Change My Mind

di Another_Life
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Missing Moment ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***
Capitolo 30: *** Nuova Fan Fiction ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


88

Change My Mind

Capitolo 1
 
Il sole splendeva alto nel cielo, emanando un calore impressionante e una luminosità che ti accecava. Era distesa nello sdraio, a pancia in su, con il reggiseno del costume a fascia color sabbia e i pantaloncini blu. Non le piaceva rimanere solamente con le mutande, la faceva sentire in imbarazzo e nonostante le occhiate di tutte le persone che c’erano in spiaggia se ne fregava, se ne fregava dei loro pensieri e dei loro sussurri.
Da precisare che non aveva le sue cose.
Se ne stava lì, beata, sperando di riuscire ad abbronzarsi velocemente; tornare a casa con una bella tintarella da far invidia alle sue amiche era una delle cose primarie.
La musica con il volume abbastanza alto le premeva nelle orecchie e canticchiava le parole delle sue canzoni preferite, seppure non fossero le ultime uscite. Quando una melodia le entrava in testa non riusciva più a mandarla via così si ritrovava a dover aggiornare il suo cellulare nella sezione musica raramente. Era strana, okay, ma il padre della bambina in “Alice in Wonderland” diceva che tutti i migliori erano matti, no?
Vabbè, era lì, tranquilla, ad assaporarsi quella vacanza al mare che tanto avevano sognato e ancora non le sembrava vero. Era felice finalmente, rilassata e pacata, ma mancava qualcosa. Dentro di lei era come se avesse un vuoto, come se all’interno del suo stomaco ci fosse una voragine enorme che le trasmetteva tristezza e malinconia. Sì, si sentiva esattamente come Bella Swan in “New Moon”, quando Edward la lascia per il suo bene. Il problema era che lei non era stata né mollata né piantata, primo perché non aveva un ragazzo - e non l’aveva mai avuto, ma dettagli - e secondo perché non si era mai innamorata.
Lo sapeva, cosa diamine voleva sapere dell’amore una quindicenne sfigata?
Tanti se lo starebbero chiedendo, perfino le sue amiche o i suoi genitori, se glielo avesse raccontato. Ma non l’aveva fatto perché come al solito le era più facile tenersi tutto dentro. Già, era proprio la classica ragazza troppo timida e impaurita che non faceva altro che sognare.
Che c’era di male? Perché chi sognava veniva sempre catalogato come debole?
Se lo chiedeva continuamente. Ma pensandoci, un po’ debole lo era.
Le sue migliori amiche a volte la prendevano in giro, dicevano che si doveva lasciare andare, che si doveva divertire. Ma lei lo stava già facendo, si stava divertendo. Più o meno.
Loro avevano tutto un altro modo di vedere la vita, loro erano come farfalle che si libravano in aria fregandosene di tutto e tutti; cosa diceva la gente? A loro non importava, bastava non venir passate per delle puttanelle, cosa che davvero non erano.
A volta le ammirava davvero, il modo con cui facevano amicizia così velocemente le sembrava innaturale. E che amicizie, poi …
Serena, occhi come due pozzi d’acqua azzurra intensa, era la spigliata del gruppo: amava conoscere gente nuova, era quasi la sua droga personale, la sua ragione di vita. Fare amicizia per lei era indispensabile: non c’era luogo o città nelle loro vicinanze in cui lei non conoscesse almeno un paio di persone - preferibilmente ragazzi - e non c’era pomeriggio in cui uscissero per un gelato nel quale non salutasse metà della gente che incrociavano.
E il bello era che le conosceva tutte.
Sapeva sempre tutto di tutti, se si aveva anche un minimo dubbio o una piccola incertezza bastava che si chiedesse a lei; era in un certo senso la regina dei gossip, amava conoscere ogni cosa e si divertiva a sparlare male delle ragazze che le stavano un po’ antipatiche.
I capelli lunghi fino al seno, di un colore indefinito tra il rame e il castano e che terminavano in generosi boccoli naturali la rendevano unica e bellissima; era affascinate, anche per via del fantastico fisico che si ritrovava.
Anche lei glielo invidiava, ma a fare la sua speciale dieta per ottenerlo non ci pensava minimamente; cibarsi quasi esclusivamente di verdura, carne senza condimento, porzioni di pasta che assomigliavano a quelle per un criceto e respingere ogni tipo di dolce?
Ah no, l’avevano scambiata per la persona sbagliata.
Lei amava mangiare e non avrebbe mai smesso di gustarsi tutte quelle cose che invece la sua amica si rifiutava di ingoiare.
Oltre che alla mentalità e al carattere le due erano diversissime anche per quanto riguardava l’abbigliamento: Serena era la classica ragazza bon ton, quella piena di vestiti e con uno stile unico e impareggiabile. Amava indossare abiti di ogni genere, amava le gonne, gli stivali e più di tutto amava le scarpe col tacco.
Tutto il contrario di lei insomma.
Non tanto diversa era Marta: occhi verde smeraldo che le facevano assumere uno sguardo da cerbiatta, cosa che catturava anche molti ragazzi. I capelli, simili a quelli di Serena, li teneva molto corti, appena sopra le spalle e il modo in cui erano perfettamente dritti ogni maledetto giorno era quasi assurdo, incomprensibile ed enigmatico.
Ci si avrebbe potuto aprire un caso su questo problema.
Anche lei amante delle festa, andava in tutto e per tutto d’accordo con l’altra, con la quale si scambiava opinioni e consigli su questo o quel tipo, adocchiato ovviamente non molto tempo prima.
Erano ragazze dall’animo allegro e dalla mentalità libera, amavano divertirsi e giocare con i sentimenti dei ragazzi bastardi, così da dare una lezione anche a loro.
Potevano avere tutte i difetti di questo mondo, ma nonostante tutto questo erano la sue migliori amiche e come tali le rispettava e non chiedeva niente di più.
Amava com’erano e di certo non le avrebbe cambiate con niente al mondo.
Come dire, lei era la pecora nera del gruppo. Estremamente introversa e tremendamente timida, veniva catalogata sempre come la sfigata che stava bene da sola, la ragazzina che non si godeva la vita.
Beh, non era così. Non era colpa sua se sua madre l’aveva messa al mondo in quel modo, non era colpa sua se si ritrovava quel carattere e quel modo di pensare le cose. Semplicemente, non date la colpa a lei.
Anche a lei piaceva fissare i bei ragazzi e doveva precisare che, del gruppo, era quella che aveva i gusti più difficili. Puntava sempre troppo in alto - come diceva Serena - e si fissava con quelli che erano letteralmente impossibili, almeno per la sua portata. Non era colpa sua se cercava la perfezione, sapendo bene che non esistesse.
Ma la speranza era sempre l’ultima a morire, no?
Ad un tratto si accorse che le cuffiette non emettevano più musica; alzò al massimo il volume, pensando di averlo abbassato senza accorgersene.
Niente.
Sbloccò il cellulare e l’ansia che le si era creata in volto svanì.
La play list era terminata. Soltanto quello.
Okay, era una frana totale.
Sospirò rimettendola da capo e tornando ai suoi pensieri.
Cosa stava dicendo? Ah sì, stava parlando dei ragazzi.
Altra cosa che la rendeva una sfigata agli occhi delle altre persone: il non avere un ragazzo.
Okay, era una cosa stupida, ma ancora più stupido era il fatto che non ne avesse avuto nemmeno uno e questo complicava ulteriormente la faccenda.
Sì, si era presa un paio di cotte alle medie ed era un vero sogno vedere i ragazzi della C quando facevamo educazione fisica assieme ma nessuno le faceva battere il cuore da un po’.
E questo la faceva star male da una parte perché vedere che tutte le sue amiche che o erano fidanzate o stavano per fidanzarsi o erano cotte di altri tosi la faceva sentire incompresa e terribilmente sfigata.
Diciamo che per quanto le scocciasse ammetterlo era una ragazza abbastanza all’antica e invece di andare dietro al primo che capitava preferiva aspettare l’amore. Sempre che non fosse arrivato quando avrebbe avuto cinquant’anni e sarebbe stata una vecchia decrepita, chiariamoci.
Sospirò ridacchiando da sola mentre ancora teneva gli occhi chiusi, assaporandosi quelle dolci parole di una delle sue canzoni preferite; la canticchiava inspirando l’odore salmastro del mare e rilassandosi nel sentir il dolce venticello che le muoveva leggermente le ciocche dei capelli.
Da quanto le era mancata quella sensazione, da quanto non sentiva tutte quelle emozioni: il mare le era sempre piaciuto anche se invece di rimanere in acqua tutto il giorno preferiva stare sullo sdraio a leggere un libro o ad ascoltare musica. Lo sapeva, era davvero strana, ma il mondo era bello proprio perché era vario, no?
«Nicole?», la chiamò sua madre scuotendole delicatamente il braccio.
Mugugnò qualcosa di incomprensibile dovendosi togliere le cuffie proprio nel momento cluo della canzone e la guardò riparandosi con una mano dai violenti raggi del sole.
«Che ne dici se torniamo nell’appartamento?», le chiese mentre anche suo padre si alzava stiracchiandosi.
«Già?», le rispose un po’ dispiaciuta dal dover lasciare il posto magnifico in cui si trovava.
Era soltanto il primo giorno quello ma le sembrava di essere lì da una vita.
Molte cose erano cambiate negli anni ma ricordava ancora quei negozietti di scarpe e vestiti e quelle tabaccherie all’angolo, per non parlare delle sale giochi: da piccola ne andava letteralmente matta e le prendeva tutte d’assalto ogni benedetta sera.
Guardò l’ora sul cellulare: cavolo, le sette e un quarto. Ma era passato tutto quel tempo?
«Okay, sì andiamo», si corresse alzandosi dallo sdraio e prendendo le sue cose.
«Anna dov’è?», chiese notando solo ora l’assenza del diavolo di sua sorella.
«Sta ancora giocando con la bambina che ha conosciuto qualche ora fa. Adesso la vado a chiamare», le rispose la madre andando verso il mare.
Ecco, lei si che faceva amicizia. Brava ragazza, non prendeva mica esempio dalla sorella, se avrebbe fatto sempre il contrario di quello che faceva lei non avrebbe mai sbagliato.
Un attimo dopo vide tornare la madre con la soggetta in questione e un’altra bimba che salutò le due prima di andare verso una famiglia pochi ombrelloni più in là.
«Chi era quella?», chiese al diavolo appena si incamminarono verso l’appartamento.
«Safaa, la mia nuova amica», le rispose tutta contenta.
«Com’è che si chiama?», le domandò non avendo capito la pronuncia.
«S-a-f-a-a», le disse neanche fosse ritardata.
Le aveva solo chiesto di ripetere, Madonna santa.
Loro due erano fatte così: litigavano per qualunque sciocchezza, qualunque cosa era buona per attaccarsi e cinque minuti dopo ridevano assieme.
Tornarono nel residence ed entrarono nel loro appartamento, tutto ben pulito e in ordine. Ovviamente, dovette lasciare che il perfido diavolo si lavasse per prima. Era la più piccola, doveva pur averla vinta, no?
Aspettò dieci minuti prima di potersi finalmente rilassare con una doccia calda, mandare via tutta la sabbia che era rimasta ostinatamente attaccata ai piedi e alle gambe - nonostante fosse rimasta tutto il pomeriggio sullo sdraio - per poi cambiarsi e mettersi un paio di short in jeans marroni e una t-shirt nera. Uscita dal bagno per lasciar posto ai suoi notò ancora una volta l’assenza della sorella.
«Anna?», chiese alla madre stupida del fatto che fosse sparita un’altra volta lasciando che la pace e la tranquillità la invadessero.
«E’ andata giù a giocare con la bambina di oggi, la sua famiglia dovrebbe alloggiare qui o nell’hotel di fronte», le rispose la donna.
«Fra dieci minuti valla a chiamare che mangiamo», aggiunse suo padre prima di chiudersi in bagno.
Annuì un po’ scocciata e poi si sedette sul letto ad ascoltare musica: aveva tempo per canticchiare almeno tre canzoni. Premette sulla play list e si perse nel suo mondo tra le note di Avril Lavigne.
 
* * *
 
D’improvviso il suo cellulare cominciò a vibrare come un forsennato facendole prendere un colpo.
Era chiusa in camera, ancora con le cuffiette alle orecchie. Guardò il display e si accorse che era solo la sveglia. Già, l’aveva messa perché altrimenti si sarebbe dimenticata di dover andare a prelevare l’altra bimbetta; perdeva davvero la cognizione del tempo quando cominciava a fantasticare.
Scese dal letto e si avvicinò al comodino da dove prese la trousse con i trucchi: non usciva mai senza aver coperto le imperfezioni del suo viso, era una specie di suo rito personale.
Mise un po’ di fondotinta e un filo di matita nera per poi uscire dall’appartamento; era uno stabile nuovo, costruito da un paio d’anni e pregò di non perdersi: era davvero capace di farlo.
Cercò di ricordare il tragitto che avevano fatto quella mattina per portare le valigie così trovò le scale e le scese tutte. Dio, non ricordava fossero così tante.
Arrivata alla Reception salutò la segretaria tenendo stretto fra le mani in suo inseparabile cellulare. Altra cosa con cui non usciva mai senza.
Andò nel giardino e si guardò attorno alla ricerca della due marmocchie. Le vide subito, stavano giocando a… Beh, non ne aveva la più pallida idea.
«Ehilà», le salutò sorridendo ad entrambe.
«Tu devi essere Safaa», continuò fissando la bimba. Aveva i capelli lunghi e lisci, scuri e finissimi, che le arrivavano a metà schiena mentre gli occhi erano di un azzurro accesso, tendente al blu. La pelle era molto abbronzata e qualcosa le disse che non era di quelle parti. Aveva l’aria simpatica e vispa e un sorriso davvero contagioso, mentre le guance paffute la facevano apparire ancora più carina e coccolosa.
La bimba annuì, arrossendo leggermente.
«Io sono Nicole, la sorella di Anna», si presentò dandole la mano.
«Safaa», rispose lei stringendogliela.
«A cosa stavate giocando?», chiese poco dopo.
«Un gioco di parole che mi ha insegnato lei», rispose il piccolo diavoletto.
«Ah, peccato, mi dispiace ma mi sa che dovrete sospenderlo. Mamma e papà ci aspettano per la cena», disse con la faccia un po’ dispiaciuta.
«Oh, va bene, tanto anche io adesso devo andare», sussurrò la bambina con una voce davvero carina, calda e gioiosa.
«Safaa, dove sei?», sentirono chiamare con un tono maschile che però aveva le stesse caratteristiche della piccola.
«Sono qui», rispose quella un po’ scocciata.
Da dietro la siepe sbucò prima un ciuffo di capelli scuri e poi un ragazzo che si guardava attorno in cerca di dove fosse quella che probabilmente era la sorella.
«Ah, eccoti finalmente, ti ho cercata dappertutto. Dobbiamo andare a mangiare», disse con la stessa voce calda e profonda di poco fa, solo leggermente meno preoccupata.
«Oh, ciao», le salutò appena vide le due sconosciute.
Appena i loro sguardi si incrociarono il suo cuore cominciò a martellarle nel petto ed ebbe paura che loro lo sentissero, o addirittura che uscisse dal suo corpo, cosa alquanto surreale.
I suoi occhi scuri la trapassarono da parte a parte e lei si sentì improvvisamente debole e scoperta. Le sue labbra rosee e carnose erano bellissime, così come il naso e quel leggero accento di barba, senza contare i suoi lineamenti perfetti.
Nicole ma che, adesso ti metti a fare i raggi x al primo sconosciuto che passa?
Sì, ma ammazza che sconosciuto…
Non aveva mai visto niente di più bello, niente di più perfetto. Quel ragazzo sembrava incarnare perfettamente l’uomo dei suoi sogni sebbene non fosse il prototipo del classico principe azzurro.
Era più alto di lei di almeno cinque centimetri, con i capelli corti ai lati e leggermente più lunghi sopra, sparati in aria in modo un po’ disordinato che però sembrava voler trasmettere l’effetto opposto.
Leggeva nei suoi occhi una dolcezza infinita che contrastava con tutto il suo aspetto esteriore; quel ragazzo non era come appariva, questo era poco ma sicuro.
Perfino l’orecchino nero al lobo sinistro lo rendeva più bello e più misterioso.
Sì, misterioso era proprio l’aggettivo con cui poteva descriverlo.
Lo sguardo magnetico e serio la fece sciogliere completamente tanto che non notò nemmeno come fosse vestito.
Restarono a fissarsi per non so quanto tempo, qualche minuto forse, e nonostante le risate delle loro care e amate sorelline nessuno dei due distolse gli occhi dall’altro.
«Ehm, Zayn, lei è Anna, la mia nuova amica e lei è sua sorella Nicole», disse Safaa rompendo il silenzio che era diventato alquanto imbarazzante.
Entrambi si rianimarono, neanche fossero stati in trance e cominciarono a sorridersi.
Il suo era un po’ da ebete, ma dettagli.
Il ragazzo portò avanti la sua mano senza togliere gli occhi da lei.
«Piacere, Zayn», sussurrò mascherando un sorriso che la stese completamente.
«N-nicole», balbettò lei incapace di controllarsi.
Si strinsero la mano ma appena si toccarono una scarica elettrica le attraversò tutto il corpo, facendo aumentare la danza sfrenata che stava facendo il suo cuore. Forse anche lui provò lo stesso perché alzò di colpo di occhi e la scrutò, come se la stesse studiando.
Restarono ancora un po’ a fissarsi, neanche avessero scoperto un cosa nuova di cui avevano da sempre ignorato l’esistenza; le bambine cominciarono a ridacchiare, ma loro non le notarono.
«Ah, e lui è il rompi palle di mio fratello», fece Safaa parlando con Anna.
«Smettila mostriciattolo», le rispose lui scostando lo sguardo e prendendola per farle il solletico. La piccola si dimenò e cominciò a dare pugni al fratello, che evidentemente per lui erano come carezze.
«Okay, noi andiamo», disse Zayn sorridendole un’ultima volta per poi prendere sulle spalle la sorella.
«Ciao», sussurrò appena con la voce ancora secca.
«Ciao», le rispose mentre si incamminava.
«Ci vediamo domani Anna!», sbraitò l’altra mentre cercava di staccarsi dalla presa del ragazzo.
«Sì, a domani!», la salutò il diavoletto prima di voltarsi e incamminarsi con la mora per la loro stanza.
Ritornarono dentro e risalirono le scale, lei ancora in estasi dopo aver visto l’ottava meraviglia del mondo. Dio, quel ragazzo era veramente stupendo, non aveva mai visto niente del genere, per non parlare poi delle sensazioni strane che aveva provato dentro di sé quando si erano guardati.
«Ti piace Zayn», affermò sua sorella ad un tratto.
Per lo spavento quasi inciampò in un gradino, facendosi la solita figuraccia davanti ad una coppia di giovani sposi che parlava spagnolo.
«Non è vero», sbottò forse troppo velocemente e fulminandola con lo sguardo.
«Sì, invece», rispose lei maliziosa.
«E da quando in qua sei esperta in queste cose? Hai solo dieci anni», esclamò lei mentre voltavano l’angolo.
«Undici a novembre e comunque vi siete fissati proprio come fanno nei film», rispose lei in modo innocente.
«Nella realtà non succedono le cose che capitano nei film e a me non piace il fratello della tua amica», mise in chiaro guardandola seria.
Era la prima volta che lo diceva ed era una delle balle più grosse che avesse mai sparato. Adorava le storie romantiche, soprattutto quelle descritte nei libri ed era convinta che potessero accadere anche realmente.
E chissà perché ma aveva davvero caldo …
Lei sbuffò come era solita fare quando non le voleva raccontare qualcosa, ma come avrebbe potuto fare? Come avrebbe potuto spiegarle della scarica elettrica quando si erano stretti la mano, o del martellare del cuore per tutto il tempo che erano stati vicini, o del fatto che non aveva mai visto una bellezza del genere?
Lei non avrebbe capito, era ancora troppo piccola, non poteva capire.
Eppure avrebbe tanto voluto potersi sfogare con qualcuno, con una delle sue amiche magari, se solo fossero state lì.
Parlare al telefono era fuori discussione, lo odiava da morire.
Messaggiare? No, anche quello lo odiava, specialmente se doveva parlare di un argomento del genere.
Niente, l’unica cosa che le rimaneva era tenerselo dentro come aveva sempre fatto.
I pensieri continuavano a frullarle in testa, mille domande sul quel ragazzo continuava a farsi senza ricevere risposta e il suo viso le riappariva ogni volta che chiudeva gli occhi.
Come mai provava queste strane sensazioni ogni volta che lo pensava?
Come mai il suo stomaco si era attorcigliato in quel modo facendole passare perfino la voglia di mangiare?
Perché si sentiva avvampare ogni volta che ricordava il suo sorriso?
Perché continuava a pensare a lui?
Per tutta la durata della cena cercò di concentrarsi su altro ma niente, ogni cosa la riportava a lui.
Possibile che le stesse succedendo davvero?
Possibile che si fosse … innamorata?
In fondo i sintomi erano quelli.
Oh ma dai Nicole, come fai ad essere tanto stupida? Non ti sei innamorata, non è assolutamente possibile. Hai incontrato un ragazzo oggi, di cui sai solamente il nome e pensi di essertene innamorata?
Ecco, la razionalità aveva preso il sopravvento mandando in frantumi la sua teoria.
Quel Zayn, lui era speciale, se lo sentiva e non erano dovute ad una semplice cotta le sue emozioni, ne era sicura solo che aveva paura di andare avanti, come al solito aveva paura della vita. Se ci fossero state le sue amiche si sarebbero già accordati sull’uscire insieme, loro sì che coglievano l’attimo, altro che quella povera sfigata.
Addentò con troppo rabbia l’ultima forchettata di pasta e si fece anche male.
Aveva bisogno di stare sola, di pensare, di capire cosa le stava succendono.
Aveva bisogno …
«Mamma, oggi ho scoperto che una mia compagna di classe è in vacanza qui e mi ha chiesto se ci incontravamo per fare una passeggiata, posso andare?»
«Oh, sì, sì, certo, basta non torni tardi», la avvertì.
«Tranquilla», le rispose sorridendo.
Non c’era nessuna amica, nessun incontro, soltanto una piccola bugia. Non era per cattiveria ma aveva bisogno di starsene per conto suo e i suoi, per quanto fossero degli ottimi genitori, non l’avrebbero mai lasciata andare in giro da sola.
“Ci sono brutte persone, non vogliamo che ti succeda qualcosa” sarebbe stata la loro risposta.
Ma lei doveva starsene per conto suo almeno per un po’.
Le sue amiche sarebbero fiere di lei
Se non era cogliere l’attimo quello.



 
Angolo Autrice:
Salve a tutti! 
Eh sì, sono proprio io, Another_Life, pronta per rompervi con la mia prima fan fiction!
Premetto già che questo capitolo l’ho scritto a luglio scorso, quindi perdonatemi se fa schifo o se è noioso, ho provato a risistemarlo come potevo; dicevo, ho ideato questa storia ancora quest’estate ma poi, non sapendo più come andare avanti, l’ho lasciata in sospeso per un paio di mesi.
Un giorno - o meglio, una notte, perché a me le illuminazioni vengono solamente quando ho spento il computer e sono andata a letto xD - mi è venuta una fantastica idea su come continuarlo e ora eccomi qui, impaurita come non mai del vostro giudizio e del fatto che, postandola, abbia fatto una gran figura di cacca.
Ditemelo se la devo togliere, accetto qualunque critica, davvero.
Passando al capitolo, qui abbiamo conosciuto Nicole e il suo presunto colpo di fulmine con il nostro misterioso Zayn - sarà ricambiato?. Presto entreranno in gioco altri ragazzi - non vi dico di più altrimenti vi rovino la sorpresa - e ne succederanno delle belle.
Voglio precisare che qui il moro ha 16 anni. Come mai l’ho scelto così giovane? Con il procedere della fan fiction capirete tutto, non preoccupatevi.
Voglio puntualizzare, poi, che i primi capitoli li posterò ogni settimana - per quelle anime gentili che decideranno di continuare a leggerlo - dato che ce li ho già pronti, i restanti cercherò di fare del mio meglio e di non fare ritardi sconvolgenti.
So quanto possa essere frustante rimanere con l’ansia di sapere come continua.
Ultima cosa: per chi dovesse leggerlo e non lo trovasse così particolare vi chiedo un favore. Aspettate di giudicarlo almeno fino al capitolo sette - al cinque ci sarà un cambiamento radicale, okay, non aggiungo altro! - e fatemi sapere cosa ne pensate.
Davvero, mi bastano poche parole per sapere se devo continuare a postarlo o se posso scrivere semplicemente per sfogo personale e per poi tenerlo rinchiuso dentro ad una cartella del pc.
Ah, e prima di andarmene ringrazio immensamente Egg___s per il banner: non è stupendo?
Quella ragazza è davvero un fenomeno, e vi consiglio assolutamente di leggere le sue storie se ancora non lo avete fatto: sono straordinarie!
Va bene, adesso mi dileguo.
Grazie per chiunque passi.
Un bacio e a presto,
Another_Life
xoxo

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


88

Change My Mind

Capitolo 2
 
Guardò l’ora sul cellulare: le otto e un quarto.
Bene, poteva uscire. I suoi se n’erano andati dieci minuti prima per fare un giro in centro e lei poteva finalmente “incontrare la sua amica”.
Si guardò un’ultima volta allo specchio: aveva gli stessi vestiti di prima ma il trucco era stato perfezionato, mentre i capelli lunghi e castani cadevano mossi sopra il seno.
Si sorrise cercando di essere ottimista, prese un paio di euro da mettere in tasca e il cellulare con le immancabili cuffiette blu.
Aprì la porta, scese le lunghissime scale e consegnò le chiavi alla reception per poi uscire e inspirare subito l’aria fresca della sera; il cielo era ancora chiaro e il sole sarebbe tramontato tra circa un’ora. Guardò affascinata tutta la gente che camminava, i negozi aperti e le varie attrazioni per i turisti, i tandem che sfrecciavano nella pista ciclabile e qualche auto che arrivava.
Riprese il controllo di sé quando il suo sorriso le riapparve nella mente, facendole ricordare il suo scopo per quella serata: capire cosa le stava succedendo, o almeno trovare degli indizi.
Girò a destra ammirando le varie botteghe e attività, dirigendosi sempre di più verso la fine della zona gremita di gente; risalì un’altra via che portava alla spiaggia e poi i gradini, vedendo finalmente lo spettacolo del mare che infrangeva le sue onde sulla battigia.
Era un sollievo sentire tutti quei piccoli suoni che le trasmettevano pace e tranquillità e in un attimo si sentì leggera come una farfalla. Riaprì gli occhi dopo un momento infinito e andò a sedersi su una panchina vuota; da lì riusciva perfino a scorgere il loro ombrellone e i vari giocattoli che la sorella aveva lasciato. Infilò gli auricolari e fece partire la play list per l’ennesima volta in quella giornata.
Canticchiò a bassa voce le parole in inglese di Katy Perry perdendosi ancora una volta nei suoi pensieri.
Perché quel ragazzo misterioso le aveva fatto quell’effetto?
Era la prima volta che le capitava e ora era molto confusa. Allora, ripetiamo: prima la reazione del cuore che aveva cominciato ad andare decisamente troppo veloce, poi i suoi occhi trapassanti e la scarica elettrica di quando si erano stretti la mano. Anche l’altro era sembrato sorpreso quindi dedusse che doveva essere successo anche a lui e questo, non sapeva come mai ma la sollevò.
Continuò a massacrarsi la mente cercando di trovare un filo logico a quegli eventi e dopo circa dieci minuti sentì qualcuno avvicinarsi per poi salutare con un “Ehilà” che udì a malapena a causa della musica. Non si voltò subito, di certo non era rivolto a lei, ma la curiosità era troppa e alla fine cedette. Girò la testa a sinistra e si ritrovò davanti un ragazzo dall’aria familiare che le sorrideva.
Oh cazzo.
Era lui.
Proprio lui.
Il ragazzo.
Quel ragazzo.
Merda.
Spalancò gli occhi inebetita e lo fissò interrogativa.
«Ciao», sussurrò con la voce roca qualche secondo dopo, ricordandosi che lui l’aveva già salutata.
«Che ci fai qui?», le chiese tanto per attaccar bottone, spezzando il silenzio che si era creato.
«Potrei farti la stessa domanda»
Lui ridacchiò ed lei arrossì. Ma perché si imbarazzava? Era solo la sua risata.
Già, la sua risata… Cristo Santo, che bella…
«Posso?», le chiese indicando il posto vuoto di fianco a lei.
Annuì diventando ancora più rossa. Gesù, non bastava la confusione che le aveva creato prima, no, adesso arrivava lì - e non sapeva ancora il perché - e le chiedeva di sedersi accanto a lei.
Pensò che il sole oggi gli avesse dato alla testa.
Cercò di riprendere le redini della sua mente con la razionalità anche se la sua vicinanza non aiutava.
Sentì il suo sguardo su di lei così, dopo un piccolo respiro, alzò anche lei il suo e si mise a guardarlo. I suoi occhi la trapassarono un’altra volta, la sua espressione misteriosa e piena di curiosità la fece tremare impercettibilmente e il suo mezzo sorriso distrusse tutte le sue barriere. Ora era completamente vulnerabile e la sensazione di debolezza la pervase.
«Non hai risposto alla mia domanda», sussurrò sorridendo malizioso.
Rimase un attimo interdetta dalle sue parole e poi si voltò verso il mare.
«Riflettevo», rispose con un filo di voce continuando a fissare le onde del mare, «Tu?»
«Safaa ha dimenticato il suo pallone ed è terrorizzata che glielo portino via, quindi i miei mi hanno spedito a prenderlo», rispose ridacchiando. Ritornò a guardarlo e lui riprese a studiarla cercando di leggere i suoi occhi.
«Quanti anni hai?», gli chiese qualche secondo dopo.
Lui si stupì della sua domanda, rimanendo per un momento scombussolato e lei fece lo stesso, meravigliandosi che quella a parlare fosse stata proprio lei.
«Sedici», rispose mentre lei poggiò lo sguardo su una coppia di anziani che stavano passando.
Li lasciò che li scrutassero e poi si rivolse di nuovo a lui.
«E che cosa hai fatto di così terribile da essere in vacanza con la tua famiglia?», gli chiese sorridendo.
Ancora una volta lo prese alla sprovvista e lui la osservò attentamente.
«Perché me lo chiedi?», sussurrò facendo un mezzo sorriso.
Arrossì ancora di più e per cercare di non farglielo notare distolse lo sguardo e guardò il sole che stava calando, portando con sé un magnifico tramonto.
«Perché non hai l’aria del tipo che alla tua età va ancora in vacanza con i suoi genitori», rispose senza neanche pensarci.
Riesaminò con la mente le parole che le erano appena uscite e adesso sì che diventò color pomodoro.
«Oddio scusami, non posso credere di averlo detto davvero, scusami», sussurrò alzandosi dalla panchina imbarazzata come non mai.
Prima che potesse fare un passo si ritrovò la sua mano che stringeva il suo polso sinistro e per poco non le venne un infarto. Il suo cuore cominciò a battere in un modo impressionante e la sua mente si annebbiò in un istante, lasciandola senza parole e senza la sua razionalità; una scarica elettrica la attraversò proprio come la prima volta e la sua stretta ferrea non la lasciava.
Lui si sporse in avanti e lei lo guardò perdendosi di nuovo in quegli occhi così apparentemente impenetrabili ma che invece, se li scrutavi bene, riuscivi a leggerci i suoi stati d’animo.
«Non te ne andare, mi piace chiacchierare con te», la supplicò con una voce un po’ spezzata.
Lo fissò confusa mentre il suo cuore perdeva un altro colpo e smetteva completamente di respirare.
Okay, questo doveva essere di sicuro un altro dei suoi sogni impossibili, non c’era altra spiegazione.
Vedendo che rimaneva lì come un’ebete a fissarlo la strattonò un poco facendola ritornare seduta. Lei riprese il controllo di se stessa e scosse la testa ancora imbarazzata.
«Scusami, fai finta che non abbia detto niente», sussurrò con un filo di voce.
Lui ritornò a studiarla, però lei questa volta non si arrese alla sua straordinaria bellezza e continuò a guardare le onde scure che si infrangevano sulla costa e il cielo arancione che vi faceva da sfondo.
«In effetti ci hai azzeccato», disse ridacchiando.
Si voltò verso di lui e sorrise di rimando. Quel ragazzo la metteva in un imbarazzo tremendo, è vero, ma sapeva anche come farla tranquillizzare.
E le domande su di lui aumentavano sempre di più.
«Diciamo che negli ultimi mesi sono successe un paio di cose che hanno portato i miei a costringermi a venire in vacanza con loro per badare a quel marmocchio che ho come sorella», continuò sorridendo qualche secondo dopo.
Annuì ricambiando il gesto e poi se ne restarono in silenzio per un po’.
«Da dove vieni?», gli chiese. La sua voce era talmente bella che non riusciva più a farne a meno, non poteva continuare a farlo star zitto.
«Pakistan», le rispose continuando a studiarla.
Ma non si rendeva conto che così non faceva altro che metterla in imbarazzo?
Sì che se ne rendeva conto e lo faceva apposta, gli leggeva il divertimento negli occhi.
«E sai così bene l’italiano?», domandò stupita.
«Vivo qui da quando avevo pochi mesi», le spiegò senza togliere quel sorriso dalle sue labbra. Annuì distrattamente e poi ritornò a guardarlo. Si tuffò in quelle sfere scure che sembravano così impenetrabili e illeggibili e perse di nuovo il controllo di se stessa.
«Tu di dove sei?», le chiese qualche secondo dopo senza staccare il suo sguardo dal suo. Se li avesse visti qualcuno non sapeva cosa avrebbero potuto pensare, magari che erano una coppia di giovani innamorati.
«Da un paese che dista due ore da qui e che è molto poco conosciuto», rispose sorridendo.
Lui annuì ricambiando il gesto e quando fece per aprire la bocca per farle un’altra domanda lei lo precedette.
«Ho quasi quindici anni», gli disse guardando un gabbiano che volava appena sopra il livello del mare. Con la coda dell’occhio vide la sua faccia sorpresa per un momento e ritornare poi seria e allegra contemporaneamente. Ritornò a scrutarla come se fosse una cavia da laboratorio e questo la faceva sentire tremendamente in imbarazzo ma allo stesso tempo non le dava così fastidio.
Restarono per qualche minuto in silenzio e poi lui le fece una proposta che la lasciò perplessa e stupita.
«Ti va se facciamo un giro sulla spiaggia?», le chiese sorridendo.
Dopo aver analizzato per bene le sue parole si voltò di scatto a guardarlo, come impaurita. La sua espressione sincera e il suo sorriso abbatterono tutte le sue barriere facendola vacillare. Okay, forse avrebbe dovuto rifiutare, nessuno le aveva mai chiesto una cosa del genere e probabilmente anche lui era uno di quelli che pensavano solo a farsi le ragazze e poi a dire addio, ma lei non era come loro e di certo lo avrebbe respinto se solo ci avesse provato. Eppure quegli occhi così gentili e autentici le dicevano che lui non voleva farle niente.
Restò qualche secondo a scrutarlo per capire se nella sua espressione c’era qualche traccia di presa in giro o simili, ma niente.
«Okay», sussurrò dopo alzandosi in contemporanea con il moro.
Si inoltrarono tra gli ombrelloni restando per un po’ in silenzio, ascoltando solamente il rumore delle onde del mare che si infrangevano sulla battigia. Il ragazzo si avvicinò per un momento ad una postazione non lontano da quella sua e della sua famiglia e ne prese un pallone. Sorrise quando le ritornò vicino e lui fece lo stesso.
Camminarono vicini fino ad arrivare alla riva e mentre lei continuava a guardare l’orizzonte sentiva il suo perenne sguardo su di lei. Il sole se n’era completamente andato per fortuna, almeno così lui non poteva vedere le sue guance in fiamme.
«Quanto ti fermi qui?», le chiese ad un certo punto.
«Oh, beh, sono arrivata stamattina e torno a casa sabato prossimo. Tu?»
«Una settimana anche io», le rispose tranquillo.
Il silenzio che c’era fino a poco prima ritornò e fu abbastanza imbarazzante; non riusciva a trovare un argomento di cui parlare, le sembravano tutti stupidi e senza senso, ma osservando il ragazzo di fianco a sé si consolò: anche lui sembrava abbastanza in difficoltà.
Ad un certo punto lo sentì allontanarsi ma non ci fece caso; dopo un paio di secondi dell’acqua le arrivò addosso bagnandole i pantaloni e un po’ la maglietta. Si voltò di scatto con occhi sbarrati e lo trovò a qualche passo da lei, con le bermuda anch’esse inzuppate come le sue e un sorriso furbo dipinto sul volto. Rimase incantata da tanta bellezza, non aveva mai visto niente del genere: quel ragazzo dall’aspetto perfetto era illuminato dalla luce tenue della luna e il suo fascino aumentava sempre di più, secondo dopo secondo. Dopo un momento di totale ammirazione verso quel dio greco riprese le redini di se stessa e infilò il cellulare in tasca per poi buttarsi verso di lui e cominciare a bagnarlo con degli spruzzi.
«Ehi, aspetta, che fai? No, i capelli no, ti prego», cominciò a protestare lui mentre lei rideva e continuava a bagnarlo.
«Hai cominciato tu, ragazzo pakistano», rispose ancora tra le risate.
Improvvisamente lui fece uno scatto avanti prendendola per i polsi e costringendola a fermarsi.
Alzò lo sguardo e si perse in quegli occhi scuri e trapassanti mentre il cuore cominciava ad andare decisamente troppo veloce e il fiato si faceva corto. Non riusciva più a pensare, la sua mente era completamente annebbiata e non era capace nemmeno di sciogliersi dalla sua presa ferrea; si fissarono intensamente per alcuni secondi e intanto i suoi polsi andarono letteralmente a fuoco sotto il suo tocco. Vide nel suo sguardo un po’ di confusione, anche lui non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo e cercava di mascherarlo con un sorriso, ma lei riusciva lo stesso a leggerglielo.
Dopo circa un minuto che parve interminabile lui arretrò di qualche passo, tenendo però ancora salda la sua mano sul suo polso destro. La fece avanzare di poco sull’acqua, senza smettere di guardare l’orizzonte e poi ad un tratto si fermò. Volse il capo verso di lei e le fece un sorriso sincero e bellissimo, forse con un pizzico di furbizia ma comunque paragonabile a quello degli dèi greci.
Successe tutto in attimo: mentre lei era ancora ammaliata da quel fusto di ragazzo lui si abbassò e le tirò un botto d’acqua, inzuppandola completamente. Il contatto con il liquido freddo la fece rabbrividire e tornare in se stessa e un’espressione mista tra incredulità, stupore e sorpresa si dipinse sul suo volto. Guardò i suoi vestiti: la maglietta per fortuna era nera così non si notava molto, ma i pantaloni… Sembrava decisamente che si fossi fatta la pipì addosso.
Gli sfrecciò un’occhiata omicida e poi si abbassò anche lei cominciando a tirargli acqua; lui provò a lamentarsi ma lei continuò forse anche più del dovuto, ma nessuno poteva bagnarla, nessuno.
Dopo un paio di minuti si fermò e cominciò a scrutarlo: la t-shirt blu elettrico era completamente zuppa, così come le bermuda in jeans. Quando notò i suoi capelli, poi, scoppiò in una fragorosa risata: erano tutti grondanti di acqua e il ciuffo che fino a prima era sparato in alto e tenuto così da gel e lacca ora era afflosciato sulla fronte del moro e gli copriva in parte l’occhio destro.
Adesso fu lui a lanciarle una fulminata piena d’odio ma vedeva dalla sua espressione che stava trattenendo le risate. I suoi occhi brillavano di una strana luce e facevano contrasto con il buio che c’era attorno a loro e che notò solo allora. In una circostanza normale avrebbe avuto paura, stare nell’oscurità di notte le aveva sempre fatto un certo che ma adesso no, sentiva che era al sicuro, protetta per certi versi. Lui emanava una strana sensazione di tranquillità e riparazione, come se fosse il suo custode e che con lui non doveva temere niente.
Okay Nicole, stai sparando una cazzata dopo l’altra, in fondo neanche lo conosci, ma che ti metti in testa?!
Ancora una volta la razionalità si era impossessata di lei, facendole crollare le sue ipotesi più assurde.
«Ehi fermo, no non ti azzardare, adesso siamo pari», sussurrò appena lo vide avvicinare le mani all’acqua. Lui inchiodò i suoi occhi sui suoi e cominciò a sorridere in modo strano.
«Ma io ti avevo detto che non mi dovevi toccare i capelli», fece lui in tutta risposta.
«E tu non mi hai lasciato altra scelta, dal momento che hai cominciato tu a lavarmi completamente», rispose sostenendo il suo sguardo per quanto le fosse possibile.
Non aveva mai parlato in quel modo ad un ragazzo e per questo ne fu anche sorpresa, ma cercò di concentrarsi sul moro che stava davanti a lei, pronto a schizzarle acqua un’altra volta.
Lui continuava a fissarla mentre il cuore pompava sempre più veloce nel petto, come se da un momento all’altro dovesse fare un infarto per aver corso la maratona senza aversi allenato.
«Dammi un buon motivo per non bagnarti», sussurrò poi ancora con quel sorriso illuminato appena dai raggi della luna.
«Se ci provi, giuro che mi vendicherò. Non mi sfidare, ho parecchie conoscenze», rispose con le gambe che tremavano. Non era vero, non era capace di vendicarsi e non conosceva praticamente nessuno, ma poco importava. In fondo il pakistano mica sapeva chi era o che cosa era capace di fare. Si erano incontrati per la prima volta qualche ora prima e, a meno che non avesse dei superpoteri di cui non era a conoscenza, poteva filare tutto liscio.
«Stai mentendo, ma tranquilla, giuro che non ti bagno, non adesso almeno», le disse lui lasciandola letteralmente di stucco nello sentire la prima parte della frase.
Okay, le sue amiche le dicevano sempre che era un libro aperto ma adesso ci si mettevano anche gli sconosciuti a capire che non sapeva dire le bugie nemmeno sotto la luna?
Si voltò per tornare a riva, attenta che lui non ricominciasse, ma questo invece restò di parola e la seguì.
Si stritolò la maglia cercando di far scendere tutta l’acqua e lui fece lo stesso con la sua.
«Non ti immaginavo così vendicativa», ridacchiò qualche secondo dopo mentre cercava di risistemarsi il ciuffo.
«In che senso?», chiese mentre controllava che il cellulare funzionasse ancora.
«Nel senso che sembravi tanto tranquilla e timida e invece…», rispose lui lasciando la frase in sospeso.
«E invece?», ripeté lei.
«Invece ho provato sulla mia pelle che anche tu hai il tuo caratterino», confessò lui con una punta di imbarazzo mascherata con delle piccole risate.
«Scusami, ma hai cominciato tu e hai fatto una delle peggiori cose che potessi farmi», disse arrossendo sotto il suo complimento. Lo potevo considerare tale, no?
«Bagnarti?», chiese lui mezzo sorpreso e mezzo divertito.
«Già, una cosa che odio», sussurrò mentre ricominciarono a camminare lungo la riva.
«E scusa, ma come fai con il mare?»
«Quello è diverso, ci vado consapevolmente e poi puoi contarli sulle dita di una mano i bagni che farò io in questa settimana», rispose sorridendo.
Lo lasciò sorpreso perché lo vide con la coda dell’occhio che cominciava a scrutarla un’altra volta. Sentirsi osservata l’aveva sempre messa in imbarazzo e lo faceva ancora adesso, ma essere studiata da lui… Non sapeva, la metteva allo stesso tempo tranquilla e felice.
L’influenza che aveva su di lei quel ragazzo era davvero strana.
Restarono per qualche secondo in silenzio mentre lui continuava a guardarla.
«Ti farò vedere la bellezza di fare i bagni al mare», le sussurrò poco dopo.
«Cosa?», chiese sbalordita.
«Ti farò ricredere. In questa settimana farai più bagni di quanti tu non ne abbia mai fatti, è una promessa», le disse lui facendole letteralmente andare a fuoco le guance.
«Okay», sussurrò senza sapere cos’altro dire.
Lui posò il suo sguardo su un punto indefinito davanti a lui e lei si voltò per vedere i suoi lineamenti perfetti che brillavano sotto la luce della luna. Era spettacolare, non aveva mai visto nessuno di più bello.
«Come... Come mai sei interessato a me? Cioè, voglio dire, non che ti piaccia perché è una cosa assolutamente impossibile, ma perché prima ti sei messo a chiacchierare con me e poi mi hai chiesto di fare un giro qui intorno?», gli chiese ad un tratto rompendo il silenzio che si era creato.
Lui voltò la testa verso di lei e cominciò a leggerla dentro mentre lei si lasciava trapassare da quelle sfere così scure. Era una sensazione indescrivibile quella che stava provando, mai sentita prima di allora.
«Quando lo scoprirò sarai la prima a saperlo», le rispose.
Le sue parole le entrarono nella testa e cominciarono a girare vorticosamente. Tutto si sarebbe aspettata, tranne che quella risposta. Quel ragazzo era un mistero, davvero, più tempo ci stava assieme e più le domande su di lui aumentavano. Non sapeva cosa le stava succedendo, non riusciva veramente a capirlo; quella sera era uscita da sola per trovare delle soluzioni, ma il suo arrivo inaspettato non aveva fatto altro che incrementare i suoi dubbi.
Chi era veramente Zayn?
Cosa voleva da lei?
Perché un ragazzo come lui si era avvicinato ad una come lei?
Queste e altre milioni di domande le frullavano per la mente, pronte per essere poste ma non lo fece, si limitò soltanto a continuare a fissarlo. Ormai era diventato una specie di droga per lei. Guardò i suoi lineamenti, i suoi occhi che brillavano nel buio, il suo naso e la fronte, ora mezza coperta da quel ciuffo di capelli, la barba appena accennata che lo rendeva ancora più bello.
Guardò il corpo muscoloso, la maglietta aderente ancora bagnata e la pelle ambrata. Tutto di lui era tremendamente, maledettamente e stupendamente perfetto.
Senza accorgersene avevano preso la strada che portava al suo residence e dopo aver constatato che ora fosse fu costretta a rompere quel silenzio.
«Ehm, adesso io dovrei rientrare», mugugnò osservandolo.
Lui la trapassò con gli occhi facendole scendere un brivido sulla schiena. Restò qualche secondo così, come se volesse accertarsi che dicessi la verità, poi distolse lo sguardo e annuì.
«Sì, anch’io», sussurrò piano guardando dritto davanti a sé con un’espressione tesa e dura.
Quel cambio di umore la lasciò molto sconcertata, non riusciva veramente a capirne il motivo.
Prima che potesse proferire un suono si voltò verso di lei, le sorrise in un modo che la stese completamente e la salutò.
«Ci vediamo. Buonanotte Nicky», le disse facendole l’occhiolino prima di sparire dietro l’angolo, immerso nell’oscurità e nel caos della sera.
Rimase lì, imbambolata per alcuni minuti, ancora traumatizzata. In senso positivo.
Ripensò ai vari momenti di quella sera, da quando era arrivato alla loro chiacchierata, dal bagno con l’acqua del mare ai vari momenti di silenzio per nulla pesante fino ad arrivare al suo saluto.
Le aveva dato un soprannome, in pochi lo avevano fatto e le piaceva anche. Quando l’aveva pronunciato il suo cuore aveva cominciato ad andare ad una velocità folle, avrebbe potuto benissimo stare dietro ad un treno di ultima generazione.
Non sapeva cosa le stava facendo quel ragazzo, non sapeva cosa stava succedendo dentro di lei però di una cosa era sicura: non era come gli altri e, sebbene lo conoscesse da poco, poteva dire che era una brava persona.
Intanto i dubbi e le domande crescevano sempre di più, ma pazienza. Voleva indagare su di lui e capire meglio se stessa. Stargli vicino era l’unica soluzione possibile. Sempre che lui lo avesse voluto.
Entrò nel residence e salì le scale fino al suo appartamento, bussò piano alla porta e trovò la madre alzata ad aspettarla. Dopo una mini ramanzina sul ritardo andò a cambiarsi e a farsi una doccia per togliersi di dosso l’acqua salmastra del mare. La sorella e suo padre dormivano già così fu costretta a coricarsi anche lei, ancora però con milioni di domande che lei frullavano in mente e una sola certezza: voleva rivedere Zayn.



Angolo Autrice:
*Spunta da sotto il tavolo con una piccola bandierina bianca*
Scusatemi.
Questo è tutto quello che vi dico.
Scusatemi davvero, non era mia intenzione infrangere la mia promessa di postare ogni settimana già al secondo capitolo ma vedete… Ci sono state delle complicazioni più grandi di me.
Due giorni prima di quello che doveva essere il nuovo aggiornamento il mio carissimo computer ha deciso di passare a miglior vita; in poche parole, se n’è andato. Dopo ben sette lunghi anni di amorevole convivenza, lui se n’è andato.
*un minuto di silenzio per lui*
Così sono dovuta rimanere senza la mia ragione per più di un mese D:
Credevo di morire D:
E adesso rieccomi qui, pronta per continuare questa storia, sperando nel vostro appoggio:)
Cercherò di aggiornare nel minor tempo possibile, quattro o cinque giorni, una settimana al massimo, promesso:)
Grazie mille se siete arrivate fino a qui, grazie mille di cuore:)
Se volete e se vi fa piacere, lasciatemi una recensione:) Due paroline, positive o negative che siano, mi bastano, sapere la vostra opinione per me conta moltissimo:)
Okay, adesso me ne vado definitivamente:)
Grazie ancora,
Another_Life
xoxo

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


88

Change My Mind

Capitolo 3

I raggi del sole la accecarono completamente, costringendola a voltarsi dall’altra parte. Era distesa nuovamente sullo sdraio, mezza addormentata dopo un piccolo pisolino con le immancabili cuffie alle orecchie. Già, non era normale svegliarsi alle sette e mezza di mattina per andare in spiaggia per “assorbire l’aria fresca”. Infatti i suoi genitori non erano normali, ecco perché lo avevano fatto. Ma si chiedeva: erano in vacanza, no? Quindi perché non poteva dormire? 
Niente, con quei due non avrebbe mai trovato ragione quindi lasciò perdere dal principio. Si era preparata velocemente indossando il primo costume che aveva trovato, la canottiera rosa chiaro e gli shorts blu in felpa. Era scesa a fare colazione e la sua ordinazione l’aveva data sua madre: non era ancora in grado di parlare. Aveva rischiato perfino di prendere sonno sul tavolino, ma poi era arrivato quel cavolo di cameriere a rovinare tutti i suoi piani. Maledizione. 
La musica le trapassava i timpani da più di un’ora e continuava a canticchiare le parole mentre era nel dormiveglia. Sentiva in lontananza le voci dei turisti che arrivavano in spiaggia: alcuni parlavano tedesco, altri francese e altri ancora inglese. Le era sempre piaciuto ascoltare le conversazioni delle persone straniere, era sempre stata affascinata dalle lingue estere, motivo per cui avevo appena finito il primo anno del liceo linguistico. Non era stata una scelta molto pensata, diciamo che l’aveva presa molto alla leggera ma ormai c’era troppo dentro e doveva assumersi la responsabilità della sua decisione. Non che se ne fosse pentita, anzi, diciamo solo che era un mondo completamente diverso da quello a cui era abituata, ecco tutto. 
L’urlo di sua sorella la riportò alla realtà. Cavolo l’aveva svegliata completamente, addio sonno allora. Quella notte non aveva dormito molto. E di chi era stata la colpa? Di un maledetto ragazzo conosciuto nemmeno qualche ora prima, che in poco tempo l'aveva letteralmente stravolta. Le sue barriere, la sua razionalità, la sua ragione, tutto quello che aveva costruito con fatica negli ultimi mesi lui lo aveva abbattuto senza il minimo sforzo. Quel ragazzo che ai suoi occhi era apparso perfetto le aveva fatto … Cosa? Non le aveva fatto niente, punto. 
Nicole, adesso smettila di pensare a quel Zayn, toglietelo dalla testa e concentrati su altro. Questa è la tua vacanza, dannazione, goditela e basta. 
Eppure, per quanto si potesse sforzare, ogni volta che chiudeva gli occhi lui era lì, le appariva con quel suo sorriso meraviglioso che la stendeva sempre. Lui era entrato nella sua vita, non ci poteva fare niente, non riusciva a negarlo. 
Basta, adesso la devi smettere, capito?! 
La voce della sua coscienza aveva preso di nuovo il sopravvento, così fu costretta a ritornare a concentrarsi sulle note di una delle tante canzoni d’amore. 
E di nuovo Zayn spuntò nella sua testa. 

«Ehilà», sentì dire appenam ma era ancora mezza addormentata, sarà stato qualche turista, pensò. 
«Nicole?», insistette la voce familiare poggiandole la mano sulla spalla nuda e scuotendola leggermente. 
Il suo tocco la fece sussultare lievemente a causa di una scarica elettrica che le attraversò il corpo. E adesso chi cavolo era? Voltò la testa di lato coprendosi dai raggi del sole e abituando gli occhi a tutto quella luce. Una figura scura si stanziava di fronte a lei con la pelle abbronzata e un costume che arrivava sopra il ginocchio, sulle tonalità dell’azzurro. Quando mise bene a fuoco tutto per poco non le prese un infarto. 
Oh cazzo. 
Merda, merda, merda. 
Non poteva essere vero, ci doveva per forza essere uno sbaglio, no, no, no! 
«Ti ho svegliata?», le chiese in modo dolce facendo sbollire tutta la rabbia che si era presa il controllo di lei. Dannazione a lui e al suo effetto collaterale su di lei. 
«Zayn?», lo chiamò per essere sicura di non stare dormendo. 
«Sì, sono io. Ti senti bene?», le fece lui assumendo una strana aria preoccupata e trapassandola con quelle sfere scure e impenetrabili. 
«Sì, sì, tutto okay», rispose ancora con la voce impastata dal sonno. 
«Dove sono i miei?», chiese qualche secondo dopo notando gli altri due sdrai vuoti. 
«Oh, credo siano andati a conoscere i miei, così ho approfittato del momento», sussurrò lui sorridendo in modo troppo furbo. 
«Che vuoi dire?», gli chiese mettendosi a sedere e stoppando la play list del cellulare. 
Lui non rispose subito, si limitò a fissarla per un momento e poi a spostare il suo sguardo serio sul mare. Osservò di nuovo i suoi lineamenti perfetti, molto più evidenti alla luce del sole. Era meglio di un dio greco, su questo non si poteva discutere. Meglio di tutti gli attori hollywoodiani. Meglio di… Okay, poteva bastare. 
Datti una controllata Nicole, cavolo, cerca di mantenere un certo contegno. 
Contegno? E come si faceva a contenersi davanti all’ottava meraviglia del mondo? 
Okay, basta davvero ora. 
Lui era ritto davanti a lei, in tutta la sua maledetta perfezione e per di più era a petto nudo. Solo allora lo notò e non poté fare a meno di arrossire violentemente. Osservò i due tatuaggi che vedeva per la prima volta sulla parte superiore del torace, probabilmente scritti in arabo, e poi il simbolo dello yin e yang che gli aveva notato la sera prima sul polso sinistro. 
Era impressionante come un sedicenne avesse già tre tatuaggi, non ne era assolutamente abituata. Doveva ammettere che l’avevano sempre affascinata, ma se adesso avesse chiesto ai suoi di poter farsene uno glielo avrebbero vietato categoricamente. 
Continuò a fissarlo, incanta dal quel corpo senza alcun difetto, con gli addominali ben scolpiti e la pelle ambrata, fino a quando lui non si voltò verso di lei sorridendole. 
Il cuore continuò a battere impetuoso, sembrava peggio di una tempesta, e il fiato si fece sempre più corto. 
«Ti va di andare a fare una partita a pallavolo?», le chiese cogliendola alla sprovvista. 
«Ehm, ecco io...», balbettò, incapace di pensare mentre i suoi occhi la trapassavano da una parte all’altra. 
«Dai, ti prego, almeno così ti presento i miei amici», la pregò lui accovacciandosi per arrivare alla sua altezza. 
Lo studiò per bene mentre il suo sguardo la divorava letteralmente facendola avvampare. 
«Okay», sussurrò timidamente. 
Il moro fece un sorriso a trentadue denti e le prese la mano tirandola in piedi. 
«Zayn aspetta, avverto i miei e poi arrivo», gli disse sorridendo. 
Lui annuì e le fece segno che la aspettava lì. Il cuore le batteva all’impazzata mentre si incamminò verso l’ombrellone che le aveva indicato, il fiato era praticamente sparito e la mente era annebbiata. Non riusciva a pensare a nient’altro che non fosse Zayn, al suo sorriso, al suo corpo, ai suoi tatuaggi, ai suoi addominali, alla dolcezza con cui le aveva parlato, decisamente in contrasto con quello che sembrava all’esterno, un duro, un bullo, il classico bad boy. 
«Oh, finalmente ti sei svegliata!», esclamò suo padre riportandola alla realtà. 
Era arrivata all’ombrellone senza nemmeno accorgersene e improvvisamente si dimenticò il motivo per cui era lì. 
«Lei è la maggiore, Nicole», disse la madre alla coppia davanti a loro, una giovane donna molto bella che aveva qualcosa di molto simile a Zayn, e un uomo con la pelle ambrata e i lineamenti marcati, sembrava quasi che venisse dai paesi dell’est. 
«Nicole, loro sono Triscia e Yaser, i genitori di Safaa», le spiegò la madre. 
Strinse le mani ad entrambi, che le sorridevano in un modo alquanto familiare, ma non era in grado di pensare ad altro. Zayn continuava a governare i suoi pensieri, anche se inconsciamente. 
«Stai bene?», le chiese suo padre preoccupato. 
Non osava neanche immaginare la sua faccia, anche perché arrossì di colpo e ancora non si ricordava perché era lì. Balbettò qualcosa di incomprensibile anche per lei e poi finalmente riprese in parte il controllo di se stessa. 
«Loro hanno anche un figlio che ha un anno in più di te», le disse sua madre. 
«Sì, si chiama Zayn, non so se vi siete già incontrati», continuò Triscia.
Zayn… 
Oh cazzo! 
Quel Zayn! 
Le sue guance diventarono di fuoco mentre tutti e quattro la guardavano curiosi e preoccupati. Merda, è il fratello di Safaa, giusto, come aveva fatto a non pensarci prima?! 
«Ehm, no, non credo», farfugliò sottovoce. 
La coppia di genitori le sorrise in modo sincero, soprattutto la donna, che aveva un’aria davvero gentile e premurosa, ed era alquanto bella. Ecco da chi aveva preso il figlio. 
«Ehm, mamma, ti volevo chiedere, posso andare a giocare a pallavolo con la mia compagna di classe? Sai, quella di cui ti ho parlato ieri», le disse speranzosa. 
«Oh, sì, sì, certo», le rispose lei. 
Perfetto. Dopo aver salutato Triscia e Yaser ed aver annuito alle solite raccomandazioni dei suoi ritornò al suo ombrellone dove il moro la aspettava seduto sul suo sdraio. Mmh, avrebbe avuto addosso il suo profumo anche quando non ci sarebbe stato… 
Nicole, ma che cazzo dici?! Un po’ di contegno, dai… 
«Finalmente», la accolse lui alzandosi e facendo uno dei suoi stupendi sorrisi. 
«Ho conosciuto i tuoi genitori», gli disse mentre si incamminavano. 
«Cosa?», le chiese lui sbalordito girandosi a guardarla. Era davvero scioccato. 
«I miei me li hanno presentati», spiegò sorridendo della sua espressione. 
Lui si rilassò leggermente ma lei sentì un lieve sussurro, forse un’imprecazione in arabo. 
«Dimmi che non sono venuti fuori discorsi su di me», la pregò fissandola. 
«Mmh, a dire il vero sì», rispose ridacchiando della sua espressione basita e del suo improvviso cambiamento di carnagione: da ambrata la sua pelle era diventata bianca. 
«Tranquillo, mi hanno solamente chiesto se ti avevo visto in giro», lo rassicurò e lui tornò normale con un sospiro. 
«E io ho risposto di no», concluse abbassando lo sguardo. 
Non sapeva perché lo aveva fatto, non sapeva perché aveva mentito, ma sentiva che era stata la cosa giusta da fare, almeno per ora. 
«Perché?», le chiese lui evidentemente sorpreso, cercando il suo sguardo che però teneva fisso sulla sabbia sotto i suoi piedi. 
«Sono molto introversa se non l’hai notato e i miei sono convinti che adesso sia con una mia compagna di classe che ho ritrovato qui, così come ieri sera», spiegò a bassa voce. 
Si sentiva una stupida, sì, una vera deficiente. Chissà cosa avrebbe pensato ora lui di lei, che era la solita ragazzina frignona, ovvio. Ma invece non era così, no, lei era semplicemente … 
«Okay, quindi deduco che quando ci incontreremo con loro dovremmo fare finta che sia la prima volta anche per noi, no?», le chiese sorridendo interrompendo il suo monologo interiore e lasciandola letteralmente di sasso. 
Alzò gli occhi per farsi trapassare dai suoi così scuri, rassicuranti e trapassanti contemporaneamente. Adesso le stava leggendo dentro, la stava studiando come già tante volte aveva fatto in quel poco tempo che erano stati assieme. E ancora una volta la sensazione che la pervase non fu solo semplice imbarazzo, ma anche uno strano piacere… 
Ricambiò il sorriso che le stava facendo e poi distolse lo sguardo, anche se malvolentieri; fosse stato per lei sarebbe rimasta ore e ore a lasciarsi invadere da quelle piccole sfere magnetiche, ma non era il caso, no, decisamente no. 
«Allora, li hai conosciuti qui questi tuoi amici?», gli chiese dopo qualche momento di silenzio, così per iniziare un discorso. 
«Sinceramente no, non so nemmeno chi siano», le rispose lui dopo qualche secondo, passandosi una mano tra i capelli, lievemente imbarazzato. 
«Stai scherzando spero?», esclamò scioccata. 
Non era mai stata una ragazza socievole, una di quelle che quando tornavano dalle vacanze avevano una miriade di nuove conoscenze. No, quelle erano le sue amiche, lei si limitava a starsene sulle sue, da sola, con la sua inseparabile musica. Motivo in più per essere stupita del fatto che stava andando in giro con un ragazzo conosciuto nemmeno ventiquattro ore prima. Questa settimana sarebbe stata indimenticabile, non sapeva per certo se in senso positivo o negativo, ma si sarebbe sicuramente stampata sulla sua testa senza lasciarla mai più. 
«Perché scusa? Non ti va di incontrare nuova gente?», le chiese con un sorriso gentile e sincero stampato sulle labbra. 
Abbassò lo sguardo tornando a fissare le sue infradito azzurre. Si vergognava, ecco tutto. Era troppo timida, lo sapeva, ma non ci poteva fare niente, era il suo carattere e non poteva cambiarlo. 
Sentiva i suoi occhi addosso, la stava leggendo un’altra volta. Sebbene non si stesse immergendo nei suoi riusciva lo stesso a studiare le sue iridi, quelle che dicono siano lo specchio dell’anima. Non sapeva se su di lei era davvero così, fatto sta che quel ragazzo riusciva a capire tutto quello che provava, o almeno gran parte. Nessuno c’era mai riuscito, era sempre stata molto chiusa e le volte in cui si sfogava a voce erano rare, non sapeva ancora come lui ci fosse riuscito; forse aveva il potere di Edward Cullen, o magari era solo un ottimo osservatore. 
«Tranquilla, ci sono io con te», le sussurrò prima di metterle un braccio attorno alle spalle. 
Il suo tocco la fece avvampare in un modo impressionante, sembrava un fuoco a cui c’era appena stata aggiunto del liquido per farlo incrementare. Sgranò gli occhi mentre il caldo si faceva strada dentro di lei e lui ridacchiò della sua espressione. 
Continuarono a camminare così, sotto gli sguardi indiscreti dei vari turisti che li fissavano, alcuni sorridendo e altri facendo qualche smorfia, fino ad arrivare davanti a un campo di beach volley con due ragazzi che stavano facendo dei tiri. 
«Ehilà», urlò il moro di fianco a lei attirando l’attenzione degli altri. Questi si girarono verso di loro con un’espressione sorpresa e quando cominciarono a scrutarli lei avvampò di colpo e abbassò lo sguardo. 
«Sì?», chiese un ragazzo con i capelli castani, gli occhi chiari, azzurri forse, e un sorriso amichevole stampato sulle labbra. 
«Possiamo unirci a voi?», chiese il pakistano in totale tranquillità. 
Socializzare per lei era una dura prova e poi arrivava questo che lo faceva così… normalmente? 
I due ragazzi si avvicinano a loro con la palla in mano e uno strana curiosità dipinta sul volto. 
«Io sono Zayn e lei è Nicole», li presentò il moro mentre lei cercava di sorridere per mascherare l’imbarazzo. 
«Io sono Louis», si presentò quello che aveva risposto prima. Lei gli strinse la mano e un leggero brivido la percosse, ma non fu come quelli del pakistano. Appena lo sfiorò sentì subito il calore della sua pelle e il suo sorriso contagioso la tranquillizzò. Era davvero un bel ragazzo, con il fisico asciutto, gli addominali scolpiti e uno strano costume a righe blu e bianche. 
«E io sono Liam», continuò il secondo sorridendole gentilmente. La sua stretta era forte e delicata contemporaneamente, aveva i capelli di un biondo scuro, dritti e con il ciuffo a destra, e gli occhi color nocciola che sprizzavano allegria. Anche lui le infuse una strana sensazione di calma e fiducia e a prima vista poteva dire che sembrava un bravo ragazzo. 
«Perfetto, ci servivano proprio dei giocatori in più, da solo era abbastanza noioso», ridacchiò il primo beccandosi un’occhiataccia offesa dal suo amico e facendo sparire la paura che aveva provato lei fino a poco prima. 
«Okay, allora vi va bene se facciamo noi due contro voi due?», chiese Liam e tutti annuirono. 
Lei si avvicinò alla sua postazione con Zayn alla sua destra e un suo sorriso la fece andare letteralmente all’altro mondo. Dio quanto era bello, perfetto avrebbe osato dire, ma anche quei due non erano tanto male ed avevano entrambi un fisico niente male. In più sembravano con la testa a posto, cosa occorreva ancora? 
«Aspetta, non ti ho nemmeno chiesto se sapevi giocare», le disse il moro facendo un’espressione dispiaciuta. 
«E’ il mio sport preferito e me la cavo abbastanza bene», le rispose sorridendo vedendolo ritornare allegro. Era proprio come un bambino… E che bambino! 
«Okay, si comincia!», urlò Louis prima di fare la battuta. 
La palla arrivò al moro che la prese in bagher e la rilanciò di là, segnando il primo punto dopo aver colto il ragazzo con il costume a righe di sorpresa. Zayn rise e le si avvicinò per darle il cinque con le mani; inutile dire che appena si sfiorarono una scarica elettrica la attraversò completamente e dalla sua espressione un po’ stupita forse l’aveva provata anche lui. 
Il pakistano rilanciò la palla che questa volta arrivò a Liam e la lanciò alla ragazza; lei la prese in palleggio alzandola al suo compagno di squadra, il quele fece una schiacciata segnando un altro punto e dandole di nuovo il cinque con la mano. 
«Non scherzano mica», commentò Liam sorridendo. 
Lei arrossì sotto lo sguardo del tipo e successivamente sotto il sorriso del moro, e per calmarsi andò a battere. Ringraziando il cielo riuscì a farla giusta e così proseguirono la partita per la successiva mezz’ora. 
«Okay, io voglio la ragazza», urlò alla fine Louis avvicinandosi a lei dopo che il suo amico aveva proposto di cambiare le squadre. 
Lei lo guardò con un misto di commozione, felicità e sorpresa: nessuno l’aveva mai “voluta” in questo modo e adesso spuntava un ragazzo appena conosciuto che glielo diceva! Lo aveva intuito dall’inizio che dovevano essere delle persone speciali e il suo istinto non aveva sbagliato nemmeno questa volta. 
Annuì timidamente e quello le corse incontro stritolandola in un abbraccio che lei non riuscì a ricambiare; quel gesto improvviso l’aveva lasciata di stucco, mai avrebbe immaginato una cosa simile. Si voltò verso il moro e il suo sguardo serio, ma appena i loro occhi si incrociarono la sua espressione mutò in un sorriso che le sembrò leggermente sforzato. 
«Abituatici, Louis è fatto così», le disse Liam ridacchiando. 
«Okay, cominciamo?», chiese lei e tutti annuirono felici. 
Nella seconda partita riuscì a sciogliersi di più e a fare dei bei tiri con i quali aveva segnato qualche punto, ma la bravura degli avversari era notevole ed infatti vinsero sebbene il suo compagno di squadra continuava a ripetere che era stata solo fortuna. 
La mattinata passò velocemente: scoprirono che Liam aveva la stessa età di Zayn mentre l’altro aveva due anni in più di loro ed era il cugino del primo. Entrambi erano qui da soli e alloggiavano nell’appartamento del loro nonno, poco lontano dal residence della ragazza. Louis aveva una strana fissa per le carote, le amava alla follia, mentre l’altro aveva il terrore dei cucchiai. Restò basita e incredula a questa rivelazione, così come il moro, ma non fece domande; sapeva cosa voleva dire essere presi in giro per qualcosa di tuo che non puoi cambiare, così si limitò a sorridergli ed alzare le spalle come a dire “vabbè, non importa”. 
Erano inoltre entrambi single - e non poteva non ammettere la felicità che le provocò questa notizia - e cercavano una ragazza che li facesse ridere e divertire e che non fosse troppo appariscente. 
«Come mai ridi?», le chiese Liam notando la sua euforia. 
«Soltanto perché ho delle amiche interessanti che magari potrei farvi conoscere», rispose lei facendo l’indifferente. 
«Sul serio?», le domandò Louis con gli occhi che brillavano. 
Annuì sorridendo e questi scoppiarono in un' euforia assoluta. 
«E quando ce le presenti?», continuò quello con il costume a righe. 
«Appena venite a trovarmi», rispose allegra. 
«Okay, tu quando te ne vai?», le chiese Liam. 
«Ehm, sabato», disse leggermente confusa. 
«Okay, che ne dici se ci troviamo domenica?», continuò Lou. 
Lo guardò stupita da quella proposta mentre lui sorrideva tranquillo, con gli occhi da cucciolo che mettevano sempre più in evidenza quelle pozze azzurre così tenere. 
«Ehm, okay, provo a chiedere e poi vi faccio sapere», rispose ancora spaesata. 
Il ragazzo-carota cominciò ad urlare dalla felicità e le saltò letteralmente addosso, stritolandola in uno dei suoi favolosi abbracci e alzandola perfino da terra. Rimase di nuovo pietrificata da quel gesto e sorrise come un’ebete lasciando che delle scariche elettriche le attraversassero il corpo facendole provare degli stani brividi di freddo - premettendo che ci saranno stati come minimo trentacinque gradi. 
Quando Louis la lasciò gli altri scoppiarono in una fragorosa risata; si sentiva le guance in fiamme e dentro di lei si stava creando un fuoco incandescente sempre più grande; ora aveva un caldo boia. 
«Tuo cugino è veramente strano, lo sai?», chiese retorica a Liam che continuò a ridere. 
Spostò lo sguardo su Zayn e, sebbene cercasse di non darlo a vedere, vide i suoi occhi leggermente più scuri del solito, con una strana punta di rabbia forse. Scosse la testa per mandare via quei brutti pensieri che la assillavano e salutò i ragazzi; era quasi ora di pranzo e i suoi sarebbero venuti a cercarla a minuti, quindi decise di precederli e si dette appuntamento con quei tre per quel pomeriggio. Sentì i loro sguardi addosso ma quello di uno in particolare. 
Perché continuava a pensare al moro? 
Perché ogni volta che si allontanava da lui sentiva una strana fitta allo stomaco? 
Perché quando era con lui la strana sensazione di vuoto spariva? 
Tutte domande a cui non riusciva a dare una risposta. 
Si voltò un’ultima volta e vide Zayn sorriderle in un modo che la stese completamente. 



