ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS YOU di Alexandra_ph (/viewuser.php?uid=165023)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 3 Dicembre ***
Capitolo 3: *** 4 Dicembre ***
Capitolo 4: *** 5 Dicembre ***
Capitolo 5: *** 7 Dicembre ***
Capitolo 6: *** 11 Dicembre ***
Capitolo 7: *** 14 Dicembre ***
Capitolo 8: *** 15 Dicembre ***
Capitolo 9: *** 18 Dicembre ***
Capitolo 10: *** 22 Dicembre ***
Capitolo 11: *** 24 Dicembre ***
Capitolo 12: *** 25 Dicembre ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
ALL
I WANT FOR
CHRISTMAS IS YOU
by
Cate & Alex
Disclaimers
: Il marchio Jag
e
tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius Production. In questo
racconto sono stati usati senza
alcuno scopo di lucro.
Premessa: io
ODIO il Natale.
E che FF ho
scritto?? Natalizia!
Solo Alex
poteva riuscirci,
sfidandomi (me la pagherai per aver rovinato la mia reputazione)...
E adesso non
mi resta che
RINGRAZIARLA.
Per prima
cosa di avermi
sopportato, me e la mia pigrizia! Me e la mia sfiducia in me stessa, me
e i
miei blocchi mentali. Ma soprattutto per la fiducia in me riposta e le
risate e
per le ore spensierate che mi sono fatta in sua compagnia.
E un
ringraziamento speciale va al
mio ufficio e lavoro: incredibile a dirsi, con quanto odio sia il
lavoro che
l'ambiente, è risultato essere un ambiente fertile per la mia
ispirazione...
Ho sottratto
ore al mio lavoro
pensando ad altro?
Sì,
fieramente COLPEVOLE!!
Un Buon
Natale a tutti voi e a
tutti i vostri cari
Cate
e-mail:
pilgrim81@libero.it
WOW!
Temevo peggio!
Quando
mi ha detto che
voleva scrivere la prefazione, temevo più insulti!
A
questo punto tocca a
me… Ebbene, che
dire?
Ringraziare
(lei, Cate)
a mia volta, per il divertimento, le risate, le ore spensierate, ma
soprattutto
perché scrivere
assieme questa FF mi ha tenuto
compagnia nelle lunghe giornate di dicembre trascorse in casa, tra
letto e
divano, e mi ha fatto assaporare almeno un pochino di “atmosfera
natalizia” che
solitamente adoro molto, ma che quest’anno, costretta a riposo, ho
vissuto
ahimè troppo poco.
(Dimmi
la verità, Cate:
hai accettato la sfida per “pietà” e per consolare la povera Strega
Maestra abbacchiata,
vero? Eheheheh!)
L’attesa
del Natale, per
me è uno dei momenti più belli dell’anno… e l’amicizia, quella vera,
una delle
cose migliori della vita. Unite assieme portano gioia, serenità e,
soprattutto,
fanno capire che, anche se distanti, non si è mai soli.
Scrivere
una FF, per di
più NATALIZIA, con un’AMICA, per me è qualcosa di speciale.
Così
com’è speciale
rendersi conto di avere più di un’ amica.
E
ringraziare per tutto
questo.
Auguri
a tutti voi e alle
vostre famiglie.
Alex
e-mail:
alexandra_ph@libero.it
I don't want
a lot for Christmas
There's just one thing I need
I don't care about presents
Underneath the Christmas tree
I just want you for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
All I want for Christmas is you.
Non
voglio molto per Natale
c’è solo una cosa di cui ho bisogno
non mi importa dei regali
sotto l’albero di Natale
voglio solo te, tutto per me
molto più di quanto avrei mai creduto
realizza il mio desiderio…
tutto quello che voglio per Natale sei tu.
Buon
Natale!
Cate &Alex
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Capitolo 2 *** 3 Dicembre ***
Appartamento
di Mac
Ansiosa.
Tormentata. Agitata.
Stressata…
Avrebbe
potuto continuare la lista per ore, ma nessun
aggettivo avrebbe espresso quello che realmente sentiva. Avrebbe potuto
trovare
milioni di sinonimi pur di non ammettere quello che realmente era il
suo stato.
Era
frustrata! Era tremendamente frustrata. E la colpa era
tutta del suo arrogante, presuntuoso e tremendamente sexy collega.
Non riusciva
a capacitarsi del suo stato emotivo… erano
anni che gli lavorava accanto e, sebbene avesse sempre riconosciuto la
sua
bellezza, non aveva mai provato niente di lontanamente simile.
Dopo Dalton
non si era più fatta avvicinare da nessun
uomo, troppa paura di soffrire ancora. Ma di conseguenza la sua vita
sociale
era precipitata in un baratro. Erano passate settimane, mesi… quasi non
ricordava più quanto tempo era trascorso senza che un uomo dormisse da
lei.
Che fosse
stato quello a farle iniziare ad avere strani
pensieri su Harm?
Non era da
lei autoelogiarsi ma non era cieca, e vedeva
l’effetto che aveva sugli uomini, e non era presuntuoso pensare che
avrebbe
potuto trascinare nel suo letto un uomo senza nessuna difficoltà.
Eppure era
stato proprio in quel periodo che aveva compreso
di non volere un uomo qualunque, ma di desiderare proprio QUELL’UOMO,
quel
pilota di marina alto 1,94 col sorriso più sexy dell’universo.
Si era
persino esposta… c’era mancato poco che dichiarasse
apertamente di volerlo… a dirla tutta, su quel battello a Sidney c’era
mancato
poco che gli saltasse addosso…
Poi era
arrivato Mic… l’ennesimo errore.
L’ennesima
prova che era Harm l’uomo che lei voleva.
Quando
l’aveva baciata… era stata fredda, dura, scostante.
Tutto il contrario di come si sentiva dentro.
Ma perché,
accidenti a lui, l’aveva baciata proprio quando
era ad un passo dall’altare?
Poi ancora
l’incidente di Harm in mare… il suo matrimonio
andato in fumo… la sua fuga a miglia e miglia di distanza, sperando di
riuscire
a stare lontana da lui e strapparselo dal cuore… Harm aveva una donna,
e a
quanto sembrava non era disposto a chiudere quella storia.
Qualche mese
dopo aveva saputo che lui e Renèe si erano
lasciati… a dire il vero era stata lei a lasciarlo per un altro uomo…
forse
proprio per questo lui stava soffrendo ancora…
Negli ultimi
giorni in ufficio le era parso abbattuto,
depresso… lo aveva visto nervoso, triste… diverso dal solito.
Probabilmente la storia
con Reneè era stata più
importante di
ciò che lui stesso le aveva fatto credere con quel bacio.
Eppure lei
continuava a desiderarlo, nonostante tutto.
“Riprenditi Mac… è
uno tra i tuoi migliori amici, è un tuo collega, lavora nell’ufficio
accanto al
tuo e inizia a diventare fastidioso vederlo fare arringhe immaginandolo
completamente nudo…”
Sorrise da
sola buttandosi sdraiata sul sofà a contemplare
il soffitto… una quindicenne in piena tempesta ormonale, altro che duro
Marine!
Mc
Murphy
“Sono
innamorato di lei…”.
Sturgis
Turner guardò il suo migliore amico scolarsi
l’ennesima birra, dopo che finalmente era riuscito ad ammettere quello
che lui
aveva capito al volo non appena aveva visto Harm e Sarah Mackenzie
insieme la
prima volta.
Il divertente
era che alcuni mesi prima lei gli aveva
confessato la medesima cosa.
“Sono
innamorata di lui…” gli aveva detto Mac, quando
stavano parlando proprio di Harmon Rabb, facendogli giurare di tenersi
per sé
tutto quanto.
“Perché non
glielo dici?” suggerì il Comandante Turner,
osservando l’amico chiamare nuovamente la cameriera: era il quarto
boccale che
mandava giù quasi d’un fiato, senza aver toccato cibo.
Harm si voltò
a guardarlo con aria stupita, come se stesse
dicendo un’eresia, non prima d’aver ordinato un’altra birra.
“Non sarebbe
meglio, piuttosto che ubriacarti?”
“Non sono
ubriaco… ” protestò il Comandante Rabb con la
voce già impastata “… e comunque ho già cercato… ho già provato a
farglielo
capire… e non ha voluto saperne… se n’è andata… non ha voluto neppure
ascoltarmi… mi ha lasciato lì… a dire cose stupide, senza neppure
ascoltare… e
io che avrei lasciato anche lei per lei…”
Sturgis
sorrise: non aveva mai visto l’amico ridotto così.
Harm non era solito bere al punto da perdere il controllo della
situazione.
Stava già straparlando. E comunque qualcosa nel discorso che stava
facendo non
gli tornava: non era possibile che Mac non lo avesse lasciato parlare…
non lei,
che probabilmente aspettava quelle parole da chissà quanto tempo.
“Cosa le hai
detto?”
“Che avrei
lasciato…” fece una piccola pausa, quasi gli
fosse necessario ricordare il nome “… Reneè… per lei…”
“E Mac non ha
detto nulla?”
“Mac non mi
ha neppure ascoltato… se n’è andata prima che potesse
sentirlo…”
Sollevò il
boccale e terminò l’ennesima birra.
“Harm…”
“Non ce la
faccio… la desidero troppo… non so più come
fare con lei… ho sbagliato tante di quelle volte…” disse, lo sguardo
perso in
ricordi lontani, la mano che passava nervosa tra i capelli.
“Cameriera…”
bofonchiò immediatamente dopo, prima ancora
di posare il bicchiere sul tavolo.
“Harm…
smettila… non è ubriacandoti che risolverai i tuoi
problemi di cuore“
“Tu non
capisci, Stu. Lasciami in pace… “
“Ok, come
vuoi, amico” disse alzandosi.
Pagò le birre
e disse alla ragazza che lo serviva di non
portargli altro; poi uscì, prese il cellulare e richiamò in memoria il
numero
del Colonnello Mackenzie.
“Mac, sono
Sturgis…ho bisogno di te…” esordì quando lei
rispose.
Quei due
erano innamorati l’uno dell’altra e non
riuscivano a dirselo; sembrava riuscissero ad ammetterlo soltanto con
lui.
Ebbene,
sarebbe stato lui a fare in modo che avessero
l’occasione di confessarselo a vicenda. O, almeno, ci avrebbe provato.
Del resto tra
una ventina di giorni sarebbe stato Natale… quale
regalo migliore per
i suoi due amici?
Appartamento
di Mac
“Sturgis? Che
succede? Stai bene?” si preoccupò immediatamente.
Non era dal Comandante Turner chiamarla per aiuto, di solito si
rivolgeva a…
“Mio Dio
Sturgis, è successo qualcosa ad Harm?”
“Calmati Mac,
non è niente di grave e sia io che Harm
stiamo bene… beh… forse sto meglio io di lui…”
Colse
l’accenno di un sorriso nella voce di Sturgis: dopo
ciò che gli aveva confessato all’inizio di quell’anno, la sua immediata
preoccupazione per Harm probabilmente lo divertiva.
“Che vuoi
dire Sturgis?”
“Voglio dire
che il tuo collega oggi ha deciso di alzare
un po’ il gomito e adesso è seduto su uno sgabello di McMurphy a
straparlare.
In altre circostanze lo porterei a casa io e gli farei un bel caffè, ma
ho un
impegno con mio padre e sai quanto il Reverendo Turner non sopporti
aspettare…
Quindi mi chiedevo se non potessi occuparti tu di lui… se non sei
impegnata.
Altrimenti chiamo qualcun altro.”
“Non
preoccuparti Sturgis, il tempo di uscire di casa e lo
vengo a recuperare. Tu digli solo di non muoversi di lì”.
“Ci posso
provare, ma dubito che capisca anche la minima
parola. Comunque non andrà lontano, le sue chiavi della macchina le ho
io.
Grazie Mac, non so come ringraziarti.”
“Non
preoccuparti Sturgis. Grazie a te.”
Incredula
mise giù il telefono: ubriaco…Harm era ubriaco.
Per qualche strano motivo la cosa le stonava molto. Il compito pilota
di Marina
non amava affatto perdere il controllo; odiava troppo non essere nel
pieno
possesso di tutte le sue facoltà mentali. E per quanto ci avesse
provato,
neppure lei era mai riuscita ad ottenere che qualcosa lo rendesse
vulnerabile
tanto da sconvolgerlo fino a quel punto.
Eppure sapeva
che se lui le avesse permesso di avvicinarlo
un po’ di più, lei sarebbe riuscita a fargli perdere completamente il
controllo
e non osava immaginare ciò di cui sarebbe stato capace Harm senza
freni, senza
limiti, senza inibizioni…
“Stop! Alt!
Fermati marine, ti stai solo facendo del male!
Fai un bel respiro, sfoggia il tuo più bel sorriso da migliore amica e
recupera
quell’imbecille
del tuo collega”, si
ammonì mentalmente. Stava diventando
sempre più difficile tenere a freno la sua fantasia e la cosa iniziava
ad
ammaccare troppo il suo ego.
Possibile che
l’ubriacatura di Harm fosse ancora
conseguenza della sua rottura con Renèe?
In fondo lei lo aveva lasciato da parecchio tempo… Era
anche vero che da
allora non aveva più saputo di altre sue donne…
Il solo
pensiero la fece sentire a disagio. Ma soprattutto
le fece provare varie emozioni contrastanti: senso di colpa per aver
sempre
sottovalutato il suo rapporto con la biondina della televisione;
dispiacere per
il dolore che lui stava ancora provando, ma soprattutto gelosia nei
confronti
di quella donna che aveva avuto la fortuna di entrare così fortemente
nel cuore
di Harm.
D’istinto
prese il suo cellulare e compose a memoria il
numero di casa Roberts… Non avrebbe sopportato dover ascoltare Harm
piangere
per un’altra donna, non sarebbe riuscita a resistere. Ma prima che il
telefono
iniziasse a squillare riattaccò. Bud non sarebbe riuscito a recuperarlo
da solo
e poi Harm aveva bisogno di lei e i suoi sentimenti e le sue
frustrazioni
venivano in secondo piano.
Mc
Murphy
Aprì la porta
del pub ed entrò. Dovette fermarsi un attimo
per far abituare gli occhi all’oscurità che avvolgeva il locale e
soprattutto
alla strana luce blu che era diffusa ovunque. Avanzò verso il bancone
nella
speranza di trovare Harm ancora lì, non aveva proprio voglia di
iniziare a
girare per tutte le vie di Washington per trovarlo.
Iniziò
faticosamente a farsi spazio tra l’elevato numero
di avventori che a quell’ora affollavano il pub, guardandosi intorno
attentamente. Scrutò ogni singola persona, senza tuttavia vederlo.
“No… non hai il
diritto di dirmi cosa devo o non devo bere! Io sono un Comandante della
Marina
Americana e non prendo ordini da una cameriera… se ti dico che voglio
un’altra
birra… tu mi porti un’altra birra…”
Eccolo, lo
aveva trovato.
