In guerra e in amore vince chi fugge?

di owll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Come lo Yin e lo Yang ***
Capitolo 3: *** Oltre il cielo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


in guerra e in amore
A pochi giorni dalla pubblicazione dell'ultimo capito di  "Tentazioni" eccomi con il prologo di una nuova fanfic. Non ho idea di quanti capitoli prevederà, ma spero non troppi.
Non voglio svelarvi nulla, da quello che leggerete suppongo si riuscirà ad intuire il filo conduttore, lo spunto di questa storia.
Aspetto commenti, non so bene quando riuscirò a pubblicare il primo effettivo capitolo!





In guerra e in amore vince chi fugge?





Prologo



Un cielo terso e luminoso, probabilmente una tarda mattinata d'estate, montagne rosse rocciose a circondarli, in primo piano una giovane donna con una maglietta rosa, e un bambino con una tuta scarlatta. Lei, dai capelli turchini legati in una treccia sulla nuca con un fiocco rosso, occhi altrettanto turchini e felici, un sorriso sbarazzino e un fisico mozzafiato, indica verso una sfera dorata con quattro stelle e regge in mano uno strano oggetto tecnologico con un quadrante verde, alla sua destra il bambino, non un semplice bambino, uno incredibilmente spensierato sprizzante allegria, ma con qualcosa di strano, fuori dal normale, una lunga coda pelosa, regge la sfera osservandola ammirato.
Quella vecchia foto era ora ingiallita dal tempo, ricoperta da quella patina ruvida che rende malinconici i vecchi oggetti e che nel contempo ne aumenta il loro valore affettivo. Ancora conservava lo spirito di quel giorno di tanti anni prima, di un periodo positivo e perfetto.
Era stata la loro prima avventura insieme, poco dopo il loro primo incontro, si erano conosciuti in queli luoghi incredibilmente lontani dalla civiltà e subito c'era stato feeling tra la giovane scienziata di città e l'improbabile ragazzino delle montagne.
Bulma guardava con gli occhi lucidi quel piccolo pezzo di carta incorniciata, ormai non più lucida, che suo padre le aveva reso una settimana prima affermando di averlo trovato tra vecchie cartine stellari e fascicoli da buttare all'interno del  laboratorio 'piccolo' ora in fase di ristrutturazione. Altre erano state le notizie datele dal padre, ben più importanti di quella foto, che erano state capaci di portarla a vivere una delle settimane peggiori della sua vita, iniziata bene, ma finita nel peggiore dei modi.
Gli occhi di Goku in quella foto erano rimasti gli stessi con il passare degli anni, era lei quella cambiata. Dopo quel periodo orami incredibilmente lontano, Goku era diventato il suo migliore amico, il suo confidente, il suo salvatore, una persona sulla quale si poteva fare affidamento e che oggi purtroppo non c'era più.
Un nodo allo stomaco le ricordò il tragico evento, quel suo ennesimo stupido sacrificio per il bene dell'umanità, quando il Sayan prese la pessima decisione di portare Cell a morire sul pianeta di Re Kaio, una mossa davvero assurda la sua, dato che Cell poi tornò a combattere il suo Cell-game con la stessa costanza di prima.
Calde lacrime presero a scenderle lungo le guance cadendo sul vetro che preservava quel tenero ricordo. Ora più che mai aveva bisogno del suo affetto e del suo sostegno, ora che Vegeta aveva deciso di lasciarla lì con suo figlio, di aprire una voragine nel suo cuore di gettarle in faccia tutti quegli anni passati ad amarlo, per tornare a viaggiare per lo spazio dichiarando di voler ritrovare i Sayan sopravvissuti.
Bulma aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato, infatti era stata capace di leggere la verità fra le righe, quella non era altro che una scusa, non era i Sayan che voleva ritrovare, ma se stesso, quel vero se stesso sopito da anni di vita terrestre, una vita che palesemente gli era sempre stata scomoda.






Continua...



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Capitolo 2
*** I. Come lo Yin e lo Yang ***


Premessa. Purtroppo il capitolo non è molto lungo, ma spero vi piaccia lo stesso. Grazie a tutti quelli che mi seguono e ai porssimi che verranno :)

Come lo Yin e lo Yang

 

 

… una settimana prima.

 

 

La prima cosa che vide entrando in camera fu la sua schiena, una massa di muscoli ambrati, più simili a dune del deserto che a rocce, ma duri come esse.

Era Vegeta, disteso su un fianco, sul letto della donna, di spalle alla porta, con la testa  ai piedi del letto. Se ne stava comodamente adagiato con una mano a reggere il capo e con la l’altra a maneggiare e leggere scartoffie.

Chissà cosa ci faceva lì, le venne da pensare.

Da tempo ormai dormivano assieme la notte, ma di solito era lei a raggiungerlo nella sua camera, lui la preferiva, era decisamente più ‘sobria’ e la scarsità dei colori lo mantenevano concentrato. Nonostante  tutti quegli anni sotto lo stesso tetto avevano ancora stanze separate, ciò serviva a lei per dormire in pace e a lui per potersi ritirare nel silenzio dei suoi pensieri, di quelli ne aveva sempre in abbondanza.

