The crew

di elenri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo primo ***
Capitolo 3: *** capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventiduesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitreesimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiquattresimo ***
Capitolo 26: *** capitolo venticinquesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiseiesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventisettesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventottesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventinovesimo ***
Capitolo 31: *** extra: visita guidata ai miei banner AGGIORNAMENTO ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentesimo ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentunesimo ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaduesimo ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentatreesimo ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentaquattresimo ***



Capitolo 1
*** prologo ***




Ciao a tutte,
questo mio esperimento è frutto della carica che mi hanno dato le vostre storie.
Mi sto riferendo a tutte quelle autrici che mi hanno allietato, ispirato, commosso e divertito, in questo anno di lettura su Efp.
A chi si approcciasse dopo il 16 aprile 2013 vorrei far sapere che ho in corso una leggera revisione dei primi capitoli, (sia per quanto riguarda il testo che lo stile editoriale), per adeguarli a quelli più recenti. Quindi ringrazio da subito la cara Mikkiko78 che mi ha aiutato ad acquisire padronanza con l'editor, IsaMarie, Gaccia, Medeia per i preziosi suggerimenti.

Giova71, Perrypotter, Moon1977, Nihal93, DarkViolet92, Simo72, Piccolaluce, per essere state costanti nel dialogo con me.
Spero proprio che il risultato non vi faccia venir voglia di cambiate sito...
Aspetto i vostri commenti,
Teresa



Prologo

 

(Base NASA,Cape Canaveral Florida, duecentottanta giorni alla partenza)

 

« Comandante? Comandante Swan?... »

Sto camminando a passo spedito per il lungo corridoio illuminato da lampade al neon, concentrata sui problemi che mi assillano la mente.

Quindi mi accorgo, a malapena, del ticchettare di rapidi passi che mi rincorrono.     

«Comandante Swan?»

Mi fermo, finalmente e mi giro, aspettando con espressione scocciata il Tenente Weber della Divisione Logistica, che involontariamente rallenta intimidita, sotto il peso del mio sguardo.

Non sono ancora abituata  ad essere il capo qui, così la consapevolezza della responsabilità che ne consegue, mi opprime.

So che il tempo è quasi al termine, il countdown per la partenza è iniziato ed io non ho ancora scelto il mio equipaggio.

Accidenti, come se avessi solo quel pensiero in testa!

«Comandante Swan, mi scusi, il Generale Rogers le ricorda che aspetta la lista del suo equipaggio sulla sua scrivania per domani alle cinque».

Ecco appunto!

Sbuffo e sto per andarmene senza rispondere. Chissà dove, invece, trovo quel briciolo  di educazione per accantonare un attimo il malumore.

Volto appena il capo e le rispondo: «Dica al Generale che è già cosa fatta… »,  peccato solo che non sia vero.

 Giro i tacchi e mi allontano senza salutarla.

« Comandante, scusi ancora… il Maggiore Brandon la sta aspettando in laboratorio ». La vocetta acuta della Weber mi insegue con irritante insistenza lungo il corridoio. Alzo, pigramente, una mano come per dirle che ho sentito e mi dirigo verso la destinazione che mi ha suggerito.

«Ciao  Alice. Cosa c’è stavolta di così urgente… sei indecisa sulla tonalità delle tute spaziali?» Ironizzo entrando.

Alice mi guarda seria. « Veramente ti volevo parlare di un nuovo sistema per non far esplodere il combustibile durante il decollo» risponde  alzando  leggermente il mento offesa. « Ma in effetti ci sarebbe ancora qualche dettaglio in sospeso riguardo al vestiario…scegli tu di cosa preferisci  parlare »

Chiudo la porta ridendo e mi dirigo verso di lei, mentre cerco di svuotare la mente con la seria intenzione di prestarle ascolto.

« Ecco, guarda». Mi dice indicando lo schermo del suo pc. « L’ho progettato insieme all’equipe tecnica di Austin: E’ una versione riveduta e corretta di quella istallata sulla sonda Curiosity. Si tratta di un generatore di energia termoelettrica a radioisotopi e ti assicuro che ci farà risparmiare anche sui costi.»

Mi metto diligentemente ad analizzare i suoi algoritmi…

«Come va?» Chiede dopo non so quanto tempo, facendomi trasalire. «So che hai altre cose di cui occuparti, in questo momento, quindi non c’è bisogno che rimani ancora qui. Mike e Tyler sono perfettamente in grado d’aiutarmi» Mi dice con tono comprensivo.

«Bella? Sei tra noi? Guarda che il tuo telefono è in preda ad una crisi epilettica.» 

Mi sveglio dalla trance in cui ero caduta e guardo nella direzione che mi sta indicando con un dito. Lo vedo appoggiato in un lato della scrivania che si contorce, ronzando, in una danza frenetica.

Cavolo. Due chiamate non risposte ed un messaggio della tenace Weber mi ricordano che ho appuntamento con Parker dei Sistemi Elettronici.

Alice mi appoggia una mano sulla spalla con un gesto solidale. «Vedrai che ce la faremo», mi sussurra dolcemente. Prendo un bel respiro, la guardo e mi sento già meglio.

Alice è così, ha sempre intuito il mio umore fin dai tempi della scuola superiore. Già a quell’epoca eravamo sempre insieme, inseparabili. Dove era lei stavo anch’io e viceversa. Molti pensavano che fossimo una coppia e noi , ridendo, li lasciavamo nel  loro errore per toglierci dai piedi i perditempo e poterci dedicare unicamente agli studi.

Mi alzo rimuginando sulle sue parole «Sì, ce la faremo… assolutamente».

Ma sarà veramente così?

Come un tarlo questa domanda mi riporta alla vigilia dei test finali per il passaggio al grado di Comandante di dodici mesi prima…

 

« …Non so se ce la farò….è troppo per me » piagnucolavo.

Ero seduta sulla poltrona di pelle verde posta di fronte alla scrivania del mio Maggiore Istruttore. Con le braccia incrociate sull’addome, la schiena flessa in avanti stavo rannicchiata, come in preda ad un intenso dolore allo stomaco.

«Ce la farai, ce la DEVI fare!» Sentivo il suo sguardo su di me e immaginavo le sue sopracciglia che si congiungevano tra loro creando  quella  fitta rete di rughe che erano solite increspargli la fronte. «Non puoi permettere che un assurdo attacco di panico precluda la tua carriera…Hai sudato tanto per arrivare dove sei.»

« …Ma Signore… » gli avevo balbettato con voce rotta.

« Niente ma, Swan». 

Aveva sbattuto con forza le mani sulla scrivania e facendo leva sulle braccia, si era alzato e proteso verso di me, gli occhi scuri ancorati ai miei.

«Ora vai, completi quel cazzo di test al simulatore…e te ne esci vincente. E’ UN ORDINE! E da domani, sarò io a doverti chiamare SIGNORA »

C’ero riuscita, promossa a pieni voti.

Io contro le mie paure: uno scontro tra titani…

Questo è quanto.
Spero di avervi incuriosito a proseguire la lettura.
Volevo informarvi che le immagini chiaramente montate, sono mie elaborazioni di photoshop, come anche i banner posti ad inizio capitolo. Una gran fatica, vi assicuro!

Un abbraccio.



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Capitolo 2
*** capitolo primo ***





Eccomi, per il primo capitolo. Spero che non vi addormentiate troppo, perchè io sono così: un'esteta e mi piacciono le descrizioni. Vi prometto un po' più di movimento nei prossimi.
Un grosso ringraziamento per le note d'affetto che mi avete lasciato...sono commossa.
Ho cercato di porre rimedio ai problemini che mi erano stati presentati...spero ora vada meglio.
Un bacio a tutte,
Teresa






 

 

Capitolo primo

 

 

Esco dall’edificio che è metà pomeriggio, la luce forte del sole primaverile della Florida mi schiaffeggia il viso. In giornate già afose come quella di oggi vorrei essere ancora nella mia cara Buffalo, così verde e fresca.

 Controllo di aver preso la mia ventiquattrore e togliendo le chiavi della macchina dalla tasca sinistra della giacca, che tengo piegata sul braccio, mi avvio verso il parcheggio del complesso  14 in cui mi trovo.  Cerco con lo sguardo la bella Jeep Wrangler  Freedom  blu notte che la Base mi ha messo a disposizione. La vedo, parcheggiata di fronte a me ad alcune decine di metri sulla destra. L’ammiro, è l’auto giusta per un militare, ma… di classe.

Sarà il colore, o la stella serigrafata sul cofano, che allude alla mia missione, ma la sento mia e sorrido. Salgo, accendo il motore ed esco dal parcheggio lentamente. Imbocco la NASA Causeway East che attraversa, come una lunga lingua d’asfalto, il Banana River, bacino di acque salmastre in cui non è raro scorgere  le inquietanti sagome scure degli alligatori. Imbocco la HW 95 in direzione sud, ancora indecisa se dirigermi verso casa o se andarmene ad Orlando a trascorrere la serata, stuzzicata dal fatto che sarebbero solo sessantacinque miglia.

Alla fine, vinta dal peso della scadenza imminente, supero lo svincolo con la 528 che mi avrebbe portato in città e con un sospiro proseguo verso il quartiere residenziale dove mi sono stati assegnati alcuni alloggi.

Imbocco il viale di palme che traccia la zona in cui sorgono, allineate su una leggera collina, due file di anonime villette in legno. Basse e larghe, sono dipinte in tenui colori pastello, sbiadite ulteriormente dall’azione erosiva della salsedine portata dal vento che soffia persistente dal vicino oceano Atlantico.

Spengo la jeep all’inizio del vialetto carrabile e scendo.  

Guardo verso est, il cielo è di una splendida tonalità turchese, cosparso di nuvole sfilacciate color salmone. E’ il tramonto: l’ora che, nella sua malinconia, preferisco .

Mi volto e mi incammino dalla parte opposta verso l’ingresso di casa.

In questo versante è tutto più quieto: il prato a chiazze rade, la casa, i cespugli di yucca, sono ingrigiti dall’imminente crepuscolo, ma ancora vividi nel riflesso del sole morente.

Estraggo dal mazzo la chiave per aprire la porta a vetri intagliata. M volto, di nuovo,  stupita dall’esplosione di rossi e arancioni che, nel cielo, si sono fagocitati crudelmente ogni traccia d’azzurro.

Lascio a malincuore questo spettacolo della natura ed entro.

Accendo la luce , appendo la giacca ad un gancio dell’ingresso, metto le chiavi nel portaoggetti  a forma di conchiglia, in trasparente alabastro, che si trova sulla console sotto il grande specchio dalla cornice dorata.

Cerco nella tasca destra della giacca il cellulare e spedisco un veloce sms ad Alice.

 

Torni per cena?

 

La sua risposta arriva quasi prima che abbia spedito il messaggio. Ciò conferma la mia ipotesi che  Alice abbia il dito più veloce del west…per fortuna che non gira armata.

 

Spiacente , ho tanto lavoro da finire, poi c’è qui uno con cui devo ripassare FISICA… ;)

 

Mi ha spedito una faccina con l’occholino?...Ho capito benissimo di che cosa devono discutere…

Sto ancora ridendo mentre premo INVIA.

 

Intendi lo studio dei CORPI celesti?

 

Bip, bip.

 

Non so se sia celeste, ma un gran CORPO ce l’ha!!  :) :)

 

DUE faccine super sorridenti? Chi sarà il fortunato da esplorare? Mi concentro sui volti dei tecnici della Base. Peter, Tod, Mike?...Mmh, no, per me sarebbero da una faccina…

Torno a scorrere mentalmente l’elenco dei ragazzi dello staff della Florida e gioco la mia puntata.

 

Samuel, Albert?

 

Invio. Questi sono alti biondi, muscolosi e abbronzatissimi… quel che per me è il top del figo da spiaggia.

Bip, bip.

 

Jake! :) :)

 

Alzo le sopracciglia in un’espressione stupita e premo INVIA.

 

Black?

 

Sì, è fuori dai miei standard ma è da due faccine, lo ammetto.

Abbastanza alto, capelli nerissimi tagliati  corti con un ciuffo che gli cade sbarazzino sulla fronte. Occhi altrettanto scuri, bel colorito ma naturale, ispanico credo, o nativo. Sorrisone da bambino.

 

Approvo! Divertiti e fagli vedere le stelle a quel topo di laboratorio!

 

Invio.

Bip, bip.

 

Ci puoi giurare <3 …e tu fai i compiti!

 

Mi imbroncio al ricordo della lista da preparare e invio.

 

Sì mi ci metto subito. Tra un paio d’ore vado all’aeroporto a prendere Rose e un tipo in gamba che conosce lei.

 

Bip, bip.

 

Wow, arriva la bionda!!! Domani sera organizziamo un’uscita tra donne!!!

 

Mi scappa da ridere, ancora non è uscita per questa serata che già sta organizzando la prossima.

E’ un vero uragano, quella ragazza e mi stupisce sempre il fatto che riesca ad essere così pragmatica e scientifica sul lavoro come esuberante e spudorata nella vita sociale.

Mi dirigo in cucina mentre infilo il cellulare in tasca.

Apro il frigorifero ed estraggo la terrina con l’insalata di riso avanzata la sera prima. Per una cena in solitaria va più che bene e posso mangiarmela come piace a me, arricchita di maionese, fredda a cucchiaiate, direttamente dal contenitore.

Mi tolgo le scarpe e le ripongo sulla rastrelliera dello sgabuzzino . Con solo i calzini ai piedi mi dirigo nello studio con la terrina  della cena nella sinistra e una bottiglia di Corona con fetta di lime, nell’altra.

Appoggio tutto sul piano della scrivania e apro il mio Notebook.

Accendo, cerco la Directory riguardante la missione e clicco sul file Lista candidati. All’interno vi sono tre cartelle.

 Nella prima vi ho riposto i curriculum che mi sono stati proposti da vagliare.

Nella seconda, vi sono i nomi di quelli che erano già stati scelti in una pre-selezione. Si tratta dello staff scientifico che affianca da qualche mese Alice in laboratorio. Di questi alcuni hanno anche le competenze per poter far parte dell’equipaggio.

Apro la terza cartella che ho denominato Mosche Bianche, perché è il modo in cui chiamo quei personaggi che hanno i mille requisiti richiesti da questa missione.

 Mi tornano alla memoria  gli annunci che sono apparsi un anno fa sui maggiori giornali del mondo, oltre che sulla stampa specializzata,  che recitavano ironicamente più o meno così:

 

AAA  NASA : NUOVI ASTRONAUTI CERCASI, (ma che sappiano parlare il russo).

USA: la Nasa e' alla ricerca di nuovi astronauti, i candidati dovranno dimostrare di conoscere la lingua     russa. Al momento, infatti, l'unico modo per andare nello spazio e' tramite il veicolo spaziale russo Soyuz. I candidati, provenienti se possibile dalle forze armate, dovranno essere laureati preferibilmente in matematica, biologia, fisica o ingegneria, meglio se con mille ore di esperienza di pilotaggio di aerei alle spalle. I futuri astronauti dovranno avere una vista perfetta e un'altezza compresa tra 1,50 e 1,89 metri.

 

A quei tempi era ancora top-secret il fatto che fosse in elaborazione un nuovo progetto aerospaziale che avrebbe fatto riattivare la base di lancio di Cape Canaveral in Florida. Quindi tra le tante caratteristiche che i candidati avrebbero dovuto avere c’era la conoscenza della lingua degli Zar.

Per ora ho inserito, sotto suggerimento di Alice, Mike Newton e Tyler Crowley, rispettivamente matematico e biologo. Poi ci sono Rosalie Hale e il tipo in arrivo Eric Yorkie, che si occuperanno delle Public Relations. Il tenente Angela Weber, con  funzione di coordinatrice d’ufficio e di mia assistente personale.

Nella sezione dedicata agli esperti piloti, invece, compare per ora solo il nome di Jasper Hale fratello di Rose.

Chissà se domani dovrò aggiungere il nome di Jacob Black alle MB…penso con una punta di sarcasmo.

Guardo l’orologio sullo schermo e mi accorgo che è quasi ora d’andarmi a preparare per uscire. Ma prima di interrompere il lavoro, metto in evidenza alcuni nomi che hanno destato il mio interesse.

 

 

 

Jessica Stanley, ingegnere informatico, ottima conoscenza lingue europee.


Emmett  McCarty, ingegnere costruttore. Entrambi con brevetto di pilota, ora operativi sul progetto del gemello del rover atomico Curiosity, dell’Università di Austin in Texas.

 

Edward Cullen, dottore in medicina aerospaziale, specializzato in biotecnologie. Al momento in forza presso l’ Università della California di San Francisco.

 

Accidenti, penso, gran bel tipo e con un sacco di ore di volo…anche più delle mie.

Salvo con cura il lavoro, chiudo il Notebook e mi dirigo verso il bagno della mia stanza da letto per farmi una doccia prima d’andare all’aeroporto. Apro l’acqua e posiziono l’erogatore sul getto bollente. Mi svesto e mentre la stanza si riempie di piacevole vapore, guardo la mia immagine riflessa nello specchio grondante di goccioline. La figura che si riflette è una ragazza carina, più vicina ai trenta che ai vent’anni, chiara di carnagione ma leggermente dorata dal bel sole della Florida. Capelli castano scuri trattenuti in una composta coda alta. Occhi nocciola, determinati, con due leggere occhiaie scure che li circondano. Lineamenti regolari, bocca piccola, ma non sottile.

Forza gioia, sta arrivando Rose, se avevi qualche piccola speranza di  fare conquiste, ora te lo puoi scordare… la mia immagine riflessa alza le sopracciglia, scuote la testa rassegnata mentre si spazzola diligentemente i denti.

Mi asciugo i capelli lasciandoli vaporosi. Mi dirigo in camera e rimango incerta davanti alle porte aperte dell’armadio. Sono nervosa, so già che il confronto sarà avvilente.

Voglio molto bene a Rose, ma con lei non c’è storia. E’ talmente bella, bionda, statuaria, elegante…che sembra finta.

Invece è simpatica, semplice e anche timida. Tanto, che sfrutta la sua leggerissima miopia per nascondersi dietro un paio di grandi occhialoni con strass  che comunque le stanno d’incanto.

Metto frustrata un paio di shorts color sabbia, una blusa bianca senza maniche che completo con una camicia in jeans azzurro lasciata aperta. Azzardo un bel paio di sandali in vernice color turchese con zeppa alta almeno otto centimetri.

Prima di uscire passo dalla scrivania, estraggo dal cassetto la mia pistola, inserisco il caricatore e la metto nella borsa a tracolla che ne frattempo ho preso dalla poltroncina dell’ingresso.

Saprei difendermi anche senza, ma non è detto che nell’eventuale momento di pericolo abbia la fortuna di essere in parità numerica. Sto uscendo sola nella notte e preferisco essere prudente.

Raccolgo le chiavi, spengo le luci ed esco.

 

Mentre guido, con il finestrino mezzo aperto per godermi la brezza tiepida della sera, canticchio seguendo il brano musicale che esce dalla radio. Il  mio pensiero corre ai volti delle persone  che ormai ho deciso d’inserire nella lista delle MB.

Dunque: McCarty, Stanley, Cullen. Mi appunto di farli chiamare da Angela domattina presto.

Nel frattempo sono arrivata nel parcheggio di fronte all’aeroporto di Orlando. C’era poco traffico, ho fatto presto.

Mi dirigo verso il terminal dei voli interni e controllo il tabellone degli orari. L’aereo  da Boston è appena atterrato. Mi siedo su una poltroncina ad aspettare.

Ad un certo punto la vedo. Spunta, con la sua elegante falcata, dalla zona ritiro bagagli trascinandosi dietro un’enorme trolley rigido color argento, con appoggiata sopra, un’altrettanto grossa sacca da viaggio nera.

Al braccio, oltre alla borsa, ha un beautycase argento come il trolley. Al suo fianco cammina un ragazzo moro alto come lei, col ciuffo sugl’occhi, vestito sportivo che trascina un bagaglio molto meno voluminoso. Lo riconosco per averlo visto nella foto inserita nel suo fascicolo, è sicuramente Eric Yorkie.

Quando la mia amica mi vede, mi regala un sorriso smagliante che manda in pappa il cervello  di buona  parte dei maschi presenti nei cinquanta metri che ci separano.

 Alza la mano libera e la agita in un allegro saluto. << Bella? Bella? >>

Mi alzo e le vado incontro ridendo. «Rose, ciao…avete fatto buon viaggio?»

La bacio sulle guance mentre lei,abbandonati i bagagli, mi abbraccia.

«Discreto, ma lunghissimo » si lamenta. «Ti presento Eric, il migliore addetto stampa sulla piazza di Boston. » Mi volto verso il ragazzo che nel frattempo mi porge la mano.

« Piacere, Isabella Swan » gli dico mentre ricambio la stretta.

« Il piacere è mio Comandante » risponde con un sorriso gentile.

« Allora, cosa ne dite, se prima di arrivare a casa ci fermassimo a bere qualcosa?»Azzardo.

«Ottima idea, cara » mi risponde Rose, ma vorrei liberarmi presto di questo carico da mulo…

«Dai qualcosa anche a me, ti aiuto. » Mi affretto a prenderle il borsone nero stracolmo.

« Uuff, Rose, quanto pesa, ti sei portata tutto l’armadio?»

«No, solo la parte estiva…» si finge per un attimo offesa, poi mi strizza complice un occhio.


Siete arrivate fino a qui, brave! Nessun commento, se non che l'avventura continua.
See you later alligator...

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Capitolo 3
*** capitolo secondo ***


Eccomi qui, ringrazio ancora tutte voi che mi seguite così interessate...sono stupita, ma compiaciuta, perchè non immaginavo che sareste state così tante. Continuate a dirmi le vostre opinioni e abbiate ancora un pò di pazienza: il bell'Edward si farà desiderare ancora un pò...

ciao, Teresa.

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Capitolo secondo:

 

 

 

Carichiamo i bagagli nel retro della Jeep.

 << Wow, Bella hai un’auto che è uno schianto! >>

Mi dice Rose allungandomi una gomitatina nel fianco.

<< Già, mi trattano bene qui. Ho tutto quello che chiedo servito su un piatto d’argento...Andiamo o siete troppo stanchi? >>

<< No, figurati, è una serata così tiepida, non mi va di chiudermi subito tra quattro mura…cosa ne dici Eric? >> Ci voltiamo verso Yorkie che si è leggermente scostato e parlotta al telefono. Senza interrompere la conversazione, annuisce e ci fa segno di ok con la mano libera.

<< Bene, partiamo, allora >> dico loro aprendo lo sportello della guida. Attendo che Rose si accomodi al mio fianco e che Eric, chiuda quello posteriore mentre interrompe la conversazione.

<< Tutto bene Ric? >> gli chiede Rose. << Sì, perfetto, la mia fidanzata Hanna vi augura una buona serata. >>

Accendo l’auto ed esco dal parcheggio imboccando l’Orange Avenue. Svolto a sinistra in Americana Boulevard e la percorro per alcune miglia nella quiete serale di questo giovedì di marzo.

 I miei ospiti si guardano intorno, rapiti dall’inusuale percorso cittadino, che alterna palme torreggianti nel buio, ad ampi prati dal manto erboso perfettamente curato. All’interno dei prati svettano alti  zampilli d’acqua illuminati da giochi di luce. Questi, ricadendo, creano mille riflessi d’argento sulle larghe macchie scure  svelando la presenza di inaspettati laghetti. Poi ripiombiamo nel buio più assoluto interrotto qua e là dalle insegne luminose degli alberghi.

Osservo le loro espressioni soddisfatta perché a suo tempo, questo paesaggio, aveva incantato anche me.

<< E, Alec, hai già un’idea di quando riuscirà a raggiungerti? >> Le chiedo. Una pausa un po’ più lunga del normale mi anticipa che qualcosa tra lei e l’avvocato non funziona.

<< Credo proprio che non verrà. Abbiamo colto l’occasione di questa mia trasferta al sud per prenderci…come dire…una pausa di riflessione. >>

 Storco il naso e le dico che mi dispiace.

<< Oh, per carità Bella, non fingere di essere triste. Alec non ti è mai piaciuto… e a questo punto mi costa, ma devo darti ragione. Ammetto che, in fondo, non avevamo molte cose in comune .>>

“DIO SIA LODATO” penso. Allora non ero io quella paranoica che lo credeva solo interessato a farsi notare nei posti che contano con Barbie-Rose al braccio.

<< Non ci provo nemmeno, anzi spero che non ti dispiaccia troppo se il primo brindisi che farò sarà al tuo rinsavimento! >>

Nel frattempo arriviamo davanti al Blue Martini Orlando, locale che io ed Alice bazzichiamo spesso.

Scendiamo e ci dirigiamo verso l’ampia facciata bianca a timpano sorretto da colonne in finto stile classico, incorniciata dall’esplosione della flora esotica qui rappresentata da un tripudio di palme di ogni misura e di giganteschi cespugli di Hibiscus dai grandi fiori color corallo.

L’interno è spazioso, ma l’atmosfera è intima. Il locale è illuminato dalla luce blu che corre sul soffitto del bancone circolare posto al centro della sala. E’ pressoché vuoto, ci saranno al massimo una ventina di persone, perlopiù a gruppetti di tre o quattro del medesimo sesso. Controllo accuratamente tra le poche coppie presenti, ma con disappunto non scorgo la chioma castana di Alice.

Guardo l’ora sul cronografo da polso. “Sono le dieci e mezzo, non è tardi, avrebbe potuto esserci”. 

<< Aspettavi qualcuno? >> mi chiede sottovoce Rose mentre ci accomodiamo sui divanetti rivestiti di pelle marrone di un tavolo laterale.

<< No, mi ero illusa di trovarci Alice, vi avrei fatto incontrare a sorpresa. >>

<< Ma non mi hai detto che è uscita con un collega? >>

<< Sì,e vedessi che tipo…un armadio tre ante di noce massiccio.>>

Rose si alza per lasciare passare Eric che si dirige verso il bagno. Torna a sedersi, si protende verso di me e mi guarda scandalizzata. << Beh, tu avevi intenzione di immischiarti nella loro uscita a due? Magari ora sono oltre la parte verbale e si stanno, per così dire, conoscendo meglio… >> Agita  verso di me indice e medio delle due mani per evidenziare il sottinteso.

<< Oh, non credo…non in senso biblico per lo meno. L’hai detto tu stessa che è uscita con un collega. E quello, non è neppure uno qualunque, ma uno dei pochi che possono aspirare a far parte del nostro gruppo. >> Le rispondo mentre il tarlo del dubbio m’assale.

<< E poi, per quanto pazza e spregiudicata possa essere quella ragazza, sa benissimo che sul Dr. Black dovrà, domattina, presentarmi una relazione. >> Ridiamo, insieme, di gusto.

Dopo esserci sparati un giro di Long drinks blandamente alcolici a base di frutta, ci dirigiamo verso casa.

<< Invece tu, Bella, hai trovato qualcuno che ti abbia fatto dimenticare l’affascinante  pilota dell’ Esercito di Sua Maestà? >>

Non le vedo il viso, nel buio dell’abitacolo, ma sento un’ombra di malinconia nella sua voce.

Alle sue parole mi torna in mente il sogno della notte appena trascorsa:

 

…sono leggera e colorata come una farfalla…Mi libro delicata in un meraviglioso luogo ricco di piante e di fiori…guardo le mie mani affascinata dall’aspetto fragile e curato delle lunghe dita. Le unghie sono  perfettamente laccate di rosa pastello. Ai polsi ho tanti sottili braccialettini d’argento che tintinnano musicali…D’un tratto il paesaggio cambia. Sotto di me c’è solo un caldo deserto percorso da dune di sabbia. Lo sto sorvolando quando noto una camionetta in panne col cofano aperto.  C’è un soldato chinato dentro ad esso . Riconosco la figura, è James.  Da dietro una duna sbuca una jeep con tre uomini armati che si dirige spedita verso di lui.

Urlo disperata il suo nome più volte, ma non mi sente…A quel punto mi butto. Spicco il salto da un elicottero su cui non ricordo di essere salita e atterro con una professionale capriola laterale.

Mi alzo in piedi in un attimo, mi posiziono tra James e gli aggressori che nel frattempo stanno puntando le loro armi. Lo proteggo  col mio corpo mentre imbraccio la mitraglietta e faccio fuoco. La jeep e il suo equipaggio saltano in aria in un inferno di fiamme.

Mi volto e mi passo una mano sulla fronte per detergermi il sudore dovuto al calore dell’ esplosione.  Mi guardo intorno  e lo cerco. James mi sta fissando  con un’espressione triste e…delusa? Scuote la testa , sembra…rassegnato. Si gira col suo passo elegante e si allontana…

Calde lacrime mi riempiono gli occhi annebbiandomi la vista. Lo chiamo, ancora, lo supplico di fermarsi. Di nuovo non mi sente.

Mi sveglio di soprassalto inspirando con violenza.

 

<< No. >> le rispondo. << Nessuno che voglia gareggiare in virilità con il mio Breil… >>

L’ultima volta che ho sentito James è stato un anno fa circa. Mi ha inaspettatamente chiamata per complimentarsi per la mia promozione a Comandante. Le parole sono state carine, ma il tono formale, era velatamente acido.

Era stata una gran bella relazione la nostra, durata circa tre anni. Ci eravamo conosciuti a Washington DC. durante un Master di volo tra piloti dei nostri due Paesi. Un amore a prima vista. Mi era venuto incontro e baciandomi cortesemente il dorso della mano, mi aveva chiesto compassato se avessi già un compagno d’esercitazione. Con lui mi ero sentita euforica e piena di sogni. Era riuscito a rendere unico ogni momento in cui stavamo insieme contagiandomi  con il suo umorismo tipicamente anglosassone.

Continuiamo il viaggio in silenzio.

 

Arriviamo davanti alla villetta buia. Scarico i bagagli  e faccio loro strada all’interno. Accompagno Eric nella sua stanza, e Rose nella mia e di Alice, che avevo fatto attrezzare con due letti queen size. Stanotte dormiremo insieme, domani ci organizzeremo meglio.

Siamo quasi pronte per dormire, quando sentiamo rientrare Alice.

Ci mettiamo sedute sul letto aspettandola. Un attimo dopo la vedo fiondarsi dentro e buttarsi al collo di una stupefatta e felice Rose. 

<< Ally, ti prego non respirooo… >>

<< Oh Rose, non è importante, ora che sei qui con noi, puoi morire felice >> le risponde baciandola ripetutamente sulla guancia.

Rose l’allontana e la guarda sorniona.

<< Allora Ingegnere, come è andata la serata? >>

Alice sospira facendo un’elegante piroetta su se stessa.

<< Interessante, non c’è che dire. >> Mettetevi comode, tra un minuto vi racconto.>> Sparisce nel bagno e sentiamo scorrere l’acqua della doccia. Io e Rose ci infiliamo nel letto vicino alla finestra, ed abbassiamo il regolatore della abatjour , lasciando solo una lucetta fioca.

Esce poco dopo odorante di aromi orientali.

<< Beh, ragazze, vi anticipo che siamo stati entrambi molto morigerati e  estremamente professionali. >>

Ci guardiamo per un attimo tra di noi, prima di scoppiare in una fragorosa risata.

<< Shhhh, che svegliate Eric…>> Ci intima Rose agitando dall’alto in basso la sua mano regale.

<< Ma veramente, credetemi, abbiamo parlato solo di te >> continua bisbigliando e sbattendo le ciglia a mio favore.

<< Tranne quando ehm, ha avvicinato le sue labbra di velluto, si è fatto strada con decisione nella mia bocca e con quella  lingua calda e umida, mi ha dato una esemplare dimostrazione di …speleologia del cavo orale…ahhh. >>

<< A cui ho immediatamente risposto con un attento e scrupoloso esame tattile della sua struttura muscolo-scheletrica dorsale e articolare…mmhh >> Alza gli occhi al cielo e sospira sognante.  Fulminea si riprende e mi  fissa  attenta.

<< Comunque, Bella, è veramente interessato a far parte del gruppo ed io avvallo la sua candidatura! >>

“Professionale, decisa, ma a questo punto cerebralmente compromessa!”

<< Ok >> le dico. << Domani dirò ad Angela di convocarlo nel mio ufficio. >>

<< Bene >> riprende cinguettando lei << allora domani sera al diavolo il club delle zitelle…usciamo tutti insieme, dobbiamo fraternizzare. >>

“ Giusto, FRATERNIZZARE.”

Sarà uno degli obiettivi dei prossimi mesi. Dovremo arrivare preparati tecnicamente al viaggio, ma anche affiatati e abituati agli spazi ristretti.

 

Il mattino dopo mi sveglia il rumore ovattato dell’acqua della doccia. Mi alzo e mi dirigo assonnata in cucina.

<< Buongiorno Capo, vuoi del caffè? >> mi chiede pimpante Alice.

Mi siedo sulla panca affianco ad un perplesso Eric.

<< Avete già fatto le presentazioni? >> Chiedo loro.

<< Sì, certo. Ragazzo simpatico ma fidanzato. Ventisei anni, ha studiato Scienze della comunicazione a Yale. Ha lavorato due anni nella redazione di cronaca politica Al Boston Tribune. Ha conosciuto Rose ad un convegno elettorale del Partito Democratico… >>

Con la bocca ancora piena della brioche con crema danese che sto masticando, mi rivolgo a Eric che divertito scuote la testa.

<< Tutto giusto, si è dimenticata qualcosa? >> Gli chiedo.

<< No, a parte il fatto che mia madre si chiama Grace, ed ho avuto il morbillo a sedic’anni, credo non abbia tralasciato nulla. >>

Alice sedendosi mi spara una linguaccia.

Dopo esserci tutti preparati, ci dirigiamo a bordo della mia auto verso la Base. Al cancello principale i due giovani soldati di guardia, in tuta mimetica e armati di mitra, ci fanno passare salutandomi con reverenza.  L’auto di Alice è ancora nel parcheggio dove l’aveva lasciata il pomeriggio prima.



Cosa ve ne pare del "pomiciamento tecnico?" Ehhh sti scienziati, vi saluto di nuovo e vi chiedo scusa se ogni capitolo ha un aspetto editoriale diverso, sono ancora maldestra con l'editor.
P,S: se tutto prosegue bene penso di postare ogni domenica.
Bacibacibaci

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


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Ciao, eccomi di nuovo qui. Ringrazio chi ha avuto la pazienza di aspettarmi tutta la settimana, e chi mi ha anche compiaciuta lasciandomi un pensiero. Ancora non ci siamo tutti a Cape Canaveral... sti personaggi sono davvero impegnati. 

Pian pianino arriveranno...oppure li andremo a prendere noi...per i capelli!

Vi bacio e vi consiglio di fare scorta di Scopolamina...presto si comincerà a volare. Baci a tutte

Teresa

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Capitolo Terzo

 

 

Entriamo nello stabile e ci separiamo da Alice che si dirige verso la zona dei laboratori. Con Rose e Eric al seguito proseguo verso l’ufficio della Weber. La trovo seduta alla sua scrivania, impeccabile, nella sua tenuta d’ordinanza delle Basi NASA con il suo badge plastificato che le penzola dal collo. Oggi è venerdì e posso dimenticare  la norma che mi vuole nell’uniforme blu con la camicia bianca da ufficiale dell’Aeronautica.  Quindi sopra il mio paio di jeans preferito, ho messo la polo azzurro cielo che portano tutti.

<< Buongiorno Angela >> la saluto. << Ecco l’elenco delle persone da contattare. Chiedi loro conferma della data di arrivo, e sollecita la risposta immediata. >> Le appoggio un post-it verdino sulla scrivania, sul quale ho segnato i tre nomi di ieri sera e quello di Black.

<< Ah, Angela, visto che Black è già qui tra noi, puoi chiedergli, per favore, di passare in ufficio da me prima di mezzogiorno? >>

<< Certo, Comandante. >>  In quel momento mi ricordo delle buone maniere e presento l’insostituibile tenente Weber a Rose ed Eric.

Terminati i convenevoli mi propongo, in modo spiccio, per un veloce giro turistico della Base. Iniziamo dalle sale comandi e dal laboratorio scientifico che sono nello stesso stabile in cui ci troviamo, per poi passare alle officine meccaniche e agli hangar di assemblaggio, che sono nei complessi più a sud. La Base di Cape Canaveral è composto di più di trenta edifici, senza contare il Centro Visitatori, il Museo a cielo aperto dell’Astronautica, le rampe di lancio verticale, le piste di atterraggio dello Space-Shuttle ed un faro. Prometto loro un tour completo al più presto.

<< Questo fine settimana vi vorrei mostrare, però, le bellezze naturali di Cape Canaveral, sapete che all’estremo nord dell’isola c’è una splendida riserva naturale? >>

<< Sarebbe una splendida occasione per fare foto da condividere su Twitter. >> Ci dice entusiasta Eric. << Dobbiamo cominciare a pubblicizzare il nostro lavoro anche sul web. >>  La sua proposta ci trova assolutamente d’accordo. Rientriamo e li accompagno nell’ufficio di fianco al mio.