Si girò in
direzione della voce e lo vide lì, in un
angolo, malamente arrampicato sullo sgabello del bancone, immerso in
una nuvola
di fumo blu… Da quando aveva ricominciato a fumare? Non ricordava di
averlo più
visto con un sigaro in mano da anni.
Lo fissò
ancora per un po’ senza avvicinarsi: era sempre
stato così dannatamente sexy con un sigaro tra le labbra?
Ma era il
sigaro a
renderlo tale o forse l’idea più umana che ne scaturiva?
Allora anche
il ferreo Comandante non riesce a resistere
alle tentazioni e si lascia andare a qualche vizietto ogni tanto!
A dire il
vero poco le importava saperlo. Solo una cosa
era certa: avrebbe dato qualsiasi cosa per essere quel sigaro che
adesso stava
toccando le sue labbra.
Si avvicinò a
lui giusto in tempo per impedirgli di
afferrare l’ennesima birra che la cameriera era stata costretta a
versare. Si
sedette sullo sgabello accanto a lui.
“Non avevi
smesso con i sigari Harm?” chiese sorridendogli
Harm si
voltò, quasi sconvolto dalla sua voce. A quanto
sembrava non si aspettava di vederla lì e certamente lo avrebbe evitato
volentieri.
“Sono
arrivato alla conclusione che fanno meno male di
molte altre dipendenze…” biascicò fissando lo sguardo su di lei. Per la
prima
volta dopo tanti anni trascorsi al suo fianco, lo sguardo di Harm le
sembrava
vuoto, privo di significato o comunque aveva un significato che non
riusciva a
decifrare.
“Andiamo
Harm, ti riporto a casa” gli disse passandosi un
suo braccio intorno al collo e tentando di farlo scendere dallo
sgabello.
“Che c’è?
Adesso vuoi metterti a fare la crocerossina? Hai
deciso… hai deciso di salvarmi
la vita?
Credevo fossimo già in pari… Ah no… è vero: l’ultima volta sono stato
io a
salvartela, evitandoti di sposare Brumby…”
Se non fosse
stato tanto ubriaco da non riuscire neppure
a tenersi in piedi
da solo, ci avrebbe
pensato lei a stenderlo.
Il viaggio
verso casa si preannunciava molto lungo.
Appartamento
di Harm
“Dammi le
chiavi”.
“Chiavi? Ah,
sì… le chiavi… Sono nella tasca dei jeans,
credo. Tasca… tasca davanti.”
“Non puoi
darmele tu?”
“Mhm…
Cos’hai? Paura di toccarmi, Colonnello?” le disse
con un sorriso che non aveva niente a che vedere col suo sorriso
rubacuori, ma
era del tutto simile al sorriso un po’ ebete tipico di uno con una
bella
sbronza.
Doveva aver
bevuto davvero parecchio per essere ridotto in
quello stato. Neppure l’aria del finestrino durante il viaggio sino a
casa era
riuscita a farlo stare meglio.
Lei lo squadrò con
aria truce, quasi volesse incenerirlo. Il problema non era aver timore
di
toccarlo; era piuttosto lui quello che avrebbe dovuto aver paura…
perché se lo
avesse toccato, avrebbe potuto non essere più in grado di fermarsi.
“Ti ho
sorretto fin qui. Credi che lo avrei fatto, se
avessi avuto paura di toccarti?”
Evitò di
aggiungere con che fatica lo aveva fatto. E non
si trattava solo di fatica fisica, considerata la sua stazza. E neppure
perché
era ubriaco.
Harm sollevò
il braccio e spinse in avanti la gamba. Inutile
farlo ragionare, aveva deciso che le chiavi avrebbe dovuto prendersele
da sé.
“Non sei di
grande aiuto…” gli disse con voce stizzita,
mentre infilava la mano nella tasca dei suoi jeans, molto attenta a non
sfiorarlo in zone ‘off-limits’.
“Non voglio…
non voglio privarti… del piacere… di fare la
crocerossina” rispose lui, con un tono che non riuscì a decifrare: se
non fosse
stata certa delle sue condizioni, avrebbe potuto pensare che la stesse
prendendo in giro.
“Perché ti
sei ridotto in questo stato, Harm?” domandò
mentre finalmente chiudeva la porta alle loro spalle, dopo averlo fatto
entrare.
“Mhmm… Hai un
buon profumo…” disse lui, avvicinandosi
pericolosamente al suo collo. Si reggeva in piedi a fatica e lei non ce
la
faceva quasi più a sorreggerlo.
“Sì, grazie”
rispose automaticamente, sforzandosi di non
prestare attenzione al brivido che quella frase innocua le aveva
provocato fin
nel profondo. Era proprio messa male!
“Tu, invece,
puzzi di fumo e di birra. Perché hai bevuto?
Non ti ho mai visto ridotto così” chiese nuovamente.
“Problemi… di
cuore…” rispose lui, mentre con una mano le
spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Harm…”
“Mhm…?”
“Con l’alcol
non si risolve nulla. Credevo lo sapessi,
almeno tu”. Stava facendo il possibile per distrarlo, perché le sue
mani su di
lei la stavano facendo impazzire. Aveva cominciato a sfiorarle il collo
con le
dita.
“Mhm mhm… “
fu l’unica risposta che ottenne. Poi,
finalmente, smise di toccarla, la guardò negli occhi e aggiunse: “Ma fa
stare
meglio…”.
“Solo per
poco… lo sai. E comunque domattina ti sveglierai
con un bel mal di testa. Dovresti bere un bel caffè nero e farti una
doccia,
per sentirti davvero meglio”.
“Nahaa… “
“E poi
metterti a letto…”
“Nahaa. Non
voglio bere del caffè, non mi piace… E non
voglio fare la doccia… e neppure il letto. Voglio… voglio ballare. “
“Ballare?”
domandò divertita. Era strano vederlo così.
“Sì, ballare.
Sai… quella cosa che si fa assieme… con la
musica…” e accennò, con le dita della mano, a due figure che
volteggiavano.
“Sì, Harm. So
come si balla.”
“Bene…” e
barcollando si diresse verso lo stereo. Almeno
aveva una vaga idea di dove si trovasse e di come fosse fatta la sua
casa.
Trafficò per
un attimo con pulsanti e manopole della
radio, finché non riuscì ad accenderla e, miracolo della beata
incoscienza,
trovare persino una stazione di musica soft.
Poi si voltò
verso di lei, con un sorriso compiaciuto
sulle labbra, simile a quello di un bambino quando riesce in un’impresa
più
grande di lui, e le porse la mano, a mo’ di invito.
“Sarebbe
meglio che ti facessi una doccia…”
“Non voglio
stare meglio… sto bene, così… dai, vieni qui…
con me…”
“Harm…”
“Dopo… dopo
prometto…
che farò la doccia… ora voglio ballare…”
“Danzavi
spesso con Reneé?” chiese lei, mentre
controvoglia si apprestava a raggiungerlo. Se fosse stato sobrio… se
solo fosse
stata certa che non si trovava in quello stato perché distrutto
dall’abbandono
di Reneè… se avesse voluto davvero ballare con lei… allora sì che
avrebbe
danzato volentieri con lui. Non avrebbe desiderato altro che trovarsi
tra le
sue braccia.
Ma Harm non
voleva lei… stava soffrendo per un’altra
donna.
“Non voglio
parlare di Reneè… voglio
ballare con te, ora…” le disse
all’orecchio, mentre la abbracciava e si appoggiava contro di lei.
Era eccitato;
lo percepì immediatamente, non appena lui la
strinse a sé. Lei sapeva perfettamente che l’alcol poteva provocare
strani
effetti, anche non voluti, ma il suo cuore e soprattutto il suo corpo
erano
sordi al richiamo della ragione. Saperlo eccitato, pur consapevole che
si
trattava di una semplice reazione fisica del momento acuita dalle birre
che
aveva in corpo, aumentava
ancora di più
il suo desiderio già di per sé frustrante.
Lui sembrava
non rendersi conto dell’effetto che le
faceva; continuava a tenerla stretta, ad avvicinare il volto al suo, a
sfiorarle il collo con le labbra.
Ballando
cercò di dirigerlo verso la porta del bagno…
prima fosse riuscita a fargli fare quella dannata doccia e metterlo a
letto,
meglio sarebbe stato per il suo cuore. Ciò che la faceva stare peggio
era
l’idea che lui stesse immaginando di avere tra le braccia Reneè.
Insopportabile
anche solo pensarlo.
“Harm…”
”Mhm?”
“Dovresti
farti quella doccia, ora”
Un mugolio di
insofferenza le arrivò all’orecchio.
“Harm… per
favore…”
“Vieni anche
tu”
“Nella
doccia? Non se ne parla…”
“Non riesco…
non riesco a reggermi in piedi da solo… devi
aiutarmi tu…” biascicò lentamente.
“Scordatelo!”
Ma capiva che
aveva ragione lui: sarebbe potuto cadere e
farsi male.
“Mhm… niente
doccia… allora balliamo ancora…”
Quella serata
stava diventando un incubo.
“D’accordo.
Ti aiuterò io.”
“Davvero?”
domandò col solito sorrisino ebete.
“Vieni… devi
svestirti…”
“Mhm… mi
piace quest’idea…”
Lei scrollò
il capo: se la situazione non fosse stata
tanto difficile per lei, avrebbe potuto trovarla persino interessante.
L’alcol gli
aveva tolto un bel po’ di autocontrollo e
quell’Harm così diverso la inteneriva e intrigava al tempo stesso. Un
mix
pericolosissimo per la sua stabilità mentale.
Lui si fermò
poco prima del bagno, la lasciò andare,
sollevò le braccia e, ancora instabile sulle gambe, si mise in
posizione,
affinché lei potesse spogliarlo.
“Non hai
intenzione d’aiutarmi? Lasci fare tutto a me?”
“Mhm, mhm… “
rispose con appena un mormorio indistinto.
“E’ più divertente” aggiunse poi.
Già, più
divertente.
A fatica
riuscì a sfilargli la maglia; Harm era davvero
alto! Se ne rese conto quando dovette allungarsi e trafficare un po’
per
sfilargli le maniche, anche perché lui non collaborava affatto: se ne
stava lì,
praticamente inerme, senza neppure assecondare i movimenti per aiutarla.
Quando
finalmente riuscì nell’impresa, era sudata.
Fortunatamente sotto lui indossava una camicia di jeans e non una
t-shirt.
Tuttavia la
sua temperatura corporea salì ulteriormente
quando si accinse a slacciargliela: ad ogni bottone che apriva,
scopriva
lentamente il suo torace…
Sarebbe morta
prima della fine.
Risoluta
procedette il più rapidamente possibile, cercando
di non guardargli il petto. Ma era dannatamente difficile non farlo. O
posava
lo sguardo sulla sua pelle, oppure lo guardava negli occhi… in entrambi
i casi
si sentiva le gambe che non la sorreggevano più. Provò anche ad
abbassare lo
sguardo, ma incontrò l’allacciatura dei pantaloni e ricordò
all’improvviso che,
terminato di levargli la camicia, avrebbe dovuto avventurarsi in un
territorio
ancora più pericoloso.
Decise di
ripetersi, come un mantra, “sono un Marine, sono
un Marine…”, ma al corso d’addestramento non le avevano insegnato come
spogliare un uomo tanto desiderabile resistendo all’impulso di
saltargli
addosso.
La parte più
difficile arrivò fin troppo presto. Allungò
una mano verso la cintura dei suoi calzoni, slacciò il bottone, ma poi
si
fermò. Sollevò lo sguardo e vide che lui la stava osservando.
“Questo
dovresti riuscire a farlo da solo” gli disse.
“E’ più
divertente se lo fai tu…” disse lui, con la solita
voce strascicata e col solito sorrisino idiota.
“Harm… io non
sono Reneè”
“Sono
ubriaco, è vero… ma credo… credo di riuscire ancora
a distinguere che non sei Reneè… “
“Allora
dovresti riuscire anche ad abbassare la cerniera e
levarti i jeans”.
“Agli ordini…
Colonnello” disse mimando in maniera
ridicola il saluto militare, di nuovo quel sorrisetto sulle labbra che
era
tutto un programma.
Ma si limitò
ad aprire la cerniera; poi sollevò le braccia
e disse:
“Coraggio…
ora sono tutto tuo…”
Imprecando
dentro di sé più e più volte, quasi con rabbia
fece scivolare i pantaloni lungo le sue gambe che le parvero infinite.
“Ok, ora
vieni in bagno” disse poi.
“Mhm… non
manca… non manca ancora qualcosa?”
“Ti farai la
doccia con i boxer, se vuoi che ti aiuti io.
Altrimenti, per quanto mi riguarda, il gioco è finito qui. A casa ti ho
portato, il resto non è più un mio problema. E se domattina sarai uno
straccio
e perderai l’udienza, saranno fatti tuoi…” proferì d’un fiato.
Lui alzò
mani, quasi a parare quel fiume di parole.
“Ok, ok… “ e
finalmente si lasciò condurre verso la
doccia.
Aprì l’acqua
e in qualche modo riuscì a ficcarcelo sotto,
senza che le scivolasse a
terra. Sempre
con quel sorriso indecifrabile, che cominciava a dubitare fosse causato
solo
dall’alcol, le aveva proposto di raggiungerlo sotto l’acqua, per fare
meno
fatica, ma lei non aveva neppure risposto. Si era levata la maglietta
per non
inzupparsela, ma non i pantaloni, che si erano bagnati verso il fondo,
nel
tentativo, per altro difficile, di lavarlo restando fuori dal box
doccia.
Ovviamente
tralasciò la zona coperta dai boxer. Già così
era difficile poiché, sotto l’acqua, il tessuto non celava più nulla.
Lui se ne
stava zitto; sembrava osservarla, ma non ne era
sicura. Lei, d’altro canto, fece il possibile per essere rapida ed
evitare
qualunque coinvolgimento emotivo. Solo anni di duro addestramento
militare
riuscirono a farle terminare l’ardua impresa senza perdere
completamente la
ragione.
Avrebbero
dovuto darle una medaglia!
Lo fece
uscire e lo avvolse in un telo asciutto.
Forse a causa
della doccia o forse per colpa del suo
umore, lui era diventato improvvisamente taciturno e meno allegro di
prima.
Collaborò per permetterle di asciugarlo e asciugarsi a sua volta, anche
se il
fondo dei suoi pantaloni rimase bagnato.
Poi si fece
condurre docilmente verso il letto.
Non era
sicura di preferirlo così. Certo, era più facile
da gestire, ma in fondo, nonostante ciò che aveva provocato al suo
cuore,
vederlo meno controllato del solito lo rendeva più umano e, sotto certi
aspetti, ancora più desiderabile.
Restava il
problema dei boxer, che erano completamente
bagnati. Non poteva farlo dormire così.
