mormorai perplessa.
Mi sentivo debole e stanca, quel malessere toglieva ogni energia e il pericolo di vomitare ancora non sembrava del tutto svanito.
Cécilie mi aiutò a sollevarmi da terra e pose meglio la mantellina sulle mie spalle.
    « Credo che sia meglio rientrare, ti preparerò un infuso caldo che attenuerà un poco la sgradevole sensazione che provi, oltre che scacciare in parte l’odore nella tua bocca ».
Aggrappata a lei, entrammo all’interno della grotta, accedendo infine alla grande sala dove si trovavano le altre. Tutte spalancarono i loro occhi, forse vedendo il mio pallore improvviso e mi si avvicinarono. Elodie mi riempì di domande, mentre Sylvie e Claire rimasero immobili a guardarmi, anche se nei loro sguardi scorgevo un poco di apprensione, più evidente nella seconda, in verità. Gli occhi della Gran Maestra sembravano sempre di difficile comprensione: erano come uno specchio appannato, dal quale non era facile scorgere la vera essenza.
    « Elodie, insomma! Non si è sentita bene, ma ora le preparo un ottimo infuso e vedrai che si rimetterà in breve tempo in forma! Ma non assillarla troppo con le tue innumerevoli domande! » esclamò Cécilie, e la strega elementale sbuffò, incrociando le braccia sotto al petto, imbronciata.
Mi fecero sedere su uno dei cuscini, ponendomi una ciotola nel caso dovessi ancora rigurgitare. Cercai di respirare e rilassarmi, ma l’odore degli incensi emanati nell’aria mi destò un altro senso di nausea.
Mi strinsi nella mia mantellina, avvertendo improvvisamente freddo, e Claire si posizionò al mio fianco, sfiorandomi leggermente il viso in una carezza.
Mi sorrise con dolcezza e sembrava essere del tutto tranquilla. Come se lei avesse scorto qualcosa, se lei sapesse altro che io ignoravo completamente.
Nel giro di pochi minuti, Cécilie tornò con una tazza fumante. Erbe aromatiche dal piacevole odore si scioglievano nell’acqua bollente, e non appena riuscii a trarne un sorso, mi sentii leggermente meglio, anche se lo stomaco – irritante – continuava a gorgogliare.
    « Vedrai che ora starai meglio. Ma cerca di mangiare cose più salutari, se possibile… » mormorò l’erborista, ma una risata roca la bloccò. Ci girammo tutte verso Ophélie, l’anziana strega seduta come sovente accanto al camino acceso anche in quel momento.
    « Perché ridi, Menta? » mormorai.                                « Oh, è semplice bambina. Non starai meglio in poco tempo, quell’infuso sarà solo un’attenuazione, un piccolo rimedio temporaneo. Trascorreranno mesi in cui dovrai essere pronta a gestire queste situazioni, e anche altre ».
Corrugai la fronte, non comprendendo quelle parole. Avevano il sapore di una minaccia e quella risata mi sembrava fonte di cattiveria, ma sapevo bene che Ophélie era l’immagine della bontà, della comprensione e della gentilezza, oltre che detentrice di enorme saggezza. Poi, mi sentii osservata. Occhi dalle sfumature diverse erano puntati verso di me: tutte le streghe mi osservarono sorridenti, come se avessero capito qualcosa di cui io ero totalmente ignorante.
    « Non capisco… »
    « Ma come no! È così semplice, Desy! Tu… » ma la piccola Elodie fu interrotta da Cécilie, che le impedì di parlare, ponendole – dispettosa – una mano sulle sue labbra, spingendola ad emettere un grugnito strano e divertente insieme. Le sue parole furono completate di nuovo da una risata di Ophélie, che riprese:
    « Nel tuo ventre un seme è stato posato. Un nuovo bocciolo nascerà, fino a divenire un fiore delicato e rischiarare di luce la tua e la nostra vita ».
Spalancai gli occhi e le labbra e per poco la tazza non mi cadde dalle mani. Fu ripresa saldamente dal rapido movimento di Claire. Guardai Ophélie ancora qualche istante, poi, le mie mani ormai libere, andarono a porsi sul mio ventre.
Nel momento in cui compresi, calde lacrime sgorgarono dai miei occhi.
Lacrime di un’intensa emozione.
Lacrime di felicità.



*



    Qualche ora dopo ero a lavoro, ma non riuscivo a smettere di sorridere e di sfiorarmi il ventre. Era ancora troppo presto per notare segni evidenti, ma il pensiero che dentro di me stesse crescendo una nuova vita mi rendeva euforica. Non riuscivo a comprendere come Ophélie fosse così certa di quel mio stato, ma poi valutando il mio ciclo che non arrivava da tempo ormai, e la sua immane esperienza per le gravidanze, non ebbi più dubbi. Le mie colleghe mi scrutavano perplesse, notando la mia strana reazione, e la piccola Julie, dopo diversi minuti, mi si fece vicina e mi sfiorò appena il braccio.
    « Desirée vi sentite bene? » mi domandò, inclinando il capo di lato. Io mi voltai verso di lei, guardandola con quel perenne sorriso fisso sulle mie labbra e le carezzai la testolina riccioluta, prima di rispondere:
    « Sto splendidamente, ma pétite! »
Lei mi guardò, non proprio convinta della mia risposta, ed io emisi una risatina. Forse sembravo aver perso il senno, ma in quel momento non m’importava dare spiegazioni.
    « Julie potresti portarmi un poco di lana bianca? Quella già lavata e lavorata, pronta ad essere usata per realizzare indumenti ».
La piccola apprendista annuì, contenta di essere utile per qualche cosa. La vidi allontanarsi e raggiungere una cassapanca dove v’era proprio la lana da me richiesta, e sospirai. La mia mente vagò al futuro. Immaginavo già di avere una piccola come lei, pronta a correre per la mia modesta dimora, e chiamarmi maman mentre tornava tra le mie braccia. In verità non avevo grandi preferenze sul sesso del nascituro; avrei ovviamente accettato con gioia anche un bambino, magari somigliante per qualità e fisico al mio amato. Quello che la Dea e il Dio suo sposo ci avrebbero concesso sarebbe stato ugualmente gradito, giacché era fonte del nostro immenso amore e del nostro legame che da quel momento era ancora più saldo.
Julie tornò rapidamente verso di me, lasciando della lana sul mio tavolo.
    « Cosa dovete farci? » mi domandò, non trattenendo la sua consueta curiosità.
    « È una sorpresa! » risposi, ammiccandole, « ma se vuoi puoi restare qui a vedere che cosa uscirà fuori ».
    « Oh sì, vi prego. Sono così curiosa! » esclamò, ed io la invitai a sedersi su uno sgabello proprio al mio fianco.
La bambina rimase silenziosa, ma seguiva continuamente ogni mio movimento, in parte per curiosità, in parte per il suo grande desiderio di divenire un giorno un’ottima sarta.
Io sapevo bene cosa fare e trascorsi quelle ore a realizzare qualcosa che in verità non era in vendita, qualcosa che avrebbe fatto comprendere al mio amato della lieta novella.
    Qualche ora dopo dinanzi a me v’erano due piccole scarpine di stoffa, di piccola fattura. Sembravano poter calzare i piedini di un elfo, o meglio quelli di un bambino molto piccolo. Erano adornati da un filo bianco che poteva chiuderli un poco sulla caviglia. Li ammirai, emozionata, e Julie mi guardò non riuscendo a comprendere perfettamente.
    « Sono delle scarpine per un bambino? Chi è nato, se posso saperlo? » domandò, ed io le sorrisi e sfiorai appena il mio ventre, in un gesto già diventato consuetudinario.
    « In verità sono per un bambino che deve ancora nascere… »
Julie guardò il mio viso e poi laddove si era posata la mia mano e solo dopo qualche minuto comprese e il suo viso da bambina si accese di luce.
    « Oh! Voi? È lì dentro? » iniziò a chiedere, agitata dall’eccitazione. « Oh Desirée sono così felice per voi! »
La sua vocina acuta aveva attirato l’attenzione delle altre, che non ci misero molto tempo a comprendere. Lasciarono immediatamente i loro attrezzi e mi attorniarono, iniziando a complimentarsi con me. Il laboratorio divenne un insieme di voci, acclamazioni, e risate, tanto da attirare Madame Le Marchande, che subito ci venne incontro, battendo più  volte le mani come per richiamarci all’ordine.
    « Ebbene che cosa succede qui? Chi vi ha ordinato di fare festa? Avete terminato i vostri lavori? Cosa c’è di tanto bello da ridere e ciarlare in questo modo? »
Le artigiane le lasciarono lo spazio per vedere di persona, e Madame posò subito gli occhi su di me e poi sulle scarpine che comparivano sul mio tavolo.
    « Che cosa significa questo, Desirée? » mi domandò, e poi scorse il mio rossore e le mani che non volevano lasciare quella protezione che doveva avvolgere la creatura dentro di me. « Tu? Cosa? Quando? »
Sembrò perdere la sua serietà, e quasi temetti di vederla svenire. Una delle sarte si avvicinò, al fine di sostenerla, ma Madame la scansò.
    « Desirée… » la sua voce era rotta dall’emozione. Incurante della presenza di così tante persone, i suoi occhi grigi s’inumidirono di lacrime che non riuscì a trattenere. Allungò le braccia verso di me, ed io mi alzai per lasciarmi avvolgere dal suo abbraccio.
    « L’ho scoperto solo oggi… » mormorai al suo orecchio, e lei – sempre a voce bassa – mi disse:
    « Tua madre sarebbe proprio orgogliosa di te, come lo sono io… »
La sua frase mi fece commuovere e, in breve tempo, laddove v’erano state risate, uscirono lacrime che contagiarono tutte. Ma non c’era nulla di male a piangere, soprattutto se ciò era causato da tanta felicità.


*


    Non c’era stato tempo per recarmi a Palazzo in quella giornata densa di emozioni, e poi desideravo vedere subito Flaviano per potergli rivelare la gioiosa notizia. Non sapevo bene quali parole usare e proprio per quel motivo avevo realizzato quelle due scarpine, sperando che un dono simile potesse spiegare laddove le parole non fossero riuscite a farlo.
Una volta tornata a casa, mi prodigai nella cucina di una deliziosa cenetta. Per una volta volli scegliere tutto quel che di più buono v’era a disposizione, in fondo si trattava di un momento speciale. Passai anche alla taverna, per prendere una bottiglia di vino rosso, il preferito di entrambi, e salutare il simpatico Oste che non perse occasione di rivolgermi complimenti, che tanto infastidivano la sua gelosa mogliettina.
In poco tempo la stanza si riempì di un buon odore di carne arrostita e patate, oltre che verdure di vario tipo e attinenti alla stagione.
Preparai la tavola: non avevamo nulla di così elegante come si poteva vedere a Palazzo, ma neanche si poteva dire che vivessimo nella povertà, anzi adoravo la mia vita così com’era, il lusso non mi si confaceva. Collocai anche una candela al centro della tavola, che sarebbe dovuto rimanere accesa per tutta la serata.
Quando tutto fu pronto, disposi il pacchettino nel quale avevo inserito le scarpine di lana, proprio sopra al piatto del mio amato marito, e mi sedetti.
Fremevo dalla curiosità, cercando di immaginare mentalmente come avrebbe reagito. Sarebbe stato felice? Avrebbe avuto particolari preferenze per il sesso della creatura che tanto ci univa? Non riuscii a rimanere troppo tempo ferma al mio posto, iniziai a vagare per le stanze, a sistemare cose in realtà già al loro posto, a controllare il cibo ormai quasi cotto. Controllai dalla finestra se arrivasse qualcuno e poi, quando udii dei passi, sorrisi raggiante, ma il mio cuore iniziò a battere incontrollato. Ero emozionata, agitata.
Seguii con lo sguardo la porta che si apriva, e lo vidi togliersi il cappello dal capo e il mantello, ponendo il tutto su una sedia posta all’ingresso. Non smisi di osservarlo, curiosa di vedere ogni singola reazione. Flaviano voltò lo sguardo verso la cucina, respirando il buon profumo e poi mi guardò, rivolgendomi un dolce sorriso, ma il suo viso appariva stanco.
    « Che buon profumino, mia adorata. Sembrano carne, patate e anche verdure. A cosa devo questa cenetta prelibata? » chiese, avvicinandosi di qualche passo a me, fino a che non fu abbastanza vicino da sfiorarmi il viso con una carezza.
    « Questa sera ho voluto regalarci una cena migliore del solito. È una serata magica, mon amour. Sedetevi, tranquillo, e attendete che vi porti tutto… » mi fermai un attimo, scrutandolo con più attenzione « Ma vi vedo stanco. Il Capitano Svensson vi fa allenare duramente nell’ultimo periodo, o sbaglio? » domandai con pacatezza.
Lui mi guardò e annuì, prima di rispondere:
    « In verità è così. Siamo sottoposti a un duro allenamento, ma non me ne dispiace. Sono nato per fare il soldato e voglio dimostrare ciò che valgo ». Nei suoi occhi si scorgeva una luce di determinazione, ma poi i suoi lineamenti si addolcirono. « Non permetterò alla stanchezza di rovinarci questa serata che si prospetta deliziosa. Ma ancora non mi avete spiegato il motivo di tutto ciò ».
    « Ogni cosa a tempo debito. Sedetevi, arrivo subito ». Sfiorai le sue labbra con le mie, giusto per un istante e poi sfuggii alle sue braccia, andando a prendere tutto ciò che avevo cucinato, per portarlo in tavola e servire mio marito e me stessa.
Lo sentii osservarmi per un po’ ma, quando tornai al tavolo, lo vidi seduto a scrutare con interesse e confusione la scatola che avevo lasciato sul suo piatto.
Rimasi in silenzio e posi il tutto in tavolo. Pentole fumanti emanavano ancora quei deliziosi odori di cibo, poi lui sollevò lo sguardo verso di me e disse:
    « Questo? Anche un regalo per me? Ho dimenticato qualche ricorrenza forse? »
Notai la confusione nel suo sguardo e mi sfuggì un sorriso divertito.
    « Oh no, è qualcosa che non potete aver dimenticato. Apritelo pure ».
Non se lo fece ripetere due volte. Aprì il pacchetto, ed estrasse le due scarpine di lana bianca. Aggrottò la fronte, ancora più perplesso, e poi mi guardò. Non riusciva a comprendere, così mi avvicinai a lui.
    « Se questo è un enigma, ammetto di non averlo capito ».
    « Non credo che sia così difficile. Non vedete, mon amour? Sono delle scarpine, ma troppo piccole perché siano fatte in dono a un uomo ».
    « Effettivamente, sembrano adatte a un neonato… » mormorò, osservandole ancora qualche istante, prima di sgranare gli occhi e voltarsi verso di me, senza riuscire a parlare, sebbene le labbra si muovessero.
Io presi una delle sue mani tra le mie e la portai a sfiorare il mio ventre. Lo vidi quasi sbiancare dalla sorpresa, e per un attimo temetti che non fosse felice della notizia. Tuttavia non esitai, e dissi:
    « Dentro di me c’è vita. Un timido bocciolo è stato seminato e attende solo di sbocciare ».
Lui deglutì, ma non allontanò la sua mano da dove l’avevo messa.
« Vi ho fatto perdere le parole, ma mi auguro che non sia perché la notizia vi turba in modo negativo. È il frutto del nostro amore, una creatura che ci lega ancora più di prima. Ditemi, Flaviano, vi ho così scosso? Non siete felice? »
Quegli istanti che gli servirono per riprendersi e formulare una frase furono per me interminabili. Erano quasi un peso che mi colpiva il cuore e lo faceva gelare. Rimasi in silenzio, ma stringevo ancora la sua mano. Poi lo vidi alzarsi di slancio e un sorriso illuminò il suo bel volto, prima di donarmi un bacio colmo di passione. Lo lasciai fare e ricambiai, e non riuscii a trattenere quelle lacrime, ormai mie compagne, che scesero a rigarmi il viso.
    « Come siete sciocca Desirée, come potete solo pensare che per me sia qualcosa di negativo?! Dentro di voi c’è vita, il nostro bambino, nostro figlio! Non c’è gioia più grande che poteste regalarmi. Mia amata, mio sole luminoso, mio eterno amore ».
Si chinò a baciarmi il ventre più volte, lo accarezzò con dolcezza – anche se ancora non era visibile il segno – e poi tornò a guardarmi. Posò le dita ad asciugarmi le lacrime, che copiose continuavano a scendere, e mi baciò ancora, senza sosta.
Ero così felice! Ogni paura scomparve, e fu ancora più bello di quanto potessi immaginare.
Dopo altri momenti d’intensa emozione, consumammo la nostra cena tra risate e sorrisi, pensando già al nostro futuro con nostro figlio. In verità lui avrebbe preferito un maschio, ma non gli sarebbe dispiaciuto neanche se avessimo avuto una femmina.
    « …se poi vi assomiglierà sarà incantevole, proprio come voi ».
    « O magari più di me » risi, e lui rise con me.
Pensammo anche ai possibili nomi. Se fosse stato un maschio, lui avrebbe voluto chiamarlo Edoardo, come suo padre, se fosse stata femmina avrei voluto chiamarla Alizée. Non v’era un motivo preciso, mi piaceva il suono di quel nome e poi era simile al nome di un vento. Chiacchierammo per ore e ore. Lui mi lasciò sedere sopra di sé, ed io mi beai delle sue calde braccia intorno a me. Solo quando la candela stava per spegnersi, ci alzammo da tavola e raggiungemmo il letto. Non riuscimmo a prendere sonno presto; la stanchezza che ci accumunava era scomparsa, e passammo altro tempo a bisbigliare tra noi e coccolarci. Finimmo la nostra magica serata con quell’atto di unione che ci aveva così legati e fatto il dono più bello che potesse esistere. Una creatura. Un figlio o una figlia. Nostro, solo e unicamente nostro.
Il nostro piccolo bocciolo.












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L'amore dei due non poteva non essere coronato da un bambino o bambina, no?
Dedico questo capitolo molto dolce a tutti coloro che hanno la fortuna di donare e ricevere l'amore, un sentimento così bello che spero un giorno torni a rischiarare il mio cuore. In fondo domani è San Valentino, no?
Ma anche a chi con le proprie recensioni mi aiuta ad andare avanti con questa storia, lasciando il proprio parere, e facendomi comprendere quanto forse non sia una storia da buttare, anzi. Dovrei imparare davvero a credere un po' di più in me stessa.

A presto, con il nuovo capitolo !

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Capitolo 22
*** XXI - Di Amuleti e Notizie ***


XXI
 Di Amuleti e Notizie




    « Diventerò zia! »
La voce sonora di Louise-Marie risuonava alta e vibrante nel giardino adiacente al Palazzo, incurante degli sguardi dei cortigiani e servitori che la guardavano con fare perplesso, non avendo compreso il nocciolo del nostro discorso. La notizia della mia gravidanza aveva illuminato il volto della mia amica, spingendola a emettere sospiri continui e a scrutare più volte il mio ventre, che ancora – in verità – non era visibile.
    « Oh, ma douce, ma precieuse amie, quale lieta novella mi dai! Non sei emozionata? Io lo sono eccome! Dovremo pensare a tante cose: ai vestitini, cappellini, o magari dei graziosi guantini perché no! Poi si potrebbe organizzare una festa, magari qui a Palazzo, vedrai che il Conte e la Contessa saranno lieti! Dopotutto ultimamente l’aria qui sembra sempre tesa e fredda, e non so più come rallegrare le loro Altezze. Oh sì, tu mi potrai dare l’occasione utile per… »
Impedirle di parlare oltre mi era quasi impossibile, quando a un tratto, girando l’angolo del Palazzo, la nostra strada fu bloccata da una figura alta e robusta che, sbadatamente stava per travolgerci. Istintivamente portai le mani al ventre, come tentando di proteggere quella scintilla di vita che avevo dentro di me, mentre Louise-Marie proruppe con un gridolino e disse:
    « Ma insomma, voi, volete stare attento! Rischiavate di travolgere la Prima dama di corte e una Madame incinta! Fate più attenzio… » si bloccò, e nel scorgere chi fosse dinanzi a noi, i tratti del suo volto si addolcirono e le sue labbra, dapprima stizzite, si distesero in un sorriso. « Mon amour, perdonatemi, non credevo foste voi! Dove stavate andando così rapido? Cosa succede? »
Il Capitano Svensson – perché di lui si trattava – si fermò a un passo da me, giusto il tempo per non cadermi addosso, e borbottò parole in una strana lingua che non riuscii a comprendere. Fissò i suoi occhi di un azzurro chiarissimo su di me, e sembrò trasmettermi una consueta freddezza che mi turbava sempre. Nel sentire le parole dell’amata indietreggiò di un passo, e fece scivolare il suo sguardo sul mio ventre. Sembrava turbato, e poi sul suo volto passò come un’ombra. Appariva arrabbiato, come se quella notizia non fosse per lui qualcosa di buono. Lo sentii borbottare altre parole per me prive di senso, perché incomprensibili, ma non distolsi lo sguardo da lui. Mi sentivo offesa dal suo fare, e a stento trattenni parole indelicate nei suoi riguardi. Lo facevo solo per puro rispetto nei confronti del mio amato e della mia amica, ma dentro di me ribolliva il sangue; ero pronta a scagliarmi su di lui, su quello sguardo freddo e distaccato, su quelle labbra quasi stizzite per la mia condizione, che fino a quel momento aveva suscitato solo sorrisi e gioia. Non lo comprendevo e non lo sopportavo.
Rimanemmo per qualche istante a fissarci con ostilità silenziosa, ma poi Louise-Marie ci riportò alla realtà, schiarendosi la gola con un falso colpo di tosse, attirando così l’attenzione su di sé.

    « Scusatemi se disturbo, ma ci sono anche io qui con voi », mormorò quasi a denti stretti, alternando lo sguardo tra di noi, e per un attimo mi sembrò di scorgere un sentimento negativo anche nei suoi occhi.
Distolsi l’attenzione dal Capitano, voltandomi a guardare un lato del giardino; non riuscivo a parlare in quel momento, tale era la rabbia che provavo dentro, ma per mia fortuna il gigante dalle poche parole, interruppe il suo silenzio.
    « Mistero! » esclamò, rispondendo finalmente alla domanda di Lou e  mostrando un sorriso sornione che fece sciogliere la mia amica in un sospiro, e ribollire ancora di più il sangue nelle mie vene. Fece per andarsene, ma dopo alcuni metri si arrestò, voltandosi appena e pronunciando un chiaro: « Congratulazioni, possa questo evento essere per voi e il vostro sposo il primo di molti altri ».
Non appena fu lontano, sbuffai e finalmente buttai fuori il mio veleno.
    « Ah! Ma come fai a sopportarlo? È insolente, freddo, distaccato. Non ha nemmeno risposto in maniera sincera alla tua domanda, e poi hai visto come mi ha guardata? Come se disprezzasse sin da ora la creatura che porto in grembo, è un essere… »
    « … così attraente! Con quel fascino degno di mistero. M’incuriosisce, mi da modo di indagare da sola per scoprire ciò che nasconde! Non è magnifico? Suvvia, non fare quella faccia, soeur, e sorridi! Piuttosto, dove ero rimasta? » si fermò a pensarci un po’ su, mentre io scuotevo il capo sempre più perplessa dal suo dire, e poi aggiunse, « ah sì, la feste, vedi io pensavo di… »
Riprese a parlare di feste, vestitini, nomi e quant’altro ed io l’ascoltai annuendo di tanto in tanto e cercando di impedirle di realizzare il futuro di quella creatura che ancora non si era neanche formata dentro di me, ma le sue numerose chiacchiere non scacciarono via dai miei pensieri quello sguardo di ghiaccio che si era posato sul mio ventre, con tanto odio, o almeno così sembrava.


*


    
    I mesi trascorrevano velocemente; l’estate aveva lasciato il posto al triste autunno e le prime foglie ingiallite iniziavano a cadere dagli alberi. Lo spiazzo di natura dove ero solita incontrarmi con Flaviano, quando non eravamo ancora sposati, ora era ricoperto da una sorta di rivestimento giallo e rossiccio: foglie su foglie ormai stanche si erano staccate dai rami degli alberi tutt’intorno ricadendo docilmente verso il suolo, lasciandoli privi di copertura. L’autunno non era una stagione che amavo, mi sembrava triste, spoglio, destava in me un’insolita malinconia, e i primi freddi iniziavano ad avvertirsi, cosa che io non gradivo molto. Per fortuna il caldo fuoco del camino nella grotta attenuava, un minimo, quella sgradevole sensazione che provavo.
Quel giorno era il turno di Claire di svolgere una lezione, e ci trovavamo tutte intorno a lei ad ascoltarla con curiosità. Le altre in verità conoscevano già l’argomento che avrebbe trattato, ma adoravano passare quanto più tempo possibile insieme, e poi l’interesse non svaniva mai, soprattutto quando si parlava di pietre e amuleti protettivi e magici.
Nelle mie condizioni non potevo sforzarmi fisicamente nel realizzare incanti, quindi avrei trascorso quelle lunghe settimane nell’apprendere nuove nozioni, nel conoscere più profondamente le erbe e anche la particolarità e il significato di ogni singola pietra.
Claire distese su una sorta di coperta violetta una serie di piccole pietre dei colori e delle forme più diverse e i miei occhi v’indugiarono sopra, ammaliati.
Facemmo tutte assoluto silenzio quando Claire iniziò a parlare, la sua voce risuonò chiara e sicura:
    « Le pietre, come i profumi, le essenze, le erbe, i colori e gli elementi, come anche noi stessi e gli animali e ogni cosa del mondo creato dagli Dei, contengono energia. Esse possono influenzare le nostre vite, le nostre personalità, possono donarci protezione o aiutarci nei momenti di difficoltà, donandoci coraggio, forza, aiutandoci a credere nelle nostre capacità ».
Fece una breve pausa, soffermando i suoi occhi chiari su di me, poi riprese:
 « Possono anche essere un ottimo collegamento tra il nostro mondo e quello spirituale e hanno la capacità di rendere più stabile la nostra magia. Spesso sono associate ai vari pianeti, alla Luna e al Sole. Inoltre è bene ricordare che ciascuna pietra è depositaria di un proprio potere che è bene scoprire e comprendere al meglio, prima di farne un qualche uso ».
Il mio sguardo scivolò di nuovo sulle pietre, soffermandosi su una piccola e rotonda, completamente rosa. La guardai ammirata, ma ne notai ben presto un’altra, viola. Erano le mie preferite, oltre allo zaffiro blu che portavo incastonato sul ciondolo al collo; anche se era effettivamente impossibile disprezzare le altre. Avevano tutte una loro particolarità che colpiva e avrei voluto possederne una per ogni genere. La mia curiosità però era associare ciascuna pietra al suo potere, per comprendere quale poteva essermi utile in particolari situazioni. Ma prima che potessi rivolgerle una domanda, come di sovente, sembrò che Claire avesse già percepito qualcosa, e rivolse le sue parole proprio a me.
    « Noto che osservi in particolare due pietre, sorella. Quella rosa è un quarzo, portatore di amore e felicità, inoltre favorisce la pace e la fedeltà nelle lunghe relazioni ».
    « Allora non ti serve proprio eh! » s’intromise la giovane Elodie, ridacchiando divertita. Cécilie scosse il capo all’ennesima uscita dell’amica-nemica, ma io risi a mia volta.
    « No, le sue qualità magiche non fanno per me. E questa viola? » chiesi, curiosa.
    « Ametista », riprese Claire. « Considerata la pietra dello spirito, è benefica e protettiva. Spesso è utilizzata durante la meditazione, la divinazione e in questioni riguardanti gli spiriti. È la mia pietra preferita, quella che ho scelto e mi è stato concesso di indossare per sempre al mio collo ». Detto ciò, portò la mano destra a sfiorarsi il ciondolo, e notai la sua pietra violacea. Le sorrisi, grata per la spiegazione, poi tornai a guardare quella sorta di gemme.
    « Le altre pietre da noi indossate che potere hanno? » chiesi ancora, desiderosa di conoscenza.
    « Lo zaffiro blu che porti al collo favorisce la guarigione fisica, e dal punto di vista magico e psicologico ha un effetto calmante e rasserenante; rafforza la volontà permettendo anche di realizzare i propri desideri. È la pietra associata a Saturno, al cielo, alla fiducia… ». Spostò poi lo sguardo su Elodie, « il rubino è una pietra completamente rossa, stimola il coraggio ed il potere, difende dai nemici e ovviamente è associato all’elemento fuoco. »
Sorrise ed Elodie annuì vigorosamente, orgogliosa della sua amata pietra anche per tale motivo.
    « La pietra verde di Cécilie è lo smeraldo che, oltre ad essere un potente guaritore, ha il potere di rivelare il futuro e di rafforzare la memoria; è anche considerato simbolo di libertà e amore assoluto. E, infine, c’è… »
    « … l’onice. » la interruppe la Gran Maestra, portando i suoi occhi di un blu scuro sul suo ciondolo. « Una pietra totalmente nera, che spesso desta timori in coloro che non possono capirne il significato celato. Favorisce una grande protezione, soprattutto quando si devono affrontare avversari in battaglie o conflitti di ogni genere. » in quel momento mi fissò con intensità, tanto da provocarmi un brivido lungo la schiena, ma poi riprese con più tranquillità. « Oltre a ciò è molto utile per la magia difensiva e favorisce la stabilità fisica e mentale ».
Rimasi per qualche minuto senza parole, cercando di assimilare e ricordare per sempre tutte quelle informazioni che mi stavano riferendo.
    « Ovviamente queste sono solo alcune delle tantissime pietre esistenti in natura. Nel corso delle prossime settimane sarà mio piacere fartele conoscere tutte, Desirée » aggiunse Claire, ed io annuii. « L’ultima cosa utile da sapere è questa: prima di essere utilizzate a fini magici o fisici, occorre purificarle affinché possano realmente influire con il loro potere ».
    « Purificare? Com’è possibile farlo? » domandai.
    « In verità vi sono diversi metodi, ma quello che preferisco è la purificazione tramite i quattro elementi. Elodie, Cécilie sareste così gentili da aiutarmi? ».
Non ci fu bisogno di spiegare troppo. Le due si alzarono all’unisono e si avviarono presso un cassettone posto in un lato della grande sala, lo aprirono e presero degli oggetti che potei scorgere solo quando li posero dinanzi a Claire. Erano una coppa, nella quale in quel momento Cécilie vi versò dell’acqua e un incensiere che fu presto acceso, lasciando fluttuare la sua striscia di fumo profumato. Claire estrasse, da un piccolo sacchetto, della terra che pose sulla coperta stesa sul pavimento, precisamente in alto, al nord; Cécilie mise la coppa d’acqua a ovest, Elodie lasciò l’incensiere a est e infine Sylvie accese una candela, ponendola a sud.
Guardai quei gesti con assoluta attenzione e curiosità, concentrandomi mentalmente e fisicamente ad avvertire l’energia che sicuramente si sarebbe creata in quei sacri gesti.
Claire guardò per qualche istante le varie pietre, e la sua bianca mano affusolata scivolò a prenderne una di un giallo particolare, con sfumature arancioni. La sentii mormorare qualche parola:
    « L’ambra dona forza, saggezza e pace ed aiuta ad assorbire più facilmente il dolore ».
Annuii silenziosa, comprendendo che la spiegazione era per lo più rivolta a me, e poi mi limitai a seguire il rituale.
Claire prese la pietra tra le sue mani e socchiuse gli occhi, come se volesse attingere a quell’energia presente in essa; quando fu pronta, tornò a guardare i quattro simboli posti nei quattro punti cardinali, e pose l’ambra nella terra, per poi ricoprirla.
Le sue labbra si schiusero appena, e lentamente mormorò:
    « Con la Terra, o Ambra, io ti purifico! »
Non riuscii a scorgere i volti delle altre tanto ero presa da quei piccoli gesti densi di potere. Avvertii un piccolo brivido scorrermi nelle vene, come se l’energia della pietra iniziasse a sprigionarsi. Sorrisi di fronte a quella piacevole sensazione, e il rito proseguì.
Claire liberò la pietra dalla terra, dopo qualche minuto, e la passò più volte nel fumo dell’incenso, in senso antiorario.
    « Con l’Aria, o Ambra, io ti purifico! »
La passò quindi sulla fiamma della candela, e ancora ripeté le medesime parole:
    « Con il Fuoco, o Ambra, io ti purifico! »
E, infine, la pietra fu immersa nell’acqua per qualche minuto ancora. La vidi ancora proferir parola:
    « Con l’Acqua, o Ambra, io ti purifico! »
L’energia presente nel luogo era forte. Tutti gli occhi delle streghe erano concentrati in quei gesti, in quella piccola pietra densa di potere. Dopo qualche istante ancora, Claire ritirò la pietra dall’ultimo elemento, e la pose all’interno di un panno lindo e me la porse.
    « Asciugala e tienila tra le mani, sorella mia. Avverti il suo potere, fallo scorrere in te e dona il tuo a essa. L’ambra ora ti appartiene e ti aiuterà se la terrai con te. È tua. Custodiscila amorevolmente come so che tu sai fare. Puoi anche incastonarla in un gioiello, se vorrai ». Mi sorrise lievemente, ed io la guardai un poco stupita, ma poi le mie labbra si distesero in un sorriso denso di ringraziamento.
Strinsi la pietra avvolta dal panno tra le mie mani, e socchiusi gli occhi. L’energia sprigionata era così forte da sorprendermi. Un formicolio sulle mani, poi sulle braccia, brividi sul corpo, e d’un tratto mi sentii pervasa da una luce intensa.
La magia e ciò che mi donava mi piacevano sempre di più.


*


    Il malinconico autunno si spense velocemente e il suo posto fu preso dal freddo inverno. Quell’anno fu particolarmente rigido; nonostante fossi ben coperta da un caldo mantello e da guanti di lana, le mie mani erano perennemente gelate, causando buffe smorfie nel mio amato, ogni volta che lo sfioravo appena. A volte lo facevo apposta, forse per il mio spirito un po’ infantile, forse perché ero perfettamente consapevole che con lui potevo scherzare liberamente, non si sarebbe arrabbiato per simili futilità.
Poco dopo il Natale, che le streghe chiamavano Yule, ci stavamo dirigendo verso la Taverna “Le tre spade” per svagarci un poco e non rimanere perennemente in casa e soprattutto perché l’oste Jean ci aveva invitato a una sorta di festicciola alla quale non potevamo mancare.
Dinanzi alla porta, Flaviano mi lasciò andare e mi aprì l’uscio quel che bastava per entrare.     
« Prima le signore ».
    « La ringrazio, monsieur! » esclamai, e mi intrufolai lesta all’interno così da trovare un po’ di tepore. A contatto con il calore del luogo, le mie guance ritrovarono un poco di rossore, e sentii di nuovo il sangue fluire nel mio corpo.
Nello scorgerci l’oste ci venne subito incontro, raggiante. La sua faccia rotonda era completamente rossa, forse per il calore, forse anche per l’alcool che già – come sempre del resto – gli scorreva in corpo, e tra le mani portava due grandi calici colmi di birra.
    « Madame e Monsieur Marli siete finalmente arrivati! Prego prego, volete un po’ di birra? Del vino? Qui siam tutti a festeggiare! »
    « Oste Jean, io prendo volentieri un boccale di birra, ma per la mia dolce mogliettina incinta non sarebbe salutare. Avete del buon succo di mela o di qualche altro frutto? » ribatté Flaviano, fermo dietro di me e cingendomi il fianco quasi a voler proteggermi dall’oste civettuolo.
    « Oooh già! La nostra bella sartina è incinta, è vero! Ma fatevi vedere, con il vostro corpicino così minutino è difficile vedere il pancione! » disse, guardandomi forse un po’ troppo, e anche un poco più in alto della pancia, che già iniziava a essere un poco più evidente. Abituata com’ero alle sue parole, non ci feci caso e risi divertita, anche se il tocco di mio marito sui miei fianchi si fece un poco più protettivo.
    « Siete sempre troppo gentile, Jean! È ancora presto per vedere il pancione, ma già i primi segni ci sono, anche se credo che siano più in basso rispetto a dove puntate gli occhi » risi ancora, e poi aggiunsi a voce più bassa « ma vedo vostra moglie laggiù, credo che stia guardando proprio dalla nostra parte ».
L’oste sembrò rizzarsi di colpo a quelle mie parole, e smise di puntare gli occhi sul mio corpetto. Si guardò intorno e, intercettato lo sguardo severo della moglie dietro il bancone, replicò:
    « Uh, sedetevi pure! Quel tavolo laggiù è libero, arriverò al più presto con birra e idromele! Orsù! » e se ne andò a servire altri due presenti.
Io risi ancora qualche secondo e poi aggrappandomi al braccio del mio amato – in verità contrariato dal fare dell’oste – ci sedemmo al nostro tavolo.
La taverna era viva, si avvertiva quell’allegria propria delle feste e forse anche del vino e della birra che scorreva come acqua nei corpi degli astanti. Scrutai tra i vari tavoli e sul bancone, riconoscendo molti abitanti di Sivelle. V’erano giovani, anziani di entrambi i sessi. Alcuni parlavano sommessamente, altri giocavano, altri brindavano. Il loro vociare risuonava nel luogo, e ci si poteva ascoltare soltanto parlando abbastanza vicini.
Flaviano mi guardava apprensivo, non era stato sicuro di volermi condurre in tal sito nel mio stato, ma io avevo così tanto insistito che alla fine dovette cedere, anche se ancora era riluttante.
Mi sfiorò leggermente una mano e gli sfuggì la consueta smorfia.
    « Anche qui dentro le tue mani sono così fredde. Proprio non comprendo ».
Io gli sorrisi e alzai le spalle.
    « Non posso farci nulla, è un problema che non so proprio risolvere ».
Lui mi baciò la mano e poi portò l’altra a sfiorarmi il ventre appena pronunciato. Lo fece con gentilezza, come temendo di potermi far male anche con un gesto così amorevole.
    « Sei proprio sicura di voler stare qui? Basta una parola e torniamo a casa… non mi sembra molto tranquillo ».
Scossi il capo e tentai di tranquillizzarlo.
    « Stai tranquillo, mon cher, nulla può accaderci qui dentro. L’oste Jean mi vuole bene e non permetterebbe a nessuno di nuocermi ».
Lui si accigliò, e disse:
    « Ti vuole fin troppo bene, anzi, a mio parere è lui che potrebbe nuocerti ».
    « Sei geloso maritino mio? » mormorai, sorridendo maliziosa. « Non devi farti problemi, sono anni che si comporta così ma ormai lo vedo più come un gioco. Anche perché non si è mai azzardato a toccarmi, altrimenti la moglie temo che lo uccida ».
    « Se non lo fa lei, lo faccio io ».
Scossi repentinamente il capo a quel suo dire.
    « Non provarci neanche! »
    « Vedremo » sorrise angelicamente, anche se il suo sguardo non preannunciava nulla di buono, ma non pensavo che avrebbe mai veramente osato far del male a un povero oste.
    « Eccolo che ritorna, spero che non riprenda con i suoi soliti commenti impertinenti e che i suoi occhi non scivolino troppo sul tuo corpetto » borbottò, ed io gli strinsi la mano per quietarlo.
Voltandomi vidi arrivare effettivamente Jean con il solito sorrisone sul volto, e posò sul tavolo i due boccali.
    « Un boccale di birra per il Monsieur, e un idromele per la bella Madame. Se serve altro, fate un fischio! »
    « Vi ringrazio Jean » gli sorrisi appena, e Flaviano lo guardò male. L’oste non rimase oltre, tornando al fianco della moglie.
    « Suvvia mostrami un sorriso e non guardare male il povero Jean. Siamo qui per distrarci e divertirci! A noi e al nostro piccolino ».
Alzai il boccale e lui mi fece felice. Sorrise e scacciò – forse per un poco – il pensiero dell’oste e fece cozzare il boccale contro il mio.
    « Alla nostra deliziosa famiglia ».
Bevemmo con calma i nostri boccali, e iniziammo a parlare del più e del meno. Di tanto in tanto mi beavo dei caldi gesti di lui: mi sfiorava il volto, posava le labbra sulla mia fronte, sfiorava il mio ventre e non smetteva di sorridere nel parlare del nostro bambino, o bambina. Scorgevo nel suo volto una tale gioia e una luce così intensa che mi faceva palpitare violentemente il cuore. Sarebbe stato un buon padre, lo sentivo.
Qualche volta il mio sguardo vagava tra gli astanti: mi dilettavo sovente nell’osservare i volti, le espressioni e i gesti degli altri, come se così facendo potessi tentare di conoscerli.
Quando terminammo le nostre bevande e si fece tardi, Flaviano m’invitò a tornare a casa e questa volta non mi opposi. Ero molto stanca, e avevo proprio bisogno di un buon riposo. Salutammo i due osti e uscimmo, e ad attenderci c’erano i primi fiocchi di neve della stagione. Esordimmo in un “oh” di stupore e i nostri volti si volsero verso il cielo, lasciandoci accarezzare da quelle soffici stelle bianche, nonostante il freddo m’intorpidisse le ossa. Adoravo la neve, adoravo quel manto candido che si creava a terra. Ma al contempo mi accorsi che sarebbe stato difficile tornare spesso dalle mie amate sorelle streghe.
    « Sei felice? » mi disse Flaviano, avvolgendomi tra le sue braccia mentre ammiravamo quel segno divino.
    « Come potrei non esserlo quando sono al tuo fianco, tra le tue braccia, circondati da questa bellezza? »
Lui posò le labbra sulle mie, le avviluppò in un dolce bacio, che io ricambiai. Rimanemmo così attaccati per diversi istanti, fino a quando una risata sguaiata, strana e a tratti spaventosa ci bloccò. Ci guardammo intorno e lui mi strinse ancora più a sé, con la sua perenne voglia di proteggermi da tutto e tutti.
Davanti a noi camminava goffamente un’anziana signora: era vestita di stracci scuri con i quali tentava di proteggersi da quel freddo gelido. Non sembrava però tremare, come se avesse del fuoco a riscaldarla dentro. Una mantella le copriva le spalle, un velo le circondava il volto lasciando intravedere solo degli sprazzi di capelli tendenti al bianco. La sua pelle era raggrinzita, le sue labbra aperte in un sorriso strano, priva quasi del tutto di denti. Quella visione non mi avrebbe causato brividi se non fosse stato per quella strana risata. Tuttavia, in parte mi tranquillizzai. Era la solita anziana signora che girava per le vie di Sivelle farneticando di continuo e spesso cercavo di non ascoltarla.
    « Ah, l’amore che lega questi due colombi! Com’è vivo, com’è vero. Ma ai miei tempi non potevamo mica commettere questi atti sconci davanti a tutti ». Ci voltammo, non v’era nessuno, ma lei riprese:
 « La notte è calata presto e con essa questi strani fiocchi! Oh, come son freddi, o le mie povere ossa! »
    « Buona donna se avete freddo, potete riposare nella taverna qui vicino. Troverete cibo e bevande calde per confortare le vostre ossa » rispose Flaviano, impedendomi di avvicinarmi troppo a lei.
    « Oh che gentiluomo avete trovato, fanciulla! Così cortese, così ben fatto! Oh lo conosco bene quell’oste, non sempre mi ha accolta con grazia! Io povera mendicante senza soldi! »
Questa volta avanzai risoluta, nonostante i tentativi di Flaviano di impedirmelo.
    « Posso darvi io delle monete per pagare questa notte e parlare per voi al buon oste che personalmente conosco. Ecco, prendete… » le porsi qualche monete, ma lei mi fissò con attenzione.
    « Oh, se i miei occhi stanchi non mi ingannano siete la sarta del villaggio. Certo, certo, siete proprio voi che numerose volte vi siete avvicinata al bosco ».
Tremai, nel sentire quelle parole. Temevo che il mio amato potesse far domande, temevo che il mio segreto potesse sfuggire, e che quella gioia che provavo potesse sfumare troppo velocemente.
Mi afferrò per il braccio, ignorando le monete e bisbigliò.
    « Fate attenzione al bosco, è denso di misteri. Streghe volano sul dorso di una scopa e ballano languide con il principe delle tenebre, ma si odono anche ululati alla luna. Si dice che grossi lupi vaghino tra gli alberi, pronti a sterminare le fanciulle che vi si recano. Ascoltatemi, ascoltatemi! »
Rise di nuovo, più sguaiatamente ed io mi ritrassi. Flaviano mi riportò a sé, allontanandomi da quella vecchia. Non aveva compreso tutto, ma la invitò ad andarsene. Tuttavia la vecchia stessa, dopo quelle parole, se ne andò di sua spontanea volontà, perdendosi nella notte, incurante del mio aiuto e del freddo.
    « Desirée stai bene? Cosa ti ha detto quella vecchia pazza? Ti ha fatto del male? Non avresti dovuto avvicinarti troppo a lei, non si sa mai cosa possa fare. Dovrebbero rinchiuderla ». Mi osservò il braccio con cura, ma io lo ritrassi e lo rassicurai.
    « Sto bene, sono solo scossa ». Abbassai lo sguardo e dopo poco lo riportai su di lui. « Ha parlato di lupi nel bosco ».
Tralasciai volutamente la parte delle streghe, perché ben sapevo che non facevano cose simili.
Flaviano si fece serio e serrò le labbra. Sembrava teso, spaventato per me, e indeciso se parlare o meno, ma poi disse:
    « Un fondo di verità c’è nelle parole di quella vecchia pazza. Sembrano aggirarsi davvero lupi al bosco, che spaventano i nostri cavalli quando siamo di ronda. Non ti addentrare mai al bosco da sola, soprattutto di notte. Promettimelo ». Il suo sguardo e la sua voce erano così decisi che non potei tirarmi indietro. Gli promisi che non ci sarei più andata, ma questo avrebbe comportato non andare più dalle mie amate sorelle, almeno per un po’. La cosa mi addolorava, ma avrei scritto loro e una soluzione l’avremmo di certo trovata.
Tornammo a casa, scossi e privi di quella gioia con la quale eravamo partiti. Quella notte ebbi un sonno tormentato da sogni.

Ero sola al bosco, correvo più veloce che potevo.
Dietro di me dei passi, sempre più vicini, sempre più forti.
Alla fine inciampai su una radice che usciva dal terreno, caddi a terra.
Tentai invano di strisciare via, ma il mio inseguitore era vicino, troppo vicino.
All’improvviso un ululato.
La luna piena brillava alta nel cielo, e dietro di me v’era un lupo completamente nero e con due occhi iniettati di sangue. Mi guardava e spalancava le fauci…
A quel punto gridai, e mi svegliai.



*


    Altri mesi trascorsero senza che io potessi recarmi dalle streghe.
La neve, dopo quella sera, era caduta nei giorni seguenti rendendo quasi impossibile camminare tra le strade della piccola città. Non potevo muovermi, se non per recarmi a lavoro e la sera ero costretta a rimanere in casa, a volte anche da sola, in parte per la promessa fatta a mio marito, in parte perché ero veramente spaventata dall’idea di incontrare uno di quei lupi, come nel sogno terribile che si ripeteva per molte sere.
Cercai di non scoraggiarmi troppo. Il giorno successivo avevo scritto una lettera a Claire, dicendole che non potevo tornare per un po’ di tempo e tutte le streghe m’invitavano a star tranquilla. Loro ci sarebbero sempre state e in qualche modo, non appena la neve si fosse sciolta, avremmo trovato un modo per rincontrarci.
Mi dissero anche che, in effetti, si sentivano ululati di lupi – in particolar modo nelle notti di luna piena – ma che non temevano per le loro vite. Anche i lupi erano figli della grande Dea e non potevano realmente far male, se non era l’uomo stesso ad attaccarli o far loro paura.
La cosa però non riusciva a rincuorarmi del tutto. Stringevo a me l’anello con l’ambra che vi avevo fatto incastonare, e cercavo di non disperarmi, per il bene mio e del bambino che stava crescendo nel mio grembo.
Pian piano stavo aumentando di peso e le prime forme di rotondità divenivano sempre più evidenti. Mi guardavo spesso allo specchio, curiosa e desiderosa di vederlo crescere e di poter sentire già quei calci tipici dei bambini ormai formati. Ma era ancora presto e dovevo attendere. La gravidanza procedeva bene, nonostante alcuni momenti in cui i dolori erano più intensi e la nausea mattutina mi lasciava priva di forze, ma pian piano si andava attenuando.
Con Flaviano le ore scorrevano felici, anche se in quelle ultime settimane di febbraio sembrava sempre più stanco e teso. Gli allenamenti erano sempre più duri, e in cuor mio incolpavo il Capitano Svensson per ridurre i suoi uomini in quello stato. Non ne capivo il senso, ma cercavo di lasciare tali pensieri nel mio cuore.
Ogni volta che tornava a casa, comunque, riservava dolcezze a me e anche parole al piccolo. Posava le labbra sul mio ventre e iniziava a sussurrare dolci pensieri, che mi facevano spesso commuovere. Una parte di me non vedeva l’ora di avere quel bambino, maschio o femmina che sia, in modo da poter vivere ancor meglio e vedere di persona l’abilità di mio marito come padre. Amavo quell’uomo in maniera totale, difficile da descrivere, difficile da far comprendere agli altri.
Era il mio sole, come io lo ero sempre stata per lui. Ci completavamo, anche se quel piccolo neo m’impediva di essere totalmente sincera con lui. Non potevo, non potevo realmente dirgli del mio essere strega.
    In una tiepida mattina di fine marzo, mi trovavo nella nostra casa tutta presa da un nuovo abitino per il bambino, quando Flaviano tornò in anticipo. Mi aspettavo il suo arrivo per l’ora di cena, e mi colse impreparata.
Alzai lo sguardo su di lui, confusa, e stavo per proferir parola quando mi spaventai per come appariva: era pallido e non riusciva ad alzare gli occhi. Mi sembrava profondamente triste, ma non appena incontrai il suo sguardo, notai che in esso brillava un’insolita luce, anche se era oscurata da una parte di ombra. Era come se fosse combattuto, come se serbasse nel cuore una notizia che da una parte lo rendeva felice, dall’altra triste.
Lasciai scivolare a terra il mio lavoro, e mi alzai per andargli incontro.
    « Mon amour, che succede? Perché sei tornato prima del previsto? Cosa ti turba? »
Lui prese le mie mani tra le sue e le strinse con un’insolita forza. Era teso, incapace di comunicare, ma poi le sue labbra si mossero e disse:
    « Tra due settimane esatte dobbiamo partire ».
    « Partire? Chi? Perché? »
Il mio cuore batteva furente nel petto, mentre cercavo di cacciare via un pensiero evidente che si era formato nella mia mente.
    « Il Conte deve contribuire alla guerra, inviando anche i suoi soldati, così è stato deciso da sua Maestà » si fermò, cercando comunque di trattenermi per non farmi cadere a terra, avvertendo già il mio pallore e il mio tremolio.
    « Devo partire ».