E’ una grande stanza, arredata con due moderne scrivane bianche, armadi alle pareti, ed un tavolo da riunioni per almeno otto persone.

Un maestoso ficus Benjamin troneggia lussureggiante vicino alla grande finestra.

<< Ecco, ho pensato di sistemarvi qui. Per ogni necessità chiedete a me o ad Angela. >>

Mentre torno nel mio ufficio sento squillare il telefono. E’ Angela.

<< Comandante, il Capitano Black chiede di essere ricevuto .>>

<< Fallo passare. >> Le dico.

Dopo pochi secondi la massiccia figura scura di Jacob Black compare sulla posta.

<< E’ permesso? >> chiede educatamente. << Buongiorno Comandante Swan. >> Saluta formale, aspettando la mia risposta.

<< Avanti, prego >> gli accenno di sedersi di fronte alla mia scrivania indicando la sedia con la mano. Gli sorrido, mentre lui si siede rigido.

<< Chiamami solo Isabella. Alice parla molto bene di te. >>

Un sorrisetto nervoso gli compare sulle labbra. Le osservo, cercando di non farmi notare, incuriosita dalle rivelazioni di Alice.

<< Mi ha anche informata che sei stato scelto tra i relatori dell’annuale conferenza dell’American Geophisical Union che si terrà tra quindici giorni a San Francisco. >> Mentre lo dico sono visibilmente ammirata. La nostra è una missione pagata solo marginalmente dal Governo e per la quasi totalità da sovvenzioni private, quindi una delle priorità è accattivarci il maggior numero di sponsor. So già che avere nel nostro staff un personaggio conosciuto da una platea così illustre, manderà in visibilio Rose perché ci renderà più “appetibili” agli investitori.

<< Sì, è vero, parlerò degli studi che ho effettuato di recente in Texas  riguardanti il buco nero più grande mai scoperto, nella Galassia NGC1277 della costellazione di Perseo >>

<< Ottimo. Lo ascolteremo con attenzione e faremo il tifo per te. Probabilmente non lo sai, ma era già in programma di presenziare in gruppo all’evento. Ci sarà tutta la Società scientifica mondiale. >>

Mi interrompo un attimo e cambio discorso.

<< Torniamo a noi, ti ho fatto chiamare per  comunicarti che sei ufficialmente dei nostri. >>

Si rilassa felice. << Ne sono veramente molto onorato. Wow, questo è un sogno che si avvera. >> Mi regala un sorriso abbagliante, che gli si estende agli occhi che luccicano, nel volto ambrato, su cui spicca una sfumatura rosata dovuta all’emozione.

<< Dovresti recarti da Angela per le formalità burocratiche e per prendere la cartellina con le istruzioni e il programma di lavoro della settimana prossima. >>

Mi alzo e gli allungo la mano destra. << Benvenuto a bordo Jacob, e tanto per prendere confidenza, stasera se non hai altri impegni, sei invitato ad uscire col tuo nuovo gruppo. >>

<< Accetto volentieri, grazie mille. >> Mi stringe con vigore la mano e si congeda.

Mi torno a sedere mentre lo guardo uscire dall’ufficio. Ha spalle larghe e ben tornite, da cui spunta il collo taurino che sfuma nella attaccatura dei capelli corvini, lisci  dal taglio perfetto. Gli avambracci muscolosi escono dalle maniche arrotolate fino al gomito della camicia bianca di cotone, inserita nei pantaloni leggeri color corda che gli calzano perfetti sui fianchi regalandomi la visione di un sedere da sportivo. Con il camice che indossa sempre, non avevo ancora notato tutto quel bendiddio.

“Mmh, un po’ invidio la spensieratezza con cui si butta Alice.”

E’ veramente molto tempo che non frequento nessuno, e mi basta una visione come questa per farmi accelerare la respirazione e rendermi tutta un fremito.

Raggiungo il mobile bar e mi servo un bel bicchiere di acqua ghiacciata.

 

Torno alla scrivania e apro la cartelletta di cartoncino azzurro che ho di fronte a me. Sul frontespizio ci sono stampati  i simboli del Governo degli Stati Uniti e della Agenzia Aerospaziale NASA. All’interno il primo foglio ha stampato in grandi lettere:

 

 

 

Nome della Missione----ODYSSEY---

 

Comandante in capo                             Mag. Isabella Marie Swan

Responsabile tecnico                             Mag. Mary Alice Brandon

Patrocinante                                           Gen. Bartholomew J.Rogers

 

Equipaggio:

 

Ten. Jacob W. Black                 Astrofisico

Tyler E. Crowley                         Biologo

Cap. Jasper T. Hale                   Collaudatore aeronautico

Michael M. Newton                   Matematico

 

 

Sto aspettando la chiamata di Angela per completare il documento con l’elenco definitivo dell’equipaggio.

Alzo gli occhi attratta dalla bustina gialla che lampeggia nell’angolo inferiore dello schermo del pc. Mi è arrivata una mail.

Apro la casella di posta elettronica ed individuo subito il mittente. E’ di Jasper. La apro e leggo il messaggio.

 

 


__________________________________________________________________________________

Da:   Cap. Jasper Hale

A :   Mag. Isabella Swan

Oggetto: Ciao

 

Ehi Boss, tutto ok? Sono in arrivo con il “bimbo”. Ho il piano di volo WG 242 e atterrerò domani alle 13.00 circa ora della Florida.

Devo portarti qualcosa oltre a questo mucchio di rottami?

Salutami la mia cara sorellina, (che comunque non ho nessuna fretta di rivedere).

J x

P.S: Ho notizie fresche fresche del Baronetto… ah ah ah

 

 

Jaz, sempre il solito. Arriva domani, bene. Il “bimbo” è un Cargo  C130 Super Ercules da 80 tonnellate contenente parti meccaniche per la nostra navicella.

Mentre il “Baronetto” è chiaramente James.

Mi sarebbe spuntato un sorriso affettuoso…se non avesse aggiunto quel post scriptum.

Ecco, in due giorni vedo vanificato il lavoro interiore che sto facendo da un anno.

“Accidenti a Rose e a Jasper, Accidenti a me, che non riesco ad andare oltre.”

Con una scrollata di spalle allontano questa amara considerazione e mi appresto a rispondere alla mail:

__________________________________________________________________________________
Da:
Mag. Isabella Swan

A:  Cap. Jasper Hale

Oggetto: Re Ciao

 

Ciao anche a te, Aquila. Sono felice di saperti in arrivo con “i miei rottami”.

Trattali bene, che costano un occhio! Per quanto riguarda Rose, mi spiace ma è arrivata prima lei, quindi devi fartene una ragione.

No, grazie, non mi serve nient’altro. A meno ché tu non riesca a procurarti una delle splendide torte di mele di tua madre mentre passi…ma non credo che tu riesca a far atterrare il “bimbo” nel giardino della casa dei tuoi, (anche se non metto nessun limite alle tue doti di pilota, ih ih ih).

Ci vediamo domani, fai buon viaggio.

B xx

P. S: Il “Baronetto” è Conte…e tu lo sai.

 

 

Jasper e James si erano conosciuti durante il nostro perfezionamento di volo su jet sulla Portaerei Lincoln. Erano  entrati subito in simpatia anche se si punzecchiavano di continuo. Jasper, pilota della Marina Militare degli Stati Uniti, dava del “Sir Elton John” a James, pilota della Royal Air Force britannica che rispondeva, visibilmente offeso, chiamandolo “rozzo Yankee”.

   ***

 

Sto sbrigando la corrispondenza che mi trovo impilata, in ordine, sulla scrivania, quando Angela fa capolino bussando alla porta.

<< Comandante, ho le informazioni da lei richieste. >> Mi porge un foglio con alcune annotazioni scritte a mano.

Leggo che McCarty e la Stanley sono disponibili da subito, mentre Cullen non sarà libero fino a martedì prossimo.

Ok. E’ il momento di studiare una strategia.

Apro il programma di Excel ed inserisco nelle varie colonne di una tabella i dati in mio possesso. Per prima cosa l’impegno improrogabile.

Sabato 27 marzo – San Francisco- Conferenza.

Ad oggi ho parte dell’equipaggio qui in Florida, e il primo carico di materiale da costruzione in arrivo domani con Jasper.

Altri due elementi sono ad Austin in Texas, mentre il resto degli impianti sono rispettivamente nelle officine della base Nasa di Houston ed in quelle della Base dell’aeronautica di Los Angeles.. L’ultimo elemento dell’equipaggio è a San Francisco e sarà libero a breve.

Impugno il telefono e chiamo Angela. << Angela, per favore, chiamami al telefono il Capitano Cullen, ed informa via mail il Capitano McCarty ed il Tenente Stanley che ci troviamo tutti alla Base di Houston mercoledì prossimo.>> << Subito, Comandante. >> Risponde uscendo.

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Quindi il piano è presto detto: riunisco tutti i membri dell’equipaggio e il materiale meccanico a Houston. Sfrutto officine, manodopera e attrezzature della Base del Texas, poi sposto il gruppo di nuovo, verso il nord della California per la conferenza.

Sempre che la telefonata col Capitano Cullen dia il risultato che spero.

Sento il trillo dell’interfono. << Comandante, il Capitano Cullen è sulla linea due. >> << Grazie Angela. >>

Alzo la cornetta e spingo il pulsante attivando la comunicazione.

<< Pronto, Capitano Cullen? Sono il Maggiore Swan. >>

<< Comandante, è un onore sentirla. La ringrazio per avermi accettato nell’equipaggio della missione Odyssey. Spero di essere all’altezza delle aspettative. >> La voce che sento attraverso la cornetta è bassa e calda e mi spazza un po’.

<< Me lo auguro vivamente. >> Mentre mi concentro  nella conversazione cerco nel pc la cartella relativa al dossier del Capitano. Uno sguardo serio e profondo mi fissa dalla foto allegata. Una corta zazzera bionda, forse rossiccia, gli incornicia la fronte leggermente corrucciata. << Capitano Cullen, l’ho chiamata per chiederle un favore. >>

<< Mi dica, la prego. >> Mi risponde con solerzia.

<< Ho letto sul suo dossier che ha pilotato aerei da trasporto durante una missione in Iraq…>>

<< Sì, Signora. E’ giusto. E mi è capitato anche in un’altra occasione durante una missione in Afghanistan. >>

Sento una nota d’orgoglio trasparire dalle sue parole.

<< Ottimo, le vorrei chiedere di spostarsi a Los Angeles e occuparsi in vece mia del carico di materiale pronto per noi e portalo a Houston, Texas. >> 

<< Sarà un piacere per me, Comandante. >>

Chissà perché, ma gli credo. E’  come se sentissi di aver promesso un gioco nuovo ad un bambino. “Speriamo bene”, ci sono un miliardo e mezzo di dollari di investimento governativo nelle apparecchiature che dovrà trasportare.

<< Bene, le faccio mandare via mail tutte le istruzioni relative al volo e i relativi permessi con delega. La aspetto mercoledì prossimo a Huston. >>

<< Ci sarò, Signora. Grazie ancora per la fiducia che mi sta dimostrando. Sento già che questa missione mi procurerà grandi soddisfazioni. >>

<< Arrivederci Cullen. >>

<< A presto, Comandante. >>

 

<< Hai finito di flirtare al telefono? >> Rose è appoggiata allo stipite della porta con le braccia conserte e mi guarda divertita.

<< Flirtare? Io? >> Le chiedo sbalordita..

<< Ah, non so, a me non hai mai parlato con quel tono melense al telefono… bleah, mi sta venendo il diabete…posso sapere con chi stavi parlando? >>  << Guarda qui. >> Le dico, ruotando verso di lei lo schermo del pc. Rose si avvicina ponendosi dal mio lato della scrivania. << Cristo Santo… quei due begl’occhi  stanno arrivando a bordo di un aereo, e si poseranno su di noi umili mortali? >>

<< Sembra proprio di sì, cara. >> << E, cosa sai di lui, della sua vita privata intendo. >> Mi chiede interessata.

<< So che è stato sposato, ma che non lo è più. Nient’altro. >>

<< Umm, interessante ma non urgente… se non ti dispiace è ora di pranzo e avrei fame. >>

<< Certo, chiama Eric, io faccio uno squillo ad Alice ed andiamo in mensa. >>


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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


Eccomi per il nuovo capitolo, ci ho messo un po' di più perchè ho un piede in gesso e tutto è diventato più lento... tranne il pensiero. Ringrazio, come sempre, le tante amiche che si sono dimostrate così entusiaste del mio lavoro. Non mi sembra ancora vero. E tutte quelle che mi stanno seguendo in silenzio. Un bacio anche a voi.
Ho capito che vi manca l'ingresso di Edward, e visto che ancora non è vicino il suo arrivo, ho dato una sbirciatina nella sua vita. Spero lo apprezzerete. E' anche venuto il momento di sapere cosa era successo a Bella e James , perchè il bell'Inglese, sembra proprio che non voglia fare solo la comparsa in questa storia.... accidenti ma questi personaggi si sentono già delle star!
Ci vediamo sotto per le ultime note.
Teresa

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Capitolo quarto

 

 

Il pranzo trascorre veloce e sereno. Le mie amiche non smettono un attimo di raccontare al povero Eric aneddoti relativi alla nostra vita a Boston ai tempi  in cui eravamo compagne di stanza al college. Il ragazzo  rischia di strozzarsi un paio di volte con un boccone di traverso, mentre loro gli descrivono quanto fossi, a quei tempi, timida ed imbranata.

<< Alice, Rose, per favore, basta! >> Intimo loro. << Eric deve credere in me per poter fare una buona propaganda, così mi state facendo perdere credito >>.

<< Oh, no, gli stiamo solo dicendo che una volta anche tu eri un essere umano, prima di trasformarti nella versione volante di Lara Croft >>. Risponde Alice.

 Rimango basita. E’ questo che vede la gente? Non è difficile da credere. D’altronde ho fatto una carriera fantastica. Velocissima. Unica.

 E a cosa ho dovuto rinunciare? A nulla direi oggi.

A James, avrei detto un paio di anni fa. A quella sua proposta, che non sono stata in grado di accettare, proprio per quella che ero pian piano diventata e che sono tuttora.

Un ingegnere, un soldato, un pilota, una “macchina del comando”, neutra ed asessuata. Inserita in un ambiente maschilista che mi accetta proprio per le eccezionali potenzialità e le mire professionali.

Sembra passato un secolo, ma non sono trascorsi nemmeno due anni da quando, una sera davanti ad un meraviglioso chiaro di luna, James, mi aveva ripetuto quanto fossi bella e quanto mi amasse. Poi, con un gesto d’altri tempi si era inginocchiato, mi aveva stretto una mano tra le sue e con l’altra aveva estratto un astuccino di velluto blu dalla tasca dei pantaloni. L’aveva aperta con un abile movimento delle dita e senza staccare lo sguardo dal mio e mi aveva mostrato il solitario più grosso e perfetto che una ragazza avrebbe mai potuto desiderare.

<< Isabella, so che non ne abbiamo ancora parlato, ma a casa la salute di mio padre sta peggiorando. Devo tornare e cominciare ad abituarmi a prendere, prima di quanto pensassi, il suo posto alla tenuta>>. Si era interrotto un attimo per respirare, ma aveva proseguito forte del mio silenzio. << Tesoro, vuoi sposarmi? >>

La Terra, in quel momento, aveva smesso di ruotare. Ed io non avevo reagito. L’unica cosa certa era che non volevo appendere le mie ali al chiodo e diventare la Signora del Maniero in una sperduta contea del Galles, circondata da greggi di pecore e dame col cappello. Non gli avevo risposto subito. Ma il messaggio al suo ego era arrivato forte e chiaro, quando agli esami finali io ero passata a pieni voti e lui no. Aveva glissato dicendo che per lui era inutile impegnarsi in qualcosa che non aveva intenzione di continuare, ma da quel momento le nostre strade avevano preso due direzioni diverse.

Mi era dispiaciuto, perché lo amavo. O per lo meno amavo il James che frequentavo, quello con cui volavo, ala contro ala, nei cieli del mondo. L’altro non lo conoscevo. Quello con i piedi piantati per terra, con le sue attività produttive e non riuscivo a sopportare l’idea di sapermi fossilizzata in una vita borghese occupata delle questioni di casa e magari di un allevamento di cani.

****

Riordino il vassoio del pranzo e mi alzo.

 << Su pettegole, andiamo, che abbiamo ancora del lavoro da finire. Poi potrete continuare a sparlare di me>>.

Ci avviamo ai rispettivi uffici.

Mi metto a sedere  alla mia scrivania e con enorme sollievo completo la lista dell’equipaggio.

Sono ben meno delle cinque, quando con un sorriso compiaciuto, sigillo la busta di carta gialla per il Generale Rogers e invio per mail la copia dello stesso documento alla Segreteria del Dipartimento Nazionale.

Mi appoggio soddisfatta alla schienale della poltrona, con le mani intrecciate dietro la testa e uno stupido sorriso sulle labbra.

“ Cosa organizzo di bello per la serata?” Ho tanta gente nuova, devo escogitare qualcosa di pratico e piacevole allo stesso tempo.

Sento la  tentazione di telefonare a mia madre per chiederle aiuto. Lei ha sempre saputo gestire gli inviti a sorpresa dei colleghi di mio padre, o le mie festicciole con gli amici.

Per prima cosa aperitivo e cena. Siamo un gruppo di adulti che devono riuscire a fare conversazione, quindi, niente ristorante.

Presa questa decisione il resto è una passeggiata. Mi fermerò lungo la strada del ritorno insieme alle ragazze ed acquisteremo tutto il necessario per un bel barbecue. Il pomeriggio è mite come solo i pomeriggi assolati della Florida possono essere. Nel cielo nemmeno una nuvola.

Agli uomini lascerò il compito della cottura della carne, così anche i rispettivi ruoli saranno rispettati e tutto sembrerà più naturale.

Per il dopocena, farò decidere il gruppo. Alzo, però, il telefono e mi metto in contatto con l’ufficiale addetto ai trasporti.

«Sergente White, sono il Comandante Swan. Mi serve un bus navetta da nove posti con autista. A casa mia. Sì, dalle 21, certo per tutta la serata, grazie». Ora siamo a posto.

E’ venerdì sera, siamo tra amici, il divertimento sembra assicurato.

Voglio evitare che uno stupido bicchiere di troppo possa creare problemi stradali.

Uscendo mi affaccio all’ufficio della Weber.

« Angela, ti ricordo che sei invitata anche tu stasera. Hai bisogno di un passaggio?» «No, grazie Comandante, mi passa a prendere Tyler»

«Bene, ma per favore potresti chiamarmi Isabella?» «Ci proverò,… Isabella» «A dopo, Angela» «A dopo, Comandante». Esco ridendo, non ce la può proprio fare.

Prendiamo le auto, Rose sale con me, Eric con Alice.

Ci fermiamo al Florida’s Ocean Mall, e dividendoci recuperiamo bevande, carne, pane, verdure, carbonella…cioccolato fondente.

«…Eh quello, per cos’è?» Mi chiede Eric.

« E’ per una sorpresa che voglio fare alle due spiritosone. La torta al cioccolato che mi faceva mia nonna quando ero piccola. Sai era italiana e da lei ho imparato alcune semplici ricette. Cose che non credo che la cibernetica Lara Croft sappia fare». « Mmh, mi stai già facendo venire l’acquolina, se vuoi ti posso aprire un Blog di cucina…lo chiamiamo Cucina supersonica… o Palati Galattici…» «… sì, magari Assaggiatori coraggiosi… per piacere Eric, non ti ci mettere anche tu».

Finiamo gli acquisti ridendo e ci dirigiamo con le nostre buste piene verso la villetta che abitiamo.

Scarichiamo e ci suddividiamo i compiti prima dell’arrivo degli altri.

Eric si dirige subito sul retro della casa dove, vicino alla piscina, è posizionata la griglia su ruote. Alice e Rose corrono a prepararsi, per poi occuparsi dell’insalata e dei cocktail, io ne approfitto per fare la mia torta super rapida.

Apro il quadernino ricettario che tengo sullo scaffale delle spezie e lo apro alla pagina della Torta Tenerina.

Per prima cosa accendo il forno e lo posiziono sui 180°C., in modo che abbia il tempo di scaldarsi. Poi cambio l’impostazione della mia bilancia elettronica da once a grammi, come si usa in Italia.

Nel microonde metto a sciogliere 125 grammi di burro con 200 grammi di cioccolato fondente a pezzi. Prendo dallo scolapiatti una terrina e, con il frullino elettrico, mescolo quattro tuorli d’uovo con 150 grammi di zucchero bianco, poi aggiungo due cucchiai di farina ed infine il mix burro e cioccolato. Monto gli albumi a neve e aggiungo delicatamente anche quelli mescolando da sotto a sopra.

Inforno in una teglia di alluminio rivestito di carta forno. Trenta minuti dopo ho il profumo del cioccolato che invade la cucina. Sforno la torta, la metto a raffreddare per poi cospargerla, alla fine, di zucchero a velo. Esco e mi chiudo accuratamente la porta alle spalle per non smascherarmi troppo presto. Corro a prepararmi anch’io.

Eccole in tutta la loro bellezza. Alice piccola e deliziosa e Rose alta e statuaria. Uniche e complementari, magnifiche e dannate. Perché è proprio così per loro, come per me: se ne avessi voglia potrei spiegare, in una equazione algebrica, il grado di inaccessibilità amorosa che l’avanzamento di carriera causa.

Arrivano anche gli altri: Angela, carina nel suo vestitino corto fucsia, con Mike impettito nella sua camicia nera con cravatta sottile. Jacob fa il suo ingresso reggendo una bottiglia di vino bianco della California. Per ultimo arriva Tyler, che si scusa per il ritardo. Sento partire un allegro sottofondo musicale e mi compiaccio per la scelta che promettente una serata frizzante.

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http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=4aQDOUbErNg (aprire in un’altra scheda)

 

Mentre porto in tavola le ciotole delle verdure vedo Eric al mobile bar, moderno Tom Cruise, preparare rocamboleschi cocktail a tempo di musica.

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http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=kYtGl1dX5qI (aprire in un’altra scheda)

Come previsto la cena risulta deliziosa, i miei invitati, dopo qualche attimo d’imbarazzo si prodigano in chiacchiere  e sorrisi.

Al termine, la discussione è su dove trascorrere il dopocena.

Le due fazioni del dibattito sono, da una parte capeggiata da Rose e Angela che vorrebbero andare al classico Blue Martini ad Orlando e dall’altra da Alice e Jacob che invece propongono il Red Cat Disco, locale in cui si balla direttamente sulla spiaggia.

La decisione sembra difficile da prendere e tutti si voltano verso di me.  Sono seduta a capotavola e li guardo pensierosa. I vari contendenti mi fanno occhi dolci e smorfiette per conquistarmi. Alzo il dito

Indice e con voce autoritaria sentenzio: « Avrei voluto che foste riusciti a mettervi d’accordo tra di voi… ma se proprio devo scegliere io, dico “ Stasera si va a ballare!”

Un urlo di gioia si alza dal gruppo più scatenato della combriccola.

 

*****************************************************************************************************

 

(Edward, San Francisco.)

« Evvaiiii… » urlo avvicinando le braccia flesse, con i pugni chiusi, verso  di me in un tipico gesto di vittoria.

Dire che sono felice non rende l’idea. Mi sento che amo già quella donna.

La conosco di fama. E’ comparsa varie volte sulle riviste dell’Aeronautica e il quadro che mi sono fatto è quello di una con palle e contro palle. Sempre ben strette in morsa. Quando ho ricevuto la telefonata della sua segretaria, il Tenente non so che cosa, mi sono dovuto sedere. Le gambe avevano per un attimo ceduto. Il deserto arido che mi sentivo  in gola era pari a quello che mi sarebbe venuto se avessi avuto in linea l’ex Ministro degli Esteri, Ilary Clinton. Sentire quanto conoscesse di me e lo apprezzasse, mi aveva fatto anche eccitare fisicamente.

Voglio quel posto. Voglio provare l’esperienza di far parte di un progetto così prestigioso. Che poi ci sia a capo un’Ape Regina… rende il mio desiderio ancora più forte.

“Donne al potere, mmh”.

Esco a grandi falcate dal mio ufficio ed incontro il mio collega ed amico Seth.

« Ehi, Ed, sembri uno a cui hanno appena fatto un lavoretto di bocca» mi dice bloccandomi la strada.

« Meglio, molto meglio» gli rispondo con convinzione. Mi guarda allibito. «Meglio? Ti sei fatto Tanya  coscialunga nello stanzino della fotocopiatrice?» «Ahhhh, spiritoso. No. Sono stato preso per la missione della NASA. E mi ha chiamato lei, l’Ape Regina in persona» gli rispondo voltandomi a guardarlo mentre lo sorpasso.

«Cazzo, Cullen. Hai sempre culo tu!» Mi rincorre mentre esco. «Beh allora stasera andiamo a festeggiare?», chiede. «Sicuro amico. Passo a prenderti  alle 10 e andiamo al See Lion giù al Pier 17.

«Wow, serata tette e culi… vuoi prepararti ben bene per il tuo nuovo lavoro, vedo» «Non dire stronzate, Seth, da quello che ho saputo non ha scheletri nell’armadio. Nessun pettegolezzo»

« Ok, allora è frigida» «Ah ah, può darsi, ma chemme frega, l’importante è che partirò per lo spazio, capisci?»

« Ricordati di mandarmi una cartolina» mi stuzzica.

« Con le bellezze verdi  a tre tette di Marte, magari» Mi sganascio dal ridere al pensiero.

 

“Avventura, arrivo!” penso mentre assecondo il moto ondulatorio delle strade del centro di San Francisco. Mi ci è voluto un po’ per abituarmi a quel movimento stile montagne russe, ma da quando mi sono munito di un’auto con le giuste sospensioni, il senso di nausea mi è passato, lasciandomi invece il piacere della guida.

Ora sto per trasferirmi al sud:Texas, poi Florida.

Devo raccogliere, prima della mia partenza, gli appunti del mio lavoro sulle reazioni dell’organismo in assenza di gravità. Chissà se è per quello che sono stato scelto. Anche per il fatto di essere un pilota esperto, questo l’ho capito. Quando il Comandante Swan mi ha chiesto se pilotavo aerei da carico, avrei risposto di sì anche se non fosse stato vero. A costo di passare  notte e giorno sul simulatore di volo.

Arrivo a casa, una bella villetta a due piani rossa in stile antico.

Non ho fame, comincio invece ad organizzarmi per la partenza.

Muso, il Labrador di tre anni che vive con me, mi guarda con i suoi occhi languidi. «Eh no, bello. Stavolta non posso portarti».

«Non credo che faremmo una bella figura se nello spazio ci fossi anche tu. Sembrerebbe una vecchia missione russa».

Chiederò a Leah, la mia ex moglie. Siamo ancora in discreti rapporti, anche se il suo nuovo marito non vede di buon occhio un ex  con il fascino della divisa.

“Ma che se la tenga tutta!”

Non eravamo fatti per stare insieme, ma me ne ero accorto troppo tardi. Per fortuna non abbiamo avuto figli. Ed era anche quello, oltre al fatto che non sopportava  i miei continui spostamenti per lavoro, che mi recriminava. Ora ha due bei marmocchietti biondi che, sono sicuro, impazziranno per il mio Muso. « Ehhh, vecchio mio, non lasciarti strapazzare troppo dai due mostriciattoli» gli dico accarezzandogli la testolona. «Appena mi sarà possibile, ti torno a prendere».

Cosa ne dite? Sono riuscita a rendere il dialogo tra Edward e Seth abbastanza maschio? O è risultato una schifezza?

In ogni caso, mi permetto di suggerirvi di provare la torta, è una ricetta tipica delle mie parti. Buon appetito.

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***


Buona domenica, sta nevicando da voi? Qui da me sì, e tutta sta tormenta,(che comunque io non ho ancora toccato perchè sono ingessata), mi ha fatto venire l'idea per una nuova storia moolto invernale. Ora, però ci dedichiamo al nostro gruppo di professionisti, che invece, si gode il sole della Florida. Ringrazio tutte le gentilissime lettrici che mi fanno la cortesia di leggere la mia storia e, quelle adorabili, che mi lasciano un commento.
Vi aspetto alla fine del capitolo.
Teresa

 

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Capitolo quinto

 

E’ poco più dell’alba di questo sabato di marzo. La spiaggia su cui sto correndo è uno spettacolo per gli occhi. Sono sola, ma non mi pesa. Anzi, direi che dopo la settimana che ho avuto, frenetica e stressante, un po’ di tranquillità non guasta. Ripenso alla serata appena trascorsa e mi sento orgogliosa di me stessa. Ho ottenuto un primo piccolo successo. Il mio embrione di equipaggio si è conosciuto, amalgamato con garbo e divertito pure. Le immagini della serata mi tornano piacevolmente.

 

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http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=QE22ffxFU3g (aprire in un’altra scheda)

 

Eravamo scesi allegri dal pulmino che mi aveva messo a disposizione la Base. John, il nostro autista, ci aveva salutati rigido, sull’attenti.

« Buona serata, Signori». « Grazie, John. A più tardi».

Il locale si era pian piano riempito. Mi ero mescolata tra la folla e, per qualche tempo, mi ero sentita una normale ragazza della mia età.

Avevo ballato, bevuto e chiacchierato, (per quanto il volume della musica lo permettesse), con le mie amiche. Avevo azzardato persino un  imbarazzantissimo lento con Mike Newton.

No. Quell’esperienza non l’avevo ripetuta. Tutto d’un tratto erano usciti di nuovo fuori i rispettivi ruoli e avevo capito che dovevo mantenere un briciolo di distacco. Per distrarmi mi ero ritirata al bancone bar, ad osservare da lontano. Angela e Tyler sembravano trovarsi bene insieme, come pure Jacob ed Alice, che non disdegnava però, di strusciarsi anche con Mike, davanti all’espressione divertita e sarcastica del ragazzo. Rose faceva la diva della serata, ancheggiando sinuosa sulla pista attorniata da un nugolo di sconosciuti maschi sbavanti.

Verso le 23.30 le avevo raggiunte e aiutata dai gesti, avevo fatto capire loro che tornavo a casa e che avrei rimandato, poi, indietro John.

 

***

 

 

Continuo ad andatura costante ascoltando negli auricolari la mia musica preferita. Una compilation dei R.E.M, mi scandisce il passo e mi rilassa l’animo. Mi sento allegra, mi guardo intorno, mi assicuro che non ci sia anima viva. Mi metto a cantare a squarciagola le parole della canzone che ho nelle orecchie: « I AM…I AM SUPERMAN, AND I KNOW WHAT’S HAPPENING…I AM…I AM SUPERMAN AND I CAN DO ANYTHING…» l’ironico riferimento autobiografico  è spassoso.

Ritorno indietro e trovo i miei coinquilini, ciondolanti come zombie, aggirarsi per casa. «Buongiorno, Alice» le dico pimpante. «Esci con me per una corsetta?» «Ma sei fuori? Ho troppo mal di testa.» Mi risponde con una smorfia. «Ah ah ah, sei fortunata che sono di ritorno, altrimenti non te la saresti schivata». Mi fa una linguaccia mentre la sorpasso per andarmi a fare una doccia.

Sono quasi le nove e ho intenzione di trascorrere la mattina a poltrire a bordo piscina leggendo un libro…chissà quanta altra buona compagnia troverò.

Sono lì, sdraiata come una lucertola, al sole. nel mio raggio visivo scorgo le lunghe gambe di Rose, e quelle più corte ed abbronzate di Alice arrostire lucide di olio protettivo. Uno “splash” nell’acqua della piscina mi informa che anche Eric è rimasto in zona.

Controllo l’ora sul cellulare che ho riposto nel vassoio del lettino di plastica bianco. E’ quasi mezzogiorno. E’ ora di prepararsi per andare ad accogliere Jasper. «Ehi, belle addormentate. Venite con me a prendere Jaz?» Propongo loro. « Mmh...c’è da vestirsi?» Chiede assonnata Alice. «Eh, sì. Anche in pompa magna. L’aereo atterra dentro l’area Militare della Base, non credo che il prendisole sia adatto»

«Allora no, grazie. Vai pure tu. Rimango e vi preparo qualcosa da mangiare». «E tu Rose, che fai?» «Aiuto Alice.»

«Ricevuto, girls. State attente alle scottature»

Saluto con la mano Eric, che nel frattempo si sta facendo alcune vasche a dorso.

Mi dirigo verso l’Aeroporto Militare, che si trova a sud della Base.

Dopo poche decine di minuti la torre di controllo mi avverte dell’imminente arrivo dell’Ercules. Mi sposto nella sala d’attesa. Veder atterrare uno di questi bestioni è sempre emozionante, perché sembrano sfidare ogni legge della fisica. Con una manovra perfetta, il Cargo si adagia elegante sulla pista e, rollando sui piccoli pneumatici, si dirige verso la zona scarico merci. Jasper esce dopo pochi minuti dal portellone centrale e, dopo aver consegnato i documenti di volo all’Attendente di Terra, si dirige verso la struttura dove mi trovo. Mi avvicino e lo aspetto sulla terrazza scoperta. «Capitano Hale, ben venuto a Cape Canaveral» gli dico con il sorriso sulle labbra. « Comandante Swan, sei sempre più bella» mi risponde abbracciandomi. Lo ricambio con affetto. Jasper, ha tre anni più di Rose e quindi anche di me e Alice, ma mantiene una vivacità da ventenne. Per non parlare del fatto che nella divisa bianca della marina è splendido.

«Allora, ti sono mancato?» Mi chiede.«Certo, ma soprattutto mi è mancato volare. Ormai sono bloccata a terra da veramente troppo tempo...». «Ohi ohi... Bella, ti stai lamentando di essere diventata un pezzo grosso? Mi viene in mente qualcuno che ti avrebbe risolto volentieri il problema. » Mi guarda malizioso, ma io non raccolgo la provocazione e cambio discorso: « Tutto bene a Washington? Si parla di noi al Pentagono?» «Mmh, sì. Ho visto il generale Rogers molto impegnato ad illustrare le meraviglie del vostro progetto a tutti quei burocrati in divisa pronti a crocifiggerlo al primo sentore di spreco di denaro pubblico». Ringrazio mentalmente la ventata di energia data dal secondo Governo Obama.

« Allora, proprio non sei curiosa…». Capisco dal tono che ha ripreso il discorso precedente.

«No». Gli rispondo perentoria. Continuo a guardare le operazioni di scarico in silenzio. Si appoggia anche lui  alla balaustra della terrazza e mi guarda scettico.

«Ok, sputa il rospo. Hai incontrato James?» Gli dico.

«No, ma in compenso ho la certezza che stia pensando molto a te».

«Come fai a dirlo se non l’hai visto?» Ora sono io a sentirmi scettica.

«Hai presente quell’inglese amico suo, Garrett?» Annuisco con la testa. Lo avevo conosciuto in California ai tempi della nostra relazione.

«Si è presentato un pomeriggio al Circolo degli Ufficiali ed ha platealmente attaccato discorso. Sapeva che facevo parte del tuo equipaggio».

« Ok, vuoi arrivare al dunque, per favore?» Gli dico spazientita.

«Il sunto della chiacchierata è che mi ha chiesto di te, di cosa facevi, se frequentavi qualcuno. Mi ha detto che James frequenta una modella inglese, una certa Victoria, ma che non è niente di serio…e bla bla, bla, … ti manda a dire che se capiti dalle parti di Londra ti vedrebbe volentieri».

Sospiro, e mi astengo da qualsiasi commento.

«Ok. Andiamo, la stiva del C130 è quasi vuota. Devo firmare un po’ di documenti, poi ti accompagno a casa.

 

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Arriviamo alla villetta e accompagno Jasper nella camera che, per ora, dividerà con Eric.

Ho a disposizione altre due costruzioni confinanti sul retro con l’edificio principale. Ho dato disposizione che durante la nostra assenza siano rese accessibili dalla zona piscina e ristrutturate secondo mie precise indicazioni. Tutta la struttura sarà così più funzionale alla presenza di tante persone e si articolerà in un’ampia zona giorno e uffici, due  zone notte separate e una zona fitness.

Trascorriamo il pomeriggio in chiacchiere e programmi per l’immediato futuro. Per l’indomani decidiamo di trascorrere la  giornata all’aperto per vedere le meraviglie naturali che circondano la zona. Prima di cena, però li accompagno al faro dal quale si gode, tutt’intorno, un panorama unico. E’ una tipica costruzione in stile nord europeo, alta e cilindrica. Larghe bande orizzontali nere lo scandiscono fino alla sommità più stretta su cui poggia la lanterna trasparente circondata da una balconata di metallo. Da quest’altezza  si scorgono a perdita d’occhio, da nord a sud, la  raggiera delle quaranta postazioni di lancio dei missili spaziali. Ad ovest gli edifici del Kennedy Space Center ed ad est il blu profondo dell’oceano Atlantico.