Approfittò
del telo da bagno con cui era ancora avvolto e
del momento favorevole di docilità e glieli sfilò il più in fretta
possibile;
poi lo aiutò ad infilarsi sotto le coperte. Fu in quel momento che
tutti i suoi
sforzi per non guardarlo risultarono vani: concentrata ad evitare che
lui
cadesse, che il telo non scivolasse a terra, ma al tempo stesso pronta
a
toglierglielo per evitare che si stendesse nel letto ancora avvolto
nell’asciugamano bagnato e bagnasse così anche le lenzuola, si ritrovò
con la
spugna in mano mentre lui, tranquillo e pacifico, si sistemava sul
materasso,
le lenzuola ancora sollevate dalle sue stesse mani.
Imbarazzata,
confusa, eccitata…
Per un attimo
le sembrò che le mancasse il respiro.
Lui parve non
notare la sua esitazione; era al limite
della coscienza e stava scivolando lentamente nel sonno.
Lo coprì col
lenzuolo e fece per allontanarsi, a riporre
le salviette, sistemare in bagno e quindi porre fine a quella tortura
tornandosene a casa propria. Ma una mano le afferrò il polso.
Tornò a
voltarsi verso di lui, steso nel letto.
“Harm…”
“Resta qui…”
mormorò lui, la voce ormai chiaramente
assonnata.
“Devo andare…”
“Resta qui…
Sarah…”
Sarah.
L’aveva
chiamata per nome. E’ proprio vero che l’alcol fa
dire le cose più strane.
“Harm…”
“Finché non
mi addormento…ti prego…”.
Pensò che non
gli ci sarebbe voluto molto… ancora qualche
minuto e poi sarebbe crollato.
Perché il
suono del suo nome sulle sue labbra era tanto
devastante?
Lasciò cadere
a terra gli asciugamani e si stese accanto a
lui, sopra le lenzuola.
Fu
un’impressione o lui si mosse, impercettibilmente,
quasi a cercare maggiormente la sua vicinanza? Quasi ad accoccolarsi
tra le sue
braccia…
Voltò il capo
verso di lei e la guardò negli occhi.
“Non hai mai
pensato… a come sarebbe?” le domandò,
sorprendendola con una voce che non sembrava più quella di un ubriaco.
“Come sarebbe
‘cosa’?”
“Tra noi due…
se facessimo l’amore…”
Non riuscì a
rispondere. Il cuore le salì in gola e da lì
non volle andarsene.
Distolse lo
sguardo, fissando per qualche secondo il
soffitto. Quando tornò ad osservarlo, Harm si era già addormentato.
Restò
immobile, a guardarlo dormire, affascinata dalle
ciglia lunghe che ombreggiavano i suoi incredibili occhi; quegli stessi
occhi
che soltanto un attimo prima sembravano scavarle nell’animo.
Percepiva il
calore del suo corpo anche attraverso il
lenzuolo. La sua pelle ora profumava di bagnoschiuma.
Osservò
l’espressione del suo volto, rilassata nel sonno.
Sollevò
lentamente una mano e gli sfiorò con dolcezza una
guancia: l’ombra della barba stava irruvidendo la pelle liscia.
Lui si mosse
al contatto, imprigionandole la mano tra il
cuscino e la sua testa, quasi desiderasse che lei lo accarezzasse così
per
tutta la notte.
Un’idea
assurda e molto pericolosa.
Eppure…
Era stato
proprio lui a domandarle se non aveva mai
pensato a come sarebbe stato se avessero fatto l’amore…
Esausta dalle
emozioni di quella serata tanto insolita,
scivolò lentamente nel sonno accanto a lui, cullata dal suo respiro e
dall’immagine di loro due insieme.
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Capitolo 3 *** 4 Dicembre ***
Appartamento
di Mac
Ansiosa,
tormentata, agitata, stressata.
Depressa e
insoddisfatta.
Sì: ora
poteva aggiungere anche depressa e insoddisfatta
alla lista.
E
dannatamente più frustrata di prima.
Sapeva che
sarebbe andata a finire così! Sapeva che se
avesse fatto quello che Sturgis le chiedeva, il suo cuore avrebbe
finito per
soffrirne ancora di più. Eppure lui lo sapeva bene cosa provava per il
suo
amico, glielo aveva erroneamente confessato mesi prima. Ma nonostante
questo
aveva chiamato lei e non Harriett, non Jennifer, non qualsiasi altro
collega.
Aveva chiamato proprio lei e lei non aveva saputo dire di no.
E ora si
trovava in uno stato di pieno delirio mentale ed
ormonale.
I fatti della
sera precedente tornavano prepotentemente a
tormentarla ogni volta che la sua mente non era occupata in altro: Harm
ubriaco, il suo strano atteggiamento causato dal troppo alcool, quel
ballo (che
era stato più un lento barcollio) stretta a lui, le sue mani che lo
spogliavano
dagli indumenti, la doccia e quella domanda “innocentemente” posta da
Harm, in
uno stato che sembrava quasi di sobrietà:
“Non hai mai
pensato a come sarebbe? Tra noi due… se
facessimo l’amore?”. Da quando lo conosceva ci aveva pensato almeno un
miliardo
di volte! Inizialmente era stata una curiosità puramente fisica: il
Comandante
era veramente un gran bell’uomo ed era umanamente impossibile non
provare
l’inarrestabile voglia di saltargli addosso e provare del buon sesso!
Poi
quella curiosità esclusivamente fisica era diventata ben altro: si
erano aggiunti
la stima, l’amicizia, i sentimenti, l’amore…
Si sentiva
male nell’ammetterlo così spudoratamente, ma
spesso, quando era con Mic, si era chiesta come sarebbe stato con Harm.
Ed ogni
volta si dava un’inspiegabile risposta: MERAVIGLIOSO.
Non si
spiegava perché, ma aveva sempre avuto la certezza
che fare l’amore con Harm sarebbe stato un viaggio in paradiso.
Non sapeva
cosa e se avrebbe risposto a
quella domanda, se Harm non si fosse
addormentato. Avrebbe potuto mentire spudoratamente dicendogli che non
le era
mai passato per la mente, ma non ci avrebbe creduto nessuno, a Sidney
si era
praticamente buttata tra le sue braccia con quella dichiarazione sul
ferry.
Avrebbe potuto rispondergli con la verità, ovvero che ci pensava da
sempre ma
che le loro vite non avevano mai permesso che niente accadesse.
Oppure
avrebbe potuto proporgli di dare un senso reale a
tutte quelle fantasie che per anni l’avevano ossessionata, se soltanto
lui
fosse stato sobrio e se lei fosse stata sicura che non era a causa di
Renèe che
si era ridotto in quello stato.
E per
realizzarle tutte quante, una notte di certo non
sarebbe bastata!
L’unica cosa
sicura era che quella mattina, alle prima
luci dell’alba, lei si era svegliata nel suo letto, con un suo braccio
intorno
alla vita, il suo caldo corpo premuto sulla sua schiena ed il suo
respiro che
le sfiorava il collo.
E in
quell’istante si era sentita bene.
Aveva
indugiato in quello stato per qualche minuto, prima
che la dura realtà la colpisse come una doccia fredda: Harm, nel sonno,
certamente pensava di abbracciare Renèe o chissà quale altra donna
rimorchiata
al bar. E così, a malincuore si era sciolta da quell’abbraccio che non
le
spettava, riuscendo a svincolarsi dal suo braccio senza svegliarlo.
Si era
silenziosamente preparata ad uscire non senza prima
essersi fermata a contemplare la figura addormentata di Harm e non
senza aver
fatto scorrere lo sguardo sul suo fisico lasciato scoperto dal lenzuolo
ormai
sceso fino alla vita.
In ufficio
era stata una vera tortura: si era rintanata
nel suo con le tendine abbassate per paura di vederlo e arrossire come
una
sedicenne, e ogni volta che doveva uscire controllava bene che il bel
Comandante non fosse nei paraggi.
Era riuscita
nel suo intento fino a fine giornata quando,
stanca del lavoro e delle emozioni, si era lentamente avviata verso
l’ascensore. Stava aspettando che si aprissero le porte, quando aveva
sentito
la sua voce.
“Ehi Marine,
eccoti finalmente!”.
Anche senza
guardarlo poteva ben immaginare il suo sorriso
stampato sul volto. Mantenendo lo sguardo sull’ascensore, aveva
risposto al suo
saluto:
“Ciao Harm”.
Respira Mac,
respira! Puoi farcela. E’ solo un tuo
collega. E’ solo Harm. E’ solo l’uomo al quale ti sei svegliata
abbracciata
stamattina. E’ solo l’uomo che sogni da una vita.
MA QUANDO
ARRIVA QUESTO ASCENSORE?
Il silenzio
si era fatto imbarazzante e la situazione non
era migliorata una volta entrati nello stretto spazio dell’ascensore.
“Mac… senti…
io…”
La voce
stentata e insicura di Harm aveva rotto finalmente
il silenzio “io volevo ringraziarti di quello che hai fatto per me ieri
sera,
sei stata veramente un angelo”
“Di niente
Harm, lo avresti fatto anche tu per me, i buoni
amici servono a questo, no?” aveva detto con un sorriso, trovando
finalmente la
forza di guardarlo negli occhi.
Tragico
errore: non appena i loro sguardi si erano
incrociati e il suo sorriso si era formato, la domanda che le aveva
rivolto la
sera prima era tornata a tormentarla.
Per fortuna
il viaggio era durato poco e, fianco a fianco,
si erano diretti alle rispettive auto. Harm aveva aperto la portiera ed
era
entrato nel suo SUV mettendo in moto e abbassando il finestrino:
“Tu hai fatto
molto di più di quanto avrebbe fatto una
buona amica. E visto che ci sono vorrei anche scusarmi del mio
comportamento,
qualsiasi cosa abbia fatto o detto, spero di non averti offesa…”
Offesa?
Scusati più che altro dello stato mentale in cui
mi hai ridotta!
“Non
preoccuparti Harm. Mi spiace solo che tu stia
soffrendo così tanto per Renèe… per il resto… qualsiasi cosa tu abbia
fatto o
detto… so che non la intendevi seriamente…”
Lo sguardo di
Harm era diventato serio; aveva innescato la
retromarcia per uscire dal parcheggio e con un filo di voce aveva
aggiunto,
mentre la macchina era già in movimento:
“Renèe? Renèe
non c’entra proprio niente, e nonostante
tutto, per ogni cosa fatta o detta, ero nel pieno delle mie facoltà
mentali
Mac…”.
E l’aveva
lasciata lì, davanti alla sua macchina, con
quella pesante affermazione tra loro.
Tipico di
Harm! Fare un passo e correre via, buttare un
sasso per smuovere le acque e poi ritrarre subito la mano.
Ah, uomini!
Non li avrebbe mai capiti veramente e in
special modo lui. Con un sospiro che le servì a riprendere il controllo
di sé,
si accomodò sul divano, prese il blocco di fogli azzurri che giaceva
sul
tavolino davanti a sé e decise di concentrarsi sul lavoro. Forse le
sarebbe
servito.
“Bene Mac,
forza, il caso Wintrop!”
Iniziò a
scrivere un paio di appunti e riflessioni che le
erano venuti in mente durante la giornata, un paio di domande da porre
al
testimone ma soprattutto qualche osservazione da fare sulla strategia
difensiva
di Harm.
Almeno queste
erano le sue intenzioni. In realtà, quando
si rese conto di aver scritto soprappensiero, tra le domande da porre
al
testimone, “Hai mai pensato a come sarebbe tra noi?”, capì che era una
battaglia persa.
Strappò con
rabbia il foglio e lo accartocciò gettandolo
nel camino davanti a lei.
Sorrise di
sé, mentre distrattamente iniziava a
scarabocchiare sul foglio successivo. Non poteva andare avanti così,
questo era
sicuro. E l’unico modo per riuscire a superare questa cosa, sarebbe
stato
vivere fino in fondo quella fantasia… si ma come? Sicuramente non nella
realtà,
il bel Comandante era off limits. Guardò la punta della penna mentre
scorreva
senza meta e senza senso sul foglio e sorrise tra sé. Strappò anche
quel foglio
scarabocchiato e iniziò quello seguente con la solita famosa frase,
lasciando
che il resto delle parole seguisse a ruota, senza pensare o riflettere
su
quello che stava scrivendo.
“Hai
mai
pensato a come sarebbe tra di noi? Tra noi due… se facessimo l’amore?”
Riuscire
a far crollare le barriere che proteggono i nostri cuori… Concedersi
l’uno
all’altra senza limiti, senza riserve, senza aver paura di dare e di
ricevere,
senza aver paura di esporci…
Permettere
alle mie mani di fare quel viaggio che da sempre sognano, lasciare le
mie dita
accarezzare il tuo volto, le tue palpebre, le tue labbra… percorrere il
loro
contorno lentamente fino a farle schiudere in un sospiro di piacere e
fremente
attesa. Attesa brevissima, colmata immediatamente dalle mie labbra,
desiderose
di assaggiarti, e riprendere immediatamente quel percorso,
mordicchiando e
tracciando il loro contorno, con la punta della mia lingua, di quelle
labbra che
non ho ancora smesso di fissare e desiderare.
E
le tue
labbra si sottometterebbero al mio volere, schiudendosi per me, dandomi
accesso
alla tua bocca e con essa, alla prima barriera che porta sino al tuo impenetrabile cuore.
Lo squillo
del telefono la risvegliò dal suo stato di
trance.
“Colonnello
MacKenzie… ciao Chloe! No che non mi disturbi,
mi hai solo presa alla sprovvista, ero con la testa tra le nuvole…”
Guardò quelle
poche righe sul foglio, sorrise di sé stessa
ed appoggiò il blocco nuovamente sul tavolino. Di adolescenti ne
bastava una, e
in quel momento quel ruolo spettava a Chloe.
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Capitolo 4 *** 5 Dicembre ***
Jag –
Ufficio del Colonnello MacKenzie
“Hai pronti i
documenti sul caso Wintrop?”.
Mac alzò lo
sguardo e vide la testa di Harm sbucare dalla
porta del proprio ufficio.
“Come hai
detto?”
“Il caso
Wintrop… ricordi?”
“Oh, sì…
certo. Il caso Wintrop.”
“Mac? Stai
bene?”
“Certamente.
Perché?”
“Mah… non so…
mi sembri strana, oggi.”
“Strana?
Strana in che senso?”
“Al briefing
con l’Ammiraglio sembravi stanca… e ora…”.
“Ora cosa
sarei?”
“Distratta.
Sì, sembri distratta”
“Non sono
affatto distratta. E a proposito del caso
Wintrop… ecco…” e prese a frugare nella cartella, recuperando un
fascicolo che
gli porse con sorriso soddisfatto “…ecco i documenti che cercavi”.
Harm li
prese, guardandola con un sorriso divertito.