Angolo Autrice: 
Eccomi qui, come promesso! 
Adesso che ho ripreso in mano il mio nuovo e adorato computer comincerò ad intasare tempestivamente il fandom con i miei aggiornamenti! :D 
Abbiate pietà di me xD 
Sto delirando, lo so, ma capitemi: sono in un periodaccio per colpa della scuola e l’unica cosa che mi fa stare meglio è scrivere, postare i miei sfoghi sperando che piacciano a qualcuno e piangere come un’ebete leggendo le vostre recensioni xD 
Sono un caso perso, lo so xD 
Tralasciando questo, ringrazio infinitamente tutte le ragazze che hanno recensito gli scorsi capitoli, che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate e quelle che leggono silenziosamente: siete fantastiche :D <3 
Tornando al capitolo, finalmente entrano i segna altre due delle cinque carote, Liam e Louis – il quale avrà un ruolo mooolto importante in questa fan fiction xD 
Okay, okay, non vi dico altro xD 
Il rapporto tra Nicole e Zayn sta crescendo sempre di più e fra poco riusciremo a capire anche che cosa passa per la mente del nostro bel tenebroso xD 
Che dire ancora? Spero il capitolo vi sia piaciuto e spero che vogliate lasciarmi una – anche piccolissima – recensione :) Davvero, mi bastano anche due paroline per sapere il vostro parere, e non potete immaginare quanto questo sia importante per me :) 
Okay, adesso me ne vado e vi lascio in pace :D 
Un bacione a tutte, 
Another_Life 
xoxo :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


88

Change My Mind

Capitolo 4


«Mamma, tranquilla», le ripeté per la decima volta in pochi secondi. 
Sua madre era fatta così, migliaia di raccomandazioni se le diceva che usciva, una cosa forse normale per qualcuno e molto strana per altri. 
«Sì, sì, non ti preoccupare, ora vado che sono già in ritardo», la liquidò chiudendosi la porta alle spalle. 
Finalmente silenzio. Fece un respiro profondo e poi scese le scale lentamente, salutò la segretaria ed uscì all’aria aperta. Il caldo si fece subito sentire, l’afa era insopportabile e per le strade non c’era anima viva; e ti credo, chi andava in giro alle due e mezza del pomeriggio con trentadue gradi fuori? Ovviamente solo lei poteva farlo. No aspettate, non era l’unica, c’erano anche quegli altri tre che avevano organizzato tutto senza permetterle di obbiettare. 
Prese il viale che portava alla spiaggia e dopo qualche minuto i suoi piedi sentirono la sabbia scottante infilarsi nelle infradito; il contatto la fece rabbrividire e trattene le maledizioni che, dentro di sé, delle strane voci stavano urlando contro quei tipi, contro quella vacanza e contro il mondo intero. 
Arrivò poco dopo al bar in cui ci doveva essere l’incontro e ci trovò i tre ragazzi seduti ad un tavolo intenti a confabulare fittamente. 
«Ehilà», la salutò Louis con il suo immancabile sorriso. 
Gli occhi azzurri di quel ragazzo erano ancora più splendenti e i capelli spettinati gli incorniciavano il viso allegro; non riuscì a trattenere un mezzo sorriso appena lo vide con una t-shirt a righe, credeva fosse la sua passione. 
Prese posto sulla sedia libera e loro smisero immediatamente di parlare, rivolgendole un sorriso che era tutto tranne che innocente. Quello del moro, soprattutto, era troppo furbo per i suoi gusti. 
Lanciò un’occhiata sospettosa a tutti e tre ma questi non sbatterono ciglio; decise così di lasciar perdere e si limitò a sospirare. 
«Spero abbiate un buon motivo per avermi fatto uscire a quest’ora e con questo caldo», disse sorridendo fissandoli uno ad uno. 
«Perché? Avevi di meglio da fare?», le chiese Liam con il solito tono gentile. 
«Mah, un po’ di compiti forse», mugugnò sperando che non la sentissero, vergognandosi subito di quello che aveva detto. 
«Stai scherzando spero?», esclamò Louis sconvolto ma con l’immancabile ghigno che inteneriva sempre. 
«Non è colpa mia se i prof mi ci hanno riempito, neanche fossimo nove mesi senza più l’obbligo di andare a scuola», farfugliò assumendo l’aria da innocente. 
«Adotta il metodo Tommo e sarà tutto più facile», le rispose lui allegro e spensierato. 
«E quale sarebbe?», gli chiese sorridendo della sua espressione. 
Lui le puntò i suoi occhi azzurri come il mare addosso e questo la prese un po’ alla sprovvista, ma non si lasciò incantare e cercò di tenere testa al suo sguardo. 
Restarono così per circa dieci secondi, nessuno dei due voleva mollare la presa sebbene questo volesse dire ricevere delle occhiate poco educate da alcuni passanti, che poi borbottavano tra loro in quello che non era di certo italiano. Riusciva a vedere di striscio Zayn che li stava osservando con le sfere più scure di poco prima e la mascella serrata; sentiva i suoi occhi addosso e non poteva fare a meno di sentirsi nuda sotto di essi, nonostante indossasse il costume e sopra la canottiera grigia con un paio di pantaloncini in felpa blu. 
Perché la continuava a scrutare, facendo sembrare che la riuscisse a leggere dentro? 
«Semplice», rispose Lou riportandola alla realtà anche se entrambi non avevano smesso di guardarsi. 
«Non farli», finì con un sorriso furbo stampato sulle labbra. 
«Certo, così parto male con il nuovo anno, poi vengo segata, mio padre mi trucida e poi mi spedisce in convento a fare la suora di clausura», scherzò cercando di trattenersi seria, ma nonostante tutto cedette dopo qualche secondo seguendo i ragazzi in una fragorosa risata. 
«Scommetto che sei la più secchiona della classe», le disse Louis dopo qualche minuto. 
«Figurati, quella si ammazza di studio ore e ore e ore e ancora ore tutti i santi giorni. Preferirei morire», rispose lasciando il ragazzo a righe e Liam di stucco, mentre Zayn continuava a trafiggerla con lo sguardo. Cercava di evitare i suoi occhi, erano una trappola mortale, quando li incrociava e ci finiva dentro non riusciva più a tornare in sé. 
«Scusa eh, ma che cavolo di scuola fai?», le chiese il ragazzo-carota. 
«Liceo linguistico, ho finito il primo anno», rispose arrossendo sotto lo sguardo meravigliato di quei due. Sì, perché il moro, a differenza degli altri, si ricompose subito e tornò a fissarla ancora più affascinato. Neanche fosse una gustosa pizza appena uscita dal forno e lui un uomo che è stato per trenta giorni senza di essa. Sì, era una maniaca di quel piatto, non ci poteva fare niente. Era la sua droga personale, oltre a… 
Stop. Ma che minchia vai a pensare? No, dico, datti una regolata che è meglio. 
Da quando in qua la sua coscienza le parlava? Cristo santo, le sue amiche avevano ragione, stava davvero impazzendo. Aveva un urgente bisogno di una seduta spiritica e di una psicologa. 
Ripeto: urgente. 
«E hai il coraggio di dire che non sei brava a scuola?», le chiese ironico Louis ancora leggermente sconvolto. 
Non sapeva cosa ci trovava di tanto strano, in fondo era una scuola come le altre. Okay, forse più impegnativa, ma se volevi qualcosa dalla vita te lo dovevi sudare, no? 
«Non ho detto questo», puntualizzò facendo ridacchiare Liam e il moro, il quale non la smetteva di guardarla. Fra poco si sarebbe buttata sotto il tavolo per vedere se l’avrebbe seguita ancora con quei suoi maledetti occhi scuri e quel suo maledetto - ma meraviglioso - mezzo sorriso. 
Scacciò quell’assurda idea e si concentrò di nuovo su di loro. 
«Allora? Che facciamo? Non resteremo qui tutto il pomeriggio, spero», disse sorridendo qualche secondo dopo. 
«Non abbiamo detto questo», la scimmiottò ironico Lou lanciandole un’occhiatina mentre tutti si alzavamo. Lei roteò gli occhi sotto le risate degli altri due e poi sentì un braccio cingerle le spalle. 
Quel tocco, nonostante non fosse il suo - ne era certa perché lo avrebbe riconosciuto tra mille - la fece avvampare e ricambiò il sorriso del castano. Era impossibile resistere a quel gesto, tanto semplice ma anche così tanto importante, almeno per lei. Quella piccola smorfia, quel corrugamento delle labbra riusciva a trasmetterle allegria, spensieratezza, gioia; in loro quel potere si quadruplicava, soprattutto in quello del pakistano. Il suo era un sorriso puro, bellissimo, difficile da trovare e unico nel suo genere. Era il suo sorriso, suo soltanto, nessuno poteva anche solo avvicinarsi a quella perfezione. 
Okay, Nicole, qui chiama il pianeta Terra. Ci sei? No che non ci sei, quindi ritorna subito alla realtà. 
Di nuovo quella cavolo di voce; possibile che la dovesse interrompere proprio quando stava fantasticando su di lui? Cosa c’era di male? 
Okay, basta così, chiudiamo il discorso. Non le andava di litigare con se stessa. 
Scosse la testa guardando i ragazzi di fianco a lei e cercando di capire dove la stavano portando. 
«Potrei sapere dove questi gentiluomini hanno deciso di portarmi?», chiese gentile fissandoli uno ad uno. Questi si scambiarono un’occhiata d’intesa e un sorriso fin troppo complice. 
«Mi sto seriamente preoccupando», sussurrò leggermente impaurita. 
«Ottimo», le rispose Lou facendole l’occhiolino mentre ancora il suo braccio era sopra le sue spalle, roventi sia a causa di quel tocco sia per i forti raggi solari che li stavano invadendo. 
Questo rise quando notò i suoi occhi spalancati e pieni di terrore, facendole mozzare perfino il respiro. 
Okay, in che cavolo di guaio ti sei cacciata, Nicole? 
Lo sapeva lei, fare nuove conoscenze non era sempre positivo e con l’immancabile fortuna - era ironica - che la accompagnava da quando era venuta al mondo, forse andare in giro con quei tizi non era stata la scelta giusta, seppur avessero tutti l’aria dei classici bravi ragazzi. 
«Non dare ascolto a Louis», la tranquillizzò Liam con il solito tono confortante e sincero.
«E’ una sorpresa», continuò Zayn facendole l’occhiolino. 
A quel gesto il suo cuore si fermò. Davvero, non scherzava. Perse non uno, ma più battiti e come al solito non riuscì più a respirare per qualche secondo, mentre le sue guance diventavano sempre più rosse, fino a toccare le tonalità del bordeaux. La sua mente si era annebbiata completamente, incredibile come quel ragazzo riuscisse a farle un effetto del genere. Il perché, inoltre, non riusciva ancora a capirlo e passandoci più tempo assieme, invece di avvicinarsi alla soluzione, ci si allontanava in modo impressionante. Pazzesco. 
«Ho paura di voi», sussurrò poco dopo mentre continuavano a camminare sulla sabbia rovente. 
Gli altri si misero a ridacchiare mentre il ragazzo vicino a lei la strinse ancora più forte a sé e questo non poté non farla arrossire violentemente di nuovo. Era accecata, non capiva più cosa stava succedendo: nelle ultime ventiquattro ore era successo l’impensabile, mai si sarebbe aspettata una cosa simile, mai si sarebbe aspettata di trovare degli amici - perché li potevo considerare tali, vero? - così simpatici, così dannatamente belli. La loro vicinanza le dava alla testa ma riusciva ad essere felice, si sentiva in qualche modocompleta. Anche se una piccola parte di lei le diceva che non era così, o che almeno mancava ancora qualcosa. 
Non le importava, in quel momento stava bene, era allegra come non lo era da tempo e si sentiva bene, veramente. Okay, era anche imbarazzata in un certo senso ma non ci poteva fare niente, stare con loro le faceva quell'effetto, e se poi ci aggiungiamo gli sguardi freddi che Zayn le aveva lanciato quando Louis l’aveva stretta a sé … 
«Okay, adesso devi chiudere gli occhi finché non ti diciamo di riaprirli», le disse Liam scostando la sua concentrazione dai suoi pensieri. 
Lo guardò interdetta spalancando gli occhi e poi fissò anche gli altri due, uno con due pozzi azzurri e sbarazzini e l’altro con due sfere chiuse e terribilmente scure. Chissà perché ogni qual volta che si girava lo ritrovava intento a scrutarla in modo serio, per poi cambiare subito espressione e sorriderle in modo non tutto convinto. 
«Tranquilla, non ti facciamo niente», le disse il moro sorridendole, appunto. 
Non sapeva perché ma quegli occhi neri, che avevano il potere di cambiare sfumatura in tempi record, le trasmettevano fiducia e sincerità. E poi c’era Liam, sapeva benissimo - per quanto poco lo conoscesse - che lui era un ragazzo a posto, così come l’altro scemo che era l’anima di quel piccolo gruppo che si era creato soltanto qualche ora prima. 
«Okay», mugugnò socchiudendo le palpebre fino a non vedere altro che buio. 
«Bene, adesso ti prendiamo in braccio e ti portiamo nel posto che abbiamo prestabilito», le disse Liam lasciandola di stucco. Per la sorpresa si scansò dalla stretta di Louis e riaprì gli occhi, guardandoli esterrefatta. 
«Ve lo potete anche scordare. Voi non mi prendete in braccio, questo è poco ma sicuro», mise in chiaro fissandoli uno ad uno con espressione seria e decisa. 
Mossa sbagliata. Appena incrociò quelle sfere scure che tanto la tormentavano venne risucchiata da quel vortice liquido e incredibilmente irresistibile. 
Non si controllava più, non riusciva a ragionare, a mandare un segnale al cervello, a muovere un dito. Quel ragazzo aveva il potere di paralizzarla e, mentre lei era in uno strato di trance, lui la lesse dentro come un mago. Anche peggio oserei dire. 
D’un tratto - non aveva idea di quanto tempo fosse passato - lui scosse la testa guardandola come se avesse appena detto una sciocchezza, il che era impossibile perché, oltre a saperlo bene, aveva anche la gola gelata e non sarebbe riuscita ad emettere nemmeno un semplice gemito. 
Quindi la soluzione era una sola: quel ragazzo aveva davvero capito il motivo per cui non voleva essere alzata da loro e questo la spaventò, e non poco. 
Mettiamo in chiaro: non aveva le sue cose o qualche disturbo ossessivo compulsivo, o peggio ancora, qualche strano schizzo d’ira, semplicemente… Diciamo che non era proprio in forma. 
Se vi immaginate una ragazza bella, con il corpo perfetto, che si lamenta di quel chilo che invece non ha, beh allora vi sbagliate di grosso. Okay, non era un bue ma nemmeno una modella, ma quei chiletti di troppo che si trovavano sul suo corpo erano abbastanza imbarazzanti. 
«Non ci pensare nemmeno», le disse Zayn rendendola ancora più confusa. 
Non sapeva come, non sapeva perché ma lui aveva capito il suo disagio, la sua paura, e questo la sorprese, e non poco. Continuava a fissare quelle iridi color caramello che le leggevano dentro e le infondevano uno strano senso di sincerità e purezza in quel che aveva appena detto. 
«Ma…», provò a protestare. 
Non era convinta che loro potessero portarla, si vergognava, ecco tutto. Era sempre stata una tipa poco socievole, questo si era capito, e non aveva mai avuto rapporti così avvicinati con dei ragazzi, ne aveva mai avuto degli amici veri dell’altro sesso, degli amici con cui potersi confidare o con cui passare del tempo. Lo sapeva, chiamarla strana era troppo poco. 
Gli occhi del moro, così penetranti e troppo dannatamente ammalianti e convincenti, le fecero perdere di nuovo il controllo delle sue azioni e sorrise senza volerlo, mentre lui rilassava finalmente i muscoli - che erano stati contratti fino a quel momento - e gli altri due li guardavano con evidente confusione. 
«Vengo a piedi, punto», esclamò seria mentre chiudeva definitivamente gli occhi lasciando che tutto si facesse nero. 
«Ma…», provò a protestare Liam ma fu costretto a tacere dopo aver ricevuto una delle sue occhiate glaciali. 
Sentì il moro sospirare e cominciare ad incamminarsi, poi guardò il biondo di fianco a lei e lui le offrì un braccio per aggrapparsi; lo fece e chiuse gli occhi, lasciandosi condurre da lui. 
Camminarono per un po’ in silenzio, con soltanto il rumore delle onde come sottofondo, ma improvvisamente si sentì presa in braccio e quel contatto le procurò un brivido alla schiena; cominciò ad urlare a Liam di rimetterla giù, scalciando come una bambina capricciosa. Non voleva apparire così, ma lui quello non avrebbe dovuto farlo, assolutamente no. 
«Ehi, ferma, calmati», provò a dirle lui cercando di trattenere le risate. 
«Grande carota, ti stimo!», sentì esclamare da un Louis che si avvicinava correndo e ridendo come un pazzo. Odiava quei ragazzi, lo stesso odio che provavo per sua sorella, quell’odio che si sente soltanto quando si tiene veramente ad una persona. Lo sapeva, non aveva senso, ma non riusciva ad arrabbiarsi con loro, la risata del castano, il sorriso sincero del biondo e lo sguardo penetrante del moro glielo impedivano. 
«Lasciami andare, ti prego», lo implorò fermandosi sfinita. 
«Buona, siamo quasi arrivati», le rispose lui con il solito tono rassicurante e gentile. 
Per aiutare il ragazzo e non pesargli troppo appoggiò un braccio dietro il collo di questo e la vicinanza con esso non poté che non farla arrossire di nuovo. Sentiva il suo respiro addosso e le sue guance si colorarono di un rosso sempre più acceso. 
«Sei leggerissima», le sussurrò all’orecchio poco dopo, così piano che gli altri due non sentirono. O almeno è quello che lei sperò. 
Le venne l’istinto di aprire gli occhi e squadrarlo come se avesse detto la più grande cazzata della sua vita, ma si trattene per non rovinare tutto; sebbene avesse una leggera paura le piaceva l’idea che loro le avessero preparato una sorpresa. Poche persone lo avevano fatto e questo le riempiva il cuore di gioia. Okay, non sapeva ancora cosa avessero in mente quei tre ragazzi, figli della perfezione, ma si sentiva in qualche modo al sicuro. Non sapeva perché, magari per il coraggio e la fiducia che le trasmetteva Liam, o la genuina ed innocua spensieratezza di Louis, o ancora per Zayn, per le strane sensazioni che le faceva provare sia quando era che quando non era con lui. 
Quei ragazzi erano davvero un mistero e lei si fidava di loro nonostante tutto. 
«Non sai quanto vorrei poterti credere», mugugnò a quello che la stava sorreggendo, arrossendo. 
Sentì una piccola risata provenire dal biondo e poi l’imbarazzante - ma allo stesso tempo piacevole - sguardo del moro addosso. Quegli occhi scuri la stavano perforando, lo sapeva anche se non poteva constatarlo con la vista, le bastava che apparisse quel senso di impaccio e soggezione per capire che era esattamente così. 
Passarono altri cinque minuti buoni, con i suoi “ma quanto manca?” che spuntavano ogni tanto e le risposte positive di Liam e Zayn, con le risate di Louis come sottofondo. Si stava veramente preoccupando e l’ansia si stava prendendo possesso di lei. 
«Okay, ora puoi aprire gli occhi», le disse gentile il biondo poco dopo.
Alzò delicatamente le palpebre e rimase accecata dai violenti raggi del sole per qualche secondo; quando riprese il controllo di se stessa guardò le facce sorridenti dei tre ragazzi e poi quel… 
Oddio, cazzo, cazzo, cazzo. 
Voltò molto lentamente la testa verso la sua sinistra e quasi prese un infarto. 
Si strinse ancora più stretta a Liam, che la stava ancora sorreggendo, spalancando gli occhi e inchiodandoli contro gli altri due. 
«Ditemi che è uno scherzo», disse terrorizzata. 
Il castano le sorrise come al solito, ma questa volta non le infuse la stessa tranquillità, mentre il moro si limitò ad accennarne uno e a continuare a leggerle dentro. 
«Ti prego», implorò il biondo voltandosi verso di lui. 
Anche questo si stava trattenendo per non riderle in faccia e il tutto le fece aumentare l’ansia che la stava divorando a poco a poco. 
«Se esco viva da qui, giuro che vi uccido, tutti e tre», disse seria lanciando un’occhiata di fuoco ai suoi rapitori. 
«Maddai, che vuoi che ti succeda?», le chiese Louis sorridendo e avvicinandosi. 
Il suo tono spensierato non la tranquillizzava affatto, anzi. 
Okay, calma Nicole, sei solo circondata da acqua, acqua e ancora acqua e seduta su un coso di plastica che sembra sicuro ed in forma come tuo nonno sotto terra. 
«Annegare, magari. E per colpa vostra. Mi avrete sulla coscienza, dopo», disse secca con un tono un po’ troppo incrinato. 
Alzò lo sguardo notando che nessuno le aveva risposto, o rassicurato, o emesso qualunque suono. 
Alzò la testa e se ne pentì amaramente. 
Davanti a lei si trovavano due dèi assoluti, dalla maledetta perfezione: Zayn e Louis si erano tolti la t-shirt e le bermuda senza neanche che se ne accorgesse, e ora il primo le stava offrendo una mano per alzarsi. Entrambi indossavano lo stesso costume della mattina ed entrambi erano terribilmente bellissimi; la pelle ambrata del moro mista con i capelli scuri, quelle sfere che non la mollavano un secondo e il suo affascinante torace con quei due tatuaggi, tutto di lui le dava letteralmente alla testa. Si drogava di lui, anche solo guardarlo le bastava: avrebbe potuto passare giorni a fissarlo, senza avere bisogno di cibo o acqua. Era come se lui la riempisse, la completasse e queste strane sensazioni non facevano che aumentare le domande a cui non riusciva a dare mai una risposta. 
Anche Louis non era niente male: pelle abbronzata ma non troppo, fisico scolpito e sguardo sbarazzino. Chissà quante ragazze aveva ai suoi piedi, pensò osservandolo. Quei capelli sempre disordinati al punto giusto, quel sorriso così genuino, quegli occhi azzurri come il mare da sembrare quasi surreali. Anche lui era un gran bel pezzo di ragazzo, eccome. 
E poi Liam… Oddio, Liam! 
Era ancora praticamente addosso a lui, stretta al suo braccio e non se ne era resa conto. 
Mollò di scatto la presa lasciandolo finalmente libero, mormorando un molto imbarazzante “scusami”. Si voltò giusto per vederlo sorridere e alzarsi per spogliarsi. 
Rimasi abbagliata da quello splendore: i muscoli erano ben presenti e la pelle abbronzata lo rendeva ancora più carino. Quell’ammasso di capelli color grano, poi, lo rendeva davvero unico, così come quegli occhi color cioccolato così sinceri e quell’aria eternamente gentile. 
«Allora, vieni a fare il bagno o pensi di rimanertene qui?», le chiese Louis con un tono divertito. 
«La seconda», rispose lei facendo ridacchiare gli altri due. 
«Dai Nicole», la pregò il moro e lei non seppe come fece a mantenere il controllo di se stessa. Quella voce le dava alla testa e sentirla triste la faceva morire, soprattutto se era a causa sua. 
«Dai un corno, non so nuotare e non ho tutta questa confidenza con l’acqua», esclamò alzandosi e cercando di non cadere. 
Si vergognava di quello che stava dicendo, si vergognava di quella situazione e odiava con tutta se stessa quei tre stronzi che l’avevano portata fino a lì; e poi odiava se stessa per non essere stata più ragionevole e razionale. 
Passò qualche altro minuto e alla fine Liam e Louis si buttarono, cominciando a schizzarsi a vicenda. Si sentiva tremendamente in imbarazzo, il moro non la smetteva di fissarla e si era fatto anche più vicino. 
«Ti aiuto io, dai che ci divertiamo», la continuava a implorare e ad ogni suono mozzato proveniente dalla sua bocca sentiva lo stomaco contrarsi in una maniera assurda. 
«Perché non ti lasci andare? Ci sono io con te, puoi stare tranquilla», le disse poi vedendo che continuava imperterrita con la sua convinzione. 
A quelle parole alzò la testa e incontrò quelle iridi magnetiche che le fecero perdere completamente il controllo di sé. Si voltò dall’altra parte per impedirsi di fare stupidaggini, quel ragazzo aveva uno strano effetto su di lei, ne era certa per ogni minuto in più che passava con lui. 
Lo sentì sospirare e poi improvvisamente si sentì alzata da terra e presa in braccio; riconosceva quel tocco, quelle mani. Erano le sue, la stava tenendo stretta nonostante lei cercasse di liberarsi e le sorrideva con noncuranza mentre il suo corpo andava letteralmente a fuoco per colpa sua. 
Le sue proteste erano inutili perché lui si avvicinò alla sponda e dopo un secondo lei si sentì trafitta da mille aghi, rabbrividendo al gelo che le entrava nelle ossa. 
Riemerse subito dopo e sentì le grida di esaltazione di Louis e le risate di Liam in sottofondo. 
Zayn la teneva ancora stretta a sé mentre lei si stringeva a lui per paura di precipitare nelle profondità del mare. Okay, era un pensiero stupido e senza senso ma non ci poteva fare niente se quella era l’unica cosa a cui pensava il suo cervello invaso dal terrore, oltre al fatto che era attaccata al moro. 
«Ehi, tranquilla, non succede niente», le sussurrò il pakistano all’orecchio cercando di calmarla. 
Non seppe come ma la sua voce spazzò via gran parte della paura che stava provando e si raddrizzò, sempre attaccata a Zayn che non sembrava non gradire la cosa. 
La fissava con uno sguardo fiducioso e tranquillo mentre sentiva le sue gambe muoversi sotto la superficie per tenere a galla entrambi. 
«Tu sei completamente fuori di testa», esclamò sputando l’acqua salata che le era appena entrata in bocca. 
Lui sorrise di rimando e, inconsapevolmente, con quel piccolo gesto annientò anche l’ultimo pezzettino di lucidità che le era rimasto e la mandò all’altro mondo.



Angolo Autrice: 
I’m back :) 
Sono di corsa perché devo tornare a studiare storia, quindi sarò breve oggi. 
Allora, in questo capitolo le cose si stanno facendo sempre più interessanti, i ragazzi hanno fatto una bella sorpresa alla nostra Nicole che, abbiamo notato, non ama moltissimo l’acqua. 
Scusatemi se vi aspettavate qualcosina in più, ho cercato di fare del mio meglio :) 
Spero di non avervi deluse in modo catastrofico x) 
Preciso un’ultimissima cosa e poi me ne vado: questo era l’ultimo capitolo “sano”. Nel prossimo ci sarà un brusco cambiamento, ma non vi dico di più x) Spero solo che lo possiate apprezzare! :D 
Infine ringrazio infinitivamente tutte le ragazze che hanno letto, recensito e messo tra le seguite, ricordate e preferite la mia storia :D davvero, un enorme bacio a tutte voi! <3 
Okay, adesso torno da Diocleziano e Costantino xD 
Lasciatemi una piccola recensione se vi va, mi farebbe stra piacere sapere il vostro parere e le vostre critiche :D 
A presto e buona settimana, 
Another_Life 
xoxo :))

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


88

Change My Mind

Capitolo 5
 
Faceva caldo, tanto caldo, nonostante l’autunno fosse alle porte. 
La ragazza era distesa sul suo letto, intenta ad ascoltarsi le canzoni vecchie di secoli, quelle che aveva ritrovato ancora memorizzate sul suo vecchio mp3, quelle che non sentiva da tantissimo tempo, quelle che – si sorprese anche lei – ricordava ancora a memoria. 
La musica ad alto volume le assordava le orecchie e con il piede batteva il ritmo, sussurrando le frasi e pensando a tutto e niente. 
Non riusciva a capire come si facesse a dire che una canzone era bella senza sapere di cosa parlava, constatandone solo il ritmo. Era stupido. Eppure conosceva tante persone che lo facevano. Era come un pregiudizio, uno stereotipo, un qualcosa di insensato detto da persone ancora più ignoranti. 
Andò avanti per un po’, persa così nei suoi pensieri mentre mille voci diverse le risuonavano nella testa, con lo sguardo fisso su un punto indeterminato del soffitto, color bianco sporco, e poi sul verde che si vedeva dalla finestra, oltre le tende azzurre tirate a lato. 
Stava in quel che si poteva definire “momento di riflessione”, una cosa che non faceva da un po’ a causa degli studi e di tutto il resto. Le era mancato, le era mancato da morire nonostante quello che stesse facendo non coincidesse con la sua personalità, o meglio, con l’idea che gli altri si facevano di lei. 
Era una ragazza strana in un certo senso, enigmatica e misteriosa, che bisognava conoscere a fondo e lasciarle il suo tempo per permetterle di fidarsi. Ma soprattutto, eracambiata. 
Tutto d’un tratto la musica si fermò, segno che la play list era terminata; si alzò sospirando rumorosamente dal letto, mettendosi seduta a fissare le ante dell’armadio color panna. 
Vuote. 
Spente. 
Nude. 
Una volta erano state piene di poster e disegni, colorate e riempite di ricordi e foto indimenticabili, immagini che ritraevano i momenti più belli e più pazzi vissuti, quelli che guardandoli non potevi fare a meno di trattenere un sorriso o una risata, o che semplicemente ti riportavano al passato. 
Ora invece tutto era sparito, tutto era stato tolto dopo un brutto periodo. 
Un periodo che ricordava bene. 
Un periodo che imprimeva nella sua mente. 
Un periodo che la faceva soffrire. 
Un periodo che non avrebbe mai dimenticato. 
«Nicole?», sentì chiamare da una voce familiare. 
Si voltò e vide sua madre sull’uscio della porta, intenta a fissarla in modo strano, neanche stesse compiendo un esorcismo. 
«Cosa stai facendo?», le chiese sempre più sospettosa. 
Odiava essere trattata così, odiava essere vista come una bambina quando ormai non lo era più. 
«Niente», sbuffò spazientita, innervosita dalla domanda della donna e in collera per qualche oscuro motivo. 
Si avvicinò alla scrivania e la guardò con fare interrogativo, come ad aspettare qualcosa. 
«Non credi che sia ora di cominciare a prepararti le valigie?», le chiese semplicemente in un tono piatto e leggermente distaccato. 
La ragazza rispose con uno sbuffo e una frase un po’ ingarbugliata che non seppe tradurre nemmeno lei, vedendo poi la figura bassa della donna andarsene. 
Non sopportava litigare eppure ormai era diventata una cosa naturale per lei: sempre scorbutica, sempre di malumore e fin troppo permalosa. Si buttò pesantemente sulla sedia rossa dopo aver richiuso la porta ed essere tornata nel suo mondo, ovvero quelle quattro pareti che stranamente la facevano sentire al sicuro. Sua madre aveva ragione, fra pochi giorni sarebbe dovuta partire e lei doveva ancora preparare la minima cosa. 
Si guardò attorno, indecisa sul da farsi, e poi finalmente si decise: i vestiti e tutto il resto li avrebbe preparati il giorno dopo, ora si sarebbe dedicata alle cose meno importanti, e così avrebbe approfittato anche per mettere un po’ d’ordine a quella camera. 
Sì avvicinò allo scaffale e cominciò ad aprire e richiudere i vari cassetti, osservando i vecchi libri di scuola che non le sarebbero più serviti e i vari ritagli di giornale che le piaceva conservare. Forse era una cosa stupida e insensata ma la faceva sentire in un qualche modo fiera: ritagliare immagini di qualunque tipo l’aveva da sempre affascinata, amava osservare le minime cose, focalizzare tutto e imprimerlo nella mente, sperando di non dimenticarlo molto facilmente. Anche per questo aveva appena terminato un corso di fotografia professionale con il massimo dei voti. E come premio cosa aveva ricevuto? Una bellissima Canon, di ultima generazione e pagata interamente dai suoi insegnanti come regalo di tutto il suo impegno. 
Già, perché non si era mica fatta tutto quel culo per niente. 
Non aveva raggiunto i più alti voti della classe in quasi tutte le materie, non aveva passato interi pomeriggi a studiare e studiare e studiare mentre magari gli altri si divertivano, non aveva passato notti insonni per continuare a stare sui libri mentre gli altri dormivano, non si era privata di certi lussi perché così le andava. 
Oh no. 
Tutto aveva un suo perché, e lei lo sapeva bene. Era una delle sue convinzioni più profonde, e cercava da tempo di farlo capire anche a tutte le persone che la circondavano, e in qualche caso ci era pure riuscita. 
Continuò per circa dieci minuti a riguardarsi tutte le cose che ritrovava nei vari cassetti, una moltitudine di immagini e disegni che le riportavano alla mente una miriade di ricordi.
Sul suo volto si era dipinto un mezzo sorriso al pensiero di un vecchio scherzo fatto alcuni anni prima dalle sue amiche, e dopo aver messo da parte anche quel foglio ed essere tornata con lo sguardo al cassetto, al vedere quel oggetto si immobilizzò. 
Non poteva essere. 
Non poteva crederci. 
Era convinta di averlo perso, o addirittura buttato. 
Era convinto di averlo fatto sparire da quella stanza, da quella casa, dalla sua portata. 
E invece era proprio lì, a pochi centimetri dalla sua mano, immobile, innocuo, all’apparenza insignificante e senza alcuna brutta intenzione. 
Ma no, quello era tutto tranne gli aggettivi che aveva appena elencato, addirittura, era il loro contrario. 
Il cuore - che si era fermato per alcuni secondi - aveva ripreso il suo battito anche se la ragazza non aveva ancora respirato, e non si era nemmeno resa conto di aver trattenuto il respiro. Era lì, ferma, paralizzata, incapace di muovere anche un solo dito, incapace di connettere nuovi pensieri che non fossero “o mio Dio, non può essere quello”. 
Con le dita tremanti prese quel piccolo libricino dalla copertina sgargiante, raffigurante alcune immagini astratte di tutti i colori; se lo rigirò tra le mani mentre respirava a fatica e il cuore le batteva decisamente troppo forte per i suoi gusti. 
Non andava a quella andatura precisamente da … 
No, no, basta così, meglio non divulgarsi. 
Un’immagine le ritornò alla mente, riaprendo di nuovo quella ferita talmente profonda che con tutto il tempo che era passato non si era ancora rimarginata. Faceva male, molto male, bruciava addirittura e cercava con tutta la sua buona volontà di non pensarci, di togliersela dalla mente, di focalizzare la sua mente su qualunque cosa non fosse quel sorriso … 
Il suo sorriso … 
No, non andava bene, non poteva continuare in questo modo, non poteva succedere ogni volta, non doveva rimanere così legata al passato; doveva riuscire a voltare pagina, doveva chiudere definitivamente quel capitolo e mettersi in testa che ne era iniziato uno di nuovo. 
Senza accorgersene aveva preso quel libretto e se lo aveva stretto al petto, come se fosse diventato tutto d’un tratto il suo ossigeno, la sua unica maniera per continuare a vivere. 
O meglio, per ricordare. 
Era combattuta: da una parte voleva aprirlo mentre dall’altra voleva rimetterlo al suo posto e dimenticarselo. A pensarci bene, quest’ultima ipotesi era quella più corretta; sapeva bene, infatti, che se lo avrebbe riletto quel taglio che si portava dentro da ormai troppo tempo si sarebbe riaperto definitivamente e sarebbe stato quasi impossibile richiuderlo. Sarebbe tornata quello zombie insopportabile che era stata, una persona orribile e insensata, stronza e perennemente di malumore. Non voleva, ma sapeva anche che non sarebbe riuscita a togliersi dalla mente, ad ignorare il pensiero di quel libretto contenente una miriade di ricordi. Sapeva benissimo che le avrebbe fatto male, che sarebbe stato meglio vederlo bruciare piuttosto che ritrovarlo ma voleva cercare di rivivere quei bellissimi momenti che l’avevano resa talmente felice. 
Una felicità che era destinata a finire, come tutto del resto. 
Una felicità che sembrava quasi irreale. 
Una felicità che aveva un prezzo. 
Una felicità che non sarebbe più tornata. 
Una felicità che l’avrebbe fatta morire di nuovo. 
Riguardò la copertina e il ricordo di quando lo aveva cominciato, il primo giorno di quella vacanza, le balenò sulla mente, facendole perfino ritornare alla mente l’odore del mare, nemmeno lo stesse sentendo davvero; si ricordò della sabbia calda sotto i piedi, dei raggi del sole che bruciavano e della tremenda afa che c’era. Si ricordò di quando mise i piedi nell’acqua fredda per la prima volta dopo tanti anni, delle varie sensazioni che aveva provato, niente a confronto di quel che avrebbe sentito dopo. 
Un brivido le percosse la schiena e tremò appena, ma non se ne accorse da come era impegnata a cercare di trattenere le emozioni che le stavano attanagliando il petto. Era qualcosa di strano, non erano nuove per lei eppure non le sentiva da tempo, da tanto tempo, precisamente da … 
No, no, basta così, meglio non divulgarsi. 
Prese un respiro prima di voltare finalmente la prima pagina e ritrovarsi una facciata piena di disegni fatti da lei, i quali facevano da cornice al titolo scritto bene in grande. Se la cavava bene con i colori e una matita in mano, se era giornata poteva addirittura far nascere un capolavoro da un semplice foglio bianco. 
Voltò di nuovo la pagina e si ritrovo davanti ad una decina di foto che rappresentavano tutte i vari paesaggi che aveva fotografato solamente nel primo giorno; il tramonto, nelle sue mille sfumature, e vari scatti della sua famiglia in azioni semplici e genuine. 
Non riuscì a trattenere un sorriso riguardando tutti quei piccoli ricordi che le facevano tornare alla mente una miriade di momenti che pensava di aver dimenticato; questo, però, durò poco perché appena cominciò a leggere quelle poche righe che riassumevano quella giornata qualcosa le attanagliò il petto. Ma il peggio doveva ancora venire: quando arrivò al nome di quel ragazzo, scritto per la prima volta, il suo cuore perse un battito. Non vedeva quelle quattro lettere messe l’una dietro all’altra da troppo tempo, e non riusciva a capire il perché le facessero provare delle sensazioni simili. 
Se qualcuno fosse andato dentro di lei avrebbe potuto giurare che la terza guerra mondiale sarebbe stata meno distruttiva e meno confusionaria. 
Mentre i suoi occhi divoravano quelle poche righe il suo inconscio le regalava pezzi di immagini nitide, nemmeno le stesse vivendo adesso, in prima persona, per la prima volta. Rivisse il primo incontro con quel ragazzo, la scarica elettrica che le aveva attraversato il corpo appena si erano stretti la mano, i suoi occhi trapassanti e scuri che sembrava volessero perforarla, il cuore che aveva cominciato a battere come un forsennato e la paura che potesse addirittura uscirle dal petto. 
Alzò lo sguardo dal libretto e fissò sconcertata il muro, con un’espressione che andava dalla paura al terrore alla sorpresa all'incomprensione. Portò poi una mano al petto e sentì che il suo cuore batteva davvero più veloce del normale, il che non aveva una spiegazione plausibile. 
Perché? 
No, non aveva il tempo per restare lì a farsi seghe mentali che - lo sapeva già - non l’avrebbero portata da nessuna parte; stava fremendo, aveva una strana - e non corretta - voglia di continuare a leggere, di sapere, di rivivere quelle emozioni che l’avevano fatta sorridere tanto. 
Divorò così le pagine successive, ritornando con la mente a quella vacanza, a quei giorni, a quei momenti: la passeggiata in spiaggia con il moro, quella moltitudine di domande a cui non riusciva a dare una risposta, quelle sensazioni di benessere che provava quando era con lui, i suoi occhi addosso, la conoscenza degli altri due ragazzi, le partite a pallavolo, le risate, gli scherzi, i sorrisi, la sorpresa con il pedalò, il tuffo in mare e tutto il pomeriggio passato in acqua. 
Si fermò quando notò che le sue guance erano rigate da delle lacrime silenziose che le erano scivolate senza che se ne accorgesse; la vista si era appannata e aveva cominciato a farle male la testa, esattamente come succedeva quando piangeva. 
Era troppo tempo che non piangeva. 
Era troppo tempo che non riviveva quelle emozioni. 
Era troppo tempo che non viveva davvero. 
Esattamente … 
Sì, esattamente da quella vacanza, da quei sette giorni; dopo di questi si era spenta, non era più riuscita ad andare avanti, aveva sofferto e non aveva trovato una ragione per continuare normalmente, come se non fosse successo niente, come se niente l’avesse cambiata. 
Si asciugò quelle piccole gocce che tanto odiava e dopo aver preso un respiro ed essersi seduta meglio, voltò la pagina e continuò a leggere mentre dentro la sua mente si riaccesero una miriade di immagini - proprio come se le stesse vivendo in quel momento. 

Flashback 
Dopo aver passato tutto il pomeriggio del giorno prima in acqua ora era stanca morta; la sera non era nemmeno uscita, se ne era rimasta rintanata nel residence perché non sentiva più le gambe. 
No, non sentiva più nessun muscolo. 
I ragazzi erano stati super carini, le avevano quasi insegnato a nuotare - cosa mica da poco per lei - e l’avevano fatta divertire un mondo, rendendo quella giornata indimenticabile. Aveva inoltre scoperto moltissime cose su di loro - e anche sul moro - e si erano aperti tutti con molta leggerezza, come se si conoscessero da una vita. Era quasi surreale come facessero quei tipi a farla sentire bene e in pace con tutto e tutti, soprattutto il pakistano, che le era stato sempre vicino e non l’aveva mai perduta d’occhio. Le sue sfere scure l’avevano trapassata una miriade di volte, rendendola allo stesso tempo nervosa e tranquilla, due sentimenti contrastanti che regnavano in lei ormai da quando lo aveva conosciuto, da quando lo aveva visto per la prima volta, da quando le aveva sconvolto la vita. 
Si era appena svegliata dopo aver sentito una fastidiosa vibrazione provenire dal comodino di fianco al letto. Maledizione, stava sognando quegli occhi così particolari e così belli e proprio nel momento cruciale era arrivato quel cavolo di messaggio. Dopo essersi stiracchiata per bene prese quell'aggeggio - ormai diventato inseparabile per lei - e lesse il contenuto. 
Le ci vollero due minuti per constatare quel che c’era scritto, ovvero che i ragazzi la aspettavano fra dieci minuti sotto il residence per andare al mercato. 
Mercato?! 
Esisteva anche lì?! 
Li maledisse mentalmente mentre sgusciava fuori dalla stanza e si dirigeva in bagno per prepararsi; non aveva nemmeno controllato l’ora, non ne aveva avuto il coraggio. Indossò i pantaloncini e la canottiera con sotto il costume; i capelli non volevano stare al loro posto e allora li legò in una coda fatta al ben e meglio. Prese le converse e si truccò velocemente, ricontrollò il cellulare e prese il portafoglio prima di andare in cucina dove i suoi stavano facendo colazione. 
«Dove vai?», le chiese la madre in totale confusione e rimprovero. 
«Esco con degli amici», rispose la ragazza fissando lo sguardo della donna che si calmò. 
Dopo le solite raccomandazioni che le fecero perdere altri cinque minuti poté finalmente chiudersi la porta alle spalle e correre giù per le scale cercando di non fare troppo casino - e soprattutto di non scivolare e fare un bel salto. 
Uscì dal residence e si guardò intorno, in cerca dei tre tipi, che poi vide appoggiati al muro poco lontano. Liam la salutò agitando il braccio, Louis aveva una strana espressione da rimprovero e Zayn … 
Zayn aveva il solito sorriso che le fece perdere un battito del cuore - o forse di più - e che la stravolse completamente, risvegliandola dalla sensazione di sonno che ancora provava e rendendola particolarmente agitata. 
«Finalmente!», esclamò il ragazzo con la maglia a righe appena lei li raggiunse. 
«Che c’è?», le chiese retorica lei guardandolo sbieco. 
«Sei in ritardo», puntualizzò lui sorridendole e incrociando le braccia al petto. 
«La colpa è tua», rispose la tipa sfidandolo con gli occhi. 
Gli altri due stavano ridacchiando piano e si godevano la scena, ma nelle sfere del moro non c’era solo divertimento, bensì anche un po’ di gelosia. 
«Si avvisa prima la prossima volta», gli disse lei dopo che lui ebbe assunto quella strana espressione, della serie “Mia? Ma da quando?!”. 
«Buongiorno», la salutò il moro dopo che quel battibecco fu terminato. 
Lei si voltò e sentì i suoi occhi perforarle il petto, neanche fossero delle spade laser potentissime; cercò di sorridergli e ricambiò il saluto, rivolgendolo anche a Liam. 
«Ti abbiamo svegliata?», domandò il pakistano pochi secondi dopo che si furono incamminati, sistemandosi vicino alla ragazza e lasciando che gli altri due andassero avanti. 
«Tecnicamente, sì», ammise lei che sapeva già che non sarebbe riuscita a mentirgli. 
La sua risata spontanea la fece arrossire e sentì uno strano brivido attraversarle la schiena, un formicolio piacevole e allo stesso tempo imbarazzante; cercò di nasconderglielo poggiando il suo sguardo sulla strada a fianco a lei ma questo non sfuggì all’occhio attento del moro. 
Camminarono per cinque minuti buoni attraverso quelle strade dove la sera la gente passeggiava allegramente e si divertiva, entrando nei vari negozi e comprando tutto e niente, e osservò come quel paesaggio mutasse nel giro di qualche ora; era quasi incredibile come la luce del sole potesse fare la differenza, come il nero della notte fosse così affascinante e misterioso, proprio come quegli occhi che tanto ammirava. 
«Come ci arriviamo al mercato?», chiese poco dopo, attirando l’attenzione degli altri due. 
«Adesso vedrai», fu la risposta di Louis che le aveva appoggiato il suo braccio sulle spalle e le sorrideva con fare furbo; la ragazza spostò lo sguardo anche sugli altri due che le erano a fianco e notò la stessa faccia e lo stesso guizzo di allegria su entrambi. 
«Com’è che voi sapete sempre tutto e io non so mai niente?», chiese la mora rimanendo per un momento perplessa. 
I ragazzi si limitarono a rispondere con una sonora risata che presto contagiò anche lei; camminarono per almeno cinque minuti fino a quando non si fermarono davanti ad un negozio. 
Il caldo era meno afoso della giornata precedente e si potevano benissimo intravedere le flotte di persone che cominciavano ad avviarsi verso la spiaggia; bambini di tutte le età armati di paletta secchiello oppure giovani con materassini e gommoni; anziani con una pesante sonnolenza e genitori alle prese con i figli pestiferi. 
Ritornò in se stessa quando si sentì chiamare dalla voce calda e profonda di Zayn, che la stava aspettando con un leggero sorriso stampato sul volto. A quella visione si sentì arrossire e lo raggiunse maledicendosi mille volte per il suo essere così stupida. 
«Non ci credo», mormorò poco dopo quando vide gli altri due già seduti su uno di quei formidabili tandem a quattro posti. Le erano sempre piaciuti, quando era piccola tartassava i suoi genitori finché non acconsentivano a noleggiarne uno almeno per un’ora. 
«Sorpresa!», esclamò Louis tutto contento mentre suo cugino sorrideva e scuoteva la testa contemporaneamente; quei due erano proprio l’opposto, non c’è che dire. 
Lei e il moro andarono a sedersi sui posti davanti e, dopo le raccomandazioni del proprietario, poterono finalmente partire tra le risate causate dalle solite battute del tipo con la strana passione per le righe. 
Ritrovò Zayn intento ad osservarla e questa volta, invece di abbassare lo sguardo per nascondere il rossore, continuò a fissarlo e ricambiò il sorriso che lui le fece, sentendo come delle strane farfalle volarle per tutto lo stomaco, scombussolandola tutta. 
Il suo inconscio sapeva bene cosa stava succedendo, ma si rifiutava di inviarlo al cervello. 

D’un tratto richiuse il quadernetto. 
Per oggi era abbastanza. 
Non voleva essere ridicola, ma rivivere tutte quelle emozioni, rivivere tutto quello così di petto, così immediatamente, senza prima una preparazione psicologica l’aveva sconvolta.
Aveva bisogno d’aria. 
Aveva bisogno di pensare. 
Aveva bisogno di stare da sola. 
Si asciugò le lacrime che erano scese sulle guance e uscì dalla stanza.



Angolo Autrice:
*si ritrova l'ennesimo coriandolo ancora tra i capelli*
Maria, basta, non voglio più vedere carri mascherati e tutto quello che riguarda il carnevale fino all'anno prossimo xD
Sento ancora il brurito che ho sofferto tutta oggi pomeriggio a causa di alcune stupide amiche che si sono divertite a svuotarmi tre sacchetti di quei fastidiosi pezzetti di carta addosso -.- xD
Okay, credo che a voi questo non interessi minimamente così torniamo al capitolo :)
Non imprecatemi contro, vi avevo avvertite che sarebbe cambiato tutto no? :) La protagonista è sempre Nicole ovviamente, solamente che è passato un pò di tempo da quella famosa vacanza :D Tranquille, nei prossimi capitoli ci saranno i flashback che vi faranno capire meglio cosa è successo xD
Adesso vi faccio due domande: che avete in mente? Cosa ha mescolato il vostro cervello, cosa pensate sia acceduto? E soprattutto, quanto tempo pensate sia passato? :D Ahhahahah no davvero, ditemelo che sono stra curiosa xD
Come ultimissima cosa prima di lasciarvi in pace vi chiedo - solamente se avete voglia, of course - di lasciarmi una - anche very short - recensione :) Credetemi, per me è davvero importante sapere la vostra opinione :)
Spero di non avervi deluse con questo capitolo e ringrazio infinitamente tutte le ragazze che mi hanno lasciato una recensione negli scorsi capitoli: siete fantastiche <3
A presto e un bacione enorme a tutte quelle che passeranno :)
Grazie mille davvero <3
Another_Life
xoxo :))

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


capitolo 6
88

Change My Mind

Capitolo 6


Si rigirò nel letto per l’ennesima volta, quella sera.
Non riusciva a prendere sonno, sebbene sentisse la stanchezza; nella mente le frullavano mille pensieri, mille ricordi, mille domande a cui non otteneva risposta.
Perché quel libretto era rispuntato proprio adesso?
Perché quel giorno l’aveva ritrovato?
Perché si era messa a leggerlo?
Era sempre stata una ragazza, come dire, un po’ superstiziosa, convinta del fatto che tutto dovesse avere un suo perché, un suo motivo, ma adesso cercava di convincersi che quelle erano state solamente stupide e insensate coincidenze.
Era distesa sul letto senza sapere nemmeno che ore fossero, non osava guardare la sveglia, le bastava sapere che tutti stavano ancora dormendo profondamente e beatamente.
Tutti tranne lei.
Nessuno poteva neanche lontanamente immaginare come fosse attivo il suo cervello in quel momento, come stesse immagazzinando informazioni e teorie varie su quel che era successo quel pomeriggio. Quella camminata nel centro non le aveva fatto bene, per niente.
Ammiccò un sorriso ripensando alla prima sera di quella famosa vacanza, quando era uscita per schiarirsi le idee e lui era spuntato fuori dal nulla, mandando a quel paese la sua buona intenzione.
Classico da lei, niente andava mai come aveva programmato, niente.
Prese un respiro e ricacciò indietro le lacrime che stavano premendo agli angoli degli occhi.
Non doveva piangere.
Non ancora.
Si alzò, decisa ad andare a prendersi un bicchiere d’acqua in cucina e ritornò poco dopo, ancora più sveglia di prima; quella notte non avrebbe dormito, poco ma sicuro.
Buttò l’occhio sullo scaffale di fronte a lei: era come se una strana forza, una strana voce la incitasse a andare lì e a finire di rileggere quei dannati appunti che racchiudevano una miriade di ricordi. Sentiva qualcosa dentro di lei, uno strano fuoco all’altezza del cuore che proveniva da dentro, dalla sua anima; sentiva qualcosa accrescerle nel suo io più profondo, qualcosa che aveva già provato, qualcosa che non percepiva da molto tempo.
Sapeva benissimo che non sarebbe resistita alla tentazione, soprattutto visto che non riusciva a dormire, così si andò a sedere sul pavimento di legno e ritirò fuori quel libretto da uno dei cassetti, intenta a non fare il solito casino e a non svegliare nessuno. Voltò le prime pagine e ritornò al punto in cui si era fermata, respirando a fondo prima di rimettersi a divorare quelle poche righe.
In un momento, rivisse tutto.

Flashback
Erano passate almeno due ore da quando erano partiti e avevano impiegato soltanto i primi quaranta minuti a pedalare quel benedetto tandem per arrivare a quel maledetto mercato; tutta colpa di Louis, che li aveva fatti sbagliare strada per ben tre volte, convinto del fatto che lui, quel posto, lo conoscesse come le sue tasche.
Peccato che l’ultima volta che ci era stato era stato quando aveva cinque anni.
Tralasciando questo, una volta arrivati erano stati sorpresi da una miriade di bancarelle e persone di ogni nazionalità, alcune intente ad osservare i vari ricordi da poter comprare e portare a casa ed altri intenti a convincere certa gente che questo o quello era il miglior affare che potessero fare.
Gli occhi della ragazza brillavano addirittura, non sapeva il perché di tutta quella felicità, non riusciva veramente a comprenderlo; l’unica cosa di cui era certa era che quei tre ragazzi la facevano veramente sentire bene.
Louis e Liam si scambiarono uno sguardo d’intesa quando notarono che il loro scopo era andato a buon termine e cominciarono a camminare fra tutta quella folla di gente, chiacchierando e commentando ogni singola cosa li colpisse. La ragazza era particolarmente ammaliata da tutto ciò che la circondava e proprio per questo le uniche parole che aveva emesso da quando erano arrivati erano state delle semplici esclamazioni di stupore. Il moro le stava vicino, intento ad osservare ogni minimo movimento che lei faceva, ogni minima espressione, tutto quello che la riguardava.
Non sapeva cosa gli stava succedendo, o forse sì, sta di fatto che non voleva rendersene conto e preferiva seguire quello che gli diceva il suo istinto, ovvero di conoscerla meglio.
I lunghi capelli castani, raccolti in una coda, dondolavano ad ogni passo che faceva, scendevano fluidi sulla schiena e alcune ciocche ribelli ricadevano sul suo viso; aveva una strana voglia di spostarglieli, di posarglieli dietro l’orecchio in modo tale che non oscurassero quel viso che lui trovava particolarmente grazioso, ma non poteva e cercava in tutti i modi di controllare se stesso e i suoi pensieri.
Non era una di quelle ragazze con il fisico perfetto, magrissime fino a fare impressione, ma stava bene ed era in forma; aveva poi quel qualcosa di particolare che la contraddistingueva da tutte le altre. Non sapeva cos’era, forse quegli occhi timidi, impauriti e vivaci allo stesso tempo, oppure quello splendido sorriso che gli regalava qualche volta, o ancora quella risata cristallina che riecheggiava sempre dentro di lui quando Louis faceva una delle sue battute.
Non sapeva il perché, ma era speciale.
Una parte di lui lo stava maledicendo; in fondo, ma molto in fondo, sapeva che quello che stava facendo, che quello che gli stava succedendo non era un bene e non andava bene, ma lui si rifiutava di ascoltare quella piccola voce che, continuando a guardare la ragazza in ogni suo minimo movimento, gli sembrava inesistente.
Lei, d’altro canto, si sentiva costantemente e incessantemente perforata da quelle sfere scure e misteriose, e cercava di non darlo a vedere; poggiava lo sguardo su tutto quello che le capitava sott’occhio e provava con tutta se stessa a non voltarsi mai verso la direzione del moro. Si sentiva strana, agitata e a suo agio contemporaneamente; come poteva essere? Non era normale una cosa del genere. Quando era con lui un turbine di emozioni la attanagliava, così diverse e così sempre in movimento che non riusciva nemmeno a decifrarne una.
«Non so voi, ma io comincio ad avere fame», esclamò Louis ad un certo punto, cominciando a massaggiarsi la pancia e attirando l’attenzione di tutti.
Sia la ragazza che il moro si risvegliarono dai loro pensieri e inconsciamente si fissarono per pochi secondi, per poi distogliere lo sguardo imbarazzati. Era una cosa bizzarra, entrambi sentivano dei strani formicolii sulla schiena ogni volta che incrociavano le iridi l’una dell’altro.
«Che ore sono?», chiese Nicole più a se stessa che agli altri, estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloncini.
Rimase scioccata quando constatò che era mezzogiorno passato e che aveva diversi messaggi dei suoi genitori ancora non letti; rispose a questi dicendo che sarebbe rimasta fuori a mangiare e poi ritornò a guardare gli altri, che stavano decidendo cosa andare a mangiare.
«Io propongo un trancio di pizza», ammise poco dopo ricevendo il consenso di tutti.
«Perfetto. Pizza, stiamo arrivando!», esclamò il tipo con la maglia a righe poggiando il suo braccio sulle spalle della ragazza e partendo a tutto razzo con le risate di tutti come sottofondo.
Il pakistano non poteva non ammetterlo: quella cosa gli dava fastidio nonostante si fidasse del suo amico, era come se in quei momenti la parte peggiore di lui prendesse il sopravvento e lo facesse diventare incredibilmente geloso.
In pochi minuti avevano trovato il locale giusto per loro e si erano fermati per decidere il menù lì fuori, come da richiesta del ragazzo più grande.
«Okay, allora io mi siedo qui e tu Liam mi vai a prendere la pizza», esclamò deciso Louis sedendosi sulla panchina e sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
Il ragazzo chiamato in causa alzò lo sguardo verso il cielo, e si incamminò verso l’entrata, seguito a ruota dagli altri due.
«Eh no, tu adesso resti qui con me altrimenti sono tutto solo», mugugnò ancora quell’eterno bambino prendendo la ragazza per un braccio e trascinandosela indietro. Ormai il suo viso era diventato bordeaux: si divertivano proprio quei tipi a metterla in imbarazzo, non c'era che dire.
Alzò lo sguardo appena per sistemarsi meglio e incontrò le iridi del moro che per un momento le erano sembrate di fuoco, peggio di uno pazzo di gelosia.
Che sciocchezza, pensò.
«Tranquilla, te la prendo io», mormorò Zayn alla ragazza sorridendole appena e seguendo Liam dentro il locale.
Si sentiva strano e stava letteralmente morendo di invidia. Odiava il fatto che Louis fosse così spontaneo e naturale con lei, cosa che a lui risultava molto difficile; non voleva fare lo stupido per non darle una brutta impressione e contemporaneamente non voleva essere troppo distaccato per far sì che fraintendesse pensando che a lui non importasse nulla.
Era combattuto e non sapeva cosa fare.
«Noi due dobbiamo parlare», dichiarò il tipo con la maglia a righe con un tono decisamente diverso da quello che lei gli aveva sempre sentito.
La ragazza alzò lo sguardo preoccupata e si tuffò in quelle perle così azzurre e così limpide che sembravano quasi surreali; si allontanò leggermente per guardarlo bene e attese che questo andasse avanti.
«So che ti piace Zayn», ammise solenne abbassando un po’ la voce dopo un tempo che parve interminabile.
La castana sbarrò gli occhi sconcertata e lo fissò allibita mentre si ripeteva quella frase a mente una volta dopo l’altra; no no no, non poteva essere vero, non era assolutamente possibile.
Lo sguardo del ragazzo si era fatto più duro e allo stesso tempo comprensivo; non gli aveva mai visto quell’espressione addosso, non gli donava sinceramente. Il sorriso da eterno Peter Pan era decisamente meglio.
«Ti sbagli», fu la risposta dell’altra mentre focalizzava il suo sguardo su un punto indeterminato davanti a sé.
«Ascoltami, non ti voglio accusare né tanto meno farti la ramanzina, voglio solamente aiutarti», rispose Louis avvicinandosi e tenendo il suo sguardo su di lei.
Lei aveva il cervello in tilt: non riusciva a immaginare come avesse fatto il suo amico a mettersi in testa un’idea del genere, e non riusciva nemmeno a pensare a quanto fosse stupida la sua affermazione.
«E sentiamo, perché dovresti farlo?», gli chiese sospirando; voleva proprio sapere il motivo di quell’aiuto arrivato così all’improvviso.
Anche perché non era vero niente di quello che era stato appena detto dal tipo.
O almeno, così credeva lei.
«Semplice, perché anche lui ricambia», esclamò Lou assumendo l’espressione “più ovvio di così!”.
Ma in quella discussione di ovvio non c’era niente.
In quel momento lei non poteva nemmeno giurare di chiamarsi Nicole a causa del caos che si era formato nella sua mente. Il ragazzo di fianco a lei aveva appena annunciato che a lei piaceva Zayn, e subito dopo aveva chiaramente detto che lui ricambiava.
Okay, quel tipo era chiaramente fuso.
Se c’era anche un minima possibilità che lei provasse una leggera simpatia per il pakistano, allora non ce n’era nemmeno una che questo provasse qualcosina per lei. Era stupido, impossibile, irreale, incomprensibile, inimmaginabile, patetico, senza senso, infondato e tutti gli aggettivi che esistevano a questo mondo contrari a questa cosa; semplicemente, non poteva essere.
La ragazza si lasciò sfuggire una piccola risata e ritornò a guardare il suo vicino, più serio che mai.
«Ma di che ti sei fatto? Credimi Lou, ti stai sbagliando, hai frainteso tutto. A me non piace Zayn e a lui non piaccio io, okay?».
Aveva messo in chiaro le cose tranquillamente, sentendo però dentro di se una strana fitta quando aveva pronunciato quelle parole; non ci diede importanza, pensando che fosse la fame, ma in fondo era bene a conoscenza di che significato avesse.
Molto in fondo.
Due pozzi azzurrissimi la perforarono, sicuri e decisi, e rimasero così, a guardarsi reciprocamente, per alcuni secondi, entrambi convinti della loro tesi.
«So che ti potrò sembrare lo scemo del gruppo, ma per certe cose ci vedo meglio di tutti voi messi assieme. Ho notato quello che è successo prima nel tandem, e se vuoi che ti creda dimostrami che mi sono sbagliato, dimostrami che ho effettivamente frainteso tutto».
Le sue parole l’aveva colpita in pieno, peggio di essere trapassati da un treno a velocità folle; non riusciva a capire il motivo di quella strana sensazione che le attanagliava il petto e che la faceva respirare a fatica. Ricordò in un momento quello che era successo più di un’ora prima, mentre stavano pedalando quel dannato tandem. Aveva cercato per tutto il tempo di restare a debita distanza dal moro e di non incrociare il suo sguardo, ma non ci era del tutto riuscita; ad un certo punto si erano distratti un attimo e per evitare uno scontro frontale con un’auto Zayn era riuscito a manovrare quel coso in tempo, mettendo una delle sue mani sopra a quella della ragazza e girando contemporaneamente entrambi i volanti. Lei era rimasta letteralmente scioccata, sia per l’assurda cosa che era appena successa sia per la scarica elettrica che l’aveva attraversata al contatto con il moro, rendendola di ghiaccio e incapace di compiere un qualsiasi movimento.
Anche il pakistano, sebbene sia stato molto attento a farlo notare il meno possibile, aveva percepito quella strana sensazione dentro di lui che aveva risvegliato il freddo che si era impossessato del suo corpo; era stato come un fuoco, una vampata di calore che lo aveva fatto reagire.
Nel frattempo, il corpo del giovane era andato addosso a quello di lei e i due avevano alzato così lo sguardo, incrociandoselo a vicenda e notando che erano decisamente troppo vicini; pochi centimetri li avevano separati e il cuore di entrambi aveva cominciato a battere come un forsennato, avendo perfino paura che gli altri due li sentissero.
Nonostante il tempo in cui i due giovani si guardarono dentro, con una vicinanza che non avevano mai provato, fosse stato di appena alcuni secondi ad entrambi pareva fosse durato secoli.
Le sensazioni che avevano provato, poi, erano davvero indescrivibili: un turbine di gioia, amore, desiderio, paura, timidezza e incapacità di fare anche un minimo sorriso.
Lei si era ritrovata davanti, a pochissima distanza, quel viso perfetto, quegli occhi che la perseguitavano da quando li aveva conosciuti; ebbe per un momento anche il suo respiro caldo sul collo e non ci poté credere.
Era andata in iperventilazione e le sue guance erano diventate bordeaux come non mai; quel ragazzo le aveva fatto per un momento toccare il cielo con un dito, sensazione mai provata prima d’allora, e continuava a sentirsi costantemente troppo felice.
Un lieve “scusami” era uscito dalle labbra del tipo dopo un tempo che era parso interminabile; non era nemmeno sicura di averlo sentito per davvero da quanto psicologicamente distante era in quel momento. Mille pensieri le stavano sovrastando la mente, mille voci diverse le urlavano dentro come un coro indemoniato, mille immagini reali e irreali stavano passano velocemente nella sua testa.
Senza la possibilità di fermare nulla.
Accennò un sorriso imbarazzato mentre il moro si stava risistemando e cercò di controllare il suo rossore voltando lo sguardo dalla parte opposta del tipo.
«Lascia fare a me, e chissà, fra qualche anno potrai diventare la signora Malik», commentò Louis risvegliando la ragazza dallo stato di shock in cui era.
Questa, dopo essersi ricomposta ed aver controllato che gli altri due fossero ancora dentro il locale, memorizzò per bene la frase dell’amico e quando l’ebbe compresa fino in fondo strabuzzò gli occhi e assunse un’espressione che fece scoppiare l’altro in una fragorosa risata.
Non ebbe nemmeno il tempo di ribattere che sentì la voce del moro dietro di lei, e questa cosa le fece perdere un anno di vita; si voltò lentamente, maledicendosi per essere arrossita di nuovo, e prese il trancio di pizza che lui le stava porgendo.
«Malik, vieni qui!», esclamò Lou strattonando il pakistano e costringendolo a sedersi vicino a lei, cercando, però, di non far notare niente.
La ragazza fulminò con lo sguardo quello era diventato la sua rovina e poi continuò a mangiare, isolandosi dai discorsi che fecero i maschi e continuando a pensare alle parole del tipo con la maglia a righe.

«Stai bene?», sentì chiedere da quella voce tanto calda e protettiva verso i suoi confronti.
Voltò lo sguardo e si ritrovò davanti quelle perle scure che la stavano letteralmente perforando.
Non si era nemmeno accorta di averlo vicino, intenta com’era a cercare una spiegazione razionale per quello che le stava succedendo.
«Certo», accentuò lei sorridendogli e cercando di essere il più convincente possibile.
Dalla rivelazione di Louis, aveva cercato di evitarlo in tutti i modi.
«Sei strana. C’è qualcosa che non va?», insisté il moro socchiudendo gli occhi e cercando di capire cosa potesse succederle.
«Niente», sbuffò lei cercando di non essere troppo scortese.
Da una parte voleva parlare con lui, voleva sfogarsi, voleva lasciare che le parole uscissero libere dalla sua bocca e che entrassero nella sua mente, per poi sentirsi dare uno di quei consigli che di solito ti danno gli amici, ma dall’altra voleva solamente andarsene e mandarlo a quel paese, maledicendo lui e quella volta che lo aveva incontrato.
«E’ per stamattina che mi eviti?», chiese brusco lui, cercando di non incrinare la voce e di mostrarsi il meno agitato possibile.
Vedeva che non stava bene, vedeva in quei pozzi scuri il turbamento e la confusione ma non sapeva a cosa si riferissero, o meglio, sperava con tutto se stesso ce non fosse colpa sua. Si sentiva stranamente protettivo nei suoi confronti, come se dovesse proteggerla, da tutto e tutti, come se non volesse che stesse male, come se fosse disposto a prendersi lui stesso il dolore per lei. Non capiva a cosa fosse dovuto tutto questo, sapeva soltanto che teneva a quella ragazza, ci teneva davvero, nonostante la conoscesse soltanto da poco, e voleva con tutto se stesso che quella vacanza non finisse mai.
Intanto, le sue parole entrarono nella mente di lei cominciando perfino a rimbombarle dentro.
Merda.
Aveva capito che lo stava evitando.
«No, no, tranquillo», rispose quasi subito, capendo poi che quella frase non sarebbe bastata per far sì che lui non si sentisse in qualche modo in colpa.
«Louis prima mi ha detto una cosa che mi sta facendo impazzire», si affrettò a continuare, maledicendosi subito dopo per aver continuato.
Adesso avrebbe voluto sapere che genere di cosa, e sarebbe rimasta fregata.
Doppia merda.
Sentiva gli occhi del moro perforarle il petto, nonostante cercasse di non incrociare il suo sguardo tenendolo bene davanti a sé e spostandolo su ogni minimo particolare, a cui però non dava alcuna importanza. Si sentiva agitata, e allo stesso tempo anche rilassata in sua presenza, e non riusciva a comprenderne il motivo.
«Ti va di parlarne?», le chiese dopo qualche minuto di silenzio, con un tono piatto e serio.
«E’ una cazzata», cercò di sviare il discorso, pregando che lui non insistesse.
«Non staresti così se fosse vero», puntualizzò e a questo punto le guance di lei si colorarono inspiegabilmente di rosso.
Di nuovo.
Alzò lo sguardo per incontrare il sorriso sincero del giovane e non poté non sentire che si poteva fidare di lui; lo percepiva dentro le ossa, in profondità, nella sua anima. Lui era lì per ascoltarla, per aiutarla, per starle vicino. Sapeva che non l’avrebbe giudicata in alcun modo e sapeva anche che da quell’incontro potrebbe essere nata una bella amicizia.
Prese un respiro e cominciò a raccontare, non prima di essersi voltata e aver constatato che gli altri due erano diversi metri più indietro e che il tizio con la maglia a righe le stava facendo l’okay, accompagnato da un sorriso malizioso.
Sorrise tra sé e scosse la testa divertita.
«Louis è convinto che tu mi piaccia, e cosa ancora più surreale che io piaccia a te, e si è messo in testa che ci farà mettere insieme. Non ti sembra assurdo?».
Ridacchiò piano per accompagnare la follia di quella frase ma il ragazzo rimase impassibile; puntò lo sguardo dritto avanti a sé e stette per qualche secondo in assoluto silenzio, con le mascelle serrate e lo sguardo perso nel vuoto.
«Già, assurdo», commentò poco dopo accennando un sorriso falso e ritornando in sé.
La maschera che stava portando gli pesava e non aveva ancora capito cosa provava per quella ragazza. Ne era attratto e le piaceva davvero, ma non sapeva cosa fosse quella rabbia che gli ribolliva dovunque nel corpo quando qualcun altro la toccava, non sapeva cosa fosse quella scintilla che gli si accendeva dentro ogni volta che la vedeva, ogni volta che incrociava il suo sguardo, ogni volta che lei gli sorrideva timida, non sapeva cosa fosse quel buco all'altezza del petto ogni qual volta dovevano salutarsi.
Forse il tutto era solamente frutto della sua immaginazione.
Forse lui stava solamente fantasticando su delle cose che neppure esistevano.
O forse lui era solamente un sedicenne spensierato che, pur provandolo, non sapeva ancora nulla dell'amore.



Angolo Autrice:
Ecco qui il sesto capitolo: ve lo chiedo subito, che ne pensate?:)
Allora, diciamo che è quasi interamente composto da un lungo flashback, nel quale vediamo i nostri protagonisti aggirarsi per le strade gremite di gente a causa del mercato. Louis ferma Nicole e da voce ai pensieri più nascosti della sua anima, quelli che lei non ha mai avuto il coraggio di esprimere, quelli che lei non ha mai avuto il coraggio di pensare davvero. Shock, sorpresa, confusione e caos sono le sensazioni che si aggirano per la sua mente e Zayn se ne accorge, fraintendendo così quello che lei prova veramente…
Cosa succederà adesso?:)
Se avete piacere lasciatemi la vostra opinione, per è davvero molto ma molto ma molto importante:)
Ah, vi volevo avvisare che da oggi cercherò di postare ogni settimana, più in specifico ogni domenica:)
Spero di non avervi deluse e ringrazio infinitivamente tutte le ragazze che hanno letto, recensito, messo tra le seguite / ricordate / preferite la storia:)
Grazie mille davvero :’)
Un bacione a tutte e a presto,
Another_Life
xoxo
 
P.s. un grazie particolare a E J Styles Robinson che mi ha ispirato per il finale del capitolo :D <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


88

Change My Mind

Capitolo 7

Stava diventando dipendente da quel libretto, e di conseguenza da quei ricordi. 
Ricordi bellissimi. 
Le facevano male, lo sapeva meglio di chiunque altro, aumentavano quella morsa che si portava dentro il petto da troppo tempo e che adesso era ricomparsa, più forte di prima; la facevano sentire vulnerabile, sentimento che non provava da anni. 
Erano passati quattro anni. 
Quattro lunghi anni. 
Quattro maledetti lunghi anni. 
Quattro anni, e ancora sentiva quelle emozioni come se le stesse vivendo in quel momento, in prima persona, per la prima volta. Non voleva, non voleva sentirsi così dipendente dal passato, così legata ad esso ed incapace di continuare ad andare avanti. 
Voleva vivere, e dimenticare tutto, se solo avesse potuto. 
Avrebbe pagato oro pur di perdere la memoria, a costo di smarrire anche tutti quei ricordi belli non legati a lui; era disposta a tutto, ma una parte di lei, la più saggia, le aveva sempre impedito di mettersi in mezzo ad una strada sperando che un’auto la travolgesse. 
Non voleva far del male a nessuno, non voleva che gli altri soffrissero ma era stanca di continuare a portarsi quel peso sulle spalle, quel tormento che non la lasciava mai, rendendo difficile persino un'azione automatica come quella di respirare. 
Stava andando tutto bene, era riuscita a buttarsi alle spalle il passato, era riuscita a fare in modo di catalogare quella vacanza nel luogo più remoto e oscuro della sua mente. Per un momento l’aveva anche quasi dimentica. Stava andando tutto perfettamente, tutto nel migliore dei modi, quando all’improvviso era ricomparso quel dannato quaderno con tutti i suoi pensieri. 
Si stava maledicendo come mai prima. 
Perché aveva deciso di mettere a posto la sua stanza? 
Perché aveva aperto proprio quel cassetto? 
Perché non lo aveva richiuso e rimesso a posto? 
Perché non lo aveva bruciato? 
Ma ormai era tardi, farsi tutte quelle seghe mentali non sarebbe servito a cambiare le cose. 
Ripensò a quella notte: durante le - poche - ore in cui aveva dormito non aveva fatto altro che sognare il suo sorriso, i suoi occhi, la sua espressione e perfino gli altri due, sebbene le loro immagini fossero sfuocate. Certo, non se li era scordati ma nemmeno li ricordava alla perfezione; se avesse voluto, custodiva nel suo computer ancora le foto di quella vacanza, ma andare a rivederle era assolutamente fuori discussione. 
Non riapriva quella cartella da quattro anni, e avrebbe continuato così. 
Perché quel turbine di emozioni? 
Perché aveva una costante voglia di piangere? 
Perché si sentiva come se un treno le fosse passato sopra un centinaio di volte? 
Perché non riusciva a reagire? 
Non riusciva a fare nulla, piangersi addosso era l’unica cosa che faceva da quando aveva cominciato a ricordare; le forze le mancavano e continuava a guardare la copertina di quel dannato libro come se fosse diventato la sua droga personale. 
Fissò le valigie straripanti che aveva ai piedi del letto dove era seduta: aveva cercato di cacciare quei ricordi quella mattina, inutilmente. Sembrava che si fossero impressi nella mente con il fuoco, e la rabbia per questo era alle stelle. 
Dopo tutta la fatica fatta per dimenticare ora era punto e a capo. 
Continuò la sua autocommiserazione per altri dieci minuti buoni, finché non si decise a continuare a rievocare quei quelle memorie; la ferita ormai era aperta, e richiuderla sarebbe stato duro, lo sapeva, ma sapeva anche che se quello era l’unico modo per rivivere quei momenti felici, beh, era disposta a soffrire. 

Flashback 
«Alla buon’ora!», fu l’esclamazione di suo padre quando rientrò nella camera del residence quella sera. 
«Scusate ma gli altri mi hanno trattenuta», rispose la ragazza mentre si toglieva le scarpe e andava nel piccolo salottino dove erano riuniti tutti. 
«Nicole, dobbiamo parlare», dichiarò solenne sua madre con un tono che spuntava di rado. 
Guai in vista. 
«Che succede?», le chiese spaesata non capendo quale fosse il problema. 
«C’è che resti fuori tutto il giorno con persone che nemmeno conosciamo nonostante siamo in vacanza», disse suo padre con una voce piuttosto arrabbiata. 
La cosa si faceva complicata. 
«Adesso non posso più uscire?». 
Anche lei si stava incavolando di brutto, non potevano trattarla come una bambina di cinque anni. 
«Sei sempre via e non ti vediamo quasi mai! Uno degli scopi di questa vacanza è anche quello di stare assieme come famiglia!». 
Okay, si erano messi tutti a urlare e la situazione stava davvero degenerando. 
La sorella minore si era rintanata nella camera da letto, odiava le liti e odiava sentir urlare l’uno contro l’altra le persone che amava. 
«Lo scopo di una vacanza è quello di divertirsi, e per una volta tanto che trovo degli amici con cui passare del tempo e divertirmi me lo volete impedire? Sapete, non è così bello starsene distesi sullo sdraio dalla mattina alla sera senza fare nulla!». 
Il viso di tutti e tre sfiorava il bordeaux e i suoi ora non sapevano più come rispondere; sapevano che aveva ragione, erano stati giovani anche loro e l’unica cosa che desideravano era vedere la loro figlia contenta, ma contemporaneamente volevano che stesse anche un po’ di tempo con loro. 
D’altro canto anche lei capiva le motivazioni dei suoi ma non riusciva a comprendere che bisogno ci fosse stato di minacciarla in questo modo; si sentiva offesa e presa in giro. 
Li guardò per un’ultima volta intensamente negli occhi e poi si voltò per riprendere il suo cellulare e dirigersi verso la porta. 
«Dove stai andando?», sbraitò suo padre infuriato. 
Aveva bisogno di stare da sola, di pensare, di riflettere, e sapeva benissimo che restandosene lì dentro non avrebbe concluso niente. 
«A fare una passeggiata. Mi volete negare anche questo?», chiese con forse troppa acidità, cosa che fece imbestialire ancora di più l’uomo che le mandò - tra le righe - anche il permesso. 
Prese la maniglia e si richiuse la porta alle spalle, sentendo ancora le voce dei suoi che discutevano; prese a correre giù per le scale e solamente quando fu fuori cominciò a rallentare. Non sapeva da che parte andare: il centro le sembrava decisamente troppo affollato, così optò per la spiaggia. 
Era uno dei suoi luoghi preferiti, soprattutto se illuminati solamente dalla luce del tramonto come in quel caso; con passo svelto arrivò fino al marciapiede e proseguì finché non trovo la sua panchina. 
Si sedette e mise le cuffie, alzando il volume al massimo in modo tale da non sentire nient’altro che la musica premerle sulle orecchie; ricacciò le lacrime che sentiva tormentarle gli occhi e chiuse questi ultimi, alzando le ginocchia e racchiudendo la testa tra di esse. 
Quanto tempo era passato? 
Non ne aveva idea, forse quindici, venti minuti. 
Non le importava. 
La rabbia era sbollita e fra un po’ sarebbe rientrata; aspettava solamente che anche quella canzone finisse e poi sarebbe ritornata dai suoi, sperando che anche loro si fossero calmati, sperando di poter risolvere tutto. 
Fu un attimo, e con un gesto le si gelò il sangue. 
Una mano si era posata sulla sua spalla e lei stava morendo di terrore. 
Okay, qualche mossa di karate l’aveva imparata guardando dei film, se era un malintenzionato avrebbe potuto benissimo metterlo al tappeto con un bel calcio alle parti basse e poi sarebbe corsa via. 
Mica difficile. 
Si alzò di scatto con gli occhi sbarrati dalla paura e fissò il suo presunto aggressore. 
Quando lo mise a fuoco, per poco non fece un infarto. 
A pensarci bene, sarebbe stato meglio lo sconosciuto. 
Due sfere scure la stavano trapassando da parte a parte con un’espressione mista tra la confusione e l’innocenza; le mani alzate a mo’ di scusa lo facevano apparire ancora più innocuo e la loro vicinanza fece sussultare la ragazza. 
«Mamma che colpo», mormorò la tipa sentendo che il cuore le batteva ancora troppo forte. 
Chissà se era per lo spavento o la sorpresa … 
«Scusami, non ti volevo spaventare», rispose con una voce un po’ roca ritornando a sedersi assieme a lei sulla panchina. 
«Che ci fai qui?», gli domandò curiosa. 
«Potrei farti la stessa domanda», rispose lui scoccandole un sorriso. 
Le sue sfere, però, avevano ancora qualcosa di strano, qualcosa simile ad un turbamento. 
Ecco, l’aveva incastrata di nuovo; non sapeva come facesse, non riusciva a comprendere come fosse in grado di farla sentire agitata e tranquilla allo stesso momento, contemporaneamente. 
Poteva fidarsi? 
Poteva raccontarglielo? 
Poteva davvero aprirsi con lui? 
Magari non gli interessava minimamente, magari sentire le lamentele di una ragazzina era l’ultima cosa che desiderava, magari … 
«Forza, racconta», le sussurrò assumendo un’espressione angelica e comprensiva. 
Non poteva crederci, non poteva decifrare il motivo per cui le sue mani avevano cominciato inspiegabilmente a tremare. Okay, la cosa si faceva seria. 
«Niente, ho appena litigato abbastanza pesantemente con i miei». 
Lo sguardo della ragazza si era abbassato, non riusciva a sostenere quello del moro, non riusciva a tener testa a quei due pozzi così scuri e impenetrabili, così chiari per certi aspetti e misteriosi per altri. Il suono delle onde che si abbattevano sulla spiaggia faceva da sfondo a quel quadro quasi perfetto; i raggi del sole stavano pian piano scomparendo sotto l’orizzonte e il buio della notte si stava avvicinando. 
«Per quale motivo?», chiese improvvisamente con una voce calda e preoccupata. 
«Cazzate», rispose lei prontamente sperando che il discorso terminasse lì. 
Alzò lo sguardo non sentendolo rispondere e appena incontrò le sue sfere ci si tuffò dentro; erano peggio di un amuleto, una maledizione senza scampo. Le mani avevano cominciato perfino a tremare e un brivido le attraversò la schiena, facendola rabbrividire. 
«Stai bene adesso?». 
Ed ecco come lui le entrò ancora più nel cuore, ecco come - inconsciamente - si innamorò ancora di più di lui; non le aveva chiesto più spiegazioni, non aveva insistito, non aveva investigato. Si era limitato a chiederle come stava. 
E per lei questo valeva più di qualunque altra cosa. 
Il ragazzo si calmò appena vide un sorriso sincero dipingersi sul viso di lei e ricambiò il gesto, cercando di tenere a bada le emozioni che sentiva dentro; un vortice di gioia e felicità si era impossessato di lui e da un momento all’altro aveva cambiato umore. L’aveva vista raggomitola sulla panchina, con la testa china, e questo gli aveva provato un certa e insolita - oltre che inspiegabile - preoccupazione. 
Perché? 
Perché si sentiva così protettivo nei suoi confronti? 
Perché le interessava così tanto? 
E soprattutto, perché sentiva una morsa attanagliargli il petto ogni qual volta lei rideva delle battute di Louis? 
Non poteva essere geloso, no, era impossibile, lui non si era innamorato, lui non credeva nell’amore, lui non provava certe emozioni, lui … 
«Come mai sei qui?», e così la voce della ragazza lo riportò alla realtà sospendendo il suo monologo interiore. 
La fissò negli occhi per qualche istante, perdendosi in quelle sfere scure che tanto lo attraevano, e poi distolse lo sguardo e si mise a fissare il mare in lontananza, sapendo però che lei lo stava ancora osservando. Un brivido gli attraversò la schiena, e questo non fece altro che aumentare ancora di più i suoi dubbi. 
«Avevo bisogno di pensare», sussurrò appena, nemmeno fosse uno dei suoi più grandi segreti. 
Ed era vero: era l’esatta cosa che era successa anche a lei qualche giorno prima, entrambi erano confusi e incapaci di rendersi conto di cosa stesse succedendo. 
Lo sapevano in fondo, ma si rifiutavano di constatarlo. 
Anche perché erano letteralmente convinti di non essere ricambiati. 
Restarono in silenzio per un altro paio di minuti, l’uno a pensare all’altra, finché lei non si rese conto dell’ora. 
Incredibile come fosse passato tutto quel tempo. 
«Devo andare», sussurrò appena mentre si alzava, neanche avesse paura della sua reazione. 
Il pakistano voltò di scatto la testa e annuì appena, continuando a fissarla negli occhi. 
«A domani», lo salutò prima di cominciare a muovere qualche passo in direzione dell’albergo. 
Ecco, in uno dei classici film americani adesso lui l’avrebbe chiamata per nome, le avrebbe detto di aspettare mentre la raggiungeva e l’avrebbe baciata appassionatamente, facendo culminare le emozioni che provavano entrambi. Sarebbe stato troppo bello se fosse successo davvero, troppo surreale, troppo impossibile. Sarebbe stato bello, se solo entrambi si fossero innamorati, sarebbe stato bello se … 
«Aspetta», fu la supplica che uscì inspiegabilmente dalla bocca del moro. 
L’aveva detto veramente? 
Aveva pronunciato davvero quella parola? 
La ragazza si voltò e notò che la stava raggiungendo a passo svelto, e in un attimo furono di nuovo vicini: si scrutarono negli occhi scuri di entrambi, che brillavano reciprocamente alla luce della luna, si sorrisero imbarazzati e ricominciarono a camminare verso l’albergo. 
«Ti accompagno», fu la scusante del tipo. 
Non riuscivano davvero a stare lontani, erano peggio di una calamita. 
L’unico rumore che li accompagnava era lo scrosciare delle onde che si abbattevano sulla spiaggia e le musiche tipe da vacanza che si sentivano in lontananza; si scambiarono appena qualche parola, lo stretto necessario, proprio perché entrambi si trovavano bene nel silenzio. 
Lungo il lungomare ci fu uno strano gioco di sguardi e imbarazzo comune, ma nonostante questo entrambi sentivano che la vicinanza dell’altro li metteva di buon umore e li tranquillizzava pure; era come se tutti i pensieri, tutti i dubbi sparissero e rimanesse solo la pace e la gioia del momento. 
Il cuore di entrambi batteva forte e tutti e due sentivano lo stomaco in subbuglio: più evidente di così? Niente da fare, il cervello rimaneva saldo sulla sua convinzione. 
Lei non si era innamorata di lui. 
Lui non si era innamorato di lei. 
Zayn aveva appena fatto una piccola battuta e lei stava ridendo sonoramente, riempiendo quel silenzio che li circondava con la sua risata. Anche lui stava sorridendo amabilmente mentre la osservava in ogni minimo movimento; adorava come si muoveva, adorava il fatto che non fosse come tutte le ragazze che aveva incontrato finora, adorava la sua timidezza e il rossore che si dipingeva spesso sulle guance; adorava quei momenti dove entrambi si fissavano negli occhi e ancora di più quando camminavano fianco a fianco da soli. 
Il moro cerco di trattenere lo stimolo di abbracciarla; non sapeva cosa gli stava succedendo, non capiva il motivo di tutti quei pensieri, di quelle voglie. 
Perché a lui? 
Perché proprio a lui? 
Perché mai … 
Fermò il suo monologo interiore quando sentì la risata della ragazza spegnersi tutto d’un tratto. 
La guardò preoccupato e poi seguì il suo sguardo, che terminava alla vista di un tipo di circa vent’anni, ubriaco fradicio, che li osservava in modo alquanto provocante. 
Una strana rabbia cominciò ad attanagliargli il petto e cercò inutilmente di mantenere la calma mentre quel tipo cominciava ad emettere frasi sconnesse e senza senso. 
Non riuscì a controllare il suo stimolo quando il suo braccio circondò i fianchi della ragazza, leggermente impaurita, e aumentò il passo portando entrambi lontano da quel luogo. 
Quel gesto aveva sorpreso lei quanto lui: inutile ripetere che le sue guance si erano infiammate dopo il tocco del pakistano e la vicinanza che si era creata tra loro. Non riusciva a credere che lo avesse fatto davvero, ma soprattutto non ne capiva fino in fondo il motivo. Brividi le attraversavano la schiena e il punto dove lui la teneva era leggermenteinfuocato. 
Non le era mai successa una cosa del genere, non le era mai successo di trovarsi in una situazione del genere e di conseguenza non sapeva come comportarsi. 
Girato l’angolo si fermarono entrambi e lui tolse la mano dal suo fianco, voltandosi e cominciando a sussurrare qualche parola in quel che sembrava arabo. Lei, invece, se ne rimase zitta, ancora troppo scioccata per emettere anche una singola lettera; quando lui se ne accorse, non perse tempo per scusarsi. 
«Perdonami, il fatto è che … Volevo dare una lezione a quello stronzo». 
La sua voce sembrava quasi spezzata e tremendamente triste, come se fosse in collera con se stesso per quello che aveva appena fatto. 
«Tranquillo, non è successo niente», lo rassicurò lei cercando di essere il più convincente possibile. 
Si guardarono ancora una volta nei occhi l’uno dell’altra, si incatenarono a vicenda provando mille emozioni e poi ricominciarono a camminare. 
Non ci misero molto ad arrivare davanti al residence e, di conseguenza, a doversi salutare, nonostante la tristezza di entrambi. 
«Grazie per essere rimasto con me e, ehm, buonanotte», cercò di dire la ragazza mentre arrossiva di nuovo e un piccolo sorriso si formava sul viso del moro. 
«Figurati, buonanotte Nicky», le rispose facendole ancora una volta l’occhiolino prima di scomparire dietro l’angolo, immerso nel buio della notte. 
Lei, ancora una volta, se ne rimase imbambolata per alcuni secondi, sorpresa del fatto che lui l’avesse chiamata ancora con quel soprannome e incanta dalla bellezza di quel ragazzo. Non riusciva a comprendere fino in fondo cosa le stava succedendo, così come lui, ma pian piano ci si stavano avvicinando, pian piano stavano capendo davvero cos’era successo ad entrambi. 
Ancora un po’ e avrebbero avuto le prove certe per dire di essersi innamorati. 
Ancora un po’ e lo avrebbero constatato loro stessi. 
Ancora un po’, e l’inaspettato sarebbe successo. 