Sorrise guardandolo e indugiando sull’uscio, da un bel po’ tutto stava andando per il verso giusto, erano già passati quattro anni di pace dal Cell Game, anni in cui Trunks aveva potuto crescere serenamente con entrambi i genitori in vita; sorte che non era potuta toccare a Chichi e Gohan  il quale si era ritrovato a dover fare anche da padre, nonché mentore al suo fratellino.

Da alcuni giorni, però, aveva una strana sensazione che la prendeva alla bocca dello stomaco e che la colpiva nei momenti più strani della giornata. La attribuiva spesso all’ansia che le portava il lavoro, anche se questa volta sembrava essere qualcosa di diverso.

Quella sera, stava rientrando dal laboratorio ‘piccolo’, quello al quale aveva accesso diretto dal salotto di casa sua. Avevano deciso, lei e suo padre, di ristrutturarlo in vista di un anno ricco di importanti progetti scientifico-meccanici, non ché di notevoli studi astronomici, studi che l’avrebbero portata, di lì ad un giorno a dover partecipare ad un congresso mondiale sull’astronomia e sullo studio degli asteroidi.

Di questo aveva discusso con lui tutto il pomeriggio.

 “Tesoro, ho bisogno che ci vada tu, lo sai che i giornalisti ti adorano!” l’uomo aveva teneramente cercato di convincerla con quel suo fare calmo e ponderato, ma lei ormai non ci cascava più, o meglio, faceva finta di cascarci, sapeva bene perché il giornalisti la amavano e non era di certo per il suo intelletto, loro non erano comunque gli unici. I peggiori erano i suoi viscido-colleghi scienziati, così di solito ‘amava’ definirli, che provavano a conquistarla con ogni mezzuccio possibile. Bulma non poteva certo dirsi contrariata, le era sempre piaciuto stare al centro dell’attenzione e anche se più di una volta questo le aveva creato problemi la sua bellezza le aveva aperto porte che il cervello da solo non poteva sperare di aprire. C’erano volte in cui, però, non riusciva proprio a lasciarli fare, e quindi aveva imparato, con gli anni, tecniche di ‘escapologia’ capaci di non lasciare nessuno contrariato. Era furba e intelligente su tutti i fronti, e le piaceva vantarsene, l’unica persona dalla quale non era riuscita a scappare era ‘l’uomo’ che ora condivideva il suo letto, un sanguinario alieno Sayan che l’aveva fatta impazzire.

Oltre che a discutere dei giusti argomenti da esporre al congresso, suo padre le aveva reso una serie di carte astronomiche, documenti ed una foto incorniciata trovati negli angoli impolverati del piccolo laboratorio, oggetti che aveva pensato le avrebbe fatto piacere riavere.

Aveva ancora tutto con se quando varcò la soglia della propria camera. 

 Trunks era già a letto, ne era certa, si era scatenato tutto il giorno con il nonno alla ricerca di tesori nascosti nel laboratorio da sfrattare. Era stato proprio lui, le aveva detto suo padre, a trovare la foto. Un vecchio scatto fatto da chissà chi in cui c’erano lei e Goku da bambino, lui aveva ancora la coda, questo le fece capire che doveva essere davvero datata.

“Di che si tratta?” le chiese Vegeta senza voltarsi, e riportandola alla realtà. Si riferiva ai fogli che stava leggendo, si trattava della sua ultima ricerca. Di solito non gli interessava affatto sapere a cosa stesse lavorando, nonostante a lei piacesse spiegarglielo, la sua concentrazione era mirata solo al perfetto funzionamento e all’aggiornamento costante della Gravity Room. Solo quando si trattava di pianeti, stelle, metalli e leghe era sempre pronto ad ascoltarla. In fondo era un Sayan, e i Sayan da sempre apprendevano dalle altre razze ciò di cui avevano bisogno e probabilmente Vegeta era uno di quelli che si era sempre occupato di trattare con gli scienziati, spesso e volentieri sostenevano colte discussioni su determinate faccende spaziali o su determinati motori a propulsione. Più di una volta Bulma aveva provato ad indagare sulla sua vecchia vita, cercando di capire come fosse il suo pianeta di nascita, ma di solito, quando si arrivava al punto in cui entrava  in scena Freezer, e cioè sempre, quel bianco lucertolone aveva fatto parte della sua vita sin da quando era ragazzino, si innervosiva e si incupiva. Di certo erano stati giorni assurdi quelli al servizio di un dittatore come quello, tutto il rancore che provava non si sarebbe mai assorbito,  Freezer era morto e purtroppo non per mano sua.

Superò il letto raggiungendo la cassettiera già ingombra di carte, fascicoli, profumi e flaconi di ogni sorta e vi poggiò, come per coronare il tutto, le mappe stellari e gli altri documenti . La foto, invece, prese il posto d’onore sul comodino accanto all’abatjour a forma di cuore che inondava la stanza di una calda luce rossa.