“Guarda che
non stavo mettendo in dubbio la tua
efficienza… constatavo soltanto che mi sembravi distratta. C’è qualcosa
che non
va?”
Lei lo
guardò, ricambiando il sorriso.
“Ti serve
altro, Harm?”
Sentendosi
congedato, senza aggiungere altro lui girò sui
tacchi e uscì dall’ufficio.
Finalmente
lei poté rilassarsi: era tutta mattina che
pensava a quello che aveva scarabocchiato su quel foglio la sera prima…
ma come
le era venuto in mente di mettersi a scrivere quelle cose?
Fortuna che
quel blocco era rimasto sulla sua scrivania a
casa… Non osava pensare a cosa avrebbe potuto pensare chiunque avesse
letto le
fantasie proibite di
un colonnello dei
Marine!
Jag –
Ufficio del Comandante Rabb
Riattaccò il
telefono, si alzò, chiuse la porta e
finalmente aprì il fascicolo che aveva recuperato nell’ufficio di Mac:
aveva
ancora un paio d’ore da dedicare al caso Wintrop e voleva leggere ciò
che aveva
preparato lei.
Scorse i
primi due fogli, la trasposizione scritta della
testimonianza del marinaio Williams, che aveva assistito alla scena.
Ricordava
l’interrogatorio, ma rileggere nero su bianco le domande e le risposte
gli
permetteva di farsi un quadro migliore della situazione; inoltre gli
faceva
venire in mente altre eventuali domande che avrebbero potuto rivolgere
al
testimone, per prepararlo all’interrogatorio in aula.
Stava per
passare alla deposizione successiva quando la
punta di un foglio azzurro sbucò da sotto altri fogli bianchi;
incuriosito
recuperò il foglio colorato, rendendosi immediatamente conto che non
era un
semplice foglio, ma un blocco di fogli, benché molto sottile.
Era scritto a
mano, a differenza degli altri, stampati o
dattiloscritti.
Doveva
trattarsi di appunti di Mac. E infatti quella era la
sua calligrafia.
Credendo di
leggere fogli di lavoro, iniziò a scorrere le
parole, una dopo l’altra.
La prima
frase che lesse da principio gli sembrò essere
una domanda da rivolgere ad un testimone… ma l’argomento non sembrava
collimare
con quello che era il caso che stavano seguendo.
Che fossero
appunti per un altro caso, finiti per errore
in un dossier sbagliato?
Proseguì
incuriosito dall’argomento… rendendosi conto, ben
presto, che non si trattava più solo di domande, ma di qualcos’altro.
Sembravano…
Non poteva
crederci!
Eppure…
Nonostante
fosse ubriaco e quasi in stato di incoscienza,
tra la veglia e il sonno, ricordava bene cosa aveva chiesto a Mac due
sere
prima, mentre era steso a letto. E quello che c’era scritto in quel
blocco
azzurro pareva tanto la risposta a quella domanda e non solo.
Oh, no! Non
solo!
Con un pigro
sorriso divertito, lesse avidamente tutto
quanto, soffermandosi persino in alcuni punti che trovava
particolarmente
interessanti.
Quando ebbe
terminato, posò il blocco e si mise a riflettere:
ciò che aveva appena letto gli offriva su un piatto d’argento
l’occasione di
dirle tutto quello che non era mai riuscito a dirle…
Doveva solo
capire come.
Si mise al
computer e trascrisse rapidamente ciò che aveva
letto, salvando il documento su una chiavetta USB che mise nel
portafoglio; a
casa l’avrebbe riletto e avrebbe riflettuto sul da farsi.
Per il
momento non doveva che attendere il momento
propizio per far scivolare, senza essere visto, nella cartella di Mac
il blocco
azzurro, lasciandole credere che fosse rimasto nella sua borsa e non
finito
nelle mani dell’oggetto delle sue fantasie.
L’interessante,
di tutta quella faccenda, sarebbe stato
anche scoprire se nel fascicolo Wintrop quel blocco fosse davvero
finito per
errore, oppure per un inconscio lapsus freudiano!
Appartamento
di Mac
Aveva cenato
con un’insalata e una bistecca e stava per
mettersi al lavoro: prese la cartella con i fascicoli che si era
portata
dall’ufficio e la mise sulla scrivania.
Si guardò
attorno, perplessa.
C’era
qualcosa che non andava…
Osservò con
più attenzione, cercando di focalizzare meglio
la sensazione che aveva avuto e sussultò: il blocco azzurro non era
dove
credeva d’averlo lasciato.
Sollevò
rapida ad uno ad uno i fogli che si trovavano sul
tavolo ma non trovò ciò che stava cercando.
Dove era
finito?
Aprì i
cassetti della scrivania e rovistò anche lì, finché
dovette arrendersi all’evidenza dei fatti. Allora, in preda al panico,
aprì la
borsa da lavoro e tirò fuori il fascicolo Wintrop…
Non poteva
essere finito lì dentro!
Aprì la
cartellina che conteneva i documenti relativi al
caso e cominciò a scorrerli tutti: niente neppure lì.
Eppure
ricordava chiaramente che quel dannato blocco
azzurro era sulla scrivania, la sera prima, mentre lavorava.
Guardò
nuovamente nella borsa e… finalmente tirò un
sospiro di sollievo: eccolo!
Si trovava
nel soffietto più esterno della cartella,
quello dove solitamente riponeva la cancelleria e i fogli per appunti e
non
dove teneva i fascicoli dei casi che stava esaminando. Probabilmente lo
aveva
infilato nella borsa soprappensiero, così com’era stata per tutta la
giornata
in ufficio.
In fondo Harm
aveva avuto ragione: era distratta.
Harm…
Era stata
davvero una fortuna che quel blocco non fosse
finito nel posto sbagliato. Non osava neppure immaginare cosa avrebbe
pensato
lui se avesse letto ciò che vi aveva scritto.
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Capitolo 5 *** 7 Dicembre ***
Jag –
Ufficio del Colonnello MacKenzie
“Ehi!
Verresti a pranzo?”.
Doveva
smetterla di entrare di sorpresa nel suo ufficio:
doveva averla davvero spaventata, perché la vide sobbalzare e far
cadere a
terra un plico di fogli che probabilmente teneva sulle gambe.
“Oh, Mac…
scusami. Non volevo spaventarti”.
Avanzò verso
il tappeto di fogli che andava dai piedi di
Mac fin sotto alla scrivania; alcuni documenti erano scivolati persino
vicino
alla porta.
Praticamente
davanti ai suoi piedi.
Lei si gettò
a terra, rapida come non l’aveva mai vista,
per recuperarli.
“Aspetta… ti
aiuto”.
“No.”
La risposta
secca e affrettata che gli rivolse lo mise sul
chi va là. Possibile che…?
Diede un
rapido sguardo alla distesa di carta e individuò
immediatamente un foglio azzurro spiccare sul resto di fogli bianchi…
e, guarda
caso, era proprio davanti a lui.
Ignorando il
suo diniego, si piegò per recuperare proprio
quello, mentre lei era voltata di schiena e cercava di raccogliere il
più
rapidamente possibile quanti più documenti poteva, senza ancora
accorgersi che
quello che più voleva nascondergli era proprio nelle sue mani.
Diede una
sbirciata a ciò che vi era scritto e scoprì che
non conteneva le medesime parole che ormai conosceva quasi a memoria…
Aveva
scritto altro.
“Ti avevo
detto che non avevo bisogno del tuo aiuto”.
La voce secca
di Mac lo costrinse ad alzare la testa e
guardarla; lo sguardo e la mano che lei tendeva lo obbligò a
restituirle
immediatamente il foglio colorato, fingendo di non averlo neppure
guardato.
“Scusami
tanto… “ disse porgendole anche un altro
documento, tanto per sviare la sua attenzione, “… stavo semplicemente
aiutandoti, considerato che è per causa mia che è successo questo
piccolo
disastro” aggiunse con un sorriso smagliante.
Lei lo guardò
torva per un attimo; poi, probabilmente per
evitare di insospettirlo ulteriormente ed essendo ormai entrata in
possesso di
ciò che desiderava nascondergli, addolcì la piega delle labbra e disse:
“Hai ragione.
Dovresti smetterla di spaventarmi così ogni
volta che entri nel mio ufficio… ok, puoi aiutarmi a rimediar a questo
disastro
che TU hai combinato”.
“Ah… e così
ora sarei solo io ad aver combinato tutto
quanto? Ma guarda… E da quando tu sei tanto nervosa quando mi affaccio
alla
porta del tuo ufficio?”
“Che cosa
intendi?” chiese lei, sospettosa e di nuovo
immediatamente sulle sue.
“Mhm… dimmi
dimmi… non avrai per caso qualcosa da
nascondere?”.
Osservò un
improvviso calore arrossarle il volto e
sorrise.
“Oh, oh! Devo
aver colpito nel segno… Coraggio, Mac, cosa
mi nascondi?”
“Nulla… “
disse lei, continuando a raccogliere i fogli
caduti e voltandogli così le spalle.
Lui si
abbassò di nuovo al suo livello, si avvicinò al suo
orecchio e le sussurrò divertito:
“Sei sicura?”.
Si voltò
verso di lui e per un attimo le labbra di Mac
furono vicinissime alle sue. Reprimendo a stento la voglia di baciarla,
comprese in quell’istante quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Era ora di
dare un senso a tutta quella storia.
Prima di
alzarsi le porse altri fogli che aveva raccolto,
dopodiché, così com’era entrato, se ne andò.
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Capitolo 6 *** 11 Dicembre ***
Appartamento
di Mac
“… ed è per
questo che vi chiedo un
verdetto di piena assoluzione”.
Non andava.
Da ormai due ore camminava avanti e indietro
nel suo salotto ripetendo e variando la sua arringa finale, senza mai
trovarla
realmente convincente. Oltre alla sua frustrazione nella vita
sentimentale, ci
mancava solo quella lavorativa.
Si ributtò
sul divano e riprese in mano tutti gli appunti
sparsi sul tavolino davanti a lei. Riesaminò quelli presi durante il
processo:
era senza dubbio innocente, ma non riusciva a trovare qualcosa da usare
come
vero colpo di grazia nell’arringa. Prese in mano anche i fogli degli
appunti di
Harm, nella speranza che il suo intuitivo collega le fornisse la
soluzione al
suo problema.
“Certo che
Harm ha veramente una pessima calligrafia”
pensò mentre con difficoltà scorreva i fogli riempiti di geroglifici.
“E anche in
questo niente…” sospirò sconsolata poggiando
di lato l’ennesimo foglio “Avanti il prossimo… allora… Hai mai pensato
a come
sarebbe se…” la frase le morì sulle labbra e un brivido la percorse.
Per un lungo
attimo non capì. La calligrafia era quella di
Harm, la frase era quella che da giorni la stava tormentando… possibile
che
Harm fosse rimasto sconvolto da quella serata quanto lei? E che anche
Harm si
fosse ritrovato a scrivere le sue fantasie a ruota libera? Sorrise
mordendosi
il labbro inferiore ed iniziò a leggere…
“Hai
mai
pensato a come sarebbe tra di noi? Tra noi due… se facessimo l’amore?”
Riuscire
a
far crollare le barriere che proteggono i nostri cuori… Concedersi
l’uno
all’altra senza limiti, senza riserve, senza aver paura di dare e di
ricevere,
senza aver paura di esporci…
Bellissimo.
Sarebbe bellissimo.
Sfiorerei
la sua pelle con le mie mani, accarezzandole il volto, le palpebre, le
labbra…
indugerei sul loro contorno, prima con le dita, poi con la mia bocca,
fino a
farle schiudere per me, per il bacio che attendo di darle da troppo
tempo.
La
via
d’accesso al suo impenetrabile cuore.
Un
bacio
lungo, appassionato. Una dolce danza, vecchia come il mondo.
E
le mie
mani scivolerebbero lentamente sul suo corpo, toccando ogni centimetro
della sua
pelle, che scoprirei lentamente sollevandole la maglia, pregustando il
momento
in cui ripercorrerei lo stesso tragitto con le mie labbra…
Rilesse ogni
singolo passaggio almeno due volte, provando
un improvviso calore e senso di eccitamento immaginando quelle
adorabili mani
finalmente sul suo corpo. Senza pensare al fatto che, adesso, aveva la
prova
che anche lui la vedeva sotto luce diversa.
Come
trasportata da una forza incontrollabile rilesse
nuovamente il tutto, senza riuscire a togliersi il sorriso stampato
sulla
faccia.
Ma,
improvvisamente, quel calore che le parole di Harm
erano riuscite a creare scomparve, lasciando al suo posto un gelo che
le
penetrò fin nelle ossa.
Era stata
talmente rapita da quelle parole che… non si era
accorta… ma, possibile che…
Si alzò
velocemente dal divano e corse verso la sua borsa
di lavoro. La aprì e afferrò il famoso blocco di fogli azzurri che da
qualche
giorno stava nel prima soffietto. Lo aprì velocemente e iniziò a
leggere prima
il suo foglio, poi quello
di Harm, poi
passò nuovamente gli occhi sul foglio azzurro per ritrovare una precisa
corrispondenza con le parole scritte da lui…
Per un lungo
istante rimase a fissare quelle frasi tanto
simili, incapace di dare una spiegazione razionale o forse cercando di
scacciare
l’unica spiegazione razionale esistente. E quando ne prese coscienza si
sentì quasi
soffocare.
Ricollegò
velocemente i fatti… La sera sul divano mentre
scriveva, il blocco poggiato sul tavolo accanto al dossier Wintrop,
Harm in
ufficio che chiede i documenti, lui che rientra due ore dopo, con uno
strano
sguardo e che si abbassa vicino alla sua borsa con la scusa di una
penna caduta
a terra e infine le strane allusioni di quel giorno su lei che le
nascondeva
qualcosa.
Tutto filava
purtroppo e la conclusione era solo una: doveva
aver messo inavvertitamente il blocco in mezzo ai documenti del caso,
li aveva
dati ad Harm e lui aveva letto la sua fantasia prima di riporla, non
visto,
nella ventiquattrore.
La prima
reazione fu di imbarazzo più completo. Aveva
appena scoperto di aver involontariamente confessato al suo partner,
collega e
miglior amico, di avere il preciso desiderio di saltargli addosso. Non
sarebbe
più riuscita a guardarlo negli occhi, a stare sola in uno spazio
stretto con
lui, adesso che sapeva che anche lui sapeva…
Non riusciva
più a fare un pensiero coerente. Immagini di
Harm mentre leggeva il suo scritto la stavano tormentando: il suo viso
indignato, divertito, distaccato, eccitato… Non riusciva ad immaginare
cosa
avesse potuto pensare lui.
Si mise una
mano sul volto e si maledisse interiormente
per aver ceduto alla tentazione di mettere nero su bianco quelle cose,
rischiando di rovinare per sempre il loro rapporto.
Che penserà
adesso Harm di me?