Richiuse di nuovo quel libretto appena il racconto di quella sera terminò e si asciugò le lacrime che le erano scivolate di nuovo lungo le guance, senza che se ne accorgesse. 
Era quasi surreale la favola che aveva vissuto. 
Era quasi impossibile. 
Se non fosse per quelle prove avrebbe giurato di essersi inventata tutto. 
Ma non era così, e lei lo sapeva bene. 
Rimise il quaderno dentro il cassetto e si alzò, con la scusa di sistemare le ultime cose. Sapeva bene che non avrebbe resistito, sapeva benissimo che la voglia di andare avanti non l’avrebbe fermata più di tanto. Scommise su quanto avrebbe potuto opporsi, e il risultato fece assolutamente pena. 
Respirò l’aria pura che entrava dalla finestra e si mise a guardare il cielo con un sorriso amaro stampato sulle labbra. Si sentiva strana e non lo negava. 
Forse in fondo rivivere quelle emozioni aveva anche un lato positivo. 
Forse l’avrebbe aiutata a chiudere definitivamente il capitolo. 
Forse si sarebbe del tutto rassegnata e sarebbe andata avanti, proprio come se non fosse successo nulla. 
Forse … 
Cazzate. 
Sapeva benissimo come si sarebbe sentita se avesse continuato a leggere. 
Sapeva benissimo come sarebbe stata dopo. 
Lo sapeva. 
Eppure non riusciva a smettere. 
Era peggio della migliore droga del mondo. 
Era l’inferno, una maledizione, la trappola del diavolo. 
Lo sapeva, eppure continuò a farlo. 
Voltò lo sguardo verso lo scaffale e si riprese quel dannato libretto. 
Sapeva che sarebbe stata male. 
Sapeva che avrebbe sofferto di nuovo. 
Lo sapeva. 
Ma questa volta decise di non dare ascolto alla testa e di fare come le pareva. 
Non le importava più di nulla.



Angolo Autrice: 
Sono puntuale come un orologio svizzero! :D 
*grilli cantano nella notte* 
Okay, niente battute stupide x) 
Allora, ecco qui il capitolo 6 7 – oddio già al sette siamo? – che, sinceramente, non so come definirlo. 
Diciamo che Nicole e Zayn si stanno avvicinando sempre di più e le domande che la nostra protagonista si fa da quando lo ha incontrato la prima volta cominciano a farsi strada anche nella mente confusa del moro :) 
Vi anticipo che nei prossimi due capitoli ci saranno degli episodi interessanti :D 
Ringrazio infinitivamente tutte le ragazze che hanno messo la storia tra le seguite / ricordate / preferite e tutte quelle che hanno recensito lo scorso capitolo lasciandomi delle così belle parole <3 
Se vi va, ovviamente, lasciatemi il vostro parere riguardo questo, non potete neppure immaginare quanto mi farebbe piacere :) 
Adesso tolgo il disturbo e torno a studiare glucidi, lipidi, protidi e chi ne ha più ne metta xD 
Un bacione a tutte e a presto, 
Another_Life 
xoxo

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


88

Change My Mind

Capitolo 8


Flashback 
«Wow, quella sì che è una bomba», esclamò il ragazzo dagli occhi azzurri con un tono di voce abbastanza basso, in modo tale che solo i suoi amici potessero sentirlo. 
Il suo sguardo era indirizzato ad una tipa di almeno cinque anni più grande di lui, con due airbag al posto dei seni, un fondoschiena decisamente troppo grande, dei capelli decisamente troppo ossigenati, del trucco decisamente troppo pesante per essere al mare, una voce decisamente troppo stridula e un comportamento decisamente troppo da …bella ragazza di strada. 
Nicole fissò scandalizzata e leggermente scioccata il tipo, che alla vista dell’espressione che aveva appena fatto la sua amica si sganasciò dalle risate. 
«Spero vivamente che tu abbia scherzato», mormorò lei continuando a fissare quella tipa. 
Non riusciva davvero a capire come avesse potuto sistemarsi in quel modo, un po’ di contegno non lo aveva mica? Lei non avrebbe avuto nemmeno il coraggio di provarsi quelle cose, figuriamoci uscire e farsi vedere al mondo. 
Certa gente davvero non la capiva. 
Continuò a tenere la fronte corrugata e lo sguardo perso nei suoi pensieri mentre anche l’altro biondo seguiva le risate del cugino; il moro, al contrario, non si era scomposto, non era andato oltre al sorriso e la stava continuando a fissare, stava continuando a mangiarla con gli occhi, cercando in questo modo di approfondire quello che sapeva di lei, cercando di analizzare meglio il suo carattere, le sue idee, i suoi desideri. Improvvisamente, sentendosi attraversata da quelle sfere, la ragazza ritornò in sé e si svoltò per incontrare di nuovo quegli assassini, che non facevano altro che scombussolarla, renderla vulnerabile e tremendamente in soggezione. 
La scena non era sfuggita allo sguardo attento del ragazzo con gli occhi azzurri, che adesso stava tramando una strategia per far iniziare qualcosa tra i due; sapeva bene che si piacevano, e molto anche, bastava osservare il gioco di sguardi che si scambiavano dalla mattina alla sera, oppure l’incredibile feeling che avevano, o ancora come cambiavano umore quando compariva l’uno o l’altra. Era a conoscenza anche del fatto che tutti si conoscevano da pochissimo tempo, ma credeva fermamente nel colpo di fulmine e questo non aveva che fatto aumentare le sue convinzioni. 
Nonostante per lui si potessero descrivere ancora come due sconosciuti, teneva ad entrambi allo stesso modo; Louis era uno di quei rari ragazzi che si affezionavano subito alle persone, che constatavano ad un primo impatto che tipo di soggetto si trovavano davanti, che facevano di tutto per aiutare gli amici e renderli felici. 
Era davvero un ragazzo d’oro. 
Nell’ora che seguì continuò a lanciare sguardi alla coppia di innamorati senza che nessuno se ne accorgesse: avete presente Romeo e Giulietta? Appunto, quei due erano peggio di loro. Era quasi assurdo come continuassero a sorridersi a vicenda e a fissarsi intensamente negli occhi, per poi avere il coraggio di dire che non provavano niente l’una per l’altro. E ancora più assurdo era il comportamento di Liam, che sembrava ignorare perfettamente la situazione, oppure neanche la comprendeva. 
D’altra parte era lui il più grande, quello che, come dire, aveva vissuto di più e aveva già visto scene di questo genere, anche se nessuna di quelle poteva anche solo essere comparata con quella a cui si trovava di fronte. L’amore era nell’aria, lo si sentiva benissimo, l’espressione di felicità di tutti era evidentissima. 
E ancora avevano il coraggio di negarlo. 
Bah, non li capiva proprio. 
Forse avevano semplicemente paura di star male, forse non volevano ferirsi a vicenda, forse … 
«Io devo andare», mormorò la ragazza riscuotendo tutti e tre dai rispettivi pensieri. 
Tre paia di occhi si focalizzarono su di lei, tre paia di occhi così diversi ma che alla fine trasmettevano la stessa cosa. 
«Stasera vi va di andare al luna park?», domandò speranzosa la voce squillante di Louis. 
Si stava maledicendo per non averci pensato prima, quel luogo era perfetto per riuscire a far avvicinare quei due piccioncini, per farli finalmente uscire allo scoperto. 
Ma prima doveva assolutamente parlare con il moro. 
«Okay, per me va bene!», rispose contenta la tipa. 
Tutto diventava sempre più evidente: lei non riusciva a stare lontana da lui e lui non riusciva a stare lontano da lei, ragion per cui lui aveva accettato subito dopo. 
«Accompagnala, poi ti spiego», sussurrò il ragazzo all’orecchio del cugino in modo tale che solo lui lo sentisse. 
Lo sguardo di Liam era un misto tra il preoccupato, il confuso e lo smarrito, ma dopo l’occhiataccia dell’altro fece come gli aveva ordinato Peter Pan. In fondo, non aveva altra scelta. 
«Nicole aspetta, ti accompagno», esclamò mister-occhi-cioccolato alla ragazza che era già qualche passo avanti. 
Quando entrambi furono spariti dietro gli ombrelloni - e dopo aver sorriso trionfante alla vista dello sguardo omicida del pakistano - Louis si avvicinò a questo con aria tranquilla. 
Restarono qualche secondo nel più assoluto silenzio - cosa abbastanza rara per il diciottenne ancora bambino - e poi si scambiarono qualche battuta amichevole su questo o quel tizio. 
«Allora, hai trovato qualche ragazza che ha fatto battere il cuore?», scherzò il più grande, mostrandosi tranquillo e rilassato quando invece teneva sotto osservazione ogni mossa del suo amico. 
Il moro ebbe un tremito ripensando al sorriso e agli occhi di Nicole. 
Continuò a fissare l’orizzonte prima di focalizzarsi sull’altro e analizzare le sue intenzioni attraverso quei pozzi che aveva come occhi; l’odore di salsedine invadeva le narici di entrambi, che non scostavano lo sguardo l’uno dall’altro, mentre alcune famiglie cominciavano a tornare nei rispettivi alberghi. La vita al mare era così, eternamente monotona, peggio di una ruotine; forse gli unici che si divertivano davvero erano i giovani, che dormivano fino a tardi e la sera uscivano e andavano in discoteca: in pratica la spiaggia non la vedevano mai. 
Mille pensieri stavano fluttuando in modo veloce nella mente del pakistano, che oltre a tenere a bada tutti quelli che riguardavano lei, doveva pure fare i conti con le strane idee che facevano sorridere il suo amico. 
«Dove vuoi andare a parare?», domandò secco il ragazzo alludendo un mezzo sorriso. 
La - finta - espressione sorpresa e incoerente di Louis non fece che aumentare le argomentazioni a sostegno della tesi di Zayn, che alzò entrambe le sopracciglia e continuò a fissare l’altro. 
«Okay, okay, hai vinto tu», sospirò amaramente il castano, deluso di essere stato scoperto. 
Il moro si fece una piccola risata, una di quelle naturali e spontanee, una di quelle che ti rendono per un momento felice e ti fanno dimenticare per pochi secondi tutti i tuoi problemi e le tue fissazioni. 
Ripeto: per un tempo decisamente troppo breve. 
Si arrestò improvvisamente quando il viso della ragazza ricomparve tra i suoi pensieri; lo sguardo perso nel vuoto, le labbra serrate e gli occhi che non fissavano veramente il suolo fecero scuotere la testa dell’amico, che sorrideva incantato da come fosse potente l’amore. 
«Quando pensi di farti avanti?», gli domandò poco dopo, prendendo alla sprovvista il pakistano. 
Le sfere di questo inchiodarono Louis in un solo secondo, impaurite e allo stesso tempo allarmate; in fondo, non lo sapeva nemmeno lui. Sarebbe servito a qualcosa? Avrebbe potuto mai succedere qualcosa tra i due? Lei avrebbe mai potuto ricambiare? 
Ma soprattutto, cosa provava lui? 
«Senti degli strani brividi quando vi sfiorate?» 
La voce di Lou riecheggiò nella mente del moro; non c’erano dubbi, lui aveva perfettamente centrato il segno, e ancora meglio, aveva capito le perplessità e le domande silenziose dell’amico. 
«Senti le farfalle nello stomaco quando sorride?» 
Zayn ripensò alle labbra della ragazza che si curvavano verso l’altro, alle sue guance perennemente arrossate, a quanto la piaceva la sua allegria. 
«Senti la sua risata rimbombarti dentro e risuonarti nelle orecchie quando ride?» 
Adorava vederla ridere, questo era poco ma sicuro; lo metteva di buon umore, gli riaccendeva la giornata, lo faceva sentire vivo. In un qualche modo si sentiva di appartenerle, ma contemporaneamente sapeva che non avrebbero mai potuto stare assieme, che lei non sarebbe mai stata sua. 
«Ti manca quando se ne va?» 
La voce del ragazzo riportò il pakistano alla realtà, per concentrarsi poi su tutte quelle volte che aveva sentito una morsa attanagliargli il petto appena lei si allontanava da lui. 
Ma era possibile? 
Era davvero … innamorato? 
No, no, non era da lui, non era da un tipo come lui, non era da Zayn Malik, non era … 
Improvvisamente il moro alzò lo sguardo e incrociò quello sorridente e spensierato di Louis, che poco dopo cominciò ad annuire con molta convinzione. 
Era davvero … innamorato? 
«Louis, non può … non è possibile … non …», cominciò a balbettare il moro. 
Era quasi assurdo come si stesse comportando, come un tipo come lui si stesse comportando, e il tutto semplicemente a causa dell’amore. Era scientificamente provato come i maschi di solito respingessero quel sentimento - per paura, per timore, per semplice ingenuità - ma quella scena era davvero fuori dal comune; con un padre pakistano e un aspetto da futuro bad boy nessuno avrebbe mai nemmeno lontanamente pensato che Zayn potesse essere così insicuro. 
«Aspetta, perché dovrei farlo? Lei mi ha espressamente detto che non le piaccio, quindi …», il moro non riuscì a terminare la frase a causa dello sguardo omicida dell’amico. 
«Lei ha detto cosa?» 
La confusione di quel momento era palpabile; il moro spiegò per filo e per segno quello che era accaduto il giorno prima, con un tono lievemente incrinato e la mente in totale smarrimento. 
«Mentiva», fu la risposta secca di Louis dopo qualche secondo di assoluto silenzio. 
L’espressione ambigua e disorientata del pakistano parlò per lui; non riusciva a capire come l’altro potesse essere così obbiettivo, come potesse avere sempre la risposta giusta a tutto, come facesse ad essere costantemente sicuro dei sentimenti di quei due. 
«Lascia fare a me, e poi mi ringrazierai», esclamò quello dagli occhi chiari sorridendo beffardo. 
Una cosa era sicura: Zayn sapeva bene che il suo amico aveva in mente qualcosa, e in un certo senso ne era allo stesso tempo felice e preoccupato. 
Non lo conosceva da abbastanza per dire che tipo fosse, ma si fidava di lui. 
E questo era sufficiente. 

«Che fai?», la voce di sua sorella le rimbombò nella mente, distogliendola dalla lettura. 
Una ragazza di quasi quindici anni entrò nella stanza: i capelli biondo grano le ricadevano sulle spalle e gli occhi verdi, vispi come nessun altro, osservavano il quaderno che l’altra teneva in mano. 
Aveva la sua età, pensò la maggiore, quando successe tutto. 
Aveva la sua età quando si innamorò per la prima volta. 
Che strano, molti dicono che quando si è adolescenti non si va oltre la prima cotta, che il primo vero sentimento di amore lo si può provare solamente quando sei maturo, quando hai almeno vent’anni. 
E lei allora? 
Cosa le era successo? 
Perché lei aveva avuto il “privilegio” di provarlo prima? 
Forse perché era solamente fatta male. 
O forse perché era solamente l’eccezione che confermava la regola. 
Lo aveva sognato da sempre, l’amore; era una di quelle ragazze che non facevano altro che pensare a quando sarebbe successo, e con chi, e allo stesso tempo erano convinte che non lo avrebbero vissuto prima dei diciassette o diciott'anni. 
E invece. 
Quando mai ne azzeccava una lei? 
Quando mai? 
Quando mai ci vedeva bene in qualcosa? 
«Vattene», fu la sua risposta secca.  
Diretta, veloce, indole. 
La più piccola grugnì qualcosa di incomprensibile e se ne andò, non prima però di averle fatto la linguaccia, alla quale l’altra rispose con un silenzioso e poco elegante invito di andare a quel paese. 
Odiava quando qualcuno la distraeva, era più forte di lei, non lo sopportava, soprattutto se stava facendo qualcosa di importante, come rileggere quel dannato libretto. 
Cacciò via una lacrima che le aveva rigato la guancia e tornò nel suo passato. 

Flashback 
«Chi vuole andare sulle montagne russe?» 
La voce di Liam che urlava per farsi sentire arrivò appena alle orecchie dei suoi compagni, che si fermarono in un angolo e cominciarono a fissarsi reciprocamente. 
«Io non so se …», cominciò a balbettare la ragazza che improvvisamente si sentì lo sguardo di tutti addosso; uno, in particolare, la stava trapassando da almeno un’ora. 
«Forza, sarà divertente!», esclamò Louis cominciando a spingere i suoi amici verso la giostra che distava poco dal punto in cui si trovavano loro. 
Il luna park era affollatissimo di gente, lei non ne aveva mai vista così tanta in un unico posto; famiglie di tutte le nazionalità, gruppi di giovani che chiacchieravano in tedesco, francese, spagnolo, inglese e cinese passavano vicino a quella ragazza così affascinata da tutto ciò. Nella sua vita non aveva viaggiato molto e di conseguenza non si era mai ritrovata in una circostanza simile; il parco traboccava di chioschi, autoscontri, ruote panoramiche e varie giostre, una più complessa dell’altra. 
La temperatura fortunatamente si era abbassata ma con tutta quella folla il caldo si faceva ancora sentire; le guance rosse della ragazza facevano sorridere il moro e l’odore di vaniglia dei suoi capelli castani appena lavati gli inebriava le narici. La conversazione con Louis di quel pomeriggio gli rimbombava ancora in mente, ma ora era troppo occupato ad osservare quella tipa che gli aveva rubato il cuore per dargliene importanza. Il buio era sceso ormai da un pezzo e la miriade di luci colorate che circondavano la zona avrebbe potuto mettere di buon umore perfino l’uomo più cattivo al mondo, oltre al fatto che sembrava di essere già Natale. 
Ormai erano in fila da più di dieci minuti: i due innamorati si erano persi in un piccolo dialogo - nel quale lui ci metteva tutto se stesso per farla ridere - quando improvvisamente notarono che finalmente toccava a loro salire. Si voltarono per avvisare gli altri due - che teoricamente dovevano essere alle loro spalle - e rimasero scioccati quando non li trovarono; provarono a scorgerli nei dintorni ma niente, si erano volatilizzati in un secondo. 
Furono costretti così a salire da soli - dopo che il giostraio spazientito aveva chiaramente espresso che o salivano o se ne andavano - ed entrambi arrossirono per l’imbarazzo. Sapevano bene quale fosse stato lo scopo di Louis e sapevano ancora meglio che lui non avrebbe mollato fino a che non fosse riuscito nel suo intento; ma erano a conoscenza dei sentimenti l’uno per l’altra? 
Ancora no. 
Il moro forse sì, forse si stava convincendo del fatto che anche lui piaceva a lei, forse stava solo cercando la conferma a quello che poi lo avrebbe reso il ragazzo più felice del mondo; lei, d’altro canto, era consapevole del fatto che - forse - quello che provava per il pakistano non era un semplice sentimento di amicizia, ma non si immaginava nemmeno lontanamente che lui potesse ricambiare. 
Non era mai stata una di quelle ragazza con il fisico perfetto, i capelli sempre al loro posto, la pelle liscissima e un carattere socievole e malizioso; no, era decisamente il contrario. 
E allora? 
Cosa mai avrebbe potuto interessare a lui di lei? 
Cosa sarebbe potuto succedere? 
Cosa avrebbe potuto pensare? 
Il monologo della tipa si arrestò non appena sentì l’aggeggio su cui era seduta muoversi: sbarrò gli occhi terrorizzata e strinse le mani sulle protezioni di ferro. La giostra cominciò il suo giro, e mentre tutte le persone dietro di lei non facevano altro che urlare felici, lei voleva piangere; aveva sempre avuto paura dell’altezza, ne era sempre stata impaurita, ed ora che si stava proprio avvicinando al punto più altro - con una velocità che andava diminuendo - il suo cuore stava per scoppiare. 
La vicinanza con il moro, poi, non le giovava nemmeno un pochino. 
Fu un attimo, e i binari cominciarono a scendere in picchiata. 
Fu un attimo, e lei non seppe resistere e si coprì gli occhi con una mano. 
Fu un attimo, e sentì la presa calda del moro premerle sulla mano libera. 
Fu un susseguirsi di emozioni contrastanti: il contatto con la sua pelle la fece rabbrividire mentre il vento freddo le pungeva il viso; il cuore le esplose nel petto e questa volta ebbe veramente paura che potesse uscirle dal corpo; la sua mente andò nel più totale tilt, non connettendo più alcuna informazione, non riuscendo più ad attivarsi, e il braccio cominciò a vibrarle piano, inconsapevolmente, così come i piedi. 
Cosa stava succedendo? 
Perché tutti quelle emozioni? 
Perché si sentiva così … vulnerabile? 
Così … nuda? 
Così … protetta? 
Il giro finì improvvisamente, senza che lei se ne rendesse conto, senza che l’avesse veramente vissuto; una cosa, però, la sentiva ancora. 
La mano calda di Zayn sulla sua. 
Erano ancora lì, strette così come non lo erano mai state, così come entrambi non avrebbero mai pensato di vederle. Erano lì, l’oggetto di osservazione di entrambi, che appena alzarono lo sguardo e si trapassarono a vicenda tutti e due sentirono un brivido attraversare le rispettive schiene. 
«Stai bene?», domandò il moro avvicinandosi leggermente e interrompendo il contatto. 
«Più o meno. Sapevo che non sarebbe stata una buona idea», gli rispose lei alludendo un sorriso. 
Vedendo quel gesto il tipo non poté far altro che rilassarsi e tranquillizzarsi; non sapeva perché lo aveva fatto, non aveva la minima idea del perché le avesse stretto la mano, sapeva soltanto che averla vista così impaurita lo aveva fatto preoccupare, come se fosse compito suo proteggerla. 
Scesero in fretta e si allontanarono da quella giostra, andando verso la parte meno affollata del parco. 
Stava diventando sorda: le incessanti urla di tutti quei bambini le spaccavano i timpani e diventavano sempre più fastidiose e irritanti; non amava la confusione, preferiva di gran lunga rimanersene a guardare il mare sotto le stelle, lo scrosciare delle onde come unico suono nelle vicinanze. Poteva sembrare patetica e all’antica, ma non ci poteva fare niente. 
La folla a poco a poco diminuiva mentre loro camminavano controcorrente; entrambi si fissavano a momenti alterni, entrambi sentivano lo sguardo dell’altro su di sé quando i loro occhi cercavano di concentrarsi su un punto indefinito. Un brivido percosse la schiena della ragazza, facendola tremare impercettibilmente, e le perle di lui si focalizzarono sulla compagna. 
«Hai freddo?», le domandò con fare protettivo. 
Non sapeva perché teneva così tanto a quella ragazza appena conosciuta, non aveva la minima idea del perché le si sentisse così vicino, o del perché percepiva che la doveva difendere, e tutelare in un certo senso. Non sapeva neppure perché non riuscisse a distoglierle gli occhi di dosso, del perché si ripetesse quanto per lui fosse bella, quanto fosse speciale. 
Diversa da tutte le altre. 
Lei, d’altro canto, si sentiva al sicuro con lui vicino, si sentiva bene, in pace con se stessa, completa come non lo era mai stato; percepiva lo stomaco in subbuglio, la mente annebbiata e il cuore saltarle nel petto alla sua vicinanza, allo sentire la sua risata, al vedere il suo sorriso. 
All’udir semplicemente pronunciare il suo nome. 
Com’era possibile? 
Com’era possibile che due adolescenti si fossero innamorati così? 
Dopo essersi conosciuti neanche tre giorni prima? 
Dopo aver passato gran tempo assieme, ma sapendo pochissimo della vita dell’altro? 
Com’era possibile? 
Era destino? 
O solamente delle strane e bizzarre coincidenze? 
Magari quello che provavano non era nemmeno amore, magari stavano entrambi scambiando una semplice cotta estiva per qualcosa di più, magari … 
No. 
Si poteva essere convinti di tutto, tranne del fatto che quei ragazzi non fossero innamorati. 
Bastava vedere come si guardavano. 
Bastava osservare lo sguardo sognante che avevano dalla mattina alla sera. 
Bastava sentire l’armonia che regnava tra loro in ogni singolo momento della giornata. 
Bastava constatare quanto stessero bene assieme e come si completassero. 
Erano fatti l’uno per l’altra. 
Louis aveva ragione, ci aveva centrato in pieno. 
E piano piano stavano cominciando a rendersene conto anche loro. 
Piano piano, ma ci stavano arrivando.



Angolo Autrice:
Eccomi qui! :D
Come state?
Io sono qui, in camera mia, mille pastelli colorati sparsi sulla scrivania, un cartellone bianco e l’ansia che mio padre entri a momenti e veda la sorpresa che gli sto facendo per il compleanno xD
Oltre a questo, sono finalmente riuscita a postare :)
In questo capitolo Louis parla con Zayn – eh, mica poteva farlo solamente con Nicole x) – e poi ritroviamo i ragazzi al luna park. Liam e suo cugino lasciano appositamente i due piccioncini da soli, sperando che riescano a dichiararsi, ma mi dispiace, dovrete pazientare ancora un po’ per questo xD
Nel prossimo capitolo? Nah, anzi, avverrà un piccolo casino x)
Basta, ho già detto troppo e non voglio rovinarvi la sorpresa :)

Sapete che vi sono infinitamente grata se riuscite a lasciarmi una recensione, non è vero? Per me è davvero importantissimo sapere la vostra opinione, dico davvero :)
Detto questo vi ringrazio di nuovo, o voi anime pie che mi avete lasciato i vostri pensieri negli scorsi capitoli, e ringrazio coloro che amano questa fan fiction :)
Spero che questo episodio vi sia piaciuto :)
See you soon :)
Un bacione enorme a tutte :3
Another_Life
xoxo


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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


88

Change My Mind

Capitolo 9

Flashback 
«Wow, bravo!», esclamò la ragazza appena il moro ebbe abbattuto un’altra lattina vuota, sotto lo sguardo sorpreso del giostraio. 
Dopo essere andati in cerca degli altri due per una buona mezz’ora si erano finalmente decisi a divertirsi e a lasciarli perdere; probabilmente erano a spassarsela su qualche giostra pericolosa, troppo impegnati a conquistare nuove ragazze, e con la musica assordante non avranno nemmeno sentito il cellulare squillare più e più volte. 
Il pakistano aveva avuto un’idea brillante: aveva deciso di provare il tiro con le pistole impegnandosi seriamente per regalare il premio a quella tipa che lo faceva impazzire inconsapevolmente. Avevano fatto una bella chiacchierata, divagandosi sui temi più assurdi e allo stesso tempo anche intelligenti; avevano entrambi scoperto che su molte cose la pensavano allo stesso modo, mentre per altre avevano avuto anche qualche piccolo e innocuo diverbio, terminato con una bella e sonora risata da parte di entrambi. 
Adoravano stare assieme, adoravano poter ridere e parlare così liberamente con qualcuno che li capisse davvero; non era mai successo a tutti e due di trovare una persona così importante e con cui stavano da Dio. 
Per loro, quella serata avrebbe potuto durare in eterno. 
Per loro, quelle ore le avrebbero rifatte altre migliaia di volte. 
Per loro, il tempo che trascorrevano assieme non era mai abbastanza. 
«Complimenti ragazzo, diciassette punti su venti. Puoi scegliere il premio da quelli dell’ultima fila in alto sopra lo scaffale», esordì la voce roca dell’anziano giostraio. 
Il moro scrutò attentamente tutti i vari tipi di giocattoli e alla fine ne scelse uno di carinissimo: un piccolo orsacchiotto bianco che teneva con cuore con scritto I Love You. 
Lo prese dalle mani dell’uomo e si voltò per darlo a lei, la cui espressione fu epica: un misto di meraviglia, sorpresa, felicità allo stato puro, euforia, inquietudine e confusione, tutte provate in un solo istante. 
Era meravigliata che lui le lo avesse regalato. 
Era stupita del fatto che, tra tutti, avesse preso proprio quello con la frase più semplice e più romantica da sempre. 
Era incantata dal fatto che lui avesse pensato a lei. 
Era confusa dal fatto che quella potesse essere una dichiarazione. 
E ancora di più, era preoccupata del fatto che si sentiva tra le nuvole come mai le era successo. 
«Ti piace?», le domandò lui appena ripresero a camminare. 
Lei alzò lo sguardo, incontrando le sfere scure e apparentemente impenetrabili dell’amico; si stupì quando ci vide una strana agitazione mista a felicità e speranza. 
Non riusciva a capire cosa potesse significare. 
«E’ fantastico», rispose solamente, con quella poca voce che le era rimasta. 
Le pupille di lui fecero un guizzo di allegria assurda, mostrando una vena di soddisfazione e piacere allo stato puro; involontariamente, sorrise anche lei. Vederlo così non faceva altro che metterla di buon umore, era più forte di lei, come se fosse una specie di calamita: lui esultante significava lei esultante. 
Magari nemmeno per lo stesso motivo, magari anche se non sapeva il perché. 
L’importante era riuscire a scorgere quel magnifico sorriso che tanto adorava. 
Continuarono a camminare fianco a fianco, lui che la spiava senza farglielo capire veramente e lei che non smetteva di accarezzare quel piccolo pupazzo. 
Ormai era diventato uno dei suoi oggetti preferiti. 
Zayn però era anche dubbioso. 
Doveva farlo, doveva farsi avanti, doveva rischiare. 
Era consapevole di provare qualcosa di forte per lei, e sapeva che se non avrebbe tentato se ne sarebbe pentito per tutta la vita. Meglio un rimpianto che un rimorso, no? 
Prese coraggio e piano piano le si fece più vicino; apparentemente, lei non si era accorta di nulla. 
Ora teneva il peluche nella mano destra mentre la sinistra penzolava tra di loro. 
Bene, era il momento giusto, ora o mai più. 
In un secondo le mani dei due si unirono, sotto la guida del tipo. 
Lei sbarrò gli occhi, incredula, sperando che quel che stesse sentendo non fosse vero. Mille brividi le attraversarono la schiena, facendola di nuovo rabbrividire impercettibilmente; non poteva crederci, non poteva essere vero, non poteva essere successo davvero. 
Guardò, come per conferma, quell'intreccio che si era creato, quel fuoco ardente di lui che stringeva il ghiaccio più freddo di lei. 
Alzò di scatto il volto e incontrò le sfere rassicuranti del pakistano; non sapeva come facesse a renderla tranquilla e a farle passare l’agitazione con una semplice occhiata, era quasi assurdo. Gli occhi del ragazzo erano un tornado di domande e curiosità, vogliose di sapere se avesse fatto la mossa sbagliata, se avesse errato i suoi piani. 
Ora stava a lei decidere: se avesse continuato a tenere la mano al moro gli avrebbe confermato i suoi sentimenti, o perlomeno gli avrebbe fatto capire che le piaceva; se non fosse stato così avrebbe dovuto interrompere immediatamente quel contatto, sapendo però che l’avrebbe ferito. 
Ma quali erano i suoi sentimenti? 
Cosa sentiva veramente per lui? 
Era vero, tutto quel turbine di emozioni le percepiva solamente con lui, con nessun altro. Vedere il sorriso di Liam non le provava una fitta allo stomaco, sentire la risata di Louis non la faceva andare in estasi e toccare il cielo con un dito. 
Quindi era vero? 
Era davvero … innamorata? 
A quella domanda una piccola vocina dentro di lei rispose di sì. 
Sorrise così all’amico che sentì la pietra che aveva nel petto frantumarsi, lasciandolo finalmente libero di respirare. Non ci poteva credere, non poteva essere vero. 
Lo aveva fatto davvero? 
Gli aveva sorriso? 
Gli aveva stretto ancora più forte la mano? 
Gli sembrava di vivere un sogno, non aveva mai neanche lontanamente immaginato che lei potesse ricambiare; certo, non si considerava così brutto, ma con lei era diverso, con lei non si sentiva in qualche modo all’altezza, aveva paura, paura di ferirla e, ancora di più, paura di stare male. Credeva nell’amore, certo, ma non pensava che questo potesse averlo colpito così presto, in questo modo, con lei. Non se ne rendeva ancora conto, era ancora tutto troppo bello per essere vero, tutto troppo fantastico, tutto troppo perfetto. 
E per questo entrambi avevano il terrore di soffrire. 
Ma quando erano l’uno accanto all’altra ogni forma di sgomento, di panico, di timore, ogni preoccupazione, ogni angoscia , ogni titubanza, tutte le ansie e le incertezze si dissolvevano come polvere invisibile nel cielo più blu. Sparivano, senza lasciare la minima traccia. 
Si sorrisero a vicenda, distogliendo lo sguardo poco dopo per impedire che il rossore che si era formato sulle guance di entrambi si notasse; risero piano all’unisono per poi stringere ancora di più la presa e continuare a camminare tra la folla. 
Contemporaneamente, poco lontano, un ragazzo castano sorrise trionfante e batté il cinque con il tipo biondo al suo fianco; ci era riuscito, il primo passo era fatto. 
Ora stava a loro continuare. 

Tre ore. 
Tre dannate ore passate a fare shopping. 
Tre ore che non leggeva il suo diario. 
Tre ore in cui il suo stomaco non aveva fatto altro che aggrovigliarsi su se stesso. 
Tre ore in cui la sua mente aveva pensato sempre alla stessa persona. 
E questo non andava bene, per niente. 
Spalancò la porta d’entrata e si fiondò immediatamente in camera, dove posò poco delicatamente le borse - straripanti di vestiti - sopra il suo letto; si fermò solamente quando arrivò davanti allo scaffale, quando vide il cassetto che conteneva la sua droga. 
No, no, si doveva contenere, non poteva continuare in questo modo, no. 
Più se lo ripeteva, più capiva che ormai era troppo tardi; l’errore lo aveva fatto ed ora non si poteva più ritornare indietro. Pentirsi, quindi, non sarebbe servito a niente. 
Prese un grosso respiro e fissò i vestiti che aveva appena comprato; si era resa conto all’ultimo minuto che le mancavano parecchi indumenti e non aveva avuto altra scelta che mettere da parte la sua dipendenza per andare a fare shopping. 
Non che lo odiasse, mettiamolo in chiaro. 
Anzi, forse era quella più sfegatata tra tutte le persone che conosceva. 
Non era una vittima della moda, non impazziva se qualcuno le rubava l’ultimo paio di scarpe in saldo - okay, forse un pochino sì, ma non così esageratamente. Le piaceva sentirsi bella, e vedersi bella, sebbene non fosse così ottimista con il suo aspetto fisico. 
La sua autostima non era poi così alta, per non dire bassissima. 
Si tolse le converse e le buttò poco più in là, si sedette a terra e, delicatamente, prese quel piccolo libricino che, agli occhi di qualcun altro, poteva essere del tutto insignificante. 
Ma non a lei. 
Si ripromise che appena lo avrebbe finito gli avrebbe dato fuoco; sapeva benissimo, era ovvio che dopo sarebbe stata di nuovo male, ma oramai era tardi per rimuginarci su. 
Si ripromise, ancora, che non avrebbe mai più commesso quell'errore. 
E con questo giuramento, riaprì il quadernetto e ritornò nel suo passato. 

Flashback 
Lo stava sognando. 
Lo stava sognando di nuovo. 
Quel sorriso, quegli occhi, quello sguardo, quella risata, quella mano stretta alla sua … 
Okay, stava dando seriamente di matto. 
Non era possibile che una ragazza arrossisse inconsapevolmente anche mentre stava dormendo. 
O no? 
A meno che la ragazza in questione non fosse innamorata. 
O no? 
Si rigirò di nuovo nel letto, di nuovo con le labbra che curvavano verso l’altro, di nuovo con le guance rosse; assaporò inconsapevolmente l’odore salmastro del mare che le arrivò alle narici del naso, storcendo poi questo per il brusco cambiamento olfattivo. 
Era nel bel mezzo del sogno quando improvvisamente qualcuno bussò alla porta. 
Quasi cadde dal letto per lo spavento. 
Maledisse mentalmente chiunque la avesse svegliata e, notando che la sorella non si trovava nella camera - cosa decisamente stranissima: tra le due, la maggiore era quella che si svegliava sempre prima - si alzò. Mise piede in cucina e vide che era vuota, notando poi un biglietto dei suoi genitori sopra il tavolo. 
Siamo andati a fare una passeggiata. Torniamo preso” 
Ricordò così la proposta di andarci assieme che le avevano fatto la sera precedente, alla quale lei aveva cordialmente fatto a meno; dopo la serata al luna park, aveva avuto bisogno di una bella dormita per sistemarsi le idee ed era stata a conoscenza del fatto che ci avrebbe impiegato leggermente molto ad addormentarsi. 
Si era sentiva troppo vivace quella sera, troppo brilla. 
Nemmeno si fosse ubriacata. 
Sempre che l’amore non rientrasse nelle bevande alcoliche. 
Si stropicciò gli occhi sentendo che avevano di nuovo bussato alla porta e si avvicinò a questa, sistemandosi i pantaloncini corti del pigiama e la canottiera. Spostò il ciuffo che le era scivolato davanti agli occhi e contemporaneamente aprì l’ingresso, trovandosi di fronte tutto ma tranne quello che si sarebbe aspettata. 
Tre figure si ergevano in piedi davanti a lei, tutte belle sorridenti, tutte belle sveglie e preparate. 
Tre figure che spalancarono gli occhi appena la videro. 
O meglio, appena costatarono che la loro amica era ancora in pigiama. 
Questa - ancora mezza addormentata - fissò prima il cambiamento delle loro espressioni e poi se stessa, per poi sgranare le sue sfere scure e sbattere quel portone in faccia ai tre ragazzi. 
Il loro sbigottimento era gigantesco. 
Lei, nel frattempo, si era del tutto risvegliata e stava correndo in giro per la stanza, in cerca di qualcosa da indossare; si levò velocemente il pigiama per indossare il costume e un paio di shorts con una canottiera, si sistemò alla ben e meglio i capelli - che stranamente non stavano - decidendo così di legarli in una coda malconcia. Se li stava ancora raccogliendo quando riaprì la porta, ritrovando i suoi amici lì ad aspettarla, tutti e tre con espressioni differenti. 
Il moro era piuttosto imbarazzato e felice allo stesso tempo. 
Liam si stava ancora sganasciando dalla risate, appoggiato con una mano al muro. 
Louis, invece, sembrava che si fosse incanto, ancora con quella faccia incredula, quel mezzo sorriso stampato sulla faccia e la mano a mezz’aria, con l’indice che indicava un punto indefinito davanti a lui. 
A vederlo, perfino lei trattenne le risate. 
«Che ci fate qui?», chiese mentre si sistemava quei benedetti capelli. 
«Che bella accoglienza!», esclamò il tipo dagli occhi chiari fingendosi offeso. 
«Scusa se ero ancora in pigiama!», gli rispose a tono lei. 
Il battibecco era iniziato: quei due erano peggio di cane e gatto, ma nonostante questo avevano legato molto. 
Lui fece per ribattere ma dalla bocca non gli uscì una sillaba; non aveva saputo come rispondere. 
«Ti va di venire a fare colazione con noi?», le domandò il moro con fare speranzoso. 
Inutile dire che gli occhi della ragazza cominciarono a brillare e le sue guance si tinsero di rosso. Accettò volentieri - come avrebbe potuto rifiutare? - e andò a prendere le chiavi e a finire di sistemarsi. 
«Non ci fai entrare?», chiese scherzosamente Lou. 
«No», esclamò ridacchiando lei pochi secondi prima di tornare dai suoi amici. 
Scesero le scale dopo che lei ebbe lasciato un messaggio per i suoi genitori - se fossero rientrati e non l’avessero trovata avrebbero potuto benissimo avere un infarto - e lasciarono il residence. 
Camminavano in fila, lei al centro tra Louis e Zayn, con la mano di quest’ultimo che giocava con le sue dita, facendole provare innumerevoli brividi lungo la schiena e in tutto il corpo. 
Era quasi impressionante come una persona fosse in grado di farti provare tutte quelle emozioni. 
Si sorridevano a vicenda, provando le stesse identiche sensazioni; ancora non riusciva a crederci come fosse arrivata fino a quel punto, ancora non riusciva a memorizzare il fatto che lui le piacesse, e soprattutto che lei piacesse a lui. Il cuore di entrambi scalpitava, robe che non uscisse dal loro petto da un momento all’altro - e di questo entrambi ne erano preoccupati. 
Liam e Louis si erano persi in una conversazione che gli altri due - sebbene fossero neanche a un metro di distanza - non riuscivano a seguire; si sedettero nei tavolini esterni di uno di quei bar che dava sulla spiaggia e cominciarono a sfogliare il menù, tutti indecisi su cosa ordinare. 
«Vuole ordinare?», sentì chiedere da una voce dietro di lei. 
Una voce giovanile. 
Forse la cameriera era giovane. 
Una voce familiare. 
Forse l’aveva già sentita nei giorni scorsi. 
Una voce che le ricordava qualcuno. 
Forse era solamente paranoica. 
Chiuse il listino ancora soprappensiero e con la fronte corrucciata. 
«Ehm, una brioche alla marmellata e …» 
Si fermò appena sollevò il capo e vide le due figure che si ergevano davanti a lei. 
Non era possibile. 
No, non poteva essere vero. 
Ci doveva essere di sicuro un errore. 
Magari stava ancora sognando. 
Magari si era riaddormentata. 
Un sorriso ebete e allo stesso tempo incredulo si formò sul viso della ragazza, che si voltò completamente e subito dopo si alzò in piedi. 
«Non ci credo!», esclamò elettrizzata e contemporaneamente le abbracciò entrambe, stringendole forte a sé come se non le vedesse da decenni. 
Sembrava assurdo che fossero passati solamente sei giorni da quando le aveva viste l’ultima volta: erano successe troppe cose, troppe avvenimenti, troppi cambiamenti. 
Ma soprattutto, era cambiata lei. 
Non in senso estetico e nemmeno caratterialmente. 
Semplicemente, si era innamorata per la prima volta. 
E il ragazzo in questione era maledettamente stupendo, e sembrava perfino ricambiare. 
E dire che era convinta che questa sarebbe stata una di quelle noiose vacanze nelle quali non accadeva nulla di interessante. 
Le tre cominciarono a chiacchierare allegramente e a scambiarsi idee e opinioni, dimenticandosi completamente degli altri tipi che le osservavano con espressioni divertite e confuse. 
Improvvisamente, un colpo di tosse le fece voltare tutte e tre. 
«Ciao», esclamò Louis salutando le due tipe nuove, che lo fissarono assottigliando lo sguardo. 
«E questi?», domandò retorica Serena alla mora assumendo uno sguardo malizioso. 
«Loro sono Louis, Liam e … Z-zayn», cominciò lei balbettando il nome del pakistano quando questo la trapassò con le sue sfere. 
Dio santo, quel gesto l’aveva svegliata interamente e completamente. 
«Loro sono Serena e Marta, le mie migliori amiche», finì cercando di trattenere il rossore che le stava divampando il viso. 
Le due si unirono al tavolo e divisero la vicinanza che c’era stata prima tra lei e il moro, causando la tristezza di entrambi; Louis iniziò subito un discorso con quelle, alle quali si unì poco dopo anche Liam; Nicole cercò in tutti i modi di prenderci parte, ma sentirsi gli occhi del pakistano addosso non la agevolava affatto, anzi, rendeva tutto più difficile. Si sentiva sotto pressione, in soggezione, in ansia perfino, e non riusciva a capirne il motivo. 
La colazione arrivò presto e dopo la fine della lunga conversazione tra gli altri, le due proposero all’amica di andare in spiaggia da sole. 
«Perché non rimanete con noi?», chiese Louis, avvilito dal fatto che li lasciassero soli. 
«Louis, le mie amiche sono già impegnate», lo riprese lei sorridendo amorevolmente. 
«Cosa? Ma io non intendevo questo, io non volevo …», cominciò a giustificarsi lui sotto le risate di tutti. 
«Ho detto che te le avrei presentate, ma non che ti avrei lasciato frequentarle», aggiunse ancora aumentando il divertimento di tutti. 
Una sola persona non rideva, o almeno, faceva finta. 
Il sorriso che aveva sulle labbra non era reale e la sua risata non era la stessa di sempre. 
Lei lo notò subito. 
E subito cominciò a sentirsi in colpa. 
Farlo soffrire, vederlo stare male era l’ultima cosa che avrebbe voluto e, nonostante non ne sapesse ancora il motivo, sapeva che lei centrava qualcosa. 
No, non era mania di protagonismo. 
Non ne era la persona. 
Se lo sentiva semplicemente dentro, proveniva dal cuore e perciò sapeva che era vero. 
Doveva parlargli, anche per chiarire meglio quello che era successo la sera prima. 
Doveva capire cosa provasse. 
Doveva capire i suoi sentimenti. 
Doveva capire se erano ricambiati. 
Doveva capire molte cose e il tempo che le rimaneva non era molto. 
Si doveva sbrigare, e per farlo avrebbe chiesto aiuto anche alle sue migliori amiche. 
Avevano esperienza in quel settore e avrebbero sicuramente potuto aiutarla. 
Salutò i suoi amici e si voltò, non prima di aver incrociato ancora una volta lo sguardo del moro ed aver accennato ad un sorriso, al quale lui non rispose minimamente. 
I suoi occhi erano neri e duri, contornati da un’espressione rigida che non le aveva mai rivolto. 
Allora sì che sentì il mondo crollarle addosso.



Angolo Autrice: 
Perdonatemi! 
Lo so, lo so, avevo detto che in questo capitolo ci sarebbe stato un casino e invece nulla di che… 
Scusatemi davvero, il fatto è che avevo fatto male i calcoli xD 
Il piccolo casino succederà la prossima volta :) 
Tornando a noi, che dite? Che ve ne pare? 
Probabilmente non sarà all’altezza delle vostre aspettative, e per questo mi scuso infinitivamente :( 
*si china e chiede perdono* 
Spero mi direte la vostra opinione con una – anche piccolissima – recensione :) Lo sapete quanto sia importante per me, non è vero? Accetto anche le critiche, quindi non fatevi problemi :) 
  
Nel caso vogliate vedere come io mi sono immaginata le amiche di Nicole, vi lascio due foto qui sotto :)

Marta & Serena

Adesso me ne vado definitivamente, ringraziando di nuovo tutte le ragazze che mi lasciano le loro idee e le loro opinioni e quelle che mettono la storia tra le seguite / ricordate / preferite :) 
Grazie davvero infinite :) 
Buona settima, un bacione a tutte :) 
Another_Life 
xxx

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


88

Change My Mind

Capitolo 10

Moltissime cose nemmeno se le ricordava. 
Moltissimi particolari li aveva completamente rimossi dalla sua mente, mentre ora sembravano essere stati impressi con il fuoco. 
Moltissimi eventi non se li sarebbe più dimenticati, lo sapeva bene. 
Sapeva che sarebbe stata male, sentiva la ferita farsi più grande ogni volta che andava avanti a ricordare, ma fermarsi o tornare indietro era decisamente fuori questione. 
Non poteva, non voleva, non l’avrebbe mai fatto. 
Qualunque fossero state le conseguenze. 
Adesso, poi, mancava davvero poco alla fine di tutto. 
Alla fine di quel libretto, alla fine dei ricordi. 
Mancava poco e l’inferno sarebbe cominciato. 
Un’altra maledetta volta. 

Flashback 
Aveva passato tutta la giornata con le sue inseparabili amiche; si era divertita, l’avevano messa al corrente delle ultime news - sebbene a lei non importasse molto - ma nonostante averle lì avrebbe dovuto essere la cosa più bella del mondo, non si sentiva completamente felice. 
Le mancava qualcosa, o meglio qualcuno. 
Le mancava da morire. 
Le mancava e aveva una paura matta di constatarlo a se stessa. 
Le due, però, non avevano potuto non notarlo così, dopo un lungo giro di parole andarono finalmente al punto, costringendola a parlare e a raccontargli tutto. 
Sentire il loro parere era stata una delle cose più belle in assoluto. 
Sentire che loro l’appoggiavano, sentire che la sostenevano era stato meraviglioso. 
«Ascolta, Nic», e già dal fatto che l’avevano chiamata con quel soprannome che avevano usato solamente in casi estremi e di assoluta importanza, seppe che loro avrebbero avuto ragione in tutto e per tutto. 
«Sei la ragazza più romantica che noi conosciamo e proprio quanto ti innamori decidi di tirarti indietro? Non eri tu quella che diceva sempre che l’amore era l’unica cosa per la quale vale la pena di vivere, l’unica cosa per cui si doveva assolutamente rischiare? Abbiamo visto come vi siete guardati, stupide non lo siamo ancora, e possiamo dirti con certezza che lui ricambia, e molto anche! Ma dico, anche dopo il gesto di ieri sera hai ancora il coraggio di dubitare? Ma sei pazza? Da quel che ci hai raccontato lui è uno dei ragazzi più dolci che tu abbia mai incontrato, no? Ha un bel carattere ed è pure un figo da paura, quindi che aspetti? Non è quello che hai sempre voluto? Quello che hai sempre sognato?»
Non le avevano mai fatto un discorso del genere. 
E non erano neppure mai riuscite a convincerla di una cosa in modo migliore. 
Le aveva abbracciate subito dopo, con le lacrime agli occhi, e si era fatta coccolare da loro come di solito fanno i bambini di cinque anni con i loro genitori. Teneva a loro più di qualunque altra cosa al mondo, erano la sua seconda famigliare, quella sulla quale poteva sempre contare, quella che sapeva che non l’avrebbe mai lasciata da sola, quella che sapeva che non avrebbe mai lasciato. 
Serena e Marta se n’erano andate da appena mezz’ora e lei stava tornando verso il residence, dove probabilmente i suoi la stavano aspettando; il sole stava per tramontare e si poteva già scorgere la luna, nascosta in un angolo e ansiosa di illuminare la notte con la sua flebile luce. 
Si fermò davanti al marciapiede che portava alla spiaggia; si guardò attorno e vedendo che era ancora presto decise di andare a vedere il mare, quello che amava e non sopportava allo stesso tempo. Una delle cose migliori era stare soli a guardare le onde che si infrangevano sulla battigia. 
Uno spettacolo semplice e imparagonabile contemporaneamente. 
Si fermò solamente quando notò una figura seduta sulla sua panchina, la loro panchina. 
Mise a fuoco meglio mentre si avvicinò di qualche altro passo ed ebbe un tuffo al cuore quando vide dei capelli scuri dal taglio familiare, una t-shirt familiare e un paio di jeans altrettanto familiari. 
Non ci poteva credere. 
Era proprio lui. 
Ebbe l’istinto di tornarsene indietro ma due cose la fermarono: primo, il discorso delle sue amiche di quel pomeriggio, che le ritornò in mente parola per parola e secondo, la fitta che sentì al cuore al solo pensiero di allontanarsi da lui. 
Avanzò, così, con mille insicurezze e mille voci che le balenavano la testa, avanzò fino a che non si ritrovò a pochi passi da lui. 
Il suo cuore pulsava battiti decisamente troppo accelerati e la sua mano aveva cominciato a tremare. 
«Zayn?» 
La reazione che ebbe il moro fu strana: tremò al sentire quella voce e quando alzò il volto e la vide rimase, come dire, scioccato e sorpreso. Tutte le persone si sarebbe immaginato, tranne che vedere lei lì, dritta davanti a lui, con l’espressione confusa e preoccupata. 
I suoi occhi la attraversarono per un secondo, ma lei riuscì comunque a scorgerli ancora più neri di quella mattina e con un velo di tristezza che cercava di nascondere. 
Lui non rispose, si limitò a ritornare a fissare il vuoto dopo essersi spostato di un po’ sulla panchina; lei non seppe se quello fosse un invito a sedersi o un modo per distanziarsi meglio. 
Pensare quest’ultima cosa le fece perdere un battito cardiaco. 
«Zayn stai bene?», gli chiese avvicinandosi, nervosa come non era mai stata. 
Ancora una volta, non le rispose. 
Lui si stava maledicendo per questo, ma non ne poteva fare a meno. 
Stava male, malissimo, e più lei continuava ad avvicinarsi, più lei ripeteva il suo nome più peggiorava la situazione. Voleva che se ne andasse, voleva rimanere solo con la sua autocommiserazione ma allo stesso modo voleva che lei rimanesse a fargli compagnia, voleva averla accanto, voleva sentirla vicina. 
Si sarebbe preso a sberle per questi pensieri, ma non ci poteva fare niente. 
«Zayn, ti prego, rispondimi, mi stai facendo preoccupare, ti supplico». 
La sua voce spezzata gli aveva fatto male, e ancora più male gli aveva fatto sentire la mano della ragazza appoggiarsi sulla sua spalla, quasi a incitarlo a voltarsi e a guardarla negli occhi. No, non poteva farlo, non poteva farlo assolutamente, sarebbe stato tutto più complicato, tutto più difficile, tutto più … 
Ed ecco che ancora una volta ignorò la sua coscienza: voltò lentamente la testa e si tuffò in quelle sfere scure - più vicine di quel che pensava - che tanto agognava; si perse in quel marrone così simile al suo e anche così particolare, si perse dentro di lei e non capì che così facendo lei vide quel luccichio sui suoi di occhi, e ne rimase scioccata. 
Sembrava che stesse per piangere, e questa cosa la sconvolse tremendamente. 
«Zayn …», lo chiamò ancora mentre lui cercava di trattenere tutti gli stimoli che stavano prendendo il sopravvento su di lui 
Quando però pronunciò il suo nome, qualcosa dentro di lui scattò. 
Si alzò improvvisamente in piedi mascherando tutte le sue emozioni e serrò i pugni. 
«Perché sei venuta qui?», le chiese con tono burbero e distaccato. 
Lei rimase sorpresa da quella domanda, tanto che aspettò alcuni secondi per rispondere. 
«Zayn … Che ti è successo?», balbettò alzandosi anche lei. 
Non riusciva a capire come potesse essere mutato nel giro di qualche ora: dal ragazzo dolce e protettivo ora era diventato un tipo scontroso e antipatico; che fine aveva fatto il ragazzo di cui si era innamorata? Che fine aveva fatto il suo amico? 
L’aggettivo agitata la descriveva in minima parte; il clima che c’era in quel momento era elettrico e pieno di tensione, entrambi erano confusi ed entrambi avevano gli occhi che pizzicavano. 
«S-se non ti interessavo bastava dirlo prima, non serviva fare tutto questo teatrino e illudermi in quel modo sai? Ci sarei stato meno male e me ne sarei fatto una ragione più facilmente, ma invece tu … Tu hai complicato tutto, e sinceramente non ne capisco il perché. Ti piace davvero così tanto veder soffrire le persone? Che cosa ci trovi di così divertente?» 
Il suo discorso l’aveva lasciata senza fiato e ancora peggio l’aveva traumatizzata. 
Quel ragazzo era davvero una scoperta, in senso sia positivo che negativo. 
Non riusciva a emettere una parola, non riusciva ad esprimere nemmeno un suono da quanto era sconvolta. Mai avrebbe creduto che un discorso simile potesse uscire dalla bocca del moro e ancora meno mai avrebbe creduto che la diretta interessata fosse proprio lei. 
«Ma di cosa stai parlando? Io veramente non ti capisco, quando mai ti avrei preso in giro io? Quando mai mi sarei presa gioco di te scusa?» 
Il suo tono era decisamente cambiato: da turbato e flebile si era trasformato in determinato e duro, proprio come quello della persona che le stava davanti. Odiava essere presa per una che non era e ancora di più odiava il fatto che qualcuno potesse accusarla di qualcosa che non aveva fatto. 
«Che cazzo Nicole, piantala di fare la bambina e cresci un po’. So benissimo che quello che hai fatto ieri sera è stato solo per compassione e oggi ne ho avuto la prova: piuttosto di rimanere con noi hai preferito evitarmi tutto il giorno con la scusa che dovevi stare con le tue amiche, che magari hai chiamato tu stessa! Invece di montare tutta questa scena avresti potuto benissimo dirmi in faccia come stavano le cose» 
Sentire tutto quello fu peggio di essere torturati fisicamente dal peggiore assassino della storia: non poteva credere che lui stesso avesse appena detto tutte quelle cose, non poteva credere che proprio lui la stesse accusando di essere una falsa. 
Tutto poteva succederle, tranne essere presa in giro in questo modo. 
Era sempre stata una ragazza che non rispondeva alle critiche, che si nascondeva in un angolino e si teneva tutto per sé; ora, però, la situazione era veramente diversa. In lei stava scoppiando qualcosa di forte, qualcosa di mai provato prima, una strana rabbia che stava pian piano prendendo il sopravvento sulla sua razionalità. 
«Bene, visto che ti piace così tanto che ti dicano le cose in faccia ora lo farò anche io: per tua informazione, il primo che ha cominciato ad evitarmi oggi sei stato tu, tu sei quello che mi accusa senza alcuna prova, tu sei quello che crede di sapere tutto di tutti quando poi non sa nemmeno quello che prova! Chi ti credi di essere? Il mondo non ruota attorno a te, non tutti vogliono avvicinarti per poi farti del male cazzo! Sei patetico, sei solo un bambino che non sa quello che vuole; pensavo di aver trovato un ragazzo in gamba, intelligente, maturo, diverso da tutti gli altri. Pensavo di poter essere felice, pensavo che tu potessi rendermi felice e farmi sentire una volta tanto speciale. La prossima volta pensa prima di dire certe cose e assicurati che le persone che accusi senza prove non provino qualcosa per te!» 
Aveva il fiatone: dire tutto quel discorso l’aveva esaurita completamente. 
Sentiva le guance infuocate e pure qualche lacrima che scendeva silenziosa lungo il viso, ma non ci diede importanza: ora l’unica cosa davvero importante era continuare a fissare lui, la sua espressione allibita, sorpresa, incredula, scioccata e tristissima. 
Una morsa le attanagliò il petto dopo averlo visto in quello stato, ma l’ira che provava contro di lui in quel momento era più forte di qualunque altro sentimento. Non si dava ancora una spiegazione del perché lui avesse pensato tutte quelle cose, di come fosse arrivato ad una conclusione così assurda e inverosimile. 
Goccioline salate continuavano a scendere sul suo viso e i suoi occhi continuavano ad arrossarsi; il respiro era tornato regolare e pian piano anche tutta la rabbia se ne stava andando. Lui assunse la tipica espressione da cane bastonato e da ragazzo che si sente terribilmente in colpa per tutto quello che ha fatto. 
Entrambi ora non sapevano come muoversi. 
Lui non aveva più il coraggio di dire o fare niente, la lezione che lei gli aveva dato gli sarebbe servita per tutta la vita, ne era certo. 
Lei cercò di calmarsi ma i singhiozzi non volevano smettere. 
Ecco, questo era uno di quei momenti in cui lei necessitava di un abbraccio, aveva bisogno di qualcuno su cui contare, aveva bisogno di una spalla su cui piangere; le sue amiche c’erano sempre state, si erano sempre occupate di lei nelle - rare - volte in cui in momenti come questi non ce la faceva più. Ora però loro non c’erano, ora non c’era nessuno che la potesse sostenere, che la potesse assistere e coccolare. 
Continuò a fissare il suo amico in quelle sfere scure come la notte, continuò a tuffarsi in quei pozzi che tanto la facevano sentire bene. 
Non ci pensò due volte: improvvisamente il moro se la ritrovò tra le braccia, che lo stringeva forte e chiedeva silenziosamente di essere aiutata. Ad ogni suo singhiozzo sentiva il cuore tremare e una dolorosa fitta attanagliargli lo stomaco; non riusciva a credere a come avesse potuto pensare quelle cose di lei, lei, la ragazza più pura che avesse mai incontrato, una ragazza così unica e speciale. 
Si maledì mentalmente un milione di volte per averla fatta sentire così, per averla fatta piangere. 
Sussurrò un lieve e poco udibile “scusami” all’orecchio della ragazza prima di stringerla ancora più stretta a sé, prima di farle capire che lui c’era, che gli dispiaceva per tutto e che non avrebbe mai più commesso un errore simile. Non avrebbe mai più dubitato di lei, non l’avrebbe mai più accusata. 
Era una promessa. 
Restarono qualche secondo ancora così, stretti in abbraccio che nessuno dei due voleva terminare; se avessero potuto esprimere un desiderio in quell’istante sarebbe stato per entrambi non finire mai quel meraviglioso e particolare momento. 
Il paradiso era niente a confronto. 
Non seppe mai come ma fu lei, dopo che si fu del tutto calmata, a staccarsi da lui ed ad asciugarsi il viso dalle lacrime che si erano seccate; teneva il viso basso, impaurita di fissarlo negli occhi, terrorizzata da cosa avrebbe pensato lui di lei adesso. Non riusciva a reagire, tutta quella grinta che aveva tirato fuori da chissà dove poco prima sembrava che non fosse mai stata in lei, che non avesse mai preso possesso della sua razionalità. 
«Ehi», la chiamò lui prendendole il mento con le dita e costringendola ad alzarlo. 
Tutto invano. 
Si distaccò da quella presa e cominciò a sentire le lacrime che tornavano all’attacco. 
«Scusami, non … non so che mi sia preso, scusami per tutto», farfugliò cercando in tutti i modi di rimediare a tutto quello che aveva fatto. 
Non sarebbe dovuta venire, perché non se ne era tornata subito al residence prima? 
Perché aveva avuto la pessima idea di andare lì? 
Perché cavolo si era avvicinata a lui quando l’aveva visto? 
Il moro non sapeva che fare, non sapeva che dire, non sapeva come poter farle capire che … 
Ma certo. 
Perché non ci aveva pensato prima? 
Si avvicinò di qualche passo a lei e le tese la mano mentre le sue labbra si curvavano verso l’alto in un sorriso sincero e speranzoso. 
«Ti va di ricominciare? Ti va di cancellare tutto quello che è successo stasera?» 
La sua richiesta la lasciò basita. 
Aveva sentito davvero bene? 
Le aveva veramente chiesto quello? 
In fin dei conti non aveva torto, la sua idea non era per niente male. 
Alzò lo sguardo e incontrò quelle sfere scure che la stavano esaminando, quello sguardo puro e genuino, quell’espressione che lasciava trasparire tutte le sue emozioni in quel momento. 
«Okay», mormorò flebile mentre stringeva la mano calda e protettiva del pakistano. 
Un brivido percosse la schiena di entrambi appena si sfiorarono e si scambiarono un’occhiata fugace, prima di farsi entrambi una piccola risata. 
Si risedettero sulla loro panchina, quello che era diventato il loro luogo personale, il loro rifugio, la loro zona segreta; osservarono per qualche secondo il mare lontano e il tramonto che continuava sotto l’orizzonte, i gabbiani che volavano alti nel cielo e le onde che si infrangevano sulla spiaggia. 
Uno spettacolo assurdo e bellissimo, semplice e indimenticabile. 
«Allora, che avete fatto oggi di bello?», le chiese lui dopo qualche secondo. 
I suoi occhi brillavano di felicità, così come quelli della ragazza che finalmente aveva ritrovato il ragazzo di cui si era innamorata. 
Si sorrisero contemporaneamente prima che lei si perse nel racconto di quella giornata; gli descrisse le sue amiche, gli descrisse tutte le loro avventure, i loro intrighi, i loro casini, le loro brigate e i loro pomeriggi passati assieme. 
Gli raccontò tutto, da cima a fondo. 
Tutto quello che aveva vissuto, tutto quello per cui aveva riso e pianto. 
Ormai sapeva quasi tutto di lei. 
Sentiva che si poteva fidare, sentiva che lui la stava ascoltando per davvero, lo vedeva attento e affascinato e rideva con lei a tutte le battute che faceva. 
Poteva desiderare qualcosa di più? 
Era accanto ad un ragazzo fantastico e stavano ridendo delle loro avventure passare proprio come due vecchi amici. 
E dire che si conoscevano da neanche una settimana. 
Poteva l’amore essere così devastante? 
Poteva l’amore farti sentire così importante e speciale per qualcuno? 
Poteva l’amore farti provare una miriade di emozioni contrastanti a distanza di pochi minuti? 
Sì, poteva e lei ne era sicura al cento per cento. 
Dopo che gli ebbe raccontato vita, morte e miracoli di lei disse al moro che ora toccava a lui; dopo qualche momento di esitazione cominciò anche lui a narrarle le varie situazioni divertenti ed imbarazzanti che aveva vissuto. Le descrisse i suoi amici, la sua scuola, il rapporto difficile e non sempre sereno con i suoi genitori, le liti furiose con suo padre e anche tutte le brigate che aveva fatto da piccolo fino a qualche mese prima. 
In particolare, lei rimase scioccata di quando lui le raccontò di quando, a sei anni, aveva buttato fuori dalla finestra la televisione di casa, rompendola definitivamente. Risero entrambi quando lui le disse che il motivo era perché si era semplicemente arrabbiato con dei suoi compagni che, visto che era il più basso, lo avevano preso in giro dicendo che non era forte abbastanza. 
E poi voleva anche vedere se poteva davvero essere forte come i Power Rangers. 
Lei ne era affascinata, si sentiva serena, felice, gioiosa e finalmente in pace con se stessa. 
Non riusciva a crederci, la felicità che aveva da sempre desiderato ora la pervadeva. 
L’unico desiderio che sperava si avverasse in quel momento era che questa non l’abbandonasse presto. 
«Nicole, devo chiederti una cosa», mormorò improvvisamente il pakistano prima di sospirare sonoramente e soffermare il suo sguardo sul mare nero illuminato soltanto dalla luce della luna. 
«Dimmi», lo incitò lei dopo qualche secondo vedendolo agitato. 
Dai suoi occhi traspariva nervosismo e inquietudine, sentimenti che cominciò presto a sentire anche la tipa; il suo cervello non connetteva più, o meglio, stava andando in corto circuito dalle troppe ipotesi che stava facendo e che non ricevevano risposta. 
Cosa le voleva domandare? 
Cos’era che lo metteva in uno stato così di scombussolamento? 
Non capiva che ogni sentimento che provava di conseguenza lo trasferiva anche alla ragazza? 
«Ecco, vedi … Domani sera c’è una festa qui, in riva alla spiaggia, organizzata dagli animatori per tutti i giovani che sono in vacanza e io … Ehm, ecco, ti andrebbe di venirci con me?» 
Le ci vollero una decina di secondi per analizzare bene la frase che aveva appena pronunciato il suo amico e altri dieci capire veramente il senso della sua domanda. 
L’aveva veramente … 
L’aveva veramente invitata a quella festa? 
Aveva davvero avuto un pensiero così carino nei suoi confronti? 
Aveva davvero pensato a lei in quel modo? 
Wow, non sapeva cosa rispondere, o meglio, sapeva cosa rispondere ma non sapeva come, perché sì, insomma, lui era il tipo di ragazzo che di solito … 
Nicole, ma che cazzo di ragionamento stai facendo? Rispondigli di sì e basta prima che ci ripensi! 
«Oh, beh, certo che mi fa piacere, grazie», balbettò lei ancora scioccata. 
Tutto si sarebbe aspettata, tranne un invito del genere. 
Da parte sua poi. 
Per lei. 
Non ci credeva, non ci voleva credere, l’euforia che la stava invadendo si conteneva a poco. 
«Ma ti avverto», esclamò poi con tono serio, attirando l’attenzione del moro che la cominciò ad osservare preoccupato. 
«Io non mi metto vestiti», terminò lei causando le successive risate di entrambi. 
Non era quel tipo di ragazza, non assomigliava per nulla e in nulla alle sue amiche in fattore “gusti d’abbigliamento”; lei adorava sentirsi comoda, adorava i jeans e le sneakers, tutto il resto poteva passare in secondo luogo. 
«Okay, niente vestiti», accettò lui facendo morire l’altra con un altro dei suoi formidabili sorrisi.



Angolo Autrice: 
And this was the chapter number 10! :) 
Do you like it? :) 
I hope yes :D 
Allora, come abbiamo visto il piccolo casino consisteva in un litigio tra i due innamorati, che però si è risolto subito e li ha fatti avvicinare ancora di più *-* 
Nicole ha fatto finalmente chiarezza dei suoi sentimenti e grazie alle sue amiche ha capito di essersi del tutto innamorata del bel moro; Zayn ovviamente ricambia e glielo sta facendo capire. 
Nel prossimo capitolo ci sarà l’ultimo flashback, l’ultimo ricordo contenuto in quel tanto rimirato libretto; Nicole rivivrà di nuovo quel giorno e… 
Secondo voi cosa succederà? 
Chi farà cosa? 
Ditemelo sinceramente, non sapete quanto piacere mi farebbe conoscere le vostre idee :) 
Le vostre recensioni mi rendono sempre la persona più felice del mondo, ma che dico, dell’intero universo! :D 
Adesso scappo a finire di studiare, un grazie enorme a tutte le ragazze che hanno recensito gli scorsi capitoli e che seguono la mia storia: siete fantastiche! :3 
Un bacione a tutte e buona settimana, 
Another_Life 
xxx

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


88

Change My Mind

Capitolo 11
Mancava un giorno alla sua partenza. 
Altre ventiquattro ore e avrebbe definitivamente lasciato quella casa, la sua famiglia, la sua città, le sue amiche; ventiquattro ore e - per un periodo che sperava fosse lungo abbastanza da consentirle di dimenticare facilmente - sarebbe partita per una nuova città, una nuova vita, una nuova lei. 
Osservò le valigie straripanti che stavano ai piedi del suo letto e pensò a come non riuscisse ancora a rendersi conto di quel che stava per succedere; non che non fosse felice, viaggiare era stata da sempre una delle sue più grandi passioni - una delle poche che aveva mantenuto - ma semplicemente sentiva che ancora qualcosa la teneva legata a quel luogo. No, non erano i suoi genitori, non erano i suoi affetti né l’imminente malinconia che l’avrebbe pervasa appena sarebbe rimasta sola. Oh no, non era niente di tutto questo. 
Lei conosceva davvero il motivo della voragine che si era creata nel suo stomaco, aveva già interpretato tutti quei segnali che l’avevano avvertita di cosa le stava accadendo. 
Era pomeriggio inoltrato e i suoi erano usciti per fare delle compere generali, lasciandola sola a riguardare per l’ennesima volta che avesse preso tutto il necessario; non aveva intenzione di tornare presto a casa, non voleva e non si sentiva pronta per definire per bene la data del suo ritorno, nonostante tutti non facessero che chiederglielo. 
Era diventata parecchio nervosa e suscettibile negli ultimi giorni. 
Sospirò osservando l’ora dal suo cellulare per l’ennesima volta in pochi minuti, lo buttò sul letto accanto al suo per poi maledirsi mentalmente; per fortuna almeno non era caduto a terra. 
Buttò lo sguardo sullo scaffale dietro di sé e stette lì immobile per qualche secondo; se aveva fatto bene i calcoli alla fine di quel libretto mancava davvero poco e si era promessa che non lo avrebbe portato con sé quando sarebbe partita. 
Dimenticare era uno dei suoi scopi principali, no? 
Ecco, quindi portarselo appresso sarebbe stato davvero un controsenso. 
Imprecò contro se stessa e contro quella sua vita di merda, sapendo che non sarebbe durata ancora molto: non aveva nulla da fare, nulla con cui distrarsi, nulla con cui portare i suoi pensieri lontani da quel quaderno. Non aveva nulla e nulla poteva più accaderle. 
Nulla poteva ferirla ancora, nulla poteva farle toccare il fondo più di quanto non stesse già facendo. 
Si accasciò sul pavimento e ricominciò la sua lettura, l’ultima, quella che sapeva le avrebbe fatto più male. 

Flashback 
Come promesso e accettato dal moro non si era messa uno di quegli odiosi vestiti, anche perché non ne possedeva nessuno. Odiava qualunque cosa non fosse simile ai suoi amati jeans o ad un paio di pantaloni della tuta, questo si era capito insomma. 
Non si era mica trascurata però. 
Indossava una bellissima camicetta blu che le slanciava il fisico e un paio di shorts scuri, il tutto abbinato alle sue care Converse; un filo di matita, i capelli mossi appena lavati e qualche accessorio per completare il quadro. 
Stranamente, era soddisfatta di se stessa. 
Non sapeva se a renderla così fossero stato i complimenti di Zayn, ma era profondamente convinta che lui, per una volta, era riuscito a farla sentire accettata e in pace con se stessa. 
La musica della festa era assordante, era proprio una di quelle feste da spiaggia a cui dovevi per forza ballare come un deficiente e diventare sordo dopo neanche pochi minuti. 
I due erano seduti sulla loro panchina mentre osservavano il tramonto che si estendeva oltre il mare e pian piano spariva oltre l’orizzonte; le stelle cominciavano a farsi vedere e la luna era in attesa di prendere il posto di quella palla infuocata che non accentuava ad andarsene. 
Chiacchieravano allegramente da più di mezz’ora, dopo aver constatato che quel luogo era decisamente troppo affollato e scatenato per loro; entrambi amavano la tranquillità, entrambi adoravano restare a parlare di tutto quello che si poteva, con il silenzio come sottofondo, il mare e il tramonto come sfondo. Era uno spettacolo bellissimo, sembrava quasi di essere in un film. 
Nicole stava scoprendo sempre più cose di Zayn, della sua vita, di quello che amava e altrettanto stava facendo lui, investigando in modo discreto su tutto quello che potesse riguardare la ragazza a cui non faceva altro che pensare. Si scambiavano occhiate fugaci, si sorridevano imbarazzati, arrossivano contemporaneamente per poi ridacchiare all’unisono e riprendere a parlare; era così, un circolo vizioso che non smetteva mai, che non stancava e che, per quanto potesse riguardarli, avrebbe potuto durare all’infinito. 
Gli occhi del pakistano brillavano come mai avevano fatto prima e quelli cioccolato di lei emettevano una luce che faceva impazzire il moro; si attraevano a vicenda, non riuscivano più a non ammetterlo, si desideravano e allo stesso tempo volevano tenere le distanze perché avevano paura di quel che sarebbe potuto accadere, ma più ci provavano più si ritrovavano vicini. 
Quella mattina, mentre lei aveva passato un paio d’ore ad ascoltare la sua amata musica distesa sullo sdraio a perfezionare la sua tintarella, lui si era ritrovato a stare da solo, sotto il sole cuocente, a ripensare a tutto quello che era successo nell’ultima settimana; aveva sorriso come un ebete parecchie volte ripensando al sorriso della sua amica e all’eterno rossore che si trovava sulle sue guance. Nonostante non fossero stati molto lontani entrambi avevano continuato a pensare alle stesse cose, entrambi avevano rivissuto quei momenti che li avevano resi felici e si era domandati - per la millesima volta - come potesse essere successo, come potessero essersi innamorati davvero. 
Quello che sentivano era davvero quel sentimento tanto potente che veniva raccontato in libri e film da decenni? 
Era davvero quello l’insieme delle emozioni per cui ogni persona vive? 
Era davvero così che si sentivano due innamorati? 
Non riuscivano a trovare altra spiegazione al perché, quando stavano assieme, ogni paura, ogni timore, ogni dubbio si eclissasse per ritornare appena si allontanavano; entrambi sentivano la mancanza dell’altro in una maniera quasi assurda, entrambi desideravano passare tutto il loro tempo con l’altro. Niente era più importante in quel momento. 
Ora erano seduti vicini, fin troppo per due comuni amici che stavano chiacchierando, ma chi mai avrebbe creduto questo? Bastava osservarli per non più di dieci secondi e si avrebbe capito tutto. 
«Ti va una passeggiata?», le chiese il moro dopo qualche minuto di silenzio. 
Ormai la luna era completamente spuntata e le stelle la aiutavano a illuminare quella notte che entrambi avrebbero ricordato per sempre. La ragazza annuì entusiasta e si alzò in contemporanea del pakistano, attraversarono la spiaggia e cominciarono a camminare sulla battigia, mentre le onde si infrangevano ai loro piedi. 
Continuarono a chiacchierare di ogni cosa gli passasse nella mente, facendo giri di parole e collegando dei discorsi in un modo quasi assurdo; entrambi si sentivano nel paradiso più incantevole, niente avrebbe potuto eguagliare la felicità che stavano provando in quel momento. 
Lui iniziò a giocare con le loro dita facendo provare a lei dei lunghi brividi che le attraversarono la schiena e poi le strinse definitivamente la mano, facendo sentire ad entrambi una scarica elettrica evidente, dopo la quale si scambiarono un’occhiata confusa e beata allo stesso tempo. 
Un occhiolino del moro, poi, la fece andare completamente all’altro mondo. 
Si sentiva leggera come le farfalle che percepiva nel suo stomaco, come un palloncino pieno di elio che è appena stato lasciato in aria, come se avesse le ali e stesse volando liberamente nel cielo più blu. Ma più di tutto si sentiva completa, completa come non era mai stata, completa come mai aveva immaginato di poter essere. 
Lui era la sua metà, ne era certa nonostante agli occhi degli altri quella avrebbe potuto essere benissimo una semplice cotta estiva, solamente un’infatuazione che si aveva a quell’età. 
Ormai erano arrivati al punto finale della spiaggia, al faro; si erano entrambi fermati ad ammirare lo spettacolare paesaggio che, erano sicuri, non avrebbero più rivisto. 
Si scambiarono un’occhiata dopo che lui ebbe stretto ancora più forte la presa sulla mano della ragazza, quasi le volesse trasmettere un messaggio, quasi volesse dirle qualcosa. 
Ma le parole non gli uscirono. 
Aveva la gola secca e arida e non sapeva come muoversi. 
Non aveva idea di che cosa provasse lei, se mai avesse sentito qualcosa per lui. 
Ma se fosse stata vera quest’ultima cosa allora non avrebbe cercato un distacco, non avrebbe provato a spiegargli che lei non ricambiava? Sapeva che era estremamente timida ma sapeva ancora meglio che non era la tipa che prendeva in giro le persone, che non prendeva in giro lui. 
Doveva farlo, o ora o mai più. 
Non si sarebbe ricreata una situazione simile, lo sapeva. 
Non avrebbe avuto una seconda possibilità, non credeva a queste cose. 
Le possibilità erano rare di loro, quindi perché non usufruire della prima? 
Prese un respiro profondo, fissò il mare per un’ultima volta e poi si tuffò in quelle sfere cioccolato e … 
Niente. 
Non riuscì a emettere niente. 
Nemmeno un suono, nemmeno una sillaba. 
La sua voce si era come spenta. 
Si maledì mille volte per questo, non poteva accettarlo. 
Presto sarebbe finito tutto, presto entrambi sarebbero ritornati alle loro vite e lui non poteva permettersi di perderla, non poteva e non voleva, soprattutto non senza averle detto quello che … 
Ma come? 
Come poteva farlo? 
Dirlo direttamente era fuori discussione, non ci sarebbe riuscito. 
E allora … 
Una lampadina gli si accese nella mente. 
Era perfetto. 
Le si mise davanti e cominciò a dondolarsi lentamente, formulando una specie di ballo; la musica lenta della festa si sentiva ancora, nonostante fosse un po’ ovattata, ma era meglio di niente. Nicole fu sorpresa di questa idea e cominciò ad assecondarlo, non capendo però cosa avesse in mente il suo amico; gli sorrise imbarazzata e abbassò lo sguardo, incapace di reggere il suo, e si guardò le scarpe. 
Ad un tratto una voce bellissima cominciò a sussurrarle sull’orecchio, spaventandola in un primo momento dalla vicinanza che si era creata tra loro. 
«There is no other place that I would rather be, than right here with you tonight» 
Le note di quella che sembravano una canzone le riempirono la testa facendole provare dei sentimenti indescrivibili; Zayn si era avvicinato ancora di più a lei ed ora si stavano muovendo sincronizzati, con i battiti dei loro cuori che sovrastavano la musica in sottofondo. 
Ad un certo punto lui le alzò il mento con le dita e lei si fiondò in quelle iridi scure che tanto agognava, trovandole ancora più vicine di quel che avrebbe pensato; i loro visi erano vicinissimi, pochi millimetri li separavano e l’agitazione che provavano entrambi era alle stelle. 
Lo sentì avvicinarsi e le sue labbra si fecero sempre più prossime, fino a sfiorare le sue; poi la guardò, quasi per chiederle il permesso. Lei gli sorrise, lui ruppe quella poca distanza che li separava e finalmente la baciò. 
La baciò, come mai nessuno aveva fatto. 
La bacio, in un modo dolce e delicato. 
La baciò, portando la sua mano sul suo viso e azionando un'elettricità unica. 
Quella fu l’esplosione. 
Un secondo Big Bang, un secondo inizio del mondo. 
Fu un bacio semplice e complesso allo stesso tempo, timido e avido, calmo e impetuoso, che portò con se una gamma infinita di emozioni che entrambi non seppero distinguere appieno. 
Felicità, fierezza, euforia, sorpresa, allegria, esultanza, piacere e soddisfazione erano anche fin troppo banali, no? 
Restarono uniti per un tempo indefinito prima di staccarsi definitivamente e fissarsi l’uno negli occhi nell’altra; tutti brillavano in un modo quasi surreale, i sorrisi che entrambi si scambiarono andavano da un orecchio all’altro e trasmettano imbarazzo e gioia allo stato puro. 
Si voltarono a guardare ancora una volta il mare mentre lei appoggiava la testa sull’incavo del collo del moro e lui la stringeva a sé, quasi per farle capire che l’avrebbe protetta sempre. 
«Promettimi che non te ne andrai», gli sussurrò lei poco dopo. 
Questa era la sua unica paura, l’incubo che sperava non si avverasse mai. 
«Non lo farò», le promise lui stringendola ancora più forte a sé. 
In un qualche modo lei credette a quelle parole, sperando che fossero la verità. 
Non sapendo che sarebbero state la causa di tutto il suo dolore. 
Non sapendo che lui non avrebbe mantenuto quella promessa. 