“Si tratta dell’ultima ricerca di mio padre, quella che mi costringerà a scrivere STASERA…” sottolineò lasciandogli intendere che non avrebbe avuto tempo per ‘altro’ “… il discorso che dovrò sostenere al congresso nel quale lui mi ha scaricato per domani sera!” continuò entrando nel bagno per farsi una rapida doccia. Aveva passato l’intera giornata chiusa nel laboratorio, aveva bisogno di una rinfrescata. Stranamente Vegeta non la raggiunse, eppure era convinta che lo avrebbe fatto, gli piaceva da morire farle perdere tempo, invece continuò a decifrare le ricerche, dovevano interessargli davvero molto, anche se si trattava dell’analisi di una macchia nera fra gli astri.

Una strana piega al centro della fronte se ne stava lì a dimostrazione del suo impegno mentale.

Rientrando dal bagno indossò un paio di pantaloncini e una canotta comoda per la notte, lo trovò ancora lì immerso con il naso nei fogli. I capelli turchini arruffati le incorniciavano il volto lievemente arrossato dal calore della doccia.

La luce rossa illuminava il volto contratto del Sayan che alzò gli occhi per guardarla, probabilmente attratto dal suo profumo, un profumo che gli era sempre piaciuto particolarmente, glie lo aveva confessato in una notte di passione qualche anno prima.

La donna lo osservò per un attimo, a dorso nudo con un paio di pantaloncini scuri se ne stava ancora steso su di un fianco, i muscoli contratti erano attraversati da sottili venature rosa e lisce, cicatrici segno indelebile del suo passato. Doveva essersi allenato molto, una vena ancora gli pulsava sul collo dallo sforzo.

La sua rude bellezza la spiazzava sempre, i Sayan non invecchiavano, acquistavano valore col tempo.

Ancora ricordava bene il giorno in cui, ignaro di cosa gli sarebbe accaduto, di ritorno da Namekk lei gli aveva aperto le porte di casa; era un ragazzo, sperduto, arrabbiato con se stesso, ora invece era un uomo ancora incazzato nero, ma maturo e le piaceva da impazzire.

Lo sguardo che si scambiarono fu intenso e carico di ogni ricordo. Gli occhi neri del sayan erano due pozzi di pece liquida che la attirarono come una calamita, nei quali raramente riusciva a leggervi qualcosa che non fosse indifferenza, rabbia o lussuria. Doveva distogliere la vista “Ti spiegherei tutto, ma ho questo discorso di due ore da scrivere e devo sbrigarmi, domattina parto presto!” disse stendendosi al suo fianco, e posizionando il cuscino accanto al suo. Invece di scivolare nel sonno, raccolse le carte e accese il portatile poggiandolo sul morbido guanciale.

Vegeta le lasciò i fogli, ripiegò il braccio destro sotto la testa e chiuse gli occhi, non una parola dalle sue labbra, nella stanza echeggiavano solo le battute che Bulma scriveva al portatile. Il display le illuminava il viso con una strana luce azzurrina. Ogni tanto mugugnava contrariata a causa di qualche frase senza senso che le veniva fuori, o per concetti complessi da dover semplificare in poche parole, ma senza successo.

Dopo tre ore ancora era lì, gli occhi le bruciavano per la concentrazione, che non aveva mai perso, e a poche righe dalla fine.  Le conclusioni erano la parte più semplice da scrivere, le avrebbe buttate giù dopo una breve pausa. Salvò il file, e gettò un’occhiata alla belva addormentata al suo fianco; lui se ne stava lì, con la sua aura selvaggia che gli aleggiava attorno quasi come se fosse tangibile, persino lei era capace di percepirla. Lo lasciò ai suoi sogni, sempre che effettivamente stesse dormendo, si alzò e si sgranchì la schiena annichilita da una scomodissima posizione tenuta per troppo tempo, in quei momenti si sentiva una debole mortale, Vegeta questi dolori non li avrebbe mai accusati. Sorrise fra se e si avviò in cucina, al piano inferiore. Aprì il frigorifero, riparandosi gli occhi dalla forte luce dell’elettrodomestico  e si versò un bicchiere d’acqua. 

La Luna illuminava la Capsule Corporation e l’intero salotto-cucina era inondato dalla sua luce bianca. Tutto era familiare per lei in quella casa, sotto quel chiarore si profilavano le sagome di ogni oggetto: il vecchio vaso rotto e ricomposto svariate volte negli anni, il divano con la tappezzeria vecchia 30 anni, i libri infilati in ogni spazio possibile degli scaffali, e anche la polvere sembrava sempre la stessa. Si sentì incredibilmente felice in quel momento, non rilassata ne tranquilla, ma felice, una sensazione che le mancava da tempo, dopo la morte di Goku nulla poteva apparirle più gioioso come prima, eppure adesso sembrava che ogni tassello fosse andato al proprio posto ricomponendo il puzzle della sua nuova vita. Sembrava che tutto stesse andando per il meglio non poteva chiedere di più, era una condizione nella quale era arrivata all’apice ad un punto oltre il quale non si poteva salire, questo lo sapeva bene. Suo figlio era un bambino forte e perfetto, nonostante avesse ancora la coda a dimostrazione della suo sangue per metà alieno, era davvero incredibile; poi, anche Vegeta le sembrava tranquillo, se un po’ pretendeva di conoscerlo, leggeva nei suoi modi di fare scioltezza e pacatezza. Tutto le apparve, improvvisamente, così metafisico da sembrare finto.