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Capitolo 23
*** XXII - Riccioli color del sangue ***


XXII
Riccioli color del sangue









    Devo partire.
Non avrei mai pensato che quelle due parole potessero fare così male. Provai una fitta lancinante al petto, tanto che per un attimo ebbi paura di morire in quel momento, ma non potevo permettermelo, soprattutto per la creatura che avevo in grembo.
Flaviano mi sostenne, poiché rischiavo di svenire e mi lasciò scivolare con cura su una sedia. Mi guardò spaventato e premuroso al contempo.
    « Desirée come stai? Parla ti prego ».
Mi avvicinò un bicchiere alle labbra, ma lo scansai con una mano. Provai a dire una parola, ma le mie labbra si mossero senza proferire suono alcuno.
Feci un altro sforzo e finalmente la mia voce, seppur fievole, uscì.
    « Partire in guerra… con così poco preavviso ».
    « In verità v’era tensione nell’aria già da mesi, ma non potevo dirtelo finché neanche io lo sapevo con certezza ».
    « Ma… resterò sola, il nostro bambino… » farneticavo, non riuscendo a creare delle frasi complete.
Lui abbassò lo sguardo, posandolo sul mio ventre, e sospirò tristemente.
    « Il destino ha voluto che mi allontanassi da voi proprio ora; ma io… tornerò in tempo per vederlo, ne sono sicuro ».
In verità la sua voce non era così decisa, il tono non così sicuro ed ero perfettamente consapevole che non potevano esserci sicurezze. Le guerre potevano durare settimane, ma anche mesi e addirittura anni, e il pensiero che dovessi concludere la gravidanza e mettere al mondo nostro figlio senza di lui, mi spinse a piangere. Scivolai con il capo sul suo petto, mi aggrappai con le mani alla sua camicia e singhiozzai con disperazione. Io non volevo, non poteva accadere una cosa simile proprio ora che avevo tutto, proprio ora che la felicità era  completa.
    « Non voglio, Flaviano, non voglio. Non puoi lasciarmi sola proprio ora, non puoi abbandonare il tuo bambino. Io non posso farcela senza di te… »
Flaviano mi strinse tra le sue braccia, massaggiò la mia schiena, accarezzò i miei capelli e disse:
    « Non vi abbandonerò mai, Desirée. Non posso farlo perché vi amo troppo. Siete la mia vita, il senso della mia esistenza ». Portò una mano sotto il mio mento, facendo in modo da spingermi ad alzare il volto, a guardarlo. « Ti fidi di me, vero? Ma douce, mon Ange, come puoi credere che io voglia abbandonarti? Lasciarti affrontare da sola questo momento? Non credi che questa notizia faccia male anche a me? Soffro immensamente, ma il giorno in cui i nostri occhi si sono incontrati e i nostri cuori si sono aperti l’uno all’altra, sapevi già che io ero un soldato. Eri perfettamente consapevole che innamorandoti di me, scegliendo me come tuo compagno e marito avresti dovuto affrontare questi momenti ».
Lo fissai, nonostante il suo volto fosse offuscato dalle lacrime. Annuii alle sue parole e deglutii. Era tutto vero, lo sapevo e lo avevo accettato. Ma tra il dirlo e il doverlo affrontare c’era un vasto mare. Era difficile, tremendamente difficile accettarlo.
    « Devi essere forte ed io so che tu potrai farcela. Hai affrontato delle sfide spiacevoli nella tua vita, nonostante tu sia ancora così giovane, e la tua infanzia è stata turbata, ma ora guardati. Sei un’ottima sarta, la più apprezzata di questa contea, sei una splendida moglie e sono sicuro che sarai una madre esemplare. Sii forte per te, per lui che deve ancora nascere… » posò una mano sul mio ventre « e per il nostro amore. Io tornerò indietro, da voi ».
Le sue parole furono convincenti, anche se il dolore che provavo pulsava ancora nel mio petto. Non era facile accettare la sua partenza, ma decisi di godermi quelle ultime settimane al suo fianco.

    Nei giorni successivi dedicai ogni singolo momento a lui. Non volevo perdere neanche un singolo istante del nostro tempo insieme, anche se passava troppo velocemente come a farsi beffe del mio dolore.
Uno dei momenti in cui lui era con gli altri soldati, lo dedicai a un rituale. Chiusi porta e finestre della mia casa, ed eseguii alla perfezione ogni singolo gesto che aveva svolto Claire, nella purificazione della pietra. Tra le mie mani stringevo un’onice, completamente nero, che sarebbe stato un perfetto amuleto protettivo per il mio amato, essendo utile in battaglia.
Lo passai nella terra, poi nell’aria tramite l’incenso, e successivamente  sulla fiamma  della candela, concludendo nell’acqua. L’asciugai con cura e la strinsi tra le mie mani, mormorando una muta preghiera alla Dea affinché intercedesse per difendere il mio amato sposo.
Con la dovuta attenzione, mi recai presso le sorelle Precieux e chiesi loro di incastonare la pietra all’interno di un ciondolo d’argento.
Ci vollero alcuni giorni, ma la mia richiesta fu svolta al meglio. Rimirai il ciondolo e la sua pietra per qualche istante e, dopo aver pagato adeguatamente le due donne, tornai a casa.
    Le due settimane trascorsero troppo in fretta.
Avevamo cercato di vivere quei momenti sorridendo e parlando incessantemente, e dove le parole finivano, i gesti affettuosi prendevano il loro posto. Dormivamo poco, come se non potessimo accettare di sprecare quelle ore, ma quando il sonno arrivava, avvertivo il calore del suo corpo sul mio. Stretta tra le sue braccia, dimenticavo l’imminente guerra.
Tuttavia tutte le cose belle devono finire e il giorno della partenza arrivò.
Flaviano era pronto, ed io tentavo di mantenere la calma e di non piangere, anche se non era facile.
    « Mia amata… »
    « Mio adorato… » mormorai, prima di aprire le mie mani e volgerle verso di lui. « Ti prego, accetta questo mio dono. Lo so che non credi a queste cose, ma vedilo come un altro modo per esserti vicina anche in quei momenti. Portalo sempre al tuo collo, aderente alla pelle e, quando vorrai, serralo tra le tue mani e pensami, io sarò lì con te… ».
Lui guardò curioso lo strano ciondolo, sembrò valutare un attimo e poi mi sorrise. Fissai nella mia mente quel sorriso luminoso e ogni singola parte di lui, come per imprimerla meglio nel mio cuore e nei miei ricordi. Prese il ciondolo dalle mie mani e lo indossò subito, nascondendolo poi sotto la divisa.
    « Così il mio angelo potrà proteggermi ».
Annuii e gli sorrisi a mia volta, prima di buttarmi di nuovo tra le sue braccia. Mi beai di quel momento, aspirai il suo odore, e trattenni a forza le lacrime.
Soltanto quando lui fu lontano, disposto in fila con gli altri soldati capeggiati dal Capitano Svensson, lasciai scivolare le mie lacrime, mentre il mio cuore si struggeva di dolore, ed io mi sentii improvvisamente sola e vuota.
Era come se fuori il mondo fiorisse e la terra si ridestasse grazie alla primavera nascente, mentre dentro di me rimanesse il freddo inverno a gelarmi le ossa e il cuore.



*



    Louise-Marie venne quel medesimo pomeriggio a trovarmi. Ero sdraiata sul nostro letto, a respirare l’odore che ancora serbava di mio marito, e sfogandomi un poco. Ero fisicamente e mentalmente stanca e spossata.  In verità non avevo voglia di vedere nessuno, il mio cuore sperava sempre che la partenza del mio amato Flaviano fosse stata solo un incubo dal quale mi sarei presto risvegliata, e lui sarebbe tornato da me, sorridente e pronto ad avvolgermi tra le sue braccia. Tuttavia, lei cercò di farmi comprendere che il dolore provato era simile, giacché anche il suo amato Capitano era partito e che in quel momento non dovevo rimanere sola.
    « Desirée, ma chére amie, » passò le dita con delicatezza tra i miei boccoli, « devi cercare di reagire. So che è dura, però suvvia! Dobbiamo dimostrarci forti e farci trovare allegre quando loro torneranno! » esclamò, tentando di mostrare la sua solita allegria, anche se notavo che fosse un poco appannata.
Annuii, tirando poi su con il naso, ma non mi mossi dal letto. Mi sentivo quasi priva di forze.
Imperturbabile la dama continuò:
    « Sono o non sono due baldi e coraggiosi giovani? Sia il mio Capitano sia il tuo nobile soldato torneranno indietro, da noi, altrimenti ce li andiamo a riprendere! » scherzò, e per un attimo l’immagine di una donna incinta e di una  dama delicata armate contro guerrieri esperti, riuscì a farmi ridere tra le lacrime. « Ce l’ho fatta! Dopotutto tra le tanti arti di una dama c’è quella di saper far ridere gli altri! Ed io sono o non sono la Prima Dama? » alzò il mento con superbia, ma poi tornò a sfiorarmi il viso con la sua mano guantata. « Ora alzati da questo letto, amica cara, e scaccia le lacrime, mostrandomi un bel sorrisone! »
Sollevai il capo e poi, con più difficoltà, il busto ritrovandomi seduta; presi un fazzolettino che mi veniva porto e mi detersi gli occhi e le gote, al fine di ridarmi perlomeno la parvenza di un contegno, e poi tentai di sorridere, ma questo fu davvero un gesto forzato, tanto che assomigliò più a una smorfia grottesca che a un vero e proprio sorriso.
Louise Marie mi scrutò e poi scosse il capo.
    « Non ci siamo, Madame, un sorriso deve lasciare incantati, suscitare ammirazione, colpire; il tuo sembra un ghigno di qualche mostro notturno! » arricciò il naso, per poi sfiorarmi le mani e stringerle alle sue.
    « Ho trovato! Perché non vieni a stare a Palazzo per tutto il tempo che vorrai? Posso pensare io a parlarne con i Conti, e una stanza per te c’è sempre. Sei consapevole che difficilmente so farmi dire di no » sorrise, superba, e poi aggiunse: « Potremmo passare tutto il tempo insieme, organizzare giochi, e qualche ballo. Lo so che può sembrare inopportuno con i soldati in guerra, ma dopotutto bisogna mantenere sempre allegra la corte, soprattutto in questi momenti dove il tedio e la tensione possono imperversare ».
Scossi il capo ben presto a quella proposta, e provai a prendere parola:
    « Ti ringrazio, Lou, ma…»
Lei mi bloccò:    
    « Se è per il lavoro, sarai libera di lasciarlo almeno fino al termine della tua gravidanza no? Il grembo inizia a ingrossarsi e non è bene per una signora continuare a svolgere lavori, con il rischio di perdere il bambino ».
Portai repentinamente le mani al pancione, che iniziava effettivamente a vedersi, con fare protettivo e le lanciai uno sguardo pieno di lampi.
    « No, ho detto. Ti ringrazio davvero per la tua visita e per la tua cortese proposta, ma mi vedo costretta a rifiutare. Il mio lavoro non è così faticoso da rinunciarvi, e se proprio non voglio abbattermi ma tornare a vivere anche senza Flaviano, non ho intenzione di smettere la mia routine ».
Lei si mordicchiò il labbro inferiore e sembrava provare irritazione. Non amava ricevere no, e ciò era visibile sul suo viso.
    « Credimi Lou, non voglio essere dura e severa con te, soprattutto perché sei sempre stata così gentile con me, ma non posso venire in un ambiente che non mi appartiene, sotto gli sguardi continui di dame superbe e altezzose e, soprattutto, non riesco a organizzare feste quando mio marito è in guerra e rischia la sua vita per questo regno e il volere di sua Maestà ».
Lei sbuffò, spazientita. Nei suoi occhi verdi zampillavano scintille d’irritazione evidente. Tuttavia, giocò la sua ultima carta.
    « Alle dame posso pensare io, so come mettere a tacere quelle vipere invidiose. Per il resto non ti chiedo di fare la vita di corte, ma semplicemente di vivere più comodamente questi ultimi mesi… »
Scossi di nuovo la testa, irremovibile, e poi aggiunsi stancamente ma in modo tenace:
    « Non insistere oltre, ti prego, amica mia… sto bene qui, ho tutto quello che mi serve. Verrò a trovarti ogni volta che potrò, ma rimarrò qui ad attendere mio figlio e mio marito ».
Lei alzò le spalle e ci rinunciò. Sapevo di averla ferita, ma non potevo dirle di sì a tutto. Non poteva essere lei a decidere della mia vita, avendo io il libero arbitrio per fare le mie scelte.
Si alzò, dunque, non avendo molto altro da dire, ed io l’accompagnai alla porta.
    « Mi dispiace della tua scelta, ma se dovessi cambiare idea sai dove trovarmi ».
    « Non la cambierò, ma ti ringrazio di cuore ».
Ci congedammo e la seguii con lo sguardo mentre saliva sulla carrozza che riprese il suo viaggio verso la corte.




Rimasi per qualche istante ancora alla porta, osservandomi intorno, come nel vano desiderio di vedere tornare indietro i soldati ma, proprio quando stavo per rincasare, arrivò al mio udito il grido di quella che poteva essere una bambina, attorniato da tante piccole voci maschili, piene di parole non così consone a pargoli di quell’età.
Mi voltai verso il luogo da cui provenivano e subito scorsi, a non troppa distanza dalla mia casa, un gruppo di ragazzini del villaggio, che facevano un  circolo intorno a qualcosa, o forse sarebbe meglio dire… a qualcuno.
Decisi subito di avvicinarmi, per comprendere cosa stesse succedendo.
Quattro ragazzini stavano effettivamente attorno a quello, che a primo impatto, appariva un quinto, lanciandogli sputi e imprecazioni. Non amavo quel genere di trattamento, ma non erano i primi monelli che incontravo nella mia vita. Una volta abbastanza vicina, alzai la voce:
    « Che cosa state facendo? Lasciatelo andare subito! »
I ragazzini si voltarono verso di me e, in un primo momento, mi guardarono ghignando e non dando segno alcuno di volermi ascoltare, ma poi sollevando di nuovo polvere con i piedi verso il ragazzo a terra, si allontanarono di corsa e ridendo come pazzi, felici dell’esito delle loro meschine azioni.
Io avanzai di un nuovo passo, chinandomi poi sulla figura a terra, tutta raggomitolata su se stessa come nel vano tentativo di proteggersi.
    « Ehi, va tutto bene? » chiesi, gentilmente.
La figura sollevò appena lo sguardo su di me, ma si ritrasse, tremando ancora spaventata.
    « Non avere paura di me, non voglio farti del male. Puoi fidarti… »
Il ragazzino sollevò del tutto il volto, e dai tratti oltre che dal fisico minuto, mi accorsi che avevo errato: avevo dinanzi a me una bambina, che dimostrava davvero pochi anni, almeno all’apparenza.
Mi guardò con due grandi occhi grigi, cercando di valutare se potesse fidarsi o meno di me. Il suo volto tondo e paffuto, era macchiato di polvere, ma si poteva scorgere una spruzzata di efelidi sulle gote. Era vestita con un abito logoro e sgualcito, rattoppato in alcuni punti, e del tutto nero, colore che si rifletteva sul velo che le cingeva il capo, non permettendo di mostrare neanche una ciocca dei suoi capelli. Quella bambina m’incuriosiva, e non comprendevo il motivo per cui era stata così attaccata da quei monelli, fino a quando, alzando il busto, comparve tra le sue braccia un gatto completamente nere, dai grandi occhi gialli, tutto tremante e malandato.
    « È F-Ferito ».
La sua vocina uscì flebile da quelle labbra rosee, e riuscii appena a percepirla.
    « Sono stati loro a ferirlo? E tu stai bene? »
Lei annuì più volte con il capo, ma senza guardarmi. Osservava il gatto, sfiorandolo con le manine. Leggevo nel suo volto la preoccupazione e la voglia di salvare quella creatura; per proteggere l’animale aveva quasi rischiato la sua vita.
Quella visione mi donò un’emozione intensa, che crebbe non appena le posi un’altra domanda:
    « Dove sono i tuoi genitori? Ti porto da loro, e poi curiamo questo micino, va bene? »
La bimba mantenne lo sguardo basso, ma potei notare il suo corpo essere scosso da un singhiozzo.
    « I-io no-non ho pi-più la ma-mamma né il pa-papà ».
In quel momento mi sembrò di rivedere me stessa. Rimasta sola al mondo, tra uomini crudeli, priva di protezione, di amore, di affetto. Non ci pensai due volte, e con delicatezza, presi la bambina con me. Volevo fare qualcosa per lei, iniziando dal portarla via da quel posto ove tutti potevano guardarci.
    « Vieni con me, penseremo a lui e poi anche a te. Ti fidi di me? Giuro che non ti farò male, e poi è quasi l’ora di pranzo, possiamo mangiare insieme se vuoi… ».
Sembrò rifletterci per alcuni istanti, guardò il gatto e posò una manina sul suo stomaco, e poi mi guardò. Mi riflessi di nuovo in quegli occhi chiari, densi di storie tristi da raccontare, ma pronti a vivere ancora.
    « E lu-lui? » domandò.
    « Ho anche del latte, per lui » la rassicurai.
A quel punto la bambina decise che potevo essere affidabile. Tentò di alzarsi, ed io la presi giusto in tempo per non farla cadere di nuovo. La sentii tremare al mio tocco, ma le sorrisi, nel tentativo di rassicurarla. Lei non sfuggì. Era stanca, era debole e soprattutto voleva salvare quel gattino che teneva tra le sue braccia.
Aiutandola, l’accompagnai nella mia modesta dimora e lì mi presi cura del gatto, che aveva una zampina ferita, e poi quando fu sicura che il suo piccolo amico sarebbe stato meglio, si lasciò prendere cura anche di lei.
Dopo averle offerto qualcosa con cui ristorarsi, le proposi di lavarla, per curare al meglio i piccoli lividi che le erano stati inflitti. Lei non si oppose, ma quando tentai di toglierle il velo dal capo, mi spinse via con un’insolita forza. Il mio gesto, però fece scivolare un poco quel tessuto di lato, lasciando intravedere un ricciolo… color del sangue.



*



    « Non devi aver paura, ti porto da persone molto buone che potranno ospitarti. Loro sono come me, e di me ti fidi, non è vero? »
Avevo deciso di portare l’orfana presso la Congrega del Salice. Non appena avevo scorto il particolare colore dei suoi capelli, non potevo fare altro per salvaguardarla. Mi ero affezionata subito a lei, forse perché mi ricordava un po’ me stessa, forse per la dolcezza che emanava e quel suo essere come un pulcino spaurito in un mondo di esseri crudeli. Volevo proteggerla e dimostrarle quell’amore che ogni bambino doveva meritare, ed ero certa che le mie sorelle streghe mi avrebbero aiutato senza esitazioni.
    « Ora, tieni la mia mano e attendi qualche istante ».
Proferii le parole del potere che mi avrebbero concesso di passare oltre e ben presto il buio ci avvolse. Avvertii le mani della piccola stringersi con forza sulla mia veste, impaurita. Tremava come una foglia, ma io le sfiorai appena una spalla come per darle la mia rassicurazione. Quando una prima luce tornò a rischiarare il luogo, la piccola sembrò rilassarsi un minimo, ma non mollò la presa.
Avanzai sicura, conducendola verso l’ampia sala centrale dell’antro, e fui accolta – come sempre – dai sorrisi e dai saluti esultati delle streghe.
Tutte mi salutarono affettuosamente, ma quando intravidero la bambina che le guardava con occhi pieni di paura e anche stupore, si fermarono e scese il silenzio.
Cécilie, Claire ed Elodie alternarono i loro sguardi tra la bambina e me, facendomi silenziose domande.
    « Sorelle mie, ho bisogno del vostro aiuto, » principiai a dire. « Ho trovato questa bambina per strada, è orfana e non posso lasciarla sola. Allo stesso tempo però, non posso tenerla con me, ma sono sicura che qui troverà un ambiente confortevole dove vivere ».
Cècilie ed Elodie si avvicinarono, ma la piccola si nascose dietro di me, spaventata.
    « Non avere paura, pétite, non vogliamo farti male » proferì con dolcezza Cécilie, tendendole una mano.
    « Questa qui, dice bene! Anzi, lo vuoi un bel biscotto? » continuò Elodie, estraendo da una tasca della tunica proprio un bel biscotto che attirò i grandi occhi grigi della bambina.
Claire restò al suo posto, poco distante e disse:
    « Sai bene che non dipende da noi l’entrata o meno di questa bambina della nostra congrega » soffermò i suoi occhi chiari sulla bambina, che pian piano cedeva alla curiosità e al biscotto, e poi aggiunse « ma presto sapremo cosa le riserverà il futuro ».
    « Il futuro può diventare subito presente, mia cara Claire » esordì Sylvie, comparendo come al solito dal nulla, con al fianco la vecchia Ophélie. « Sei sempre così affettuosa e premurosa, Desirée, ma non è bene far conoscere i nostri misteri a tutti i pulcini sperduti che incontri nel tuo cammino. Chi può dirci se quella bambina non è una spia o non finga di essere una povera orfana indifesa? »
La fissai, indecisa se parlare dinanzi a tutti di quel piccolo problema, ma lei riprese:
    « Tuttavia leggo nei tuoi occhi che c’è un motivo ben preciso per cui hai portato qui la bambina e non a quei pastori che decantano spesso la carità e l’aiuto verso i più poveri e gli emarginati ».
    « È così, infatti, Gran Maestra » ammisi.
La bambina prese il biscotto tra le mani, ma poi le cadde a terra, attirata dalle nuove venute. Tornò a tremare, ascoltando quei discorsi e si aggrappò di nuovo a me, come in cerca di protezione.
Io le passai un braccio intorno alle spalle, avvolgendola protettiva ma anche rassicurante ma Sylvie si avvicinò a noi. Puntò gli occhi di un blu molto scuro sulla piccola, e la osservò con attenzione, soffermandosi in particolare sul velo scuro che le copriva i capelli.
    « Come ti chiami, bambina? » disse.
La piccola sprofondò il suo visto sulla mia veste, non riuscendo a rispondere.
    « Non devi aver paura, piccola, non ti farà alcun male » mormorai.
Sylvie non ripeté la domanda ma attese finché la bambina non tornò a sollevare il viso e rispose incerta e con un fil di voce:
    « Ly-Lydie ».
Vidi la Gran Maestra spalancare gli occhi, ma poi annuire sommessamente.
    « Bene, Lydie. Io sono Sylvie, la custode di questo luogo in cui ti trovi. Presto, se vorrai, potrai conoscere tutte noi e accedere ai misteri che ivi custodiamo ».
Lydie annuì, ancora titubante, e non allontanando la mano dalla mia veste.
    « Ora, però, potrei sapere cosa cela questo velo? »
La bambina scosse il capo, più volte risoluta.
    « Eppure non capisco, non vuoi mostrarci i tuoi splendidi capelli? »
    « H-ho pa-pau-u-ra. So-no br-brutti. »
    « Brutti? Ne sei sicura? Io non riesco a comprendere come i capelli possano esserlo. Vedi capelli brutti qui dentro? »
Lydie scosse il capo e poi rispose: « N-no. So-sono mo-molto be-belli. M-ma, i-io li h-ho d-di un co-colore o-orri-ribile ».
Sylvie sembrò pensarci un po’ su, mentre tutte noi attendevamo di vedere l’esito di ciò che stava accadendo di fronte ai nostri occhi. In verità trovavo impossibile convincere quella bambina a togliersi quel velo, ma confidavo nel potere della mia Gran Maestra.
    « Potrei osservarli? Ti giuro che se li troverò brutti, ti farò indossare di nuovo quel velo e nessuno li vedrà più, va bene? »
Lydie non disse nulla, né scosse il capo. Sembrava riflettere, poi mi guardò. Io le sorrisi, incoraggiante, e le sfiorai appena le spalle, poi accadde qualcosa che mi stupì. Tornò, infatti, a guardare Sylvie con una punta di determinazione nello sguardo e poi portò le manine sul velo, iniziando a farlo scivolare. Quello che apparve non sembrò uno spettacolo orrendo come aveva detto la piccina: emerse, infatti, una massa fluente di riccioli selvaggi di un rosso color del sangue. Erano splendidi alla vista di un soggetto che non vedeva in quel colore un marchio del Signore delle Tenebre, e anzi si udirono sospiri nella sala.
Lydie abbassò lo sguardo a terra, mentre le sue gote s’imporporarono. Si sentiva a disagio, imbarazzata e forse temeva di ricevere critiche o urla. Ma non emerse nulla di ciò. Restammo in silenzio, ma dai nostri sguardi si notava una tale ammirazione, anziché turbamento.
Sylvie spalancò le labbra e per un attimo mi sembrò di scorgere un turbamento nei suoi occhi, come se divenissero più umidi, in procinto di emozionarsi.
Si chinò per essere alla stessa altezza della piccina, e poi le posò una mano sulla spalla, facendola sobbalzare. La trattenne con dolcezza e poi le sorrise. Un sorriso che ben poche volte avevo visto sorgere sulle sue labbra.
    « Lydie, piccola cara, non devi più pensare che questi capelli siano orrendi. Non c’è nulla di male ad avere un colore simile, anzi… è stupendo. È simile alla rosa scarlatta che sorge nei giardini delle regge più rinomate, o a un semplice papavero che nasce spontaneo nei prati. Non c’è traccia di malvagità in te, e nel tuo cuore. Lo sento, lo vedo nei tuoi occhi. Lydie togli per sempre questo velo dal capo, qui, con noi non dovrai avere paura alcuna. Nessuna ti giudicherà o ti criticherà, nessuna di noi ti farà mai del male. Lydie vuoi stare con noi? »
La piccola la guardò, scioccata e notevolmente sorpresa. Non si aspettava nulla di ciò, e per diversi minuti non riuscì a spiccicare parola alcuna.  Mi guardò e notò un sorriso, guardò ogni altra strega, ma scorse lo stesso medesimo sorriso. Tutte noi la volevamo lì, tutte noi concordavamo in perfetta armonia con le parole della nostra Gran Maestra. Fu colta da un’emozione intensa che la portò alle lacrime, ma poi, quasi inconsapevolmente si sporse ad abbracciare Sylvie, e disse più volte la parola.






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Mi rendo conto di aver fatto attendere troppo con questo capitolo, ma sono stati giorni pieni di impegno e anche malessere. Sì, l'influenza (senza febbre) ha colpito anche me, e sto passando giorni in cui muscoli, testa e stomaco non mi danno tregua, e solo ora sono riuscita a mettermi finalmente al pc per controllare la mia amata storia, e proporla a voi!

Spero che questo nuovo capitolo vi possa piacere e che la piccola Lydie vi susciti la stessa tenerezza che ha recato in me quando è entrata nel mio cuore e nella mia testa.

A presto :)


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Capitolo 24
*** XXIII - Misteri ***


  XXIII
 Misteri


    
    Lydie fu accolta ben presto in Congrega. Tutte rimasero deliziate da quella bambina e le spiegammo chiaramente quale fosse il nostro ruolo e scopo. Al sentire parlare di streghe la vidi sobbalzare e spalancare i grandi occhi grigi, agitata, ma riuscimmo a tranquillizzarla. Ben presto quella paura, forse causata da un passato non facile, lasciò il posto alla meraviglia e allo stupore. Si sentì attratta da quel mondo e, quando vide Etoile, il gatto della Gran Maestra, sembrò illuminarsi. Quel felino che tanto mi aveva trasmesso timore per quel suo sguardo misterioso e intenso, provocò una reazione diversa su di lei. Ben presto divennero ottimi amici e, con lo stupore di tutte, eccetto Sylvie e Ophélie, il gatto si lasciò coccolare dalla bambina e ricambiò con una profusione d’incantevoli fusa.

Quando giunse il momento opportuno, partecipai al rito di accoglienza della piccola tra noi streghe. Fu in parte diverso dal mio, ma ugualmente magico e denso di energia. Lydie sembrò aver perso la paura, ciò nonostante non riuscì mai a eliminare quel difetto nella pronuncia, e mi accorsi che probabilmente era una sua caratteristica: era balbuziente, ma la sua imperfezione non causava turbamenti. La adoravamo in tutto e l’avremmo protetta per sempre.
Una volta divenuta novizia del nostro ordine, fui incaricata di realizzare per lei una tunica adeguata, di un bianco candido, e Ophélie le donò il nome di un fiore: il giglio, simbolo di purezza. La portai con me al laboratorio e, per quell’occasione, decidemmo di farle indossare di nuovo il velo nero, per nascondere quello che per il mondo esterno, ottuso e ristretto, sarebbe stato un problema. La piccola arricciò il naso, ma poi obbedì mansueta.
    « Non ci metteremo molto. Il tempo di prendere le tue misure e poi potremo tornare al nostro rifugio ».
Lydie annuì, guardandosi attorno guardinga. Aveva fiducia in noi, ma non nel mondo al di fuori, che tanto l’aveva oltraggiata per qualcosa che neanche dipendeva da lei.
Aveva un animo puro e nobile, nonostante dovesse avere soltanto dieci estati.
Una volta all’interno del laboratorio, salutai tranquillamente le mie colleghe e l’apprendista Julie e, tenendola per mano, condussi Lydie vicina al mio tavolo. Aveva lo sguardo basso e smarrito e non sembrava volermi lasciare. Gli sguardi curiosi delle altre sarte la turbavano e la mettevano fortemente a disagio. Le accarezzai il volto, delicatamente, e le sorrisi, rassicurante. Lei ricambiò con un sorriso timido, soffermando poi lo sguardo sull’altra bambina presente. Julie ci stava fissando con un insolito cipiglio, puntava i suoi occhi nocciola contro Lydie, ma sul suo volto non appariva sorriso alcuno. Tuttavia non ci feci molto caso, avevo altri pensieri e non volevo tenere a lungo la piccola strega lontana dal rifugio che avrebbe rappresentato per lei una migliore protezione.
Inclinando appena il busto, quel tanto che mi permetteva il ventre gonfio, presi gli strumenti utili per poter misurare il corpicino della novizia al mio fianco.
« Ora solleva le braccia, Lydie. Ecco così, solo un istante… ».
Lei obbedì senza problemi, sembrando però impacciata e vergognosa. Era come se avvertisse ancora gli sguardi delle mie colleghe, ma voltandomi notai che erano tornate tutte a lavoro, eccetto Julie che era rimasta immobile a osservarci. Le sue labbra erano rese ancor più sottili per la contrazione, e turbata le domandai:
    « C’è qualche problema, pétite? »
Julie spalancò la bocca, presa all’improvviso e poi, dopo diversi istanti di silenzio, scosse il capo con vigore. Non disse parola alcuna e anzi la vidi correre fuori dal laboratorio, sbattendo la porta alle sue spalle come mai aveva fatto prima. Rimasi notevolmente turbata, perché l’apprendista non si era mai comportata in tal maniera; era sempre stata gentile e moderata nei modi, tanto che immaginavo, sarebbe diventata una dama perfetta, se non fosse stata una figlia di contadini.
Lydie mi guardò confusa e provò a dire qualcosa. Io le posai delle dita sulle labbra, invitandola a non parlare.
    « Non ti preoccupare, vado a vedere cosa le prende. Tu resta qui, mi raccomando. Torno subito ».
Vidi il suo sguardo smarrito e il suo volto divenire più pallido. Non avrei voluto lasciarla sola, ma si trattava solo di pochi passi. Le sorrisi di nuovo e mi avvicinai alla porta, ma nel momento in cui l’aprii e guardai fuori, Julie non c’era più. Era scomparsa.
Scossi il capo ed emisi un sospiro, sconfortata e incredula, ma tornai al mio lavoro, certa che fosse unicamente una semplice gelosia di bimba che sarebbe passata ben presto.
Non appena ebbi concluso con le misure, riaccompagnai Lydie al bosco, lasciandola tra le mani di Sylvie, che tanto sembrava aver preso a cuore quella bambina, con mia gioia ma anche con stupore, dato il modo in cui invece aveva accolto me.



*



    La stanza di Claire era avvolta nella penombra, solamente due candele violacee, realizzate dalle streghe stesse, illuminavano fiocamente il loco. Mi persi a contemplare le sfumature rossastre che le flebili fiamme creavano sul suo candido volto, quel gioco di luci e ombre che m’incuriosivano e incantavano, e l’espressione attenta del suo sguardo, presa in quei gesti abituali e sacri che stava compiendo.
Eravamo sole. Le altre sorelle ci avevano concesso quel momento per permettermi di apprendere uno dei tanti aspetti della divinazione, tramite le carte chiamate trionfi.  Mi sentivo affascinata da quel ramo magico, ma allo stesso tempo impaurita. Non era facile divinare. Dalle lezioni impartitemi da Claire stessa, avevo compreso che soltanto con il tempo, la perseveranza e una mente aperta avrei potuto forse apprendere quella nobile arte.  
    « Esistono due grandi categorie nelle quali possiamo racchiudere la divinazione: il metodo visivo e quello interpretativo. Il primo è sicuramente il più difficile ». Si fece seria e il suo sguardo sembrò osservare lontano, come se guardasse oltre il mondo materiale. « La visione può condurti lontano, in altri mondi. È come un viaggio che ti permette di capire il passato, il futuro, ma anche lo stesso presente, ma non è facile tornare… spesso si cade ». La sua voce si ridusse a un sussurro leggero, ma poi sbatté le palpebre e tornò a osservarmi, con dolcezza. « Tuttavia oggi ti insegnerò un altro tipo di divinazione. Queste carte hanno ciascuna un diverso significato, un simbolo che va interpretato a seconda anche della situazione e della persona che richiede il consulto. Osservale attentamente Desirée, noterai presto che ognuna ha un determinato disegno che allude a un significato nascosto, misterioso ».
Claire fece una pausa e sistemò le varie carte sul telo che aveva disposto a terra. Le osservai con attenzione, notando come l’una fosse differente dall’altra. Vi erano ventidue carte con disegni differenti. Notai figure umane, animali, ambienti, strutture. Rabbrividii nello scorgere una figura simile a quella che nell’immaginario di tutti corrispondeva al Demonio, rappresentato come un essere cornuto, che sembrava osservarmi con un ghigno divertito. Una mano scivolò al mio ventre, come per proteggere il mio bambino da quell’immagine, e poi tornai a scrutare le altre, fino a quando Claire non riprese parola.
    « Alcune carte possono provocare terrore, lo capisco, ma non è detto che quelle che a noi ci sembrano più negative, corrispondano ad aspetti funesti. Ogni carta va collegata alla seguente e bisogna anche osservare il modo in cui compariranno nel momento esatto in cui andremo a girarle. Al dritto o al rovescio? »
Quella stanza sembrava essere divenuta a un tratto più piccola. Percepivo il calore delle candele e mi ritrovai a sudare. Iniziavo a comprendere sulla mia pelle quanto grande e importante fosse ciò che stavamo facendo. Non era nulla su cui scherzare, ma qualcosa da conoscere nella sua vera essenza.
Mi limitai ad annuire, avendo paura di non riuscire a emettere suono e Claire non disse nulla. Riprese le carte tra le sue mani e iniziò a mescolarle con cura.
Seguii i suoi gesti, ammirando la sua particolare bravura e agilità, e quasi mi persi in quel movimento sempre uguale ma denso di un simbolismo che io non potevo ancora concepire.
    « Mescolare le carte è un gesto simbolico di distruzione e creazione di un nuovo equilibrio. Nel momento esatto in cui ho iniziato a mescolarle, infatti, ho distrutto l’ordine. Ora, dimmi tu, quando ti senti pronta, quando smettere ».
Assimilai la sua spiegazione e mi concentrai ancora sulle carte. Attesi qualche secondo e, quando mi sentii pronta, dissi:
    « Ora ».
Claire si fermò all’istante e pose il mazzo così raccolto a terra.
    « Solleva una parte del mazzo con la mano sinistra, senza scrutare le carte, e poi lascialo a terra ».
Feci quanto richiesto e lei riprese a mescolare per qualche altro minuto. La fermai ancora una volta e poi disse:
    « Ci sono tanti metodi per rispondere alle domande, oggi voglio insegnarti uno tra i più semplici. Pensa intensamente a una domanda da porre, mentre io dispongo le carte nel loro ordine ».
Annuii di nuovo e cercai di pensare a qualcosa che più mi premeva in quel momento. C’erano vari pensieri inerenti alla mia vita, il mio lavoro, la creatura che mi cresceva in grembo, ma poi i miei pensieri si focalizzarono su mio marito ancora in guerra. Su ciò che sarebbe successo.
    « Sei pronta? »
    « Sì » mormorai rapidamente.
Claire dispose le carte formando una sorta di croce, cosa che mi stupì. La prima a sinistra, la seconda a destra, la terza in alto, la quarta in basso, e al centro lasciò uno spazio vuoto.
Depose le restanti carte a terra, nascoste alla nostra vista e quindi mi guardò. Quel suo sguardo così chiaro mi penetrò nel profondo dell’anima e mi ritrovai a tremare. Ero curiosa, affascinata, ma anche spaventata. Non era facile per me conoscere quello che poteva accadermi.
Claire tornò a osservare le carte e voltò la prima.
    « L’innamorato » sentenziò.
Volsi lo sguardo al disegno e notai che vi era rappresentato un giovane uomo tra due figure femminili, una vestita più poveramente dell’altra e sopra di loro v’era una sorta di angelo alato, simile a un cupido, pronto a scoccare la sua freccia. Non mi sembrò una carta negativa, ma non conoscevo il significato misterioso che l’avvolgeva. Attesi, rimanendo in silenzio, mentre la fiamma delle candele vibrava sotto di noi, gettando ombre e luci sul volto della mia sorella e colorando di sfumature rossicce i suoi capelli miele.

    « Rappresenta te, e posta in maniera positiva indica una persona indecisa, combattuta tra due diverse strade. Una scelta difficile che porta a una maturazione, all’abbandono dell’infanzia spensierata. Tuttavia, definisce anche una persona buona e generosa ».
Le sue parole mi colpirono. Effettivamente avevo dovuto abbandonare presto la mia infanzia, colpita da un fato avverso e doloroso, eppure la mia strada seguì un andamento favorevole, fino a piombare di nuovo di fronte a un bivio, a una duplice scelta: decidere se scegliere quel cammino magico o meno, se serbare il silenzio su di loro o tradirle. Ero anche una persona indecisa nella vita, ma il mio animo si era sempre dimostrato aperto e di natura bonaria e generosa. Sì, mi rappresentava. Le sorrisi leggermente, invitandola a proseguire.
Claire sollevò la seconda carta, e disse:
    « L’appeso ».
 Scorsi un uomo appeso a testa in giù per un piede a un palo retto da nodose travi di legno. L’altra gamba, libera, era piegata verso l’interno. Quell’immagine mi provocò un leggero brivido, pensando a tutti coloro che subivano quella tortura. Erano considerati perlopiù traditori, ma quale significato poteva nascondere? Fu Claire, ovviamente, a rivelarmelo con l’assoluta calma e un sorriso sulle labbra, che m’incuriosì.
    « Posta in questa posizione, nel senso dritto, questa carta non è foriera di eventi propriamente infausti ». Si fermò, soffermando il suo sguardo su di me. « Indica, infatti, una prova necessaria da attraversare, un periodo forse doloroso, un sacrificio momentaneo che però prelude a un successivo miglioramento. È un momento in cui occorre fermarsi e affidarsi al destino o agli Dei, chiedendo il loro aiuto, ma non agendo di persona ».
Un momentaneo sacrificio. Ripetei dentro di me. Era proprio quello che stavo provando da quando il mio amato marito era partito per la guerra. Mi sentivo sola, persa, e mille paure affioravano continuamente in me. Senza di lui era difficile andare avanti con quella creatura che cresceva dentro di me. Tuttavia, se dovevo attraversare un po’ di dolore prima di essere di nuovo felice, potevo farcela.
Claire attese qualche secondo ancora e poi voltò la terza carta, quella in alto. La vidi spalancare per un solo istante gli occhi, ma poi tornò perfettamente immota, senza lasciare segni espressivi, mentre sussurrava:
    « La Torre ».
Mi accorsi che questa carta era rovesciata, perché la potevo vedere perfettamente dritta dal mio lato. V’era rappresentata effettivamente una torre, che sembrava avere una corona come tetto. Tuttavia era scoperchiata da una sorta di lingua di fuoco, mentre due figure umane cadevano al suolo e piccole sfere colorate riempivano l’aria. Attesi il responso ma, quel fulmineo mutamento di sguardo della strega, mi aveva turbata.
    « Questa carta può indicare una situazione traumatica, cambiamenti radicali ma necessari. Indica di fare attenzione sia a una possibile persona che conosci, sia a una situazione particolare, perché può non promettere nulla di buono ».
Deglutii, sentendomi la bocca secca. Improvvisamente avevo bisogno di bere, ma non potevo permettermi di troncare così quell’atto. Respirai a fondo e cercai di comprendere come associare quella carta ad avvenimenti reali, alla mia vita, alle persone che mi circondavano. Non sembravo aver nemici, o perlomeno non lo sapevo. Era difficile comprendere quelle parole e temevo che Claire non mi avesse detto tutto, come a non volermi far preoccupare. Poi, voltò un’ulteriore carta, ed io sbiancai di colpo.
    « La morte » sentenziò.
Per un attimo uno spiffero d’aria sferzò la fiamma di una delle candele, che tuttavia non si spense.
Ero tutta presa, a primo impatto, dalla figura demoniaca che non mi ero soffermata su quella. Morte. V’era uno scheletro con una falce in mano, che camminava in un campo cosparso di mani e di teste. Quella visione mi sconvolse, facendo affiorare un senso di nausea, che a stento repressi. Si riferiva a una morte reale? Riguardava me? Il mio bambino? Mio marito? O chi? Sfiorai il mio ventre prominente e quasi trasalii quando avvertii il tocco caldo della mano di Claire sulle mie.
    « Ricorda sempre, Desirée. Non tutto quello che vedi, è sempre ciò che sembra. Anche questa carta non è per forza di cose negativa. Anzi, la morte può portare a nuova vita, esprimere una rinascita, un cambiamento radicale. La vita di ogni uomo è un circolo continuo. Si nasce per poi morire e rinascere ancora, sotto nuove forme, sotto nuove spoglie, ma con lo stesso spirito ».
Annuii non del tutto convinta di quelle parole. Era come se avvertissi che c’era qualcosa di strano, qualcosa di negativo che quelle carte volevano dirmi. Ma forse sbagliavo, in fin dei conti, il mio amato era protetto dal talismano che gli avevo realizzato e anch’io stavo bene. Tutti intorno a me non presentavano segni negativi. Anche se la nostra lite aveva portato Madame Le Marchand a invecchiare di colpo, ora era tornata forte e attiva come prima. No, dovevo stare tranquilla. Mi lasciai consolare dal sorriso di quella strega che sentivo sempre più affine al mio spirito e lei, senza attendere altro tempo, prese un’altra carta dal mazzo, la pose al centro della croce e poi la voltò.
Una donna con un ampio cappello in testa chiudeva le fauci a un leone. Quell’immagine mi fece sorridere. Pensai a come venivano considerate spesso le donne, persone deboli, incapaci di combattere contro un animale simile. Invece, quella figura lo aveva immobilizzato e, addirittura, osava posare le mani sulla sua bocca. Mi piaceva.
    « La Forza », esplicò Claire e poi aggiunse, « una carta senz’altro positiva. Come puoi vedere questa donna è vittoriosa. Quest’ultimo responso è una sorta di sintesi di tutto ciò che abbiamo appena visto. Attraverserai delle difficoltà nella tua vita, che ti metteranno a dura prova, ma poi se avrai una forza di volontà e cercherai di combattere, riuscirai ad andare avanti ».
Trassi un respiro di sollievo. La mia vita era sempre stata costellata di momenti pesanti, dolorosi, ma ce l’avevo sempre fatta. Quel responso finale mi aveva rincuorata e il mio viso riacquisì un poco di colore. Non appena Claire ripose al loro posto le carte, l’atmosfera pesante e magica che impregnava la stanza sembrò dissolversi ed io mi tranquillizzai.
    « Come prima volta non è stato facile, vero? Ma se vorrai potrai imparare anche tu a divinare e interpretare il nostro presente e il futuro ».
    « Mi spaventa un po’ farlo » commentai. « Trovo questo metodo molto complicato da comprendere, tutti questi significati nascosti, e poi quelle figure mettono i brividi ».
Claire si concesse una breve risata e poi prese le mie mani.
     « È complicato sì, è un metodo che richiede molto tempo per essere imparato, e anche una buona dose di volontà, determinazione e attenzione. Non sempre si riesce a comprendere fino in fondo quello che le carte vogliono dirci, a volte si possono commettere errori, ma se ti concentri e cerchi un contatto stretto con questi strumenti, potrai ascoltare la loro voce ».
Annuii leggermente, ma dentro di me sapevo che probabilmente sarei stata più portata per le erbe. Adoravo le lezioni di Cécilie, la conoscenza di ogni pianta, arbusto, fiore e frutto, i loro significati nascosti e i loro poteri. Forse perché alcune essenze le utilizzavo anche nel mio lavoro di sarta, per colorare la stoffa. Ma la curiosità e il desiderio di imparare non moriva mai in me.
    « Quando ti sentirai pronta, ti insegnerò la Visione tramite l’acqua ». I suoi occhi brillarono nel nominare il suo elemento amato. « Viaggiare tra i mondi è difficile, ma se si mantiene un contatto forte con le tue sorelle o chi ti assiste, potrai tornare indietro ».
Quella sua ambiguità e mistero mi lasciavano sempre senza parole.
Dopo qualche minuto tornammo dalle altre ma, mentre mi incamminavo verso casa quelle carte riaffiorarono come immagini confuse nella mia mente, ghigni e risate meschine risuonarono nelle mie orecchie e sembravano foriere di negatività, tanto da spingermi a rabbrividire nonostante le alte temperature.














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Ma ciao!
Ricordo che scrivere questo capitolo è stato molto faticoso. Non sono un'esperta di tarocchi, anche se vorrei apprendere meglio quest'arte, quindi ho cercato tutto il materiale possibile su internet e ho associato le "carte" alla mia storia. Non è stato semplice, e spero di non aver errato con i significati. Qualora qualcuno se ne intenda meglio, e ritenga che abbia compreso male, me lo dica senza problemi :)
Vi è piaciuta questa "lezione"? Ricordatela bene, perché preannuncia il "futuro" di questa storia. E Julie, cosa le prende?



note:
I trionfi è il modo in cui anticamente venivano chiamati i tarocchi!


Vi lascio con un'immagine che associo alla piccola Lydie!
Lydie

A presto!

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Capitolo 25
*** XXIV - Gelo di fine Maggio ***



XXIV
 Gelo di fine Maggio






    Con il trascorrere delle settimane il mio corpo mutava sempre di più. Il ventre era così prominente che mi affaticavo facilmente, ma dentro di me nasceva una nuova consapevolezza. La prima volta che il mio bambino si fece sentire, mi sorpresi, ma un sorriso affiorò ben presto sulle mie labbra e stavo per chiamare Flaviano, quando rammentai che lui non poteva rispondermi, e su di me piombò una tela scura di tristezza.
Avrei voluto condividere con lui ogni momento, dal mutamento del mio corpo – sebbene in parte provassi un po’ il timore di piacergli meno – a primi dolci ‘colpetti’ del frutto del nostro amore. Ero seduta sul prato, nei pressi dell’antro, quando sentii il piccolo battere.
Sul mio viso dovette affiorare una smorfia, giacché vidi la piccola Lydie avvicinarsi subito a me, lasciando cadere le graziose margherite che aveva raccolto fino a quel momento.
    « No-non ti se-sen-ti be-bene? » mi chiese preoccupata, posando una mano sulla mia spalla. Aveva perso le sue paure e si era abituata alla nostra presenza. Per me era come una piccola sorellina che non avevo mai potuto avere, e le volevo bene.
Scossi il capo e le sorrisi dolcemente per tranquillizzarla, e poi presi la sua mano posandola sul mio pancione. Lei esitò inizialmente, come temendo di farmi male.
    « Stai tranquilla, fleur de lys, non mi farai alcun male. Posa la tua mano sul mio ventre e ti farò sentire una cosa ».
Lei mi guardò ancora titubante, ma poi si lasciò andare. Attese qualche minuto e, non notando nulla di strano, sollevò lo sguardo di nuovo verso di me, con fare interrogativo.
    « Aspetta ancora e non esitare, non mi puoi far male » le mormorai, dolcemente.
Lei annuì e i suoi riccioli rossi si mossero, incantandomi. Con il tempo mi ero innamorata di quei capelli. Erano morbidi e setosi e il colore, così scuro, era particolare, ammaliante. Lì, al riparo da sguardi indiscreti, poteva lasciarli liberi senza paura, senza preoccupazioni. Ed era un piacere osservarla. Era una bambina molto dolce, dal gran cuore. Dopo la prima timidezza, spiccò in lei una solarità che contagiò tutte. Spesso mi dilettavo a guardarla correre nel prato o a curiosare, sempre alla ricerca di nuove cose da imparare, da conoscere. D’un tratto ebbi come un’immagine diversa di lei; una lei adulta, minuta, elegante nella sua veste nera, simile a quella della Gran Maestra. I suoi capelli erano ancora più lunghi e i grandi occhi grigi erano intensi, pregni di saggezza e potere.
Sbattei le palpebre e tornai alla realtà, quando la vidi sobbalzare al colpetto che ricevette.
La osservai scostare subito la mano, impaurita, e spalancò gli occhi puntandoli su di me. Io risi divertita, ma poi le tesi di nuovo la mano, senza tuttavia forzarla, ma attendendo paziente che si calmasse. Avevo imparato a capirla.
    « Quello che hai sentito è solo un calcio del mio bambino ».
Lei mi guardò dubbiosa, poi puntò lo sguardo verso il pancione coperto dalla mia tunica blu, modificata per il mio nuovo corpo.
    « Lui, o lei, sta crescendo pian piano dentro di me, e tra qualche mese verrà al mondo ».
Lydie spalancò le labbra e poi, dopo averci riflettuto un po’ su, tornò ad avvicinarsi e si sdraiò accanto a me. Pose di nuovo una mano sul mio ventre e iniziò ad accarezzarlo, con un gesto che esprimeva una tale tenerezza da commuovermi. Poi vi posò le labbra, lasciandovi un bacio, e non potei più trattenermi. La strinsi a me, affondai il mio viso tra i suoi bei ricci e piansi commossa. Era una bambina adorabile, che aveva troppo sofferto nella vita e ora meritava tutto l’affetto possibile.