* * * 

Era successo davvero ed entrambi non riuscivano a crederci. 
Entrambi non riuscivano a contenere l’euforia che li aveva invasi, la felicità che si era presa possesso di loro e che non voleva più lasciarli andare. 
Entrambi, quella notte, restarono svegli a lungo a pensare a tutto e niente, a rivivere mille volte quel momento magico in cui dentro di ognuno erano scoppiati i fuochi d’artificio. Restarono distesi nei rispettivi letti con gli occhi aperti per parecchio tempo, mentre tutti gli altri - ignari di cosa potesse essere successo - dormivano beatamente; solamente a loro il sonno sembrava non voler arrivare. 
O forse erano loro che non volevano arrivasse. 
Nonostante si fossero separati da quanto, un paio d’ore? Nonostante questo sentivano la mancanza l’uno dell’altra in un modo quasi impressionante; non si erano mai ritrovati in una situazione simile, a provare dei sentimenti come quelli, a sentire dei desideri così futili e banali. 
Ma la felicità aveva sempre un prezzo, più era grande e più il costo si sarebbe doppiato. 
La vita era così, se non imparavi ad accettarlo e non lo capivi da subito ci saresti rimasta molto male, avresti sofferto molto di più e la ferita che si sarebbe creata dentro di te avrebbe impiegato moltissimo tempo a rimarginarsi. 
Entrambi, però, questo non lo sapevano. 

* * * 

Felicità? 
Gioia? 
Euforia? 
Leggerezza? 
Allegria? 
Esultanza? 
Tutti i sentimenti che aveva provato poche ore prima? 
Spazzati via come dei granelli di sabbia, senza alcun ritegno. 
Perché era questo che continuava a dirle la sua mente, era questo a cui lei cercava di non credere nonostante, più tempo passasse più sapeva, dentro di lei, che era la pura verità. 
Si è voluto solo divertire, tu sei stata solamente una delle tante della sua lunga collezione estiva. Non gli è mai importato nulla di te, per lui non sei mai stata niente, per lui non conterai mai niente. Come hai anche solo potuto pensare di interessargli? Lui era solo uno stupido ragazzino, troppo immaturo per capire cosa ti stava succedendo, troppo sfacciato e menefreghista per chiederti cosa volessi tu davvero. I maschi erano così, dovevi fartene una ragione. 
Si premette i polsi sugli occhi, ordinando a se stessa di non piangere. 
Non ne valeva la pena, non per quello che era successo, non per lui. 
Erano quasi le nove di sera, i raggi del sole stavano pian piano diminuendo la loro intensità e questo si portava sempre più verso l’orizzonte; l’aria salmastra entrava nelle narici della ragazza che poi storceva il naso per il brusco contatto e una leggera brezza si era alzata dal mare. I suoi si stavano preparando per uscire quell’ultima sera in vacanza mentre lei era ancora distesa sul letto, con il morale a pezzi e una voglia matta di essere abbracciata e consolata da qualcuno. 
Da lui. 
Voleva risentirlo vicino, voleva essere di nuovo stretta tra le sue braccia, voleva inspirare il suo odore, imprimerselo dentro e sentire quella bellissima voce; voleva che, come la sera precedente, lui le sussurrasse all’orecchio qualche strofa romantica facendola arrossire e ridacchiando poi insieme senza un morivo preciso. 
Voleva essere con lui, voleva lui. 
Ma lui non c’era. 
E non ci sarebbe più stato. 
La vibrazione del cellulare la fece sussultare. 
Ti aspetto al solito bar. Louis” 
Diretto, quel ragazzo era proprio diretto. Sorrise ripensando al sorriso e agli strani intrugli che lui aveva sempre cercato di organizzare per far succedere qualcosa tra i due. 
Rispose velocemente al messaggio e si preparò per uscire subito dopo; non aveva più né la voglia né la forza di fare niente, si sentiva esausta, spossata, distrutta. 
Distrutto era il suo cuore e la fossa del suo stomaco che si ingrandiva sempre di più. 
Ricacciò indietro quelle gocce salate che si ostinavano a voler scendere; non voleva, non poteva piangere, non lo avrebbe mai fatto. Non avrebbe pianto per un ragazzo, no, non se lo poteva permettere. Si guardò allo specchio un’ultima volta e poi uscì definitivamente, sperando nell’aiuto del suo amico. 

Mezz’ora dopo stavano passeggiando sul lungomare, cercando di non toccare l’argomento “Zayn”; da quando si erano ritrovati al bar lui non lo aveva mai nominato, non aveva mai nemmeno cercato di indagare o chiederle qualcosa indirettamente. Gli era bastato guardarla negli occhi per capire che qualcosa non andava, che lui aveva fatto qualcosa, che lei ora stava male come non mai. 
Chiacchieravano del più e del meno, scambiando qualche battuta alla quale lei si sforzava di ridere; non voleva sembrare scontrosa e antipatica, semplicemente la sua testa era altrove. 
Ad un certo punto si sedettero su una panchina e cominciarono entrambi a fissare il mare scuro, immersi nel silenzio più assoluto; lui le diede qualche occhiata veloce e cercò di capire cosa fosse accaduto, inutilmente. 
«E’ partito», sentenziò solamente dopo un tempo che parve infinito. 
Lei si voltò sconvolta e spalancò le sue iride cioccolato, assumendo un’espressione sbigottita e sull’orlo del pianto. Non sapeva che le prendeva, non aveva idea del perché si sentisse così. 
Perché non ci aveva pensato prima? 
Ormai poco importava; dopo ieri sera il moro era praticamente sparito dalla circolazione, rendendosi introvabile. Era partito. Senza salutarla, senza dirle nulla, senza pensare cheforse lei doveva essere messa al corrente di qualcosa. 
Che stronzo, aveva avuto ragione: non era altro che un ragazzino stupido e immaturo. 
Ormai era fatta, ormai non c’era più niente da fare, niente da rimediare. 
Non lo avrebbe più visto, sinceramente nemmeno ci teneva. 
Si strinse nelle spalle e poi rinchiuse la sua testa tra le gambe, soffocando un gemito; non doveva piangere, non poteva farlo, non per lui. 
Era una ragazzina, non ne sapeva niente dell’amore e quello che provava era solo una semplice cotta estiva; cercò di mettersi in testa questi concetti ma le fu impossibile, la sua anima gridava il contrario. 
A Louis gli si strinse il cuore vederla in quelle condizione; non la poteva lasciare sola, non poteva abbandonarla in un momento del genere. Come aveva fatto, come aveva fatto luia partire senza dirle niente, senza lasciarle un biglietto, qualcosa, qualunque cosa? 
Una frase, una spiegazione. 
No, non le aveva lasciato nulla ed ora lei era con il cuore a pezzi. 
Sapeva che c’era una spiegazione razionale dietro a tutto questo, sapeva che lui aveva avuto un motivo più che valido per aver fatto quel che aveva fatto; non ne avrebbe avuto il coraggio, sennò. Giurò a se stesso che avrebbe capito cosa ci fosse stato dietro, non poteva lasciare che tutto quello si frantumasse in quel modo; aveva visto, aveva assistito in prima persona all’innamoramento di quei due e sapeva che era una cosa speciale, unica. 
Era convinto che avrebbero avuto una seconda possibilità un giorno, lo sapeva, se lo sentiva. 
Mise un braccio intorno alle spalle della ragazza e l’attirò a sé, in modo tale che lei potesse appoggiarsi al suo petto e sfogarsi liberamente, lasciare che tutte quelle lacrime che aveva trattenuto fin per troppo tempo fuoriuscissero e se ne andassero. 
Teneva troppo a lei per lasciarla sola, teneva troppo a lei per non consolarla. 
Le diede un bacio sui capelli e le bisbigliò frasi rassicuranti per farle capire che lui c’era. 
Si sarebbe risolto tutto”, le sussurrava. 
Sapeva che non sarebbe stato così, sapeva che le seconde possibilità non esistevano e lei non ne voleva nemmeno una. 
Ma nel profondo non smise mai di sperare. 
Mai. 

La ragazza chiuse quel maledetto libro con un tonfo sordo, il viso inondato dalle lacrime e un vuoto gigantesco che si trovava all’altezza del petto. 
Finalmente era finito. 
Finalmente avrebbe finito di infliggersi quella lama e rigirarsela dentro, neanche ci provasse gusto a sentire quel fortissimo dolore. 
Quella notte pianse lacrime amare, quella notte si lasciò definitivamente andare come aveva fatto quattro anni prima con Louis, quel ragazzo così tenero che avrebbe potuto benissimo diventare il suo migliore amico se poi non se ne fosse andato pure lui. 
Quella notte pianse tutto quello che si era tenuta dentro in quell’enorme arco di tempo, da quando il primo ragazzo di cui si era innamorata, il primo ragazzo con cui si era lasciata andare l’aveva lasciata senza una dannata spiegazione. 
Quella notte pianse davvero e si ripromise che sarebbe stata l’ultima volta. 
Non lo avrebbe più fatto, non avrebbe mai più permesso che anche una sola lacrima scendesse per lui. 
Lui era il passato. 
Lui era un capitolo chiuso. 
Definitivamente.


Angolo Autrice: 
*si prepara a ricevere i pomodori* 
Oddio, l’ho pubblicato davvero?
Siete davvero arrivate fin qui?:)
 
Ma io vi faccio una statua! :D 
  
Seriamente, questo capitolo non so, non mi convince molto e temo di avervi deluse… 
Se è così mi dispiace moltissimo, cercherò di rimediare con i prossimi :) 
Allora, finalmente è arrivato il tanto atteso bacio tra Nicole e Zayn, ma non c’è stato nemmeno il tempo di respirare che già iniziano di nuovo i casini… Ebbene, abbiamo scoperto parte del motivo per cui la nostra protagonista sta così male nel rivivere i ricordi di quella famosa vacanza: dopo essersi innamorata, dopo essersi lasciata andare per la prima volta ha ricevuto una delusione molto, molto, molto grande.. :( 

Poi però è arrivato Louis, che con la sola presenza, con quelle parole dolci e con la sua vicinanza è riuscito – in parte – a sollevare un pochino la nostra Nic…

Un amico d’oro insomma :D
Voi che ne pensate? 
Come vi immaginate il nostro bel moro? Come uno stronzo che l’ha usata solamente per divertirsi o sotto c’è qualcosa di più?
E cosa pensate succederà ora? :)
 
Come sempre sapete che ricevere i vostri pareri – sia positivi che negativi – mi renderebbe la persona più felice della Terra :) 
Spero di risentirvi presto,
 
Un bacione a tutte e buona settimana :)
Another_Life
 
xxxx

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


89

Change My Mind

Capitolo 12

Okay, era in perfetto anticipo. 
Tipico di lei, insomma. Quando mai era arrivata ad un appuntamento in ritardo? 
Sospirò per l’ennesima volta decidendo che avrebbe camminato con molta calma verso il luogo a cui era diretta - cosa abbastanza stupida dal momento che alloggiava in un hotel a pochi isolati da lì. 
Nicole era a Londra da tre giorni e già si sentiva come se ne avesse passati centinaia in quella città che - detto molto francamente - non le piaceva molto. Troppo uggiosa, troppo cupa, troppo nebbiosa e costantemente grigia; qual era il bello di vivere là? 
Davvero non lo capiva. 
Insomma, New York, Los Angeles, Parigi, Toronto, Berlino, Amsterdam e Vienna erano molto meglio no? Non che le avesse già visitate tutte, chiariamoci - anzi, non ne aveva vista praticamente nessuna - ma quei luoghi la ispiravano molto di più. Poi va bene che non bisognava avere pregiudizi, ma quando questi erano sulla bocca di tutti … 
Si mise un’ultima volta davanti allo specchio e fissò intensamente la sua immagine riflessa: le venne spontaneo ripensare a com’era stata quattro anni prima, ma non in senso caratteriale, anzi, nel modo estetico: ora i capelli mori erano stati tinti in un biondo chiaro con quale sfumatura che arrivava addirittura al platino e la lunghezza era notevolmente aumentata; il suo fisico asciutto e dimagrito era in netto contrasto con quello della quindicenne di allora e gli occhi … Forse quelli erano l’unica cosa che era rimasta uguale. 
Era cambiata moltissimo durante quell’arco di tempo, anche grazie alle sue due inseparabili migliori amiche; anche la loro amicizia aveva avuto degli alti e bassi ma ora erano molto unite e si volevano bene come a delle sorelle. Marta e Serena l’avevano supportata in quei mesi intensi e l’avevano appoggiata quando lei aveva deciso di fare un taglio drastico a se stessa. 
Avevano detto che i cambiamenti aiutavano quando si perdeva qualcuno, quando di soffriva in un modo quasi allucinante e lei, desiderosa di togliersi definitivamente dalla testa quel moro, ci aveva provato. 
Prese il cellulare e lo buttò nella borsa - forse con troppa poca gentilezza - e poi cominciò a maledirsi. 
Il cambiamento drastico a se stessa, poi, non aveva implicato solamente una trasformazione del suo aspetto, del suo fisico e del modo in cui appariva; quando lei aveva deciso di fare questa cosa aveva consciamente scelto di mutare anche il suo modo di essere interiore. 
Il suo carattere. 
Era stato un lavoro lungo ma alla fine ci era riuscita. 
La ragazza timida, tremendamente insicura su tutto, chiusa, introversa, brava, gentile, educata, prudente, sognatrice e sensibile? Aveva cambiato atteggiamento ed era diventata più … 
Smise il suo monologo improvvisamente, quando un rumore proveniente da fuori la distrasse. 
Scosse la testa, prese la borsa e uscì definitivamente da quella stanza. 
L’aria fresca di Londra non era così male e miracolosamente quel giorno non pioveva; Nicole prese le varie strade che portavano al luogo prestabilito e durante il cammino cominciò a guardarsi intorno: moltissima gente camminava in lungo e in largo, persone di tutte le età erano impegnate nelle normali attività quotidiane - donne che portavano a spasso i loro figlioletti o che li andavano a prendere a scuola, ragazze e ragazzi che gironzolavano per i negozi con lo scopo di stare assieme e di chiacchierare, anziani che passeggiavano tranquillamente facendo esattamente quello che stava facendo lei in quel momento. 
Estrasse la sua Canon dalla borsa e cominciò a fare qualche scatto a tutto quello che catturava la sua attenzione; adorava immortalare quegli istanti così semplici e complessi allo stesso tempo, adorava fermare il tempo con una semplice foto. Non importava se a raffigurarla non ci fosse lei o qualche suo conoscente, non importava se non sapeva minimamente chi fossero quelle persone. 
La cosa importante era che le riusciva benissimo e si sentiva completa quando le vedeva. 
Fotografò moltissime cose mentre un mezzo sorriso si formava sulle sue labbra; ecco un’altra cosa che era cambiata in lei. Quell’espressione tanto allegra che aveva sempre avuto si era quasi spenta dopo quella vacanza, dopo quell’orribile gesto che le aveva riservato lui. Quella piega degli angoli della bocca aveva perso tutto il suo significato per lei e per questo i momenti in cui lo si vedeva erano diventati abbastanza rari. 
Rimase dieci minuti buoni a contemplare quella sua passione che aveva coltivato alla perfezione, quella passione che era anche il motivo per cui lei si trovava a Londra in quel momento. 
Poco dopo riprese il cammino e alla fine arrivò davanti ad uno stabile a dir poco gigantesco. 
Scattò una foto stupenda anche a questo dopo averlo ammirato per bene. 
La Sony non era niente male, non c’era di che da ridire; si erano presentati bene e ora stavano continuando a tenere alto il loro nome e la loro popolarità. L’edificio avrà avuto cinque o sei piani ed era in una zona abbastanza nascosta del centro della città; impiegati e addetti al lavoro entravano ed uscivano dalle porte principali parlando al telefono o maledicendo chi gli aveva fatto questo o quello. 
Il sorriso che aveva sulle labbra sparì lasciando il posto ad uno sguardo freddo e distaccato. 
Prese un respiro e si diresse verso l’interno. 
Non c’era nulla da temere, nulla di cui avere paura. 
Insomma, era solamente uno stupido colloquio di lavoro, no? 
Non era il primo che faceva. 
Ma allora perché sentiva quella morsa attanagliarle il petto in una maniera così assurda? 
Perché una vocina lontana le ripeteva che doveva tornarsene indietro? 
Perché, nel suo profondo, sentiva che andare lì era stata la scelta sbagliata? 
Attraversò le porte girevoli con la testa affollata di domande. 
Ora era troppo tardi per tirarsi indietro. 

* * * 

«Sono davvero stupende» 
Quello fu forse il ventesimo complimento che la donna davanti a lei le fece riguardo le foto che le aveva portato. 
«Grazie» 
E quello fu forse il ventesimo ringraziamento che lei pronunciò assieme ad un piccolo sorriso. 
Non che non le facesse piacere, anzi, sentirsi brava in qualcosa - nel fare foto in particolare - era la più grande soddisfazione che poteva avere. La ragazza era rinchiusa in quell’ufficio ormai da più di mezz’ora e per tutto quell’arco di tempo aveva parlato con la Signora Davis a proposito di quello che stava per diventare il suo nuovo lavoro - o almeno questo era quello che sperava. 
«Bene, ti faremo fare un periodo di prova ma già vedendo questi scatti magnifici puoi considerarti assunta». 
La donna era una signora di almeno quarant’anni, dall’aria dolce e simpatica e con un’espressione che trasmetteva fiducia e tranquillità; ad essere sinceri non aveva ancora compreso molto bene quale fosse il suo scopo, cosa dovesse fare di preciso e con chi. A metterla in contatto con questa casa discografica era stato il suo insegnante di fotografia, un uomo di mezza età che aveva amici sparsi in giro per tutto il mondo; non capitava raramente sentirlo chiacchierare, prima dell’inizio delle lezioni, in qualche lingua straniera con qualche persona che magari in quel momento si poteva benissimo trovare nel deserto del Sahara, in Argentina o addirittura in Canada. L’aveva presa sott’occhio da subito e vedendo la sua bravura - e sapendo poi che finita la scuola avrebbe desiderato trovarsi un lavoro per riuscire a pagarsi l’università - l’aveva aiutata proponendole questo lavoro. 
Le uniche informazioni che aveva a riguardo, però, erano che avrebbe dovuto lavorare con un gruppo di giovani cantanti che avevano un contratto con la Sony, dal momento che questa aveva in mente un progetto piuttosto interessante dal punto di vista economico. 
Non le era stato detto nient'altro, per preservare la loro privacy. 
Le due continuarono a parlare ancora per un po’ per chiarirsi meglio sui vari appuntamenti di lavoro che le avrebbero occupate e su cose di questo genere. 
«Bene, se a te può andare bene già nel primo pomeriggio di domani potresti ritornare qui per firmare delle carte e conoscere i ragazzi», sentenziò la donna con l’immancabile sorriso. 
«Grazie, per me va benissimo», rispose la giovane cordiale. 
«Okay, allora è perfetto. Ascolta …», ricominciò l’altra cercando qualcosa tra i vari mucchi di fogli sparsi sul tavolo. 
L’ufficio in sé era ben arredato, segno che la proprietaria amava l’ordine e l’equilibrio misti alla precisione più assoluta: questa teneva un’agenda solamente per ricordarsi quello che doveva fare, i vari impegni a cui doveva prendere parte e tutte le cose che doveva controllare e rimettere a posto. 
Era una signora cara, in un qualche modo le ricordava la sua ex professoressa di biologia del liceo; la somiglianza che c’era tra le due era quasi sovrannaturale. 
Il discorso che stava facendo con la sua voce calda e gioiosa e la pace e la tranquillità della stanza furono interrotti dall’aprirsi della porta e da un brusco arrivo di un uomo calvo che trasmetteva tutte le sensazioni contrarie. 
«Jane, siamo in ritardo con …», il tipo alzò appena lo sguardo e quando vide la ragazza e successivamente lo sguardo omicida della donna che stava cercando, si bloccò di colpo. 
La sua espressione si trasformò in mortificata e desolata allo stesso tempo. 
«Oh, scusatemi davvero, non mi ricordavo che fosse oggi il colloquio», cercò di scusarsi facendo un passo indietro. 
«Non preoccuparti Max, avevamo quasi finito. Che succede?», domandò la signora Davis leggermente agitata e inquieta. 
«I ragazzi sono arrivati e avrebbero bisogno di parlarti per il progetto», mormorò lui, quasi stesse rivelando un segreto impronunciabile e terribile. 
«Arrivo subito. Nicole cara, potresti aspettarmi due minuti? Giuro che ci metto pochissimo», le chiese lei, quasi dispiaciuta per quell’inconveniente. 
«Vada tranquilla, non c’è nessun problema», le rispose facendole un mezzo sorriso. 
Si alzarono in contemporanea dalle rispettive sedie e, mentre la donna raggiunse l’altro fuori dall’ufficio, la giovane si avvicinò ai quadri che aveva notato e che avevano attirato la sua attenzione quando era entrata. 
Passarono alcuni secondi e sentì le voci che provenivano dal corridoio farsi sempre leggermente più forti, quasi volessero davvero che lei sentisse; senza tanti ripensamenti si voltò e osservò fuori dalla finestra con le veneziane alzate. 
Vide la signora Davis intenta a parlare con alcuni ragazzi mentre l’uomo di poco prima ascoltava e prendeva qualche appunto; l’aria agitata e irrequieta, però, non se n’era andata dal suo volto. 
Incrociò le braccia al petto e assottigliò lo sguardo per vedere meglio le figure dei giovani: erano tre castani e un biondo, tutti intenti a dare consigli e a dire la propria contemporaneamente, cosa che faceva andare fuori di testa la donna. 
Fare il suo lavoro non doveva affatto essere facile. 
Restò qualche secondo ad osservare quella scena un tantino comica - aveva perfino pensato di farci una foto, ma poi la sua razionalità le aveva chiaramente espresso che sarebbe stato troppo inadeguato - fino a che uno dei tre mori - che fino a prima le aveva dato le spalle - non si voltò e cominciò a fissarla. 
Appena i loro sguardi si incrociarono le loro espressioni mutarono. 
Sorpresa? 
Sbalordimento? 
Stupore? 
Shock? 
Preoccupazione? 
Confusione? 
Caos? 
Disorientamento? 
Imbarazzo? 
Sconcerto? 
Smarrimento? 
Paura? 
Terrore? 
Stress? 
Tutte sensazioni che provarono entrambi. 
Entrambi, però, non riuscirono a capirne il motivo. 
Quanto tempo passarono a guardarsi sbalorditi? 
Quanto tempo lei si tuffò in quelle iridi azzurre come il mare? 
Quanto tempo lui fissò i suoi occhi cioccolato, così familiari? 
Quanto tempo lui cercò di ricordare dove avesse già visto quella ragazza? 
Quanto tempo lei cercò di ricordare dove avesse già visto quel ragazzo? 
Il contatto visivo terminò non appena un tipo con un cespuglio al posto dei capelli agitò l’altro con una pacca sulla spalla - cosa che fece prendere un colpo al moro - e lo invitò ad andare, non prima però di aver dato un’occhiata alla cosa che aveva suscitato l’interesse del suo amico. 
Prima di svoltare definitivamente l’angolo i due si scambiarono un’altra occhiata fugace, interrotta questa volta dal rientro nella stanza della signora. 
«Scusami cara, non hai idea di quanto sia impegnativo star dietro a quei ragazzi», si scusò questa riprendendo posto nella sua sedia. 
«Posso immaginarlo. Ci sono problemi?», chiese curiosa e leggermente agitata. 
«Oh, no, non preoccuparti, volevano solo mettere in chiaro qualche piccolo particolare ma vi spiegheremo tutto domani. Sanno pochissimo a proposito del progetto, l’abbiamo fatto per impedire che la notizia si divulgasse prima del previsto; domani vi diremo tutto», le rispose con gentilezza. 
Il tatto che usava quella donna, la ricerca che faceva per trovare la giusta parola era quasi impressionante; erano davvero fortunati ad averla come manager, o qualunque cosa fosse lei per loro. 
«Capisco. Quelli sono i ragazzi con cui dovrò lavorare?» 
«Sì, esatto. Mancava il quinto componente perché è andato a salutare la famiglia ma fra poche ore dovrebbe tornare», la informò con educazione. 
Bene, almeno sapeva che avrebbe rivisto quel ragazzo dall’aria tanto familiare. 
Era sicurissima di averlo già incontrato, di averlo già conosciuto, bastava che si ricordasse solamente dove e quando. 
Come se fossero cose da poco. 
«Bene cara, allora ci rivediamo domani?» 
«Perfetto, grazie mille ancora signora Davies» 
«Grazie a te cara, passa una bella serata» 
«Anche lei, arrivederci» 
Mise il giubbino in pelle e lasciò l’ufficio, si diresse verso le scale e le scese tutte fino ad arrivare davanti all’entrata; appena vide il paesaggio che c’era fuori non esitò un attimo ad imprecare in italiano - o meglio, non riuscì a contenersi. 
Perché aveva cominciato a piovere esattamente quando lei doveva tornare a casa? 
Perché quella maledetta pioggia doveva scendere proprio nel momento meno opportuno? 
Perché cavolo lei era così sfortunata? 
Cominciò a frugare nella borsa in cerca di quell’aggeggio che sapeva benissimo di non avere e subito dopo batté un piede a terra per la troppa rabbia; non poteva essere vero, non le stava accadendo davvero, era tutto un incubo, doveva essere solo un incubo. 
Si era lavata i capelli quella mattina, dannazione. 
Osservò schifata quella scena che tanto avrebbe odiato e decise che avrebbe usato la borsa come mezzo di riparazione, per quanto potesse essere utile. Poi però le venne un’altra idea: si voltò e vide la sala d’attesa completamente vuota - eccetto la silenziosa segretaria che forse non l’aveva nemmeno notata - e concluse che avrebbe atteso che cessasse quel piccolo diluvio. 
Si sistemò su una poltrona e cominciò a giocherellare con il cellulare, in attesa che tutto quello finisse. 

Erano passati venti minuti buoni e di stare in quel posto non ce la faceva più. 
Voleva tornarsene a casa, sistemarsi, rimettersi a posto e prendere una pastiglia contro il fastidioso mal di testa che le era venuto; avrebbe atteso altri pochi minuti, poi se ne sarebbe andata. 
Con la pioggia cessata o meno. 
Rimise il cellulare in borsa dopo aver cambiato una canzone e si mise a fissare il vuoto mentre la scena di poco prima le ribalenò in mente. 
«Tutto bene?», sentì chiederle da una voce poco dopo. 
Voltò la testa e si ritrovò davanti un ragazzo che le sorrideva appena. 
«Non direi, piove e non ho l’ombrello», mugugnò lei in tutta risposta togliendosi una cuffia dalle orecchie. 
D’improvviso si ritrovò quell’oggetto che tanto necessitava davanti agli occhi. 
Li strabuzzò e guardò sbieca il tipo che glielo stava porgendo con un sorriso che gli faceva assumere un’aria simpatica; lei lo osservò per bene e si ricordò di averlo visto prima: impossibile dimenticare quel cespuglio che aveva al posto dei capelli. 
«Non posso accettare, tu poi rimarresti senza» 
«Ti sbagli, me ne porto sempre due dietro per soccorrere le povere ragazze che non sono del posto» 
La sua voce era molto seducente e profonda, in netto contrasto con il suo aspetto estetico: quel tipo non dimostrava più di vent'anni. 
«Ma che galantuomo», disse lei ironica e al suo commento non poté non notare le fossette che gli si formarono agli angoli della bocca. 
Sembrava più un bambino di dieci anni che un ragazzo ormai adulto. 
Lei mormorò un piccolo “grazie” prendendogli l’ombrello dalle mani e lo fissò per un’ultima volta. 
Rimase leggermente abbagliata da quelle sfere verde smeraldo che si ritrovava al posto degli occhi, erano strani e in qualche modo ci potevi leggere furbizia e maliziosità. 
Non che non avesse capito il suo intento, sia chiaro. 
Lo aveva inquadrato da subito, aveva compreso benissimo che tipo fosse alla prima occhiata che si erano dati. Continuarono a fissarsi per pochi secondi fino a che una voce non li distrasse e non li fece voltare. 
Il ragazzo moro di poco prima aveva chiamato il riccio e lo stava salutando con una mano con un sorriso raggiante e gioioso sul volto, che sparì non appena mise a fuoco la ragazza; lei, d’altro canto, rimase ancora più sorpresa e confusa da quel cambiamento d’espressione di quanto già non fosse. 
La sensazione di averlo già conosciuto non se ne voleva proprio andare. 
I due ragazzi chiamati in causa continuarono a fissarsi per un po’ fino a quando lui non fu raggiunto dagli altri due, che interromperono così il loro contatto visivo. 
La ragazza prese la borsa che era rimasta sulla sedia, consapevole che era ora di tornare a casa. 
«Comunque io sono Harry», si presentò il cespuglio con un sorriso vispo e leggermente provocante. 
Nicole diede un’ultima occhiata prima a lui e poi all’altro tipo in fondo, che aveva ripreso a guardarla in un modo alquanto strano. 
Non riusciva a capire dove potesse averlo già incontrato. 
In fondo quando mai aveva conosciuto dei giovani inglesi prima d’ora? 
Negli ultimi anni gli scambi culturali che aveva fatto con la scuola non l’avevano mai portata a Londra o comunque nel Regno Unito, e di viaggi all’estero non ne aveva fatti molti altri. 
Quindi dove cavolo potevano essersi già visti? 
Forse lo stava solamente confondendo con qualcun altro, forse assomigliava solamente ad un suo vecchio amico ed allora si stava facendo troppi problemi mentali per niente. 
Eppure era sicura - nonostante lo avesse visto sempre da una certa distanza - di essersi già tuffata in quelle iride così azzurre che potevano fare impressione; era sicurissima di aver già visto quel viso, quel sorriso sbarazzino e quello sguardo analizzatore. 
Ma dove? 
Scosse la testa ancora dubbiosa e si diresse verso le porte girevoli che l’avrebbero portata finalmente fuori di lì; strinse nella mano l’ombrello che le aveva prestato il riccio e solo allora si ricordò di non avergli più risposto. 
«A domani Harry» 
Lo salutò così, sicura del fatto che lo avrebbe fatto morire. 
E non aveva tutti i torti. 
Il tipo se ne restò basito vedendo quella ragazza che se ne era andata agitando la mano senza nemmeno voltarsi, prima di immergersi sotto l’acquazzone che c’era fuori e sparire poco dopo dalla sua visuale. 
Rimase alcuni secondi a fissare il vuoto con la fronte corrugata e un sorriso ebete stampato sulla fronte. 
Mille domande gli affollavano la testa mentre la sua frase ancora gli rimbombava nella mente. 
A domani Harry”. 
Si sistemò i capelli prima di essere invaso dalle risate e dalle battute dei suoi compagni 
Uno, però, era più silenzioso di quanto avrebbe dovuto essere.



Angolo Autrice: 
Allora allora allora… Con questo capitolo inizia la seconda parte di questa storia, ovvero il presente che adesso vivrà Nicole. Abbiamo scoperto che la meta che avevo già citato le scorse volte è Londra, la nostra amata Londra – che però non piace molto alla nostra bionda – e questa città farà da sfondo ai prossimi avvenimenti che accadranno :)
Nic deve fare la fotografa per il prossimo progetto della Sony, e chi incontra qui? :)
Eh sì, il nostro caro Louis; secondo voi lui l’ha riconosciuta? :D
 
  
Ringrazio infinitamente Egg___s per il fantastico banner, nel quale potete vedere come io mi sono immaginata la nostra protagonista :) 
Altrimenti vi lascio il link qui : Nicole :) 
  
Concludo ringraziando ancora una volta tutte le ragazze che hanno lasciato una recensione negli scorsi capitoli e che seguono la storia :) Grazie davvero :’)
Spero, ovviamente, che avrete la voglia di lasciarmi anche con due semplici paroline il vostro parere :)
Un bacione enorme a tutte e buona Pasqua! :D
Another_Life
 
xoxo

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


89

Change My Mind

Capitolo 13

«Si può sapere che ti succede?» 
La voce in lontananza dell’amico - che poi era sistemato ad un metro da lui - risuonò nelle orecchie del ragazzo e lo riscosse dai suoi pensieri; questi alzò lo sguardo, confuso da quella domanda, ma quando si tuffò negli occhi verdi smeraldo dell’altro non poté non capire immediatamente a cosa si stesse riferendo. 
Erano seduti tutti e quattro nel grande soggiorno dell’appartamento che condividevano, troppo esauriti una giornata pesante e tremendamente stressante e vogliosi di farsi una bella dormita; Niall, come al solito, si era sfogato prendendosela con il frigorifero e divorando ogni genere di cibo che vi era dentro, dai quelli più calorici a quelli più salutari. 
Poco gli importava di cosa fossero costituiti, l’importante per lui era mangiare. 
Liam se ne stava disteso su uno dei giganteschi divani, sdraiato e con gli occhi chiusi mentre della musica ad alto volume gli trapassava i timpani attraverso degli auricolari; quello era il suo modo di lasciarsi andare, il suo modo per liberarsi dallo stress e dall’odio che provava qualche rara volta per il mestiere che lui stesso aveva voluto intraprendere qualche anno prima, non sapendo ancora bene a cosa sarebbe andato incontro. 
Louis, invece, era seduto su una delle poltrone con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e l’espressione persa nel vuoto; non era da lui essere così silenzioso, così tranquillo, così serio e spento. Non era da lui evitare qualunque battuta, per quanto sconcia che fosse, non era da lui rimanersene in disparte e continuare a farsi inutili seghe mentali. 
Il suo migliore amico aveva notato quel velo di confusione nei suoi occhi chiari ancora nel primo pomeriggio, esattamente quando avevano incontrato quella ragazza per la prima volta. 
Il problema, però, era che non riusciva a capire cosa potesse avergli fatto. 
Era molto carina, questo non poteva negarlo, l’aveva fatto rimanere di stucco come poche tipe avevano avuto il potere di farlo e non aveva ancora compreso cosa ci facesse lì. 
Non sapeva nulla di lei, così come gli altri. 
Qualcosa, però, gli continuava a ripetere che il castano dalle sfere azzurre sapeva più di quanto avrebbe dovuto. 
Nonostante fossero passati alcuni minuti non aveva ricevuto alcuna risposta, così cominciò ad irrigidirsi. 
«Lou, è per lei 
Pronunciò l’ultima vocabolo con marcata rilevanza e vide il suo compagno fremere al sentire quella parola. 
«La conosci?», continuò imperterrito. 
La cosa lo stava incuriosendo e preoccupando sempre maggiormente, il che non era normale; Louis non era il tipo da tenersi tutto dentro, specialmente con lui, il suo migliore amico, quel ragazzo che riusciva a capirlo come mai nessuno aveva fatto prima. 
«Non lo so», rispose solamente lasciandosi andare ad un sospiro. 
Il viso della tipa gli continuava a saltare alla mente, il suo sguardo freddo e distaccato non gli era indifferente, i suoi occhi cioccolato gli erano più che familiari. 
Ma dove l’aveva conosciuta? 
Dove si erano incontrati prima di quel pomeriggio? 
Era solo una sua paranoia? 
La confondeva con qualcun’altra? 
Forse sì, forse no, stava di fatto che quel dubbio non voleva lasciarlo in pace. 
Poche ore prima, quando l’aveva rivista parlare con Harry e si erano scambiati un’altra lunga occhiata, qualcosa dentro di lui si era mosso, qualcosa che teneva nelle profondità della sua anima. 
Qualcosa aveva cominciato a salire ma si era interrotto non appena lei se ne era andata. 
No, non era nessun tipo di sentimento amorevole o quant’altro, non era nessun desiderio di passione o potere, niente di tutto ciò; era qualcosa di più importante, di più semplice e valoroso. 
Era qualcosa che aveva provato l’ultima volta tanto tempo prima, qualcosa che però non riusciva a ricordare. 
«Louis, il cellulare», lo richiamò la massa di capelli ricci che gli stava a fianco. 
La sua espressione era tremendamente in pena e preoccupata per il suo amico, troppo intento e concentrato nei suoi pensieri per sentire la sua suoneria fastidiosa, che aveva svegliato pure un Liam assorto in un sonno e con ancora gli auricolari ben conficcati nelle orecchie. 
Il tipo prese l’aggeggio dal tavolino che si trovava davanti a loro e fece un mezzo sorriso quando vide il nome scritto sul display. 
Eleanor. 
Accettò la chiamata e salutò la sua fidanzata con il solito tono gioioso, cominciò a chiacchierarci assieme e si diresse verso la sua camera, mentre il tipo col cespuglio al posto dei capelli scuoteva la testa e malediva la sua futura cognata per il perfetto tempismo. 

* * * 

Nell’appartamento che Louis e Harry condividevano vicino alla casa discografica tutto era tornato alla normalità; la sera precedente Niall e Liam avevano deciso di rimanere per la notte, troppo esausti e sfiniti anche solo per alzarsi dal divano e dirigersi alle rispettive camere, figuriamoci tornare nelle loro abitazioni. Il riccio non era più riuscito a parlare con l’amico ma era deciso a non voler lasciar perdere la cosa: voleva assolutamente sapere cosa gli stava succedendo, vedere il castano così soprappensiero non era normale. 
Tre quinti della band stavano facendo colazione quella mattina. Una buona dormita li aveva rimessi tutti in sesto: Liam era più fresco che mai e desideroso di tornare presto alla casa discografica per andare avanti con il lavoro, Niall stava tornando in sé svuotando ancora una volta il frigorifero e i cassetti delle varie dispense, mentre il tipo dagli occhi smeraldo stava rimuginando sul da farsi. 
«Styles, se non ti va quel cappuccino puoi lasciarlo all’irlandese», lo riprese il compagno. 
Questo si animò improvvisamente e fissò prima loro e poi la sua bevanda, che stava mescolando ormai da dieci minuti; il clima si alleggerì subito e tutti scoppiarono in una piccola risata. 
Improvvisamente, un strano rumore catturò la loro attenzione. 
Sembrava che un branco di dinosauri stesse scendendo le scale accompagnando il tutto con delle imprecazioni dovute a qualcosa che aveva sbattuto contro il tavolino all’angolo. 
Si voltarono verso la porta preoccupati prima di veder sbucare un Louis alquanto scombussolato. Aveva addosso ancora il pigiama, i capelli andavano in tutte le direzioni, portava una sola pantofola e gli occhi strabuzzanti accoppiati al sorriso trionfante misero tutti e tre ancora più in confusione. 
«L’ho sognata, l’ho sognata!», esclamò il tipo agitando le braccia e cominciando a saltare sul posto. 
«Credo sia normale Lou, sognare la propria ragazza non è così assurdo», commentò un Liam ancora stranito. 
«Ma no, cosa andate a pensare? Ho sognato lei», continuò lui imperterrito, sbattendo un piede per terra e riproponendo l’esatto comportamento che avrebbe avuto un bambino di cinque anni. 
I due biondi assunsero un’espressione alquanto frastornata e smarrita mentre il riccio spalancò le sue sfere incredulo; aveva capito bene cosa voleva intendere il suo amico, aveva capito benissimo chi fosse la parte mancante della frase. 
E questo non gli piacque per nulla. 
Un qualcosa di strano cominciò subito a salirgli nel petto, una specie di rabbia, una gelosia che non aveva mai provato prima d’allora per lui, quello che considerava più di un fratello. 
«Ragazzi è tardi, Louis và a vestirti, hai esattamente cinque minuti per essere di nuovo qui», sentenziò il daddy del gruppo alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la sua camera. 

* * * 

Per le quattro ore che seguirono il castano non si sbilanciò di una virgola: non aveva detto niente ai suoi compagni del sogno, non aveva dato loro alcuna spiegazione su quella tipa che avevano incrociato il giorno precedente alla casa discografica e aveva perso in parte quell’aria pensierosa e distaccata che lo aveva accompagnato per tutta la serata. 
Non aveva voluto confidarsi con nessuno proprio perché non si sentiva sicuro. 
Dopo la lunga telefonata con Eleanor - che era quasi riuscita a fargli togliere dalla mente il motivo della sua silenziosità - si era rintanato nella sua camera dicendo agli altri che voleva riposare; la fulminata preoccupata e curiosa di Harry, però, non gli era sfuggita, nonostante avesse fatto finta di non notarla. Aveva pensato al volto di quella ragazza per un tempo indefinito, fissando un punto a caso del soffitto e continuando a chiedersi chi mai fosse. 
Aveva passato in rassegna tutto quello che gli era successo negli ultimi due anni, tutte le facce di qualunque tipa avesse incontrato senza però giungere ad una conclusione. 
Aveva terminato con il giudizio che forse era stata solamente una fan che aveva visto tanto tempo prima e che pensava di aver scambiato con una persona che aveva conosciuto; si era coricato, ancora con la testa affollata di domande e incapace di giurarsi che quella giovane non fosse mai entrata nella sua vita. 
Gli sembrava letteralmente impossibile non averci mai dialogato, mai parlato, mai riso assieme. 
Gli sembrava impossibile perché, nel suo profondo, sapeva bene che non era così. 
Si era poi svegliato la mattina successiva, spalancando gli occhi di colpo e notando che c’era già il sole fuori; era sconvolto ed euforico allo stesso tempo, l’aveva sognata, l’aveva sognata cavolo, si era ricordato di lei! 
Non ci poteva credere, non poteva credere che quella ragazza fosse davvero lei. 
Insomma, erano passati anni, no? 
Era passata un’infinità di tempo, un tempo in cui avevano perso i contatti e i ricordi. 
Un tempo che però ora si era deciso di rivivere, di rievocare, di rammentare a tutti. 
Aveva continuato a chiedersi come mai lei fosse lì, a Londra, nella loro casa discografica. 
Insomma, il mondo era davvero così piccolo? 
O era solamente destino? 
Aveva continuato a chiedersi come avesse fatto Liam a non riconoscerla, a non venirgli un dubbio. 
In fondo, anche lui l’aveva frequentata, anche lui ci era diventato amico. 
Ma forse non quanto lui. 
Aveva continuato a chiedersi se lei li avesse individuati, se avesse capito chi fossero. 
Dopotutto, anche lei era sembrata abbastanza scioccata e confusa. 
Ma era davvero arrivata a quella conclusione? 
Aveva continuato a domandarsi cosa sarebbe successo dopo, con l’arrivo dell’altro e tutto il resto. 
Tutto sommato, poteva essere un’occasione per risistemare il casino fatto anni prima. 
Ma erano davvero pronti per rivedersi, entrambi? 
Sapeva per certo che non era così, se lo sentiva dal profondo del cuore. 
Aveva la sensazione che niente sarebbe stato facile, niente sarebbe stato semplice come allora. 
Erano passati molti anni, durante i quali tutti erano maturati. 
Tutti eccetto lui, ovviamente. 
Insomma, era o non era l’eterno Peter Pan? 
Stava fremendo, cavolo. 
Stava fremendo perché non vedeva l’ora di poterla rivedere. 
Stava fremendo perché non desiderava altro che tutta quell’ansia che lo stava assalendo terminasse. 
Stava fremendo perché non poteva credere che stesse succedendo davvero. 
Stava fremendo perché era terrorizzato dall’idea che si fosse sbagliato. 
E più di tutto, stava fremendo perché, per la prima volta dopo tanto tempo, non riusciva a prevedere quello che sarebbe successo dopo. 
«Louis, Jane ci vuole subito nel suo ufficio. Ha detto che è importante» 
La voce allegra e spensierata di Niall lo aveva riportato alla realtà. 
Lo fissò ringraziandolo con un sorriso e poi guardò l’ora sul cellulare. 
Erano le due e trenta. 
Cosa mai poteva volere la loro manager a quell’ora, interrompendo così le prove? 
Si diresse con passo lento e pesante verso la stanza della donna, attraverso il corridoio che ormai sapeva a memoria; fissò per un tempo maggiore del previsto quelle pareti che lo avevano visto crescere, che erano state testimoni di tutti gli scherzi e le burle che lui e gli altri si erano divertiti a fare. 
Quelli sì che erano stati bei tempi. 
Aprì la porta dello studio ritrovando i suoi compagni, Jane e … 
Spalancò gli occhi quando la vide. 
Non ci poteva credere, non si sarebbe mai aspettato di vederla lì, davanti a loro, così vicina, così bella. 
Si tuffò in quelle iridi cioccolato così come lei fece in quelle azzurrissime di lui ed entrambi ebbero un lieve sussulto; rimasero imbambolati a fissarsi reciprocamente assumendo l’esatta espressione di due ebeti per qualche secondo, finché la donna non li interruppe ricominciando a parlare. 
Mentre lui aveva avuto l’assoluta certezza quando l’aveva vista, lei d’altra parte sentì lo stomaco stritolarsi in una morsa che le fece morire il fiato in gola; appena lo aveva messo a fuoco, appena aveva rivisto quel viso, quegli occhi, quello sguardo … 
Appena dopo averlo esaminato per bene ed aver constato chi fosse veramente una miriade di ricordi le assillò la mente, ricordi che aveva rivissuto non molti giorni prima, ricordi che si era ripromessa di non rivivere più, ricordi che fecero riaprire quella ferita che si portava appresso ormai da troppi anni. 
Si erano riconosciuti entrambi, entrambi avevano capito chi fosse la persona che si trovavano davanti, entrambi avevano sentito una serie di brividi percorrere le rispettive schiene ed entrambi si erano dimenticati di tutti gli altri che c’erano nella stanza. 
«Louis, finalmente. Stavo proprio presentando ai tuoi compagni questa ragazza. Miei cari, lei è …» 
Non ebbe il tempo di dire il suo nome che il castano la precedette. 
«Nicole?», chiese più alla diretta interessata che alla donna. 
Questa, sentendosi chiamata proprio da lui, fremette e lasciò che un brivido le percorresse il corpo. Non c’erano dubbi, aveva appena avuto la conferma che lui era proprio quello che pensava. 
«Louis?», domandò di rimando assumendo un’espressione ancora più sorpresa e scioccata. 
Il ragazzo intanto si era avvicinato agli altri e se l’era ritrovata davanti, con quegli occhi scuri che lo scrutavano increduli e felici, proprio come i suoi in quel momento. 
Le facce degli altri quattro non erano da meno: Jane era evidentemente scombussolata e non sapeva come reagire a quella scoperta, Niall aveva la bocca socchiusa e con gli angoli rivolti verso l’alto, Liam era evidentemente scosso e sconvolto perché stava ricordando qualcosa, mentre gli occhi di Harry vagavano scuri e seri dal suo migliore amico alla ragazza. 
Non riusciva a tenere calma quella piccola gelosia che si ritrovava all’altezza del petto, non riusciva a capacitarsi del fatto di come quei due si conoscessero e non riusciva a sopportare l’idea che forse tra di loro ci fosse stato qualcosa. 
«Non ci credo, sei proprio tu?», balbettò lei ancora incredula. 
«Certo che sì! Vieni qui!», le rispose lui con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. 
Le si avvicinò e la strinse in un abbraccio da orso che mai si sarebbe aspettata; dopo qualche secondo di smarrimento riuscì finalmente a ricambiarlo e respirò appieno l’odore dell’amico che gli era tanto mancato. 
La sua risata le risuonò dentro l’anima, da troppo tempo non la sentiva e nonostante tutti quegli anni non era cambiata di una virgola. 
«Aspetta, lui lo riconosci?», le chiese qualche minuto dopo staccandosi da lei ma continuando a tenerle un braccio sulle spalle. 
Le indicò con un dito un ragazzo del gruppo, capelli biondo cenere e quasi completamente rasati; gli occhi marroni e caldi non gli erano nuovi, così come quel sorriso travolgente e rassicurante. Mise bene a fuoco quello sguardo dolce e gentile, quell’aria simpatica e garbata, e appena notò la voglia che aveva al collo un altro flusso di ricordi le pervase la mente per qualche secondo. 
«Liam?», chiese sorpresa e ancora una volta incredula. 
Non poteva crederci, non potevano essere entrambi lì, non con lei. 
Era quasi impossibile, così surreale, così fantastico. 
Non poteva essere vero. 
«Nicole?», domandò lui altrettanto meravigliato. 
I due si avvicinarono scrutandosi rispettivamente e poi si abbracciarono stretti; lei risentì subito la sensazione di protezione che pochissime volte aveva percepito dopo quella vacanza, quel senso di riparo che solamente lui sapeva trasmetterle, quel rifugio che la faceva sentire difesa dal mondo. 
Louis si unì a quel piccolo abbraccio sotto gli sguardi confusi e divertiti di Jane e Niall e sotto lo sguardo omicida del riccio. 
«Vi conoscete?», chiese poco dopo la donna quando tutti e tre ebbero finito la loro piccola conversazione. 
Questi si guardarono compiaciuti e si sorrisero contemporaneamente. 
Era davvero una lunga storia. 

* * * 

«Quindi sarai la nostra fotografa personale», sentenziò Louis sorridendo in modo furbo. 
«Così pare», fu la risposta della ragazza che non sapeva cos’altro dire. 
Dopo essersi riconosciuti Jane le aveva presentato il tipo biondo che aveva un’aria simpatica e gioiosa e quello riccio con cui aveva già avuto il piacere di parlare il giorno prima; dopodiché si erano rifugiati in una delle sale prove e lì il castano aveva cominciato a fare battute sui suoi compagni, tanto per dare un’idea alla sua amica di con quali elementi avrebbe dovuto lavorare. 
Si era ritrovata subito a suo agio e, tra una risata e l’altra, era passata quasi un’ora; Niall si era divorato tutto il cibo che era riuscito a trovare e davvero lei non riusciva a capire come facesse a mangiare tutte quelle schifezze e a riuscire ad avere un fisico del genere. Harry, invece, era stato abbastanza silenzioso, sembrava che avesse perso tutto la sua sicurezza, tutta la sua tranquillità e si fosse trasformato in un ragazzo timido e introverso - cosa alquanto strana. 
Il castano era stato però ben attento a non andare fino in fondo sul capitolo “vacanza” e aveva lasciato sorvolare tutto quello che avrebbe voluto chiederle - ma lo avrebbe fatto ovviamente quando sarebbero rimasti soli, teneva troppo a quella ragazza per lasciar stare tutto come se non fosse successo nulla. 
L’aveva vista cambiata, quello era sicuro: i lunghi capelli biondi tinti le ricadevano mossi sulla schiena, il suo carattere era notevolmente mutato ed ora era molto più estroversa, più frizzante, più solare, più matura. Forse solamente gli occhi avevano mantenuto la stessa espressione timida e insicura; era proprio vero che erano lo specchio dell’anima. 
Osservò per bene anche il suo fisico, divenuto notevolmente più asciutto e dimagrito, e il suo stile, evidentemente cambiato e alla moda. 
Continuava a sorridere vedendola conversare allegramente con l’irlandese e suo cugino, ma non poté non notare lo sguardo serio del suo migliore amico. 
Il suo flusso di pensieri venne interrotto dall’arrivo di Max, un impiegato della casa discografica. 
«Nicole, Jane ti aspetta nel suo ufficio, devi firmare un paio di carte», la informò l’uomo. 
«Ci vado subito, grazie» 
Louis fece un’altra delle sue battute mentre lei prendeva la sua borsa e si avvicinava alla porta che l’altro aveva lasciato aperta; scosse la testa sistemandosi un ciuffo biondo che le era scivolato sul viso e sorrise spontaneamente. 
«Allora ci vediamo domani?», le chiese Liam tranquillamente. 
La ragazza si voltò e fece qualche passo all’indietro mentre rispondeva all'amico e salutava gli altri; improvvisamente, però, sbatte contro qualcosa. 
O meglio, contro qualcuno. 
Si girò cercando di rimanere in equilibrio e ancora prima di vedere chi fosse cominciò a scusarsi. 
«Mi dispiace, non l’ho fatto …» 
Le parole le morirono in gola appena si ritrovò davanti un paio di occhi neri come il petrolio, a esattamente pochissimi millimetri di distanza. Il respiro del giovane si abbatteva irregolare sul suo viso e suo suo collo, provocandole mille brividi e un'improvvisa sensazione di freddo. 
Nella stanza tutto, improvvisamente, era diventato gelido ed elettrico. 
Il cuore cominciò a martellarle nel petto come un forsennato e il fiato le si mozzò; spalancò le palpebre e si allontanò di colpo giusto per vedere lo shock farsi strada nel viso del tipo. 
Il suo profumo le entrò nelle narici e cominciò a darle alla testa, mentre le mani avevano iniziato a tremare inspiegabilmente, così come le gambe: mancava davvero poco che cedessero e pregò con tutta se stessa - o meglio, con la minima parte razionale che le era rimasta - che non succedesse. 
Tra i due non si capì chi fosse quello più sconvolto e sorpreso. 
Louis rimase scioccato per loro quando vide il suo amico scontrarsi con lei. 
No, non doveva accadere, non doveva succedere così, non in quel modo. 
Nella mente di entrambi cominciarono a farsi strada una miriade di ricordi, ricordi che scivolavano via e si susseguivano in una maniera impressionante, ricordi che fecero riaprire le cicatrici che ognuno dei due portava dentro di sé. 
«Nicole? Ti muovi? Jane ti sta aspettando» 
Max aveva interrotto quel contatto visivo con un tatto decisamente aggraziato. 
Non seppe come ma riuscì a spostarsi e ad uscire dalla stanza, lanciando un’ultima occhiata traumatizzata prima al moro e poi al suo amico castano, che la fissava dispiaciuto. 
Percosse quel piccolo corridoio sentendo i suoi occhi trapassarla, proprio come quattro anni prima. 
Si sentì morire dentro, proprio come quattro anni prima. 
Versò una piccola lacrima e trattenne tutte le altre, proprio come quattro anni prima.



Angolo Autrice: 
Buongiorno a tutte :) 
Come state? Spero bene :) 
Questo era il *va a controllare sopra* tredicesimo capitolo di Change My Mind :)
La domanda mi viene spontanea: vi è piaciuto?
 
Abbiamo visto la perplessità e la confusione che si erano insinuate nel caro Louis – che come nessuna di voi si aspettava non è riuscito a riconoscere Nicole. Ma vogliamo biasimarlo? Insomma, sono pur sempre passati quattro anni, durante i quali lui è diventato famoso a livello mondiale e, di visi femminili, ne ha visti a bizzeffe. Come si dice, però, la notte porta consiglio e il suo inconscio è riuscito a far ricordate al nostro bel castano chi era quella bionda che tanto lo aveva scioccato. 
Scoperta la sorpresa, Nicole riceve però un altro bello schiaffo in pieno viso, ovvero la comparsa di Zayn, che la distrugge moralmente. 
Spero vivamente di non avervi deluse con questo capitolo, né con il rincontro tra i due (ex?) innamorati :D 
Ringrazio come sempre tutte le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e che seguono la storia, siete tutte tremendamente fantastiche <3 
Adesso scappo davvero, buona domenica, un bacione a tutte <3
Another_Life
 
xoxo


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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


89

Change My Mind

Capitolo 14

Louis stava camminando velocemente attraverso tutte le possibili strade secondarie di Londra; era sera ed era pure ora di cena, ma con un pretesto aveva lasciato l’appartamento che condivideva con Harry per recarsi da lei. Ripensò alla scena a cui aveva assistito in prima persona quel pomeriggio e un brivido gli percosse la schiena; non riusciva nemmeno ad immaginare cosa potessero aver provato i suoi due amici appena si erano rivisti, non riusciva nemmeno lontanamente a comprendere cosa fosse successo nell’anima di entrambi appena si erano resi conto della persona a cui erano andati rispettivamente a sbattere. 
Dire che era scoppiata la terza guerra mondiale sarebbe stato un eufemismo. 
Davvero, tutti avrebbero faticato a crederci se uno dei due avesse raccontato il modo in cui i reciproci stomaci avevano iniziato a contrarsi, oppure le andature rapidissime che avevano preso i battiti dei propri cuori, o ancora il tremore che si era impossessato degli arti dei due giovani. 
Si fermò appena in tempo dietro ad un muro per evitare una folla di ragazzine impazzite che lo avevano riconosciuto poco prima e ripartì subito dopo, pregando che l’alloggio in cui stava la sua amica non fosse lontano; se qualcuno lo avesse visto in quel momento avrebbe potuto benissimo spaventarsi e pensare di trovarsi davanti ad un ragazzo poco di buono, uno di quei figli di papà ribelli che si divertono a fare casini ed a evitare poi ogni forma di pena come punizione. Con quel cappuccio in testa e sotto di questo uno di quei cappelli con il frontino che coprono parte del viso, con quel cappotto lungo e scuro e quell’andatura ansiosa e preoccupata sembrava tutto tranne il più pazzo e ironico membro della più famosa band maschile del momento. 
Ripercosse ancora una volta con la mente quella scena che aveva sconvolto quei tre e aveva lasciato confusi gli altri; appena dopo che Nicole ebbe lasciato la stanza in un silenzio che sembrava glaciale, lui si era alzato e si era avvicinato preoccupato al pakistano, ancora sotto shock. 
Gli occhi neri erano sbarrati e increduli, impauriti che quello che avesse appena visto non fosse solamente un altro dei suoi sogni ma la più cruda realtà. 
Il castano aveva appoggiato una mano sulla spalla dell’amico con fare premuroso, e con quel piccolo gesto lo aveva risvegliato da quel piccolo stato di coma in cui era caduto. Il moro aveva piantato le sue sfere scure addosso a quelle azzurre e spente dell’amico, chiedendogli una spiegazione che però allo stesso tempo non aveva il coraggio di sentire. 
«Dimmi …. Dimmi che non è vero», aveva balbettato incoerente mentre tutto il resto della band si fissava scombussolato. 
«Mi dispiace Zayn», aveva ammesso l’altro incapace di reprimere il dolore che aveva cominciato a divulgarsi nel corpo del suo compagno. 
Sentire quelle parole fu come ricevere una pugnalata in pieno petto; non poteva essere lei, non poteva essere lì, nella loro casa discografica, non poteva essere tornata. 
Non poteva per il semplice fatto che lui non era ancora pronto. 
Non era pronto a rivederla. 
Non era pronto a riaverla lì, con loro, come se nulla fosse successo. 
Non era pronto a risentirla vicina. 
Non era pronto per affrontare tutto questo. 
Era un codardo, lo sapeva da sempre. 
Aveva paura, e non sapeva come affrontare tutto questo. 
Il ragazzo terminò quel flusso di ricordi giusto quando arrivò davanti alla sua stanza d’albergo; bussò alla porta sperando con tutto se stesso che non fosse uscita e attese. 
Dopo qualche minuto la vide aprirsi e una chioma bionda sbucare da dietro di questa; l’espressione stupita e sorpresa che fece lei fece scoppiare il ragazzo in una piccola risata. 
«Louis? Che ci fai qui?», gli domandò preoccupata e scombussolata. 
«Mi potresti far entrare? Sai, ho paura che la flotta di fans e giornalisti che ho seminato poco fa mi stia per ritrovare», rispose lui ridacchiando e facendosi strada all’interno del piccolo alloggio. 
Era tutto carino e ben organizzato, la sua amica aveva proprio buon gusto. 
«Allora? Come facevi a sapere che sto qui?», gli chiese lei dopo averlo fatto accomodare nel piccolo salotto. 
«Jane», ammise osservando il cartone della pizza che si trovava nel tavolino davanti a lui. 
«Serviti pure», lo incitò la ragazza sorridendo e scuotendo la testa divertita. 
«Dici sul serio? Grazie!», esclamò euforico. 
Capisca, il tipo non doveva mangiare da un bel po’, pensò lei guardando il modo in cui divorò un trancio di quella prelibatezza italiana. 
Cominciarono a chiacchierare del più e del meno per qualche minuto fino a che tutti gli argomenti poco seri e senza alcun scopo specifico non terminarono. 
«Cosa sei venuto a fare qui, Louis?» 
La domanda della tipa lo prese alla sprovvista anche se sapeva che, prima o poi, sarebbe arrivata; si voltò a guardarla e cominciarono a fissarsi entrambi negli occhi. Lui in quelli cioccolato di lei, che trasmettevano dispiacere, malinconia e confusione oltre ad un enorme quantità di sentimenti contrastanti; lei in quelli azzurrissimi di lui, che diramavano la solita gioia ed esuberanza mista però ad una vena triste. 
Sembrava quasi che fosse in pensiero per lei. 
Abbassò lo sguardo e si pulì le mani con un tovagliolo; poi, con molta calma, si sistemò meglio sul divano e cercò di trovare le parole più adatte. 
Prima che potesse parlare, però, lei lo precedette. 
«Perché non me l’hai detto prima?» 
Quella domanda lo colpì ancora più forte della prima. 
Non aveva mai voluto ferirla o farle del male, questo era stato da subito l’ultimo dei suoi pensieri, voleva proteggerla e vederla felice proprio perché … 
Non lo sapeva nemmeno lui, il perché; era una cosa troppo complicata da capire e da spiegare che ci aveva rinunciato da subito. La sentiva come una specie di sorella, in lei ritrovava le sue piccole donne di casa che vedeva raramente a causa di quello che era diventato il suo lavoro. 
Alzò il viso e si tuffò in quelle sfere scure così serie e arrabbiate che mettevano inquietudine. 
«Non sapevo tornasse oggi e stavo cercando il momento giusto per dirtelo. Credimi, non volevo lo scoprissi così». 
La ragazza sospirò e mormorò un flebile e distaccato “non importa” prima di perdersi in un flusso di ricordi che fece riaprire le cicatrici che si portava dentro. Non andava bene, lo sapeva benissimo, ma non riusciva a fare a meno di rivivere l’incontro inaspettato di quel pomeriggio, non riusciva a togliersi dalla testa quelle due perle nere che si era ritrovata a pochi centimetri da lei, non riusciva a cancellare la sua espressione scioccata e impaurita dalla sua mente. 
Era peggio di una tortura. 
«Come vi siete rincontrati?», gli chiese improvvisamente spezzando il silenzio che si era creato. 
Il castano le diede un’occhiata veloce, quasi per assicurarsi che stesse bene e che non stesse per mettersi a piangere, e ne restò impressionato: non l’aveva mai vista così seria, così apparentemente calma e tranquilla. 
Come se tutto quello non le stesse facendo nessun effetto. 
Come se tutto quello non le importasse minimamente. 
Come se tutto il dolore che provava in realtà non esistesse. 
Louis scosse la testa per liberarsi da quei pensieri, prese un respiro e cominciò quel fatidico racconto. 
«Otto mesi dopo il nostro incontro i miei genitori si sono separati, e io ho seguito mia madre in Inghilterra assieme a Liam, che voleva fare nuove esperienze; inizialmente avrebbe dovuto rimanere da noi solamente per una piccola vacanza, ma poi si è innamorato di questo paese e non ha più voluto andarsene, così è venuto a vivere con noi. Un giorno la donna che mi ha messo al mondo ci ha chiamato dicendoci che - dal momento che non sopportava più di sentirci cantare per tutta la casa tutti i santi giorni - ci aveva iscritti ai provini per X-Factor. Da solisti abbiamo fatto l’audizione ma per i giudici non eravamo stati abbastanza bravi, così ci hanno respinti; la sera prima di ripartire, però, questi ci hanno richiamato sul palco con una scusa assieme ad altri tre ragazzi, tra cui Zayn, che aveva fatto anche lui un esame andato male; lì ci hanno comunicato che se volevamo entrare nello show dovevamo farlo come band, altrimenti saremmo tornati alle nostre vite di sempre, e tutti abbiamo accettato. Non avevamo nulla da perdere, ci siamo detti, così perché non provarci?» 
Nicole aveva ascoltato attentamente tutto il racconto di Louis, fremendo impercettibilmente al sentir pronunciare il nome del moro e restando un po’ basita da come si fossero rincontrati tutti; era strano che il destino li avesse rivoluti ancora una volta tutti insieme, tutti vicini, tutti testimoni dei loro sentimenti che tenevano nel profondo delle rispettive anime. 
Lei ne era sicura, c’era un motivo ben preciso se aveva trovato quel libretto solo pochi giorni prima, se adesso le loro strade - dopo un lungo periodo di lontananza - si erano incrociate ancora una volta, se tutto sembrava avere uno scopo preciso. 
Perché uno scopo ci doveva essere. 
Non sapeva bene quale - e qualcosa dentro di lei le diceva che non avrebbe voluto mai saperlo - ma lo avrebbe scoperto presto. 
Louis la stava osservando da qualche minuto: se con gli altri era sembrata sciolta e solare, con lui era quasi il contrario, con lui era se stessa. Non aveva idea di come fosse avvenuto questo cambiamento - se in modo naturale o imposto - ma sapeva che stava cercando di tenere nascosta la sua vera anima, il suo vero carattere, il suo vero io, come se avesse paura, come se si vergognasse. 
«Tu che stavi facendo di bello?», le domandò qualche secondo dopo lasciando la poltrona e stravaccandosi accanto a lei nel divano. 
Il gesto di Louis non la sorprese più di tanto, era abituata ai suoi strani atteggiamenti fin troppo affettuosi, nonostante non si vedessero né sentissero da quattro anni; era un po’ come se, invece, fossero rimasti sempre in contatto, come se avessero continuato a rimanere amici, a sfogarsi reciprocamente dei propri problemi, a ridere assieme come avevano fatto una volta. 
Il legame che li univa era molto forte, lo percepivano entrambi. 
Sebbene in quel momento nessuno dei due sapeva nulla della vita dell’altro erano assieme, convinti del fatto che si avrebbero potuto aiutare a vicenda; era una specie di sesto senso, quelle cose che senti provenire dal profondo del tuo cuore e che non puoi fare a meno di dare ascolto. 
Assurdo, direbbero alcuni, impossibile, scientificamente impensabile. 
Ma loro erano un caso a parte, l’eccezione che confermava la regola. 
Erano due migliori amici a cui non importava sapere esattamente tutto dell’altro. 
Quelle cose erano semplicemente irrilevanti, prive di importanza o di senso. 
Se una persona aveva un dubbio, un dilemma, a che importava quello che aveva fatto prima? Quello che era stato prima? Le cose a cui aveva pensato prima? 
Non dicono che è più facile aprirsi con le persone sconosciute? 
Ecco, loro erano proprio questo: due amici che sapevano l’indispensabile l’uno dell’altra, due ragazzi che si assomigliavano moltissimo su alcuni ideali e che si contrastavano su altri. 
Due giovani che si volevano bene e non a cui non interessava fare il quarto grado all’altro, due tipi che amavano stare assieme perché assieme stavano bene. 
Raramente lei si era sentita così a suo agio con una persona, raramente lui si era sentito così libero con qualcuno; era una cosa strana e normale allo stesso tempo, bella e di cui entrambi erano felici. 
«Mi stavo documentando su una certa band, credo si chiami One Direction», rispose lei sorridendo sorniona e lanciando un’occhiata di finta confusione all’amico. 
«Ah sì? E come mai?», stette al gioco lui. 
«Lavoro», rispose lei ammiccando. 
«Beh, io ne so un po’, ma giusto qualcosina sai», ammise l’altro mettendo un braccio sulle spalle della tipa, che tremò impercettibilmente al contatto con la sua pelle fredda. 
«Sono tutta orecchie», esclamò subito dopo poggiando il computer sulle sue gambe e lasciando che il castano cominciasse a digitare qualche parola su Youtube. 
«Davvero non hai mai sentito parlare di noi?», le domandò improvvisamente. 
A quelle parole, lei sospirò; dopo tutto quello che era successo in quella dannata vacanza aveva cercato di annientare tutto quello che potesse ricordarglielo, smettendo di fare anche le piccole cose che amava. Ascoltare musica dal suo mp3 fu una di queste; non voleva che le tornassero alla mente quelle immagini che già per loro erano indelebili, non voleva continuare a star male inutilmente per uno stupido e infantile ragazzino, che era tutto tranne che diverso. 
«Non ho avuto molto tempo libero negli ultimi anni, non mi sono mai informata sui vari gruppi commerciali che dopo un po’ spariscono», disse poi, osservando la lunga lista di video che erano comparsi sulla schermata. 
Louis ne fu abbastanza sorpreso ma non commentò minimamente; l’ultima cosa che desiderava era farla sentire stupida e ignorante. La osservò silenzioso e dai suoi occhi poté capire il motivo di quella piccola bugia e di quell'improvviso cambiamento di umore. 
Annuì tra sé prima di decidere che non le avrebbe chiesto altro. 
«Bene allora mi sa che dovremo fare una lezione completa. Aspetta, vado a prepararmi» 
Il tipo scivolò via dal divano e si diresse verso il corridoio che portava al bagno e alle camere da letto - come facesse a conoscere la strada rimase un mistero per la ragazza. 
«Ti ricordo che è casa mia», lo avvisò lei ridacchiando. 
Il tipo farfugliò qualcosa di incomprensibile e ritornò poco dopo con il ciuffo dei capelli ingellato da una parte e un paio di occhiali - che erano suoi, tra l’altro, e si trovavano nella sua stanza prima che lui se ne impossessasse. 
«Professor Tomlinson al suo servizio», esclamò lui facendo scoppiare Nicole in una risata. 
Adorava vederla felice, le piaceva troppo e da quando era arrivata non l’aveva mai sentita ridere. 
Non si era mai lasciata andare in quel modo. 
«Allora, per prima cosa devi vedere i video delle nostre audizioni», iniziò il tipo cliccando prima sul filmato di un Louis alquanto giovane e molto simile a quello che aveva conosciuto durante la vacanza: capelli lunghi e incredibilmente lisci, spigliatezza e solarità allo stato puro accompagnate da una bellissima voce che cantava le note di Hey There Delilah”. 
Sorrise vedendo come il verdetto positivo di tutti e tre i giudici lo avessero reso felice; era sembrato un bambino a cui avevano appena detto che sarebbe andato a Gardaland. 
Successe il video di un mostruoso Liam - era incredibile come fosse cambiato da quando l’aveva conosciuto all’audizione e dall’audizione ad ora - e rimase scioccata dall’assolo che fece cantando “Cry Me A River”: era stato impressionante. Il biondino del gruppo cantò “So Sick Of Love Songs” e, nonostante la metà dei giudici non fosse d’accordo sul fatto che fosse pronto per andare avanti, passò lo stesso grazie all’ultimo e definitivo voto di Katy Perry. Un ricciolino di nome Harry Styles aveva impressionato i direttori della gara cantando “Isn’t She Lovely?” a cappella in un modo veramente dolce; lei non poté non ammirare ancora una volta quegli occhi verde smeraldo che però avevano un sensibilità e una sicurezza minore di quelli che aveva incontrato in quei due giorni. 
Il suo amico improvvisatosi professore lasciò per ultimo - forse non a caso - l’esibizione di un timidissimo Zayn che trasmetteva un nervosismo incredibile; il suo sguardo spento e morto la trafisse, nonostante lui non avesse mai guardato dritto in telecamera. Cantò per pochi secondi “Let Me Love You” e poi venne fermato; la freddezza che emanava era quasi assurda, sembrava un robot privo di emozioni. Notò subito il taglio corto di capelli e restò un po’ basita vedendo l’assenza del padre dietro le quinte. Non seppe perché ma sentiva che questo non c’era stato per un motivo preciso, che andava molto più in profondo della solita scusa del lavoro. 
Ne seguirono i video alla casa dei giudici, Viva la Vida, My Life Would Suck Without You, Nobody Knows, Total Eclipse Of The Heart, Kids In America, Something About The Way You Look Tonight, All You Need Is Love, Summer Of ‘69, You Are So Beautiful, Only Girl, Chasing Cars, Your Song e Torn, che colpì in modo particolare la ragazza. Aveva osservato i vari videoclip esprimendo qualche apprezzamento qua e là, ma più di tutti si era soffermata sul pakistano, sulla sua espressione, sul suo modo di esprimersi. Mano a mano che le puntate passavano cominciava a sciogliersi sempre di più, anche se era riuscita a leggere dentro quelle sfere così scure e apparentemente insormontabili la solita tristezza, quasi dolore; non sapeva se erano sue paranoie o cosa, sta di fatto che vedeva espressamente che non si divertiva come gli altri. Sembrava quasi che ci fosse qualcosa che gli impediva di vivere veramente, di sentirsi felice e amato. Sembrava come se non fosse propriamente convinto che cantare era quello che voleva fare. 
Louis mostrò a Nicole i video diary, le loro varie performance, il singolo di debutto, What Makes You Beautiful, Gotta Be You, One Thing e More Than This; le fece ascoltare l’intero disco di Up All Night, l’ultima canzone uscita che apriva la strada al loro ultimo lavoro, Live While We’re Young. 
Le piacquero tutte, dalla prima all’ultima, erano molto orecchiabili e avevano un ritmo che ti prendeva; adorava specialmente gli assoli che faceva il suo amico moro - anche se non l’avrebbe mai ammesso a voce alta - e non ne capiva veramente il motivo. Forse per le parole che emetteva, per il loro significato nel quale lei riusciva perfettamente ad incarnarsi, oppure … 
«Dio, si è fatto tardissimo, devo tornare a casa. Chissà come sarà in pensiero Hazza», esclamò improvvisamente il tipo, facendo sussultare la ragazza e interrompendo il suo monologo interiore. 
«Hazza?», domandò lei confusa. 
«Harry, è il suo soprannome», le spiegò velocemente prendendo la giacca e il cellulare da sopra il tavolino che gli si trovava davanti. 
«Louis, aspetta, ti devo chiedere una cosa», mormorò lei poco dopo prima che lui lasciasse il salotto e si dirigesse verso la porta. 
«Che succede?» 
La fretta che aveva avuto fino a due millesimi di secondi prima era sparita, spazzata via dalla preoccupazione che lo aveva assalito sentendo la voce spezzata ed inspiegabilmente triste della ragazza. Era quasi surreale il modo in cui avesse cambiato umore. 
Le si avvicinò con fare protettivo e la guardò dritto negli occhi, immergendosi in quel cioccolato che però non riusciva a leggere. 
«Lui ti ha chiesto qualcosa?» 
Una domanda diretta e ambigua per certi aspetti, ma non per lui. 
Aveva capito a cosa si riferiva, aveva compreso a cosa fosse dovuto quella strana confusione, quello smarrimento e quella leggera paura che ora regnava nel suo volto. 
Abbassò lo sguardo incapace di sostenerlo e ripensò a poche ore prima, quando lui stesso aveva sentito l’amico supplicare la loro agente di annullare il progetto o, meglio ancora, di sostituire la fotografa. Non sapeva cosa l’avesse trattenuto dal mollare un bel pugno in pieno viso al compagno di band, probabilmente il suo sangue freddo o la sua razionalità - strano ma vero. 
Ovviamente Jane aveva rifiutato, noncurante del fatto che avrebbero potuto esserci disguidi tra i due o che tra i due avesse potuto esserci stato qualcosa; teneva a quei ragazzi ma non poteva permettersi di mandare a monte tutto quel lavoro che aveva fatto, non poteva rimandare in Italia quella povera fanciulla così gentile, diplomatica e piena di talento per un semplice capriccio di un ventenne che era abituato ad ottenere tutto quello che voleva. Questa volta non gliela avrebbe data vinta per nessuna ragione al mondo. 
«Nicole», la chiamò Louis prima di prendere un respiro e spiegarle come stavano realmente le cose, «il ragazzo che conoscevi tu non c’è più. Non ho idea di dove sia andato o di che cosa gli sia successo, sta di fatto che negli ultimi mesi ha avuto un cambiamento radicale. Lo vedrai tu stessa, quindi ti do un consiglio: non intestardirti con lui, non arrabbiarti se ti starà a distanza, non prendertela se ti farà battutine stupide e acide, semplicemente non contarlo se lui fa lo stesso con te. Non voglio tenerti lontana da lui o altro, voglio solo che tu stia bene, credimi» 
Ed era vero: non aveva idea di come avrebbe reagito il moro nei giorni successivi, aveva solamente la sensazione che ci sarebbero stati non pochi problemi, se lo sentiva nel profondo. 
Fissò per un ultimo momento la sua amica in quelle sfere scure che si erano fatte ancora più dubbiose e in un attimo se la ritrovò tra le braccia. 
«Grazie Lou. Non sai quanto sia importante per me averti qui vicino adesso. Grazie di tutto, non so davvero come potrò mai ripagarti», sussurrò piano mentre l’odore dolce e profumato del castano le entrava nelle narici. 
«Sapere che stai bene, ma bene davvero mi sarà più che sufficiente», le rispose lui stringendola ancora più forte. 
«Ora devo andare, ci vediamo domani. Buonanotte Nic», le bisbigliò all’orecchio prima di stamparle un bacio sui capelli e sciogliere quella stretta. 
«Salutami Harry, buonanotte» 
Pochi secondi e Louis scomparve dalla vista della ragazza. 
Ora era tornata sola, in quella stanza d’albergo che la faceva sentire ancora più malinconica, in quella città che non la ispirava per nulla e con un enorme flotta di domande a cui non riusciva a dare risposta. 
Cosa aveva veramente voluto dire il suo amico? 
Aveva capito che ne sapeva molto di più ma che non aveva avuto il coraggio di raccontarglielo. 
Sapeva che presto ci sarebbero stati degli enormi problemi. 
Sapeva che presto avrebbe ricominciato a stare ancora più male. 
Lo sapeva perché se lo sentiva dentro. 
Si diresse verso la sua camera da letto desiderosa di riposarsi almeno un pochino. 
Le ore con Louis - nonostante fossero passate velocissime - l’avevano sfinita. 
Contemporaneamente il suo amico era rientrato a casa, ben attento a non farsi vedere da gente che avrebbe potuto riconoscerlo. 
Entrò nel suo appartamento e, notando il buio che vi regnava, ipotizzò che il suo coinquilino fosse uscito o si fosse ritirato a dormire. 
Non fece a tempo ad accendere le luci che una voce gli fece prendere un infarto. 
Certo, l’avrebbe riconosciuta tra mille e sapeva benissimo a chi appartenesse, solamente non se lo sarebbe mai aspettato. 
Non con quel tono serio, quasi fosse arrabbiato e deluso. 
Non quell’inclinazione, quasi fosse un rimprovero. 
«Eri con lei, non è vero?»