La strana sensazione che sarebbe durato tutto ancora per poco la colpì improvvisamente mentre beveva l’ultimo sorso d’acqua. Si presentò come un morso allo stomaco e la mancanza del suo migliore amico la trafisse, forse era solo quello il motivo di tanta angoscia, altrimenti cos’altro poteva essere? Si chiese risalendo velocemente al piano superiore.

Sbirciò dietro la terza porta e rassicuratasi che Trunks stesse effettivamente dormendo tornò nella propria.

Riprese posto davanti al pc, nonché al fianco del suo uomo, bello ed impossibile. Finire il discorso era nelle sue intenzioni, per poi scivolare nei sonno, ma quando, uscendo dallo standby, la luce del display investì la camera, immersa in precedenza nel buio,  Vegeta protestò e contrariato le abbassò lo schermo chiudendo l’aggeggio elettronico “Adesso basta!” le ordinò. A Bulma venne da sorridere, forse poteva anche lasciar perdere, le era sembrato di capire che il suo uomo volesse attenzioni.

La mano del Sayan, infatti, passò dallo schermo alla sua schiena. Si fece strada sotto la canotta e toccandole la pelle liscia come seta l’attirò a se. Fu un gesto come un altro, quasi abitudinario, eppure così incredibilmente dolce, che da un sayan come il principe non ci si doveva, ne poteva mai aspettare.

“Ok ok Vegeta, come vuoi! Spengo tutto!” gli disse lasciando scivolare il pc oltre il letto per terra.

Poggiò la testa sul cuscino accanto a lui, beandosi del suo tocco. Le sue mani che la sfioravano, nonostante il tempo passato insieme, continuavano a farle un certo effetto, a farla sentire strana, ad accenderle una fiammella dentro. Corpi estranei quelle mani, fatti di ruvida consistenza un tempo alla ricerca di ossa da maciullare e ora alla ricerca di morbidezza, una morbidezza che gli era diventata familiare con lo scorrere delle lancette e che aveva conosciuto il giorno in cui aveva messo per la prima volta le mani sulla terrestre, mai prima di allora le sue dita avevano potuto toccare qualcosa di così sensuale ed erotico come la pelle di quella donna.

Il sayan teneva gli occhi chiusi, ma sapeva bene che lei era a pochi centimetri dal suo viso, ne sentiva il respiro e l’odore, e sotto ogni cellula dell’epidermide lei era penetrata.

“Vegeta!” disse in un sussurro a poca distanza dalla sua bocca “MhMh!?” mugugnò lui di rimando “Come è andata la giornata?...” prese ad accarezzargli il collo “… ti sei allenato molto?” terminò, una vena su quel collo taurino ancora pulsava in tensione.  “Non abbastanza di certo, e adesso sta zitta!” i suoi modi erano sempre gli stessi, sgarbati, ma ormai aveva imparato a capirlo, era stato firmato una sorta di silenzioso armistizio tra loro.

Gli baciò le labbra. Non voleva risvegliare i suoi bollori, altrimenti sarebbero andati avanti tutta la notte e non poteva permettersi di fare tardi il mattino seguente, ma sentiva il bisogno di bacialo ogni tanto, e quella era una di quelle volte. “Smettila!” le ringhiò sulla bocca “Dammene solo uno e la smetto!”gli rispose secca.

 Il Sayan aprì di scatto un occhio.

Le sue iridi profonde e buie la inchiodarono. A sua volta lui fu colpito dall’azzurro che riusciva ad intravedere al buio, gli occhi della donna nemmeno in quelle occasioni erano scuri, c’era sempre dell’indaco a riflettere il minimo raggio di luce. E quella sera, nonostante il chiarore lunare fosse filtrato dalle tende, riusciva a percepirli, quelle iridi riuscivano a convincerlo anche senza parole.

“Starò via per un paio di giorni per questo congresso!” lo informò, sperava di convincerlo a lasciarle qualche tenero ricordo. Il sayan aumentò la stretta sulla schiena e la attirò maggiormente a se, ora il loro corpi aderivano come lo yin e lo yang. “D’accordo!” sussurrò prima di afferrarle il labbro superiore e, chiudendo gli occhi, allungò la lingua fra le labbra della donna e la baciò come lei gli aveva insegnato a fare.

Bulma adorava quando la belva era così mansueta, quando si lasciava coccolare, se così si poteva dire, e la accontentava in stupidi capricci da terrestre. Dopo la loro prima volta, quasi da dover dimenticare, erano stati così tante volte a letto assieme che non potevano più essere numerate, c’era intimità ora, non come allora, una intimità intensa, fatta di sguardi e silenzi, proprio come quella sera.

Percepiva sullo stomaco il cuore pulsante dell’alieno, che pompava forte quasi quanto il suo. Si erano scambiati un bacio morbido, umido, sensuale. Allontanandosi da lui tenne gli occhi chiusi, voleva scivolare nel sonno con quel suono a cullarla.

“Vegeta?” chiese sussurrando poco dopo, pensava non le avrebbe risposto e invece “Cosa vuoi ancora?” grugnì sistemandosi sul cuscino, sapeva che Bulma era una donna che non si accontentava facilmente.

“Ti amo!”

“Sta zitta!”