Decidiamo di festeggiare la presenza di Jasper godendoci lo splendido tramonto a Cocoa Beach, dove prendiamo l’aperitivo sul molo del Mai Tiki Bar, continuando poi, con una cena sulla terrazza sul mare del Sunset Waterfront Grill.

La mattina dopo ci alziamo di buon ora  e con abiti sportivi, partiamo verso nord per il Wildlife Refuge dell’isola Marriott. Ci addentriamo con le jeep per le piccole e tortuose stradine bianche. Il paesaggio intorno è ricco di laghetti ed estuari. La vegetazione è varia e passa da piccoli cespugli fioriti di cardi e flora selvatica, a masse di mangrovie e alti cipressi. Ci dirigiamo verso il canale Haulover dove si trova il Peace of Mind Kajak tours nel quale noleggeremo  dei kajak. Arriviamo sul molo del canale fluviale e ci dividiamo a coppie.  Nella prima imbarcazione salgono Alice e Jasper, nella seconda Tyler e Mike, poi Rose ed Eric muniti di macchine fotografiche e videocamere nell’ultima io e Jacob. I kajak scendono pigri tra le anse del canale e il solo rumore che si sente è quello delle pagaie che entrano nell’acqua e il ronzio degli insetti. Ci guardiamo intorno nella speranza di scorgere la fauna selvatica della zona, tra cui aironi di tutti i colori, gabbiani, tartarughe, alligatori.  La zona è famosa per la presenza del Lamantino, un tricheco, chiamato anche “vacca di mare” che qui in Florida può raggiungere i quattro metri di lunghezza e i mille chilogrammi di peso. A un certo punto, quando l’imbarcazione davanti a noi è scomparsa alla vista dietro un’ansa ricoperta di ciuffi di canne, la poppa del nostro kajak viene urtata da qualcosa che la  capovolge. Mentre perdo l’equilibrio percepisco la linea scura e dentata della coda di un alligatore che si immerge. « Jake, attento. Alligatori!» Esclamo prima di sommergermi. Riemergo con la testa mentre vedo Jacob alle prese con la bestia. E’ tutto un ribollire di acqua. Jacob si è aggrappato al suo dorso e con le mani gli tiene il muso.

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Con le gambe è aggrappato alla coda della bestia e questa posizione lo costringe ad assecondare i movimenti rotatori e convulsi del sauro che si sbatte e si tuffa dentro e fuori dall’acqua tentando di liberarsi. Mi ci vuole qualche istante per riprendermi dallo shock, ma non posso procrastinare di più il mio  intervento.  L’alligatore sta mettendo a dura prova la resistenza di Jake e lo tiene in immersione sempre più a lungo. Sono terrorizzata. «Aiuto, aiutooo… ». Urlo.

Estraggo il coltello a lama seghettata che tengo legato alla caviglia e cerco di seguire il ritmo delle emersioni. Tra gli spruzzi d’acqua , i ringhi della bestia ed i respiri sincopati di Jake, provo ad avvicinarmi  sempre di più. Dopo un paio di affondi di prova trovo il momento giusto. Mentre il grande petto giallo della bestia è ben esposta, gli pianto, tenendolo con tutt’e due le mani,  il pugnale nel tessuto morbido e lo affondo urlando con quanto fiato ho in gola. Continuo a far scendere nell’addome la lama, mentre l’animale mi trascina sotto. Affondata sotto la sua mole, mi tengo con la mano destra al pugnale, che continuo a spingergli dentro e con la sinistra ad una zampa viscida. Spingo più che posso, sperando di riuscire ad intaccare qualche organo vitale. Mi trovo di nuovo emersa, inspiro aria convulsamente. Tutt’intorno è un ribollire di sangue e viscere puzzolenti. Jake è ancora attaccato al muso, e le zampacce libere mi graffiano come lame di rasoi le gambe e le braccia.

La bestia comincia ad opporre meno resistenza.

Arrivano finalmente i soccorsi. Jasper,  Mike ed Eric, si immergono in acqua e raggiungono Jake imprigionando l’animale. Tyler e le ragazze corrono in mio aiuto e mi trascinano a riva. Giaccio nell’erba stremata. Il cuore ed i polmoni sembrano uscirmi dal corpo. I lunghi graffi sanguinanti, mi pulsano e mi bruciano sulle braccia. Alzo la testa seguendo le scie di dolore che percepisco. E li vedo. Tre lunghi graffi dai contorni gonfi e rossi mi sfregiano le gambe.

Non sembrano profondi, ma so che vanno disinfettati al più presto, perché sono veicolo di sicure infezioni.

In più, mi fanno un male del diavolo.

Finalmente anche Jake è sdraiato sull’erba ed i ragazzi, riescono a staccarlo di forza dall’animale, che ancora si dibatte leggermente emettendo ringhi gutturali.

Stiamo così, distesi affiancati, stremati dalla fatica.

«Gra-zie, Bel-la» sussurra stentato Jake.

Incapace di articolare il benché minimo suono, alzo appena una mano in segno di risposta.

Scioccate? Spero non vi coalizzerete con la Lega per la Salvaguardia degli Alligatori, che procurerà di certo, qualche rogna a Bella. Ora che questo "quasi" riposante fine settimana è passato, partiremo per il Texas, dove finalmente avremo l'equipaggio al completo.
Baci.
P.S: a chi si chiedesse come mai conosco tanti particolari degli States, rispondo che ci sono stata. Chissà che prima o poi non ci infili anche qualche foto fatta direttamente da me...

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***


Ciao, questa volta ho fatto prestissimo, spero non vi dispiaccia. E' che il capitolo lo avevo già in testa, e non vedevo l'ora di farvelo leggere.
La prima foto, quella in cui si intravede la sagoma dell'alligatore, l'ho scattata io in Florida, come pure quella della ripresa area che ritrae un caleidoscopico Golfo del Messico. Non c'è manipolazione, la colorazione è dovuta al sole che si rifletteva sull'acqua, presumo.
Spero che la trama vi piaccia, ci ho messo tutto quello che potevo, humor, scienza, sensualità...se non riuscite a coglierli, è colpa mia che sono una schiappa come scrittrice.
Vi aspetto sotto.

 

 photo 0998dbf8-a29e-4e7e-b0eb-280f67eeaf43_zps2753e670.jpg introduzione

Capitolo sesto

Eccomi sdraiata  in un lettino candido dell’infermeria della Base. Sono subissata dalle visite, dalle telefonate, dalle mail. Le visite più gradite sono quelle degli amici e dei colleghi. Quelle più sgradite sono quelle dei giornalisti.

La telefonata più importante, però,  l’avevo ricevuta dal Generale Rogers. All’inizio, avevo temuto di aver perso il posto. Poi durante la sua sfuriata, avevo invece creduto di aver bisogno di un avvocato. Alla fine, dopo parecchi minuti di frustrante ascolto, lo avrei voluto mandare a quel paese.

“AL DIAVOLO LA DIPLOMAZIA. COSA AVEVO FATTO DI  MALE, POI?”.

Avevo solo prestato soccorso ad un collega e magari salvato anche me stessa. Chi lo dice che l’animale avrebbe trovato di suo gradimento Jacob? Avrebbe potuto dirigersi su di me. Ma il Generale Rogers, era furibondo.

Avevo sentito squillare il telefono, il numero era il suo.

« Pronto General…»

«MA.COSA.CAZZO.TI.E’.PASSATO.PER.QUELLA.TESTACCIA.DURA, …EH SWAN? » Mi aveva assalita. «SONO DA ORE AL TELEFONO CON TUTTI QUELLI CHE NON HANNO NIENT’ALTRO DA FARE CHE PENSARE ALLE STUPIDAGGINI CHE FANNO I DIPENDENTI DELLA NASA IN FLORIDA!».

«Mi scusi Generale, non era mia intenzione metterla in imbarazzo». Gli dico sconsolata. «LO SPERO BENE! Mi ha chiamato la Direzione generale dell’Associazione Ambientalista. Lo sapevi di essere in una riserva naturale, Swan? Lo dovevi ammazzare proprio lì l’alligatore? Mi hanno chiesto la tua pelle! Ho risposto che anche tu fai parte di una specie protetta, ma che non lo avresti fatto più. COME ALLE ELEMENTARI, CAPISCI? Si aspettano le NOSTRE scuse pubbliche» Sono mortificata, ma anche stanca e provata e le lacrime mi premono negli occhi. Dal letto vicino al mio Jacob Black mi guarda preoccupato. E non è il solo. Nella stanza ci sono almeno una decina di persone e sto ricevendo una sacrosanta ramanzina dal capo in pubblico. Il Generale urla talmente forte, che devo tenere il telefono scostato dall’orecchio, con il risultato che sembra in vivavoce.

«Poi, Swan vuoi sapere chi mi ha chiamato?» Taccio, tanto capisco che è una domanda retorica. « Mi ha chiamato il Governatore dello stato della Florida, in persona. Per dirmi, che sotto il suo palazzo a Tallahassee, c’è un nutrito stuolo di antimilitaristi che protestano per la riapertura della base di Cape Canaveral. Hai combinato un bel casino!» Guardo allibita le altre facce intorno. Alice, Rose, Jasper, Tyler,  Mike, Eric…Angela ed altre di cui non mi curo più di tanto. Cerco di leggere nei loro volti  e vedo che sono come il mio: sbalorditi, increduli, preoccupati… nessuno ha un’espressione d’accusa, anzi mi fanno cenni di sostegno ed Alice sembra fremere dalla rabbia. Sento Jacob chiamarmi sottovoce e chiedere di poter parlare lui col Generale. Gli faccio cenno di no, la responsabile sono io, nel bene e nel male.

«…E poi sai chi ha chiesto di parlare con me Isabella?» Continua il Generale. Gli rispondo che non lo so, ma mi accorgo che urla di meno e il suo tono è meno brusco.«Il Segretario Generale del Pentagono, che ha ricevuto a sua volta una telefonata direttamente dalla Casa Bianca». Il silenzio è talmente assoluto, che si percepisce il rumore delle auto della vicina provinciale. «Mi ha lodato per l’ottima squadra di lavoro e si è complimentato con me per averti scelta in qualità di Comandante. Mi ha detto di riferirti che “il Presidente è orgoglioso del tuo  coraggio e sprezzo del pericolo”. BRAVA, SWAN. E’  questo che voglio dai miei uomini: ABNEGAZIONE E SANGUE FREDDO.» «Grazie, Generale. Arrivederci.» Chiudo la comunicazione letteralmente frastornata. Un urlo di gioia si sprigiona dai presenti, che si danno grandi pacche sulle spalle a vicenda e mi sommergono d’effusioni. «Ahi, ahi, Rose, attenta per piacere». Mi lamento. «Oh scusa Bella, ma ho avuto tanta paura».

«Anch’io, te lo assicuro. E non solo dell’alligatore».

Guardo loro e Jake e scoppiamo tutti in una risata liberatoria.

Mi sveglio nella fresca penombra dell’infermeria. Le veneziane abbassate creano lunghe strisce grigie e arancio sulle pareti. Un’infermiera nella sua tenuta bianca è alle prese con Jacob nel letto affianco. « Ecco, questa è l’ultima iniezione, dovrà tornare domattina per controllare le medicazioni». «Grazie» lo sento rispondere.

L’infermiera si volta. Sul cartellino di riconoscimento c’è scritto Mary Brown. «Bene, comandante, vedo che s’è svegliata. Anche a lei devo fare l’ultima iniezione d’antibiotici e controllare le fasciature.» Appoggia il vassoio sul comodino , esegue l’iniezione e stacca, con delicatezza, il grosso cerotto che ho sul braccio sinistro.

Vedo le stelle dal dolore. Stringo i denti, ma una smorfia mi contrae il viso. «Scusi, Signora, ma devo controllare le ferite». «Lo so, faccia pure».

Con competenza e gentilezza mi apre tutte le fasciature, e mi cosparge i lunghi solchi rossi di un fresco gel trasparente.

«Non sono profondi, vedrà che domani si formeranno le croste e prestissimo sarà come nuova» mi rincuora. «Grazie, Mary, sono contenta di saperlo. Temevo che sarebbero rimaste le cicatrici».

«Oh, noo, tranquilla. Ma in ogni caso qui alla Base non si fa che parlare di quanto sia stata coraggiosa». Mi sorride, raccoglie le sue cose ed esce.

Verso le diciotto entrano Rose e Jasper. Alice li segue leggendo alcuni fogli.

«Allora sfaticati, siete pronti a levare le tende?» Ci aggredisce Jasper.

«Possiamo?» Chiedo speranzosa.

«Sembra proprio di sì. Il medico di turno mi ha detto che avete bisogno solo di qualche giorno di riposo, è tutto scritto qui, vedi?» Mi dice Alice sventolando i fogli che stava leggendo.  Jacob è in piedi in un attimo. Io lo imito a mia volta.

Sto per appoggiare i piedi per terra quando, rapidissimo, Jasper mi raggiunge e con mia grande sorpresa, mi prende in braccio.

« Ehi, ma che diavolo stai facendo?» Mi lamento. «Guarda quanti cerotti che hai, non posso mica far camminare l’ammazzasette della Florida!» «L’ammazzachecosa?» Gli chiedo mentre , dalla mia posizione sopraelevata, guardo la sua espressione beffarda. «Eh sì, mia cara, ormai la notizia ha fatto il giro degli States, non mi meraviglierei se si sapesse già anche oltreoceano…, ci guarda con fare cospiratorio e continua sussurrando:« Siete il pettegolezzo del giorno, Eric ha già ricevuto centinaia di tweet di congratulazioni dai commilitoni di tutto il Paese.»

MMh ci mancava anche questo. Penso.

Nei due giorni dopo resto alla villa, come consigliato dal medico. Dallo studio di casa mi tengo in contatto con i miei ragazzi per organizzare la partenza per Houston. Jasper non scherzava, su Youtube c’è addirittura un video di me e Jacob mentre veniamo ripescati insieme all’alligatore. Sono sotto i riflettori e la cosa non mi entusiasma troppo. Apro la mappa dello spazio aereo per calcolare rotta e orario di partenza.

 

Allora, Il Capitano Cullen partirà da Los Angeles Mercoledì alle 6.00 ora della California,  e dovrà compiere un volo di 1373 miglia. Calcolando circa sette ore di volo compreso lo scalo tecnico in New Mexico per il rifornimento e sottraendo le due ore di fuso orario in meno, arriverà ad Houston all’incirca alle 11.00 ora del Texas.

Ecco che, quindi,  considerando che noi voleremo su un aeromezzo per trasporto leggero e che avremo da percorrere in una sola tratta 847 miglia, ce la caveremo in poco più di tre ore. Alle quali però devo aggiungere un’ora di fuso in più e la possibilità di dover deviare leggermente la rotta a causa di possibili formazioni cicloniche sul Golfo del Messico. Chiederò lo spazio di decollo anche qui per le 6.00 ora della Florida, per essere a Houston poco dopo le 10.00 ora del Texas.

Mi collego alla torre di controllo per richiedere le relative autorizzazioni. Spedisco una copia della mail al Generale Rogers ed una ad Angela perché diffonda al gruppo il programma del viaggio.

 

 photo trio_zps2436e8c2.jpg introduzione

Mercoledì mattina, prima dell’alba, prendiamo i bagagli, chiudiamo casa e ci dirigiamo verso l’aeroporto. «Tutto a posto Jacob? Te la senti di affrontare il viaggio?» Gli chiedo. «Sto benissimo, grazie. E tu?  Le tue escoriazioni?» «Bene, anche se i graffi mi dolgono ancora un po’ e rendono più rigidi i movimenti». «Se hai problemi per pilotare…». «Non credo di avere grosse limitazioni, ma siccome non ti ho ancora visto in assetto di volo, avevo già deciso per questa volta di ritagliarmi il ruolo di Terzo pilota. Lascerò a Jasper il Comando e a te quello di Secondo».

«Splendido, Grazie mille» mi risponde con un sorrisone.

Ci ritroviamo tutti nella sala adibita al personale di volo, in attesa che  al nostro aereo vengano terminati il rifornimento di carburante e gli ultimi controlli di routine. Il volo trascorre tranquillo. Jasper e Jacob sembrano in perfetta armonia. Sul Golfo del Messico non troviamo altro che i soliti cumuli Nembi.

 

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Atterriamo a Houston alle 10.15 ora locale. Sulla pista un drappello in divisa ci aspetta. Tra le persone presenti riconosco le fisionomie del capitano McCarty e del Tenente Stanley.

Rolliamo dolcemente sulla pista e ci avviciniamo all’edificio della torre di controllo.

Scendiamo e ci avviciniamo al gruppo.

« Benvenuti in Texas mi dice la Stanley allungandomi la mano. E’ una brunetta dall’aria simpatica e di un solo anno meno di me.

«Gran bell’atterraggio, Signora». McCarty è il ragazzone che mi ero immaginata: trentacinque anni, capelli corti biondi, tagliati a spazzola, fisico possente da Marine.

Ci spostiamo all’interno per chiedere notizie del Cargo in arrivo.

L’addetto alla torre di controllo mi conferma di essere già in contatto radio col pilota. Lo vediamo atterrare una ventina di minuti dopo.

Il Jumbo verde si appoggia con delicatezza e manovra elegante verso l’hangar che gli è stato assegnato. L’addetto di terra lo  ha già raggiunto con la jeep. Poco dopo ne escono i due piloti.

Il secondo, da lontano, mi sembra il Capitano Cullen.

La Jeep torna sui suoi passi. Ne scendono i due uomini, il primo è Paul, pilota di grande esperienza, che conosco già da anni.

«Salve, Paul. Fatto buon viaggio?» «Perfetto. Grazie. Il tuo nuovo acquisto sa il fatto suo su questi gingilli» mi dice sottovoce. Gli stringo la mano che mi ha allungato e guardo oltre la sua spalla.

«Mi fa piacere saperlo. So che del tuo giudizio mi posso fidare.»

Mi allungo verso l’uomo in attesa. E’ alto ed ancora più affascinante che in foto. Mi sorride, lo sguardo nascosto dagli occhiali scuri.

Rispondo al suo sorriso in attesa che si presenti. Mi sorprende irrigidendosi e potandosi una mano alla fronte in segno di rispetto.

«Capitano Edward Cullen. Per servirla, Signora»

Svenire su questa pista non sarebbe un buon inizio…

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Ci dividiamo. Io ed Alice seguiamo le operazioni di scarico e trasporto delle nostre attrezzature verso la Base di Houston.

Angela prosegue nel programma che abbiamo stabilito e accompagna il resto del gruppo verso il residence  appena fuori dalla Base in cui abiteremo durante la nostra permanenza in Texas.

Ci ritroviamo giusto per cena alla steak house più vicina. La serata trascorre serena, ma sono veramente provata dalla giornata, saluto e mi ritiro presto.

 

***

(Edward)

Non riesco a dormire, fa caldo e l’afa peggiora le cose. Mi sono alzato e mi sono versato, al buio, un bicchiere di acqua preso dal distributore automatico. L’ho riempito di cubetti di ghiaccio che ho trovato nel freezer verticale al quale sono appoggiato. Ne sto succhiando avidamente uno quando sento dei passi e inconsciamente mi schiaccio ancor di più nel cono d’ombra dell’elettrodomestico. Dopo pochi istanti intravedo una figura che cammina nella mia direzione. E’ lei. E’ il Comandante. La luce della luna che si infila nel portico, la rende visibile a tratti. Cammina a piedi scalzi, indossando un paio di pantaloncini corti e una maglietta senza maniche. La pelle scoperta mostra le lunghe strisce brune che le ha lasciato l’avventura in Florida. I lunghi capelli castani, sono sciolti e arruffati. Ha un aspetto curioso, un misto tra una ragazzina al campo estivo e una amazzone selvaggia della giungla.

Non mi ha visto, né io ho ancora palesato la mia presenza. E’ ormai a pochi passi da me e sono sicuro che si spaventerà. Ma ricordo della forza e del coraggio che ha da poco dimostrato e temo che reagirà in modo spropositato. Non ci tengo a lottare con lei, la conosco da nemmeno mezza giornata!

“COSA FACCIO, COSA FACCIO?”. Penso disperatamente. Ho una mano impegnata dal bicchiere che non so dove appoggiare.

La devo bloccare, mentre mi faccio riconoscere. Ma di sicuro le verrà da urlare.

“NON SONO UN POLPO, NON HO ARTI A SUFFICIENZA.”

Non c’è più tempo, mi è già accanto e ha voltato di scatto la testa nella mia direzione percependo la presenza. Ma io sono pronto, o quasi. La blocco con il braccio libero, e la imprigiono con l’altro attento a non farle una doccia gelata. Intravedo la sua espressione impaurita e la sua bocca che si apre. E’ un attimo. Mi tuffo su di lei e la bacio.

 

***

(Bella)

“Che caldo, non si respira!”. Mi giro e rigiro nel letto, ma non trovo sollievo. E’ marzo, e l’aria condizionata non è ancora stata accesa. “Basta. Mi alzo e vado nel patio sul retro del residence dove ho visto il distributore dell’acqua”. Non mi curo di vestirmi, non sento rumori, e sembra che tutti dormano. “BEATI LORO”. Penso.

A piedi nudi cammino nella notte. I raggi della luna mi indicano, tra una colonna e l’altra del portico, la direzione. In fondo, avvolto nell’ombra ricordo, più che vederlo, il boccione che tanto agogno.

Rallento dopo aver attraversato l’ultimo fascio di luce. Aguzzo la vista, ma c’è troppo buio. Penso di essere arrivata quando percepisco di non essere sola. Mi si accappona la pelle, i capelli mi si rizzano letteralmente sulla testa. Mi volto verso la presenza estranea e apro la bocca per urlare. Un braccio possente mi agguanta, mentre un altro m’imprigiona in un abbraccio ferreo. Sono terrorizzata ma l’urlo che sento salire dalla mia gola gorgoglia bloccato da due labbra fresche e morbide che si stampano sulle mie.

Sono allucinata, CHE CAVOLO STA SUCCEDENDO?

L’aggressore non accenna a muoversi. Mi stringe a sé immobile.

Mi rilasso appena. Non mi risulta che i malintenzionati bacino, prima, le loro vittime.

Solo non capisco.

 Le labbra diacce dello sconosciuto si muovono appena. Le sento far scivolare, tra le mie, un pezzetto del ghiaccio che l’uomo stava succhiando. Ricevo tra mille brividi quell’inaspettato dono, che si scioglie in bocca paralizzandomi i sensi, come pure le gambe, come la mente. Non sono mai stata baciata in questo modo così intimo.

«Shh, Comandante. Sono Cullen. » Lo sento bisbigliare sulle mie labbra. Le stacca del tutto dalle mie, mantenendo però il contatto delle fronti. Sono ancora sotto shock, lui mantiene la presa. « Tutto a posto… Isabella? Posso liberarti?»

«S-ì… cre-do …di sì» balbetto.

Mi sento lasciare delicatamente. Rimane un attimo fermo forse per accertarsi che mi regga in piedi.

«Bene. Buonanotte». Si abbassa ancora e mi appoggia un ultimo rapido bacio sulle labbra. Si volta e scompare nel buio.

Rimango inebetita a guardare il vuoto. Scorgo la sagoma dell’erogatore dell’acqua. Improvvisamente mi mancano le forze. Mi ci appoggio per non cadere. Respiro affannosamente mentre con una mano tremante cerco i bicchieri puliti.

“ E ADESSO, COME FARO’ A DORMIRE?”

introduzione

Cosa ne dite? Vi aspettavate un incontro così ravvicinato? E una ramanzina del genere dal Generale?
Fatemi capire cosa piace e cosa no. E' vero che la storia ha un suo stile... ma si può sempre migliorare. X domenica, logicamente, non credo di essere pronta con il prossimo capitolo. Dipende dall'ispirazione, ma vorrei andare avanti ancora qualche pagina con la mia nuova storia, che sta già prendendo forma.
Baci a tutte,
Teresa

 

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


introduzione

Ciao, ho cercato di essere veloce, perchè in questo capitolo si conclude l'avventura notturna di Edward e Bella...per ora almeno. Vi ringrazio come sempre e vi esorto a farmi sapere cosa ne pensiate.  
Lo voglio dedicare a Mikkiko78, molto preoccupata di non poter continuare a postare con la rapidità di sembre le sue bellissime storie.
Non preoccuparti, carissima, la tua salute mi è preziosa ancora più dei tuoi racconti... e sai che mi piacciono tanto. Rimettiti presto!
Un bacio grande assolutamente a tutte,
Teresa

 

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Capitolo Settimo

 

(Edward)

 

“ERO SCAPPATO. ERO LETTERALMENTE SCAPPATO!”

Tra tutte le soluzioni che mi potevano venire in mente, io cos’avevo scelto? Quella del maniaco!

L’avevo aggredita. Ed era il mio capo. Si sa che non c’è cosa peggiore delle molestie sul lavoro.

Cioè, non eravamo proprio sul luogo di lavoro... ma comunque se si venisse a sapere...

Ma il fatto peggiore è che non mi ero neanche scusato.

Ma scusato di cosa, poi? Del fatto che l’avevo braccata al buio, potrebbe pensare lei.

Del fatto che mi aveva appena conosciuto ed io avevo già fatto una cazzata, probabilmente.

Non potevo certo scusarmi di una cosa che, dopo il mio primo gesto sconsiderato, mi era piaciuta così tanto.

L’avrei pure offesa.

 Cosa le dicevo: « Scusi , capo, l’avevo presa per un’altra persona...», oppure: «Guardi, mi impaurisce talmente tanto che ho dovuto renderla inoffensiva...». Questo ragionamento rasentava un po’ la verità,  ma non era il caso di dirglielo.

Passare per maniaco poteva andare,  ma per checca no!

 

In ogni caso ora sono qui nella mia stanza, seduto sul letto a guardare uno stupido quadro appeso al muro, ripensando che ciò che ha rovinato definitivamente la mia carriera, sia stata l’esperienza più intensa della mia vita. Forse potrei impietosirla dicendo di avere un cane da mantenere.

Mi strapazzo i capelli con le mani, quasi li estirperei tanto sono stato stupido. E’ che, in un attimo, sono passato dalla posizione di difesa a quella d’attacco.  

E mi è piaciuto. Da impazzire.

Anzi ho pure fatto fatica a rimanere lucido. L’avrei schiacciata al muro e in due mosse le avrei strappato quei miseri pezzetti di stoffa che erano d’intralcio. E allora sì, che ci  saremmo rinfrescati. Perché se  era lì, aveva caldo pure lei. Ma io avevo quei meravigliosi cubetti di ghiaccio...mmhh.  L’avrei sfiorata con quelli e avrei seguito con la lingua i  brividi che  la scia liquida le procurava...mmhh...

 

“E ADESSO COME FACCIO A DORMIRE?”

 

Sento la porta aprirsi delicatamente. E’ quel tal McCarty con il quale divido la stanza. Mi osserva stranito e mi chiede: « Ehi amico, che hai,  stai male?» «Nooo, rantolo mentre mi sdraio sul letto. Sono finito. Mi sono rovinato con le mie mani.»

«Scusa? Che stronzata avresti combinato?»

Mi torno ad alzare e lo guardo fisso. Prendo coraggio e sputo in fretta: « Ho tirato un’imboscata alla Swan… e l‘ho baciata!» Mi rimetto a sedere con la testa tra le mani.

«UAH AH AH AH AH… UAH AH AH AH AH IH IH AH AH AH!» L’armadio biondo si contorce dalle risate sul suo letto dandosi grandi manate sulle gambe. «Tu, ih ih ih, hai baciato il Comandante… ah ah ah e l’hai fatto contro la sua volontà, pure,…ih ih ih . » Smette improvvisamente di ridere e mi fissa. « Amico, sei coraggioso, ma  pure fesso.»


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(Bella)

 

Mentre barcollo verso la mia stanza cerco di ritornare in me.

Cosa mi ha colpito, un uragano? Che ci faceva Cullen in quell’angolino buio. Non stava aspettando me di certo, non poteva sapere che sarei andata lì. Una certezza si fa largo tra i miei dubbi.

HO SOGNATO, HO SOGNATO TUTTO. SONO PURE SONNAMBULA!

Ma accidenti che sogno, sembrava così vero.

Devo essere più stressata di quel che pensassi.

Ho bisogno di una vacanza. 

MA SOPRATTUTTO HO BISOGNO DI UN UOMO.

 

 Mi siedo sulla panchina vicina all’aiuola fiorita. Le gambe non mi tengono, devo fare una piccola pausa.

Cullen, perché poi mi sarei dovuta sognare Cullen? Medito. James, avrebbe una logica. Jasper, sarebbe quasi plausibile… Jacob, se proprio proprio, visto cosa ci è successo insieme…

Ripercorro mentalmente il film della giornata.

L’ho visto atterrare all’aeroporto. Sì, effettivamente ha fatto una manovra perfetta.

Mi ha salutato in maniera impeccabile…un altro punto per lui. A tavola mi ha aiutato con la sedia …galante. Ha parlato poco, ed in modo tranquillo.

Insomma: è bello, non c’è che dire.

Giustamente maturo, con i suoi trentasei anni.

Professionale ed educato.

Ma me lo sono immaginato addosso e, sinceramente, mi spiace di essermi svegliata. Mi sento ancora tutta un fremito, ed almeno in sogno avrei potuto arrivare al sodo. Ma forse mi ero svegliata proprio perché ero arrivata in fondo al portico. Un orgasmo in piedi poteva risultare pericoloso.

 

Mentre rifletto sulle mie perversioni vedo Alice e Jacob rientrare insieme.  Si fermano su un lettino vicino al bordo più lontano della piscina. Lui si sdraia e lei gli sale cavalcioni. Si abbassa e lo bacia in modo vorace, mentre si dimena strusciandosi su di lui.

Mi alzo e senza far rumore mi dileguo velocemente. Nello stato in cui mi trovo mi  manca  solo di fare la spettatrice.

Torno in camera e vedo che Rose è tornata. «Ehi, non ti ho trovata al mio rientro.» Mi dice. «Mmh, sì. Sono andata a fare un giro, non avevo sonno.» Le dico in modo vago. «E tu, ti sei divertita?» Sto giocando  la carta della distrazione. «Sì, Emmett è veramente simpatico. E’ di queste parti e conosce un sacco di posti carini. Mi ha portato in un locale in stile cowntry dove delle pazze montavano il toro meccanico.»

PAZZE CHE MONTANO IL TORO MECCANICO… SEMBRA LA CRONACA DELLA MIA NOTTATA. Mentre ci penso sento una contrazione delle pareti più intime.

« Abbiamo bevuto birra, ballato e mi ha guardato con gli occhi dolci per tutta la sera» continua lei. «Bello, e poi?» Le chiedo per non soffermarmi sugli  occhioni verdi che continuano ad entrarmi nei pensieri.

«E poi niente. Gli ho giusto dato un bacetto a fior di labbra prima di salutarlo e spedirlo nella sua camera. Sono una ragazza seria, io. Non la do certo via alla prima uscita.»

 GIUSTO. UNA RAGAZZA SERIA NON LA DA’ VIA ALLA PRIMA USCITA... NEMMENO IN SOGNO

OH CRISTO, STO IMPAZZENDO!. Mi piacerebbe raccontare del mio sogno a Rose, ma mi vergogno troppo. Domani, penso.

Sì, magari domani a mente serena, troverò la giusta dimensione alla cosa e ci  faremo, con Alice e Rose, un sacco di risate.

 

Sono poco più delle sette del mattino, mi dirigo, nella sala comune adibita a cucina. Mi sento gli occhi gonfi e pesanti. Non ho dormito granché e il mio umore è pessimo. Al tavolo, seduti, ci sono già Angela e Tyler, la Stanley, McCarty e Cullen. Mi sposto verso la brocca del caffè studiando di sottecchi la strategia da adottare.

 Farò, naturalmente, finta di niente anche perché l’imbarazzante fatto è tutto frutto della mia mente malata. Ma mi metterò seduta il più lontano possibile da Cullen che sembra molto interessato alla decorazione interna della sua tazza.

La sta studiando accuratamente, che strano!

Mi servo, prendo una confezione di biscotti secchi e mi siedo nell’angolo opposto del tavolo, vicino a Jessica. Incomincio, con lei, quel discorso sulla sicurezza della rete dei pc, che mi preme tanto.

Vedo McCarty e Cullen parlottare sottovoce, e sento il primo ridere rumorosamente.

 

(Edward)

Ho trascorso una notte orrenda, mi sono alzato presto perché era inutile procrastinare ancora l’incontro. L’avrei vista, le avrei chiesto se mi permetteva di parlarle in privato.

Nel momento in cui è entrata, però, tutto il mio coraggio è svanito e mi sono rimpicciolito il più possibile, nascondendomi dietro la massa corporea di quell’orso di McCarty. «Ehi, Cullen. Sei sicuro di quello che hai fatto stanotte?» Mi dice sottovoce dandomi una gomitata nel fianco. «Il Capo non ti ha nemmeno degnato di uno sguardo...non mi sembra che tu le abbia fatto una gran impressione. Mi sa che devo darti qualche lezione su come bacia un vero uomo del sud. Ah ah ah»


 photo Texas_6_Houston_NASA_SpaceControlCentre_g_zps88bc5c74.jpg style="text-align: justify; line-height: 200%;">(Bella)

 

Alle otto e venti arriva il bus che ci porta alla base.

E’ divertente il cambio di abitudini a cui ci dovremo abituare.  In teoria il residence in cui abitiamo, dovrebbe essere, a detta delle persone con cui ho parlato, appena fuori dal settore  centrale della NASA. Ma conoscendo Houston so che si tratta di una metropoli di più di cinque milioni di abitanti e dall’estensione gigantesca.

 

Le porte pneumatiche del bus si aprono davanti all’ingresso principale, che mancano solo dieci minuti alle nove. Lascio agli altri il tempo di scendere, mentre li guardo assorta.  La scena che mi si presenta quasi mi commuove. Undici belle persone, diverse, per età e provenienza accomunate da un fine comune: lo stesso che ha portato anche me qui con loro. Rose ed Eric, eleganti nei loro completi da “ufficio”, risaltano sugli altri che invece indossano le polo azzurre con il logo NASA. Più che piloti e scienziati, sembrano compagni di classe in gita scolastica.

Alice si volta, segue il mio sguardo e mi esorta agitando un braccio:« Su, mamma chioccia, smetti di rimirare i tuoi pulcini e scendi».

NO, penso, NON HANNO L’ASPETTO INDIFESO DI UNA COVATA DI PULCINI. Mi affretto a seguirla, sempre più convinta di aver trovato   le mie “mosche bianche”.

 

Mentre il Kennedy Space center di Cape Canaveral è da considerarsi la Base da cui vengono effettuati i lanci spaziali, il Lyndon B. Johnson Space Center di Houston, è la vera sede operativa delle missioni. In questo luogo vi sono i migliori laboratori, le sale operative che mantengono i collegamenti con lo spazio e le attrezzature di addestramento per gli aspiranti astronauti.

Ci accomodiamo al tavolo da riunioni di una delle sale a nostra disposizione. Come solito io ed Alice sediamo ai due capitavola.

«Eccoci qui, tutti, al Johnson» inizio guardandoli in volto uno ad uno.

«Questa struttura ha la possibilità di offrirci tutto quello che ci serve per essere pronti alla missione per cui siamo stati tutti ingaggiati. Come credo sappiate il Sistema Shuttle sta per essere pensionato, il nostro sarà, probabilmente, l’ultimo progetto che usufruirà di questo tipo di mezzo di volo. Starà a noi, la realizzazione, di quelle innovazioni che faranno da collegamento tra il vecchio sistema e quello futuro. Per realizzare ciò, la Direzione Nazionale ci ha concesso una delle tre navette tutt’ora attive, precisamente il Discovery».  Faccio una brevissima sosta per collegare le idee. Undici volti attenti pendono dalle mie labbra.

«Oggi è giovedì e  abbiamo due giorni per ambientarci e stilare il programma delle settimane future, perché come vi avevo avvertito, sabato parteciperemo alla Conferenza annuale della American Geophisical  Union, di San Francisco. Tra l’altro, per chi non ne fosse al corrente,  il qui presente Capitano Black, sarà tra i  relatori». «Qui ci vorremmo inserire noi, se non ti dispiace, Bella» interviene Rose. «Io ed Eric,  ci siamo messi in contatto con Planetary Society» Mentre parla guarda Eric che annuisce e prosegue per lei. «Planetary Society, è un’organizzazione che supporta e sponsorizza progetti per l’innovazione nelle tecnologie per lo Spazio. Abbiamo parlato con loro e si sono dimostrati molto interessati al nostro progetto, e ci incontreranno a San Francisco  all’interno degli spazi adibiti alla Conferenza.» Un brusio di approvazione sale dalle persone intorno. « E volevo dire, anche…»  dice Rose facendo una  pausa ad effetto e guardando  prima me, poi Alice: «…che al termine della giornata di sabato, siamo stati invitati, come ospiti d’onore al Party di Gala ». Quello che prima era un brusio sommesso, diventa un allegro cicaleggio. « E’ stupendo, Rose!» esclama Alice.

