ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS YOU

di Alexandra_ph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 3 Dicembre ***
Capitolo 3: *** 4 Dicembre ***
Capitolo 4: *** 5 Dicembre ***
Capitolo 5: *** 7 Dicembre ***
Capitolo 6: *** 11 Dicembre ***
Capitolo 7: *** 14 Dicembre ***
Capitolo 8: *** 15 Dicembre ***
Capitolo 9: *** 18 Dicembre ***
Capitolo 10: *** 22 Dicembre ***
Capitolo 11: *** 24 Dicembre ***
Capitolo 12: *** 25 Dicembre ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


ALL  I  WANT  FOR  CHRISTMAS  IS  YOU

 

 

 

 

 

by

Cate   &  Alex

 

 

 

 

 

Disclaimers   : Il marchio Jag e tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius Production.   In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

Premessa: io ODIO il  Natale.

E che FF ho scritto??  Natalizia!

Solo Alex poteva riuscirci, sfidandomi (me la pagherai per aver rovinato la mia reputazione)...

E adesso non mi resta che RINGRAZIARLA.

 

Per prima cosa di avermi sopportato, me e la mia pigrizia! Me e la mia sfiducia in me stessa, me e i miei blocchi mentali. Ma soprattutto per la fiducia in me riposta e le risate e per le ore spensierate che mi sono fatta in sua compagnia.

 

E un ringraziamento speciale va al mio ufficio e lavoro: incredibile a dirsi, con quanto odio sia il lavoro che l'ambiente, è risultato essere un ambiente fertile per la mia ispirazione...

Ho sottratto ore al mio lavoro pensando ad altro?

Sì, fieramente COLPEVOLE!!

 

Un Buon Natale a tutti voi e a tutti i vostri cari

 

Cate

e-mail: pilgrim81@libero.it

 

 

 

 

 

 

WOW! Temevo peggio!

Quando mi ha detto che voleva scrivere la prefazione, temevo più insulti!

A questo punto tocca a me…  Ebbene, che dire?

 

Ringraziare (lei, Cate) a mia volta, per il divertimento, le risate, le ore spensierate, ma soprattutto perché  scrivere assieme questa FF mi ha tenuto compagnia nelle lunghe giornate di dicembre trascorse in casa, tra letto e divano, e mi ha fatto assaporare almeno un pochino di “atmosfera natalizia” che solitamente adoro molto, ma che quest’anno, costretta a riposo, ho vissuto ahimè troppo poco.

(Dimmi la verità, Cate: hai accettato la sfida per “pietà” e per consolare la povera Strega Maestra abbacchiata, vero? Eheheheh!)

 

L’attesa del Natale, per me è uno dei momenti più belli dell’anno… e l’amicizia, quella vera, una delle cose migliori della vita. Unite assieme portano gioia, serenità e, soprattutto, fanno capire che, anche se distanti, non si è mai soli.

Scrivere una FF, per di più NATALIZIA, con un’AMICA, per me è qualcosa di speciale.

Così com’è speciale rendersi conto di avere più di un’ amica.

E ringraziare per tutto questo.

 

Auguri a tutti voi e alle vostre famiglie.

 

Alex

e-mail: alexandra_ph@libero.it

 

 

 


 

I don't want a lot for Christmas
There's just one thing I need
I don't care about presents
Underneath the Christmas tree
I just want you for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
All I want for Christmas is you.

Non voglio molto per Natale
c’è solo una cosa di cui ho bisogno
non mi importa dei regali
sotto l’albero di Natale
voglio solo te, tutto per me
molto più di quanto avrei mai creduto
realizza il mio desiderio…
tutto quello che voglio per Natale sei tu.

 

 

Buon Natale!

Cate &Alex

 

 

 

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Capitolo 2
*** 3 Dicembre ***


 

Appartamento di Mac

 

Ansiosa. Tormentata. Agitata.

Stressata…

Avrebbe potuto continuare la lista per ore, ma nessun aggettivo avrebbe espresso quello che realmente sentiva. Avrebbe potuto trovare milioni di sinonimi pur di non ammettere quello che realmente era il suo stato.

Era frustrata! Era tremendamente frustrata. E la colpa era tutta del suo arrogante, presuntuoso e tremendamente sexy collega.

Non riusciva a capacitarsi del suo stato emotivo… erano anni che gli lavorava accanto e, sebbene avesse sempre riconosciuto la sua bellezza, non aveva mai provato niente di lontanamente simile.

Dopo Dalton non si era più fatta avvicinare da nessun uomo, troppa paura di soffrire ancora. Ma di conseguenza la sua vita sociale era precipitata in un baratro. Erano passate settimane, mesi… quasi non ricordava più quanto tempo era trascorso senza che un uomo dormisse da lei.

Che fosse stato quello a farle iniziare ad avere strani pensieri su Harm?

Non era da lei autoelogiarsi ma non era cieca, e vedeva l’effetto che aveva sugli uomini, e non era presuntuoso pensare che avrebbe potuto trascinare nel suo letto un uomo senza nessuna difficoltà.

Eppure era stato proprio in quel periodo che aveva compreso di non volere un uomo qualunque, ma di desiderare proprio QUELL’UOMO, quel pilota di marina alto 1,94 col sorriso più sexy dell’universo.

Si era persino esposta… c’era mancato poco che dichiarasse apertamente di volerlo… a dirla tutta, su quel battello a Sidney c’era mancato poco che gli saltasse addosso…

Poi era arrivato Mic… l’ennesimo errore.

L’ennesima prova che era Harm l’uomo che lei voleva.

Quando l’aveva baciata… era stata fredda, dura, scostante. Tutto il contrario di come si sentiva dentro.

Ma perché, accidenti a lui, l’aveva baciata proprio quando era ad un passo dall’altare?

Poi ancora l’incidente di Harm in mare… il suo matrimonio andato in fumo… la sua fuga a miglia e miglia di distanza, sperando di riuscire a stare lontana da lui e strapparselo dal cuore… Harm aveva una donna, e a quanto sembrava non era disposto a chiudere quella storia.

Qualche mese dopo aveva saputo che lui e Renèe si erano lasciati… a dire il vero era stata lei a lasciarlo per un altro uomo… forse proprio per questo lui stava soffrendo ancora…

Negli ultimi giorni in ufficio le era parso abbattuto, depresso… lo aveva visto nervoso, triste… diverso dal solito. Probabilmente la storia con Reneè era stata  più importante di ciò che lui stesso le aveva fatto credere con quel bacio.

Eppure lei continuava a desiderarlo, nonostante tutto.

 “Riprenditi Mac… è uno tra i tuoi migliori amici, è un tuo collega, lavora nell’ufficio accanto al tuo e inizia a diventare fastidioso vederlo fare arringhe immaginandolo completamente nudo…”

Sorrise da sola buttandosi sdraiata sul sofà a contemplare il soffitto… una quindicenne in piena tempesta ormonale, altro che duro Marine!

 

 

 

Mc Murphy 

 

“Sono innamorato di lei…”.

Sturgis Turner guardò il suo migliore amico scolarsi l’ennesima birra, dopo che finalmente era riuscito ad ammettere quello che lui aveva capito al volo non appena aveva visto Harm e Sarah Mackenzie insieme la prima volta.

Il divertente era che alcuni mesi prima lei gli aveva confessato la medesima cosa.

“Sono innamorata di lui…” gli aveva detto Mac, quando stavano parlando proprio di Harmon Rabb, facendogli giurare di tenersi per sé tutto quanto.

“Perché non glielo dici?” suggerì il Comandante Turner, osservando l’amico chiamare nuovamente la cameriera: era il quarto boccale che mandava giù quasi d’un fiato, senza aver toccato cibo.

Harm si voltò a guardarlo con aria stupita, come se stesse dicendo un’eresia, non prima d’aver ordinato un’altra birra.

“Non sarebbe meglio, piuttosto che ubriacarti?”

“Non sono ubriaco… ” protestò il Comandante Rabb con la voce già impastata “… e comunque ho già cercato… ho già provato a farglielo capire… e non ha voluto saperne… se n’è andata… non ha voluto neppure ascoltarmi… mi ha lasciato lì… a dire cose stupide, senza neppure ascoltare… e io che avrei lasciato anche lei per lei…”

Sturgis sorrise: non aveva mai visto l’amico ridotto così. Harm non era solito bere al punto da perdere il controllo della situazione. Stava già straparlando. E comunque qualcosa nel discorso che stava facendo non gli tornava: non era possibile che Mac non lo avesse lasciato parlare… non lei, che probabilmente aspettava quelle parole da chissà quanto tempo.

“Cosa le hai detto?”

“Che avrei lasciato…” fece una piccola pausa, quasi gli fosse necessario ricordare il nome “… Reneè… per lei…”

“E Mac non ha detto nulla?”

“Mac non mi ha neppure ascoltato… se n’è andata prima che potesse sentirlo…”

Sollevò il boccale e terminò l’ennesima birra.

 “Harm…”

“Non ce la faccio… la desidero troppo… non so più come fare con lei… ho sbagliato tante di quelle volte…” disse, lo sguardo perso in ricordi lontani, la mano che passava nervosa tra i capelli.

“Cameriera…” bofonchiò immediatamente dopo, prima ancora di posare il bicchiere sul tavolo.

“Harm… smettila… non è ubriacandoti che risolverai i tuoi problemi di cuore“

“Tu non capisci, Stu. Lasciami in pace… “

“Ok, come vuoi, amico” disse alzandosi.

Pagò le birre e disse alla ragazza che lo serviva di non portargli altro; poi uscì, prese il cellulare e richiamò in memoria il numero del Colonnello Mackenzie.

“Mac, sono Sturgis…ho bisogno di te…” esordì quando lei rispose.

Quei due erano innamorati l’uno dell’altra e non riuscivano a dirselo; sembrava riuscissero ad ammetterlo soltanto con lui.

Ebbene, sarebbe stato lui a fare in modo che avessero l’occasione di confessarselo a vicenda. O, almeno, ci avrebbe provato.

Del resto tra una ventina di giorni sarebbe stato Natale… quale  regalo migliore per i suoi due amici?

 

 

 

Appartamento di Mac

 

“Sturgis? Che succede? Stai bene?” si preoccupò immediatamente. Non era dal Comandante Turner chiamarla per aiuto, di solito si rivolgeva a…

“Mio Dio Sturgis, è successo qualcosa ad Harm?”

“Calmati Mac, non è niente di grave e sia io che Harm stiamo bene… beh… forse sto meglio io di lui…”

Colse l’accenno di un sorriso nella voce di Sturgis: dopo ciò che gli aveva confessato all’inizio di quell’anno, la sua immediata preoccupazione per Harm probabilmente lo divertiva.

“Che vuoi dire Sturgis?”

“Voglio dire che il tuo collega oggi ha deciso di alzare un po’ il gomito e adesso è seduto su uno sgabello di McMurphy a straparlare. In altre circostanze lo porterei a casa io e gli farei un bel caffè, ma ho un impegno con mio padre e sai quanto il Reverendo Turner non sopporti aspettare… Quindi mi chiedevo se non potessi occuparti tu di lui… se non sei impegnata. Altrimenti chiamo qualcun altro.”

“Non preoccuparti Sturgis, il tempo di uscire di casa e lo vengo a recuperare. Tu digli solo di non muoversi di lì”.

“Ci posso provare, ma dubito che capisca anche la minima parola. Comunque non andrà lontano, le sue chiavi della macchina le ho io. Grazie Mac, non so come ringraziarti.”

“Non preoccuparti Sturgis. Grazie a te.”

Incredula mise giù il telefono: ubriaco…Harm era ubriaco. Per qualche strano motivo la cosa le stonava molto. Il compito pilota di Marina non amava affatto perdere il controllo; odiava troppo non essere nel pieno possesso di tutte le sue facoltà mentali. E per quanto ci avesse provato, neppure lei era mai riuscita ad ottenere che qualcosa lo rendesse vulnerabile tanto da sconvolgerlo fino a quel punto. 

Eppure sapeva che se lui le avesse permesso di avvicinarlo un po’ di più, lei sarebbe riuscita a fargli perdere completamente il controllo e non osava immaginare ciò di cui sarebbe stato capace Harm senza freni, senza limiti, senza inibizioni…

“Stop! Alt! Fermati marine, ti stai solo facendo del male! Fai un bel respiro, sfoggia il tuo più bel sorriso da migliore amica e recupera   quell’imbecille del tuo collega”,  si ammonì mentalmente. Stava diventando sempre più difficile tenere a freno la sua fantasia e la cosa iniziava ad ammaccare troppo il suo ego.

Possibile che l’ubriacatura di Harm fosse ancora conseguenza della sua rottura con Renèe?  In fondo lei lo aveva lasciato da parecchio tempo… Era anche vero che da allora non aveva più saputo di altre sue donne…

Il solo pensiero la fece sentire a disagio. Ma soprattutto le fece provare varie emozioni contrastanti: senso di colpa per aver sempre sottovalutato il suo rapporto con la biondina della televisione; dispiacere per il dolore che lui stava ancora provando, ma soprattutto gelosia nei confronti di quella donna che aveva avuto la fortuna di entrare così fortemente nel cuore di Harm.

D’istinto prese il suo cellulare e compose a memoria il numero di casa Roberts… Non avrebbe sopportato dover ascoltare Harm piangere per un’altra donna, non sarebbe riuscita a resistere. Ma prima che il telefono iniziasse a squillare riattaccò. Bud non sarebbe riuscito a recuperarlo da solo e poi Harm aveva bisogno di lei e i suoi sentimenti e le sue frustrazioni venivano in secondo piano.

 

 

 

Mc Murphy

 

Aprì la porta del pub ed entrò. Dovette fermarsi un attimo per far abituare gli occhi all’oscurità che avvolgeva il locale e soprattutto alla strana luce blu che era diffusa ovunque. Avanzò verso il bancone nella speranza di trovare Harm ancora lì, non aveva proprio voglia di iniziare a girare per tutte le vie di Washington per trovarlo.

Iniziò faticosamente a farsi spazio tra l’elevato numero di avventori che a quell’ora affollavano il pub, guardandosi intorno attentamente. Scrutò ogni singola persona, senza tuttavia vederlo.  