Abbassò gli
occhi su quei fogli e all’improvviso capì che
la risposta a tutte quelle domande era proprio tra le sue mani. Riprese
il
foglio di Harm e lo lesse nuovamente.
C’erano solo
due possibili risposte: o si stava divertendo
a giocare con i suoi sentimenti (e non era certamente da Harm), o anche
lui era
interessato a portare il loro rapporto verso un nuovo livello. Il
sorriso le si
stampò nuovamente sul volto.
E adesso?
Cosa avrebbe dovuto fare? Chiamarlo e dirgli che
i suoi appunti l’avevano MOLTO ispirata e non per l’arringa?
Presentarsi a casa
sua con i fogli nella mano sinistra e una bottiglia di champagne nella
destra?
Sicuramente
erano due ipotesi allettanti ma non sarebbe
stata in grado di ricevere un rifiuto se avesse scoperto che l’intento
di Harm era
stato solo quello di giocare.
Doveva
tastare ancora un po’ il
terreno… Del resto lui le aveva mentito…
non le aveva detto d’aver letto le sue fantasie.
Doveva capire
più chiaramente le sue reali intenzioni. E
per farlo sarebbe stata al suo gioco e avrebbe risposto con la sua
stessa
carta.
In fondo, in
due si può giocare meglio!
Se le cose
fossero andate come sperava, il marinaio
Wintrop avrebbe ricevuto sicuramente un’anonima raccomandazione per
passaggio
di grado.
Prese il suo
blocco e ricominciò a scrivere con una nuova
spinta e un nuovo obiettivo: farlo suo!
E come per
magia, le parole iniziarono a sgorgare.
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Capitolo 7 *** 14 Dicembre ***
Uffici
del Jag
Scrollandosi
dalle spalle la neve che non si era ancora
sciolta durante il tragitto in ascensore, il Comandante Rabb entrò
negli uffici
del Jag allegro e sorridente.
“Comandante!
Ben rientrato” si sentì apostrofare dalla
voce divertita e al tempo stesso lievemente ironica dell’Ammiraglio
Chegwidden.
“Signore…”
rispose Harm, salutandolo.
“Tutto bene
il viaggio?”
“Certo
Signore! Ho raccolto tutte le informazioni che ci
servivano e sono pronto a formulare i capi d’accusa.”.
“Bene.
Comandante, la trovo particolarmente allegro, oggi.
Qualche motivo speciale?”
“Nossignore… “
“La neve,
allora? O è l’avvicinarsi del Natale? So che il
23 e il 24 dicembre lei sarà sulla Coral Sea ad accompagnare
l’Ammiraglio
Boone… potrà provare a farsi un volo…”
“Non ne
sapevo niente, Signore”.
“Glielo sto
dicendo ora”.
“Sissignore,
grazie Signore”.
“Aspetti a
ringraziarmi, Comandante. Se non dovesse
tornare in tempo per la cena dai Roberts, Harriett potrebbe
sbranarla…”. E
detto questo l’Ammiraglio scomparve nel suo ufficio, lasciandolo senza
parole.
Scosse la
testa con un sorriso divertito e stava per
dirigersi a sua volta verso il proprio ufficio quando fu fermato da
Sturgis.
“Harm, hai
già saputo?”
“Sì, me lo ha
appena detto l’Ammiraglio”
“Ci sarai,
allora?”
“Ovvio che
sì… perché, vieni anche tu? L’Ammiraglio non me
lo ha detto”.
“Beh, certo…
Bud e Harriett hanno invitato anche me…”
“Oh, ti
riferivi alla cena di Natale a casa Roberts?”.
“Sì, perché?
Tu a cosa pensavi?”
“Ah, lascia
stare… ero soprappensiero. Comunque sì, ci
sarò… sempre che riesca a tornare in tempo…”
“In tempo?”
“Sì… sarò
sulla Coral Sea ad accompagnare l’Ammiraglio
Boone che deve tenere una
conferenza…
dovrò discutere anch’io di qualcosa…“.
“Sai che se
non arriverai in tempo…” lo interruppe il Comandante
Turner.
“… Harriett
potrebbe sbranarmi. Sì, me lo ha già ricordato
l’Ammiraglio.”.
“Mhm… a dire
il vero io stavo pensando ad altro”.
“Ah… e a
cosa?”
“Lascia
stare… pensavo ad alta voce. Ci vediamo…” e con
quella frase sibillina, chiuse la conversazione e girò sui tacchi.
“Sturgis…” si
ritrovò a dire Harm, ma senza ottenere
risposta. Il suo amico se n’era andato.
A quanto
pareva quella mattina non era l’unico strano.
Allegro, forse. Ma non certamente l’unico strano!
Allontanò il
pensiero di Sturgis e tornò a concentrarsi
sull’unica cosa che gli importava di quella giornata: rivedere Mac.
Decise di
passare prima in ufficio per lasciare il
cappotto e la cartella, ma quella mattina il suo ufficio sembrava
essere
diventato una destinazione irraggiungibile.
Fu fermato da
Tiner che gli disse che Mac era dovuta
uscire per interrogare dei testimoni e quasi certamente sarebbe rimasta
fuori
per tutta la giornata; il Colonnello lo aveva pregato di consegnargli
un
fascicolo, dicendo che lui sapeva di cosa si trattava.
“Sì, Tiner…
il dossier del caso a cui stiamo lavorando io
e il Colonnello. Grazie”.
Prese dalle
mani del sottufficiale Tiner il plico che gli
stava porgendo e, con un aria decisamente meno allegra di qualche
minuto prima,
finalmente riuscì a varcare la soglia del suo ufficio.
Posò sulla
scrivania il fascicolo e la cartella da lavoro;
dopodiché si levò il cappotto e chiuse la porta.
Tutto il
buonumore se n’era andato quando aveva saputo che
non avrebbe rivisto Mac per un altro giorno ancora: voleva guardarla
negli
occhi per capire se aveva letto il suo biglietto.
Pazienza,
avrebbe dovuto attendere l’indomani.
Decise di
mettersi al lavoro e per prima cosa preparò il
documento con la formulazione delle imputazioni a carico del tenente
Grant,
l’accusato del nuovo caso che stava seguendo con Mac.
Quando ebbe
terminato ne fece due copie, una da consegnare
all’Ammiraglio, l’altra da conservare nel dossier. Trascrisse e stampò
infine
una relazione sull’esito del suo colloquio con i testimoni che aveva
ascoltato
mentre era via, per aggiungere anche quella al fascicolo che gli aveva
fatto
avere Mac.
Aprì la
cartelletta per sistemare i documenti e ciò che
vide in cima ai fogli lo fece sorridere e gli fece ritrovare
immediatamente il
buon umore che aveva perso prima.
Un altro
foglio azzurro, con la calligrafia di Mac.
Sentire
le tue mani su di me, possessive e al tempo stesso dolcissime. Le mani
di un
uomo non sono mai state tanto calde sul mio corpo, ma nessun altro uomo
può
essere paragonato a te. E capisco che non sono le tue mani ad essere
calde, ma
è il tuo tocco ad incendiarmi.
Assaporare
l’attesa di ogni centimetro percorso dalle tue dita e tremare quando le
tue
mani si posano sui miei seni, chiudendo gli occhi per godere di
quell’appagante
sensazione.
Riaprire
gli occhi e incrociare il tuo sguardo cupo, bramoso, eccitato e
innamorarsi
ancora di più del tuo sorriso fiero e sicuro.
Attirarti
a me prepotentemente, per impossessarmi delle tue labbra in un bacio
quasi
violento che nasce dalla rabbia nel sentirmi tanto impotente e
arrendevole tra
le tue braccia.
Esplorare
il tuo corpo e sorridere a mia volta sulle tue labbra nel sentirti
trattenere
il fiato ad ogni mio tocco…
Fino a quel
momento, nonostante non rimpiangesse l’idea
che aveva avuto, temeva un po’ la reazione di Mac: avrebbe potuto
prendersela
nello scoprire che lui aveva letto le sue fantasie e perdere così la
sua
amicizia.
Ma le parole
scritte su quel foglio stavano ad indicare
che aveva capito il suo intento e questo, da una donna come Mac, poteva
significare una cosa sola: era pronta, finalmente, a portare il loro
rapporto
ad un nuovo livello.
Ed era anche
decisa a proseguire con lui in quel “gioco”.
Sollevò il
foglietto scritto da lei e quando vide cosa
c’era sotto, sorrise.
Oh sì! Eccome
se aveva voglia di continuare con lui
quell’avventura!
Sotto il
foglio azzurro vergato con la sua calligrafia,
Harm ne trovò un altro, intonso.
Lasciato lì
apposta per lui.
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Capitolo 8 *** 15 Dicembre ***
Uffici del
Jag –
sala riunioni
“Ciao Sturgis”
“Mac…”
“Harm non è
ancora arrivato?”
“Non ancora”
“Allora… “
disse Mac, posando il fascicolo del caso Grant
sul tavolo “… se non ti dispiace nel frattempo faccio un salto in
cucina a
prendere del caffè… ne vuoi anche tu?”
“No, grazie”
“Ok, solo per
me e per Harm, allora. Torno subito.”
“Da quando
Harm beve il caffè?” domandò Sturgis, mentre
usciva.
In effetti
Harm raramente beveva caffè…
“Per lui del
tè, se lo trovo…” rispose sulla porta,
voltandosi verso il Comandante Turner.
“Grazie Mac,
ma…”. La voce di Harm appena dietro di lei la
colse alla sprovvista e per poco non gli finì addosso.
“Attenta…”
disse Sturgis.
Harm stava
entrando con due tazze in mano ed ebbe la
prontezza di arretrare di un passo, altrimenti avrebbero combinato un
disastro.
La guardò con
un sorriso e le porse la tazza di caffè che
le aveva portato.
“Grazie”
disse imbarazzata. Era la prima volta che si
trovava così vicino a lui, da quando aveva scoperto che aveva letto le
sue
fantasie.
Mentre
prendeva la tazza, le loro dita si
sfiorarono. A quel contatto non riuscì ad
evitare di tornare con la mente alle parole che aveva letto nel
biglietto di
Harm.
“Più la
guardo, più la desidero…”.
Aveva trovato
il suo biglietto la sera prima, nella stessa
cartellina che gli aveva fatto consegnare lei da Tiner e che lui aveva
lasciato
sulla sua scrivania. Era passata un attimo in ufficio, prima di tornare
a casa,
impaziente di scoprire se lui aveva risposto. Harm aveva scritto sul
foglio che
lei gli aveva lasciato dentro per sfidarlo a continuare il “gioco”.
E, a quanto
aveva letto, lui aveva accettato la sfida.
Lei
è così
bella… Più la guardo, più la desidero.
Eppure
continua a rimanere soltanto una fantasia… un sogno proibito.
Chissà
se
ne ha uno anche lei…
Si
scambiarono uno sguardo, per pochi secondi, finché non
sentirono un movimento provenire da dove si trovava Sturgis.
“Allora…
possiamo iniziare?” disse Harm, prontamente
ripresosi dal momento, mentre si sedeva con la sua tazza in mano.
Dovevano
discutere con l’avvocato della difesa, Sturgis,
che voleva un accordo per il suo assistito, il tenente Grant, al fine
di
evitare il processo.
Sarebbe stata
una dura battaglia. Harm era fermamente
convinto della colpevolezza dell’imputato e non aveva alcuna intenzione
di
cedere.
Mac si
sedette a sua volta, sorseggiando il suo caffè.
Vide Harm
avvicinare, con la mano libera, il fascicolo che
lei aveva posato prima sul tavolo, mentre con l’altra si portava la
tazza alle
labbra.
Continuò a
sorseggiare il suo caffè.
Lo vide
aprire la cartelletta e deglutire un primo sorso
di tè, mentre posava lo sguardo sui fogli.
Osservò di
sottecchi la scena, mentre fingeva di
sorseggiare ancora il caffè, che invece aveva appena terminato.
Per un attimo
Harm sembrò concentrato a leggere; poi,
improvvisamente, iniziò a tossire, come se il tè gli fosse andato di
traverso.
“Harm… stai
bene?” gli chiese Sturgis, sorpreso da
quell’eccesso di tosse.
Non appena si
riprese, fece cenno di sì con la testa,
senza tuttavia riuscire a pronunciare una sola parola.
Si voltò
verso di lei, con uno sguardo malizioso e le
sorrise.
Poi,
finalmente, riuscì a ritrovare la voce e disse:
“Sto bene,
sto bene… Possiamo continuare…”
“Ma cosa ti è
successo?” gli domandò Sturgis, osservandoli
divertito.
“Niente… “
“Cos’è? Uno
scherzo? Sembra che tu abbia visto un
fantasma, in quei documenti!” aggiunse Sturgis, senza mollare la presa.
Sembrava aver captato l’elettricità del momento.
“Oh, no,
Sturgis… nessun fantasma… e nessuno scherzo…”
rispose Harm, scrutando di nuovo i fogli.
Sogni...
ad occhi aperti di giorno, nel mondo onirico di notte.
Dolci,
passionali, romantici, erotici, proibiti... tutti con un unico comun
denominatore: TU.
Tu
e la
tua perfetta divisa blu.
Ed
ogni
volta che ti vedo, un solo pensiero si fa strada nella mia
testa:
afferrarti per la cravatta e attirarti a me per un bacio appassionato.
Slacciarne
lentamente il nodo per farla scivolare dal tuo collo e poi,
lascivamente,
abbandonarla a terra dietro di noi...
Poi guardò di
nuovo lei e aggiunse, sottovoce:
“Lo spero
proprio che non si tratti di uno scherzo…”.
Uffici del
Jag
Era stanca.
La giornata
era stata faticosa e, in un certo modo,
stressante. Dopo ciò che era accaduto in sala riunioni al mattino, lei
e Harm
non si erano più visti, lui dapprima impegnato con l’Ammiraglio e poi
con
Sturgis, lei alle prese con un noiosissimo lavoro di archiviazione
assieme a
Jennifer, che richiedeva la sua supervisione. Avevano sistemato
cartelle di
vecchi casi per quasi quattro ore e quando Jen era andata a casa perché
quella
sera aveva un appuntamento, si era offerta di terminare le ultime da
sola, così
il giorno dopo avrebbe potuto dedicarsi esclusivamente al caso Grant.
Alle 19 il
sottufficiale Coats l’aveva salutata con un
“non faccia tropo tardi, Colonnello!” e da quel momento erano trascorse
altre
due ore, ma era finalmente riuscita a terminare.
Uscì della
saletta dove lei e Jennifer avevano trasportato
tutto il materiale da visionare con una pila di cartelline e documenti
tra le
braccia e aveva appena chiuso la porta con una mano, trattenendo tutto
quanto
in equilibrio con l’altro braccio, quando fece per voltarsi e dirigersi
nell’archivio per depositare i fascicoli che l’indomani Jennifer
avrebbe sistemato,
ma incontrò un ostacolo e gli finì addosso.