«Sì, veramente. Avete fatto un ottimo lavoro». Guardo soddisfatta Rose ed Eric, che si danno platealmente un cinque con la mano.

«A proposito, Rose, dicevi che è un ricevimento di gala?» le chiedo con una smorfia.

«Oh sì. E’ richiesto l’abito da sera. Niente uniformi, stavolta.»

PECCATO, penso. Mi sarei sentita decisamente più a mio agio.

«Dell’abbigliamento ci penso io. Chi non avesse, casualmente, un abito lungo…» Alice fa scorrere lo sguardo sulle donne, « … o uno smoking», questa volta si rivolge agli uomini, «è pregato di presentarsi nel mio ufficio già da oggi pomeriggio. «Angela ci pensi tu a distribuire gli appuntamenti?» «Certo Alice» risponde sicura la ragazza.

«Abiti da sera. Ammettilo Rose, questo impegno lo hai preso per far felice Alice.» Le dico acida. Rose mi guarda seria. « No, vedrai, è molto importante per la nostra immagine pubblica. Ci saranno anche il Generale Rogers e gli alti papaveri al vertice militare…Però non nego che non vedo l’ora di passare una serata finalmente in mezzo alla gente che conta.»

«Mmh, grazie» le dico. «Oh, non prendertela, Bella, ho passato splendide serate anche in compagnia tua» mi risponde facendomi gli occhi dolci.

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


introduzione

Ciao, eccomi puntuale con il nuovo capitolo. Spero che vi piaccia, perchè sia il testo che le immagini mi hanno impegnato parecchio.
Saluto, come solito, tutte le fantastiche persone che mi seguono e ringrazio anticipatamente quelle che mi lasceranno un commento.
Vi aspetto sotto per le ultime considerazioni.

 

Se riuscite, vi suggerisco di aprire i link musicali che vi ho aggiunto. Io li ho trovati evocativi. Buona lettura.
Teresa

 

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Capitolo ottavo

Atterriamo all’aeroporto civile di san Francisco nel tardo pomeriggio di venerdì, dopo aver sorvolato in cerchio parecchie volte la città in attesa che la torre di controllo dia il segnale di via libera.

Stavolta sono seduta comodamente tra i passeggeri del volo di linea della Delta Airlines e spero che il nostro pilota non abbia la mia stessa avversione per le piste circondate dall’acqua. So che sembra impossibile per una come me che ha effettuato centinaia di decolli e d’atterraggi, ma vedere quella strisciolina lì sotto, che sembra non permettere il minimo margine di errore, mi procura sempre qualche brivido.

 Ci dirigiamo, tutti insieme, a recuperare  i bagagli. Avanti a tutti sta un’agguerrita Alice che, con sguardo truce, borbotta anatemi contro chiunque voglia mettersi tra noi e le nostre preziosissime valige. Dentro infatti, c’è il costoso frutto della sua fatica, in quanto  a tempo di record ha organizzato, preso misure, ordinato e ritirato, gli abiti per l’intervista a Planetary Society e per il party post conferenza. 

Per nostra fortuna, e degli ignari ma intimiditi addetti al deposito, i nostri bagagli sono in bella mostra sul carrello elettrico in arrivo dalla stiva del Bojng 748 sul quale abbiamo viaggiato.

All’uscita ci dirigiamo verso il garage delle auto a noleggio e ritiriamo i due SUV sette posti che Angela ha prenotato.

Al volante del primo si posiziona Cullen che, in qualità di residente di questa metropoli si propone come guida.

Mi appresto a prendere il mazzo di chiavi del secondo automezzo, quando un ossequioso McCarty, allunga una mano e con un inchino me lo sottrae. «Permetti, capo, che guidi io? Vorrei che ti accomodassi al fianco di Cullen e controllassi dove ci porta, perché lui dice di conoscere la città, ma mi sembra un po’ perso in questi giorni». Mi guarda malizioso e si volta verso Cullen strizzandogli un occhio.  Non me la sento di rifiutare ma mi siedo sul sedile vicino all’autista come se fossi sulle spine.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=45sYgaaIZ4E (aprire in un’altra pagina)

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Partiamo e veloci percorriamo le poche miglia che ci separano dalla città. Entriamo nella city proprio attraversando il Golden Gate Bridge, che si staglia nel cielo scarlatto della incipiente sera, impreziosito da una miriade di lampadine bianche che lo fanno assomigliare ad un regale diadema. L’ambiente intorno è fantastico e penso con un sospiro a quanto siano fortunate le persone che vivono ogni giorno questo spettacolo.

«Bello, vero?» Mi dice Edward seguendo la direzione del mio sguardo.

«Impressionante» gli rispondo ammaliata. «Sembrerebbe facile decidere di fermarsi a vivere qui» Continuo mentre  di sottecchi osservo il suo profilo immergersi nello splendido skyline cittadino.

«Lo è, in effetti. Non sai quanto sia felice di esserci di nuovo ».

«Ti manca la famiglia?» Gli chiedo imbarazzata.

«Non proprio. A dirla tutta di qualcuno sento la mancanza, ma è il fatto che questa città riesce a conquistare il cuore. E’ così liberale e trasgressiva che puoi sentirti te stesso in ogni circostanza. E’ una sensazione unica».

E’ la prima volta che lo sento esprimere un concetto con così tante parole ed enfasi. Se non fosse per il cicaleggio delle persone nei sedili posteriori, l’atmosfera sarebbe perfino romantica.  Taccio consapevole della sensazione di vuoto nello stomaco che questo viaggio mi sta provocando.

«Isabella, posso chiederti un favore?» Comincia lui, dopo qualche istante.

«Certo, dimmi». Gli rispondo incuriosita.

«Ti volevo chiedere se domenica potevo avere il pomeriggio a disposizione, avrei delle questioni riguardanti la mia casa da sistemare».

«Sì, non è un problema. Già ho dato il permesso a Jacob ed Eric di partire subito dopo la conferenza per raggiungere le loro famiglie. Quindi avevo intenzione di lasciare la domenica libera a tutti». Gli rispondo con un sorriso, contenta di essere riuscita ad accontentare questa sua piccola richiesta. Mi guarda un attimo mentre guida e mi sorride di rimando.

Sembra facile comunicare con lui, in questo luogo magico. Perché invece mi sento così legata normalmente? Dipenderà forse dal suo atteggiamento schivo e poco loquace, a cui io invece ho dato qualche un significato recondito, visto il sogno di alcune sera fa?

 

La nostra destinazione è  il Presidio Park Hotel, all’interno dell’omonimo parco cittadino che fino agli inizi degli anni novanta era zona militare.

Ci sistemiamo nelle nostre camere, che regalano una splendida vista notturna sulla baia.

Alice, seguita da Rose ed Angela con le braccia cariche di porta abiti, distribuisce nelle varie stanze  le lunghe buste di tela bianca che appende con cura alle ante degli armadi.  Ogni capo ha un bigliettino rosa appuntato con uno spillo con su scritto il nome del proprietario e il contenuto. Io mi ritrovo con due buste a mio nome , una con scritto tailleur blu e l’altro abito lungo grigio. Ripenso spaventata agli abiti che mi aveva proposto. Il primo, di un bellissimo velluto rosso, aveva un’ampia scollatura a barca sottolineata da una fascia di strass larga due dita tutt’intorno. Non lo avevo scelto, oltre per il colore eccessivamente squillante, per il fatto che dietro lasciava la schiena completamente scoperta dalle spalle all’attacco del sedere. L’altro, in raso nero , oggettivamente bello pure quello, aveva una giusta scollatura a cuore, con pizzo sovrapposto, ma proponeva un impossibile spacco inguinale sulla gamba sinistra che faceva troppo femme fatale.

Ci eravamo trovate d’accordo per fortuna sulla terza scelta. Uno splendido abito senza spalline, di raso grigio argento lucido, mirabilmente drappeggiato sul bustino, molto aderente, intercalato da applicazioni preziose. La gonna scendeva fluida  sulle gambe e finiva con una piccola coda sul retro.

«Questo è fantastico, Alice, ma non sembrerò un cioccolatino?»

« Oh Santi del Cielo, Bella, sei incontentabile. Come mai invece Rose non mi ha dato nessun problema?»

«Perché a lei sta bene tutto e di sicuro non si fa scrupoli a mettere abiti che avranno si e no trenta centimetri di stoffa!» Le rispondo offesa.

«Aspetta di vederlo», mi aveva detto con gli occhi che le brillavano. «Dovremo assoldare almeno un paio di bodyguard per  separarla dai suoi ammiratori».

« Mi viene in mente un tipo molto carino che lo farebbe volentieri e  che ha anche il fisico giusto » le suggerisco maliziosa.

« Il biondo con l’accento del Texas, dici? Vedrai che meraviglia anche lui con lo smoking che gli ho procurato. Saranno una coppia fantastica.» Aveva detto persa nei suoi pensieri. «Ah, ma non preoccuparti, saranno tutti molto belli nei loro abiti scuri, anche il dottorino dalla chioma ribelle e gli occhi color  della giada.»

A quel punto il terreno si era fatto minato e avevo deviato la sua attenzione  su scarpe ed accessori.

***

Verso le nove e trenta del sabato mattina, siamo tutti presenti e seduti nella ampia platea della sala conferenze del centro congressi .

Entrando avevo incontrato alcune persone di mia conoscenza a cui avevo stretto la mano volentieri, che me ne  avevano presentate altre interessate, con mia grande  sorpresa a conoscermi.

Dopo la pausa pranzo, arriva il momento della relazione del nostro collega Jacob. Il moderatore lo presenta, illustrando sia il suo lavoro all’interno della Facoltà di Astrofisica di Austin , sia quello  all’interno del nostro gruppo di ricerca. Ci alziamo, esortati dall’interlocutore per ricevere l’applauso della platea presente. Lo ascoltiamo, emozionati di vedere uno di noi protagonista del momento.

«…i buchi neri, non sono una rarità all’interno di una galassia…» sento Jacob spiegare, serio nel suo abito grigio. Mentre scorro lo sguardo sul pubblico vedo persone voltarsi verso il nostro gruppo e salutare Cullen con la mano.

«…ma oggetti cosmici così massivi di solito si riscontrano quando enormi stelle finiscono il loro ciclo e continuano a crescere  assorbendo la massa circostante…»

Sono orgogliosa di essere qui, e percepisco la soddisfazione del Generale Rogers che siede alla mia destra.

«… per cui questo grande buco nero rilevato attraverso lo studio della gamma dei raggi infrarossi, attraverso il telescopio spaziale Hubble, ci porta a pensare che la Galassia di Perseo, composta di una struttura di corpi così densa, abbia al suo interno processi fisici diversi  che riguardano la crescita dei propri buchi neri interni…»

Finito l’intervento, decisamente più rilassato e sorridente, Jacob ringrazia il pubblico ed esce dalla sala, seguito da uno scrosciante e lungo applauso.

«E’ stato bravo, vero?» Mi dice Alice commossa.

«Molto» le rispondo. In quel momento mi ricordo dei giorni di licenza richiesti da Jake. «Stasera, quindi ti manca l’accompagnatore». Le dico sottovoce per non disturbare l’oratore successivo.

«Così potrebbe sembrare, ma ho già chiesto al fratello di Rose se mi concede un ballo», sussurra in risposta.

«Previdente ed organizzata come solito», le rimando sghignazzando.

Finalmente conferenza ed intervista finiscono e possiamo tornarcene in albergo e concederci un po’ di riposo prima di prepararci per la serata.

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Come da programma, arriviamo al party in taxi e pochi per volta.

«Sei pronta ad entrare?» Soffia  Alice tra i denti senza scomporre il sorriso da star che si è stampata sul viso. «Mmh, no. Sai che non mi piacciono queste serate ufficiali» Ringhio contrariata mentre  mi guardo intorno. La grande sala che ospita l’evento è illuminata a giorno da due enormi lampadari a gocce, che riflettono mille piccoli arcobaleni di luce sul soffitto e sulle pareti intorno. E’ opulenta e sfarzosa: tre delle quattro pareti sono ricoperte da grandi quadri in stile antico con barocche cornici dorate. La quarta è praticamente un’unica grande vetrata, intervallata da sottili colonne che reggono, ai lati, i panneggi dei tendoni di velluto crema raccolti da alamari di cordone dorato. Le porte finestra sono quasi tutte aperte e fanno intravvedere la  grande terrazza che si estende fuori dalla sala e che crea un tutt’uno con la selva di piante in vaso che rigogliose spuntano  sparse.  Il pavimento di marmo bianco è attraversato da un enorme intarsio di marmo nei toni del bruno e dell’oro. L’insieme è troppo ricco e sfavillante per i miei gusti e mi imbarazza, ma mai come la moltitudine delle persone presenti: crocchie di Mega-Industriali e di Alti-Generali dell’Esercito, con le relative mogli a braccetto, stanno a chiacchierare allegramente agghindati come alberi di  Natale.

«Mi viene l’istinto di tornare indietro e d’indossare la mia solita divisa » le sussurro con un groppo in gola.

«Non ci pensare nemmeno…». Ghigna guardandomi torva. Rallenta, si posiziona strategicamente un passettino indietro rispetto al mio e con la mano occupata  dalla pochette, mi spinge con decisione in avanti.

«Sai quanto è importante questa serata per il nostro progetto… Vedi quell’uomo sulla cinquantina in fondo a ore dieci? E’ un magnate della produzione casearia: vende burro in più di quindici stati », mi dice indicandomi la direzione con un cenno del mento.

« Per ora proviamo solo a sorridere ed essere gentili e carine con lui, perché mi ha detto Rose che impazzirebbe di gioia se ricoprissimo di piccole mucche stampate le nostre tute spaziali».

« Oddio, no ti prego…», sibilo preoccupata. Non sono decisamente abile ad accattivarmi le persone, per questo, dall’Alto, mi era stato caldamente suggerito di crearmi uno staff di pubbliche relazioni, possibilmente anche molto competente.

Dal canto mio non me lo ero fatta ripetere due volte e avevo assoldato la più bella e abile pettegola del campus del MIT.

Mi mescolo tra la folla come mi ha suggerito Alice. Traballante su un paio di sandali dal tacco vertiginoso intercetto un giovane cameriere elegantissimo nella sua livrea bianca e farfallino che, come in un numero di equilibrismo, regge su una mano un vassoio colmo di flute di champagne. Ne prendo  uno mentre lui accenna ad un inchino ammiccante. Leggermente imbarazzata mi aggrappo a quel bicchiere che uso come fosse uno scudo e continuo sul mio  cammino.

Scorgo il generale Rogers e consorte chiacchierare con altre persone e mi appresto verso di loro.

«Comandante Swan, conosci Penelope, mia moglie?»

Sorrido a trentadue denti verso una bella signora di mezz’età dai cotonatissimi capelli bianchi, che mi sorride di rimando, osservandomi maliziosa con due vispi occhi grigi.

«Bartolomew, caro, non mi avevi detto che avevi un Comandante così sexy!» Mi allunga la mano carica di costosi anelli. Le porgo la mia e gliela stringo gentilmente.

« E’ un onore conoscerla Signora Rogers, ma non deve prendersela con suo marito, in divisa noi dell’Astronautica siamo praticamente tutti uguali». Le dico sorridendo.

«Sì, me l’immagino» ride divertita, passando il suo sguardo malizioso da me ad Alice che con il bicchiere in mano chiacchiera con Rose.

Indubbiamente ha colto nell’essenza la battuta.

 Alice sta indossando uno splendido abito di trasparente chiffon avorio con piccole maniche e scollo rotondo. Il corpetto aderente e la scollatura generosa a goccia, sono ricoperti da un prezioso merletto rosso fatto a forma di rami di corallo, che la fanno sembrare una ninfa uscita dal mare. La gonna lunga dal taglio svasato è ampia e morbida nei suoi tanti strati trasparenti. Di fronte a lei Rose è un’altrettanta visione: già alta e importante di suo, avvolta nell’abito azzurro con taglio a sirena, tempestato di piccoli strass, eclissa ogni altra donna presente. Ne sono coscienti anche gran parte degli ospiti maschili della sala, ed i nostri compagni che nel frattempo, sono  arrivati.

«Venga, cara», mi dice la signora Rogers distraendomi dai miei pensieri. «Non posso farmi scappare l’occasione di farmi bella con le mie amiche.» Mi prende a braccetto e mi accompagna , attraversando il salone, verso un gruppo di matrone , poste al fianco del tavolo del buffet.

«Ragazze, posso presentarvi il Comandante Isabella Swan? E’ uno degli elementi di spicco della squadra di Bartolomew»

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(Edward)

 

La giornata era trascorsa piacevole, anche se ero stato costretto a molte ore d’inattività. Ritrovarmi nei miei ambienti mi aveva fatto sentire bene, ed ero riuscito ad incontrare persone che conoscevo. Ero stato felice di questa parentesi di popolarità, visto che anche i miei colleghi ed il comandante se ne erano accorti.

Ora sono arrivato in taxi alla festa, insieme ad Em che sembra volermi fare da balia . E’ simpatico, ma a volte è decisamente irritante.

«Allora, Ed, sei sicuro di aver capito?» Mi ripete scandendo le parole come se avessi cinque anni. «Sì. Stai tranquillo. Cercherò di farle passare una bella serata, e verso la fine troverò il momento per parlarle» gli rispondo alzando gli occhi al cielo.

«Ecco vedi che non mi ascolti?» Riprende puntandomi un dito contro. « La farai ballare, ti assicurerai che abbia bevuto abbastanza bicchieri di champagne e, solo quando ti sarai assicurato che la sua soglia di attenzione si sarà abbassata a sufficienza, troverai un posto appartato per parlarle» Si ferma in una pausa ad effetto.

« Te lo ricordi vero come deve essere il posto giusto, vero Ed?» Mi torna a chiedere con un ghigno malefico.

«Sì», gli dico esasperato, «deve avere una facile via di fuga». Sputo tra i denti.

«Ah ah, l’hai detto amico. »

Ci mescoliamo alla folla nella sala. Incontriamo anche Hale,  Newton e Crowley che ci confermano di essere appena arrivati. Newton si sta passando due dita nel colletto della camicia. «Accidenti, non sono abituato a vestirmi come un pinguino. Come fate voi a sopportare sta tortura?» Ci chiede mentre ci saluta.

«E’ dura, ma ogni tanto si può fare» gli risponde Hale. «Avete già incontrato le signore?» Ci dice facendoci l’occhiolino. «Loro sì che sono strepitose, non sembrano nemmeno quelle galline in divisa che vediamo tutti i giorni.» Si piega in due dal ridere. «Scherzo, naturalmente, ma stasera sono veramente da infarto. Soprattutto mia SORELLA». Si volta serio verso McCarty e lo guarda truce. «Occhio a come ti muovi, bello!» La sua espressione muta in un gigantesco sorriso quando vede spuntare una magnifica Brandon che lo prende sottobraccio. «Ehi, ragazzi, siete arrivati finalmente. Venite, ci sono un sacco di signore che vorrebbero conoscervi».

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=eekSD_IIccA 

(aprire in un’altra scheda)

Al braccio di Hale, ci fa strada fendendo la folla. Mi sento prendere per un braccio. «Cazzo, eccole» mi dice Emmett. Mi volto  alla mia destra e mi si blocca il respiro. Una sirena bionda svestita di un luccicante abito turchese, sta conversando con alcune signore di mezza età, vicino ad una meravigliosa ragazza bruna strizzata in un abito d’argento. La riconosco mentre il cuore perde un battito. Prendo i due flute che mi porge Em che mi sussurra ridacchiando: «Sorridi e stendila. Magari anche in senso biblico. Ah ah ah »

 Mentre ci avviciniamo l’atmosfera della sala cambia, le luci si abbassano e mutano di colore, preannunciando l’inizio delle danze. Vedo Emmett allungare il passo alla volta di Rose, e con un inchino porgerle una mano e invitarla a ballare. «Bella principessa, mi concederesti questo ballo?», lo sento dire. Lei gli sorride e si allontana con lui.

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Io deglutisco, mi avvicino a Isabella, le porgo il flute che mi aveva procurato Emmett. L’abito argento che sta indossando passa magicamente dal porpora al blu, nel riflesso dei giochi di luce.

 

(Bella)

Sono con Rose ed alcune mogli di alti personaggi. All’improvviso le luci dei lampadari vengono sostituite da purpurei fasci di luminosi. Affianco a Rose compare McCarty, che con un inchino galante le chiede un ballo. Mi volto per osservarli nella loro magnificenza, quando, dalla parte opposta vedo spuntare una mano maschile che mi porge un flute di champagne. Ne riconosco il proprietario e il profumo seducente, che mi solletica le narici, me lo conferma.

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Mi volto verso di lui e me lo mangio con gli occhi nella sua  mascolina eleganza. «Mi concedi questo ballo, per favore?» Mi chiede.

Incapace di articolare la benché minima parola, annuisco , cercando  di ritrovare un’espressione disinvolta bevendo dal flute che mi ha appena offerto. Lo appoggio semivuoto su un tavolino mentre ci avviciniamo alle altre coppie che stanno ballando. Percepisco con la coda dell’occhio anche la presenza di Alice che balla con Jasper.

Edward mi appoggia la mano destra sulla schiena e con l’altra prende la mia. Comincio ad ondeggiare a ritmo di musica assecondando con facilità i suoi movimenti. Alzo il viso verso il suo. Supero con un fremito la linea morbida delle sue labbra distese in un leggero sorriso e proseguendo oltre la linea perfetta del suo naso incontro i suoi occhi che cangiano, brillanti, nel variare delle tonalità della sala, incatenandomi in un vortice sensuale. Mi sento stringere di più sulla schiena. Dallo stomaco sento salire verso la gola il frullo leggero di mille ali di farfalla, le gambe perdono parte della loro solidità e  ogni pensiero che non sia il tocco delle sue mani o il profumo della sua pelle, evapora.

introduzione

Allora, che ne dite? Mi dispiace di non essere arrivata al momento del chiarimento,(sempre che Edward trovi effettivamente il momento giusto),
ma il capitolo sarebbe diventato troppo lungo.
Ora, godiamoci ancora un po' questo ballo. Ci rivediamo domenica prossima con la conclusione del loro fine settimana.
Vi abbraccio fortissimo.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***


introduzione
 
Rieccomi  con l'uscita straordinaria del mio nuovo capitolo. Spero non vi dispiaccia se ho fatto così   presto, ma la serata sta andando inaspettatamente per le lunghe e dobbiamo cercare di uscirne vive.
Ringrazio sinceramente tutte le lettrici che mi stanno supportando con i loro commenti.
Vi voglio veramente bene, e sono contenta di essermi imbarcata in questa avventura che, seppur vissuta con un leggero imbarazzo, mi sta regalando nuove amicizie e voglia di osare.
Vi aspetto come solito a fondo pagina.
Teresa.
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Capitolo nono

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=-J7J_IWUhls

 

La canzone sfuma verso il finale e non sono nemmeno certa che sia la stessa che ha accompagnato i nostri primi passi. Poi riprende in un’altra e lui, come me, non sembra intenzionato ad interrompere questo momento  in cui il mondo, che gira intorno, appare ovattato e lontano.

Proseguo, sospesa nel mio limbo, incapace di resistere alla sensazione di benessere che inibisce la ragione e mi scorre centimetro dopo centimetro nella pelle

«Permette, Capitano Cullen?» La mano vissuta del Generale Rogers si appoggia sul braccio di Edward. I nostri piedi si fermano all’istante e metto a  fuoco il viso sorridente del Generale che mi guarda.

« Posso rubarle il Comandante per un ballo?»

Gli sorrido a mia volta e con estrema fatica mi stacco da Edward. «Con piacere, Generale», gli risponde, ma nei suoi occhi leggo la stessa sofferenza che sento per questa separazione.

 

Mi concentro sulla figura del Generale mentre i pochi neuroni ancora attivi riemergono dalla nebbia che li colpisce.

«Ti stai divertendo, Isabella?» Mi chiede gentile. «Sai, sono molto soddisfatto di come stai portando avanti il tuo lavoro. Le relazioni che Alice sta mandando alla segreteria della NASA sono egregie e gli squali della sezione amministrativa sembrano tranquilli. Ho avuto modo di apprezzare anche le persone che hai scelto, mi sembrano capaci e professionali e ti dirò che tutti insieme siete anche un gran bel colpo d’occhio. Me lo ha fatto notare Penelope. Anche questo è un punto a vostro favore, visti i tempi di ristrettezza economica.»

«Ringrazi la sua signora per le belle parole, Generale», gli dico mentre la canzone finisce. «Mi accompagna a bere qualcosa?»

Lo prendo sottobraccio e ci dirigiamo verso il tavolo bar.

 

(Edward)

 

Ce l’ho qui, tra le braccia e balliamo non so bene da quante canzoni, ho perso la cognizione del tempo. Quando mi riesce, distolgo gli occhi da lei per mantenere un briciolo di lucidità e non cedere al groppo che sento nello stomaco. Mi piacerebbe poterla stringere ancora di più, fino a farla aderire a me come una seconda pelle; circondarla anche con l’altro braccio e vederla appoggiare il viso alla mia spalla.

Il cuore mi perde un colpo al pensiero delle sue belle braccia nude che ricambiano la mia stretta, inspiro e mi perdo di nuovo. La sua fragranza sa di vaniglia ed agrumi con una leggera nota di fiori, forse di gelsomino. Non è certo il profumo  intenso e speziato che mi sarei aspettato da una donna forte e decisa come lei.

Le mie divagazioni olfattive vengono interrotte dalla presa educata del generale Rogers che reclama la mia dama. Mi allontano a malincuore da Isabella: sento d’avere le mani  saldate  con la  sua pelle e gemo di dolore  nella separazione. Ancora stordito, mi dirigo verso le porte che conducono all’esterno. Ho bisogno d’aria per poter tornare lucido. Non le ho ancora parlato e il maremoto di sentimenti che mi sconquassa, non aiuta certo a risolvere i miei guai.

 

 

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(Alice)

 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=Rj0HV25hnhU

Sono al settimo cielo. Ogni cosa, finalmente è andata al suo posto. Stiamo avendo, come gruppo, un successo inaspettato. Ne ho la conferma dalle domande deferenti dei superiori e dal sincero interessamento delle loro signore.  Mi divido, sempre sorridente, in più conversazioni, ubriaca di celebrità e forse anche…di champagne. Il primo ballo lo faccio con il Generale Rogers, ma poi scorgo il mio cavaliere supplente e lo accalappio al volo prima che qualche signora presente lo impegni.

«Ehi Jasper, mi inviti a ballare?» Gli chiedo mentre lo trascino verso il centro della sala. La sua risata profonda si fonde con la musica. «Beh, non mi lasci molte alternative, vero, piccola peste?»

«Già, ma non mi sembra un grosso sacrificio» gli rispondo guardandolo intensamente. E’ molto alto per me, come d’altronde molti degli uomini presenti, vista la mia bassa statura e quindi devo alzare la testa per poterlo guardare in viso. «Ti faccio ridere, Aquila?» gli dico indispettita dal sorrisetto che gli piega le labbra. «Sì. Pensavo che è un sacco di tempo che non ci vediamo, nana, e non ti ricordavo così intraprendente».

«Intraprendente alias spudorata vorresti dire?» Mi blocco rischiando di farmi pestare i piedi e lo trascino per una mano verso un lato della sala dove ho visto la mia amica.

«Rose, tuo fratello dice che sono spudorata». Le annuncio fingendomi offesa. Emmett McCarty, affianco a lei, quasi si strozza con la sua bevanda. Rose guarda severa il fratello e lui si affretta ad aggiungere: «Volevo solo dire che non la ricordavo così divertente e a me piacciono le ragazze che mi fanno ridere». Mentre parla alza le mani in un gesto di difesa, compresa quella che ha ancora intrecciata alla mia. Gli altri la guardano sorpresi ed anch’io ne prendo coscienza compiaciuta.

 

 

(Edward)

 

Sono sulla terrazza da un po’ e, nell’aria fresca e umida, ho avuto modo di riflettere sui passi da compiere. E’ giunto il momento della verità, il “la va o la spacca” che deciderà il mio destino. Spero con tutto il cuore di riuscire a convincerla di essere in buona fede, soprattutto riguardo ai sentimenti che sento nascere. Se dovesse andare male, invece, meglio che succeda qui che sono a casa mia, piuttosto che a migliaia di miglia in Texas o chissà dove.

Avrei  la tentazione di prendermi ancora un ultimo istante per una sigaretta… io che non ho mai fumato in vita mia; invece osservo la luna specchiarsi nella baia e assorbo energia da quel cerchio luminoso che rende prezioso, con il suo tocco, ogni cosa.

Forza.  Mi dico.

Raddrizzo le spalle e rientro.

 

La vedo ridere mentre balla con Emmett che la stringe a sé molto più stretta di quanto non avessi fatto io. Un fiotto di bile mi sale dallo stomaco e se non fosse che devo comportarmi da persona civile andrei a spaccare la faccia a quell’idiota portatore di muscoli. Lui mi vede, mi strizza un occhio ed enfatizza il movimento oscillante del ritmo, che intanto si fa più veloce ed incalzante, trascinando Isabella con sé.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=4aQDOUbErNg

 

QUESTO E’ DECISAMENTE TROPPO!

 

 Mi avvicino a grandi passi, gli picchietto su una spalla e gli faccio cenno di lasciarmi il posto con Bella. Lui, pronto, me la cede ed io ancora carico di adrenalina, le faccio fare una mezza piroetta e me la posiziono voltata di spalle con le braccia incrociate sulle mie. Cominciamo ad ondeggiare con la sua schiena che sfiora il mio petto. Lei mi segue impacciata. Io mi lascio trasportare dal momento magico e la prendo per i fianchi e la guido nei movimenti del bacino facendola oscillare in un ritmo caraibico. Sento che si scioglie tra le mie dita e mi asseconda con aggraziati movimenti.                              Mi struscio, mi allontano, la faccio piroettare e la stringo col braccio teso come fosse un tango. La abbraccio di nuovo forte e la costringo ad ondeggiare stretti come avevo desiderato fare prima, appoggiando  la guancia sui suoi capelli. La giro ancora e l’abbraccio da dietro, poi la faccio ruotare di nuovo  e mentre la canzone muore, la sbilancio in un leggero casquet . La raddrizzo, la fisso intensamente indeciso, mi abbasso ma  mi fermo ad un palmo dal suo viso. Lei  mi guarda con gli occhi sgranati e poi fa quello che non mi sarei mai immaginato facesse. Allunga le mani, intreccia le dita nei miei capelli dietro la nuca, mi tira verso di sé e mi bacia.        Forte, decisa, appassionata.

 

(Bella)

 

Sono finalmente cosciente che non sia stato un sogno, quello che è successo mercoledì scorso. Lo capisco dalla stessa stretta che percepisco, mentre Edward, come un diavolo tentatore, si dimena e si struscia facendomi perdere la testa ed annullando ogni mia volontà. Lo riconosco dall’aroma della sua pelle nel momento in cui si avvicina felino ma incomprensibilmente si ferma ad un passo dal mio viso.

Non resisto, eccitata dalla sua danza e mi prendo la mia piccola rivincita.  Lo afferro per i capelli e concludo quello che diabolicamente ha iniziato. Lo schianto con forza sulle mie labbra e lo bacio con la bramosia di un’assetata davanti ad una fonte di acqua fresca.

 

 

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Mi stacco, dopo un attimo che sembra eterno. Edward è stupito, l’ho sentito dalla sua reazione incerta. Ci perdiamo muti l’uno negli occhi dell’altro e nei suoi vedo un groviglio di sentimenti contrastanti: ansia, desiderio, colpa… O forse sono solo lo specchio dei miei e sono io quella che si sente in colpa, e alla grande!

Ora l’urgenza primaria è prendere le distanze da lui, perché l’istinto traditore, mi porterebbe a rapirlo dalla sala affollata per approfittare di lui, imboscati in un angolo buio.

Scappo veloce su questi maledetti tacchi troppo alti e mi precipito affannata verso la terrazza esterna. Mi chino per raccogliere la coda del vestito lungo che mi ostacola la fuga.

 

 

 

(Rose)

Sono al tavolo del bar con Alice e Jasper e guardo Emmett in pista con Bella. Mi aveva carinamente chiesto il permesso di ballare con lei, ed io intenerita da tanta premura, non avevo potuto che acconsentire.

«E’ veramente un bell’uomo». Mi sento dire da Alice. «Sì, ed è dolce e tenero, a dispetto della sua mole». Le sussurro sperando che la nostra conversazione rimanga privata. Sento una mano di Alice toccarmi il braccio e osservo la scena che mi sta indicando.    Edward Cullen, sta ritto a bordo pista fissando torvo la coppia che balla.

Emmett se ne accorge gli fa un cenno e sembra volerlo provocare esasperando la presa su Bella. Guardiamo stupefatte l’altro dirigersi coi pugni contratti verso di lui e scansarlo di peso.

Emmett per niente offeso se ne torna verso di noi con aria trionfante.

«Emmett, si può sapere cosa combini?» Gli chiede Alice mentre le  passa davanti. Lui non le risponde, ma un mezzo sorriso compiaciuto gli increspa il viso. Si posiziona affianco a me e mi abbraccia appoggiandosi al tavolo. Con l’altra mano prende un flute colmo e ci indica con l’indice che spunta dal bicchiere la direzione da cui proveniva. Ci voltiamo contemporaneamente e rimaniamo di sasso. Cullen sta coinvolgendo Bella nella danza più sensuale che si sia mai vista. Sembra una via di mezzo tra una gara di merengue e l’esibizione di un uccello tropicale nel periodo dell’accoppiamento. Poi conclude la sua performance con un piccolo casquet. Mentre la musica sfuma verso il silenzio i due si guardano, fermi, ancora allacciati stretti e poi lei lo bacia.

Mentre siamo ancora bloccati dallo stupore, la vediamo superarci di corsa col vestito raccolto in un braccio ed uscire sul terrazzo esterno. «Cosa ci siamo persi?» Chiedo loro sconcertata. La risatella di Emmett ci conferma che in effetti ci saremmo dovute accorgere di qualcosa. A quel punto Edward mi passa vicino per seguire Bella fuori.

«Ehi, fermati Tony Manero». Lo blocco mentre cerca di aggirarmi. «Hale, ti prego, non è il momento». Mi risponde lui.

«Lascialo andare», mi suggerisce Emmett in un orecchio «deve battere il ferro finchè è caldo».

 

introduzione
 
Ve lo immaginavate?
Io no, questi due stanno vivendo una seratona-ona-ona.
Ma aspettiamo che passi l'ubriacatura alcolica-ormonale, per cantare vittoria.
Alzi la mano chi non si è mai svegliata la mattina dopo una serata fantastica, con la sensazione di aver fatto una cazzata madornale?
Io no di certo!
Ringrazio anche le centinaia di presenze silenziose che mi danno quasi l'illusione di essere una scrittrice seria.
Un bacio anche a voi.
A presto.

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo ***


Ciao, eccomi puntualissima all'appuntamento. Siamo ancora alle prese con la seratissima di Edward e Bella. Le fan del genere romantico spero apprezzeranno, quelle dell'avventura dovranno aspettare ancora qualche tempo.
In questo capitolo ho cambiato anche un po' l'impostazione editoriale, grazie all'aiuto della stupenda Mikkiko che mi ha insegnato un paio di trucchi. Ti sarò grata per l'eternità,(wow, che recitazione...) come sono grata a tutte le anime nobili che frequentano questa mia favoletta, che si facciano sentire o no.
Vi mando un grosso bacio e vi esorto, quando sarà ora, ad aprire il link...è parte integrante della storia.
Ci rivediamo più sotto,
Teresa


 

Capitolo decimo

 

(Edward)

 

La rincorro fuori sul terrazzo. Questa volta non voglio che parole non dette creino la barriera invisibile che ho sentito tra di noi in questi giorni. La vedo, là in fondo girata di spalle, con le mani strette attorno al bordo arrotondato della balaustra di marmo. Sta guardando verso la baia e la luna, materna, l’accoglie  nel suo abbraccio argentato. Mi fermo a qualche passo da lei ad ammirare la sua eleganza. Mi costringo a ricordare che ho di fronte il mio Comandante, la donna tutta d’un pezzo che sarà capace di guidare un branco di sognatori nello spazio infinito. Ma è uno sforzo immenso ora, perché nella notte sfavillante di luci della mia città sembra una principessa prigioniera nella sua torre d’avorio ed io vorrei tanto essere il suo paladino. Mi tolgo la giacca e gliela appoggio sulle spalle. «Freddo?» Mi informo. Rimango di fianco a lei mantenendo una leggera distanza tra di noi. «Appena un po’». La sua voce è poco più che un sussurro. Non resisto, mi ero ripromesso di lasciarle i suoi tempi ed i suoi spazi, ma la febbre che mi brucia dentro mi costringe ad agire e così mi allungo, le prendo una mano e me la porto alle labbra. Le lascio leggeri baci sulle dita, una dopo l’altra, mentre i miei occhi sono inchiodati sul suo viso, che finalmente, mi onora della sua attenzione. «Scusami, mi sono comportato da stupido, l’altra sera ». Le dico.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=fINsjNUZmqo  (aprire in un’altra scheda)

 

Mi lascia fare, per parecchi secondi senza dire nulla. Vorrei tanto sapere a cosa sta pensando mentre mi fissa smarrita. Un brivido mi corre lungo la schiena. Ma non è dovuto all’umidità notturna. Sento arrivare dall’interno le note di una canzone. La conosco e penso che sia un segno.