“No…  non hai il diritto di dirmi cosa devo o non devo bere! Io sono un Comandante della Marina Americana e non prendo ordini da una cameriera… se ti dico che voglio un’altra birra… tu mi porti un’altra birra…”

Eccolo, lo aveva trovato.

Si girò in direzione della voce e lo vide lì, in un angolo, malamente arrampicato sullo sgabello del bancone, immerso in una nuvola di fumo blu… Da quando aveva ricominciato a fumare? Non ricordava di averlo più visto con un sigaro in mano da anni.

Lo fissò ancora per un po’ senza avvicinarsi: era sempre stato così dannatamente sexy con un sigaro tra le labbra?

Ma era il sigaro  a renderlo tale o forse l’idea più umana che ne scaturiva?

Allora anche il ferreo Comandante non riesce a resistere alle tentazioni e si lascia andare a qualche vizietto ogni tanto!

A dire il vero poco le importava saperlo. Solo una cosa era certa: avrebbe dato qualsiasi cosa per essere quel sigaro che adesso stava toccando le sue labbra.

Si avvicinò a lui giusto in tempo per impedirgli di afferrare l’ennesima birra che la cameriera era stata costretta a versare. Si sedette sullo sgabello accanto a lui.

“Non avevi smesso con i sigari Harm?” chiese sorridendogli

Harm si voltò, quasi sconvolto dalla sua voce. A quanto sembrava non si aspettava di vederla lì e certamente lo avrebbe evitato volentieri.

“Sono arrivato alla conclusione che fanno meno male di molte altre dipendenze…” biascicò fissando lo sguardo su di lei. Per la prima volta dopo tanti anni trascorsi al suo fianco, lo sguardo di Harm le sembrava vuoto, privo di significato o comunque aveva un significato che non riusciva a decifrare.

“Andiamo Harm, ti riporto a casa” gli disse passandosi un suo braccio intorno al collo e tentando di farlo scendere dallo sgabello.

“Che c’è? Adesso vuoi metterti a fare la crocerossina? Hai deciso… hai deciso di  salvarmi la vita? Credevo fossimo già in pari… Ah no… è vero: l’ultima volta sono stato io a salvartela, evitandoti di sposare Brumby…”

Se non fosse stato tanto ubriaco da non riuscire neppure a  tenersi in piedi da solo, ci avrebbe pensato lei a stenderlo.

Il viaggio verso casa si preannunciava molto lungo.

 

 

 

Appartamento di Harm

 

“Dammi le chiavi”.

“Chiavi? Ah, sì… le chiavi… Sono nella tasca dei jeans, credo. Tasca… tasca davanti.”

“Non puoi darmele tu?”

“Mhm… Cos’hai? Paura di toccarmi, Colonnello?” le disse con un sorriso che non aveva niente a che vedere col suo sorriso rubacuori, ma era del tutto simile al sorriso un po’ ebete tipico di uno con una bella sbronza.

Doveva aver bevuto davvero parecchio per essere ridotto in quello stato. Neppure l’aria del finestrino durante il viaggio sino a casa era riuscita a farlo stare meglio.

Lei lo  squadrò con aria truce, quasi volesse incenerirlo. Il problema non era aver timore di toccarlo; era piuttosto lui quello che avrebbe dovuto aver paura… perché se lo avesse toccato, avrebbe potuto non essere più in grado di fermarsi.

“Ti ho sorretto fin qui. Credi che lo avrei fatto, se avessi avuto paura di toccarti?”

Evitò di aggiungere con che fatica lo aveva fatto. E non si trattava solo di fatica fisica, considerata la sua stazza. E neppure perché era ubriaco.

Harm sollevò il braccio e spinse in avanti la gamba. Inutile farlo ragionare, aveva deciso che le chiavi avrebbe dovuto prendersele da sé.

“Non sei di grande aiuto…” gli disse con voce stizzita, mentre infilava la mano nella tasca dei suoi jeans, molto attenta a non sfiorarlo in zone ‘off-limits’.

“Non voglio… non voglio privarti… del piacere… di fare la crocerossina” rispose lui, con un tono che non riuscì a decifrare: se non fosse stata certa delle sue condizioni, avrebbe potuto pensare che la stesse prendendo in giro.

“Perché ti sei ridotto in questo stato, Harm?” domandò mentre finalmente chiudeva la porta alle loro spalle, dopo averlo fatto entrare.

“Mhmm… Hai un buon profumo…” disse lui, avvicinandosi pericolosamente al suo collo. Si reggeva in piedi a fatica e lei non ce la faceva quasi più a sorreggerlo.

“Sì, grazie” rispose automaticamente, sforzandosi di non prestare attenzione al brivido che quella frase innocua le aveva provocato fin nel profondo. Era proprio messa male!

“Tu, invece, puzzi di fumo e di birra. Perché hai bevuto? Non ti ho mai visto ridotto così” chiese nuovamente.

“Problemi… di cuore…” rispose lui, mentre con una mano le spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Harm…”

“Mhm…?”

“Con l’alcol non si risolve nulla. Credevo lo sapessi, almeno tu”. Stava facendo il possibile per distrarlo, perché le sue mani su di lei la stavano facendo impazzire. Aveva cominciato a sfiorarle il collo con le dita.

“Mhm mhm… “ fu l’unica risposta che ottenne. Poi, finalmente, smise di toccarla, la guardò negli occhi e aggiunse: “Ma fa stare meglio…”.

“Solo per poco… lo sai. E comunque domattina ti sveglierai con un bel mal di testa. Dovresti bere un bel caffè nero e farti una doccia, per sentirti davvero meglio”.

“Nahaa… “

“E poi metterti a letto…”

“Nahaa. Non voglio bere del caffè, non mi piace… E non voglio fare la doccia… e neppure il letto. Voglio… voglio ballare. “

“Ballare?” domandò divertita. Era strano vederlo così.

“Sì, ballare. Sai… quella cosa che si fa assieme… con la musica…” e accennò, con le dita della mano, a due figure che volteggiavano.

“Sì, Harm. So come si balla.”

“Bene…” e barcollando si diresse verso lo stereo. Almeno aveva una vaga idea di dove si trovasse e di come fosse fatta la sua casa.

Trafficò per un attimo con pulsanti e manopole della radio, finché non riuscì ad accenderla e, miracolo della beata incoscienza, trovare persino una stazione di musica soft.

Poi si voltò verso di lei, con un sorriso compiaciuto sulle labbra, simile a quello di un bambino quando riesce in un’impresa più grande di lui, e le porse la mano, a mo’ di invito.

“Sarebbe meglio che ti facessi una doccia…”

“Non voglio stare meglio… sto bene, così… dai, vieni qui… con me…”

“Harm…”

“Dopo… dopo prometto…  che farò la doccia… ora voglio ballare…”

“Danzavi spesso con Reneé?” chiese lei, mentre controvoglia si apprestava a raggiungerlo. Se fosse stato sobrio… se solo fosse stata certa che non si trovava in quello stato perché distrutto dall’abbandono di Reneè… se avesse voluto davvero ballare con lei… allora sì che avrebbe danzato volentieri con lui. Non avrebbe desiderato altro che trovarsi tra le sue braccia.

Ma Harm non voleva lei… stava soffrendo per un’altra donna.

“Non voglio parlare di Reneè…  voglio ballare con te, ora…” le disse all’orecchio, mentre la abbracciava e si appoggiava contro di lei.

Era eccitato; lo percepì immediatamente, non appena lui la strinse a sé. Lei sapeva perfettamente che l’alcol poteva provocare strani effetti, anche non voluti, ma il suo cuore e soprattutto il suo corpo erano sordi al richiamo della ragione. Saperlo eccitato, pur consapevole che si trattava di una semplice reazione fisica del momento acuita dalle birre che aveva in corpo,  aumentava ancora di più il suo desiderio già di per sé frustrante.

Lui sembrava non rendersi conto dell’effetto che le faceva; continuava a tenerla stretta, ad avvicinare il volto al suo, a sfiorarle il collo con le labbra.

Ballando cercò di dirigerlo verso la porta del bagno… prima fosse riuscita a fargli fare quella dannata doccia e metterlo a letto, meglio sarebbe stato per il suo cuore. Ciò che la faceva stare peggio era l’idea che lui stesse immaginando di avere tra le braccia Reneè. Insopportabile anche solo pensarlo.

“Harm…”

”Mhm?”

“Dovresti farti quella doccia, ora”

Un mugolio di insofferenza le arrivò all’orecchio.

“Harm… per favore…”

“Vieni anche tu”

“Nella doccia? Non se ne parla…”

“Non riesco… non riesco a reggermi in piedi da solo… devi aiutarmi tu…” biascicò lentamente.

“Scordatelo!”

Ma capiva che aveva ragione lui: sarebbe potuto cadere e farsi male.

“Mhm… niente doccia… allora balliamo ancora…”

Quella serata stava diventando un incubo.

“D’accordo. Ti aiuterò io.”

“Davvero?” domandò col solito sorrisino ebete.

“Vieni…  devi svestirti…”

“Mhm… mi piace quest’idea…”

Lei scrollò il capo: se la situazione non fosse stata tanto difficile per lei, avrebbe potuto trovarla persino interessante.

L’alcol gli aveva tolto un bel po’ di autocontrollo e quell’Harm così diverso la inteneriva e intrigava al tempo stesso. Un mix pericolosissimo per la sua stabilità mentale.

Lui si fermò poco prima del bagno, la lasciò andare, sollevò le braccia e, ancora instabile sulle gambe, si mise in posizione, affinché lei potesse spogliarlo.

“Non hai intenzione d’aiutarmi? Lasci fare tutto a me?”

“Mhm, mhm… “ rispose con appena un mormorio indistinto. “E’ più divertente” aggiunse poi.

Già, più divertente.

A fatica riuscì a sfilargli la maglia; Harm era davvero alto! Se ne rese conto quando dovette allungarsi e trafficare un po’ per sfilargli le maniche, anche perché lui non collaborava affatto: se ne stava lì, praticamente inerme, senza neppure assecondare i movimenti per aiutarla.

Quando finalmente riuscì nell’impresa, era sudata. Fortunatamente sotto lui indossava una camicia di jeans e non una t-shirt.

Tuttavia la sua temperatura corporea salì ulteriormente quando si accinse a slacciargliela: ad ogni bottone che apriva, scopriva lentamente il suo torace…

Sarebbe morta prima della fine.

Risoluta procedette il più rapidamente possibile, cercando di non guardargli il petto. Ma era dannatamente difficile non farlo. O posava lo sguardo sulla sua pelle, oppure lo guardava negli occhi… in entrambi i casi si sentiva le gambe che non la sorreggevano più. Provò anche ad abbassare lo sguardo, ma incontrò l’allacciatura dei pantaloni e ricordò all’improvviso che, terminato di levargli la camicia, avrebbe dovuto avventurarsi in un territorio ancora più pericoloso.

Decise di ripetersi, come un mantra, “sono un Marine, sono un Marine…”, ma al corso d’addestramento non le avevano insegnato come spogliare un uomo tanto desiderabile resistendo all’impulso di saltargli addosso.

La parte più difficile arrivò fin troppo presto. Allungò una mano verso la cintura dei suoi calzoni, slacciò il bottone, ma poi si fermò. Sollevò lo sguardo e vide che lui la stava osservando.

“Questo dovresti riuscire a farlo da solo” gli disse.

“E’ più divertente se lo fai tu…” disse lui, con la solita voce strascicata e col solito sorrisino idiota.

“Harm… io non sono Reneè”

“Sono ubriaco, è vero… ma credo… credo di riuscire ancora a distinguere che non sei Reneè… “

“Allora dovresti riuscire anche ad abbassare la cerniera e levarti i jeans”.

“Agli ordini… Colonnello” disse mimando in maniera ridicola il saluto militare, di nuovo quel sorrisetto sulle labbra che era tutto un programma.

Ma si limitò ad aprire la cerniera; poi sollevò le braccia e disse:

“Coraggio… ora sono tutto tuo…”

Imprecando dentro di sé più e più volte, quasi con rabbia fece scivolare i pantaloni lungo le sue gambe che le parvero infinite.

“Ok, ora vieni in bagno” disse poi.

“Mhm… non manca… non manca ancora qualcosa?”

“Ti farai la doccia con i boxer, se vuoi che ti aiuti io. Altrimenti, per quanto mi riguarda, il gioco è finito qui. A casa ti ho portato, il resto non è più un mio problema. E se domattina sarai uno straccio e perderai l’udienza, saranno fatti tuoi…” proferì d’un fiato.

Lui alzò mani, quasi a parare quel fiume di parole.

“Ok, ok… “ e finalmente si lasciò condurre verso la doccia.

Aprì l’acqua e in qualche modo riuscì a ficcarcelo sotto, senza che le scivolasse  a terra. Sempre con quel sorriso indecifrabile, che cominciava a dubitare fosse causato solo dall’alcol, le aveva proposto di raggiungerlo sotto l’acqua, per fare meno fatica, ma lei non aveva neppure risposto. Si era levata la maglietta per non inzupparsela, ma non i pantaloni, che si erano bagnati verso il fondo, nel tentativo, per altro difficile, di lavarlo restando fuori dal box doccia.

Ovviamente tralasciò la zona coperta dai boxer. Già così era difficile poiché, sotto l’acqua, il tessuto non celava più nulla.

Lui se ne stava zitto; sembrava osservarla, ma non ne era sicura. Lei, d’altro canto, fece il possibile per essere rapida ed evitare qualunque coinvolgimento emotivo. Solo anni di duro addestramento militare riuscirono a farle terminare l’ardua impresa senza perdere completamente la ragione.

Avrebbero dovuto darle una medaglia!

Lo fece uscire e lo avvolse in un telo asciutto.

Forse a causa della doccia o forse per colpa del suo umore, lui era diventato improvvisamente taciturno e meno allegro di prima. Collaborò per permetterle di asciugarlo e asciugarsi a sua volta, anche se il fondo dei suoi pantaloni rimase bagnato.

Poi si fece condurre docilmente verso il letto.

Non era sicura di preferirlo così. Certo, era più facile da gestire, ma in fondo, nonostante ciò che aveva provocato al suo cuore, vederlo meno controllato del solito lo rendeva più umano e, sotto certi aspetti, ancora più desiderabile.