Angolo Autrice: 
Scusatemi. 
Scusatemi davvero per il ritardo, ma la scorsa settimana non sono proprio riuscita ad aggiornare :( 
Avevo pile di libri che aspettavano solo di essere studiati e non sono nemmeno riuscita a rileggere il capitolo e poi a postarlo, sono stata sopraffatta dallo studio D: 
Scusatemi davvero :( 
Ma bando alle ciance, spero che mi perdoniate :) 
*faccina da pinguino coccoloso* 
  
Okay, passiamo al capitolo: non succede granché, sinceramente, e come al solito non mi convince più di tanto, ma lascio a voi il giudizio. 
Diciamo che è di passaggio, giusto per far comprendere come si sono ritrovati tutti, poi al prossimo *controlla* … ci sarà una svolta, ecco, che in un certo senso vi farà capire quale piega assumerà la fic :) 
Spero con tutta me stessa di non avervi deluse ma, in tal caso, spero anche che mi lascerete le vostre critiche o qualunque pensiero vi abbia suscitato la lettura :)
Grazie infinite a tutte le ragazze che hanno recensito la scorsa volta, 25 recensioni, volete farmi morire? :D
 
Ringrazio anche tutte le persone che seguono la storia, grazie infinite a tutte insomma :)
Siete fantastiche <3
 
Un bacione a tutte e buona settimana :)
Another_Life
 
xxxx

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


89

Change My Mind

Capitolo 15

Il giorno dopo, tanto per cambiare, pioveva. 
Cosa strana a Londra, giusto? 
Inoltre, c’era un vento che a assomigliava ad una tromba d’aria. 
Maledetto Paese, pensò per l’ennesima volta mentre camminava svelta verso lo stabile dove - in teoria - avrebbe avuto il suo primo e serio lavoro. Ciocche bionde di capelli continuavano a scivolarle davanti il viso faticandole la visuale e facendo aumentare sempre più l’ira che la stava travolgendo. Una mega borsa su una spalla contenente anche tutto il suo materiale di fotografia non bastava, ci voleva anche quell’ombrello intrigante - che tra l’altro era di quell’Harry, si ricordò poco dopo; non glielo aveva ancora restituito - a complicarle la vita. 
Sospirò di gioia quando arrivò all’entrata dell’edificio e ringraziò di cuore il Signore. 
Si precipitò di corsa al bagno, prendendo lei stessa paura di come fossero ridotti i suoi capelli. 
Tutto il lavoro che aveva fatto quella mattina per farli stare al loro posto era andato a farsi benedire. 
Estrasse la sua trousse e il pettine e in pochi secondi si fece una perfetta coda di cavallo, si risistemò il trucco e ne uscì soddisfatta; si avvicinò all’ascensore e in poco tempo arrivò all’ufficio di Jane. 
«E’ permesso?», domandò cordiale aprendo di poco la porta, dopo aver bussato. 
«Oh, entra pure Nicole, ti stavo aspettando», le rispose la voce calda e gentile della donna. 
«Mi scusi per il ritardo, ma c’è stato un contrattempo a causa del tempo», si giustificò prendendo posto sulla piccola poltroncina. 
«Per pochi minuti? Oh, fossero tutti puntali come lo sei tu, cara», scherzò lei allegramente. 
La ragazza diede una piccola occhiata fuori dalla finestra: quello schifo non voleva proprio smettere. Osservò poi, per l’ennesima volta, quella piccola stanza così accogliente e ordinata e non poté non sorridere: tutti quei particolari la facevano sentire in un certo senso protetta e a casa, cosa molto difficile da trovare quando si era in un altro Stato. 
«Bene, allora oggi che ne dici? Ti va di conoscere meglio i ragazzi e cominciare a fare qualche scatto per ambientarti un pochino? Non me ne intendo molto di queste cose, ma mi sembra che prima di fare delle perfette foto bisogni, come dire, conoscere un po’ il carattere della persona? Dimmi pure se erro», cominciò la donna in modo estremamente garbato. 
«Non sarebbe necessario, ma visto che questo progetto è molto importante credo che sì, sarebbe meglio se li conoscessi un pochino, giusto per vedere anche cosa vogliono loro davvero. Cercherò di assimilare più informazioni nel minor tempo possibile, glielo assicuro» 
«Non preoccuparti assolutamente per questo, mia cara. Prenditela pure con comodo, so per certo che non sei una di quelle ragazze che dormono sugli allori, mi è bastato vederti una volta per capire che le raccomandazioni che mi avevano fatto sul tuo conto erano tutte vere», le disse sorridendo sinceramente. 
Non avrebbe mai finito di ringraziare quel suo amato professore che le aveva insegnato come maneggiare una macchina fotografica, come produrre delle perfette opere d’arte che potessero vivere per l’eternità, ricreando un piccolo momento di una vita; sorrise a se stessa ripensando a quanto lui l’avesse incitata ad accettare la sua proposta, a fare quel concorso privato a cui potevano accederci solamente poche persone. Quella piccola affermazione che gli aveva dato più per farlo smettere di insistere che per volere personale le aveva cambiato la vita; era arrivata tra le primissime classificate e un’agenzia l’aveva chiamata a Londra per il suo primo possibile lavoro. Aveva fatto centinaia di telefonate per capire bene quanto sarebbe dovuta rimanere lontano da casa e come avrebbe dovuto funzionare la cosa, tutte ripagate dalla contentezza del suo prof e dei suoi genitori. 
Con tutto l’impegno che aveva messo nello studio e nella scuola non avrebbe mai immaginato che nel suo futuro avrebbe potuto fare quella cosa che per lei era come un hobby. 
«Non esageri, faccio solo il mio lavoro», sussurrò lei arrossendo lievemente. 
«E lo fai in modo ottimo. Proseguendo, nel tuo curriculum ho letto che sei esperta anche nel settore tecnico …», continuò la signora cercando una carta tra il cumulo di fogli che erano sparsi sopra la scrivania. 
«Esatto, quindi se mai ci dovessero essere dei problemi potreste chiamarmi e io proverei a risolverli», rispose la giovane. 
«Non potevi darmi notizia migliore, cara. E poi ti sei diplomata anche al Liceo Linguistico italiano con un punteggio molto buono …» 
«Sì. So quasi alla perfezione l’inglese, il francese, il tedesco e lo spagnolo, ho fatto un corso di cinese e uno di russo», ammise lei cercando di non mostrarsi una di quelle tipe montate. 
«Ma sei una fenomeno! C’è qualche altra cosa di te che ancora non so?», le chiese gentilmente. 
Beh, sì, in effetti ci sarebbe qualcosa. Sa, ho appena rivisto dopo ben quattro anni quei tre ragazzi che avevo conosciuto durante una vacanza, la stessa vacanza durante la quale uno di loro mi ha fatto innamorare per la prima volta, mi ha illusa e poi se n’è andato senza una spiegazione, lasciando ad un altro il compito di farmi da spalla su cui piangere. E sa qual è il bello? Quei tre ragazzi ora sono gli stessi con cui dovrò lavorare! Che coincidenza! Tre ragazzi che ora, assieme ad altri due, sono divenuti dei veri e propri dèi per le ragazzine e di cui io, fino a pochi giorni fa, ignoravo l’esistenza. Non è strana la vita? 
Le era venuto davvero l’istinto di raccontarle tutto questo, ma per fortuna si era trattenuta. 
Non voleva coinvolgere nessun altro, anche perché non c’era nessun problema. 
Giusto? 
Insomma, avrebbe passato del tempo con loro e poi ciao ciao, arrivederci, a mai più. 
Giusto? 
Avrebbe tagliato tutti i contatti, se li sarebbe dimenticati. 
Giusto? 
Sì, giustissimo. 
«Bene, allora credo che tu possa andare. I ragazzi sono nella stanza in fondo a destra se vuoi raggiungerli, credo stiano provando alcuni pezzi», sentenziò infine la donna ponendo fine al flusso di pensieri della ragazza. 
Davvero non c’era nient’altro? 
Nessun altro foglio da compilare, da firmare? 
Era sicura che non ci fosse nient’altro di cui parlare, di cui discutere? 
Non era un po’ presto per raggiungere quei cinque? 
A giudicare dall’espressione della tipa, no. 
Non si sentiva pronta, in un certo senso era come se avesse paura, paura di rivederli, di rivederlo. 
Paura di rincontrarlo. 
Paura di rituffarsi di nuovo in quelle sfere scurissime. 
Paura di rivivere quelle maledette sensazione, quelle ritorsioni che avvenivano nel suo stomaco. 
Paura di risentirlo vicino. 
Paura di respirare di nuovo il suo profumo. 
Paura di avere un’altra volta un contatto con lui, con la sua pelle. 
Semplicemente, paura di lui. 
«Nicole cara, stai bene? Sei diventata pallidissima», si preoccupò l’agente. 
Benissimo, benissimo. 
Le pare che stia bene?! 
Fra poco dovrò rincontrare lui, e non ho la più pallida idea di come comportarmi. 
Le sembra una sciocchezza questa? 
Cosa dovrei fare secondo lei? 
Con quel ragazzo che per primo mi ha fatto provare delle emozioni incredibili - e che inspiegabilmente continua. 
Con quel ragazzo che non riesco a togliermi dalla testa. 
Con quel ragazzo che continua a perseguitarmi in ogni cosa faccia, in ogni posto vada. 
Le sembra normale? 
La sua coscienza doveva darci un taglio e una regolata, non ce la faceva più. 
Le scoppiava la testa e fra poco avrebbe perso i sensi, ne era sicura. 
In più, aveva una fame gigantesca dal momento che quella mattina aveva mangiato poco o niente, presa dal ritardo. 
«Sì, stia tranquilla. Vado a prendermi qualcosa ai distributori, non ho fatto colazione stamattina», la rassicurò lei poco dopo. «Grazie di tutto Signora Davies», la salutò prima di uscire dall’ufficio. 
Okay, il problema principale ora era: dove erano quei maledetti cosi? 
Girò in lungo e in largo per tutto l’edificio per più di venti minuti fino a che non li trovò, nell’ultima stanza in cui avrebbe pensato potessero trovarsi. 
Li maledì mentalmente e si avvicinò ad essi, ma prima che potesse posizionarcisi davanti e scegliere qualcosa da sgranocchiare un tipo la precedette e, senza nessuna scusa, senza nessuna parola, senza dire nulla, inserì velocemente le monetine e prese l’acqua che ve ne uscì. 
Dopo un secondo di sbigottimento la ragazza capì immediatamente di chi potesse trattarsi. 
Capelli corvini, ciuffo alto e perfettamente ingellato. 
Profumo fin troppo forte e aria da strafottenza. 
Corporatura alta e slanciata e fisico decisamente asciutto. 
Lo scossone che sentì allo stomaco, poi, ne fu soltanto la prova definitiva. 
E quel dannato cuore che aveva cominciato ad andare ad un’andatura velocissima non la voleva smettere. 
Stava per dirgliene quattro - se pensava che l’avrebbe lasciato andare così si sbagliava di grosso - ma in meno di un secondo questo si voltò per andarsene e le lanciò una di quelle fulminate che mai si sarebbe aspettata. 
Una di quelle occhiate che non pensava potessero arrivare da lui, per lei. 
Era proprio una di quelle cose che ti sconvolgevano la giornata. 
Soltanto che la sua, ora, era diventata ancora peggiore. 
Perché l’aveva trattata così? 
Che cos’avrà voluto dirle? 
Perché era così arrabbiato? 
Okay che Louis l’aveva messa in guardia, okay che Louis le aveva detto che era cambiato, che doveva stargli lontano, che non doveva prendersela se la ignorava … 
Ma la domanda rimaneva: perché? 
Cosa le aveva fatto? 
Quella che avrebbe dovuto essere furiosa, al massimo, sarebbe dovuta essere lei, non lui. 
Lui era dalla parte del torto. 
Lui aveva sbagliato. 
Lui si stava comportando come un bambino infantile. 
Non le interessava se gli stava sulle palle, se non voleva parlarci, se la voleva ignorare, anzi, le avrebbe fatto un piacere se si sarebbe comportato così. 
Voleva solo capire una cosa: perché era così adirato con lei? 
Voleva solo capirne il motivo, la ragione per cui sembrava che fosse stata lei ad aver errato. 
Sapeva che si non poteva stare simpatici a tutti, lo sapeva bene, ma non capiva perché lui la dovesse odiare così tanto. 
Perché quello sguardo le aveva trasmesso proprio quel sentimento: odio. 
Odio puro. 
Odio incessante. 
Odio furente. 
Odio, con il vero significato che quella parola aveva. 
Rimase in silenzio con mille domande in testa mentre lui se ne andava a passo lento e strascicato, mentre se andava lasciando, ancora una volta, un vuoto all’interno della ragazza. 
Se adesso l’aveva passata liscia, la prossima volta gliene avrebbe dette il doppio, senza alcuno sconto. 
Era una promessa. 

* * * 

«Nicole?» 
Uno strano accento irlandese la risvegliò dai suoi pensieri, quindici minuti dopo. 
Era rimasta lì, seduta su una delle tante sedie, a mangiarsi quella merendina mentre la sua mente continuava a cercare una soluzione al comportamento del tipo. 
Alzò gli occhi e si ritrovò davanti un paio di occhi azzurri e una testa bionda. 
«Niall», lo salutò lei abbozzando un sorriso e ringraziando il cielo per essersi ricordata il nome. 
«Che fai?», le domandò per attaccar bottone mentre si leccava le labbra osservando tutte le schifezze che quel distributore mostrava. 
«Mangiavo», ammise lei ridacchiando dell’espressione che fece subito dopo l’altro. 
«Non l’avrei mai detto», ironizzò questo ridendo. 
«Stavo per venire da voi», continuò seria addentando l’ultimo boccone dello snack e alzandosi per buttare la carta. 
«Che devi fare?» 
«Osservarvi», continuò con noncuranza. 
«Osservarci?», domandò confuso. 
«Per capire meglio come siete e cominciare a fare qualche scatto», rispose sorridendo. 
L’altro annuì e mise dentro ad una borsetta tutto il cibo che aveva comprato. 
«Ti hanno incaricato di andare a prendere da mangiare per tutti?», chiese retorica prendendo le sue cose. 
«Veramente queste sono solo per me», ammise lui spontaneamente ridendo dell’espressione scioccata della ragazza. 
Cominciarono a camminare verso la stanza dove si trovava anche il resto della band e rimasero per qualche secondo nel più assoluto silenzio, non sapendo di cosa parlare. 
Per fortuna il biondo trovò in fretta un argomento. 
«Così conosci Louis, Liam e Zayn» 
«Già. Non avrei mai immaginato di potermeli ritrovare tutti e tre qui, a Londra, assieme, nelle vesti di pop star mondiali», ridacchiò imbarazzata. 
In fondo, era la pura verità. 
Niall cominciò a dire qualche battuta delle sue e a farle qualche domanda sul loro incontro anni prima; risero per almeno cinque minuti, finché non arrivarono a destinazione. 
Aprirono la porta ancora sorridenti e improvvisamente la musica che vi stava regnando e le voci che stavano intonando qualche strofa si fermarono: quattro paia di occhi investirono i due, che si sentirono decisamente in soggezione. 
«Nicole!» 
La voce squillante di Louis fu la prima a risvegliare quello scomodo silenzio, facendo sbattere delicatamente la chitarra a terra – a questo punto l’irlandese non ebbe per poco un infarto - e raggiungendo l’amica per stringerla in un mezzo abbraccio. Subito dopo fu il turno di Liam che le scoccò due baci sulle guance e poi di un Harry, che però si mantenne a distanza e la salutò con un cenno della mano; solamente alla fine vide una figura che stava ancora seduta sul divanetto al centro della stanza. 
Alzò lo sguardo e incontrò di nuovo quelle sfere scure che la stavano ancora fulminando come se fosse un’assassina; non riusciva veramente a capire il motivo di tanto odio, ma prima che potesse fare qualunque cosa questo abbassò il viso, prese quella maledetta bottiglia d’acqua e si alzò, le passò vicino senza degnarla di uno sguardo e uscì dalla stanza sotto l’espressione sbigottita di tutti. 
Forse l’unico a non esserne così sorpreso fu proprio il castano dagli occhi azzurri. 
Cosa che non sfuggì né alla ragazza né al migliore amico del giovane. 
«Ti devo parlare», gli disse fissandolo intensamente. 
Ancora una volta il riccio non poté fermare quella strana gelosia che cominciò a divorargli lo stomaco e strinse i pugni per mantenere la calma. 
La sera precedente, al ritornò di Lou e alla sua risposta affermativa alla domanda che gli aveva posto, si era ritirato nella sua camera, ignorando i richiami del suo coinquilino che per dieci minuti avevano riempito il silenzio dell’appartamento. 
Poi più nulla. 
Era rimasto tutta la notte a pensare e a farsi mille seghe mentali, risvegliandosi la mattina dopo con due profonde occhiaie che non avevano nessuna intenzione di andarsene; la questione era rimasta in sospeso nonostante sapesse bene che l’altro, quella sera, non l’avrebbe lasciato andare senza aver ricevuto prima una spiegazione convincente per il suo comportamento. 
«Ci potete scusare un minuto?», chiese il castano agli altri membri della band, i quali si limitarono ad un’alzata di spalla e ad un “no” con la testa. 
Il tipo prese la ragazza per un braccio e la trascinò in un’altra stanza, sempre adatta alle prove. 
«Ti prego, spiegami cosa gli prende o giuro che si ritroverà cinque dita stampate sulla guancia», sentenziò la bionda evidentemente alterata. 
«Ti avevo avvertito che non era più lo Zayn che conoscevi. Che è successo?» 
La ragazza gli raccontò per filo e per segno l’episodio di poco prima ai distributori di merendine e quello successo subito dopo, appena era entrata nella sala dove si trovava con gli altri. 
Il suo amico rimase in silenzio per qualche secondo, osservando un punto indefinito del pavimento e facendola così morire dall’ansia e dalla preoccupazione. 
«Stasera proverò a parlarci», la rassicurò studiando attentamente quelle sfere cioccolato che improvvisamente si erano tranquillizzate, senza lasciare il posto però ad una inquietudine che la stava divorando dall’interno. 
Più la osservava e più vedeva quanto era fragile. 
Sapeva benissimo che in quei quattro anni di lontananza era cambiata, aveva mutato carattere e abitudini, si era fatta più forte e decisa abbandonando quelle vesti da ragazzina dolce, timida e insicura, abbandonando i ricordi che tanto l’avevano fatta soffrire, abbandonando ogni cosa la potesse far ritornare indietro con il tempo. 
Questo era anche quello che vedevano gli altri, però. 
Quello che era veramente, invece, riusciva a leggerglielo solo lui. 
Solamente lui riusciva a comprendere il dolore che provava dentro. 
Solamente lui riusciva a scorgere quella gamma di sentimenti contrastanti che la facevano impazzire. 
Si scambiarono qualche altra parola prima di ritornare nella sala dove gli altri tre stavano strimpellando qualche accordo e qualche strofa. 
Tre, perché del moro non c’era traccia. 
Poteva ancora sentire il suo odore forte e pungente entrarle nelle narici, quello sguardo assassino perforarle l’anima e quell’aria da strafottenza alterarle i sentimenti. 
Mentre si sistemò accanto ai ragazzi e li osservò provare qualche pezzo si perse di nuovo a ripensare alla scena di poco prima e al comportamento di quel ragazzo. 
La rabbia e la confusione presero ancora una volta parte di lei, facendole perdere tutta la concentrazione che cercava di mostrare. 
Osservò il modo naturale e genuino con cui i quattro cantavano, le note alte che riusciva a raggiungere il ricciolino, i sorrisi furbi del castano e del biondino e il fare da direttore che aveva Liam. 
Erano davvero bravi, niente da ridire sul loro talento. 
Peccato che fossero considerati da molti soltanto ragazzi commerciali. 
Scosse la testa quando le sfere scure del moro gli rispuntarono nella mente; doveva andarsene, doveva lasciarla in pace una volta per tutte. 
Perché ce l’aveva tanto con lei? 
Perché la odiava così tanto? 
Passò un’ora abbondante nella quale prese una decisione definitiva. 
Voleva ignorarla? 
Voleva riservarle occhiatacce piene di rancore? 
Voleva evitarla ad ogni costo? 
Voleva lavorare con lei il minor tempo possibile? 
Bene, l’avrebbe accontentato. 
L’avrebbe ripagato con la stessa moneta, cosa che lui - ne era certa - non si sarebbe mai aspettato. Sapeva bene che lui pensava che la ragazza che aveva rincontrato fosse ancora la tipa estremamente introversa, gentile ed educata che aveva conosciuto. 
Ma non era a conoscenza che lei era cambiata. 
Aveva provato a rimanere se stessa, a ritrovare il carattere che aveva tenuto nascosto per tanto tempo. 
Ci aveva provato, ma evidentemente questa cosa non andava bene. 
Non a lui. 
Voleva la guerra? 
Bene, l’avrebbe avuta. 
E sarebbe stato lui il primo ad alzare bandiera bianca.

Angolo Autrice:
Non vi è piaciuto molto lo scorso capitolo, eh? :/
 
Ho notato un calo di recensioni ma spero che non mi abbandoniate perché ho assoluto bisogno di voi :’/ 
Tornando a questo capitolo, non succede moltissimo in realtà – devo smetterla di dire che ci saranno delle svolte, non sono brava a spoilerare perché finisco sempre con sbagliare episodio e di conseguenza causo la vostra delusione – ma diciamo che si comprendono meglio i sentimenti e le paure di Nicole, e il gesto che alla fine fa il nostro bel moro sarà un po’ l’inizio di questa “guerra” :) 
Ringrazio infinitamente tutte le ragazze che sono passate allo scorso capitolo e quelle che sono arrivate fino a qui, le ragazze che hanno recensito e le lettrici silenziose, siete tutte fantastiche <3<3 
Spero di non avervi deluso (di nuovo) con questo, e spero che in ogni caso me lo facciate sapere :) 
Adesso scappo, buona domenica e un bacione a tutte :3 
Another_Life 
xoxo

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


89
 
Change My Mind
 
Capitolo 16

«Zayn!» 
Non era servito a nulla l’urlo del castano per fermare il suo compagno di band. 
Ne seguirono il tonfo di una porta che sbatté violentemente e poi più nulla. 
Silenzio totale. 
Il tipo era incazzato e calmo allo stesso tempo; si era aspettato una reazione del genere ma aveva sperato con tutto se stesso di sbagliarsi. Ripensò alle sue poche parole, taglienti e sicure, che gli avevano fatto perdere ogni speranza. 
Terminate le prove Louis aveva portato il moro nel suo appartamento, con la scusa di rimanere un po’ soli e di rilassarsi un pochino assieme; in realtà, il suo scopo principale era parlargli di Nicole, del comportamento scorretto che aveva avuto con lei e del motivo del suo apparente odio nei suoi confronti. 
Appena aveva pronunciato quel nome, però, il pakistano si era alzato con un’espressione assassina dipinta sul volto. 
«Lou, non metterti in mezzo» 
E con questo avvertimento, che era sembrato un’ultima chance per sopravvivere, se n’era andato, facendo sentire a tutto il vicinato la sua ira. 
Non era da lui reagire in quel modo, non era da lui arrabbiarsi così tanto per quella che sembrava una questione futile, non era da lui comportarsi come se tutto il mondo ce l’avesse con lui. Il castano voleva aiutarlo, voleva aiutare sia il suo amico che la ragazza; teneva troppo ad entrambi per schierarsi da una o dall’altra parte, ma in fondo sapeva che lei aveva tutte le ragioni di questo mondo. 
«Ehi, che ha Zayn? L’ho salutato mentre usciva dall’edificio e non mi ha degnato di uno sguardo. Anzi no, a dire il vero mi ha lanciato una fulminata omicida», esclamò l’ammasso di capelli ricci mentre rientrava a casa. «Sapevo che quel ragazzo era lunatico, ma non pensavo fino a questo punto», scherzò ancora togliendosi la giacca e appendendola all’attaccapanni. 
Diede un’occhiata al suo coinquilino che ancora non aveva aperto bocca e rimase sorpreso di ritrovarlo in piedi, intento a fissare un punto nel vuoto e a pensare a chissà cosa. 
«Okay, io vado di sopra», mormorò poco dopo vedendo che l’altro non era in vena di parlare. 
Ringraziò il cielo, almeno non avrebbe dovuto subire il quarto grado che … 
Il flusso di pensieri terminò non appena si sentì fermato da un dito mentre passava accanto al castano, pronto per dirigersi nella sua camera. 
Come non detto, pensò sospirando. 
«Che vuoi Lou?», chiese stancamente sperando che l’avrebbe lasciato andare, rimandando così la questione ancora di un giorno. 
«Non sono riuscito a parlare con lui, ma questo non significa che debba cedere anche con te. Dobbiamo parlare», annunciò serio mentre si dirigeva verso il salotto seguito, di malavoglia, dal tipo con le sfere smeraldo. 
Si sedettero nelle poltrone, uno di fronte all’altro, e per pochi minuti si fissarono intensamente negli occhi, restando nel silenzio più assoluto. 
«Ti interessa?», chiese il più anziano alludendo alla ragazza. 
In quel periodo le sue domande erano davvero dirette e serie, per un momento si stupì di se stesso. 
Sentendo quelle due paroline al riccio sembrò di ricevere un colpo in pieno petto; non aveva idea di come lo avesse capito - che poi, capito cosa? Lui non era interessato a lei - ma allo stesso tempo sapeva che glielo avrebbe chiesto, in questo modo o in un altro. 
Mica per nulla era il suo migliore amico. 
Sbuffò sonoramente prima di distogliere lo sguardo e poggiarlo sul tavolino che stava a fianco a lui, come se avesse improvvisamente suscitato la sua curiosità. 
«Harry?», lo richiamò l’altro con fare materno. 
In quei momenti perdeva davvero tutto il suo fare da eterno bambino e si trasformava senza preavviso in un adulto saggio e responsabile; per fortuna, però, accadeva di rado. 
«Prima dimmi cos’è lei per te», lo sfidò con un tono che non gli aveva mai rivolto. 
Un tono pieno di egoismo, di rabbia, di frustrazione. 
Un tono che mise in crisi il tipo dagli occhi azzurri, facendogli perdere ogni convinzione. 
Un tono che fece cadere l’appartamento in un silenzio tombale e in un’atmosfera carica di tensione. 
«Cosa intendi?», gli domandò preoccupato. 
«Cosa c’è stato tra voi? Non mi sembra difficile da comprendere», gli sputò acido. 
«Credi che io sia stato con lei? No dico, ma ti sei fatto?», rispose a tono l’altro non sopportando le insinuazioni del riccio. 
Come poteva aver detto una cosa simile? 
Come aveva anche solamente potuto pensare una cosa simile? 
Insomma, lei era … era stata di Zayn, lui non centrava, lui non provava nulla per lei e non aveva mai sentito altro più di un’emozione di forte amicizia - che mai si sarebbe potuta trasformare in qualcosa di più. 
«No, non mi sono fatto, ma osservando come la tratti, come ci tieni… Ti ricordo che sei fidanzato!»,urlò l’altro alzandosi perfino in piedi. 
L’ira lo stava divorando, la rabbia stava prendendo parte di tutta la parte razionale e il controllo che aveva sempre avuto stava per sgretolarsi in mille pezzi; non sopportava quella situazione, non sopportava tutti quei giri di parole, non sopportava l’idea che lui gli avesse tenuto nascosta una cosa come quella. Insomma, erano migliori amici, no? E i migliori amici si dicevano tutto, no? Sapevano ogni cosa l’uno dell’altro, ogni minimo particolare, piccolo o grande che fosse. 
Sapevano tutto
E improvvisamente questa certezza che sentiva da tempo si era infranta, si era infranta vedendo come quei due fossero legati, come si capissero con uno sguardo, come avessero dei segreti che non volevano condividere con nessun altro. 
Il castano aveva gli occhi sbarrati, incredulo e scioccato per quello che il suo compagno gli aveva appena rivelato. 
Proprio lui gli veniva a fare la predica? 
Proprio lui che cambiava una ragazza a settimana? 
Proprio lui che si divertiva a spezzare i cuori di tutte quelle povere fanciulle che si fidavano e si concedevano alle parole dolci - e false - che lui gli riservava solamente per pochi minuti? 
«Stai insinuando che sto tradendo Eleanor?», sbraitò scombussolato ed evidentemente alterato. 
Tutto potevano fargli, tranne mettere in mezzo la sua ragazza in questioni in cui non centrava per niente. 
Si lanciarono a vicenda una fulminata di quelle glaciali, una di quelle che mai si erano rivolti, una di quelle che fece sentire ad entrambi una fitta all’altezza del cuore. 
Restarono per qualche secondo a fissarsi con odio reciproco, con uno sguardo che parlava più di mille parole. 
Non avevano mai litigato, loro due. 
Non avevano mai avuto un battibecco che non terminasse in pochi minuti, loro due. 
Non avevano mai provato quella sensazione orrenda, quell’ira verso l’altro, loro due. 
Ora, però, tutte queste cose si stavano concretizzando. 
E la cosa non era assolutamente sotto controllo. 
Un movimento, il riccio che gli passava accanto senza dire una parola. 
«Dove stai andando?», gli urlò quello prima che l’altro arrivasse alla porta. 
Non ricevette nessuna risposta. 
Sentì soltanto lo sbattere violento della porta per la seconda volta in pochi minuti. 
Sussurrò qualche imprecazione prima di buttarsi sul divano e prendersi la testa tra le mani. 
Perfetto, aveva fatto proprio un bel casino. 

* * * 

Nicole, uscita dalla stanza nella quale aveva appena salutato la signora Davies, si stava dirigendo di nuovo verso l'aula di registrazione dove – a quanto pare – i ragazzi stavano provando. Percorreva lentamente il corridoio, strascicando quasi i piedi: il pensiero di rivedere lui le provocava il voltastomaco. Non lo sopportava, sebbene si fossero “parlati” una sola e unica volta – beh, nemmeno quella a dire il vero, l'unica che si era scusata per essergli andata addosso era stata lei. 
Semplicemente, il comportamento che il signorino aveva avuto il giorno prima la faceva ancora ribollire di rabbia. 
L'intestino le si stava cominciando a ritorcere contro, sentendo improvvisamente quel leggero languorino, che aveva provato fino a pochi minuti prima, sparire senza lasciare traccia. La porta della sala si avvicinava sempre di più e ad ogni passo lei sentiva le gambe cederle; il borsone le pesava sulla spalla destra e il cuore stava perdendo fin troppi battiti. 
È tutto normale, è tutto regolare, si continuava a ripetere invano. 
La mano sudata sulla maniglia, un respiro profondo ed eccola entrata. 
Si guardò attorno notando che era in una sala d'incisione, con i ragazzi divisi da lei da una parete di vetro e da altri aggeggi enormi che servivano per registrare le canzoni. 
Subito gli occhi di tutta la band la investirono: li guardò uno ad uno, assimilando le varie espressioni che trasmettevano. Liam e Niall le stavano sorridendo cordiali, lui la stava incenerendo come al solito e Louis... 
Louis stava mentendo a se stesso provando a fare una smorfia sconsolata. 
Se fosse stato qualcun altro ad essere ridotto in quello stato Nicole non ci avrebbe dato peso; certo, le stavano tutti – quasi tutti – simpatici, ed instaurare un'amicizia le piaceva come idea, ma in quel momento era lì per lavorare e, sapendo di doversi mostrare il più efficiente possibile, doveva essere diplomatica e distaccata quanto bastava. 
Piantò i suoi occhi scuri in quelli pozzanghera del castano, il quale faceva di tutto per evitare di mostrare il suo vero stato d'animo ai ragazzi e alla sua amica. 
Inutilmente. 
Le note continuarono ad aleggiare nella stanza ma nessuno stava più cantando la canzone. 
Tutti avevano gli sguardi tesi, preoccupati, rattristati. 
E Nicole non riusciva a capirne il motivo. 
Insomma, cos'era successo di così grave da togliere perfino il sorriso dalle labbra di Louis? 
Lui aveva avuto sempre quella caratteristica, sempre quella smorfia divertita ed innocente stampata sul viso, capace di far cambiare umore a chiunque. Lui era sempre stato quello allegro e frizzante, quello che consolava la gente, quello che ti aiutava con tutti i mezzi di cui poteva disporre. 
Non lo aveva mai visto in quello stato, in quelle condizioni. 
E si preoccupò, e non poco. 
Corrugò la fronte cercando di trovare un motivo plausibile che avesse potuto causare tutta quella tristezza e quella voglia di piangere che gli leggeva negli occhi, in quegli occhi opachi che avevano perso la loro naturale lucentezza. Una fitta si fece strada dentro di lei mentre appoggiava il borsone a terra; l'ultima cosa che voleva era vederlo star male, soprattutto per qualcosa che – ne aveva la sensazione – centrava lei. 
Non era mania di protagonismo, non era un modo carino di vantarsi. 
Era una specie di sesto senso, quello di cui ne eri sicura perché ti arrivava un messaggio dritto dal cuore, quel sentimento di vicinanza che solo con le persone a cui tenevi veramente, solamente con quelli che erano per te i migliori amici, riuscivi a provare. 
Era strano come questo era successo; insomma, si erano ritrovati da quanto? Nemmeno una settimana e già si dichiaravano tali. O meglio, non si descrivevano così, non avevano costruito quel rapporto col tempo e con l'esperienza, si erano limitati a continuare quello che si era interrotto tanti anni prima, quell'amicizia così speciale e così solida che, anche a vederla, stentavi a crederci. 
Solamente percependolo da sé si avrebbe potuto comprendere il legame che li teneva uniti. 
E non era una cosa facile. 
Da quel che si ricordava, anche lui ed Harry dovevano avere un'affinità di quel genere; gliene aveva parlato qualche giorno prima, quando se lo era ritrovato alla porta tutto incappucciato e aveva poi passato la serata a metterla alla pari sulle nuove tendenze musicali (compresa la loro stramba band). 
E fu proprio in quel momento che si accorse di un particolare che non aveva minimamente calcolato: il riccio mancava. 
Non c'era. 
La sua testa cominciò a frullare ipotesi, una più assurda dell'altra ma tutte con la profonda convinzione che fosse successo qualcosa tra i due, e che – nel peggiore dei casi – centrasse pure lei. 
Momento. 
Non era detto che i due castani dovessero aver per forza litigato, magari quello più giovane aveva avuto solamente un contrattempo, o non si era sentito bene, o ancora poteva essere andato a fare qualche commissione che l'avrebbe costretto ad arrivare un pochino in ritardo. 
Magari Louis era solo stanco, magari tutti quei giri mentali che si era fatta erano solamente frutto della sua fantasia, magari era solamente troppo paranoica. 
Magari il moro non la stava fulminando con uno sguardo omicida come se avesse appena commesso la fine del mondo, magari quello era soltanto la conseguenza del fatto che lei era ripiombata nella sua vita in un modo e in una situazione che non si sarebbe mai aspettato, magari lei ci stava prestando troppa attenzione pensando, ancora una volta, di essere la causa di tutto, magari … 
Il suo monologo interiore venne interrotto dall'udire della porta alle sue spalle aprirsi. 
Si voltò ed incrociò l'espressione cupa e tesa del riccio, il quale sbarrò gli occhi appena se la ritrovò davanti. La squadrò con rabbia, come se gli avesse appena ucciso la madre, e poi si girò di scatto, osservando i suoi compagni dietro la parete di vetro. 
Nicole seguì la traiettoria di quelle sfere verdi che raggelarono il sangue a Louis appena lui le incontrò; subito l'espressione di entrambi si fece furiosa, adirata, furente. 
Nessuno aveva mai visto una scena del genere. 
Nessuno si sarebbe mai aspettato di vederla. 
Nemmeno lei, che fino a poche ore prima li aveva visti ridere e scherzare assieme. 
Cosa cazzo era successo? 
Tutti ebbero paura che, se non fosse stato per la barriera che li divideva, si sarebbero volentieri presi a pugni. Bastava osservare le loro espressioni per capirlo. 
Harry distolse lo sguardo e lo poggiò di nuovo su di lei, facendo una smorfia risentita. 
Dopodiché girò i tacchi e se ne tornò da dove era venuto, stringendo i pugni fino a far divenire le nocche bianche, ispirando profondamente per far sbollire la rabbia che si era impossessata del suo corpo e trattenendo le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. 
Sbatté la porta con una violenza inaudita, a momenti avrebbe potuto benissimo staccarsi. 
La ragazza si voltò immediatamente, lanciando un'occhiata di fuoco a tutti i componenti della band: Louis aveva perso tutta la sua ira e la sua espressione era diventata morta e afflitta, Liam e Niall si stavano parlando con lo sguardo, anch'essi decisamente preoccupati, e lui... 
Beh in realtà la sua di espressione non era per nulla cambiata. 
Se avrebbe avuto la possibilità di ucciderla con le sue sfere nerissime di certo lo avrebbe fatto. 
E non se ne sarebbe pentito. 
Dopo qualche secondo di assoluto silenzio il moro si alzò dalla sua postazione ed uscì dalla stanzina, ritrovandosi a pochi metri da lei. 
Alzò lo sguardo e la investì in pieno facendole perdere qualche battito cardiaco. 
No, questo non andava assolutamente bene. 
Si avvicinava sempre di più e ad ogni passo lei si sentiva sprofondare; non aveva mai provato una sensazione di quel tipo, non si era mai sentita così impotente di fronte ad un ragazzo. La mano aveva cominciato a tremarle impercettibilmente e l'andatura del suo cuore stava andando troppo lentamente. 
Le sfiorò il braccio sinistro con il suo e appena le si ritrovò di fianco si fermò, accostando il più possibile le sue labbra vicino al suo orecchio. 
Percepiva il suo respiro caldo e regolare sul collo e questo le provocò un brivido che le percosse l'intera schiena. Non capiva cosa le stava succedendo, non riusciva a collegare più niente e la sua mente sembrava aver subito un blackout totale. 
«Stano, no? Ogni volta che arrivi porti con te una miriade di casini», le sussurrò acido in un modo tale che soltanto lei potesse sentirlo. 
Appena quelle parole le entrarono nella mente subito i suoi sentimenti mutarono. 
Una furia pazzesca si fece strada dentro il suo corpo. 
Il cuore cominciò di conseguenza a battere sempre più forte. 
Serrò la mascella per trattenere le urla che altrimenti sarebbero uscite dalla sua bocca. 
Strinse i pugni sentendo le unghie delle mani lasciarle il segno sulla pelle. 
Inspirò profondamente cercando di calmarsi, senza però far notare nulla di tutto questo al moro che le stava ancora accanto. 
Lui, però, aveva previsto le sue emozioni e quando vide gli occhi della tipa esplodere improvvisamente di collera sorrise sghembo, facendoglielo accuratamente osservare. 
Non seppe cosa la trattenne dal prenderlo a pugni. 
Non seppe cosa la trattenne dal mollargli un cazzotto in pieno viso. 
Non seppe cosa la trattenne dal sputargli in faccia. 
Non seppe cosa la trattenne dall'urlargli contro. 
Non seppe cosa la trattenne dal fare tutto questo. 
Mantenne, invece, la calma, sicura che così si potesse ottenere tutto nel modo migliore. 
Lasciò per un attimo perdere il ragazzo che le stava accanto e in una frazione di secondo provò a pensare ad un modo per … 
Una lampadina le si accese. 
Ma certo, lui non se lo sarebbe mai aspettato. 
Lui non si sarebbe mai aspettato di sentirla rispondere. 
Lui non si sarebbe mai aspettato di sentirla ribellarsi. 
Lui non si sarebbe mai aspettato di udirla parlargli con quel tono. 
Semplicemente, lui non si sarebbe mai aspettato di vederla sotto quella luce. 
Non aveva la minima idea del cambiamento che l'aveva accompagnata negli ultimi anni. 
Non aveva la minima idea di quello che le era successo. 
Non aveva la minima idea che non si ritrovava più di fronte alla ragazzina timida e insicura che aveva conosciuto, bensì a quella che per lui era una completa estranea. 
Nonostante pensasse di conoscerla a pieno si ritrovò a constatarne che il contrario. 
Ancora ignaro di tutto ciò, il moro fece un paio di passi in avanti, superandola e dirigendosi verso la porta che pochi secondi prima il riccio aveva sbattuto violentemente. 
Non poteva permettere di lasciarsi scappare anche quell'occasione, non poteva permettersi di lasciarlo andare di nuovo senza aver reagito, senza essersi opposta. 
Non poteva e non voleva dargliela vinta. 
Non voleva essere catalogata ancora una volta per quella debole. 
Non voleva dargli l'opportunità di decidere quello che avrebbe fatto. 
Non voleva lasciarsi schiacciare. 
Quando alzò lo sguardo notò gli altri tre a pochi passi da loro, con gli occhi fissi su di lei e sul pakistano alle sue spalle che pian piano si stava allontanando. 
Tutto sembrava andare al rallentatore. 
Louis la guardava preoccupato e quasi indispettito dal comportamento dell'amico, mentre Liam e Niall cercavano di capire la situazione, chiedendosi come mai quella giornata continuava a peggiorare. 
Nicole sorrise in modo strafottente al suo migliore amico prima di voltarsi verso mister-occhi-ambrati, senza che però farsi notare da questo. 
«Puoi sempre levarti di mezzo, nessuno ti obbliga a stare dove sto io, Malik», sputò acida con un smorfia divertita dipinta sul volto. 
La mano del tipo si fermò a mezz'aria a pochi centimetri dalla maniglia della porta di legno, e improvvisamene l'atmosfera che si era creata nella stanza diventò ancora più elettrica di quanto già non fosse. Immaginò le facce stupite e sotto shock dei tre ragazzi che le stavano alle spalle e sogghignò tra sé quando vide l'espressione di Zayn mutare. 
Lo sprizzo di gioia trionfante che gli aveva letto fino a qualche secondo prima negli occhi sparì completamente, lasciando il posto ad uno sbalordimento incredibile che, nonostante tutto, non riuscì a nascondere alla ragazza. 
Lei vedeva perfettamente il suo viso di lato, lo vedeva traumatizzato, scosso, sconvolto. 
Lo vedeva così turbato che il sorriso che si stanava su di lei diventò ancora più orgoglioso. 
Finalmente c'era riuscita, finalmente era riuscita a cucirgli quella dannata bocca. 
Non era una persona cattiva, non mostrava il suo lato peggiore a meno che non venisse visibilmente stuzzicata; e lui si era permesso di buttare benzina sul fuoco, inconsapevole del fatto che così facendo avrebbe causato un botto tremendo. 
Inconsapevole del fatto che così facendo avrebbe accettato di giocare ad una guerra che lei non era intenzionata a perdere. 
Zayn fece un movimento brusco e, dopo aver lanciato un'occhiataccia fulminea ai componenti della sua band, passò oltre, sbattendo ancora una volta quella maledetta porta con un tonfo altrettanto potente. 
Il tipo arrivò alla fine del corridoio e, girato l'angolo, si lasciò scivolare lungo il muro. 
Non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere, non da lei. Infatti, più che l'affermazione acida che gli aveva rivolto era stato il gesto in sé a scioccarlo. 
Quelle parole le aveva sputate con un tale risentimento e una tale rabbia che – ne era sicuro – aveva colto soltanto lui. 
Quelle parole gli erano arrivate talmente in profondità da fargli inconsapevolmente tremare il cuore. 
Quel cuore che aveva faticosamente ricostruito. 
Quel cuore che portava ancora delle lunghe cicatrici, così profonde e indelebili che – con tutto il tempo che era passato – non erano ancora guarite. 
Quel cuore che, da quando lei era ricomparsa, aveva inspiegabilmente ricominciato a battere. 
Ed ora a frammentarsi.




Angolo Autrice: 
Buona domenica a tutte, mie care lettrici! :) 
Come state? Spero bene :) 
In questo capitolo finalmente ritroviamo l’inizio della guerra tra Nicole e Zayn, che lascia quest’ultimo particolarmente scosso; ma avviene anche il primo litigio vero e proprio tra Harry e Louis, quei due coinquilini inseparabili che si consideravano più di fratelli. 
Cosa succederà adesso?
Lascio a voi la parola :D
Ringrazio come sempre tutte le ragazze che sono arrivate fino a qua, quelle che hanno recensito gli scorsi capitoli e quelle che seguono la storia: siete tutte tremendamente fantastiche! <3
 
Scappo a studiare, un bacione a tutte e buona giornata! :) 
Another_Life 
xoxo
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


89
 
Change My Mind
 
Capitolo 17

Una doccia calda era proprio quello che ci voleva. 
Era incredibile come un semplice bagno avesse il potere di toglierle di torno tutto il nervosismo, tutta la stanchezza, tutta quell'impazienza che aveva provato fino a mezz'ora prima. 
Nicole tornò nel salotto della sua camera d'albergo, con l'accappatoio avvolto intorno al corpo e le ciocche di capelli che ricadevano umide sulla schiena. Le guance arrossate e gli occhi completamente senza trucco la facevano apparire diversa, quasi simile alla timida ragazzina che era stata un tempo. 
Si sistemò sul divano, accendendo la tv e perdendosi nei ricordi di quella giornata. 
Era stata libera, libera di non andare al lavoro, libera di non dover soffrire di nuovo, libera di non vedere ancora quel tipo che la stava perseguitando. 
Il motivo? 
Le prove dei ragazzi erano saltate dal momento che quasi tutti sarebbero stati impegnati con varie attività, così Jane aveva avuto la cortesia di avvisarla la sera precedente, consigliandole di visitare la città nel caso non l'avesse ancora fatto. 
Così, perché rinunciare? 
Certo, non amava essere in quel luogo del mondo e non desiderava altro che andarsene, ma aveva trovato l'idea della signora abbastanza azzeccata, anche perché aveva bisogno di svagarsi un po'. 
Aveva preso l'attrezzatura della macchina fotografica e aveva cominciato a vagare senza meta, ritrovandosi in poco tempo in posti sconosciuti e decisamente troppo lontani da dove alloggiava. 
Le sue converse bianche avevano scivolato lente e con un passo decisamente irregolare sul marciapiede, ben attente a non scontrarsi con nessun passate; gli occhi marroni brillavano appena, curiosi, quasi affascinati da tutto quello che, per lei, era un nuovo mondo. 
Era entrata nella maggior parte dei negozi che aveva incrociato, uscendo di volta in volta con qualcosa di nuovo appena comprato, finendo con l'avere tra le mani una decina di sacchetti colorati e, dopo un paio d'ore, la sua espressione equivaleva alla stanchezza fatta persona. 
Improvvisamente un pensiero le balenò in mente: non parlava con Louis dal giorno prima, e doveva ancora sapere cos'era successo tra lui e il riccio. Dopo lo scambio di battute acide con il moro non aveva più avuto la possibilità di parlare con il suo migliore amico e questo non l'aveva fatta stare tranquilla. 
Zayn le aveva chiaramente fatto intendere che lei c'entrava, ma cosa aveva fatto di preciso? 
Non riusciva a trovare una risposta soddisfacente nonostante ci stesse pensando ormai da dieci minuti; spense definitivamente la televisione e si diresse verso la sua camera. 
Quella sera aveva bisogno di uscire. 

* * * 

Un'ora e mezza più tardi Nicole aveva finalmente deciso in quale bar entrare. 
Aveva girato mezza Londra per riuscire a trovare un posticino accogliente e non troppo isolato ma si sa, lei era parecchio difficile da accontentare. Dopo aver individuato quel piccolo pub di cui aveva sentito parlare qualche giorno prima, vi ci entrò, felice del fatto che non fosse popolato solamente da gruppi di amici decisamente troppo vecchi per socializzare. Si avvicinò al banco del barista e si sedette su uno sgabello, cominciando a guardarsi intorno: un paio di ragazzi di qualche anno in più di lei stavano chiacchierando allegramente mentre giocavano a biliardo nell'angolo più remoto della stanza, tre bionde stavano rimorchiando altri tipi che si stavano scolando delle birre e altre due more stavano parlando tranquillamente a qualche metro da lei. 
Non c'era molta gente, e nessuno di interessante. 
L'idea che aveva avuto non era per niente buona. 
Stava per alzarsi e andarsene quando notò un ragazzo a qualche tavolo di distanza. Era in penombra e le stava dando le spalle, seduto da solo e lontano da tutti. La luce dei fanali di un'auto che passava lo illuminò di poco e lei ne identificò una chioma riccia e scompigliata. 
Si chiese se stesse aspettando qualcuno o se, per un motivo a lei ignoto, stesse affogando la sua disperazione in qualche bicchiere, giusto per levarsi dalla testa la pesantezza che alcuni dubbi potevano creargli. 
Prese il drink che nel frattempo aveva ordinato e cominciò a sorseggiarlo, in attesa di riuscire a scorgere almeno un dettaglio o un piccolo frammento del viso del tipo. 
Passarono circa cinque minuti, e solamente quando il suono di un clacson seguito da alcune bestemmie di un cinquantenne un po' brillo fece eco nel locale, il ragazzo voltò di novanta gradi lo sguardo, mostrandole finalmente la sua identità. 
Per un momento non ci volle credere. 
Quel riccio era davvero lui. 
Era Harry. 
La sua mano con la bevanda che aveva appena ordinato rimase sospesa a mezz'aria, tanto sconvolta era nel ritrovarselo proprio lì. 
Ma in tutti i locali che Londra offriva, proprio lì aveva deciso di fermarsi? 
Scostò la ciocca bionda che le era scivolata davanti agli occhi e continuò a fissarlo, mentre questo riprendeva oziosamente la sua posizione e tornava a fissare il tavolo con aria assente. 
Lui non l'aveva vista, e probabilmente nemmeno voleva. 
Stava per alzarsi e andarsene per la seconda volta quando l'espressione distrutta e avvilita di Louis le balenò in mente, facendo sparire ogni idea che riguardasse la fuga. Il suo migliore amico stava male, molto male, e a quanto pareva aveva litigato con il riccio, che a vederlo era nelle stesse condizioni. 
Doveva aiutarlo, lo doveva fare per lui, per quel castano che c'era sempre stato per lei, per quel Peter Pan che, anche dopo tutti quegli anni, le voleva ancora un bene dell'anima ed era stato al suo fianco dalla prima volta in cui si erano rincontrati. 
Glielo doveva. 
Era pur sempre il suo angelo custode, no? 
Finì il bicchiere e prese un respiro, alzandosi dallo sgabello e dirigendosi verso il ragazzo; si sedette di fronte a lui e questo, dopo aver alzato lo sguardo assonnato e distrutto, per poco non cadde dalla sedia riconoscendola. Spalancò quegli occhi che avevano una strana sfumatura verde bottiglia e la sua espressione si fece dura, quasi aggressiva, nei suoi confronti. 
«Che ci fai qui? Mi segui?», le sbraitò assumendo un'aria difensiva. 
Nicole non si aspettava quella domanda e ne rimase parecchio sorpresa. 
«Ciao anche a te», esclamò ironica facendogli un mezzo sorriso, sperando che così si calmasse un pochino. 
Ma non fu così. 
Le sfere del ragazzo, improvvisamente scure, emanavano qualche scintilla di rabbia e risentimento, quasi fosse davvero lei la causa di tutta la sua infelicità. 
Mille domande senza risposta cominciarono a farsi strada nella mente della bionda mentre cercava di tenere testa allo sguardo accusatore di lui; non era facile, entrambi non volevano mollare quella strana sfida, e finirono per rimanere in quelle condizioni per interi minuti. 
Lui perso in quelle iridi cioccolato di lei, così serie, così profonde, con così tante emozioni che era quasi impossibile riconoscerle tutte. 
Lei persa nelle iridi verde cupo di lui, traboccanti di un dolore che era difficile anche solo da guardare. 
«Vattene, per favore, non voglio parlare con te» 
Certo che era molto diretto quel riccio, pensò lei sorridendo. 
Bene, perché avrebbe trovato pane per i suoi denti. 
«Quattro giorni fa volevi rimorchiarmi, adesso non mi vuoi vedere. Sei molto coerente, Harry, non c'è che dire», scherzò lei per alleggerire la tensione. 
Sui visi di entrambi si dipinse un sorriso divertito ripensando al loro primo incontro, al modo strano e da casanova col quale lui si era presentato, alla sua risposta inaspettata; rimasero qualche momento nel più assoluto silenzio, rotto solamente dal chiacchiericcio delle altre persone che stavano nel bar. 
Il riccio continuava a formare dei cerchi astratti con le dita sulla superficie del tavolo, con lo sguardo assorto e austero; improvvisamente alzò il viso, cominciando a fissare la tipa bionda che si trovava davanti, anche lei intenta a pensare a qualcosa a lui sconosciuto. 
Non aveva senso continuare a respingerla, tanto lei non se ne sarebbe andata, ne aveva avuto la prova; era una specie di Louis in versione femminile, quando si metteva in testa una cosa niente e nessuno poteva fargliela cambiare. 
A quel pensiero ebbe un sussulto. 
Non vedeva il suo migliore dal giorno precedente, da quando, arrivato nella sala prove, gli aveva lanciato quelle fulminate piene di risentimento. Non era stata sua intenzione, non avrebbe voluto farlo, ma solamente a vedere lei lì, la causa della loro litigata, la causa del casino che era successo, in piedi come se nulla fosse, con quell'espressione intraducibile … 
Non sapeva perché, ma lo aveva fatto imbestialire. 
Non era mai successa una cosa simile, loro due non avevano mai litigato, non avevano mai nemmeno avuto un battibecco per nulla, nemmeno per una ragazza. Ed ora che era successo, ora che non poteva nemmeno rientrare a casa sua per il troppo orgoglio che aveva in corpo, ora che tutto quello in cui credeva si era sgretolato, non aveva più nessuna certezza. 
Louis c'era sempre stato per lui. 
Louis era sempre stato lì quando lui ne aveva bisogno. 
Louis era la cosa migliore che gli potesse capitare nella vita, Louis era la forza che gli permetteva di andare avanti. Con i suoi sorrisi, le sue battute, la sua mancata serietà: Louis era unico
E dopo tutto quello che avevano passato era bastata una semplice parola di troppo per ridurre tutto in pezzi. 
Cosa sarebbe successo, nei giorni successivi? 
Cosa sarebbe successo al loro rapporto? 
Alla band? 
Harry non ci poteva credeva, non voleva nemmeno immaginare ad un probabile scioglimento del gruppo, non voleva nemmeno immaginare di non poter più cantare, di non stare con quelli che erano diventati la sua seconda famiglia, di smettere di fare tutte quelle cose che odiava ma che, in fondo, gli piacevano. 
Harry non voleva nemmeno immaginare di essere la possibile causa per la fine di tutto. 
Lo sguardo semi distrutto del castano gli ricomparì nella mente, facendolo sussultare. 
L'amore che descrivevano i giornali tra loro due non era che una balla. 
Era vero, non erano semplici amici, il loro legame era qualcosa che andava al di più di una semplice amicizia, di un rapporto di conoscenza, di un rapporto di lavoro; loro due erano come dei fratelli, anzi, peggio: si volevano un bene dell'anima e non avrebbero mai resistito l'uno senza l'altro, non sarebbero mai riusciti a sopravvivere restando lontani. 
Il vincolo che li teneva uniti era talmente profondo quanto incomprensibile. 
Si vergognava di quello che gli aveva detto, si vergognava della scenata irrazionale che gli aveva fatto, si vergognava di essere così maledettamente impulsivo, ma cosa ci poteva fare? Cosa ci poteva fare se teneva al loro rapporto in una maniera quasi sovrannaturale? Cosa ci poteva fare se non sopportava l'idea di essere messo da parte per una ragazza di cui lui non gli aveva mai nemmeno accennato? 
Le rivolse un'ultima occhiata prima di decidere quello che avrebbe fatto di lì a pochi secondi. 
«L'ho capito subito, dal primo sguardo che vi siete lanciati. L'ho capito subito che tra voi due c'era stato qualcosa» 
Le parole lente e strascicate del riccio entrarono nella mente di Nicole, le trafissero l'anima, furono come un colpo di pistola inaspettato, un colpo di vento gelato che le arrivò dritto in viso. 
Le dita che stava premendo sul tavolo al ritmo della musica che proveniva dalla lontana radio si fermarono improvvisamente, alcune di loro ancora ferme in aria, ma i suoi occhi non si spalancarono, non si chiusero, non investirono quelli di Harry con un odio che avrebbe messo il terrore. 
Non si scompose, non assunse l'espressione da “E come cazzo fai tu a saperlo? Come cazzo hai fatto a scoprirlo?”, non fece nulla di quello che il ragazzo davanti a lui si sarebbe aspettato. 
Restò immobile, senza respirare, senza produrre una qualsiasi reazione. 
E il castano si spaventò di questo, chiedendosi perfino per un momento se fosse ancora viva. 
Solamente se ci fosse stato Louis al suo posto, solamente se lui l'avesse conosciuta bene come il suo migliore amico, solamente se lui avesse saputo le particolarità che lei aveva, avrebbe potuto notare quella successione quasi spaventosa di emozioni contrastanti che si era formata nei suoi occhi scuri, scuri come il cielo quella sera. 
La bionda dovette ripetersi più e più volte la frase del tipo per rendersi veramente conto che quello che avevano udito le sue orecchie era quello che effettivamente era uscito dalla sua bocca. 
L'ho capito subito che tra voi due c'era stato qualcosa. 
Il volto di Zayn le piombò in mente e lei ebbe un sussulto impercettibile. 
Era stato davvero così evidente? 
Si era notato davvero così tanto? 
Era stata davvero così scontata? 
Riusciva ancora a vedere quelle sfere della stessa tonalità del petrolio, emananti odio puro e tutti i sentimenti che lo potevano accompagnare, riusciva ancora a vedere le sue fulminate accusatorie, i suoi sguardi omicidi. Rivisse per un momento tutto quello che era successo tra i due in quella settimana, dalla prima volta che si erano visti, quando lei gli era andata per sbaglio addosso, alle scenate ai distributori di merendine e subito dopo in sala d'incisione, per terminare con l'episodio successo solo il giorno prima, composto dalle battutine acide che si erano riservati. 
«L'unica cosa che non capisco è perché non me lo abbia mai detto. Insomma noi... noi siamo come fratelli, sappiamo tutto l'uno dell'altro, non abbiamo segreti. Passiamo assieme praticamente tutte le giornate, è, con gli altri, diventato la mia seconda famiglia», balbettò inconsciamente il riccio. 
Quando era nervoso cominciava sempre a parlare a vanvera, non riusciva a starsene zitto, non ce la faceva a tenere il becco chiuso. 
E non sapeva che così facendo creava ancora più confusione nella povera testa della bionda, che stava ancora guardando un punto indefinito del tavolo con uno sguardo intraducibile. 
«Non te l'ha detto perché magari non sono stata così importante», farfugliò poco dopo ritrovando quella voce che credeva morta. Il castano la investì con le sue perle verde bottiglia e un sorriso amaro gli si dipinse sul volto. 
«Me ne avrebbe parlato lo stesso, appena saresti ricomparsa. E poi, da come ti guarda, sembra tutto il contrario» 
Il tono di Harry era basso e soffocato, lei riusciva a malapena a sentire quello che lui diceva nonostante fossero a pochi centimetri di distanza; sembrava quasi che non volesse farsi sentire, sembrava quasi che quello che le stava raccontando fosse uno dei suoi più oscuri segreti e non volesse che nessuno udisse niente. 
«Eravamo solo dei ragazzini che hanno scambiato una cotta estiva per un amore inesistente» 
A questo punto, non si sapeva quale delle due facce era la più sconvolta e incredula: lui non si sarebbe mai aspettato una rivelazione di quel tipo, anzi, la cosa più accettabile che credeva che lei avrebbe detto era che era tutto frutto della sua immaginazione; lei, d'altro canto, si stupì dei termini che erano usciti da soli dalla sua bocca, non avrebbe mai pensato che sarebbe riuscita a dire una cosa del genere – proprio perché in primo luogo non lo pensava, ma stava cercando con tutta se stessa di convincersene. 
«E adesso?» 
La bionda alzò lo sguardo, confusa dalla domanda del tipo. Vide le ragazze more di poco prima uscire dal locale ubriache marce e scosse la testa, prima di focalizzare la sua attenzione su colui che, davanti a lei, la stava scrutando per capirne una possibile risposta. 
«Adesso cosa?» 
«Cosa provi per lui adesso?» 
Lame gelide le vennero lanciate contro e le trapassarono la pelle, lo stomaco e le vene e le arrivarono al cuore, il quale, dopo un momento, cominciò a tremare. Cominciò a fissare un punto indefinito alle spalle di Harry mentre i suoi occhi si facevano pian piano sempre più scuri, più impenetrabili, più amari; gli zigomi contratti, i denti stretti su se stessi, come per trattenere la miriade di emozioni – positive e negative – che quella domanda le aveva causato. 
Cosa provi per lui adesso? 
La mano destra cominciò a tremare impercettibilmente e improvvisamente sembrava aver perso ogni contatto con ogni parte del suo corpo, improvvisamente sembrava che tutto andasse per conto proprio, improvvisamente sembrava che non avesse più autorità su niente. 
Pensieri compresi. 
Flashback velocissimi si fecero largo nella sua mente, mostrandole di nuovo in tempo quasi reale, con una lucidità che sembrava assurda, in una maniera che sembrava impossibile, vari frammenti di quella vacanza. 
Il suo sorriso. 
Le sue sfere. 
La sua risata. 
Le loro mani intrecciate. 
I loro corpi a contatto. 
I loro abbracci. 
Le pelli bollenti. 
Le sue dita sul suo mento. 
La loro vicinanza. 
Il bacio. 
«Nicole?» 
Una mano le scosse delicatamente il braccio e lei si risvegliò da quello stato di trance. 
«Scusami, non dovevo farti quella domanda», farfugliò poco dopo il riccio mordendosi il labbro. 
«Harry», lo richiamò lei prima che lui ricominciasse con un altro monologo. 
Lui riportò subito la sua attenzione sull'espressione tesa e dura di lei. 
«Lui per me non esiste più» 
Nel preciso momento in cui sentenziò quella frase qualcosa dentro di lei cominciò a frammentarsi, qualcosa dentro di lei cominciò a ritorcersi e a ripiegarsi su se stesso a tal punto da farle venire il mal di stomaco; qualcosa dentro di lei cominciò a prendere fuoco e contrastava con il ghiaccio che si era addensato nelle sue vene. 
Lo sbigottimento del riccio era epico: la sua espressione scioccata e tremendamente scombussolata poteva benissimo eguagliare quella di un attore professionista. Iniziò così a rimuginare sulle parole che la ragazza aveva appena emanato e le confrontò con le immagini dei giorni precedenti che gli si presentarono in mente. 
Non ci mise molto a fare due più due. 
«Nicole?», la richiamò ancora. 
La bionda alzò nuovamente lo sguardo serio e lievemente scosso da tutto quello che era riuscita a dire in pochi minuti, da tutto quello che si era tenuta dentro per anni e che non aveva mai avuto il coraggio di esplicare. 
Scossa da quella sentenza che anche lei faticava a credere vera. 
«Sì?», lo incoraggiò vedendo che lui non continuava. 
Il riccio la fissò ancora per un momento in quelle iridi scurissime, provocandone la sua impazienza; lui si immerse di nuovo in quelle acque nere che sembravano due muri impossibili da scavalcare, in quel liquido così pieno di sentimenti contrastanti che metteva inquietudine. 
«Tu di chi stai parlando?» 
Secondi. 
Pochi e preziosi secondi che bastarono ad entrambi per sentire delle emozioni che si susseguirono con una velocità inaudita. 
Lame di fuoco spuntarono in quelle che dovevano essere lo specchio dell'anima di lei e il castano per un momento ebbe paura che l'avrebbe ucciso con uno sguardo. 
«Tu di chi stai parlando!», sbraitò lei forse con un po' troppa rabbia, cosa che fece perfino voltare il barista che stava dall'altro lato del locale. 
«Non credo che il mio soggetto corrisponda al tuo», balbettò poi cercando di allontanarsi da colei che sembrava essere diventata la versione femminile di un lupo mannaro. 
La mente della giovane girovagava invano da una teoria all'altra, chiedendosi come aveva fatto ad aprirsi in questo modo con un ragazzo che non aveva capito un tubo di tutta quella storia; Harry non sapeva di quella vacanza, non sapeva cosa fosse successo tra lei e Zayn, non sapeva come si fossero incontrati, come si fossero conosciuti, non sapeva tutto quello che avevano provato l'uno per l'altra. 
Harry non sapeva nulla
E allora perché tutte quelle domande? 
Perché le aveva fatto credere il contrario? 
Era stato il moro a chiederglielo? 
O aveva semplicemente fatto due conti? 
Il viso del suo migliore amico le rispuntò nella testa facendola sussultare. 
Non poteva essere vero. 
«Tu pensi che tra me e Louis sia successo qualcosa?», lo accusò con voce incredula. 
Due perle verde bottiglia la invasero. 
Due perle verde bottiglia le trasmisero tutta la sua confusione. 
Due perle verde bottiglia annuirono silenziose alla sua domanda.




Angolo Autrice: 
Ad essere sincera, non so come commentare questo capitolo. 
Nicole è riuscita ad aprirsi con Harry, anche se questo era convinto che tutto il discorso su Zayn fosse riferito a Louis xD 
Come abbiamo visto, anche il riccio sta parecchio male per la litigata con il suo coinquilino, cosa che fa muovere alla bionda i primi passi per cercare di aggiustare – e capire prima di tutto – quello che è successo. 
Spero vi sia piaciuto, perché a me non convince per nulla… 
Ma lascio a voi il commento :) 
Un bacione a tutte, e grazie immensamente a quelle che hanno recensito lo scorso capitolo, che leggono silenziose e che seguono la storia <3 
Siete fantastiche <3 
Another_Life 
xoxo
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


89
 
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Capitolo 18

Gocce d'acqua salata scendevano ripide lungo il viso del ragazzo, che continuava a maledirsi mentalmente per non aver preso un taxi; i ricci castani avevano lasciato il posto a delle ciocche ribelli completamente inzuppate e le scarpe continuavano a emettere degli strani rumori, causati dal liquido cristallino che continuava ad entrarvici. 
Harry si muoveva veloce tra le vie di quella città che ormai conosceva a memoria, si muoveva svelto e attento a non incontrare i soliti paparazzi o delle fan leggermente pazze che lo avrebbero di sicuro rallentato. 
Era determinato ad arrivare a casa, alla sua casa, alla loro casa nel minor tempo possibile. 
Mille pensieri gli vorticavano nella mente, mille uragani che portano con loro migliaia di immagini e di parole continuavano a farsi strada dentro di lui, rendendolo sempre più stanco e più sfinito. 
Come aveva potuto pensare che tra Louis e lei potesse essere successo qualcosa?
Come aveva potuto pensare che il suo migliore gli avesse mentito per così tanto tempo?
Come aveva anche solo potuto sfiorarlo l'idea che lui non fosse stato sincero? 
Le maledizioni che si stava tirando addosso da più di un'ora non erano ancora bastate per farlo sentire meglio, non erano ancora servite ad alleviare il senso di colpa che continuava a perseguitarlo e a rinfacciargli il suo essere così dannatamente troppo impulsivo. 
Possibile che non ne facesse una di giusta?
Possibile che non si fosse neppure fidato di quello che considerava un fratello? 
Le parole di Nicole tornarono a susseguirsi nella mente, le sue frasi sconnesse ed esplicate con fatica e dolore, i suoi occhi scuri e quelle lacrime invisibili che aveva costretto a non uscire: tutto adesso gli sembrava così ovvio. 
Così lucido. 
Così dannatamente logico
Il problema non era mai stato Louis. 
I sentimenti che lei aveva provato non avevano mai riguardato Louis. 
Quello che lui aveva cercato di dirgli, quello che lui si era rifiutato di sentire, di capire, di comprendere. 
Quella storia interessava lei e Zayn. 
Nessun altro. 
Quella tensione che si era creata ogni singola volta che lei era entrata nella sala d'incisione, l'improvvisa freddezza del moro, la sua inspiegabile irritabilità. 
Tutto adesso aveva un senso. 
Dopo l'equivoco Nicole aveva deciso di aprirsi, aveva deciso di raccontare a quel riccio che conosceva da neanche una settimana quello che era successo, tutti quegli avvenimenti successi così tanto tempo prima ma che, però, l'avevano segnata per la vita. Tenendo lo sguardo abbassato, controllando le sue emozioni e fermando quelle gocce salate che bramavano di uscire era riuscita a riaprire quel cassetto, quel cassetto così straripante di emozioni ed immagini che a fatica aveva richiuso. 
Quel cassetto che, negli ultimi tempi, aveva riaperto troppe volte. 
Harry era rimasto ad ascoltarla in silenzio, stupito da quei sorrisi amari che aveva visto un paio di volte comparire sul suo volto, stupito di con quanta attenzione riportava ogni dettagli, stupito di quello che, ne era certo, lei aveva fatto per ricongiungere lui e il castano. 
E, improvvisamente, la sua antipatia verso quella bionda comparsa dal nulla era sparita, lasciando il posto ad una strana tenerezza e ad una comprensione unica. 
Improvvisamente sentiva che era una ragazza normale, bisognosa di affetto e di amici. 
Improvvisamente sentiva di volerle bene, sebbene la conoscesse da pochissimo. 
E continuava a pensare al motivo che avrebbe dovuto avere Zayn per lasciarla, senza una spiegazione. Il suo tono, i suoi “non m'importa più”, la sua aria da finta soddisfatta non lo avevano ingannato: ci leggeva bene nelle sue iridi liquide, ci leggeva bene che ci stava ancora male. 
Promettimi che non indagherai, devi promettermi che non ne farai parola con nessuno, soprattutto con lui. 
La sua condizione era stata chiara e, guardando quelle sfere che nel giro di una frazione di secondo avevano completamente cambiato espressione, lui non aveva avuto altra scelta che accettare. 
Primo, glielo doveva. 
Secondo, lo inquietavano, quindi meglio così. 
Quando alzò il capo si ritrovò davanti alla porta dell'appartamento. 
Del suo appartamento. 
Del loro appartamento. 
E il cuore smise per un secondo di battere, facendolo sussultare. 
Era arrivato, e non se ne era nemmeno reso conto. 
Era arrivato, e l'ora di sistemare il casino che aveva fatto era giunta. 
Era arrivato, e, inaspettatamente, tutti i suoi muscoli fecero per cedere. 
Portò le dita tremanti all'altezza del campanello e cominciò a suonarlo, prima in modo garbato e poi sempre più aggressivo ed impertinente; l'ansia continuava a crescere dentro di lui, quel mostro contorto continuava ad insinuarsi nelle cavità ed a propagandarsi in tutto il corpo, continuava a scavare nel suo petto e, senza alcun ritegno, divorava ogni suo pensiero positivo, dissolvendolo e spazzandolo via per sempre. Gocce d'acqua continuavano a scendere dai suoi capelli, le mani congelate non potevano muoversi e quell'indice, ancora saldamente premuto su quell'apparecchio, sembrava essersi immobilizzato. 
Si era perfino dimenticato di respirare, ma questo adesso non aveva importanza. 
Voleva urlare, voleva sbattere i pugni su quella porta di legno massiccio e gridare al suo coinquilino di aprire; voleva sradicare quella barriera, voleva scivolare velocemente in quel luogo che era diventato la sua casa, voleva raggiungere il suo migliore amico e dirgli quanto gli dispiaceva. Voleva sfogarsi, voleva scusarsi, voleva convincerlo che aveva capito l'errore. 
Voleva solamente poterlo riabbracciare. 
Stava per voltarsi, stava per andarsene, convinto del fatto che magari non fosse lì, che fosse dalla sua Eleanor, che fosse uscito per distrarsi, o, nel peggiore dei casi, che semplicemente non gli volesse aprire, troppo offeso dal suo comportamento, troppo arrabbiato per la mancata fiducia, troppo addolorato per quello che lui aveva fatto. 
Stava per voltarsi ed andarsene, quando uno strano rumore – che somigliava molto ad un tonfo provocato da una caduta della scale – lo fece immobilizzare. 
Ne seguirono delle strane imprecazioni e improvvisamente vide la luce del salone accendersi. 
Altri passi. 
Lo scoccare della serratura. 
La maniglia che si abbassa. 
La porta che si apre, piano. 
E finalmente eccolo, quel pazzo Peter Pan con i capelli arruffati, gli occhi semi chiusi dal sonno, il pigiama a pois scomposto. 
Eccolo, finalmente, il suo migliore amico, il suo fratellone, la parte mancante del suo puzzle. 
Le sfere verdi del riccio si incatenarono a quelle azzurre del castano, che per la sorpresa aveva rimosso dalla testa tutte quelle maledizioni che stava per esplicare al malintenzionato che aveva suonato il campanello a quell'ora della notte. 
Il cuore di entrambi perse un battito. 
Louis non si sarebbe mai immaginato di vedere, in quel momento, quella scena: un Harry fradicio, con i capelli attaccati alla fronte e i vestiti inzuppati, era lì, davanti a lui, con la classica espressione che pronunciava tutte le volte che aveva da farsi perdonare qualcosa. Piccole goccioline d'acqua continuavano a scendere e fuori l'acquazzone era spaventoso. 
In quell'istante, l'unico suono che regnava tra di loro era la pioggia scrosciante che non accennava a fermarsi. 
In quell'istante, i due ragazzi non sapevano cosa fare, cosa dire. 
In quell'istante, tutti i discorsi che si erano preparati entrambi precedentemente si erano dissolti come sabbia nel deserto. 
Le labbra serrate del più vecchio mostravano tutta la sua agitazione, i suoi occhi presentavano al mondo il turbine di emozioni che si stavano formando dentro di lui, i pugni serrati indicavano la rabbia che era ancora presente sul suo cuore. 
Una lama fredda trapassò lo stomaco del riccio, rendendolo sempre più debole e inerme. 
Le sue sfere, divenute trasparenti, chiedevano pietà, chiedevano perdono, chiedevano protezione. 
Ma soprattutto, chiedevano amore
Quell'amore che sembra inesistente, quell'amore che solo poche persone nel mondo possono provare veramente. 
Quell'amore che non ha spiegazione, quell'amore che non consiste nell'attrazione fisica o psicologica tra uomo e donna, o tra due individui dello stesso sesso, quell'amore che non è fatto di baci o carezze, ma semplicemente di presenze
Quell'amore che, in quel momento, solamente il suo migliore amico poteva dargli. 
Il riccio abbassò il capo, incapace di reggere anche per un solo secondo in più lo sguardo deluso del suo coinquilino; abbassò il capo e una lacrima ribelle gli scivolò dagli occhi, cosa che Louis notò subito. 
In un istante, tutta l'ira che in quelle ore aveva accumulato nelle sue vene sparì. 
In un istante, tutte le barriere che aveva eretto per impedire che lui vi entrasse si distrussero. 
In un istante, sentì il cuore vibrare e frammentarsi in mille pezzi. 
Non ci pensò due volte: ruppe quella distanza che li separava, quella distanza acida e fuori luogo, e lo abbracciò, lo strinse nelle sue braccia come se fosse suo figlio, lo strinse a sé saldamente e lasciò che si sfogasse in un pianto liberatorio. 
Nessuno aveva mai visto quel lato di Harry. 
Nessuno a parte Louis. 
Nessuno avrebbe mai immaginato che il rubacuori che descrivevano nei giornali potesse essere così sensibile. 
Nessuno a parte Louis. 
Nessuno avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente capire il legame che vincolava i due. 
«M-mi d-dispiace», furono le parole che riuscì a balbettare dopo un tempo indefinito. 
«Lo so», rispose l'altro con un filo di voce, abbozzando un piccolo e sincero sorriso. 

* * * 

La bionda teneva le braccia incrociate e osservava il paesaggio che si estendeva ai suoi piedi, guardava con attenzione ogni minimo particolare e lo memorizzava, neanche dovesse fare un test a minuti. 
O meglio, un test lo avrebbe fatto, ma non su quell'argomento. 
Fra poco Jane sarebbe rientrata, fra poco quella donna sarebbe tornata nel suo ufficio e avrebbe portato con sé quella band che, da quanto aveva capito, era la più famosa del mondo in quel periodo. 
Togliendo il fatto che lei, prima di trasferirsi a Londra, non ne aveva mai nemmeno lontanamente sentito parlare – aveva odiato la musica a tal punto da escluderla completamente dalla sua vita – questa cosa era abbastanza... strana
Una situazione davvero insolita, ecco. 
Insomma, non capitava a tutti di ritrovare degli amici conosciuti quattro anni prima per puro caso, per un semplice e davvero casuale motivo di lavoro; non capitava a tutti di dover rivedere quei ragazzi che si stava cercando di immagazzinare nel cassetto più remoto della propria mente, non capitava a tutti di ritrovarsi quegli stessi giovanotti di un tempo – cresciuti ovviamente – famosi a livello mondiale. 
Era inverosimile quanto incoerente. 
Non aveva mai pensato ad una loro possibile “unione” in ambito musicale, non aveva neppure mai pensato ad un loro avvicinamento o a tutto quel successo che li stava circondando. 
Nonostante non li avesse ancora sentiti cantare seriamente dal vivo, doveva ammettere che avevano talento: ognuno di loro si contraddistingueva dagli altri, ognuno di loro aveva delle caratteristiche di cui gli altri erano privati. 
E forse era proprio questo il motivo del loro successo: ognuno di loro era diverso dagli altri, e unendo questi cinque individui, formando una band unica ne era sbocciato un gruppo “perfetto”. 
Riusciva lontanamente a capire l'amore che aveva visto esibire dalle loro fan nei loro confronti, riusciva lontanamente a capire quello che quelle ragazze potevano provare per quei ventenni non ancora cresciuti, riusciva lontanamente a capire il loro dichiararsi “innamorate”. 
In fondo, a quell'età era quasi d'uopo avere qualcuno a cui sentirsi vicini, che non fossero i genitori o gli amici di tutti i giorni. 
A quell'età era comprensibile la necessità di potersi sfogare con qualcuno che, alla fin fine, non si conosceva veramente e probabilmente non lo si sarebbe mai conosciuto. 
A quell'età la musica era, nel novanta percento dei casi, l'unico mezzo che si aveva per non cadere nella più totale desolazione, nella più totale, buia e rozza solitudine. 
Riusciva solo lontanamente a comprenderlo, proprio perché lei non era mai entrata in quel mondo, non si era mai “innamorata” di una star, di un cantante, di una band. 
Non aveva mai provato tutto quell'insieme di emozioni, non aveva mai pianto, non aveva nemmeno mai sorriso per merito di qualcuno famoso. 
E tutto perché aveva categoricamente buttato fuori la musica dalla sua vita. 
Ogni canzone, a meno che non fosse una di quei tormentoni che si ballava costantemente in discoteca, era stata rimossa dalla sua mente, cancellata, disintegrata dalla sua memoria. 
Non ne aveva più voluto sentir parlare, non aveva più voluto nemmeno sfiorare quell'aggeggio che la conteneva tutta, quel piccolo mp3 che l'aveva accompagnata per così tanto tempo. 
Anche – e soprattutto – durante quella vacanza. 
Improvvisamente sentì la porta aprirsi e dovette lasciare tutte le sue riflessioni per voltarsi, notando così l'arrivo dei ragazzi preceduti da Jane, la loro manager, che la salutò subito cordialmente e con la solita dolcezza, che si poteva benissimo eguagliare a quella di una mamma. 
La voce alta e allegra di Louis si sparse in tutta la stanza, e quando questo fece il suo ingresso completamente abbracciato ad Harry, la tipa non poté trattenere un sorriso soddisfatto. 
Finalmente quei due avevano chiarito. 
«Nicole!», esultò il suo migliore amico appena la vide, correndole incontro e stringendola in un abbraccio. 
Un abbraccio che sapeva di gioia, di felicità, di riconoscenza, di ringraziamento. 
Un abbraccio che, silenziosamente, le trasmise tutte queste emozioni. 
Un abbraccio che lei ricambiò, contenta di essere riuscita nel suo intento. 
Mister cespuglio si avvicinò a lei dopo qualche momento, un sorriso enorme stampato sul viso e un'aria di completa serenità; la sovrastò con le sue braccia possenti e le diede un bacio sulla guancia, sussurrandole un timido ed innocuo “grazie” all'orecchio. 
Le labbra della ragazza si curvarono, mostrando una smorfia ironica e divertita, prima che questa scuotesse la testa e salutasse anche Niall e Liam, che in quel momento le impedivano di vedere bene colui che mancava all'appello. 
Quel ragazzo che guardava dritto davanti a sé, senza però fissare un punto preciso. 
Quel ragazzo che stringeva i pugni con tutta la sua forza, quasi fosse l'unico modo che conoscesse per sbollire la rabbia che si era impossessata di lui. 
Quel ragazzo che manteneva le sue sfere immobili, intraducibili, illeggibili, quasi avesse paura che qualcuno, che i suoi amici, che lei potesse leggervi dentro tutto quello che provava. 
Nicole lo fissò per un istante, fissò quelle iridi scure come non mai, quelle labbra serrate come se fossero state chiuse con il catenaccio, fissò la sua postura, così rigida e imbarazzata, fissò la sua sagoma e il suo completo menefreghismo verso di lei. 
Il suo cuore perse un battito e una strana voragine si aprì dentro di lei, una strana forza interna cominciò a risucchiarle tutti gli organi, una furia la fece quasi gemere dal dolore. 
Non capì cosa le stava succedendo e, piuttosto di indagare oltre, diede la colpa alla probabile fame e all'ora di pranzo che stava arrivando; Louis, al suo fianco, notò immediatamente questo suo strano e improvviso cambiamento e, per infonderle coraggio, le mise un braccio sulle spalle. 
«Allora, miei cari, dobbiamo fare il punto della situazione. D'ora in poi dovrete provare e riprovare molto, credo che questo lo sappiate bene: fra pochi giorni comincerà la promozione del nuovo disco che ci porterà in giro per tutta Europa e successivamente anche in America, e non possiamo permetterci di essere trovati impreparati. La Stampa continua a fare pressione e io stessa, come voi, voglio dimostrare a tutti i critici che siete dei cantanti in gamba che sanno fare il proprio lavoro in maniera rispettosa. Giusto?» 
Jane fermò per un momento il suo discorso per alzare lo sguardo e fissare i diretti interessati negli occhi uno per uno, assicurandosi così l'assenso di tutti. 
«Ottimo. Nicole cara, d'ora in poi tu dovrai dedicarti completamente alla fotografia: dovrai seguirli dovunque vadano e dovrai passare con loro tutto il tempo che puoi; il materiale che riuscirai a ricavare sarà utilizzato per i vari progetti che abbiamo in mente, come il prossimo libro o anche il film documentario sulla vita da pop star. Tutto chiaro?» 
La bionda annuì decisa e senza timore; sentì gli occhi di quattro quinti della band su di lei, sentì quelle otto sfere perforarla senza però alcuna accusa. Non spostò lo sguardo dalla signora davanti a lei, che le sorrise cordiale e continuò a cercare qualche foglio tra quella pila di documenti. 
Jane era stata chiara, diretta, professionale e dolce allo stesso tempo: non aveva inserito giri di parole, non aveva fatto un discorso molto lungo durante il quale probabilmente tutti avrebbero perso il filo, non si era divulgata troppo. Era stata sintetica e precisa, aveva chiaramente espresso ai ragazzi che da quel momento le cose si sarebbero complicate e tutto sarebbe stato più stressante. 
Lei poteva solamente immaginarlo, non aveva mai vissuto una cosa del genere, era successo tutto così velocemente, tutto così improvvisamente che a momenti non aveva nemmeno avuto il tempo di ragionarci sopra. Certo, era stata da subito messa al corrente delle possibili conseguenze che ci sarebbero state dopo che avrebbe cominciato a lavorare per la Sony, una delle case discografiche più importanti del pianeta, e in specifico per quella band che stava letteralmente spopolando. 
Ma era ancora tutto così surreale e inverosimile che ancora faticava a crederci. 
Ma non per questo aveva intenzione di mollare tutto. 
«Come ultima cosa, credo sia implicito che tutti voi non dobbiate dire niente a nessuno; i giornalisti non devono sapere nulla di questi progetti, altrimenti poi ci assalirebbero e non ci lascerebbero un minuto libero – non che non lo stiano già facendo. E mi raccomando, cercate di aiutare la vostra amica: non voglio immaginare la reazione delle vostre fan e dei paparazzi appena la scopriranno...» 
La donna lasciò la frase in sospeso e un'espressione amara si dipinse sul suo volto, accompagnata dagli sguardi improvvisamente sofferenti dei quattro ragazzi. 
Quattro, perché il quinto era rimasto impassibile, senza proferire alcuna parola, senza mostrare alcuna emozione, senza muovere alcun muscolo. Continuava a fissare un punto indefinito alle spalle della sua manager senza dare alcuna prova di essere ancora in vita. 
«Non si preoccupi signora Davis, non mi farò intimorire da delle ragazzine, non solo la tipa che se la prende se non va a genio a qualcuno», la rassicurò Nicole, facendo un chiaro riferimento a qualcuno che, in quel momento, si trovava in quella stessa stanza. Un sorrisino malizioso le si formò sul viso e nello stesso istante la donna sembrò rincuorata. 
«Sei una brava ragazza, cara Nicole. Mi raccomando, ti affido questi cinque irresponsabili, tienili d'occhio e abbi cura di loro», scherzò di nuovo la manager. 
«Grazie, farò del mio meglio. Almeno esiste qualcuno al mondo che non pensa che sia una calamita attira guai», sputò acida come ultima mossa. 
Non ci aveva nemmeno pensato, non aveva minimamente ragionato su quelle poche parole che erano uscite da sole dalla sua bocca, non aveva minimamente tenuto conto delle conseguenze che avrebbero potuto avere. 
E ci furono reazioni diverse in ogni persona presente in quella stanza. 
La donna aveva agitato la mano, come per intendere che quello che aveva appena udito era una delle sciocchezze più assurde che avesse mai avuto il piacere di ascoltare. 
Louis portò la sua attenzione sulla sua amica, la quale portava ancora quel sorrisino ironico stampato sul volto. 
Harry era scioccato e non ci voleva credere, non voleva credere al coraggio che aveva quella tipa, non voleva credere di aver appena visto una saetta di fuoco uscire da quegli occhi cioccolato e dirigersi a quelli scuri del moro appoggiato al muro. 
Niall, a fianco di lei, continuava a spostare lo sguardo da lei ai suoi compagni, confuso, scombussolato e … affamato
Liam aveva stretto la mano sulla spalla del migliore amico, come per infondergli calma. 
Nemmeno lui credeva a quello che era appena ascoltato, e stava cercando in tutti i modi di tenere a bada la rabbia che – lo sentiva – si stava propagando nel corpo del moro. 
Infine c'era Zayn, con lo sguardo diritto a terra, gli occhi leggermente più dilatati di poco prima e quelle sfere scure che stavano combattendo contro se stesse per rimanere neutrali. Appoggiato alla parete, i pugni stretti in una morsa forzata, i denti serrati e gli zigomi contratti, tutto dentro di lui stava andando a fuoco. 
Almeno esiste qualcuno al mondo che non pensa che sia una calamita attira guai. 
Quelle parole continuavano a vorticargli in mente, si facevano sempre più pesati e più difficili da sopportare; ce la stava mettendo tutta, ci stava mettendo tutta la sua buona volontà per non dargliela vinta, per non mostrarle la sua fragilità. 
Per non farla vincere in quell'assurda competizione che si era creata tra di loro. 
Prese un respiro e alzò lo sguardo, incontrando finalmente quei due occhi che lo squadravano in modo saccente e accattivante. Si perse in quel cioccolato che tanto aveva agognato, si perse in quel cioccolato che tanto lo aveva perseguitato. 
Quel cioccolato che però non era più lo stesso. 
Quel cioccolato che non sembrava avere nulla in comune con quello che aveva conosciuto. 
Non riuscì a reggere la sua espressione da superiore, improvvisamente un'ira mai provata prima si diradò dentro di lui, facendogli perdere completamente il controllo. 
Scansò il suo compagno e uscì da quell'ufficio, sbattendo pesantemente la porta. 
Se ne andò, via dai suoi migliori amici, via da quella vita che cominciava a stargli stretta, via da quella ragazza che, ricomparsa dal nulla, gli stava rendendo l'esistenza impossibile. 
E dire che quello era solo l'inizio.