   Non riesco a ricordare

Quando andava bene

Momenti di felicità sfuggono

Forse ho solo frainteso

Tutto l’amore che

Abbiamo lasciato alle spalle

Guardando i flashbacks intrecciarsi

Ricordi che non troverò mai

Così amerò qualsiasi cosa diventerai

E dimenticherò tutte le cose

spericolate che abbiamo fatto.

Penso che le nostre vite

Siano appena iniziate

Penso che le nostre vite siano appena iniziate.

 

Prendo l’iniziativa, ancora una volta, consapevole che potrei pagare cara la mia audacia. «Balla ancora con me», le sussurro mentre incomincio  a canticchiarle la canzone.

E sentirò il mio mondo cadente

Sentirò la mia vita cadere
Sentirò la mia anima cadere via

E cadrò via, cadrò via con te.

 
«Edward…», protesta appena. Le mie braccia nella camicia bianca risaltano sulla giacca nera che le ho prestato e che la avvolge impedendole ogni movimento.

Rimanere sveglio per inseguire un sogno

Assaggiando l’aria che stai respirando.

So che non dimenticherò una virgola

Prometto di tenerti stretta e pregare

Guardando le fantasie decadere

Niente potrà mai rimanere lo stesso

Tutto l’amore che abbiamo buttato via

Tutte le speranze che

Abbiamo caramente dissolto.

Facendo gli stessi errori di nuovo

Facendo gli stessi errori di nuovo

 

Seguo ancora le parole della canzone con le labbra mentre l’accompagno in un dolce dondolio.

 E posso sentire il mio mondo cadente

Posso sentire la mia anima cadere via

E cadere via, cadere via con te.

Tutto l’amore che abbiamo

Lasciato alle spalle

Guardando i flashbacks intrecciarsi

Ricordi che non troverò mai

Ricordi che non troverò mai.

 (Traduzione di Valeria97)

                                                                            

(Bella)

 

Mi sento sopraffatta  dalla commozione. Con  sgomento cerco di trattenermi ma  una lacrima dispettosa mi scappa lungo la guancia.

Edward la scorge e la ferma, con le stesse labbra che mi stanno regalando questo sogno incredibile.

«Edward, ti prego…» cerco di scostarmi e lui mi libera dal suo abbraccio. Ritorniamo alla balaustra ad ammirare il panorama. Dal mare sta salendo una nebbiolina filante che ha già inglobato la parte bassa del ponte e le rive intorno. «E’ tutto incredibilmente bello …e perfetto» mentre pronuncio l’ultima parola mi volto e lo fisso. «Sono spaventata, Edward, ho paura che domattina questa ebbrezza che mi sta colpendo sia sfumata». Mi prendo una pausa per far chiarezza nei miei pensieri.« Non vorrei pentirmi, alla luce del sole, di aver fatto o detto qualcosa di irrimediabile,  abbacinata dall’atmosfera galeotta. Quindi ti scongiuro, non dire niente, lasciamoci così con il ricordo di una serata meravigliosa». Lui tace, ma nei suoi occhi vedo fiumi di parole che ha l’accortezza di non pronunciare. Alza una mano e mi accarezza, delicato, la guancia. Chiudo gli occhi e accetto questo gesto come un saluto.

Mi sfilo la sua giacca e gliela rendo. Mi sto voltando per andarmene, quando mi ferma « Che programmi hai per domani?» Mi chiede. «Non so » gli rispondo sincera. «Comincerò schiarendomi le idee con la mia solita corsa,  poi vedrò» Accompagno le parole con un’alzatina di spalle.« Posso farmi trovare in giro?» Mi chiede titubante.  «Penso di sì» gli rispondo dubbiosa. «Ok, ci vediamo, allora». Mi sorride con  un’espressione raggiante. «Buonanotte, Bella». Sussurra.  «Buonanotte, Edward». Questa volta rientro sul serio.

 

****

 

 

Li incontro tutti radunati davanti alla portafinestra. Stanno in posa bevendo con finta disinvoltura. Hanno l’aspetto dei testimoni di un grave fatto di sangue, sono rigidi e mentre passo loro affianco mi guardano scioccati come se fossi il morto resuscitato. «Ragazzi, io vado a dormire». Le ragazze scattano per seguirmi. Le blocco con un gesto della mano. «No, per favore. Trattenetevi ancora un poco. Prendo un taxi».

 

(Alice)

 

 

SE N’E’ ANDATA.  E non mi ha lasciata dire nemmeno una parola. Credevo di sognare mentre la guardavo , insieme agli altri che pian piano si sono radunati spontaneamente qui intorno. Bella stava in fondo alla terrazza con Edward e tra loro si percepiva un’intesa profonda. Lui le aveva offerto la giacca e l’aveva accompagnata in un lento movimento amorevole che ricordava quello di  un genitore che culla un bimbo perché si addormenti. E mentre la cullava le sue labbra si muovevano mute. «Angela, secondo te cosa le sta dicendo?» Chiedo alla ragazza, che mi sta appiccicata al fianco sinistro. « Non lo so, Maggiore, ma il Comandante non sta battendo ciglio quindi sicuramente è qualcosa che vale la pena di ascoltare». Poi lo vedo abbassarsi e baciarle con tenerezza una guancia. Alzo il capo per cercare una spiegazione in Jasper che, perplesso quanto me, si limita ad alzare le spalle. « Io non so niente Alice. » Riporto lo sguardo alla scena lontana e vedo Bella restituire la giacca e tornare verso di noi. «Ragazze, sta arrivando». Sento dire da Rose. Siamo immediatamente tutte pronte ad accoglierla . «No, per favore. Trattenetevi ancora un poco. Prendo un taxi». Ci apostrofa Bella alzando una mano. Guardo le altre e chiedo loro: « Non vi sembrava, come dire…» non trovo la parola giusta. « Imbambolata?» Suggerisce Jessica. «Sì, imbambolata», concorda Rose mentre si volta verso Emmett « Tu ne sai niente Em?» « No. Io la conosco da poco, è tua amica, non mia». Le risponde alzando le mani con aria innocente. «Beh, non so voi, ma io rimango ancora mezzora poi torno in hotel» dico decisa alle altre che annuiscono approvando il programma.  Guardo  verso l’esterno e vedo che Edward è rimasto al suo posto voltato verso la baia. Sarei tentata di volare da lui ad interrogarlo sull’accaduto, ma mi trattengo e preferisco impiegare il mio tempo ballando di nuovo con quello spilungone del fratello di Rose. Mi concentro, quindi, su Jasper che accetta di buon grado il mio invito. Da quando è diventato così cordiale e disponibile? Mi chiedo.

 

(Bella)

 

Mi concedo una lunga doccia bollente, ma non riesco a togliermi dal corpo il ricordo di Edward: anzi il calore dell’acqua ha intensificato, se possibile, la sensazione di calda spossatezza che mi ha procurato stare tra le sue braccia. Mi preparo per la notte e mi siedo comoda nel letto sprimacciando i cuscini da mettere dietro alla schiena nell’attesa, pronta e rassegnata all’attacco. Sono sufficientemente pratica di manovre militari da sapere che dopo un’azione come la mia ci sarà una sicura reazione delle mie amiche.

E’ solo una questione di minuti, anche se effettivamente preferirei essere in attesa di un’altra persona, che però so che non arriverà. Primo, perché è rispettoso dei miei desideri. Secondo, perché non pernotta in questo albergo, ma ha chiesto di poter dormire a casa sua. Sento il rumore dei loro passi e le chiavi delle rispettive porte scattare.

 

TRE, DUE UNO… Sento bussare alla mia porta. «Avanti» dico loro.

Due uragani in pigiamino leggero si catapultano sul mio letto. Dietro loro Angela e Jessica fanno capolino timidamente.

« Ora non puoi più scappare e ci devi delle spiegazioni» mi intima Alice. «Non c’è molto da dire, forse Edward mi piace». Rispondo.

« FORSE LE PIACE, ROSE» Sento del sarcasmo nella sua voce.

« E da quando, se mi è lecito chiederlo, ti è preso questo PICCOLO interesse per lui?» mi chiede stizzita mimando le virgolette nell’aria.

 Sospiro e decido di raccontare loro di mercoledì sera.

« E così ti ha aspettata al buio e ti ha baciata», riassume Rose.

« Ma non ci hai detto niente!» esclama indignata Alice.

«Perché non c’era niente da dire…» rispondo con filosofia, per nascondere la parte che mi vedeva protagonista di un attacco di fervida immaginazione.

« Sempre la solita storia, Bella, non lasci spazio ai sentimenti…» mi critica Rose.

«No, non è vero…» ribatto.

«Sì, che è vero. Se una qualunque di noi, stasera, avesse ricevuto una corte come quella che hai ricevuto tu…a quest’ora non starebbe qui a discuterne tra donne.» guarda le altre, una ad una, «Mi sbaglio, forse?» Tutte, compresa la timida Angela, negano scuotendo il capo. Sentiamo bussare alla porta.

Jessica, la più vicina, si avvia ad aprirla. Entrano Jasper ed Emmett, ancora in smoking, ma con farfallino e cravatta allentati.

«Tutto a posto, qui?» mi chiede Jasper preoccupato.

«Ohhh, ma cosa avete tutti? Sì, sono a posto, grazie». Gli rispondo acida. Mentre si apprestano ad uscire, sento Emmett che sbuffa sottovoce scuotendo il capo. « Lei è qui. Proprio quel ragazzo non ci sa fare…».

Sono quasi le otto del mattino, e sto uscendo dall’hotel per la mia solita corsa mattutina. Il ragazzo alla reception mi saluta, assicurandomi che sarebbe stata una bella giornata di sole. In questo momento, però, tutto è ancora avvolto dalla fastidiosa nebbiolina  scesa nella notte. E’ più tardi del solito, ma ieri sera quelle quattro cornacchie, sono rimaste appollaiate sul mio letto come i dottori di Pinocchio, facendomi un sacco di domande intime, a cui davo risposte assolutamente provvisorie. Le avevo lasciate libere di fare quel che volevano oggi, senza pensare a me.
A passo costante, cuffiette nelle orecchie, percorro il parco che circonda l’hotel. Effettivamente pian piano la nebbia svanisce per lasciare il posto a larghi raggi di sole che fanno brillare le foglie umide. Sbuco da uno stretto vialetto circondato dai cespugli e mi immetto in una piazzola con una fontana circondata da panchine di legno verde. Su una di queste lo vedo. Seduto sulla spalliera con i gomiti sulle ginocchia. Mi scorge e mi sorride. Mi avvicino rallentando il passo, mentre il cuore s’incespica nel petto.
E’ così carino! Spettinato e con la barba lunga sembra non aver riposato molto stanotte. «Ciao». Gli dico, contenta che la voce strozzata che mi è uscita possa passare per fiatone. «Ciao, ti disturbo?» mi chiede. «Mai» gli rispondo sincera. «Hai pensato a come trascorrere la giornata?» «No, non ho nessun progetto». Ammetto mentre eseguo con indifferenza degli  esercizi di stretching per le gambe. «Potrei mostrarti la città, se vuoi» suggerisce. «Per me va bene, ma dovrai aspettare che mi dia una sistemata, prima». Indico me stessa dispiaciuta. «Non c’è problema, ci vediamo tra un’ora alla darsena dietro il tuo hotel. Ci terrei a presentarti qualcuno». «Ok, a dopo» gli rispondo confusa.

Mi allontano di corsa pensando alla sua ultima affermazione. Poi decido di fregarmene e lasciarmi guidare dal fatto che sono felicissima di trascorrere del tempo con lui.

 

Eccomi  di nuovo fuori dall’hotel, appena un po’ in anticipo sull’orario stabilito. Ho indossato abiti pratici, e ho lasciato i capelli sciolti sulle spalle. Cammino a passo lento mentre il ghiaino del sentiero mi scricchiola sotto le Converse nere.

Davanti a me, a qualche centinaio di metri, intravedo la linea orizzontale della baia.  Scendo il leggero declivio erboso che mi separa dal molo, che poi percorro verso la zona d’attracco delle imbarcazioni. La scena che mi si propone davanti agli occhi ha dell’incredibile. Edward sta seduto su una bitta di ghisa per le cime, con davanti un grosso… cane?

Gli sono spuntata da un lato, quindi non mi ha ancora vista. Sopra i jeans indossa una giacca sportiva, e per un attimo mi dispiace di non essermi vestita con più cura. Con una mano si tortura nervoso i capelli. Con l’altro braccio circonda il collo di uno splendido Labrador. Mi avvicino e il cane rizza le orecchie attento. Da questa nuova posizione, più centrale, vedo che la mano che prima era nascosta dal pelo del cane, regge un mazzo di gerbere multicolori.


(Edward)

 

Sono andato a casa e mi sono cambiato. Sono nervoso, vorrei farle una bella impressione, ma senza sembrare troppo formale. Alla fine decido che jeans e polo possono andare, ma li accompagno da una giacca leggera blu, che posso poi sempre togliere. Ad un’ultima analisi allo specchio vedo che per barba e capelli oggi non c’è rimedio. Prendo le chiavi del mio pickup e decido che voglio che mi conosca per quello che sono. Chiudo la porta di casa e apro lo sportello per far salire Muso. «Vieni, ti voglio presentare una persona». Lo ero andato a prendere ieri pomeriggio a casa di Leah, e lui era stato felicissimo di vedermi. Non la smetteva più di scodinzolare, e abbaiava festoso ad ogni mio movimento. «Lo so, lo so bello, anche a me sei mancato». Nel parcheggio del Presidio Park scorgo un chiosco di fiori. Improvvisamente sento la necessità di comprarne un mazzo per Isabella. Vediamo, penso tra me e me, rose? No troppo esplicite, si spaventa. Margherite? Blah non ha dieci anni…Gigli? Ma nemmeno morto, chi deve dimostrare purezza,…lei…io?

Ecco che il mio sguardo cade su enormi fiori colorati, che sanno di gioia e bellezza. «Prendo quelli, grazie», dico alla fioraia. A passo veloce mi avvio verso la darsena, con Muso al guinzaglio, che trotterella felice davanti a me. Mi fermo sul limite del molo, e aspetto seduto su una grossa bitta. Mi guardo intorno agitato, sono abbastanza certo che verrà, ma non so come reagirà ai fiori ed al cane. Mi sento come se fossi nudo e questo da un lato mi spaventa e dall’altro mi convince che così riuscirò a capire effettivamente quale sarà il mio spazio nella sua vita. Se dovremo, come sembra, collaborare a stretto contatto per i prossimi mesi, vorrei non dovermi struggere di se e di ma, cercando di interpretare i segni subliminali che potrebbe lanciarmi.

Isabella mi piace. Di questo sono certo.

E se piacerà anche a Muso sarà amore di sicuro. Sono alleggerito dal pensiero di riuscire a far dell’autoironia in un momento così delicato.

Muso si agita e io torno al presente. La vedo avvicinarsi, lenta, avvolta da un morbido cardigan color canarino. Jeans stretti e scarpe basse, sembra una ragazzina. E’ sorpresa, vaga con lo sguardo da me al cane, che poi torna su di me, e quindi ai fiori, e a me di nuovo. Allungo la mano e le porgo il mazzo. «Questi sono per te». Le dico. OVVIO, CHE SONO PER LEI comincio bene…

Il sorriso le muore sul viso e un’ombra le passa nei begl’occhi nocciola.

«Non dovevi. Davvero» mi dice con un tono che mi fa capire che non è una frase di circostanza.

OPS, ed ora come ne esco? Gioco l’ultima carta. Il mio asso.

«Ma questi sono da parte di Muso, non si presenta mai ad una signora a zampe vuote». Le sfodero il sorriso più sincero che ho. Bella rimane dubbiosa ancora un po’, poi sembra rilassarsi. «Beh, se sono da parte di questo galante giovanotto, non posso che accettarli». Risponde al mio sorriso, e la giornata mi s’illumina.
Si piega sulle ginocchia e accarezza la testolona del mio cane.
«Che bel cucciolone, che sei…»gli dice in falsetto. Muso, da bravo conquistatore , le propina lo sguardo più dolce del suo repertorio e le offre la zampa. «Wow, sei veramente adorabile». Si alza e leggo nei suoi occhi un’emozione profonda. «Che ne dici se lo accompagnamo a fare un giro?» Le chiedo. «Solo se lo lasci portare un po’ a me». Mi risponde radiosa. 

Che bella che è quando sorride. Penso


Cosa ne pensate? Spero non vi siate addormentate, almeno le nuove immagini messe qua e la sono di vostro gradimento? E cosa pensate di un Edward con cane?  Di meglio ci può essere solo un Edward con neonato, ma vi assicuro che in questo caso non ci sono pargoli nascosti...a meno che non capitino "incidenti" durante il percorso. Nel prossimo parleremo della giornata insieme, (anche degli altri, poveretti) di questo fine settimana interminabile...
Siete arrivate fin qui? Sono commossa.
Baci

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo ***


Ciao a tutte. Siamo ancora a San Francisco, in questa domenica di pausa dal lavoro. Vi ringrazio per la pazienza che mi state dimostrando e vi assicuro che dal prossimo capitolo si ritorna alla preparazione del viaggio spaziale. Vi informo che ho tolto il gesso, e che finalmente riesco a muovermi zoppicando per casa.
Ci rivediamo più sotto,
Teresa


 

 

Capitolo undicesimo

 

(Bella)

Passeggiamo all’interno del parco verso la zona in cui, a detta di Edward, potremo lasciare Muso libero dal guinzaglio. Con l’avvicinarsi del mezzogiorno la giornata si sta facendo calda. 

«Uff, sono sfinita, possiamo sederci da qualche parte?» Gli chiedo mentre trattengo Muso, che vorrebbe mantenere un passo molto superiore alle mie possibilità. La risata trattenuta di Edward mi coglie in contropiede. Mi volto verso di lui e lo guardo storto, non amo sentirmi ridicola. Lui, alla mia reazione, sgrana gli occhi e smette all’istante. 

«Scusa, ti avevo chiesto anche prima se volevi il cambio. Muso adora correre libero e probabilmente gli mancano le nostre gite sulla spiaggia.» Mi indica con la mano una zona del parco recintata e un grande cancello di ferro nero aperto. 

Sul cartello, appeso, leggo: Attenzione cani in libertà. 

L’oltrepassiamo ed Edward si affretta a sganciare il guinzaglio dal collare del suo cane. 

«Eccoti libera» mi dice cercando di mascherare il sorrisetto che, invece, continua a spuntargli. Sto per replicare con una battuta di spirito, quando la suoneria del cellulare  mi interrompe. Lo estraggo dalla borsa e leggo sul display il nome di Alice. 

«…Pronto… Alice?» Dal telefono esce solo silenzio. 

«…Alice, ci sei?» insisto. 

«Sì, Bella, scusa ma sembri… in affanno. Qualsiasi cosa tu stessi facendo, mi dispiace di averla interrotta. Ciao, chiamami quando sei libera.» Sputa fuori le parole come se scottassero. 

«Alice, aspetta, non hai interrotto niente. Stavo rincorrendo un cane. Dimmi, ti ascolto.» 

«Un cane? C’è Edward lì con te?» Nella sua voce c'è sorpresa e ira repressa. Colgo nelle parole l’equivoco. Non resisto, mi volto verso l’uomo e mi scappa una risata irrefrenabile. 

«Oddio, Alice. Sì, Edward è qui con me, ma non è lui “il cane”. Stavo parlando del “suo cane”... ma è una storia lunga, non mi hai ancora detto perché hai chiamato». Mi asciugo con la manica le lacrime che mi sono scese durante la risata sguaiata. 

Edward mi guarda offeso conversare con Alice. Penso ai fiori che ho ancora in mano e mi dispiace aver riso di lui. Mi avvicino veloce e gli circondo il collo col braccio stando attenta a non colpirlo col mazzo. Lo forzo un po’ verso il basso, e gli lascio un veloce bacio sulla guancia. «Scusami» gli mimo con le labbra. Lui annuisce con un accenno di  rossore sul viso. 

« Dicevi?» incalzo la mia interlocutrice. 

«Beh, prima di sapere che non fossi sola, io e gli altri, ci chiedevamo se avresti voluto aggregarti a noi...» mi dice titubante. 

«Dove siete ora?» Le chiedo. 

«A Treasure Island. Abbiamo appena percorso la 49-Mile Scenic Drive ed ora pensavamo di dirigerci verso la Napa Valley ». Mi risponde. 

Guardo Edward, che mi chiede sottovoce: «Pranzi con me?» Sì, decisamente l’idea mi alletta. 

«Scusami, ma ho già un invito per  il pranzo. Non è che ci potremmo vedere quando tornate?» «Mmh sì, certo» mi risponde Alice. 

«Benissimo. Ci vediamo più tardi. Buona gita». 

«Ok, buon divertimento anche a te e mi raccomando  non fare nulla che non farei io» trilla Alice. «Ah, ah, povero Edward, allora non sa in che guaio si sta cacciando. Ciao, a dopo.» Le rispondo chiudendo la comunicazione. 

Siamo quasi arrivati al bordo del laghetto che si estende al centro del parco. Edward si guarda attorno alla ricerca di Muso. Lo vediamo correre felice, orecchie al vento e lingua penzoloni . 
«E’ proprio un bell’animale» gli dico mentre mi siedo sul ghiaino  che costeggia la riva. «Sì, ed è anche molto affettuoso. Mi ha fatto tanta compagnia in questi anni da single.» Annuisco comprensiva. «Ho avuto un cane anch’io da piccola, che mi ha fatto pesare meno il fatto di essere figlia unica». 
«E che cane avevi?» Mi chiede mentre mollemente lancia piccoli sassolini nell’acqua. Seguo per un attimo i “plof” sordi e i cerchi concentrici che increspano la superficie.
« Un grosso Terranova nero di nome Zorro, che amava fare il bagno in ogni pozzanghera. Se fosse stato qui, per esempio, si sarebbe già buttato dentro al lago.» 

«Anche a Muso piace fare il bagno, ma il suo sport  preferito è rincorrere qualsiasi cosa si muova, come le anatre o i gabbiani che siano dentro o fuori dall’acqua» 

Mentre lo ascolto parlare rilassato, cullata dalla leggera brezza tiepida, sfioro  con un dito il contorno morbido e frastagliato di una gerbera gialla del mazzo, che ho al mio fianco.  All’improvviso ne esce un’ape disturbata dal mio gesto. Faccio un balzo di lato, spaventata, cercando di liberarmi dell’insetto. 

«Ahhhh, vai via bestiaccia…» urlo sbracciandomi. Edward si allunga e mi stringe a sé, allontanando l’ape con la mano. 

«Sciò, brutta cattiva» gli sento dire divertito. 

«Se n’è andata?» Gli chiedo mentre tengo gli occhi  chiusi. 

«No, sta facendo una passeggiata sulla manica del tuo golfino». 
Sussulto e mi stringo ancora di più a lui, infilandogli  il viso tra la spalla ed il mento. Lo sento sospirare e i muscoli sulla mascella tendersi in un sorriso. Sospiro anch’io ringraziando, mentalmente, questa mia assurda fobia per ogni insetto a righe gialle e nere. 

«Via libera, stavo scherzando. L’ape s’è n’è già andata da un pezzo», mi sussurra mentre mi bacia i capelli vicino all’orecchio. Faccio per allontanarmi ma il suo abbraccio non si allenta. 

«Non si sta male messi così.  E se dovesse arrivare qualche altro mostro volante sarei già pronto a difenderti». 

Sono d’accordo con lui, ma il mio orgoglio mi costringe alla replica. 

« Mi stai prendendo in giro?» Gli dico senza spostarmi di un millimetro. 

«Sì, ma non offenderti, ti prego, è che mi è piaciuto scoprire questo tuo lato così vulnerabile.»

«Non dirlo a nessuno, non vorrei rovinarmi la reputazione» scherzo. 

«Sarà il nostro piccolo segreto, ma ricordati che così ti ho in pugno» 

Esco dal suo caldo rifugio profumato, scossa da un altro grosso sospiro. 

«Cercherò di farmene una ragione». 
In quel momento arriva  Muso, che si infila con i suoi zamponi tra il groviglio di gambe e ci annusa curioso. «Lo portiamo a casa e andiamo a pranzo?» Mi suggerisce Edward.

 

 

(Angela)

 

Sono  andata a letto, ieri sera, confusa e coi piedi a pezzi. Non ho capito bene cosa ci sia stato tra il Comandante e il Capitano Cullen a parte quello, ovviamente, di cui sono  stata spettatrice. Ma alla fine sono  riuscita a liberarmi dell’eccitazione generale e mi sono addormentata. La serata era riuscita davvero bene, ho riso e ballato oltre ogni mia aspettativa. 

Da quando lavoro per il progetto della NASA,mi capita spesso di essere coinvolta in situazioni estranee alle mie abituali mansioni d’ufficio e fatico ad abituarmi a quella sorta di follia “scientifica”  che pervade il  gruppo.

Scendo, verso le otto del mattino, nella sala colazione dell’hotel e mi trovo  nel pieno di una discussione. «Oh, eccola» sento dire dal Maggiore Brandon. 

«Angela abbiamo qualcosa in programma per oggi?» 

«No...non che io sappia». Le rispondo. 

«Vedi, Rose, te l’ho detto che oggi possiamo stare  libere dai tacchi». Dice alzando una  gamba inguainata nel jeans stretch e mostrando con orgoglio la scarpa sportiva. L’altra ribatte  facendo  un’elegante piroetta per  mostrarle la sua tenuta.

« Alice, mi deludi. Hai lavorato tanto sulla nostra immagine. Non mi puoi crollare proprio oggi. Eric non c’è, quindi sta a me immortalare ogni momento per i nostri affezionati followers» 

«Sì, certo, tanto a te sta bene tutto» le risponde la mora, «ma permettimi di essere stanca e quindi casual per una volta». Durante la loro discussione si avvicinano anche gli altri componenti del gruppo che si mettono a patteggiare per l’una o l’altra  contendente. 

«Io trovo che con quel vestitino sei uno schianto». Dichiara  il Capitano    McCarty a Miss Hale. 

«Io voto per  la praticità » risponde il dr Newton con l’approvazione del tenente Stanley.

«Questo è un grande argomento, sono commosso!» Interrompe il Capitano Hale. «La smettiamo di perdere tempo in inutili disquisizioni di moda e decidiamo cosa fare? Non ho ancora visto Bella.» 

«E’ uscita a correre, e vuole essere lasciata in pace». Rispondo.

Una risata animalesca esce dalla bocca di McCarty.

« Possiamo chiamarla più tardi» dice Alice battendo il palmo sul tavolo. «Suggerisco un bel tour della città» continua. 

«Io propongo di farci una bevuta in una delle famose cantine dei dintorni» risponde il Capitano Hale.

«Beh, se usciamo subito potremmo fare tutt’e due le cose, no?» Dichiara la sorella. 

«Sì, e magari se ci rimane tempo potremmo buttaci giù a capofitto in moto per i tornanti di Lombard Street. Hanno una pendenza del venti per cento». Dice eccitato il Capitano McCarty rivolgendosi al Capitano Hale.

«No, quello no. Dovrei mettermi il casco e mi rovinerei la piega» risponde la Hale seria.

Li guardo uno ad uno, sono tutti più vecchi di me ma sembrano tanti adolescenti esagitati. 

«Allora è deciso» dice Alice contenta. 

«Angela potresti, per favore, noleggiarci due auto e organizzarci l’itinerario?» Mi chiede gentilmente.

Ecco quello che fa per me. « Farò in un attimo». Le rispondo felice.

 

(Edward)

 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&list=RD02T5V0hhZ3IVg&v=wOFa0sE4fXE

 

Io e Bella siamo rimasti seduti sul bordo del laghetto a parlare rilassati come se ci conoscessimo da tanto tempo. Mi ha raccontato del cane della sua infanzia. Mi è sembrata felice, ed io con lei. Non è ancora chiaro cosa ci sia tra noi, so solo che ho cretinamente bruciato le tappe e ingarbugliato l’ordine naturale delle cose. L’ammiravo già quando non la conoscevo di persona. Poi, in questi pochi giorni, ho imparato a stimarla per l’aura di sicurezza che emana durante suo lavoro. E’ che, senza darle il tempo di apprezzarmi come collaboratore, ho spostato il nostro rapporto sul fattore personale.

Sono sicuro che c’è attrazione, tra di noi, porca miseria! Ma così è tutto troppo accelerato e rischio di bruciarmi ai suoi occhi.

Mentre rifletto tormentato sull’esistenza  del destino o  sull’ipotesi del  colpo di fulmine, una benedetta piccola ape, me la porta dritta tra le braccia.

Ringrazio Dio, ora, per aver esaudito il mio desiderio . La stringo, la coccolo, la prendo pure in giro per sdrammatizzarne le sue paure e la sento sulla stessa mia lunghezza d’onda. 
Ormai senza fiato per la sua vicinanza, che mi mozza il respiro, le ricordo che è quasi ora di pranzo . Ritorniamo sui nostri passi con Muso che, a tratti, ci precede festoso per poi fermarsi ad aspettarci. E ogni volta che le capita a tiro, Bella, gli dà una grattatina sotto un orecchio o sotto la gola e lui le scodinzola felice. 

Come vorrei essere lui in questo momento. 

Bella è rilassata e amichevole con lui, per niente preoccupata di rispettare ruoli e convenzioni. Arrivati all’auto sto per far salire Muso sul pianale di carico del pickup quando Bella mi ferma. «Aspetta, dove lo hai messo quando siete usciti stamattina?» Mi chiede. 

«Beh, veramente nell’abitacolo, insieme a me».

«Da come lo adori me lo immaginavo» mi dice guardandomi teneramente.

«Per me puoi farlo salire davanti, ci staremo benissimo tutt’e tre». 

«Sei sicura che non ti dia fastidio?» Le chiedo. «A Muso non dispiace stare dietro» 

«Sicurissima, grazie». Sale per prima, lo aspetta, per poi abbassargli il finestrino a metà. «Ecco, così potrà godersi il vento contro il muso» mi dice vicina, molto vicina.

Siamo davanti a casa mia, Bella la guarda con gli occhi sgranati.

«Non ti aspettavi niente di simile, vero?».

« Ma è pazzesca!» Mi dice. 

«Come fai a stare lontano da qui?». 

Le sorrido, pensando che la dividerei volentieri con lei se ci fosse anche lontanamente la possibilità. Ma come solito corro troppo con la mente e mi lascio prendere dai miei desideri romantici.

Sono solo da troppo tempo, forse non sono lucido. Concludo.

(Bella)

 

« E’ dura, ma devo seguire le mie aspirazioni e anche se mi costa ammetterlo, mi sento a casa in ogni posto in cui desidero essere». Risponde mentre mi  guarda serio. 

Il mio cuore ha un sussulto. 

«Quello che mi manca di più è Muso», sospira mentre scende. 

«Aspettami, faccio in un attimo». Gira intorno alla macchina e apre lo sportello per far scendere il cane. In quel momento mi sembra di sentire empaticamente il dolore della loro prossima separazione. Mentre Edward sale i gradini per entrare nella stupenda villa in stile vittoriano di legno avorio e blu, prendo in mano il telefono e cerco in rubrica un numero e lo chiamo. 

«Angela, sono io. Hai tempo per farmi un favore? Dovresti verificare se sul volo di domani mattina, possiamo imbarcare un cane. Sì, nella stiva perché è di grosse dimensioni. Più di quaranta chili, se serve te lo posso far sapere con precisione. Ok, grazie mille, aspetto notizie. Sei un tesoro» Edward torna mentre chiudo la comunicazione. Si infila, appoggiandosi sui gomiti, dal finestrino aperto. 

«Qualche cambio di programma?» Mi chiede con aria preoccupata. 

«No, assolutamente».

«Perfetto» mi dice sfoderando un sorriso da mozzarmi il fiato. Non resisto, lo vedo lì incastrato con uno sguardo chiaro e luminoso. Gli imprigiono il viso tra le dita e lo bacio delicatamente. Sento la barba solleticarmi le dita, ed il calore della mattinata all’aperto irradiarsi dalla sua pelle. Mentre mi stacco dalle sue labbra invitanti, le vedo piegarsi all’insù in un sorrisetto soddisfatto.

«Dai, salta su, prima che ti chieda di visitare la casa». Lo minaccio. Lui sghignazza e mi lancia uno sguardo malizioso. 

« Mmh, se farai la brava,  te la mostrerò al ritorno». 

Mette in moto e mi dice che ci troviamo nella zona di Alamo square, famosa per le Painted Ladies, villette antiche come la sua dipinte a colori sgargianti. 

«Posso chiederti come fai ad avere una casa  come questa?». Gli chiedo. 

«Era della mia famiglia e me l’hanno regalata quando mi sono sposato» Sospira. «Quindi dopo la separazione è rimasta a me, ed ancora ci vivo».

«Scusa se sono stata indiscreta»

«Non ti preoccupare, capisco che per chi non sia del posto risulti una costruzione piuttosto bizzarra» mi guarda e sorride.

«Un po’, ammetto, ma è molto affascinante» gli rispondo.

«Come chi la abita?» mi suggerisce scherzando.

«Sì, ma il proprietario è soprattutto modesto» ribatto. 

Mentre attraversiamo la città mi illustra il percorso. Mi informa che stiamo percorrendo Market  Street, per poi costeggiare Union Square ed arrivare al Financial District. Alla fine si ferma nel parcheggio sotterraneo della Bank of America Boulding. Entriamo nell’ascensore e prenota la fermata per il ventunesimo piano. Rimaniamo in silenzio per tutta la salita. Mi concentro imbarazzata sulla texture delle pareti di metallo sicura di essere arrossita  per lo sguardo che mi sento addosso. Edward mi prendere con delicatezza la mano mentre  che il trillo ci avverte di essere arrivati al piano. Le porte dell’ascensore si aprono direttamente sulla sala ,  ampia e luminosa,del ristorante . Ampi tavoli rotondi, rivestiti da ricche tovaglie di damasco crema riempiono per buona parte il locale. Un matre sorridente, in abito scuro  ci accoglie all’ingresso. «Dottor Cullen, ben’arrivato. Le ho fatto preparare, come da sua richiesta, un tavolo sulla terrazza». Ci invita a seguirlo  oltre le vetrate.

«Grazie, Peter». Gli risponde Edward mentre scosta una poltroncina in midollino per farmi sedere.

« Mi sembri di casa qui, ci vieni spesso?» Gli domando.

«Quando ho la compagnia giusta». Si prende un attimo di pausa prima di continuare: «Ultimamente solo con la mia famiglia».

Ordiniamo crostini con gamberetti, e salmone in salsa con verdure al vapore. 

«Hai delle preferenze per il vino?» Mi chiede guardando la lista della cantina. 

«No, non sono un’esperta, in genere bevo birra». Gli dico con un po’ di vergogna. 

«Beh, se vuoi possiamo ordinare la birra, altrimenti un bianco prodotto dalle vigne di questa zona,… tipo il Sauvignon» mi suggerisce. 

«Il Sauvignon, è perfetto»  rispondo. 

Mentre aspettiamo lo vedo pensieroso ed io  non dico nulla per timore d' interrompere,  un ricordo importante. Mi concentro, quindi,  sulla vista che si estende intorno e  che spazia sulla città per  almeno cent'ottanta gradi, compreso uno stupendo scorcio della baia con al centro l’isola di Alcatraz.

«Bella, posso farti qualche domanda?»  Mi dice rompendo finalmente il silenzio.

«Certo» gli rispondo.

«Riguardo alla tua paura che  al tuo risveglio non avresti più provato le emozioni di ieri sera, ecco…vorrei sapere, se posso,…cosa ne pensi oggi» è in evidente disagio, «…e anche se hai qualcuno a cui tieni, perché io scioccamente, sto dando per scontato che tu sia libera…ma in effetti non lo so, e non vorrei peggiorare il casino che ho già fatto.» Si interrompe passandosi nervosamente una mano tra i capelli. 

Mi fa proprio tenerezza. Gli sorrido riflettendo sulle risposte da dare.

«Allora, cominciamo dalla seconda domanda. Sono libera, anche se, come direbbe Rose, mantengo a distanza la gente come se non lo fossi. E su cosa provo oggi…beh, sono sicuramente meno ubriaca di ieri sera, per adesso per lo meno. Non c’è la luna a rendere magica l’atmosfera…però in definitiva non è cambiato molto». Mi interrompo per ammirare il suo sorriso soddisfatto. 

Mi vengono in mente Alice e Rose e le  loro prediche e decido di renderle orgogliose di me. 

Mentre mi appresto a riprendere il discorso  arriva il cameriere con i nostri piatti.