Si sentì
trattenere da due braccia forti, altrimenti
avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe caduta. Fortunatamente, invece, a
terra
cadde solo il contenuto della cartellina in cima alla pila, che non era
riuscita
a trattenere. Sarebbe stato un guaio dover sistemare di nuovo tutto.
Stava
cercando di capire contro chi era andata a sbattere,
quando la voce divertita di Harm le giunse da troppo vicino
all’orecchio.
“Era destino,
oggi, che ti avessi tra le braccia…”.
“Harm… che ci
fai ancora qui?” gli chiese, improvvisamente
conscia di essere stretta a lui. Il cuore non le batteva forte solo per
lo
spavento.
Harm la
lasciò andare con dolcezza, permettendole di
ritrovare l’equilibrio.
“Potrei
chiederti la stessa cosa” rispose lui, bello e
imperturbabile come sempre.
Lei si
sentiva uno straccio.
“Ho finito un
lavoro che stavo facendo con Jennifer…”
“E io ti ho
fatto finire tutto quanto a terra…” disse lui,
mentre lei si stava piegando per raccogliere i fogli caduti.
“Non tutto
quanto, fortunatamente…”
“Aspetta… ti
aiuto…” e si abbassò anche lui.
“Mi sembra
una scena già vista…” disse lei, per stemperare
soprattutto dentro se stessa quella sensazione di intimità che l’aveva
colta di
sorpresa.
Si voltò
verso di lui, mentre Harm le porgeva gli ultimi
fogli che aveva raccolto, si alzava e poi le porgeva una mano per
aiutarla ad
alzarsi a sua volta.
Afferrò la
sua mano, ma comprese subito di aver commesso
un errore: lui la trattenne per qualche istante in più del dovuto,
mentre la
guardava intensamente.
Si sentì
sciogliere sotto quello sguardo…
Lo scambio di
fantasie con cui stavano “giocando” andava
bene finché non si vedevano, ma non in momenti come quello, quando
l’unica cosa
che le passava per la mente era di afferrarlo per la cravatta e…
Harm non
aveva la cravatta.
Lo osservò
stupita, perché ricordava benissimo che quel
mattino la indossava, come ovvio, con la divisa blu. Forse, a
quell’ora, se
l’era tolta e l’aveva infilata in tasca.
Ma cosa
diavolo le importava di dove avesse messo la
cravatta?
Non poteva
andare avanti così! Doveva smetterla con quel
“gioco”… non avrebbe portato da nessuna parte… o meglio, l’avrebbe
condotta
dritta al manicomio.
“Mi sembri
stanca…” la voce dolce di Harm interruppe i
suoi pensieri.
“Lo sono,
infatti. Ora vado a casa.”.
“Ti aspetto,
se vuoi”
Santo cielo,
ci mancava quello!
“No, grazie
Harm. Mi fermo ancora un attimo in ufficio…
devo spegnere il computer e… Non voglio trattenerti.”.
“Non sarebbe
un problema per me”.
Ma lo sarebbe
stato per lei: non era in condizioni fisiche
e psicologiche per stargli vicino come amici. Si trovava in un pietoso
stato di
frustrazione e mancanza di autocontrollo e…
No.
Assolutamente no.
“Ti
ringrazio, ma preferisco finire le poche cose che devo
ancora fare senza sapere di far attendere qualcuno…”.
Lui la guardò
con un sorriso dolce, poi annuì, come se
avesse capito che non se la sentiva di averlo vicino.
“D’accordo,
come vuoi. Ma… non fare troppo tardi…”
aggiunse, sfiorandole una guancia con le nocche delle dita. Poi si
diresse
verso la porta per uscire.
Lei rimase
lì, incapace di muoversi, finché non lo vide
sparire oltre l’ingresso.
Con i
polpastrelli della mano sinistra si toccò nello
stesso punto dove le sue dita l’avevano sfiorata…
Cosa
accidenti aveva quell’uomo da sconvolgerla sempre
tanto?
Finalmente
riuscì a muoversi: andò in archivio a
depositare la pila di fascicoli che ancora teneva tra le braccia e poi
entrò
nel suo ufficio, per spegnere il pc e recuperare il cappotto.
Sulla
scrivania una macchia scura attirò immediatamente la
sua attenzione; aggirò il tavolo, sollevò con aria circospetta
l’oggetto in
questione e quando realizzò di cosa si trattava, rimase senza fiato:
Harm aveva
trovato un modo molto intrigante per rispondere al suo biglietto e
proseguire
nel “loro gioco”.
Tra le mani,
in quel momento, aveva la sua cravatta.
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Capitolo 9 *** 18 Dicembre ***
Appartamento
di
Harm
Nulla. Nulla
neppure quel giorno.
Mac non aveva
più continuato il gioco: dopo che le aveva
lasciato la cravatta sulla scrivania, non aveva trovato più nessun
biglietto.
Oh,
dannazione! Cosa gli era saltato in mente di
risponderle a quel modo?
Credeva che
la sua mossa fosse intrigante, la classica
“mossa vincente”, ma ora doveva riconoscere che aveva esagerato.
Probabilmente
lei non aveva apprezzato il gesto, quasi un invito a mettere in pratica
le sue
fantasie, e aveva deciso di smetterla.
Eppure gli
era sembrata l’unica risposta possibile alle
parole che lei gli aveva fatto trovare e che gli avevano fatto andare
di
traverso il tè.
Aveva
apprezzato parecchio la sua audacia: lei sapeva
benissimo che ciò che aveva scritto poteva metterlo in imbarazzo, o
quantomeno
farlo distrarre, confondere, e aveva deciso di divertirsi e far
avvenire il
tutto in pubblico.
La faccia di
Sturgis, consapevole che stava accadendo
qualcosa ma all’oscuro di tutto, era stata impagabile!
Per questo
aveva risposto a quel modo. L’unica cosa che
aveva avuto per la mente durante tutta quella giornata era stata
l’immagine
delle mani di Mac sulla sua cravatta… lasciandogliela sulla scrivania,
era
certo che quell’immagine che lo aveva tormentato per ore si sarebbe
trasformata
in realtà: la cravatta sarebbe stata nelle sue mani.
Se lei si
fosse davvero arrabbiata, si sarebbe aspettato
che il giorno successivo piombasse nel suo ufficio come una furia,
restituendogliela e chiedendogli spiegazioni.
Invece nulla.
Per tre
giorni però gli erano arrivati continui possibili
“porta-messaggi” da parte di Mac: il dossier del caso Grant era passato
nelle
loro mani, per i motivi più svariati – un appunto da leggere, una firma
da
apporre, una trascrizione da correggere…- almeno una decina di volte e
ogni
volta lei chiedeva che le fosse riconsegnato subito dopo. Tiner, che
aveva
fatto da “taxi” al fascicolo, ad un certo punto aveva persino
commentato:
“Certo che
questo caso deve essere davvero importante, Comandante!”.
Poi c’erano
stati il sacchetto con i panini – Mac, ogni
giorno, si era premurata di chiedergli se voleva il pranzo e gli aveva
portato
dei sandwich dal bar all’angolo- e la tazza di tè al mattino e al
pomeriggio,
tanto che lui aveva iniziato ad immaginare che lei avrebbe potuto
mettere un
biglietto persino dentro la tazza, ovviamente senza tè; la busta per
raccogliere i soldi che, come ad ogni Natale, il Jag devolveva in
beneficenza
ai bambini dell’ospedale e il sacchetto contenente il regalo che
avevano deciso
di fare assieme per il piccolo AJ…
Insomma, un
via-vai di possibili “porta-messaggi”. Tutti
assolutamente privi di qualunque foglietto azzurro o anche di altro
colore.
A quel punto,
ormai, era rassegnato che il “gioco” fosse
finito.
Mac, con
quell’andirivieni, si era probabilmente divertita
e si era presa la sua piccola “vendetta”. E lui aveva perso l’unica
occasione
per dare una svolta alla loro storia.
Il suono del
campanello lo sorprese a crogiolarsi
nell’autocommiserazione.
Si alzò e
andò ad aprire: alla porta c’era Jennifer.
“Ciao Jen…
qualche problema? Mattie sta bene?”
“Certo,
Comandante. Stasera dorme da Barbara, ricorda?”
“Oh, sì,
certo. Cosa posso fare per te?”
“Nulla… sono
solo passata a darle questo… “ e gli porse un
pacchetto, lungo e sottile.
“Cos’è?”
“Non lo so,
signore. Credo sia un regalo… stavo entrando
nel portone, quando un fattorino mi ha domandato se conoscevo un certo
Harmon
Rabb… così ho ritirato io il pacco.”
“Grazie Jen”
“E’ strano…
la confezione è identica a quella in cui
vengono solitamente avvolte le cravatte…”
“Cravatte?”,
la interruppe lui, col cuore al galoppo.
“Sì… ma… è troppo
leggero per contenerne una. Pare vuoto…”.
“Ok, vedrò di
cosa si tratta… magari è semplicemente uno
scherzo… Grazie ancora, Jen” disse, congedandola.
Lei lo guardò
un po’ sorpresa, ma alla fine probabilmente
decise che era sufficientemente grande e grosso per aprire un
pacchetto, quasi
certamente vuoto, senza il suo aiuto.
“Di nulla,
signore” e così dicendo si voltò per entrare
nell’appartamento che condivideva con Mattie.
Chiusa la
porta, vi si appoggiò contro e aprì rapidamente
la busta lunga e sottile; non riuscendo ad infilarci una mano, la
capovolse e
cominciò a scuoterla.
Come aveva
ipotizzato Jennifer, non conteneva nulla.
O meglio, non
conteneva una cravatta, come teoricamente
avrebbe dovuto; tuttavia conteneva qualcosa per lui molto più
interessante: un
foglietto azzurro, ripiegato su se stesso.
Staccarmi
dalle tue labbra e perdermi nel tuo sguardo.
Osservare
poi le mie mani, che si muovono dotate di volontà propria, scivolare
sulle tue
spalle e scendere ad accarezzare, attraverso il tessuto della giacca
blu, il
punto esatto in cui ti batte il cuore.
Vederle
sfiorare le ali d’oro che brillano fiere sul tuo petto e che mi hanno
incantato
fin dal primo momento… quelle ali fanno così parte di te che non riesco
neppure
ad immaginarti senza, nonostante il respiro mi si fermi ogni
volta che sei
in volo.
Guardarle
proseguire verso i bottoni dorati, aprire il primo… e all'improvviso,
mentre le
mie labbra ricercano dolcemente le tue, sentire le tue mani sulle mie
che mi
aiutano a liberarti della giacca…
Lesse con
avidità, immaginando la scena nei
minimi dettagli, esattamente come lei
l’aveva così abilmente descritta… riusciva persino a sentire su di sé
le sue
mani che lo toccavano, che armeggiavano con i bottoni della sua giacca
per
levargliela… ed esattamente come lei aveva immaginato, sentiva il
bisogno
prepotente di aiutarla a spogliarlo, mentre si stavano nuovamente
baciando…
Se Mac voleva
farlo impazzire, ci stava riuscendo.
Quando aveva
letto l’altro biglietto con l’inizio del suo
sogno si trovava in ufficio; ciò che vi era scritto l’aveva intrigato
molto, ma
non aveva potuto lasciarsi troppo andare alle immagini suggerite dalle
sue
parole.
In quel
momento, invece, era solo; poteva permettersi di
abbandonarsi alle sensazioni che la fantasia di Mac gli risvegliava
dentro e
viverle a sua volta con la sensibilità di un uomo innamorato.
Sì, perché
lui era innamorato… e la voleva, la desiderava
disperatamente.
Quel “gioco”
doveva per forza condurre a qualcosa.
In quegli
anni erano stati dapprima colleghi, poi amici;
ora era giunto il momento che la loro relazione prendesse in
considerazione
unicamente la loro essenza di uomo e di donna.
Doveva
riuscire a far capire a Mac che era pronto ad
avverare le sue fantasie, perché i sogni e i desideri di Mac altro non erano che i suoi
stessi sogni e
desideri.
Ma come?
Rilesse per
l’ennesima volta le sue parole: “… quelle ali
fanno così parte di te che non riesco neppure ad immaginarti senza…”
Le ali d’oro…
Nella sua
fantasia Mac descriveva una seducente scena in
cui iniziava a togliergli la giacca della divisa e, con la giacca, gli
toglieva
anche le ali d’oro, che per lei rappresentavano idealmente ciò che lo
identificava ai suoi occhi: il pilota, l’ufficiale di Marina… Era sotto
l’uniforme, sotto il distintivo, che vi era l’uomo che lei voleva amare.
Nell’immagine
rievocata dalla sua fantasia, Mac aveva il
controllo della situazione fino al momento in cui “sente” le sue mani
che
l’aiutano… Mac voleva l’uomo, non il collega o l’amico; ma l’uomo che
desiderava, doveva a sua volta essere pronto a spogliarsi di ogni altro
suo
strato, e lasciarsi amare per ciò che era: semplicemente un uomo.
Ebbene lui le
avrebbe dato ciò che desiderava: in risposta
al suo messaggio le avrebbe fatto trovare le sue ali d’oro, a
simboleggiare che
era più che pronto ad amarla libero degli stereotipi che quel
distintivo
rappresentava – il soldato, l’avvocato, il pilota – ed essere
unicamente se
stesso.
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Capitolo 10 *** 22 Dicembre ***
Appartamento
di
Mac
L’ennesima
interminabile giornata di lavoro era finalmente
conclusa. L’Ammiraglio stava veramente approfittando della sua
disponibilità e
lei, come capo dello staff, non sapeva tirarsi indietro. Ma erano già
tre sere
che non riusciva a rientrare a casa ad un’ora decente.
Lasciò le
buste del supermercato sul tavolo e si diresse
in camera per mettersi in abiti più comodi. Non appena entrata, il suo
sguardo
fu catturato da quelle ali d’oro che luccicavano sul suo comodino. Le
prese in
mano ripensando ai giorni precedenti: dopo che aveva trovato la
cravatta aveva
riflettuto un paio di giorni sul da farsi. Continuare nel “gioco”
significava
palesare le proprie intenzioni, senza ripensamenti e senza indecisioni
future.
Così aveva aspettato un paio di giorni a rispondere a quell’ardita
mossa del
Comandante e non poteva nascondere che si era divertita a vedere Harm
cercare
bigliettini nei posti più disparati: mancava poco che lo cercasse anche
tra le
foglie d’insalata del suo panino! Decise che era arrivato il momento di
rischiare il tutto per tutto, ormai si era esposta troppo per tirarsi
indietro.
L’idea di utilizzare un portacravatte era arrivata all’improvviso:
avrebbe
voluto una telecamera installata nell’appartamento di Harm per vedere
la sua
reazione!