*


    « Finalmente sei venuta, non ci speravo più! » esclamò Louise-Marie e fece per spalancare le braccia per accogliermi, quando si fermò puntando gli occhi sul mio pancione.
    « Guarda che non morde » dissi, sfociando poi una risatina. Posai le mani, come ormai mi accadeva fin troppo spesso, sul mio ventre e lo sfiorai con leggere carezze.
    « Oh sì, lo so perfettamente » replicò, alzando il mento fieramente. « Ma non pensavo che potessi diventare così… grossa » arricciò la punta del naso, e per qualche secondo la vidi ancora scrutare attentamente il mio ventre, per poi sfiorare la sua pancia perfetta. « Diventerò così? Oh ».
Non mi offesi, immaginando cosa potesse passare nei suoi pensieri; presi le sue mani con delicatezza e la guardai con dolcezza.
    « Non temere, ma chére amie, non resterò sempre così e, quando accadrà, anche tu riuscirai a tornare in perfetta forma. Poi non saresti felice di donare un figlio al tuo bel capitano? »
I suoi occhi si soffermarono sui miei, mantenni il suo sguardo e mi persi in quel verde intenso. Sembrava titubante, incerta, come se fosse avvolta da una miriade di pensieri contrastanti; poi interruppe il silenzio, donandomi un sorriso.
    « Ogni cosa a suo tempo. In fondo non siamo nemmeno sposati! » esclamò, ridacchiando. « Ma ora siediti, non vorrai restare troppo in piedi in queste condizioni! Oramai non dovrebbe mancare molto, no? »
Mi accasciai su una poltroncina della sala Turchese, e scossi il capo.
    « Pochi mesi ancora e finalmente verrà fuori. Non vedo l’ora, ma… » mi rattristai un poco « …vorrei tanto che quel giorno mio marito fosse tornato ».
Louise-Marie si adagiò con eleganza su una poltrona vicina e annuì, prima di prendere le mie mani.
    « Non deve essere facile vero? Ma ho sentito dire che le cose si stanno mettendo bene per i nostri uomini » si fermò, guardandosi intorno guardinga, poi riprese a voce più bassa, « una dama non dovrebbe essere a conoscenza di certe cose, ma sai com’è, le voci corrono a palazzo ed io non posso di certo perderle! Tanto più che è lecito per una dama conoscere la sorte dell’amato, e ovviamente informare anche te ».
Le sorrisi, grata.
    « E sai come stanno? Sono feriti? » chiesi, allarmata.
 La dama scosse il capo e sospirò.
    « Sfortunatamente non so molto. So che è una battaglia che non dovrebbe durare a lungo. Sono passati diversi mesi, ma probabilmente e con un po’ di fortuna saranno di ritorno molto presto. Magari il tuo bel maritino riuscirà a essere presente alla nascita del suo primogenito! Ed io potrò rivedere il mio adorato capitano ».
I suoi occhi brillavano nel parlare del suo amato, e le sue parole mi rincuoravano. Le notizie migliori si potevano avere solo a Palazzo e non sembravano per nulla negative. Il desiderio profondo che avevo di rivedere presto mio marito, si trasformò ben presto in una rigogliosa e luminosa speranza che mi tranquillizzò e portò un po’ di felicità nel mio cuore.
Mio marito sarebbe tornato, il mio Flaviano. Dovevo resistere, attendere ancora qualche settimana da sola e poi quella sofferenza sarebbe finita, quella distanza persa, e il nostro amore sarebbe aumentato ancora di più con la gioia che ci avrebbe portato nostro figlio.
Sentii le lacrime affiorarmi negli occhi e la risata di Louise-Marie mi accolse.
    « Sei sempre stata molto sensibile, chérie, ma la gravidanza ti fa piangere troppo facilmente! » rise ancora, portando la mano guantata dinnanzi alle labbra rosse come fragole mature, e poi ordinò a una domestica di portarci una buona tisana e diversi pasticcini.
Trascorsi delle ore piacevoli in compagnia della mia migliore amica, parlando di frivolezze, ma anche dei nostri rispettivi sentimenti. Ammiravo la sua capacità di non piangersi troppo addosso, ma di continuare a gestire ogni aspetto della sua vita come se non fosse accaduto nulla di male. Mi parlò anche di diversi cortigiani che continuavano ad adularla, e lei si beava di tutte quelle attenzioni. Non sembrava aver perso quella vanità e quel desiderio di essere al centro delle attenzioni degli uomini, ma anche di mantenere il suo ruolo di prima dama. Su questo non riuscivo a comprenderla del tutto; sembrava quasi che non le importasse di avere un uomo ora, e di ricevere solo le sue attenzioni. Sempre se un uomo freddo e solitario come il Capitano Svensson potesse concedere parte del suo tempo e dei suoi sguardi per la donna amata. Ma, in fondo, avevo imparato ad accettare il suo carattere. Era come una sorella per me e in cuor mio pensavo che nessuno ci avrebbe mai potute allontanare.



*


    
    Tra un impegno e l’altro le mie giornate passavano velocemente e non mi accorsi che maggio era arrivato e se ne stava anche quasi andando, e che la mia gravidanza era ormai quasi arrivata agli sgoccioli. Mancavano ancora poche settimane e poi avrei dovuto affrontare il parto. Il pensiero mi spaventava, avendo sentito di molte donne che non erano sopravvissute al parto, o che magari avevano perso i loro bambini, e più di una volta le mie notti erano state tormentate da incubi ricorrenti che mi gettavano in un baratro profondo facendomi svegliare in preda a un pianto sconnesso, senza neanche la possibilità di essere rincuorata da nessuno. Mi svegliavo e cercavo mio marito, ma l’altra metà del letto era fredda, vuota, priva della sua presenza. Ormai non riuscivo più a scorgere neanche il suo odore. Mi mancava tremendamente e ogni giorno trascorrevo ore a scrutare dalla finestra, in attesa del ritorno dei soldati. Ma ogni mia speranza era vana.
Le parole di Louise-Marie mi avevano inizialmente rincuorata, ma non vedevo l’ora che quel mio desiderio potesse diventare realtà.
Non potevo andare troppo spesso dalle streghe, e Madame le Marchande mi aveva anche impedito di lavorare nelle mie condizioni. Dovevo riguardarmi e riposare, e in effetti mi sentivo sempre molto stanca. Tuttavia non fare nulla, mi permetteva di pensare e questo non mi piaceva. Il troppo pensare faceva male al mio cuore.
Le mie sorelle streghe, ad eccezione della Gran Maestra e dell’anziana Ophélie, venivano di tanto in tanto a trovarmi, persino la mia piccola Lydie, coprendo con cura i suoi riccioli. In quelle ore mi sentivo felice e riuscivo a dimenticare i miei tanti pensieri.
Cécilie mi donò delle erbe da prendere per impedire ai miei strani sogni di prendere il sopravvento e pian piano riuscii a sprofondare in un sonno privo di sogni, che mi faceva svegliare tranquilla.
    Un mattino di fine maggio, mi alzai con un sorriso sulle labbra. Il calore del sole che penetrava dalla finestra raggiunse il mio viso e sembrava una calda carezza. Amavo la primavera, così ricca di fiori, di colori e di quel piacevole tepore che riusciva a scaldarmi fin dentro l’animo. Mi sentivo più attiva, più viva. Il freddo era ormai scomparso e si respirava un’aria nuova. Iniziai a sistemare un poco la casa, canticchiando alcune nenie che mi aveva insegnato mia madre nella mia infanzia, quando delle voci concitate provenienti dalla strada attirarono la mia attenzione. Sembravano acclamazioni, ma non solo quello. Avvertivo lo scalpiccio di cavalli e di scarpe sul terriccio. Il mio cuore prese a battere più forte, come se anticipasse ciò che i miei occhi avrebbero potuto scoprire ben presto. Lasciai stare le mie mansioni e mi fiondai – per quanto possibile – verso la porta, uscendo per comprendere cosa stava succedendo.
Sulla strada centrale v’era una fila di uomini in divisa. Erano sporchi, stanchi, e scrutando nei loro occhi si poteva scorgere tutto ciò che avevano dovuto affrontare in quei mesi lontani da casa. Erano uomini d’arme, cui era insegnato sin da piccoli a combattere e non cedere mai, spesso a non avere pietà, eppure in quel giorno li vedevo com’erano realmente: degli uomini, con sentimenti, con le proprie paure, ma con una forza d’animo tale da spingerli ad andare avanti. Certo, ero perfettamente consapevole che tra loro vi potessero essere anche persone incapaci di avere un cuore nobile, di commettere crimini orrendi, eppure in quel momento li guardavo con ammirazione. Erano andati a combattere per il loro re e signore e ora tornavano a casa, vincenti. Iniziai anch’io ad acclamarli, ma ben presto spostai la mia attenzione a qualcos’altro che mi stava più a cuore: dovevo trovare mio marito, corrergli incontro e accoglierlo nel migliore dei modi. Dentro di me esultavo di gioia, presto non sarei più rimasta sola, presto ci sarebbe stato il mio amato a scaldare il mio letto, e accogliermi tra le sue braccia nelle lunghe notti, nonché donarmi un sorriso al risveglio. Avremmo trascorso le ultime settimane insieme, immaginando la nostra nuova vita con un figlio, e tanto altro ancora. Il periodo difficile era giunto finalmente al termine.
Lo cercai dunque con lo sguardo, doveva esserci sicuramente. Il mio amuleto lo aveva protetto e stava per tornare da me. Mossi qualche passo ancora verso il gruppo, senza tuttavia intralciarli, ma non riuscivo a scorgerlo in mezzo a tutti quegli uomini così malridotti. Alcuni erano feriti leggermente, altri più gravemente ed erano sorretti dai compagni, ma tra loro non riuscii a scorgervi Flaviano. Ne fui in parte rincuorata. Non era ferito.
Poi, posai lo sguardo su uno degli uomini più alti, e riconobbi il Capitano Svensson. Una benda gli solcava l’occhio destro e un’altra era posta attorno al collo. Mi mordicchiai le labbra, pensierosa. In cuor mio speravo che non fosse grave, ma poi lo vidi fermarsi, guardarmi per diversi minuti e poi voltarsi verso alcuni suoi uomini che annuirono.
Non riuscivo a smuovere lo sguardo da lui e, quando lo vidi dirigersi verso di me, con passo claudicante, rabbrividii improvvisamente, nonostante il caldo.
Si fermò a pochi passi da me, e batté i tacchi per salutarmi, reprimendo a stento una smorfia.
Chinai leggermente il capo e poi presi parola:
    « Capitano Svensson, è una tale gioia vedervi tornare tutti sani e salvi » accennai un lieve sorriso, nonostante la mia voce sembrava quasi scossa da un tremolio. « Ma, dove posso trovare mio marito? Non riesco a scorgerlo tra i soldati… è stato forse ferito? Forse era uno di quelli bendati e non l’ho potuto riconoscere? »
L’unico occhio visibile, azzurro come il ghiaccio, mi fissò con un’intensità tale da farmi rabbrividire di nuovo. Sentivo il mio cuore battere troppo freneticamente, come se conoscesse già la risposta alle mie domande.
    « Madame Chervalie… vostro marito non è tra i feriti, né tra gli altri soldati. Lui…» scorsi per la prima volta incertezza nel suo dire, nei suoi modi sempre freddi e distaccati. Ora sembrava finalmente umano, turbato, incapace di trovare parole. « È caduto in battaglia, per… proteggermi. È stato un uomo valoroso, che ha combattuto sempre con coraggio e determinazione, fino all’ultimo ».
Quelle parole erano veleno. Quelle parole erano come una lama affilata che mi perforava il petto e il cuore. Quest’ultimo aveva smesso di battere all’improvviso, o almeno in apparenza, e mi sembrava di sentirlo sanguinare. Sbiancai improvvisamente e mi sentii venir meno, come se le gambe non potessero più sostenere il peso del mio corpo.
    « Non è vero… non può essere vero. Lui… lui doveva tornare. Il nostro bambino nascerà tra poco, lui aveva promesso di tornare. Oh, vi prego non vi burlate di me, dov’è il mio amato? » farneticavo. « Flaviano? Flaviano! » chiamai a gran voce, tornando a guardare i soldati, ma non rispondeva. Lui non c’era. Avvertii numerosi sguardi su di me, persone del villaggio che sembravano spalancare gli occhi, comprendendo il mio dolore e scuotendo il capo. Alcune donne bisbigliavano tra di loro, altri rientrarono nelle loro dimore, vi erano anche Jean e sua moglie, e mi sembrò di scorgere nei loro occhi una strana pietà. Provavano questo per me? Perché mai? Flaviano doveva essere vivo, il mio Flaviano stava sicuramente scherzando, ma presto sarebbe tornato da me. Sì. Ma era una convinzione che non poteva permanere, anche l’ultimo soldato si allontanò, e non avevo scorto il suo volto, i suoi dolci lineamenti, il suo sorriso cordiale, il suo aspetto nobile e fiero. Il mio Flaviano…
     « Lui non può essere… » non riuscivo a dirlo, e le lacrime iniziarono a offuscarmi la visuale. Stavo per svenire, lo sentivo, e mi sentii afferrare saldamente da grandi mani, che mi impedirono di cadere a terra.
Respirai profondamente e tornai a guardare il capitano, avvertendolo così vicino, ma dall’incredulità passai alla rabbia, rammentando le sue parole.

…è caduto in battaglia, per… proteggermi.

    « Flaviano è morto per proteggervi? Dovevate essere voi a prendervi cura dei vostri uomini! Era vostro amico, e voi… come avete potuto? Flaviano, marito mio… mio amore… non puoi lasciarmi, non puoi abbandonare il tuo bambino. Flaviano, torna da me… »
Le mani forti del Capitano continuavano a sorreggermi, mentre battevo le mie sul suo petto, inconsolabile. Sapevo che non era giusto accusarlo, scorgevo nei suoi occhi un’insolita tristezza, ma non potevo non prendermela con qualcuno. Lui non sarebbe più tornato da me, ed io non potevo accettarlo.
    « Cercate di calmarvi per il bene di vostro figlio e vostro » disse, non cercando minimamente di difendersi ai miei attacchi. Io mi bloccai, facendo scivolare il mio sguardo sul mio ventre. Il mio bambino, ancora non nato, non aveva già più suo padre. Avrei dovuto crescerlo da sola, affrontare ogni momento senza mio marito. Mi avrebbero derisa, umiliata, avrebbero fatto lo stesso con il mio bambino? Non era quello a importarmi, non potevo vivere senza di lui, ma allo stesso tempo dovevo vivere per consentire al mio bambino di nascere e crescere, dovevo reagire per consentirgli una vita dignitosa… Dovevo, dovevo, ma in realtà in quel momento non avevo le forze.
Mickel continuò a sostenermi e poi, quando fu certo che potessi tenermi in piedi da sola, trasse da una delle tasche della divisa un ciondolo d’argento, con una pietra scura.     
« Prima di morire mi aveva detto di riportarlo a voi ».
Presi con mani tremanti l’amuleto e lo fissai stordita. In quel momento il mio odio aumentò, raggiungendo anche le streghe, coloro che mi avevano garantito che quella pietra potesse dare la giusta protezione in battaglia. E, invece, aveva fallito miseramente! Tutte le mie certezze crollarono, ma poi con una voce quasi estranea dissi:
    « Lo portava con sé quando… quando… » non riuscii a completare la frase, ma lui comprese e scosse il capo.
    « Lo ha sempre lasciato all’accampamento, non volevo scalfirlo né macchiarlo. Diceva che era il vostro dono e voleva trattarlo adeguatamente ».
Una risata isterica sfuggì dalle mie labbra, quando compresi. Lui non aveva ascoltato le mie parole e l’amuleto non lo aveva potuto proteggere. Sentii il mio volto bagnarsi di lacrime e il freddo mi avvolse. Il sole era come scomparso per me, nonostante fosse ancora lì a risplendere, e mi accorsi che quel maggio non era più caldo come pensassi. Ora comprendevo il responso che mi avevano dato le carte e anche il motivo per cui mi sembrava che Claire mi nascondesse qualcosa, che non volesse dirmi tutto con sincerità, come se ci fossero problemi.
Perché non mi aveva detto nulla? Perché mi aveva lasciata all’oscuro?
Ma se avessi saputo, come avrei reagito? Sarei andata avanti comunque?
Non lo sapevo. In quel momento non sapevo nulla. Una miriade di immagini comparve nella mia mente.
La torre, la morte, l’appeso… carte orrende unite l’una all’altra. Il mio amore, il suo sorriso, e poi il sangue sul suo volto. Il mio amato lasciato in un campo di battaglia, caduto, perso per sempre. Non sarebbe più tornato, mai più. Nessuno poteva ridarmelo, nessun Dio, nessuna Dea, nessun essere mortale.
Fui scossa da singhiozzi, mentre ripetevo convulsamente il suo nome e, quasi inconsapevolmente, crollai tra le braccia del Capitano Svensson. Non mi curai delle persone né dei sentimenti, in quel momento avevo bisogno solo di un abbraccio, di un conforto. Lo sentii irrigidirsi, mentre sprofondavo con il viso sul suo petto – incurante della sporcizia o dell’odore malsano, causato anche dal sangue secco – e continuavo a piangere disperata; ma poi sorprendendomi, lo sentii avvolgermi con le sue braccia, sfiorandomi leggermente, con rispetto, e con l’assoluto intento di confortarmi e forse confortare anche il suo cuore.
Restai tra le sue braccia per non so quanto tempo, ignorando tutto e tutti. Il gelo mi entrò fin nelle ossa, facevo fatica a respirare, mentre le lacrime avevano preso ormai il pieno controllo di me stessa. Non riuscivo a placarle, né a fermare quella miriade di pensieri che mi riempivano la testa, con immagini, voci, ricordi. Ero come entrata in un’altra dimensione. Intorno a me non c’era più nessuno, niente bisbigli, niente sguardi colmi di pietà. Ero da sola e con me c’era lui. Il mio Flaviano che mi sorrideva, che mi sussurrava dolci frasi colme di amore, che mi stringeva a sé, che mi baciava, che mi sosteneva e che eliminava quella sofferenza e quella solitudine nella quale ero sprofondata. Stringevo nella mano il ciondolo che doveva proteggerlo, e mi attaccavo con forza alla sua immagine illusoria.
Persa in quella realtà alternativa, quasi non mi accorsi di essere sollevata e poi adagiata sul mio letto. Qualcuno si stava prendendo cura di me, ma io ero altrove.
Ero con lui e mai avrei voluto abbandonarlo.
Il mio Flaviano.







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Sì, lo so che Flaviano era un personaggio amato, ma la storia prende altre strade. Purtroppo l'amore di Desirée non c'è più. Ma cosa accadrà ancora? In fondo, questa storia oltre all'amore presenta il dramma, e questo è solo l'inizio.
Spero che questo capitolo vi coinvolga. Nel rileggerlo mi sono commossa. Sì, scrivo cose tristi e poi ci sto male, masochista io! eheheheh.

Grazie a chi legge, a chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite, e a chi lascia un segno del proprio passaggio. Vi ricordo che non mordo e... mi piacerebbe anche sapere perché spesso vedo i numeri delle seguite scendere così dal nulla. Se avete commenti da fare, io sono qui, e sono aperta a tutto ciò che è costruittivo per me!

A presto, spero!

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Capitolo 26
*** XXV - Nessuna Notizia ***


XXV
Nessuna Notizia






« Mio sole? »

Aprii gli occhi non appena riconobbi il suono inconfondibile della sua voce, il buio lasciò il posto ben presto a una luce meravigliosa che incorniciava il volto del mio amato. Sembrava un essere divino, mentre chinava il suo volto sul mio e mi osservava con quegli splendidi occhi nocciola che tanto amavo.
« Sei tornato… » sussurrai, sollevando le braccia verso di lui per accoglierlo, per cingerlo a me.
« Io sono sempre stato con te, e sempre lo sarò ».
Posò il suo capo tra i miei seni e ci unimmo in quell’abbraccio che aveva il sapore di una lontananza dimenticata, di un amore mai scomparso, di un vuoto ormai colmato. Sprofondai con le dita tra i suoi capelli castani, e non mi curai della polvere o di altro. Ai miei occhi appariva splendido e privo di ferite. Sollevò il capo e adagiò le sue labbra sulle mie, suggellandole in un dolce bacio. Quanto mi era mancato, ma ora era lì.
« Hai mantenuto la promessa, sei tornato, e a breve avremo anche nostro figlio ».
Quelle parole sembrarono turbarlo, l’espressione sul suo volto si fece seria e incomprensibile.
    « Che succede? » mormorai, senza capire.
    « Sii forte mio dolce angelo. Per lui… per te. Hai tanto da offrire al mondo, ancora ».
    « Non capisco… »
    « Sarò sempre con te… »
L’ultima frase divenne ben presto un eco, mentre la sua figura si scostava da me, si allontanava via via, come se la luce che lo circondava lo avviluppasse e lo rapisse al mio tocco.
Tentai di allungare le braccia per prendere le sue mani, per impedirgli di andare via, ma mi sentivo inerme, come se un peso opprimente non mi permettesse di avvicinarsi, mentre lui si allontanava sempre di più da me.
Ripetei il suo nome numerose volte, piansi, cercai di lottare contro quella forza invisibile che si opponeva a me, ma fu tutto inutile.
Lui scomparve in un vortice di luce, ed io mi svegliai.



*


    
Ogni cosa ha il suo inizio e la sua fine, ma la morte e la vita sono un ciclo continuo che non ha mai fine. Non devi disperare, figlia, tutto ciò che accade, ha il suo motivo.

   
    Quelle parole mi tormentavano la mente, tuttavia non riuscivano a penetrare nel mio cuore distrutto.

Da quando i soldati erano tornati senza il mio Flaviano e avevo appreso della sua morte, non c’era niente che potesse spingermi a lasciare il mio talamo e affrontare la vita.
Volevo lasciarmi andare, così forse avrei potuto raggiungerlo presto e saremmo stati insieme per sempre. Nessuna guerra, nessuna lontananza né dolore potevano farci male.
Ma in quel macabro desiderio, quasi dimenticavo di quella vita che scorreva dentro di me.
Non avrei mai voluto far male a quel bambino ormai quasi del tutto formato, ma non avevo la forza di ridestarmi da quella sorta di limbo senza fine nel quale ero sprofondata.
Ben presto mi fu detto che il Capitano Svensson mi aveva adagiato sul mio letto ed era rimasto al mio fianco, dopo aver mandato un messo a chiamare Madame le Marchand, e solo allora, quando ormai aveva capito che non poteva fare altro, era tornato al Forte insieme ai suoi uomini. Madame era arrivata presto, ma io non mi accorsi quasi per nulla della sua presenza, né del suo stato d’animo, se non per quel leggero tocco nel prendere la mia mano tra le sue. Cercò, sicuramente, di parlarmi, di farmi reagire, di spingermi a comunicare qualcosa, ma – almeno inizialmente – non avevo che lacrime da versare, fino a quando non finirono. Mi sentii prosciugata, mentre un forte mal di testa mi creava una pesantezza indescrivibile e, dopo aver bevuto giusto qualche sorso di tisana, sprofondai in un sonno più dovuto alla stanchezza che alla mia voglia di riposare.
La prima notte lui mi apparve in sogno. Mi sembrò di averlo realmente lì, di sentire le sue forti braccia intorno a me, di avvertire il suo odore, le sue calde labbra sulle mie, di perdermi nei suoi occhi. Quando, però, mi accorsi che anche nei miei sogni mi era negata la sua presenza e mi svegliai, compresi che era tutto vero. Lui non c’era più e non potevo andare a piangere neanche sulla sua tomba. Non sapevo neanche, dove avessero lasciato il suo corpo.
Flaviano…
Era l’unica parola che usciva dalle mie labbra, non riuscivo a formulare nient’altro. E fu in quel secondo giorno che entrai in quel tragico stato che mi avrebbe portato alla morte, se non avessi ritrovato le forze.
Sentivo la presenza di Madame intorno a me. Aggirarsi qualche tempo per la cucina nel tentativo di prepararmi qualcosa che, puntualmente non mangiavo, o restare perlopiù al mio fianco cercando di farmi reagire.
Una parte di me, nascosta ma presente, avrebbe voluto fare qualcosa, soprattutto per non gettarla di nuovo nello sconforto più totale, né rischiare la vita di mio figlio, ma mi era impossibile.


*



    Correvo sullo spiazzo d’erba nei pressi della foresta di Sivelle, il vento s’insinuava leggero tra i miei capelli, e il sole vi creava riflessi d’oro. La mia risata risuonava nell’aria e, a essa, se ne aggiunse un’altra. Sembrava maschile, allegra, che colpiva il mio cuore.
    « Non mi prendete! »
    « Ne siete così sicura? »
La risposta era, ovviamente, no. In pochi minuti lui afferrò il mio polso e mi spinse a interrompere la corsa. Ripresi fiato e mi voltai, sorridendo allegra.
    «Va bene, avete vinto, ma solo per questa volta! Siete avvantaggiato con quei vestiti… »
    « Non inventate scuse, rosellina mia, riuscirei a prendervi anche se indossassi un vestito ampio come il vostro ».
    « Voi indossare un vestito femminile? » lo guardai dall’alto in basso e poi emisi una risata che nacque dal cuore a una possibile simile visione.
Lui arrossì e scosse il capo.
    « Oh insomma, era un modo di dire! Non vi burlate di me! »
Detto ciò mi attirò a sé, cingendomi i fianchi ed io sprofondai il capo sul suo petto. Sentii il suo cuore palpitare più veloce, come il mio.
    « Ora però, merito il mio premio. Ho vinto, no?»
    « Sì, avete vinto. E quale premio desiderate, monsieur Marli? »
    «Il bacio della più bella fanciulla sulla quale i miei occhi si siano mai posati ».
    « E chi sarebbe? » chiesi, fingendo una gelosia inopportuna, giacché ero conscia già della risposta.
    « Colei che risponde al nome di Desirée Chervalie, la più bella dama di Francia ».
Fu il mio turno di arrossire, ma poi sentii le sue dita sollevarmi il mento e il suo volto farsi sempre più vicino al mio. Ero emozionata e impaurita.
Mai avevo baciato un uomo, prima, ma il desiderio era tanto da quando avevo incontrato per la prima volta Flaviano.
Mi lasciai andare, e lui posò delicatamente le labbra sulle mie.

Il nostro primo bacio.



    Ricordi di un passato riecheggiavano nella mia mente, come a voler giocare malvagiamente con il mio cuore già sanguinante.
Ogni mattina era sempre più dura per me alzarmi. A fatica Madame e altre sarte venute ad aiutarmi, compresa la piccola Julie, riuscivano almeno a farmi compiere i gesti importanti affinché il mio organismo potesse funzionare adeguatamente, e in certi momenti riuscii a mandare giù qualcosa di sostanzioso e non solo tisane calde.
Nonostante il caldo, un gelo mi era entrato nelle ossa ed ero perennemente avvolta da coperte, che puntualmente gettavo a terra durante il mio sonno agitato.
Non ero molto in me, ma scorgere i visi colmi di pietà e paura tra quelle donne mi dispiaceva ed era anche fonte di rabbia. Non lo sopportavo. Volevo essere lasciata a me stessa, e non essere biasimata per la mia situazione. Loro erano felici no? E allora potevano andare nelle loro dimore, senza guardarmi così male.
Avevo pensieri negativi e, spesso, le guardavo con disprezzo, pur comprendendo nel profondo del mio animo che erano solo preoccupate per me e per il bimbo che portavo in grembo. Stavo deperendo e, se avessi continuato di quel passo, lo avrei senz’altro perso, gettando al vento anche l’ultimo ricordo del mio amato.


    Una notte, spalancai gli occhi e notai la presenza di diverse figure incappucciate. Mi agitai e stavo per gettare un urlo, quando una mano si pose sulle mie labbra, impedendomi di farlo e una voce autoritaria mi avvolse.
    « Non urlare, o attirerai tutto il villaggio qui. Siamo noi ».
    « Desirée, cara, siamo venute ad aiutarti… » una voce più gentile e dolce si aggiunse alle altre, e poi una terza più infantile.
    « L’anziana è stata sedata, ora dormirà abbastanza profondamente e non ci disturberà ».
    « Elodie sii più gentile » mormorò la seconda, e qualcuno prese la mia mano, stringendola con delicatezza.
    « Mi dispiace, sorella. Avevo tentato di tranquillizzarti, ma temevo… »
    « Basta così Claire, non è questo il momento » sentenziò la prima voce, e tutte si zittirono. Io mugolai un poco e infine le mie labbra furono liberate.
    « Non urlare, né disperarti ora. Siamo qui perché non possiamo permetterti di fare ciò che stai pensando. Devi reagire » continuò quella che ormai compresi essere Sylvie, la Gran Maestra.
Io girai lo sguardo altrove, osservando il buio. Non m’interessava la loro presenza, anzi quasi la trovavo irritante.
    « Desirée, ma chére, ti ho portato diverse erbe e degli infusi che ti faranno stare subito meglio. Ophélie, inoltre, mi ha consigliato qualcosa per salvare la vita anche al tuo piccolo. Ma douce, non lasciarti andare, te ne prego », la voce di Cécilie sembrava quasi tremare, come se fosse commossa, ma non riuscì a convincermi del tutto.
    « Abbiamo anche delle pietre con noi, possono donare forza e coraggio e sostenerti in questo duro cammino » aggiunse Claire, con un fil di voce.
M’irrigidii sul letto e poi spalancai gli occhi con rabbia. Le guardai una a una nella soffusa luce dell’unica candela accesa, e sibilai parole che serbavo nel cuore.
    « Non so che farmene delle vostre erbe, e soprattutto delle vostre pietre! Io mi fidavo di voi, credevo fermamente nel loro potere e invece, quell’onice maledetta non è servita a nulla. Flaviano è morto! E tu, Claire, dovevi avvertirmi e non fomentare nella mia mente vane illusioni! La morte, la torre, l’appeso! Era tutto chiaro, e tu sapevi! »
Un silenzio di tomba seguì quelle mie parole velenose. Il tocco della mano di Claire si allentò, fino a scomparire. Si era ritratta, ma non potevo scorgere bene se il suo viso lasciava trapelare una qualche emozione.
Sapevo che le avevo colpite, e forse anche ferite, ma cos’erano quelle mie parole in confronto al dolore che mi logorava il cuore?
Infine, fu Sylvie a parlare.
    « Il dolore che provi è comprensibile, ma non ti da il diritto di infierire così tanto contro le tue sorelle, o in ciò che crediamo e in cui anche tu dovresti credere fermamente dal momento in cui hai giurato ».
Risi, isterica, e poi sputai altre parole, incontrollabili:
    « Tu puoi capirmi? Che ne sai tu dell’amore? Che ne sai tu del dolore? Hai mai avuto un uomo d’amare e che ti amasse con tutto il suo cuore? Hai mai aspettato un bambino che non potrà mai conoscere suo padre? »
Sentii qualcuna gemere, altre sospirare sorprese. Elodie stava per rispondermi, ma fu bloccata subito da Sylvie, che poi tornò così a rivolgersi a me:
    « Tu non conosci il mio passato, non sai nulla di me. Ti ho accolta nel mio ordine, ma posso anche buttarti fuori! » si bloccò per un istante e poi riprese. « Tuttavia non lo farò, perché so perfettamente che queste parole velenose sono dettate solo dal dolore che ti affligge, che è immenso e indescrivibile. Non ho mai amato un uomo, né ho avuto un bambino e mai potrò affrontare una simile gioia, forse, ma anch’io ho conosciuto l’amore, un tempo… » la sua voce, di solito ferma e autoritaria, s’incrinò e riuscì a turbarmi, « …un amore forte che mi aveva fatto conoscere una felicità immensa, ma anche a me è stato negato. Anch’io l’ho perso, e pensavo realmente di non riuscire ad andare avanti. Ma non è questo che si deve fare, neanche quando la vita ci appare vuota e priva di senso. Non ti ripeterò del ciclo continuo della vita e della morte, ma una cosa posso dirla. Se ami davvero tuo marito, devi vivere. Se non vuoi farlo per te stessa, fallo per il figlio che cresce nel tuo grembo. È parte di te, ma è anche parte del tuo Flaviano. Se tu muori, morirà anche quella scintilla di vita, e anche l’ultima traccia di quell’amore immenso che vi ha uniti. Vuoi questo? »
D’un tratto fui scossa da una serie di sentimenti. Paura, tristezza, rabbia lasciarono il posto al vuoto, dal quale poi emerse una nuova consapevolezza. Non sapevo che la Gran Maestra avesse amato, ma comprendevo bene che le costava molto rivivere quel momento, lo avvertivo dal suo tono di voce e dalla fragilità che scorsi anche in lei. Non era più quella donna forte e ammantata di un potere enorme, che incuteva anche un certo timore, ma appariva come una persona fragile, che aveva tanto sofferto e la cui ferita forse non si era ancora rimarginata.
Calde lacrime tornarono a solcarmi il viso, e le mie mani sfiorarono il mio grosso ventre.
    « Scusami… piccolo mio. Scusami… » mormorai, e sentii la tensione presente nella stanza distendersi. « Scusatemi tutte… non volevo ferirvi, ma… mi sento così sola e non posso pensare che lui non tornerà mai più ».
Le streghe si avvicinarono tutte al mio letto. Sentii le loro braccia avvolgermi in un caldo abbraccio, eccetto quello di Sylvie che rimase in piedi a osservarci.
    « Stai tranquilla, Desy! Vedrai che tornerò a farti ridere » disse Elodie e a lei seguì Cécilie. « Non sei sola, ma douce, noi ti staremo sempre vicine, lo sai vero? Sei nostra sorella, e siamo legate ».
Infine, fu il turno di Claire. Avvicinai una mano al suo volto e sentii che anche lei aveva pianto. La baciai sulla fronte, nonostante la tristezza che mi avvolgeva e la stanchezza.
    « Scusami sorella mia. Non volevo offenderti… davvero. So che l’hai fatto per me ».
    « Non volevo essere io a farti del male annunciandoti la notizia… e volevo sperare che le carte avessero fallito, per una volta » mormorò Claire, ed io l’abbracciai restando ancora qualche istante tra le sue braccia.
Adoravo quelle streghe e mi sentii uno schifo nell’aver detto tale oscenità, ma loro avevano compreso il mio malessere.
    « Ora però, prendi questi infusi e domani mangia tutto quello che Madame Le Marchand ti darà. Devi rimetterti in forze, a breve il tuo bambino verrà al mondo » disse Cécilie con dolcezza e, donandomi una tazza con uno dei suoi strani ma infallibili infusi, aggiunse « reagisci anche per lei, si vede che ti ama come una madre, e che l’addolora vederti così ».
Annuii e bevvi tutto.
Le streghe rimasero al mio fianco per qualche ora ancora, ma prima che il sole sorgesse all’orizzonte, Sylvie sentenziò che era l’ora di andare.
    « Ti aspettiamo al Salice, quando vorrai ».
    « Grazie… davvero ».
Le salutai e poi voltai lo sguardo su Madame che dormiva tranquilla – grazie anche a quello che le era stato dato dalle streghe – su una sedia. Sorrisi con affetto a quella donnina forte ma dal gran cuore, e cercai di riposare.
Crollai in un sonno senza sogni, ma con un’idea precisa in testa.
Non sarebbe stato per nulla facile, ma dovevo farlo: avrei iniziato la mia risalita, un piccolo passo alla volta. Il mio Flaviano viveva in me e in quella creatura che presto sarebbe nata.
Per sempre.


*


    Ritornare alla vita non era semplice, ma un giorno dopo l’altro tentai di recuperare le forze. V’erano momenti in cui sprofondavo in pensieri cupi, in cui il dolore era talmente forte e pungente che dovevo fermarmi, e le lacrime sembravano non avere mai fine. Tentavo di apparire tranquilla, o di avere almeno una parvenza di serenità, quando mi trovavo con Madame e altre persone, ma nel buio della mia dimora e in solitudine mi sfogavo, lo chiamavo, e non riuscivo ancora ad accettare la mia nuova vita senza di lui. Ero stanca di sguardi densi di pietà e accettavo con gran gioia le visite delle streghe, che almeno cercavano di rubarmi sorrisi e di andare avanti, cercando di alleviare le pene del mio animo e spingermi a vivere di nuovo. Non potendo più recarmi di persona al Salice, viste le mie condizioni, erano loro a venire, abbigliate con abiti popolani per non dare troppo nell’occhio. Anche la piccola Lydie a volte, coprendo i suoi rossi capelli con un velo, trascorreva qualche ora con me, deliziandomi con la sua squisita dolcezza.
Era l’affetto delle persone a me più vicine che mi permetteva di andare ancora avanti, oltre ovviamente a quel piccino che avevo nel grembo e che presto avrei potuto stringere tra le mie braccia e donargli tutto l’amore di cui ero capace.
Eppure, c’era una persona che non avevo più avuto modo di vedere e che non si era mai presentata alla mia porta, né aveva mandato messaggi: Louise-Marie. La sua assenza mi rattristava, avrei avuto bisogno anche del suo conforto, della sua amicizia, del suo affetto. In un primo momento pensai che volesse rimanere con il suo amato e magari lasciarmi un poco alla mia tristezza. Lei mi conosceva da quando eravamo piccole e sapeva bene che nei primi tempi sarebbe stata dura parlarmi. Probabilmente era “spaventata” anche da una mia possibile reazione, ma dopo giorni non si era ancora fatta vedere.
Chiesi di lei a Madame, ma scosse il capo non sapendo nulla e alla fine decisi di scriverle un messaggio. Non ottenni risposta alcuna e la cosa m’impensierì davvero.
Decisi, quindi, di presentarmi a corte ma, mentre seguivo il sentiero che mi portava a Palazzo, incontrai il Capitano Svensson, vestito di tutto punto e non più sporco e distrutto come il giorno del suo ritorno, anche se il suo occhio era ancora bendato.
Ci fermammo a pochi passi l’uno dall’altra e chinai appena il capo, gesto che lui ricambiò.
Era dal giorno in cui mi aveva dato la triste novella che non lo incrociavo e la cosa mi turbò un poco. Mi fu detto che si era occupato di me prima dell’arrivo di Madame e rammentai anche di essermi abbandonata tra le sue braccia, cosa che mi fece subito arrossire.
    « Madame Chervalie… »
    « Capitano Svensson, lieto meriggio » mormorai.
I nostri sguardi s’incrociarono per diversi istanti, ma abbassai il mio, non riuscendo a sostenere quel ghiaccio e anche ricordando come mi ero avventata su di lui. Lo avevo colpito a male parole e anche, forse, ferito.
    « Come vi sentite? » mi chiese, sempre un poco distaccato.
    « Sto cercando di tornare a vivere… almeno per lui » risposi, con sincerità, sfiorando appena il pancione ormai notevolmente evidente.
Lui annuì, e poi sembrò volermi salutare, ma prima che potesse farlo, aggiunsi:
    « Posso chiedervi una cosa? »
Lui mi guardò, per un attimo scorsi una strana luce sull’unico occhio non bendato, e poi annuì di nuovo.
    « Avete notizie di Mademoiselle Lemoine? Non la sento né vedo da giorni e non ha neanche risposto a una mia missiva. Sapete dirmi come sta? »
Non avevo mai parlato troppo con lui, ma era il suo promesso sposo e sicuramente doveva avere notizie, averla vista, sapere qualcosa.
    « Mademoiselle Lemoine attualmente non si trova più qui, a quel che mi è stato riferito si è diretta a Parigi, ma non ha lasciato alcun messaggio a me, né ad altri... e, giudicando dalla vostra richiesta, presumo che nemmeno voi ne siate a conoscenza. E, non so nemmeno se sia un trasferimento definitivo o temporaneo, giacché nemmeno i Signori che servo sanno rispondere alle mie domande ».
La notizia mi lasciò senza parole. Spalancai le labbra, confusa e disorientata. Non era da lei non lasciare traccia di sé, non dirmi nulla, né tantomeno a lui. Annuii alle sue parole, e poi dissi:
    « No, non so nulla, ma Lou non si è mai comportata così. Mi ha sempre scritto o detto di persona cosa le succedeva e… era così felice di sapere del vostro ritorno » sospirai, e mi sentii un poco triste. Colei che reputavo una sorella mi aveva messa da parte e non sapevo neanche se sarebbe mai tornata, se si fosse fatta sentire, o altro. Un altro vuoto nella mia vita. « Vi ringrazio comunque per avermi comunicato questa notizia, magari presto ci scriverà. In caso la sentirete, sareste così cortese da farmi avere sue nuove? Io, da parte mia, farò lo stesso ».
    « Lo farò con piacere… »
Sembrò esitare, come se volesse aggiungere altro, ma poi non disse nulla. Forse ci aveva ripensato, forse non era importante.
    « Vi ringrazio… ora, è meglio che torni indietro. A presto, Capitano. »
Ci salutammo e poi proseguimmo per strade diverse, ed io tornai a casa scossa e demoralizzata. Ero rimasta senza marito, senza la mia migliore amica, ma per fortuna avevo ancora Madame e le streghe, e il mio piccolo bocciolo.














_________________________________________________________________
Ciao a tutti!
Ecco qui il nuovo capitolo! C'è ancora un poco di Flaviano, ma un altro piccolo tassello si aggiunge alla trama. Forse inizierete a capire già qualcosa su ciò che accadrà, ma spero di entusiasmarvi e sorprendervi ugualmente! Mancano ancora molti capitoli, e ... diciamo che le cose potrebbero sempre peggiorare (sadismo mode on, eheheh).
Be', se vorrete continuare a leggerla vi ringrazio! Lasciate anche un parere,se vi va,  sono proprio curiosa di capire dove sbaglio o se la storia piace davvero!
Grazie a tutti voi che leggete e un grazie in più a chi lascia un commento!

A presto :)

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Capitolo 27
*** XXVI - Alizée ***



XXVI
 Alizée


    Nelle settimane seguenti provai a inviare missive a corte. Conoscevo alcune dame, ma la risposta era sempre la stessa. Louise-Marie era partita, forse per Parigi, ma non si sapeva se e quando avrebbe fatto ritorno a Sivelle. Sospirai affranta, ma poi l’immagine della mia amica abbigliata di abiti e gioielli sfarzosi lasciò il posto ai pensieri. La vidi danzare leggiadra ed elegante, con gentiluomini in sale di grande fascino e ricchezza. Sì, forse era questa il suo vero destino, tuttavia non riuscivo a comprendere il motivo per cui non me ne avesse parlato. Non ero forse come una sorella per lei?
Stava per concludersi un altro mese, il caldo si faceva sentire particolarmente, e con quel ventre gonfio mi sembrava tutto più difficile. Anche i più piccoli gesti erano troppo faticosi, e ben presto mi ritrovai a letto in preda ai dolori. I tempi della gravidanza erano giunti ormai al termine, ma in quella casa mi ritrovai sola. Fui colta da una paura terribile: ero sola e non riuscivo a muovermi. Era notte e fuori il cielo scintillava di stelle e la pallida luna mostrava il suo sorriso. Non potevo comunicare con nessuno, ma neanche partorire da sola. Gridai quando una fitta mi colpì e poi cercai di respirare. Gocce di sudore imperlarono la mia fronte e il mio viso, mentre mi aggrappavo alle fresche lenzuola in cerca di un appiglio contro il dolore.
Quando la fitta passò, portai una mano al ciondolo del mio grado di strega, lo zaffiro blu. Invocai l’aiuto delle mie sorelle streghe, come se così facendo potessero veramente sentirmi, ma poi mi accasciai di nuovo, quasi senza forse. Temevo per me, ma soprattutto per il mio bambino. Non volevo perdere anche lui. Piansi, lacrime amare che non riuscivo a gestire, e trasalii nel sentire qualcosa di umido uscire dal mio corpo. Poi la porta si aprì.
    « Siamo giunte in tempo, per fortuna! » esclamò una voce d’usignolo, alla quale seguì un borbottio.
    « Se tu mi avessi spiegato con maggior cura quali erbe dovevo prendere, forse non ci avremmo messo tutto questo tempo ».
    « Basta bambine. Non è il momento di bisticciare, la piccola Rose Blanche ha bisogno dell’aiuto e del sostegno di tutte » proseguì una voce anziana.
Vidi la speranza. Erano loro, le mie adorate sorelle e ora tutto poteva andare per il meglio.
    « Ragazze… siete voi! Venite… presto » riuscii appena a dire, prima di urlare di nuovo in preda a un’altra fitta dolorosa.
La prima a giungere fu Elodie, seguita da Cécilie e infine Claire sosteneva la vecchia Ophélie.
Non scorsi né la Gran Maestra, né la piccina, ma ben presto ottenni la risposta alla mia muta domanda.
    « Sylvie ha preferito tenere al sicuro la bambina, per questo ora non sono qui » mormorò Ophélie con voce graffiante, nonostante il suo tono sereno.
    « Ora ci prenderemo cura noi di te » aggiunse Claire, soffermando i suoi occhi d’acqua marina su di me.
Sorrisi loro, seppur sentissi di mostrare più una smorfia che un vero e proprio sorriso, e loro si avvicinarono maggiormente al mio letto.
    « Cécilie sai cosa devi fare. La mia vista è ormai quasi svanita, e sta a te il compito di assistere la nostra Rosa Bianca in questo momento. Ti guiderò io ». Posò una mano grinzosa sulla spalla della giovane strega, la cui tensione evidente sembrò distendersi a quel tocco. Annuì con il capo e si chinò su di me.
    « Oh bene, le acque si sono già rotte, tuttavia potrebbe mancare ancora qualche ora, ma questi dolori sono normali. Ora prepariamo tutto l’occorrente, ma tu devi star serena. Tra qualche ora al massimo terrai il piccino tra le tue braccia, e tutto ciò che hai sofferto, svanirà come per magia » mi sorrise con dolcezza, ed io annuii sebbene non ne fossi molto convinta.
Claire fece accomodare Ophélie su una sedia, non troppo distante, così da controllare ciò che veniva fatto, mentre Cécilie iniziò a dettare i suoi ordini.
    « Elodie prepara dell’acqua calda e trova degli asciugamani puliti. Quando sarà pronta, porta tutto qui ».
Elodie per una volta sembrò non ribattere, consapevole che era un momento serio e importante, e Cécilie si voltò quindi verso Claire e disse:
    « Claire potresti rimanere al fianco di Desirée mentre io preparo l’infuso? »
    « Certamente » rispose e, una volta che Cécilie si fu allontanata, prese il mio posto affianco a me. Ophélie rimase silenziosa al suo posto, per un attimo mi apparve come una strana statua piena di rughe.
    « Ti ho portato una pietra. Lo so, forse non ci credi più dopo quello che è… successo » mormorò, esitante, ma io in quel momento di lucidità le sfiorai appena la mano.
« Non devi preoccuparti. Ci credo ancora nel potere delle pietre… » risposi, per tranquillizzarla.
Claire mi osservò ancora, quel suo sguardo solitamente imperturbabile ora appariva scosso, stava anche analizzando la veridicità delle mie parole, ma poi annuì serena.
    « Questa è una Malachite. Può aiutarti ad affrontare meglio il parto » estrasse da un sacchettino di velluto una pietra di un verde intenso, dalle strane righe che sembravano quasi formare degli strani disegni.
Annuii nuovamente, e lei la pose sotto il mio cuscino, a protezione. Forse per il mio credo reale in quella pietra, forse per suggestione, mi sentii un poco meglio almeno per diversi minuti.
    « Come sta la piccola Lydie? Mi dispiace non essere potuta venire più così spesso ». Claire iniziò a detergere la mia fronte e il mio volto con un fazzoletto di stoffa, ma fu Ophélie a prendere parola.
    « Il piccolo giglio sta fiorendo ogni giorno che passa. L’apparenza distorce la realtà. Sembra piccola, indifesa, fragile ma nasconde un fuoco dentro ».
    « Il fuoco, infatti, è il suo elemento, la sua essenza » aggiunse Claire.
    « Non lo avrei mai detto, ma sono felice per lei… ora finalmente può vivere » ma, un'altra contrazione mi spinse a gridare, e in quel momento tornò Cécilie con un infuso caldo e fumante; e fu Claire a lasciarle di nuovo il posto, tornando dietro Ophélie.
    « Bevi cara, questo infuso di foglie di lampone allevierà, un poco, i tuoi dolori… ». Con una mano mi sollevò il capo, con l’altra avvicinò la tazza fumante alle mie labbra, facendo attenzione a non ustionarmi e spingendomi a berla a piccoli sorsi. Mi fidavo ciecamente di lei, ed ero consapevole della sua abilità con le erbe.
    « Acqua pronta e asciugamani puliti trovati! » trillò Elodie tornando nella stanza.
    « Posali pure ai piedi del letto, non è ancora venuto il momento di usarli, ma non manca molto… » replicò Cécilie, aiutandomi a mandar giù altro infuso che mi aiutò, effettivamente, a stare meglio.
Quando l’ebbi terminato, tornai ad adagiare il capo sul morbido cuscino, e chiusi gli occhi per qualche istante. Cercai di rilassarmi, anche se non era facile, e lasciai che l’infuso facesse il suo effetto.
    « Credo che ci sia bisogno di un’altra candela. La notte è lunga ed è meglio non rimanere al buio quando dovrò aiutare il bambino a venire al mondo » continuò Cécilie, voltandosi verso Elodie. Quest’ultima inarcò un sopracciglio, ma poi sospirò e iniziò a cercare una nuova candela da tenere pronta nel caso dovesse essere utile. La sentii rovistare, mentre Cécilie si pose in fondo a letto e iniziò a sollevare le mie vesti.
Aprii gli occhi, scrutandola contrariata, ma lei rise divertita.
    « Oh, come credi che possa aiutarti se non sollevo le vesti? Devo controllare com’è la situazione e quanto tempo manca ancora. Suvvia, non devi essere pudica, cara, non ti farò nulla di male ».
Imbronciai le labbra, ma poi smisi di essere riluttante e sollevai le gambe come mi venne anche richiesto, e la lasciai denudarmi in parte. Mi sentivo imbarazzata con tutti quegli sguardi su di me, anche se erano tutte donne, era una situazione insolita e non così bella.
Sentii Ophélie porre domande sulla mia “situazione” e Cécilie rispondere, ma in materia ero piuttosto ignorante. Non avevo mai veramente assistito a un parto come loro ed ero terrorizzata. Forse le voci che avevo sentito di donne morte non mi aiutavano, quindi tentai di pensare ad altro. Cercai di visualizzare nella mia mente un cielo limpido, con solo qualche soffusa nuvola bianca a chiazzarlo; il vento le spostava leggere, come pallidi viaggiatori nell’infinito. L’immagine mi piacque e mi aiutò a rilassarmi un poco, fino a quando un forte dolore non mi fece di nuovo tornare alla realtà. Questa contrazione fu più dolorosa delle altre, e quando finì, mi mancò il respiro. Cécilie si fece seria, ma quando sollevò il viso a incontrare i miei occhi, sorrise teneramente.
    « Cerca di fare respiri rapidi, cara, non trattenerti » disse, ma non appena pensavo che fosse passato, né seguì un’altra. Gridai con quanto fiato avevo in corpo, e questa volta fu Ophélie a intervenire.
    « Ci siamo, bambine. Cécilie stai pronta, Desirée, mia bianca rosa inizia a spingere… presto tutto finirà ».
Non comprendevo più nulla, il dolore era troppo intenso, forse accresciuto dalla mia sensibilità ma anche dal mio stato emotivo, dalle brutte immagini e pensieri circa le gravidanze finite male. Tuttavia, feci ogni cosa che mi fu impartita. Quando mi fu detto di spingere, spinsi, di respirare, respirai. Mi sentivo sempre più debole, e non riuscivo a scorgere una fine. Avrei voluto mio marito, che fosse lì a stringermi la mano, ma la consapevolezza di aver fatto un pensiero sciocco mi bloccò. Anche se fosse stato ancora vivo, non era permesso agli uomini di vedere una partoriente. Sbuffai, mentre le contrazioni mi davano una breve tregua. Rimasi distesa e avvertii la mano paffuta di Elodie sul mio viso. Tentava di pulire il mio volto sudato, ma sembrava spaventata, seppur cercasse di non lasciarlo trapelare. Altre contrazioni si susseguirono, mi contrassi tutta, puntellai i piedi sul letto, gridai parole che forse non avevano neanche un senso, me la presi con tutti e con nessuno, non ero in me.
Voltandomi notai Claire prendere il posto di Elodie, ora divenuta totalmente pallida. Forse non era in grado di sostenere quella visione, e si accucciò a terra, sprofondando il capo sulle gambe dell’anziana strega. Ophélie pose una mano sui suoi capelli scuri e mormorò parole che non riuscii a sentire, forse nel tentativo di tranquillizzarla. Poi, tutto si fece di nuovo confuso.
Strillai ancora, chiesi di porre fine a tutto quel dolore che non credevo di poter sopportare e spinsi con tutta la forza che avevo in corpo, anche se diventava sempre minore.
    « Non ce la posso fare… non ce la faccio. Basta… vi prego, basta… »
E, proprio quando stavo per venir meno, avvertii diverse voci che si mescolavano tra di loro. Avvertii Cécilie spingermi a fare un ultimo sforzo. Vedeva la testa. Il mio piccolo… Sentii Claire sussurrarmi parole incoraggianti e poi impallidire nel vedermi non reagire. Poi, una voce diversa, maschile, ma per sempre indelebile nel mio cuore si unì alle loro, per poi divenire preponderante.