 Concedo qualche morso ai crostini che sono buonissimi. Poi bevo un sorso di vino,  raddrizzo le spalle e mi butto:

«Edward, la verità è che mi piaci. Sei stato sicuramente un’incosciente e, se posso dirtelo, hai rischiato che ti buttassi fuori dal gruppo immediatamente. Il fatto è che da un lato mi sarebbe difficile spiegarlo al Generale Rogers, dopo tutti i complimenti che mi ha fatto sulla  scelta dei membri di questo equipaggio, dall’altra faccio ancora fatica a rendermi conto di cosa ci sia effettivamente di reale in questa situazione. 
Ti parlo a cuore aperto. Non aver paura di tirarti indietro. Per piacere fallo adesso, prima che mi illuda di contare qualcosa per te. Prima che possa iniziare a metabolizzare l’idea di un “noi”.»

Mi interrompo per bere un altro sorso di vino. La testa mi gira un po’, ma non è colpa dell’alcol. Sono tesa come davanti alla commissione che mi ha promosso Comandante. 

«Non ti sto prendendo in giro, te l’assicuro» mi dice turbato. Se vuoi ti faccio conoscere amici ed ex colleghi, perché ti confermino che non sono uno che corre dietro a tutte le gonne che passano…anzi, ti ho detto che spesso la mia unica compagnia è il mio cane.» 

Mi rilasso un poco, anche se dentro di me provo tante sensazioni contrastanti, tra cui: paura, eccitazione, inquietudine per il futuro, felicità…

«Senti», continuo, «potrei dirti, "diamo un bel colpo di spugna al passato e ricominciamo da capo". Ma non voglio. Mi piace ciò che assurdamente è successo e vorrei provare a costruirci qualcosa. Magari, però, proviamo ad andare con calma. Non buttiamoci subito in una relazione fissa. Proviamo a comportarci come due persone che si piacciono, e che stanno imparando a conoscersi. Poi, se saremo ancora in sintonia, sarò la prima ad essere felice d’intrecciare un rapporto più stretto con te.» 

Sono sfinita. E’ uno dei discorsi più lunghi e più seri che abbia mai fatto. 

Edward mi guarda commosso e mi bacia la mano che nel frattempo aveva preso nella sua.

«Sei veramente una donna magnifica» mi dice dolcemente. 

«Oggi però siamo ancora in vacanza nella mia città. Permettimi di coccolarti»

 Stanche? Per me è stato un capitolo impegnativo. E non sono sicura  che sia riuscito così bene. Non mi veniva scorrevole, l'ho dovuto rimaneggiare un sacco di volte. sarà colpa dell'umidità ! 

E' rimasta in solpeso la questione del cane, cosa ne pensate:  facciamo che il posto sull'aereo ci sia, o lo lasciamo a San francisco? Lo lascio decidere a voi.

Ora vi lascio consigliandovi una storia che ho letto in questi giorni, abbiate solo la pazienza di superare i primi due o tre capitoli dove prevale lo struggimento della protagonista e vi innamorerete dei personaggi, ve l'assicuro.

 "CHIUDI GLI OCCHI E VEDRAI " di Foldr                                                                             http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=961173   




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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo ***


Eccomi, sono qui, finalmente. Mi scuso di non aver postato la scorsa settimana, ma come sarà sicuramente successo anche a voi, la Pasqua in famiglia ha assorbito tutte le mie energie ed attenzioni. Ho occupato il tempo restante leggendo tante belle storie su Efp e sui blog che frequento e creando banner alle amiche. Sembra che stia diventando un'occupazione che mi piace tanto e , anzi, se c'è qualcuna di voi che desidera un'immagine per la propria storia, può chiedermela e cercherò di creargliela. Domani ricomincio a lavorare, dopo la pausa "caviglia rotta". Spero di arrivare a sera con ancora qualche briciolo di energia.

Veniamo al capitolo nuovo: siamo per l'ennesima volta, ancora a San Francisco, in questa ultima domenica di marzo.Sembra che i miei eroi ci vogliano rimanere ed in fondo, vorrei tornarci anch'io.

Ci rivediamo più sotto, mando un mondo di baci a tutte le persone che mi seguono, che si facciano sentire o no. Ho anche in previsione un "restyling" dei primi capitoli, perchè mia sorella mi ha fatto alcune osservazioni stilistiche che mi hanno suggerito delle riflessioni.  
Grazie ancora,
Teresa






Capitolo dodicesimo

 

(Emmett)

«Ne vuoi ancora?» Chiedo a Rose che siede rilassata alla mia destra. «No, grazie. Ormai ti conosco abbastanza da temere qualche tuo secondo fine».

Mentre ride mette la sua splendida mano a coprire il bicchiere e mi guarda ironica. Le regalo un’occhiata di finta offesa e mi rivolgo  ai commensali di fronte «Jaz? Alice?» Dopo il loro rifiuto appoggio sul tavolo la bottiglia di vino rosso che ci hanno servito durante il pranzo. Mi volto a guardare il panorama che scorre costante fuori dall’ampio finestrino del vagone ristorante. A fine marzo la campagna di questa fertile valle della California non si è ancora risvegliata. Le ombre nude dei vigneti corrono a perdita d’occhio accompagnate dal costante sottofondo sferragliante del Treno del Vino su cui ci troviamo. Ogni tanto le coltivazioni si interrompono, per lasciare spazio a  cascine dalla struttura fantasiosa.

«E’ tutto veramente buono». La piccola e spiritata Alice appoggia nel piatto la forchetta con un sospiro.

«Confermo, e non mi sarei mai aspettata un servizio così   di classe» le risponde Rose.

Mi volto verso la mia bionda vicina e stento ancora a credere possibile che una ragazza bella ed elegante come lei sia single.  

Per mia fortuna, naturalmente.

«Devo darti atto che hai avuto un’idea splendida con questo tour ferroviario, Jasper» gli dico ammirato mentre mi pulisco le labbra con un fine tovagliolo bianco. Un mormorio di consenso serpeggia anche tra gli altri del gruppo seduti nel tavolo vicino.

«Grazie, sono onorato che vi sia piaciuto. Ne ho sentito parlare ieri da alcune persone presenti al convegno». Un grande sorriso furbo gli si apre sulla faccia. Rimane in silenzio un attimo, si guarda intorno e poi  si sporge sul tavolo verso di me.

«E a me piace la tua idea di buttarci giù in moto per Lombard Street…» mi dice abbassando la voce con fare cospiratorio.

«Oh, no vi prego! Speravo ve ne foste dimenticati» si lamenta Rose facendo un adorabile broncio.

«Non preoccuparti Principessa, sarei onorato di caricarti,  sono un centauro esperto!» Le propongo.

«Ma sei pazzo? Secondo te potrei salire a cavalcioni di una moto con una gonna come questa?»

La osservo bene,con occhio esperto.  Mi ha autorizzato, quindi mi soffermo un po’ di più del dovuto sulle sue belle gambe che sporgono per quasi tutta la loro notevole lunghezza dal vestitino color pistacchio.

«Beh, a me sembri a posto. Ma se proprio insisti ne cercheremo una che si intoni con questo punto di verde» Mi allontano fulmineo aspettandomi una sua reazione che infatti non tarda ad arrivare.  Mi schiaffeggia con la mano il braccio e si rivolge al fratello:«Ehi Jasper, lasci che un Cowboy qualunque mi insulti?» Jaz ride come un pazzo e a fatica riesce a risponderle.

«Rose, io ho imparato che è meglio non impicciarmi con i tuoi affari privati».

Jasper si ricompone e continua: «Allora che ne dici, secondo te riusciamo ad organizzare?»

Sbuffo alzando gli occhi al cielo in modo plateale. «Se un dottore di nostra conoscenza, in questo momento, non stesse facendo il cascamorto con il capo, magari potremmo saperlo…» Estraggo il cellulare dalla tasca e cerco in rubrica il numero di Cullen.

 

 

(Edward)

 

Le appoggio di nuovo la mano sul tavolo dopo avergliene baciato il dorso. Non devo correre troppo, me lo ha detto lei poco fa, e lo capisco.   Ma faccio fatica. Mi viene da urlare ai quattro venti la mia gioia: telefonare  ad amici e parenti, dicendo loro che questa  splendida creatura mi ha concesso una possibilità e che quindi, mi sento di nuovo vivo e felice.

Bella finisce il suo piatto e mi sorride con gli occhi che le brillano. La luce di questo mezzogiorno d’inizio primavera, si riflette nelle sue iridi e il nocciola degli occhi si scalda in una tonalità quasi aranciata. «Mi imbarazzi se mi fissi così» mi dice con un filo di voce.

Mi riprendo dalla trance che mi ha colpito. «Scusa, non era mia intenzione».

La vedo riporre il tovagliolo di fianco al piatto.  Il cameriere compare affianco a noi. «Gradite qualcosa d’altro? Un dolce? Caffè?» Mi chiede.

«Bella?»

«No, grazie, Sono sazia. Un pranzo ottimo» Mi dice allegra.

«Siamo a posto, Peter. Vorrei il conto per favore»

«Offro io» dice Bella con sicurezza prendendo la borsa dalla sedia vuota alla sua sinistra.

 La fermo con una mano alzata e lo sguardo offeso. «Non se ne parla neppure».

Nello stesso  istante  mi squilla il telefono. Lo cerco nelle tasche e rispondo. « Em, ciao».

«Ciao Doc. Non sarai mica solo? Dimmi che ti sto disturbando!»

«Si, stai disturbando. Contento? Sputa cosa vuoi e togliti dalle palle» gli rispondo ridendo.

«Siamo di ritorno da Napa, tu che sei indigeno, conosci un posto dove si noleggino moto?»

«Lombard in Enduro, eh? E’ questo che avete in mente?» 

Bella mi chiede sottovoce  informazioni sulla telefonata. «Edward, chi è? McCarty?»

«Sì, è Emmett che, stanco di vivere, si vuole rompere il collo in moto» le rispondo.

«Non dare tutta la colpa a me. Qui sono tutti aspiranti motociclisti» Percepisco in sottofondo la voce entusiasta di Alice e quella arrabbiata di Rose. «Beh, almeno quasi tutti» si corregge.

«Lasciami riflettere. Oggi è l’ultima domenica di marzo…vero?» Chiedo retorico.

«Sì».  Mi risponde perplesso.

«Mmh, allora niente moto, ma se arrivate in fretta c’è modo di divertirsi. Aspetta un momento.» Mi  rivolgo a Bella «Ti andrebbe di fare una corsa giù per la montagna in compagnia?»

«Certo» mi risponde.

«Ok, ci troviamo all’incrocio tra Lombard e Hyde street» Gli confermo.

«Ok, Ed, ma posso sapere con che mezzi scenderemo la collina?»

«Ah ah, è una sorpresa… vedrai che resterete a bocca aperta»

«Non so se c’è da fidarsi … passami il capo, dai»

«No. Ti dovrà bastare la mia parola. Prendere o lasciare». Sibilo.

«Ok, ok. Non ti scaldare. Ci vediamo dopo». Mi dice prima di chiudere la comunicazione.

«Cosa hai in mente di preciso?» mi chiede Bella.

Un sorriso bieco mi increspa il viso mentre ripongo la carta di credito nel portafogli. «Qualcosa che non facevo da una vita…»

«Vieni, abbiamo ancora un po’ di tempo per noi se ti va». La prendo per mano ed usciamo dal locale. Nell’ascensore vuoto la stringo in un angolo e le cospargo di lenti  baci la fronte, gli zigomi, il naso, il mento. «Edward, ...che fai?» mi bisbiglia mentre sono occupato col suo viso.

«Faccio scorta di tutti i baci che non riuscirò più a darti…» Le sussurro ad un millimetro dalle sue labbra. Voglio dimostrarle il mio affetto mantenendomi nei limiti che mi ha imposto. Mi infilo leggero tra le sue labbra che hanno ancora il sapore del vino. Ha gli occhi chiusi, e il respiro accelerato. Le sue ciglia scure creano un arco sulle gote un poco arrossate.

«Ti devo dire una cosa che spero ti farà piacere» Mi sussurra. «Puoi portare con te Muso, domani».

«Muso? Con noi in Texas?» Le chiedo sbigottito.

Accenna sorridente un sì con la testa.

«E, poi anche in Florida e nello spazio cosmico?» Le domando eccitato come un bambino.

«No, nello spazio no. Rimarrà con Angela e Rose a Cape Canaveral»

«Non posso crederci» dico mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime, «Tu fai questo per me, dopo che io ti ho dimostrato che sono un cretino?»

La vedo sospirare.«Cosa posso farci se il tuo cane mi piace da impazzire?» Mi dice con un’alzata di spalle.

IL CANE, EH? Con uno slancio l’abbraccio e rimango così, in adorazione fin che le porte dell’ascensore non si aprono sul parcheggio.

La porto un po’ a spasso per Downtown, mano nella mano come due fidanzati. Me ne guardo bene dal farglielo notare e lei pure tace. L’accompagno nella mia libreria preferita, quella che ha visto radunarsi all’interno i fautori della Beat Generation. Tra gli scaffali ricolmi di libri, chiacchieriamo dei nostri anni di scuola e scopro che già allora aveva le idee molto chiare e mentre io mi dedicavo alle uscite con amici e a fare il farfallone con le ragazze, lei insieme ad Alice, faceva stages di meccatronica in giro per il mondo. All’interno del locale vedo una cabina per fototessera. La trascino d’impulso verso la tendina d’ingresso e con una smorfia le faccio cenno d’entrare.

 

(Bella)

 

Il tempo a San Francisco  è mutevole come l’umore di Alice. Per tutta la mattina il sole ci ha deliziato del suo calore, disperdendo le brume di nebbia. Ma ora mentre usciamo dalla libreria, con in mano le foto che abbiamo fatto stretti stretti come due quindicenni in vacanza, il cielo si è fatto pesante di nuvole grigie ed il vento freddo mi colpisce. Edward, che precedentemente mi aveva tenuto  per mano, mi avvolge le spalle con un braccio e mi accompagna lesto in un locale lì vicino dove, dopo aver parlottato con la giovane cameriera, mi  fa servire un caffè espresso all’italiana, servito in originali tazze in ceramica rossa a forma di cuore.

«Grazie ancora, per tutto», mi dice con la sua voce calda. Guardo fuori dalla vetrata in forte imbarazzo. Lui segue il mio sguardo e continua con un  tono più leggero: «Non preoccuparti, questo vento porterà via presto le nuvole e prima di quanto tu riesca ad immaginare, tornerà il sole». Mi sorride dolcemente, mi prende una mano e mi accarezza il dorso piano col pollice. «Aspettami un attimo qui, per favore, pago il conto e raggiungiamo gli altri»

 Annuisco mentre lo guardo dirigersi sicuro verso la cassa. Mentre cammina accompagna con le spalle il movimento del passo, rendendolo fluido e sensuale. Mi sorprendo a paragonarlo a James. No, è tutto un altro stile. Nella mia testa prego che questa  netta differenza, sfoci in un rapporto più solido e duraturo. Mah, vedremo.

Quando torna mi porge uno dei due  piccoli oggetti ovali di rame che ha in mano.

«Prendi», mi dice. «Tienilo come ricordo di questa splendida giornata insieme». Osservo l’oggetto in questione e capisco che è una moneta da un centesimo pressata a medaglietta con sbalzata la sagoma del Golden Gate Bridge. «Carina, grazie». Allungo una mano per guardare quella che ha tenuto per sé.  Ha impressa la sagoma di un pallone da Football con il nome della squadra della sua città. «Tifoso?» Gli chiedo alzando un sopracciglio.

«Sentimentale» mi risponde con tono innocente.

 

****

 

Arriviamo dopo una quindicina di minuti al luogo dell’appuntamento.

Già  alcuni incroci prima, mi ero resa conto che c’era un gran movimento di persone e di auto in giro.

Mentre ci avviciniamo noto furgoncini aperti con strane mercanzie sopra e gente vestita in modo bizzarro che attraversa la strada. Sembra una festa rionale, non ci sono bandierine e stendardi, ma ...

Dopo poco lo vedo. Un lungo striscione tra gli alberi in cui leggo: San francisco’s Big wheel races.

«Edward, ma è quello che penso?» Gli chiedo allibita. Lui mi guarda ghignando mentre cerca di parcheggiare il più vicino possibile alla folla che vediamo assiepata all’incrocio con Lombard street. Molte di queste persone travestite con buffi indumenti, portano sottobraccio il “loro mezzo”.

Mentre scendiamo, vedo sopraggiungere a piedi i nostri compagni.

«Cullen, gran figlio di un Hippie strafatto» lo insulta Emmett  dandogli una manata nella schiena, «Ma questa è una corsa in TRICICLO!».

«Che occhio, Emmett. Pensavo che ti intendessi solo di rodei» gli rispode allegramente. «Che ne dite, vi va di provare?» Mentre parla passa in rassegna tutti i volti, soffermandosi sul mio.

«Sei delusa?» mi sussurra preoccupato.

«No, affatto, solo non capisco come potremo partecipare»

«Guarda bene. Vedi quei furgoncini lì avanti? Noleggiano tricicli super sportivi. E ai più accomodanti, al momento dell’iscrizione, con qualche dollaro in più danno il classico modello da bambini».

«Che facciamo ancora qui! Andiamo ad iscriverci». Esorta Jasper.

«Sì, dai. Io ne vorrei uno tutto rosa come quello che avevo da piccola» ribatte Alice saltellando eccitata.

«No, io vorrei un modello da corsa. Tu mi segui?» Chiede Emmett a Jasper mentre si dirige a passo spedito verso un furgone. «Ci puoi scommettere, amico. Io adoro i mezzi veloci». Abbraccio Edward, sotto lo sguardo vigile delle ragazze e ci dirigiamo verso il banchetto d’iscrizione. A Edward capita un bel triciclo classico in plastica rosso e giallo, a me invece un modello compatto ovale stile macchinina in plastica turchese. Aggiungiamo per cautelarci da incidenti, caschetti e ginocchiere.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=cskte3lVPhE  (aprire in un ‘altra pagina)

 

Siamo sulla linea di partenza, appollaiati, quasi rasoterra sui nostri mezzi assurdi . E’ sicuramente una situazione paradossale. Tutte le centinaia di persone accasciate come noi, sono adulte, alcune anche anziane, ma stiamo  ridendo come pazzi, nell’attesa del via. Dall’altoparlante la voce dello speaker interrompe il discorso che stava facendo per annunciare la presenza dell’ equipaggio della NASA in prossima partenza per lo Spazio.

STANNO PARLANDO DI NOI. Ci alziamo in piedi e salutiamo velocemente il pubblico che ci applaude. CHE CARINI, penso mentre torno sulla  mia infantile cavalcatura.

 Edward al mio fianco mi strizza un occhio.«Ci vediamo all’arrivo» e con una gran spinta si butta capofitto giù per la discesa. Alla mia destra partono anche Alice e Jessica, che ha curiosamente coperto il suo pantalone bianco con un costume da mucca. Emmett e Jasper sfrecciano a alla mia sinistra lanciando urla di guerra. Devo confessare che guardando in basso verso la strada ripida e tortuosa, la pendenza sembra enorme. I mattoni, resi sdrucciolevoli dalla pioggerellina caduta da poco, fanno balzellonare il triciclo in continui scossoni rigidi. La discesa, non è faticosa, di per se, il problema è riuscire a bilanciare le gambe e trattenerle nella folle velocità che si riesce a raggiungere, senza che tocchino troppo terra o si incastrino con gli altri corridori. Mike mi sfreccia urlando al fianco tagliando di netto una curva per poi capitombolare su un cordolo scivoloso. Mentre affronto l’ennesimo tornante cercando di evitare tamponamenti e ammucchiate, sento il tifo festoso dei presenti incitare i “ciclisti” che via via scendono scoordinati giù per la montagna in  una massa scomposta e urlante.

Sono all’ultima curva, Angela e Tyler su un’altura si sgolano incitandomi. I ragazzi orgogliosi e felici coi loro mezzi in spalla  mi attendono sulla linea d’arrivo.

«FANTASTICO» Urlo loro fermandomi.

Edward, solerte mi aiuta a rialzarmi.

«Vuoi fare un altro giro?» Mi chiede.

«No grazie, è stato grandioso, ma ho la schiena a pezzi e ancora  i postumi della disavventura di domenica scorsa».

«E’ vero, scusa. Non dovevo sottoporti ad uno strapazzo del genere. Vuoi che ti visiti per vedere se è tutto a posto?» Mi sussurra maliziosamente in un orecchio.

«Grazie, ma sarà per un’altra volta», gli rispondo dandogli un buffetto sul braccio. Mi allontano seguita dal suono della sua risata, per raggiungere Rose che è intenta a filmare le nostre discese.

«Siete stati un vero spasso» mi dice chiudendo il portellino della videocamera.

 «Sì, è stato divertente» ammetto.

«E con Edward, come è andata?» Mi chiede curiosa.

«Gli ho detto che mi piace molto e che se si azzarda a prendermi per il culo gli spacco quel bel faccino che si ritrova» Dichiaro con noncuranza.

«Benfatto, questo sì che è parlare chiaro». Ride

«E tu, con Emmett cosa combini?»

«Niente di particolare, ma ammetto che è molto simpatico e galante». Risponde.

«Mmh, bene, sai che preferisco i piloti agli avvocati...». La stuzzico .

«Sì, me ne sono accorta...hai una media di due su due, non c’erano dubbi», mi prende in giro.

Porco cane, mi sarei morsicata la lingua, per questa gaffe. Ma ormai è fatta. Rose si allontana scuotendo la testa nella sua criniera bionda.

 
Ok. Stasera cena in albergo e riposo. Domani si ritorna al lavoro.



 Finito anche questo capitolo. C'è stato movimento, anche se la giornata è ancora festiva. Vi è piaciuta la corsa dei tricicli? La fanno veramente, tutti gli anni, la domenica di Pasqua proprio a San Francisco. Vi metto un video della manifestazione originale, così potete farvi un'idea del livello di pazzia degli americani. 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=sWnff376PEI     video tricicli

Vi saluto di nuovo, consigliandovi una visita alle storie di questa ragazza, che ha un talento notevole:

 "CHIUDI GLI OCCHI E VEDRAI " di Foldr      (completa)                                                    http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=961173   

"SE AMI LA VITA, LA VITA RICAMBIA IL TUO AMORE "
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1175858
 "LA BAMBINA DI CRISTALLO" di Foldr
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1700196



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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo ***




Eccomi col nuovo capitolo, stiamo lasciando San Francisco e la pausa di svago.
Comincia una nuova settimana di lavoro, per loro, come sta per ricominciare anche la nostra.
Saluto tutte le amiche che mi seguono, ricordando che mi farebbe piacere che si facessero sentire, soprattutto quelle che non l'hanno mai fatto. Cosa pensate di questa mia piccola fatica, è così perfetta da non aver bisogno di nessun suggerimento da parte vostra? Non credo proprio.
Anche questa settimana ho prodotto banner per le storie che mi avevano colpito di più. Appena Le nuove proprietarie li avranno inseriti, vi farò un "percorso guidato" sulle mie creazioni all'interno di Efp. Per ora vi saluto.
Grazie ancora,
Teresa



Capitolo tredicesimo

 

(Bella)

 

Sonnecchio,  seduta al mio posto, sull’aereo di linea che da San Francisco ci riporta ad Houston, in Texas. Con lo schienale della poltrona leggermente reclinata ascolto, dalle cuffiette collegate al cellulare, una compilation delle canzoni più famose dei Coldplay. Dovrei mettere ordine, mentalmente, nelle cose da fare una volta arrivati alla sede operativa della NASA, ma i ricordi piacevoli di questo fine settimana si intrufolano dispettosi tra i programmi di lavoro. Tra tutti il viso di Edward è quello che compare più volte,

insieme al suono della sua voce, allo scintillio dei suoi occhi, al tocco delle sue mani audaci...

 

Ieri, dopo l’allegra caracollata giù per la collina di Lombard Street fatta su minuscoli tricicli per bambini, ero tornata in albergo. Lui mi aveva salutata con un leggero bacio sulle labbra.

«Vado a chiudere casa e prepararmi per la partenza. Grazie ancora per avermi permesso di portare Muso, ti sarò debitore a vita».

«Ehh, che esagerato!» Gli avevo risposto accarezzandogli dolcemente un braccio con la mano. «Speriamo solo che non soffra troppo durante il viaggio. Hai pensato alla possibilità di dargli un sedativo?»

«Sì, ho parlato con il veterinario e mi ha prescritto un blando tranquillante che gli farò ingerire domattina prima della partenza».

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=T8jvpjicjVk  (aprire in un’altra pagina)

 

****

 

“...Una luce ti riporterà a casa...e riscalderà le tue ossa...io proverò a consolarti...” canticchio tra me e me.

 

Mentre penso al significato struggente di questa canzone, sento crescere nel profondo dell’anima, la necessità di riuscire un giorno, a provare un sentimento altrettanto profondo.

La vibrazione del cellulare mi avverte dell’arrivo di un messaggio. Apro gli occhi per guardare il display. E’ di Edward. Lo apro sorridendo. Mi viene in mente che qualcuno una volta, mi ha detto che “quando una donna sorride verso il telefono, centra sempre un uomo...”

 

Usciamo insieme stasera?

 

Ehi, sei matto? Potevi creare delle interferenze usando il telefono, vuoi farci precipitare? Invio.

 

Ma dai, mi credi così sprovveduto?  E poi tu perché  mi rispondi? Non è che vuoi cadere con me? Leggo.

 

Non saremmo solo noi, dove sta il dramma romantico? Scrivo.

 

E’ vero, c’è  anche Muso su questo aereo, non metterei mai in pericolo la sua vita. Risponde.

 

Ah, grazie. Ora mi sento più tranquilla, ma credo di essere impegnata stasera, ed anche quelle dopo, per i prossimi due o tre anni!- Invio.

 

Cattiva, ed io come faccio senza di te? Me lo immagino mentre fa quel suo meraviglioso broncio.

 

Come hai fatto fino alla settimana scorsa, bello! Ma va bene, stasera usciamo. Ho iniziato con l’approccio sarcastico, ma sinceramente preferisco cogliere l’occasione e accettare.

 

Posso sedermi vicino a te? Insiste.

 

Mi accorgo solo in questo momento che il sedile alla mia sinistra è vuoto. Alice si è alzata mentre dormivo e si è andata ad accomodare vicino a Jasper, con il quale mi sembra stia avendo una accesa discussione.

 

Accomodati. Replico

Arriva veloce e si siede al mio fianco con un sospiro. «Ciao». Mi dice

Gli sorrido anch’io beandomi di quella sua espressione da ragazzetto in gita. E’ proprio un bell’uomo. Non posso negarlo. Le sopracciglia spesse e ben disegnate, catalizzano l’attenzione verso i suoi occhi chiari, che hanno spesso una traccia di malinconia. Scendendo sulla linea dritta del naso regolare, guardo le labbra, leggermente incurvate in un timido sorriso. Ma la caratteristica a me preferita è la corta barba che gli incornicia, serica, le labbra. Gli rende sensuale il profilo della mascella e gli dona una irresistibile aria mascolina.

«Allora,sei pronta a tornare alla routine quotidiana?»

«Se per routine intendi districarmi tra problemi insormontabili e dirigere una masnada di professionisti incoerenti... allora sì. Adoro le sfide ma a volte, nel mio profondo, sogno una vita tranquilla e qualcuno che prenda decisioni per me».

Come un flash mi viene in mente James e la sua proposta che mi aveva tanto spaventato.

Che casino! Non è vero che è questo il mio sogno. Se avessi desiderato  sinceramente una vita diversa, avrei detto di sì a James che era pronto a donarmela. Sono io che non l’avevo voluta.

Cosa voglio per me allora?

Gran brutta cosa sentirsi una donna forte, che desidera essere considerata fragile ed indifesa, ma che però non accetterebbe mai di esserlo veramente!

Mi accorgo che Edward mi ha preso una mano tra le sue e mi sta scrutando intensamente.

Tace, chissà se sta percependo il mio tormento interiore.

 

Il nostro silenzio viene interrotto dalla Weber che arriva tutta trafelata.

«Comandante, ho ricevuto un allarme attacco informatico dalla Base di Houston».

«Porc...». Come temevo. «Quanto manca all’arrivo, Angela?» Mentre aspetto la risposta, controllo automaticamente l’ora sul cronografo professionale che ho rimesso al polso. Sono le quattordici ora della  costa occidentale.

«Manca circa un’ora, Comandante». Confermo annuendo con la testa. Arriveremo alle 17 ora del Texas, devo sbrigarmi ad agire prima che i tecnici di Houston finiscano la loro giornata di lavoro. «Avverti la Base che gli operatori informatici del CED sono precettati fino al nostro arrivo, e chiamami il Tenente Stanley».

«Subito, Comandante».

Mi volto verso Edward, che nel frattempo ha lasciato la mia mano e non ha più quel suo sorriso così carino.

«Cosa dicevi a proposito della routine?» Gli chiedo con un sospiro.

La guancia gli si increspa in un smorfia. « Beh dai, questa la considererei un’emergenza ».

«Magari. Ma fidati che succede piuttosto spesso. Così ho imparato a gestire l’emergenza come se fosse routine», nel frattempo vedo spuntare Jessica dal corridoio tra i sedili.

Edward si alza e fa per allontanarsi. «Ti lascio il posto, Jessica. Spero di vederti più tardi, Bella» mi dice con un sorriso forzato.

Lo saluto con un cenno della mano già concentrata sulla ragazza che si sta accomodando sul sedile che pochi istanti fa lo accoglieva.

«Hai qualche notizia più precisa dal Johnson?» le chiedo preoccupata.

«No, con Angela abbiamo saputo solo che qualcuno si è infilato nei sistemi della Base e ha mandato in tilt il programma anti intrusione, bloccando l’accesso al server centrale. Spero solo che il backup frazionato che ero riuscita a fare, prima della nostra partenza, sui server satelliti, sia integro e fruibile»

«Me lo auguro anch’io, c’è qualcosa che possiamo fare in questo momento?»

«Purtroppo no, Bella, dobbiamo aspettare di essere fisicamente alla base» mi risponde sconsolata.«Vado ad avvertire il Maggiore Brandon, che non sarà molto felice di sapere di avere tutto il suo lavoro a rischio». Mi dice alzandosi stancamente.

«Sì, me l’immagino, Grazie Jessica».

 

Arriviamo finalmente all’aeroporto di Houston. Vista l’emergenza in corso, lascio le operazioni di recupero dei bagagli ai miei collaboratori e parto, accompagnata da Angela, Jessica ed Alice verso la Base. Al nostro arrivo troviamo il personale del Centro elaborazione dati ad attenderci come avevo richiesto.

«Guarda, Bella, per fortuna i tecnici del CED ci stanno aspettando» mi dice Alice sollevata.

«Sì, ne ho fatto richiesta io, altrimenti a quest’ora non avremmo trovato nessuno e avremmo dovuto posticipare il lavoro a domattina» le rispondo.

«Comandante Swan, bentornata. Ci dispiace che il suo viaggio di ritorno sia stato disturbato da questa brutta notizia. In ogni caso io e miei colleghi siamo a sua completa disposizione per valutare i danni immediati e risolvere le problematiche di ripristino più urgenti.»

«La ringrazio Sergente White. Ma vorrei per prima cosa essere aggiornata sull’accaduto. Ha avuto modo di conoscere il Tenente Stanley, l’esperto informatico del Progetto Odyssey?» Gli chiedo scostandomi per lasciare passare Jessica.

«Sì, Signora, abbiamo lavorato insieme un pomeriggio della settimana scorsa» Sorride  e accenna un saluto informale con due dita alla fronte.

Ci dirigiamo nella sala riunioni affianco al mio ufficio. Il Sergente White ci conferma il momentaneo blocco del server centrale e la conseguente inaccessibilità dei dati contenuti.

«La cosa grave, Comandante, è che in contemporanea al nostro blackout, ci hanno segnalato un tentativo di violazione della rete anche della Marina Militare»

«Di questa intrusione sono stati avvertiti il Generale Rogers e il Commissario alla Sicurezza?» Gli chiedo.

«Sì, ma  all’inizio pensavamo fosse un danno dovuto ad un difetto di codice della nostra rete informatica, anche se avendo un sistema basato sulla “ridondanza degli apparati”, ci sentivamo abbastanza tranquilli sulla tolleranza ai guasti delle apparecchiature. Nel momento che abbiamo saputo dell’attacco al sistema della Marina, ci è venuto naturale associare la loro violazione alla nostra.»

«La tua analisi mi sembra più che giusta, Adam» lo interrompe Jessica. «Se non ti dispiace, capo, vorrei vedere personalmente i report dei server, per avviare insieme ai ragazzi le contromisure necessarie» Mi dice Jessica alzandosi.

«Hai ragione, Si sta facendo tardi e bisogna che concretizziamo le energie. Alice andiamo verso i laboratori per controllare eventuali danni?» Alice, per tutta la riunione era stata inspiegabilmente silenziosa.

«Sì, ti accompagno». Mi dice con voce neutra.

«Su, dimmi che hai ». Le chiedo preoccupata mentre camminiamo nei corridoi vuoti e silenziosi.

«E’ che questo non ci voleva! Non ho il coraggio di andare a vedere. Ma ti immagini Bella, se tutto il nostro lavoro fosse andato in fumo? E non sto parlando solo degli anni di lavoro, o di tutti i soldi spesi, ma del fatto che abbiamo una scadenza da rispettare! E  se, purtroppo, non riuscissimo ad accedere ai nostri dati?  Non potremmo certo ricominciare da capo, non ce la faremmo mai per quella data.»

Ora mi accorgo che la parvenza di calma e apatia che la stava colpendo era solo una maschera che nascondeva il panico assoluto.

«Su, non è de te pensare subito  al peggio, dov’è andato il tuo innato ottimismo?» Cerco di alleggerire l’atmosfera, ma le sue parole mi colpiscono profondamente, perché so che sono una cruda descrizione della realtà.

Alice estrae il suo personal badge e lo striscia nel lettore posto sulla porta del laboratorio. Si volta e mi guarda sgranando gli occhi marroni «Non hai sentito che in questi ultimi anni c’è stato un aumento rilevante degli attacchi pirata tramite i malware ransonware, che bloccano dall’esterno i dati del tuo sistema informatico per poi richiedere un riscatto economico? Se dovesse succedere, sarebbe una catastrofe!» Mi dice accompagnando la sua angoscia con un ampio movimento delle braccia.

«Certo che ne sono a conoscenza» Le dico punta nel vivo. «Perché credi che abbia inserito la Stanley nell’equipaggio? Per aumentare le “quote rosa”?».

Entriamo e ci dirigiamo direttamente alla zona dei computer. Come temevo anche questi non vanno oltre la schermata iniziale.

«Niente da fare, Alice». Le dico sconsolata. «Andiamo a cercare Jessica poi torniamo al residence. Per ora, noi, non possiamo fare niente» Guardo l’orologio, sono quasi le ventidue. Ricordo l’appuntamento mancato con Edward, ma sono sicura che abbia compreso il motivo del mio silenzio.

Ehh, è lo scotto da pagare per voler frequentare una come me, penso con amarezza.

 

 Eccoli i guai che si vedevano all'orizzonte. La speranza è che le misure controffensive che naturalmente erano state prese, siano servite a non perdere tutto il lavoro svolto. Lo sapevate che nel biennio 2010-2011, contro la Nasa, sono stati sferrati 47 attacchi Hacker, di cui 13 gravi, che sono costati all'Agenzia più di 7 milioni di dollari?


Vi saluto di nuovo, consigliandovi una visita alle storie di questa ragazza, che ha un talento notevole:

 "CHIUDI GLI OCCHI E VEDRAI " di Foldr      (completa)                                                    http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=961173   

"SE AMI LA VITA, LA VITA RICAMBIA IL TUO AMORE "
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 "LA BAMBINA DI CRISTALLO" di Foldr
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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo ***




Eccomi col nuovo capitolo. Siamo tornati a Houston, come già sapete e i guai su questa terra, non arrivano mai soli.
Saluto tutte le amiche che mi seguono, ricordando loro che mi farebbe piacere che si facessero sentire. Qualcuna "nuova" l'ha già fatto, ma mi piacerebbe leggere anche qualche altra opinione. 
Ho sistemato il prologo, inserendo un paio di immagini nuove, se volete vederle sono lì.
Sto puntando molto sulla parte grafica, perchè mi sembra che gradiate.
Ecco un altro punto si discussione per le lettrici silenziose: non vi interesserebbe farmi sapere se vi piace veramente o se lo trovate troppo da "fotoromanzo"?
Grazie ancora, vi abbraccio forte,
Teresa

Capitolo quattordicesimo

 

Mi lascio cadere esausta sulla poltrona di pelle del mio ufficio. Con i  gomiti appoggiati sulla scrivania, mi sfrego  il viso tra le mani cercando di ripetermi che andrà tutto a posto, che quello che ora sembra un enorme dramma domani si rivelerà una sciocchezza.  Fuori dalla finestra sento le gocce pesanti della pioggia improvvisa scrosciare contro il vetro. Un tuono rimbomba crepitando nell’ambiente silenzioso. Per un attimo mi concentro sui suoni della natura che arrivano dall’esterno, augurandomi che questo maltempo non preannunci l’arrivo di una nuova esplosione di tornado. Purtroppo è il periodo giusto  e l’esperienza mi suggerisce che non si può mai sottovalutare i malumori del clima. Mi appunto di richiedere al più presto le previsioni meteorologiche delle prossime settimane sia della zona del Texas, che di quella della Florida orientale.