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Capitolo 3
*** Oltre il cielo ***


Chiedo umilmente perdono per questo aggiornamento estremamente tardivo. Il lavoro e lo studio chiamano. Spero sarà di vostro gradimento. A presto! 



II

 


Oltre il cielo


 

E così era partita.

Aveva passato gran parte del viaggio a scrutare le nuvole all’orizzonte attraverso il vetro della navicella che era passata a prenderla in perfetto orario.

Fin troppo perfetto.

Gli scienziati erano davvero le persone più precise e meticolose del mondo, le avevano fatto trovare a bordo il programma dell’intero meeting; aveva impegni fin dal primo momento in cui avrebbe messo piede a terra. Sbuffò. Non era ancora convinta che avrebbe passato giornate interessanti, la convention verteva sulle nuove scoperte astronomiche e su nuovi modelli di robot da lavoro capaci di riparare da soli i satelliti in orbita attorno alla Terra; le premesse erano buone, ma i nomi che aveva letto sul depliant degli scienziati che vi avrebbero preso parte, non la entusiasmavano, alcuni li conosceva bene e sapeva che si trattava di perfetti imbecilli, altri erano dei farfalloni, e pochissimi erano intelligenti abbastanza per poter sostenere dei discorsi sensati.

Il meeting si sarebbe tenuto presso Il Villaggio della Scienza a quattro ore di volo da casa sua, sorrise tra se pensando che conosceva chi in un battito di ciglia avrebbe potuto coprire distanze incredibili, cose che la scienza non avrebbe mai potuto spiegare, e probabilmente nemmeno accettare. Goku ci avrebbe messo un attimo a percorrere quella distanza, Vegeta un po’ in più, lei purtroppo era una terrestre, e doveva accontentarsi  di un noioso e lungo viaggio. Quattro ore non erano poi così tante calcolando che la fortuna era stata dalla sua, era sola, almeno quello. Intrattenere giornalisti scientifici e ricercatori non era proprio rilassante di prima mattina, e di sicuro non avrebbe accorciato i tempi.

Il cielo era terso quella mattina, poche nuvole rade lo tagliavano in orizzontale, qualche gruppo di uccelli migratori passò sotto di loro. Era una splendida giornata, e sarebbe stata ancora più splendida se Vegeta, appena sveglio, non le avesse messo i bastoni fra le ruote, come al solito.

La dolcezza della sera precedente era completamente scomparsa al sorgere del sole. Quelle effusioni pacate, non sarebbero durate a lungo, lo sapeva, aveva avuto uno strano presentimento che pensava fosse riferito ad altro, ed invece sembrava proprio riferito a quella giornata.

Quel dannato scimmione.

Era riuscita a tenerlo a bada, certo, ma a volte proprio non sopportava quei suoi modi arroganti, soprattutto quando aveva appuntamenti di lavoro importanti. Forse stargli lontana per un po’ era giusto, le avrebbe giovato e avrebbe raddrizzato anche lui.

Che illusa.

Con la stessa velocità con cui aveva formulato questo pensiero aveva formulato quello opposto, adorava il suo modo ‘carnale’ di volerla, e lui era così, duro, orgoglioso e pieno di pretese, lo amava anche per questo, purtroppo.

“Due ore all’arrivo!” esclamò una voce metallica femminile attraverso l’alto parlante.

Bulma bevve un sorso di caffè, si era ormai raffreddato, aveva passato tutto il tempo a guardare fuori, piuttosto che a fare colazione. Sbuffò infastidita, chiese di averne dell’ altro, ma poi ci ripensò, avrebbe lasciato freddare anche quello di sicuro. Aprì il computer portatile, e si mise a rileggere il discorso scritto la sera precedente; si meravigliò di come avesse riassunto così abilmente certi passaggi complicati, ebbe da correggere ben poco, e in fretta ebbe terminato anche quel ‘lavoro’, ora non poteva fare altro che rimettersi a pensare a quello stupido di un alieno che viveva con lei.

Al risveglio non le aveva permesso di ultimare le valigie, era una tipa diciamo… previdente e avrebbe voluto portar con se ricambi per almeno dieci giorni, invece che per due. Una donna, scienziato non poteva apparire mai con un capello fuori posto, e poi a lei piaceva essere guardata, era sempre stato quello il suo punto debole. Aveva a stento messo insieme in necessario.

 

Vegeta aveva preteso attenzioni.

 

“Credi che ti lasci andare così?” le aveva chiesto inchiodandola al letto, occhi negli occhi le aveva lasciato capire che voleva solo farle perdere tempo, quella mattina non la desiderava, voleva darle fastidio e nient’altro. Gli piaceva molto vederla arrabbiata, era reattiva e giocare con lei aveva un gusto diverso.

Il sole che penetrava dalla finestra lo illuminava di taglio, i suoi muscoli levigati erano già in tensione, e lo modellavano come un bronzo di Riace, le aveva spesso fatto perdere la testa a quel modo, con il solo guardarla, o il solo sfiorarla. “Vegeta!!!” lo aveva ammonito, ma non era quello il momento migliore per non capirci più nulla, “Si sono io!” le aveva risposto di rimando con fare sfacciato prendendo a tormentarle una spalla con dei piccoli morsi. Una mano le teneva fermi i polsi, mentre l’altra indagava sotto la maglietta. Sentiva su di se il suo corpo potente e non poteva reagire, avrebbe dovuto fregarlo con l’astuzia, come al solito.