Forza mio angelo, fatti coraggio. Un ultimo sforzo e il nostro piccolo vedrà la luce. Non sei sola, non lo sarai mai. Ce la puoi fare, ce la devi fare. Forza, mio amore eterno.

Forse spinta da quella voce, in preda alla vana illusione di averlo ancora lì, cercai un ultimo rimasuglio di energia e, gridando, spinsi più forte che potevo… e al mio grido fece eco un pianto acuto.
    « Ce l’hai fatta, Desirée è nata! » esclamò Cécilie, in preda a una forte emozione. Teneva tra le braccia un esserino minuscolo e rosso che si dibatteva e gemeva. Sbattei le palpebre più volte, cercando di focalizzare la mia attenzione sulla creatura che avevo generato, e mi sorpresi nel sentire quelle parole.
    « Nata? » chiesi con un sussurro.
    « Sì, ma chére. È una bambina… una bellissima bambina » confermò, Cécilie.
Sentii affiorare le lacrime, quasi non vidi più nulla. L’immagine di quella neonata, di mia figlia, si fece appannata. Ero troppo debole per fare o dire altro. Cécilie la pose su di me ed io allungai leggermente una mano per sfiorarla. Mi sembrava così piccola, così indifesa, così delicata che temevo di farle male.
Ormai non avevo occhi che per lei, anche se sentivo qualcuno singhiozzare nella stanza. Compresi che tutte si erano emozionate, unite da un tal evento.
    « Il miracolo della vita… ho potuto assistervi ancora una volta. Grazie Dea » disse Ophélie, ed Elodie si azzardò solo in quel momento a sollevare di nuovo il capo per vedere la bambina.
Cécilie tagliò il cordone ombelicale e prese la piccina per lavarla accuratamente. Poi, me la lasciò di nuovo in grembo, avvolta da fasce, e riprese a occuparsi di me. Quando incrociai i grandi occhi di mia figlia, me ne innamorai subito. La strinsi con delicatezza tra le mie braccia e le sorrisi.
    « Alizée, il mio piccolo bocciolo » le posai un lieve bacio sulla fronte, e poi lei iniziò a piangere più forte.
    « Credo che la piccina abbia fame » s’intromise Ophélie.
Mi aiutarono a portarla al seno e lei iniziò a poppare, avidamente. Gemetti leggermente a quella sensazione insolita e poi sorrisi tra le lacrime.
Le streghe rimasero con me. Il sole stava per sorgere e mi accorsi solo in quel momento di quanto tempo fosse durato quel supplizio che aveva donato una gioia immensa.
La bambina si era addormentata tra le mie braccia e il sonno stava cogliendo anche me, ma riuscii appena a dire…
    « Madame… deve essere avvertita » e a udire la risposta di Ophélie che mi disse che l’avrebbero fatto loro, che crollai in un sonno ristoratore.



*



    Quando riaprii gli occhi, il sole era già alto e s’insinuava tra la piccola finestra della mia stanza. Le candele erano state spente e la prima voce che mi accolse fu quella di Madame Le Marchande.
    « Desirée, bambina mia, ti sei svegliata! »
Mi sorprese essere chiamata a quel modo da quella donna non facilmente preda dei sentimenti, almeno in apparenza ma sorrisi.
    « Sì… hai visto mia figlia? » le dissi, ma volgendo lo sguardo sul letto non la trovai. Spalancai gli occhi allarmata, ma poi il suo pianto si fece sentire, e comparve Claire con la piccina tra le braccia. Trassi un respiro di sollievo e tesi le braccia per riprenderla.
    « Si era svegliata e piangeva. Così ho deciso di prenderla, per non farti svegliare. Avevi bisogno di riposo ».
Le sorrisi grata e poi spostai l’attenzione su Madame, che guardò la donna con fare accigliato.
    « Se avessi saputo prima la cosa, avrei chiamato subito il medico. Padre Paul ne conosce uno molto abile, e… ma come hai fatto? E chi c’era ad aiutarti? » chiese, tesa.
    « Stai tranquilla, davvero. Non ero sola. Vi era una levatrice di grandi doti e sotto la guida di una donna che dovresti conoscere. Il suo nome è Ophélie ».
Madame spalancò le labbra a quel nome, ma poi parve rilassarsi.
    « Madame Ophélie? Pratica ancora quest’arte? »
    « Ormai è piuttosto anziana e la sua vista non è più come un tempo, ma ha una preziosa apprendista che si è occupata egregiamente di me. Rincuorati, madre mia, ora sto bene e anche Alizée. Non vuoi vederla meglio? »
Madame sembrò rifletterci un po’ su, ma la vidi commuoversi e chinò il viso verso la bambina. Non la sfiorò, ma il suo volto si distese in un sorriso luminoso nell’osservare le pieghe sul viso roseo di mia figlia e quelle manine chiuse a pugnetti.
Era adorabile. La bambina più bella del mondo. Perlomeno per il mio cuore di madre.
Una volta lavata si poteva scorgere una leggera spruzzata di capelli biondicci, ma i suoi occhi sembravano scuri.
    « Alizée? » chiese Madame, ed io annuii.
    « Era un nome stabilito con Flaviano ». La mia voce s’incrinò e la felicità fu distorta dal pensiero che quella creatura appena nata non avrebbe mai avuto un padre. Sarei stata io suo padre e sua madre. L’avrei protetta da ogni male. Lei era il mio bocciolo e nessuno doveva ferirla.
    « Un nome delizioso… sì » annuì con il capo, e solo in quel momento la figura immobile e silenziosa di Claire s’intromise.
    « Vi chiedo perdono, ma se non devo esservi di aiuto ancora, Madame Desirée, io tornerei alla mia dimora. Non dovete avere nessun timore di chiedere altro, tuttavia. Sarò pronta a tornare e con me le mie sorelle ».
Fui sorpresa nel vederla parlare in tono così formale, tuttavia compresi il motivo.
    « Andate pure, mia cara, vi ringrazio per l’aiuto vostro e delle vostre sorelle. Portate i miei saluti a Madame Ophélie e, se non dico una sciocchezza, anche quelli di Madame Le Marchande ». Mi voltai verso quest’ultima per avere una conferma e lei guardò prima me e poi Claire.
    « Esattamente. Spero di poterla incontrare di nuovo, un giorno ». Si fermò un attimo, e poi aggiunse: « Mi prenderò cura io di Desirée, ora ».
In quell’istante qualcuno bussò alla porta. Madame si accese subito, e disse:
    « Deve essere Padre Paul, gli ho detto di passare qui per benedire la nascita della tua creatura ».
Incrociai lo sguardo di Claire e mi feci seria. Ora che ero passata alla fede pagana, non vedevo il motivo per cui Padre Paul dovesse benedire la mia piccola, ma poi rammentai le parole spesso sentite presso la Congrega del Salice.

Tutte le dee, anche se hanno molteplici nomi, sono un’unica Dea, e tutti gli dei, anche se appartenenti a fedi diverse, sono un unico Dio.

Quindi compresi che, in fin dei conti, era come ricevere la benedizione di quell’unico Dio.
    « Non sono molto presentabile però… » mormorai, notando la mia veste scomposta, e i capelli arruffati. Le mie gote si tinsero di rosso, imbarazzata.
Madame prese un mantello e me lo pose addosso, facendo attenzione alla piccina tra le mie braccia.
    « Padre Paul capirà, non serve essere presentabili davanti a un uomo casto e pio come lui ».
Annuii non del tutto convinta e le concessi di andare ad aprire. Non appena fu uscita dalla stanza, Claire si chinò su di me e prese la pietra da sotto il cuscino.
    « Meglio non rischiare. Lui non capirebbe » sussurrò. La fece scomparire in una tasca della veste e aggiunse: « Torneremo presto, mia dolce ».
    « Grazie di tutto… davvero ».
La salutai, ma mentre lei si stava avviando verso l’uscita, padre Paul entrava nella stanza. Lo vidi soffermare i suoi occhi su di lei e per un attimo sembrò scosso, forse dalla sua nobile bellezza, e dentro di me sorrisi, pensando a quanto fosse veramente casto e pio quello che era comunque un uomo, con le sue passioni.
Poi, deglutì, e tornò a donare attenzione alla stanza e infine a me. Inarcò le sopracciglia, perplesso, forse nel notare la mia condizione non così adatta alla presenza di un uomo, ma poi si avvicinò di qualche passo al letto.
    « Madame Chervalie lieto giorno » chinò appena il capo, ma poi scese con lo sguardo sulla piccina addormentata tra le mie braccia. « Questa deve essere la creatura. Quale nome le avete donato? » chiese, ed ebbi come la sensazione di essere sotto interrogatorio. Deglutii e poi dissi con fermezza:
    « Alizée. È il nome che suo padre ed io abbiamo deciso nel caso fosse nata una bambina ».
Padre Paul si accigliò di nuovo e in quel mentre tornò Madame.
    « Padre Paul non è una bambina incantevole? »
    « Tutti i bambini sono uguali dinanzi a Dio. Se il suo cuore rimarrà puro come in questa sua infanzia, sarà sicuramente incantevole agli occhi dell’Unico Altissimo ».
Io rimasi in silenzio, reprimendo risposte non adatte.
Lui sembrò riflettere ancora un po’ su, ma poi alzò una mano e iniziò a compiere la sua benedizione in nome di Dio sulla bambina.
Guardai Alizée dormire tranquilla, al sicuro tra le mie braccia, e in quel momento compresi davvero il motivo per cui dovevo andare avanti.
Le avrei donato tutto il mio amore e lottato per lei fino alla morte.



















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Non sono proprio soddisfatta di questo capitolo, ma spero che non sia scritto male. Ovviamente, se trovate errori, non esitate a farmeli notare! :)
In questo capitolo non succede molto ai fini della trama, ma arriva un altro delizioso personaggio, non trovate? La piccola Alizée! *_* Vi piace? Ancora si vede poco, ma pian piano la conoscerete meglio!
A presto, e grazie a chi legge, lascia recensioni e ha aggiunto questa storia tra le preferite, ricordate e seguite!

Alla prossima :)

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Capitolo 28
*** XXVII - Amicizia ***


XXVII
 Amicizia



    Nei giorni seguenti ci fu un gran via vai. Tutti coloro che mi conoscevano volevano congratularsi con me e vedere la bambina. Ero un po’ disorientata e non abituata a quel flusso di persone nella mia umile dimora. Sebbene avessi ripreso leggermente le forze, grazie anche ai sostanziosi pasti di Madame e agli infusi d’erbe di Cécilie, mi sentivo ancora piuttosto stanca ed ero, almeno in un primo momento, allarmata a causa di quel sangue che fuoriusciva dal mio corpo in maniera inconsueta. Sia Ophélie sia Madame, tuttavia, mi tranquillizzarono e la vecchia strega mi diede un ulteriore infuso d’erbe per attenuare il flusso e alleviare i dolori che ancora mi coglievano. Vedere tutti quei volti, mi provocava un leggero fastidio. In verità solo alle donne era permesso di accedere alla “stanza del parto”, mentre gli uomini restavano in cucina e, nell’udire la voce chiassosa del buon oste Jean, compresi che aveva preso pieno possesso del luogo. Al pensiero sorrisi, era un buon uomo e sapevo che non avrebbe arrecato danno alcuno.
Le donne mi circondavano e le loro voci formavano un brusio che ben presto mi fece perdere il senso delle loro parole. Eppure accanto ai sorrisi, vedevo sguardi densi di pietà.
Alcune bisbigliavano tra loro, scuotevano il capo e, quando intercettavano il mio sguardo, si sforzavano di sorridermi. Avevo però imparato a distinguere un verso sorriso che fa illuminare gli occhi da uno falso e forzato e la cosa m’irritò. Strinsi la piccina a me e le sussurrai parole di conforto. L’avrei cresciuta da sola e resa una donna splendida e, quando fosse stata abbastanza grande da capire, le avrei parlato di suo padre, dell’uomo amabile che era e di quanto amore le avrebbe dato. Ricacciai indietro le lacrime, non volevo piangere dinanzi a quelle persone, non avevo bisogno della loro pietà e anzi, ciò serviva unicamente a rendermi più forte e a fronteggiare la vita a testa alta, perché io non avevo peccato e la Dea e il Dio avrebbero vegliato su di noi.


*



    « Così è lei Alizée », disse Sylvie guardando la neonata che dormiva nella culla. Aveva portato con sé Ophélie e la piccola Lydie che, curiosa, si era avvicinata e guardava estasiata la creaturina.
    « Oh! M-ma è è… s-simile a t-t-te! I ca-capelli bi-biondi… »
Notai che come al solito la bambina che avevamo accolto mesi prima si soffermava sui capelli, forse dentro di lei non aveva ancora superato il suo timore per la sua chioma color del sangue.
    « Sì, ma ha gli occhi di suo padre » risposi.
In effetti con il trascorrere delle settimane gli occhi di Alizée avevano assunto le sfumature del legno, come quelli di Flaviano.
    « Questo ti crea disagi? » chiese Sylvie, ruotando gli occhi blu su di me. Io abbassai i miei e risposi:
    « Inizialmente sì. Sono uguali a quelli di Flaviano, ma ormai penso che probabilmente la Dea abbia voluto far rivivere il suo ricordo in nostra figlia. Ogni volta che guardo i suoi grandi occhi, è come se lui fosse ancora qui ».
    «… e lui sarà sempre con voi, perché è dentro di te… » s’intromise Ophélie posandomi una mano all’altezza del cuore, «… nel tuo cuore. »
La guardai e avvertii le lacrime pungermi gli occhi, ma poi le sorrisi.
    « To-tornerai a-al Sa-sa-salice? » mi domandò Lydie, distogliendo l’attenzione da Alizée.
    « Certo. Non appena potremo uscire, tornerò… se la piccola è ben accolta », così dicendo soffermai lo sguardo su Sylvie, come per conoscere da lei la risposta.
    « Potrai tornare quando vorrai. La piccola è un dono della Dea e potrai portarla con te. Ma… dovrai fare più attenzione ora. Gli sguardi del popolo e di Padre Paul sono su di te e non vorrai mettere in pericolo la tua vita, la sua e la nostra, non è vero? »
Il suo sguardo intenso mi pulsò dentro, ma io lo sostenni fermamente.
    « Non farò mai nulla per mettere a repentaglio la vita di chi amo. Verrò solo quando sarò sicura di non essere vista o seguita ».
In quel momento sentii la porta aprirsi e vidi Lydie indossare subito della stoffa per coprire i suoi capelli. Colsi la paura nel suo sguardo e desiderai ancora di più proteggerla. Sylvie l’aiutò, notando il suo tremolio e quando udii la voce di Madame Le Marchande mi rincuorai. Entrò nella stanza e interruppe quanto stava dicendo nel notare la presenza delle tre figure femminili, ma quando soffermò l’attenzione su Ophélie, spalancò le labbra.
« Ophélie siete proprio voi? » domandò con un fil di voce.
« Sì, mia cara Angélique. I miei occhi sono coperti da un velo, ma riconoscerei la vostra voce anche da lontano ».
Le guardai emozionata, mentre si ritrovarono dopo anni. Erano state amiche un tempo, ma gli anni erano avanzati in fretta e le giovani si erano perse, per poi ritrovarsi ormai anziane. In quel momento, però, notai un’altra presenza: dietro Madame era spuntata Julie che guardava seria l’altra bambina, Lydie. Non riuscivo a decifrare il suo sguardo. Sembrava come… gelosa.
« Nonna credo che sia meglio andare ora. Lasciamo Madame Chervalie in buona compagnia » disse Sylvie e mi sorpresi nel sentirla parlare così, ma dovevano per forza giocare sulla finzione.
« Certamente. Angélique è stato un piacere rivedervi. Vi saluto ora, con la speranza che le nostre strade possano tornare a incrociarsi di nuovo, prima della fine ».
Tese le sue mani a cercare quelle di Madame, la quale, dopo aver esitato un poco, ancora sorpresa, le strinse alle sue.
    « Lo spero vivamente anch’io… » mormorò, emozionata.
    « Desirée prendetevi cura di voi stessa e della vostra splendida creatura. Vi attendo presto ».
Lydie mi abbracciò con tenerezza e mi baciò sulla guancia destra. Io la strinsi a me e ricambiai il bacio, ma mi sentivo osservata e, quando sollevai lo sguardo, incrociai quello pieno di rabbia di Julie. Decisi di affrontare in seguito la cosa e mi rivolsi alle streghe.
    « Vi ringrazio della vostra visita e portate i miei saluti alle vostre sorelle ».
Sylvie, Lydie e Ophélie si congedarono ed io rimasi da sola con Madame e Julie.
    « Julie, cara, non vieni ad abbracciarmi? »
L’apprendista sarta rimase, per qualche secondo, rigida sul posto, ma poi corse tra le mie braccia e mi strinse con foga.
    « Ma pétite, non vedo l’ora di vedere i tuoi progressi! »
Lei mi liberò dalla sua stretta e arrossì tutta, ma poi sfilò un biglietto dalla tasca della veste e me lo porse dicendo:
    « Il capitano Svensson vi manda i suoi saluti e mi ha chiesto di consegnarvi questo ».
Presi il biglietto, sorpresa, e iniziai a leggerlo.


M.elle Chervalie, vi porgo le mie più sentite congratulazioni riguardo al lieto avvenimento appena accadutovi. Sperando che sia per Voi motivo di gioia, capace di farVi superare i dolori recenti, mi dichiaro a Vostra disposizione qualora aveste bisogno di qualsivoglia cosa. Spero accettiate quindi questo piccolo omaggio per Vostra figlia.


Quando conclusi la lettura, Julie si fece avanti e mi porse una piccola bambolina di stoffa, semplice ma graziosa.



*



    La luce del sole s’insinuava elegante tra i rami degli alberi, riverberando sul manto erboso adorno dei primi fiori della primavera nascente.
Sedevo a terra, in quello spiazzo d’erba che più di una volta mi aveva avuta come ospite e che serbava, come un amico silenzioso, ricordi d’amore, d’amicizia, ma anche di dolore. Sorreggevo la mia bambina, che batteva le mani divertita. I mesi erano trascorsi velocemente e Alizée era sbocciata, mostrando i miei tratti, l’oro nei capelli, ma i suoi occhi castani erano un chiaro ricordo di mio marito.
Con il passare dei giorni il mio cuore si era rassegnato alla perdita, ma questo non m’impediva di svegliarmi talvolta nel cuore della notte e di tastare il letto nella vana ricerca del mio amato.
Il mio Flaviano.
    Al suo posto un’altra figura maschile si era fatta più presente nella mia vita: Mickel Svensson, il Capitano delle Guardie del Conte. Mi aveva promesso di essermi vicino dalla nascita della piccola e da quando Louise-Marie ci aveva lasciato senza spiegazioni di sorta, c’eravamo avvicinati solo al fine di aiutarci a vicenda e di sopperire all’assenza dei nostri rispettivi amori. Quella vicinanza mi fece ben presto comprendere che il mio iniziale disprezzo nei suoi confronti non aveva motivo di esistere, giacché sotto quella scorza di ghiaccio si nascondeva un animo nobile.
Non riuscivo ancora a comprendere molti dei suoi atteggiamenti né tantomeno i suoi pensieri, che sembrava celare dietro quello sguardo freddo e distante, e in verità non sapevo neanche molto del suo passato. Sembrava sempre non volerne parlare ed io lo rispettavo. Era divenuto come un amico e questo mi bastava.
    Mi soffermai sul suo sguardo che seguiva i movimenti di Alizée. Si era affezionato molto a mia figlia, cosa che mi aveva destato stupore da principio, forse perché si sentiva in colpa della morte di suo padre, o forse perché anche a lui quegli occhi castani glielo rammentavano.

    « Pensate ancora a lui? » domandai spezzando quel silenzio tra noi.
Mickel si voltò sorpreso e poi tornò a guardare la piccolina.
    « Come potrei non farlo? » fece una breve pausa e poi aggiunse « a lui devo la mia vita ».
Annuii, spostando per un attimo lo sguardo sulla bambina che, a nove mesi, mostrava già una certa vitalità, ma poi ripresi parola.
« È da molto che sento il desiderio di chiedervelo, ma non ho mai trovato il momento opportuno, o forse non ne ho mai avuto veramente il coraggio ».
Lui tornò a guardarmi, i suoi occhi grigi mi fissarono con curiosità e mute domande.
    « Che cosa è successo quel giorno? »     
Chiuse gli occhi e rimase in silenzio per diversi attimi che mi apparvero come lunghi e infiniti minuti, poi disse:
    « Eravamo riusciti a mettere in fuga diversi nemici ma, quando credevamo di aver vinto, uno di loro si scagliò furente verso di me. Mi colse impreparato. Avevo fatto l’errore di abbassare la guardia per un momento e in un lampo vidi la Morte davanti a me… Ma… » si fermò e lessi nella sua voce la difficoltà nel proseguire « … Flaviano se ne accorse e si parò davanti a me. È morto per proteggermi… »
Riaprì gli occhi e vidi ardervi il fuoco. « Lo vendicai, non ebbi pietà. Corsi poi da lui e sperai di non arrivare troppo tardi. Volevo salvarlo, dare la mia stessa vita per lui, ma era troppo tardi. Mi fece promettere di proteggere voi e il figlio che recavate in grembo ed è quello che intendo fare ».
Sentii le lacrime pungermi gli occhi ma le ricacciai indietro. Strinsi a me Alizée e poi domandai ancora.
    « Dove riposa ora il suo corpo? »
Non avevo potuto vederlo, né piangere sulla sua tomba. Flaviano dimorava solo nel mio cuore e il suo corpo?
    « Ho provveduto a tumularlo su una collina nei pressi del luogo della battaglia. Lì giace e il punto è indicato da una croce di legno sprofondata nella terra, come memento ».
Gli sorrisi grata per quel suo gesto e compresi con più intensità l’affetto vero e sincero che l’univa a Flaviano. Ero certa che anche lui avrebbe fatto lo stesso e quella protezione che ci donava mi faceva sentire meno sola.
Posai una mano sulla sua e la sfiorai leggermente.
    « Non dovete sentirvi in colpa per quanto è successo. Flaviano ha fatto il suo dovere, prima come soldato ma soprattutto come amico. Vi era veramente affezionato. Sono sicura che voi avreste fatto lo stesso, perché il vostro cuore è nobile » gli sorrisi ancora una volta, arrossendo lievemente quando lui mi guardò con una tale intensità da penetrarmi nell’anima.  Mi ci volle qualche secondo per ritrovare la voce, e continuare. « In questi mesi ci siete stato molto vicino e vi devo ringraziare dal profondo del mio cuore. Avete contribuito a farmi andare avanti, nonostante la grande perdita ».
Mickel non disse nulla, limitandosi a muovere le labbra in una parvenza di sorriso, ed io mi accorsi solo in quel momento di aver lasciato ancora la mia mano sulla sua. L’allontanai subito, sfiorando i riccioli di Alizée che giocava serena con i ciuffi d’erba.

    Restammo qualche ora ancora in quell’angolo di Sivelle silenzioso e riparato dal chiasso del centro. Non c’era bisogno di grossi discorsi tra noi. Rispettavamo i nostri silenzi e ciò mi portò a concentrarmi sulla natura circostante. Il tempo era volato dalla nascita di Alizée. Inizialmente mi ero trovata in difficoltà. Il dolore era troppo grande nonostante la gioia di quel nuovo arrivo; non avevo esperienza come madre e, se non fosse stato per le mie sorelle streghe e per Madame Le Marchand, mi sarei sentita persa.
Non tornai troppo spesso al Salice, ma solo quando l’opportunità si presentò e non mi sentii veramente sicura di non essere vista. Alizée diventò il nostro piccolo gioiello e tutte l’adoravano immensamente. La dolcezza infinita di Lydie con la mia piccola mi riempiva il cuore. Quella bambina aveva tanto sofferto a causa della cattiveria umana, ma ora poteva finalmente vivere la sua infanzia, in un ambiente dove l’affetto era grande. L’antro era un luogo magico, fuori dal mondo reale, dove potevamo essere al sicuro dalla crudeltà, dalla violenza e praticare quelle semplici lezioni che ormai non mi sembravano più atti dettati dal Demonio.
Mi recavo ancora in chiesa a sentire i sermoni di Padre Paul, ma puramente per non essere vista male e recare turbamenti a quella serenità nella quale ero riuscita a entrare di nuovo.
Madame Le Marchand si rivelò essere – con grande stupore di molti – una splendida nonna, ed io ormai non riuscivo a non vederla come una nuova madre.
Eppure c’era un altro vuoto che non poteva ancora essere colmato. Nessuna lettera arrivò. Nessuna notizia.
    « Avete avuto notizie da lei? »
Un’ombra oscurò il viso di Mickel, e poi scosse la testa.
    « No. È a Parigi, l’unica cosa che sono tenuto a sapere ».
    « Non mi sembra giusto. Voi siete il suo uomo, vi dovevate sposare presto e… mi sembra così strano che ancora non abbia mandato notizia alcuna ».
Si strinse nelle spalle, ma mantenne il silenzio per qualche istante.
    « Non obbligo nessuno a restare » disse, ed io non riuscii a rispondere se non dopo diversi minuti.
    « Mi manca. A volte vorrei correre da lei a conversare come un tempo, ma lei non c’è più. È un’ombra che via via sbiadisce nei ricordi… »
Mi sentivo arrabbiata e ferita. Non ero più preoccupata, perché i Conti avevano confermato che era viva e felice presso la corte reale, ma mi sentivo messa da parte come se, ora che viveva in un ambiente più altolocato, io non contassi più nulla per lei. Poi mi dispiaceva anche per come si era comportata con il suo uomo. L’amava aveva detto e avrebbe voluto sposarlo. Lui era quello giusto e perché lo aveva lasciato senza una parola?
Sospirai, affranta, ma poi avvertii un soffio d’aria fredda sferzarmi il viso. Rabbrividii e Mickel se ne accorse. Mi guardò e poi osservò il cielo.
    « Il sole sta per tramontare, è meglio tornare a casa, il freddo può far male alla bambina ».
Annuii al suo dire e, stringendo Alizée a me per ripararla dall’aria, mi alzai e, insieme, tornammo nella mia dimora, dove mi lasciò.



*



    Maggio tornò e portò con sé il triste ricordo della morte del mio amato. Quel giorno stesso mi svegliai e, affacciandomi sulla strada, rammentai l’immagine dell’anno precedente. I soldati che tornavano, ma lui non c’era.
Una fitta ferì il mio cuore e, ancora una volta, le lacrime sgorgarono improvvise e non ci fu modo di bloccarle. Caddi a terra e il mio corpo fu scosso da singhiozzi. In quel momento il pianto di Alizée risuonò nella casa, e mi spinse a ritrovare la forza per rialzarmi. Non era facile, ma dovevo essere determinata per lei. Detersi le lacrime con una manica della veste e mi avvicinai alla culla dove la piccola piangeva. La presi tra le braccia e la cullai amorevolmente per placarla.
    « Mio dolce tesoro, bambina mia, shhh ».
Nonostante la mia voce fosse leggermente roca, intonai una dolce nenia per farla addormentare di nuovo. Pian piano il pianto sfumò, fino a terminare del tutto. Osservai quegli occhi così uguali a quelli di suo padre, e trattenni le lacrime a stento, fino a quando non si chiusero e Alizée si addormentò.
    « Ti proteggerò sempre… » mormorai appena, stringendola ancora un poco a me. Era l’unico dono che la vita mi aveva lasciato per ricordare quell’amore che pensavo potesse durare per sempre, e nessuno me l’avrebbe potuto togliere.
Stavo per rimettere la piccola nella culla, quando qualcuno bussò alla porta, nonostante fosse ancora leggermente aperta. Riconobbi la voce di Mickel e, in quel momento, fui felice di vederlo. Avevo voglia di qualcuno che potesse proteggermi, distogliermi da quel dolore che era tornato a gravarmi nel cuore e, sebbene non ne comprendessi il motivo, desideravo veramente che la persona che aveva bussato fosse lui.
    « Entrate pure, Capitano Svensson » lo invitai con un gesto a entrare e poi aggiunsi « lascio la piccola e sono subito da voi. »
Mickel annuì reclinando appena il capo. Lasciai scivolare mia figlia sulla sua culla e poi tornai da lui, invitandolo ad accomodarsi, ma lui rispose:
    « Non sono qui per restare, ma solo per farvi una richiesta ».
    « Ponetemi pure qualsiasi domanda, Capitano » replicai, guardandolo con una nota di curiosità.
Il suo viso si contorse, come se gli costasse molto parlare. In verità, rispetto ai primi tempi, si era aperto con me, ma vedevo che in certi momenti era come se gli costasse molto abbassare quella sorta di muro che lo distaccava dagli altri.
    « Un anno è trascorso e vorrei tornare alla collina. Vorreste venire con me? » domandò e i suoi occhi grigi attirarono i miei. Ci misi qualche secondo per comprendere e poi sentii le lacrime tornare a pungermi gli occhi.
    « Sì, ma… la bambina? »
    « Potete lasciarla a Madame Le Marchand. Il viaggio non è molto lungo, ma potrebbe crearle problemi ».
Presi qualche minuto per rifletterci su, poi annuii.
    « Concedetemi qualche minuto per organizzare tutto e poi vi seguirò. Possiamo vederci all’ingresso della città ».
    « Bene, vi attenderò lì ».
Chinò appena il capo e uscì, ed io mi recai velocemente alla Maison di Madame, portando con me la piccola che continuava a dormire beata tra le mie braccia.
Quando Madame mi vide, strabuzzò i piccoli occhietti grigi ed indagatori, con sorpresa.
    « Desirée cosa ci fai qui? Uh, parbleu, c’è anche la piccolina ».
Sorrisi divertita nello scorgere il suo viso, segnato da rughe sempre più evidenti, illuminarsi nel notare Alizée.
    « Devo chiedervi un favore, Madame. Potreste tenermi la piccina per un giorno? »
    « Certamente, ma posso chiederti il motivo di una tale richiesta? » domandò, posando appena una mano su quella di mia figlia, ma rivolgendo il suo sguardo su di me.
    « Il Capitano Svensson mi ha proposto di andare con lui alla collina ove riposa il mio amato Flaviano » confessai, abbassando il tono di voce per non farmi udire troppo dalle altre presenti.
Madame socchiuse gli occhi, guardandomi torva, e bisbigliò.
    « Voi sola con il Capitano? »
    « Perché questa domanda? Non ci vedo nulla di sconveniente. Mi vuole portare alla tomba di mio marito » risposi dapprima veemente alla sua domanda, ma poi aggiunsi, cercando di rilassarmi, « è passato un anno da quando Flaviano è morto e non ho potuto piangere mai sulla sua tomba, sul suo corpo. Potevo solo aggrapparmi ai ricordi e so bene che sono importanti, ma voglio vedere dove il suo corpo mortale riposa ».
Madame mi osservò ancora con titubanza, ma poi sospirò.
    « Va bene, lascia la bambina a me, ma cerca di tornare presto ».
Tese le braccia per prendere Alizée ed io, dopo aver dato un bacio sulla testolina bionda, la lasciai – seppur con un po’ di riluttanza giacché era la prima volta che mi allontanavo abbastanza dalla mia bambina, anche se per poco – a Madame che l’accolse con allegria.
Com’era cambiata. O forse, era meglio dire che era questa la vera Madame che si celava dietro una scorza dura.

    Mickel Svensson mi attendeva davanti alle mura principali della città di Sivelle, e recava con sé due cavalli: una puledra dallo splendido manto marrone e uno stallone nero.
Gli sorrisi lievemente e poi iniziammo il nostro percorso.
« Siete disposta ad andare veloce? » domandò, dopo un breve tratto a passo tranquillo.
« Credete che solo voi sappiate cavalcare? » domandai, schernendolo un poco, e poi spinsi la puledra a farsi più celere, sorprendendo forse lo stesso Capitano che, tuttavia, in cima al suo destriero scuro come la notte, riuscì in breve tempo a raggiungermi e superarmi. Acquisimmo ben presto una notevole velocità; sentivo il vento insinuarsi tra i miei boccoli e sferzarmi sul viso. Tuttavia la ritenevo una sensazione piacevole: l’aria era il mio elemento, la mia essenza, la sostanza immateriale cui ero più affine e non mi disturbava. Anzi, era un’amica che sussurrava parole leggere, mi accarezzava e teneva compagnia in quel viaggio che mi avrebbe portata ove il corpo del mio amato riposava da oltre un anno.
Ci fermammo solo un paio di volte a ristorarci e far abbeverare i cavalli. Non parlammo molto, ma notai quanto anche lui si trovasse in perfetta sintonia con la natura. L’osservai mentre chiudeva gli occhi e sembrava ascoltare una sinfonia nascosta, ed io rivolsi i miei occhi al cielo, così limpido, se non fosse per qualche soffice nuvola bianca che lo colorava un poco. Amavo perdermi a osservare quel punto lontano e infinito, e scoprire le forme più particolari che le nuvole assumevano.

Quando ormai era giunto il crepuscolo, Mickel si volse verso di me e indicò una piccola sommità non lontana da un sentiero che fuoriusciva dalla foresta.
Sollevai lo sguardo e notai una sagoma nera che sembrava come una croce cristiana e compresi che era quello il posto.
Improvvisamente avvertii un senso di freddo e mi strinsi nel mantello blu, mentre i nostri passi ci spinsero sempre più vicini.
Mickel scese a terra e lasciò il cavallo, poi aiutò anche me. Lo ringraziai e poi tornai a voltarmi verso la croce conficcata a terra.
Mi sentii a un tratto pesante, le mie gambe tremavano, mentre mi muovevo fino a quel punto sotto il quale riposava nel suo sonno eterno – almeno per i cristiani – il corpo del mio amato marito. Crollai a terra e sfiorai con le mani la croce, leggermente logora, ma ancora resistente al tempo. Subito affiorarono ricordi di un tempo che fu, nel quale eravamo felici e innamorati, progettavamo un futuro insieme. Ma ora? Tutto era svanito come cenere nel vento.
Non riuscii a trattenere ancora le lacrime che scesero con prepotenza a rigarmi il volto. Posai le mani sul terreno, come se potessi toccare anche lui, e invocai più volte il suo nome.
Flaviano, Flaviano, Flaviano…
A un tratto, però, avvertii un tocco leggero sulla mia spalla destra. Mi voltai con gli occhi ancora colmi di lacrime e notai Mickel al mio fianco, che si sforzava di mantenere un aspetto forte, ma nei suoi occhi leggevo il profondo dolore che, in un certo senso, ci univa ed era rivolto al medesimo uomo che avevamo amato, seppur in modi differenti.
Dopo non so quanto tempo, mi sollevai da terra, detergendomi le lacrime con la manica della veste, e guardai per l’ultima volta il punto in cui solo la croce rimaneva a memento del mio amato.
Guardai Mickel e i nostri occhi s’incontrarono scambiandoci muti pensieri. Lo ringraziai senza parole e lui scosse leggermente il capo e poi, istintivamente, mi ritrovai tra le sue braccia, forse desiderosa di un gesto di conforto – e che potesse confortare nel medesimo momento anche lui -.
Mickel sembrò inizialmente sorpreso da quel mio slancio, ma poi mi circondò con le sue forti braccia e mi lasciò sfogare in silenzio.
Aveva imparato a conoscermi ed io gli fui grata, perché in quel momento non potevano esservi parole adatte per confortarmi e l’unica cosa che occorreva era il suo abbraccio.
L’abbraccio protettivo e affettuoso di un amico.

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Capitolo 29
*** XXVIII - Notte di Mezza Estate (parte prima) ***


XXVIII
Notte di Mezza Estate 
(prima parte)





    Una fiamma riverberava nell’oscurità della collina. C’eravamo accampati lì per la notte, sotto un cielo denso di stelle e completamente sgombro da nubi. Non avevo mai passato la notte all’aperto, ma in compagnia del Capitano Svensson potevo mantenere una certa tranquillità. Con il trascorrere dei mesi avevo iniziato a fidarmi di lui e, dopotutto, era un uomo d’armi ma anche d’onore. Ero avvolta nel mio mantello, cercando di ripararmi da una leggera brezza che mi sfiorava il collo. I miei occhi erano fissi sulle fiamme, ma con il pensiero le oltrepassavo, scrutando la croce sotto la quale riposava nel suo sonno eterno l’unica persona che avevo amato. Il mio uomo, la mia vita, mio marito.
Il Capitano era lì, inginocchiato dinanzi alla sua spada conficcata nella terra, e sembrava mormorare delle parole che al mio udito non erano comprensibili. Non era la mia lingua, era così distante, così diversa. Sembrava assorto come in preghiera e fintanto che proseguì, non me la sentii di parlare. Lo fissai ammirata e anche confusa, e poi lui sfilò la spada e tornò a sedersi di fronte a me, gettando rapidamente gli occhi sul fuoco, come se volesse controllarlo.
    « Capitano Svensson? » domandai, dopo qualche altro breve attimo di silenzio. Lui sollevò lo sguardo verso di me ed emise solo un leggero mugulio come a farmi comprendere che ascoltava.
    « Posso farvi una domanda? » aggiunsi e, al suo gesto di assenso con il capo, continuai: « Che cosa significavano quelle parole che avete detto dinanzi alla croce sotto la quale riposa Flaviano? »
Lui mi guardò per qualche istante, e il suo sguardo era pensoso, come chiedendosi mentalmente se parlarne con me o meno, ma poi schiuse le labbra e disse:
    « Ecco, io là vedo mio padre.
    Ecco, io là vedo mia madre e le mie sorelle e i miei fratelli.
    Ecco, là vedo tutti i miei parenti defunti, dal principio alla fine.
Ecco, ora chiamano me, m’invitano a sedermi in mezzo a loro nella sala del Valhalla. Dove l’impavido può vivere per sempre. »
Inarcai le sopracciglia turbata. Non riuscivo a comprendere questa sua “preghiera”, né cosa fosse questo Valhalla che non sapevo neanche pronunciare nel verso giusto. Lui mi sorrise divertito, forse cogliendo il mio turbamento e poi aggiunse:
    « Quella che vi ho appena detto è una preghiera del mio popolo. La recito nei momenti di sconforto per pensare che il sacrificio dei valorosi non sia mai vano ».
Il sacrificio dei valorosi.
Gli sorrisi grata e mi sorpresi per l’ennesima volta nel comprendere quanto puro e vero fosse stato – e fosse ancora reale – il suo tipo di amore nei confronti del mio amato sposo. Non era unicamente stato un suo sottoposto, ma un fratello, il suo braccio destro, la sua seconda spada. Restammo a parlare ancora un poco intorno al fuoco, per poi mangiare qualcosa che il bosco ci offriva. Bacche e una lepre che Mickel era riuscito a scovare. Poi ci sdraiammo a terra, pur mantenendo una certa distanza tra noi, per vero rispetto, e mi ritrovai a fissare le stelle immote sull’arco celeste. Erano così tante, così brillanti, di una bellezza di poco inferiore alla Luna. Il volto della Grande Madre risplendeva donando un sorriso alla terra, ma le sue piccole figlie o sorelle non erano da meno. Ognuna di loro, come ogni creatura vivente, poteva avere il suo scopo, il suo particolare attributo che le rendeva ognuna speciale a suo modo.
Incantata dalle bellezze della natura e del cielo, mi strinsi il mantello intorno al corpo e pian piano mi addormentai, sognando di riposare tra le braccia del mio amato sposo.


    Il mio riposo fu turbato da un ululato. Tremante mi ridestai, guardandomi intorno allarmata. Il Capitano Svensson era immobile, ritto, frapponendosi tra me e la foresta, mentre posava appena la mano sul pomo della spada. Lo osservai, affascinata, nonostante il terrore che s’insinuava in me.
Un altro ululato mi spinse a gemere ma fui zittita quasi bruscamente dall’uomo al mio fianco. Cercai di ripararmi accanto al fuoco ormai quasi morente, le ultime fiamme rischiaravano leggermente la collina, permettendoci di non essere completamente al buio. Non osavo parlare, nonostante avessi domande che mi agitavano e non mi mossi oltre, attendendo eventuali ordini dal Capitano. Lui, immobile, scrutava con attenzione tra gli alberi, fino a quando sembrò udire qualcosa che io non fui altrettanto abile da sentire. Lasciai vagare il mio sguardo tra gli alberi e, infine, notai due occhi lucenti osservarmi con aria famelica. Non mi servì aguzzare la vista per vedere meglio, immaginavo perfettamente quale belva fosse.
I lupi avevano infestato molte volte i miei sogni da quando era giunta voce che potessero trovarsi anche a Sivelle, e ora il pericolo era reale. Istintivamente mi ritrassi, fermandomi quando sentii il calore sempre più opprimente del fuoco. Sapevo che quegli animali ne avevano il terrore e un poco mi rincuorava rimanere così vicina a quell’elemento, che in verità, mi trasmetteva timore. Avrei voluto usare qualche incantesimo del mio elemento, ma non potevo farlo dinanzi a Mickel, e quindi pregai mentalmente la Dea di aiutarci e guidare la mano del Capitano o spingere il lupo ad andarsene.
Ad un tratto sentii l’uomo mormorare parole incomprensibili. I suoni erano duri, lontani dalla mia lingua, ma li associai subito alla sua terra, poiché erano così simili alla preghiera che aveva intonato in precedenza. Lo vidi chinarsi appena, puntando i suoi occhi di ghiaccio contro quelli lucenti del lupo che, dapprima feroce, sembrò farsi sempre meno aggressivo. Mi domandai silenziosamente il motivo per cui non avesse ancora estratto la spada, ma poi restai palesemente sorpresa da ciò che avvenne: con un guaito il lupo sembrò chinar la testa per un istante e poi prese a correre lontano, liberandoci dalla sua presenza.
Mickel tornò ben dritto e si voltò verso di me unicamente quando il lupo fu ormai scomparso ed io lo guardai, sorpresa e confusa.
    « Co-come avete fatto? » domandai con un filo di voce.
Lui scosse il capo leggermente, facendo qualche passo verso di me, ma guardando oltre la mia figura. Sembrò perdersi un momento nei suoi pensieri ma, infine, rispose.
    « Nella mia terra vi sono numerosi lupi e ho imparato a conoscerli. Molti temono che siano belve malefiche, ma spesso la loro ferocia è dettata dalla fame o dalla paura ».
    « Paura? » domandai, un tantino perplessa.
    « Esatto, paura. Anche loro ne hanno » replicò con freddezza.
« Avete pronunciato solo delle parole nella vostra lingua e… e… il lupo è scappato, anzi si è quasi inchinato a voi, prima di andare via. Io… non comprendo ».    
« Siete una donna troppo curiosa » disse, sfoggiando un sorriso sarcastico che quasi mi irritò se non fossi  stata ancora scossa dalla paura e dalla confusione che mi aveva arrecato quella scena. « Dovreste dormire. V’è ancora qualche ora all’alba, e il viaggio di ritorno non è breve ».
Non disse altro ed io compresi dal suo tono di voce, secco e tagliente, che non c’era possibilità di porre ulteriori domande. Tornai a sdraiarmi avvolta dal mantello, ma non riuscii a prendere subito sonno. Non era facile per me non provare paura di ritrovarmi addosso quella belva, anche se il Capitano aveva dimostrato doti maggiori di quelle che gli attribuivo.

    Il mattino giunse in fretta e mi accorsi di essermi, infine, addormentata, giacché avvertii le grandi mani di Mickel scuotermi un poco, con un tentativo di grazia che non gli apparteneva troppo, ed io mi ritrovai a osservare il sole che – ancora basso – tingeva di luce dorata la collina sormontata dalla piccola croce. Mi sollevai, mangiai qualche cosa, e poi sfiorai ancora una volta il terreno sotto il quale giaceva il corpo di mio marito. Qualche lacrima, ingrata, riuscì a scivolare di nuovo dai miei occhi, ma poi fui pronta per partire. Dovevo tornare a casa dalla mia piccola, prima che Madame pensasse che mi fosse successo qualcosa di grave o di scandaloso.