Un sommesso tramestio che proviene dal corridoio mi fa supporre che Alice, Angela e Jessica si stiano preparando ad uscire. Poi, ancor prima di accorgermi dei passi che si stanno avvicinando alla mia poltrona, un profumo che conosco mi colpisce le narici. Alzo lo sguardo sorridendo perché so già  chi mi troverò di fronte.

«Ciao» mi dice semplicemente Edward appoggiando, davanti a me, un sacchetto di carta beige chiazzato di gocce di pioggia. « E’ tardi, hai mangiato?» Le sue parole escono caute, sembra imbarazzato di essere qui. Senza che glielo dica, si siede in una delle poltroncine opposte alla scrivania.

«No, non ci ho proprio pensato». Mi sorride e mi fa cenno di aprire il sacchetto. Ne approfitto e ci trovo un bicchiere di cartone colmo di fumante caffè macchiato e due meravigliose ciambelle ricoperte di zucchero. Ne addento vorace una. I granelli dolci mi scrocchiano sotto i denti e il sapore della vaniglia mi stimola l’appetito facendomi mugolare di piacere.

Mi sorride guardandomi masticare.

«Grazie, hai avuto un pensiero veramente carino» gli farfuglio con la bocca piena.

«Oh, non è nulla. Ti ho aspettata. Ho anche portato Muso a fare due passi, poi si è messo a piovere e mi annoiavo là da solo». Alza con noncuranza le spalle e in quel momento noto che la maglietta azzurra che indossa è tutta cosparsa di gocce di pioggia, che ancora continuano a scendere dai ciuffi ribelli dei suoi capelli bagnati.

Ha un’aria tremendamente sexy. «Sei uscito senza ombrello». Lo accuso prima di dedicare la mia attenzione alla seconda ciambella.

«Credo di non averlo nemmeno» ammette candidamente. «L’ultimo che ricordo, era piccolo e aveva una bella stampa dell’Uomo ragno sopra. Ombrelli ed orologi, non mi sono mai interessati.» Mi mostra i suoi polsi liberi.

A me, invece, gli orologi piacciono. Soprattutto di forma sportiva. Quello che sto indossando e che guardo mentre sorseggio il caffè, è uno dei miei preferiti. E’ un cronografo Breil Ice, in alluminio con il quadrante blu dalla linea morbida e leggermente bombata.

«Sei pronta ad andare?» Mi chiede mentre accartoccio il sacchetto   vuoto.

«Sì, cerco le ragazze e partiamo». Appoggio le spalle alla poltrona con un sospiro.

«Le ho incontrate prima in corridoio. Sono già uscite ed hanno preso l’auto. Ho detto loro che ti avrei accompagnata io».

A quel punto mi alzo «Ok, allora andiamo». Mi avvicino a lui che, in piedi di fianco alla scrivania, mi blocca il passaggio. Ha la testa leggermente inclinata di lato e sta fissando con interesse un punto della mia guancia. «Aspetta, sei sporca di zucchero». Mi prende il viso tra le mani, si avvicina col suo, fin quasi a sfiorarmi col naso e con estrema delicatezza inizia a passare la punta della lingua sulla pelle vicina all’angolo sinistro delle mie labbra. Poi, gemendo, si sposta e  lentamente, in modo goloso, me le deterge con cura succhiandole tra le sue. Il sangue mi guizza repentino nelle vene, riversando poi un gran calore nello stomaco. La testa mi freme leggera, mentre rispondo al suo bacio con altrettanta voracità. Lo abbraccio stretto e con le mani percorro curiosa il suo dorso coperto dal cotone umido. Ci stacchiamo, dopo non  so quanto tempo, giusto per il fatto di dover prima o poi tornare a respirare.

 

(Edward)

 

Aspetto da ore che Bella finisca la sua lunga giornata di lavoro. sbuffo, annoiato, riponendo con cura il guinzaglio di Muso sul comodino. Prendo in mano il libro  appoggiato affianco, e mi stendo sul letto. Che non sarebbe arrivata in tempo per la cena, mi era sembrato palese, quindi mi ero arrangiato acquistando del cibo d’asporto nel locale dall’altra parte della strada. L’idea di andarle incontro mi era venuta mentre pagavo alla cassa. Avevo aspettato ancora. Poi avevo fatto fare un bel giro a Muso che aveva voglia di sgranchirsi le zampe, pensando con dispiacere quanto sarebbe stato bello se ci fosse stata anche lei con noi.

Domani, spero.

Avevo salutato  Emmett e Rosalie che uscivano ridendo mentre io rientravo. Degli altri nessuna traccia, forse erano usciti pure loro. Il cielo si era annuvolato e un vento forte sibilava trasportando odore di ozono. Tra poco pioverà. Avevo pensato.

 

Alle 21.30 ripongo il libro che sto leggendo ed esco. Riattraverso la strada ed acquisto nello stesso locale di prima un caffè macchiato ed un paio di ciambelle per Bella. Non so se abbia mangiato. Se lo ha fatto questa mia scelta potrà essere un valido dopocena, altrimenti le darà quel minimo di energia per arrivare fino al residence.

Ho preso le chiavi di una delle  Ford Galaxy che ci sono state messe a disposizione. La trovo parcheggiata nel cortile interno. La carrozzeria nera, è completamente costellata di goccioline d’acqua che brillano sotto le luci dei lampioni. Sta piovendo, come avevo pronosticato, ma non me ne curo. Arrivo alla base che sono quasi le dieci. Mostro il mio tesserino alla guardia all’ingresso, che mi lascia passare mentre mi guarda perplesso. Incontro Alice che, nel corridoio, sta parlando con qualcuno all’interno di un ufficio.

« Ehi, Edward, che ci fai qui?» Una smorfia le si forma sul viso quando nota che sono bagnato.

«Sono passato a vedere se avevate risolto il problema dei computer».

«No, purtroppo. Ma per stasera basta». Mi risponde con espressione avvilita. «Riaccompagni tu, Bella?».

«Sì, volentieri» Le dico facendole un grande sorriso.

«Ottimo, allora dille che noi stiamo uscendo e ci fermiamo a mangiare da qualche parte».

«Ok, riferirò». La saluto con un cenno della mano e mi dirigo verso un ufficio poco distante.

Spingo la porta socchiusa. Vedo Bella seduta dietro la sua scrivania che si stropiccia stancamente il viso.

In silenzio, la raggiungo e le appoggio il sacchetto di carta davanti.

Aspetto titubante che si accorga di me, non l’ho avvertita del mio arrivo e spero non mi consideri troppo invadente.

«Ciao», le dico mentre alza gli occhi conscia della mia presenza. «E’ tardi, hai mangiato?»

«No, non ci ho proprio pensato». Non sembra sorpresa di vedermi, quindi mi tranquillizzo e mi siedo, indicandole il sacchetto.

La guardo mangiare di gusto. Sembra proprio affamata e sorrido al pensiero di averle fatto una sorpresa gradita. Ha l’aria stanca e gli occhi spenti dichiarano la preoccupazione per il problema che non è ancora stato risolto.

Mastica e mi osserva, mentre la ciambella le imperla le labbra e la pelle vicina, di lucidi granelli di zucchero. Mi pare di scorgere in lei un  lampo d’interesse mentre si tuffa, con malcelata noncuranza, nel bicchiere del caffè.

«Sei uscito senza ombrello».

Mi sta, forse, sgridando?

Le racconto del mio disinteresse per ombrelli ed orologi, mentre lei mi conferma la sua passione per quest’ultimi. Me ne ero già accorto. Ne avevo visti al suo polso almeno tre diversi. Tutti cronografi di marca, sportivi, ma molto raffinati. Decisamente adatti a lei: forte ed elegante al tempo stesso.

Fremo dal desiderio di abbracciarla. Di farle sentire che ci sono, che non è sola a combattere contro il mondo.

Decidiamo di uscire. Mi alzo perso nei miei pensieri su di lei. Mi accorgo che è ancora sporca di zucchero e un languore mi colpisce il cuore ed il bassoventre. Le chiedo il permesso e la ripulisco, assaporandola, centimetro dopo centimetro mentre, sulla sua pelle, prendo sempre più fuoco alimentando la mia eccitazione.

«Andiamo? Hai bisogno di riposo». La voce che mi esce è incrinata dalle emozioni che mi sento sgorgare nel petto. Annuisce e mi segue silenziosa verso l’auto. Mentre guido penso a cosa posso proporle per poter stare ancora un poco con lei tranquillamente.

Non voglio mentire a me stesso. Se fosse solo per me, senza implicazioni professionali le proporrei, per prima cosa, una doccia bollente, possibilmente insieme. A quel punto non ci sarebbe più bisogno di pianificare niente. Verrebbe tutto istintivo e passeremmo finalmente, una notte fantastica in uno dei nostri letti.

Ah già!

Dovremo risolvere anche la questione dei rispettivi coinquilini. Ne devo parlare con Emmett. Urge che lui e Rose, diano un’accelerata al loro rapporto. Sempre che non siano già arrivati a meta e che quindi, condividano la mia stessa esigenza di intimità.

 

Più probabilmente, invece, mi limiterò ad aspettarla sul divano della sala comune, dove staremo a guardare (forse) un vecchio film.

In questo caso potrei rispolverare le mie conoscenze fisioterapiche e farle un massaggio rilassante alle spalle. Anche in questo caso il problema sarà tenere a freno i bollori, ma di questo mi preoccuperò a tempo debito. Deglutisco ripetutamente per domare l’eccitazione crescente.  Mi concentro sul movimento dei tergicristalli che con uno stridio gommoso liberano dalla pioggia il  parabrezza.

Il cellulare di Bella prende a suonare.

«Pronto? Sì, sono io…Cosa?...Sì sono sotto la mia responsabilità…

Certo, arrivo più presto possibile».

Sono estremamente curioso. Bella è impallidita mentre pronunciava quelle laconiche risposte. Intuisco che è successo qualcosa di grave, ma non ho capito l’argomento della discussione. Si gira e mi guarda stravolta come se mi dovesse annunciare l’avvenuta esplosione della Luna.

«Era il Dipartimento di Polizia. Hale e Black sono in stato di fermo.»

«COSA?» Le chiedo anch'io incredulo.

«Sì, hai capito bene. Jacob e Jasper si sono picchiati davanti ad un locale, e sono stati arrestati dalla Polizia…Devo raggiungerli subito in qualità di loro superiore.»

Freno bruscamente ed accosto aspettando che mi dica dove devo andare. «Permettimi di accompagnarti». Le impongo deciso.

Mi fissa dubbiosa. «Sì, forse è meglio. In due faremo più effetto. Prima però dobbiamo correre ad indossare l’uniforme E’ importante ricreare il  senso di rispetto che quei due cretini hanno minato.»

Riprendo la marcia verso il residence pestando un po’ di più sull’acceleratore. Quindici minuti dopo siamo di nuovo in macchina, vestiti di tutto punto e diretti verso il Distretto numero nove.

 

(Jacob)

 

Seduto  in aereo vivo con impazienza questo ritorno da Seattle, dopo la giornata libera che ero riuscito a ritagliarmi, dalla conclusione della conferenza di San Francisco. Ero stato bravo. Il mio ego era volato alle stelle. La mia famiglia, che non vedevo da mesi, era orgogliosa e mi aspettava trepidante. Non solo avevo coronato i miei studi scientifici con la pubblicazione del mio lavoro, ma ero stato scelto dal nuovo programma spaziale della NASA, che mi avrebbe portato a breve nello spazio.

Avevo festeggiato con amici e parenti, svelando tra i denti anche la presenza di una, per ora, misteriosa ragazza. Avevo ingannato l’attesa prima della partenza, acquistando la mia rivista scientifica preferita. Mi ero anche collegato al Sito Web del gruppo, dove Rose aveva caricato le foto del fine settimana. Ero rimasto scioccato.

Alice era stata ripresa, più di una volta in atteggiamenti inequivocabilmente intimi con Hale. Sapevo che si conoscevano da tempo, ma non mi erano sembrati tanto uniti mentre eravamo insieme nei giorni scorsi. Nelle foto, lui teneva una mano ben piantata sul suo sedere, mentre lei si stringeva a lui con una espressione da gatta morta. In un’altra avevano le  mani intrecciate e ridevano felici. Il sangue non mi scorreva più nelle vene. Avrei potuto fare la controfigura in un film di Rambo e ricucirmi reali ferite senza battere ciglio. Ora fremevo su sto cazzo di aereo. Le sette ore di volo più merdose della mia vita.

Finalmente sono a terra e mi sento  così esasperato che vorrei fregarmene dei bagagli ed andare subito a parlare a quattrocchi con Alice. Cosa le avrei detto?

Che è una gran stronza, che aspettava solo che voltassi le spalle per pugnalarmi? Che mi ero illuso, di aver finalmente trovato l’amore? Mi precipito, in taxi, al residence dove alloggiamo. Sono le venti passate, ma di lei nemmeno l’ombra. C’è invece, unico nei paraggi, il damerino volante… Lo affronto direttamente sul portone d’ingresso.

«Davvero non capisco, Black» mi dice. «Sta per piovere, andiamo in quel locale, ti offro una birra, non si può parlare di donne, soprattutto di quelle con un bel posteriore, qui sulla strada».

Improvvisamente mi si velano gli occhi. Il bastardo ammette di aver preso misura alla MIA Alice. Mi parte veloce un pugno che lo colpisce sullo zigomo. La sua fortuna è di essere sufficientemente lontano da attutire un po’ il colpo. Quindi si riprende e risponde.  «Ma sei stupido, pezzo di merda?» Mi inveisce contro mentre mi sferra un gancio destro. La botta alla mascella e il contraccolpo al cervello mi rendono ancora più furioso.

«Sei tu che sei un gran figlio di puttana», gli urlo contro sferrandogli un altro colpo. «Così impari a mettere le tue luride manacce sulle ragazze degli altri.»

«Non mi risulta che la nanerottola sia tua», mi ringhia nella foga della rissa. Nella confusione della lotta non mi accorgo che alle nostre spalle risuona una sirena della polizia.

 

(Bella)

 

Durante il tragitto di ritorno, in macchina con Edward,  il mio cellulare prende a suonare. E' tardissimo e non conosco il numero. Quello che risulta però chiaro è  che la chiamata proviene da un telefono fisso della linea urbana. Strano.

«Pronto, Comandante Swan?» Mi chiede una voce maschile.

«Sono il sergente Biers del Distretto nove del Dipartimento di Polizia di Houston. Sono tenuto ad informarla che abbiamo fermato due dei suoi, tali Jacob Black e Jasper Hale, per rissa e disturbo della quiete pubblica. »

«Cosa?» Gli urlo.

«Sissignora», mi ripete. «Abbiamo qui da noi, in stato di fermo, I signori Black e Hale. Mi hanno chiesto di chiamare lei, in qualità di loro superiore. Me lo conferma?» Sento una leggera irritazione dall’altro capo della linea.

«Sì, sono sotto la mia responsabilità».

«Mi scusi, Sergente, ci sono altre persone coinvolte?» Gli chiedo con apprensione.
«No, Signora. Solo loro». Sospiro non sapendo se esserne sollevata.
«Arrivo subito».

Sono  letteralmente stralunata. Mai e poi mai, mi sarei aspettata una chiamata del genere. Jasper e Jacob che fanno a pugni per strada.

CI  MANCAVA SOLO QUESTA.

Edward insiste per accompagnarmi, e dopo un primo momento di indecisione accetto ringraziandolo. Al residence  ci cambiamo d’abito in fretta indossando la divisa dell’Aeronautica e ci dirigiamo al Distretto di Polizia.

Ora siamo qui, fermi, all’ingresso dell’anonimo edificio a richiedere al piantone la presenza del Sergente .

«Buonasera, Comandante» mi dice Biers battendo i tacchi sull’attenti. Mi scuso per averla disturbata, ma mi sembrava una situazione delicata. Ogni volta che c’è qualche “affare” che riguarda l‘esercito, abbiamo ordine di trattarlo con il dovuto riguardo.»

Mi accompagna verso la sua scrivania e mi fa sedere. «Vede Signora, la cosa non è grave. I suoi due “ragazzi”, lì dietro, hanno avuto solo la sfortuna di darsele di santa ragione davanti ad un locale pubblico. Qui in Texas, sa» continua con fare complice,«succede molto spesso. Quindi i gestori dei locali, per non vedersi aumentare le quote dell’assicurazione , ci chiamano immediatamente.» Lo ascolto, annuendo.

«Ora, guardi, mi bastano una serie di firme in questi verbali, e con una multa se li può portare via.»

Lo ringrazio, faccio le firme dove mi ha detto, prendo le copie con relativa multa di cinquecento dollari che ho intenzione di far pagare direttamente ai due “pugili” e vengo accompagnata, sempre con Edward che mi segue come un’ombra, verso le celle.

Jacob e Jasper sono lì, pesti e silenziosi dietro le sbarre. Li guardo con espressione grave, mentre una boccata di fiele mi sale dallo stomaco.

Usciamo in silenzio dalla Stazione di Polizia e per tutto il tragitto preferisco mantenere lo stesso atteggiamento.

Mi chiedo il perché di questo scontro, ma sono troppo stanca per parlarne stasera. Mi dirigo decisa verso mia camera. poi mi volto e affronto il folto pubblico perplesso che mi osserva nell’appartamento.

«Voi due, domattina a rapporto nel mio ufficio» ringhio ai litiganti. Alice, poco distante, li sta guardando pallida.

«Immediatamente dopo vorrei vedere anche te» le dico gelida.

Mi accorgo di essere ancora spalla a spalla con Edward. Lo prendo per mano ed entro con lui chiudendo la porta .

Mi appoggio al suo petto e lo stringo in un abbraccio disperato. Lui ricambia con forza tanto da farmi quasi mancare il fiato. Lo apprezzo, perché questo dolore, mi dà quasi un illusione di sicurezza, in un contesto in cui le certezze mi franano sotto i piedi.

«Potresti chiedere a Rose di dormire da Emmett stasera?» Gli chiedo in un sussurro. «Ma non farti tante illusioni, sono veramente a terra». Lo guardo come se fosse un faro nella nebbia. «Avrei bisogno che mi tenessi stretta a te…per non rischiare di perdermi».

«Certo» mi dice baciandomi delicatamente i capelli. Vatti a fare una doccia e mettiti a letto, sarò di ritorno tra mezz’ora».



Saluti brevi. Sto gruppo sta facendo un gran casino!  Spero che Bella riuscirà a riportare tutto all'ordine, perchè altrimenti ci farebbe una magra figura. In tutto questo, sembra che Edward stia facendo breccia, ma saprà mantenersi al suo posto?
Vi auguro una splendida settimana.

Baci

 



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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo ***




Ciao carissime, sono qui con il nuovo capitolo.
Mando un saluto sincero a tutte le lettrici, sia a quelle amorevoli che mi hanno lasciato un commento, o che mi hanno inserito in una lista di preferenze, sia alle tante silenziose che so che esistono solo in base ai dati numerici.
La giornata di oggi si presenta pesante x Bella and company, ma ce l'aspettavamo.
Vi lascio alla lettura, con un grossissimo bacio, informandovi che ho revisionato il prologo ed il primo capitolo, inserendo nuove immagini. Vi consiglio di farci un saltino.
Teresa



Capitolo quindicesimo


http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=cd7fZTqYYmg

 

(Bella)

 

Ho fatto come mi ha suggerito Edward. Dopo la doccia, che purtroppo non mi ha tolto il nodo che mi groppa lo stomaco, mi sono messa a letto, spegnendo la luce centrale. Nella penombra mi posiziono verso il bordo  e chiudo gli occhi. Sto ancora cercando di controllare la tachicardia che mi ha procurato la serata, quando Edward ritorna e chiude silenziosamente la porta. Seguo il rumore ovattato dei suoi passi leggeri,  il tintinnio degli oggetti che appoggia sul comodino ed il fruscio delle lenzuola mentre si infila nel letto. Si avvicina alle mie spalle, sfiorandomi appena.

«Dormi?» Sussurra.

 «No, sono troppo nervosa». Con delicatezza si accosta un po’ di più. Appoggia la guancia ispida sui capelli all’altezza del mio collo e mentre mi circonda con il braccio destro, mi appoggia piccoli baci sulla spalla scoperta. «Mi spiace». Il tono serio con cui lo dice, concorda con le sue parole.

Intreccio le dita con le sue, «spiace più a me per come ti sto trattando», gli confesso appoggiando la schiena al suo petto.

«Perché, come mi staresti trattando?» Mi chiede a fior di pelle senza interrompere la sua occupazione.

Un lungo sospiro anticipa la mia risposta.«Ti sto usando. Sto riversando su di te i miei problemi e le mie tensioni…e non è giusto. Tu non dovresti subire queste pressioni, non è nei tuoi compiti».

«Sshh, chiudi gli occhi e dormi, per favore. Ti lasci prendere dall’ansia per niente. Non mi sembra di essere qui controvoglia» Sento un sorriso tendergli  le labbra.

«Ora, sincronizza la respirazione con la mia e rilassati». Mi ordina. «Inspira e trattieni. Espira profondamente, così». La peluria del  suo petto mi solletica la schiena mentre svuota i polmoni. Come una brava recluta obbedisco ai suoi comandi e mi assopisco, finalmente, cullata dal rimbombo del suo cuore e dal suo fiato caldo.

 

E’ ancora buio quando mi sveglio di soprassalto. Non capisco bene come sono combinata perché, come in un girone dantesco, sono imprigionata da lembi di stoffa, da altre gambe e altre braccia. Un istintivo senso di panico mi assale, mentre mi concentro per trovare una via di fuga. Finalmente riesco a liberare una mano, che muovo con cautela  sfiorando quel corpo caldo e sconosciuto che mi schiaccia.

ODDIO, E QUESTO CHI E’?  Trattengo il fiato mentre, coi polpastrelli, sondo timorosa il braccio estraneo: lo risalgo su verso la spalla, fino all’attaccatura dei capelli. Quindi li infilo leggera tra le ciocche morbide che mi solleticano la pelle.

«Mmhh». Finalmente riprendo a respirare: il mormorio di approvazione e il profilo del suo volto mi confermano che si tratti di Edward. Certo. Chi altri sarebbe potuto essere? Mi sento, effettivamente, molto stupida.

Guardo i numeri fluorescenti dell’orologio, ormai perfettamente sveglia. Sono le cinque meno dieci. Decido che è ora di alzarsi, perché mi accorgo che la missione esplorativa della mia mano, ha svegliato gli istinti virili del mio compagno di letto.

Fra poche ore mi aspetta l’apertura di una azione disciplinare; dovrò sovraintendere alla sistemazione del sistema informatico andato in tilt e controllare la mappatura dei vortici ciclonici nel Texas meridionale. Proprio non posso farmi distrarre dagli istinti. Non oggi.

Esco dal letto districandomi faticosamente e mi dirigo tentoni nel bagno. In silenzio mi vesto e mentre sto uscendo in tenuta da jogging, poso lo sguardo sul guinzaglio di Muso appoggiato sul tavolino. L’idea di correre in compagnia del bel cagnone mi alletta.  Lo raccolgo insieme alle chiavi e al cellulare ed esco in punta di piedi, accarezzando con lo sguardo la sagoma tentatrice dell’uomo sdraiato nel letto. Fuori, nel cortile appena illuminato dall’alba nascente, mi fermo a scrivere un messaggio ad Edward.

Sono andata a correre con Muso.

Grazie ancora per essermi stato vicino.

Sei un angelo pericoloso, lo sai?

A dopo

B  <3

Invio.

 

Apro il portone e mi dirigo di corsa verso il parco.

Sono le già sei e mezza e sto tornando verso  il residence, quando da un sentiero laterale vedo sbucare McCarty. E’ in tenuta sportiva e, dalle macchie di sudore che impregnano la sua maglietta, sta correndo già da un po’.

«Capo, buongiorno» mi saluta con il respiro spezzato. «Vedo che sei uscita con la famiglia». Ironizza guardando il cane, «… e Doc dov’è: lo hai spremuto così tanto stanotte?» Mentre ridacchia si volta su sé stesso e continua la marcia correndo all’indietro.

Lo guardo truce e, all’improvviso, mi nasce l’idea di prendermi un po’ gioco di lui.

«MCCARTY, TI SEMBRO DELL’UMORE ADATTO PER PERDERMI IN DISCORSI SUL SESSO?» Gli  ringhio contro.

Il suo sorriso beffardo si spegne immediatamente. Deglutisce e torna a girarsi nel giusto verso di marcia «Chiedo scusa, Comandante. Sono stato veramente inopportuno», balbetta imbarazzato.

«Bene, Capitano. Scuse accettate. Ora fa’ qualcosa per renderti utile, già che ci sei: tieni, porta un po’ tu il cane». Gli consegno il guinzaglio ed accelero ulteriormente l’andatura. Aumenta anche lui il passo senza sforzo «posso chiederti perché te lo sei potato dietro, se ora lo passi a me?» Mi domanda leggermente sollevato nell’accorgersi che stavo scherzando.

«Perché quando sono uscita faceva ancora buio ed ero sola. L’alternativa sarebbe stato correre armata, ma come vedi questa tuta non ha una fondina», gli rispondo sorridendo.

«Giusto, molto prudente» riflette. «…E per la faccenda di  Hale e Black, hai già preso una decisione?» Butta lì la domanda come se fosse casuale, ma si vede dalla tensione del viso che  invece, è molto interessato alla risposta.

«Sì, li vedrò dopo in ufficio; a grandi linee ho già pensato ad una giusta punizione ».

«So che non dovrei impicciarmi, capo: ma potrei chiederti di andarci leggera? Se fossi stato al posto loro, presumo, mi sarei comportato allo stesso modo».

Lo guardo sorpresa. Si sta esponendo molto e per persone che in fondo conosce poco.

«Cosa stai cercando di dirmi Emmett? Che è colpa del testosterone? Che tutti gli uomini risolvono le loro divergenze prendendosi a cazzotti in faccia?»

Lui allarga le mani, e mi guarda mesto «se c’è di mezzo una donna, credo proprio di sì». Il pensiero corre ad Edward e mi chiedo se lui, farebbe lo stesso se qualcuno mi importunasse. E per quanto il nostro rapporto non sia ben definito, ho il sospetto che anche in lui alberghi lo stesso Dna da uomo primitivo.

«Valuterò le attenuanti». Mi scappa detto controvoglia.

E ho intenzione di farlo seriamente.

Rientro e trovo la stanza vuota. Edward non c’è, ma neppure Rose fortunatamente. Non ho voglia di fare altra conversazione, mi è bastato McCarty, che con il suo discorso, ha per il momento rallentato l’attacco di ira che mi stava ritornando.

Prendo un’auto senza fermarmi nella sala comune. Prima di entrare alla Base faccio una sosta per un caffè mentre avverto Angela e Jessica di raggiungermi in ufficio appena possibile. La pagina del giornale che sto leggendo riporta la mia attenzione  sui capricci del tempo.

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Forti TORNADO tra Texas, Oklahoma e Arkansas. Allerta MALTEMPO negli Stati Uniti

Una violenta fase di maltempo si sta abbattendo in molti Stati dell' Unione. Situazione difficile in diverse zone, a causa di bufere di neve e Tornado.


 

Si è già a lungo parlato della tempesta che si è abbattuta in Colorado nella giornata di ieri, ma non si tratta certo dell'unico Stato che sta vivendo una fase meteorologica estremamente difficile.  Nel Wyoming molte strade sono state chiuse per le forti nevicate. Il traffico è bloccato anche nelle grandi autostrade del territorio.

Bufere di neve anche a Denver, seppur decisamente meno intense rispetto alle previsioni. Nell'aeroporto della città più di 500 voli sono stati cancellati, mentre altri voli hanno subito dei notevoli ritardi. A causa di una fittissima nebbia per più di quattro ore anche all'aeroporto di O'Hare si sono registrati notevoli disagi.

In Texas, Oklahoma e Arkansas il problema maggiore è stato rappresentato dai Tornado, che in alcune zone hanno causato danni anche importanti. Diversi gli alberi abbattuti, molte le case che hanno subito lesioni e moltissimi anche i pali della corrente elettrica completamente divelti dal terreno.

Più di 30 cm di neve sono caduti nel Lander, mentre in alcune aree al confine con il Nebraska l'accumulo si presenta localmente anche superiore. I venti hanno inoltre soffiato a velocità particolarmente sostenuta e lo scatenarsi degli elementi è stata la causa principale del danneggiamento di un fienile vicino ad Akron, in Colorado…

 

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Sembra che ieri ci sia andata bene per un soffio, il mal tempo ci ha appena sfiorati, passando nella zona di San Antonio e Dallas, per poi proseguire verso nordest. Ma le notizie generali, mi convincono a chiamare i miei genitori a Buffalo, nello Stato di New York. Provo con mio padre, che di sicuro, a quest’ora si trova già al lavoro. Risponde al terzo squillo.

«Pronto pà?»

 «Bella, tesoro, come stai? E’ un po’ che non ti fai sentire» Mi risponde.

«Hai ragione, ma ho molto da fare in questo periodo, in più ci si mette anche l’allerta tornado a darmi dei pensieri... Per quanto riguarda il maltempo: ho letto delle burrasche di neve che hanno colpito alcuni Stati lì al nord e mi siete venuti in mente…»

«No, stai tranquilla. Qui è tutto a posto. Abbiamo il nostro mezzo metro, come solito» Ridacchia.

«Ok, meglio così. Ti lascio che ho una giornata pesante. Salutami la mamma».

«Ehm, Bella, a proposito  di tua madre» mi dice modulando la voce un po’ imbarazzato, «sarà meglio che la chiami. Girano foto su Internet che ti vedono insieme ad un uomo…».

 Sospiro rassegnata. «Dille che lo farò presto. Mi mancate sai? Era un po’ che nessuno mi faceva il terzo grado».

«Era da un po’ che non ce ne davi motivo, cara» mi accusa bonariamente. « Stammi bene, e non essere troppo dura con i tuoi sottoposti», conclude ridendo.

«Devo aver preso da te: con un padre Capitano di polizia come speravi che crescessi?»

«Già, ma temo che l’allieva abbia superato il maestro»

Mentre raggiungo l’ufficio penso che manco da casa solo da Natale, ma che con tutte le cose che sono successe in queste settimane, sembra passato un secolo.

Trovo Angela seduta alla sua scrivania concentrata su alcuni documenti. «Comandante, buongiorno. Ti informo che il Tenente Stanley è al Ced con i Sergenti White e Parker della Sala Controllo. Mentre il Capitano Hale e il Tenente Black, ti stanno aspettando nel tuo ufficio.»

«Ok, grazie. Vorrei che per favore, non mi passassi chiamate fino a nuovo ordine, Angela». Entro nell’ufficio e mi posiziono, in piedi, dietro la scrivania. Jacob e Jasper, che mi aspettavano seduti nelle poltroncine di fronte, si alzano immediatamente al mio ingresso.

«Mettetevi pure comodi», dico loro con voce tetra. La mia irritazione, che era scemata in più riprese, è di nuovo in fase crescente.

 

(Alice)

 

Stanotte non ho dormito molto. Dopo la zuffa tra Jake e Jaz, mi sono interrogata su cosa significassero per me e quale dei due mi piacesse veramente. La risposta non mi ha confortato molto. Ambedue mi sono molto cari. Per il primo provo, oltre ad una forte attrazione fisica, una grande stima professionale. E’ un valente scienziato, ed è un elemento fondamentale per il nostro team, perché padroneggia i misteri del cosmo come nessun altro.

Il secondo è stata una rivelazione. Lo conosco da tanto, essendo il fratello di Rose; ma a differenza di Bella che lo ha frequentato negli anni del corso piloti, io me lo ricordo come un ragazzo scostante ed insofferente alle amiche poco più che adolescenti della sorella. Mi ha sorpreso la sua sicurezza, e una dose di passionalità che non conoscevo.

Ora però aspetto con ansia il confronto con Bella, che giustamente, è arrabbiata con me. Aspetto insieme ad Angela proprio nell’ufficio affianco a quello in cui ha luogo il temuto confronto.

«ALLORA, SI PUO’ SAPERE COSA CREDEVATE DI FARE?»

Sento le urla di Bella attraverso la porta chiusa.

«MA VI SIETE RESI CONTO CHE, SE NON FOSSE STATO PER LA GENTILEZZA DI QUEL POLIZIOTTO ORA , NON SOLO AVRESTE PASSATO LA NOTTE IN GALERA, MA AVREMMO ANCHE ADDOSSO TUTTI QUELLI CHE PENSANO CHE STIAMO PESANDO TROPPO SULLE CASSE DELLO STATO?»

Io ed Angela ci guardiamo smarrite. Non solo sentiamo la voce alterata di Bella, ma il tonfo ripetuto della sua mano sbattere sulla scrivania.  Dai  due uomini non giunge niente, o parlano a voce troppo bassa per sentirli da qui, o non stanno proprio replicando. Cosa potrebbero dire, oltretutto, se non che sono stati così stupidi da battersi per me? Mi vengono le lacrime agli occhi e decido di aspettare il mio turno di giustificata gogna, in laboratorio.

 

(Bella)

 

Mi siedo esausta. Non volevo aggredirli così, ma le parole mi sono sgorgate dal fondo dello stomaco insieme a  tutta la frustrazione per la situazione precedente, che non sono riuscita a trattenermi. Il palmo della mano dolorante, per le forti manate che ho dato al piano di legno della scrivania, mi riporta alla realtà.

Ora li guardo realmente e metto a fuoco i due uomini che ho di fronte. Sono pallidi ed avviliti. Non noto espressioni insofferenti o di orgoglio ferito. Mi impongo di riprendere un po’ di contegno ricordandomi che in fondo l’obiettivo è stato raggiunto: a fronte dell’emergenza, E SI TRATTA DI STUPIDITA’ IN QUESTO CASO, il sistema ha funzionato.

  • Primo: l’intervento è stato immediato;
  • Secondo: ho trovato sostegno e collaborazione negli elementi con cui ho interagito;
  • Terzo ma non ultimo: il risultato, per quanto inficiato da una buona dose di casualità, non ha procurato danni al progetto.

«Vorrei che risolveste la questione in modo civile, ricordandovi che abbiamo una missione da compiere e che mi piacerebbe continuare a collaborare con tutti e due». Non rispondono, ma d'altronde non mi aspettavo certo insulti e ripicche. Spero veramente che riescano a passare oltre e per questo, probabilmente, l’influenza maggiore l’avrà Alice. Starà a lei dare ad ogn’uno il ruolo giusto nella sua vita…

Estraggo da un cassetto della scrivania due grossi tomi ed un paio di cd-rom.

«Ecco, questo è il vostro compito per le prossime settimane. Dovrete impararvi, praticamente a memoria, il manuale d’uso della navicella sperimentale Calypso   che costituirà la seconda fase del progetto Odyssey: avrei dovuto illustrarlo io a tutti voi, ma visto come è iniziata la settimana, ritengo che voi due siate le persone più indicate a svolgere questo lavoro.» Batto la mano sui tomi e proseguo:« Finchè non avremo ripristinato i pc dovrete accontentarvi della parte cartacea. Poi nei Cd-rom troverete i progetti e gli schemi in 3D»

«Avete qualcosa da dire?» Si guardano sconsolati.

«A parte che mi dispiace di averti delusa, no, non ho niente da dire» mi dichiara Jasper.

«Lo stesso vale per me » risponde serio Jacob «anche se questa, è la seconda volta che mi salvi il culo, Isabella.» mi guarda  depresso mentre si alza e prende la sua parte di libri e cd, «temo proprio di non essere indicato per questo lavoro».

Jasper lo segue a ruota chiudendosi la porta alle spalle.

E’ ora di pranzo, ma ho lo stomaco chiuso come fosse di pietra.

Ora il mio più grande desiderio sarebbe che entrasse Jessica a dirmi che il problema dei computer è stato risolto. Ma purtroppo non succede.



Non ho molto altro da dire, se non  raccontarvi che la disavventura notturna è successa davvero! Non ci credete? E' capitata proprio a me!

Una notte, dopo anni di matrimonio, mi sono svegliata di soprassalto senza sapere più dove fossi. Era buio e sono andata come si suole dire a "palpetti". La prima cosa che ho capito era che stavo nel mio letto. Ok, tutto a posto! Poi ho sentito la presenza di un'altra persona al mio fianco e IL PANICO MI HA ASSALITO.... CHI ERA L'UOMO CHE STAVA A LETTO CON ME????????? Con la mano l'ho pian pianino "saggiato" finchè sono arrivata ai capelli ricciolini....Fiuuuuu. Era mio marito!!!! La cosa assurda è che si trattava del primo e unico con cui sono mai stata a letto., quindi è stato veramente una paranoia assurda!!!