Aveva allentato la resistenza e lo aveva lasciato fare, sapeva che presto si sarebbe accorto della sua resa, e così era stato. L’aveva guardata malizioso, lei gli aveva sorriso, gli aveva gentilmente chiesto di invertire le posizioni, capitava che lui la lasciasse fare e così era stato.

A cavalcioni sulla belva si sentiva sempre molto potente, lui le aveva afferrato i fianchi e chiuso gli occhi attendendo qualcosa, respirava a pieni polmoni con il petto, attraversato da piccole striscioline rosa che, possente, si muoveva lento. Bulma si era avvicinata al suo orecchio e gli aveva bisbigliato dapprima delle parole impronunciabili, che lui e solo lui avrebbe ricordato per sempre e poi, con suo sommo stupore, delle cattiverie, cose che lo avevano infastidito, che lo colpivano nell’orgoglio; sapeva sempre dove ferire con la bocca, lei.

Fu a quel punto che l’uomo aveva intuito che non avrebbe avuto niente da lei, almeno non quella mattina, che aveva intuito il suo gioco “Vuoi solo farmi perdere tempo scimmione che non sei altro!” lo aveva accusato alzandosi, lui aveva preso a ridere come un pazzo, una risata dura e rauca “Credi di averla vinta vero?” le aveva risposto continuando a ridere.

Era riuscita a mettere al volo delle cose in valigia, Vegeta non avrebbe riso ancora per molto. Si chiuse in bagno, e per fortuna le lasciò fare una doccia, le concesse anche il tempo di organizzare un beauty con il necessario da viaggio; trucchi, saponi, acque profumate, creme.  Indossò qualcosa di comodo, ma sensuale, una camicia rosa e un pantalone lungo e stretto, bianco; i suoi colleghi scienziati volevano lei non solo per la testa, anche se sarebbe bastata quella per metterli nel sacco, tutti.

Fuori dalla finestra aveva visto atterrare la navicella privata, c’era stato un momento in cui era arrivata quasi a pensare di abbandonare tutti e rimanere con lui; nonostante la sua violenza, tra le sue braccia si sentiva completa e appagata, forse le avrebbe concesso qualche bacio, ma Vegeta non ne era il tipo, avrebbe preteso di più e allora aveva accantonato l’idea dirigendosi verso la porta.

Stava cominciando male quella giornata, ma forse avrebbe potuto ancora recuperare.

 

“Un ora all’arrivo!” l’altoparlante la distrasse da quei pensieri, era ancora arrabbiata con lui, ma già le mancava, sapeva che due giorni sarebbero stati lunghi per entrambi, per non parlare di Trunks che era abituato ad averla sempre a casa, fortunatamente a lui avrebbe pensato il nonno, con suo nipote era riuscito a raggiungere soglie di dolcezza impensabili per un uomo di scienza.

Le balzò alla mente la foto ingiallita che avevano ritrovato insieme nonno e nipote nel piccolo laboratorio, una giovanissima se stessa e un piccolo Goku, felice e spensierato. Non riusciva a ricordare chi aveva potuto scattarla, ma poco importava tutto sommato. Una fitta allo stomaco le ricordò che le mancava quella testa a punta, ogni giorno; in ogni ricordo felice c’era lui, accettare la sua scomparsa definitiva non era stato semplice, ma per fortuna lui aveva lasciato la testimonianza del suo amore lì sulla terra in Gohan e Goten, due splendidi esemplari di vitalità e in Goten lei lo rivedeva tutte le volte, erano due gocce d’acqua. Le venne da sorridere.

A volte immaginava un Vegeta buono e gentile come il suo migliore amico, ma poi ci rifletteva, di sicuro non le sarebbe piaciuto come le piaceva ancora quel rude principe alieno.

 

“Non penserai che sia finita qui?” le aveva chiesto poche ore prima, ringhiando, mentre lei, con passo rapido aveva provato a svignarsela. Lui l’aveva raggiunta alle spalle con un balzo e l’aveva costretta con il viso sulla porta. Il suo fiato le aveva riempito le orecchie “Vegeta su, devo andare, sarò di ritorno fra un paio di giorni!” aveva provato a convincerlo, inizialmente senza risultato “Non farmi venire lividi sul viso altrimenti..!” “Cosa?” aveva risposto lui mettendo su quel suo ghigno malefico che lei amava tanto quanto odiava “… mi faresti fare delle figure orribili alla convention, sai quanto ci tengo!” “Quanto ci tieni a mettere la mercanzia in mostra eh!?” le rispose tormentandole i seni da sopra alla camicia “Non fare il geloso!” era riuscita a girarsi mentre lo diceva, ora erano nuovamente occhi negli occhi, a pochi centimetri l’uno dall’altro, respiro dentro respiro “Valgo più io che tutta quella banda di spocchiosi messi insieme!” aveva ruggito sulle sue labbra, sapeva bene che così lo avrebbe innervosito, odiava quando lei gli attribuiva sentimenti umani insipidi quali la gelosia, a quella frase infatti risero insieme, lei divertita, lui un po’ meno.