*



    « Ti manca ancora? » mi domandò Claire, mentre eravamo sedute a osservare la piccina che giocava allegra nella grande sala della Congrega del Salice.
Ora che Alizée aveva ormai un anno, andavo più spesso a trovare le mie sorelle per apprendere le loro arti, ma anche per trovare una piacevole compagnia.
La guardai per un momento, sprofondando in quegli occhi verde-acqua e poi annuii.
    « Sì. Nonostante sia passato un anno, non riesco a dimenticarlo. Ogni mattina mi sveglio nel nostro letto e lo sento vuoto. Senza di lui mi sembra sempre più duro andare avanti… Credo che questa mancanza non avrà mai fine ».
Claire mi prese le mani stringendole un poco tra le sue, comprensiva.
    « Ti posso ben comprendere ».
Inclinai appena la testa di lato, lasciando scivolare i biondi boccoli liberi da fermagli o altro, e chiesi:
    « Anche tu hai perso una persona amata? »
    « Sì, ma non allo stesso modo » rispose e socchiuse appena gli occhi, prima di continuare. « Non era di nobile nascita, come me, e mio padre non poteva accettare che la sua unica figlia si perdesse tra le braccia di un umile servitore. Ero destinata a sposare qualcuno di più altolocato per non gettare la nostra famiglia in disgrazia e farla risorgere a uno splendente futuro. Ma io volevo seguire il cuore e non la ricchezza. Così una notte scappai con il mio amato, e raggiungemmo Sivelle ».
Sospirò e riaprì gli occhi che si erano fatti liquidi, come se il suo elemento affine volesse palesarsi con intensità.
    « Eravamo felici insieme. Non m’importava di non avere più ricchi abiti, o servitori, o una dimora sontuosa. Poi, un giorno lui cambiò. Si fece scontroso, scostante. Si allontanò da me, fino al punto di sparire del tutto. Non potevo tornare a casa mia, e neanche volevo. E poi ho incontrato Sylvie… »
Mi commossi nell’ascoltare le sue parole e scorgere la fragilità che si nascondeva dietro quell’aspetto algido e forte, le sfiorai il viso leggermente con una carezza e poi dissi:
    « E lui non l’hai più visto? »
    « Solo una volta. Lo scorsi da lontano. Quando mi vide, mi sembrò di scorgere della sofferenza, ma poi scomparve di nuovo dalla mia vita. Ma… mi manca. È l’unico uomo che ho mai amato e che, nonostante tutto, sempre amerò… ».
Sembrò sull’orlo di piangere, ma riuscì a non scomporsi. Io la strinsi a me, e cercai di infonderle tutto il mio affetto. Mi ero legata a lei in maniera profonda, un poco più che alle altre. Era come una sorella che mia madre non aveva mai potuto darmi. Ci scostammo solo quando la giovane Elodie arrivò nella stanza – seguita da Cécilie e dalla piccola Lydie -, e risuonò la sua voce trillante e allegra, che riuscì come sempre a contagiarci.


*


    Il solstizio d’estate era appena passato ed io mi trovavo al laboratorio intenta a cucire, ma i miei pensieri vagavano altrove. Avevo trascorso il giorno più lungo dell’anno insieme alle mie amate sorelle streghe, andando alla ricerca di erbe propizie a una tale festa: verbena, aglio, ruta, artemisia e altre ancora. Avevo ascoltato con puro interesse la descrizione dettagliata che Cécilie ci donava riguardo alle loro proprietà e caratteristiche, aiutata di tanto in tanto dalla saggezza più acuta di Ophélie e da rari ma importanti, interventi di Sylvie. Il sole splendeva alto nel cielo e sembrava non avere mai fine. Adoravo quel giorno, poiché le tenebre sembravano non arrivare mai. Non che la notte fosse spaventosa, ora che avevo imparato a conoscerla, ma adoravo il calore che i raggi solari mi infondevano. Ricordai con un sorriso la mia piccola bambina tra le braccia di Claire, che si era proposta liberamente di permettermi un poco di riposo dal mio dovere di madre, il suo sguardo amorevole nei confronti di quel piccolo bocciolo che stava fiorendo e forse un desiderio nascosto di avere anche lei la stessa fortuna. Per un attimo mi rattristai ricordando la sua triste e breve storia d’amore e un senso d’irritazione per l’uomo che l’aveva abbandonata così miseramente mi fece pungere e gemere leggermente di dolore, attirando lo sguardo curioso di Julie che cuciva al mio fianco.
    « Vi siete fatta male? » mi domandò, apprensiva, ma io scossi il capo, sfiorandole una gota con la mano.
    « No ma pétite, sono stata solo un po’ sbadata ».
Quando tornò al suo lavoro, osservai con pura curiosità il suo lavoro: era sicuramente migliorata molto ed ero certa che ben presto sarebbe diventata un’ottima sarta, forse anche migliore di me. Sorrisi serena e tornai al mio lavoro, ma i miei pensieri tornarono alla sera prima, al rituale destinato al Dio che illuminava la terra in quel giorno tanto particolare. Eravamo tutte disposte all’interno di un cerchio, circondando una sorta di piccolo altare in pietra, con i simboli rituali più importanti: coppa, piatto, athamé, oltre alle erbe che avevamo raccolto, ovviamente.
Invocammo il Dio e la Dea e le nostre voci risuonavano alte e limpide nell’aria. Mi sembrava di rivivere un’altra vita, antecedente, lontana, ma allo stesso tempo vicina. Mi sentivo felice, completa. Sapevo che quello era il mio posto, la mia vera essenza.
Bruciammo le vecchie erbe e benedimmo le nuove, appena raccolte, e infine ci nutrimmo dei frutti degli alberi.
Un rituale magico che non avrei mai dimenticato e che avrei vissuto ancora e ancora, aumentando la consapevolezza in ciò che stavo attuando; ma i giorni di festa non erano ancora giunti al termine.
A pochi giorni di distanza, nella festa che la chiesa rivolgeva a San Giovanni, ci sarebbero stati fuochi propiziatori di fertilità, e un sorriso ironico mi sfuggì al pensiero che i cattolici rinnegavano comportamenti pagani che in verità avevano accorpato e continuavano a svolgere sotto diversi nomi. Non li comprendevo, ma speravo in cuor mio che presto la ragionevolezza potesse far svanire tutto il disprezzo per le antiche religioni, facendo trasparire il concetto che tutti gli Dei in fondo erano un unico Dio, così come tutte le Dee erano la rappresentazione di un’unica Dea.
    « Oggi siete sbadata davvero » disse ridendo Julie, notando come avessi fatto un errore di cucitura.
Me ne accorsi, ma sorrisi a mia volta, annuendo al suo dire.


*


    La vigilia della notte di San Giovanni era finalmente giunta. Tutta la popolazione di Sivelle, in particolar modo i contadini, aveva abbandonato presto i consueti lavori per dedicarsi alla preparazione dei fuochi sulla cima delle colline, nella campagna esterna alla città stessa. Notai l’allegria e il fervore che accendeva gli animi delle persone e che contagiarono anche me. Non appena fui pronta, mi recai alla Maison per cercare Madame Le Marchande con la quale avrei raggiunto il luogo destinato ai rituali. A noi si unì la piccola Julie che mi accolse con un sorrisone solare. Si stava creando già una lunga fila, e quando oltrepassai  le mura d’ingresso della città, fui accolta da una moltitudine di voci, che formavano un brusio incomprensibile. Ma c’era allegria, calore, festa. Alizée si agitava tra le mie braccia ma, quando qualcuno si faceva troppo vicino a noi, sprofondava il suo visetto sul mio petto, in cerca di protezione.
Si respirava un’atmosfera serena, libera da costrizioni o timori.
V’erano tavoli addobbati di leccornie varie e bevande di ogni genere: dalla birra, al vino, al sidro. Salutai con un sorriso l’oste Jean e sua moglie, che erano alle prese con il loro banchetto, e mi guardai intorno. Cercavo le mie amate sorelle che per l’occasione avrebbero presenziato a quella festa che non si discostava poi molto dal loro credo. Anzi, erano state le nuove religioni ad appropriarsi delle antiche, per poi condannarle con un’incoerenza che non riuscivo a comprendere.
    « Desirée! »
Qualcuno invocò il mio nome. Era una voce trillante, cui donai presto un volto: Elodie, Cécilie, Claire e la piccola Lydie stavano sopraggiungendo e in breve tempo ci circondarono. Notai i loro vestiti e sorrisi divertita nel comprendere come non avessero rinunciato ai colori del loro grado, sebbene non indossassero le tuniche dell’ordine. Rosso, verde, violetto e bianco, si univano al blu che indossavo e al dorato che adornava la mia piccina.
    « Mademoiselles è un piacere vedervi tutte! » esclamai, mantenendo un certo decoro per non dare troppo nell’occhio.
Elodie ridacchiò divertita, mentre la piccola Lydie mi si avvicinò sfiorandomi una mano libera. La guardai con tenerezza, sfiorandole appena il capo coperto da una semplice cuffia di stoffa che impediva di mostrare il rosso sangue dei suoi capelli.
    « Piccola mia… » sussurrai, e notai con la coda nell’occhio lo sguardo attento e implacabile dell’altra bambina al mio fianco: Julie puntò i suoi occhi sull’altra e le sue labbra si tesero in preda a una sorta di nervosismo. Scostai la mano dalla piccola strega neofita e, stavo per rivolgere parola a Julie, quando quest’ultima si allontanò senza saluto alcuno.
    « Quella bambina ha bisogno di educazione » commentò con irritazione Madame, per poi rivolgere i suoi piccoli occhi grigi alle streghe. « Lieta di conoscervi e rivedervi. Vi prego di scusare Julie e il suo comportamento inspiegabile ».
Claire, Cécilie ed Elodie scossero il capo e non fecero commenti, non essendosi offese e comprendendo, ma scorsi il viso turbato di Lydie e cercai di rincuorarla con un nuovo sorriso.
    « Non temere piccina, le passerà ».
Lydie annuì, ma non perse il suo turbamento.
    « Madame Ophélie e Mademoiselle Morin non sono qui? » domandai.
    « Credo che arriveranno tra qualche momento. Madame Ophélie aveva bisogno di riposare ancora un poco, ma prima che il sole scenda all’orizzonte saranno qui » rispose Claire in tono pacato.
    « Vi prego, Mademoiselle. Quando Ophélie sarà qui, sareste così gentile da chiamarmi? Vorrei trascorrere del tempo con lei » aggiunse Madame con un filo di commozione negli occhi.
    « Certamente, Madame Le Marchande, lo farò con molto piacere ».
Claire chinò appena il capo biondo, intrecciato con eleganza che tanto la faceva apparire come una nobile donna, per il suo portamento, i suoi gesti, la sua incantevole bellezza, nonostante indossasse un abito di una certa semplicità.
    Un brusio crescente interruppe le nostre ciarle, fino a che anche gli ultimi rumori non cessarono del tutto. Mi voltai e scorsi la figura alta e snella, tutta abbigliata di nero, di Padre Paul che risaliva la collina per porsi più alto rispetto al popolo.
I bambini furono zittiti dai più grandi, e tutti s’invitarono l’un l’altro a far silenzio per ascoltare il sermone di quell’uomo all’apparenza anonimo ma dotato di un grande carisma.
    « Fratelli e sorelle carissimi. Siamo qui riuniti oggi per festeggiare un uomo molto importante nella storia del nostro Dio: San Giovanni il Battista, colui che battezzò il Cristo e morì professando il vero e condannando i peccatori! In questa notte si accenderanno i fuochi che potranno scacciare da questa terra ogni essere immondo: streghe e stregoni, ma anche quelle belve feroci che tanto sono associate al Demonio! Ogni maleficio in questa notte non avrà motivo d’essere, perché la luce dell’unico Dio arderà alta e proteggerà tutti i figli che crederanno in lui! »
Il brontolio sommesso di Elodie, prontamente bloccato da Cécilie, allontanò la mia concentrazione dal sermone. Mi voltai a guardare le mie sorelle e non vidi in loro nulla di così malvagio. Guardai dentro di me e, nonostante i miei tanti difetti, non pensavo di essere una persona cattiva; e poi il mio sguardo spaziò tra coloro che ascoltavano con fervore il prete. Sembravano tutti pendere dalle sue labbra, compresa Madame, e un brivido freddo scivolò lungo la mia schiena. Se avesse saputo, mi avrebbe vista come un essere malefico e fatta bruciare nel fuoco purificatore?
Scossi il capo per scacciare quel pensiero, e scorsi in lontananza la figura alta e poco distante del Capitano Svensson. Non indossava la sua divisa, ma un semplice completo e i suoi occhi fissavano il prete sulla collina, ma la sua mascella sembrava contratta, come se fosse teso o irritato. Forse era solo una falsa visione che avevo avuto.
In quel momento Padre Paul concluse il suo sermone e invitò i contadini a fare festa, per poi allontanarsi e ridivenire anonimo, perdendosi tra la folla. Io mi voltai di nuovo a cercare Mickel, ma mi accorsi che era scomparso. Sospirai appena e, proprio in quel momento, sentii la voce un poco roca e bassa di Ophélie.
    « Rosa Bianca, piccolo bocciolo, eccovi qui » mi voltai, e la piccola Alizée tra le mie braccia riconobbe l’anziana, tendendo le braccia paffute verso di lei, gioiosa. Ophélie sorrise e aggiunse: « Il suono della risata di un bambino così piccolo è musica per le mie orecchie d’anziana… »
    « Ophélie… » mormorò Madame al mio fianco, donando appena di uno sguardo e di un saluto la figura minuta della Gran Maestra, Sylvie.
    « Angélique, siete voi? » domandò, l’anziana strega, tendendo le sue dita gracili e rugose verso di lei. Madame l’accolse con cura tra le sue mani ed io le lasciai a parlare con tranquillità.


    Il cielo stava assumendo appena sfumature un poco più scure, sebbene il sole fosse ancora presente e illuminasse il luogo, ma già la gente cantava e ballava allegra, abbeverandosi e mangiando tutto quel ben di Dio che trovavano sui vari tavoli. Io seguii le altre, mi accontentai di poco, e poi ci sedemmo tutte sul prato a parlare o a lasciare che i silenzi riempissero quei momenti che ci dividevano, ancora per poco, dall’accensione dei sacri fuochi.
    « Le religioni che seguono il Cristo pensano che il fuoco possa scacciare gli spiriti maligni e le streghe dalla terra, ma… noi siamo qui » iniziò Sylvie, venendo interrotta dal brontolio di Elodie che non poté più trattenersi dal dire:
    « Sono ridicoli, ecco! Non mi pare che i loro fuochi o le loro parole ci facciano del male, eppure noi siamo… »
Lo sguardo intimidatorio di Sylvie, però, la spinse a bloccare subito il suo dire, non volendo incorrere nell’ira della Gran Maestra, la quale riprese il suo discorso.
    « Placa il tuo nervosismo, sorella » sfiorò con le mani uno stelo d’erba e continuò.     « Ognuno deve essere libero di professare e credere in ciò che vuole, purché non vada a intaccare la vita o le convinzioni altrui. So bene che loro non lo fanno, ma noi non siamo allo stesso modo. Rispettiamoli ».
Mi persi a guardare quella giovane donna dotata di una saggezza così grande, e il mio cuore palpitò della più completa ammirazione. Se Padre Paul aveva un gran carisma, poteva solo sfigurare di fronte alla saggezza di Sylvie e della Dea che serviva e che spesso notavo in lei.
Alizée gattonò sull’erba, sfiorando le gambe della Gran Maestra e subito tentai di riprenderla, ma Sylvie m’interruppe con un gesto.
    « Lasciala stare Desirée, non mi disturba ».
Annuii e la guardai prendere la bambina tra le braccia e sprofondare le mani tra i suoi riccioli biondi. Lydie, al suo fianco, la guardava con tenerezza e non lessi gelosia alcuna. Era così tenera e così diversa da Julie…
    « Noi cosa vediamo in questa festa? » domandai, con curiosità.
    « Secondo un’antica credenza in questa festa il sole, associato ai sacri fuochi che a breve saranno accesi, si sposa con la luna, legata all’acqua. I nostri riti non si discostano da quelli dei Cristiani. I falò servono a purificare, sono legati alla fertilità e la rugiada mattutina, che potremo vedere e raccogliere domani, ha i medesimi significati ».
Fertilità e purificazione. Due significati in cui credevano anche i Cristiani, e allora perché non riuscivano ad accettarsi?

    « I f-fuochi! » ci interruppe Lydie, volgendo lo sguardo ammaliato e colmo di curiosità verso la collina.
In effetti, le ore erano passate velocemente, e il cielo si tingeva di viola e di rosso. Contadini erano saliti sulla collina e nei territori circostanti ed erano pronti ad accendere i falò. La festa aveva davvero inizio.
    « Voltatevi sorelle, e protendete i vostri spiriti al fuoco. Rivolgete i vostri pensieri e il vostro cuore al Dio Luminoso, che vi riscalda con il suo calore ».
Le parole soffuse di Sylvie mi penetrarono nel cuore, ed io mi persi nel fuoco. Mi sentii avvolgere dalle sue spire, calde ma non ustionanti. Il fuoco era un sacro elemento che avevo studiato e appreso. Avvertivo la pelle ardere di un calore speciale, quello del Dio Luminoso che s’insinuava fin dentro la mia anima, accendendola di una nuova luce.









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Lo so, lo so. Ci ho messo veramente troppo tempo ad aggiornare questa storia, ma ho avuto un periodo pieno di impegni, tra lavoro e altre passioni, non ho trovato modo di farlo prima! Spero però che questo capitolo vi piaccia, anche se è l'insieme di tanti, singoli momenti, che mettono in luce i diversi personaggi.
Il prossimo capitolo è la continuazione di questa magica notte dove... be', scoprirete che accadrà!
Le parole di Mickel sono una preghiera normanna funebre, prima di una battaglia. Una persona mi ha consigliato di inserirla, e l'ho trovata adatta al contesto.

Alla prossima! (sì, questa storia è lunghetta... :P)

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Capitolo 30
*** XXIX - Notte di Mezza Estate (seconda parte) ***


XXIX
Notte di Mezza Estate  
(seconda parte)




    La notte molto lentamente sembrava occupare il posto del giorno, ma io avvertivo ancora il calore del sole sulla mia pelle. Avanzavo lentamente tra la folla festante: gruppi di persone si riunivano in grandi cerchi, danzando, cantando; uomini tracannavano birra e vino a fiumi, bambini si rincorrevano felici, donne parlavano tra loro o accettavano con timidezza gli inviti di baldi messeri.
I falò ardevano alti sulle colline e, voci si alzarono colte da stupore, quando fascine infiammate venivano fatte precipitare lungo i pendii, per poi essere accompagnate da grida e canti.
Il calore infiammava gli animi delle persone ed io non riuscivo a smettere di sorridere, mentre stringevo al petto la mia bambina, ormai assopita.
Mi ero allontanata dalle mie sorelle streghe per vagare un poco in solitudine, Madame era rimasta con la cara Ophélie, ed ora i miei piedi si muovevano, quasi istintivamente, verso i fuochi.
Mi tenni un poco lontana per non disturbare il sonno di Alizée, ma socchiusi gli occhi per avvertire più profondamente quell’elemento legato al mio. Il fuoco purificatore, fonte di fertilità.
Quando riaprii gli occhi, scorsi un volto al di là del fuoco. Il volto di un uomo alto, con una cicatrice che gli sfiorava l’occhio destro, scorrendo verso il collo.
Mickel Svensson era lì, ma non appariva come il fuggente e freddo Capitano delle Guardie, ed io quasi inconsapevolmente, mi mossi e mi ritrovai ben presto dinanzi a lui.
    « Capitano, anche voi qui? »
    « Non chiamatemi capitano, non in questo giorno » rispose, fissandomi con i suoi occhi di ghiaccio.
    « Perdonatemi » chinai appena lo sguardo, ma poi tornai a osservarlo, spinta da una strana forza che non mi permetteva di sviare oltre i miei occhi da lui. « Notavo l’assenza della vostra divisa, in effetti. Siete anche voi spinto dal desiderio di festeggiare? »
Un sorriso ironico incurvò le sue labbra, prima di rispondermi:
    « Sì, ma, forse vi deluderà o irriterà sapere che non è al Santo Cristiano che il mio cuore è rivolto ».
Lo fissai con stupore. La sua mascella si contrasse, forse credendo che fossi sconvolta da quelle parole, che per i cristiani potevano sembrare oscene o blasfeme, ma il mio stupore era per un motivo diverso.
    « Ecco, vi ho sconvolto. Vi lascio al vostro Santo », fece per andarsene, ma io lo fermai.
    « No ».
Lui si fermò e mi guardò con aria interrogativa e perplessa.
    « Non andate via, ve ne prego » mi fermai un solo istante, per cercare di sistemare i pensieri. « Non sono né delusa, né irritata, né sono qui per criticarvi o spingervi ad accettare qualcosa di diverso da quello che il vostro cuore ha scelto di seguire ».
Questa volta fu lui a essere sorpreso dalle mie parole, ma non gli permisi di dire altro.
    « Ognuno di noi deve credere in ciò che vuole, e… » esitai, non sapendo se potevo andare oltre, ma qualcosa nel mio cuore mi spinse a continuare con fiducia, « seppur sia nata avendo un determinato credo, la mia vita è cambiata da più di un anno. Vi prego di serbare queste mie parole nel vostro cuore e di non tradirmi. Io… sento di potermi fidare di voi ».
Sorprendendomi di nuovo, Mickel allungò una mano a prendere la mia, con esitazione, poi la presa si fece più salda. Il suo tocco era caldo, o forse era solo la presenza del fuoco così vicino a donarmi quel senso di calore?
    « Potete fidarvi e parlare liberamente, ma forse è meglio non qui ».
Mi voltai e notai la presenza di altre persone intorno a noi che, seppur fossero presi dalla festa, potevano essere orecchie indiscrete e fonti di pericolo, non solo per me.
Tenendomi sempre per mano, Mickel mi condusse al limitare di un boschetto nei pressi della collina. Da lì si potevano scorgere ancora gli alti falò, ma il vociare sembrava più attenuato, distante.
M’invitò a lasciare la piccola a terra, avvolta da un mantello, in modo da riposarmi un poco dal suo peso – sempre più evidente – e poi ci sedemmo a una distanza piuttosto ravvicinata, eppure non provavo disagio. In fondo era solo un caro amico di cui ormai sentivo sempre più di fidarmi, no?
    « Qui potete parlare ».
Annuii, ma per qualche istante ancora rimasi senza parole. Pensieri iniziarono a vorticare nella mia mente, e le immagini di Flaviano e Mickel si confusero. Flaviano era cristiano, lui non avrebbe mai accettato il mio credo, lui detestava le streghe, mentre Mickel sembrava così vicino a me…
    « I miei genitori erano ugonotti, ma a causa del conflitto tra le due religioni persero la vita ». Il ricordo gravava ancora nel mio cuore, ferendolo con ferocia. « Tuttavia, Madame continuò ad insegnarmi la medesima religione che qui, a Sivelle, è accettata. Credevo fermamente nell’unico Dio, e mi reputavo una buona credente, ma poi… ho incontrato delle donne. Fanciulle come me, perlopiù, che mi fecero aprire gli occhi. Mi mostrarono un’altra religione. Antica, oltraggiata, rinnegata, eppure così simile alle nuove… »
Avvertivo lo sguardo sincero di Mickel scrutarmi, ma non condannarmi né giudicarmi e, quindi, continuai con maggiore fiducia.
    « Mi accolsero come una sorella, una figlia. M’insegnarono la saggezza, la conoscenza delle erbe, delle pietre, e… ad amare il Dio, ma anche la Dea sua consorte. A un tratto, si è aperto qualcosa in me, una consapevolezza nuova. Mi sono sentiva veramente completa una volta che ho imparato ad accettare tutto questo e ad aprire gli occhi e il cuore. Ma… non posso parlarne con nessuno. Siete il primo con il quale mi sono aperta, e… non so perché ma non temo ripercussioni sulla mia vita, sulla mia piccola, sulle persone che mi hanno accolta. Posso fidarmi di voi, non è così? »
Mickel mi guardò intensamente, ma non riuscivo a decifrare i sentimenti sul suo volto. Era di nuovo una maschera impassibile, ma poi le sue grandi mani avvolsero le mie, e compresi in quel gesto muto di non temere nulla. Mi sentivo libera ora, cose che non avevo potuto dire neanche al mio amato sposo ora potevano essere condivise con una persona che, fino a pochi mesi prima, pensavo di odiare.
    « Il vostro segreto è in buone mani » proferì, non lasciando le mie mani. « Anch’io credo in qualcosa di diverso da quello in cui credono i Cristiani; so quanto sia pesante dover nascondere il nostro vero io, una parte di noi che gli altri non possono comprendere ».
Non sapevo bene cosa dire, ma scorgevo nel suo sguardo che dovevo trattenere il mio desiderio di sapere di più. Per una volta ritrassi la mia curiosità e accettai quelle poche parole di comprensione. Mi sentivo a mio agio con lui e così intenta a sfogarmi, non mi ero veramente resa conto della nostra vicinanza, delle nostre mani ancora unite, e della lontananza dal resto della popolazione.
Sedevamo a terra, tra alberi che s’innalzavano verso il cielo ormai scuro. Stelle luminose spiccarono come perle sul manto nero, e la luna sembrava essere invisibile nel suo ciclo oscuro. Da lontano si sentivano le grida, i canti, e le risate di chi ancora festeggiava. Per un attimo mi chiesi dove fossero le altre streghe e Madame, ma poi i miei pensieri si persero sulla volta del cielo notturno. Restai ferma a guardare in alto, con le mani ancora nelle sue, come se non volessi allontanarle o respingerlo e, quando spostai lo sguardo verso di lui, mi accorsi che anche lui sembrava assorto nei suoi pensieri e non la smetteva di fissare qualcosa nel cielo, ma poi, come avvertendo di essere osservato, si voltò e i nostri occhi s’incontrarono.

    Avvertivo il calore del fuoco pervadermi ancora e uno strano desiderio s’insinuò con veemenza in me. Mi sentii attrarre come a una forza soprannaturale e, in breve tempo, mi ritrovai tra le sue braccia. Lui non si trattenne, se non per un impercettibile istante in cui il suo corpo divenne rigido, ma poi sembrò rilassarsi e avvolgermi a sé. Non c’erano sguardi a scrutarci, né pericoli. C’eravamo solo noi e la mia bambina che riposava tranquilla sul manto erboso, ma dentro di me sentivo che non m’importava nulla se anche ci fosse stato qualcuno intorno. Riposi i mille pensieri in un angolo della mia mente e lasciai che il cuore mi guidasse. Era come se non rispondessi più delle mie azioni, della persona ferma e rigida che ero, dei mille dubbi che mi portavano spesso a non fare certe cose, per paura di peccare, di sbagliare. Sentii le sue mani sfiorarmi il volto e socchiusi gli occhi; scivolarono sul mio collo e poi, lentamente, sui miei seni. M’irrigidii, colta da un gesto che non provavo più da mesi e mesi, ma poi tornai a rilassarmi.
Lo lasciai sfiorarmi e mi accorsi che lo faceva con una delicatezza che non sembrava appartenergli. Riaprii gli occhi e scorsi un sorriso sulle sue labbra, che ricambiai. Gli sfiorai il viso, seguendo la linea della cicatrice che dall’occhio destro scendeva sino al collo; poi vi posai le labbra, lasciando una scia di baci, come nel tentativo di lenire quella ferita che in verità era già guarita, come se potessi farla svanire.
Il desiderio era forte in me, il fuoco pulsava nel mio corpo, e mi lasciai andare senza più restrizioni o esitazioni. Le mie mani scivolarono sulla camicia bianca e, notando una sorpresa nel suo sguardo, le insinuai sul suo petto, togliendola poi del tutto. Notai, grazie al riverbero delle fiamme lontane ma alte, altre cicatrici che baciai nuovamente. Lo sentii sussurrare il mio nome.
Desirée.
Mi fermai. Non l’avevo mai sentito pronunciato dalle sue labbra e mi parve ancor più bello. Alzai il volto e lui lo raccolse tra le sue mani, spingendolo al suo. Le nostre labbra s’incontrarono e unirono, scoprendosi, avviluppandosi. Mi baciò con passione, una sensazione che ormai ci avvolgeva entrambi.
Sentii il tonfo di tamburi in lontananza, le risate, forse i salti dei giovani amanti sui fuochi per propiziare il loro amore, la fertilità, la gioia, e intanto, in quel piccolo angolo riparato, riscoprivo un amore nuovo, una passione intensa, un desiderio che non riuscivo e non volevo bloccare.
Le sue mani tentarono di slacciarmi il vestito, ma notando il suo fare inesperto in quel settore, lo fermai e mi alzai. Con un sorriso divertito sul volto, mi tolsi con facilità l’abito lasciandolo scivolare a terra. Lessi desiderio nel suo sguardo e tornò a tirarmi giù, su di lui. Mi abbandonai di nuovo tra le sue braccia forti e lasciai che mi baciasse in ogni lembo libero di pelle. Provai brividi quando le sue labbra, ardenti, si posarono sul mio collo e all’altezza del seno. Poi mi scostò da sé, permettendoci così di liberarci del tutto degli ultimi residui di vestiti, e ci fermammo a guardarci per qualche istante, come non ci eravamo visti mai: due corpi nudi, osservati dalle immote stelle del cielo, e circondati dalla natura silenziosa e protettiva. Le mie gote si accesero di un colorito rossastro, ma poi mi distesi al suo fianco e lo lasciai baciarmi e accarezzarmi; gli permisi di esplorare il mio corpo, di conoscerlo in ogni singolo dettaglio, come io potei conoscere il suo. Le nostre mani sfiorarono i nostri corpi, con sempre più ardente desiderio. Avevo voglia di lui, una voglia insaziabile che non potevo comprendere: ai miei occhi era come la personificazione del Dio Luminoso che s’insinuava in me, con la sua luce, la sua fiamma, facendomi ardere e mi chiesi se lui mi scorgeva un poco come l’immagine della Dea.
Mickel sfiorò le mie gambe, insinuando pian piano le dita nella mia intimità. Avvertii un leggero fastidio, che pian piano si trasformò in piacere. Da tempo non mi concedevo a quell’atto d’amore totale, ma il mio corpo sembrò abituarsi presto a quel tocco, e quando il desiderio divenne troppo grande per attendere ancora, ci unimmo in un unico corpo. Era sopra di me, i nostri corpi iniziarono a muoversi in quella sorta di danza magica che portava a raggiungere l’apice del piacere, qualcosa d’indescrivibile a parole. Era come morire, di una morte lenta e deliziosa, per poi rinascere ancora con un intenso piacere che rimaneva ancora nel corpo e ti rendeva diversa, nuova.
I suoni distanti si attenuarono sempre di più. Era come essere soli nel mondo. Io, Mickel e quel fuoco che si espandeva fin nelle nostre anime, nei nostri cuori e circolava nei nostri corpi. Sentivo i nostri gemiti risalire fino a cielo e sapevo che, intorno, altre coppie stavano unendosi in quell’estasi di piacere e di amore.
Amore?
Era veramente amore quello che provavo per lui? Quando tutto terminò e lui tornò a sdraiarsi al mio fianco, avvolgendomi ugualmente con un braccio, mi posi quella domanda.
Avevamo fatto bene? E Flaviano?
Per un attimo un senso di colpa s’insinuò in me, ma quando incontrai di nuovo lo sguardo di Mickel ogni pensiero svanì, e mi accorsi che la voce del cuore cantava a suon di battiti già la giusta risposta.



    I volti di Flaviano e Mickel, seppur diversi, si confondevano nei miei sogni. Sentivo una strana angoscia avvilupparmi in una morsa. Il sorriso del mio sposo si alternava agli occhi di ghiaccio del Capitano. Entrambi erano parte di me, ormai. Ma era stato giusto?
Poi una voce soffusa e distante sembrò tranquillizzarmi, divenendo una nenia dolce che mi cullò dolcemente, permettendomi di riposare più serena.
    Mi svegliai che non era ancora giorno inoltrato. Il mio corpo era ancora nudo e Mickel riposava al mio fianco, non avendo – forse – mai smesso di avvolgermi nella sua stretta protettiva. Sospirai felice e mi accoccolai un poco di più a lui, posando il capo sul suo petto, ma facendo attenzione a non svegliarlo. Alzai lo sguardo verso l’alto e aspirai l’aria mattutina, per poi alzarmi. Nascosta tra quegli alberi, non mi curai di poter essere vista e mi mossi di qualche lieve passo, prima di fermarmi a scrutare laddove gli ultimi residui dei fuochi continuavano a brillare, mentre il fumo si alzava alto nel cielo. Tra poco i contadini avrebbero portato il bestiame ad attraversare quella coltre di fumo, per togliere loro eventuali malattie o proteggerli.
Fertilità, purificazione.
Parole che risuonavano nella mia mente, mentre osservavo il mio corpo, il mio ventre. Quell’unico atto di passione, o forse amore, aveva potuto già generare una nuova scintilla di vita?
Scossi il capo a scacciare quel pensiero e poi risi. Che sciocca ero.
Osservai il mio corpo e notai goccioline di rugiada brillarvi.
Rugiada, l’acqua, la luna, la Dea. Avrei forse dovuto raccogliere un poco di rugiada per i riti divinatori, ma ero certa che le mie sorelle ci avessero già pensato. Chissà se si erano chieste dove fossi finita. Mi ritrovai a ridere di nuovo, fino a quando udii la sua voce dietro di me.
    « Perché ridi, Desirée? » domandò, confuso.
Mi voltai e guardai quel corpo perfetto ai miei occhi, anche con tutta quella serie di cicatrici che gli sfioravano corpo e viso, e poi risi di nuovo un poco, prima di rispondere.
    « Perché sono felice, Mickel ».
Mi sembrava strano chiamarlo solo per nome, eppure quel suono mi appariva più bello, più familiare, più mio.
Notai le sue labbra schiudersi in un sorriso e corsi tra le sue braccia che mi avvolsero di nuovo. Adagiai il capo sul suo petto, respirando il profumo del suo corpo e della nostra passione che si era consumata in un posto forse inconsueto ma perfetto per quella nuova me, o forse per la vera me.
Ero una figlia della Dea, la natura era il mio ambiente, il cielo, il nostro testimone.
Non poteva esserci altro posto dove donarmi al Dio Luminoso, o forse a colui che per tanto tempo pensavo di odiare, e ora invece… amavo?
Era davvero nato tutto in quel momento?
Non ne ero certa. Forse avevo solamente impedito a lungo quel desiderio, sopprimendolo e ricacciandolo indietro, avvertendolo come un senso di colpa, un tradimento verso l’uomo che avevo tanto amato.
Ma ora ero altrettanto certa che Flaviano sarebbe stato felice di quell’unione tra la sua amata e il suo migliore amico, l’unico di cui si fidava ciecamente e che avrebbe protetto anche la nostra bambina, che già lo adorava.

    Mi sentii morire e rinascere un’altra volta, prima che il sole sorgesse chiaro all’orizzonte, ma poi la piccola Alizée ci spinse a placare i nostri desideri, per occuparci di lei. Ci rivestimmo e, seppur con un filo di tristezza, lasciammo il nostro angolo speciale, dirigendoci verso la collina, dove chi aveva resistito alla lunga notte, ancora assisteva al rituale degli animali purificati. Trovai qualcosa da mangiare sia per Alizée sia per noi, e assistemmo l’uno accanto all’altra agli ultimi aspetti di quella festa, che ci aveva spinto a scoprirci e a comprendere i nostri sentimenti. Sarei voluta restare ancora abbracciata a lui, ma dinanzi alle persone dovevamo mantenere degli atteggiamenti dignitosi e far passare del tempo prima di abituare tutti alla nostra unione.
La fiamma pian piano svanì, tutto si fece cenere, e anche il fuoco della passione che quella notte mi aveva accesa si attenuò, ma non scomparve.
I nostri sguardi s’incontrarono più volte e mi parve di vederlo in modo diverso. Ai miei occhi non era più quell’uomo alto e distante che m’irritava, ma una persona che mi era stata vicina e aveva protetto me e la mia bambina quando la vita mi aveva tolto Flaviano. Un uomo che aveva riacceso la passione e che ora faceva parte di me. Provavo il desiderio di viverlo ancora di più, di scoprire meglio ogni parte di lui, di poter vedere svelato qualche suo segreto, di essere completamente sua.
    Quando tutto si finì, decisi di condurre Mickel dalle streghe. Mi fidavo di lui, ed ero certa di non fare errori. Non avrei messo in pericolo le mie sorelle e poi erano le uniche che non mi avrebbero giudicata. Madame Le Marchande mi voleva bene, ma non aveva mai accettato di buon grado la vicinanza con lui, e forse aveva bisogno di maggior tempo per comprendere e accettare.
    « Credi che quello che è successo, sia stata una follia? » mi domandò, ad un tratto. Io fermai il mio incedere e lo guardai, turbata.
    « No. Tu lo credi? » chiesi, ed ebbi una momentanea paura della risposta.
    « In un primo momento lo credevo, per Flaviano ».
    « Posso comprenderti, anch’io avevo paura di poter tradire Flaviano… ma non potevo più reprimere le mie emozioni. Mi sei stato così vicino, in tutto questo tempo e…io, io credo che Flaviano possa accettare quello che ci è successo... lui ti amava, come amava me, e… »
Lui mi sfiorò il capo, per poi chinarsi a darmi un bacio sulle labbra.
    « Non sei turbato per quello che penserà Louise-Marie? Lei, in fondo, potrebbe tornare e forse non la prenderebbe bene… » solo in quel momento pensai alla mia amica, e mi sorse ancora più il dubbio di aver sbagliato, anche se una grande parte di me scalciava per impedirmi di provare questo senso di colpa.
Lui s’irrigidì per qualche istante, ma poi rispose, in tono freddo:
    « Mademoiselle Lemoine ha fatto la sua scelta, ed io la mia ».
Non riuscivo a comprendere se fosse ferito da ciò che aveva fatto la dama, se avesse veramente provato qualcosa per lei, o meno, ma quando mi avvolse di nuovo tra le sue braccia e cercò di tranquillizzarmi, ogni pensiero negativo svanì e rimase l’immagine dell’uomo che ora amavo, che teneva tra le braccia la mia bambina, figlia del suo migliore amico, ma sembrava adorarla come se fosse figlia sua.
    « Credo che le mie sorelle saranno felici di accoglierti, ma forse anche un poco turbate, ma non ci condanneranno ».
Lui annuì, e procedemmo tranquilli per l’ultimo breve tratto che ci divideva dal Salice, ma quando fummo abbastanza vicini, ci raggiunse un lungo grido straziante di Claire e il fuoco che mi pervadeva mutò in ghiaccio.

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Capitolo 31
*** XXX - Gelosie nocive ***


XXX
 Gelosie nocive
    





    Il grido di Claire risuonava ancora nella mia mente quando, proferito l’incantesimo opportuno, mi ritrovai con Mickel e Alizée all’interno del corridoio oscuro che portava alla grande sala. Le streghe erano tutte lì, che circondavano la mia più cara sorella, scossa da un tremolio eccessivo, e il cui volto era di un pallore quasi spettrale.
Al nostro ingresso si voltarono e lessi uno sguardo di stupore e anche irritazione per la presenza del Capitano al mio fianco. Non le avevo avvertire, ma Sylvie non si curò subito di quell’inconveniente, presa da Claire.
Mi avvicinai di qualche passo, mentre Mickel rimase distante, come non volendo guastare una situazione già tesa, ma non osai dire una parola, giacché Claire stava mormorando frasi confuse, quasi sconnesse, e mi resi conto che stava avendo una delle sue visioni.
    « Non è finita... le nostre sorelle non hanno pagato abbastanza la follia umana. No! » si agitò tra le braccia di Sylvie, che tuttavia la trattenne saldamente, infondendole la sua energia. La sentivo vorticare nell’aria e le mie dita fremettero mentre brividi mi scorrevano lungo tutto il corpo.
    « Stanno tornando. Uomini vestiti di scuro. C’è malvagità, oh, troppa! Purificazione... le fiamme salgono in alto, c’è troppo fuoco, troppo. Oh Dea! »
Sylvie decise di intervenire e passò una mano a coprire per un attimo gli occhi stralunati di Claire, per poi allontanarla di nuovo. Era un gesto semplice che consentiva, però, di scacciare la visione, specialmente se spiacevole come quella.
    « Basta così, Claire. Torna tra noi » disse con autorità ma Claire tremò ancora tra le sue braccia, come scossa da una nuova terribile sensazione. Mi buttai a terra e le presi una mano, incurante dello sguardo alterato di Sylvie. Non potevo vedere colei alla quale ero più legata in quello stato, non potevo permetterle di perdersi tra i mondi e non tornare. Avevo bisogno di lei.
Sussurrai il suo nome, la richiamai, protesi la mia energia al suo corpo, così gracile e pallido. Per un attimo Claire sembrò calmarsi, il suo respiro era affannoso, ma sentivo che stava tornando; poi s’irrigidì e strinse con veemenza la mia mano, facendomi anche male. Gemetti leggermente, ma guardai preoccupata il suo volto contratto. Gli occhi erano spalancati, le labbra violacee e, quando parlò, sembrò avere una voce diversa.
    « Morte... Fiamme… Dolore… Le loro voci risuonano ancora nella mia mente, è un peso terribile… Sangue, troppo sangue…  »
    « Basta! Ti chiedo di tornare ora! Sorella, sei rimasta troppo in quel confine invisibile tra i mondi, basta! Torna indietro, ora e senza esitare! »
La voce imperiosa di Sylvie risuonò nella stanza, alta e pura, interrompendo ogni possibile suono. Mi voltai a guardarla e notai la sua figura più alta di quello che fosse realmente. Rimasi ancora una volta affascinata da quel suo potere e chinai il capo, infondendo ancora una volta la mia energia, il mio amore, a quella sorella che stava lottando per tornare.
Claire spalancò di nuovo gli occhi ed emise un lungo gemito, prima di accasciarsi a terra, priva di forze. Sentii la stretta sulla mia mano farsi sempre più fievole e, stavo per chinarmi su di lei, quando Ophélie posò una mano sulla mia spalla.
    « Stai tranquilla, bambina. Lei è tornata e presto si riprenderà ».
Annuii non smettendo però di guardare la strega di divinazione a terra, e poi sentii di nuovo la voce di Sylvie risuonare chiara, seppur avesse perso l’illusione che le conferiva il suo potere: era tornata minuta, ma i suoi grandi occhi blu erano fissi su di me.
    « Cécilie, Elodie portate via Claire, ha bisogno di riposare. Lydie va con loro ».
Le tre streghe obbedirono subito, voltando appena lo sguardo verso di me, ed io rimasi ad attendere le sue aspre parole verso di me e colui che avevo portato senza il suo permesso.
    « Desirée chi ti ha dato il diritto di portare qui quell’uomo? »
Avvertii i passi di Mickel che avanzava minaccioso, come se volesse proteggermi, ma io con un gesto lo invitai a fermarsi. Potevo cavarmela da sola.
    « Nessuno, Gran Maestra, ma… »
    « Hai forse dimenticato il tuo giuramento? Vuoi forse mettere in pericolo te stessa, le tue sorelle e tua figlia? Quell’uomo ha visto con i suoi occhi qual è uno dei nostri poteri e chi ti dice che non ti tradirà? »
    « Io… mi fido di Mickel. Lui è diverso… »
Sylvie proruppe in una risata sarcastica e amara insieme. Si voltò verso Mickel che, nonostante fosse molto più alto di lei, non gli infondeva paura alcuna.
    « Sei solo una sciocca! Cosa ti fa pensare che sia diverso? Che cosa sai veramente di lui? Che cosa sa di te? È il capitano delle guardie, dovrà rispondere al Conte che ha come consigliere Padre Paul. Pensi che non appena sarà necessario, non ci butterà sulle fiamme? Non ti tradirà? »
Sentii affiorare le lacrime nei miei occhi, mentre mi alzavo da terra e cercavo di trovare la forza di ribattere.
    « Mickel non mi tradirà. Lui non è un cristiano, né un ugonotto. Sento di potermi fidare di lui, il mio cuore mi dice che posso farlo. Lui non ci tradirà ».
Credevo di essere sicura del mio dire, ma mi voltai ugualmente verso di lui, come per cercare di comprendere se avessi ragione, se fosse la verità. Mickel spostò lo sguardo da Sylvie a me, e i nostri occhi s’incontrarono. Erano la fonte dell’anima, ed io sentivo che dietro quella scorza di ghiaccio, aveva un animo puro e nobile. Non mi avrebbe tradita. Prima che potessi dire altro, fu Mickel a parlare, spingendo Sylvie a guardarlo con disprezzo.
    « Non farò mai del male a Desirée, né a voi. Ho giurato di mantenere il segreto e lo farò. Potete essere libera di crederci o meno, ma guai a voi se arrecherete dolore a Desirée. Ho giurato di proteggerla, e sono disposto a fare di tutto ».
    « Anche a uccidere una donna, Capitano? » domandò, Sylvie con un sorriso di sfida sulle labbra.
    « La mia spada colpisce i miei nemici, e chi fa del male a Desirée o a sua figlia, diviene mio nemico. Badate a voi, non esiterò ad abbatterla su chi si dimostrerà ostile verso di loro ».
Rimasi senza parole. Non avevo mai sentito formulare frasi simili da Mickel, e nel mio cuore emersero sensazioni diverse: da un lato un poco di paura per la situazione che si era creata, dall’altra un sentimento d’amore che pulsava più forte, nel comprendere quanto quell’uomo si fosse legato a me. Aveva giurato a Flaviano di proteggermi, ma ora sapevo che non era più una questione di giuramento, forse c’era di più.
    « Sylvie, mia cara, il Capitano Svensson ha un cuore nobile. Dobbiamo concedergli una prova. Desirée sa quel che dice e bisogna credere a quel che il suo animo sostiene ».
Sylvie s’irrigidì alle parole di Ophélie: da un lato era troppo legata all’anziana strega per ribattere, dall’altro c’era qualcosa nel suo essere che le impediva di fidarsi degli uomini, come l’eco di un oscuro passato che serbava nel cuore, impedendo ad altri di venirne a conoscenza.
    « Così sia. Ma se il vostro cuore avrà sbagliato, il peso del sangue delle tue sorelle graverà su di te » disse volgendo il suo sguardo su di me. C’era disprezzo, quasi delusione, e mi spinse ad abbattermi. Sentii una parte del mio cuore sbriciolarsi: avevo tanto lottato per dimostrarle il mio valore, ero riuscita a conquistare il suo cuore, ma ora era come se avessi perso tutto.
Sylvie si voltò e scomparve dietro una delle porte dell’antro, mentre io avvertivo una grande tristezza, che non riusciva a essere neanche alleviata dalle parole rassicuranti di Ophélie.
    « Fresia ha i suoi motivi, ma non devi provare tristezza. Lei non comprende, ma non ti odia. Il tempo allevierà ogni cosa. Torna a casa, Rosa Bianca, anche tu hai bisogno di riposare. Capitano, occupatevi delle mie bambine ».
Avvertii il braccio di Mickel intorno alle mie spalle e quasi sobbalzai ma poi, dopo aver salutato l’anziana strega, mi lasciai condurre nella mia dimora, senza riuscire a dire una parola.



*



    I giorni seguenti non tornai alla Congrega del Salice. Avevo bisogno di stare un po’ lontana dallo sguardo sprezzante e deluso di Sylvie. Non provavo, però, alcun senso di colpa. Mi fidavo ciecamente di Mickel, e sentivo che avrei potuto mettere nelle sue mani la vita mia e quella di mia figlia. Ci incontravamo sovente, cercando di non dare troppo nell’occhio. In verità avevo smesso di provare imbarazzo o paure per le chiacchiere della gente; era la mia vita e non stavo facendo niente di male. Il mio solo intento era di far comprendere alle persone che amavo quanto fosse importante Mickel per me. Con Madame non fu facile, ma poi comprese che la mia felicità veniva prima di ogni altra cosa, ed era pronta ad aiutarmi per poter organizzare un matrimonio che potesse porre fine al ciarlare e agli sguardi accusatori e imbarazzati degli abitanti di Sivelle. Tuttavia, non ci fu molto tempo per iniziare i preparativi.
    La visione di Claire ci fu presto chiara. Voci giunsero fino a me, gettandomi in un’atmosfera di pura paura. Ecclesiastici dalle vesti scure arrivarono a Sivelle, portando con loro uomini dallo sguardo sadico; e presto compresi quale terribile minaccia potevano rappresentare per noi streghe, e non solo. Gli Inquisitori erano giunti a scacciare anche da quelle zone il male, la tentazione, l’errore.
Come presto appresi, non si trattava d’inquisitori spagnoli, anche dalla parte protestante vi erano religiosi che svolgevano il medesimo scopo.
Quando Mickel mi portò la terribile notizia, guardai la piccola Alizée giocare a terra gioiosa. Scappare non era possibile, sarei stata accusata immediatamente. Dovevo semplicemente continuare la mia vita, cercando di fare ancora più attenzione.
La vita ci donava una nuova prova, che avrei cercato di superare, anche se la mia paura era evidente e scorsi uno sguardo cupo anche in Mickel. Gli sfiorai lievemente il viso e lo baciai. Avevo voglia di consolarlo e, forse, di pensare alle cose belle che avevo. Non potevo lasciarmi prendere dalla disperazione.
Mickel mi cinse i fianchi, spingendomi a sé e ricambiando il bacio con più ardore. Sentivo di amarlo ogni giorno di più, anche se non glielo avevo mai detto apertamente, ma era come se non ce ne fosse bisogno. Comunicavamo molto con i silenzi, con gli sguardi, con i gesti, e questo ci bastava per comprenderci a vicenda.