Restava il problema dei boxer, che erano completamente bagnati. Non poteva farlo dormire così.

Approfittò del telo da bagno con cui era ancora avvolto e del momento favorevole di docilità e glieli sfilò il più in fretta possibile; poi lo aiutò ad infilarsi sotto le coperte. Fu in quel momento che tutti i suoi sforzi per non guardarlo risultarono vani: concentrata ad evitare che lui cadesse, che il telo non scivolasse a terra, ma al tempo stesso pronta a toglierglielo per evitare che si stendesse nel letto ancora avvolto nell’asciugamano bagnato e bagnasse così anche le lenzuola, si ritrovò con la spugna in mano mentre lui, tranquillo e pacifico, si sistemava sul materasso, le lenzuola ancora sollevate dalle sue stesse mani.

Imbarazzata, confusa, eccitata…

Per un attimo le sembrò che le mancasse il respiro.

Lui parve non notare la sua esitazione; era al limite della coscienza e stava scivolando lentamente nel sonno.

Lo coprì col lenzuolo e fece per allontanarsi, a riporre le salviette, sistemare in bagno e quindi porre fine a quella tortura tornandosene a casa propria. Ma una mano le afferrò il polso.

Tornò a voltarsi verso di lui, steso nel letto.

“Harm…”

“Resta qui…” mormorò lui, la voce ormai chiaramente assonnata.

“Devo andare…”

“Resta qui… Sarah…”

Sarah.

L’aveva chiamata per nome. E’ proprio vero che l’alcol fa dire le cose più strane.

“Harm…”

“Finché non mi addormento…ti prego…”.

Pensò che non gli ci sarebbe voluto molto… ancora qualche minuto e poi sarebbe crollato.

Perché il suono del suo nome sulle sue labbra era tanto devastante?

Lasciò cadere a terra gli asciugamani e si stese accanto a lui, sopra le lenzuola.

Fu un’impressione o lui si mosse, impercettibilmente, quasi a cercare maggiormente la sua vicinanza? Quasi ad accoccolarsi tra le sue braccia…

Voltò il capo verso di lei e la guardò negli occhi.

“Non hai mai pensato… a come sarebbe?” le domandò, sorprendendola con una voce che non sembrava più quella di un ubriaco.

“Come sarebbe ‘cosa’?”

“Tra noi due… se facessimo l’amore…”

Non riuscì a rispondere. Il cuore le salì in gola e da lì non volle andarsene.

Distolse lo sguardo, fissando per qualche secondo il soffitto. Quando tornò ad osservarlo, Harm si era già addormentato.

Restò immobile, a guardarlo dormire, affascinata dalle ciglia lunghe che ombreggiavano i suoi incredibili occhi; quegli stessi occhi che soltanto un attimo prima sembravano scavarle nell’animo.

Percepiva il calore del suo corpo anche attraverso il lenzuolo. La sua pelle ora profumava di bagnoschiuma.

Osservò l’espressione del suo volto, rilassata nel sonno.

Sollevò lentamente una mano e gli sfiorò con dolcezza una guancia: l’ombra della barba stava irruvidendo la pelle liscia.

Lui si mosse al contatto, imprigionandole la mano tra il cuscino e la sua testa, quasi desiderasse che lei lo accarezzasse così per tutta la notte.

Un’idea assurda e molto pericolosa.

Eppure…

Era stato proprio lui a domandarle se non aveva mai pensato a come sarebbe stato se avessero fatto l’amore…

Esausta dalle emozioni di quella serata tanto insolita, scivolò lentamente nel sonno accanto a lui, cullata dal suo respiro e dall’immagine di loro due insieme. 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 4 Dicembre ***


 

Appartamento di Mac

 


Ansiosa, tormentata, agitata, stressata.

Depressa e insoddisfatta.

Sì: ora poteva aggiungere anche depressa e insoddisfatta alla lista.

E dannatamente più frustrata di prima.

Sapeva che sarebbe andata a finire così! Sapeva che se avesse fatto quello che Sturgis le chiedeva, il suo cuore avrebbe finito per soffrirne ancora di più. Eppure lui lo sapeva bene cosa provava per il suo amico, glielo aveva erroneamente confessato mesi prima. Ma nonostante questo aveva chiamato lei e non Harriett, non Jennifer, non qualsiasi altro collega. Aveva chiamato proprio lei e lei non aveva saputo dire di no.

E ora si trovava in uno stato di pieno delirio mentale ed ormonale.

I fatti della sera precedente tornavano prepotentemente a tormentarla ogni volta che la sua mente non era occupata in altro: Harm ubriaco, il suo strano atteggiamento causato dal troppo alcool, quel ballo (che era stato più un lento barcollio) stretta a lui, le sue mani che lo spogliavano dagli indumenti, la doccia e quella domanda “innocentemente” posta da Harm, in uno stato che sembrava quasi di sobrietà:

“Non hai mai pensato a come sarebbe? Tra noi due… se facessimo l’amore?”. Da quando lo conosceva ci aveva pensato almeno un miliardo di volte! Inizialmente era stata una curiosità puramente fisica: il Comandante era veramente un gran bell’uomo ed era umanamente impossibile non provare l’inarrestabile voglia di saltargli addosso e provare del buon sesso! Poi quella curiosità esclusivamente fisica era diventata ben altro: si erano aggiunti la stima, l’amicizia, i sentimenti, l’amore…

Si sentiva male nell’ammetterlo così spudoratamente, ma spesso, quando era con Mic, si era chiesta come sarebbe stato con Harm. Ed ogni volta si dava un’inspiegabile risposta: MERAVIGLIOSO.

Non si spiegava perché, ma aveva sempre avuto la certezza che fare l’amore con Harm sarebbe stato un viaggio in paradiso.

Non sapeva cosa e se avrebbe risposto  a quella domanda, se Harm non si fosse addormentato. Avrebbe potuto mentire spudoratamente dicendogli che non le era mai passato per la mente, ma non ci avrebbe creduto nessuno, a Sidney si era praticamente buttata tra le sue braccia con quella dichiarazione sul ferry. Avrebbe potuto rispondergli con la verità, ovvero che ci pensava da sempre ma che le loro vite non avevano mai permesso che niente accadesse.

Oppure avrebbe potuto proporgli di dare un senso reale a tutte quelle fantasie che per anni l’avevano ossessionata, se soltanto lui fosse stato sobrio e se lei fosse stata sicura che non era a causa di Renèe che si era ridotto in quello stato.

E per realizzarle tutte quante, una notte di certo non sarebbe bastata!

L’unica cosa sicura era che quella mattina, alle prima luci dell’alba, lei si era svegliata nel suo letto, con un suo braccio intorno alla vita, il suo caldo corpo premuto sulla sua schiena ed il suo respiro che le sfiorava il collo.

E in quell’istante si era sentita bene.

Aveva indugiato in quello stato per qualche minuto, prima che la dura realtà la colpisse come una doccia fredda: Harm, nel sonno, certamente pensava di abbracciare Renèe o chissà quale altra donna rimorchiata al bar. E così, a malincuore si era sciolta da quell’abbraccio che non le spettava, riuscendo a svincolarsi dal suo braccio senza svegliarlo.

Si era silenziosamente preparata ad uscire non senza prima essersi fermata a contemplare la figura addormentata di Harm e non senza aver fatto scorrere lo sguardo sul suo fisico lasciato scoperto dal lenzuolo ormai sceso fino alla vita.

In ufficio era stata una vera tortura: si era rintanata nel suo con le tendine abbassate per paura di vederlo e arrossire come una sedicenne, e ogni volta che doveva uscire controllava bene che il bel Comandante non fosse nei paraggi.

Era riuscita nel suo intento fino a fine giornata quando, stanca del lavoro e delle emozioni, si era lentamente avviata verso l’ascensore. Stava aspettando che si aprissero le porte, quando aveva sentito la sua voce.

“Ehi Marine, eccoti finalmente!”.

Anche senza guardarlo poteva ben immaginare il suo sorriso stampato sul volto. Mantenendo lo sguardo sull’ascensore, aveva risposto al suo saluto:

“Ciao Harm”.

Respira Mac, respira! Puoi farcela. E’ solo un tuo collega. E’ solo Harm. E’ solo l’uomo al quale ti sei svegliata abbracciata stamattina. E’ solo l’uomo che sogni da una vita.

MA QUANDO ARRIVA QUESTO ASCENSORE?

Il silenzio si era fatto imbarazzante e la situazione non era migliorata una volta entrati nello stretto spazio dell’ascensore.

“Mac… senti… io…”

La voce stentata e insicura di Harm aveva rotto finalmente il silenzio “io volevo ringraziarti di quello che hai fatto per me ieri sera, sei stata veramente un angelo”

“Di niente Harm, lo avresti fatto anche tu per me, i buoni amici servono a questo, no?” aveva detto con un sorriso, trovando finalmente la forza di guardarlo negli occhi.

Tragico errore: non appena i loro sguardi si erano incrociati e il suo sorriso si era formato, la domanda che le aveva rivolto la sera prima era tornata a  tormentarla.

Per fortuna il viaggio era durato poco e, fianco a fianco, si erano diretti alle rispettive auto. Harm aveva aperto la portiera ed era entrato nel suo SUV mettendo in moto e abbassando il finestrino:

“Tu hai fatto molto di più di quanto avrebbe fatto una buona amica. E visto che ci sono vorrei anche scusarmi del mio comportamento, qualsiasi cosa abbia fatto o detto, spero di non averti offesa…”

Offesa? Scusati più che altro dello stato mentale in cui mi hai ridotta!

“Non preoccuparti Harm. Mi spiace solo che tu stia soffrendo così tanto per Renèe… per il resto… qualsiasi cosa tu abbia fatto o detto… so che non la intendevi seriamente…”

Lo sguardo di Harm era diventato serio; aveva innescato la retromarcia per uscire dal parcheggio e con un filo di voce aveva aggiunto, mentre la macchina era già in movimento:

“Renèe? Renèe non c’entra proprio niente, e nonostante tutto, per ogni cosa fatta o detta, ero nel pieno delle mie facoltà mentali Mac…”.

E l’aveva lasciata lì, davanti alla sua macchina, con quella pesante affermazione tra loro.

Tipico di Harm! Fare un passo e correre via, buttare un sasso per smuovere le acque e poi ritrarre subito la mano.

Ah, uomini! Non li avrebbe mai capiti veramente e in special modo lui. Con un sospiro che le servì a riprendere il controllo di sé, si accomodò sul divano, prese il blocco di fogli azzurri che giaceva sul tavolino davanti a sé e decise di concentrarsi sul lavoro. Forse le sarebbe servito.

“Bene Mac, forza, il caso Wintrop!”

Iniziò a scrivere un paio di appunti e riflessioni che le erano venuti in mente durante la giornata, un paio di domande da porre al testimone ma soprattutto qualche osservazione da fare sulla strategia difensiva di Harm.

Almeno queste erano le sue intenzioni. In realtà, quando si rese conto di aver scritto soprappensiero, tra le domande da porre al testimone, “Hai mai pensato a come sarebbe tra noi?”, capì che era una battaglia persa.

Strappò con rabbia il foglio e lo accartocciò gettandolo nel camino davanti a lei.

Sorrise di sé, mentre distrattamente iniziava a scarabocchiare sul foglio successivo. Non poteva andare avanti così, questo era sicuro. E l’unico modo per riuscire a superare questa cosa, sarebbe stato vivere fino in fondo quella fantasia… si ma come? Sicuramente non nella realtà, il bel Comandante era off limits. Guardò la punta della penna mentre scorreva senza meta e senza senso sul foglio e sorrise tra sé. Strappò anche quel foglio scarabocchiato e iniziò quello seguente con la solita famosa frase, lasciando che il resto delle parole seguisse a ruota, senza pensare o riflettere su quello che stava scrivendo.

 

 

“Hai mai pensato a come sarebbe tra di noi? Tra noi due… se facessimo l’amore?”

Riuscire a far crollare le barriere che proteggono i nostri cuori… Concedersi l’uno all’altra senza limiti, senza riserve, senza aver paura di dare e di ricevere, senza aver paura di esporci…

Permettere alle mie mani di fare quel viaggio che da sempre sognano, lasciare le mie dita accarezzare il tuo volto, le tue palpebre, le tue labbra… percorrere il loro contorno lentamente fino a farle schiudere in un sospiro di piacere e fremente attesa. Attesa brevissima, colmata immediatamente dalle mie labbra, desiderose di assaggiarti, e riprendere immediatamente quel percorso, mordicchiando e tracciando il loro contorno, con la punta della mia lingua, di quelle labbra che non ho ancora smesso di fissare e desiderare.

E le tue labbra si sottometterebbero al mio volere, schiudendosi per me, dandomi accesso alla tua bocca e con essa, alla prima barriera che porta sino  al tuo impenetrabile cuore.

 

 

Lo squillo del telefono la risvegliò dal suo stato di trance.

“Colonnello MacKenzie… ciao Chloe! No che non mi disturbi, mi hai solo presa alla sprovvista, ero con la testa tra le nuvole…”

Guardò quelle poche righe sul foglio, sorrise di sé stessa ed appoggiò il blocco nuovamente sul tavolino. Di adolescenti ne bastava una, e in quel momento quel ruolo spettava a Chloe.

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Capitolo 4
*** 5 Dicembre ***


 

Jag – Ufficio del Colonnello MacKenzie

 

“Hai pronti i documenti sul caso Wintrop?”.

Mac alzò lo sguardo e vide la testa di Harm sbucare dalla porta del proprio ufficio.

“Come hai detto?”

“Il caso Wintrop… ricordi?”

“Oh, sì… certo. Il caso Wintrop.”

“Mac? Stai bene?”

“Certamente. Perché?”

“Mah… non so… mi sembri strana, oggi.”

“Strana? Strana in che senso?”

“Al briefing con l’Ammiraglio sembravi stanca… e ora…”.

“Ora cosa sarei?”

“Distratta. Sì, sembri distratta”

“Non sono affatto distratta. E a proposito del caso Wintrop… ecco…” e prese a frugare nella cartella, recuperando un fascicolo che gli porse con sorriso soddisfatto “…ecco i documenti che cercavi”.