I loro occhi si agganciarono in punto imprecisato tra il naso e la fronte, nessuno dei due fece un passo verso l’altro. “Ti diverti a darmi fastidio vero?...” gli chiese “… dopo tutti questi anni ti diverti ancora un mondo!” sorrise terminando, lui le baciò le labbra, non sapeva mai cosa risponderle e l’unico modo che conosceva per zittirla era quello.

Fu un bacio casto.

A rimbombare nell’aria erano solo i battiti di due cuori affannati “Devo andare!” “Non così presto!” la interruppe lui facendola aderire a se e alla porta. Nel frattempo dall’esterno si udirono i passi di qualcuno che si avvicinava, probabilmente stavano arrivando a prendere i suoi bagagli, doveva districarsi in fretta da questa situazione complicata.

“Facciamo un accordo…” gli propose.

Aveva il fiato spezzato per la pressione contro la porta, e un timore stava salendo a galla: di li a poco avrebbe ceduto alle sue avance. Vegeta prese a baciarle il collo alternando baci e morsi lievi, se avesse potuto se la sarebbe mangiata sul serio.

“Cosa aspetti, prosegui!” la esortò, sapeva che così facendo le faceva perdere il tempo e la testa, ma quella mattina Bulma era irremovibile, le era venuta un’idea malsana “… se mi lasci andare ora… al mio ritorno…” allungò la bocca verso il suo orecchio per poter essere più sensuale possibile “… ti farò godere così tanto da farti gridare il mio nome!” sentì il cuore dell’alieno perdere un battito, poi lo vide allontanarsi dal suo collo e sorridere “Mi ricatti con il sesso ora?”. Sentì la sua presa allentarsi per un attimo prima di diventare ancora più forte, allora gli rispose “Nessun ricatto, è una promessa!” gli baciò il mento dolcemente.

Si persero ancora una volta l’uno negli occhi dell’altro, pece liquida e un mare cristallino che si incontravano e si cozzavano dentro e fuori. “Vedremo chi dei due griderà più forte!” la minacciò lasciandola andare del tutto. Le concesse solo un ultimo sguardo prima di dirigersi verso il bagno, poi riprese a ridere. Aveva calcolato ogni singolo secondo quell’uomo, perché nell’attimo in cui si chiuse la porta la voce del pilota echeggiò per la casa “Signora Brief, siamo pronti alla partenza!”

 

“Signora Brief, siamo arrivati!”

Bulma distolse lo sguardo dal finestrino, quella voce l’aveva riportata alla realtà, non si era nemmeno resa conto che la navicella era atterrata, non stava cominciando bene questa settimana lavorativa, proprio no.

Si riscosse dai pensieri e gli sorrise. Il Villaggio della Scienza era davvero enorme, un posto in cui le scoperte erano all’ordine del giorno, mise un piede sull’asfalto e respirò a fondo. Avrebbe dato il meglio di se!

 

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“La mamma uscirà in tv oggi pomeriggio Trunks, ti va di vederla vero?!” il nonno Brief, con la sua solita sigaretta attaccata ai baffi, e voce dolcissima, stava portando il nipote con se nei laboratori per continuare il lavoro di smantellamento iniziato da giorni.

Il bambino aveva pianto un po’ per l’assenza improvvisa della madre, ma si era subito ripreso grazie ad un nuovo giocattolo super tecnologico che lo scienziato gli aveva appena regalato. Si trattava di un grandioso dinosauro verde, cavalcabile, che rispondeva ai suoi comandi, solo a quelli del bambino. Bastava poco per farlo felice e quando sorrideva chiunque si scioglieva. Chiunque tranne suo padre, ovviamente.

Vegeta si trovava di passaggio in cucina proprio in quel momento, e allungò l’orecchio quando sentì il bambino frignare. ‘Se fosse stato sul pianeta Vegeta a questa età sarebbe nel deserto a combattere contro la fame, la sete e una buona dose di mostri letali! tsk!’ storse il naso alla sua vista, raramente aveva provato sentimenti d’affetto nei confronti di quell’essere messo umano.

Per quanto riguarda l’altra notizia, pensò che forse la donna avrebbe parlato di quelle sue ricerche intergalattiche che tanto gli erano interessate. Fra quelle carte, il giorno prima, aveva trovato la risposta ad alcune domande che si poneva da sempre, o meglio, da quando era stato costretto sulla Terra da una serie di fattori esterni, quali la morte di Freezer e la sfida aperta con, l’ormai defunto, Kakaroth, una morte che anche lui ancora non aveva accettato, il suo unico rivale rimasto se ne era andato e tutto stava diventando noioso e ripetitivo.

“Vegeta!” la voce del vecchio lo fece voltare, da dolce era diventata seria. Quell’uomo gli parlava raramente, ma quando lo faceva era sempre per dirgli qualcosa che poteva interessarlo sul serio, stimava la sua intelligenza, e l’abilità che aveva avuto nel dare alla luce una femmina perfetta. Si scrutarono per un istante brevissimo, poi il dottor Brief parlò sostenendolo “Stasera Bulma esporrà in diretta della nostra ricerca… vieni ad ascoltarla, potrebbe interessarti!” Vegeta trasalì, che avesse capito qualcosa anche lui? Si trattava di un consiglio fin troppo esplicito.