    Gli Inquisitori furono accolti da Padre Paul, ma durante la messa della domenica rimanevano seduti immoti in un angolo dietro l’altare. Avvertivo il loro sguardo indagatore su ogni presente e i sorrisi beffardi dei loro servitori, uomini sgradevoli che sembravano godere del loro ruolo, della loro autorità. Purtroppo, o per fortuna, avevo solo udito da lontano dei loro metodi per estorcere confessioni, spesso non veritiere, e nel sentire gli sguardi dei due uomini vestiti di scuro su di me, rabbrividii. Dovevo cercare di essere forte e di celare la mia vera essenza dietro una maschera. Non ero abituata a mentire, spesso non ero neanche capace di recitare, ma ero perfettamente consapevole che ora dovevo farlo. Vivere la vita come una comune cittadina di Sivelle, donna di chiesa e adoratrice dell’unico Dio. Mi sentivo sporca a fare cose in cui non credevo, ma era l’unica soluzione per andare avanti; tuttavia nessuno mi avrebbe impedito di recarmi dalle mie sorelle. Dovevo farlo con discrezione ben maggiore, ma con Mickel al mio fianco mi sentivo al sicuro.
    Un giorno i due Inquisitori, seguiti dai loro servitori, giunsero alla Maison. Sotto il loro velato intento di saluto, sapevo che c’era dell’altro. Il loro era un vero e proprio controllo di ogni genere di comportamento che potesse essere una chiara dimostrazione di un eretico.
Madame li accolse con garbo, invitandoli ad entrare. Mostrò loro il nostro operato, ed io guardai incuriosita il più giovane tra i due, che iniziò a parlare, invitandoci a ricordare che l’umiltà e l’amore per l’unico Dio dovevano venire prima del lusso e dello sfarzo. Era un uomo dai corti capelli scuri, sulle cui tempie comparivano i primi fili argentati, aveva occhi scuri e implacabili, una mascella larga e spesso indurita dal suo atteggiamento severo. Era pallido e il suo volto era scevro da barba o baffi. Quando puntò i suoi piccoli occhi su di me, sentii affiorare un lieve rossore, tuttavia mantenni fermo lo sguardo, per non palesare apertamente il mio senso di disagio.
L’altro era un uomo anziano: i suoi occhi di un verde ormai sbiadito, quasi scomparivano tra la moltitudine di rughe che solcavano il suo volto magro. Aveva radi capelli di un bianco pallido, e labbra raggrinzite. Le dita erano magre e sembravano come lunghi artigli di un rapace.
Mi sembrava così esile e non riuscivo a comprendere come un uomo di tal natura potesse emanare un tale potere. La sua autorità era evidente, e si diceva che proprio lui – all’apparenza il più innocuo – confermava le pene più severe per i peccatori.
Nello scorgere Julie, posò la mano sulla sua testolina castana, e disse:
    « Bambina, noto che nutri una grande passione in questo lavoro, ma nutri il medesimo amore per il nostro Dio? »
Julie sembrò avere meno paura di me, ma poi con voce che parve sicura, annuì con decisione.    
    « Sì, Padre. Seguo gli insegnamenti dell’unico Dio e mi reco sempre ad ascoltare la sua parola ».
L’anziano inquisitore si congratulò con lei, mormorando ancora qualche parola, per poi sfiorarle ancora un poco il capo e invitò in seguito tutti ad andare altrove. Il mio sguardo scivolò sulla piccola Julie che guardava gli uomini uscire con uno strano sorriso sulle labbra sottili.



*



    Qualcuno bussò alla porta della mia dimora. Era ormai notte e non comprendevo chi potesse essere. Mickel doveva rimanere al forte ed ero sola con la mia bambina, e lo spettro degli Inquisitori fece pulsare il mio cuore. Cercai di placarlo, convincendomi che non avevano nessuna prova della mia vera essenza, del mio reale credo, e mi avvicinai alla porta. Trassi un profondo respiro e poi feci scivolare la mano sul pomo, ruotandolo quel tanto che bastava per aprirla. Di fronte a me notai Elodie avvolgermi con le sue braccia, in preda alle lacrime. Non l’avevo mai vista in quello stato e subito avvertii una stretta al cuore.
    « Desirée… Oh, Desy… » gemette, e affondò il capo sul mio petto. Al suo fianco Cécilie, con gli occhi ugualmente umidi, ci spinse a entrare per non dare troppo nell’occhio.
Le lasciai entrare, richiudendo poi la porta e, spinsi Elodie a sedersi proponendole di prepararle un caldo infuso ma, di fronte al suo diniego, chiesi:
    « Che cosa è successo? »
    « La piccola Lydie… »
Sgranai gli occhi a sentire quel nome e mi aggrappai con forza alle mani di Cécilie spingendola a parlare, mentre il mio cuore accelerava il suo ritmo. La strega erborista gemette lievemente, ma poi disse:
    « Non riusciamo più a trovarla. Era uscita con noi, ma le avevo detto di non allontanarsi troppo, e… » si bloccò, incapace di proseguire, e al suo posto Elodie prese parola.
    « Abbiamo ritrovato solo questo » tirò su con il naso ed estrasse dalla borsa una cuffia di stoffa.
Tremando la presi tra le mani e con voce esitante, mormorai:
    « La sua cuffia… con questa celava i suoi capelli agli occhi degli altri ». In quell’attimo compresi in quale terribile pericolo si trovasse la piccina.
Sentii affiorare le lacrime, ma le ricacciai indietro. Non c’era tempo da perdere, dovevamo tornare alla Congrega del Salice e capire come aiutarla, se era ancora possibile fare qualcosa.
Cercai di mostrarmi risoluta e determinata, invitai le altre a farsi forza e presi Alizée. Coperte da un mantello leggero, con il cappuccio a celare il viso, ci avviammo silenziose verso il Salice, facendo perfetta attenzione a non essere viste.

    Sylvie ci attendeva con Claire – ripresasi – e Ophélie. Mi lanciò ancora uno sguardo di disprezzo, ma non me ne curai. C’era in gioco la vita di una bambina alla quale entrambe eravamo profondamente legate, e non mi importava della sua delusione nei miei confronti. Io stavo bene con me stessa.
    « Temo che Lydie sia stata presa dagli Inquisitori nella peggiore delle sorti » principiò a dire, mostrando, purtroppo, il mio medesimo pensiero.
    « Che cosa possiamo fare per salvarla? » chiesi.
    « Al momento cercarla, comprendere… » ribatté con fare enigmatico Sylvie, prima di spostare lo sguardo verso Claire che prese un piatto d’argento, ponendolo a terra.
    « Tu ed io, Desirée, eravamo le più legate a Lydie, ma vorrei che sia proprio tu a dimostrarmi quanto vali veramente come strega ».
Le sue parole m’irritarono. Eravamo in una situazione di grave natura e lei cercava sempre di comprendere il mio valore. Sconvolgendo anche me stessa, mi dimostrai irrispettosa forse, ma era troppo il timore per la bambina.
    « Lo farò, ma non per mera dimostrazione del mio valore. Io voglio salvare Lydie, perché ho giurato di proteggere le mie sorelle ».
Claire sorrise e scorsi il medesimo sorriso bonario sul volto rugoso di Ophélie. Sylvie assottigliò lo sguardo fissandomi per istanti interminabili, e poi annuì.
    « E sia. » Con un gesto invitò Claire a versare acqua cristallina all’interno del piatto, ed io lasciai mia figlia tra le mani di Elodie.
    « Spogliati di ogni gioiello che indossi e slega i tuoi capelli. Né nodi né orpelli devono impedire la vista. Il confine tra i mondi è sottile, ma anche profondo. Claire ed io saremo pronte a farti tornare, se ti spingerai troppo oltre ».
Rabbrividii per un istante, consapevole di ciò che mi sarebbe accaduto se non fossi tornata indietro. Forse la pazzia mi avrebbe accolto, o la morte.
Lydie, però, aveva bisogno del mio aiuto ed io intendevo donarglielo.
Lasciai tra le mani di Cécilie quei pochi gioielli che indossavo e tolsi le forcine che mi legavano i capelli. I boccoli dorati scesero ai lati del mio viso, e quando mi chinai sul piatto con l’acqua, lo circondarono.
Sylvie accese bastoncini d’incenso che profusero un odore che arrivò alle mie narici. Aspirai il loro profumo e sentii la testa vorticare.
    « Respira, così, più profondamente e poi lasciati andare… » le parole di Sylvie si facevano via via più lontane, man a mano che sprofondavo nell’acqua.
La vidi vorticare, incresparsi come mossa dal vento, e poi il mio corpo si lasciò completamente andare e la mia mente si aprì alla visione.

Vidi riccioli rossi come il sangue avvolgere un corpicino minuto, scosso da singhiozzi. Una bambina sedeva a terra, all’interno di una stanza buia e fredda. Gocce d’umidità cadevano al suolo, come un suono ripetitivo e terribile. La bambina piangeva e cercava di coprire la veste bianca, lacerata, con le esili braccia.
Invocava nomi, tra i quali il mio.
Un balbettio che aumentava per la paura. Un balbettio che mi struggeva il cuore.
Un rumore le fece sollevare il viso, rigato da lacrime e sporco di terra. La porta si aprì e un uomo vestito di nero entrò mormorando parole che non riuscivo a comprendere. La bambina cercò di allontanarsi, ma la gamba era fermata da una catena che l’arpionava, ferendola.
Pianse, ma non fece più nomi. Impaurita.
La sagoma nera sfiorò l’aria in un gesto di benedizione e poi lasciò il posto a un energumeno che ridacchiò divertito, mentre con sadismo buttò un piatto con poco pane a terra. Umile cibo per una carcerata.

Non so cosa riuscissi a dire di quello che vedevo. Forse parole confuse, che non avevano molto senso. Tuttavia, non mi era permesso ancora tornare. Avvertii una domanda su cosa le fosse successo, cosa l’avesse portata lì, e poi l’acqua s’increspò e la visione mutò.

C’erano due bambine.
La prima della precedente visione indossava una cuffia di stoffa a celare i suoi capelli, la seconda aveva trecce castane e occhi del medesimo colore.
Sembravano parlare, no, forse stavano litigando.
Non comprendevo le loro parole, ma avvertivo odio da parte della seconda bambina.
La prima cercò di allontanarsi, ma la bambina castana la bloccò. Ci fu un secondo tentativo, ma anche quello andò a vuoto.
La piazza ove si trovavano, si riempì di persone.
C’erano anche due uomini di nero vestiti a osservare con attenzione il tutto.
La bambina con la cuffia sembrò arrossire e pianse, invitando l’altra a lasciarla passare ma… questa, con un gesto deciso le afferrò la cuffia, strattonandola quel tanto che bastava per farla cadere.
Riccioli color del sangue.
Stupore. Paura.
Brusio incessante.
La bambina castana sorrise.

L’acqua tornò a incresparsi ed io fui costretta a tornare alla realtà. Mi aggrappai con forza all’energia di Claire e di Sylvie, e quando riemersi mi accasciai a terra, esausta, e il mio volto si rigò di lacrime.








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Effettivamente non c'è pace in questa storia, ma tra i vari avvertimenti c'è il genere drammatico. Sono arrivati gli inquisitori e per le streghe iniziano i guai. Cosa succederà alla piccola Lydie? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

A presto.

Vi lascio con l'immagine del bel Capitano Svensson!

Mickel!


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Capitolo 32
*** XXXI - Una vita per una vita ***


XXXI
Una Vita per una Vita




    La gente affollava la piazza principale di Sivelle, proprio di fronte alla piccola chiesa di Padre Paul. Sembrava che quel giorno tutti non avessero problemi ad abbandonare il proprio lavoro, riversandosi con curiosità – e forse avidità – a partecipare alla morte della prima strega che gli Inquisitori avevano preso. Io ero lì, avvolta in un mantello leggero con il cappuccio che mi copriva i tratti del viso e i miei lucenti capelli, a pochi passi dal palco, ove era stata ammassata legna e su cui spiccava un palo atto a legarvi la presunta strega. Tremai sconvolta dalla crudeltà umana, pensando che l’accusata era solo una bambina che aveva la sfortuna – per quei cuori ignoranti e crudeli – di avere i capelli di un rosso acceso. Avvertii il tocco leggero della mano di Sylvie, al mio fianco, e mi voltai verso di lei, sorpresa. Non aveva mai avuto un simile atteggiamento nei miei confronti e ora mi sorrideva, come cercando di tranquillizzare la tensione crescente. La mia piccola Alizée l’avevo lasciata a casa, con una ragazza pronta ad aiutarmi, non volendo renderla partecipe di un simile crimine, di un dolore che solo chi aveva una mente aperta e un cuore privo di pregiudizi poteva comprendere appieno.
Le altre streghe erano sparpagliate tra la folla, non volendo destare sospetti. Non avevamo un piano ben preciso per salvare la bambina, in verità non sapevo neanche se sarei riuscita a fare qualcosa per aiutarla. Sylvie aveva scosso la testa e poi aveva sorriso; un sorriso che non comprendevo. Sembrava serena, tranquilla, come se sapesse in anticipo le sorti di quel giorno. Tuttavia noi altre eravamo veramente turbate e il mio cuore fremeva.
Un brusio crescente salì dalla folla, c’erano persone che non sopportavano più l’attesa. Volevano vedere e forse deridere la sorte di quella strega.
Avrei voluto gridare, metterli a tacere, scuoterli fino a farli rinvenire, ma sapevo che il mio intento non avrebbe sortito nulla di positivo, anzi, un tale atteggiamento mi avrebbe messo in cattiva luce.
Poi dei tonfi, come il battere di un bastone sul terreno, fecero scemare il brusio fino a interromperlo del tutto. Sul palco comparvero le oscure figure degli Inquisitori e di Padre Paul e, a seguire, militi che reggevano con rudezza la piccola Lydie.
Soffermai il mio sguardo su di lei e tremai.
Era sporca, i suoi capelli erano stati del tutto rasati lasciando solo uno scalpo rossiccio. Appariva impaurita e cercava con occhi terrorizzati – nei quali però si poteva scorgere un filo di speranza – le uniche persone che l’avevano amata, seppur per breve tempo.
Incrociò i nostri occhi e notai Sylvie sorriderle, come a donarle forza, ed io cercai di fare lo stesso. Era l’unica cosa che potevo donarle in quel frangente, ma non ero pronta a vederla ardere, seppur in quell’elemento che faceva parte di lei.
Inconsciamente strinsi con più forza la mano di Sylvie e lei sussurrò:
    « Stai tranquilla, Desirée. La Dea è amorevole con le sue figlie », poi il suo tono si fece ancor più sommesso, ma riuscii a comprendere ugualmente il filo dei suoi pensieri. « E io non lascerò che la uccidano, non lo permetterò ancora ».
Calcò quell’ultima parola, spingendomi a guardarla confusa. Non riuscivo a comprendere cosa volesse dire. Era la prima volta che ci trovavamo in una situazione simile, no? Eppure, una risposta arrivò rapida alla mia mente: in fondo, io non conoscevo tutto il passato di quella donna dotata di un potere straordinario.
Tornai a guardarmi intorno e trovai la figura imponente del Capitano Svensson. Proprio in quel momento i nostri sguardi s’incrociarono e lessi un dolore discreto sotto quel ghiaccio. Mickel mi era vicino, ma il suo ruolo gli imponeva di controllare la situazione. Notai la sua mascella rigida, le sue mani posate con forza sul pomo della spada, e i suoi occhi che mi accarezzavano. Mi era vicino, ma anche lui sembrava inerme di fronte a quello che stava accadendo.
Quando gli Inquisitori iniziarono a parlare, la mia attenzione fu portata nuovamente sul palco, dove la piccola Lydie, affranta, era stata legata barbaramente sul palo in attesa della sentenza.
A parlare fu il più anziano, che con una mano reggeva un crocefisso riflesso contro di lei, e con l’altra puntava il dito indice, accusatorio, contro il popolo.
    « Non lascerai vivere colei che pratica la magia! Così ha parlato Iddio, unico e solo » la sua voce risuonò tuonante nell’aria, sgraziata e roca, ma ben precisa nel formulare un passo della Bibbia. Poi, si voltò di nuovo verso Lydie che sembrava ormai rassegnata al suo triste destino, sebbene il suo esile corpicino fosse scosso da singhiozzi incontrollabili. Sentii le lacrime affiorare agli occhi, e dentro di me avrei voluto tendere una mano per accarezzarla e placare il suo dolore e le sue paure, ma il vecchio tornò a parlare.
    « Noi, Guillaume Piccard, giudice per diritto divino e mondatore d’eresia, ottenuta la possibilità d’amministrare la giustizia, uditi i testimoni e letti gli atti, nonché veduto con l’occhi nostri il marchio del maligno, tacciamo l’imputata di stregoneria e la condanniamo al rogo sicché il fuoco possa purificare i suoi peccati. Possa Iddio avere pietà dell’anima sua ».
Provai un senso di nausea nel sentire con quanta ipocrisia avanzava una simile condanna. Lydie non era figlia del maligno, non l’adorava e quel marchio era solo una caratteristica meravigliosa del suo corpo.
Spostai lo sguardo sull’altro inquisitore, che guardava immobile il popolo, con sguardo arcigno. Non sembrava provare il minimo senso di disagio e, a malincuore, sorpresi Padre Paul sorridere. Un sorriso incomprensibile per un simile orrore. L’avevo tanto ammirato per la sua incredibile capacità di parlare, per il suo carisma ma ora mi sembrava un verme viscido come i due inquisitori.
Fremetti di rabbia, ma poi non avvertii più il tocco della mano di Sylvie sulla mia. Mi voltai verso di lei, e notai uno scintillio nei suoi occhi blu. Lei mi sorrise con una tenerezza che non avevo mai scorto e poi mi sussurrò di allontanarmi.
Rimasi immobile non comprendendo, ma il suo sguardo si fece più duro, e mossi qualche passo indietro, permettendo ad altre persone avide di godersi meglio lo spettacolo di avanzare, e tra loro mi confusi.
A un cenno dell’inquisitore anziano, uno dei gendarmi al servizio degli ecclesiastici strofinò una sull’altra due schegge di pietra focaia e, con la scintilla che si sprigionò, vi sfiorò uno straccio imbevuto d’olio, legato a un pezzo di legno. Lo straccio prese ben presto fuoco, e il gendarme lo avvicinò alla pila di ciocchi e legnetti che circondavano la figura della piccola Lydie, facendole gettare un grido che mi straziò il cuore.
La folla iniziò a fare rumori, alcuni inveivano contro la strega volendo la sua morte, altri pregavano Dio affinché allontanasse da loro al più presto la figlia del maligno; donne stringevano al petto i propri figli, nell’assurda speranza di proteggerli. Eppure io sapevo perfettamente che in mezzo a quella folla v’erano persone che piangevano, ed io stessa avvertii il mio volto bagnarsi da lacrime che non riuscivo più a trattenere.
All’improvviso però, tutti si voltarono verso una figura che era avanzata verso il palco: era esile e minuta, lunghi capelli scuri e mossi le scivolavano fino alla vita e con mio grande stupore compresi che era Sylvie. Sollevò le braccia al cielo e la sentii proferire parole del potere. Spalancai gli occhi, comprendendo che stava richiamando le forze del cielo e della tempesta affinché accorressero in aiuto della piccola.

Potenze del cielo accorrete al mio richiamo.

Nuvole oscure coprite il cielo e fate che l’acqua si unisca all’aria!
Fulmini, lampi e tuoni, scrosciate furenti per respingere il fuoco nemico!
Dea, Madre mia, ascolta la mia voce, sostienimi nel tuo abbraccio,
non permettere che la violenza distrugga la tua figlia più pura,
guida la mia mano, mantieni saldo il mio spirito,
e permettimi di bloccare questo scempio!
Il fuoco ha già preso una vita, ed io ne reclamo un’altra!
Potenze del cielo accorrete al mio richiamo, e spazzate via l’orrore.
Fulmini, lampi e tuoni, colpite gli impuri e preservate la purezza!
Questo è il mio potere, io lo invoco, ed esso sia!

Il suo richiamo fu ascoltato.
Laddove il cielo era limpido e sereno, come a farsi beffe del triste giorno, ora s’addensavano nubi scure e grondanti d’acqua. La pioggia scese con violenza, sferzando i visi degli astanti, e spingendo tutti a correre via, ma scivolando lentamente anche sui ceppi, facendo affievolire e poi cessare il fuoco. Tra grida e paura si generò il caos: persone sbattevano contro di me, rischiando di farmi cadere, ma io restai immobile a osservare la scena. Lampi e tuoni dipingevano di luce le nuvole, provocando tremendi boati che facevano sussultare le persone e piangere i bambini.
Cercai di trovare le mie sorelle, ma in quella confusione non era facile. Avevo ormai perso di vista anche Mickel, e quindi tentai di avanzare, con il vano intento di poter aiutare la bambina ormai svenuta ma ancora legata al palo. Osservai i gendarmi, dapprima spavaldi, farsi deboli come pecore, e tremare di fronte a quella magia, ma gli ecclesiastici, dopo un primo momento di puro terrore, puntavano il dito contro la Gran Maestra, appellandola strega e tentando di convincere i gendarmi, riluttanti, ad afferrarla.
Quando vidi uno dei militi farsi coraggio e avvicinarsi a Sylvie, mormorai poche parole del potere, generando dei venti gelidi che spazzavano via l’uomo, tenendolo il più lontano possibile da lei. Non gli avrei permesso di ucciderla.
Poi, a quel degenero totale, si unirono nuove figure che mi fecero perdere la concentrazione. Erano avvolte da mantelli neri, con il cappuccio a celare il capo, e sul volto mi parve di scorgere come delle maschere strane, deformi, simili a un animale. Caddi a terra scossa da un forte tremito, mentre immagini di sogni che avevano tormentato numerose mie notti comparvero nella mia mente. Erano lupi, con denti aguzzi e un sorriso malsano. A una visione più attenta li vidi sfoderare delle spade affilate, mentre si avvicinavano a grandi falcate al palco dove giaceva il corpo privo di sensi di Lydie. Volevo urlare, ma non riuscivo a farlo. Mi era impedito anche muovermi, scossa da un tale senso di terrore e una paura che non riuscivo a trattenere.
Temevo per la bambina, ma anche per Sylvie, immobile e ancora con le braccia al cielo, ammantata della sua energia che pian piano svaniva per la debolezza che quel potere implicava.
Chiusi per un istante gli occhi, lasciandomi andare alle lacrime, e non volendo assistere a quello strazio ma, quando udii un duplice grido sferzare l’aria, li riaprii all’istante, osservando la scena.
Da un lato una delle figure scure dal volto lupino aveva infilzato la spada al petto l’anziano inquisitore che si contorceva per il dolore, nello spasimo della morte, dall’altro lato scorsi Sylvie accasciarsi a terra, e l’immagine del giovane inquisitore gioire mentre la lama di un coltello insanguinato scintillava tra le mani del gendarme. Un grido si bloccò sulle mie labbra, quando sentii delle mani avvolgermi il corpo e venire portata via.
L’ultima cosa che riuscii a scorgere, fu l’oscurità che circondava le figure di Sylvie e Lydie, i volti dei lupi, e poi il buio.


*


    « Desirée? »
Udii una voce soffusa e lentamente aprii gli occhi, cercando di vedere nitidamente. La figura che mi sormontava era alta e flessuosa e circondata da un’aurea di luce che non mi permetteva di distinguere correttamente i lineamenti. Sbattei le palpebre un paio di volte e poi provai di nuovo. Questa volta riuscii a scorgere il viso di Claire che mi osservava con preoccupazione evidente.
    « L-Lydie? » chiesi, con tono impastato.
    « Sta riposando ora, è al sicuro » mi sorrise lievemente, ma scorgevo ombra nei suoi occhi chiari.
    « Sylvie? Dov’è la Gran Maestra? L’ho vista avanzare… lei… lei ha creato un potente incantesimo. Sentivo l’energia vibrare nell’aria, l’avvertivo sulla mia pelle, ma poi… »
Claire scosse il capo e chiuse gli occhi, e un vento gelido mi penetrò nell’animo. Che cosa era successo?
Ricordi riaffiorarono con prepotenza, immagini nitide che facevano male. Ombre salivano sul palco, l’inquisitore anziano era morto, ma il gendarme… aveva colpito Sylvie.
Una triste consapevolezza si fece viva in me, un senso di vuoto che sembrava avvolgere il mio cuore. Un’assenza che non poteva essere vera.
    « Che cosa le è successo? Claire… » la guardai con una muta preghiera. Non potevo credere di essere stata così debole da svenire e non aiutarla.
    « Vieni con me » mormorò unicamente, ed io mi sollevai dal giaciglio sul quale mi avevano lasciata riposare e che compresi essere la mia stanza all’antro della Congrega del Salice.
Claire mi precedette, ed io avanzai lentamente, con la testa pesante e la sensazione di cadere di nuovo. Troppe emozioni mi avevano turbata, ma il pensiero che Lydie fosse ancora viva mi permetteva di non cedere totalmente alla disperazione.
Ma Sylvie?
La mia domanda trovò la sua risposta: la Gran Maestra giaceva tra le braccia sottili e pallide di Ophélie. Era mortalmente pallida, i lunghi capelli scuri e ondulati le si riversavano sul petto e le circondavano il viso. Gli occhi erano chiusi, le labbra esangui, e notai una chiazza scarlatta all’altezza del fegato, ma notai la presenza – seppur lieve – del suo respiro.
Accanto a loro, Cécilie avvolgeva con un braccio le spalle di Elodie che piangeva in modo straziante, mentre il suo corpo ancora non del tutto maturo era scosso da singhiozzi inconsolabili.
Mi avvicinai a loro e m’inginocchiai per essere all’altezza di Ophélie. Osservai l’anziana strega mentre reggeva saldamente il corpo di colei che reputava come una vera figlia, ma non notai lacrime. Sembrava però invecchiata maggiormente, se possibile, e il suo sguardo già cieco era posato fissamente sul corpo della giovane Gran Maestra, che respirava a fatica.
Con una mano tremante tentai di sfiorare il volto incredibilmente pallido di Sylvie, scostandole una ciocca scura e osservandola con tristezza.
    « Sylvie… perché? »
Avrei voluto dire molto di più, avrei voluto aiutarla, fare qualcosa, anziché rimanere a una concreta distanza mentre lei si immolava per salvare una bambina dalla bestialità umana, ma lei me l’aveva impedita e nel profondo del mio cuore sapevo anche il motivo. Non voleva mettermi in difficoltà, soprattutto per la mia Alizée. Ma non avevamo giurato tutte di proteggerci l’una con l’altra?
    « Rosa bianca non affliggere il tuo cuore puro con domande inopportune » la voce di Ophélie mi colpì, ma non scostai il mio sguardo da Sylvie. « Lei ha fatto la sua scelta e so che anche tu l’hai aiutata con la tua devozione, il tuo amore, la tua mente aperta e il tuo gran cuore. Non ti crucciare, piccola mia ».
    « Ma potevo fare di più. Io ero lì con lei, avrebbe potuto consentirmi di aiutarla. Volevo poter salvare Lydie, ma non perdere lei… Oh, se me l’avesse permesso… ma sono debole. Sono svenuta, non so neanche come sono arrivata fin qui e… »
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e, voltandomi, incrociai gli occhi colmi di lacrime di Elodie.
    « Ho sentito il tuo potere » tirò su con il naso, e poi continuò « c’era un forte vento che si univa all’energia di Sylvie. Tu hai fatto tanto… Oh Desy, hai fatto tantissimo ».
Si buttò tra le mie braccia ed io l’avvolsi in un abbraccio protettivo, cercando di farla calmare, ma quegli occhi grandi e gonfi di lacrime mi contagiarono e ci ritrovammo a piangere entrambe, sotto lo sguardo delle altre. Quando riuscii a riprendermi un poco, spostai lo sguardo verso Cécilie, e le dissi:
    « Con le tue erbe non può salvarsi? »
Cécilie scosse il capo, sfiorando leggermente i suoi occhi – rossi per il pianto che aveva punto anche lei – con una manica della veste.
    « Ho tentato, ma la ferita è troppo profonda… »
La sua risposta fu però interrotta da un sospiro, un alito di voce che proveniva dal corpo quasi privo di forze di Sylvie.
Ci voltammo tutte a osservarla. Lasciai a Elodie il posto per farle tenere la mano, in fondo era la prima persona a essere stata accolta da quella donna morente, ma mi tenni abbastanza vicina.
    « Fresia mia dolce bambina » mormorò Ophélie, carezzandole il volto.
Ci fu un leggero movimento del corpo, ma poi Sylvie si limitò ad aprire unicamente gli occhi: il blu che li dipingeva sembrava ancora essere vivido, mentre ci osservava una a una, ma poi la sua vista divenne distante, come appannata da un velo invisibile e impenetrabile. Le sue labbra violacee si distesero in un sorriso luminoso, e si mossero leggermente nel vano tentativo di proferire parola, ma uscì solo un nome. Un sussurro appena.
Elise.
Un nome nuovo, mai sentito prima. Non compresi ma non potei neanche pormi altre domande, perché notai il suo viso illuminarsi come se avesse scorto una figura, la Dea forse, o proprio quella Elise che aveva invocato, ma poi emise un ultimo sospiro prima di ricadere tra le braccia di Ophélie, del tutto immobile.
Non c’era più vita in lei.
Sylvie Morin, la Gran Maestra che ci aveva accolte e insegnato il suo sapere, la sua forza, il suo coraggio, ci aveva lasciate.
Ci furono pianti, singhiozzi, parole, e il miagolio di un gatto nero: Etoile era arrivato a salutare la sua padrona, che tanto aveva amato. Sprofondò il musino sul suo viso, lo spinse sulla mano dandole un tocco forte che potesse spingerla a reagire, ma quando comprese che non lo avrebbe più accarezzato, emise una serie di miagolii strazianti che mi perforarono il cuore, già del tutto ferito.
Sylvie non c’era più.
Non era una cosa facile da capire, da sopportare, da credere.
L’odio, la cecità, l’ignoranza, la crudeltà l’avevano uccisa.
Ma era veramente morta?
No, lei aveva abbattuto tutto quel marciume. Aveva sacrificato se stessa per salvare una piccola innocente che non aveva colpa alcuna.
Aveva dimostrato l’amore puro, vero, reale.
Una persona così poteva essere considerata malvagia?
No.
Ci aveva donato un grande insegnamento e, solo in quegli ultimi attimi di vita, avevo veramente capito che lei mi aveva amata come sorella, nonostante tutto.
Ed io avevo perso di nuovo una persona importante, una sorella, per colpa di uomini che credevano di professare una religione giusta.

*
    
    C’era un laghetto al centro della foresta, dove si riflettevano i pallidi raggi lunari.
Avevamo vegliato sul suo corpo per un intero giorno e atteso che la piccola Lydie si ristorasse per partecipare al rito. La reazione della piccola fu straziante. Si sentiva tremendamente in colpa e a nulla bastarono le nostre parole di conforto. Lei non c’entrava nulla, ma potevo comprendere quell’ombra viscida che le avvolgeva il suo cuore puro.
Infine, furono le parole della saggia Ophélie a spingerci a reagire.

Non piangete bambine mie, la morte non è la fine. Quello che vedete senza vita è solo il corpo, ma l’anima esiste ancora e passerà di vita in vita, fino a che gli Dei non riterranno che sia giunta la piena maturazione. Ci rincontreremo, forse.

Dovevamo andare avanti, continuare a realizzare il sogno per il quale era morta Sylvie e preservare le nostre vite. Avevo inviato una missiva a Mickel affinché prendesse con sé Alizée per almeno un giorno. Non potevo tornare dalla mia bambina, non prima di aver donato il mio ultimo saluto alla Gran Maestra.
Le nostre tuniche di diverso colore formavano chiazze di colore nell’oscurità opprimente, mentre posavamo il corpo immoto di Sylvie sulla pira funebre che avevamo preparato. Mi posi tra Ophélie e Lydie, e le altre intorno alla pira, così da formare un perfetto cerchio.
Era un momento importante, dove saremmo state chiamate a convogliare le nostre energie per un unico fine: onorare la più grande delle streghe.
Ophélie ci aveva indicato che cosa fare e ora eravamo tutte concentrate a richiamare il nostro elemento affine.
Chiusi gli occhi e – come le altre – sollevai le braccia verso l’alto per cercare il potere.
Allontanai dalla mente ogni pensiero, ogni immagine che potesse minare la mia concentrazione e lasciai che il buio fosse l’unica cosa visibile. Trassi dei profondi, intensi, respiri, sentendo il mio corpo oscillare leggermente. Concentrai la mia mente sull’aria, l’elemento che mi aveva scelta e che mi completava, e avvertii lentamente l’energia scorrere nelle mie vene, dalle mani, fino alle braccia, per poi convergere in tutto il resto del corpo, avvertendo un formicolio piacevole.
Quando mi sentii pronta, aprii gli occhi di scatto, e sentii – più che vedere – che tutte le altre avevano fatto lo stesso. Il luogo era colmo di energie diverse e, guardando con occhi interiori, potei avvertire come la sensazione di essere pura aria, e al mio fianco, v’era la perfetta incarnazione degli altri elementi. Terra, Acqua, Fuoco.
All’unisono le nostre voci si unirono, mormorando parole del potere: la terra tremò leggermente sotto i nostri piedi nudi, le acque del placido laghetto s’incresparono d’incomprensibili onde, mentre la fiamma delle due streghe più giovani zampillò sulla pira funebre, avvolgendo in pochi attimi il corpo dell’amata Gran Maestra.
Io convogliai l’aria affinché sfiorasse l’elemento affine, e donasse un’ultima carezza e saluto al corpo di colei che mi aveva insegnato a comprendere perfettamente l’elemento che ci univa.
La fiamma divenne alta, sollevata dal vento, e ben presto laddove v’era un corpo mortale, non vidi che fuoco.
Un fuoco che non feriva. Un fuoco che realmente purificava. Un fuoco che non uccideva.
L’unico fuoco che poteva avvolgere il corpo di una strega.
Prendendoci per mano, iniziammo a cantilenare una nenia, un ultimo saluto a Sylvie, e così continuammo fino a che le prime luci dell’alba non rischiararono il cielo denso di tenebre.












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Questo è stato forse il capitolo migliore. Non so perché, ma credo di riuscire a scrivere meglio le cose più drammatiche, ma magari è solo una mia impressione.
Comunque la storia, come avrete capito, inizia a farsi più drammatica, e non è finita qui. Spero che vi sia piaciuto e ammetto che un po' mi dispiace non ricevere pareri o commenti che mi aiutino a comprendere se quel che scrivo sia qualcosa di decente o meno. Tuttavia, comprendo che non è sempre facile leggere al pc, infatti io stessa ho molto ridotto il mio tempo - anzi, ultimamenten non riesco proprio a leggere nulla al pc -.
Se vi va, lasciate pure un pensiero :)

Per quanto riguarda quell' Elise, per saperne di più vi invito a leggere il mio racconto breve su di lei e la nostra cara Gran Maestra, che purtroppo ha perso la vita.
Spero vi possa piacere.
Elise era il suo cuore.


Un'anticipazione posso farla: non manca molto alla conclusione di questa storia :)

A presto!

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Capitolo 33
*** XXXII - Di un ritorno e una scomparsa ***


XXXII
 Di un ritorno e una scomparsa


    Fuoco.
Fiamme divoravano il corpo di una donna legata a un palo sulla cima di un palchetto. Intorno a sé udiva le risate della gente che la osservava con un sorriso sadico sul volto, e puntava il dito contro di lei.
“Strega, assassina, figlia e moglie del demonio…” tanti epiteti le venivano scagliati, mentre sagome scure puntavano croci verso di lei intonando litanie atte a scacciare il male e a purificare, insieme al fuoco, la sua anima corrotta.
Il corpo bruciava, urla strazianti uscivano dalle sue labbra, mentre deperiva come un semplice ciocco di legno.
Faceva male, colpiva nel profondo, e non aveva fine. Una morte lenta, tormentosa, inquietante.
Altre figure scure s’intromisero tra i popolani, ma non avevano volti: maschere nascondevano i loro tratti, assumendo il grottesco ghigno di un lupo.
Lupi, troppi lupi intorno a sé.
Tra quell’oscurità e il fumo che le saliva sino agli occhi appannandole la vista affaticata dal dolore, scorse un’altra sagoma: era un vero lupo dal manto come neve e profondi occhi cristallini che la fissavano intensamente.
La donna lo scrutò per alcuni istanti e il dolore sembrò attenuarsi.
Ma chi era quella donna?
Con mio profondo sgomento repressi a stento un urlo. Quella donna ero io.


    Ero sudata, ma non era dovuto meramente al caldo asfissiante che aveva portato con sé l’estate. Erano notti che facevo sogni tremendi ai quali non sapevo dare un senso. Forse erano il frutto delle mie paure, a seguito della morte della Gran Maestra e al pericolo corso dalla piccola Lydie. Da quel triste giorno, il sospetto e la paura si erano diffusi velocemente tra la popolazione. Sylvie, salvando la bambina, aveva dimostrato in un certo qual modo la veridicità delle parole degli inquisitori: c’era una strega e non doveva essere l’unica.
Si erano rafforzati i controlli da parte degli armigeri al servizio dell’inquisizione e donne, che avevano l’unica sfortuna di praticare certe arti o di essere delle miserabili ai margini della società, erano state accusate delle stregonerie più folli che si potessero inventare.
Si era generato il panico. Per potersi salvare molti accusavano altri. Persone che potessero stare loro scomode, vicini di casa odiati o altri motivi futili, che però causarono atroci torture – a quanto si diceva – ai malcapitati.
Io stessa ero vista con sospetto. Mi era sempre più difficile passeggiare tranquillamente per le strade di Sivelle e andare semplicemente a lavoro. Ero una donna sola, con una bambina e un marito morto in battaglia e, agli occhi malsani degli inquisitori, potevo essere una preda facile, ma ero ben vista dai Conti per la mia arte e il mio operato. Tuttavia, v’era un altro motivo per cui rischiavo di essere additata come strega: c’era chi mi aveva visto con la piccola Lydie e questo era un pericolo. Temevo che Julie potesse tradire anche me, e spesso la osservavo con attenzione. Tuttavia, sembrava persa, confusa e la vedevo sempre pallida. Sul suo giovane volto si scorgevano i segni di un senso di colpa evidente. Per tali motivi non ero neanche più andata presso la Congrega del Salice, anche se cercavo di tenermi in qualche modo in contatto. Non volevo essere distante dalle mie sorelle in un momento di tale dolore ma, allo stesso tempo, non potevo rischiare la vita di mia figlia e la mia.
In tutto questo, Mickel mi restò accanto. Spesso era lui il messaggero. Ci fidavamo di lui.
Io mi fidavo di lui e lo amavo.
Mickel c’era sempre per me e per la mia bambina. Si era creato un profondo legame tra noi e speravo tanto di poter interrompere gli sguardi malevoli delle persone, completando il nostro amore di fronte ai loro occhi. Ma era davvero tutto così facile? O mi avrebbero visto ugualmente male per concedermi a un altro uomo?
La vita era diventata triste e grigia a Sivelle, e la luce che per tanto tempo mi aveva accolta nel suo candore stava svanendo come neve al sole.


*


    Continuare a svolgere una vita apparentemente normale non era facile; ma era essenziale per andare avanti. Il terrore gravava nella mia anima, ma una scintilla di luce la rischiarava: mia figlia. Era un caldo pomeriggio di luglio, l’afa sembrava non dare tregua e attendevo che svanissero le ore in cui il sole era alto e rovente, per uscire di casa. La mia piccola giocava tranquilla, con un gattino di legno intagliato dono di Mickel – sorprendendomi anche con questa sua abilità nascosta – ed io la scrutavo attenta e ammaliata. Alizée cresceva sana e bella, con riccioli biondi a circondarle il viso roseo e paffuto, su cui spiccavano intensi occhi color cioccolato. Il ricordo di Flaviano affiorava ancora, ma non sembrava più arrecarmi un gran dolore. La sua assenza era ancora palpabile e, probabilmente, una parte del mio cuore gli sarebbe sempre appartenuta, ma ero andata avanti e sentivo che anche lui sarebbe stato felice della mia scelta. Flaviano non avrebbe mai voluto la mia infelicità e si fidava ciecamente di Mickel, come se fosse un fratello anziché il suo Capo.
Sospirai lievemente, ascoltando i suoni ancora privi di senso emessi da mia figlia, quando avvertii qualcuno bussare alla porta. Non aspettando nessuno, fui sorpresa e lentamente mi avvicinai per andare ad aprire.
Quello che vidi, o meglio chi era di fronte a me, mi fece sbiancare.
Una donna incantevole dall’aspetto algido e altezzoso, mi osservava con occhi furenti, come se vi aleggiassero delle fiamme. Era leggermente più alta di me e i capelli scuri erano raccolti con eleganza sul capo, mentre il suo corpo formoso era adornato da una veste rosso sangue.
    « Louise-Marie… » sussurrai, non riuscendo a dire altro.
La mia migliore amica era lì, era tornata finalmente. Un insieme di emozioni mi scosse dentro: da un lato provavo una tale gioia da spingermi ad abbracciarla, lei era tornata a riempire quel vuoto che mi aveva lasciato la sua assenza, dall’altra avevo paura. Che cosa sarebbe successo ora?
Mickel…
    « Madame Marli » replicò, lei, con un tono talmente freddo da ferirmi dentro. « Vorrei parlarvi ».
Rimasi qualche secondo a guardarla, esitante, ma poi annuii e mi scostai di lato per permetterle di entrare nella mia dimora.
Louise-Marie avanzò con passo lento e aggraziato, e si fermò a scrutare il volto della mia piccola.
    « Oh » mormorò, sorpresa. « Lei deve essere vostra figlia ».
    « Sì, è Alizée » confermai, per poi aggiungere, « Louise-Marie cosa hai? Sembri così cambiata, così fredda con me… »
Lei guardò ancora qualche istante la bambina che aveva sollevato appena lo sguardo verso la nuova giunta prima di tornare a giocare e poi si voltò verso di me. Tra le mani, notai solo in quel momento, stringeva un nastro rosso, un mio regalo.
    « Non dovrei forse esserlo? » assottigliò gli occhi verdi, e strinse con più forza il nastro.
« Perché? » domandai, incredula. Da quanto era tornata? Già sapeva?
Lei rise istericamente, buttando la testa all’indietro.
    « Mi chiedete anche il motivo? Desirée non fate la sciocca! » sbottò, alzando la voce. « Sono tante le voci che corrono sul vostro conto, e non è stato difficile farle arrivare a me. Sono appena tornata e ho potuto già costatare la deliziosa accoglienza che voi e il Capitano Svensson mi avete riservato ». Si fermò per qualche minuto, come a riprendere fiato e la dovuta compostezza necessaria a una dama di tale lignaggio. « Avete allontanato da me l’unica persona per la quale ho provato veramente amore. Come avete osato? Come avete potuto farmi questo, proprio voi, proprio tu che conoscevi perfettamente i miei sentimenti? »
Rimasi senza parole, a fissarla esterrefatta. Se da un lato quelle parole erano riuscite a farmi sentire colpevole, dall’altra s’insinuava con prepotenza un altro pensiero.
    « Non sapete cosa proferire ora, vero? Voi, proprio voi, mi avete tradita! Mi fidavo della vostra amicizia, credevo ciecamente in voi, e voi non avete atteso molto per infliggermi un tale dolore! Appena ho voltato le spalle, voi mi avete pugnalato. Che ingratitudine! Dopo tutto quello che ho fatto per voi! » sibilò, e il suo viso si tinse di rosso, tant’era infervorata.
Respirai un paio di volte, ma dentro il mio cuore v’era come un serpente che mi aveva punto con il suo veleno. Non potevo sopportare tali attacchi, soprattutto da colei che era svanita nel nulla, mettendomi da parte nel momento in cui avevo più bisogno. Era questa la sua amicizia? Non scrivermi neanche più per farmi sapere come stava? Spingermi a pensare al peggio?
    « Non sono disposta a sentire ancora le vostre parole dense di veleno » replicai, tornando a rivolgermi a lei con la forma “distante”, e non il tu utilizzato solo con le persone più intime. « Siete scomparsa improvvisamente, senza lasciare una lettera né a me, né al vostro amato. Ho saputo solo che eravate a Parigi, e per mesi ho cercato di sapere di più, ma niente ». Presi fiato, cercando di abbassare il tono di voce e quando ripresi a parlare, si sentiva tutto il mio dolore. « Cosa ti prende ora? Perché non mi hai mai scritto? Io… posso avere l’unica colpa di essermi innamorata di Mickel, perché mi è stato sempre accanto quando il mio Flaviano è morto, e quando tu sei scomparsa. L’amore è dunque un crimine? »
La guardai con occhi lucidi, e mi sembrò di leggere un filo di commozione anche nei suoi occhi smeraldini, ma quella sensazione scomparve velocemente. Tornò a fissarmi con odio e poi sorrise, un ghigno isterico.
    « Amore dite? » rise. « Voi amate il capitano Svensson e lui ama voi? » la risata si fece sempre più aspra, più alta, facendo piangere impaurita la mia bambina. « Vi odiavate, da quel che rammento. Non lo potevate sopportare. È così freddo, è così cattivo! » le ultime parole furono atte a canzonarmi. « Ora dal nulla, avete cambiato idea? Cos’è, il vostro letto era ormai troppo freddo da quando il vostro amato è perito? Avete giusto messo gli occhi sul mio! »
La rabbia e l’indignazione s’impossessarono di me. Non potevo credere che quella dinanzi a me fosse la stessa donna che avevo amato come una sorella.
    « Esci da casa mia. Subito! » ringhiai, indicandole con un gesto la porta d’ingresso. « Posso capire il tuo dolore per non avere più Mickel, ma questo non ti dà il diritto di additarmi come una meretrice. Tu non sai quello che ho sofferto. Tu non sai il vuoto che Flaviano mi ha lasciato e che tu stessa hai lasciato, andando via senza una parola. L’hai fatto soffrire, hai fatto soffrire anche me. E ora torni indietro e ci incolpi per aver mutato i nostri sentimenti l’uno per l’altra? »
La dama smise di ridere alle mie parole, mentre un fuoco mi dilaniava il petto e sembravo aver smarrito il raziocinio talmente ero arrabbiata e delusa.
Dopo qualche istante, in cui rimanemmo a fissarci a vicenda, con il triste sottofondo delle grida di Alizée, Louise-Marie mi scagliò addosso il nastro rosso che stringeva tra le dita, colpendomi il viso. La stoffa mi sfiorò la pelle come una gelida carezza e lì compresi che ormai la nostra amicizia era arrivata a un punto di non ritorno. Ero ferita, triste, delusa e il vuoto che pensavo potesse essere colmato, non aveva fatto altro che allargarsi. Come poteva trattarmi così? Potevo comprendere i suoi sentimenti e a lungo mi ero sentita in colpa per provare amore nei confronti di Mickel, ma l’amore era un crimine?
Le persone cambiano, così i sentimenti, e non è facile gestirli. Ci avevo provato, ma lei non era tornata, e ormai le cose erano mutate. Se Mickel lo avesse voluto, mi sarei fatta da parte, ovviamente, anche se con gran sofferenza, ma Louise-Marie mi aveva considerata come una prostituta pronta a riempire il suo letto quando ormai diventato troppo freddo, e non potevo passarci sopra.
    « Prendi il tuo sudicio regalo, strega! » sibilò. « Ora me ne vado, ma la mia vendetta arriverà ben presto! »
Con un fruscio di vesti si avvicinò alla porta e una volta uscita la sbatté con poca grazia. Ero così scossa da tremare visibilmente e per poco non caddi a terra. Respirai più volte, profondamente, cercando di raggiungere uno stato di quiete, ma era difficile. Presi la mia piccola tra le braccia e sprofondai su una sedia, stringendomela al petto, e non potei frenare le lacrime che rigarono il mio volto.


*


     Ero ancora seduta, quando sentii di nuovo bussare alla porta. La mia piccola si era addormentata, esausta, tra le mie braccia dopo aver pianto numerose lacrime.
Mi alzai, con uno sforzo, e la posi all’interno della sua culla, e poi passai appena le dita sul mio viso per cancellare le tracce delle mie lacrime, seppur fosse difficile non far comprendere che avessi pianto. Sentivo gli occhi bruciare, e la testa essere preda di piccole palpitazioni che mi creavano fastidio. Tuttavia, avanzai lentamente verso la porta e l’aprii. Mickel era lì, davanti a me e mi guardò con un leggero stupore, che presto scomparve. La mascella si contrasse, mentre mi spinse a farlo entrare. Non mi opposi, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui.
    « Quindi sai » disse, non smettendo di guardarmi. Io annuii con il capo e provai un senso di vergogna nel comprendere che il desiderio di piangere non si era placato.
    « È stata qui » replicai, con voce roca. « Tu l’hai già incontrata? »
Lui scosse il capo, per poi rispondere:
    « Di sfuggita, ma non abbiamo parlato ».
Annuii di nuovo, e poi sospirai.
    « Louise-Marie è tornata, ma non sembra più la stessa. Mi ha aggredita con violenza, regalandomi epiteti che mai pensavo potessero uscire dalle sue labbra » tirai su con il naso, abbassando poi lo sguardo. « Immaginavo che non sarebbe stato facile per lei, sapere di noi… ma che colpa ne ho se ti amo? »
Mickel mi sfiorò leggermente i capelli, e poi avvicinò le sue labbra alle mie, donandomi un bacio di fuoco che mi rendeva difficile dirgli quanto avevo nel cuore.
    « Però, se tu vorrai tornare con lei, sono disposta a tirarmi indietro… »
Per me era un notevole sforzo proferire parole simili. Il mio cuore mi spingeva a dire altro. Non volevo perderlo, né lasciarlo. Era una delle poche luci che mi permettevano di non cadere in quella tenebra oscura che stava opprimendo la mia vita e il mio villaggio.
    « Provo sentimenti forti per te, è vero, ma voglio la tua felicità… non voglio farla soffrire anche se mi ha trattata male. Louise-Marie era come una sorella per me, e se… » le mie parole morirono in bocca, quando lui pose due dita sulle mie labbra, a zittirmi.
    « Non tornerò con lei. Lei mi ha abbandonato e ora ci sei tu nel mio cammino » si fermò per un attimo per soppesare i pensieri. Non era facile per lui dimostrare chiaramente a voce i suoi sentimenti, con parole adatte, dolci, o simili. « Io voglio te ».
Il mio viso fu bagnato ancora dalle lacrime. Felicità, gratitudine, amore, erano tutti sentimenti che le spiegavano. Temevo di perderlo, ma il pensiero che avesse scelto me, mi rincuorava. Non volevo e mai avrei voluto far soffrire Louise-Marie, ma il mondo cambiava, così come i sentimenti. Quello che un giorno potevi odiare, conoscendolo meglio e consentendogli un’altra opportunità poteva rivelarsi il grande amore; ed io non volevo perdere Mickel. Sprofondai tra le sue braccia, affondando il viso contro il suo petto, e lui mi strinse a sé. Il veleno che scorreva nel mio cuore fu purgato da quell’amore intenso che scorreva tra noi.
Eppure avevo paura.
Louise-Marie aveva parlato di vendetta e tremavo ancora di fronte al suo sguardo furente. Fiamme vive nei suoi occhi, odio nel suo cuore, vendetta nelle sue parole, terrore in me.