Harm li prese, guardandola con un sorriso divertito.

“Guarda che non stavo mettendo in dubbio la tua efficienza… constatavo soltanto che mi sembravi distratta. C’è qualcosa che non va?”

Lei lo guardò, ricambiando il sorriso.

“Ti serve altro, Harm?”

Sentendosi congedato, senza aggiungere altro lui girò sui tacchi e uscì dall’ufficio.

Finalmente lei poté rilassarsi: era tutta mattina che pensava a quello che aveva scarabocchiato su quel foglio la sera prima… ma come le era venuto in mente di mettersi a scrivere quelle cose?

Fortuna che quel blocco era rimasto sulla sua scrivania a casa… Non osava pensare a cosa avrebbe potuto pensare chiunque avesse letto le fantasie proibite  di un colonnello dei Marine!

 

 

 

Jag – Ufficio del Comandante Rabb

 

Riattaccò il telefono, si alzò, chiuse la porta e finalmente aprì il fascicolo che aveva recuperato nell’ufficio di Mac: aveva ancora un paio d’ore da dedicare al caso Wintrop e voleva leggere ciò che aveva preparato lei.

Scorse i primi due fogli, la trasposizione scritta della testimonianza del marinaio Williams, che aveva assistito alla scena. Ricordava l’interrogatorio, ma rileggere nero su bianco le domande e le risposte gli permetteva di farsi un quadro migliore della situazione; inoltre gli faceva venire in mente altre eventuali domande che avrebbero potuto rivolgere al testimone, per prepararlo all’interrogatorio in aula.

Stava per passare alla deposizione successiva quando la punta di un foglio azzurro sbucò da sotto altri fogli bianchi; incuriosito recuperò il foglio colorato, rendendosi immediatamente conto che non era un semplice foglio, ma un blocco di fogli, benché molto sottile.

Era scritto a mano, a differenza degli altri, stampati o dattiloscritti.

Doveva trattarsi di appunti di Mac. E infatti quella era la sua calligrafia.

Credendo di leggere fogli di lavoro, iniziò a scorrere le parole, una dopo l’altra.

La prima frase che lesse da principio gli sembrò essere una domanda da rivolgere ad un testimone… ma l’argomento non sembrava collimare con quello che era il caso che stavano seguendo.

Che fossero appunti per un altro caso, finiti per errore in un dossier sbagliato?

Proseguì incuriosito dall’argomento… rendendosi conto, ben presto, che non si trattava più solo di domande, ma di qualcos’altro.

Sembravano…

Non poteva crederci!

Eppure…

Nonostante fosse ubriaco e quasi in stato di incoscienza, tra la veglia e il sonno, ricordava bene cosa aveva chiesto a Mac due sere prima, mentre era steso a letto. E quello che c’era scritto in quel blocco azzurro pareva tanto la risposta a quella domanda e non solo.

Oh, no! Non solo!

Con un pigro sorriso divertito, lesse avidamente tutto quanto, soffermandosi persino in alcuni punti che trovava particolarmente interessanti.

Quando ebbe terminato, posò il blocco e si mise a riflettere: ciò che aveva appena letto gli offriva su un piatto d’argento l’occasione di dirle tutto quello che non era mai riuscito a dirle…

Doveva solo capire come.

Si mise al computer e trascrisse rapidamente ciò che aveva letto, salvando il documento su una chiavetta USB che mise nel portafoglio; a casa l’avrebbe riletto e avrebbe riflettuto sul da farsi.

Per il momento non doveva che attendere il momento propizio per far scivolare, senza essere visto, nella cartella di Mac il blocco azzurro, lasciandole credere che fosse rimasto nella sua borsa e non finito nelle mani dell’oggetto delle sue fantasie.

L’interessante, di tutta quella faccenda, sarebbe stato anche scoprire se nel fascicolo Wintrop quel blocco fosse davvero finito per errore, oppure per un inconscio lapsus freudiano!

 

 

 

Appartamento di Mac

 

Aveva cenato con un’insalata e una bistecca e stava per mettersi al lavoro: prese la cartella con i fascicoli che si era portata dall’ufficio e la mise sulla scrivania.

Si guardò attorno, perplessa.

C’era qualcosa che non andava…

Osservò con più attenzione, cercando di focalizzare meglio la sensazione che aveva avuto e sussultò: il blocco azzurro non era dove credeva d’averlo lasciato.

Sollevò rapida ad uno ad uno i fogli che si trovavano sul tavolo ma non trovò ciò che stava cercando.

Dove era finito?

Aprì i cassetti della scrivania e rovistò anche lì, finché dovette arrendersi all’evidenza dei fatti. Allora, in preda al panico, aprì la borsa da lavoro e tirò fuori il fascicolo Wintrop…

Non poteva essere finito lì dentro!

Aprì la cartellina che conteneva i documenti relativi al caso e cominciò a scorrerli tutti: niente neppure lì.

Eppure ricordava chiaramente che quel dannato blocco azzurro era sulla scrivania, la sera prima, mentre lavorava.

Guardò nuovamente nella borsa e… finalmente tirò un sospiro di sollievo: eccolo!

Si trovava nel soffietto più esterno della cartella, quello dove solitamente riponeva la cancelleria e i fogli per appunti e non dove teneva i fascicoli dei casi che stava esaminando. Probabilmente lo aveva infilato nella borsa soprappensiero, così com’era stata per tutta la giornata in ufficio.

In fondo Harm aveva avuto ragione: era distratta.

Harm…

Era stata davvero una fortuna che quel blocco non fosse finito nel posto sbagliato. Non osava neppure immaginare cosa avrebbe pensato lui se avesse letto ciò che vi aveva scritto.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** 7 Dicembre ***


 

Jag – Ufficio del Colonnello MacKenzie

 

“Ehi! Verresti a pranzo?”.

Doveva smetterla di entrare di sorpresa nel suo ufficio: doveva averla davvero spaventata, perché la vide sobbalzare e far cadere a terra un plico di fogli che probabilmente teneva sulle gambe.

“Oh, Mac… scusami. Non volevo spaventarti”.

Avanzò verso il tappeto di fogli che andava dai piedi di Mac fin sotto alla scrivania; alcuni documenti erano scivolati persino vicino alla porta.

Praticamente davanti ai suoi piedi.

Lei si gettò a terra, rapida come non l’aveva mai vista, per recuperarli.

“Aspetta… ti aiuto”.

“No.”

La risposta secca e affrettata che gli rivolse lo mise sul chi va là. Possibile che…?

Diede un rapido sguardo alla distesa di carta e individuò immediatamente un foglio azzurro spiccare sul resto di fogli bianchi… e, guarda caso, era proprio davanti a lui.

Ignorando il suo diniego, si piegò per recuperare proprio quello, mentre lei era voltata di schiena e cercava di raccogliere il più rapidamente possibile quanti più documenti poteva, senza ancora accorgersi che quello che più voleva nascondergli era proprio nelle sue mani.

Diede una sbirciata a ciò che vi era scritto e scoprì che non conteneva le medesime parole che ormai conosceva quasi a memoria… Aveva scritto altro.

“Ti avevo detto che non avevo bisogno del tuo aiuto”.

La voce secca di Mac lo costrinse ad alzare la testa e guardarla; lo sguardo e la mano che lei tendeva lo obbligò a restituirle immediatamente il foglio colorato, fingendo di non averlo neppure guardato.

“Scusami tanto… “ disse porgendole anche un altro documento, tanto per sviare la sua attenzione, “… stavo semplicemente aiutandoti, considerato che è per causa mia che è successo questo piccolo disastro” aggiunse con un sorriso smagliante.

Lei lo guardò torva per un attimo; poi, probabilmente per evitare di insospettirlo ulteriormente ed essendo ormai entrata in possesso di ciò che desiderava nascondergli, addolcì la piega delle labbra e disse:

“Hai ragione. Dovresti smetterla di spaventarmi così ogni volta che entri nel mio ufficio… ok, puoi aiutarmi a rimediar a questo disastro che TU hai combinato”.

“Ah… e così ora sarei solo io ad aver combinato tutto quanto? Ma guarda… E da quando tu sei tanto nervosa quando mi affaccio alla porta del tuo ufficio?”

“Che cosa intendi?” chiese lei, sospettosa e di nuovo immediatamente sulle sue.

“Mhm… dimmi dimmi… non avrai per caso qualcosa da nascondere?”.

Osservò un improvviso calore arrossarle il volto e sorrise.

“Oh, oh! Devo aver colpito nel segno… Coraggio, Mac, cosa mi nascondi?”

“Nulla… “ disse lei, continuando a raccogliere i fogli caduti e voltandogli così le spalle.

Lui si abbassò di nuovo al suo livello, si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò divertito:

“Sei sicura?”.

Si voltò verso di lui e per un attimo le labbra di Mac furono vicinissime alle sue. Reprimendo a stento la voglia di baciarla, comprese in quell’istante quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Era ora di dare un senso a tutta quella storia.

Prima di alzarsi le porse altri fogli che aveva raccolto, dopodiché, così com’era entrato, se ne andò.

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Capitolo 6
*** 11 Dicembre ***


 

Appartamento di Mac

 

“… ed è per questo che vi chiedo  un verdetto di piena assoluzione”.

Non andava. Da ormai due ore camminava avanti e indietro nel suo salotto ripetendo e variando la sua arringa finale, senza mai trovarla realmente convincente. Oltre alla sua frustrazione nella vita sentimentale, ci mancava solo quella lavorativa.

Si ributtò sul divano e riprese in mano tutti gli appunti sparsi sul tavolino davanti a lei. Riesaminò quelli presi durante il processo: era senza dubbio innocente, ma non riusciva a trovare qualcosa da usare come vero colpo di grazia nell’arringa. Prese in mano anche i fogli degli appunti di Harm, nella speranza che il suo intuitivo collega le fornisse la soluzione al suo problema.

“Certo che Harm ha veramente una pessima calligrafia” pensò mentre con difficoltà scorreva i fogli riempiti di geroglifici.

“E anche in questo niente…” sospirò sconsolata poggiando di lato l’ennesimo foglio “Avanti il prossimo… allora… Hai mai pensato a come sarebbe se…” la frase le morì sulle labbra e un brivido la percorse.

Per un lungo attimo non capì. La calligrafia era quella di Harm, la frase era quella che da giorni la stava tormentando… possibile che Harm fosse rimasto sconvolto da quella serata quanto lei? E che anche Harm si fosse ritrovato a scrivere le sue fantasie a ruota libera? Sorrise mordendosi il labbro inferiore ed iniziò a leggere…

 

 

 

“Hai mai pensato a come sarebbe tra di noi? Tra noi due… se facessimo l’amore?”

Riuscire a far crollare le barriere che proteggono i nostri cuori… Concedersi l’uno all’altra senza limiti, senza riserve, senza aver paura di dare e di ricevere, senza aver paura di esporci…

Bellissimo. Sarebbe bellissimo.

Sfiorerei la sua pelle con le mie mani, accarezzandole il volto, le palpebre, le labbra… indugerei sul loro contorno, prima con le dita, poi con la mia bocca, fino a farle schiudere per me, per il bacio che attendo di darle da troppo tempo.

La via d’accesso al suo impenetrabile cuore.

Un bacio lungo, appassionato. Una dolce danza, vecchia come il mondo.

E le mie mani scivolerebbero lentamente sul suo corpo, toccando ogni centimetro della sua pelle, che scoprirei lentamente sollevandole la maglia, pregustando il momento in cui ripercorrerei lo stesso tragitto con le mie labbra…

 

 

 

Rilesse ogni singolo passaggio almeno due volte, provando un improvviso calore e senso di eccitamento immaginando quelle adorabili mani finalmente sul suo corpo. Senza pensare al fatto che, adesso, aveva la prova che anche lui la vedeva sotto luce diversa.

Come trasportata da una forza incontrollabile rilesse nuovamente il tutto, senza riuscire a togliersi il sorriso stampato sulla faccia.

Ma, improvvisamente, quel calore che le parole di Harm erano riuscite a creare scomparve, lasciando al suo posto un gelo che le penetrò fin nelle ossa.

Era stata talmente rapita da quelle parole che… non si era accorta… ma, possibile che…

Si alzò velocemente dal divano e corse verso la sua borsa di lavoro. La aprì e afferrò il famoso blocco di fogli azzurri che da qualche giorno stava nel prima soffietto. Lo aprì velocemente e iniziò a leggere prima il suo foglio, poi  quello di Harm, poi passò nuovamente gli occhi sul foglio azzurro per ritrovare una precisa corrispondenza con le parole scritte da lui…

Per un lungo istante rimase a fissare quelle frasi tanto simili, incapace di dare una spiegazione razionale o forse cercando di scacciare l’unica spiegazione razionale esistente. E quando ne prese coscienza si sentì quasi soffocare.

Ricollegò velocemente i fatti… La sera sul divano mentre scriveva, il blocco poggiato sul tavolo accanto al dossier Wintrop, Harm in ufficio che chiede i documenti, lui che rientra due ore dopo, con uno strano sguardo e che si abbassa vicino alla sua borsa con la scusa di una penna caduta a terra e infine le strane allusioni di quel giorno su lei che le nascondeva qualcosa.

Tutto filava purtroppo e la conclusione era solo una: doveva aver messo inavvertitamente il blocco in mezzo ai documenti del caso, li aveva dati ad Harm e lui aveva letto la sua fantasia prima di riporla, non visto, nella ventiquattrore.

La prima reazione fu di imbarazzo più completo. Aveva appena scoperto di aver involontariamente confessato al suo partner, collega e miglior amico, di avere il preciso desiderio di saltargli addosso. Non sarebbe più riuscita a guardarlo negli occhi, a stare sola in uno spazio stretto con lui, adesso che sapeva che anche lui sapeva…

Non riusciva più a fare un pensiero coerente. Immagini di Harm mentre leggeva il suo scritto la stavano tormentando: il suo viso indignato, divertito, distaccato, eccitato… Non riusciva ad immaginare cosa avesse potuto pensare lui.

Si mise una mano sul volto e si maledisse interiormente per aver ceduto alla tentazione di mettere nero su bianco quelle cose, rischiando di rovinare per sempre il loro rapporto.

Che penserà adesso Harm di me?