Per tutta la
giornata era stata in tensione: non sapeva
come avrebbe reagito Harm e temeva di aver tirato troppo la corda. Ma
alla fine
aveva avuto proprio da lui la conferma che la decisione di proseguire
nel
“gioco” era stata la decisione giusta. Lo aveva capito subito quando,
uscendo
dall’ufficio la sera precedente, aveva trovato nella tasca del suo
giubbotto,
le sue ali d’oro. Sperava di non aver interpretato male quel gesto, ma
nel suo
cuore sapeva che Harm avrebbe ceduto simbolicamente le sue ali solo se
avesse
abbattuto del tutto i suoi blocchi, e solo se fosse stato certo dei
suoi
sentimenti.
Strinse
istintivamente quel distintivo tra le mani,
pregando interiormente che la buona sorte o chi per essa, riportasse
Harm sano
e salvo a casa. Proprio quel pomeriggio era partito per la Coral
Sea insieme all’Ammiraglio Boone per
una conferenza. Sapeva che non si trovava in pericolo ma saperlo su una
portaerei la rendeva nervosa, per un motivo o per l’altro Harm riusciva
sempre
a convincere i comandanti a fargli fare un giro su qualche F-14. E,
proprio per
questo, il suo cuore aveva smesso di battere il momento stesso in cui
le porte
dell’ascensore si erano chiuse dietro di lui.
E, a dire la
verità, la sua tensione era amplificata anche
di recenti avvenimenti: non erano ancora riusciti a trovare un momento
per
parlare seriamente prima della sua partenza e da ben due giorni non
aveva ricevuto
nessuna risposta al biglietto che gli aveva recapitato dopo che lui le
aveva
fatto trovare le sue ali d’oro. Probabilmente era la sua vendetta per
averlo
fatto morire nell’attesa dopo la sua mossa della cravatta e,
soprattutto, per
avergli fatto fare la figura dello “scemo” nel cercare una possibile
risposta
ovunque. O forse lo sperava. Il fatto che lui volesse interrompere quel
“gioco”
era un’ipotesi ben peggiore. E ancora di più dopo la sua recente
intraprendenza: nonostante Harm non le avesse risposto in nessun modo,
aveva
deciso di portare in fondo la sua fantasia, senza pensare alle
conseguenze,
rischiando pure che Harm non volesse effettivamente saperne di quel
cambio di
rapporto che da un mese aleggiava nell’aria. E così, preso il coraggio
a due
mani, aveva messo nero su bianco la fine di quella fantasia e, non
vista, era
riuscita ad infilare quel foglio nel borsone di Harm. Certamente quella
sera
nella sua cabina della Coral Sea, la temperatura si sarebbe
surriscaldata
nonostante il clima Dicembrino.
Lo squillo
alla porta interruppe il flusso dei suoi
pensieri. Lasciò le ali sul comodino e andò ad aprire.
“Signora
Sullivan, buonasera” sorrise alla sua anziana e
gentile vicina di casa.
“Sei tornata
finalmente Sarah, son passata varie volte a cercarti
questo pomeriggio…” le rispose quasi con tono di rimprovero per la
frenetica
vita che ultimamente stava conducendo.
“Mi dica,
posso aiutarla?”
“No, tutto
bene grazie cara. Volevo solo consegnarti
questo pacco che è arrivato questa mattina per te. Il ragazzo delle
consegne mi
ha vista entrare qui accanto e mi ha chiesto se potevo ritirarlo io per
te”
disse porgendole un grande pacco avvolto nella solita carta da
spedizioni.
“La ringrazio
tanto Signora Sullivan” rispose afferrando
incuriosita il pacco e congedandosi dall’anziana signora.
Era
sicuramente il regalo che Chloe le aveva spedito per
Natale. Qualche giorno prima la sua sorellina le aveva preannunciato
che le
avrebbe inviato il regalo via posta dato che non riusciva a andare a
trovarla
prima di Natale a causa della scuola. Era diventata veramente una
ragazzina
diligente e ne era veramente fiera.
Tolse la
carta da pacchi e si trovò davanti ad una scatola
completamente nera.
Aprì il
coperchio e il cuore iniziò a batterle
all’impazzata quando una ben nota camicia bianca apparve davanti a lei.
Ma
soprattutto quando fu avvolta da un inconfondibile odore, il SUO.
Prese la
camicia tra le mani e l’avvicinò al suo naso per
poterlo sentire ancora più intensamente. E le parole che gli aveva
fatto
trovare il giorno prima sulla sua scrivania le tornarono subito alla
memoria
Sfiorarti
il collo con le labbra… Il tuo profumo, un misto di colonia ed essenza
di uomo,
mi inebria dolcemente.
Raggiungere
con le mani i bottoni della tua camicia e scoprire, poco alla volta, la
pelle
morbida e calda sottostante.
Lentamente
l’indumento scivola dalle tue spalle, lungo le braccia, fino a terra….
Fermarmi
ad ammirarti, lasciandomi incantare dalla tua bellezza.
Tu,
deciso, ti avvicini per sussurrarmi: “Ti piace quello che vedi,
Marine?”.
Rispondere
alla tua domanda non con le parole, ma con le mie mani, che riprendono
ad
esplorare il tuo corpo, mentre il desiderio mi travolge completamente.
Osservò
nuovamente la camicia che teneva tra le mani,
pensando che per quella sera avrebbe sicuramente preso il posto del suo
pigiama, quando una busta rossa sotto la camicia attirò la sua
attenzione.
Col cuore in
gola l’aprì.
Natale
si
avvicina: tempo di desideri, tempo di regali.
Ti
immagino vestita in rosso (molto poco vestita, a dire il vero) venirmi
incontro
con un sorriso dolce e invitante sulle labbra...
Ti
ho mai
detto che adoro quei buffi berretti da Babbo Natale?
Un
dono
perfetto.
Tutto
ciò
che vorrei per Natale… sei tu.
Coral Sea –
cabina del Comandante Rabb
L’ennesima
interminabile giornata stava finalmente
volgendo al termine; dopo il viaggio in aereo per raggiungere la Coral
Sea, che
si trovava nell’Atlantico, c’era stato l’incontro col comandante ed
infine
quello col Capo Squadra Aerea, per definire gli interventi suoi e
dell’Ammiraglio Boone alla conferenza, che si sarebbe svolta l’indomani
e nella
mattinata della vigilia di Natale.
Il CAG doveva
avere qualcosa contro di lui, oppure doveva
stargli particolarmente antipatico, perché era stato decisamente freddo
e
scortese, a differenza di come invece aveva trattato l’Ammiraglio. E
con
credeva proprio che si trattasse di un caso di eccessivo rispetto per i
gradi…
Oh, al
diavolo anche il CAG della Coral Sea! In fondo
doveva starci solo due giorni… e avrebbe avuto ben poco a che fare con
quell’uomo.
Inoltre i
suoi pensieri, in quel momento, stavano
prendendo direzioni ben diverse e per la prima volta, da quando volava,
non
stava pensando a come trovare il modo di farsi un giro su un F-14…
La sua mente
era a Washington, ad immaginare l’espressione
di Mac nel momento in cui avrebbe ricevuto e aperto il pacco che le
aveva fatto
recapitare a casa quel mattino.
In ufficio,
prima di partire, le aveva consegnato quello
che aveva definito “il suo regalo di Natale”; lei lo aveva preso e
stava per
scartarlo, quando lui l’aveva bloccata.
“Non aspetti
nemmeno la vigilia?”.
“Ok,
aspetterò…”
Era sembrata
delusa: probabilmente si aspettava un
qualcosa in risposta al loro “gioco”… non sapeva ancora cosa
l’attendeva al suo
rientro a casa.
Con un
sorriso, ripensò alle parole scritte nel biglietto
rosso che aveva messo nella scatola della camicia… Chissà cos’avrebbe
pensato
Mac, nel leggerlo!
Diede una
rapida occhiata all’orologio e vide che era
quasi l’ora di cena, ma prima di raggiungere l’Ammiraglio decise di
aprire la
sacca da viaggio e sistemare i pochi effetti personali che si era
portato
dietro... quando sarebbe tornato in cabina per la notte, avrebbe avuto
solo
voglia di stendersi e leggere qualche pagina del libro che stava per
finire...
sempre che l’immagine di Mac in una succinta tenuta natalizia gli
permettesse
di concentrarsi sulle parole!
Era immerso
in questi pensieri, mentre apriva la cerniera
della sacca per svuotarla; prese in mano e tirò fuori il cambio di
biancheria e
con esso uscì anche una piccola busta rossa, che non ricordava d’aver
messo
nella borsa.
Sorpreso ed
incuriosito la recuperò da terra, dov’era
finita uscendo dalla sacca, l’aprì e lesse il biglietto che conteneva.
Dalla
sera in cui ti ho trovato al bar, ubriaco, immerso in una nuvola di
fumo blu,
non faccio che immaginarti vestito solamente di un sigaro…
Se
avessi
la possibilità di chiedere un regalo per questo Natale, non avrei
dubbi:
l’unico dono che vorrei sei tu.
Tu,
pronto a concedermi e a ricevere quell’amore che oramai da anni
nascondiamo
perfino a noi stessi.
E
quest’anno, per Natale, vorrei… tutto.
Mac… era un
messaggio di Mac.
Sorrise. Non
se l’aspettava proprio! A quanto pareva,
avevano avuto entrambi la medesima idea… e si poteva dire “in tutti i
sensi!”,
compreso il colore del biglietto.
Per la prima
volta, da quando volava, non aveva nessuna
voglia di essere su una portaerei in mare aperto, ma desiderava
trovarsi sulla
terra ferma, in un appartamento ben preciso, tra le braccia di una
donna bellissima…
Non vedeva
l’ora di tornare a casa per Natale.
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Capitolo 11 *** 24 Dicembre ***
Casa
Roberts
Ansiosa.
Tormentata. Agitata.
Stressata…
Da quando
Tiner le aveva comunicato che Harm era su un
F-14, la giornata (già di per sé stressante tra parti e visite
inaspettate) era
diventata un incubo. Anche quella volta, non si sa come, era riuscito
ad
infilarsi nell’abitacolo di un Tomcat e adesso stava sorvolando
l’Oceano.
Sperava solo che non dovesse farci nuovamente un tuffo.
Quella
mattina si era alzata radiosa, allegra, raggiante:
per la prima volta nella sua vita, il Natale si prospettava felice.
Quella
sera, a casa Roberts, avrebbe rivisto Harm e, dopo quello scambio di
fantasie
che c’era stato tra loro, sperava che il dopo cena sarebbe stato
altrettanto
gradevole. Per questo, prima di vestirsi dopo un rilassante bagno,
aveva
passato almeno una mezz’ora davanti al suo cassetto di biancheria
intima.
Victoria’s Secret aveva guadagnato una fortuna con lei! Nero o rosso?
Il primo
era sempre il suo preferito e sperava che lo sarebbe stato anche per un
certo
Comandante; il secondo… beh, il secondo era un chiaro riferimento al
biglietto
che era sul suo comodino accanto alle ali d’oro. Alla fine decise che
il non
dare per scontato niente fosse la tattica migliore, del resto ancora
non sapeva
le reali intenzioni di Harm. Optò quindi per un elegante (ma molto
sexy, per
ogni evenienza) nero.
E adesso si
trovava nel soggiorno di casa Roberts, a
cercare di condividere con gli altri ospiti lo spirito Natalizio. Ma,
per
quanto si sforzasse, il pensiero di Harm in volo non la lasciava
neanche un
minuto. E quando si rese conto di aver controllato la porta d’ingresso
ben tre
volte nell’ultimo minuto, capì che stava per impazzire. A quell’ora
doveva già
essere atterrato, perché non si era fatto sentire? I cori di Natale in
sottofondo la risvegliarono da quello stato di trance: Meredith si era
messa al
pianoforte e gli invitati la stavano seguendo. Erano tutti talmente
impegnati
che nessuno si sarebbe reso conto della sua assenza. Prese il cellulare
e
compose speranzosa il numero di casa di Harm. Speranza che svanì non
appena
sentì la segreteria telefonica risponderle.
“Ehi non ci
sei ancora eh? Noi siamo tutti da Bud… manchi
solo tu… Ma non siamo ancora a tavola, mi auguro… che arrivi qui in
tempo.
Spero non ci siano problemi…”
Perché non
riusciva a far tacere quella vocina nella sua
testa che le faceva sempre aspettare il peggio dalla vita? Perché il
suo
spirito pessimista doveva sempre influenzarla in tutto? Perché non
riusciva
solo a tenere a bada i suoi nervi fino a godersi a pieno il momento in
cui Harm
avrebbe varcato la soglia di casa, col solito strafottente sorriso di
colui che
fa sembrare un volo su Tomcat una passeggiata nel parco? Era follemente
innamorata di lui, ecco il motivo. Innamorata del pilota,
dell’avvocato, del
maniaco della precisione, del collega, dell’amico… di Harm.
Il flusso di
pensieri fu interrotto dalla voce di Harriet
che la chiamava per la cena.
Si sedette,
dando un triste e preoccupato sguardo al posto
vuoto di fronte a lei mentre Bud si era alzato e stava iniziando, con
grandi
difficoltà, il suo discorso. Era veramente un uomo eccezionale. Non era
da
tutti essersi rialzato a testa alta dopo tutto ciò che gli era successo
in
quell’anno.
All’improvviso
il rumore della porta attirò la sua
attenzione facendola voltare immediatamente ad ammirare la grande
figura di
Harm fare il suo ingresso in casa. Non riuscì a trattenere un sorriso e
un
sospiro di sollievo nel vederlo sano e salvo nella sua perfetta divisa
blu (che
se la fosse messa apposta?). Iniziò a squadrarlo da capo a piedi, quasi
spinta
dalla necessità di accertarsi che fosse tutto intero, quando un
particolare
attirò la sua attenzione: sulla giacca blu mancava quel distintivo che
amava ed
odiava al tempo stesso. Dove erano finite le sue lucenti ali d’oro? Con
un
gesto silenzioso cercò di colmare la sua curiosità ma Harm diede a Bud
il
permesso di continuare quel discorso che il suo arrivo aveva
interrotto,
rimandando a dopo le spiegazioni. Si sedette davanti a lei e lo sguardo
e il
sorriso che le rivolse la isolarono da tutto il resto del mondo: un
misto tra
complicità, consapevolezza e dolcezza che le fece rimpiangere il non
aver
organizzato una vigilia di Natale solo per loro due. Si erano esposti
l’un l’altra
ed entrambi ne erano consapevoli. Inoltre erano entrambi pronti ad
assumersi le
conseguenze delle proprie affermazioni.
Il loro
sorriso, occhi negli occhi, durante il brindisi ne
fu la conferma.
La cena passò
tranquilla e in perfetta armonia natalizia,
a parte per i pensieri di Mac che di natalizio avevano ben poco. Ma di
certo
Harm non l’aveva aiutata: ogni occasione era buona per passarle
qualcosa e
indugiare nel contatto tra le loro mani ed ogni volta che si distraeva
in un’altra
conversazione, era impossibile per lei non sentire il suo sguardo
infiammarla.