Angolo Autrice: 
In questo giorno di lutto per tutte le ragazze che non potranno andare a vederli a Verona arrivo io con il nuovo capitolo! :D 
*grilli nella notte* 
Okay, sorvolando sul fatto che ultimamente sto diventando dislessica e non so mai come commentare i miei capitoli, in questo episodio vediamo la riconciliazione tra Harry e Louis *fuochi d’artificio e applauso* e un’altra scena in cui Nicole mostra la sua capacità di tener testa al moro e di farlo soffrire almeno la metà di quanto è stata male lei. 
Secondo voi come continuerà questa “guerra”? E chi avrà l’ultima parola? 

Ringrazio infinitamente tutte le ragazze che seguono questa storia, dalle lettrici silenziose a quelle che commentano sempre <3 
Grazie infinite a tutte voi, siete meravigliose <3 
Un bacione a tutte e buona settimana :)
Another_Life
 
xoxo
 
       

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


89
 
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Capitolo 19


Pessima. 
Pessima era stata l'idea di accettare un passaggio dal suv dei ragazzi. 
Pessima era stata l'idea di non prendere gli occhiali da sole. 
Pessima era stata l'idea di pensare che sarebbe stato tutto tranquillo. 
Perché, lì fuori, di tranquillo non c'era proprio nulla. 
Seduta accanto a Niall e posta davanti a Liam ed Harry, gli occhi della ragazza erano leggermente dilatati. 
Dilatati per la paura che stava cominciando a farsi strada dentro di lei. 
Dilatati per le domande che continuavano a frullarle in mente. 
Dilatati perché lei sembrava l'unica ad essere spaventata da tutto quel rumore che proveniva dall'esterno dell'auto. 
Si chiese seriamente se, durante quelle ore, fosse scoppiata la terza guerra mondiale. 
Il che, pensandoci bene, non era così azzardato: le grida di tutte quelle ragazzine irrequiete che stavano prendendo d'assalto i veicoli e la piccola piazzetta erano insolite e mettevano una certa agitazione. Solamente quei tre cantanti potevano trovarle “normali”. 
Nicole osservò i visi pacifici e sereni dei suoi amici e i quesiti che le si erano formate in testa duplicarono, non trovando però alcuna risposta; squadrò per bene i tratti di ognuno, l'attenzione che Liam prestava all'esterno, i suoi sorrisi un po' forzati dedicati alle fan, la completa indifferenza di Harry che stava giocherellando con il suo iPhone e l'insicurezza di Niall, nei cui occhi poteva leggerci un piccolo screzio di titubanza. 
Voltò allora lo sguardo alla sua destra e osservò quella marmaglia disordinata di bambine un po' cresciute, alcune con le guance inondate di lacrime, altre che sembravano in piena crisi isterica, altre ancora che cercavano di non venir schiacciate dalle più spigliate. Sgranò le sue sfere scure quando un paio di mocciose, che avranno avuto sì e no la metà dei suoi anni, si attaccarono al finestrino del veicolo e cominciarono ad urlarle parole poco dolci e a farle gesti poco ortodossi. 
Ma come si permettevano? 
Con che coraggio arrivavano lì e le facevano il dito medio? 
Con quale motivazione la offendevano in quel modo? 
Stava quasi per ribattere con le sue maniere altrettanto poco aggraziate quando la mano del riccio fermò la sua, sospesa a mezz'aria; voltò allora la testa e incontrò il suo sorriso sincero, accompagnato da un'alzata di spalle e una piccola negazione con il volto. 
“Non ne vale la pena, non ne vale la pena” continuava a ripetersi nella mente per tenere a freno quell'ira che si era presa improvvisamente il controllo di se stessa; stette così al gioco del castano, che consisteva nella noncuranza più assoluta, e sorrise amabilmente a quelle piccole streghette. 
Il biondo, che aveva assistito all'intera scena, scoppiò in una fragorosa risata, che presto contagiò anche gli tutti gli altri. 
Pochi momenti e il suv si fermò, portando con sé il delirio più totale delle fans. 
«Allora, io esco per primo, Niall, tu occupati di Nicole e tu, Harry, chiudi la fila cercando di non restare indietro e di non farti travolgere» 
Le parole del daddy erano state chiare e molto semplici, forse anche un po' troppo esagerate, pensò la ragazza – cosa che dovette rimangiarsi non appena uscì da quella macchina. 
Un bodyguard aprì la portiera a Payne e questo sgusciò fuori, venendo così invaso da un boato assurdo, composto da un baccano impensabile e decisamente inadatto. Dopo qualche secondo di esitazione Horan si fece il Segno della Croce, prese la mano della tipa e si buttò anche lui nella mischia: decine di uomini parecchio robusti cercavano di mettere più distanza possibile tra i ragazzi e le fans, ma sembrava un'impresa irrealizzabile. Spinte, grida, pianti, offese poco carine e dichiarazioni d'amore eterno tennero compagnia ai ragazzi per tutto il tragitto auto-interno dello stadio, rischiando di farli diventare sordi. Nicole teneva stretta la borsa con tutta l'attrezzatura, impaurita che si potesse rompere qualcosa, incazzata ad ogni urto che si prendeva, felice di essere attaccata all'irlandese, in quel momento unica sua ancora di salvezza. 
Paparazzi impazziti continuavano a chiamare i nomi dei ragazzi, a fare domande insistenti e private, mille flash continuavano ad invadere i quattro che, a momenti, sarebbero diventati ciechi, boati e grida non li lasciavano continuare: sembrava la fine del mondo. 
Il temperamento suscettibile di Nicole venne messo a dura prova, non seppe come riuscì a stringere i denti e a bloccare in gola tutte quelle imprecazioni che agognavano di uscire, non seppe come riuscì a mantenere a la calma ed il sangue freddo nonostante gli occhi fossero mutati in fuoco vivo. 
Una volta all'interno del locale poterono tutti finalmente respirare aria pulita e tirare un sospiro di sollievo; la bionda lasciò la mano di Niall per controllare che i vari obiettivi e la macchina fotografica fossero intatti, mentre Harry e Liam scherzavano ancora una volta con Paul. 
«Andiamo?», chiese poco dopo il più giovane, ottenendo di conseguenza l'assenso di tutti. 
Cominciarono a camminare lungo i corridoi secondari della struttura sportiva, girando un paio di volte a destra e a sinistra, preceduti da un tizio dello staff che li fece arrivare così all'entrata del grande campo da calcio. 

* * * 

Seduti sulla panchina al lato del terreno, i quattro ragazzi erano ansiosi di vedere la famosa partita. 
A momenti Louis sarebbe arrivato con la sua squadra, i Three Horseshoes, pronto per giocare una partita di calcio a scopo benefico: tutto il ricavato sarebbe andato ad un'associazione per bambini con malattie terminali, per cercare di alleviare loro il dolore e accompagnarli nell'ultima fase della loro vita. 
Il castano si stava allenando da più di un mese per l'evento: questo sport era stato da sempre una delle sue passioni più grandi, ma era stato costretto ad accantonarlo quando aveva intrapreso la carriera di cantante. 
La bionda era seduta accanto al riccio e all'irlandese, i quali non avevano smesso un secondo di parlare: le avevano raccontato da cima a fondo tutto quello che riguardava questo incontro e le varie regole che comportava – come se avessero dato per scontato che lei non ne avesse mai sentito parlare – e si erano fermati solamente quando un boato incredibile era arrivato dagli spalti alle loro spalle. Contemporaneamente tutti coloro che erano seduti sulla panchina si alzarono, pronti a vedere l'entrata delle due squadre avversarie; non ci misero molto a notare Louis in testa, con la divisa da capitano e il sorriso furbo e spontaneo stampato sulle labbra. La mano alzata in segno di saluto verso tutte le fans e i parenti seduti sulle gradinate lo accompagnarono finché non dovette posizionarsi al suo posto, pronto per cominciare. 

* * * 

«Niall passami l'obiettivo», disse al biondo mentre cercava di non perdere l'attenzione sulla partita. 
Il tipo chiamato in causa si spostò da lei e fece qualche passo indietro verso la panchina, sulla quale era appoggiata il borsone con tutta l'attrezzatura: ne estrasse il primo che vide e glielo riportò. 
Un “grazie” gentile uscì dalla bocca della ragazza, che in pochi secondi lo cambiò con quello attuale e ritornò a scattare una sequenza infinita di fotografie, il ginocchio appoggiato al prato rigorosamente verde e la schiena leggermente curvata. 
Alla sua destra, Harry e Liam continuavano a seguire il torneo, ritti in piedi e con la fronte corrugata; lo scopo principale era quello di divertirsi, questo era ovvio, ma nell'espressione che portavano tutti ci si poteva leggere un velo di agitazione, un piccolo sprizzo di nervosismo dovuto all'esito che finora era stato dato. 
Parità. 
I giocatori cominciavano ad essere stanchi: stavano andando avanti ed indietro per il campo da più di un'ora e mezza e la spossatezza cominciava a farsi sentire in modo rilevante. Louis continuava a sorridere nonostante tutto, quel sorriso così semplice e genuino che non ne potevi non venire contagiato, quel sorriso così dolce che non poteva non trasmettere fiducia, quel sorriso che non si poteva scordare facilmente. 
Perché Louis era così. 
Louis era indimenticabile, sotto molti aspetti. 
Louis aveva tutto di lui che lo rendeva speciale: dal suo carattere, dal suo essere sempre costantemente allegro e spensierato, dal suo mostrarsi cortese e disponibile con tutti, dal suo essere diverso dalla massa. 
Perché Louis era diverso. 
Nicole non aveva mai avuto la fortuna di incontrare un altro ragazzo che gli somigliasse, anzi, continuava nonostante tutto a domandarsi come potesse esistere una persona talmente fantastica nel mondo. 
E la cosa più bella, era che lui le era amico. 
Le stava accanto e non aveva esitato un secondo quando si erano ritrovati, non aveva preso le distanze, non si era comportato solamente come un conoscente, non l'aveva respinta. 
Tutto il contrario. 
Si era preso cura di lei, non l'aveva lasciata sola nemmeno un momento, non le aveva fatto percepire la pesantezza di quei quattro anni di lontananza, non l'aveva fatta sentire un fardello. 
L'aveva presa sotto la sua ala protettiva, esattamente come quando erano stati più giovani. 
L'aveva fatta ridere, esattamente come quando erano stati più giovani. 
L'aveva considerata di nuovo la sorellina minore, esattamente come quando erano stati più giovani. 
E uno dei motivi principali per cui era rimasta, uno dei motivi principali per cui continuava a lavorare per loro, uno dei motivi principali per cui non aveva paura di affrontare Zayn era lui
Lui, che con la sola presenza le aveva infuso un coraggio che non pensava di avere. 
Lui, che con la sola presenza la faceva sentire al sicuro. 
Lui, che con la sola presenza le impediva di mostrarsi ancora una volta per quella debole. 
Centinaia di click continuavano a spezzare l'atmosfera tesa che si era creata in quello piccolo spazio, occupato soltanto da tre tifosi speciali ed una fotografa. 
Nicole si era persa nei suoi pensieri, completamente andata a causa dei giri mentali che riguardavano un paio di ragazzi in particolare. 
Un attimo di silenzio, seguito da una serie di azioni che la sovrastarono. 
Un boato proveniente dagli spalti, urla, grida, risate. 
Tutti gli spettatori si alzarono in piedi esultanti, i suoi amici cominciarono a saltare sul posto e gli occhi di tutti si riempirono di quella gioia pura che si vede raramente. 
Tutti, a parte quelli cioccolato della bionda, che ancora non aveva capito cos'era successo. 
Aveva seguito costantemente ogni movimento del capitano, aveva fotografato ogni suo singolo spostamento ma, troppo presa da quei soliloqui interiori, non si era resa conto che Louis aveva appena tirato la palla in porta, aggiungendo un punto definitivo alla sua squadra. 
Pochi secondi, e finalmente tutto le fu chiaro. 
Un sorriso piccolo e sincero si dipinse sul suo volto, facendo finalmente illuminare quelle sfere che sembravano impenetrabili; rizzatasi in piedi, non ebbe nemmeno il tempo di respirare che qualcuno le si scaraventò addosso, rischiando per poco di farla cadere sull'erba umida. Non ebbe il tempo di riconoscere la risata contagiosa dell'irlandese che subito l'intenso profumo del riccio le inebriò le narici, anche lui aggrappatosi a lei, e un momento dopo la presa salda e delicata di Liam che, per la seconda volta dopo quella vacanza, la stringeva in un abbraccio. 
Nicole rischiò di soffocare, intrappolata in quella presa inespugnabile di tre ragazzi decisamente più alti e forti di lei; non riuscì a trattenere una risata quando questi cominciarono a saltellare sul posto, ancora stretti a lei, costringendola così ad unirsi a quello strano balletto decisamente imbarazzante. 
Louis, afferrato da un paio dei suoi compagni, salutava la folla contento, rideva della scena che erano riusciti a creare i suoi amici e cercava una persona particolare tra tutte quella gente, che alla fine trovò, formando così un sorriso sornione e sghembo sul viso e un luccichio impressionante in quelle sfere azzurrissime. 
La sua Eleanor era lì, che lo fissava esultante, che mimava con la bocca un dolcissimo “ti amo”. 
Il cuore del giovane cominciò a battere come un forsennato, completamente impazzito e senza alcuna possibilità di farlo smettere; si meravigliava sempre dell'effetto che gli facevalei, lei che con un piccolo corrugamento delle labbra era in grado di fargli toccare il cielo con un dito, lei che con una piccola smorfia riusciva a fargli tremare le gambe, lei che con quel luccichio negli occhi lo tramutava nell'esatta copia di un ragazzino alla prima cotta. Non che non gli dispiacesse, anzi, sentirsi come un teenager con la metà dei suoi anni non poteva che non renderlo euforico. L'unica differenza che regnava tra di loro, però, era che quella di Louis non era una semplice infatuazione
L'insieme di tutta la gamma di sentimenti che lui provava per quella moretta universitaria non si poteva che descrivere con un'unica, azzeccatissima parola: amore
Amore, in tutte le sue più diramate e scontate sfumature. 

* * * 

Il piede della bionda batteva impaziente sul prato verde smeraldo, tenendo un tempo che conosceva solo e soltanto la diretta interessata. 
Più i secondi passavano, più la rabbia dentro di lei accresceva. 
Davanti a lei, un Liam preoccupato e lievemente agitato dallo sguardo omicida della sua amica attendeva quel suono meccanico e quel bip che segnalava l'accettazione della chiamata. 
La partita era terminata da più di quaranta minuti e, pensandoci bene, nessuno dei quattro era ancora riuscito a salutare per bene il capitano della squadra vincitrice. Il gol del castano aveva determinato le sorti dello scontro e la gioia che era esplosa nello stadio al fischio della fine era stata decisamente spaventosa, in tutti i sensi. 
In poco tempo la folla aveva cominciato a diramarsi e oramai gli spalti erano occupati soltanto da gruppetti di anziani, famigliole e giovani adolescenti che chiacchieravano allegramente; le fans avevano letteralmente preso d'assalto gli spogliatoi e l'edificio in generale, urlando come delle pazze alla vista dei loro idoli. Niall ed Harry, dopo aver firmato diversi autografi ed aver fatto diverse foto, erano ritornati all'interno del campo da calcio ed avevano cominciato a fare qualche tiro con un pallone, improvvisandosi calciatori esperti con due squadre formate al momento con un paio di guardie del corpo. 
Era in ritardo, cazzo. 
In un ritardo tremendo. 
In un ritardo imperdonabile. 
In un ritardo che gli avrebbe apportato una ramanzina da parte sua e, quando lo sarebbe venuta a sapere, anche da Jane. 
Liam sbuffò per l'ennesima volta prima di sentire la voce stridula della segreteria telefonica ed attaccare, forse la quindicesima volta in dieci minuti. 
«Riprova», le ordinò subito lei con un tono che non ammetteva repliche. 
«Ma Nicole … », provò debolmente a ribattere il biondo. 
Le sfere fumanti della tipa si alzarono da terra ed incontrarono quelle calde e innocenti del cantante, facendogli provare un brivido di paura che gli percosse l'intera schiena. 
Quella ragazza gli metteva inquietudine, eccome. 
Per quanto risultasse strano, l'aveva conosciuta abbastanza da poter dire che, dall'ultima volta in cui l'aveva vista – volta in cui quello a impartire ordini era stato lui – a questa, il cambiamento che era avvenuto in lei era stato drastico. 
Non completamente in senso negativo, ma quasi. 
Certo, non ci voleva uno scienziato per capirlo, ma Liam era stato da sempre quel tipo di persona che, prima di giudicare ogni possibile cosa, la doveva studiare attentamente. Ed ora, dopo aver passato una buona quantità di tempo assieme alla sua nuova fotografa, era stato pronto a dire che qualcosa non quadrava. Doveva ancora decidere cosa esattamente, ma era pronto a farlo. 
Se quattro anni prima era stato descritto amichevolmente da Louis come “l'idiota che non vede l'evidenza”, ora era pronto a dimostrargli che, semplicemente, lui non aveva voluto impicciarsi in una storia che – lo aveva saputo da subito – sarebbe finita male, e con non pochi problemi. 
Tutti gli aggettivi gli si potevano attribuire, tranne che “stupido”. 
Nicole era tornata a fissarsi le scarpe mentre lui, avvolto dai suoi pensieri, aveva riprovato a chiamare quel numero che sapeva a memoria. 
Un bip
L'accettazione della chiamata. 
E finalmente, la sua voce che risponde assonata con un “Liam” mugugnato. 
Una frazione di secondo, e il tipo si rianima. 
Una frazione di secondo, e lui lo saluta chiamandolo per nome. 
Una frazione di secondo, e il viso della bionda era tornato a sezionare quello dell'amico. 
Payne cominciò a balbettare qualche frase sconnessa, quasi volesse far intendere all'altro del guaio in cui – se lo sentiva – si era cacciato. 
Nicole perse la pazienza, si avvicinò al ragazzo e gli strappò dalle mani quel maledetto aggeggio di ultima generazione, portandoselo all'orecchio con una rabbia unica. 
«Dove cazzo sei» 
Le parole che le uscirono dalla bocca fecero ammutolire l'altro, sorpreso di non sentire più la voce del suo migliore amico. 
Al suo posto era spuntato un tono gelido, tagliente, severo e beffardo. 
Un tono che non ammetteva repliche. 
Un tono che metteva i brividi. 
Un tono che riconobbe immediatamente. 
«Che carina, ti preoccupi per me ora?» 
L'atteggiamento che aveva iniziato a prendere Zayn non fece che aumentare l'ira che già si era impossessata di tutta la sua razionalità. 
E lui questo lo sapeva. 
«Se non l'hai notato, nessuno si preoccupa per te, Malik» 
«Allora a cosa devo l'onore di ben ventidue chiamate dal cellulare di Liam?» 
In quel momento, nella mente di lei una moltitudine di insulti cominciarono a farsi strada, pronti per uscire da quelle labbra serrate e finire all'orecchio del moro. 
Ma sarebbe stato troppo semplice, troppo scontato. 
Non voleva abbassarsi al suo livello, non voleva dargliela vinta. 
Un respiro profondo: doveva mantenere la calma. 
«Sei in ritardo Malik, cazzo. Di due ore» 
Il suono di una risata si fece spazio nell'apparato uditivo della bionda, alterandola ancora più di quanto già non fosse. 
«Ah sì? Ma che sbadato, me ne devo essere dimenticato. Dov'è che dovrei essere di preciso?» 
Il suo tono sarcastico cominciava ad infastidire anche Liam, che ascoltava la conversazione a pochi passi da Nicole. 
«Non fare il ritardato, non ti serve affatto», e con questa frase un piccolo sorriso divertito le si dipinse sul volto. 
«Ma che spiritosi che siamo», la canzonò lui. 
Improvvisamente, tutta la confusione che aveva aleggiato nello stadio dal termine dell'incontro sembrava cessata; improvvisamente, tutto il mormorio che aveva fatto da sfondo a quella chiamata sembrava essersi dissolto. 
In definitiva, sembrava che le uniche persone presenti fossero lei, il biondo riflessivo e l'idiota dall'altra parte del telefono. 
«Te lo chiederò un'unica volta: hai intenzione di venire o preferisci rimanertene nel tuo covo ad autocommiserarti per la tua inopportuna infantilità?» 
Nonostante fossero a chilometri e chilometri di distanza entrambi sentivano la strana elettricità che, involontariamente ed incondizionatamente, li legava; nonostante si trovassero in due città differenti, entrambi percepivano la vicinanza che li teneva sempre in contatto; nonostante cercassero sempre di umiliarsi a vicenda con battutine acide e talvolta anche pesanti, entrambi conoscevano bene le reazioni che avvenivano nel loro profondo e, in particolare, l'accelerata che prendevano i rispettivi cuori. 
Ma, a causa dell'orgoglio che tutti e due covavano con piacere, non erano pronti ad esporre a voce tutte queste emozioni, tanto meno a rendersene veramente conto. 
Vivevano in quello stato di cecità che portava spesso rabbia, vivevano con quel senso di ignoranza che non era adatta a nessuno dei due. 
Si comportavano peggio di due bambini immaturi, e tutto questo soltanto per sentirsi superiori
Convinti del fatto che odiarsi a vicenda andava bene ad entrambi, continuavano a sputacchiare quell'ironia che, in fondo, faceva male. 
Faceva male davvero
Ma quel dolore era visto come il pegno da pagare per continuare quello stupido gioco che avevano cominciato. 
Perché quello non era nient'altro che un passatempo insensato e banale. 
«Va' al diavolo, Nicole» 
«Fottiti, Malik» 
E così, con quel saluto poco aggraziato, terminarono contemporaneamente la chiamata.




Angolo Autrice: 
Buona Domenica mie care lettrici :)
Come state?
 
Non so bene cosa dire di questo capitolo: allora, vediamo la partita di calcio di Louis, alcune scene un po’ divertenti tra Nicole, Hazza, Liam e Niall e l’ultimo ennesimo litigio tra la bionda e il nostro caro Zayn, che però questa volta inizia anche lui a tirare fuori le unghie… 
Cosa succederà adesso? 
Cosa pensate faranno tutti i personaggi? 
Vi lascio con un bacio e con un ringraziamento speciale a tutte le ragazze che leggono silenziosamente, a tutte le ragazze che seguono la storia e a quelle che recensiscono <3 
Grazie davvero di tutto <3<3 
Another_Life 
xoxoxo

 
   

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


89

Change My Mind
	
Capitolo 20

Mantieni la calma.
Mantieni la calma Nicole.
Non serve a nulla arrabbiarsi tanto.
Non serve a nulla prendersela in quel modo.
Non ha senso perché tu non hai colpe.
Ha deciso di non venire?
Ha deciso di mancare all'appuntamento con i suoi compagni?
Ha deciso di farti indispettire?
Bene, questi non sono problemi tuoi.
Lui non è problema tuo.
La bionda stava camminando lungo il perimetro del campo da calcio da ormai dieci minuti, ma la rabbia che quell'idiota le aveva provocato non accentuava ad andarsene; ancora con gli occhi colmi d'odio, ancora con quelle sfere scure che emanavano saette infuocate e traboccanti di rancore, ancora con quelle iridi intraducibili e inquietanti che non avevano la minima voglia di calmarsi, continuava a misurare quel terreno con passi pesanti e decisamente incazzati.
La macchina fotografica ancora appesa al collo, le labbra serrate e la giacca leggera le tenevano compagnia, mentre dei suoi amici non c'era più traccia.
O meglio, i tre erano ancora lì, seduti sulla stessa panchina di quel pomeriggio, che osservavano lievemente preoccupati la loro fotografa.
Le loro facce erano davvero epiche.
Mentre Niall sgranocchiava l'ennesimo sacchetto di patatine, Harry spostava il suo sguardo da lei, al cellulare, alla folla poco lontana – dalla quale da un momento all'altro sarebbe dovuto arrivare il suo coinquilino – e Liam cercava con tutto se stesso di capire quali fossero i reali sentimenti di quella ragazza che stava cercando di conoscere da lontano.
Un quadretto che avrebbe potuto risultare anche divertente, se non fosse che – in quel momento – lei stava maledettamente male.
Lei stava morendo dentro, ma ancora confondeva quel dolore che lentamente le stava penetrando in ogni tessuto del corpo con della semplice e molto più controllabile rabbia.
L'ultima cosa di cui voleva rendersi conto era che, quel poco galante invito che le aveva riservato lui, in realtà l'aveva ferita a morte.
Quei termini, che magari detti da qualcun altro non l'avrebbero toccata nemmeno di striscio, dette da quella persona che aveva cercato in tutti i modi di dimenticare l'avevano colpita in pieno petto.
Non era l'offesa in sé che le faceva trattenere i gemiti, ma tutto quello che aveva provocato.
La sua voce incrinata e gelida, quel tono freddo e distaccato l'avevano resa in una frazione di secondo debole.
Debole come non lo era mai stata.
Debole come mai avrebbe pensato.
Debole come se l'avessero appena messa al rogo, debole come se una decina di camion le fossero appena passati sopra.
Debole come solo il dolore psicologico poteva rendere.
Il suo cuore era a pezzi, per l'ennesima volta; distrutto ancora una volta dallo stesso ragazzo, frantumato con lo stesso menefreghismo e la stessa noncuranza che lo avevano contraddistinto da subito.
E dire che quando lo aveva conosciuto le era sembrato il tanto atteso principe azzurro.
Cazzate.
Solamente cazzate.
Non esisteva alcun principe, non esisteva alcun amore positivo, non esisteva alcun “e vissero per sempre felici e contenti”.
Erano tutte cazzate, e le persone che si divertivano a riempire la mente della gente di queste stronzate erano solamente delle false ipocrite, il cui unico scopo era quello di raccontare menzogne a tutto spiano.
Un sorriso amaro le si dipinse sul volto al pensare a quanto triste fosse il mondo.
Così sporco, così rozzo, così dannatamente infelice.
E la domanda allora sorgeva spontanea: perché si viveva a quel punto?
Perché si era costretti ad un'esistenza talmente negativa?
Perché si era costretti ad un'esistenza talmente insensata?
Perché si era costretti ad un'esistenza talmente piena di dolore?
Se l'amore non era altro che una credenza, un sentimento inventato e inesistente, una cosa astratta che non aveva fondamenta, perché si continuava ancora a dire che si viveva per amare?
Era così complicato vedere la realtà dal suo vero punto di vista?
Era così complicato rendersi conto che niente aveva un senso concreto?
Era così complicato smettere di vivere in un mondo tutto rose e fiori?
Non riusciva a comprendere il vero motivo di tanta ipocrisia, non riusciva proprio ad afferrare il concetto che molte, moltissime persone davano per scontato – quelle più vicine a lei per prime. Quel sentimento chiamato amore, agognato da miliardi di donne, temuto da altrettanti uomini, sconosciuto da tutti i bambini, portava solamente alla tristezza.
La ricerca dell'amore era vana e senza alcun risultato apparente.
La ricerca dell'amore era il primo passo verso la delusione.
«Nicole!»
La voce del suo migliore amico la fece voltare, con uno sguardo assente e completamente assorto nei suoi pensieri; senza nemmeno essersene resa conto aveva continuato a vagare per il campo, questa volta però con un passo più lento e strascicato, con la rabbia che pian piano era sfumata via dai suoi occhi e da ogni suo tessuto e lo sguardo dei suoi amici che aveva continuato a seguirla in ogni movimento. Osservò il cielo cupo che stava tramontando, le stelle che cominciavano già ad intravedersi e lo stadio, ormai completamente deserto rispetto a poche ore prima. Harry le sorrise da lontano prima di girarsi e tornare a chiacchierare con alcune bodyguard, mentre Liam la fissava in una maniera quasi preoccupata. Sembrava che la stesse davvero studiando in ogni particolare.
Spostò la traiettoria e vide un Louis sorridente e ancora in versione calciatore venirle incontro, mano per mano con una ragazza che avrà avuto pressapoco la sua età.
«Finalmente!», esultò di nuovo mentre la stringeva in un caloroso abbraccio da orso.
Il contatto con la sua pelle calda la fece rabbrividire e ancor prima che potesse rendersene conto lui aveva sciolto il saluto ed era tornato accanto a quella giovane.
La squadrò per bene, cominciando da quel sorriso contagioso e puramente genuino, passando per quegli occhi color nocciola, così luminosi ed espressivi che vi si poteva benissimo capire il suo stato d'animo; le osservò i capelli, lunghi, mossi e castani, le poche ciocche più chiare e quel fisico da modella. Non poteva non ammettere che era davvero molto bella.
E qualcosa dentro di lei le aveva già rivelato la sua identità.
«Nicole, ti presento Eleanor, la mia fidanzata. Eleanor, lei è Nicole»
Le due si avvicinarono per stringersi la mano e curvare rispettivamente le labbra verso l'alto: se la smorfia della mora era stata decisamente spontanea e naturale, quella della bionda era sembrata un velo più trattenuta. La discussione con il signorino le vorticava ancora per la testa, e da quel che ne sapeva non aveva la minima intenzione di lasciarla in pace.
«È un piacere conoscerti, Lou mi ha parlato molto di te», aggiunse poco dopo quella ragazza dall'atteggiamento cordiale e simpatico.
Non seppe se fu quello a farle nascondere immediatamente tutte quelle supposizioni negative che stavano per farsi strada, quei pregiudizi che aveva sempre avuto per le persone dello spettacolo, quei giudizi inopportuni che era solita imprimersi nella mente, o semplicemente la fiducia che riponeva nel suo migliore amico, la consapevolezza che lui non si circondava delle classiche ochette arrampicatrici sociali, la strana tranquillità che l'aveva avvolta da quando se l'era ritrovata davanti.
Dovette ricredersi ancor prima di rendersene conto.
Le due cominciarono a scambiarsi qualche domanda di circostanza mentre il castano si guardava attorno alla ricerca dei suoi compagni di band: intravide poco lontano Harry, Liam e Niall, ma del moro non c'era alcuna traccia; spostò quindi lo sguardo sulla sua amica e capì immediatamente da dove provenisse quello strano screzio di turbamento nei suoi occhi, quella strana sensazione di rigidità che la sovrastava, quel suo essere non del tutto libera.
Aggrottò le sopracciglia e cercò di capire cosa potesse essere successo, visualizzando nella sua mente tutte le immagini di quel pomeriggio; non gli ci volle molto per collegare quella strana scena alla quale aveva parzialmente assistito, quella foto sfuocata che pian piano si fece spazio nella sua testa.
Lei vicino a Liam, con un telefono all'orecchio, le parole che escono svelte, lo sbigottimento nel suo viso, quelle sfere dilatate, la sfuriata silenziosa.
«È tutto okay?», le chiese semplicemente dopo un momento.
In contemporanea le due ragazze si voltarono verso di lui, mostrando la loro più totale confusione.
Nicole si tuffò in quelle perle azzurre come l'oceano, vi annegò dentro e senza il minimo gesto, senza la minima sillaba, senza la minima parola capì il mondo che si nascondeva dietro quel semplice quesito.
Abbassò quindi lo sguardo e prese un respiro prima di rispondergli.
«Vuole mettermi in difficoltà, sta cercando in tutti i modi di farmi perdere la pazienza, vuole vedermi esasperata, vuole che me ne vada», marcò quest'ultimo periodo con rilevanza, prima di prendere un respiro e tornare a fissarlo con noncuranza. «Ma sa che non gliela darà vinta tanto facilmente», continuò sorridendo beffarda.
I ragazzi e Jane si erano accordati per cominciare a fare il primo servizio fotografico quel pomeriggio, approfittando dell'occasione e trasformando i componenti della band in calciatori per un giorno, sport amato moltissimo da tutti e cinque; sarebbe stato il primo mattoncino da inserire nei progetti futuri, ma evidentemente il moro aveva tutte le intenzioni di sabotare il progetto, con lo scopo magari di metterla in cattiva luce verso la manager e tutti gli altri.
Eleanor assisteva alla scena lievemente preoccupata, ma non fece domande: non voleva togliere al suo ragazzo la libertà che necessitava ogni essere vivente, non voleva conoscere ogni minima cosa facesse, non voleva mostrarsi possessiva. Si fidava di lui, e questo bastava.
Louis curvò gli angoli della bocca verso l'alto, felice nel sapere che la sua bionda non si sarebbe arresa tanto presto, convinto del fatto che sarebbe stato sempre dalla sua parte, gioioso per il risultato che aveva avuto quella giornata.
«Andiamo dagli altri», esclamò poco dopo appoggiando il suo braccio sulle spalle della fidanzata e rimanendo accanto a Nic.
«Ah, e complimenti per la partita, sei stato bravissimo», si congratulò lei sorridendo spontaneamente.
Louis abbracciò le sue donne e rise assieme a loro, prima di venire travolto dai tre quarti della sua band.

* * *

Dopo un mese passato tra le strade brulicanti di gente della grigia e piovosa Londra, tornare a casa sembrava un sogno.
Quel tipo di desideri che ti fanno tornare il sorriso anche se, in sé, non hanno nulla di particolare.
Quel tipo di emozioni che ti rendono confusa e allo stesso tempo felice.
Quel tipo di sensazioni che puoi trovare soltanto dentro quelle quattro mura che ti hanno vista crescere. Anche se, a dir la verità, dentro quelle quattro mura non avrebbe nemmeno avuto il tempo di andare.
Erano passate settimane dalla ricomparsa di Nicole nelle vite di Louis, Liam e Zayn, erano passate settimane da quando i due ex innamorati avevano cominciato quell'assurda guerra che, con il passare dei giorni, stava diventando sempre più snervante per chi era costretto a farne da spettatore, impotente di fronte a quella battaglia che aveva, come unico scopo, ferirsi a vicenda il più possibile.
Le battutine acide e molto spesso taglienti che si riservavano il moro e la bionda oramai erano all'ordine del giorno: gli altri ragazzi avevano smesso di dare importanza a quello strano e immaturo comportamento, concordando sul fatto che non sarebbero stati in grado di risolvere nulla.
La testardaggine era una qualità che avevano in comune entrambi, oltre a quel tremendo e maledetto orgoglio.
La promozione del nuovo disco era iniziata da circa dieci giorni, e da altrettante giornate gli One Direction, la loro fotografa personale e tutto lo staff erano sobbalzati da un lato all'altro dell'Europa, da un'esibizione in un talent o in un programma televisivo all'altro, da un'intervista all'altra, rendendo quasi impossibile la completa sanità mentale di tutti.
Il nervosismo che si sentiva a volte, causato soprattutto dall'irritazione e dalle poche ore passate a riposare, era tangibile e più si andava avanti con quell'andamento, più diventava difficile sopportare il tutto. I ragazzi erano stanchi, e dire che il loro viaggio era appena iniziato.
Anche la bionda, sebbene avesse la metà dei loro impegni, era parecchio spossata e l'unica cosa che desiderava davvero era avere una vacanza, un momento di rilassamento per riprendere fiato.
Ma in quell'industria respirare era considerato superfluo.
Ecco perché i manager continuavano ad inserire impegni in quell'agenda che traboccava, ecco perché i manager continuavano a spronare quella band a dare sempre il massimo, ecco perché quei dannati manager continuavano a sfruttare quei ventenni come se fossero oggetti di loro proprietà.
Un altro punto a favore della sua teoria su quanto schifo facesse la vita.
Nicole non avrebbe dimenticato facilmente quel mese perché, oltre alla ricomparsa nella sua vita di tre individui che - per quanto ne sapeva prima - potevano benissimo essere morti, ora era arrivata un'altra persona che aveva come scopo renderla felice.
Forse era un po' affrettato dire questo, ma assieme a quel ragazzo non poteva che non sentirsi, una volta tanto, leggera. Assieme a quel ragazzo che la faceva ridere e allontanava quei pensieri e quelle maledizioni su quello che lei non aveva nemmeno il coraggio di chiamare ex, si sentiva libera, gentile, buona.
Assieme a quel ragazzo si sentiva bene, e lei non era stata bene per troppo tempo.
Sorridere appena lo vedeva le veniva spontaneo, ridacchiare quando lui le faceva il solletico le veniva spontaneo, prenderlo in giro quando arrossiva le veniva spontaneo.
Perché tutto, di lui, era bello.
Non voleva sembrare una ragazzina alla prima cotta, anche perché lì per lì non provava ancora niente per lui, se non una semplice simpatia. Le piaceva il modo timido e a volte malizioso con cui curvava gli angoli della bocca verso l'altro, le piaceva la sua attenzione e il modo carino con cui la trattava – decisamente differente da come il moro si comportava con lei.
Le piaceva l'idea di sentirsi al sicuro con lui, una sensazione strana, una sensazione di protezione leggermente diversa da quella che provava quando era con Louis; era bizzarro proprio come lo era stato il loro primo incontro, un paio di settimane prima.

Flashback
Il caffè fumante di Starbucks bruciava nella mano sinistra di Nicole mentre quella destra era impegnata a scrivere un veloce messaggio al suo migliore amico e la spalla corrispondente moriva sotto il peso della borsa iper pesante; tutta la concentrazione era centrata su quell'aggeggio che quella mattina ce l'aveva con lei, tanto da non notare nemmeno il componente biondo della band a cui doveva fare da fotografa a pochi passi da lei.
Il tipo sorrise tra sé e appena questa le passò davanti le rubò la bevanda dalle mani e ne bevve un sorso; lei nel frattempo si era fermata, dandogli le spalle, aveva terminato il lavoro con il suo cellulare e lo aveva rigettato nella tasca della giacca, voltandosi per osservare l'amico con un mezzo sorriso.
«Tienitelo pure, ma ricordati che oltre a quello mi devi anche un croissant, due pizze, sette merendine, tre succhi alla pesca e quattro sandwich, Horan», esclamò la bionda abbozzando una risata che contagiò presto anche il tipo chiamato in causa e un altro ragazzo che notò solo in quel momento.
Le sfere scure e impenetrabili della fotografa lo squadrarono dalla testa ai piedi, e appena ritornò ai suoi occhi chiari notò che le stava sorridendo.
Un sorriso sincero e simpatico, quasi timido.
Un sorriso che le fece abbassare inspiegabilmente le barriere.
Un sorriso che catturò subito la sua attenzione.
Assunse così anche lei quella che sembrava più una smorfia che un atto di cortesia e rimase a contemplare dentro di sé quel ragazzo così bello – perché doveva ammettere che era davvero carino – e così apparentemente buono.
Riusciva a leggere in quelle sfere così chiare da rendere impossibile anche la distinzione del colore, un'umiltà e una bontà che difficilmente aveva ritrovato in altri ragazzi.
Una prima impressione davvero ottima, insomma.
«Nicole, lui è Josh, il batterista del gruppo. Josh, lei è Nicole, la nostra fotografa», fece le presentazioni Niall dopo un attimo di esitazione.
I due si avvicinarono e si strinsero la mano, si sorrisero a vicenda e, per la prima volta, si trovarono a proprio agio l'uno con l'altra.

Seduta su uno di quei divanetti dell'hotel dove alloggiavano, Nicole era intenta a sfogliare una rivista, non prestando particolare attenzione ai vari articoli e senza prendersi la briga di leggere qualcosa. Era stanca pure per fare quello.
Sorrise quando quel ricordo terminò, lasciando improvvisamente la sua mente libera da quella serie di immagini che erano ancora ben impresse nella sua mente.
Da quando aveva conosciuto Josh, si sentiva più felice e l'odio incessante che provava per quel mondo, che dal suo punto di vista era nato al contrario, era leggermente diminuito; se Zayn riusciva a tirar fuori il suo lato peggiore, quel ragazzo dai capelli castani faceva l'inverso.
Un paio di giorni dopo quell'incontro lui le aveva chiesto di passare la serata assieme e lei, per nulla timorosa, aveva accettato volentieri; più le giornate erano passate, più avevano trascorso tempo assieme, tra risate, scherzi e perché no, anche qualche discorso serio.
Entrambi si piacevano ed entrambi volevano fare le cose con calma, conoscersi, fare amicizia, divertirsi; non potevano litigare su questo fronte, era poco ma sicuro.
Lui era il tipico ragazzo quasi introvabile, uno di quei ragazzi che si sognavano la notte ma che, per quanto si cercavano, non si riuscivano mai a trovare; adorabile era il modo in cui si imbarazzava, adorabile era il modo in cui si concentrava con tutto se stesso per suonare al meglio la batteria, adorabile era il modo con cui la faceva sentire speciale, senza troppe effusioni sdolcinate e fuori luogo.
Era semplicemente fantastico, e più ci stava assieme, più Nicole se ne rendeva conto.
Due possenti braccia la sovrastarono da dietro, abbracciandola per una frazione di secondo per spostarsi subito dopo sul suo viso, a coprirle gli occhi con le mani; il profumo che ormai distingueva nettamente le inebriò le narici, dandole l'ennesima conferma di chi fosse il ragazzo dietro di lei.
Le dita fredde le fecero provare dei brividi che le attraversarono l'intera spina dorsale, il sorriso che immaginava stampato sul suo viso la fece arrossire leggermente e improvvisamente tutta quella stanchezza che l'aveva distrutta sino a pochi secondi prima era sparita, lasciando il posto ad una elettricità unica.
«Chi sono?», le domandò trattenendo a stento le risate.
«Un pazzo che sta avendo una brutta influenza su di me», rispose alzando l'angolo destro della bocca verso l'alto.
Una frazione di secondo, e si ritrovò la faccia del ragazzo alla sua sinistra, con un'espressione più adatta ad un bimbo a cui hanno appena detto che non possono prendergli il gelato piuttosto che ad un ventenne ormai maturo. Nicole scoppiò a ridere nel vedere il piglio che aveva assunto l'altro, senza essere capace di fermarsi.
«E sentiamo, la qui presente Miss sarebbe disposta ad onorarmi del tuo tempo questa sera, per un'uscita assieme?», le chiese lui poco dopo, incrociando le braccia sopra la poltrona e il viso sopra di queste.
Le sue sfere verde chiaro brillavano speranzose, in netto contrasto con quelle scure e impenetrabili di lei.
«È un appuntamento?», lo provocò maliziosa.
«Lo deciderai tu», le rispose facendole un occhiolino che ebbe uno strano effetto su di lei.
La bionda annuì convinta, non sapendo come altro ribattere; come era solito fare, Josh l'aveva sorpresa.
Gli sorrise spontaneamente, ma non fece a tempo a spostare lo sguardo che un peso devastante la investì in pieno.
In poche parole, qualcuno si era buttato a capofitto sopra di lei, senza preoccuparsi minimamente di chi avesse sotto.
La risata contagiosa e conosciuta, quel profumo che la invadeva ogni qual volta gli era vicina, quella sensazione di tranquillità che si era fatta strada dentro di lei, quasi a spazzare via l'imminente ira che si sarebbe fatta strada in ogni tessuto.
«Louis, comodo?», gli domandò retorica ancor prima di aprire gli occhi e constatare che era proprio il suo migliore amico ad essere tranquillamente seduto su di lei.
Non appena le sue sfere infuocate incontrarono quelle gelide del castano, in lei avvenne una reazione chimica che la sorprese: il fuoco che era il lei venne spento da un getto d'acqua fredda emanato da quel ragazzo a cui tanto teneva. Si sorprese perché, più stava con quel gruppo di pazzi, più le regole che si era imposta tanto tempo prima cominciavano a sbriciolarsi.
Proprio come il cuore di Zayn, che assisteva alla scena da lontano.
Con una tristezza negli occhi che superava di gran lunga tutto il suo orgoglio e il suo rancore.
Con una tristezza negli occhi che non si sarebbe mai permesso di mostrare.
Con una tristezza negli occhi che chiedeva solamente di essere notata.


Angolo Autrice:
Scusate :(
Spero possiate perdonare la lunga attesa, non sono proprio riuscita ad aggiornare perché sono stata impegnatissima nelle ultime settimane (vedi impegni estivi a cui le tue amiche ti obbligano a partecipare).
Ma detto questo, passiamo al capitolo: entrano in scena due personaggi importanti, Eleanor e Josh, i quali avranno un ruolo rilevante nel proseguimento della storia. Nicole instaurerà un rapporto di amicizia con la mora, mentre l’altro comincerà a distoglierla dall’odio incessante che prova per Zayn.
Come pensate agirà il nostro batterista? E come si comporterà in futuro?
E soprattutto, cosa farà ora il nostro pakistano?
Lascio a voi i commenti :)
Come sempre ringrazio infinitamente tutte le ragazze che seguono la storia, dalle lettrici silenziose a quelle che recensiscono ogni volta: grazie infinite per tutto <3
Un bacione a tutte <3
Another_Life
xoxoxo
 
P.s. Vi consiglio vivamente di passare dalle storie di NiallsGirl :) Probabilmente lei ora farà un infarto a vedere questa pubblicità, ma non importa. È una ragazza davvero fantastica e le sue fan fiction sono davvero meravigliose: se amate i testi scritti bene e con trame originali e tremendamente belle, lei non vi deluderà :)

       

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


89

Change My Mind
	
Capitolo 21

L'ennesima apparizione televisiva era terminata.
Nicole stava percorrendo frenetica i corridoio secondari dell'edificio in cui i ragazzi avevano dovuto presentare il nuovo album, anticipato da quella canzone che a momenti le sarebbe uscita dalle orecchie da quante volte l'aveva ascoltata; i stivaletti bassi le facevano male, non vedeva l'ora di toglierli e gettarsi di peso sul quel letto che non era suo, dentro quella stanza che non era sua, in quel paese che non era il suo – non proprio, almeno.
Messa a confronto con quella di pochi giorni prima, la distanza che la divideva dalla sua famiglia, dai suoi amici, da quella cittadina che l'aveva vista crescere, era minima; ma lei non sentiva il bisogno di tornarci, non sentiva la necessità di rivedere i suoi genitori, sua sorella, quelle che per lei erano le persone più vicine che aveva. Non sentiva quella voglia di tornare a casa, alla sua casa.
Vedendola oggettivamente, poteva sembrare egoista e quasi insensibile, ma come tutte le cose, bisognava conoscerla prima di giudicarla: la ragazza non voleva andarsene anche per un solo minuto perché questo sarebbe significato distaccarsi, dividersi, allontanarsi da loro.
Era questo che la bloccava, inconsciamente.
Era questo che, sempre inconsciamente, le impediva di prendersi anche solamente qualche giorno di pausa.
L'orgoglio che si portava dietro, quell'orgoglio che le era entrato in ogni tessuto, quell'orgoglio che aveva cominciato a covare con tanta cura sommergeva quelle cose evidenti che anche uno sconosciuto avrebbe potuto identificare; ma lei, proprio come quattro anni prima, proprio come in quella vacanza, proprio come quando era ancora una ragazzina, non voleva constatare la limpidezza dei suoi stati d'animo.
Non era pronta a rendersi conto che quelle persone che fino ad un mese prima non conosceva, quelle persone che fino ad un mese prima considerava passate, quelle persone che ora, inspiegabilmente, erano diventate per lei essenziali, erano la sua seconda famiglia. Lei, che aveva imparato a vivere indipendentemente, lontana da tutti i rapporti sociali con l'eccezione delle sue migliori amiche, lontana da tutte quelle relazioni durature che non avevano mai fatto parte della sua esistenza. Lontana da tutta quelle sensazioni che ora stavano prendendo il sopravvento sul suo cuore.
Quella tranquillità che percepiva costantemente, quella strana felicità che non aveva il sapore della falsità o della finzione, quella strana calma che era tutto tranne che finta.
Tutto, dal momento in cui era arrivata a Londra, aveva assunto una sfumatura diversa, differente, opposta.
Tutto, a partire da quei sentimenti a lungo tenuti nascosti, segregati, apparentemente cancellati.
Arrivò alla porta dell'enorme camerino dei ragazzi, dove questi si stavano riposando dopo quella giornata che ancora non era terminata.
Bussò ed entrò non appena sentì qualcuno urlare un “avanti” parecchio strascicato.
«Nicole»
In quel mese assieme, il saluto che le aveva riservato Louis non era mai cambiato, così come il sorriso spontaneo di Niall, quello furbo di Harry e quello dolce di Liam.
In quel mese assieme, nemmeno il comportamento di Zayn era cambiato.
Il ragazzo continuava a trattarla con antipatia, continuava a trasmetterle tutto quell'odio che non si meritava, quell'acidità che metteva disgusto – ma ovviamente contraccambiata.
E così, non appena fece il suo ingresso nella stanza, quattro paia di occhi gioiosi la sovrastarono mentre i suoi, quelli più scuri, quelli più seri, quelli più distanti, non la curarono nemmeno di striscio.
«Sono solamente venuta ad avvisarvi da parte di Jane che fra cinquanta minuti avrete l'intervista con i giornalisti e fra sei ore saremo a Madrid», annunciò sedendosi nel divanetto accanto al suo migliore amico, dopo che questo le aveva fatto segno di avvicinarsi.
Non lo diede a vedere, ma notò benissimo il cambiamento che assunsero le espressioni dei componenti della band: il castano al suo fianco portò la testa all'indietro e sospirò amaramente, seguito dal suo coinquilino riccio e dalla smorfia del daddy; l'irlandese continuò a sgranocchiare le patatine con un'andatura più lenta e strascicata mentre le sfere del pakistano restarono immobili, dopo un primo momento di ira.
Il silenzio che si creò poi nella stanza fu abbastanza imbarazzante.
Imbarazzante perché improvvisamente nessuno aveva niente da dire.
Imbarazzante perché ognuno si era perso nei propri pensieri.
Imbarazzante perché sembrava che solo lei percepisse quel disagio.
«Nicole, allora, siamo andati bene?», le chiese il cespuglio dopo un tempo che le era parso infinito.
Improvvisamente, si sentì quattro paia di sfere addosso.
Lei sorrise semplicemente, abbassando il volto e controllando il cellulare che teneva in tasca.
«Forza Nic, non ci dici mai nulla delle esibizioni! Come ti siamo sembrati?», continuò il biondo tinto, supplicandola con quei due pozzi azzurri.
«Non sta a me giudicare», rispose curvando un angolo della bocca verso l'alto.
Gli sguardi di quasi tutta la band erano puntati su di lei, su ogni minimo movimento che faceva, quasi a studiarla, quasi a metterle quell'imbarazzo che secondo loro l'avrebbe fatta parlare; la seguirono anche quando si alzò per prendere una delle bottigliette d'acqua sul tavolino poco lontano, silenziosi, testardi, quasi inquietanti.
Dopo aver bevuto un sorso di quel liquido freddo, prese un respiro e parlò.
«Non mi siete piaciuti», disse soltanto, facendo cadere l'intera stanza in un'elettricità nervosa.
Gli occhi smeraldo del ragazzo si spalancarono dalla sorpresa, la sua bocca era socchiusa ma dalla sua gola non proveniva nessun suono; le sopracciglia alzate, le palpebre che si chiusero e si aprirono un paio di volte per capire che quello non era soltanto un sogno. Le sue sfere, così come quelle del suo coinquilino e degli altri due, continuarono a fissare immobili la schiena della bionda, che ancora non aveva trovato il coraggio di voltarsi. Non era da lei mostrarsi così timorosa del giudizio altrui, ma in quel caso non poteva fare altrimenti: non aveva paura di cosa avrebbero potuto pensare i suoi amici, aveva semplicemente paura di ritrovarsi schiacciata sotto il peso di quelle cose che venivano chiamate lo specchio dell'anima.
Quando riuscì però a far muovere quelle gambe, che improvvisamente le parevano di gelatina, si ritrovò incatenata a quei pozzi neri che la stavano risucchiando; in una frazione di secondo, tutto quello che la circondava sparì, facendo rimanere in quel quadro soltanto lei, il moro e il buio che – apparentemente – li avvolgeva. Il suo stomaco cominciò a rivoltarsi, procurandole un dolore atroce che riuscì a contenere stringendo i denti e impegnandosi a non emettere nessun gemito.
Lui, seduto in quella poltrona, con la schiena curva e lo sguardo soggiogato a quello della ragazza.
Lui, seduto in quella poltrona, improvvisamente divenuto il centro della sua attenzione.
Lui, seduto in quella poltrona, che cercava di scavare e abbattere quelle barriere come aveva fatto tanto tempo prima.
«Cosa abbiamo sbagliato?», le chiese il riccio, interrompendo così quel conflitto silenzioso.
Il moro voltò di scatto lo sguardo, prendendosi la testa tra le mani e rinchiudendosi nei suoi pensieri troppo lontani, troppo complicati, troppo sottovalutati da lei.
«Non avete trasmesso nulla di quello che cantavate, sembrava che pensaste a tutt'altra cosa, che foste in un mondo parallelo. Sembrava che vi foste trasformati in dei robottini telecomandati», spiegò semplicemente, facendo una pausa per guardare negli occhi quei quattro giovani che le stavano prestando attenzione. «Ma non è successo solo oggi, è da quando abbiamo cominciato la promozione che sembra che quello che stiate facendo sia soltanto un peso per voi»
Un momento di silenzio prima che l'inferno cominciasse a scatenarsi.
«Tu non sai un cazzo di come vada fatto il nostro lavoro, sei qui soltanto per fare delle cazzo di foto!», sputò acido il pakistano alzandosi in piedi.
Le sfere della bionda si calamitarono si di lui, investendolo in pieno mentre gli si avvicinava.
«Tu sei quello che deve stare zitto, dal momento che tu sei quello che ogni santa volta si esibisce peggio di tutti», gli urlò contro quando il suo viso gli fu a pochi centimetri.
Nel frattempo anche Liam ed Harry si erano alzati, preoccupati di quale piega avrebbe potuto prendere quella discussione.
«Nicole», la provò a chiamare il primo, avvicinandosi di qualche passo con la mano protesa verso di lei.
«Non immischiarti», lo avvertì lei, con due fuochi al posto degli occhi.
Questo non poté far altro che indietreggiare, impaurito dalla reazione che aveva avuto la sua amica.
L'atmosfera era elettrica e tesa come davvero poche volte era successo.
Zayn fece per ribattere, ma la ragazza fu più veloce.
«Perché canti Malik? Perché hai fatto quel provino per X-Factor? Perché hai accettato di entrare in questa band, nello show, perché hai accettato di produrre un album e diventare di conseguenza famoso a livello mondiale? Perché diavolo l'hai fatto, se poi cantare una semplice canzone ti fa così schifo?»
La distanza che li divideva era minima, solamente pochi centimetri di lontananza, un niente a confronto a tutto quel tempo che avevano passato lontani l'uno dall'alta. La bionda emanava scintille di fuoco, fulmini, saette da quelle sfere scure che erano incatenate a quelle del moro, due pozzi infinitamente bui e misteriosi; se era sempre stato lui a condurre i giochi, questa volta l'onore era passato a quella fotografa che stava facendo esplodere tutta la sua esasperazione.
La mascella era contratta, i denti serrati e la lingua immobile; le corde vocali sembravano essersi congelate, la braccia e le gambe improvvisamente erano diventate di gelatina e combatté contro se stesso per non cedere.
Non in quel momento, non adesso almeno.
«Tu non sai niente di me», biascicò amaro con un tono talmente basso che probabilmente l'unica a sentirlo fu lei.
I pugni tremavano, sigillati in quella morsa che cercava con tutta la sua buona volontà di far rimanere innocua.
«So abbastanza da dire che sei un codardo, uno stronzo, un ragazzino immaturo che non sa ancora cosa vuole dalla vita», proferì lasciandosi scappare un smorfia disgustata.
Le iridi liquide del ragazzo vibrarono sotto le accuse della bionda.
Non era pronto per sentire quelle cose.
Non era pronto per sentire quegli insulti, anche se sapeva che erano veri.
Non era pronto per sentire il suo cuore sgretolarsi, un'altra maledetta volta.
Non era pronto, non lo era mai stato.
La potenza con la quale strinse i pugni fu tale che le unghie gli si conficcarono nella pelle, ma quello non fu nulla messo a confronto con il dolore che sentiva dentro: un buco enorme si stava facendo strada tra i suoi organi interni, una morsa gigantesca si stava facendo spazio nel suo ventre.
Una ferita così enorme che avrebbe impiegato anni prima di cominciare a rimarginarsi.
Nicole osservò per un altro momento quelle sfere intraducibili prima di constatare che non avrebbero risposto alla sua accusa. Fece così per voltarsi, ma non fece a tempo a fare un passo che la voce roca del ragazzo le penetrò le orecchie.
«Sarò tutto quello che vuoi, ma almeno io non sono un'ex bulimica»
Il cuore della ragazza perse un battito, esattamente come quello di tutti gli altri componenti della band; il fuoco e il sorrisino amaro che erano stampati sul viso della bionda si dissolsero, come se non fossero mai esistiti, lasciando lo spazio ad un'espressione vuota e angosciata.
Gli occhi del pakistano erano incollati alla sua schiena, attenti per evidenziare ogni movimento che avrebbe fatto d'ora in avanti, sofferenti perché quelle parole erano uscite da sole, in ansia perché non aveva la minima idea della reazione che lei avrebbe avuto.
Le iridi chiare di Louis erano spaventate, dispiaciute, in colpa.
Quelle verdi bottiglia di Harry erano terrorizzate, senza parole, tristi.
Quelle cioccolato di Liam erano scandalizzate, incredule, confuse.
E quelle blu di Niall erano impaurite, sofferenti, scioccate.
La domanda le veniva spontanea: come cazzo faceva lui a saperlo?
In quale strano e assurdo modo era venuto a sapere di quel periodo della sua vita passata di cui tanto si vergognava?
E come cazzo aveva avuto il coraggio di andarlo a sbandierare ai quattro venti, come se fosse un innocuo segreto infantile?
Nicole si ricordava bene di quella fase della sua adolescenza che tanto l'aveva fatta crescere.
Quello spazio di tempo che era durato per quasi un anno e durante il quale era maturata molto.
Innamorarsi così giovani non faceva mai bene, lei lo sapeva eccome.
Soprattutto se poi si finiva con una tale delusione e mille domande in testa.
Soprattutto se poi si finiva col convincersi che la colpa era soltanto sua.
Dopo quella vacanza, la ragazza si era lasciata andare, aveva smesso di fare tutto quello che più la interessava, aveva smesso di uscire, di divertirsi, di sorridere. Aveva smesso di vivere. E da lì, il passo all'auto-convincimento di essere lei la causa di tutto, la causa della fuga del moro, la causa del suo dolore, la causa di tutto quel casino, era stata veramente minima. Non aveva smesso di mangiare, questo no, ma dopo ogni pasto aveva iniziato a guardarsi allo specchio, a dare ascolto a quell'angolo irrazionale della mente che le diceva di essere troppo grassa, troppo brutta, troppo inutile.
E più si faceva del male, più sentiva che non era mai abbastanza.
Psicologi, sfuriate dei genitori e delle amiche, sedute da quei strizzacervelli che tanto aveva odiato: alla fine tutto questo era riuscito a farle capire l'errore che stava commettendo.
Ci erano voluti mesi, ma alla fine ne era valsa la pena.
Si portava ancora dietro le cicatrici di quella tremenda esperienza, cicatrici che non si sarebbero mai rimarginate del tutto, cicatrici che l'avrebbero accompagnata per il resto della sua vita, quasi a volerle ricordare della sciocchezza che aveva commesso.
Era consapevole di essere stata una stupida, ma una cosa che non sopportava era che le venisse rinfacciato, che qualcuno la criticasse – quasi a volerla rimproverare – quando questa persona non sapeva nulla di quello che lei aveva dovuto passare.
Nessuno poteva comprenderla.
Nessuno avrebbe mai potuto capire come lei si era sentita.
«Visto che sai così tanto di me, sai anche qual è stato il motivo che mi ha fatto toccare così schifosamente il fondo?», gli domandò impertinente mentre gli si avvicinava di nuovo.
La scintilla di fuoco nei suoi occhi era spuntata un'altra volta, accompagnata da una smorfia provocatoria e da quelle barriere che impedirono al moro di leggere il suo vero stato d'animo; se all'esterno sembrava la più tranquilla e pacata tra tutti i componenti della stanza, nelle profondità del suo io urlava di rabbia contro qualunque cosa le si presentasse davanti. Nonostante le domande che le affollavano la mente continuassero a duplicarsi, mantenne attiva la sua parte razionale e continuò a fissare intensamente il pakistano con aria superiore.
Lui, d'altro canto, cercava con tutto il suo buon senso di non fare altri passi falsi; si era pentito di aver pronunciato quelle parole non appena queste avevano preso aria, rendendo la situazione ancora peggiore di quanto già non fosse.
«Tu non puoi capire», bisbigliò aumentando la stretta ferrea con cui stringeva i suoi pugni.
«Ah, non posso capire? Allora che aspetti a spiegarmelo tu? A dirmi come cazzo fai a sapere qualcosa della mia vita di cui solamente quattro persone erano a conoscenza, persone con le quali tu non hai mai avuto niente a che fare? Me lo spieghi, Malik?»
Il sangue di entrambi ribolliva nelle rispettive vene, le guance stavano cominciando a prendere un colorito più roseo del solito e la distanza che li separava era minima: Zayn percepiva il respiro lento e irregolare della bionda sul collo, temeva quelle sfere scure dalle quali però non riusciva a districarsi e stava esaurendo tutta la sua energia per non far uscire quelle gocce salace che premevano agli angoli degli occhi. I circuiti della sua mente continuavano a frullare possibili risposte, ma lui sapeva già qual era la soluzione a quel casino.
Il danno era fatto, mentire o far finta di nulla non era più necessario.
Sapeva che stava commettendo un errore, sapeva che la scelta che stava per fare era quella errata, sapeva che se ne sarebbe pentito non appena avrebbe incontrato quelle trappole nere delle quali era dipendente.
Lo sapeva, ma non avrebbe cambiato idea.
Non avrebbe ascoltato la sua mente, non ancora, non un'altra maledetta volta.
Abbassò lo sguardo e si portò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni, dalla quale ne estrasse il suo portafoglio scuro, rigorosamente firmato.
Nicole seguì attentamente i suoi movimenti, con la rabbia che ancora le ribolliva dentro e la sensazione che quello che sarebbe successo di lì a pochi istanti non le sarebbe piaciuto.
Non le sarebbe piaciuto perché non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente.
Non le sarebbe piaciuto perché sarebbe stato il motivo della prossima sfuriata.
Il moro intanto aveva preso un piccolo cartoncino e lo aveva aperto, girandolo poi verso la ragazza che quando lo mise a fuoco per poco non ebbe un infarto.
Era una fotografia.
Un piccolo fogliettino di carta in cui erano state incollate un paio di immagini, così da formare un collage.
Immagini che ritraevano lei.
Foto che la riguardavano, foto in cui era presente, foto che avevano visto il suo cambiamento durante i due anni seguenti a quella vacanza.
Foto che lui non doveva avere.
Glielo aveva strappato dalle mani, glielo aveva tolto con talmente tanta rabbia che il contatto che ci fu tra le mani dei due per pochi millesimi di secondo causò una scarica elettrica che attraversò le rispettive schiene. Riconobbe la festa di compleanno dei sedici anni di Marta, le compere del giorno prima di Natale, i visi sbronzi della serata di Capodanno.
Riconobbe tutto, e una fitta al cuore la invase completamente.
Una pugnalata che le fece strabuzzare gli occhi e aumentare l'ira che la stava divorando.
«Cosa significa?», gli chiese cercando di mantenere il tono di voce distaccato e severo, quando invece dentro di lei tutto si stava sgretolando.
Fiondò di nuovo i suoi occhi in quelli impenetrabili del moro, in quel momento così strani, così distaccati, così dannatamente lontani; lui abbassò il volto, troppo vigliacco per cerare di dargli delle spiegazioni, troppo debole sotto quello sguardo accusatorio, troppo emotivamente distrutto per mostrarsi a lei in quel modo.
La bionda, spazientita, tornò a fissare quel fogliettino che conteneva una miriade di ricordi, prima di girarlo e scoprirci una scritta fatta a penna.
Con una calligrafia che conosceva fin troppo bene.

Questa è l'ultima, come accordato.
Come vedi sta bene.
Buona fortuna Zayn,
S.”

Poche parole, poche frasi decisamente sintetiche, poche righe buttate lì di fretta, come desiderose di porre al più presto fine a quella cosa... Che poi cos'era? Cosa voleva dire?
Avrebbe riconosciuto quella grafia fra centinaia, e non ci voleva credere.
Non poteva crederci, no, il mondo le sarebbe crollato addosso, tutte le sue certezze, le cose che dava per scontate, i sorrisi, il tempo passato assieme...
Un flashback, un altro e un altro ancora.
E tutto le fu chiaro, limpido, cristallino come l'acqua.
Quei gesti che le erano sembrati strani, quella telefonata quasi scoperta, quel bigliettino letto a metà: tutte coincidenze a cui non aveva dato importanza ma che ora, in un secondo, aveva ricollegato, ripescandole dai meandri della sua mente, riportandole a galla e riaprendo le ferite che, ancora una volta, non volevano saperne di chiudersi.
La sua migliore amica...
Quella che aveva sempre considerato come una sorella...
Una delle poche persone che avevano lottato davvero per lei...
Non poteva essere vero.
Quando rialzò il volto, ritrovò il ragazzo intento a fissarla con un'espressione che non gli aveva mai visto addosso: un misto di tristezza, pentimento, scuse silenziose e rimorso.
Un'espressione che gli fece tremare il cuore.
Un'espressione che, inconsapevolmente, le aveva provocato un dolore allucinante.
Fu un attimo, e la rabbia prese il sopravvento su di lei.
Fu un attimo, e non riuscì a controllare la sua impulsività.
Fu un attimo, e la mano destra si alzò, arrivando alla guancia del moro con una potenza inaudita, una forza tale che nessuno si sarebbe mai aspettato, uno schiocco che risuonò per l'intera stanza.
Un momento e il pakistano si ritrovò con il viso spostato di lato, la gota sinistra che pulsava, le sfere che sprizzavano linee invisibili di disperazione e tormento, la mascella serrata e gli angoli degli occhi inumiditi dalle lacrime che presto sarebbero scese.
Nicole, ancora con il braccio a mezz'aria, lo stava fulminando con uno sguardo accusatorio, pieno di tutto il suo rancore, pieno di tutta la delusione nei suoi confronti. E lui, sebbene non la stesse guardando, sentiva il peso di quell'espressione farsi sempre più pesante.
L'atmosfera nella stanza era elettrica, nessuno dei presenti sapeva cosa fare, cosa dire, come agire.
Nessuno avrebbe mai immaginato potesse succedere una cosa del genere.
Lei strinse gli occhi quando sentì che quelle gocce salate stavano per fuoriuscire dalla sua anima, serrò i pugni lungo i fianchi e abbassò il capo, cercando di non mollare, non in quel momento.
La stessa serie di immagini che aveva rivisto poco prima ricomparve nella sua mente, accendendo in lei un'ira e un odio tali da farle perdere il controllo: si avventò sul ragazzo che le stava davanti e cominciò a dargli dei colpi sul petto, urlando frasi sconnesse, esternando tutto l'astio che provava per lui in quel momento, scaricando tutto il nervosismo che le era presente in corpo.
Lui se ne rimase immobile, con le palpebre abbassate e il volto trafitto dal dolore.
Se ne rimase immobile, assorbendo tutti i pugni che lei gli regalava.
Se ne rimase immobile, convinto di meritarseli tutti.



Angolo Autrice:
Sono di nuovo in ritardo, perdonatemi, ma in questi ultimi dieci giorni i momenti in cui ho visto la mia casa e il mio computer sono stati praticamente inesistenti (citazioni agli impegni di animatrice del tutto casuali).
Ma tornando al capitolo: Nicole e i ragazzi sono in giro per l’Europa per promuovere il nuovo disco e proprio in Italia – il suo Paese – arriva la svolta: inconsapevolmente, con una domanda del tutto normale e lecita, i ragazzi danno inizio alla discussione più tremenda e più sconvolgente che c’è stata tra la bionda e il moro finora. Ho lasciato l’ultima parte un po’ aperta, per far entrare la vostra immaginazione in modo che cerchiate di capire cosa sia successo – se me lo direte nelle recensioni mi renderete la persona più felice del mondo! -, ma non preoccupatevi perché nel prossimo capitolo verrà spiegato tutto.
Ringrazio anche infinitamente tutte le ragazze che seguono la storia, da quelle che recensiscono a quelle che leggono silenziose: siete tutte tremendamente meravigliose <3
Un bacione a tutte <3
Another_Life
xoxoxo


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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


89
 
Change My Mind

 
Capitolo 22

Nicole non aveva mai viaggiato così tanto come in quelle settimane. 
Non aveva mai visto così tanti Paesi, così tante Nazioni in un arco di tempo talmente ristretto. 
Non aveva mai constatato la diversità di culture e abitudini che potevano avere le genti di Stati anche vicini tra loro. 
Non era mai stata così tanto affascinata da tutto ciò che vedeva, non aveva mai fotografato così tanti mondi, così tante persone, così tanti luoghi. 
Non aveva mai sentito il suo stomaco, il suo cuore e la sua mente talmente in confusione come allora. 
Nonostante si tenesse impegnata il più possibile, nonostante si mostrasse disinteressata e tranquilla, nonostante non volesse ammetterlo a se stessa, non si riusciva a togliersi dalla testa la discussione avuta con Zayn. 
Era passata ormai una settimana da quella sfuriata terminata in malo modo. 
La ragazza si appoggiò al muro, prima di rivivere ancora una volta la stessa identica scena. 
Le parole acide di troppo, il loro egoismo, quella maledetta foto che in un momento le aveva fatto crollare il mondo addosso. 
Ancora non ci poteva credere, non voleva, non ne era pronta. 
Al solo pensiero, ancora sentiva le scariche elettriche che le avevano attraversato l'intera schiena quando si era avventata sul moro, dall'esatto momento in cui le loro pelli si erano scontrate fino a quando Harry e Louis non l'avevano trascinata via di peso, tra le sue urla, i suoi calci, il suo odio e il suo rancore sputati aspramente e senza alcun ritegno. Sorrise amaramente mentre rivisse la scena in cui il riccio se la coricava in spalla con l'aiuto del suo coinquilino e la portava via da quella stanza, via dagli altri, via da quel ragazzo che continuava a spezzarle il cuore, a distruggere tutte le sue certezze, a frantumare il suo mondo. 
Via da quel ragazzo che, inconsapevolmente, ancora una volta era la causa del suo malumore. 
Era passata una settimana da tutto quel casino, settimana nella quale lo aveva evitato il più possibile: aveva raddoppiato i suoi impegni, aveva fatto gli straordinari, non si era concessa un minuto di pausa. E tutto questo per non vederlo, per sfuggirgli, per schivarsi quella spiegazione che, sebbene necessitasse, non era pronta a ricevere. 
Voltò lo sguardo verso il corridoio alla sua sinistra e la piccola terrazzina che si ergeva oltre la porta. 
Curvò un angolo della sua bocca verso l'alto. 
Aveva bisogno di una boccata d'aria. 

 
* * * 

Una nuvola di vapore bianco le uscì dal naso, disperdendosi nell'aria che la circondava e sparendo ben presto dalla sua visuale. Appoggiata con i gomiti al muretto del balcone, i suoi occhi scuri continuavano a muoversi da un dettagli all'altro, da ogni minima cosa catturasse la sua attenzione in quel panorama formato da buona parte della città di Stoccolma, nella fredda e tranquilla Svezia. 
La temperatura rispetto all'interno era notevolmente più bassa e l'arrivo dell'inverno si stava facendo sentire parecchio; i bambini cominciavano già a girare con sciarpa e guanti, gli anziani si barricavano in casa e non uscivano se non in casi strettamente necessari, i bar cominciavano a preparare le prime cioccolate calde. 
Tutto stava assumendo una sfumatura così grigia e affascinante che lei voleva assolutamente imprimere nella memoria, fermare nel tempo e nel ricordo con delle semplici fotografie. 
Prese un'altra boccata di quel fumo, assumendo di conseguenza altra nicotina dalla sigaretta che teneva tra le dita della mano congelata; la gola le bruciava ma adorava quella sensazione, si sentiva libera, senza problemi, senza nulla a cui dover pensare. 
Una volta tanto, si sentiva bene
Era consapevole del teatro che stava allestendo dentro la sua mente, conosceva i risvolti che avrebbero avuto quei gesti ma non ne poteva fare a meno. Aveva cercato con tutta se stessa di smettere, e in un primo momento c'era pure riuscita, ma la sfuriata di pochi giorni prima, tutta quella rabbia, quella sofferenza e quella tremenda voglia di piangere non avevano aiutato la situazione. 
Osservò l'oggetto che aveva in mano, quel piccolo cilindro contenente foglie di tabacco e l'aroma alla cannella che tanto adorava: com'era possibile che un così piccolo affare potesse avere un tale effetto su di lei? Come riusciva a far scomparire tutte le sue preoccupazioni, quelle inutili seghe mentali che si faceva continuamente? Come diamine riusciva ad – apparentemente – levarle di torno tutti i suoi problemi, tutti quei segreti che continuavano a tormentarla? 
Scrollò la cenere che lentamente scese sul pavimento di piastrelle, accompagnata da uno spiffero di vento gelido che le punse le guance e le gambe, fasciate da un paio di pantaloni troppo leggeri per quella stagione. Chiuse gli occhi e assaporò quel momento di totale silenzio, di totale tranquillità, di totale riposo. 
Espirò l'ennesima boccata di fumo nell'esatto momento in cui sentì la porta alle sue spalle chiudersi, ma non ebbe la forza per voltarsi, convinta potesse essere uno dei ragazzi. Quando però questo fece qualche passo avanti e invase l'aria con il suo profumo pungente, per poco non crollò a terra. 
Improvvisamente, il suo cuore aveva smesso di battere. 
Improvvisamente, aveva dimenticato come si respirava. 
Improvvisamente, la sua mente aveva smesso di produrre ogni tipo di pensiero logico. 
Rimase immobile mentre lui avanzava con passo sicuro, fermandosi a pochi metri da lei. Percepiva i suoi pozzi neri trafiggerle la schiena, si sentiva debole sotto il suo sguardo, incapace di muoversi, incapace anche di fare il minimo movimento. 
Momenti di silenzio elettrico sovrastarono la scena, facendo provare ad entrambi dei brividi assurdi. 
«Fumi?» 
La voce di Zayn risuonò in quel piccolo spazio con un tono che lei non gli aveva mai sentito. 
La sua non era una domanda, né tanto meno un'accusa. 
Sembrava quasi un'affermazione stupida, come se non se lo aspettasse. 
Sembrava un bambino curioso, un piccolo ometto che guardava il mondo con attenzione. 
Sembrava l'opposto di quello che le aveva sempre mostrato di essere. 
La bionda non gli rispose, al contrario continuò a fissare un punto indefinito davanti a sé, come se tutto d'un tratto il paesaggio di Stoccolma l'avesse affascinata come non mai. 
Il moro si fece avanti, prese la sigaretta che teneva dietro l'orecchio e se l'accese, fece uscire una boccata di fumo bianco dalla bocca e si avvicinò al muro del balcone. 
«Non ti fa bene», continuò rivolgendosi nuovamente a lei. 
Entrambi non si stavano guardando, entrambi tenevano l'attenzione fissa in una direzione parallela a quella dell'altro, entrambi cercavano di tenere a bada le ritorsioni che stavano avendo i rispettivi stomaci. 
«Non sta a te decidere cosa mi fa bene e cosa non», disse soltanto con tutta la calma che aveva in corpo, dopo aver curvato un angolo della bocca verso l'alto ed aver sorriso amaramente. 
«E io? Di quale categoria faccio parte?», la punzecchiò lui con un'innocenza che, ancora una volta, non gli aveva mai addossato. 
Perché non le riservava quelle battuttine acide, perché non la tormentava come era solito fare? 
Perché le voleva far credere di aver perso tutte quelle caratteristiche negative? 
Perché voleva prendersi il ruolo di quello incompreso? 
«Di nessuna, perché per me non esisti, Malik», rispose lei freddamente, spegnendo con la suola delle scarpe il mozzicone che aveva gettato a terra. 
Il pakistano ebbe un sussulto nel sentir pronunciare quella frase: il suo cuore perse un battito e qualcosa dentro di lui si mosse, facendogli provare un dolore atroce. Era convinto che gli avrebbe detto di essere una delle cose peggiori per lei, una delle scelte più sbagliate che avesse mai fatto, una delle persone più cattive che avesse mai avuto la sfortuna di incontrare. Ma ancora una volta l'aveva sorpreso, anche se nel modo meno aggraziato. 
«Nicole, io...», cominciò lui, ma non appena le sfere scure e impenetrabili di lei si incatenarono alle sue non riuscì a proseguire. 
La sua voce era spezzata, rotta come mai l'aveva udita; percepiva in quei pozzi neri un dolore inaudito, una tristezza che le faceva paura, un tormento che non lo lasciava andare avanti. 
«Ho del lavoro da sbrigare», sentenziò cercando di scappare da quello che – se lo sentiva – sarebbe stato il luogo di una nuova litigata. 
«Lascia che ti spieghi», mugugnò di nuovo prendendole il polso con la mano. 
Fu un gesto involontario, che causò l'inizio di una catastrofe. 
Una scossa elettrica attraversò i corpi di entrambi, facendoli vibrare dallo spavento; ancora non riuscivano a capire quali fossero i motivi di tutto quel disagio, di tutto quell'imbarazzo, di tutto quell'appesantimento che assumevano i rispettivi tessuti ogni qual volta si toccassero. 
Cos'era quella strana scintilla che si accendeva dentro di loro? 
Lo scalpito che prendeva il loro cuore? 
L'agitazione che si leggeva perfettamente nei loro visi? 
Cos'era quella ritorsione così dolorosa che assumeva il loro stomaco? 
Ancora una volta Nicole dovette cacciare quei pensieri, troppo inopportuni in quel momento quando i problemi veri e propri erano ben altri: il moro continuava a trattarla con quella delicatezza che aveva dimenticato, con quell'attenzione che non le aveva mai riservato, con tutta quella calma che non aveva mai avuto nei suoi confronti. 
E fu allora che si chiese chi fosse davvero il ragazzo che aveva davanti. 
Strattonò il polso, liberandosi così dalla presa del pakistano, e si voltò verso di lui, ritrovandoselo più vicino di quanto avesse pensato. Lo invase con le sue sfere scure, si tuffò in quel mare nero e liquido, così pieno di sfumature, così pieno di dolore che per un momento la fece sentire in colpa. 
Ma fu solo un istante. 
«Non ho bisogno di nessuna spiegazione», soffiò acida sul suo collo. 
Sebbene Zayn la sovrastasse di parecchi centimetri, quello più piccolo continuava a sembrare lui. 
Lui, che la guardava con uno sguardo colpevole. 
Lui, che la pregava silenziosamente di ascoltarlo. 
Lui, che se avesse potuto tornare indietro nel tempo avrebbe rimediato a tutti i suoi errori. 
«Non mi interessano i particolari, non mi interessa tutta questa storia perché ormai non ha più importanza – continuò lei involontariamente, senza che le parole arrivassero prima alla sua ragione – ma una cosa non mi è chiara, una cosa soltanto non ha una spiegazione razionale. Perchè? Insomma, te ne eri andato, mi avevi piantata senza aprire bocca, eri scomparso dalla mia vita...» 
La bionda corrugò la mente e gli occhi, quegli occhi che stavano cercando di non far trasparire alcuna emozione, quegli occhi che stavano cercando di trattenere la miriade di lacrime che presto sarebbero uscite. 
Quegli occhi che, piano piano, stavano perdendo quella punta di odio e acidità che gli aveva sempre riservato. 
I loro visi erano a pochi centimetri di distanza, una distanza che non si creava tra quei due dal quell'ultima notte di vacanza, da quella sera in cui per la prima volta le bocche di entrambi si erano conosciute, da quando si erano uniti con quel piccolo gesto così innocente. 
Lui le teneva ancora lo sguardo piantato addosso, intrappolato da quelle sfere come lo era stata lei anni prima, con mille pensieri per la mente, la voglia di sfogarsi, di spiegarle tutto e l'incapacità di poterlo realmente fare. 
«Volevo sapere come stavi», sussurrò appena abbassando le palpebre e impedendo così a quelle gocce salate di uscire. 
Non doveva piangere, non davanti a lei. 
La ragazza trattenne una risata isterica e amara mentre si voltava alzando le braccia e incrociando le dita dietro il capo, facendo qualche passo avanti e osservando per un momento il paesaggio della città, non particolarmente cambiato da poco prima. 
«Ti hanno mai detto di essere la persona più incoerente sulla faccia della Terra?», gli chiese retorica quando lo guardò di nuovo in faccia, senza cercare di nascondere quel sorriso ironico e falso. 
Quel sorriso che celava una rabbia che a poco sarebbe esplosa. 
Quel sorriso che faceva da maschera al suo vero stato d'animo. 
Quel sorriso che lo colpì come una decina di coltelli in pieno petto. 
«Non so nemmeno come abbia fatto a rintracciare il numero della tua amica – cominciò il moro voltandosi di novanta gradi e alzando un angolo della bocca verso l'alto – e ancora adesso mi chiedo cosa le abbia impedito di riattaccare quando ha capito che ero io al telefono». 
Erano a qualche metro di distanza, lui con le braccia incrociate e lei lungo i fianchi, lui con lo sguardo fissò su un punto indefinito e lei con gli occhi puntati al suo viso. 
«Le ho fatto capire che l'unica cosa che mi interessava era che tu stessi bene, e lei se ne è uscita con questa storia delle foto. In due anni, ho ricevuto quattro lettere, ognuna contenenti un piccolo collage con dei tuoi ritratti; è lei che mi ha raccontato dei tuoi problemi, della tua malattia, della tua nuova rinascita – omettendo però il cambiamento caratteriale», continuò abbozzando un sorriso divertito che però si spense subito dopo. «Ed è stata sempre lei, con il mio consenso, ha decidere che questo teatrino doveva terminare. L'ultima volta che l'ho sentita mi ha detto che stavi bene, e con questa sicurezza sono riuscito ad andare avanti» 
Stava stringendo i pugni delle mani così forte da far diventare le nocche bianche. 
Stava cercando di mantenere la calma, quando invece l'unica cosa che voleva era urlare. 
Stava tentando di comprimere i suoi sentimenti, troppo potenti e troppo visibili in quel momento. 
Lui si voltò di colpo, non sentendo alcuna risposta provenire dalla ragazza, e si scontrò con quelle trappole mortali che erano diventate lucide, inondate dalle lacrime che presto avrebbe rigettato. 
Un colpo al cuore, e le gambe che improvvisamente cedono. 
«Io non sono mai stata bene», mormorò appena prima di abbassare il volto e correre via. 
Via da quella terrazza, via da quei ricordi, via da quel ragazzo improvvisamente cambiato. 
Via da tutti quei segreti che stavano venendo a galla. 
Via da quel passato che continua a perseguitarla. 
Ripercosse quel corridoio e appena arrivò all'angolo ritrovò le sue ancore di salvezza. 
Si tuffò tra le braccia di Josh, sotto lo sguardo attonito di lui e del ragazzo al suo fianco. 
Lei scoppiò in lacrime, cercando di rendere il meno rumoroso possibile quel pianto che stava diventando più forte di lei; il castano le accarezzò i capelli, sussurrandole parole dolci. 
Louis la fissò sconvolto, confuso, disorientato. 
Alzò il viso e vide il suo compagno di band in fondo al corridoio. 
Lo osservò inespressivo e, per la prima volta, vide una lacrima scendere da quegli occhi neri che non gli avevano mai mostrato il suo dolore. 