Abbassò gli occhi su quei fogli e all’improvviso capì che la risposta a tutte quelle domande era proprio tra le sue mani. Riprese il foglio di Harm e lo lesse nuovamente.

C’erano solo due possibili risposte: o si stava divertendo a giocare con i suoi sentimenti (e non era certamente da Harm), o anche lui era interessato a portare il loro rapporto verso un nuovo livello. Il sorriso le si stampò nuovamente sul volto.

E adesso? Cosa avrebbe dovuto fare? Chiamarlo e dirgli che i suoi appunti l’avevano MOLTO ispirata e non per l’arringa? Presentarsi a casa sua con i fogli nella mano sinistra e una bottiglia di champagne nella destra?

Sicuramente erano due ipotesi allettanti ma non sarebbe stata in grado di ricevere un rifiuto se avesse scoperto che l’intento di Harm era stato solo quello di  giocare.

Doveva tastare ancora un po’  il terreno… Del resto lui le aveva mentito… non le aveva detto d’aver letto le sue fantasie.

Doveva capire più chiaramente le sue reali intenzioni. E per farlo sarebbe stata al suo gioco e avrebbe risposto con la sua stessa carta.

In fondo, in due si può giocare meglio!

Se le cose fossero andate come sperava, il marinaio Wintrop avrebbe ricevuto sicuramente un’anonima raccomandazione per passaggio di grado.

Prese il suo blocco e ricominciò a scrivere con una nuova spinta e un nuovo obiettivo: farlo suo!

E come per magia, le parole iniziarono a sgorgare.

 

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Capitolo 7
*** 14 Dicembre ***


 

Uffici del Jag

 

Scrollandosi dalle spalle la neve che non si era ancora sciolta durante il tragitto in ascensore, il Comandante Rabb entrò negli uffici del Jag allegro e sorridente.

“Comandante! Ben rientrato” si sentì apostrofare dalla voce divertita e al tempo stesso lievemente ironica dell’Ammiraglio Chegwidden.

“Signore…” rispose Harm, salutandolo.

“Tutto bene il viaggio?”

“Certo Signore! Ho raccolto tutte le informazioni che ci servivano e sono pronto a formulare i capi d’accusa.”.

“Bene. Comandante, la trovo particolarmente allegro, oggi. Qualche motivo speciale?”

“Nossignore… “

“La neve, allora? O è l’avvicinarsi del Natale? So che il 23 e il 24 dicembre lei sarà sulla Coral Sea ad accompagnare l’Ammiraglio Boone… potrà provare a farsi un volo…”

“Non ne sapevo niente, Signore”.

“Glielo sto dicendo ora”.

“Sissignore, grazie Signore”.

“Aspetti a ringraziarmi, Comandante. Se non dovesse tornare in tempo per la cena dai Roberts, Harriett potrebbe sbranarla…”. E detto questo l’Ammiraglio scomparve nel suo ufficio, lasciandolo senza parole.

Scosse la testa con un sorriso divertito e stava per dirigersi a sua volta verso il proprio ufficio quando fu fermato da Sturgis.

“Harm, hai già saputo?”

“Sì, me lo ha appena detto l’Ammiraglio”

“Ci sarai, allora?”

“Ovvio che sì… perché, vieni anche tu? L’Ammiraglio non me lo ha detto”.

“Beh, certo… Bud e Harriett hanno invitato anche me…”

“Oh, ti riferivi alla cena di Natale a casa Roberts?”.

“Sì, perché? Tu a cosa pensavi?”

“Ah, lascia stare… ero soprappensiero. Comunque sì, ci sarò… sempre che riesca a tornare in tempo…”

“In tempo?”

“Sì… sarò sulla Coral Sea ad accompagnare l’Ammiraglio Boone che deve tenere  una conferenza… dovrò discutere anch’io di qualcosa…“.

“Sai che se non arriverai in tempo…” lo interruppe il Comandante Turner.

“… Harriett potrebbe sbranarmi. Sì, me lo ha già ricordato l’Ammiraglio.”.

“Mhm… a dire il vero io stavo pensando ad altro”.

“Ah… e a cosa?”

“Lascia stare… pensavo ad alta voce. Ci vediamo…” e con quella frase sibillina, chiuse la conversazione e girò sui tacchi.

“Sturgis…” si ritrovò a dire Harm, ma senza ottenere risposta. Il suo amico se n’era andato.

A quanto pareva quella mattina non era l’unico strano. Allegro, forse. Ma non certamente l’unico strano!

Allontanò il pensiero di Sturgis e tornò a concentrarsi sull’unica cosa che gli importava di quella giornata: rivedere Mac.

Decise di passare prima in ufficio per lasciare il cappotto e la cartella, ma quella mattina il suo ufficio sembrava essere diventato una destinazione irraggiungibile.

Fu fermato da Tiner che gli disse che Mac era dovuta uscire per interrogare dei testimoni e quasi certamente sarebbe rimasta fuori per tutta la giornata; il Colonnello lo aveva pregato di consegnargli un fascicolo, dicendo che lui sapeva di cosa si trattava.

“Sì, Tiner… il dossier del caso a cui stiamo lavorando io e il Colonnello. Grazie”.

Prese dalle mani del sottufficiale Tiner il plico che gli stava porgendo e, con un aria decisamente meno allegra di qualche minuto prima, finalmente riuscì a varcare la soglia del suo ufficio.

Posò sulla scrivania il fascicolo e la cartella da lavoro; dopodiché si levò il cappotto e chiuse la porta.

Tutto il buonumore se n’era andato quando aveva saputo che non avrebbe rivisto Mac per un altro giorno ancora: voleva guardarla negli occhi per capire se aveva letto il suo biglietto.

Pazienza, avrebbe dovuto attendere l’indomani.

Decise di mettersi al lavoro e per prima cosa preparò il documento con la formulazione delle imputazioni a carico del tenente Grant, l’accusato del nuovo caso che stava seguendo con Mac.

Quando ebbe terminato ne fece due copie, una da consegnare all’Ammiraglio, l’altra da conservare nel dossier. Trascrisse e stampò infine una relazione sull’esito del suo colloquio con i testimoni che aveva ascoltato mentre era via, per aggiungere anche quella al fascicolo che gli aveva fatto avere Mac.

Aprì la cartelletta per sistemare i documenti e ciò che vide in cima ai fogli lo fece sorridere e gli fece ritrovare immediatamente il buon umore che aveva perso prima.

Un altro foglio azzurro, con la calligrafia di Mac.

 

 

Sentire le tue mani su di me, possessive e al tempo stesso dolcissime. Le mani di un uomo non sono mai state tanto calde sul mio corpo, ma nessun altro uomo può essere paragonato a te. E capisco che non sono le tue mani ad essere calde, ma è il tuo tocco ad incendiarmi.

Assaporare l’attesa di ogni centimetro percorso dalle tue dita e tremare quando le tue mani si posano sui miei seni, chiudendo gli occhi per godere di quell’appagante sensazione.

Riaprire gli occhi e incrociare il tuo sguardo cupo, bramoso, eccitato e innamorarsi ancora di più del tuo sorriso fiero e sicuro.

Attirarti a me prepotentemente, per impossessarmi delle tue labbra in un bacio quasi violento che nasce dalla rabbia nel sentirmi tanto impotente e arrendevole tra le tue braccia.

Esplorare il tuo corpo e sorridere a mia volta sulle tue labbra nel sentirti trattenere il fiato ad ogni mio tocco…

 

 

Fino a quel momento, nonostante non rimpiangesse l’idea che aveva avuto, temeva un po’ la reazione di Mac: avrebbe potuto prendersela nello scoprire che lui aveva letto le sue fantasie e perdere così la sua amicizia.

Ma le parole scritte su quel foglio stavano ad indicare che aveva capito il suo intento e questo, da una donna come Mac, poteva significare una cosa sola: era pronta, finalmente, a portare il loro rapporto ad un nuovo livello.

Ed era anche decisa a proseguire con lui in quel “gioco”.

Sollevò il foglietto scritto da lei e quando vide cosa c’era sotto, sorrise.

Oh sì! Eccome se aveva voglia di continuare con lui quell’avventura!

Sotto il foglio azzurro vergato con la sua calligrafia, Harm ne trovò un altro, intonso.

Lasciato lì apposta per lui.

 

 

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Capitolo 8
*** 15 Dicembre ***


Uffici del Jag – sala riunioni

 

“Ciao Sturgis”

“Mac…”

“Harm non è ancora arrivato?”

“Non ancora”

“Allora… “ disse Mac, posando il fascicolo del caso Grant sul tavolo “… se non ti dispiace nel frattempo faccio un salto in cucina a prendere del caffè… ne vuoi anche tu?”

“No, grazie”

“Ok, solo per me e per Harm, allora. Torno subito.”

“Da quando Harm beve il caffè?” domandò Sturgis, mentre usciva.

In effetti Harm raramente beveva caffè…

“Per lui del tè, se lo trovo…” rispose sulla porta, voltandosi verso il Comandante Turner.

“Grazie Mac, ma…”. La voce di Harm appena dietro di lei la colse alla sprovvista e per poco non gli finì addosso.

“Attenta…” disse Sturgis.

Harm stava entrando con due tazze in mano ed ebbe la prontezza di arretrare di un passo, altrimenti avrebbero combinato un disastro.

La guardò con un sorriso e le porse la tazza di caffè che le aveva portato.

“Grazie” disse imbarazzata. Era la prima volta che si trovava così vicino a lui, da quando aveva scoperto che aveva letto le sue fantasie.

Mentre prendeva la tazza, le loro dita  si sfiorarono. A quel contatto non riuscì ad evitare di tornare con la mente alle parole che aveva letto nel biglietto di Harm.

“Più la guardo, più la desidero…”.

Aveva trovato il suo biglietto la sera prima, nella stessa cartellina che gli aveva fatto consegnare lei da Tiner e che lui aveva lasciato sulla sua scrivania. Era passata un attimo in ufficio, prima di tornare a casa, impaziente di scoprire se lui aveva risposto. Harm aveva scritto sul foglio che lei gli aveva lasciato dentro per sfidarlo a continuare il “gioco”.

E, a quanto aveva letto, lui aveva accettato la sfida.

 

 

Lei è così bella… Più la guardo, più la desidero.

Eppure continua a rimanere soltanto una fantasia… un sogno proibito.

Chissà se ne ha uno anche lei…   

 

 

Si scambiarono uno sguardo, per pochi secondi, finché non sentirono un movimento provenire da dove si trovava Sturgis.

“Allora… possiamo iniziare?” disse Harm, prontamente ripresosi dal momento, mentre si sedeva con la sua tazza in mano.

Dovevano discutere con l’avvocato della difesa, Sturgis, che voleva un accordo per il suo assistito, il tenente Grant, al fine di evitare il processo.

Sarebbe stata una dura battaglia. Harm era fermamente convinto della colpevolezza dell’imputato e non aveva alcuna intenzione di cedere.

Mac si sedette a sua volta, sorseggiando il suo caffè.

Vide Harm avvicinare, con la mano libera, il fascicolo che lei aveva posato prima sul tavolo, mentre con l’altra si portava la tazza alle labbra.

Continuò a sorseggiare il suo caffè.

Lo vide aprire la cartelletta e deglutire un primo sorso di tè, mentre posava lo sguardo sui fogli.

Osservò di sottecchi la scena, mentre fingeva di sorseggiare ancora il caffè, che invece aveva appena terminato.

Per un attimo Harm sembrò concentrato a leggere; poi, improvvisamente, iniziò a tossire, come se il tè gli fosse andato di traverso.

“Harm… stai bene?” gli chiese Sturgis, sorpreso da quell’eccesso di tosse.

Non appena si riprese, fece cenno di sì con la testa, senza tuttavia riuscire a pronunciare una sola parola.

Si voltò verso di lei, con uno sguardo malizioso e le sorrise.

Poi, finalmente, riuscì a ritrovare la voce e disse:

“Sto bene, sto bene… Possiamo continuare…”

“Ma cosa ti è successo?” gli domandò Sturgis, osservandoli divertito.

“Niente… “

“Cos’è? Uno scherzo? Sembra che tu abbia visto un fantasma, in quei documenti!” aggiunse Sturgis, senza mollare la presa. Sembrava aver captato l’elettricità del momento.

“Oh, no, Sturgis… nessun fantasma… e nessuno scherzo…” rispose Harm, scrutando di nuovo i fogli.

 

 

Sogni... ad occhi aperti di giorno, nel mondo onirico di notte.

Dolci, passionali, romantici, erotici, proibiti... tutti con un unico comun denominatore: TU.

Tu e la tua perfetta divisa blu.

Ed ogni volta che ti vedo, un solo  pensiero si fa strada nella mia testa: afferrarti per la cravatta e attirarti a me per un bacio appassionato.

Slacciarne lentamente il nodo per farla scivolare dal tuo collo e poi, lascivamente, abbandonarla a terra dietro di noi...

 

 

Poi guardò di nuovo lei e aggiunse, sottovoce:

“Lo spero proprio che non si tratti di uno scherzo…”.

 

 

 

Uffici del Jag

 

Era stanca.

La giornata era stata faticosa e, in un certo modo, stressante. Dopo ciò che era accaduto in sala riunioni al mattino, lei e Harm non si erano più visti, lui dapprima impegnato con l’Ammiraglio e poi con Sturgis, lei alle prese con un noiosissimo lavoro di archiviazione assieme a Jennifer, che richiedeva la sua supervisione. Avevano sistemato cartelle di vecchi casi per quasi quattro ore e quando Jen era andata a casa perché quella sera aveva un appuntamento, si era offerta di terminare le ultime da sola, così il giorno dopo avrebbe potuto dedicarsi esclusivamente al caso Grant.

Alle 19 il sottufficiale Coats l’aveva salutata con un “non faccia tropo tardi, Colonnello!” e da quel momento erano trascorse altre due ore, ma era finalmente riuscita a terminare.

Uscì della saletta dove lei e Jennifer avevano trasportato tutto il materiale da visionare con una pila di cartelline e documenti tra le braccia e aveva appena chiuso la porta con una mano, trattenendo tutto quanto in equilibrio con l’altro braccio, quando fece per voltarsi e dirigersi nell’archivio per depositare i fascicoli che l’indomani Jennifer avrebbe sistemato, ma incontrò un ostacolo e gli finì addosso.