*


    Le sue labbra cercavano le mie, i nostri corpi si muovevano in un’armonia perfetta che spazzava via i miei dubbi. Mickel ed io ci unimmo più volte quella sera, soggiogati da una passione che sembrava non saziarsi mai. Stare tra le sue braccia aveva allontanato per qualche ora il pomeriggio spiacevole che avevo trascorso, ma ora che la nostra danza d’amore aveva avuto termine, pensieri riaffiorarono nella mia mente.
    « Ho paura » mormorai, stringendomi maggiormente a lui come a trovare conforto e protezione.
    « Di cosa? »
    « Di Louise-Marie… »
Lui scosse leggermente il capo e affondò le labbra tra i miei capelli.
    « Mi guardava con odio e non mi ha mai rivolto simili cattiverie prima d’ora ».
    « Forse le persone non sono mai come sembrano ». Fece una pausa distogliendo lo sguardo da me. « Ognuno porta dentro di sé una parte di luce e una di ombra, ma non è sempre la prima a prevalere ».
Rimasi in silenzio per diversi minuti, soppesando le sue parole. Mickel non parlava spesso, ma quando lo faceva, lasciava trapelare la sua saggezza.
Sfiorai lievemente il suo torace pieno di cicatrici e poi replicai:
    « Sì, hai ragione, ma temo che le sue non siano solo semplici parole di vendetta ».
    « Non ti farà del male ».
Mi strinse, nuovamente, di più a sé, mentre i nostri corpi nudi ardevano di una fiamma ancora non spenta.
    « Tu la ami? » chiesi, dopo un poco di silenzio.
    « Forse un tempo provavo un qualcosa di simile all’amore ». La sua mascella si contrasse, facendosi rigida nel proseguire. « Ma poi si è spento quando se ne è andata ».
    « E ora provi odio? »
    « No. Indifferenza » rispose in modo gelido.
L’indifferenza faceva più male dell’odio, ma potevo comprenderlo. Era stato abbandonato senza una parola, o un messaggio, neanche dopo mesi.
Ed io provavo odio? No, i sentimenti mutavano sì, ma non con così grande rapidità. Ci dovevano essere motivi validi ed io per lei provavo solo una grande tristezza e forse anche delusione.
Che cosa ne era stato della nostra amicizia?

    Non passò troppo tempo che sobbalzai sentendo dei colpi alla porta. Rabbrividii e Mickel mi strinse tra le sue braccia con fare protettivo.
    « Non aver paura, vengo con te ».
Annuii non riuscendo tuttavia a essere tranquilla. Mi alzai e, dopo essermi infilata una veste velocemente, mi avvicinai alla porta, seguita dal mio amato che rimase dietro di me come un’ombra.
Tremando aprii la porta e, con mio stupore, scorsi Elodie e Cécilie entrare velocemente. Non rimasi ferma, anzi, dopo aver gettato un rapido sguardo all’esterno e aver controllato la situazione, richiusi la porta e mi dedicai alle mie sorelle.
Sui loro visi si potevano scorgere ansia, paura e confusione. I loro occhi erano lucidi e sembravano quasi tremare.
    « Elodie, Cécilie, cosa succede? » chiesi, sorpresa di vederle lì, rischiando anche le loro vite visti i controlli serrati che le guardie degli Inquisitori facevano.
    « Claire… » iniziò l’erborista, esitando.
    «… è scomparsa » concluse Elodie, con occhi prossimi al pianto.
Un vento gelido mi attraversò il corpo, giungendo fino al cuore, nonostante la calura estiva. Bastarono quelle parole per farmi temere il peggio e gettarmi di nuovo in un pozzo profondo dove non c’era luce, dove tutto era buio e immensamente triste.

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Capitolo 34
*** XXXIII - La Tortura ***


XXXIII
 La Tortura


    Invitai le due streghe a trascorrere il resto della notte lì, ma rifiutarono. Non volevano mettere in pericolo la mia vita, né la loro, ma era necessario informarmi. Claire, la mia Claire, era scomparsa e il mio cuore si era fermato per qualche minuto. Non era da lei scappare senza dire una parola, né stare fuori per troppo tempo, quindi, guardandoci a vicenda avevamo già compreso cosa potesse esserle successo. Ma come era potuto accadere?
Quando Elodie e Cécilie se ne erano andate, scomparendo come ombre nella notte, io ero spinta da una voglia inconsolabile e forse folle di andare da Padre Paul, intercedere presso di lui, per liberare Claire. Fargli capire che non era una strega, che non aveva causato alcun male; cercare di entrare nel suo cuore per scaldarlo di una nuova luce ma Mickel me lo impedì.
    « Devo andare da Claire, devo fare qualcosa… »
    « Non puoi fare nulla, ora. Lo sai » ribatté lui, stringendomi le braccia, per bloccare ogni mio movimento.
    « Mickel lasciami! » sbottai, nervosa. « Non puoi impedirmi di salvare mia sorella, non puoi farlo. Io devo andare, Padre Paul mi aiuterà ».
Lui rise, per poi scuotere il capo. « Credi davvero che in quell’uomo non sia insita la stessa stupidità che hai visto negli inquisitori? » domandò, con tono quasi sarcastico.
    « Lui è diverso… » mormorai, ma nel momento stesso in cui avevo proferito queste parole, ne dubitai anch’io.
    « Lui era lì quando una bambina stava per ardere. Lui non ha fatto niente per impedirlo » le sue parole, dense di gelo e verità, m’impedirono di ribattere.
Era vero. Padre Paul non aveva mosso un dito, anzi, sembrava quasi contento della cosa. Una parte di me cercò delle giustificazioni, ma nessuna di queste riusciva a convincermi. Forse anche lui provava davvero il malsano desiderio di colpire le presunte streghe.
Mi bloccai e repressi la mia volontà di ribattere o di muovermi. Il mio corpo cedette e mi ritrovai a cadere, se non fosse per il sostegno di Mickel. Lui mi prese tra le braccia, quasi come una bambina, e mi riportò a letto, dove mi adagiò con cura.
    « Non voglio perderla… » mormorai, mentre lacrime sgorgarono dai miei occhi chiari, di loro propria volontà.
Mickel restò senza parole, ma posò le sue labbra sulla mia fronte. Sembrava quasi che il fuoco mi bruciasse, ma era una fiamma piacevole, dove volevo perdermi.
Reagire non era possibile, al momento. Ma con il nuovo giorno avrei fatto qualcosa. Nessuno poteva impedirmelo. Sarei tornata al Salice e, forse, unendo i nostri poteri avremmo potuto salvare Claire prima che fosse troppo tardi. Avrei seguito l’esempio di Sylvie. Non potevano uccidere ancora. Vincere ancora loro. Il bene doveva trionfare.


*


    La luce del sole s’insinuava sinuosa nella piccola finestra della mia stanza, riverberando sul mio viso. Strizzai leggermente gli occhi, voltando il viso poi, lentamente, li aprii cercando di adattarli alla luminosità del giorno. Sfiorai con una mano l’altra parte del letto che, purtroppo, trovai vuota. Mickel, probabilmente, era dovuto andare a Palazzo e non poteva rimanere. Mi stirai un poco, allungando ogni fibra del mio corpo, e sbadigliai. La notte non era stata semplice dopo le tristi notizie del giorno precedente, ma tra le braccia di Mickel ero riuscita a trovare conforto, fino a sprofondare in un sonno senza sogni.
Un nuovo giorno aveva inizio ed io dovevo essere pronta a reagire, seppure provassi un malessere più mentale che fisico, che mi riduceva senza forze. Troppi pensieri confondevano la mia testa e non sapevo da che parte iniziare.
Portai le mani sul capo, come se premendomi le tempie, potessi dare loro un ordine, ma poi sospirai affranta. Di Louise-Marie mi sarei occupata in seguito; in fin dei conti dovevo lasciare passare i giorni, per permetterle di sbollire quella rabbia che le accecava occhi e cuore.
Dovevo occuparmi di Claire.
Ero presa da tali pensieri, quando udii dei colpi alla porta. Mi sistemai un poco ma poi, sperando che Mickel fosse tornato indietro, mi precipitai ad aprire, ma la sorpresa non fu minimamente piacevole.
Impallidii nello scorgere quattro gendarmi al servizio dell’inquisizione, che mi guardavano con sorrisi lascivi e, in mezzo a loro, l’unico inquisitore rimasto.
    « Madame Marli? »
    « Sì, sono io » risposi, trovando un poco di coraggio, seppur il tono di voce fosse così sottile da temere di non essere stata capita.
    « Dovete seguirci, sono state mosse accuse gravi contro di voi ».
Spalancai gli occhi, e udii come dal nulla, la voce di Louise-Marie.

 Prendi il tuo sudicio regalo, strega! Ora me ne vado, ma la mia vendetta arriverà ben presto!

Strega. Accuse gravi contro di me. Mi sentii venir meno, ma cercai di raccogliere le mie forze per non svenire dinanzi a loro.
    « Quali accuse, se posso permettermi? »
    « Non è qui che ne parleremo. Se non avrete nulla da nascondere, tornerete tranquilla a casa ».
Lo guardai sorridere ambiguamente, ma sapevo che erano solo vane illusioni. Se li avessi seguiti, non sarei mai più tornata indietro ma, allo stesso tempo, non potevo fare altrimenti.
    « Vi chiedo di seguirmi senza fare storie, o la vostra posizione potrebbe aggravarsi ».
    « Datemi solo qualche minuto, vi prego. Ho la mia bambina che non può rimanere da sola ».
L’inquisitore mi guardò con occhi gelidi, e poi le sue labbra sottili formarono un nuovo sorriso, più simile a un ghigno.
    « Oh, ma vostra figlia la porteremo con noi ».
    « No! » gridai, improvvisamente.
    « No? » mi fece eco lui.
    « Verrò con voi, ma non toccate mia figlia. Ve ne prego, Padre. Lasciate che la porti da Madame Le Marchand e poi vi seguirò » lo implorai, temendo per la vita di mia figlia. Quel piccolo pargoletto non c’entrava nulla.
Ma lui non si lasciò prendere da sentimenti di pietà. Si voltò verso i gendarmi, ai suoi lati e impartì un ordine che mi gelò il sangue nelle vene:
    « Ispezionate ogni angolo di questa casa e trovate ogni possibile oggetto di cui non potete comprendere il significato o l’uso » fece una pausa e poi aggiunse « E prendete la bambina, la portiamo con noi ».
Gridai di nuovo. Implorai. Corsi verso mia figlia, ma uno dei gendarmi mi bloccò la strada, precedendomi e prendendo senza troppa grazia la bambina, che iniziò a piangere impaurita.
Implorai il gendarme, ma anche nei suoi occhi non riuscii a scorgere neanche un filo di pietà.
Se quella era la sua vendetta, Louise-Marie aveva saputo ben colpire.
Sarei stata disposta a morire, ma non potevo permettere che mia figlia subisse ogni genere di male.
    « Ho trovato qualcosa » disse l’altro gendarme, e consegnò all’inquisitore un ciondolo su cui spiccava una pietra scura. Il mio regalo protettivo a Flaviano era lì. L’avevano trovato, e poteva rappresentare la certezza assoluta della mia colpa.
Ero una strega e presto avrei pagato anche con la vita.
Louise-Marie stava per riprendersi la sua vittoria.



*


     Mi posero all’interno di una sorta di grande cesta, sorretta da un palo di legno, sollevata da terra, per impedirmi – se fossi stata realmente una strega – di attingere forza dalla terra e liberarmi. Li osservai incredula, ma non potevo far altro che sottostare ai loro ordini. Fossi stata da sola, avrei tentato di fuggire, ma ogni mossa falsa avrebbe messo in pericolo la vita di mia figlia. Attraversammo il sentiero principale di Sivelle, che conduceva verso la piazza cittadina, e poi verso il Palazzo. Il Conte aveva messo a disposizione degli Inquisitori le segrete, in modo tale da processare e valutare con attenzione ogni caso di stregoneria presente nel suo territorio. Avvertivo lo sguardo di ogni cittadino su di me: colsi stupore in alcuni, ma altri bisbigliavano tra loro e annuivano. Forse in molti mi credevano capace di far del male. Strinsi a me la piccina, cercando di tranquillizzarla tra le mie braccia, e guardai avanti. Tentai – con difficoltà – di non mostrarmi debole, di non piangere, di non farmi vedere troppo sofferente. Alzai il capo, fiera, ma quando udii una voce a me cara, mi voltai e sentii il mio cuore fermarsi, straziata da quella visione.
Madame Le Marchand avanzava con affanno verso di noi, seguita dalla piccola Julie che, nell’intercettare il mio sguardo, sbiancò improvvisamente. La giovane apprendista si sentiva ancora terribilmente in colpa per aver accusato Lydie e averla quasi gettata tra le braccia della morte, ma ero ben consapevole del suo immenso affetto nei miei riguardi, e quasi mi commossi nel vederla piangere.
    « Padre, Padre, state facendo un errore! » esclamò Madame, quando ormai fu vicina. Il giovane inquisitore si fermò e così i suoi uomini, ed io spostai lo sguardo su di lei. Sarei voluta andare via, scomparire. Non potevo sopportare il dolore negli occhi di colei che amavo come una madre.
    « Non c’è errore di sorta, Madame » replicò, l’uomo di Chiesa, in tono gelido. « Ma presto interrogheremo Madame Marli e se avremo fatto un errore, faremo ammenda dei nostri peccati ». Posò una mano sul cuore, come se fosse sincero, ma io sapevo che avrebbe fatto di tutto per accusarmi e gettarmi tra le fiamme.
    « Dove la stata portando? Desirée, Madame Marli, è una donna di buon cuore » continuò Madame, alternando lo sguardo tra lui e me. « E la bambina… »
    « Verificheremo presto se la dama presente ha un cuore puro, e la bambina verrà con noi. Non vorrete, certo, allontanare una figlia dalle braccia di sua madre » disse, scrutandola con quei suoi occhi scuri e implacabili.
    « No, ma… »
Cercai di concentrare tutta la mia attenzione su di lei, sperando che lei potesse leggere i miei occhi. Non doveva continuare, non potevo metterla in pericolo. Chiunque avesse ostacolato il braccio della Chiesa nell’adempiere un’impresa di tale portata, voluta da Dio stesso, avrebbe rappresentato una prova certa di colpevolezza. Non potevo permetterle di rischiare, né la piccola Julie.
Madame sembrò combattere tra diversi pensieri, ma poi abbassò lo sguardo per qualche istante, arrendevole. Quando tornò a guardarmi i suoi occhi grigi erano bagnati di lacrime, e per un momento una sensazione gelida mi sfiorò il cuore: era come se presagisse una possibile morte, come se quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo viste.
Avrei voluto abbracciarla. Avrei voluto farle capire quanto bene provavo per lei, ma i miei occhi parlavano e lei sapeva ormai leggere nella mia anima. Madame Angélique Le Marchand sarebbe rimasta per me come una seconda madre, e io l’avrei amata per sempre. Le rivolsi un dolce sorriso, mentre sentivo i miei occhi pungere per lacrime imminenti, tuttavia le ricacciai indietro. Dovevo essere forte. Per lei, per me, per Julie, per Alizée.
    « Lasciateci passare ora » ordinò perentorio l’inquisitore, facendo un gesto ai gendarmi affinché riprendessero il passo. Madame si scostò un poco, ma non smise di guardarmi. Sentii Julie gridare il mio nome e tentare di corrermi dietro, ma Madame la bloccò, stringendola con forza a sé, cercando di attenuare i suoi singhiozzi, quel dolore che lei stessa stava provando.
Guardandole insieme pensai che, per alcuni anni, avrebbe avuto un’altra figlia con sé, anche se mi era parso di vederla invecchiare di colpo.


*


    Giunti alle segrete del Palazzo, una donna anziana e tarchiata, priva di bellezza, mi strappò Alizée dalle braccia. Tentai di impedirglielo, di implorare quegli uomini a tenerla con me, ma tutto fu presto inutile. Mi spinsero con la forza a lasciarla, ed io non potei far altro che accasciarmi a terra e vedere la mia piccola che si allontanava piangendo e allungando le sue braccia verso di me, fino a scomparire.
In quel momento crollai. Non riuscii a trattenere più le lacrime, neanche quando due gendarmi mi sollevarono con poca grazia e mi spinsero verso un corridoio oscuro.
Il sole estivo, che splendeva nel cielo, sembrava ormai lontano, ma il calore del mio corpo mi aveva già abbandonata da prima. Avanzai lentamente, fino a ritrovarmi in una sorta di grande spiazzo in pietra, su cui spiccava una lunga corda appesa al soffitto legata a una carrucola, e un tavolo con due sedie, una delle quali già occupata – con mio sgomento – da Padre Paul.
In un attimo di speranza, mi divincolai dalla presa degli uomini e mi chinai ai piedi del Pastore, sfiorandogli appena la veste.
    « Padre Paul, voi siete clemente e mi conoscete da tempo, vi prego aiutatemi ».
Padre Paul mi osservò con sdegno e disprezzo, e con un semplice gesto del dito ordinò ai gendarmi di spostarmi da lì. Fui sollevata di nuovo, avvertendo le mani grosse e sudice di quegli uomini schifosi, e notai il suo gesto di stizza nel pulirsi la veste, come se fossi una mendicante o una persona malata.
Rammentai in quel momento le parole di Mickel e compresi quanto fossi stata stupida ad abbassarmi ai suoi piedi, cercando aiuto. Padre Paul era come gli altri. Non mi avrebbe aiutata. Il suo cuore era marcio.
Restai in piedi, dove mi lasciarono i due uomini, e notai il giovane inquisitore sedersi accanto al Pastore di Sivelle. Rimase in silenzio, sostenendo però i loro sguardi indagatori. Avevo peccato nell’accasciarmi a terra a implorare, ma ora avrei reagito diversamente.
Non avevo colpe. Non avevo fatto nulla di male e loro lo avrebbero capito.
I due uomini vestiti di scuro rimasero in silenzio per diversi minuti, poi quando presero parola, fu solo per ordinare a persone nascoste dietro a una porta di entrare. Entrarono altri uomini e una donna, che mi si avvicinarono, con sguardi duri.
    « Procedete pure » sentenziò, l’inquisitore.
Non sapevo cosa dovesse succedere. Pensavo che si trattasse solo di un semplice interrogatorio, ma quando avvertii le mani della donna sulle mie vesti, mi ribellai.
    « Stai ferma Strega, è meglio per te » sibilò, prima di andare ad allentare i fili del mio vestito, fino a denudarmi completamente.
Fui lasciata nuda e scoperta di fronte a quegli uomini e tentai di coprire la mia intimità con le mani. Provavo vergogna, mi sentivo sporca, osservata in maniera così lasciva da quegli uomini luridi e rozzi, da quegli uomini di chiesa, e anche dai nuovi arrivati che si azzardarono anche a muovere le mani verso di me.
    « Che cosa state facendo… » dissi, ma subito la voce dell’inquisitore si alzò.
    « Tacete ».
Mi sentii ribollire il sangue nelle vene. Avrei voluto gridare, sputargli, scappare da lì, ricoprire le mie nudità. Mi sentivo male. Non potevo più sostenere quegli sguardi.
La donna si allontanò con le mie vesti e svanì di nuovo nell’oscurità, mentre due uomini alti e magri, mi fecero sedere a terra. Sentii il freddo delle rocce propagarsi in ogni parte del mio corpo, e in quel momento avrei voluto davvero attingere alla forza degli elementi per ribellarmi. Ma un tale incantesimo richiedeva la giusta concentrazione, ed io non potevo allontanare facilmente quella miriade di tristi e vergognosi sentimenti che provavo.
Uno dei due uomini estrasse dalla tasca dei suoi abiti un paio di forbici, e le avvicinò ai miei capelli.
Un colpo solo e i primi boccoli dorati caddero a terra.
Guardai quella parte di me scivolare verso il basso e compresi che quello era solo l’inizio.
Louise-Marie era riuscita a vendicarsi veramente bene.
Altri colpi di forbice e pian piano quella massa di capelli che tanto adoravo e che Flaviano aveva tanto decantato, scomparve dal mio capo, riversandosi a terra.
Flaviano… se lui fosse stato ancora vivo, mi avrebbe protetta?
Mickel. Avrebbe scoperto la mia assenza? Mi avrebbe salvata?

Rimasi a terra, cercando ancora di coprire le mie nudità, ma ormai mi sentivo spenta e vuota. Il capo mi era stato rasato, e il mio corpo nudo era osservato con cura e avidità da quei vermi schifosi, che amavano solo far del male, accusando persone innocenti di farne ad altri.
Quando il secondo uomo estrasse una serie di spilli, spalancai gli occhi e urlai.
    « C-cosa volete farmi? » dissi, in un sussurro appena percepibile.
   « Oh, tranquilla. Dobbiamo solo cercare il marchio del diavolo » spalancò le labbra in un ghigno, mostrando denti gialli e marci che mi diedero la nausea.
Il marchio del diavolo? Che cosa era? Non riuscivo a comprenderlo.
Due gendarmi si avvicinarono, spingendomi a terra, facendomi sbattere la testa sulla pietra, seppur lievemente. Uno mi prese le braccia, scoprendomi così il seno e il punto proibito, l’altro mi tenne bloccate le gambe, ed entrambi mi osservavano con grande desiderio nei loro occhi. Gridai, implorai, ma non ci fu verso di bloccarli.
E… quando il primo ago mi punse il corpo, compresi quale fosse il modo di scoprire quel marchio. I primi spilli mi portarono a gridare, ma man a mano il dolore si faceva più sopportabile, come se il mio corpo si abituasse.
Quando ne infilarono uno sulla coscia destra, così vicina al mio sesso, mi sentii mancare. Ma ormai avevo perso ogni forza. Mi sentivo debole, e abusata. Come se quegli uomini avessero raggiunto ogni parte del mio corpo e della mia anima. Non gridai, e quello parve essere il segno che la ricerca era, ovviamente, andata a buon fine o forse semplicemente – come ben speravo – era giunto il momento di finirla con quella tortura e comprendere che non fossi una strega, perlomeno nel senso che loro intendevano.

    « Bene, potete andare » ordinò l’inquisitore ai due uomini che si erano occupati così di me, e poi si voltò verso i gendarmi che, fingendo nulla, si erano arrogati da soli il diritto di sfiorarmi il seno o le cosce. Borbottarono lievemente, quando furono interrotti, ma prontamente mi sollevarono da terra e sostenerono con sgarbo, riportandomi dinanzi ai due uomini di chiesa.
    « Possiamo procedere con l’interrogatorio ».
Non dissi nulla. Mi avevano già umiliata e non sapevo cosa rispondere, ma dovevo trovare la forza necessaria a ribattere prontamente alle supposizioni errate che certamente Louise-Marie aveva infuso in loro.
    « Madame Chervalie, Marli, siete stata accusata di aver commesso maleficium su due uomini » sentenziò l’inquisitore, scrutandomi con attenzione per qualche istante. « Monsieur Flaviano Marli, vostro marito, e il Capitano delle Guardie del Conte, Monsieur Mickel Svensson ».
Inorridii a quelle parole, anche se immaginavo qualcosa di simile. Per Louise-Marie era facile accusarmi di aver stregato il suo uomo, anziché comprendere che ci univa un amore vero e reale, ma come potevano sostenere che avessi commesso qualcosa contro il mio Flaviano? Guardai Padre Paul, cercando di suscitare una qualche emozione in lui. Era stato lui a sposarci. Lui ci conosceva sin da bambini. Lui sapeva quanto lo amassi, quanto avessi sofferto nel perderlo, come poteva accusarmi di questo? Ma lui non mi guardò neanche un istante, come se io fossi sporca, o semplicemente non poteva sollevare i suoi occhi da religioso su un corpo femminile completamente nudo.
    « Confessate di aver commesso ciò di cui siete accusata? » domandò, implacabile, l’inquisitore.
Io scossi il capo, e risposi:
    « Se l’amore è considerato peccato, che io sia accusata ». Trassi un profondo respiro, cercando di modulare meglio la mia voce, per essere più forte. « Ma non ho mai commesso alcun maleficium contro l’uomo che amavo, mio marito. Ho sofferto per la sua morte. L’ho amato quando era in vita, e ancora ora i miei sentimenti indugiano nel mio cuore, e non smetteranno mai di esistere ».
    « Eppure è stato trovato questo nel vostro appartamento. Testimoni oculari sostengono di averlo visto al collo di vostro marito. Una pietra scura, regalata da voi. Un amuleto realizzato da una strega ».
    « Mi dispiace contraddirvi, Padre, ma è un gioiello. Un ciondolo che ho regalato come pegno del mio amore e ricordo di me quando lui è partito per la guerra. Volevo proteggerlo, non maledirlo ».
    « Menzogne! » strillò, ma io non sobbalzai. Cercai di ancorarmi alla terra, per rimanere salda e dare l’apparenza di essere ferma. « Vostro marito è morto in battaglia, proprio dopo aver ricevuto come regalo quest’amuleto demoniaco! »
Sentii affiorare le lacrime, ma le ricacciai indietro.
    « Mio marito non lo portava con sé quando è morto. Non è stato il ciondolo a causare la sua morte! » mi accorsi di alzare la voce, e uno dei gendarmi mi strattonò il braccio, facendomi gemere. « Lui è morto per salvare il suo più grande amico… il suo capitano ».
    « Il Capitano Svensson » replicò, prima di soppesare le ulteriori parole. « Avete gettato un maleficium anche su di lui. Non vi è bastato far morire vostro marito, mentre nel vostro grembo nasceva vostra figlia. Ne avete approfittato per soggiogare anche il Capitano. Ditemi, con quali artefizi magici lo avete allontanato dalla sua futura sposa, portandolo nella vostra alcova? »
Arrossii di rabbia. Non potevo credere di essere condannata per simili accuse non veritiere. Flaviano volevo proteggerlo, perché lo amavo, ed era sempre l’amore che mi aveva condotta verso Mickel.
Possibile che non lo comprendevano? Possibile che nutrivano una simile invidia da condannare chi provava amore?
    « Non ho fatto nulla, nulla! » urlai, ancora, incurante della nuova stretta al braccio che di certo mi avrebbe lasciato presto un livido. « Mickel… il Capitano Svensson era rimasto solo e tra noi, nel corso del tempo, è sorto un sentimento puro e intenso. C’è solo amore. L’amore è un peccato? »
    « L’amore verso un uomo di un’altra è un peccato molto grave. Non desiderare la donna d’altri, citano i Comandamenti, e ancor di più voi donne non avete diritto di desiderare uomo altrui. Siete sposata. Avete una figlia, e avete commesso un grave peccato, e dovrete fare ammenda ».
    « Non provo vergogna per quello che ho fatto ».
Sentii i loro occhi volgersi verso di me. C’era sfida, gelo, cattiveria pura. Un desiderio malsano di vedermi abbassare la testa e implorarli, come avevo fatto pocanzi. Ma non si sarebbe ripetuto. Sostenni i loro sguardi e poi, l’inquisitore disse:
    « Siete stata vista anche accanto alla strega che ha realizzato quel maleficio che ha causato la morte del Padre Piccard, pace alla sua anima che nell’alto dei Cielo ora trova pace » si fermò, facendo il segno della croce, copiato da Padre Paul. « Ci sono altre come voi? Avanzate altri nomi, e potrete forse essere perdonata. Sempre se vi dimostrerete umile, farete ammenda dei vostri peccati, e chiederete il perdono di Dio ».
Scossi il capo e serrai le labbra. Non proferii nome alcuno. Non avrebbero udito dalle mie labbra accuse verso le mie amate sorelle. Non avrei fatto il loro sporco gioco. Tanto sapevo che la mia fine sarebbe stata la medesima.
    « Non parlate? »
Scossi il capo di nuovo e ugualmente non risposi. Uno dei gendarmi mi schiaffeggiò, facendomi cadere a terra. Portai le mani al viso, sentendolo bruciare. Dolore. Ma non mi sarei piegata.
    « Fermatevi. Non è questo il modo. Se non volete parlare ora, lo farete domani. Abbiamo altri metodi per ottenere le confessioni ».
Il suo sguardo indugiò sulla corda e su altri attrezzi che prima non avevo notato, ma che mi misero i brividi e spinsero a guardare altrove. Avevo paura. Terribilmente paura, ma non potevo cedere. Sylvie non lo avrebbe fatto.
    « Domani vedrete anche la vostra bambina, forse così vi si scioglierà la lingua ».
I gendarmi iniziarono a ridere e fare segni volgari al mio indirizzo, ed io fissai i due ecclesiastici con occhi sbarrati.
    « Mia figlia non c’entra nulla. Non potete, Padre Paul, aiutatemi! »
    « Portatela via. Una notte in cella le permetterà di pensare ».
I gendarmi mi presero rozzamente per le braccia ed io mi accasciai.
Fui sbattuta a terra, in una cella rozza e maleodorante, dove v’erano altre tre o quattro donne. Alcune erano ferite, avevano lividi sul volto e sulle braccia, ma tutte avevano subito il mio trattamento: erano rasate e nude, e le loro caviglie strette a gelide catene, come del resto fissarono a me.




















__________________________________________________________________
Non è stato per nulla facile scrivere questo capitolo. Ho letto molto sulla caccia alle streghe e i metodi di tortura, e ogni volta resto nauseata dalla crudeltà perpetuata su persone innocenti, soprattutto donne, accusate di crimini non commessi. La tortura che ho descritto qui è fievole in confronto ad altri metodi, ma ammetto che non riuscivo ad andare oltre e forse avrei davvero dovuto alzare il rating da arancione a rosso. Ho letto che svolgevano davvero questi "riti", questi atti orrendi. Forse non è sicuro, ma ho cercato di estrapolare dalla storia qualcosa che potesse essere utile alla mia trama. Spero che sia riuscita a trasmettere sentimenti non piacevoli, che potrebbero anche far riflettere. Come già detto, sono sempre stata interessata su un tale argomento ed è proprio per questo che è nata tale storia.
Come al solito, voglio chiarire, che non c'è nessun attacco ad alcuna religione. Io sono aperta a tutto, ma è ovvio che nei secoli passati - ma del resto anche ora non è che le cose siano del tutto migliorate - ci sia stata troppa crudeltà. Davvero, troppa. E, in fin dei conti, questi atti sono da condannare, ma non la vera natura delle religioni (di cui poi ho un personale pensiero).
Mi sono dilungata anche troppo. Spero che il capitolo sia stato interessante e mi auguro che seguirete la mia piccola Rosa fino alla fine. Non vi svelo di più! :)

A presto e grazie a chi legge e lascia un suo pensiero!

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Capitolo 35
*** XXXIV - Notte prima dell'alba ***


XXXIV
 Notte prima dell'alba





    Era come vivere un incubo, ma purtroppo non era una mera illusione. Era realtà.
C’era tanto buio in quella cella comune, a parte una tenue luce sottile sulla quale piccole particelle di pulviscolo sembravano come sospese. Il freddo – nonostante la calda stagione – m’irrigidiva gli arti, facendomi tremare. Cercai, nuovamente, di nascondere le mie nudità, pur sapendo che erano gesti inutili ormai; mi sentivo lercia, come se avessero abusato di me. In quel momento non potevo sapere – o forse non lo avrei mai appreso – quando avrei potuto scordare il dolore di quegli spilloni sulla mia pelle, di quelle mani ruvide e callose sui miei seni, di quegli sguardi di disprezzo e libidine che mi erano stati rivolti. Non ero stata torturata fisicamente, ma dentro di me qualcosa si era spezzato per sempre. Ma io avrei avuto davvero un futuro? Non lo sapevo, ma ero conscia che il sorgere di un nuovo sole avrebbe solo rappresentato un giorno di pura sofferenza, di scelte per nulla facili. Che cosa avrebbero fatto alla mia bambina se non avessi parlato? Dove la tenevano ora? Alizée, il mio piccolo raggio di sole, stava bene?
Mi trovavo sull’orlo di un baratro profondo, sospesa tra due scelte: non parlare e correre il rischio di vedere soffrire mia figlia, o fare i nomi e gettare tra le fiamme le mie amate sorelle. Ma avevo realmente una duplice scelta?
Mi raggomitolai a terra e fui scossa da singhiozzi. Tutta la forza che avevo cercato di mostrare ai miei inquisitori era svanita. Mi sentivo sola, stanca, triste e vuota.
Piansi amare lacrime per mia figlia, per Flaviano che sostenevano avessi ucciso io, per le mie sorelle streghe, per Madame e Julie e anche per quell’amica che avevo perso in siffatta maniera e che mi aveva relegata in quel angusto inferno in terra. Piangevo anche per Mickel, mi avrebbe mai trovata?
    
    Gocce cadevano dal soffitto sfiorando il pavimento e risuonando sgradevoli all’udito. Sentivo gemiti di altre donne e grida provenire – probabilmente – dal grande salone dove mi avevano interrogata.
Una donna stava soffrendo terribilmente per peccati mai commessi: probabilmente un’emarginata della società, o una donna abile nel maneggiare erbe mediche e per questo invidiata dagli uomini cui spettava il compito di curare; o semplicemente era accusata per essere una donna sola, con una bambina da crescere e per il grande peccato di provare amore per un altro uomo.
Noi donne dovevamo sottostare alle leggi degli uomini. Non potevamo essere troppo indipendenti o avere maggiori conoscenze. In quella società erano gli uomini a comandare.
Dio, in fondo, non era un sostantivo maschile? Ma io avevo imparato a conoscere anche il suo volto femminile: la Dea, Vergine, Madre e Anziana, che era sempre pronta a sostenere le donne e che, in un certo senso, si poteva identificare con l’immagine di Maria. Le aprii il mio cuore, con la speranza di essere confortata e di trovare una risposta ai miei dubbi, alle mie non facili domande.
Ero così concentrata sul mio dolore e su tali domande che quasi non udii una voce sottile e gentile che invocava il mio nome.
    « Desirée, tu qui? »
Sollevai lo sguardo e scorsi un viso nell’oscurità della cella; era per metà in ombra, ma non mi era difficile riconoscerlo.
    « Claire? » domandai, poiché, anche se la sua voce era inconfondibile, il suo volto delicato era mutato. Era sporco di polvere e lividi scuri le avevano provocato un leggero gonfiore sotto l’occhio destro, ma quasi gridai quando mi accorsi che le sue braccia sembravano assumere una posa innaturale ai lati del suo corpo. Come se fossero lussate.
    « Cosa ti hanno fatto… » mormorai, tentando di allungare una mano verso di lei.
    « Gli uomini di Dio sanno trovare mezzi adeguati per estorcere confessioni, ma nessun nome uscirà dalle mie labbra ».
    « Ho avuto tanta paura di perderti, di arrivare troppo tardi per salvarti… » bisbigliai, nella speranza di non essere udita da altri. « Come ti hanno presa? »
    « Padre Paul » replicò, e poi piombò per qualche istante nel silenzio, e la sentii solamente sospirare. Io rabbrividii a quel nome, ancora incredula per la presenza del Pastore in quel luogo di tenebre, ma poi Claire riprese parola. « Ho sempre temuto il suo sguardo. Mi hanno accusata di aver compiuto un maleficium su di lui, di averlo soggiogato e ammaliato con i miei poteri da demone seduttore. Io, la concubina del Diavolo, colei che è riuscita a farsi insegnare l’arte della seduzione e della perdizione, spingendo così il povero Padre a fare pensieri impudichi, allontanandolo dall’unico Dio » si fermò, e la sentii emettere una risata strana, quasi isterica. « Il povero padre Paul ha ottenuto il suo scopo, trovando un pretesto per sfogare su di me la sua lussuria… ».
Tra noi s’insinuò il silenzio e forse per la prima volta la sentii piangere. Non era mai stato facile leggere le emozioni sul suo volto, ma in tali circostanze non era facile non lasciarsi trasportare dal dolore. Padre Paul aveva abusato di lei. Claire era stata condannata solo per la sua bellezza. Questa era dunque una colpa? In cosa aveva commesso peccato?
Mi sentii assalire da un profondo senso di rabbia e di nausea, e cercai di sfiorarla come per attenuare il suo dolore, ma lei si ritrasse al mio tocco e quindi mi fermai.
Avrei voluto dire tante cose, ma in quel momento non mi uscivano le parole. Avrei voluto abbracciarla, ma se io mi sentivo ferita per quella leggera tortura, come doveva sentirsi lei? L’avevano ferita fisicamente e moralmente, e ora rischiavamo entrambe di morire. Mi sentivo ipocrita a dire che saremmo uscite da lì. Non ero più sicura di niente.
    « Oh Claire… » mormorai, unicamente, non riuscendo a trattenere nuove lacrime. Avrei dovuto essere forte, ma in quel momento il mondo era caduto su di me e non sapevo più uscire, emergere alla luce, comprendere cosa fare.
Dopo diversi minuti, la sentii muoversi e poi dire:
    « Come sono arrivati a te? »
    « La tua arte mi aveva messa in guardia, ma il destino si è avverato in una maniera inaspettata. Louise-Marie, la prima dama e un tempo amica, si è voluta vendicare perché mi sono innamorata del suo uomo. Non avrei mai pensato che l’amicizia avrebbe potuto portare a qualcosa di simile ».
    « Questa non è la vera amicizia » replicò lei, cercando di ritrovare la sua compostezza e un tono gentile. « Un vero amico non si vendica, ma cerca di comprendere; non ti accusa, ma cerca di spiegarti cosa cela il suo animo. È importante parlare e venirsi incontro e, anche se fa male, sorridere per la felicità dell’altro ».
Ascoltai le sue parole sagge e annuii.
    « Lei mi ha accusata di tradimento, ma è scomparsa nel nulla. È un peccato così grande amare? »
    « No, non lo è » mormorò Claire, con difficoltà. Mi morsi le labbra per aver posto una domanda sull’amore, pensando a come dovesse sentirsi lei. Aveva perso l’amore della sua vita e ora era stata malamente abusata da un uomo che si era invaghito di lei, ma che non poteva averla; sarebbe mai riuscita ad amare e concedersi ancora? Non sarebbe stato facile, per nulla.
    « Alizée » si fermò un istante, e colsi nei suoi occhi verde acqua la magia della visione. « Oh, no. È stata presa anche lei ».
    « Sì. Mi hanno accusata di aver compiuto un maleficium contro mio marito e contro Mickel, e c’è chi mi ha visto accanto a Sylvie. Mi hanno invitata a fare nomi, ho mantenuto il silenzio, ma… »
    « …ma utilizzeranno tua figlia per farti dire i nomi delle altre » completò lei, avendo intuito o forse visto.
    « Sì… e non so assolutamente che fare. Non voglio tradirle, ma non voglio che mia figlia soffra. Lei non c’entra nulla… »
    « Devi… » ma non concluse, perché proprio in quel momento la porta di ferro della cella venne aperta e due uomini della guardia ecclesiastica spinsero dentro una donna, esanime.
Sangue grondava sul suo viso tumefatto, e non riuscivo a comprendere se fosse giovane o vecchia, anche il suo corpo sembrava aver subito scosse, e ora era svenuta a terra. Le chiusero le catene alle caviglie con poca grazia e uno dei due, rivolse il suo sguardo verso di me.
    « Il nuovo bocconcino è davvero prelibato » lo sentii dire, mentre si avvicinava di qualche passo claudicante a me. Cercai di allontanarmi, ma il ferro alla caviglia mi lacerava la pelle e m’impediva di scappare.
Gridai, e cercai di porre le mani avanti nel tentativo di respingerlo.
    « Potremmo divertirci un po’ tu ed io, strega ».
    « No, andate via, via! » gridai, dimenandomi quando lui tentò di allungare le sue braccia nerborute per cingere le mie e, quando vi riuscì, mi sentii mancare.
Non volevo subire violenze, non volevo  permettere a quella bestia di farmi del male, ma mi accorsi di non poter far nulla, se non continuare a dimenarmi, cercando di graffiarlo sul viso.
    « Cagna! » gridò, l’uomo, quando io riuscii a graffiargli il viso, e la sua risposta fu uno schiaffo violento che mi fece ricadere inerme a terra. La testa mi pulsava, ma ero riuscita a rimanere vigile. In quel momento però, quasi mi dispiacque. Priva di sensi sarei riuscita a non avvertire nulla di quel che erano i suoi tentativi. Avrei potuto distaccare lo spirito dal corpo, ma non riuscivo a concentrarmi in quel momento ed era qualcosa che dovevo ancora apprendere. La mia esperienza come strega non era molta. Avrei voluto tanto avere ancora Sylvie, ricevere i suoi insegnamenti, apprendere la sua arte e far mio il suo coraggio.
Non fu difficile per l’uomo arrivare facilmente al mio sesso, non avendo i vestiti a impedirgli l’accesso. Quando avvertii il suo dito penetrarmi, gridai con quanto fiato avevo in corpo.
    « Zitta, schiava del demonio. Lo so che apprezzi! » sbraitò lui, allungando una mano verso il seno e arpionandolo con forza tale da farmi gridare ancora, mentre con l’altra m’impediva di reagire.
    « Sta ferma ora, lurida sgualdrina! Vediamo se il tuo caro Capitano ti fa godere quanto me! »
Sollevai lo sguardo verso di lui e in preda a una rabbia e a un disgusto enorme, gli sputai dritto nell’occhio, facendolo infuriare. Mi colpì di nuovo sul viso, e questa volta mi sembrò di sentir scorrere qualcosa di liquido, sangue, probabilmente, mentre l’uomo si affannava per abbassarsi le brache. Il dolore era troppo intenso e le forze svanite, non sapevo più come reagire, e stava quasi per raggiungere il suo scopo, quando lo udii gridare.
Incredula lo guardai e lo vidi portare le mani agli occhi e agitarsi.
    « Ahh, i miei occhi. Bruciano, bruciano! » gridò, mentre il suo compagno si avvicinò senza capire. Si guardò intorno, ma non si accorse di ciò che era accaduto, come invece io compresi.
Claire era rimasta in silenzio, non per assistere inerme a quell’orrendo spettacolo che aveva già subito, ma per ritrovare quel poco di energia che le consentisse di fare un incantesimo. L’acqua era il suo elemento e bastarono quelle poche gocce che cadevano dal soffitto, per plasmarla al suo volere. Era riuscita a trasformarla, probabilmente, in acqua bollente che aveva ustionato gli occhi della bestia che si era gettata su di me. Mi sfuggì un sorriso, che mai avevo provato di fronte alla violenza. Era anche un sorriso di muto ringraziamento alla sorella ritrovata che mi aveva aiutata.
    « Che cosa accade qui? »
La voce di Padre Paul fece svanire il sorriso che univa me e Claire e la vidi ritrarsi maggiormente nell’oscurità. Io lo fissai con puro disprezzo, mentre i due gendarmi cercarono di spiegare la situazione.
    « Sono sicuro che è colpa di quella nuova strega! » gridò l’uomo che voleva abusare di me, e Padre Paul mi guardò con freddezza, lasciando trasparire però una nota di paura e incomprensione.
    « Coprite le vostre nudità e andate via di qui » ordinò, e i due uomini svanirono ben presto.
Padre Paul mi si avvicinò, scrutando il sangue che mi scorreva sul viso, e i miei occhi fissi su di lui. Cercai il contatto con il mio elemento, nonostante il dolore che provavo al capo. Se avesse anche solo tentato di sfiorare me, o Claire, non avrei esitato a colpirlo.
    « Siete stata davvero voi, Desirée? »
Come osava appellarmi così? Non risposi minimamente, ma non smisi di cercare il potere e di fissarlo con odio.
    « Continuate pure a tacere per ora, domani vedremo se riuscirete a trovare le parole ».
Avevo voglia di colpirlo, di fargli male, ma lui si allontanò spostando lo sguardo verso Claire. Convogliai l’energia verso le mie mani, pronta a far scaturire il potere se solo lui avesse tentato di sfiorarla. Plasmai il mio elemento, secondo il mio volere. L’aria, sfuggevole, sembrò rispondere al mio richiamo e vorticò nella mia anima. La sentii mutare, come se diventasse in un certo qual senso più spessa, più pesante, pronta a essere modellata come creta.
    « Anche con il viso tumefatto siete ancora bella. Creatura demoniaca, voi, voi mi avete lacerato il cuore » si chinò, e allungò una mano verso di lei. Avvertii nell’aria una tensione crescente, ma non dissi una parola. Il mio elemento mi avvolgeva e ignorai la pulsazione nella testa, perché in quel momento dovevo dimostrare forza e coraggio per difendere Claire.
    « Vi allontanate da me? Avete paura? » continuava a parlarle, con quel tono viscido che mi ricordava tanto il corpo di un serpente. In quel momento provavo odio e quel sentimento prepotente mi aiutò ad aumentare la mia energia.
    « Non riesco a resistervi. Cosa mi avete fatto! Ah, i vostri occhi! Sono loro ad attirarmi verso il peccato, tra le fiamme dell’inferno ».
Quando sentii Claire gridare al tocco di lui sul suo viso, lasciai scaturire il mio potere. Aria gelida colpì il corpo dell’uomo, spingendolo a cadere a terra. Altri colpi sferzarono il suo viso come fruste e quando si voltò intorno a cercare la fonte di un tale potere, scorsi i suoi occhi terrorizzati. Avrei voluto continuare ancora, ma l’angoscia, la violenza fisica, mi avevano così provata che ben presto le energie vennero meno. Tuttavia avevo ottenuto il mio scopo, ero riuscita ad allontanare quell’uomo viscido da mia sorella, e quando svanì oltre la porta, sospirai.
    « Desirée… grazie » mormorò Claire e, vidi la sua pallida mano affusolata venirmi incontro nel leggero baluginio della luce. Cercai di allungare la mia e le nostre dita si sfiorarono appena, non riuscendo a fare di più.
    « Grazie anche a te, sorella mia. » le sorrisi, stanca, e poi aggiunsi « ora però, abbiamo dato una vera dimostrazione di essere streghe ».
Ci ritrovammo a ridere, seppur con una nota di amarezza e poi tra noi piombò di nuovo il silenzio.