“Hai bisogno
di un passaggio Mac?” le chiese a fine
serata, avvicinandosi dietro di lei, mentre era assorta a guardare la
nevicata
che il cielo di Washington stava regalando. Si voltò e si perse nel suo
sguardo
ancora una volta.
“Ti
ringrazio, sono venuta con la mia macchina” rispose,
intuendo un certo dispiacere sul suo volto.
Gli occhi di
Mac iniziarono inconsapevolmente a vagare
sulla figura del bel Comandante che stava di fronte a lei, quasi
ripercorrendo
ad una ad una le fantasie che in quei giorni l’avevano tormentata: i
suoi
occhi, le sue labbra, la sua cravatta, le sue…
“Adesso puoi
dirmi che fine hanno fatto le tue ali d’oro?”
chiese risvegliandosi dal sogno ad occhi aperti.
“Ah, sì
certo. Le ho regalate ad un giovane tenente che ho
trovato al muro…” disse sorridendo senza dare troppe spiegazioni.
“Regala ali
d’oro così facilmente, Comandante?” chiese con
un malizioso sorriso sulle labbra.
Lo vide
abbassarsi verso di lei e il cuore iniziò ad
esploderle nel petto. Avvicinò le sue labbra al suo orecchio “Solo alle
persone
speciali che lo meritano” le sussurrò prima di allontanarsi a salutare
tutti.
Non appena si
fu ripresa dal momentaneo black-out che la
sua vicinanza le aveva procurato, lo seguì nel giro di saluti prima di
incamminarsi con lui verso le rispettive auto.
“Che fai
domani? Qualche progetto particolare per il
giorno di Natale?” chiese timidamente, con la forte speranza di
trovarlo libero
da impegni.
“No, niente
di particolare. Mia mamma ha deciso di andare
alle Bahamas con Frank…”
“Beh, se
vuoi, puoi venire da me… se ti va… ci prendiamo
una tazza di tè… o ci guardiamo un film… e poi hai ancora un regalo
sotto il
mio albero che ti aspetta no?” disse, felice di aver trovato una scusa
plausibile per invitarlo a casa sua senza passare troppo da sfacciata.
Beh…
dopo ciò che gli aveva scritto, quale reputazione stava ancora cercando
di
difendere?
“Mi farebbe
molto piacere Mac” le rispose prima di
fermarsi davanti alla sua macchina.
“Bene…
allora… a domani” disse sempre più in difficoltà ed
imbarazzata come una quindicenne al primo appuntamento.
“Buon Natale
Sarah” sussurrò prima di posare delicatamente
le labbra sulle sue. Fu un bacio leggero, dolce, innocente, quasi come
quello
che si erano scambiati l’anno precedente sotto al vischio. Ma, a
differenza di
quello, nascondeva un carico di emozioni ed aspettative di cui entrambi
erano
felicemente consapevoli
“Buon Natale
anche a te Harm”.
|
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Capitolo 12 *** 25 Dicembre ***
Appartamento
di
Mac
Era entrato
nello stabile senza suonare; un signore stava
uscendo e lui ne aveva immediatamente approfittato. E adesso era lì, in
piedi
davanti alla porta dell’appartamento di Mac, che esitava a farsi
aprire.
Da un lato
non vedeva l’ora di entrare, dall’altro temeva
un po’ il momento in cui sarebbe stato solo con lei. Temeva soprattutto
l’idea
che lei potesse non essere decisa come gli era sembrata nel loro
“gioco”. E
forse lo imbarazzava anche il pensiero di quello scambio di fantasie
che aveva
reso speciale e piena di aspettative l’attesa del Natale: in fondo non
era da
loro esporsi tanto. Non rientravano affatto, nello stile di nessuno dei
due,
quei biglietti segreti, appassionati ed eccitanti che, iniziati per
errore e
proseguiti per “gioco”, erano diventati in seguito lo strumento per
dichiararsi
la reciproca attrazione nonché il loro amore.
Eppure
c’erano stati. E nessuno dei due poteva più tornare
indietro.
Quando, la
notte prima, Mac lo aveva invitato a
raggiungerla per trascorrere assieme il Natale, si era sentito
assurdamente
felice: stava pensando al modo per stare con lei e aver saputo di non
avere
neppure la scusa di accompagnarla a casa non gli stava facilitando
l’impresa;
l’invito di Mac aveva risolto il problema, anche se non subito come
sperava. In
quel momento era decisissimo a far sì che le fantasie con cui avevano
“giocato”
si trasformassero in realtà.
Perché,
allora, solo poche ore dopo, esitava davanti alla
porta del suo appartamento?
Osservò la
scatola che teneva in mano, avvolta da una
carta rossa luccicante, e sorrise, immaginando l’espressione di Mac… e
se non
avesse colto l’allusione?
Mmh…
impossibile. Aveva recepito alla perfezione tutti gli
altri messaggi “nascosti” che le aveva trasmesso con la cravatta, le
ali d’oro
e la camicia, altrimenti era certo che non avrebbe proseguito con il
loro
scambio segreto… era impossibile che non cogliesse immediatamente
l’allusione.
Quindi
inutile attribuire a quello la sua esitazione.
Forse si
trattava della sua eterna paura ad impegnarsi?
No, neppure
quello. Non l’avrebbe provocata con quel
gioco, se fosse stato ancora insicuro dei suoi sentimenti e,
soprattutto, della
propria volontà d’impegnarsi anima e corpo.
Allora di
cosa si trattava?
Forse,
semplicemente, della paura di un cambiamento. Un
cambiamento che desiderava con tutto
sé
stesso, ma che al tempo stesso temeva.
L’amicizia
con Mac era un qualcosa di estremamente
prezioso; perderla sarebbe stato insopportabile… Ma al tempo stesso non
gli
bastava più.
Quindi non
gli restava altro che suonare quel campanello.
Fece un
respiro profondo e si buttò.
***
Si mise in
testa il cappello di Babbo Natale che Chloe
aveva lasciato da lei l’anno precedente (beata smemorataggine degli
adolescenti) e si guardò allo specchio. La sexosissima e cortissima
sottoveste rossa
le stava obiettivamente bene. Ultimamente aveva anche ricominciato ad
allenarsi
con una certa regolarità e i frutti si vedevano. Sotto indossava un…
un’inezia!
Quello era il termine esatto col quale definirlo: perizoma era fin
troppo
esagerato. Il decolté lucido rosso, con tacco 8 cm,
sarebbe stato il tocco
finale... o forse era meglio restare scalza? Forse a piedi nudi sarebbe
apparsa
meno aggressiva, più naturale… Cappello
di Babbo Natale e un trucco leggerissimo: non aveva certo bisogno di
aggiungere
un rossetto troppo provocante a quella tenuta già da infarto.
Ultimo
sguardo finale, Harm sarebbe stato lì a minuti… Che
stava facendo? Non era da lei avere questo atteggiamento. Aveva sì
indossato
qualcosa di più sexy, una mise più provocante, per qualche occasione
speciale
con i suoi ex in passato, ma questo andava ben oltre. Si stava
praticamente
offrendo come dono di Natale ad Harm… e il suo abbigliamento non dava
adito a
fraintendimenti. Quando gli aveva detto che voleva TUTTO, lo intendeva
nel vero
senso del termine.
E se Harm non
avesse apprezzato tanta sfrontatezza? Se
l’avesse considerata eccessiva, inadeguata, volgare? Cercò con lo
sguardo la
sua tuta da casa, per un attimo pensò di rinunciare, quando il suo
campanello
suonò.
Il cuore
iniziò a batterle come impazzito nel petto, Harm
era lì fuori e fra poco sarebbe entrato… Sfoderando un coraggio che
neanche lei
immaginava avere si avviò verso la porta.
Guardò dallo
spioncino, giusto per accertarsi che fosse
lui: non era certo il caso di farsi trovare in quelle condizioni da
chiunque
altro.
***
Passarono
solo pochi secondi e la porta si aprì.
Nessuno,
tuttavia, apparve sulla soglia. La porta sembrava
essersi aperta da sola.
“Mac?”
domandò, esitante. A quanto pareva lei non aveva
alcuna voglia di rendergli più facile quel momento.
“Entra pure,
Harm”. La sua voce sembrò arrivare da dietro
la porta.
Entrò e si
girò indietro, nello stesso momento in cui lei
si chiudeva l’uscio alle spalle. La guardò e il respiro gli si fermò in
gola:
se in quel momento avesse appena bevuto un sorso di tè, era sicuro che
si
sarebbe strozzato, come già gli era successo, e sempre a causa sua.
“Ciao, Harm…”
lo salutò lei, con un sorriso.
Era inutile:
non ce la faceva proprio a parlare. Non
ancora, per lo meno.
Lei era lì,
di fronte a lui, con indosso poco o nulla: una
cortissima sottoveste in seta rossa e pizzo trasparente, uno di quei
buffi
berretti da Babbo Natale in testa e a piedi nudi.
Niente altro.
Non osò
neppure immaginare se, sotto la sottoveste, vi
fosse qualche altro capo di biancheria intima… altrimenti era certo che
la
parola non gli sarebbe più tornata. Si disse che avrebbe atteso il
susseguirsi
degli eventi, con la speranza di scoprirlo più tardi. In fondo un po’
di attesa
non guastava… e poi anche il suo cuore aveva bisogno di una pausa, per
riprendersi. Non doveva scordarsi che non era più un ragazzino, ma
quasi un
quarantenne!
***
In
quell’istante avrebbe voluto avere una macchina
fotografica per immortalare la faccia di Harm. I suoi occhi blu si
sgranarono a
quella sontuosa vista e la sua bocca si aprì involontariamente.
Sorrise, quasi
imbarazzata dalla sua reazione. “Ciao, Harm…”.
Si risvegliò
al suono della sua voce e per la prima volta
da quando l’aveva vista la guardò negli occhi, ma non disse nulla. Mac
rabbrividì quando vide la luce in quegli occhi azzurri cambiare: da una
chiara
espressione di stupore e meraviglia, lo sguardo si trasformò in puro e
chiaro
desiderio.
Continuò a
scrutarla nei minimi dettagli per lunghissimi secondi
e Mac sentiva il suo caldo sguardo su di sé. Nessun uomo, per quanto
apprezzasse la sua bellezza, l’aveva mai guardata così. Si era sentita
addosso
sguardi desiderosi, famelici, ingordi. Ma quello di Harm aveva qualcosa
di
diverso: sebbene il suo desiderio fosse ben avvertibile, il suo sguardo
nascondeva un che di venerazione, rispetto e ammirazione che nessun
altro uomo
aveva mai dimostrato. Ma lui non era un uomo qualsiasi. E quello che
provava
per lei non era solo desiderio fisico, era qualcosa di più. Del resto è
quello
che provava anche lei.
Quel silenzio
magico la fece però sentire in imbarazzo.
Era praticamente nuda e concessa ad un uomo completamente vestito che
la stava
praticamente amando con gli occhi.
***
Deglutì e
finalmente riuscì a spiccicare un “Ciao…”.
Poi,
ripresosi dalla sorpresa, quasi avesse avuto
un’illuminazione, ecco che la sua mente formulò un pensiero: “Ha letto
attentamente il mio ultimo messaggio”; a quel punto sorrise e si
rilassò,
sentendo che tutti i timori che lo avevano trattenuto davanti alla sua
porta
miracolosamente svanivano.
“Perché non
ti togli il cappotto?”
Eseguì
rapidamente, posandolo sulla sedia accanto
all’ingresso e voltandosi, di nuovo, immediatamente verso di lei. Ora
era lui
quello curioso della sua reazione.
Vide la
sorpresa anche nei suoi occhi, quando Mac realizzò
che aveva indossato l’uniforme blu per trascorrere un pomeriggio a
vedere un
film in casa. Quindi anche lei sorrise e gli si avvicinò, con passo
lento e
languido… lui sentì il battito del suo cuore accelerare rapidamente,
mentre Mac
allungava la mano per afferrargli la cravatta e attirarlo verso di sé.
Il bacio
iniziò esitante, le labbra calde di lei sulle
sue, ancora fredde dalla temperatura esterna. Poi lui la strinse,
passandole le
braccia attorno alla vita sottile e Mac, d’istinto, sollevò una mano e
gliela
mise attorno al collo, accarezzandolo dolcemente alla base della nuca…
e il
bacio si approfondì. Harm la sollevò quasi, stringendola ancora di più
tra le
braccia.
Fu lei a
staccarsi per prima, per respirare.
“Ehi,
marinaio… mi togli il fiato“.
Lui le
sorrise:
“Tu mi togli
il respiro… Sei bellissima”.
“Avevi detto
che andavi pazzo per i berretti da Babbo
Natale…”
“Infatti”.
“Anche a me
piace molto il tuo abbigliamento”.
“L’ho notato.
Ma…” e la lasciò andare, per voltarsi verso
la sedia dove aveva lasciato il cappotto. Sorrise al brontolio di
disapprovazione che sentì alle sue spalle.
“… un
momento, ecco… “disse, porgendole il pacchetto
avvolto in carta rossa che aveva portato con sé “… potresti trovarlo
ancora più
interessante…”.
Lei lo guardò
per un attimo senza comprendere, prima di
prendere la piccola scatola che lui le porgeva.
“Mi avevi già
dato il tuo regalo…”.
“Una piccola
aggiunta… perché non lo apri?”
“Io non ti ho
ancora dato il mio…” disse, indecisa se
aprirlo subito o attendere.
“Coraggio,
Mac… non morde. E il tuo me lo darai… dopo”.
Finalmente si
decise e scartò la confezione; poi aprì la
piccola scatola. Quando vide il contenuto, sorrise e lo guardò con
un’espressione birichina, che la rendeva ancora più adorabile e più
sexy.
“Mhm… hai
idee interessanti, per il pomeriggio!”.
“Anch’io ho
letto con attenzione il tuo ultimo biglietto”.
“Già, lo
vedo. Ma non credi d’aver esagerato?”
“Dici? Io
credevo d’esser stato semplicemente
previdente!”.
“Previdente,
eh?”
“Certo. Dopo
aver letto le fantasie di un certo Colonnello
dei Marine, ho deciso di farmi trovare… preparato.”.
“Capisco…
allora…” e così dicendo raggiunse il divano e si
mise comoda, allungando le gambe e appoggiandosi a dei cuscini; poi
prese dalla
scatola che lui le aveva regalato uno dei dieci sigari che conteneva e
glielo
lanciò.
“Ebbene,
Comandante… “disse con un sorriso provocante “…
cosa aspetta a dare il via allo spettacolo?”.
Lui lo
afferrò al volo, sorrise e, lentamente, iniziò a
togliersi la giacca.
“Buon Natale,
Mac…”.
Fine
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