Si sentì trattenere da due braccia forti, altrimenti avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe caduta. Fortunatamente, invece, a terra cadde solo il contenuto della cartellina in cima alla pila, che non era riuscita a trattenere. Sarebbe stato un guaio dover sistemare di nuovo tutto.

Stava cercando di capire contro chi era andata a sbattere, quando la voce divertita di Harm le giunse da troppo vicino all’orecchio.

“Era destino, oggi, che ti avessi tra le braccia…”.

“Harm… che ci fai ancora qui?” gli chiese, improvvisamente conscia di essere stretta a lui. Il cuore non le batteva forte solo per lo spavento.

Harm la lasciò andare con dolcezza, permettendole di ritrovare l’equilibrio.

“Potrei chiederti la stessa cosa” rispose lui, bello e imperturbabile come sempre.

Lei si sentiva uno straccio.

“Ho finito un lavoro che stavo facendo con Jennifer…”

“E io ti ho fatto finire tutto quanto a terra…” disse lui, mentre lei si stava piegando per raccogliere i fogli caduti.

“Non tutto quanto, fortunatamente…”

“Aspetta… ti aiuto…” e si abbassò anche lui.

“Mi sembra una scena già vista…” disse lei, per stemperare soprattutto dentro se stessa quella sensazione di intimità che l’aveva colta di sorpresa.

Si voltò verso di lui, mentre Harm le porgeva gli ultimi fogli che aveva raccolto, si alzava e poi le porgeva una mano per aiutarla ad alzarsi a sua volta.

Afferrò la sua mano, ma comprese subito di aver commesso un errore: lui la trattenne per qualche istante in più del dovuto, mentre la guardava intensamente.

Si sentì sciogliere sotto quello sguardo…

Lo scambio di fantasie con cui stavano “giocando” andava bene finché non si vedevano, ma non in momenti come quello, quando l’unica cosa che le passava per la mente era di afferrarlo per la cravatta e…

Harm non aveva la cravatta.

Lo osservò stupita, perché ricordava benissimo che quel mattino la indossava, come ovvio, con la divisa blu. Forse, a quell’ora, se l’era tolta e l’aveva infilata in tasca.

Ma cosa diavolo le importava di dove avesse messo la cravatta?

Non poteva andare avanti così! Doveva smetterla con quel “gioco”… non avrebbe portato da nessuna parte… o meglio, l’avrebbe condotta dritta al manicomio.

“Mi sembri stanca…” la voce dolce di Harm interruppe i suoi pensieri.

“Lo sono, infatti. Ora vado a casa.”.

“Ti aspetto, se vuoi”

Santo cielo, ci mancava quello!

“No, grazie Harm. Mi fermo ancora un attimo in ufficio… devo spegnere il computer e… Non voglio trattenerti.”.

“Non sarebbe un problema per me”.

Ma lo sarebbe stato per lei: non era in condizioni fisiche e psicologiche per stargli vicino come amici. Si trovava in un pietoso stato di frustrazione e mancanza di autocontrollo e…

No. Assolutamente no.

“Ti ringrazio, ma preferisco finire le poche cose che devo ancora fare senza sapere di far attendere qualcuno…”.

Lui la guardò con un sorriso dolce, poi annuì, come se avesse capito che non se la sentiva di averlo vicino.

“D’accordo, come vuoi. Ma… non fare troppo tardi…” aggiunse, sfiorandole una guancia con le nocche delle dita. Poi si diresse verso la porta per uscire.

Lei rimase lì, incapace di muoversi, finché non lo vide sparire oltre l’ingresso.

Con i polpastrelli della mano sinistra si toccò nello stesso punto dove le sue dita l’avevano sfiorata…

Cosa accidenti aveva quell’uomo da sconvolgerla sempre tanto?

Finalmente riuscì a muoversi: andò in archivio a depositare la pila di fascicoli che ancora teneva tra le braccia e poi entrò nel suo ufficio, per spegnere il pc e recuperare il cappotto.

Sulla scrivania una macchia scura attirò immediatamente la sua attenzione; aggirò il tavolo, sollevò con aria circospetta l’oggetto in questione e quando realizzò di cosa si trattava, rimase senza fiato: Harm aveva trovato un modo molto intrigante per rispondere al suo biglietto e proseguire nel “loro gioco”.

Tra le mani, in quel momento, aveva la sua cravatta.

 

 

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Capitolo 9
*** 18 Dicembre ***


 

Appartamento di Harm

 

Nulla. Nulla neppure quel giorno.

Mac non aveva più continuato il gioco: dopo che le aveva lasciato la cravatta sulla scrivania, non aveva trovato più nessun biglietto.

Oh, dannazione! Cosa gli era saltato in mente di risponderle a quel modo?

Credeva che la sua mossa fosse intrigante, la classica “mossa vincente”, ma ora doveva riconoscere che aveva esagerato. Probabilmente lei non aveva apprezzato il gesto, quasi un invito a mettere in pratica le sue fantasie, e aveva deciso di smetterla.

Eppure gli era sembrata l’unica risposta possibile alle parole che lei gli aveva fatto trovare e che gli avevano fatto andare di traverso il tè.

Aveva apprezzato parecchio la sua audacia: lei sapeva benissimo che ciò che aveva scritto poteva metterlo in imbarazzo, o quantomeno farlo distrarre, confondere, e aveva deciso di divertirsi e far avvenire il tutto in pubblico.

La faccia di Sturgis, consapevole che stava accadendo qualcosa ma all’oscuro di tutto, era stata impagabile!

Per questo aveva risposto a quel modo. L’unica cosa che aveva avuto per la mente durante tutta quella giornata era stata l’immagine delle mani di Mac sulla sua cravatta… lasciandogliela sulla scrivania, era certo che quell’immagine che lo aveva tormentato per ore si sarebbe trasformata in realtà: la cravatta sarebbe stata nelle sue mani.

Se lei si fosse davvero arrabbiata, si sarebbe aspettato che il giorno successivo piombasse nel suo ufficio come una furia, restituendogliela e chiedendogli spiegazioni.

Invece nulla.

Per tre giorni però gli erano arrivati continui possibili “porta-messaggi” da parte di Mac: il dossier del caso Grant era passato nelle loro mani, per i motivi più svariati – un appunto da leggere, una firma da apporre, una trascrizione da correggere…- almeno una decina di volte e ogni volta lei chiedeva che le fosse riconsegnato subito dopo. Tiner, che aveva fatto da “taxi” al fascicolo, ad un certo punto aveva persino commentato:

“Certo che questo caso deve essere davvero importante, Comandante!”.

Poi c’erano stati il sacchetto con i panini – Mac, ogni giorno, si era premurata di chiedergli se voleva il pranzo e gli aveva portato dei sandwich dal bar all’angolo- e la tazza di tè al mattino e al pomeriggio, tanto che lui aveva iniziato ad immaginare che lei avrebbe potuto mettere un biglietto persino dentro la tazza, ovviamente senza tè; la busta per raccogliere i soldi che, come ad ogni Natale, il Jag devolveva in beneficenza ai bambini dell’ospedale e il sacchetto contenente il regalo che avevano deciso di fare assieme per il piccolo AJ…

Insomma, un via-vai di possibili “porta-messaggi”. Tutti assolutamente privi di qualunque foglietto azzurro o anche di altro colore.

A quel punto, ormai, era rassegnato che il “gioco” fosse finito.

Mac, con quell’andirivieni, si era probabilmente divertita e si era presa la sua piccola “vendetta”. E lui aveva perso l’unica occasione per dare una svolta alla loro storia.

Il suono del campanello lo sorprese a crogiolarsi nell’autocommiserazione.

Si alzò e andò ad aprire: alla porta c’era Jennifer.

“Ciao Jen… qualche problema? Mattie sta bene?”

“Certo, Comandante. Stasera dorme da Barbara, ricorda?”

“Oh, sì, certo. Cosa posso fare per te?”

“Nulla… sono solo passata a darle questo… “ e gli porse un pacchetto, lungo e sottile.

“Cos’è?”

“Non lo so, signore. Credo sia un regalo… stavo entrando nel portone, quando un fattorino mi ha domandato se conoscevo un certo Harmon Rabb… così ho ritirato io il pacco.”

“Grazie Jen”

“E’ strano… la confezione è identica a quella in cui vengono solitamente avvolte le cravatte…”

“Cravatte?”, la interruppe lui, col cuore al galoppo.

“Sì…  ma… è troppo leggero per contenerne una. Pare vuoto…”.

“Ok, vedrò di cosa si tratta… magari è semplicemente uno scherzo… Grazie ancora, Jen” disse, congedandola.

Lei lo guardò un po’ sorpresa, ma alla fine probabilmente decise che era sufficientemente grande e grosso per aprire un pacchetto, quasi certamente vuoto, senza il suo aiuto.

“Di nulla, signore” e così dicendo si voltò per entrare nell’appartamento che condivideva con Mattie.

Chiusa la porta, vi si appoggiò contro e aprì rapidamente la busta lunga e sottile; non riuscendo ad infilarci una mano, la capovolse e cominciò a scuoterla.

Come aveva ipotizzato Jennifer, non conteneva nulla.

O meglio, non conteneva una cravatta, come teoricamente avrebbe dovuto; tuttavia conteneva qualcosa per lui molto più interessante: un foglietto azzurro, ripiegato su se stesso.

 

 

Staccarmi dalle tue labbra e perdermi nel tuo sguardo.

Osservare poi le mie mani, che si muovono dotate di volontà propria, scivolare sulle tue spalle e scendere ad accarezzare, attraverso il tessuto della giacca blu, il punto esatto in cui ti batte il cuore.

Vederle sfiorare le ali d’oro che brillano fiere sul tuo petto e che mi hanno incantato fin dal primo momento… quelle ali fanno così parte di te che non riesco neppure ad immaginarti senza, nonostante il respiro mi si fermi ogni volta che sei in volo.

Guardarle proseguire verso i bottoni dorati, aprire il primo… e all'improvviso, mentre le mie labbra ricercano dolcemente le tue, sentire le tue mani sulle mie che mi aiutano a liberarti della giacca…

 

 

Lesse con avidità, immaginando la scena  nei minimi dettagli, esattamente come lei l’aveva così abilmente descritta… riusciva persino a sentire su di sé le sue mani che lo toccavano, che armeggiavano con i bottoni della sua giacca per levargliela… ed esattamente come lei aveva immaginato, sentiva il bisogno prepotente di aiutarla a spogliarlo, mentre si stavano nuovamente baciando…

Se Mac voleva farlo impazzire, ci stava riuscendo.

Quando aveva letto l’altro biglietto con l’inizio del suo sogno si trovava in ufficio; ciò che vi era scritto l’aveva intrigato molto, ma non aveva potuto lasciarsi troppo andare alle immagini suggerite dalle sue parole.

In quel momento, invece, era solo; poteva permettersi di abbandonarsi alle sensazioni che la fantasia di Mac gli risvegliava dentro e viverle a sua volta con la sensibilità di un uomo innamorato.

Sì, perché lui era innamorato… e la voleva, la desiderava disperatamente.

Quel “gioco” doveva per forza condurre a qualcosa.

In quegli anni erano stati dapprima colleghi, poi amici; ora era giunto il momento che la loro relazione prendesse in considerazione unicamente la loro essenza di uomo e di donna.

Doveva riuscire a far capire a Mac che era pronto ad avverare le sue fantasie, perché i sogni e i desideri di Mac  altro non erano che i suoi stessi sogni e desideri.

Ma come?

Rilesse per l’ennesima volta le sue parole: “… quelle ali fanno così parte di te che non riesco neppure ad immaginarti senza…”

Le ali d’oro…

Nella sua fantasia Mac descriveva una seducente scena in cui iniziava a togliergli la giacca della divisa e, con la giacca, gli toglieva anche le ali d’oro, che per lei rappresentavano idealmente ciò che lo identificava ai suoi occhi: il pilota, l’ufficiale di Marina… Era sotto l’uniforme, sotto il distintivo, che vi era l’uomo che lei voleva amare.

Nell’immagine rievocata dalla sua fantasia, Mac aveva il controllo della situazione fino al momento in cui “sente” le sue mani che l’aiutano… Mac voleva l’uomo, non il collega o l’amico; ma l’uomo che desiderava, doveva a sua volta essere pronto a spogliarsi di ogni altro suo strato, e lasciarsi amare per ciò che era: semplicemente un uomo.

Ebbene lui le avrebbe dato ciò che desiderava: in risposta al suo messaggio le avrebbe fatto trovare le sue ali d’oro, a simboleggiare che era più che pronto ad amarla libero degli stereotipi che quel distintivo rappresentava – il soldato, l’avvocato, il pilota – ed essere unicamente se stesso.

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Capitolo 10
*** 22 Dicembre ***


Appartamento di Mac

 

L’ennesima interminabile giornata di lavoro era finalmente conclusa. L’Ammiraglio stava veramente approfittando della sua disponibilità e lei, come capo dello staff, non sapeva tirarsi indietro. Ma erano già tre sere che non riusciva a rientrare a casa ad un’ora decente.

Lasciò le buste del supermercato sul tavolo e si diresse in camera per mettersi in abiti più comodi. Non appena entrata, il suo sguardo fu catturato da quelle ali d’oro che luccicavano sul suo comodino. Le prese in mano ripensando ai giorni precedenti: dopo che aveva trovato la cravatta aveva riflettuto un paio di giorni sul da farsi. Continuare nel “gioco” significava palesare le proprie intenzioni, senza ripensamenti e senza indecisioni future. Così aveva aspettato un paio di giorni a rispondere a quell’ardita mossa del Comandante e non poteva nascondere che si era divertita a vedere Harm cercare bigliettini nei posti più disparati: mancava poco che lo cercasse anche tra le foglie d’insalata del suo panino! Decise che era arrivato il momento di rischiare il tutto per tutto, ormai si era esposta troppo per tirarsi indietro. L’idea di utilizzare un portacravatte era arrivata all’improvviso: avrebbe voluto una telecamera installata nell’appartamento di Harm per vedere la sua reazione!