*



    Un lungo prato verde si distendeva dinanzi a me, adorno di fiori dagli intensi colori e dai gradevoli profumi. Sentivo l’aria carezzarmi con gentilezza il volto, il cinguettio tintinnante degli uccelli tra i rami degli alberi, e un cielo azzurro e infinito mi sovrastava.
Era una giornata deliziosa, che incantava i sensi. Mi muovevo lentamente, a piedi nudi, sentendo i fili d’erba freschi e assaporando quella piacevole sensazione. Non riuscivo a comprendere dove fossi, ma di certo quella non era Sivelle. C’era troppa luce lì, e troppa ombra nel mio villaggio. C’era troppa armonia e felicità in quel luogo, e troppo dolore dove avevo vissuto gran parte della mia vita.
A un tratto udii una risata, e il mio sguardo si posò su una fanciulla. Sembrava il mio esatto riflesso, una me – però – più giovane. Bloccai il mio incedere focalizzandomi totalmente su di lei. Osservai i tratti delicati del suo viso, leggermente paffuto e roseo, i lunghi boccoli biondi che le ricadevano sciolti come onde fino alla schiena, ma quando si voltò notai i suoi occhi: erano grandi e marroni, caldi e profondi, e il suo sorriso mi fece sciogliere dentro.
Sapevo di essermi sbagliata. Non ero io, ma la fanciulla era ugualmente una parte di me: vedevo la mia piccola Alizée cresciuta e ne fui orgogliosa. Era bella, bellissima. Era allegra e la sua risata risanava il mio cuore ferito. Era vestita elegantemente, di un bianco perlaceo, ed era viva.
Che la Grande Madre volesse darmi un segno del futuro? In verità non lo sapevo, ma in quella situazione di tremendo dolore e sconforto, anche i sogni potevano rappresentare una forma di evasione.
    Alizée volgeva il suo sguardo verso gli alberi. Sembrava assorta, come se riuscisse a scorgere qualcosa che a me era impedito di vedere, forse per la distanza alla quale mi trovavo.
Sedeva a terra e l’abito bianco nascondeva il suo corpo, avvolgendolo tra le sue soffici pieghe. Io non potevo smettere di guardarla. Sarebbe diventata realmente così mia figlia? Quell’esserino piccolo e paffuto che mi era stato strappato brutalmente dalle braccia? Nel mio cuore speravo di sì, anche se qualsiasi fosse stata la Alizée adulta, per il mio cuore di mamma sarebbe stata ugualmente incantevole.
Avrei voluto realmente poterla crescere, fare di lei una creatura buona e modesta, insegnarle le poche cose che sapevo e soprattutto a guardare le piccole cose belle della vita, nonostante il mondo potesse essere crudele e meschino. Volevo farla ridere, come in quel sogno. Volevo donarle solo felicità. Ma quegli uomini di chiesa e la vendetta di una donna me l’avevano portata via, impedendo a una madre di vivere ogni giorno con la sua bambina.
    Sentii un ululato e un brivido percorse la mia spina dorsale. Allarmata cercai di gridare verso Alizée, spingendola a scappare di lì, a trovare un qualche rifugio ma, nel momento esatto in cui tentai di proferire parola, dalle mie labbra non uscì alcun suono. Portai la mano destra alla gola, incredula e sgomenta, e poi cercai di correre verso di lei, ma anche quel tentativo fallì miseramente. Radici degli alberi vicini mi avevano arpionato le caviglie in una morsa d’acciaio e non era facile liberarsene. Ogni volta che tentavo, percepivo la pelle lacerarsi e alla fine desistetti.
Mia figlia era in pericolo e non potevo fare nulla. La realtà si confondeva con il sogno.
Mi sentivo inerme e anche quel paesaggio di colore e luce sembrò oscurarsi all’improvviso.
No. Non potevo rimanere ferma anche nel sogno.
In quel mondo illusorio spesso potevo realizzare cose che nella vita reale mi erano impedite, ma altre volte i sogni seguivano il loro corso ed era impossibile per l’uomo reagire o compiere scelte diverse.
Quel sogno si era trasformato in un terribile incubo.
Dagli alberi sbucò una figura candida come neve. Aveva un folto manto, privo di macchie. Quando quella creatura si voltò verso di me, contemplai gli occhi del lupo: di un azzurro molto chiaro, più tendente al ghiaccio.
Mi fissò in silenzio e immoto, sembrò penetrarmi dentro, come se volesse conoscere ogni fibra del mio essere, ogni parte dei miei pensieri e della mia anima. Non riuscii a dire una parola e anche se avessi provato mi era impossibile farlo. Ero diventata come un blocco di ghiaccio che si perdeva nel medesimo elemento.
Lo contemplai, ammirai, ma allo stesso tempo avevo una terribile paura di quell’animale.
Sembrava più grosso di un lupo normale e quel manto puro come le rose che amavo era insolito.
Poi quel contatto visivo s’interruppe, e il lupo voltò di nuovo la sua attenzione verso Alizée ancora immobile a terra.
Subito affiorò la medesima paura. Scalciai, ritrovandomi a urlare – senza emettere suono – nell’avvertire una fitta di dolore laddove la pelle si era lacerata; allungai le braccia nel vano tentativo di essere vista da mia figlia, ma lei sembrava avere attenzioni sono per quel lupo.
Scelsi un’altra strada. Forse anche nei sogni potevo richiamare a me l’aria, il potere. Restai perfettamente immobile e cercai di rilassarmi, emettendo profondi respiri. Acquietai il ritmo del mio cuore, ma i miei occhi rimasero ben aperti a fissare mia figlia, il punto in cui avrei dovuto scagliare la mia energia, per impedire al lupo di attaccare. Sentii l’energia vorticare dentro di me, vibrare nel mio corpo, elettrizzare la mia pelle provocando un leggero, quanto piacevole, prurito.
L’aria rispose al mio richiamo, penetrando nel mio cuore. La plasmai come un artista crea la sua opera, tentando di farle assumere una maggiore consistenza, cercando di immaginare come delle spire di vento pronte a scagliarsi come fruste sul corpo dell’animale, ma quando fui pronta, il lupo aveva già raggiunto la fanciulla, ed io rimasi sgomenta nello scorgere la scena che si presentava ai miei occhi.
Alizée aveva teso la mano destra verso il muso del lupo che la sovrastava con la sua mole. Non sembrava avere alcuna paura, ma anzi rimaneva al suo fianco come fidandosi completamente di lui.
Il lupo, a sua volta, rimase perfettamente immobile, attendendo forse il tocco della ragazza.
Osservai mia figlia sfiorare il candido manto che doveva essere estremamente morbido al tatto, per poi affondare il suo viso sul suo corpo.
Sembrava felice, rideva, e carezzava continuamente il lupo che non si azzardava minimamente a sfiorarla, a farle male.
Rimasi immobile, e l’energia accumulata si disperse. L’aria tornò al suo aspetto leggero e sfuggente, e scivolò tra i capelli della fanciulla, facendo rizzare anche leggermente il pelo dell’animale.
Contemplai quella scena e notai lo sguardo di mia figlia volgersi nuovamente verso di me, e un sorriso luminoso sembrò espandersi, allontanando le cupe ombre che avevano avvolto il luogo.
C’era luce. Solo intensa luce.

E la luce dell’alba continuò a sfiorarmi gli occhi, quando una voce mi attirò fuori dal sogno.
    « Desirée? »
Aprii gli occhi molto lentamente, quasi non volessi allontanarmi da quella bellissima immagine che il sogno aveva portato con sé, ma poi quando finalmente riuscii a scorgere la triste realtà nella quale mi trovavo, compresi che quella luce sottile non era più portatrice di gioia.
    « Un nuovo giorno, infine, ha inizio » mormorai cupamente.













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Eccomi di nuovo qui! In verità non ho nulla da dire su questo capitolo, anche se rileggendolo a distanza di tempo, mi ha sorpresa. Sì, mi sorprendo di me stessa, eheh. Forse tendo a sottovalutarmi troppo.
Comunque sia, un altro tassello è entrato al suo posto e, vi avverto che mancano solo due capitoli alla conclusione, e così potrete scoprire se ci sarà un lieto fine o meno! Sono sadica, lo so. Vi faccio attendere!
Sono curiosa di sapere le vostre impressioni, per cui non esitate a lasciare un commento. Sono aperta a tutto, purché siano interventi costruttivi e non offese (anche se finora non ne ho mai avute, e ne sono veramente felice).

Alla prossima settimana, con il penultimo capitolo!

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Capitolo 36
*** XXXV - Il Lupo ***


XXXV
 Il Lupo



Rumori provenivano all’esterno del portone di legno che ci nascondeva al mondo. Sembravano urla, colluttazioni, e per un attimo temetti che altre sventurate stessero subendo torture inaudite. Eppure, a un ascolto migliore, potei intuire che appartenevano a uomini. Era raro vedere uomini accusati di stregoneria, ma ero consapevole che non era impossibile. Tuttavia mi guardai intorno e presto incrociai lo sguardo, stupito, di Claire. Restammo senza parole per diversi minuti, fino a quando uno strano rumore mi fece sobbalzare. Pareva un urlo, ma non umano. Come il ringhiare di un cane. O forse un lupo, mi sussurrò la coscienza ancora legata al sogno.
Tremai e cercai nuovamente lo sguardo di Claire, come a trovare in lei una fonte di rifugio, o forza. Che cosa stava accadendo?
Udii altre donne gridare, atterrite, mentre una – più anziana – intonava le sue preghiere a Dio e alla Vergine Maria. Mi fermai un solo istante a osservare con quanto ardore pregasse e mi chiesi, mentalmente, come si potesse accusare di eresia o stregoneria una donna così. Aveva appena una tunica grigia a coprirle il corpo emaciato e raggrinzito, ed escoriazioni deturpavano il suo volto e le sue braccia. Provai un moto di compassione per lei, ma i miei pensieri furono sviati da un colpo potente alla porta.
Tra le tre grate di ferro, che permettevano appena di far entrare l’aria in quel luogo stantio, vidi il volto macchiato di sangue di uno dei gendarmi. I suoi occhi erano spalancati da un puro terrore, come se avesse visto il diavolo in persona, ma in fondo stava per incontrarlo – se quel mondo esisteva -. Qualcosa lo aveva atterrato e, lentamente, si ritrovò a scivolare verso il basso e per un attimo non si udì più rumore alcuno.
L’attesa della scoperta era terribile. Chi aveva ucciso quell’uomo? A chi appartenevano quelle urla?
Tentai di allungare una mano verso Claire, e lei sfiorò appena le mie dita. Notavo nei suoi occhi lo stesso muto terrore che doveva apparire nei miei, ma cercavamo di darci forza a vicenda.
V’erano lacrime e singhiozzi, urla e preghiere. Tutte eravamo allibite e impaurite, non potendo sapere cosa ci aspettasse, cosa si nascondesse oltre quella porta. Non potevamo muoverci e, sapevo, che alcune delle mie “compagne” non avrebbero potuto farlo anche senza le catene.
Al silenzio seguì un nuovo grido. Qualcuno stava strillando parole per allontanare il maligno. Quella voce era inconfondibile, ma si leggeva una nota di puro terrore, e non più la freddezza che mi aveva rivolto il giorno precedente.
Era la voce dell’inquisitore. Per un attimo le sue urla, i suoi gemiti, il terrore che trapelava dal suo tono di voce mi fecero provare sentimenti che non pensavo potessero far parte del mio animo. Provavo una macabra gioia nel sapere che stava provando la stessa paura che aveva inflitto a me e alle altre donne e bambine. Desiderai che soffrisse, come aveva fatto soffrire tante innocenti. Stupefatta, ardevo dal desiderio di vederlo morire in modo atroce, ma poi scacciai quell’immagine. Non volevo cadere nella sua bassezza, eppure era difficile non provare sentimenti tanto tetri verso una bestia senza cuore.
    « Non provare vergogna per i tuoi pensieri » mormorò Claire, come avendoli letti. « Li ho provati io stessa. Tutto sta nel non renderli realtà, per non cadere nel loro stesso marcio ».
Annuii alle sue parole, e stavo per chiederle cosa pensasse che fosse, quando le urla dell’inquisitore si fecero più strazianti che mai, fino a cessare del tutto.

Il mio cuore batteva frenetico nel mio petto. Temevo quasi che altre potessero udire quel suono nel silenzio nel quale eravamo sprofondate di nuovo. Avevo paura. Quella situazione mi faceva essere cieca e vivere nell’attesa opprimente di conoscere il mio destino. Pensai a mia figlia e desiderai che non fosse già stata portata lì. Qualsiasi cosa stesse succedendo non potevo pensare di averla persa. Trattenni a stento le lacrime, nel tentativo di mostrare coraggio, per una volta. Non era facile, ma dovevo farlo.
Poi, una delle donne urlò. Mi voltai e scorsi un liquido scuro sul quale si rispecchiava la tenue luce dell’alba. Quello era sangue.
Fui colta da un maggiore spavento, ma non potei dire altro che con un tonfo potente la porta fu spalancata, e al di là scorsi due lupi enormi, con i denti sporgenti e macchiati di sangue, che sembravano guardarci famelici.
Per un solo istante rimasi talmente atterrita, da sembrar paralizzata. Nessun suono si unì alle grida delle altre, né riuscii a muovermi. Ero attratta dal lupo dal manto candido come la luce lunare e da due occhi di un azzurro tendente al ghiaccio.
Sembrava il lupo del mio sogno.
Al suo fianco, spiccava il suo compagno, dal manto rosso fulvo e due occhi gialli che fissavano la stanza con frenesia.
Quando con un balzo furono abbastanza vicini a me e Claire, finalmente lanciai un grido e ricaddi a terra priva di sensi.



*


    I miei sensi iniziarono a ridestarsi, ma provavo una strana sensazione: era come se l’aria mi sferzasse il viso e qualcosa, o qualcuno, mi trasportasse a gran velocità. Riaprii gli occhi lentamente, temendo che tutto quello che avevo passato fosse solo un incubo, ma ciò che vidi mi diede un grande sgomento. Le mie dita si strinsero su un folto pelo candido sul quale il mio corpo era adagiato. Non ero più nel buio di una prigione e quegli strani lupi che erano apparsi all’improvviso non erano vane illusioni. Colta da un senso di nausea e di paura persi nuovamente i sensi e le tenebre mi avvolsero tra le loro spire.


    Quando finalmente mi svegliai di nuovo, non avvertii più la corsa frenetica. Non v’era movimento alcuno, tutto era statico e sotto al mio corpo v’era erba fresca. Con gradualità i miei occhi si abituarono alla leggera luce, e ritornai a contatto con la realtà. Mi guardai attorno e scorsi una serie di fitti alberi e l’ultimo raggio di sole infuocato s’infiltrava sinuoso tra i rami. Sgomenta vagai alla ricerca di risposte alle tante domande che mi confondevano la mente. Dove ero? Com’era possibile che fossero trascorse così tante ore? Era l’alba quando avevo perso i sensi la prima volta e già si approssimava il crepuscolo. Chi o cosa erano quelle creature? E com’ero finita lì? Ma, soprattutto, dove erano Claire e la mia bambina?
    « Finalmente ti sei svegliata ».
Una voce maschile mi riscosse dai miei pensieri, una voce che fece vibrare le corde del mio cuore.
    « Mickel? Tu qui? » domandai, confusa ma felice.
Lui annuì e poi si chinò verso di me, allargando le braccia, tra le quali mi fiondai. Assaporai per diversi istanti quella piacevole sensazione che il suo abbraccio sapeva donarmi, aspirai il suo profumo selvatico, ma mi accorsi di qualcosa che mi turbò. Mi scostai leggermente e lo guardai. I suoi occhi erano così simili a quelli del…
    « Vieni con me ora » m’invitò a seguirlo, ma quella nuova consapevolezza si faceva sempre più forte in me.
Mi accompagnò poco distante, nel fitto del bosco un fuoco zampillava gioioso, attorniato da diversi uomini che avevo visto – facendo parte della Guardia del Conte – e una donna ridotta nel mio miserevole stato, che posava incerta il capo sulla spalla di un uomo moro. La sua postura era rigida, ma quando incrociai gli occhi di Claire – perché di lei si trattava – vi scorsi un’incredibile felicità macchiata da lacrime silenziose che li rendevano ancora più brillanti.
    « Desirée! » esclamò, facendo cenno di volersi alzare, ma fui io ad avanzare e sfiorarle il capo.
    « Mia dolce Claire… » mormorai, guardando poi l’uomo al suo fianco, il quale si era scostato un poco, ma che continuava a osservarla con un misto di preoccupazione, desiderio di protezione e qualcosa che era inconfondibile: così, infatti, mi guardava Flaviano e così anche Mickel.
C’era amore, lo stesso sentimento che brillava negli occhi della mia Claire e così compresi che aveva finalmente ritrovato il suo grande amore: non se ne era mai veramente andato.
Sorrisi teneramente alla strega di divinazione e il mio cuore si scaldò. Meritava di essere felice.
    « Sei turbata, Desirée, non è vero? » mi domandò Claire, invitandomi a sedermi al suo fianco, e così feci. « Lo ero anch’io, ma ora il tuo Capitano ci spiegherà ogni cosa ».
    « Ogni cosa? » domandai, sempre più confusa.
Mi voltai e scorsi il viso di Mickel illuminato dalla fiamma che risaltava la cicatrice che gli sfregiava l’occhio destro. Si sedette a terra e prese un ramoscello con il quale sembrò tracciare dei segni sul terreno, ma poi tornò a guardarci tutti, posando infine quegli occhi così uguali al lupo bianco, su di me. Un brivido scorse rapido lungo la schiena a quella sorta di contatto visivo. Mi sentivo strana, impaurita, ma nel medesimo tempo ammaliata dalla sua persona. Che cosa si nascondeva dietro l’uomo che amavo? Che cosa ci facevano lì i suoi uomini? E dove erano finiti i grossi lupi che avevo visto in prigione?
Le mie domande furono messe a tacere, però, dalla voce imperiosa di Mickel.
    « So che siete scosse, turbate e che desiderate conoscere come avete  fatto a trovarvi qui. È difficile da dire, perché le mie parole potranno aumentare la vostra angoscia, ma è giusto che il mistero venga svelato ».
Si fermò, un solo istante, abbassando gli occhi a terra e poi tornò a puntarli su di me. Restò a vagliare i pensieri, e mi guardò come se volesse analizzare la mia anima. Capire se poteva fidarsi. Io repressi un nuovo brivido e mi strinsi al mantello, con il quale mi ero ritrovata avvolta al risveglio, ma non abbassai lo sguardo. Lui poteva fidarsi di me, anche se temevo che potesse rivelarmi un lato oscuro che non avrei, forse, gradito.
    « I lupi che avete visto nella vostra prigionia non erano semplici animali selvatici. Erano più grandi. In queste lande sono chiamati Garou, in altre Lycan, in altre ancora Uomini Lupo, e… si trovano proprio qui dinanzi ai vostri occhi ».
Mi guardai attorno allarmata, e Claire rabbrividì tra le braccia dell’amato. Sembrò guardarlo con un misto di paura, risentimento e comprensione.
Io ero troppo turbata a scrutare tra gli alberi, per soffermarmi troppo ad analizzare i suoi pensieri, e in fondo erano unicamente suoi.
    « Siamo noi, Desirée. Io, Hans, Gustave, Mathieu e Andrés, siamo Licantropi, uomini che possono diventare lupi quando la luna brilla piena in cielo ».
Persi completamente le parole. Mi sentivo assetata e avvertivo come un peso al cuore. Iniziai a sudare freddo e il mio corpo tremava letteralmente. Non riuscivo a reagire diversamente. La mia sensazione si era rivelata veritiera ed io non stavo bene. L’uomo che amavo, al quale mi ero donata, era un lupo? L’immagine del grosso animale bianco si sovrappose a quella dell’uomo che sedeva proprio di fronte al fuoco, e il cui viso era illuminato dalla fiamma che mi parve fare brutti scherzi, giocando con i suoi lineamenti, facendogli assumere quasi un terribile ghigno che mi fece gridare.
Lui mi guardò e i suoi occhi si fecero cupi e vuoti. Li abbassò a terra, perdendo quasi la sua attenzione. Non volle avvicinarsi a me, forse temendo di spaventarmi ulteriormente, ma io mi sentii meschina. Doveva fidarsi di me, ed io lo avevo trattato così. Ma quale altra reazione poteva aspettarsi da me? Lui un uomo lupo? Lui poteva aggredire le persone per cibarsi o per semplice follia? Non ne sapevo molto, ma tante erano le storie raccontate su quelle terribili belve notturne ed io non riuscivo proprio a trovare parole o trattenere le emozioni. Sobbalzai leggermente quando avvertii un tocco sulla mia mano. Claire si era voltata verso di me, e mi aveva sfiorato la mano, non trattenendo una smorfia di dolore per quel gesto, ma poi mi sorrise con tenerezza e prese parola.
    « Desirée non cedere alle vane leggende che la paura umana alimenta. Anch’io sono sgomenta di fronte a questa rivelazione, ma il mio cuore sa che il mio Mathieu non potrà farmi mai del male. Sono stati loro a salvarci, e se conosci il suo cuore, sai che non potrà mai ferirti. Sono figli della Dea ».
Mickel scosse il capo e sembrò borbottare tra sé. Io trassi un profondo respiro e, dopo aver annuito a Claire, tornai a guardarlo. Riprendere il controllo delle emozioni non era facile, ma non potevo offenderlo ancora.
Mickel, il mio Mickel, era un lupo.
Avvertivo come la triste consapevolezza di non averlo mai conosciuto interamente.
    « Non gettate parole al vento, nobile Claire, noi non siamo dei figli della Dea » ribatté con cupa rabbia, mentre i tratti del suo viso si facevano sempre più tesi, quasi una smorfia di disagio, come se lottasse contro se stesso per riuscire a dire le cose.
Claire tentò di replicare, ma lui la zittì con un gesto della mano, e riprese il suo dire.
    « Noi siamo degli esseri maledetti. Di giorno umani, ma quando la luna assume la sua forma completa, ci attrae con forza, ci chiama a sé, ci invita a rivelare la nostra oscura seconda natura. È giusto che sappiate tutto e poi decidiate se rimanere al nostro fianco o meno ».
Mi guardò con una tale intensità, che quasi piansi. Io non potevo pensare di lasciarlo, anche se la mia mente era in un tale subbuglio di pensieri, il mio cuore mi spingeva sempre a lui.
« Qualunque sia la vostra reazione, però, vi aiuteremo a trovare un valido rifugio. Non potrete tornare a Sivelle e affrontare la vita di tutti i giorni, ormai conoscono i vostri volti e non potremo salvarvi di nuovo dalla meschinità di quei preti » digrignò i denti, inferocito, ma poi cercò di ritrovare la calma. Fissò il fuoco per diversi istanti, e poi continuò.
    « Noi siamo stati maledetti. I miei antenati si sono macchiati di un tale crimine che di generazione in generazione ogni figlio maschio rischia di contrarre questo male. Vi racconterò la mia storia, ma ognuno dei presenti ha la propria. La verità è che quello che abbiamo non è un dono che la Dea ci ha fatto, ma una maledizione alla quale non possiamo fuggire.
Quando siamo uomini, siamo in grado di ragionare, ma quando l’altra parte prende il sopravvento è l’istinto e non la ragione a mandarci avanti. O, almeno, agli inizi è così… solo con gli anni, la perseveranza e la determinazione si può riuscire a dominare la bestia e a scegliere noi quando trasformarci, anche se non è bene restare uomini troppo a lungo, o l’istinto aggressivo si paleserà anche nell’umana forma ».
Si bloccò ed emise un lungo sospiro, mentre io cercai di ancorarmi alla terra per rilassarmi. Risucchiai la sua essenza, il suo potere, così lontano dal mio, opposto ma allo stesso tempo complementare, e cercai di trarne la solidità, la fermezza, per non permettere a pensieri ed emozioni negative di colpirmi impetuosamente.
Claire era rimasta silenziosa, alternando il suo sguardo tra Mickel e il suo Mathieu che la osservava con occhi tremendamente tristi mentre il discorso sulla sua seconda natura era rivelato. Forse temeva di perderla di nuovo ma ancora forse era proprio quello il motivo per cui se ne era allontanato. Non voleva farle del male. Il suo cuore era veramente puro, ne ero certa, come lo ero per Mickel. Non era facile per lui rivelare tutto, ma voleva porre la verità al di sopra di tutto, anche a rischio di perdermi. Lo amavo anche per questo.
    « Secoli fa, i miei antenati invasero una verde landa al nord di questa nazione. Arrivarono con le loro lunghe navi, e circondarono l’isola, per poi procedere verso l’interno. Erano fieri e assetati di conquista, come tutti i popoli che si erano succeduti all’epoca, e come tuttora del resto fanno. Anelavano a nuovi tesori, a nuove terre, e non ebbero alcuna remore a uccidere anche innocenti, perché questo è anche ciò che comporta entrare in guerra. Non sempre si riesce a placare la propria sete di sangue, anche l’uomo a volte cede all’istinto anziché seguire la ragione ».
Sospirò, e i suoi uomini sembrarono copiarlo. Non indugiai troppo su di loro, ma li vidi come ammaliati dalle fiamme, mentre ascoltavano le parole del loro capo.
    « L’istinto guerrafondaio, la loro sete di sangue, il loro incomprensibile odio andò troppo oltre, quando nel loro cammino arrivarono uomini e donne dai vostri simili poteri. Erano dei druidi e le loro donne invocavano spesso la Dea di cui parlate. Riuscirono a fermarli per breve tempo, ma di fronte alle armi e alla temerarietà, nonché alla rabbia che avevano provocato, i miei antenati ribatterono con il ferro e il sangue. Druidi caddero come foglie a terra, mentre le loro candide vesti si macchiavano di un rosso vermiglio; diversa sorte dovettero affrontare le loro donne, contaminando la loro castità, i loro corpi, ma non le loro anime sempre devote alla loro Madre. E proprio una di loro, la più forte, invocò la terribile maledizione che ricadde sui maschi della mia famiglia, di generazione in generazione.
‘Voi che ci avete trattato come belve della notte, che avete dato adito al vostro macabro istinto, anziché alla ragione; voi che con le vostre nefandezze avete logorato questa terra, ucciso gli uomini e contaminato con il vostro marcio seme le donne, voi sarete puniti! Che un’orrenda maledizione ricada su di voi, sui vostri figli maschi, sui vostri nipoti, di generazione in generazione fino alla fine dei giorni. Invoco la Dea della Vendetta, della Tempesta e del Tuono, del Fulgore; ascolta le mie parole, rispondi al mio richiamo, e ricambia le nostre sofferenze maledicendo il loro popolo! Che di notte diventino vere belve, crudeli e senza ragione. Che possano mangiare le loro madri, figlie e amanti, che possano risvegliarsi al mattino con un profondo dolore nel loro cuore, e che vaghino soli, nei boschi, senza più nessuno, se non l’odio. Questa è la mia maledizione, e con il volere della Terribile Dea, ora sia!’ Così, ella parlò, ma quegli uomini risero di lei, non credendo che potesse realmente avverarsi una cosa simili. Tra di loro però, v’erano taluni più superstiziosi e credenti, e consapevoli che l’ira degli Dei potesse colpirli in maniera implacabile, iniziarono ad avere paura. Ma ormai era troppo tardi.
Di giorno erano semplici uomini, di notte quando la Dea mostrava il suo volto completo, i loro corpi subivano una lunga e dolorosa metamorfosi. I loro arti si modificarono, urla disumane furono udite, come se il Diavolo stesso fosse sceso in terra; il loro corpo si coprì di un folto pelo, e il feroce istinto prese il posto della ragione.
Come la Sacerdotessa aveva detto, si cibarono di qualunque persona riuscissero a trovare. Non potendo ragionare, non rammentavano neanche chi fossero, né dove si trovassero. Avevano solo fame, implacabile fame, che li portò a compiere i più tremendi misfatti. Madri, figlie e amanti caddero sotto la loro rabbia, e molti figli furono condannati a scontare questa maledizione, che ancora oggi va avanti… »

Una serie di emozioni contrastanti mi sconvolse l’animo, mentre Mickel non faceva più soste nel suo racconto. Il suo modo di raccontare era così pieno di pathos, che mi sembrò di essere lì. La mia anima vagò nel cielo, fino a raggiungere la verde isola, e mi sembrò di assistere a quegli atti meschini. Provai dolore e un senso di pietà per quei druidi, ma soprattutto per le loro donne, impossibilitate a replicare, mentre quegli uomini abusavano di loro. Provai rabbia, sete di vendetta, desiderio di punirli io e stessa, e poi mi parve di udire con le mie stesse orecchie la voce della Sacerdotessa che invocava la sua maledizione. La mia pelle formicolava alle sue parole, il mio animo era con lei. Riuscivo a comprendere la sua ira, il suo desiderio di vendetta. Se qualcuno avesse fatto del male a me, alla mia bambina o alle mie amate streghe, avrei provato e, probabilmente, detto le medesime cose; ma, quando tornai nella realtà e incrociai gli occhi di Mickel, provai pietà per lui.
Quegli uomini avevano meritato una tale vendetta, ma che colpa ne avevano le generazioni future? Che colpa ne aveva il mio Mickel? E di colpo mi ritrovai ad aver voglia di abbracciarlo, di stringerlo a me, di fargli capire che io c’ero per lui. Lui poteva anche essere una belva notturna, ma mi aveva salvato la vita, e non era stato lui a commettere tali crimini. Il mio cuore iniziò a battere, mentre lui tornava a parlare.
    « Questa è la mia storia. Altri potranno dirvi qualcosa di diverso, ma siamo tutti accomunati dalla medesima maledizione, che tuttavia ci ha uniti. Siamo un branco ora, e abbiamo imparato a gestire l’altra parte di noi. Non è nostra intenzione fare del male, anche se in passato è successo. Questa è la mia storia, Desirée, e ora sta a te decidere cosa fare di noi ».
Sentii le lacrime bagnarmi il viso, e quasi priva di consapevolezza, mi alzai e mi chinai verso di lui. Ero ancora piuttosto debole e malconcia. Il mio viso, il mio capo privo di capelli, i lividi, non mi rendevano più deliziosa, ma lui mi guardò con il medesimo sguardo d’amore, di desiderio, ma anche con una paura che era impossibile celare.
    « Io ho scelto te, con i tuoi pregi, con i tuoi difetti. Io ho scelto te, e voglio te per il resto della mia vita ».
Mi chinai a baciarlo, lentamente, ignorando i fischi degli uomini e la risata gioiosa di Claire alle mie spalle. Mickel mi strinse a sé, inizialmente con foga, ma poi rilassandosi sentendo il mio lamento e, in parte, il mio tremolio e la mia esitazione. Mi lasciai andare tra le sue braccia, beandosi dell’amore che ci univa, e per diversi istanti dimenticai tutto il male e la paura che avevo subito, e sorrisi nel vedere che i medesimi sentimenti erano provati da Claire, tra le braccia del suo amore.
Ma poi… un pensiero agitò la mia mente. Un pensiero che mi riportò al buio più completo.
    « Alizée! »














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Ecco qui il penultimo capitolo!
Avevate già capito chi fosse il lupo? Vi piace questo mistero svelato e la loro storia? So che compare alla fine - ma in verità, questo lupo c'è sempre stato - ma analizzando il tutto con lo sguardo della Rosa, la storia si è incentrata su di lei, il suo essere strega, i suoi amori e i suoi drammi. Tuttavia, spero tanto di riuscire un giorno a scrivere qualcosa in più sui licantropi, soffermandomi maggiormente su tali creature. Incrociamo le dita e speriamo di ritrovare quella voglia e il tempo per scrivere!
Detto ciò, vi do appuntamento alla prossima settimana, con l'ultimo capitolo di questa storia che spero vi abbia emozionato.

A presto, e grazie a tutti voi che leggete e che lasciate i vostri preziosi commenti.

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Capitolo 37
*** Epilogo ***


XXXVI
 Epilogo



    Il grande salice appariva diverso ai miei occhi. I suoi lunghi rami ricadevano, come inermi, verso il terreno e mi appariva stanco, vuoto, spento se tali aggettivi erano pertinenti per un albero. Era come se la scomparsa di Sylvie e il triste periodo che vivevano coloro che dimoravano magicamente dietro il suo ingresso lo avessero colpito duramente. Respirai l’aria fredda dell’ora che precedeva l’alba, e un brivido mi sconvolse il corpo, spingendomi a stringermi il mantello maggiormente attorno al mio esile corpo. Avvertii il braccio di Mickel circondarmi le spalle e sollevai leggermente lo sguardo per rivolgergli un sorriso di gratitudine. Tremavo ancora, mentalmente, avendo scoperto la sua seconda natura, ma aveva dimostrato più volte quanto fosse forte il suo amore per me e la mia bambina.
Alizée.
Mi avevano tolto la mia bambina da poco tempo, ma era come se fosse trascorso un periodo lunghissimo, estenuante. La sua assenza gravava sul mio cuore e desideravo davvero poterla vedere con i miei stessi occhi per sincerarmi del suo benessere.
Guardai Claire, ma comprendendo che fosse più scossa e dolorante di me, cercai di trovare l’energia necessaria per formulare la parola che ci avrebbe consentito tutti di oltrepassare la soglia. Non mi sentivo sicura. Ero stanca e turbata sia fisicamente sia mentalmente, ma trovai un’inconsapevole forza pur di vedere la mia piccola.
Alizée.
 Il mio cuore sussurrava il suo nome, mentre la mia mente era invasa da una luce intensa, e la mia pelle formicolava a contatto con l’energia pura che stavo risvegliando in me. Le mie labbra si mossero, quasi da sole, a formulare la parola e, come d’incanto, ci ritrovammo tutti lungo il corridoio scuro che dava l’accesso alla grande sala.
Sentii delle voci, stupore, concitazione, sospiri, ma soprattutto una voce infantile, di bimba, la voce della mia Alizée!
Corsi, per quanto le mie gambe potessero concedermelo, raggiunsi la sala principale dell’Antro, e i miei occhi si soffermarono subito sulla piccola creatura tra le braccia di Cécilie.
Mi commossi profondamente, quasi non riuscii a trovare le parole. La guardai in ogni singolo punto del suo corpo e, solo quando non notai segni di violenza o differenze, sospirai, felice. Tuttavia, nel momento esatto in cui i suoi occhi incrociarono i miei e vide le mie mani tendersi verso di lei, la piccola pianse spaventata e si rifugiò quanto meglio poté tra le braccia di Cécilie.
Ne fui profondamente turbata.
Mia figlia non mi riconosceva più?
    « Alizée… sono la mamma » farfugliai, sentendomi però la bocca asciutta, come se le mie labbra non assaggiassero acqua da troppo tempo.
Mickel mi raggiunse e cercò di nuovo di circondarmi le spalle con la sua mano, ma con uno scatto di rabbia lo scansai. Mi sentivo frustrata, arrabbiata, indignata e anche profondamente triste.
Quegli uomini orribili, più simili a bestie, mi avevano fatto del male e di riflesso ne avevano fatto alla mia bambina.
La sentivo piangere e quelle lacrime mi straziavano il cuore, come tanti colpi di spada.
Poi, una voce spezzò il turbinio dei miei tristi pensieri.
    « Rosa Bianca, il tuo cuore non sia turbato ».
Con l’aiuto di Lydie, Ophélie avanzò verso di me e le sue mani grinzose sfiorarono con delicatezza il mio viso, il mio capo rasato, il mio corpo. La lasciai fare, seppur non riuscissi a trattenere una smorfia. Tutto quello che avevo attraversato, non bastava?
    « Ora comprendo. Ti hanno maltrattata, hanno infierito sul tuo giovane corpo, e tua figlia non riesce a riconoscerti. Dalle il tempo di capire. Parlale, avvicinati a lei lentamente, e pian piano la tua bambina sentirà di nuovo il profumo di sua madre ».
Il peso nel cuore era ancora forte e nella mia testa un ronzio incessante m’impediva di riflettere e ragionare a mente lucida su quelle sagge parole. Avvertii di nuovo il tocco delle sue mani ruvide sulle mie, il calore che m’infuse mi diede un incredibile sollievo. D’un tratto mi afflosciai, esausta, e piansi tutte quelle lacrime che ancora i miei occhi non erano riuscite ad espellere. L’anziana strega mi sostenne con una forza impensabile, seppur io cercassi di non gravarle troppo addosso. Avevo il bisogno dell’affetto di una madre e lei, insieme a Madame, era stata un qualcosa di molto simile.
Intorno a noi tutti rimasero in silenzio, eccetto il pianto di Alizée e qualche lacrima silenziosa che brillava sui visi delle altre donne presenti.
Quando finalmente riuscii a calmarmi, trovammo tutte posto a sedere, mentre Mickel rimase in piedi, come volesse vigilare la situazione o si sentisse fuoriposto. Io mi posi accanto a Cécilie e alla bambina, e cercai di sussurrarle parole e di avvicinarmi a lei. Non era un percorso facile, ma ogni volta che udiva la mia voce, immutata, Alizée sembrava guardarmi come se iniziasse a comprendere. Non sapevo cosa potesse pensare, così piccola, così ingenua, ma probabilmente non capiva come mai la sua mamma fosse così cambiata fisicamente.
Ed io stessa mi sentivo orrenda. Quegli uomini avevano minato anche la fiducia in me, lacerato la mia anima, e avrei dovuto percorrere un lungo cammino prima di ritrovare la quiete e la pace con me stessa e con il mondo.
Gli altri stavano discorrendo su ciò che era accaduto. L’uccisione di uomini di chiesa e di armigeri non sarebbe passata inosservata, e tutto si sarebbe inasprito ancora di più. Sarebbe passata di bocca in bocca la presenza di grandi lupi nella zona, e sapevo che non era difficile accompagnarli all’idea delle streghe.
Alcune donne erano state salvate, ma quante ancora sarebbero morte per tali ingiustizie e la crudeltà umana?
Il mio cuore fremeva. Non potevamo restare lì, ma non sapevo immaginarmi nulla al di fuori di Sivelle.
    « Porterò Desirée e Alizée via con me, nella mia patria natia. Non possono rimanere qui. È troppo conosciuta in città, e potrebbero riprenderla e questa volta mandarla sul rogo senza attendere altro tempo » sentenziò, all’improvviso, Mickel. Tutti si voltarono verso di lui, e notai molti accondiscendere.
    « Ma io non voglio lasciarle qui. Anche loro rischiano molto. Venite via con me » dissi, rivolgendomi alle mie sorelle streghe. Lessi nei loro occhi una tale confusione che in fondo era anche mia. Da un lato la paura di essere uccise, colpite, e maltrattate le spingeva a dirmi di sì, dall’altro era come se una parte di loro fosse così radicata in quel luogo da non volerlo lasciare.
Elodie, Cécilie e la piccola Lydie si guardarono tra loro, ma poi tutti gli occhi furono puntati sulla saggia, l’anziana, colei che oramai era il capo della nostra congrega dopo la morte di Sylvie.
    « Le tue parole sono comprensibili, figlia mia, ma io non me ne andrò. Tuttavia, non impedirò alle altre di seguirvi ».
Lydie le si accoccolò accanto e Ophélie le accarezzò il capo rossiccio con garbo. Per un attimo vidi come un’immagine che si alternava a quella. Come un’immagine futura. Vidi una Lydie più grande, che risplendeva di grazia e di potere e tra le sue braccia spiccava Etoile, il gatto nero che sempre accompagnava Sylvie. Ma non la vidi in terra straniera. Lei era rimasta. Lei e non solo lei.
    « Io non posso lasciare Ophélie, non posso proprio. Mi ha accolta quando tutto sembrava perso per me » rispose Elodie, scuotendo il capo con forza, anche se tra i suoi occhi dorati brillavano lacrime.
Cécilie sembrava molto turbata. Era tra le persone più sensibili della Congrega, ma sapevo che nonostante le liti continue con Elodie, le era profondamente legata.
    « Credo che saprai già la mia risposta, mia cara Desirée. Ho ancora tanto da apprendere sulle erbe, e poi non posso lasciare che questa folle metta a soqquadro la nostra congrega! »
Ci furono delle brevi risate, che scemarono, però ben presto. Avrei voluto convincerle, non volevo lasciarle lì… avrei voluto restare anch’io.
    « E tu, Lydie, vuoi venire con me? Claire? » domandai.
Lydie sembrava turbata. Guardò a lungo ogni persona presente e soffermò molto il suo sguardo su di me, ma, infine, scosse il capo e si aggrappò a Ophélie.
L’ammirai per la sua grande forza. In una bambina così piccola, che aveva affrontato qualcosa di terribile, che aveva visto quasi la morte in faccia, era difficile scorgere ancora così tanta determinazione. Notai come si fosse legata profondamente a Ophélie, oltre che a Sylvie, in quei lunghi mesi trascorsi insieme e non insistetti. Infine, fu la volta di Claire.
Claire guardò le sue sorelle e poi il suo amato. Cercò negli occhi di quest’ultimo le risposte, gli sussurrò parole nascoste e infine rispose.
    « Il mio corpo non reggerebbe più un simile affronto. Amo le mie sorelle. Voi mi avete accolta qui con grande amore e affetto e mi avete aiutata ad ampliare il mio potere, le mie visioni, ma ora il mio cuore ha ritrovato la sua casa. Perdonatemi sorelle mie se vi arreco dolore, non è mia intenzione causarvi afflizione e auspico che non mi serbiate irragionevole rancore. Ma io… » si bloccò, per poi stringersi maggiormente a Mathieu che le pose un bacio sul capo rasato « io scelgo il cuore. Io scelgo lui ».
    « E noi verremo con voi, Capitano, se lo riterrete opportuno » aggiunse il soldato, rivolgendosi a Mickel, il quale acconsentì con il capo.
Fui in parte rincuorata di sapere che almeno una delle mie sorelle mi avrebbe seguita, anche se il dolore di perdere le altre, unito alla paura, mi rendeva titubante.
    « Non voglio lasciarvi sorelle mie… forse potrei restare… »
    « No » risposero in un coro unanime, e poi lasciarono che Ophélie replicasse.
    « Non puoi restare bambina mia. Il tuo nome è conosciuto, la tua arte qui non sarà più desiderata. V’è odio, vendetta, e non posso permetterti di vivere unicamente qui dentro. Hai tua figlia da proteggere, il tuo uomo da amare e… sento che la tua vita è lontana da qui. Ti vedo alla guida di un’altra congrega, in una fredda ma verde landa al nord, in terra lontana, ma sia tu che la delicata e nobile Claire, sarete sempre vicine nel cuore ».
Mi sentivo una bambina capricciosa e sciocca, quando mi accorsi di piangere di nuovo. Io non volevo davvero lasciarle, ma poi sentii il tocco di una piccola manina sul mio volto. La mia piccola Alizée mi stava sfiorando ed io compresi cosa dovevo fare. Dovevo andarmene soprattutto per lei e anche per Mickel. Neanche lui poteva restare più a Sivelle. Dovevamo andarcene. Per sempre forse… o almeno fino a quando le acque non si fossero davvero calmate.

    Una nuova alba giunse e per quel giorno restammo lì. Mickel, Mathieu e gli altri uomini uscirono dall’antro per cercare una carrozza e cavalli agili e riposati, in modo da viaggiare veloci, almeno per i primi giorni. Dovevamo scappare, non c’era tempo per fare molto. Cercai di lavarmi, indossai un nuovo abito e cinsi al collo il ciondolo color zaffiro, del mio grado di strega. Lo avrei sempre portato con me. Ero fiera di essere parte della Congrega del Salice che così tanto affetto mi aveva dato. Mi avevano aiutata a diventare più forte, matura, e consapevole delle mie qualità, a ritrovare un poco di fiducia in me stessa e soprattutto a scoprire il potere che mi avvolgeva.
Non sarebbe stato facile lasciarle, ma Ophélie aveva ragione. Loro sarebbero rimaste sempre nel mio cuore, come tanti cristalli infrangibili ad adornarlo.
Scrissi una lettera da consegnare a Madame, ringraziandola di tutto, ma non dicendole dove sarei andata. Non lo doveva sapere, non doveva rischiare di essere vista come complice, ma dovevo donarle in qualche modo il mio ultimo saluto. Mi sarebbe mancata enormemente. Lei, in fondo, era la madre che avevo perso da bambina, colei che mi aveva insegnato tutto ciò che sapevo nel mio lavoro da sarta. A lei dovevo la mia vita.
Qualche parola la rivolsi anche a Julie, che nonostante tutto, avevo amato come una piccola sorella. Sapevo che lei, un giorno, avrebbe preso il mio posto nella Maison, divenendo una sarta abile e conquistando il cuore di tutti con le sue deliziose creazioni.
Per Louise-Marie non riservai parole, né pensieri. Il mio cuore piangeva al pensiero di aver perso una persona che ritenevo amica, ma col tempo sarei riuscita a rimarginare la ferita.

    
    La notte scese troppo rapidamente. Avevo cercato di trascorrere tutto il tempo possibile con le altre streghe, ma era venuto davvero il momento di andare via.
Dopo averle abbracciate, baciate, sussurrato parole d’affetto, e cercato di far loro cambiare idea per l’ennesima, futile, volta, restai sulla soglia per diversi minuti a guardarle, una a una.
Ophélie la saggia, la folle Elodie, la dolce Cécilie e la piccola Lydie che sorreggeva tra le sue braccia il grande gatto nero che non mi soggiogava più con i suoi occhi gialli e penetranti. E tra di loro, sentivo aleggiare uno spirito, come una brezza leggera, sapevo che Sylvie le avrebbe sempre protette. Aveva donato la vita e avrebbe continuato a proteggere il suo Ordine, per sempre.
Era difficile lasciarle, ma sorretta da un tale pensiero sentii il mio cuore farsi più leggero. Al fianco di Mickel, con Alizée finalmente tra le mie braccia, raggiunsi la carrozza, dove mi nascosi con Claire. Mia sorella sarebbe rimasta per sempre con me.
E così, di notte, come fuggiaschi, abbandonammo Sivelle, quel villaggio che mi aveva accolta da bambina e dove avevo provato emozioni intense, trovato amori, felicità, tristezza, e potere, per sempre.


*




Svezia, un anno dopo

    Si respira un’aria nuova in questa verde e fredda landa.
In piedi su un’altura che sprofonda a picco sul mare, osservo l’orizzonte, con l’assurda speranza di poter vedere la mia casa. Sivelle è lontana, tutti sono lontani, ma è come se un filo invisibile mi legasse strettamente a tutti coloro che nella mia vita ho amato e mi hanno amato.
Respiro l’aria salmastra e la sento solleticarmi il viso arrossato. Non so quando, effettivamente, mi abituerò a queste temperature rigide, ma questa terra non mi dispiace. Mickel è come rinato. È la sua patria, la sua casa, e non ha smesso di svolgere il suo lavoro.
La mia arte anche qui piace, anche se ho dovuto fare modifiche per accontentare la gente del luogo.
Il vento mi punge gli occhi e mi stringo maggiormente al mio mantello di pelliccia per cercare un poco di calore. Il tessuto non sembra, tuttavia, nascondere le forme arrotondate del mio corpo. Sì, una nuova vita sorge in me e, nonostante la paura di Mickel di trasmettere la sua maledizione a un eventuale figlio maschio, io sono felice. So che lui lo aiuterà a capire la sua seconda natura, so che lui mi aiuterà a crescere al meglio il nostro bambino. Sono felice, perché Mickel ormai è tutta la mia vita, insieme ad Alizée e al frutto del nostro intenso amore.
I miei capelli si sono di nuovo allungati e il vento sembra sfiorarli con delicatezza. La mia bambina è cresciuta e con il tempo ha imparato ad accettarmi di nuovo, a capire che nonostante il cambiamento fisico, io sono la sua mamma.
Il cielo è limpido, nessuna nuvola sembra deturparlo, solo un’infinita pennellata di un piacevole azzurro mi sovrasta.
Le ferite del cuore si sono ricucite. Mi capita, a volte, di fare ancora incubi che mi portano a quella prigionia, alla vendetta di un’amica, a quei tristi momenti, ma so che qui non potranno arrivare.
Claire è rinata e completamente innamorata. Anche il suo ventre ha deciso di ospitare il frutto del suo amore. Mathieu ha capito che non poteva vivere senza di lei, e ora stanno recuperando insieme tutto il tempo perso.
Con lei ho organizzato un'altra Congrega. Ci sono streghe anche qui e così possiamo divulgare il nostro sapere e il nostro potere.
Guardo di nuovo il cielo e penso alle persone che hanno attraversato la mia vita, a chi è morto e ancora vive. Flaviano, Sylvie, Madame – morta per il troppo dolore poco dopo la mia partenza – non sono più qui, e presto con loro volerà alla Dea anche l’amata Ophélie, ma il loro amore, i loro insegnamenti, la loro forza, il loro sacrificio e la loro saggezza vivono ancora in coloro che restano.
Chi rimane deve imparare a vivere, deve trovare la forza di andare avanti, anche se tutto sembra perso e disperato. Perché dopo l’oscurità, brilla sempre una nuova luce, dietro le nuvole si nasconde un cielo limpido come quello che mi avvolge.

Sollevo le mie braccia verso il cielo e ancoro i miei piedi alla terra. Aspiro l’aria, lascio che entri dentro di me, e scorra lungo ogni parte del mio corpo. La sento pulsare nelle vene, avverto il potere, e finalmente mi sento viva.















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E così ci siamo. Anche questa storia è conclusa, anche se le avventure di Desy e degli altri personaggi continuano a vivere nel mio cuore.
Ammetto che una lacrimuccia è arrivata, ma io tengo davvero moltissimo a questa storia. Forse troppo. A volte ho pensato di provare a farle spiccare il volo, ma ammetto  che ho un po' paura. Paura che non sia all'altezza di altri romanzi, paura di essere ancora acerba. Forse un giorno rimetterò mano a tutto ciò e chissà...

Come potete vedere, Desy, dopo tante tribolazioni, ha raggiunto il suo lieto fine. Non potevo non donarglielo, sarei stata davvero crudele.
Spero che questo finale vi piaccia e vi susciti le stesse emozioni che ha scaturito nel mio cuore. E' vero, non ho descritto perfettamente la sorte di altri personaggi, soprattutto della Dama, ma è ovvio che la sua vita continui in una corte piccola, tra invidie, intrighi, pettegolezzi, con il suo cuore arido e vuoto, avendo perso due persone che l'amavano (o perlomeno Desirée le voleva un affetto sincero). Quindi, questa è anche una situazione pessima, non trovate?

Come già detto altre volte, ho in mente una storia su Claire (e anche altri progetti su altri "piccoli" personaggi), ma purtroppo sono ferma al prologo, e non so quando riuscirò a buttarla giù del tutto. Per cui, interrompo qui gli aggiornamenti delle mie storie, e solo se avrò l'ispirazione giusta per racconti brevi, magari tornerò in questo sito. Anche perché, sarebbe ora che Marta, alias Piccolo fiore del deserto o Rosa del deserto, si decida a trovare la grinta giusta e il vero coraggio di far volare in alto le sue storie, nella speranza di raggiungere più lettori. Voi che dite, le ho le carte giuste? Forse sto solo sognando, ma i sogni si possono realizzare no?

Bene, concludiamo il tutto con i ringraziamenti.

Grazie di cuore a chi ha inserito questa storia tra le preferite:
1 - Daniawen 

2 - Fly Away From Here 
3 - KazucChan 
4 - kifki91 

5 - MerythGreen 

6 - Mitzune_chan

7 - pietro_ap 
8 - Poseidone358 

9 - Standbyme 
10 - Strix 
11 - Vero_21D 
12 - Xyle 
13 - _walkingdisaster_


Grazie a chi l'ha inserita tra le ricordate:
1 - Greedo 

2 - Kojina 

3 - Mirrine
4 - pietro_ap 
5 - Sasha29 
6 - Vero_21D 
7 - _FrenkieFaye_ 
8 - _HeartDrum_ 



E anche a chi l'ha inserita tra le seguite:

1 - angevil 
2 - Aryadaughter 
3 - ax_articolo31 

4 - blood_mary95 
5 - bluewhite 

6 - Chiara Marinucci 
7 - darkmagic31 
8 - Giuli_97 
9 - jaia 
10 - Jey_Jules 
11 - ladyathena 

12 - Mitzune_chan 
13 - moreandmore 
14 - pietro_ap 
15 - Poseidone358 
16 - RD Patruno 
17 - Renesmee94 
18 - Riveer 
19 - Saphiradream 
20 - SaraIS 
21 - Sasha29 
22 - Secretly_S 
23 - spella 

24 - vampira_aux 
25 - Vero_21D 


Grazie a...
Poseidone358, pietro_apcontrocorrenteVero_21DKojinaMitzune_chan,  Saphiradream, StandbymeWilla ShakespearelliStrix per aver lasciato i vostri preziosi commenti. Mi hanno aiutata a comprendere di esser riuscita nel mio intento, e hanno suscitato numerosi sorrisi!


E, infine, anche se non lo leggerai, grazie a te, perché nonostante tutto, mi hai aiutato in parte a dare vita al personaggio di Mickel Svensson.


Oh quasi dimenticavo! Volevo mostrarvi i volti degli attori che associo ai vari personaggi! :)

Desy + Flaviano + Mickel

Louise Marie + Madame + Julie

Lydie + Claire + Elodie + Cecilie

Sylvie + Ophelie







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