Si degnò di non rispondergli, come al suo solito, ma era bastato uno sguardo tra i due per intendersi. Se ne avesse avuto voglia, sarebbe passato per il salotto; lì, lui e sua moglie, avrebbero ammirato la loro figlia geniale ‘esibirsi’ in diretta mondiale.

Che donna! Pensò fra se.

Non avrebbe potuto trovarne una migliore in tutta la galassia, lo sapeva benissimo, aveva cominciato a capirlo fin da subito; eppure doveva allontanarsi da lei, quella droga che gli iniettava ogni volta che lo baciava stava diventando letale.

Quale folle lo avrebbe accolto fra le sue mura? Quale folle lo avrebbe affrontato così apertamente, faccia a faccia ogni giorno? Non aveva forza fisica, ma una forza mentale che lo spiazzava giorno dopo giorno. Anche quella mattina, lo aveva raggirato, solo in parte l’aveva lasciata fare. Quella sua lingua tagliente lo faceva suo in poco tempo.  Si era divertito un po’ con lei semplicemente perché adorava tenerla sulle spine, le aveva concesso fin troppo la sera prima, tutta quella intimità così familiare non poteva durare ancora per molto, non era uno stabile lui. Da sempre nomade, aveva vissuto in giro per la galassia, tutti quegli anni sulla Terra lo stavano rovinando, pensava.

Tutta quella rabbia accumulata lo stavano macerando dentro. L’amore di ‘lei’ non poteva bastargli, non gli sarebbe mai bastato, almeno questo era quello che ripeteva a se stesso ogni santo giorno.

Ma poi l’amore che cos’era?

Non si vive di sentimenti, un sayan non vive di sentimenti,  ma di guerra, conquista e odio. Espansione coloniale e sviluppo della razza. Nient’altro.

Da quanto non uccideva qualcuno?

Un tempo il sangue chiamava altro sangue, ora solo l’apatia avvolgeva il suo sayan interiore.

Tra le carte stellari di quella donna era riuscito a leggere qualcosa che aveva risvegliato il suo lato animalesco. Forse, oltre quel cielo che vedeva fuori dalla finestra della sua spoglia stanza terreste, qualche altro sayan era alla ricerca dei suoi simili, e forse, aveva capito come raggiungerlo. Il principe sopito stava risvegliandosi per tornare all’attacco, era vivo dentro lui prepotentemente. Il sangue reale aveva cominciato a pompargli forte nelle vene quella notte precedente. Una notte che non avrebbe dimenticato, una notte in cui una fiammella si era accesa nell’oscurità di quella galassia.

Bulma, un’altra galassia incredibile, aveva dormito fra le sue braccia, il suo respiro leggero lo aveva cullato, mentre vigile aveva vagato con la mente nello spazio, fra le stelle, individuando forse il punto in cui loro lo stavano aspettando, perché i sayan sono fedeli alla corona e nulla possono, o riescono, senza un comandante.

L’aveva desiderata, quasi tutta la notte, aveva finto di non volerla per non cedere ulteriormente a quel corpo così perfetto che, ad un tocco più forte si sarebbe potuto spezzare. Fra una fantasia legata al ritornare principe, ne susseguiva una legata alle gambe di quella terrestre e si era odiato profondamente per questo. Per questa sua futile debolezza. Avrebbe potuto portarla con se, ma lei non avrebbe mai abbandonato né la sua famiglia, nè quel mezzosangue nato da una notte di passione fin troppo focosa.

Reagiva male quando i ‘sentimenti’ di cui tanto Bulma vociferava, lo assalivano, si presentavano a lui come realtà tangibili ed esistenti. Reagiva male, e doveva darle fastidio. Volentieri le avrebbe fatto far tardi, molto più tardi, fino a costringerla a letto sotto la sua forza, fino a farle gridare sul serio il suo nome, fino a farle rompere la voce facendole raggiungere l’apice del piacere, ma alla fine aveva ceduto alla sua sensualità.

Riusciva a prenderlo sempre nell’ orgoglio, e per la cintura.

“Ti adoro!” gli diceva quando sapeva che ‘Ti amo’ non gli sarebbe andato a genio.

L’intera giornata l’aveva passata nella Camera Gravitazionale, asettica e fredda come d’altronde era la sua camera, ma l’unico luogo dove la sua forza poteva esprimersi al cento per cento e dove, con il sudore, andavano via anche certi pensieri legati a lei. Anni in quella casa e quel corpo di donna, perfetto, lo facevano ancora dannare. Durante le fasi lunari la situazione peggiorava, Bulma sapeva che era meglio non farsi trovare in quei giorni, il taglio della coda non aveva eliminato ‘quel se stesso’, lo aveva solo incatenato infondo al suo petto, al suo stomaco.

Decise di uscire da lì solo quando sentì che i muscoli stavano per esplodere, nel momento in cui il suo corpo cedeva, lo spirito si rinforzava. Ponderare con il sudore che gli scorreva sulla pelle lo portava quasi sempre alle scelte più giuste. Aveva un nuovo scopo ora, ritrovare gli ultimi della sua razza, ciò implicava andare via da lì per sempre, era arrivato il momento.

Era deciso.

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