Per tutta la giornata era stata in tensione: non sapeva come avrebbe reagito Harm e temeva di aver tirato troppo la corda. Ma alla fine aveva avuto proprio da lui la conferma che la decisione di proseguire nel “gioco” era stata la decisione giusta. Lo aveva capito subito quando, uscendo dall’ufficio la sera precedente, aveva trovato nella tasca del suo giubbotto, le sue ali d’oro. Sperava di non aver interpretato male quel gesto, ma nel suo cuore sapeva che Harm avrebbe ceduto simbolicamente le sue ali solo se avesse abbattuto del tutto i suoi blocchi, e solo se fosse stato certo dei suoi sentimenti.

Strinse istintivamente quel distintivo tra le mani, pregando interiormente che la buona sorte o chi per essa, riportasse Harm sano e salvo a casa. Proprio quel pomeriggio era partito per la Coral Sea insieme all’Ammiraglio Boone per una conferenza. Sapeva che non si trovava in pericolo ma saperlo su una portaerei la rendeva nervosa, per un motivo o per l’altro Harm riusciva sempre a convincere i comandanti a fargli fare un giro su qualche F-14. E, proprio per questo, il suo cuore aveva smesso di battere il momento stesso in cui le porte dell’ascensore si erano chiuse dietro di lui.

E, a dire la verità, la sua tensione era amplificata anche di recenti avvenimenti: non erano ancora riusciti a trovare un momento per parlare seriamente prima della sua partenza e da ben due giorni non aveva ricevuto nessuna risposta al biglietto che gli aveva recapitato dopo che lui le aveva fatto trovare le sue ali d’oro. Probabilmente era la sua vendetta per averlo fatto morire nell’attesa dopo la sua mossa della cravatta e, soprattutto, per avergli fatto fare la figura dello “scemo” nel cercare una possibile risposta ovunque. O forse lo sperava. Il fatto che lui volesse interrompere quel “gioco” era un’ipotesi ben peggiore. E ancora di più dopo la sua recente intraprendenza: nonostante Harm non le avesse risposto in nessun modo, aveva deciso di portare in fondo la sua fantasia, senza pensare alle conseguenze, rischiando pure che Harm non volesse effettivamente saperne di quel cambio di rapporto che da un mese aleggiava nell’aria. E così, preso il coraggio a due mani, aveva messo nero su bianco la fine di quella fantasia e, non vista, era riuscita ad infilare quel foglio nel borsone di Harm. Certamente quella sera nella sua cabina della Coral Sea, la temperatura si sarebbe surriscaldata nonostante il clima Dicembrino.

Lo squillo alla porta interruppe il flusso dei suoi pensieri. Lasciò le ali sul comodino e andò ad aprire.

“Signora Sullivan, buonasera” sorrise alla sua anziana e gentile vicina di casa.

“Sei tornata finalmente Sarah, son passata varie volte a cercarti questo pomeriggio…” le rispose quasi con tono di rimprovero per la frenetica vita che ultimamente stava conducendo.

“Mi dica, posso aiutarla?”

“No, tutto bene grazie cara. Volevo solo consegnarti questo pacco che è arrivato questa mattina per te. Il ragazzo delle consegne mi ha vista entrare qui accanto e mi ha chiesto se potevo ritirarlo io per te” disse porgendole un grande pacco avvolto nella solita carta da spedizioni.

“La ringrazio tanto Signora Sullivan” rispose afferrando incuriosita il pacco e congedandosi dall’anziana signora.

Era sicuramente il regalo che Chloe le aveva spedito per Natale. Qualche giorno prima la sua sorellina le aveva preannunciato che le avrebbe inviato il regalo via posta dato che non riusciva a andare a trovarla prima di Natale a causa della scuola. Era diventata veramente una ragazzina diligente e ne era veramente fiera.

Tolse la carta da pacchi e si trovò davanti ad una scatola completamente nera.

Aprì il coperchio e il cuore iniziò a batterle all’impazzata quando una ben nota camicia bianca apparve davanti a lei. Ma soprattutto quando fu avvolta da un inconfondibile odore, il SUO.

Prese la camicia tra le mani e l’avvicinò al suo naso per poterlo sentire ancora più intensamente. E le parole che gli aveva fatto trovare il giorno prima sulla sua scrivania le tornarono subito alla memoria

 

 

Sfiorarti il collo con le labbra… Il tuo profumo, un misto di colonia ed essenza di uomo, mi inebria dolcemente.

Raggiungere con le mani i bottoni della tua camicia e scoprire, poco alla volta, la pelle morbida e calda sottostante.

Lentamente l’indumento scivola dalle tue spalle, lungo le braccia, fino a terra….

Fermarmi ad ammirarti, lasciandomi incantare dalla tua bellezza.

Tu, deciso, ti avvicini per sussurrarmi: “Ti piace quello che vedi, Marine?”.

Rispondere alla tua domanda non con le parole, ma con le mie mani, che riprendono ad esplorare il tuo corpo, mentre il desiderio mi travolge completamente.

 

 

Osservò nuovamente la camicia che teneva tra le mani, pensando che per quella sera avrebbe sicuramente preso il posto del suo pigiama, quando una busta rossa sotto la camicia attirò la sua attenzione.

Col cuore in gola l’aprì.

 

 

Natale si avvicina: tempo di desideri, tempo di regali.

Ti immagino vestita in rosso (molto poco vestita, a dire il vero) venirmi incontro con un sorriso dolce e invitante sulle labbra...

Ti ho mai detto che adoro quei buffi berretti da Babbo Natale?

Un dono perfetto.

Tutto ciò che vorrei per Natale… sei tu.

 

 

 

 

 

Coral Sea – cabina del Comandante Rabb

 

L’ennesima interminabile giornata stava finalmente volgendo al termine; dopo il viaggio in aereo per raggiungere la Coral Sea, che si trovava nell’Atlantico, c’era stato l’incontro col comandante ed infine quello col Capo Squadra Aerea, per definire gli interventi suoi e dell’Ammiraglio Boone alla conferenza, che si sarebbe svolta l’indomani e nella mattinata della vigilia di Natale.

Il CAG doveva avere qualcosa contro di lui, oppure doveva stargli particolarmente antipatico, perché era stato decisamente freddo e scortese, a differenza di come invece aveva trattato l’Ammiraglio. E con credeva proprio che si trattasse di un caso di eccessivo rispetto per i gradi…

Oh, al diavolo anche il CAG della Coral Sea! In fondo doveva starci solo due giorni… e avrebbe avuto ben poco a che fare con quell’uomo.

Inoltre i suoi pensieri, in quel momento, stavano prendendo direzioni ben diverse e per la prima volta, da quando volava, non stava pensando a come trovare il modo di farsi un giro su un F-14…

La sua mente era a Washington, ad immaginare l’espressione di Mac nel momento in cui avrebbe ricevuto e aperto il pacco che le aveva fatto recapitare a casa quel mattino.

In ufficio, prima di partire, le aveva consegnato quello che aveva definito “il suo regalo di Natale”; lei lo aveva preso e stava per scartarlo, quando lui l’aveva bloccata.

“Non aspetti nemmeno la vigilia?”.

“Ok, aspetterò…”

Era sembrata delusa: probabilmente si aspettava un qualcosa in risposta al loro “gioco”… non sapeva ancora cosa l’attendeva al suo rientro a casa.

Con un sorriso, ripensò alle parole scritte nel biglietto rosso che aveva messo nella scatola della camicia… Chissà cos’avrebbe pensato Mac, nel leggerlo!

Diede una rapida occhiata all’orologio e vide che era quasi l’ora di cena, ma prima di raggiungere l’Ammiraglio decise di aprire la sacca da viaggio e sistemare i pochi effetti personali che si era portato dietro... quando sarebbe tornato in cabina per la notte, avrebbe avuto solo voglia di stendersi e leggere qualche pagina del libro che stava per finire... sempre che l’immagine di Mac in una succinta tenuta natalizia gli permettesse di concentrarsi sulle parole!

Era immerso in questi pensieri, mentre apriva la cerniera della sacca per svuotarla; prese in mano e tirò fuori il cambio di biancheria e con esso uscì anche una piccola busta rossa, che non ricordava d’aver messo nella borsa.

Sorpreso ed incuriosito la recuperò da terra, dov’era finita uscendo dalla sacca, l’aprì e lesse il biglietto che conteneva.

 

 

Dalla sera in cui ti ho trovato al bar, ubriaco, immerso in una nuvola di fumo blu, non faccio che immaginarti vestito solamente di un sigaro…

Se avessi la possibilità di chiedere un regalo per questo Natale, non avrei dubbi: l’unico dono che vorrei sei tu.

Tu, pronto a concedermi e a ricevere quell’amore che oramai da anni nascondiamo perfino a noi stessi.

E quest’anno, per Natale, vorrei… tutto.

 

 

Mac… era un messaggio di Mac.

Sorrise. Non se l’aspettava proprio! A quanto pareva, avevano avuto entrambi la medesima idea… e si poteva dire “in tutti i sensi!”, compreso il colore del biglietto.

Per la prima volta, da quando volava, non aveva nessuna voglia di essere su una portaerei in mare aperto, ma desiderava trovarsi sulla terra ferma, in un appartamento ben preciso, tra le braccia di una donna bellissima…

Non vedeva l’ora di tornare a casa per Natale.

 

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Capitolo 11
*** 24 Dicembre ***


 

Casa Roberts

 

Ansiosa. Tormentata. Agitata.

Stressata…

Da quando Tiner le aveva comunicato che Harm era su un F-14, la giornata (già di per sé stressante tra parti e visite inaspettate) era diventata un incubo. Anche quella volta, non si sa come, era riuscito ad infilarsi nell’abitacolo di un Tomcat e adesso stava sorvolando l’Oceano. Sperava solo che non dovesse farci nuovamente un tuffo.

Quella mattina si era alzata radiosa, allegra, raggiante: per la prima volta nella sua vita, il Natale si prospettava felice. Quella sera, a casa Roberts, avrebbe rivisto Harm e, dopo quello scambio di fantasie che c’era stato tra loro, sperava che il dopo cena sarebbe stato altrettanto gradevole. Per questo, prima di vestirsi dopo un rilassante bagno, aveva passato almeno una mezz’ora davanti al suo cassetto di biancheria intima. Victoria’s Secret aveva guadagnato una fortuna con lei! Nero o rosso? Il primo era sempre il suo preferito e sperava che lo sarebbe stato anche per un certo Comandante; il secondo… beh, il secondo era un chiaro riferimento al biglietto che era sul suo comodino accanto alle ali d’oro. Alla fine decise che il non dare per scontato niente fosse la tattica migliore, del resto ancora non sapeva le reali intenzioni di Harm. Optò quindi per un elegante (ma molto sexy, per ogni evenienza) nero.

E adesso si trovava nel soggiorno di casa Roberts, a cercare di condividere con gli altri ospiti lo spirito Natalizio. Ma, per quanto si sforzasse, il pensiero di Harm in volo non la lasciava neanche un minuto. E quando si rese conto di aver controllato la porta d’ingresso ben tre volte nell’ultimo minuto, capì che stava per impazzire. A quell’ora doveva già essere atterrato, perché non si era fatto sentire? I cori di Natale in sottofondo la risvegliarono da quello stato di trance: Meredith si era messa al pianoforte e gli invitati la stavano seguendo. Erano tutti talmente impegnati che nessuno si sarebbe reso conto della sua assenza. Prese il cellulare e compose speranzosa il numero di casa di Harm. Speranza che svanì non appena sentì la segreteria telefonica risponderle.

“Ehi non ci sei ancora eh? Noi siamo tutti da Bud… manchi solo tu… Ma non siamo ancora a tavola, mi auguro… che arrivi qui in tempo. Spero non ci siano problemi…”

Perché non riusciva a far tacere quella vocina nella sua testa che le faceva sempre aspettare il peggio dalla vita? Perché il suo spirito pessimista doveva sempre influenzarla in tutto? Perché non riusciva solo a tenere a bada i suoi nervi fino a godersi a pieno il momento in cui Harm avrebbe varcato la soglia di casa, col solito strafottente sorriso di colui che fa sembrare un volo su Tomcat una passeggiata nel parco? Era follemente innamorata di lui, ecco il motivo. Innamorata del pilota, dell’avvocato, del maniaco della precisione, del collega, dell’amico… di Harm.

Il flusso di pensieri fu interrotto dalla voce di Harriet che la chiamava per la cena.

Si sedette, dando un triste e preoccupato sguardo al posto vuoto di fronte a lei mentre Bud si era alzato e stava iniziando, con grandi difficoltà, il suo discorso. Era veramente un uomo eccezionale. Non era da tutti essersi rialzato a testa alta dopo tutto ciò che gli era successo in quell’anno.

All’improvviso il rumore della porta attirò la sua attenzione facendola voltare immediatamente ad ammirare la grande figura di Harm fare il suo ingresso in casa. Non riuscì a trattenere un sorriso e un sospiro di sollievo nel vederlo sano e salvo nella sua perfetta divisa blu (che se la fosse messa apposta?). Iniziò a squadrarlo da capo a piedi, quasi spinta dalla necessità di accertarsi che fosse tutto intero, quando un particolare attirò la sua attenzione: sulla giacca blu mancava quel distintivo che amava ed odiava al tempo stesso. Dove erano finite le sue lucenti ali d’oro? Con un gesto silenzioso cercò di colmare la sua curiosità ma Harm diede a Bud il permesso di continuare quel discorso che il suo arrivo aveva interrotto, rimandando a dopo le spiegazioni. Si sedette davanti a lei e lo sguardo e il sorriso che le rivolse la isolarono da tutto il resto del mondo: un misto tra complicità, consapevolezza e dolcezza che le fece rimpiangere il non aver organizzato una vigilia di Natale solo per loro due. Si erano esposti l’un l’altra ed entrambi ne erano consapevoli. Inoltre erano entrambi pronti ad assumersi le conseguenze delle proprie affermazioni.

Il loro sorriso, occhi negli occhi, durante il brindisi ne fu la conferma.

La cena passò tranquilla e in perfetta armonia natalizia, a parte per i pensieri di Mac che di natalizio avevano ben poco. Ma di certo Harm non l’aveva aiutata: ogni occasione era buona per passarle qualcosa e indugiare nel contatto tra le loro mani ed ogni volta che si distraeva in un’altra conversazione, era impossibile per lei non sentire il suo sguardo infiammarla.