 
* * * 

Il castano la continuava a fissare, seguendo ogni minimo movimento che lei faceva con quegli occhi blu come il mare.
«La pianti? Mi stai facendo la radiografia da mezz'ora», lo ammonì la bionda sorridendo divertita prima di portare alla bocca un altro boccone di quello strano piatto svedese. 
Il ragazzo si risvegliò da quello stato di trance in cui era precipitato e senza dire una parole tornò a scrutare il suo pranzo, ancora intatto. L'episodio di quasi due settimane prima l'aveva talmente scandalizzato e scioccato da non riuscire più a guardare la sua Nicole con la stessa espressione di prima: aveva continuato a domandarsi come fosse stato possibile, il perché di quella malattia, la ragione che l'aveva portata a toccare così maledettamente il fondo. Lo stomaco gli si era improvvisamente chiuso e in quel momento nutrirsi era l'ultimo dei suoi pensieri. 
Ritornò a fissare la bionda che nel frattempo aveva completamente finito la portata e non poté non sentirsi colpevole, per l'ennesima volta in quella giornata. 
«Sto bene adesso, Lou», lo precedette riponendo la sua attenzione su di lui. 
Le sfere scure e impassibili di lei si scontrarono con quelle preoccupate e sconvolte di lui, provocando una reazione chimica unica. 
«Se fossi rimasto magari tu, magari non... Non riesco a capacitarmene, Nic», si confessò prendendosi il viso tra le mani e facendo scoccare in lei un dolore atroce. 
Vederlo in quello stato era l'ultima cosa che desiderava. 
Rimase qualche secondo nel più assoluto silenzio alla ricerca delle parole migliori da usare. 
«Sarebbe successo lo stesso. Sono stata io a dirti che era meglio allontanarci, tutte le nostre telefonate, le nostre mail... Me lo ricordavi troppo, e credo abbia fatto bene ad entrambi», sintetizzò lei il più onestamente possibile. 
E il castano non ebbe bisogno di altro perché sapeva che quella era la verità. 
Tornò a fissare quella donna ormai matura e non poté non ripensare a quella vacanza, a quella ragazzina che era stata, così insicura, così timida, così dolce, così innamorata. Tutte caratteristiche che aveva in parte perso, o che teneva nascoste per impedire che si notassero. 
Osservò quegli occhi cioccolato che erano concentrati sul tovagliolo che aveva sulle gambe, quegli occhi così vispi e allegri che non avevano del tutto dimenticato la follia dell'adolescenza. E con questa, non avevano nemmeno scordato cosa significava amare
«Credi davvero che sarebbe andata ugualmente in questo modo?», le chiese spezzando il silenzio che si era creato tra i due. 
Una cameriera passò accanto al tavolo, gettando un'occhiata al componente della band più famosa del pianeta e rigando subito dritto, domandandosi chi mai potesse essere quella tipa con cui stava pranzando. 
«Guardaci Lou – cominciò intanto la bionda, alzando lo sguardo e fissando la sala del ristorante dove si trovavano – siamo ancora insieme, io, te e i ragazzi. Evidentemente era destino che ci rincontrassimo, ritrovando l'amicizia che avevamo lasciato, ritrovando la nostra pazzia, ritrovando l'appoggio reciproco che ci fa andare avanti. Era destino, e il destino non si può cambiare», terminò alzando un angolo della bocca verso l'altro e mostrandogli un sorriso sincero. 
«Ed è destino anche tu continui a soffrire così tanto per lui?» 
La domanda del ragazzo era stata semplice, schietta e veloce. 
Ma se per lui era stato così genuino esplicarla, per lei riceverla fu come accogliere inaspettatamente una serie di lame gelide e dolorose, che la trapassano da parte a parte e le arrivarono nelle profondità di ogni tessuto, rendendola debole e vuota. Non era pronta a sentire a quella frase, quei vocaboli messi uno dietro l'altro formando una verità che non voleva constatare, una verità che faceva male, una verità che non voleva fosse vera. 
Lei doveva andare avanti, doveva proseguire la sua strada, doveva superare quel passato che invece continuava a perseguitarla. 
Perché stava succedendo tutto in quel momento? 
Perché tutta quella serie di avvenimenti continuavano a renderla più stanca e fragile? 
Perché non riusciva a districarsi da quella maledetta vacanza che aveva cambiato per sempre la sua vita? 
Voltò il viso verso la finestra alla sua sinistra e notò un paio di ragazzine che avranno avuto sì e no sedici anni: rivide se stessa in quella tipa mora un po' imbranata che parlava con un biondo dall'aria carina, e non poté non trattenere un sorriso amaro. 
Era passato tutto quel tempo, e ancora non l'aveva superato. 
Continuava a ricadere sempre nella stessa buca, ritornando così indietro e commettendo sempre gli stessi errori, sempre gli stessi dannati sbagli. 
E il bello era che se ne rendeva conto, ma la forza per andare avanti le mancava. 
Le mancava quel coraggio per chiudere definitivamente il capitolo, per voltare pagina ed iniziare un nuovo paragrafo della sua vita. 
Le mancava perché mettere un punto a quel pezzo che riguardava lui, mettere un punto ai suoi sentimenti, mettere un punto a tutto quello che ancora – inconsapevolmente – le faceva rivivere una felicità oramai esaurita era più complicato di quanto potesse sembrare. 
Aveva sempre finto di stare bene, aveva sempre finto di averlo completamente rimosso dalla sua mente, aveva sempre finto di aver dimenticato tutto come se non avesse alcuna importanza. 
Ma la verità era che tutto questo era rimasto nascosto in un angolo della sua mente, ripiegato come un pezzettino di carta e posto in un cassetto piccolo e remoto, in modo da non ritrovarlo tanto facilmente. 
Proprio come era successo al suo diario. 
Proprio come era successo ai suoi sentimenti. 
Proprio come era successo alla sua vita. 
Ma se non era mai stata pronta per affrontare quella realtà, in quel momento lo era ancora meno. 
«Lascia stare Lou, ti prego», si affrettò a rispondere stirandosi la maglia chiara. 
«Nicole, non ti rendi conto che ti stai prendendo in giro? Che stai prendendo in giro tutti, te stessa in primis?», continuò il castano imperterrito, deciso a non terminare quella discussione. 
Gli occhi della mora si fiondarono sul ragazzo, lanciandogli una fulminata che non gli aveva mai riservato: lame infuocate contrastavano con il cioccolato delle sue iridi, lame così piene di rabbia che presto sarebbe esplosa. 
«Lascia stare Lou», ripeté lei prendendo la borsa e alzandosi, convinta del fatto che era meglio per entrambi allontanarsi da quel luogo. 
«Cosa provi per lui ora? Dimmelo, dimmelo sinceramente», le chiese con un tono un po' alterato, prendendole le spalle con le mani per impedirle di andarsene. 
Avrebbe finito quella conversazione, costi quel che costi. 
Ancora una volta, la reazione chimica che avvenne quando le sfere azzurre di lui e quelle scure di lei si scontarono fu indescrivibile: se le prime erano ferme, serie e sincere, le seconde emanavano un tale risentimento, una tale ira e una tale confusione che metteva inquietudine. 
«Odio. Odio vero. Odio nel vero senso della parola» 
Il tono che aveva assunto nel rispondere contrastava con quello che lui si sarebbe aspettato: era calmo, leggermente irritato ma severo, come se pensasse davvero quello che aveva appena esplicato. 
Come se stesse cercando di convincere se stessa e gli altri che quella era la verità. 
«Sappiamo entrambi che non è vero – gli disse lui prima che lei si liberasse dalla presa e mosse qualche passo verso l'uscita – il tuo è soltanto amore mascherato da odio», finì, giusto in tempo per vederla svoltare l'angolo e uscire dal locale. 
Le parole del suo migliore amico le continuarono a vorticare nella mente, facendola improvvisamente sussultare quando si ricordò una poesia che aveva studiato al liceo. 
Una poesia così significativa che le era rimasta impressa nella mente, come sigillata dal fuoco. 

 
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior

 

Angolo Autrice: 
Okay, inizio subito chiedendovi un miliardo di scusa per il tremendo ritardo.
 
Vi domando perdono, ma la colpa vera e propria è dell’ispirazione di scrivere, che negli ultimi tempi sembra si sia volatilizzata, costringendomi a portare avanti i tempi e a riscrivere un pezzo almeno una decina di volte :(
 
Ma tornando a noi: il capitolo è incentrato ad una settimana dalla sfuriata fatta da Nicole e Zayn, settimana nella quale lei lo ha evitato come se fosse la lebbra in persona. Ma come sempre ogni nodo arriva il pettine e il nostro moro è riuscito comunque a spiegare per bene alla bionda la storia delle foto (spiegazione che però lei non ha preso troppo bene).
 
Poi, come se la situazione non fosse già abbastanza tesa, ci si mette pure Louis che, da bravo migliore amico, cerca di far capire a Nic quello che lei effettivamente prova.
 
Ma credo che ormai conosciamo tutti il suo temperamento impulsivo e la sua paura di rivivere quel passato che continua a tormentarla.
 
Che ne pensate di questo capitolo? Ha soddisfatto le vostre aspettative?
 
Io spero in una vostra opinione sincera e spudorata, mi raccomando ;)
 
Ah, quasi dimenticavo! Grazie infinite a tutte le ragazze che hanno recensito, alle lettrici silenziose e a tutte quelle che seguono la storia <3 Siete fantastiche, davvero <3
 
Un bacione a tutte :3
 
Another_Life
 
xxx

P.s. Al prossimo aggiornamento inserirò una piccola One Shot che fungerà da Missing Moment e sarà incentrata su Zayn e su i suoi sentimenti! Vi consiglierei di leggerla perché sarà abbastanza fondamentale per la svolta che prenderà la storia :)
P.p.s. Me ne ero scordata! Come trovate il lato da fumatrice di Nicole? Vi è piaciuto, vi ha deluso... ?
P.p.p.s. Tanti auguri alla mia Nic e all'intera storia che venerdì 19 Luglio hanno compiuto un anno! :3



 
   

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Capitolo 23
*** Missing Moment ***



 

Loved You First

E costantemente, ogni volta che li vedeva assieme, ogni volta che lei lo abbracciava, ogni volta che lei rideva delle sue battute, il suo mondo cadeva a pezzi. Mille frammenti della sua anima si depositavano nel fondo, mille frammenti di quei sentimenti d'amore che non si erano mai veramente spenti ardevano in lui, provocandogli centinaia di ustioni indelebili e inguaribili.
Mille frammenti di quei dannati ricordi continuavano a vacillare, senza però sparire definitivamente. 


- Missing Moment di Change My Mind incentrato su Zayn -

(Cliccate sul banner e andrete direttamente alla One Shot)

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


89
 
Change My Mind

 
Capitolo 23
 
He takes your hand
I die a little, I watch your eyes
and I'm in riddles.
Why can't you look at me like that?
 
«Credo di aver trovato il vestito giusto»
La voce timida e apparentemente felice della ragazza che in quel momento si trovava dentro al camerino distrasse Nicole, a pochi metri da lei, che lasciò la maglia larga che stava riguardando da un paio di minuti per catapultarsi sulla poltrona, pronta per vedere quel personaggio uscire tutto in tiro.
Vide le dita affusolate della sua mano tirare la tenda, e poi eccola: una tipa mora, con un fisico che aveva tutto da invidiare alle modelle di Chanel, aveva il corpo fasciato da un tubino in pizzo nero, con le maniche semi trasparenti e una lunghezza perfetta.
La bionda cominciò ad osservarla impassibile, studiando ogni minimo dettaglio di quell'abito che sembrava essere stato cucito proprio per l'altra: analizzò ogni punto, ogni minimo particolare, concentrandosi su di lei fino ad arrivare poi ai suoi occhi chiari, agitati per l'imminente sentenza.
«L'avevo detto che ti sarebbe stato da Dio», le disse aprendo i lati della bocca in un sorriso sincero, che subito contagiò anche l'altra.
Questa uscì del tutto dal camerino, muovendo i piedi scalzi sul parquet e posizionandosi davanti allo specchio: si fissò intensamente, squadrando prima se stessa, poi il vestito e poi l'amica, che continuava a darle sicurezza con uno semplice sguardo.
«Fidati Eleanor, farai svenire Louis», ammiccò di nuovo facendole un occhiolino malizioso prima di scoppiare in una fragorosa risata.
E fu in proprio in quel momento che si accese qualcosa dentro l'anima di Nicole: fu come uno spiraglio di luce, un piccolo arcobaleno che le attraversò lo stomaco e la sorprese, lasciandola incredibilmente basita. Un piccolo frammento si era mosso, uno screzio di una sensazione che aveva creduto rimossa aveva ricominciato a pulsare a passo con il suo cuore.
E si era sentita bene.
Se le avessero descritto questa emozione qualche ora prima, di certo non ci avrebbe creduto. L'aveva lasciata completamente, incredula, stupefatta. Ma ovviamente in senso positivo. L'aveva colta all'improvviso, esattamente come la chiamata della mora di quella mattina, prima dell'ora di pranzo: aveva risposto sbuffando, credendo che ci fosse ancora del lavoro da svolgere, ma quel tono gentile e amichevole le avevano fatto passare in un secondo la stizza che altrimenti avrebbe provato di lì a pochi secondi.
Ti va di venire a fare shopping con me questo pomeriggio? Ho bisogno di un consiglio, e beh, credo sarebbe anche una bella occasione per conoscerci meglio”.
Il suo invito l'aveva fatta boccheggiare mentre risistemava l'attrezzatura nella borsa, ancora del tutto spiazzata: dopo essersi presentate quel giorno della partita le due avevano avuto modo di rivedersi e di scambiarsi qualche parola, ma non erano mai rimaste assieme per più di dieci minuti, a causa dei vari impegni. Eleanor frequentava l'università e quelle volte che riusciva a raggiungere Louis in un Paese cercavano di passare insieme più tempo possibile, tempo nel quale Nicole doveva lavorare.
E in quel momento Nicole capì che, accettando, aveva fatto la scelta giusta.
La mora non era come le altre persone dello spettacolo, non si atteggiava per il semplice fatto di avere un fidanzato famoso, non cercava di usare la sua posizione per avvantaggiarsi in qualche modo, anzi, tutto il contrario: avevano incontrato alcune fans da quando si erano date appuntamento sotto la casa discografica e con ognuna di loro si era mostrata disponibile. Aveva posato per delle foto, scambiato qualche parola e fatto qualche battuta, il tutto con una naturalezza che ancora una volta aveva sorpreso Nicole. Non che ne avesse dubitato – conosceva il suo migliore amico e poteva senza dubbio affermare che non era il tipo da costruirsi una relazione con la prima che passava – ma era rimasta diffidente, come del resto era abituata a fare.
«Eleanor? - la chiamò poi, prima che questa tirasse la tenda per potersi cambiare – Grazie»
E quella piccola affermazione bastò per tutto.
Bastò per tutte le frasi che avrebbe voluto dirle, bastò per tutti i riconoscimenti che aveva verso di lei.
Bastò esattamente per tutto, e lei lo capì subito.
I suoi occhi chiari si scontrarono con quelli scuri della ragazza con cui – ne era sicura – avrebbe presto legato moltissimo, e un sorriso le spuntò su quel visino grazioso.
«Ma figurati», le rispose e scomparve dentro al camerino con una piccola risata.
La bionda fece per voltarsi e dirigersi verso un paio di pantaloni che aveva adocchiato poco prima, quando la voce dell'altra si fece ancora spazio nella sala.
«Nicole, ora dobbiamo cercare il tuo vestito!»
 
* * *
 
Le vie della capitale brulicavano di gente: persone che si affrettavano a raggiungere questo o quell'ufficio, donne che andavano a prendere i bambini a scuola o che prendevano un caffè con le amiche, ragazzi che facevano un giro in piazza chiacchierando allegramente.
Il paesaggio a Londra era sempre così uguale e così differente.
Simile a tutte le altre città ma completamente diverso per tutto quello che vi si svolgeva.
La sera stava avanzando nonostante il sole se ne fosse andato già da un paio d'ore, permettendo così che le luci colorate cominciassero a trasmettere quel clima natalizio che era in netto anticipo.
Ma si sa, per il commercio non era mai troppo presto.
L'aria fredda e invernale si scontrava sul viso della bionda e della mora, entrambe con le guance tinte di rosa e le labbra leggermente screpolate, i cappellini di lana sul capo e le sciarpe pesanti. In poche settimane il tempo era completamente mutato, così come i luoghi dove si trovavano: erano passati dalla calda Spagna alla fredda e piovosa Londra, dopo essere passati per tutti gli Stati Europei, terminando così la promozione del nuovo disco.
Eleanor era al suo fianco ed entrambe avevano un paio di borse di cartone in mano.
«Ti stava d'incanto», la rassicurò la mora vedendola ancora un po' perplessa.
Le piaceva quel vestito, forse uno dei migliori che avesse mai comperato, ma la cosa che le teneva la mente lontana dal luogo dove effettivamente si trovava il suo corpo era un'altra.
Quella cosa aveva dei capelli scuri sempre pettinati in un ciuffo rialzato, degli occhi che sembrano peggio di due torturatori e che apparivano illeggibili e intraducibili e un comportamento che non riusciva ancora a spiegarsi. Era passata più di una settimana da quella discussione con Zayn, settimana nella quale aveva cercato il più possibile di non pensare a nulla che riguardasse lui e quello che era successo.
Ma le era stato impossibile.
Non le interessava – o meglio, cercava di convincersene – ma nemmeno tutto l'impegno che ci metteva incessantemente era in grado di non farla rimuginare su tutta quella storia; il suo viso, la sua espressione distrutta, il suo tono incrinato e del tutto inoffensivo l'avevano spiazzata, distruggendo ogni sua singola sicurezza e mettendola in una situazione strana.
Strana, perché non sapeva come reagire.
Strana, perché non sapeva cosa fare.
Strana, perché non sapeva più cosa provava veramente.
L'odio che aveva tanto sentito verso di lui dall'esatto momento in cui si erano ritrovati sembrava un ricordo lontano ma non ancora del tutto dimenticato: si sentiva in qualche modo diversa e tutta quella confusione che provava dentro di sé non aiutava affatto. Le domande sul suo comportamento continuavano a duplicarsi e le risposte rimanevano sempre del tutto vuote di razionalità.
Perché oramai si sentiva vuota anche di quella parte della sua mente alla quale si affidava completamente da tempo.
Ma non erano solamente le immagini e le frasi di Zayn a renderle l'esistenza un inferno, anzi: ci si era messo anche Louis, il suo migliore amico, quello che considerava la sua ancora di salvezza, ma che improvvisamente aveva voluto vestire i panni del ragazzo saggio e obbiettivo. La discussione avuta in quel ristorante svedese era ancora viva nella sua mente, parola per parola, accusa per accusa, sentenza per sentenza.
Ma se nel profondo della sua anima sapeva che tutto quello che lui aveva detto aveva un fondo di verità, il suo ego e il suo orgoglio non erano ancora pronti ad essere annientati.
Lei non era pronta ad affrontare tutto quello.
Perché Nicole, nonostante si fosse sempre mostrata come una ragazza caparbia e testarda, una tipa acida e seria, la classica bionda provocante e menefreghista, in verità aveva paura.
Paura di quel periodo della sua vita in cui si era sentita talmente vulnerabile.
Paura di dover affrontare di nuovo quei sentimenti che l'avevano travolta quando ancora era una ragazzina.
Paura di quel moro che la faceva sentire diversa da come aveva sempre creduto di essere.
«Conosco quello sguardo»
La voce di Eleanor la riportò alla realtà, facendole constatare di essere seduta su una panchina di un piccolo parco. Non si era nemmeno resa conto di esserci arrivata, talmente era stata presa da tutti i suoi giri mentali.
La fotografa si voltò verso quella che stava cominciando a considerare un'amica e vide un mezzo sorriso farsi strada su quel volto così dolce; abbassò lo sguardo non appena incontrò quelle iridi chiare, capendo all'istante dell'argomento che stava per introdurre.
«Non è facile capire come bisogna agire quando la tua mente urla il contrario di quello che sussurra il tuo cuore. È successo anche a me, esattamente quando ho incontrato Louis... - la mora fece una pausa, socchiudendo gli occhi e mostrando alla bionda un liquido trasparente al quale impedì di uscire, alzando poi lo sguardo per posarlo su un paio di bambini che giocavano poco distante. – Ho sempre odiato le relazioni difficili e piene di problemi, così come ho sempre detestato le persone dello spettacolo e tutta la falsità che si cela dietro quel mondo. Quando però ho incontrato lui, tutto nella mia testa non ha più avuto una dislocazione precisa: ho cominciato ad amare ogni particolare della sua persona e della sua anima, ho cominciato ad amare tutto quello che il mondo non conosceva. Soltanto alla fine ho voluto scoprire il suo ruolo nella boy band più famosa del momento, e a quel punto ho capito di essere davvero pazza di lui perché, nonostante il suo lavoro incarnasse quello che io ho sempre detestato, lui mi ha mostrato che i pregiudizi non servono mai a nulla. Mi ha fatto comprendere che, anche in quello spazio dove tutto quello che riguarda i sentimenti è finto, si può essere l'eccezione che conferma la regola. Mi ha aiutato a cambiare la mia mente e il mio modo di pensare, mi ha aiutato ad abbassare le mie barriere di difesa, mi ha aiutato ad essere una persona migliore. Mi ha aiutato a non perdere il grande amore, senza il quale non sarei la ragazza che sono oggi».
Un soffio di vento accarezzò i loro capelli mentre alcune lacrime scendevano lente sulle guance di entrambe: se quelle di Eleanor erano malinconiche e di gioia, quelle di Nicole rappresentavano tutti i suoi stati d'animo. Un misto di ammirazione verso il suo migliore amico, felicità per quella mora che stava iniziando a conoscere, tristezza per la confusione che non riusciva a sbloccare, pentimento per il comportamento forse troppo crudele e aggressivo avuto con Zayn, vergogna per la sua situazione, incomprensione verso quello che stava provando il suo cuore.
Due perle chiare si fecero improvvisamente padrone della sua visuale, accompagnate da un sorriso sincero e rassicurante.
«Se posso darti un parere, per qualunque circostanza tu viva, ma specialmente se si parla d'amore, ascolta i consigli della tua testa ma segui quelli che ti da il cuore. E cambia per un momento la visuale, cambia la tua mente e valuta tutto in base alla tua felicità. In questo modo, ogni scelta che prenderai sarà quella più giusta per te».
A quelle parole il viso della fotografa si riempì di quelle gocce salate che non riusciva a fermare.
A quelle parole la bionda non poté fermare l'istinto di abbracciare l'amica così stretta da impedirle di respirare.
A quelle parole il suo cuore ebbe un sussulto, e subito l'immagine di Zayn riaffiorò dentro di lei.
 
* * *
 
Il freddo della sera londinese le faceva venire la pelle d'oca anche attraverso la giacca in pelle che portava sopra il vestito. I capelli biondi avevano appena subito una piega perfettamente dritta dalle mani esperte di Eleanor, la ragazza che ora era seduta sul posto anteriore dell'auto sportiva assieme al suo fidanzato.
«Sei bellissima», le disse Louis per l'ennesima volta, mostrando delle scintille piene di ammirazione verso la sua perfetta metà.
La fotografa non poté trattenere un altro sorriso alla vista di quella scena così dolce e romantica.
Ma nonostante si sentisse leggermente come la terza incomoda – non avrebbe mai immaginato che la testardaggine della mora fosse addirittura più tremenda della sua, costringendola a salire nel loro suv nonostante tutte le sue lamentele – sapeva che presto sarebbero arrivati alla festa e avrebbe finalmente potuto lasciarli soli soletti.
Dieci minuti dopo, infatti, la musica le assordava già le orecchie mentre cercava di trovare al più presto qualcuno che conoscesse; non ci mise molto ad imbattersi in un Harry parecchio elegante, con il corpo fasciato da un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e un blazer scuro con dei risvolti lucidi.
«Nicole?»
La sua espressione incredula la fece ridacchiare.
Un paio di occhi più verdi del solito passarono in rassegna il suo fisico coperto da un semplice vestito nero, una fascia in pizzo sulla parte superiore e un cinturino argentato in vita; la pochette che teneva in mano si abbinava alle scarpe con tacco alto che le facevano guadagnare un paio di centimetri d'altezza.
«Wow, sei... Stai benissimo», balbettò imbarazzato mentre le solite fossette si facevano strada sul suo viso.
«Grazie, anche tu non sei per niente male», rispose lei sorridendo di rimando.
La musica assordante si faceva strada dentro di loro, rendendo impossibile una conversazione di senso compiuto che non fosse a gesti: centinaia di persone ballavano attorno a loro, riempiendo l'enorme stanza in un modo quasi claustrofobico.
«Ti stai divertendo?», le chiese lui non appena la canzone finì e la sala ritornò al suo stato normale.
«Ci provo. Tu non sembri molto entusiasta, o sbaglio?»
«Non è il mio ambiente – ammise impacciato e con un tono più basso – e sto aspettando che arrivino gli altri. A proposito, li hai visti da qualche parte?»
La bionda non fece in tempo a scuotere la testa che dal gruppo vicino al loro comparve un ragazzo che si avvicinò al riccio e gli batté la mano sulla spalla, un sorriso timido stampato sul volto e uno sguardo stanco e debole: portava un completo nero e una camicia bianca accompagnata al colletto da un nastrino color pece, un paio di scarpe scure e un leggero accenno di barba.
In pochi secondi, tutta l'atmosfera mutò.
«Styles, vedo che ti stai già dando... - cominciò ironico, ma non appena si voltò e incontrò quelle iridi scure, così penetranti e così dannatamente serie, un groppo in gola gli impedì di finire la frase. Boccheggiò per qualche secondo, fino a quando le corde vocali non emisero un'unica parola, un nome che non avrebbe mai dimenticato: - Nicole?»
Improvvisamente, tutto quello che si trovava attorno a loro sparì.
Improvvisamente, ogni singola persona e ogni singolo oggetto presenti diventarono invisibili, avvolti in quelle tenebre che lasciavano liberi soltanto la bionda e il ragazzo.
Improvvisamente, i rispettivi cuori ebbero un sussulto, accompagnati poi da uno strano miscuglio di sentimenti contrastanti.
La mano della bionda cominciò a tremare impercettibilmente, il suo corpo divenne freddo ed immobile, la sua razionalità di staccò completamente dalla mente, lasciandola sola in balia di tutti i suoi stati d'animo; non riusciva a capire il senso di tutto quello, non riusciva a dare un senso a tutto quello che le stava succedendo.
Perché, osservandolo in volto, non riusciva a non pensare a quanto fosse bello?
Perché, inchiodandosi a quegli occhi, non riusciva a provare odio nei suoi confronti?
Perché, percependolo così vicino, non riusciva ad ordinare a se stessa di andarsene?
Si sentiva esattamente come se fosse in mare aperto, dentro ad una terribile tempesta. Si sentiva esattamente come se fosse schiacciata dal peso del mare, si sentiva esattamente come se l'acqua salata che l'aveva rapita non le permettesse di respirare.
Ma in quel momento, l'unico nemico che le impediva di vivere era davanti a lei.
L'unica persona che in un qualche modo continuava a renderla debole con un semplice sguardo era lui.
Lui, che se ne rimaneva lì, con un'espressione sconvolta e dolorante.
Lui, che se ne rimaneva lì, con un senso di colpa che cercava di trasmetterle.
Lui, che se ne rimaneva lì, con mille parole da dire ma nessuna forza per farlo.
Quando gli occhi cominciarono a pizzicarle capì che doveva andarsene.
Non le importava di cosa avrebbe pensato Harry, non le importava di causare ancora più dolore nell'animo di Zayn, non le importava di nulla.
Voleva soltanto allontanarsi da lui.
Girò i tacchi nell'esatto momento in cui una lacrima le solcò la guancia, cosa che non sfuggì né allo sguardo attento del riccio né a quello del moro.
E quando questo allungò il braccio per fermarla, lei era già sparita tra la folla.
 
* * *
 
Il liquido rosso presente nel suo bicchiere le scivolò in bocca, facendole sentire un retrogusto amaro e abbastanza forte: chiuse per un secondo gli occhi per cercare di fermare quella strana voglia di vomitare e soltanto quando riuscì a riprendere il controllo di se stessa constatò che tutta la gente che l'aveva circondata fino a prima si era piazzata al centro della sala, a ballare e divertirsi sotto le note di Live While We're Young.
Senza nemmeno accorgersene era arrivata al punto della serata in cui un ragazzo, che aveva riconosciuto come un deejay inglese, aveva annunciato il successo del singolo che aveva aperto le porte al nuovo album dei ragazzi. Era arrivata, dunque, al motivo vero e proprio per il quale si trovava a quella festa.
L'espressione di Zayn le vorticava ancora in testa: quegli occhi doloranti e supplichevoli non la lasciavano in pace, quelle richieste silenziose di perdono la facevano impazzire, quel suo sguardo così persuasivo non le permetteva di respirare. Perché lui, assieme a tutto quell'alcool che aveva ingerito ma che sembrava non essere ancora abbastanza, le aveva rovinato la serata.
Sebbene cercasse con tutta se stessa a detestarlo, sebbene cercasse con tutte le sue forze di provare odio verso di lui, sebbene cercasse di non pensarlo, lui era sempre lì.
Chiuse le palpebre, trattenendo quelle gocce salate che stavano per scendere, stringendo i pugni con tanta forza da far diventare le nocche bianche.
Si sentiva debole.
Debole e sola come non lo era mai stata.
E in quel momento, nonostante tutto quel dolore, sentiva che l'unico in grado di salvarla era lui.
Improvvisamente, qualcuno le si accostò da dietro.
Improvvisamente, un paio di mani comparirono davanti al suo viso, congiunte in modo tale da formare un cuore.
Improvvisamente, uno strano calore cominciò a pervaderla.
«And girl, you and I, we’re ’bout to make some memories tonight»
Una voce calda e gentile le sussurrò all'orecchio l'esatta frase che in quel momento veniva cantata nella canzone, facendola sorridere in modo automatico.
Voltò di poco la testa per incontrare quelle iridi chiare che ormai conosceva bene, inebriandosi di quel profumo delicato e particolare e considerando che la vicinanza tra di loro era davvero molta.
Josh era lì, stretto a lei.
Josh era lì, e in quel momento ebbe la sensazione che lui non l'avrebbe mai fatta soffrire.
Josh era lì, nell'esatta posizione in cui Zayn non sarebbe mai stato.
«I wanna live while we're young», continuò la bionda, soffiando quelle poche parole sul viso di lui, prima di terminare quel pezzo assieme, in contemporanea con le note della canzone.
We wanna live while we're young.
I due si sorrisero a vicenda, rendendosi conto solo allora che quello che avevano pronunciato era una costatazione di quello che effettivamente volevano: vivere.
Vivere finché potevano, vivere appieno tutto quello che rimaneva della loro adolescenza.
Vivere, come se si fossero risvegliati solo allora.
Vivere, come se quello che avessero fatto nei vent'anni precedenti fosse stato cancellato.
Le sfere scure della bionda erano incatenate a quelle verdi del castano.
Possibile che avessero il potere di renderla così innocua?
Possibile che avessero il potere di renderla così libera?
Possibile che avessero il potere di renderla così felice?
Tutte le sue domande vennero spazzate via nell'esatto instante in cui una forza sovrumana si buttò su di loro. Nell'esatto istante in cui la canzone ripartiva per l'ultimo ritornello, qualcuno si era gettato di peso su quella coppia, rovinando quel momento con la sua impertinenza.
Quel profumo che ormai riconosceva facilmente assimilato a quella voce che continuava a cantare “Crazy, crazy, crazy ...” le fecero capire in un secondo di chi potesse trattarsi.
Alzò lo sguardo e si ritrovò davanti ad una capigliatura riccia, un sorrisone che andava da un orecchio all'altro e uno strano screzio di furbizia impresso in quelle iridi verdi.
Perché, se c'era una cosa che Harry aveva capito quella sera, era che a tenere divisi Nicole e Zayn c'era un abisso di segreti non confessati: lo scambio di sguardi pieni di tensione tra i due ad inizio serata non lo avevano lasciato indifferente, così come lo strano comportamento di entrambi nell'ultimo periodo. Le battutine acide sembrano essersi dissolte e quella stupida guerra terminata.
E cosa ancora più importante, sapeva che il subconscio della sua amica la stava ingannando, facendole credere che avrebbe potuto innamorarsi del batterista.
Lei era innamorata del moro.
Lei era innamorata del moro da sempre.
Serviva soltanto farle cambiare la visuale, serviva toglierle di dosso per un momento quelle convinzioni che credeva vere.
Serviva farla ragionare, e l'unico in grado di farlo era Zayn.
Lo stesso Zayn che aveva guardato da lontano quella scena.
Lo stesso Zayn che adesso si stava allontanando da quella sala.
Lo stesso Zayn che aveva capito che non poteva permettersi di aspettare ancora.


 
Eccomi, questa volta perfettamente puntale :)
Premetto che ho un paio di cose da sottolineare su questo capitolo. Allora, iniziamo con l’incontro tra le due ragazze: Eleanor ha invitato Nicole per una giornata di shopping alla ricerca del vestito che dovevano indossare per la festa in onore del successo di Live While We’re Young, e qui scopriamo un lato della storia d’amore tra la mora e il nostro Louis. Avevo detto che El sarebbe stata un personaggio importante, quell’amica che consiglia la nostra bionda con una frase altrettanto importante che verrà ricordata anche più avanti. Le due stanno legando molto, così come sta succedendo tra Nic e Josh (voglio precisare che quei due non stanno insieme, sono soltanto due amici che si stanno frequentando).
Ad inizio serata Zayn adocchia Harry parlare con quella che scambia con la sua nuova fiamma e quando ci va a fare una battuta assiste alla cruda verità: davanti a lui c’è la ragazza che sta rincorrendo ma che non riesce a fermare, quella ragazza con cui fa un gioco di sguardi micidiali, sguardi che feriscono entrambi e che finiscono col costringere lei ad andarsi a sfogare con l’alcool (voglio mettere in chiaro che le constatazioni che fa Nicole mentre è con Josh, tutta quella storia del Vivere Finché Siamo Giovani è solamente frutto di tutti i bicchieri che ha bevuto e della frustrazione di quella situazione).
Okay, penso che come capitolo questo sia stato abbastanza complicato a livello psicologico: saltano fuori tutti i dubbi di Nicole, tutti i suoi giri mentali e le sue preoccupazioni.
Ma non crediate che la festa sia terminata qui!
Nel prossimo capitolo succederà un bel casino e anche quello sarà ben importante!
Ci stiamo avvicinando alla fine della storia che avrà in totale 27 capitoli + l’epilogo (che devo ancora scrivere… Help me!)
Okay, per questa settimana mi sono divulgata fin troppo!
Vi ringrazio infinitamente per seguire ancora la storia e per farmi sapere i vostri pareri, non immaginate quanto voi siate importanti per me <3
Vi mando un bacio e un abbraccio,
Another_Life
xxxx

P.s. Quasi dimenticavo! Se volete, potete cliccare sopra ai nomi qui di seguito per vedere i vestiti che mi sono immaginata per le due ragazze!
Eleanor
Nicole

 
  
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


89
 
Change My Mind

 
Capitolo 24
 
 La brezza notturna di dicembre pungeva le guance del moro, ormai colorate di un rosa tendente al rosso; le sue mani, intrecciate in una stretta congelata, penzolavano nel vuoto, mentre i gomiti erano appoggiati alla fredda ringhiera. I suoi occhi erano chiusi in quell'oscurità più nera della notte, le labbra screpolate e i piedi indolenziti. Non aveva idea del tempo che era passato da quando aveva lasciato la sala, rifugiandosi sul grande balcone ignorato da tutti gli invitati, non aveva idea del tempo che avesse passato fuori a congelare.
Ma in quel momento il fuoco che circondava il suo cuore bastava per tenere al sicuro tutto il suo corpo, bastava per tenere in moto la sua mente e i suoi sentimenti.
Bastava per non farlo arrendere.
Il suo sorriso non lo aveva lasciato un minuto: continuava a vorticargli in mente, continuava a ripresentarsi ogni qual volta cercasse di pensare ad altro, continuava a tormentarlo senza lasciargli via di fuga. Ma in fondo, era doloroso fino ad un certo punto: certo, sapere che non era indirizzato a lui faceva male, essere consapevole che non era stato lui a crearlo lo rabbuiava a morte, constatare il fatto che, appena aveva incatenato i loro sguardi questo era sparito, lo feriva come niente altro, ma almeno pareva stare bene.
Poteva essere una maschera, una stupida scenetta incalzata per non far preoccupare nessuno, una delle rappresentazioni egoiste e abituali che era solita fare, ma lui non ci voleva pensare. Una cosa che gli aveva dato sollievo era vedere che, nelle sue fulminate fugaci, i suoi occhi non erano più intrisi di odio, quell'odio che tanto lo aveva reso debole: erano diventati, invece, lo spettro dell'incomprensibilità, lo spettro dell'invisibilità, lo spettro dell'intraducibilità. E questa cosa, sebbene lo riempisse di ansia e di paura, lo aveva reso più coraggioso: non c'era tormento peggiore del vedere ripugnanza nelle iridi della persona che si amava, ripugnanza legata a te, ripugnanza indirizzata proprio a te.
Cominciò così a ragionare sul suo comportamento, su come sarebbe riuscito a spiegarle ogni cosa, su come avrebbe anche solamente potuto avvicinarla. Perché, nell'ultimo periodo, lei lo aveva evitato come se fosse la lebbra in persona: le rarissime volte in cui si erano incontrati – con i ragazzi o senza – la sua espressione era mutata radicalmente, assumendo perfino una sfumatura spaventata, ed era scappata, nel vero senso della parola. Una finta telefonata, un impegno di lavoro, l'urgenza di una commissione: ormai aveva usufruito ogni scusa possibile, rendendo perfettamente evidente il fatto che il suo scopo era stargli accanto il minor tempo possibile.
Tutti gli insulti, tutti i commenti acidi e cattivi, tutte quelle frasi che ormai si era abituato a sentir pronunciare da lei erano sparite senza lasciare traccia. Quella specie di “guerra” era terminata, senza decretare però nessun vincitore.
Avevano perso entrambi, ed entrambi lo sapevano bene.
Entrambi erano stati vinti dalla paura, entrambi erano stati sovrastati dalla confusione dei loro sentimenti contrastanti.
Entrambi si sentivano impotenti, quando invece tutto era nelle loro mani.
 
* * *
 
Il riccio si liberò dell'ennesima ragazza ubriaca che gli si era incollata addosso e si avvicinò alla vetrata che dava al grande balcone: lì fuori, tutto era tranquillo.
E lui amava la tranquillità.
Amava il silenzio, la pace, l'anonimato.
Amava tutto quello che una volta aveva, amava tutto quello che una volta dava per scontato.
Amava tutto quello che ora gli era negato. Perché, essere una star a livello mondiale comportava delle privazioni. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva visto la sua famiglia, probabilmente priva dell'inizio della promozione del nuovo album. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva fatto visita ai suoi amici d'infanzia, non ricordava nemmeno l'ultima volta che si era sentito veramente a casa.
Perché, a questo punto, la vita che aveva scelto cominciava a stargli stretta.
Tutto quello che vedeva gli dava la nausea, tutto quello che scopriva su quel mondo tanto adorato dai giornali gli metteva disgusto. E continuava a domandarsi quanto sarebbe durato, continuava a chiedersi come avesse potuto finire in quel giro senza uscita, continuava a sperare in una possibile decadenza della band.
Non voleva lasciare i suoi migliori amici, non voleva perdere quel legame così forte che aveva costruito con ognuno di loro, non voleva rinunciare all'unica cosa alla quale teneva veramente.
Non voleva staccarsi da quel gruppo che gli dava la forza di fingere ancora e ancora.
Non voleva che tutto si rompesse, ma non voleva neppure che tutta quella sofferenza continuasse ad incrementare. Non sapeva come agire, cosa dire, cosa fare.
Non sapeva nemmeno che tutti, nella band, erano stanchi di quella vita.
Amavano cantare, certo, era pur sempre il motivo per cui avevano deciso di intraprendere quella strada, chi più convinto chi meno, ma nessuno di loro aveva anche solamente potuto immaginare dove sarebbero arrivati, quanti successi avrebbero abbattuto, quanta ricchezza avrebbero guadagnato. Perché, in quel settore, in quel mondo, in quell'universo parallelo, l'unica cosa che davvero contava erano i soldi. E lui, l'unica cosa che aveva desiderato, era poter cantare.
Un desiderio che pian piano si stava trasformando in un incubo.
Decise di uscire a prendere una boccata d'aria, sperando che quei pensieri si sarebbero presto dissolti. Non fece a tempo a respirare di sollievo quando vide una figura scura vicino alla ringhiera, con i gomiti appoggiati su di essa, il corpo ricurvo e la testa nascosta tra le mani.
Riconobbe immediatamente quel ciuffo di capelli corvini e quel fisico asciutto, fin troppo magro.
Riconobbe immediatamente il suo compagno di band, isolato da quella festa a cui era stato costretto a partecipare.
Riconobbe immediatamente quell'aria disperata e quello strazio che cercava di non far trasparire, senza risultati.
Gli si avvicinò silenziosamente, fermandosi a qualche passo di distanza e fissando intensamente il panorama notturno; si trovavano fuori Londra, in un locale privato e tenuto segreto per evitare imbarazzanti uscite di paparazzi, pronti a qualunque mossa falsa per costruire nuovi scandali. Le luci della capitale inglese illuminavano la scena, creando una vista spettacolare agli occhi verdi del riccio.
Zayn aveva riconosciuto il profumo del suo migliore amico, e, dopo un tempo che parve infinito, alzò la testa, mostrando quelle perle nere inumidite dal tormento.
«Grazie, per prima», sussurrò soltanto abbozzando un sorriso ironico.
Un sorriso che non assomigliava minimamente a quelli che era abituato a fare prima che lei ritornasse a sconvolgere il suo mondo.
Un sorriso amaro, che non aveva nulla di divertito.
Un sorriso che fingeva da scudo, un sorriso che aveva il compito di mentire.
«Zayn. – lo chiamò il castano, fermandosi un momento per prendere fiato – Non voglio intromettermi tra te e Nicole. Avete i vostri problemi e le vostre divergenze, ma io non posso e non voglio fare nulla. Non sarebbe giusto, verso i suoi confronti e verso i tuoi. Ma una cosa che mi sento in dovere di impedire, è che lei scelga senza prima sapere: non sono nessuno per dirle chi frequentare, non sono nessuno per dirle con chi stare, ma non trovo giusto che lei si avvicini a Josh senza prima sapere. Ho visto che hai i tuoi segreti, segreti che hai cercato di tenere lontani dalla sua portata, segreti che – me lo sento – cambierebbero radicalmente le cose; ma sono segreti che riguardano anche lei, segreti che la sconvolgerebbero e che muterebbero le certezze che ha sempre avuto su di te. Segreti che credo sia ora che vengano svelati. - Si fermò di nuovo, per poi spostare il suo sguardo serio sul moro - Sei pronto, amico?».
Il ragazzo continuò a fissare un punto indefinito all'orizzonte mentre la domanda del riccio continuava a vorticargli in mente.
Era pronto?
No, certo che no. Non era mai stato pronto.
Ma ora, in qualche modo, si sentiva diverso: dopo aver visto le scene degli ultimi giorni, qualcosa in lui era cambiato. Dopo aver constatato che effettivamente stava per perdere la sua Nicole, qualcosa in lui era mutato. Dopo aver notato quello strano screzio di attesa negli occhi della bionda, qualcosa in lui si era trasformato, rendendo quella paura meno solida e più valorosa.
Rendendo quella paura molto più simile al coraggio e alla speranza.
Aveva scoperto di provare ancora dei forti sentimenti per lei, aveva scoperto di amarla ancora, nonostante la lontananza, il tempo e la cattiveria che lei gli aveva gettato addosso. Aveva scoperto che il portale del passato non era mai stato chiuso, ma solamente accostato. Aveva scoperto che doveva dirle la verità, altrimenti entrambi non sarebbero mai riusciti ad andare avanti.
Sarebbe stata lei poi a scegliere.
Sarebbe stata lei a dichiarare con chi voleva stare.
Sarebbe stata lei a dover rivedere tutte le sue certezze.
Alzò il viso e incontrò quelle sfere verdi che lo stavano ancora analizzando.
«Non posso aspettare ancora, Harry», disse soltanto con un tono incrinato e la profonda consapevolezza che il peggio stava per arrivare.
 
* * *
 
«Nicole!»
La voce alta e roca del riccio le arrivò lenta e ovattata alle orecchie, a causa di tutta quella musica a volume altissimo. Si voltò assottigliando lo sguardo e notando il suo amico che si sbracciava mentre solcava a grandi passi la distanza che li divideva.
«Styles, eccoti finalmente. Ti stavo cercando», gli urlò lei per sovrastare tutto quel baccano.
«Non eri con Josh?», le chiese l'altro notando l'assenza del batterista.
Erano stati assieme tutta la sera, dall'esatto momento in cui lei era scappata dal moro fino a quando lui non era uscito sul balcone; li aveva visti ridere e ballare assieme, li aveva notati all'angolo delle bevande e degli stuzzichini e li aveva scovati perfino quando si erano nascosti da tutta quella folla, seduti in uno dei divani della Hall della casa.
E in quel momento si sentì in colpa: fissandola in quelle iridi scure, così sbarazzine e così apparentemente felici, non poté non trattenere quel senso di rimorso che gli attanagliò il corpo. L'aveva giudicata, poco prima, quando si era gettata totalmente fra le braccia di quel musicista, sotto gli occhi del ragazzo che era ancora follemente innamorato di lei. L'aveva descritta come un'egoista senza cuore, una persona cattiva, insensibile e cinica.
Ma era stato sovrastato dalla rabbia del momento.
Non aveva mai sopportato vedere la gente che amava soffrire, e notare quelle sfumature affrante e distrutte nelle sfere di Zayn... Non sapeva perché, ma lo avevano fatto sentire in qualche modo responsabile.
Ecco perché aveva disturbato quel momento di intimità tra i due.
Ecco perché poi la bionda lo aveva trucidato con lo sguardo.
Ecco perché poi li aveva tenuti sott'occhio per l'intera serata.
«Ha dovuto riaccompagnare a casa un suo amico del tutto ubriaco e non ha voluto che lo seguissi. Fra mezz'oretta dovrebbe essere di ritorno», gli rispose lei sinceramente.
Il riccio sorrise beffardo.
La fortuna era dalla sua parte.
«Ti va di venire a parlare fuori? Così respiriamo anche un po' d'aria fresca», propose, riferendosi all'odore pesante di alcool e fumo che regnava nell'intero salone.
La bionda sorrise e annuì con la testa, abbozzando un piccolo sorriso.
«Okay, aspettami sul balcone. Io vado a prendere da bere e poi ti raggiungo», le gridò all'orecchio prima di voltarsi e dirigersi verso l'ala drink.
Ruotò lo sguardo e la vide uscire.
Bene, tutto andava secondo il piano.
 
* * *
 
La fredda aria londinese la colpì in pieno, provocandole una serie di brividi su tutto il corpo.
Il vestito corto e leggero le fasciava solamente in minima parte il corpo, lasciandole libere le gambe e le braccia; incrociò gli arti superiori cercando di scaldarsi, mentre dalla sua bocca usciva un sospiro condensato. Pregò infine che il suo amico facesse presto e si ripromise che gli avrebbe rubato la giacca non appena l'avesse raggiunta.
Avanzò inconsciamente verso la ringhiera, affascinata dal paesaggio che si ergeva davanti a lei. Si maledisse per non aver portato la sua macchina fotografica e si concentrò al massimo per imprimere quello spettacolo nella sua mente; osservò le luci dei palazzi e delle case, la auto che viaggiavano senza sosta e la tranquillità in cui la capitale inglese era assolta.
Il luogo in cui si trovava contrastava con tutto quello.
Voltò lo sguardo verso la festa che continuava all'interno ed il riccio che ancora non si vedeva; ritornò alla posizione di poco prima ma, nel farlo, qualcosa catturò la sua attenzione.
O meglio, qualcuno.
Un ragazzo era a pochi passi da lei, con i gomiti appoggiati al muretto e la schiena ricurva. I suoi occhi brillavano e osservavano immobili la scena che si ergeva davanti a lui.
Il cuore della bionda perse un colpo.
Quel ragazzo era Zayn.
Spalancò gli occhi e continuò a scrutarlo scioccata, le mani tremolanti e il fiato corto.
Non poteva essere vero.
Il sorriso ironico di Harry ricomparve nella sua mente, accompagnato da quella proposta che sul subito aveva trovato sincera e spontanea.
Ti va di venire a parlare fuori?
Serrò la mascella, frustata, e cercò una possibile scappatoia. Lo aveva evitato a tutti i costi nell'ultimo periodo ed ora non poteva arrivare quel tipo dagli occhi smeraldo a rovinare tutto il suo impegno. Lei non voleva parlare con lui. Lei non voleva stargli accanto. Lei voleva dimenticarlo, e ci sarebbe riuscita, prima o poi. Josh l'avrebbe aiutata, esattamente come stava facendo adesso.
Josh...
Perché in quell'istante lo sentiva tanto lontano?
Perché in quell'istante sentiva di essere una bugiarda?
Perché in quell'istante tutte le sue certezze avevano cominciato a vacillare?
Cos'erano loro due?
Loro due erano due amici che si stavano frequentando.
Cos'era lui per lei?
Lui era un amico con il quale stava uscendo.
Cos'era lei per lui?
Lei era...
Non sapeva cos'era lei per lui, e improvvisamente qualcosa le attanagliò lo stomaco.
Continuò a fissare quella sagoma scura come lo erano i suoi occhi in quel momento, continuò a studiarlo con un'espressione agitata e impaurita, come se fosse a conoscenza di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Fece involontariamente qualche passo all'indietro ma improvvisamente il rumore dei tacchi sul suolo risvegliò il moro da quello stato di trance, costringendolo a voltarsi e a rimanere paralizzato alla vista della bionda. Tutto intorno a loro era avvolto nella più assoluta oscurità, ma nulla impedì alle loro sfere di incontrarsi e di allacciarsi reciprocamente, rendendo vani tutti i tentativi di andarsene.
«Nicole», la chiamò lui con un tono incrinato ed incredibilmente basso, quasi per accertarsi che quella davanti a lui non fosse solo un'allucinazione.
«I-io... Io non posso», balbettò incoerente la ragazza, scuotendo la testa e cercando di fermare la scia di lacrime che sentiva premere agli angoli degli occhi.
Ruotò il suo corpo e fece per scappare da lui, da quel pericolo che sentiva incombere, da tutto quello che la faceva star male. Fece per andarsene, quando qualcosa la trattenne: il suo polso era stato circondato dalla mano fredda del ragazzo, avvicinatosi in una frazione di secondo, terrorizzato dall'idea di perdere l'occasione che gli era stata offerta.
«Ti prego aspetta. I-io... Ti devo parlare Nicole, ti devo parlare, adesso».
La sua voce tremava, così come tutto il corpo: il contatto con lei gli aveva appannato la vista e la mente, percepire la sua pelle sulla sua mano gli aveva fatto perdere un battito cardiaco, ritrovarsela così vicina lo rendeva incredibilmente nervoso e agitato.
La fotografa si voltò, venendo così catturata da quei pozzi neri che la stavano risucchiando.
Il suo stomaco era andato in subbuglio, la sua razionalità stava scomparendo, ogni suo tessuto non rispondeva ai suoi comandi: era come se la sua anima si fosse staccata dal suo corpo.
«Ormai non ha più importanza», sussurrò abbassando lo sguardo.
Una lama affilata colpì il cuore del giovane, che barcollò per un secondo.
No, non poteva essere finita. Lei doveva sapere, lei doveva conoscere la verità.
Voleva urlare, voleva gridare tutto quello che si teneva dentro da più di quattro anni, voleva scappare da quell'oceano di segreti in cui era intrappolato. Ma ogni tentativo di parlare era inutile, era come se improvvisamente fosse diventato muto.
Rimasero interi minuti a fissarsi negli occhi l'uno dell'altra, rimasero in quella posizione esattamente come se fossero una coppia di fidanzati: lei non si sarebbe mai stancata di tuffarsi in quelle iridi scure con le sfumature tendenti al caramello, lui avrebbe passato secoli ad ammirare quelle perle color cioccolato. Si amavano da sempre: le capriole che facevano i reciproci stomaci, le farfalle che vorticavano nei reciproci intestini, le menti annebbiate e la spaventosa andatura che avevano preso entrambi i cuori ne erano le prove viventi. Si amavano da sempre, ma se Zayn era pronto ad urlarlo al mondo, lei non riusciva ancora a constatarlo a se stessa: le ferite che portava dentro di lei erano ancora aperte e portavano una quantità atroce di dolore, dolore che era più forte di tutto quello che provava.
E per combattere quel dolore aveva bisogno della verità che il pakistano era disposto a raccontarle, ma udire quelle spiegazioni sarebbe stato come ritornare indietro nel tempo, indietro a quella vacanza, indietro a quei sentimenti, indietro a quella felicità.
E lei non era ancora pronta a rivivere tutto quello.
Soprattutto perché sentiva che avrebbe dovuto rivedere tutte le sue certezze su di lui, e questa cosa non la ispirava affatto: si era convinta di odiarlo per mascherare le sue vere emozioni, si era convinta di odiarlo talmente tanto tempo prima che ormai era diventata una cosa scontata, si era convinta di odiarlo e revisionare questo dato di fatto le metteva inquietudine.
Chiuse gli occhi per bloccare quell'onda di sentimenti che la stavano inghiottendo.
Chiuse gli occhi e sentì la mano di lui incontrare la sua, stringerla forte e infonderle calore.
«Quando eri qui, solo ad un battito di cuore da me...».
Cominciò, facendo una pausa e permettendole di ricordare.
Ricordi intatti, come se fossero successi solamente qualche ora prima.
Ricordi che sapevano d'amaro.
Ricordi che le fecero perdere del tutto la sua razionalità.
«Quando stavamo ballando e hai alzato lo sguardo su di me...».
E come allora lei incontrò le sue trappole mortali, quelle di cui era dipendente dalla prima volta in cui le aveva incontrate.
«Se avessi saputo che mi sarei sentito così, se potessi tornare indietro... Non ti lascerei mai andare via», soffiò avvicinandosi ancora e arrivando a pochi centimetri dal suo volto.
E in quel momento lei vide la verità nei suoi occhi, una verità così limpida e così pura che per un momento la lasciò sconvolta; osservò ogni tratto del suo viso, quel viso che per tanto l'aveva accompagnata in ogni gesto, quel viso che non aveva mai dimenticato. Quei capelli scuri, tagliati da poco, le sopracciglia folte e l'accenno della barba nera, invisibile in quella vacanza.
Il cuore aveva iniziato una gara contro la velocità della luce, i polmoni erano vuoti d'aria da un pezzo, ogni suo tessuto si nutriva della vicinanza che regnava tra i due.
Combatté contro il desiderio insano e malato che la stava annientando, osservò ancora quelle sfere e ritrovò quelle di cui si era innamorata, solamente più cupe e straziate.
Fu un momento, un momento che non poté e non volle fermare.
Un momento in cui accadde l'inaspettato, un momento in cui tutto si fermò.
Zayn avanzò di nuovo, facendo combaciare le loro fronti.
La fissò per un interminabile istante, come se stesse valutando la cosa giusta da fare, ma nonostante sapesse bene di dover ascoltare la sua mente, decise di fare l'inverso.
Curvò le spalle e fece combaciare le loro labbra.
Il solo contatto diede inizio ad una serie di brividi lungo i corpi di entrambi, brividi che non sentivano da troppo, brividi che provocarono ai due giovani sensazioni di piacere; sul subito rimasero immobili, assaporando il sapore l'uno dell'altra, per poi rendere quel bacio sempre più intenso di emozioni, sempre più ricco di significato.
La bionda sentì una vampata di fuoco sulla guancia non appena il ragazzo gliela accarezzò dolcemente, seguito subito dopo dal tocco di lei tra i capelli di lui. I loro stati d'animo in quel momento non poteva essere più simili e contemporaneamente più diversi: lei si sentiva completa, esattamente come lui, ma percepiva anche il senso di colpa e l'autocommiserazione che l'avrebbero avvolta non appena tutto quello sarebbe finito.
Si fusero assieme e continuarono quel bacio, infischiandosene della mancanza di ossigeno.
Adesso, l'unico l'ossigeno di cui avevano bisogno era proprio davanti a loro.
 



Eccomi :)
Sono in ritardo, lo so, ma tra i vari impegni a cui sono stata trascinata e questo dannato capitolo che no, proprio non mi piace e non mi convince, non sono riuscita a postare.
Vi chiedo perdono, quindi, sia per l’attesa sia per questo orrore.
Allora allora allora…
Oggi ci aspetta la seconda parte della festa, quella più carica di eventi: abbiamo una conversazione tra Harry e Zayn nel balcone, conversazione nella quale il riccio cerca di dare coraggio all’amico e gli organizza perfino un’incontro al buio ;)
Prima però ritroviamo il nostro Hazza stanco e decisamente infelice della vita che sta conducendo, esattamente come era successo al moro nel Missing Moment. Vi aspettavate che fosse proprio lui a pensarla in questo modo? E, attenzione, tutta la band sta provando, in segreto, questi pensieri.
Voglio precisare che, con questa constatazione, non mi riferisco ai ragazzi della realtà, ho semplicemente voluto dare questa sfumatura alla loro carriera e al loro carattere nella fan fic.
Questo bacio, a dir la verità, non mi convince per nulla, seppiatelo. Non so se ho fatto bene ad inserirlo, credo di aver fatto un errore e boh, mi sento tremendamente insicura D: Spero solo che lo possiate apprezzare e che mi diciate in ogni caso la vostra opinione, ci tengo molto :)
Per finire, vi ringrazio immensamente se state ancora seguendo la storia, non immaginate quanto mi rendiate felice <3 Grazie davvero, per tutto <3
Un abbraccio a tutte <3
Another_Life xxx
 

    

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


 
89
 
Change My Mind
 
Capitolo 25
When it’s broken, you say there’s nothing to fix
And you pray, pray, pray that everything will be okay
While you’re making all the same mistakes

 

Nicole aprì gli occhi di scatto.
Zayn era davanti a lei.
Vicino. Troppo vicino.
Zayn aveva le palpebre chiuse, la barba completamente rasata e i capelli ingellati.
Zayn profumava di una di quelle fragranze costose e sofisticate, quelle che lei amava fino ad un certo punto.
Zayn era perfettamente in tiro, con quel completo nero, quella camicia bianca e quella cravatta scura.
Zayn la stava baciando, assaporando la sua bocca esattamente come aveva fatto quattro anni prima.
Si staccò da lui non appena si rese conto di quello che stava succedendo, di quello che lui stava facendo, di quello che lei assecondava da ormai qualche minuto.
Si staccò da lui non appena comprese l'errore madornale che aveva commesso.
Lo colpì sul petto con le mani, costringendolo a retrocedere di un passo; lo fissò intensamente negli occhi, riscoprendo quell'abisso nero che non si sarebbe mai stancata di ammirare. Lo fissò intensamente negli occhi, notando uno screzio di titubanza e di paura. Lo fissò intensamente negli occhi, leggendoci una serie infinita di scuse che non sarebbero mai potute bastare per dimenticare quello che era appena successo tra di loro.
Il moro si inumidì le labbra abbassando lo sguardo, quasi a cercare le parole giuste da poter proferire. Ma in quel momento, l'unica cosa di cui avevano bisogno entrambi era il silenzio. Quel silenzio che si necessitava quando succedeva qualcosa di sconvolgente, talmente sconvolgente da essere in grado di neutralizzare ogni briciolo di razionalità presente nel proprio corpo, talmente potente da essere in grado di renderti improvvisamente debole e stanco, talmente improvviso da essere in grado di farti smettere di respirare.
Talmente scioccante da essere in grado di farti chiedere cosa tu sia diventata.
Perché, in quei minuti, l'unica domanda che le frullava in mente era quella.
Cos'era diventata?
Nonostante le cose importanti, in quei secondi, fossero ben altre, lei non riusciva a districarsi da quel pensiero: continuava a scrutare quei pozzi neri come l'odio che aveva riversato per lui da quando si erano rincontrati, continuava a scavare in quei fossi profondi e bui come se lì vi ci potesse trovare una risposta. Sentiva ancora le sue labbra sulle proprie, quel sapore agrodolce che le aveva completamente fatto perdere la concentrazione, quelle emozioni dentro di lei che le avevano fatto dimenticare in un momento il mondo intero, quelle capriole dello stomaco che l'avevano aiutata ad abbandonarsi completamente ai suggerimenti del cuore. Percepiva ancora le farfalle all'altezza della pancia, la mente annebbiata dal piacere e il mezzo sorriso che si era formato sulle bocche di entrambi; strinse le mani a pugno, avvertendo ancora la sensazione dei suoi capelli morbidi tra le dita, i polpastrelli contro i suoi zigomi e i loro nasi che si sfioravano.
Si erano baciati.
Lo aveva ritrovato, dopo quattro lunghi anni.
Aveva riprovato quelle meravigliose sensazioni, dopo quattro lunghi anni.
E dopo quattro lunghi anni, nulla era cambiato: erano rimasti gli stessi, nell'esatto momento in cui si erano fusi assieme avevano rivestito i panni dei due adolescenti innocenti ed innamorati, nell'esatto momento in cui si erano uniti avevano riscoperto quale felicità portasse l'amore vero, nell'esatto momento in cui si erano riscoperti avevano capito che nulla era più giusto di quello che stavano facendo.
Ma di realmente giusto, in tutto quello che avevano fatto, cosa c'era?
Nulla sembrava essere dalla loro parte, nulla sembrava dare loro ragione.
Perché nella mente della bionda riaffiorò in un istante il sorriso limpido e sincero di Josh, quel suo onesto interesse verso di lei, quella sua vivacità che l'aveva distolta da tutti quei pensieri negativi. Ricordò le ore passate in sua compagnia, i film visti assieme, le domande che lui si era imposto di non farle – quelle domande che pure lei temeva, quelle domande che le avrebbero procurato ancora quel dolore straziante. Riportò alla memoria le sfide che avevano fatto, le corse tra i reparti dei supermercati stranieri, lo shopping in tutte le più importanti città europee: perché, nonostante lei sapesse che quello che lei provava per lui non era tanto grande come quello che lui provava per lei, nonostante fosse a conoscenza del fatto che stava mentendo a se stessa, a lui e a tutte le persone che amava, nonostante fosse convinta che stesse sbagliando tutto, non si sentiva ancora pronta a rinunciare a lui. Quel batterista che era entrato nella sua vita in una maniera strana e del tutto normale, quasi scontata, senza troppa difficoltà era riuscito a creare con lei quel rapporto che però non riusciva a crescere: la fotografa, malgrado tutta la sua buona volontà, malgrado tutto il desiderio che vi inseriva, non era capace di vederlo con occhi diversi. Osservava quelle perle chiare, quella smorfia adorabile dipinta sul viso, quel rossore sulle guance e non riusciva a descriverlo con una parola diversa da amico.
L'amore poteva nascere col tempo?
L'amore poteva nascere col tempo, anche quando percepivi che non sarebbe mai successo?
L'amore poteva nascere col tempo, dando spazio al cuore di abituarsi ai voleri della mente?
Ma soprattutto, una persona era in grado di cambiare la direzione dei propri sentimenti?
«Nicky?».
Sentendo quel soprannome, pronunciato da quella voce, qualcosa scattò in lei, costringendola ad abbandonare il suo flusso di pensieri e il silenzio in cui si era rinchiusa da ormai cinque minuti, per fissare intensamente il ragazzo che l'aveva chiamata con un sussurro quasi inudibile.
Nicky...
Nessuno l'aveva mai chiamata così prima di quella vacanza.
Aveva sempre preferito il suo nome intero, diminuito al massimo in Nic.
Nessuno l'aveva mai chiamata così dopo quella vacanza.
Lo aveva impedito a tutti, con la sola forza di una fulminata glaciale.
Nessuno l'avrebbe mai potuta chiamare così.
Quel nome apparteneva a lui, e solamente lui aveva il diritto di pronunciarlo, solamente lui aveva il potere di far sciogliere la sua rabbia e renderla debole con la sola presenza. Solamente da lui dipendevano i suoi stati d'animo, solamente a lui erano indirizzati i suoi veri sentimenti.
Come in un film, alcuni immagini di quattro anni prima si fecero spazio nella sua mente: immagini sfuocate, immagini che ritraevano due giovani innamorati del tutto ingenui, del tutto normali, del tutto felici.
Immagini che, come sempre, la fecero morire dentro.
Un groppo all'altezza dello stomaco, la loro risata fusa assieme.

Mille brividi lungo il corpo, le loro mani intrecciate nel buio della notte.
Gli occhi inumiditi dalle lacrime, i loro sguardi incatenati sotto la luce della luna.
Strinse i pugni fino a far divenire le nocche bianche, tenne il volto abbassato per non far scorgere al moro nessuna delle sue emozioni, chiuse le palpebre per impedire a quelle dannate gocce salate di scendere.
Inutilmente.
Zayn, vedendola scossa da alcuni singhiozzi, si rianimò da quello stato di trance in cui era caduto e si avvicinò di un passo alla bionda, pregando che lei non se ne accorgesse; alzò il braccio destro e portò le dita sotto il suo mento, levandolo e facendo incontrare le loro sfere. Rimase scioccato quando notò quelle iridi, di solito di un cioccolato vivace, ora colorate di un nero profondo, un nero che vacillava, un nero che non dava la sicurezza che lei gli aveva sempre esternato; rimase stupito quando entrò nello specchio della sua anima e vi lesse tutta la paura, tutta la titubanza, tutta la desolazione che lei cercava di nascondere.
I polpastrelli bruciavano, soltanto toccare la sua pelle, così liscia e morbida, gli provocava una moltitudine di emozioni che faticava a decifrare: il cuore andava a mille, perdendo a volte qualche battito per poi recuperarlo subito dopo con una velocità inaudita. Il respiro era irregolare, la mente del tutto annebbiata, concentrata esclusivamente su quella ragazza davanti a lui.
Quella ragazza che non aveva mai dimenticato.
Quella ragazza che gli aveva sconvolto nuovamente la vita.
Quella ragazza che continuava a sorprenderlo con ogni mossa che facesse.
Di nuovo il silenzio cadde su di loro: continuarono a fissarsi reciprocamente in quelle sfere che ognuno agognava, continuarono a leggersi dentro e a rimanere immobili come se avessero appena scoperto un nuovo mondo, un mondo nuovo, talmente sconvolgente e talmente ingannatore che impediva ad entrambi di reagire.
Il moro alzò il dito, strofinandolo sul labbro inferiore di lei e spostandosi delicatamente fino all'angolo della sua bocca; quanto gli era mancato quel tocco? Quanto l'aveva sognata? Quanto l'aveva bramata? Ed ora lei era lì, esattamente davanti a lui, per la prima volta inoffensiva, per la prima volta innocua, per la prima volta davvero reale. Perché odiava la maschera che aveva assunto dopo che lui l'aveva lasciata, odiava quello che aveva fatto finta di diventare a causa sua, odiava quel trucco pieno di menzogne che si portava dietro da troppo tempo.
Odiava lei, perché si mostrava come qualcuno che non era.
Odiava lei, perché continuava a comportarsi come un'altra persona.
Odiava lei, perché aveva abbandonato quelle caratteristiche che tanto l'avevano resa unica.
Ma più la scrutava, più le vedeva dentro di lei, accantonate in un angolo, dentro ad uno scatolone con su scritto Dolore. E in quel momento poté veramente capire quanto male lei fosse stata, quanta desolazione avesse portato nel suo cuore, quante lame gelide e taglienti avesse conficcato involontariamente nel suo corpo.
In quel momento capì come il suo egoismo e la sua immaturità lo avessero distolto da quello che lui si era ripromesso di fare: non farla mai soffrire. Una promessa stupida, fatta ad un'età instabile ed imprevedibile, da quel suo lato infantile e ancora del tutto inesperto. Una promessa stupida, però così difficile da mantenere e da dimenticare. Una promessa stupida, che racchiudeva tuttavia un universo di speranze mai veramente sotterrate.
Il petto di Zayn si alzava e si abbassava lentamente e in modo irregolare, così vicino a quello esile e spaventato della fotografa; i loro sguardi erano incatenati l'uno a quello dell'altra, le loro labbra erano serrate, secche e vogliose di sentirsi ancora premute su quelle della persona amate, i loro respiri erano un tutt'uno di ansia e tranquillità allo stesso tempo.
Ma proprio quando sembrava che si stessero per avvicinare di nuovo, la bionda rivide se stessa in quella panchina, quell'ultimo giorno, con il viso grondante di lacrime e il cuore spezzato, stretta ad un Louis molto più giovane ma ugualmente affidabile. Rivide se stessa in preda a tutta quella sofferenza e a tutto quel tormento, e improvvisamente qualcosa dentro di lei si ruppe.
Qualcosa come una sottilissima pezza, appena postata sopra a quelle cicatrici indelebili.
Ma si sapeva, se non si ci si avesse messo prima del cicatrizzante per disinfettare la ferita e un cerotto per fermare il sangue, entrambi sarebbero presto fuoriusciti, esattamente come era successo al rancore che lei portava ancora dentro se stessa.
Prese la mano con le dita che lui teneva ancora sul suo mento e la spostò da lei, abbassando poi il volto e chiudendo le palpebre, vulnerabile come non lo era mai stata; fece un passo indietro, decisa ad andarsene il più lontano possibile da lui e da tutto quello strazio.
«Nicky?», la chiamò con la voce spezzata dal pianto e gli occhi completamente inumiditi dalle lacrime che presto sarebbero fuoriuscite.
«Abbiamo sbagliato, io... io ho sbagliato», balbettò confusa e incapace di ragionare razionalmente.
Il cuore le esplodeva in petto, la mente le scoppiava, le gambe vacillavano.
Era come se fosse in balia del mare in tempesta, inabile perfino a respirare.
«Non è vero, Nicole io... Io sono ancora innamorato di te».
Sbarrò i suoi pozzi scuri quando, dopo qualche millesimo di secondo, comprese l'enorme significato di quelle parole. Dire che sarebbe stata l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettata era un eufemismo.
Lo fissò intensamente nelle sue iridi nere come la notte, trovandone prove di assoluta verità. Si ripeté quelle parole nella testa, gli mostrò la sua più completa paura e il più completo panico, tutta quella gamma di sentimenti che lui avrebbe dovuto scacciare via per farla tornare a vivere.
Tutta quella gamma di sentimenti che lo trafissero, che lo resero immobile e che gli fecero perdere parecchi battiti del cuore; quel cuore che tanto aveva sofferto, quel cuore che chiedeva solamente un po' di pace.
Quel cuore che non aveva mai smesso di pulsare amore verso l'unica ragazza a cui era sempre stato interessato, l'unica ragazza che lo aveva aiutato a tirar fuori il meglio di lui.
L'unica ragazza che non voleva cedere ai sentimenti che provava, l'unica ragazza che ancora una volta lo stava respingendo.
Quella ragazza che ora stava scuotendo la testa, come a voler cancellare quello che ormai la sua mente aveva impresso con il fuoco.
Quella ragazza che aveva cominciato ad indietreggiare, decisa ad andarsene.
«Ti prego, non te ne andare... - cominciò, vacillando sotto il suo stesso peso. – Per favore, non farlo», la supplicò mentre una lacrima fredda gli rigava il viso.
In quel momento lei sentì un dolore lancinante al petto, come se qualcuno le stesse strappando tutti gli organi con una ruvidità indescrivibile. Si sentì morta, nel vero senso della parola.
Ma nonostante la sua unica medicina fosse lì, davanti a lei, continuò a scappare, l'unico modo che conosceva per evitare i problemi e affrontarli.
Quei problemi che le avrebbero riaperto delle ferite che questa volta non si sarebbero richiuse.
Si voltò e, con una forza che credeva persa, rientro nella sala, diretta all'uscita.
Scappò sola, portando con sé un'agonia troppo straziante.
Scappò sola, mentre Zayn cadeva sulle sue ginocchia, con la testa tra le mani e quel pianto che continuava imperterrito.
Scappò sola, mentre il cuore di entrambi si spezzava per l'ennesima volta.