“Hai bisogno di un passaggio Mac?” le chiese a fine serata, avvicinandosi dietro di lei, mentre era assorta a guardare la nevicata che il cielo di Washington stava regalando. Si voltò e si perse nel suo sguardo ancora una volta.

“Ti ringrazio, sono venuta con la mia macchina” rispose, intuendo un certo dispiacere sul suo volto.

Gli occhi di Mac iniziarono inconsapevolmente a vagare sulla figura del bel Comandante che stava di fronte a lei, quasi ripercorrendo ad una ad una le fantasie che in quei giorni l’avevano tormentata: i suoi occhi, le sue labbra, la sua cravatta, le sue…

“Adesso puoi dirmi che fine hanno fatto le tue ali d’oro?” chiese risvegliandosi dal sogno ad occhi aperti.

“Ah, sì certo. Le ho regalate ad un giovane tenente che ho trovato al muro…” disse sorridendo senza dare troppe spiegazioni.

“Regala ali d’oro così facilmente, Comandante?” chiese con un malizioso sorriso sulle labbra.

Lo vide abbassarsi verso di lei e il cuore iniziò ad esploderle nel petto. Avvicinò le sue labbra al suo orecchio “Solo alle persone speciali che lo meritano” le sussurrò prima di allontanarsi a salutare tutti.

Non appena si fu ripresa dal momentaneo black-out che la sua vicinanza le aveva procurato, lo seguì nel giro di saluti prima di incamminarsi con lui verso le rispettive auto.

“Che fai domani? Qualche progetto particolare per il giorno di Natale?” chiese timidamente, con la forte speranza di trovarlo libero da impegni.

“No, niente di particolare. Mia mamma ha deciso di andare alle Bahamas con Frank…”

“Beh, se vuoi, puoi venire da me… se ti va… ci prendiamo una tazza di tè… o ci guardiamo un film… e poi hai ancora un regalo sotto il mio albero che ti aspetta no?” disse, felice di aver trovato una scusa plausibile per invitarlo a casa sua senza passare troppo da sfacciata. Beh… dopo ciò che gli aveva scritto, quale reputazione stava ancora cercando di difendere?

“Mi farebbe molto piacere Mac” le rispose prima di fermarsi davanti alla sua macchina.

“Bene… allora… a domani” disse sempre più in difficoltà ed imbarazzata come una quindicenne al primo appuntamento.

“Buon Natale Sarah” sussurrò prima di posare delicatamente le labbra sulle sue. Fu un bacio leggero, dolce, innocente, quasi come quello che si erano scambiati l’anno precedente sotto al vischio. Ma, a differenza di quello, nascondeva un carico di emozioni ed aspettative di cui entrambi erano felicemente consapevoli

“Buon Natale anche a te Harm”.

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** 25 Dicembre ***


 

Appartamento di Mac

 

Era entrato nello stabile senza suonare; un signore stava uscendo e lui ne aveva immediatamente approfittato. E adesso era lì, in piedi davanti alla porta dell’appartamento di Mac, che esitava a farsi aprire.

Da un lato non vedeva l’ora di entrare, dall’altro temeva un po’ il momento in cui sarebbe stato solo con lei. Temeva soprattutto l’idea che lei potesse non essere decisa come gli era sembrata nel loro “gioco”. E forse lo imbarazzava anche il pensiero di quello scambio di fantasie che aveva reso speciale e piena di aspettative l’attesa del Natale: in fondo non era da loro esporsi tanto. Non rientravano affatto, nello stile di nessuno dei due, quei biglietti segreti, appassionati ed eccitanti che, iniziati per errore e proseguiti per “gioco”, erano diventati in seguito lo strumento per dichiararsi la reciproca attrazione nonché il loro amore.

Eppure c’erano stati. E nessuno dei due poteva più tornare indietro.

Quando, la notte prima, Mac lo aveva invitato a raggiungerla per trascorrere assieme il Natale, si era sentito assurdamente felice: stava pensando al modo per stare con lei e aver saputo di non avere neppure la scusa di accompagnarla a casa non gli stava facilitando l’impresa; l’invito di Mac aveva risolto il problema, anche se non subito come sperava. In quel momento era decisissimo a far sì che le fantasie con cui avevano “giocato” si trasformassero in realtà.

Perché, allora, solo poche ore dopo, esitava davanti alla porta del suo appartamento?

Osservò la scatola che teneva in mano, avvolta da una carta rossa luccicante, e sorrise, immaginando l’espressione di Mac… e se non avesse colto l’allusione?

Mmh… impossibile. Aveva recepito alla perfezione tutti gli altri messaggi “nascosti” che le aveva trasmesso con la cravatta, le ali d’oro e la camicia, altrimenti era certo che non avrebbe proseguito con il loro scambio segreto… era impossibile che non cogliesse immediatamente l’allusione.

Quindi inutile attribuire a quello la sua esitazione.

Forse si trattava della sua eterna paura ad impegnarsi?

No, neppure quello. Non l’avrebbe provocata con quel gioco, se fosse stato ancora insicuro dei suoi sentimenti e, soprattutto, della propria volontà d’impegnarsi anima e corpo.

Allora di cosa si trattava?

Forse, semplicemente, della paura di un cambiamento. Un cambiamento che desiderava con  tutto sé stesso, ma che al tempo stesso temeva.

L’amicizia con Mac era un qualcosa di estremamente prezioso; perderla sarebbe stato insopportabile… Ma al tempo stesso non gli bastava più.

Quindi non gli restava altro che suonare quel campanello.

Fece un respiro profondo e si buttò.

 

 

***

 

 

Si mise in testa il cappello di Babbo Natale che Chloe aveva lasciato da lei l’anno precedente (beata smemorataggine degli adolescenti) e si guardò allo specchio. La sexosissima e cortissima sottoveste rossa le stava obiettivamente bene. Ultimamente aveva anche ricominciato ad allenarsi con una certa regolarità e i frutti si vedevano. Sotto indossava un… un’inezia! Quello era il termine esatto col quale definirlo: perizoma era fin troppo esagerato. Il decolté lucido rosso, con tacco 8 cm, sarebbe stato il tocco finale... o forse era meglio restare scalza? Forse a piedi nudi sarebbe apparsa meno aggressiva, più naturale…  Cappello di Babbo Natale e un trucco leggerissimo: non aveva certo bisogno di aggiungere un rossetto troppo provocante a quella tenuta già da infarto.

Ultimo sguardo finale, Harm sarebbe stato lì a minuti… Che stava facendo? Non era da lei avere questo atteggiamento. Aveva sì indossato qualcosa di più sexy, una mise più provocante, per qualche occasione speciale con i suoi ex in passato, ma questo andava ben oltre. Si stava praticamente offrendo come dono di Natale ad Harm… e il suo abbigliamento non dava adito a fraintendimenti. Quando gli aveva detto che voleva TUTTO, lo intendeva nel vero senso del termine.

E se Harm non avesse apprezzato tanta sfrontatezza? Se l’avesse considerata eccessiva, inadeguata, volgare? Cercò con lo sguardo la sua tuta da casa, per un attimo pensò di rinunciare, quando il suo campanello suonò.

Il cuore iniziò a batterle come impazzito nel petto, Harm era lì fuori e fra poco sarebbe entrato… Sfoderando un coraggio che neanche lei immaginava avere si avviò verso la porta.

Guardò dallo spioncino, giusto per accertarsi che fosse lui: non era certo il caso di farsi trovare in quelle condizioni da chiunque altro.

 

 

***

 

 

Passarono solo pochi secondi e la porta si aprì.

Nessuno, tuttavia, apparve sulla soglia. La porta sembrava essersi aperta da sola.

“Mac?” domandò, esitante. A quanto pareva lei non aveva alcuna voglia di rendergli più facile quel momento.

“Entra pure, Harm”. La sua voce sembrò arrivare da dietro la porta.

Entrò e si girò indietro, nello stesso momento in cui lei si chiudeva l’uscio alle spalle. La guardò e il respiro gli si fermò in gola: se in quel momento avesse appena bevuto un sorso di tè, era sicuro che si sarebbe strozzato, come già gli era successo, e sempre a causa sua.

“Ciao, Harm…” lo salutò lei, con un sorriso.

Era inutile: non ce la faceva proprio a parlare. Non ancora, per lo meno.

Lei era lì, di fronte a lui, con indosso poco o nulla: una cortissima sottoveste in seta rossa e pizzo trasparente, uno di quei buffi berretti da Babbo Natale in testa e a piedi nudi.

Niente altro.

Non osò neppure immaginare se, sotto la sottoveste, vi fosse qualche altro capo di biancheria intima… altrimenti era certo che la parola non gli sarebbe più tornata. Si disse che avrebbe atteso il susseguirsi degli eventi, con la speranza di scoprirlo più tardi. In fondo un po’ di attesa non guastava… e poi anche il suo cuore aveva bisogno di una pausa, per riprendersi. Non doveva scordarsi che non era più un ragazzino, ma quasi un quarantenne!

 

 

***

 

 

In quell’istante avrebbe voluto avere una macchina fotografica per immortalare la faccia di Harm. I suoi occhi blu si sgranarono a quella sontuosa vista e la sua bocca si aprì involontariamente. Sorrise, quasi imbarazzata dalla sua reazione. “Ciao, Harm…”.

Si risvegliò al suono della sua voce e per la prima volta da quando l’aveva vista la guardò negli occhi, ma non disse nulla. Mac rabbrividì quando vide la luce in quegli occhi azzurri cambiare: da una chiara espressione di stupore e meraviglia, lo sguardo si trasformò in puro e chiaro desiderio.

Continuò a scrutarla nei minimi dettagli per lunghissimi secondi e Mac sentiva il suo caldo sguardo su di sé. Nessun uomo, per quanto apprezzasse la sua bellezza, l’aveva mai guardata così. Si era sentita addosso sguardi desiderosi, famelici, ingordi. Ma quello di Harm aveva qualcosa di diverso: sebbene il suo desiderio fosse ben avvertibile, il suo sguardo nascondeva un che di venerazione, rispetto e ammirazione che nessun altro uomo aveva mai dimostrato. Ma lui non era un uomo qualsiasi. E quello che provava per lei non era solo desiderio fisico, era qualcosa di più. Del resto è quello che provava anche lei.

Quel silenzio magico la fece però sentire in imbarazzo. Era praticamente nuda e concessa ad un uomo completamente vestito che la stava praticamente amando con gli occhi.

 

 

***

 

 

Deglutì e finalmente riuscì a spiccicare un “Ciao…”.

Poi, ripresosi dalla sorpresa, quasi avesse avuto un’illuminazione, ecco che la sua mente formulò un pensiero: “Ha letto attentamente il mio ultimo messaggio”; a quel punto sorrise e si rilassò, sentendo che tutti i timori che lo avevano trattenuto davanti alla sua porta miracolosamente svanivano.

“Perché non ti togli il cappotto?”

Eseguì rapidamente, posandolo sulla sedia accanto all’ingresso e voltandosi, di nuovo, immediatamente verso di lei. Ora era lui quello curioso della sua reazione.

Vide la sorpresa anche nei suoi occhi, quando Mac realizzò che aveva indossato l’uniforme blu per trascorrere un pomeriggio a vedere un film in casa. Quindi anche lei sorrise e gli si avvicinò, con passo lento e languido… lui sentì il battito del suo cuore accelerare rapidamente, mentre Mac allungava la mano per afferrargli la cravatta e attirarlo verso di sé.

Il bacio iniziò esitante, le labbra calde di lei sulle sue, ancora fredde dalla temperatura esterna. Poi lui la strinse, passandole le braccia attorno alla vita sottile e Mac, d’istinto, sollevò una mano e gliela mise attorno al collo, accarezzandolo dolcemente alla base della nuca… e il bacio si approfondì. Harm la sollevò quasi, stringendola ancora di più tra le braccia.

Fu lei a staccarsi per prima, per respirare.

“Ehi, marinaio… mi togli il fiato“.

Lui le sorrise:

“Tu mi togli il respiro… Sei bellissima”.

“Avevi detto che andavi pazzo per i berretti da Babbo Natale…”

“Infatti”.

“Anche a me piace molto il tuo abbigliamento”.

“L’ho notato. Ma…” e la lasciò andare, per voltarsi verso la sedia dove aveva lasciato il cappotto. Sorrise al brontolio di disapprovazione che sentì alle sue spalle.

“… un momento, ecco… “disse, porgendole il pacchetto avvolto in carta rossa che aveva portato con sé “… potresti trovarlo ancora più interessante…”.

Lei lo guardò per un attimo senza comprendere, prima di prendere la piccola scatola che lui le porgeva.

“Mi avevi già dato il tuo regalo…”.

“Una piccola aggiunta… perché non lo apri?”

“Io non ti ho ancora dato il mio…” disse, indecisa se aprirlo subito o attendere.

“Coraggio, Mac… non morde. E il tuo me lo darai… dopo”.

Finalmente si decise e scartò la confezione; poi aprì la piccola scatola. Quando vide il contenuto, sorrise e lo guardò con un’espressione birichina, che la rendeva ancora più adorabile e più sexy. 

“Mhm… hai idee interessanti, per il pomeriggio!”.

“Anch’io ho letto con attenzione il tuo ultimo biglietto”.

“Già, lo vedo. Ma non credi d’aver esagerato?”

“Dici? Io credevo d’esser stato semplicemente previdente!”.

“Previdente, eh?”

“Certo. Dopo aver letto le fantasie di un certo Colonnello dei Marine, ho deciso di farmi trovare… preparato.”.

“Capisco… allora…” e così dicendo raggiunse il divano e si mise comoda, allungando le gambe e appoggiandosi a dei cuscini; poi prese dalla scatola che lui le aveva regalato uno dei dieci sigari che conteneva e glielo lanciò.

“Ebbene, Comandante… “disse con un sorriso provocante “… cosa aspetta a dare il via allo spettacolo?”.

Lui lo afferrò al volo, sorrise e, lentamente, iniziò a togliersi la giacca.

“Buon Natale, Mac…”.

 

 

 

 

Fine

 

 

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