 

* * *



«Dannazione!», imprecò Louis mentre premeva per la sessantasettesima volta il tasto rosso del suo BlackBerry.
Era furioso.
Furioso con lei, che era sparita da due giorni senza lasciare una spiegazione a nessuno. Furioso con Zayn, che se ne stava davanti a lui, seduto in quella poltrona con la testa abbassata e lo sguardo puntato nel vuoto. Furioso con Liam ed Harry, che cercavano di calmarlo da ore, senza risultato. Furioso con Niall, che pur rimanendosene buono trovava la forza per mangiare anche in un momento del genere. Ma più di tutto, era furioso con se stesso, per non esserle accanto come un vero migliore amico avrebbe dovuto fare; dopo la discussione che avevano avuto meno di dieci giorni prima a Stoccolma, il loro rapporto si era un attimo affievolito: Nicole giustamente aveva cercato di evitarlo almeno nel primo tempo, impaurita che lui potesse ripescare quel discorso e costringerla a guardare in faccia i suoi veri sentimenti, ma dall'altra parte anche lui le aveva lasciato il suo spazio, convinto che così facendo lei avrebbe potuto comprendere meglio se stessa.
Ma evidentemente l'aveva sopravvalutata: la sua testardaggine era più forte di quanto avesse pensato.
Continuò a camminare avanti ed indietro in una delle stanze della casa discografica mentre digitava di nuovo quella serie di numeri, ormai imparati a memoria; dopo qualche minuto stava per riattaccare, quando successe l'inaspettato.
«Louis», lo salutò un filo di voce senza alcuna emozione.
«Nicole... - balbettò questo, in un primo momento sotto shock, attirando l'attenzione di tutti. – Cazzo, Nicole! Dove diamine sei? Stai bene? Come ti è saltato in mente di sparire in questo modo? Non immagini quanto mi hai fatto preoccupare! Se sapessi cos-...»
«Louis, non ti agitare, sono grande e cosciente delle mie azioni. Sto bene, tranquillo. E presto tornerò... credo», gli disse con tono autoritario e fintamente calmo, tono che si affievolì fino a scomparire nell'ultimo termine.
Credo...
Cosa aveva voluto dire?
Cosa cavolo aveva in mente quella bionda squilibrata?
Cosa si era messa in testa di fare?
Mille domande sovrastarono la mente del castano mentre con occhi sbarrati fissava ognuno dei suoi compagni; si sentiva morire dentro e, come unico appiglio, si fermò a fissare le iridi scure e tremanti di Zayn, che lo studiava con una paura palpabile.
«Dio, Nicole! Che cosa sta succedendo?», sbraitò ancora più agitato di pochi minuti prima.
«Niente Lou, non sta succedendo niente! - gli rispose urlando anche lei, esasperata dalla sua poca fiducia nei suoi confronti. Fece e una pausa e poi continuò. – Ora devo andare, mi faccio risentire io, okay?».
«Non provare a spegnere quel dannato cellulare e dammi una sp-».
Un leggero bip che segnava il termine della chiamata invase l'orecchia destra del ragazzo, che assunse un'espressione a dir poco adirata: fissò incredulo prima i suoi amici e successivamente l'apparecchio che aveva in mano, trattenendo l'istinto di lanciarlo contro il muro.
Nessuno fece in tempo ad aprire bocca che la porta si aprì, scoprendo la figura di un ragazzo.
«Josh», lo accolse Niall, l'unico che sembrava avere ancora la facoltà di parlare.
«Ragazzi, sapete per caso dov'è Nicole? Ero alla festa con lei ma poi è sparita, ho parlato ieri con Jane e mi ha detto che si è presa un paio di giorni di ferie, ma non risponde ancora né alle mie chiamate né ai miei messaggi. Le è successo qualcosa?», domandò con evidente preoccupazione.
«Jane ha detto cosa?», gli chiese subito Liam con il volto corrucciato.
«Che aveva bisogno di un paio di giorni di vacanza, credo che non stesse bene. Voi non ne sapevate nulla?», continuò l'altro sempre più agitato.
I cinque si lanciarono sguardi di fuoco, incapaci anche di espellere una singola sillaba.
Erano sconvolti: quella ragazza che sembrava così forte e determinata era scomparsa nel nulla da più di trentasei ore, senza lasciare la minima spiegazione a nessuno. O almeno, a nessuno oltre a Jane, il suo capo.
Se Louis in quel momento si sentiva tradito, Zayn non poteva non smettere di pensare a quanta colpa avesse lui in tutta quella storia: si era dichiarato, le aveva chiaramente espresso i suoi veri sentimenti senza nemmeno pensarci, le aveva aperto il suo cuore senza minimamente osservare le possibili conseguenze. E lei, spaventata, era fuggita, esattamente come aveva fatto lui in passato.
Ora poteva capire come ci si potesse sentire ad essere abbandonati senza una dannata spiegazione, ora poteva comprendere come fosse nato tutto l'odio che lei gli aveva riversato contro: lo aveva covato per anni, inconsciamente, e, non appena lui le aveva fatto quella scenata silenziosa ai distributori di merendine, questo aveva cominciato a fuoriuscire, come un vulcano in eruzione.
Era colpa sua, solamente colpa sua.
Era sempre stata colpa sua, sempre.
Osservò quel batterista che un tempo aveva considerato un amico, un amico che ora non riusciva più a guardare negli occhi, e non poté non pensare di aver rovinato tutto ancora una volta.
«Ci ha appena telefonato e ci ha chiesto di chiederti scusa da parte sua, ma ha il cellulare che non funziona bene. Ci ha detto di essere tornata a casa qualche giorno perché non si sentiva particolarmente bene, probabilmente non è abituata alla vita al fianco di una boy band e si sente un po' spossata. Dovrebbe tornare presto, tranquillo», gli rispose improvvisamente un Harry pacato e formale, dando un pacca sul braccio al ragazzo che tornò prontamente a respirare.
«Per fortuna non è nulla di grave. Grazie ragazzi, vi lascio soli», pronunciò con un innocente sorriso sulle labbra prima di uscire dalla stanza.
Quattro paia di occhi si fiondarono subito addosso al riccio, scrutandolo confusi e alquanto scombussolati.
«Che c'è? Ci serviva una scusa e nessuno di voi si voleva fare avanti – si giustificò come se fosse la cosa più lampante e più naturale del mondo. – Comunque, Louis, ti ha detto dov'è?»
«No – disse il castano mentre scuoteva la testa, – ma se fosse qui la ucciderei con le mie stesse mani».
«Ne sei sicuro? Non hai riconosciuto proprio nulla che ti potesse suggerire qualcosa?».
Tommo negò di nuovo, ancora più sconsolato, mentre il suo coinquilino fissava il moro seduto davanti a lui.
«Hai qualche idea di dove potrebbe essere? Un luogo che la potrebbe far sentire a casa in qualche modo?».
Zayn provò a pensarci su: dove potrebbe essere finita? Dove potrebbe essersi nascosta?
Non conosceva così bene Londra – e nemmeno le piaceva molto, a dirla tutta – e oltre alla sua stanza d'albergo, in cui si erano già recati, non poteva trovarsi in altri luoghi; a meno che non avesse preso il primo aereo che le si fosse presentato davanti, andando a finire nemmeno lei sapeva dove, c'erano ben poche possibilità, una di queste proprio la sua famiglia.
No, troppo scontato, Nicole non era così stupida, non aveva sentito il bisogno di rivedere i suoi parenti nemmeno quando erano stati in Italia con la promozione del nuovo disco.
«Ho sentito una specie di brusio, qualcuno che parlava in tedesco, forse anche il verso di un gabbiano... Ma potrebbe essere dovunque», mugugnò Louis spettinandosi i capelli in un gesto automatico.
Qualche secondo di silenzio nel quale tutti si persero nei propri pensieri.
Poi, la svolta.
Zayn alzò il viso, improvvisamente colto da una fulminazione.
Fissò le iridi blu dell'amico, il quale lesse nel suo sguardo la soluzione a quel quesito.
Fissò le iridi cioccolato di Liam e lui, dopo un primo momento, gli sorrise e annuì con il volto.
«Vattela a riprendere», annunciò il cespuglio con una smorfia provocatoria.
«E questa volta fa in modo che ti ascolti fino alla fine», continuò il biondo.
«Buona fortuna, amico», gli augurò l'irlandese.
«E non farla soffrire di nuovo», terminò il castano, le cui sfere tornarono a brillare di quell'azzurro vivido.
Tutto questo dolore doveva finire, una volta per tutte.
Il moro prese la giacca e uscì nella fredda Londra di metà dicembre, diretto verso l'unica persona che sarebbe stata in grado di renderlo di nuovo vivo.

 



 

Eccomi :)
Scusate il ritardo ma sono stata molto impegna nell’ultima settimana e non sono riuscita ad aggiornare prima.
Questo era il venticinquesimo capitolo, la “calma” prima di quello che sarà l’episodio che si aspetta dall’inizio! Come potete vedere, la prima parte è incentrata molto sulle sensazioni di Nicole dopo quel bacio che voi avete per fortuna amato :D Quella parte è molto psicologica proprio perché la nostra protagonista non riesce ancora ad ammettere di essere innamorata del nostro Zayn: lo percepisce, sente quelle scariche elettriche che la avvolgono ogni volta che è in sua presenza, sente le farfalle e i problemi che apparentemente scompaiono.
Ma Nicole deve ragionare, deve pensarci bene e per farlo deve scappare da lui, dai suoi amici, dalla sua nuova vita e da quella città che non le piace. Spero abbiate capito qual era la sua destinazione, ma in ogni caso ne avrete la conferma nel prossimo capitolo.
La seconda parte è incentrata su Zayn e gli altri ragazzi, la comparsa di Josh (stavo piangendo mentre scrivevo di lui, aiuto) e la rabbia di Louis – tenetela a mente perché ricomparirà :D
Credo di poter concludere questo spazio autrice, adesso mi vado a nascondermi in un angolino buio in attesa delle vostre sentenze. Ringrazio ancora una volta tutte le ragazze che leggono la storia e che la seguono, che mi fanno piangere come una stupida alle loro opinioni e ai loro complimenti e niente, non immaginate nemmeno quanto siate importanti per me :)
Un bacio e a presto,
Another_Life

 
  

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


89
 
Change My Mind

 

Capitolo 26
 
You’ll never know how to make it on your own
And you’ll never show weakness for letting go
I guess you’re still hurt if this is over
But do you really want to be alone?


Non era l'ideale camminare sulla battigia in quella stagione dell'anno, non era l'ideale sentire l'acqua fredda del mare infrangersi contro le caviglie nude. Ma Nicole continuava a muovere un passo dopo l'altro, noncurante di quello che stava succedendo.
Perché, effettivamente, lei non riusciva a capire.
Non riusciva a dare un senso a quel vuoto che percepiva nel suo stomaco, quel vuoto così strano e apparentemente nuovo, quel vuoto che però era così familiare da farle provare dei brividi su tutto il corpo. Brividi che non erano causati dai piedi spogliati da quelle infradito che aveva comperato da un cinese qualche ora prima, né da quel liquido di un azzurro scuro e opaco che sfiorava i quindici gradi. Brividi che provenivano dalla sua anima, brividi determinati dalle emozioni che si stavano accomunando dentro di lei da ormai più di due giorni.
Estrasse il cellulare dalla tasca del giaccone pesante e vide l'ennesima chiamata di Louis illuminare lo schermo: sospirò, rifiutandola e spegnendo l'apparecchio. Odiava il suo comportamento, l'ultima cosa che voleva era farlo rimanere in pena per lei, come se non avesse già abbastanza problemi a cui badare, ma doveva tenerlo lontano.
Doveva capire da sola quello cosa le stava succedendo, prendere le distanze da tutti loro – e da lui in particolare – le era necessario. Non amava stare da sola perché odiava riflettere sulle cose e capire i suoi errori, ma in quella circostanza ne era assolutamente costretta: quella strana cosa iniziata nell'esatto momento in cui lei era arrivata a Londra, quando aveva riconosciuto loro, quando si era scontrata con lui. Quella storia aveva un senso logico, ne era certa, come lo avevano le emozioni che l'avevano sovrastata negli ultimi due mesi, come lo aveva la loro rimpatriata inaspettata, come lo aveva costantemente tutto quello che la circondava.

Non era così stupida da negare quello che le stava accadendo.
Perché, effettivamente, qualcosa dentro di lei stava cambiando.
Ripensò alla se stessa dell'estate passata e a quella che era attualmente: aveva davvero creduto che il periodo dei cambiamenti fosse terminato anni prima, ma si era sbagliata. In quell'arco di tempo trascorso con quei ragazzi aveva sentito la sua anima mutare, quasi radicalmente: sapeva di essere diversa, lo sentiva, percepiva qualcosa di nuovo dentro di lei, qualcosa che sembrava estraneo quando invece non lo era. Era come uno di quei dejà-vu di cui si parlava tanto: aveva già provato quelle sensazione ma era come se fosse la prima volta. Non ricordava quando, dove e con chi poteva essere stata invasa da quella consapevolezza, ma allo stesso tempo lo sapeva perché la risposta era così facile e scontata da sembrare inopportuna, riposta in uno di quei cassetti della sua mente che aveva chiuso quattro anni prima.
Faticava a rendersene conto, la sua lucidità le diceva che tutto quello era sbagliato.
Sbagliato come lo era stato quel viaggio per lavoro a Londra, sbagliato come lo era stato l'aver accettato la proposta del suo vecchio professore di fotografia. Sbagliato come lo era stata quella guerra, il suo comportamento scorretto e infantile, sbagliato come lo era stata quella festa, sbagliato come lo era stato quel bacio e la sua fuga. Sbagliato come lo era stato il suo abbandono alla fine di quella vacanza, sbagliato come lo era stato il suo reagire a tutto quel dolore.
Sbagliato come lo era stato il cambiamento radicalmente di stile di vita.
Perché soltanto ora riusciva a capire come tutto quel mondo che si era creata attorno le stesse stretto, solamente in quel momento riusciva a percepire il soffocamento contro cui aveva combattuto per secoli, l'asfissia che l'aveva avvolta come una borsetta di nailon attorno al volto, l'oppressione a cui si era quasi abituata. Era esattamente come se qualcuno la stesse strozzando, impedendole di respirare quell'ossigeno che ormai aveva iniziato ad evitare.
Quell'ossigeno senza il quale aveva smesso di vivere realmente.
Quell'ossigeno che però aveva ricominciato a circolare nei suoi polmoni da quando aveva cominciato a lavorare con loro. Perché loro – involontariamente e inconsciamente - avevano ricreato quell'ambiente nel quale lei poteva essere finalmente se stessa, quella che era sempre stata, quella che aveva dovuto nascondere per paura di soffrire di nuovo. Era bastava la loro semplice presenza, la loro vivacità e la loro naturalezza per abbattere quelle barriere che lei stessa si era costruita così ardentemente da non riuscire più ad uscirne. Perché ognuno di loro le aveva insegnato qualcosa in quei mesi passati assieme. Tutti, a cominciare dal suo migliore amico.
Louis, con i suoi sguardi indagatori e telepatici, le aveva ridato quell'amicizia profonda di cui lei aveva sempre sentito la mancanza. Quell'amicizia che da subito era stata una cosa naturale tra i due, quell'amicizia che si era spenta troppo presto, quell'amicizia che era rinata all'improvviso e che – lo avrebbe giurato – sarebbe durata per sempre.
Harry, con quelle sfere smeraldo, l'aveva protetta e l'aveva aiutata come mai si sarebbe aspettata: quel ragazzo così apparentemente ingenuo era riuscito ad osservare le varie scene che la ritraevano con il moro con una minuzia tale da ragionarci poi attentamente e arrivare alla giusta conclusione.
Conclusione che lei ancora faticava ad accettare.
Niall, con quell'accento irlandese e quella fame travolgente, era riuscito a trasmetterle l'amore per il proprio lavoro, la devozione verso i fan che li avevano fatti arrivare fino a lì, la diversità di un ragazzo che non si immischia negli affari degli altri e che da ai suoi migliori amici tutto il sostegno possibile.
Liam, con quel sorriso sereno e quella preoccupazione verso il suo compagno di band, era stato il primo a farle comprendere quanto tutto il loro comportamento fosse errato. Le aveva lanciato degli avvertimenti fatti di espressioni mute e occhiate pensierose, consigli silenziosi e speranze a cui non aveva mai dato voce.
Avvertimenti che lei aveva compreso davvero solamente in quel momento.
Infine c'era Zayn, probabilmente il ragazzo che le aveva insegnato tutto della vita.
Perché lui le aveva insegnato a vivere veramente.
E in quel momento, pensando a lui, non riusciva a percepire altro che disperazione, senso di colpa e tristezza. Si sentiva colpevole per tutto quello che era successo da quando era ricomparsa all'improvviso, rovinandogli il suo sogno perfetto. Si odiava per aver provocato quella desolazione nei suoi occhi, per averli visti spenti e privati di quella lucentezza che l'avevano mandata in estasi quando ancora andava al liceo. Non si perdonava la sua sfacciataggine e la sua noncuranza, il suo dannato egoismo e la sua sfrontatezza: solamente in quel momento era riuscita davvero a cogliere quella nota di distruzione negli specchi della sua anima, solamente in quel momento aveva captato quanto male gli avesse fatto, quanta sofferenza avesse recato alla persona a cui teneva ancora in una maniera che non riusciva a spiegare.
Perché tutto, di quella storia, non aveva un senso.
Tutto, a partire dai sentimenti che lei sentiva ancora vivi in ogni suo tessuto.

 
* * *


Zayn correva. Correva veloce e respirava in modo agitato, superando i passanti stranieri, osservando ogni ragazza bionda che aveva la fortuna di incontrare.
Ma nessuna era lei.
Una aveva i capelli troppo scuri, l'altra troppo ricci, l'altra ancora troppo corti.
Una portava a passeggio il cane che lei non aveva mai avuto, l'altra rassicurava una bimba alla quale era appena caduto il gelato.
Tutte così dannatamente diverse da lei.
Il cuore aveva il battito accelerato dalla rabbia, la mente era completamente annebbiata e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era lei: lei, con quel sorriso ironico, lei, alterata dalla loro ennesima litigata, lei, concentrata come lo era stata in ogni loro servizio fotografico. Lei, con il viso bagnato dalle lacrime che lui aveva scaturito, lei, con quei pozzi scuri avvolti dalla paura e dallo shock che non era stata in grado di nascondere, lei, con il volto dipinto di quel pentimento che gli aveva chiesto silenziosamente perdono.
E più la pensava, più il ricordo delle sue labbra sulle sue lo divorava.
Le aveva aspettate per così tanto tempo, le aveva attese, bramate, desiderate in quei sogni che – ne era stato convinto – non avrebbero mai potuto diventare realtà. L'aveva stretta a lui, assaporando quel contatto, rendendolo unico e impareggiabile: quel gusto di segreti che ancora non erano stati svelati, quel gusto di scuse innocenti ed errori fatali, quel gusto di amaro che lui aveva il compito di far diventare dolce.
L'aveva stretta a lui, pronto a non lasciarla mai più.
Ma a lei non bastava, lei voleva sapeva, lei doveva sapere. Doveva, perché in quel modo sarebbe stata libera di chiudere definitivamente il portale del passato.
Fermò una ragazza con un chignon alto e la costrinse a guardarlo: gli sfuggì un'imprecazione quando notò i suoi occhi azzurri guardarlo in cagnesco e balbettò alcune scuse frettolose, prima di tornare a correre come un ricercato.
Terminato il viale risalì la stradina che portava alla spiaggia e continuò a camminare velocemente sotto lo sguardo stranito di alcuni anziani. Proseguì finché non capì di essere su quel marciapiede, diretto verso quel luogo.
Il luogo dove era iniziato tutto.
Il luogo dove tutto doveva terminare.
Si sentiva agitato, agitato come mai era stato: le mani sudavano, la testa girava, il cuore esplodeva nel petto. Le gambe erano diventate molli e tenere a bada le sue articolazioni stava diventando davvero complicato. Poi, come colpo di grazie, la vide. E allora ecco che tutto il suo esercizio per mantenere la calma era andato a farsi benedire.
Inconsapevolmente, si fermò.
La osservò, mangiandosi con le sue sfere ogni suo minimo dettaglio: il vestito della festa era sparito, lasciando il posto ad un paio di jeans aderenti, risvoltati fin sotto il ginocchio, e la parte superiore del corpo era fasciata da una felpa e da un giaccone invernale. I capelli, tenuti sciolti, erano in disordine e accoccolati sulla sua spalla sinistra mentre i piedi, spogli di quelle infradito abbandonate davanti a lei, erano appoggiati alla panchina su cui era seduta. Le braccia circondavano le gambe e il viso era sepolto tra di esse.
Un peso enorme si era impossessato del suo cuore, ora totalmente pietrificato.
I suoi occhi erano incantati dalla bellezza che aveva anche in quelle condizioni, i suoi arti ora andavano per conto loro, senza eseguire i comandi che inviava loro il cervello.
Era bloccato.
Improvvisamente, la vide alzare impercettibilmente la testa.
Osservava il mare gelido e le onde che si infrangevano sulla battigia, quasi come se fossero le risposte a tutte le domande a cui cercava di dare un senso. E poi, sola e increspata sulla sua guancia, regnava una lacrima, l'ennesima. Le notò gli occhi e le gote arrossate, e qualcosa in lui scattò.
Si ritrovò improvvisamente a camminare, contro la sua volontà, verso di lei, verso quella panchina, verso la verità che le stava per raccontare.

 
* * *


Nel momento in cui sentì una presenza fermarsi accanto a lei, Nicole voltò lo sguardo, circospetta: spalancò le sue iridi nere quando notò che quella presenza era Zayn, il suo Zayn. Lo squadrò da capo a piedi, fermandosi poi sul suo viso e sul suo respiro affannato, sui suoi pozzi scuri che la stavano studiando attentamente. E nonostante lui attendesse solamente un “Che diamine ci fai qui?” uscire dalle sue labbra sigillate, lei si spostò di poco, quasi a invitarlo a sedersi.
Era sorpresa di trovarselo lì, questo era ovvio, ma non così sorpresa come lui avrebbe immaginato: sapeva che sarebbe arrivato, sapeva che prima o poi qualcuno dei ragazzi l'avrebbe trovata. Quello che non credeva, però, era che potessero arrivare così in fretta.
Il moro boccheggiò, evidentemente confuso dall'improvvisa reazione pacifica della bionda; esitò un attimo prima di accomodarsi vicino a lei, permettendo al suo odore di vaniglia di inebriargli le narici e alla sua vicinanza di fargli perdere buona parte della sua determinazione. Rimasero qualche secondo nel più assoluto silenzio, silenzio rotto solamente dal rumore del mare.
«Gli schizzi di Louis mi spaventano», sussurrò lei accennando ad un piccolo sorriso. Odiava quella situazione, odiava averlo accanto e non sentirlo parlare, ridere o scherzare. Odiava vederlo così teso e triste, odiava tutto quello che era successo tra di loro negli ultimi due mesi. Odiava il suo comportamento, e così facendo stava tentando di fargli capire quanto era dispiaciuta.
«È solo tremendamente preoccupato per te – le rispose lui, curvando un angolo della bocca verso l'altro. – Non immagini nemmeno quanto tenga a te».
Improvvisamente, parlare tra di loro era diventato facile: lei non gli riservava quelle dannate battutine acide, lui non la fissava con quella rabbia negli occhi e non la punzecchiava come era stato solito fare. L'ira che avevano provato l'uno verso l'altro era scomparsa, lasciando il posto a quelle che erano le loro vere emozioni: erano più tranquilli di quanto non lo fossero mai stati, stare assieme era l'antidoto che entrambi cercavano da tempo. Stavano bene, una volta tanto stavano davvero bene.
Ma quell'improvvisa simpatia della bionda non era cristallina: le domande che gli voleva porgere, le spiegazioni che necessitava – ora lo aveva capito, dopo due giorni passati a ragionargici sopra lo aveva finalmente ammesso a se stessa – erano ancora lì, ferme in un angolo della sua mente, pronte ad uscire da un momento all'altro. L'unica cosa che aspettava era un aiuto, un qualcosa che le permettesse di intavolare il discorso. E Zayn finalmente gli aveva dato lo spunto giusto.
«E tu? Quanto tieni a me?», gli chiese con un tono del tutto uguale a quello di poco prima, solamente più deciso e serio.
Il moro faticava a capire l'improvviso cambiamento di lei, la sua apparente gentilezza, il suo sorriso sincero: sembrava che fosse cambiata, sembrava che fosse tornata la ragazzina che aveva conosciuto tanto tempo prima. E più rimuginava su quella che lo aveva scosso, più sapeva che la risposta poteva essere una soltanto.
«Tanto, forse addirittura troppo – cominciò, sorridendo imbarazzato. - Tengo a te più di me stesso, più della mia vita, più di quanto io abbia mai potuto immaginare».
Quelle parole la trapassarono, facendola per un attimo sentire nuda sotto i suoi occhi e sotto il gelo di dicembre; puntò lo sguardo su un punto indefinito per qualche minuto - ripensando a quello che le era stato appena confessato, tremando impercettibilmente e sentendo il cuore esploderle nel petto -, per poi spostarlo su di lui, sulle sue perle screziate di cioccolato e sulla sua espressione. Il sangue pompava nelle sue vene, le sue gambe erano diventate molli, la sua razionalità si stava pian piano affievolendo. Arrossì sulle gote e fece una smorfia per trattenere la strana euforia che l'aveva invasa mentre il moro la osservava e pensava che non c'era spettacolo più bello.
Quella era la ragazza di cui si era innamorato, quella era la ragazza che voleva al suo fianco.
Quella era la ragazza a cui avrebbe dovuto svelare l'ennesimo segreto di lì a pochi minuti.
«Quattro anni fa non era così?».
Ed eccola, la domanda che attendeva e alla quale era obbligato a rispondere.
Il ragazzo sospirò, sentendo l'aria farsi improvvisamente più elettrica: Nicole non lo aveva accusato, non aveva sputato quelle parole con tutta l'acidità che poteva avere in corpo, non gli aveva urlato quella frase con rabbia e frustrazione. Il suo tono era piatto, evidentemente provato, dispiaciuto e confuso, esattamente come lo era stato quello della quindicenne che aveva conosciuto.
Zayn si passò una mano tra i capelli corvini e chiuse gli occhi, come per prendere coraggio; lei lo fissava, inespressiva, scrutando ogni suo movimento, desiderosa di mettere un punto a tutta quella storia.
«Conoscerti è stata la migliore cosa che mi sia mai capitata, meglio di quell'audizione che mi ha cambiato la vita, meglio di tutto il successo che mi ha invaso e meglio di tutti i soldi che mi sono ritrovato nelle tasche – sospirò, chiuse gli occhi e riprese dopo qualche secondo. - Vorrei che mi credessi se ti dico che sei stata tu a mutarmi completamente, a mutare il mio mondo e le mie necessità: quella vacanza... Non sono in grado di descriverla da quanto sia stata importante per me. E lo so che adesso tu mi odi, so che che mi hai odiato in tutti questi quattro anni, so che mi hai odiato come mai hai odiato qualcuno. Te l'ho letto negli occhi tutte le volte che abbiamo litigato, tutte le volte che seguivi quel teatrino che io stesso ho creato. Quell'astio che mi trasmettevi mi ha abbattuto con una forza tale che non credevo potesse esistere, una forza che non era fisica, ma psicologica, una forza che mi ha tolto tutto e ha fatto riemergere quel dolore che avevo sepolto sotto tutte le esperienze che ho fatto in questi anni».
La bionda lo ascoltava immobile, preoccupata che anche soltanto il rumore di un respiro potesse fermare quella spiegazione che tanto aveva agognato. Ma sentirla faceva più male del previsto. Sentirla era come rivivere per l'ennesima volta tutto, da cima a fondo. Sentirla era come ritrovarsi di nuovo avvolta da quei dannati ricordi.
Il ragazzo prese un respiro, continuando a tenere lo sguardo dritto verso il mare.
«Sedici anni sono troppo pochi per innamorarsi. Sedici anni sono troppo pochi per provare un dolore simile, per sentire la colpa di averti fatto stare male in un modo assurdo, per avere la consapevolezza di essere stato un codardo, uno stupido, un ragazzino. Perché in fondo, io sono colpevole tanto quanto mio padre».
Zayn tremò pronunciando quel nome, tremò come soltanto la paura aveva il potere di fare. Gli occhi erano lucidi e le lacrime stavano bramando l'uscita, ma lui le teneva dentro, sepolte, segregate.
Doveva terminare, dannazione.
E quelle dannate gocce salate non lo avrebbero fermato.
«La persona che tu hai conosciuto durante quella settimana era vera. Non era una maschera qualunque, non era la personificazione di un qualcuno che non esiste. Ero io quello che hai conosciuto, io. E so che quello che è successo ti ha portato a credere che il mio era soltanto un divertimento estivo ma credimi, non lo era. Il mio interesse, i miei sentimenti, le mie attenzioni verso di te: era tutto maledettamente reale. Ero un ragazzino timido e insicuro che si è ritrovato a dover affrontare una cosa enorme come l'amore. E come tutti i ragazzini timidi e insicuri, avevo il terrore di mio padre».
A quella parola seguì una smorfia di ribrezzo e di disgusto totale.
«Io non capisco, cosa centra tuo padre?», balbettò lei facendosi sempre più piccola.
Le sfere del moro la invasero, incatenandola al suo sguardo e facendola vacillare nel buio per qualche secondo.
«Ricordi la nostra ultima notte assieme? La notte in cui ci siamo baciati?».
Nicole annuì, sempre più confusa, sentendo dei brividi lungo tutto il corpo ripensando a quelle fantastiche sensazioni. Sensazioni che aveva rivissuto non meno di due giorni, sensazioni che agognava in una maniera inimmaginabile.
Lui sospirò di nuovo, prima di ricominciare a parlare.
«Dopo averti riaccompagnato sono tornato nella mia stanza d'albergo e mia madre ha notato immediatamente il mio esagerato buon umore – Zayn sorrise appena, ricordando una scena a cui la bionda non aveva mai partecipato –, e ha voluto saperne il motivo, così le ho spiegato che stavo vedendo una ragazza. Poco dopo però è rientrato anche mio padre e ci ha comunicato che il giorno dopo avremmo dovuto incontrare un suo vecchio amico, con la rispettiva moglie e figlia – il suo sguardo saettò dal mare alla ragazza, intrappolandola per l'ennesima volta con i suoi pozzi scuri e pieni di rancore. - Nicole, mio padre mi aveva organizzato un matrimonio combinato».
Matrimonio combinato.
Matrimonio combinato.
Matrimonio combinato.
Una serie di pugnalate in pieno petto colpirono la fotografa, bloccandole la circolazione dell'ossigeno e impedendole di pensare a qualcosa di concreto che non fossero quelle due parole che, messe una dietro l'altra, formavano uno degli incubi che aveva sempre temuto.
Matrimonio combinato.
Esisteva ancora? Dannazione, erano pur sempre nel ventunesimo secolo.
Come poteva qualcuno organizzare ancora questi “eventi”, come poteva qualcuno ancora credere che fossero la soluzione a tutti i problemi? Come poteva un padre di famiglia costringere il figlio a prendere in sposa una ragazza che non aveva mai incontrato, una ragazza che non amava, una ragazza che non era quella che lui voleva?
Più ci pensava, più le sembrava che tutto fosse di un'assurdità unica.
Ma contemporaneamente questo cambiava tutto, questo cambiava radicalmente tutto.
Tutto l'odio che aveva provato era vano, inutile, senza senso.
Tutta quella guerra iniziata quando si erano rincontrati era stupida e irragionevole.
Tutto quello che lei aveva pensato di lui era sbagliato.
E come se il senso di colpa non fosse già abbastanza, questa rivelazione l'aveva fatta cadere ancora più in basso, rendendole tutto improvvisamente più chiaro.
Si alzò in piedi, prendendosi la testa fra le mani e chiudendo gli occhi mentre i suoi piedi muovevano qualche passo avanti ed indietro nello spazio attorno alla panchina. Mille pensieri rievocavano le parole del moro, mille echi riprendevano quello che lui le aveva appena confessato. Mille pugni le arrivarono dritti nello stomaco, rendendola sempre più debole e inerme a quella triste verità.
Questo significava solo una cosa: Zayn non aveva colpe. Zayn non era il bastardo che aveva sempre immaginato, Zayn non possedeva tutte quelle caratteristiche negative che gli aveva sempre attribuito. E questo, in un certo senso, la fece sentire meglio: lui non l'aveva abbandonata di sua spontanea volontà, non l'aveva lasciata senza una spiegazione a causa del suo disinteresse, non aveva finto nulla con lei.
Si voltò verso di lui giusto in tempo per vederlo mentre la osservava, mentre l'ennesima lacrima rigava la sua guancia ormai completamente bagnata: il cuore perse un battito e un groppo di ghiaccio si formò sopra di esso. Gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui con un'espressione di sofferenza negli occhi: lasciò che i loro nasi si sfiorassero mentre lui le spostava una ciocca ribelle dietro l'orecchio, e aspettò di sentire la sua mano calda poggiarsi sulla sua guancia.
«Cos'è successo dopo?», domandò esitante.
«Ho cercato di spiegargli di te e dei miei sentimenti, ma lui ha accantonato tutto descrivendola come una sbandata estiva. Mi ha trascinato via con lui e mi ha impedito qualunque contatto con te o con i ragazzi, mi ha rinchiuso in una gabbia come un animale. Mi ha minacciato, dicendomi che se avessi provato a rintracciarti o a disobbedirgli avrebbe fatto del male a te o a mia madre, l'unica persona che era dalla mia parte – fece una pausa, chiudendo gli occhi per cercare di dare un contegno alla moltitudine di sentimenti che quei ricordi gli riportavano. - Due mesi dopo mia madre ha fatto le valigie e ha portato me e mia sorella lontano da quell'uomo che purtroppo aveva sposato. Da quel giorno, anche grazie alla denuncia che gli avevamo fatto, non l'ho più rivisto».
Nicole non voleva crederci, sembrava un film, dannazione, uno stupido film.
Ma più fissava quelle iridi scure, più si convinceva della sincerità che loro riportavano.
«È per questo che hai fatto l'audizione per X-Factor?».
«Sì – ammise, abbassando lo sguardo. - A casa mancavano i soldi e con il canto me l'ero sempre cavata. Non avrei mai immaginato che da quel semplice provino tutta la mia vita cambiasse in questo modo e beh... Quello che è successo dopo credo che tu già lo sappia», finì riportando la sua attenzione sul viso della ragazza, tremendamente vicino al suo.
I loro pozzi scuri si cercavano, si bramavano, si agognavano, dipendevano gli uni dagli altri: sembravano due paia di calamite che non riuscivano a staccarsi. Il cuore di entrambi andava ad una velocità esagerata, il loro interesse era concentrato sui sentimenti che si stavano facendo strada in tutti i loro tessuti, la loro mente non riusciva a connettere altro che non fosse l'attrazione che provavano reciprocamente.
«Perdonami Zayn, perdonami per tutto», balbettò lei poco dopo, mentre gli asciugava l'ennesima lacrima.
«Ridillo - la pregò lui, mentre abbassava le palpebre. - Ripeti il mio nome, ti prego. Non immagini quanto bello sia sentirtelo pronunciare».
Lei lo guardò sorpresa prima di comprendere che quella era effettivamente la prima volta che non lo chiamava con il cognome da quando si erano allontanati, l'ultima sera di quella famosa vacanza. Lo accontentò, sussurrandoglielo mille volte mentre si stringeva a lui, mentre le sue braccia possenti la
attiravano sempre di più a sé, mentre i corpi di entrambi esplodevano d'amore.
Perché adesso lei era pronta ad ammetterlo: lo amava, lo amava da morire, lo amava da sempre.
Quel sentimento che era cresciuto con loro non li aveva mai abbandonati, non era mai cessato, non si era mai spento di quella luce che soltanto loro riuscivano a cogliere. Nulla di loro era stato dimenticato, nulla di quello che era successo era stato catalogato come “terminato”. Avevano nascosto tutto, lo avevano rinchiuso in un cassetto remoto della loro anima e della loro mente e avevano continuato la loro vita, senza sapere che tutto era ancora in sospeso. Avevano cercato di scordare, di far finta che non fosse accaduto niente di importante, avevano ceduto a quello che la gente a volte dice, descrivendola come una semplice cotta estiva. Ma entrambi avevano sempre saputo che no, il loro sentimento era molto di più, il loro sentimento era amore puro, amore platonico, amore vero. Era quasi impossibile racchiudere tutto quello che provavano in un'unica parola, era quasi stupido raccontarlo come quel sentimento che tutto il mondo sognava ma che solamente poche persone avevano la fortuna di vivere.
«La vita si è messa tra di noi», sussurrò la bionda dopo circa due minuti, osservando il mare mentre era ancora avvolta dal suo abbraccio.
«No, la vita ci ha solamente voluto mettere alla prova. E direi che le abbiamo dimostrato di quanto siamo forti, io e te, insieme», rispose convinto, osservando anche lui le onde nere infrangersi sulla battigia.
Nicole sapeva quanto la sua decisione fosse stata rilevante: non aveva respinto Zayn, non lo aveva allontanato nonostante avesse compreso i suoi sentimenti. Gli era stata accanto proprio perché aveva capito che era con lui che voleva stare: ora riusciva finalmente a capire perché Josh non riuscisse a diventare qualcosa di più di un amico per lei, ora riusciva finalmente a capire perfino le parole di Eleanor.
Ascolta i consigli della tua testa ma segui quelli che ti da il cuore. E cambia per un momento la visuale, cambia la tua mente e valuta tutto in base alla tua felicità.”
Lei con Zayn era felice. Sapeva che con lui sarebbe stata felice come mai con nessun altro avrebbe potuto. Sapeva che lui era diventato il suo ossigeno, la sua ragione di vita. Sapeva che l'unica cosa che desiderava era stare con lui.
Sorrise, finalmente in pace con se stessa e con il mondo.
Sorrise, stringendosi più forte a lui.
Sorrise, pensando a quanto a volte scappare e cambiare la propria mente sia fatale per capire di cosa – o di chi – abbiamo veramente bisogno.


 

Eccomi :)
Non ho idea di con quale coraggio io sia riuscita a pubblicare questo dannato capitolo, capitolo che non riesco ad accettare e che non voglio nemmeno rileggere per la miliardesima volta perché finirei con lo stravolgerlo di nuovo. E non andrebbe ancora bene.
Okay, sorvolando su questo fatto, ditemi sinceramente che ne pensate. Questa è probabilmente l’opinione che mi sta più a cuore, quella su cui faccio più riferimento perché questo capitolo è il capitolo centrale della storia, quello in cui viene spiegato finalmente il motivo dell’allontananza di Zayn.
Che mi dite? Ve lo sareste mai immaginato?
Questa idea ronzava nella mia testa da quanto ho ripreso la storia in mano, ma non so se sia una cosa fattibile o del tutto fuori luogo, quindi lascio a voi le sentenze.
E niente, adesso non manca altro che l’ultimo capitolo e poi il famoso epilogo.
Vado a nascondermi in un angolino buio e vi saluto, ringraziandovi ancora una volta per seguire questa storia e per aver letto fino a questo punto :)
Un bacio, a presto,
Another_Life

 

  

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


89
 
Change My Mind

 
 

Capitolo 27

 
Truly, madly, deeply, I am 
Foolishly, completely falling 
And somehow, you caved all my walls in 
So baby, say you’ll always keep me 
Truly, madly, crazy, deeply in love with you. 


Strinse con più forza la mano di Zayn quando questo bussò alla porta che avevano davanti da un paio di minuti. Lui le sorrise, incoraggiante, e il suo cuore perse l'ennesimo battito vitale: nonostante fossero passati due giorni da quella sera sulla spiaggia – due giorni che avevano ritagliato per loro, per ricominciare per bene e con calma il loro rapporto – lei doveva ancora abitarsi al fatto di averlo vicino, al suo contatto, al suo bisogno incessante di essere con lui. I suoi sentimenti la stavano sovrastando, non ricordava potessero essere davvero così forti e devastanti: il suo respiro era costantemente irregolare, un timido sorriso si faceva strada nel suo volto non appena pensava a quegli occhi scuri come la pece, le gambe tremavano quando riviveva quello che lui le aveva confessato.
Doveva ancora abituarsi a quella sensazione di leggerezza che aleggiava nel suo corpo, doveva ancora abituarsi alle smorfie di quel ragazzo, doveva ancora abituarsi a tutta quella pace che si era finalmente creata tra di loro. E non esisteva davvero emozione più bella.
Era consapevole dell'improvviso cambiamento che era avvenuto in lei: oltre ad aver finalmente accettato quell'amore che teneva nascosto da troppo tempo, il suo carattere era tornato in parte quello che Zayn, Liam e Louis avevano conosciuto quell'estate. Il suo buonumore era palpabile, la sua euforia si poteva scorgere da chilometri di distanza, quel luccichio negli occhi scuri era solamente l'ennesima conferma di quanto lei stesse davvero bene. L'eccessiva acidità era stata messa un po' da parte, lo sguardo pieno di rabbia e rancore che aveva sempre riservato solamente a lui sembrava non esserle mai appartenuto. Era cambiata, di nuovo, ritornando però ad essere la donna che effettivamente era diventata col tempo – caratteristiche tenute nascoste comprese.
L'amore che provava per Zayn l'aveva del tutto bombardata: si sentiva inerme davanti a quell'enorme sentimento, incapace di tenergli testa, incapace di capirlo seriamente, incapace di pensare che avesse un'energia così distruttiva verso tutta la sua razionalità. Non riusciva a reagire, ma nemmeno lo voleva: adorava sentire quelle strane farfalle nello stomaco, adorava passare del tempo a parlare con lui di tutto e niente, adorava ritornare quella ragazzina spensierata che non sapeva ancora nulla del mondo.
Perché Zayn la faceva sentire esattamente così: vuota nella sua completezza.
Sentiva il petto scoppiarle a causa della velocità di quel cuore ogni volta che era con lui, ma un semplice sguardo a quelle perle nere era capace di farla sentire leggera e tranquilla, senza che il suo pensiero vagasse a qualcos'altro che non fossero quei pozzi che continuavano a renderla prigioniera di essi.
Con lui si sentiva davvero completa.
Quei due giorni in astinenza dal suo ossigeno le avevano fatto comprendere che lei era diventata dipendente da lui, a tutti gli effetti: quel dannato bacio, dopo il quale lei era scappata via, era stato soltanto la prova di quanto lei gli fosse legata, di quanto loro due fossero consolidati da un legame indissolubile.
Perché Zayn non esisteva senza Nicole.
Perché Nicole non esisteva senza Zayn.

Perché il loro amore non sarebbe esistito senza tutto quello che avevano dovuto passare.
Tutto quell'odio, quella schiettezza tagliente, quella guerra insensata, quel dolore atroce, quell'abisso di segreti, quei cuori spezzati più e più volte, quel senso di smarrimento, quel vuoto al quale avevano finito con l'abituarsene. Tutto era servito per consolidare il loro rapporto, tutto era servito per renderli ancora più indivisibili di quanto già non fossero, tutto era servito per far loro comprendere come la vita potesse essere imprevedibile. Tutto era servito per farli ricongiungere, definitivamente.
Stavano cercando di rimettere assieme i pezzi, stavano cercando di ricucire le ferite, stavano cercando di iniziare di nuovo quello al quale, inconsapevolmente, avevano dato inizio il primo giorno di quella vacanza. Quell'incontro inaspettato era stato la chiave di tutto, l'accesso che li aveva fatti proseguire al livello successivo.
Quell'incontro inaspettato si era ripetuto dopo quattro anni, avendo però conseguenze differenti.
E loro due, insieme, avrebbero fatto il possibile perché il finale di quella storia fosse diverso da quello che già avevano dovuto sopportare.
Perché Nicole non aveva cambiato idea di punto in bianco, non aveva mutato se stessa e il suo carattere con un semplice schiocco di dita, non aveva abbandonato tutto il rancore che gli aveva sempre riversato contro in due miseri secondi: aveva corretto le cose che non andavano bene in lei da quando si era ritrovata catapultata in questo mondo, fatto di successo e marketing, fatto di soldi e ancora soldi, con la fortuna, però, di incontrare cinque ragazzi che tenevano ancora i piedi ben saldi per terra, cinque uomini che erano ancora dei bambini, le persone di cui aveva effettivamente bisogno. I sentimenti che aveva ritrovato grazie a loro l'avevano trasformata, per l'ennesima volta, facendole comprendere quanto si sbagliava: ci aveva provato Liam, quello che l'aveva sempre ammonita con degli sguardi che dicevano tutto; ci aveva provato Louis, il suo migliore amico, cercando di staccarla da quelle convinzioni stupide che l'avrebbero portata alla disperazione totale; ci aveva provato Niall, cercando di alleggerire le tensioni dopo tutti quei litigi; ci aveva provato anche Harry, che al posto di inutili discorsi era passato all'azione, organizzando un incontro del quale nessuno dei due sapeva nulla. Ma soprattutto, ci aveva provato Zayn, l'unica persona che aveva davvero il diritto – e il dovere – di rompere quella bolla di sapone dentro la quale la bionda si era rinchiusa, convinta del fatto che in questa maniera nessuno l'avrebbe più fatta soffrire.
Pian piano gli scudi che si era creata avevano vacillato, diventando sempre più deboli e impotenti di fronte a quelle emozioni che lentamente avevano cominciato ad uscire dai cassetti in cui lei le aveva rinchiuse, emozioni che l'avevano totalmente sovrastata, emozioni che le avevano fatto provare una paura indescrivibile, emozioni che ora si erano estese in tutti i suoi tessuti, in tutte le sue cellule, in tutti i suoi organi: Nicole era diventata dipendente da loro, dai suoi amici, da Zayn.
Quando le parole di quel ragazzo l'avevano colpita come lame gelide, quando le aveva svelato piano pianto tutti quei segreti di cui lei ignorava l'esistenza, quando le aveva fornito quella dannata spiegazione della quale lei necessitava da ben quattro anni, quando le aveva riversato contro tutto questo, la sua mente aveva cominciato ad abbandonarla, definitivamente: o meglio, quella minuscola parte razionale della sua testa aveva continuato ad urlare che no, non poteva ricadere nello stesso sbaglio un'altra volta, che fidarsi nuovamente di lui era come scavarsi la fossa da soli, che tutto quello a cui stava pensando – ovvero credergli – ormai non aveva più alcuna importanza. Ma quella voce aveva finito con l'affievolirsi e sparire del tutto, coperta da quella massa di sentimenti, coperta da quell'amore che finalmente si sentiva libera di mostrare.
Perché Zayn non aveva colpe, Zayn non si era divertito, Zayn non l'aveva presa in giro.
E questo era stato il motivo di tutte quelle emozioni che l'avevano fatta crescere, che avevano fatto da padrone in tutto il lungo cammino dell'adolescenza che aveva dovuto affrontare di petto, durante quell'arco di tempo in cui aveva cercato di ricostruire da sola quel cuore che però continuava a spezzarsi, distrutto da tutta quella sofferenza che lei riversava sul moro, l'unico che effettivamente sembrava averne la colpa.
Le sue parole, però, avevano reso improvvisamente tutto più semplice.
Semplice per lei, che ora si sentiva finalmente priva di quel peso che le aveva sempre impedito di vedere l'amore che provava.
Semplice per lei, che ora poteva credere a quelle sfere scure piene di sincerità.
Semplice per lei, che ora poteva accettare tutto quello che era successo.
Dovette abbandonare i suoi pensieri quando vide la porta davanti a loro socchiudersi, mostrando un cespuglio di capelli ricci e la successiva espressione sorpresa del ragazzo al quale appartenevano, quando costatò che davanti a lui c'erano proprio il suo compagno di band e la fotografa del gruppo. Aprì la bocca per parlare, ma lo sguardo gentile e il sorriso timido della bionda lo ammutolirono, facendogli corrugare la fronte in una maniera quasi divertente: abbassò lo sguardo e quando vide le loro mani intrecciate per poco non ebbe un infarto. Si portò una mano all'altezza del cuore e squadrò spaesato i suoi amici. Lo stomaco della ragazza, già in subbuglio, aveva cominciato a ritorcersi su se stesso per il nervosismo e l'altro stava cercando in tutti i modi di trattenere le risate. Harry chiuse improvvisamente la porta, facendo rimanere i due parecchio confusi. Emise un grido che cercò di contenere mordendosi il pugno della mano, prima di ricomporsi e riaprire la porta, accogliendoli come se nulla fosse successo.
«Nicole, Zayn!», li salutò con un abbraccio ad ognuno.
I due giovani si fissarono sconvolti, preoccupati per la salute mentale del castano; entrarono poi dentro e salutarono anche Liam e Niall, come sempre occupati a fare le solite prove prima del tour mondiale che si stava pian piano avvicinando. Il primo sorrise soddisfatto quando notò lo sfarfallio luminoso nelle sfere scure del suo migliore amico, l'improvvisa felicità che si leggeva nel volto della bionda e il braccio del moro che era ritornato a circondare i fianchi di lei.
Finalmente, mormorò tra sé e sé prendendo un grosso respiro, come se i suoi polmoni non ricevessero l'ossigeno necessario da quando tutto quel casino si era creato. Cominciarono a chiacchierare del più e del meno fino a quando non furono interrotti dal rumore della porta che si apriva di nuovo: ne sbucò l'altra coppia del gruppo, un Louis con in mano un sacchetto marrone e la scritta Starbucks in verde, e la sua ragazza, Eleanor.
Non appena questi percepirono gli sguardi di tutti addosso, alzarono i rispettivi volti e li squadrarono uno ad uno. Louis sbarrò improvvisamente gli occhi, tenendo le labbra ben serrate e i pugni stretti. Nicole era intrappolata dalle sue perle di un azzurro forte, quasi... spento. Qualcosa dentro di lei le mozzò il respiro vedendo il suo migliore amico che la fissava con un'espressione quasi furente. Si avvicinò impercettibilmente a Zayn, al quale Louis non aveva ancora rivolto nemmeno una mezza occhiata.
Il silenzio nella stanza era imbarazzante: nessuno aveva il coraggio di fiatare, nessuno aveva il coraggio per fare anche il più piccolo movimento: tutta l'attenzione era rivolta a quei due, che continuavano a lanciarsi una serie di fulminate che dicevano tutto e niente.
Il castano strinse il sacchetto con i cornetti caldi più forte, quasi volesse stritolarli.
«Fermo!», esclamò ad un certo punto l'irlandese, correndo verso il ragazzo e strappandogli dalle mani quel cibo che attendeva da almeno quattro ore. Se lo accoccolò sul grembo e lo accarezzò, neanche avesse tra le mani un neonato, e ritornò alla sua postazione.
Lo sguardo di Louis, però, non era mutato: non aveva dato alcuna importanza a Niall e aveva sostenuto quell'espressione dura rivolta a Nicole, solamente a lei.
«Ti dispiace?».
La sua voce era stata un sussurrò, ma nonostante il tono basso era riuscita a propagandarsi per tutta la sala, facendo tremare per un momento il cuore della fotografa: era la prima volta che la sentiva così fredda, così tesa, così piena di rancore.
Il castano diede il suo BlackBerry e il portafoglio ad Eleanor, che continuava a fissarlo preoccupata; fece schioccare poi le dita delle mani e ritornò a perforare l'anima della sua migliore amica. Chiuse gli occhi per un momento, prima di dare inizio ad una bufera.
«Ragazzina immatura che non sei altro! - cominciò ad urlare, attraversando con pochi passi la distanza che li teneva separati, - Come diamine ti è venuto in mente di scappare in questo modo?».
Più le si avvicinava, più lei si allontanava, finendo col creare un circolo vizioso intorno a tutta la stanza: lei retrocedeva di alcuni passi, con un'espressione di pura paura dipinta sul volto, lui avanzava con delle falcate, con il dito della mano destra puntatole contro, uno sguardo che la metteva in soggezione, una rabbia negli occhi che lei non pensava avrebbe mai potuto vedere in Louis.
«Lou, calmati, non c'è bisogno che...»,Liam provò debolmente a fermarlo, ma il tono squillante dell'altro ebbe la meglio.
«Come hai anche solamente potuto pensare di andartene senza dire niente a nessuno? Come hai fatto a rifiutare tutte le mie ottantatré chiamate, per risponderne soltanto ad una e avere pure la sfacciataggine di attaccarmi il telefono in faccia?».
Il cuore di Nicole stava andando troppo veloce, il suo respiro era irregolare - fin troppo irregolare - le lacrime cominciavano a pizzicare agli angoli degli occhi, le gambe e la mani tremavano, molli come non lo erano mai stati.
Faceva male.
Faceva male vedere Louis in quelle condizioni, faceva male ricevere tutte quelle accuse da una delle persone a cui teneva di più, da una delle persone più importanti della sua vita.
Faceva davvero male.
«Hai pensato, almeno per un minuto, a come mi sarei potuto sentire io? A quello che avrei potuto passare? Poteva esserti successo qualcosa, dannazione! Potevi essere nei guai e io non avrei saputo nemmeno in quale parte del mondo ti trovavi!».
Il ragazzo sputava con rabbia ogni singola sillaba, ogni singolo termine. Sputava con rabbia tutto quello che sentiva, riversando su di lei tutto quello che aveva passato.
La testa girava e tutto quello che Nicole riusciva a scorgere era il volto tumefatto dall'ira di Louis, che continuava a spaventarla con quelle frasi taglienti come mille coltelli.
Si fermò non appena percepì il muro dietro di sé, vedendo però lui continuare ad avanzare.
Smise di parlare solamente quando se la ritrovò di fronte, a pochi millimetri da lui: la bionda lo osservava con i suoi pochi centimetri di altezza in meno, osservava quelle perle che improvvisamente si erano incupite, sfiorando le tonalità del blu scuro. Perle che continuavano a trasmetterle tutta la sua rabbia e la sua preoccupazione, perle che improvvisamente cominciarono ad addolcirsi assieme ai lineamenti del suo viso.
«Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere», sussurrò a poca distanza dal suo viso.
Lei lo fissava, terrorizzata, e inconsapevolmente annuì, sperando che così facendo lui potesse calmarsi.
«Louis, io...», balbettò ma lui la precedette.
«Ed ora abbracciami, ragazzina immatura che non sei altro», sospirò, sorridendo e facendo ricomparire quell'espressione buona e gentile che lo aveva da sempre caratterizzato.
Un peso enorme scomparve dal cuore della fotografa che si sentì finalmente libera di stringere a lui il suo migliore amico.
«Scusami, per tutto», gli bisbigliò quando gli altri cominciarono ad esultare, contenti della piega che aveva preso quella sfuriata.
«Mi sei mancata», rispose lui, lasciandole un bacio tra i capelli.
 
* * *


Era passata una buona mezz'ora dall'improvvisa – e del tutto inaspettata – scenata che Louis aveva regalato a Nicole per il suo comportamento “immaturo”. La conosceva e si fidava pienamente di lei, sapeva che era una ventenne con la testa sulle spalle, ma il suo voler troncare i rapporti con loro per più di due giorni l'avevano mandato in escandescenza: le poteva essere successo qualcosa, poteva essere finita nei guai senza nemmeno volerlo, poteva aver avuto bisogno di lui e lui non c'era. Teneva troppo a quella ragazza per sentire pure il suo senso di colpa: se le fosse davvero accaduto qualcosa non se lo sarebbe mai potuto perdonare.
Ecco perché le aveva regalato su un piatto d'argento quella meravigliosa sfuriata: non era il tipo che faceva questo genere di cose, non era il tipo che si arrabbiava in quel modo e terminava con l'urlare contro alle persone che amava. Ma in questo caso non era riuscito a trattenersi, proprio perché sapeva che così facendo si sarebbe potuto sfogare di quell'ira che lo agitava da ore interminabili, passate a sentire quella dannata voce metallica che lo avvertiva dell'ennesimo rifiuto della chiamata. E lei lo avrebbe capito, ricordandosi sempre di non commettere più una cosa del genere.
Sorrise mentre la guardò addentare il cornetto che stava dividendo con Zayn: era certo che le cose tra di loro si sarebbero presto risolte ma era strano vederla così felice, così rilassata.
Non scorgeva quella lucentezza nei suoi occhi da quattro anni, quattro lunghi anni.
E fu contento, per lei.
Si rianimò dai suoi pensieri cominciando a solleticare la sua Eleanor, che per poco non si strozzò per lo spavento; le lasciò un bacio sui capelli e la strinse di nuovo a sé, mentre l'irlandese litigava con Liam per divorare le ultime briciole del sacchetto – “Le voglio io!”, “Sono finite, Niall!”, “Non è vero!”.
Improvvisamente sentirono la porta della stanza spalancarsi, facendo sbucare una testolina castana. In quell'istante la stanza si ammutolì con la stessa velocità in cui il sangue della bionda le si gelò nelle vene: cominciò a sentire il cuore battere all'impazzata per l'agitazione e le gambe farsi sempre più molli, come se dovessero abbandonarla da un momento all'altro.
«Nicole? Quando sei tornata? Harry mi aveva detto che ti saresti presa la settimana di ferie perché ti eri ammalata...», cominciò lui squadrandola in modo interrogativo.
Josh.
Era tornata per lui, per poterci parlare, per sistemare immediatamente le cose, per non lasciare che fraintendesse, per raccontargli tutto dall'inizio, ma l'ultima cosa che avrebbe voluto era che quel momento arrivasse così presto.
Nicole spostò subito l'attenzione sul riccio chiamato in causa, ammonendolo con lo sguardo: si tuffò in quelle iridi smeraldo che stavano cercando di farle capire che era stato costretto a farlo, prima di tornare al soggetto principale.
Stava per rispondergli, quando questo la anticipò.
«Che sta succedendo... qui?», chiese poi assottigliando lo sguardo su di lei.
La fotografa si ricordò solamente in quell'istante di essere seduta accanto a Zayn, troppo vicina.
La fotografa si ricordò solamente in quell'istante di avere il braccio del moro ancora a circondarle i fianchi.
Qualcosa le mozzò il respiro, impedendole di poter respirare normalmente. Il sangue ribolliva nelle sue vene, le articolazioni non rispondevano ai suoi comandi. Era attanagliata dalla paura.
Paura di deluderlo, paura di non spiegarsi come avrebbe voluto, paura che lui fraintendesse.
Paura che lui potesse odiarla, anche se sapeva di meritarselo.
Ma Nicole non lo aveva preso in giro, mai. Non si era presa gioco di lui, non si era divertita.
Non lo aveva avvinato con l'intento di spezzargli il cuore. Anche perché quando lo aveva conosciuto lei non voleva più saperne di Zayn, tant'era ancora rinchiusa in quell'alone di segreti che lui non le aveva ancora svelato. Quando lo aveva conosciuto era stata affascinata da quel sorriso che lui aveva sempre stampato in volto, quel sorriso che la metteva di buon umore, quel sorriso che non era mai cambiato. Quel sorriso che sperava di poter rivedere ancora.
Quando lo aveva conosciuto era stata travolta dalla sua sincerità e dalla sua allegria, lui l'aveva travolta, completamente. Ma non nel senso che lui pensava.
Era riuscita a trovare un amico, un amico buono, un amico vero.
Era riuscita a trovare qualcuno che la aiutasse a vivere appieno la sua vita.
Era riuscita a trovare qualcuno che si interessasse davvero a lei, alla sua felicità, al suo bisogno.
Ma non era mai riuscita a provare più di un semplice legame di amicizia, verso di lui.
Josh e Nicole non stavano assieme, questo lo sapevano tutti, loro due per primi: non si erano impegnati con fidanzamenti e appuntamenti veri e propri, avevano solamente passato un mese e mezzo a frequentarsi e a conoscersi reciprocamente, aiutati dal fatto che entrambi non avessero nessuna fretta di correre. E in parte lei era contenta di questo.
Si rianimò dai suoi pensieri, alzandosi improvvisamente e continuando a fissare quelle iridi chiare, più interrogative e confuse che mai.
«Sono tornata perché ti devo parlare», affermò seria.
Passarono alcuni secondi prima che lui annuisse flebilmente, secondi che la stavano uccidendo lentamente, secondi che stavano tenendo tutti con il fiato sospeso.
«Vi lasciamo soli», affermò Louis dirigendosi verso la porta, accompagnato da Eleanor, Niall, Liam ed Harry. Zayn fu l'ultimo ad uscire, ma prima di fare ciò fissò intensamente la bionda, quasi per leggerle dentro il suo stato d'animo. Le fece coraggio con le sue perle e lì lasciò soli, in quella stanza che era diventata improvvisamente troppo asfissiante.
Zayn aveva parlato.
Ora toccava a lei.
 
* * *


«Josh! Aspetta di prego, non te ne andare!».
«Josh!».
«Josh!».
Nicole lo seguì attraverso il corridoio, continuando a chiamarlo, decisa a non lasciarlo andare.
Le si era spezzato il cuore nel vedere quegli occhi allegri farsi sempre più cupi, più tristi, più addolorati. Le si era spezzato il cuore quando lui le aveva detto, in un momento di rabbia che poi era subito scomparso, “Avevo il diritto di sapere che tra di voi c'era stato qualcosa!”. Le si era spezzato il cuore quando lui, alla fine, le aveva sorriso – sorriso che sembrava più una smorfia di dolore – prima di sussurrarle un “Ho capito. Ora devo stare solo” e scappare fuori dalla sala.
Perché lei, nonostante tutto, lo adorava ancora: adorava il fatto che non le avesse urlato contro, che non l'avesse uccisa con una sola occhiata, che non le avesse mostrato tutto quel disprezzo che lei aveva immaginato.
Perché Josh, nonostante tutto, rimaneva fantastico.
Fantastico nel suo modo di capirla, di capire la situazione e quello che le era successo – perché sì, lei si era sentita obbligata a raccontarle tutto del suo passato, vacanza e conseguenze comprese -, fantastico nel prendersela fino ad un certo punto, fantastico nel non andare a prendere a pugni Zayn per la gelosia.
Perché, se c'era una cosa che lui aveva capito da subito, era che l'interesse di lei nei suoi confronti non era mai stato come quello che lui provava per lei: non ne era innamorato, ma le piaceva. Nicole le piaceva, fin troppo. E si sentiva uno stupido ad aver anche solamente potuto pensare di poter costruire qualcosa con lei, si sentiva uno stupido per non aver dato importanza a quella guerra che era nata tra lei e Zayn, si sentiva uno stupido a non aver compreso gli sguardi che si erano lanciati nell'ultimo periodo. Si sentiva ferito, sì. Ma non come avrebbe potuto immaginare. In un certo senso, in una parte del suo subconscio, aveva sempre saputo che lei non sarebbe mai stata sua, aveva sempre saputo che tra di loro non ci sarebbe mai stato un noi, aveva sempre saputo che il legame che li univa non sarebbe mai andato al di sopra dell'amicizia.
Ma come spesso succede, la cecità che ci avvolge a volte è capace di non farci comprendere la realtà delle situazioni.
Aveva ascoltato tutta la sua storia con attenzione, aveva compreso tutto, nei minimi dettagli. Ma ora aveva bisogno di rimuginare su quanto successo, di capire se stesso e quello che sarebbe successo d'ora in avanti: non voleva perderla, perché con lei stava bene. Non voleva buttare quel rapporto che avevano costruito e sì, avrebbe fatto male vederla con qualcun'altro, ma sarebbe stato solamente per il primo periodo. Se la sarebbe fatta passare e avrebbe cominciato a guardarla come fanno gli amici.
Si sentiva terribilmente ottimista in quel momento.


Prima che potesse chiamarlo di nuovo, Nicole sentì una mano circondarle il braccio e costringerla a fermarsi. Voltò lo sguardo e vide quello serio di Harry seguire la figura del batterista, prima che questo svoltasse l'angolo e scomparisse dalla loro visuale. Gli altri erano in fondo al corridoio: Niall con un'espressione preoccupata verso uno dei suoi migliori amici, Liam appoggiato al muro e Louis con il braccio sui fianchi di Eleanor. Tutti – compreso Zayn che la stava raggiungendo – avevano gli occhi puntati dritti su di lei.
Lei che improvvisamente si sentiva troppo debole per tutte queste emozioni, per tutti questi cambiamenti.
«Lasciagli il tempo di capire», le bisbigliò il moro prima di abbracciarla.
Certo, gli avrebbe lasciato tutto il tempo di cui avrebbe avuto bisogno.
Glielo doveva.



 


Wow, questo è l’ultimo capitolo prima dell’epilogo e io mi sento male.
La canzone che ho in sottofondo potrà anche contribuire, ma il fatto è che io amo questa storia molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. Terminarla… è come se una parte della mia anima smettesse di vivere, si staccasse da me, volasse via lasciandomi solamente i suoi ricordi.
Ma non sono qui per fare il discorso da malinconica – a questo ci penserò la prossima settimana ahahah.
In questo capitolo si capiscono molte cose: dal mio punto di vista, rifare ancora un pezzo molto psicologico per Nicole era necessario. Nello scorso episodio lei ha ceduto, sopraffatta dai sentimenti e da quell’amore che bramava l’uscita da molto tempo. Nello scorso episodio Nic si è lasciata andare, cullata dalle braccia di quel Zayn di cui aveva sempre avuto bisogno. Una decisione del genere, soprattutto quando capovolge tutto quello che hai creduto negli ultimi quattro anni, non è facile da prendere, ho voluto così evidenziare tutti i suoi pensieri per un’ultima volta.
La sfuriata di Louis è nata dal nulla: da migliore amico qual è, ho immaginato questa reazione per il nostro Peter Pan. Il legame di amicizia che lo lega a Nicole è talmente forte da farlo sbollire di rabbia dopo che lei è scappata sola per più di due giorni. Spero vi sia piaciuto :)
E infine c’è Josh. Nicole doveva chiarire anche con Josh, e qui ho immaginato la sua reazione. Non volevo creare la solita comprensione, ma nemmeno la gelosia sfurente. Josh è un personaggio che purtroppo non ho mai approfondito, un po’ me ne pento e ne sono dispiaciuta, ma con questa piccola parentesi spero di aver spiegato bene i suoi pensieri. Sapeva che tra di loro non sarebbe mai potuta funzionare, ma ci sperava: ecco perché se ne va, ha bisogno di metabolizzare la cosa, ha bisogno di un po’ di tempo per capire.
Penultimo spazio autrice, AIUTO.
Ringrazio tutte le ragazze che sono arrivate a questo punto della storia, vi ringrazio dal profondo del cuore e vi dico che senza di voi Change My Mind non sarebbe a questo punto. Grazie, grazie infinite di tutto, siete meravigliose <3
A presto, un bacione!
Another_Life

 











 

 
 

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


89
 
Change My Mind

 
 
Epilogo
 
People say we shouldn’t be together
We’re too young to know about forever
But I say, they don’t know
What they’re talk, talk, talking about


Estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e osservò l'ora, mormorando tra sé qualcosa che assomigliava a qualche imprecazione divertita. Si diresse al bancone, sperando che i ragazzi – già in ritardo di quindici minuti – si affrettassero ad uscire dai camerini e le permettessero di cominciare al più presto quel servizio fotografico.
I capelli biondi, più lunghi di qualche centimetro, erano sciolti sulle spalle, arricciati sulle punte e profumati di quel nuovo shampoo che aveva comprato qualche settimana prima in Irlanda. Gli occhi erano circondati da uno spesso strato di maschara, le iridi scure erano vivaci ed esuberanti, le labbra rosee erano lasciate al naturale senza il rossetto che era solita usare. Sfiorò con le dita il ciondolo della collana che Zayn le aveva regalato per Natale, sorrise e arrossì senza rendersene conto.
Ripensò a tutto quello che le era successo, rivisse per un momento tutti i momenti più importanti che gli ultimi mesi avevano portato con sé. Nicole era felice. Felice di tutto, felice della sua vita, felice di come ora ogni cosa andasse bene. Felice di aver ritrovato Zayn e l'amore che aveva creduto dimenticato, Louis e quell'amicizia che aveva pensato finita, se stessa e quella parte del suo carattere che aveva dato per dispersa. Felice di avere Harry, Liam e Niall al suo fianco, felice del legame con Eleanor, ogni giorno più forte. Felice di aver anche ripreso i contatti con Josh, felice di averlo visto uscire con una ragazza la settimana precedente, felice dei sorrisi che non aveva smesso di regalarle.
Finalmente, tutto sembrava andare per il verso giusto.
E Nicole era felice. Felice di tutto, felice anche se sapeva che presto sarebbe arrivato qualcosa a disturbare quella pace. Ma non aveva paura: con lei c'era Zayn, e con Zayn c'erano i ragazzi.
Non poteva avere paura. Con loro al suo fianco, non avrebbe mai dovuto temere nulla.
 
 
Due braccia familiari si allacciarono ai suoi fianchi, facendole sembrare quella stretta unica e inimitabile. La pelle di Nicole cominciò irrimediabilmente a ribollire mentre cercava di non dar peso alle labbra che stavano mordicchiando il suo orecchio, sorrise mentre sentì una mano fin troppo conosciuta spostarle i capelli di lato e continuò a trafficare con gli obiettivi che aveva disposto sopra il tavolo, prendendo il primo e inserendolo nella macchina fotografica.
«Lo sai che non è corretto immischiare la vita privata nel lavoro, vero?», ridacchiò, una smorfia ironica dipinta sul volto e le dita che bramavano un contatto con lui.
«Mmh – acconsentì Zayn, sorridendo sul suo collo. - So anche che non ti bacio da questa mattina e ho una voglia matta di te», rispose mentre appoggiava il mento sopra la spalla e incastrava i suoi pozzi scuri a quelli della ragazza.
Nicole si morse il labbro, inarcando un sopracciglio e lasciandosi andare ad una piccola risata. Osservò il suo ragazzo – tremava ancora ogni volta che lo pensava – e lo vide sorridere, schiudere le labbra e mostrare una fila di denti perfetti. Ma la cosa che più adorava, era vederlo socchiudere gli occhi e lasciarsi andare: amava quei momenti, li amava con tutta se stessa perché mostravano il vero Zayn, quello che conoscevano soltanto lei, la sua famiglia e i suoi compagni, quello che le telecamere non avrebbero mai potuto riprendere, quello che nessuno avrebbe mai potuto descrivere. Non ci riusciva nemmeno lei, lei che ci passava assieme il maggior tempo possibile, lei che lo amava con tutta l'anima, lei che delle serate in discoteca aveva imparato a non farci nulla, lei che se ne stava distesa sul divano dell'appartamento e aspettava che lui tornasse dal negozio di videogiochi e dvd che era in fondo alla strada.
Erano passati tre mesi da quando le cose tra di loro si erano sistemate. Tre mesi da quando insieme avevano messo fine al passato che li aveva tormentati per troppo tempo. Tre mesi da quando si erano ritrovati, finalmente, ancora più innamorati di quando si erano lasciati.
E più Zayn la guardava, più il suo stomaco si ritorceva in una morsa che gli aveva fatto passare la fame. Più Zayn le stava vicino, più incatenava i suoi pozzi scuri a quelli vivaci di lei, più rimaneva a contatto con la sua pelle, più la sua mente si annebbiava, diventava senza logica, diventava indomabile. Indomabile come i sentimenti che cercava di contenere, indomabile come la serie di emozioni che gli calpestavano l'anima ogni volta che la osservava sorridere. Indomabile come la sua voglia di lei, di baciarla, di trasmetterle anche solo una parte di tutto quello che sentiva.
In quei tre mesi, Zayn si era innamorato di nuovo di quella ragazza che non aveva mai smesso di amare. Aveva imparato a riconoscere tutte le espressioni della donna che era diventata, aveva imparato ad amare ogni sua singola smorfia, aveva saputo studiare ogni suo singolo movimento. Aveva saputo rivedere in lei i gesti di quella quindicenne che faceva ancora parte del suo cuore, era stato capace di ricominciare tutto da capo, era riuscito a costruire un rapporto, una relazione che non dava segni di crollo. Con lei, tutto era più facile. Con lei al suo fianco, tutto aveva preso una piega diversa. Il lavoro non era più così stressante, i concerti e l'esuberanza delle fan ora venivano presi molto più alla leggera. Adesso, quando rientrava dalla prove la sera, c'era qualcuno nell'appartamento che condividevano a Londra. C'era qualcuno che lo aspettava. E c'era sempre quel qualcuno che lo accompagnava nei viaggi promozionali, nei tour mondiali, in ogni luogo lui si dovesse recare. Nicole c'era sempre, e sempre ci sarebbe stata.
In quei tre mesi, Zayn non si era stancato un momento di vederla sorridere. Avrebbe trascorso giorni interi ad osservare le sue labbra inclinarsi, la fila di denti bianchi farsi spazio tra di esse, gli occhi socchiudersi leggermente. Sapeva che non si sarebbe mai saziato abbastanza di lei, lo percepiva, lo provava ad ogni suo tocco. Le dita che bruciavano quando la sfiorava, lo stomaco che si contorceva, il cuore che scalpitava. Il respiro che si fermava, la mente che si staccava dal corpo, i pozzi scuri che si concentravano solo e soltanto su di lei.
In quei tre mesi, Zayn non si era ancora abituato ad averla accanto. La bramava, non poteva essere altrimenti, non avrebbe saputo fare nulla senza di lei. Ma allo stesso tempo, nei momenti in cui si ritrovava a pensare, nelle notti in cui il soffitto attirava tutta la sua attenzione, si chiedeva come una sola ragazza avesse avuto il potere di sconvolgergli di tanto la vita.
«A cosa stai pensando?».
«A te».
Nicole sorrise di nuovo, sentendo le labbra del moro sfiorarle la guancia. Sorrise di nuovo, sentendo mille brividi percorrerle la spina dorsale, sorrise di nuovo e tentò di fermare quelle dita che le tremavano. Le gambe stavano per cederle, il groppo che aveva in gola le impediva di parlare. Lo osservò, la testa ancora appoggiata alla sua spalla, il suo profumo a inebriarle le narici, a darle alla testa come se la sola presenza non bastasse. E sorrise, sorrise come prima di trasferirsi a Londra non aveva mai fatto, sorrise come nei quattro anni di lontananza si era sempre rifiutata di fare.
Zayn era felice. Felice di tutto, felice della sua vita, felice di come ora ogni cosa andasse bene. Felice di aver ritrovato la sua Nicole, felice del successo che la band stava avendo in tutto il mondo, felice come mai prima d'ora era stato. Zayn era felice, lo vedevano Louis e Harry, Niall e Liam, lo vedevano le fan e lo vedeva pure sua madre, lo vedevano sua sorella e tutte le persone dello staff. “Tutto merito dell'amour”, scherzavano Paul e gli altri bodyguard, facendolo arrossire come un bambino alla prima cotta. Ma lui era felice comunque: sapeva di aver ritrovato se stesso assieme a Nicole e davvero, non poteva esserne più orgoglioso.
E sì, cambiare idea non significava essere deboli. Cambiare idea, cambiare prospettiva significava essere forti abbastanza da capire quello che si stava rischiando di perdere. Cambiare idea significava riprendersi in tempo l'unica cosa che avrebbe potuto far ritornare la felicità nella propria vita. Cambiare idea era giusto, Nicole e Zayn lo avevo compreso.
 
 
«Lascia in pace la mia bionda, Zayn».
Una voce squillante riempì la stanza, interrompendo quel silenzio armonioso e dividendo quella coppia che trasmetteva soltanto amore. La mano di Louis, uscito per primo dal camerino, aveva preso il colletto della giacca del moro, costringendolo a retrocedere per non strozzarsi. I suoi occhi rotearono divertiti mentre seguiva a forza l'amico, Nicole rise assieme agli altri, usciti in fila subito dopo e finalmente pronti per il servizio fotografico.
«Altro che uomini, siete peggio delle donne!», esclamò la bionda, prendendo l'obiettivo e facendo qualche passo avanti.
«Non è colpa nostra, Nic. Lì dentro ci sono più vestiti dell'armadio di Louis», mormorò Liam, seguito dalle risate di tutti i presenti.
«Hai qualcosa da ridire contro il mio armadio, cugino?», lo sfidò il castano, le labbra serrate in una smorfia buffa e gli occhi azzurri che brillavano, come sempre.
Liam si arrese, alzando le mani e sistemandosi la giacca in pelle nera.
«Forza, cominciamo – li richiamò la bionda. - Prima in fila e poi due di voi seduti a terra. E fate un sorriso, qualche volta, non vi puniranno per questo», mormorò, scrollando le spalle e ridacchiando. Zayn le fece l'occhiolino, lei sentì ogni tessuto spremersi sotto quel semplice gesto e cercò di proseguire professionalmente. Il fatto era che, lavorare con loro poteva essere tutto tranne che una cosa seria e veloce. Ma a Nicole andava bene così: loro erano la sua medicina, l'unica medicina che la faceva sorridere sempre ed incondizionatamente.
 
 
Due ore e altrettanti flash più tardi, il servizio fotografico poteva dirsi concluso.
Nicole era appoggiata al tavolo, il borsone con tutta l'attrezzatura accanto, l'attenzione riposta sulle foto che stava riguardando, i ragazzi nella stanza adiacente. La risata di Niall riecheggiava in tutto l'edificio, le urla di Liam la accompagnavano e qualche volta si poteva scorgere il riccio vagare per i corridoi con addosso soltanto un paio di boxer. Dire che quelli erano bambini un po' troppo cresciuti risultava perfino un eufemismo.
«Eleanor ti saluta». La voce di Louis la distrasse dai suoi pensieri, facendola voltare verso un maglione bordeaux che gli stava un po' largo. Sorrise, ringraziandolo con un sussurro e osservandolo mentre rimetteva il BlackBerry nella tasca dei jeans scuri.
«Questo te lo porti a casa?», domandò lei, un dito puntato sul maglione e un sorriso divertito sul viso.
«Ovvio – esclamò, un tono sicuro e la lingua che inumidiva le labbra. - Ne faccio la collezione, non ricordi?».
Nicole annuì, ridacchiando, mentre la sua mente vagava sull'enorme stanza-armadio che il suo migliore amico teneva nell'appartamento che condivideva con Harry. L'aveva vista un paio di volte e dire che conteneva più vestiti di un centro commerciale non era assolutamente esagerato.
«Sono contento che si sia sistemato tutto», mormorò lui qualche istante più tardi, facendosi improvvisamente più serio senza perdere, però, quella lucentezza nelle perle chiare che lo contraddistingueva. Si avvicinò alla ragazza, stirando un braccio sulle sue spalle e appoggiando la nuca a quella dell'amica.
«Ti voglio bene, Nicole».
Gli occhi di lei cominciarono ad inumidirsi, strinse le labbra mentre cercava di trattenere tutte le emozioni che si stavano facendo strada nel suo corpo. Le dita di Louis stavano giocando con una ciocca dei suoi capelli, il suo cuore martellava nel petto, le narici si inebriavano del profumo che lui portava da sempre. Sorrise inconsapevolmente, commossa e senza parole.
«Ti voglio bene anche io, Louis».
Deglutì mentre chiudeva gli occhi, le labbra di lui che si posavano sui capelli biondi, le dita che la stringevano più stretta.
Sentì una mano esterna stringerle il fianco, una presenza familiare accostarsi alla sua sinistra, un corpo farsi sempre più vicino. Percepì la mascella rasata quella mattina contro la sua fronte, il battito del cuore di Zayn associarsi al suo. Sorrise senza nemmeno rendersene conto, la testa abbandonata tra le spalle di due dei ragazzi più importanti della sua vita.
Una lacrima di felicità scivolò sulla sua guancia nell'esatto istante in cui un Harry tutto spettinato fece il suo ingresso nella stanza, la fronte corrugata e le sopracciglia inarcate. Guardò disorientato i tre mentre anche Niall e Liam raggiungevano il gruppo, un'espressione confusa sul volto di tutti.
«Che succede?».
La ragazza esitò per un momento, abbassando poi lo sguardo.
«Succede che vi voglio bene, un bene incredibile», mormorò poi, le lacrime che continuavano a scendere imperterrite sul viso, un sorriso sincero sulle labbra.
I ragazzi si sciolsero, gli occhi che pizzicavano, i cuori che battevano forte. La circondarono in un abbraccio che sapeva d'amore, la circondarono e le trasmisero tutte le parole che non sarebbero mai stati in grado di esprimere. La strinsero forte, come se quella stretta significasse un “Non ti lasceremo mai”.
Sorrisero, coscienti che con Nicole avevano tutti ritrovato il sollievo che cercavano.
 
Ti vogliamo bene anche noi, Nic.
 

 


Il fatto è che non ci riesco.
Non riesco a dire addio a Nicole e a Zayn, non riesco a chiudere questa storia come se fosse un normale passaggio. Non riesco a capacitarmi del fatto che ho terminato, ho scritto questa fan fiction che ora ha un finale pubblicato, ho scritto di una Nicole distrutta, una ragazza che aveva perso moltissimo e che ora però ha quattro nuovi amici e l’amore della sua vita, ho scritto di un’amicizia che è durata nel tempo, del supporto che si può ricevere da persone che ti vogliono veramente bene, di quanto sia importante ritrovare il proprio io e non abbandonarlo.
Mi scuso per il ritardo, comunque. So che probabilmente menzionare la scuola ormai è diventato scontato, ma la verità è che ho iniziato un anno abbastanza duro e non ho nemmeno avuto il tempo di constatare che l’estate era finita che mi sono ritrovata chiusa in camera a studiare. Ammetto, però, che anche il mio inconscio ci ha messo la sua parte: ho scritto questo epilogo i primi giorni di agosto e dire che sono crollata ci può stare. Quando ho messo l’ultimo punto, ho sentito davvero qualcosa dentro di me staccarsi. E no, non erano le guance che mi rigavano il viso e nemmeno qualche stupida allucinazione, ho solamente percepito la mia Nicole crescere veramente. L’ho vista sorridere e stringersi al petto di Zayn, per poi voltarsi e continuare insieme a camminare. Il problema era che io era ferma, non li seguivo. Non seguivo la mia Nic, il mio Zayn, il mio Louis, Niall e Liam, Harry e Josh, le sedicenni Marta e Serena, Jane e pure Max. Non seguivo nessuno perché i miei piedi e la mia mente erano inchiodati in quel punto. Nell’esatto punto in cui sono anche adesso. E lo so che potrà sembrare stupido e insensato, ma il fatto è che tutti loro mi hanno accompagnata per oltre un anno, mi hanno aiutata in un certo senso, sono stati i primi personaggi a cui ho dato vita che ho pubblicato online.
E sì, sono ancora con gli occhi lucidi e un piccolo sorriso sulle guance, perché in fondo sono orgogliosa di loro. Mi mancherà scrivere di quella coppia, di Louis e di tutti gli altri, ma magari poi arriverà quel giorno che riprenderò una loro foto in mano e ricomincerò a buttar giù qualcosa. Mai dire mai :)
 
Parlando del capitolo: come vi è sembrato? Come lo avete trovato? Vi è piaciuto?
Giuro che ci ho messo l’anima a scriverlo, forse è il pezzo in cui ho davvero lavorato di più. Spero che voi, mie care lettrici, se siete arrivate fino a qui abbiate anche la voglia o il tempio di lasciarmi la vostra opinione. È l’epilogo, ci terrei davvero a sapere che ne pensate :)
E poi vi voglio ringraziare, una ad una.
Grazie a te, tesoro, per aver letto fino al ventottesimo capitolo ed esserci stata. Change My Mind non sarebbe arrivata a questo punto senza il tuo aiuto, lo dico davvero. Grazie infinite, grazie davvero di tutto <3
Ora è tempo che mi dilegui. A proposito! Sto già scrivendo un’altra fan fiction che questa volta sarà incentrata su tutti e cinque i ragazzi e che sarà abbastanza diversa da questa che ho appena terminato. Ci metterò qualche settimana a pubblicarla perché, tra lo scambio in Germania e la scuola in generale, sono veramente con l’acqua alla gola. In ogni caso, se vi potrà interessare, vi avvertirò con piacere.
So già che quando premerò il tasto “pubblica” la mia mente esploderà assieme alle mie emozioni, vado a prendere i fazzoletti, aiuto.
Grazie ancora di tutto, voglio un bene immenso ad ognuna di voi <3
Nicole, Zayn e tutti gli altri vi salutano :)
Un bacione enorme,
Another_Life


 






 
 
 

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Capitolo 30
*** Nuova Fan Fiction ***


- Ready To Run -

Ready to run2

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Siamo fatti per pochi. E per pochi s'intendono due, tre, massimo quattro persone. E non è drastico, ma vero.
- Limerence -



Nuova fan fiction, spero vi possa piacere :)

 

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