Ora, che vi ho raccontato i cavolacci miei non mi rimane che ringraziarvi ancora di essere arrivate fin qui.
Avete suggerimenti? Critiche? Ditemelo!
Un mega, grande, bacio.
T

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo ***




Ciao sono qui, in questa domenica di tempo schifoso,  con il nuovo capitolo.
Mando un saluto sincero a tutte le lettrici, sia a quelle amorevoli che mi hanno lasciato un commento, o che mi hanno inserito in una lista di preferenze, sia alle tante silenziose che so che esistono solo in base ai dati numerici.
Questo capitolo riporta un po' di sole, (e son contenta per loro), nella storia.
Sono quasi pronta con il tour guidato sulle immagini che ho fatto per le amiche scrittrici, probabilmente riuscirò ad inserire il link già da domani.
Vi lascio alla lettura, con un grossissimo bacio,
Teresa



Capitolo sedicesimo

 

Sono due giorni che praticamente non esco da questo ufficio. Due giorni che dormo poco, che quasi non tocco cibo, che trascorro tutto il mio tempo al Ced o in collegamento con il Dipartimento per la Sicurezza Cibernetica della NASA che si trova nella Silicon Valley. Due giorni in cui ogni componente dell’equipaggio ha silenziosamente collaborato, al limite delle proprie competenze limitandosi, magari, al trasporto manuale delle unità di memoria da un computer all’altro. Fortunatamente il backup frazionato eseguito da Jessica prima della partenza per San Francisco, ha scongiurato la probabile catastrofe. Ad oggi, la rete del  sistema informatico ancora non funziona, ma i dati del lavoro svolto fin qui, sono miracolosamente salvi.

«Ecco. Su questo hard disc esterno ci sono i progetti della Calypso, Edward».

«Ok, ci travaso quelli del progetto di modifica dello Shattle Discovery. Però mancano ancora tre unità, tra cui quella della Centralina di Volo Indipendente». Alza lo sguardo dalla lista cha scorrendo e mi fissa, senza vedermi realmente. «Le ho chieste ad Emmett o a Tyler?»

«Non so, domanda ad Angela di rintracciarli tutti e due. Io provo a mettermi in contatto con il Dipartimento Informatico della Marina Militare per sapere se almeno loro sono riusciti a bypassare  il blocco.». Mi dirigo con passo stanco alla mia scrivania pregando di ricevere dalla Navy di San Diego notizie confortanti. Mentre aspetto in linea, ricordo che non ho ancora avuto modo di parlare in privato con Alice.

 Che mi stia evitando di proposito?

Scaccio questo pensiero molesto e rispondo al mio interlocutore finalmente presente:« Sì, sono il Comandante Swan della NASA, … come dice? Avete finalmente isolato gli spyware intrusi?...E come, se posso chiederlo? Ah! All’interno del Honeypot. Si, so che si tratta di un computer che funziona da esca, che sembra contenere informazioni preziose e che invece è assolutamente indipendente dal corpo centrale e non ha dati sensibili … Certo, Tenente. Saremmo molto onorati di ricevere il vostro aiuto. Se adesso non le faccio perdere troppo tempo, le vorrei passare il nostro esperto informatico, il Tenente Stanley, con la quale può prendere accordi. Grazie ancora,  buonasera anche a lei.»

Chiudo gli occhi, incerta se cedere o no alla speranza.

E’ mentre sono così, che sento dei passi avvicinarsi.

« BELLA? STAI MALE?» La voce angosciata di Edward mi risveglia di colpo. Apro gli occhi mentre mi raggiunge come una furia e si inginocchia di fronte a me. Con una mano estrae una piccola torcia elettrica dal taschino della camicia e me la punta negli occhi mentre con l’altra mano mi spalanca la palpebra. «Segui il dito. Così, da brava.»

«Edward, non…» inizio.

«Shh, zitta, non ti sforzare. Ti porto in ambulatorio per un controllo. Sei sotto stress da troppo tempo». Mi solleva dalla poltrona e mi trasporta in braccio verso la porta.

«Non vorrai potarmi in questo modo per la Base?» Gli urlo terrorizzata.

«Mettimi giù. E’ un ordine!» Obbedisce all’istante tenendomi, però, stretta a lui.

«Ok, ma mi segui senza fare storie », mi rimprovera con espressione severa. Annuisco rassegnata avviandomi a passo deciso lungo il corridoio con Edward alle calcagna.

 

(Alice)

 

Jacob, o Jasper? Questa litania mi accompagna giorno e notte. Non so, non vorrei decidere, veramente. Sono solo certa che non sia scoccata la scintilla del grande amore per nessuno dei due, altrimenti non mi starei arrovellando il cervello. In questi giorni non li ho incontrati un granché. Sono molto occupati nel nuovo incarico dato loro da Bella. In compenso non ho neppure sentito parlare di nuove liti, né ho visto scorrere sangue e, se da un lato la cosa mi rincuora parecchio, dall’altro mi procura una leggera stizza l’idea che abbiano deciso di coalizzarsi tra di loro in una sorta di solidarietà maschile, atta ad escludermi. Molto infantile, complimenti Alice!

Questo pensiero, che non esporrei nemmeno sotto tortura, mi gira e rigira nella testa: mi sembra quasi di vedere lo sguardo di disapprovazione di Bella e mi si stringe il cuore per la vergogna.

Ok, stasera le parlo. Non posso aspettare oltre. Siamo amiche e partner sul lavoro da tantissimo tempo quindi posso sopportare il suo giudizio.

 

 

(Edward)

 https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=zNXU_kVrmvY

 

«90 su 140, la tua pressione arteriosa è leggermente alta ma niente di preoccupante. L’ indice del tuo stress sta nelle pulsazioni, che sono di 94 battiti al minuto.» Bella è seduta nel mio ufficio che ho allestito ad ambulatorio, con al braccio la fascia gonfiabile dello sfigmomanometro. Mentre la libero dallo strumento medico le schiocco un sonoro bacio. Una delle mie funzioni, come sta scritto nel mio ingaggio, è tener monitorato lo stato di salute di ogni elemento dell’equipaggio di questa missione, ed io in questa occasione, ci sto mettendo particolare zelo. «Sono tantini, dovrei prescriverti un calmante». Altro bacio. «Anche se, continuando così, dovrò prescriverlo anche a me stesso». Questa volta non mi limito al contatto delle labbra, ma le insinuo leggermente la lingua tra i denti.

«Allora, cosa ti sentivi prima, quando ti ho trovata così afflitta?» La faccio alzare e mi siedo al suo posto  accomodandola sulle mie gambe. Mi sorprende, non ribellandosi alla costrizione.

Si accoccola, invece, meglio su di me appoggiando la guancia alla mia spalla. «Non ci crederai, ma stavo solo cercando di non farmi prendere da un entusiasmo prematuro. C’è la “possibilità” che il guaio ai computer si stia per risolvere». Sospira piano baciandomi il collo. «Domani arriva una squadra di tecnici da San Diego ad applicare il metodo che da loro sembra stia producendo ottimi risultati». Faccio un balzo all’indietro staccandomi un po’ da lei che mi guarda spaventata.

«Vuoi dire che sabato potresti essere libera?» Quello che vede nei miei occhi la deve divertire molto, perché un sorrisetto malizioso le spunta sul viso stanco.

«Sabato...potrebbe essere presto, ma su domenica punterei già di più».

«Fantastico!» Le dico tornando a stringerla al petto, tanto forte che sento un suo lamento strozzato. «Stasera, quindi, non ti dispiace se esco con i ragazzi. Sfrutto l’occasione per chiedere a Met alcune informazioni sui dintorni.» Butto lì l’informazione sperando che non si offenda perchè non è stata invitata.

«No, fate pure. Non è il caso, vero, che vi stia a fare la predica sul fatto che non dovete combinare casini?» Ricambia la mia stretta alitandomi nell’orecchio: « mh, ti fai aiutare da McCarty, eh? La cosa mi spaventa già un po’»

«Oh, che affermazione assurda, per una che ammazza alligatori per hobby!» Rido, per non soffermarmi sul forte brivido che mi ha provocato il suo respiro. Ho già una mezza idea, ma ho bisogno del consiglio di Emmett su come attuarla. Poi, appena l’avrò riaccompagnata in ufficio devo assolutamente controllare il bollettino meteo del fine settimana. Per quello che ho in mente è indispensabile il bel tempo. «E, ... se ci riusciamo, che ne diresti di iniziare la nostra “gita” sabato prima di cena? Desidero stare con te il più a lungo possibile.» Glielo dico con una punta di apprensione. I suoi begl’occhi marroni brillano di pensieri inespressi  mentre mi sfiora con una mano la guancia.

«Mi auguro che sia possibile. Anch’io TI desidero.»

TI DESIDERO? E’ quello che sto pensando io? D’accordo che non è più una ragazzina alle prime armi, ma negli ultimi tempi avevo avuto l’impressione che si fosse, come dire, un po’ tirata indietro. Che il triangolo Jacob-Alice-Jasper, l’avesse convinta che non fosse il caso di portare avanti un rapporto che andasse oltre quello professionale.

Il mio cuore si butta in una danza frenetica mentre riesco solo  a trovare un filo di voce. «Oddio, Bella, non vedo l’ora che sia sabato sera». Con finta disinvoltura la faccio scendere dalla ormai “scomoda” posizione e cerco nel cassetto il flaconcino che mi ero procurato proprio per lei.

«Ecco, queste sono gocce di tintura madre di Tiglio e Biancospino», ne diluisci sei gocce in acqua o latte tiepido e le prendi prima di dormire». Interrompo la sua protesta sul nascere:«E’ fitoterapia, Bella, non sono medicinali chimici, se non ne abusi nelle dosi, può solo farti bene.»

 

(Bella)

 

Lo ringrazio ed esco dal suo ufficio, per tornare nel mio. Il cercapersone mi avverte che Jessica mi sta chiamando.

«Bella, grandi notizie. Domani mattina arriveranno i tecnici della Marina Militare. Mi hanno spiegato a grandi linee come intendono intervenire ed io e Adam abbiamo già controllato che ci siano tutti i dispositivi di cui hanno bisogno. Mi sento di sbilanciarmi dicendo che la loro soluzione potrebbe funzionare anche da noi, sto incrociando le dita».

«Mi unisco ai tuoi scongiuri, Jessica. Ma si è capito da dove può essere arrivato l’attacco?»

Ne ho parlato con loro che stanno seguendo le mosse dell’ Hacker da un capo all’altro del mondo, ma per ora le tracce si volatilizzano in un server fantasma di una sperduta zona cinese.

«Ok, magari è il caso di fare intervenire la CIA. Stai facendo un ottimo lavoro, Tenente. Sai cosa ti dico? Che è ora di tornare a casa. Stasera usciamo ad un orario decente, così ci riposiamo in previsione della giornata di domani.»

«Stupendo. A fra poco, allora.»

Entro da Angela e le chiedo di avvertire tutti che la giornata di lavoro è finita. Sono le diciannove e trenta, per oggi basta. Metto il flaconcino che mi ha dato Edward nella borsa indecisa se usarlo o meno. Bah vedremo più tardi.

Arriviamo al residence alla spicciolata, utilizzando a gruppi le auto a nostra disposizione. Insieme a me sono tornate Angela, Jessica ed Alice. Percorriamo il tragitto parlando del più e del meno, ma più tardi ho intenzione di affrontare Alice. I maschi sono già in pieno fermento per l’uscita di gruppo e qualcuno passando mi elargisce un sorrisetto stupido.

«Ragazze, sembra che stasera saremo sole, che ne direste di un pigiama party?» La proposta parte da Rose, ma trova la piena adesione di tutte. Emmett e Mike, che erano nel frattempo spuntati nella cucina comune, si fanno immediatamente seri. Ad un cenno del primo, escono come fulmini, inseguiti da Rose e Jessica.

«Ehi, boys, qui le donne,…ahi, aspettano solo che ce ne andiamo, …ahi, per organizzare un festino , perché non usciamo, …ahi,  un’altra sera?» Emmett sta urlando in non so quale stanza, ma la voce mi arriva intercalata da lamenti e da quella di Rose stizzita.

«Non pensarci nemmeno. Avete deciso di uscire ed ora ve ne andate. Questa è una serata per sole donne, capito?»

«Doooc?» Lo sento chiamare con voce supplichevole, « fai valere la tua autorità di “principe consorte” per convincere il capo a farci rimanere…».

« Non è il caso Met…», sento l’altro rispondere, ridacchiando, da un punto imprecisato dell’appartamento. «se poi LEI, si sentisse  Enrico Ottavo e mi facesse eliminare  come una delle sue tante mogli? No, no! Non ho intenzione di rischiare la pelle!»

«Edward, sei un codardo!»

«Emmett, smetti di dire cretinate e vattene!» Sento replicare Rose, che  rientra  poi sorridente in cucina:« Tutto a posto, stanno per uscire, ci facciamo portare la pizza?»

Ammucchiamo i cartoni vuoti della cena in un angolo della tavola, pronti per essere buttati. Abbiamo deciso di proseguire la serata acquistando  la visione del nuovissimo Star Trek into darkness.

«Cosa ne dite di Chris Pine nel ruolo del capitano Kirk?» Ci siamo accomodate su divani e cuscini a vedere questa nuovissima edizione nei canali via cavo.

«Sii, carino, ma…» Il commento è di Jessica, che sgranocchiando pop corn mostra l’intenzione di esprimere un commento profondo, «vuoi mettere con i fusti che abbiamo nell’equipaggio?» Un mormorio di consenso fa da coro alle sue parole.

«Però è sempre la solita storia, tanti effetti speciali ed un uomo al comando di tutto».

«Angela ha ragione, il nostro sarà un equipaggio molto più originale, perché non hai chiamato lo Shattle Enterprise, Bella?» Rose mi guarda curiosa.

«Perché volevamo essere prese sul serio. Ma ci avevamo pensato, tanto tempo fa, ti ricordi Alice?» Le rispondo.

« Mh sì. Già dai tempi del liceo eravamo appassionate di film di fantascienza e la saga di Star Trek era la nostra preferita. C’è stato persino un periodo in cui chiamavo Bella “Capitano Kirk”» Alice si produce in una smorfia graziosa, «ma ricordo anche che poi lei ricambiava col nomignolo di Dottor Spock ed io non sopportavo quelle orrende sopracciglia dritte».

«Cioè stai dicendo che passavi sopra al fatto delle orecchie a punta e inorridivi per le sopracciglia?» Rincara Jessica.

«Bambine siamo arrivate alle confidenze più intime, prima di rispondervi direi di cominciare il giro con la Tequila». Alice si alza e sparisce in cucina.

«Liquori?» Dico solo alzando un sopracciglio.

«Dai, Bella, non dobbiamo uscire…ho l’impressione che Alice voglia trovare un po’ di coraggio per trattare il “suo” argomento scottante.» Mi suggerisce Rose sottovoce. Ok, forse un minimo d’alcol potrà aiutare a sciogliere la lingua alla mia amica in pena.

Alice torna con la bottiglia e piccoli bicchierini di vetro che non sapevo nemmeno che avessimo.

«Quindi, stavo dicendo che Bella mi chiamava Dr. Spock, ed io avevo gli incubi notturni e mi sognavo con quelle assurde sopracciglia sempre aggrottate sotto l’orrenda frangetta dritta.»

«Bleah, effettivamente la frangetta era tremenda e ricordate che aveva anche l’ombretto?» Angela si sporge per farsi riempire il bicchiere.

«Però nell’insieme e per l’epoca in cui sono stati girati, erano tutti molto carini…sai Alice che non mi hai ancora fatto vedere niente che riguardi il vostro abbigliamento per la missione?» Rose, seduta su un cuscino si rovescia all’indietro alla ricerca di Alice che è seduta raggomitolata in un angolo del divano.

«Oh, non sarà niente di così colorato ed ho anche scartato l’idea di personalizzare le tenute in funzione dei rispettivi ruoli: troppo complesso da gestire e più costoso da realizzare.» Un grosso sospiro le esce dalle labbra.

«…Allora, è giunto il momento: visto che siamo qui, senza nessun altro ad interferire, vorrei chiedere scusa a tutte voi per il mio comportamento poco professionale» Alice si interrompe e butta giù un altro bel sorso di Tequila. Rose mi guarda ammiccando e mima un “te l’avevo detto” muto con le labbra.

«Soprattutto, sono dispiaciuta perché alla mia età avrei dovuto essere meno “leggera”». Altro sorso. «In più ora muoio anche d’imbarazzo quando li incontro, tanto che pensavo quasi di farmi trasferire ad un altro progetto». La guardo sbalordita.

«Non dire stupidaggini, tra poche settimane nessuno si ricorderà più dell’incidente. Già sto faticando a far cambiare idea a Black, che ha la tua stessa voglia di scappare. Devi solo chiarire le cose con i due e sceglierne uno.» Alice scuote la testa pensierosa.

«Sai, ci ho pensato molto, e sono arrivata alla conclusione che, in fondo, sono interessata più al lavoro che a loro. Quindi li lascio andare tutti e due».

«Amen!». Risponde Rose con una gran risata. «Facciamo un brindisi a noi donne in carriera, e a tutti i “gran fighi” del mondo!»

Brindiamo, già tutte un po’ brille facendo tintinnare i bicchieri tra loro. Sono contenta della sua decisione, ma io ho intenzione di approfondire il discorso che ho con Edward.

«Per rinchiudersi in convento c’è ancora tempo, Alice. Brindo alla buona stella che ha potato sulla nostra strada tutto sto bendiddio. Alla salute!»



Non ho molto altro da dire,  se non che sono molto fiera del bel rapporto che ho intrapreso con alcune di voi.
Un mega, grande, bacio.
T

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassettesimo ***




Eccomi, ho talmente tante cose da dirvi, che di sicuro me ne dimenticherò mezze.
Per prima cosa mi voglio scusare per il piccolo ritardo, ma ho avuto un fine settimana veramente intenso. Venerdì pomeriggio, dopo il lavoro, ho accompagnato il mio piccolo portiere alla partita di torneo di calcio a Carpi, che è una mezzoretta di strada da casa. Sabato ho repplicato con la festa di fine anno della scuola elementare, e mi sono ritrovata madre del protagonista indiscusso dello spettacolo, (faceva Ulisse, nell'Odissea, dovevo aspettarmelo!). Ma avere la propria creatura impegnata per una ora e mezza davanti a quattrocento persone, ha commosso sia me che mio marito. (Gli avevo pure fatto il vestito, con tanto di ginocchina fuori...era un'amore!). Domenica siamo stati invitati ad una comunione...
Spero di non avere bisogno della giustificazione della mia mamma, se il capitolo è un po' zoppicante.
Non vi anticipo il tema... sappiate solo che è diviso in due parti...simili, ma diverse per il carattere dei personaggi.
Ringrazio le persone che mi seguono, e quelle che già mi hanno detto che aspettano la pubblicazione...sto arrivandoooooo.
Ad un certo punto c'è un riferimento ad un programma-spia. L'ho copiato dalla storia di Uvetta, ho linkato il collegamento. Si intitola "Gli occhi dell'assassino", è veramente splendida, vi consiglio caldamente di leggerla.
Vi aspetto giù.
Teresa


Capitolo diciassettesimo


http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=0x2bI49qh0o


 

(Bella)

Siamo ancora lì, a ridacchiare e a farci confidenze, perse nel gioco del momento. Abbiamo le gambe appoggiate alle spalliere dei divani, la schiena sulla seduta ed il capo penzoloni. Il gioco sta appunto nel guardarci a rovescio, coi capelli ribelli come tante terribili Meduse e cercare di raccontarci cose intime, senza però agitarsi troppo per non far uscire la tequila che abbiamo abbondantemente bevuto. Rose ci descrive il carattere solare e infantile del suo Met, confidandoci di quanto si senta a suo agio con lui. «Alec pretendeva che fossi sempre tirata a “spigolo vivo”, sempre a prova di flash in qualunque momento. Non avrebbe mai tollerato che uscissi in tuta, o con i capelli senza messimpiega.» Ha  la voce impastata ed un poco nasale, forse per l’alcol o forse a causa della posizione rovesciata, ma non mi sembra che ci sia rimpianto nella sua voce. Batto un cinque a me stessa per la svolta emotiva della mia amica.

«Con Emmett, è come stare perennemente sulle montagne russe. Non è mai fermo, ma mi dice in continuazione che sono bella, e che gli piaccio come sono, soprattutto spettinata e senza trucco. Credo, che un poco , lo amo»

Wow, lo ama, un poco. Ih,ih,ih, cosa vuol dire UN POCO? O c’è amore o c’è affetto. Non mi risulta che il sentimento si misuri in once…

Mi viene da ridere, proprio una risatina insistente che non riesco a trattenere. Sento un’onda assassina montarmi dallo stomaco e realizzo che probabilmente il poltergeist che mi possiede ha il patrimonio  genetico della tequila. Anche le altre ridono contagiate dalla mia crisi isterica. Alice è tra loro, e forse è quella che ride più forte, mentre mi stringe la mano e io la ricambio felice di averla ritrovata.

«E tu, Bella, raccontaci cosa stai combinando con Edward» Rose mi incalza con uno sguardo che vorrebbe essere malizioso, invece è solo buffissimo: con le guance arrossate, i capelli color del grano maturo sparsi per il pavimento e le fossette così ben pronunciate, ai lati di un sorriso talmente aperto, da sembrare dovuto ad un attacco di paresi.

«Io…» Inizio. Non so bene cosa dire, perché a parte la certezza che non voglio rinunciare a lui, in questi giorni non ho avuto tempo da dedicare ai pensieri personali. Vengo salvata dall’aprirsi della porta e dall’ingresso degli uomini.

« Urca, venite a vedere cosa ci siamo persi». Non capisco bene di chi sia l’esclamazione di sorpresa, ma sento rumore di passi, profumo di varie presenze, parlottio sommesso. Poi, sempre dalla nostra posizione ribaltata, vedo spuntare gambe inguainate nei pantaloni, bordi di magliette, visi con le narici ben in vista sotto gli occhi sgranati. Sorrido inebetita ad un Edward che mi guarda perplesso.

«Ssciao, Eddy, siete tornati presto».

«Non abbastanza, a quanto pare». Il suo tono di rimprovero mi offende un poco.

«Ehi, su, non fare il moralista. Ci dovevamo rilassare e schiarire le idee. E ti comunico che fuuuunziooona benisssimooo ih, ih, ih. Il sangue si concentra al cervello e la conversazione è stata molto brillante. Vero ragazze?» Allargo le braccia verso le altre, perdendo un po’ l’equilibrio e rischiando di scivolare definitivamente a terra.

«Doc, ma queste sono proprio dure!» E’ la voce di McCarty, quella che bisbiglia subdolamente ipotizzando che siamo ubriache?

«Mmhh, è decisamente una situazione di emergenza.» Edward sparisce dalla mia vista, ma la voce la sento ancora, dall’altra parte del divano, stavolta. «Met, Mike, Eric, Tayler, pronti ai vostri posti. Jake apri la porta. Jaz, procura una fornitura d’asciugamani…al mio tre guys: uno, due, e... tree». Alla parola TRE lo vedo chinarsi pericolosamente su di me e acchiapparmi per i fianchi. Poi non so, è uno sconvolgimento d’orizzonte, come quando sono nel simulatore di gravità. Sento le ragazze lamentarsi e protestare, quindi capisco che la sorte ci è comune. Mi trovo caricata sulla spalla di Edward, con il naso che sbatte ripetutamente sulla sua schiena.

«Ehi, fai piano che mi viene da vomitare» lo supplico reggendomi ai suoi fianchi. Cammina a passo spedito e mi accorgo che sta uscendo dalla casa, perché c’è più aria e sento Muso abbaiare allarmato.

«Ed, ti prego... mettimi giù che spaventi il cane».

«Non prima di averti aiutato a schiarirti le idee». Li sento sghignazzare decisamente preoccupata. Cosa avranno in ment…

SPLASHH

Chiudo immediatamente la bocca, che stava urlando sorpresa per il volo in aria che stavo facendo, non prima però di avere bevuto una bella sorsata d’acqua clorata.

Riemergo con la brutta sensazione del naso che frigge. Mi avvicino con qualche bracciata al bordo della vasca perché in questo punto non tocco. L’acqua fredda allontana immediatamente i fumi dell’alcol, ma gli abiti bagnati sono tutt’altro che piacevoli al contatto col corpo. Lo guardo in cagnesco scostandomi un ciuffo di capelli incollato sulla fronte.

«CULLEN, COSA DIAVOLO TI E’ VENUTO IN MENTE?»

«Scusami, Bella, ma era necessario»

«Sei veramente uno scemo. Aiutami a risalire». Gli allungo una mano, con l’espressione più severa che mi viene. Edward rimane incerto, smette di sorridere e mi allunga timoroso una mano. L’afferro sicura, poi invece di issarmi sul bordo, faccio presa coi piedi sulle piastrelle e lo tiro in acqua.

Rido della sua espressione stupita mentre riemerge grondante.

«Eccoti servito, così impari a prenderti delle confidenze con il tuo superiore.» Mi avvicino e mentre mi mantengo a galla muovendo i piedi, gli cingo il collo con le braccia « Hai bisogno di aiuto per respirare?  Chissà, forse hai rischiato di affogare».

Ridendo mi butto sulle sue labbra, così, davanti a tutti…

Ecco ora avete la vostra risposta. Questo è “quello” che sto combinando con Cullen.

Forse sono ancora ubriaca, ma delle chiacchiere me ne preoccuperò domani. Mi sento trascinare verso il bordo, senza che però il contatto venga meno. Le sue labbra sono meravigliosamente fresche ed umide e le sento amare di cloro e di birra. Intorno a noi le urla di protesta cessano pian piano e l’ultima cosa che riesco ad udire è lo scalpiccio dei piedi nudi sulle piastrelle bagnate. Poi solo ansimi e mugolii: i nostri.

Ad occhi chiusi perdo cognizione del tempo e dello spazio, sento solo l’ingombro di questi stupidi vestiti che, inzuppati d’acqua, ciondolano pesanti come il piombo ad ogni movimento.

«Edward, aspetta un attimo» mi stacco a fatica dal suo corpo che è diventato la mia fonte di calore che si irradia sulla pelle fino al centro del cuore. Sbuffo impacciata mentre mi tolgo il pigiama. Solo in questo istante mi accorgo che siamo completamente al buio, qualche anima compassionevole ha spento le luci esterne prima di rientrare.

«Mmh, non sei scomodo completamente vestito?» Gli solletico il bordo dell’orecchio con la lingua, mentre mi sfrego languida contro di lui.

«Da morire», sussurra gemendo mentre con una mano percorre la mia schiena nuda. Sposto le labbra in giù fino al mento, percorrendo il bordo della mascella ispida. Mi reggo con le gambe agganciate alla sua schiena, libera per il potere dell’acqua, di usare le mani per slacciargli uno ad uno i bottoni della camicia. Nell’ombra della notte senza luna, il suo sguardo mi sembra indeciso. Chiude gli occhi, appoggiando la nuca alle piastrelle, quando la mia mano oltrepassa la stoffa accarezzandogli il petto.

«Oddio, Bella, se fai così non credo di resistere». La sua voce roca aumenta la mia determinazione. Basta fuggire, basta mantenere le distanze, ora è venuto il momento per agire e nel democratico scambio tra il dare e il ricevere ho deciso di donargli me stessa. I suoi vestiti piovono come stracci bagnati, sul pavimento in gres vicino ai miei, seguiti a ruota dalle scarpe che come solide bombe d’acqua schizzano intorno il loro contenuto. Un sordo ringhio segue i tonfi. «Buono, Muso, torna a cuccia». Seguo l’eco delle parole sul suo pomo d’Adamo che si muove mentre gli bacio lenta la gola. Edward mi stringe più forte. Le sue mani creano una sensuale corrente liquida mentre esplorano il mio corpo, dalle spalle alle natiche e alle cosce, ancora appoggiate sui suoi fianchi, per poi  soffermarsi sul gancetto del reggiseno, che scatta aprendosi. Con un deciso sciabordio si volta e mi appoggia alla parete al posto suo. Stacca il busto da me e mi libera dall’intralcio delle coppe di tessuto. Con gran foga si butta sul mio seno. Sento le areole ridotte a due coriandoli di pelle raggrinzita che reggono i capezzoli eretti e doloranti sotto la sua lingua, mentre li titilla alternati.

«Oh, Edward...» sospiro.

Gli accarezzo a mani aperte  i muscoli tesi della schiena, impressionata dal fuoco che divampa nelle mie vene, che poi passa per il seno per convergere dritto dritto nel centro delle gambe. Ansimo facendo una stima del rapporto tra la quantità di alcol ingerita e la voglia spasmodica di fare l’amore con Edward che ho. Vederlo così famelico e concentrato su di me mi fa girare la testa ancor più dei tre o quattro bicchieri di tequila che ho bevuto. Scendo nella mia perlustrazione oltre le natiche verso le sue cosce, che accarezzo con voluttà portandomi verso la parte anteriore. Arrivo con una mano ai suoi boxer tesi allo spasimo pensando che se non muoio per eccesso di passione stasera, non mi succederà mai più.

«Avevo pensato ad una prima volta più romantica» mi confida mentre colgo il desiderio animalesco che gli contrae il volto.

In questo momento il romanticismo è l’ultimo dei miei pensieri. La tensione erotica che si sprigiona tra noi è talmente intensa da farmi fischiare le orecchie. Forse anch’io, come Rose, lo amo un po’, perché non riesco a pensare che sia solamente un impeto di sesso, ma che sia un’esigenza di fondersi con lui per trovare un equilibrio migliore. Lo bacio, succhiandogli avidamente le labbra. Gliele trattengo, tirandole, e le gusto come fossero ricoperte del più pregiato cioccolato svizzero. Gli infilo le mani nei capelli per reggermi meglio nell’impresa, un po’ dispiaciuta che non siano nuvole di seta come quando sono asciutti.

Ma sono sempre i suoi e questo mi basta.

«Mmh, a me sembra molto, molto, romantico» gli rispondo per poi riprendere a baciarlo.

«Allora vuoi che succeda qui, adesso?» La speranza che sento nella sua voce mi fa contrarre i muscoli interni. «Non ho però niente con me».

«Non ce n’è bisogno. So dalla tua scheda che sei sano, ed io sono protetta» Una sua mano corre tra le mie gambe con la stessa brama con cui la mia cerca l’elastico dei suoi boxer.

Avviene tutto in fretta. L’urgente bisogno di sentirsi è impellente. Il dolore e la meraviglia si fondono nei bacini uniti, e risalgono a fior di pelle centimetro dopo centimetro. E’ lo sballo dei sensi. E’ l’adrenalina allo stato puro.

Ansimiamo e ci lamentiamo finchè l’onda del piacere non ci coglie una dopo l’altro.

Dire che è stato bello è riduttivo. Dire che è stato appagante è il minimo.

«Forse ti amo». Sussurro sfinita sulla sua spalla.

«Forse anch’io». Risponde con un sospiro stringendomi forte.

 

 

****

 

 

(Alec)

 

«Allora sei riuscito ad entrare?» Mi chiede languidamente la rossa Victoria sdraiata al mio fianco. Con una mano le accarezzo annoiato la coscia morbida, in tutta la sua lunghezza. Poi risalgo e con le dita mi avvicino al suo inguine, ricoperto da un sottile strato di pizzo nero.

«Nei computer, intendi?» Glielo chiedo con ironica lascivia, perché è chiaro a tutti e due, che dove ho appoggiato la mano sono entrato più e più volte.

«Stupido! Certo che parlavo dei computer».

«Mmh, sì e no…» ammetto.

«Come? O è sì, o è no!» Mi guarda senza capire. Dovrei metterla al corrente di tutto, in fondo siamo complici, ma non sono abituato a fare confidenze e a svelare le mie carte.

«Sì. Sono riuscito ad attivare il programma spia Dragon 3.0 nel portatile della puttanella. Ma no, non sono riuscito ad entrare nel sistema centrale.» Riprendo fiato un attimo. Non è mia consuetudine dover giustificare una sconfitta. «Mi sono ritrovato, in una serie di vicoli ciechi, che mi rimandavano agli accessi iniziali e così, alla fine, mi sono spinto un po’ troppo oltre e sono incappato nella memoria  sintetica della Marina. Quelli della NASA giocano a fare gli scienziati pazzi, ma non hanno i soldi per nascondere bene i loro segreti. Ma quando mi sono accorto di essere entrato nel sistema della Difesa…beh, mi sono ritirato in fretta e ho cancellato le mie tracce rimbalzando per i server del pianeta.» Deglutisco chiudendo per un attimo gli occhi. «Non è il caso di crearne un caso federale. Conosco il  Pentagono, quelli le risorse le trovano.»

«E così hai intenzione  di lasciar perdere?»

«Per il momento».

La bacio, mentre con la mano che le sfiorava lo slip, risalgo verso il suo seno. Rifatto, sicuramente. Troppo teso, troppo perfetto. Victoria avrà una quinta che sfida la forza di gravità come se fossero  le tettine di una gatta.

Ma cosa fa per mantenersi? Penso. Ma poi non ci penso nemmeno più tanto, preso come sono dalle sue labbra che mi invitano ad approfittare di lei.

Che non sia mai che io rifiuti un invito! Non me ne frega niente del fatto che la sto dividendo con quell’ingenuo di inglese. Lui e la sua fissa per la stronza frigida, che mi guardava con sospetto.

Dopo aver poi visto le foto di Rose abbracciata sorridente a quel manichino pompato, avevo preso in mano il telefono e cercato su internet il numero di James Hamilton.

Lo avevo conosciuto quando stava con la Swan, che era amica di Rose. Non avevo il suo numero privato, ma mi ricordavo che mi aveva detto di possedere una tenuta nel Galles vicino a Newport. Rintracciarlo era stato semplice, ma avevo dovuto passare per la sua segretaria. Proprio in quell’occasione, nel suo ufficio, avevo parlato per la prima volta con Victoria, che mi era sembrata molto interessata al tema della chiamata. Prima di passarmi James mi aveva confidato di voler a qualunque costo proteggere il suo rapporto con lui e che sarebbe stata disposta a tutto pur di allontanare l’ingombrante fantasma della ex dalla sua vita.

A questo punto non avevo più bisogno dell’uomo. Avevo già i contatti che mi servivano. La sera stessa Victoria era nel mio appartamento a Boston a parlare d’affari, con indosso pochi, ma proprio pochi vestiti.


Sono, qui. Vi aspettavate un capitolo del genere?
Certo ho glissato un poco, ma ricordo che il taglio della storia è arancione, non rosso.
La foto di Alec è invecchiata con un programma grafico. L'attore  è troppo giovane per poter essere inserito nel mio contesto, ed ora che ho scoperto il trucco, credo lo userò ancora. Soprattutto con Jake, che ha un viso troppo teen per essere un trentenne.
Non voglio tediarvi oltre. Aspetto suggerimenti e critiche.
Vi abbraccio forte, forte.

T

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo ***




Eccomi qui, in questa domenica di diluvio universale.Sono alla vigilia della commemorazione del mio primo anno da terremotata. Ve lo avevo detto, vero, che vivo a Mirandola?
Ora, tra cataclismi geologici, tornadi e diluvi, stavo pensando di scrivere una raccolta basata sui disastri ambientali... qualcosina purtroppo ne so. Mi manca l'eruzione di un vulcano, perchè la mega tempesta di neve l'ho già provata un paio di inverni fa. Non mi faccio mancare proprio niente!
Per tornare seri, in questo capitolo si riprendono finalmente i lavori. Il conto alla rovescia si avvicina, e ho capito che alcune di voi fremono dal desiderio di vedere i nostri eroi spediti nello spazio... Mi sembra un po' prematuro, ancora, ma mi adopererò per velocizzare le operazioni.
Mando a tutte le lettrici l'invito di lasciarmi le proprie impressioni, perchè spesso, dai vostri commenti, nascono idee di sviluppo per la trama.
Un abbraccio caloroso, però, lo dedico a tutte. Perchè non immaginavo di avere tanto seguito e vi ringrazio prodigandomi in banner sempre più belli...(è carino quello sotto, no?).
Baci.
Teresa


Capitolo diciottesimo

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=ahJ6Kh8klM4

 

(Edward)

 

Risalgo la scaletta dopo averla baciata e ribaciata decine di volte. Bella è tutto quello che potrei mai desiderare in una notte come questa, anzi in questa fase della mia vita, a dirla tutta.

Concentra su di sé la mia soddisfazione professionale e quella privata. Spero veramente in un futuro insieme, perché quando sento il suo sguardo posarsi su di me, mi sento felice come mai mi è capitato prima.

Nella effimera oscurità della notte cittadina intravedo gli asciugamani che Jasper ha lasciato per noi. Mi devo ricordare di ringraziarlo, domani. Senza questi teli sarebbe stato imbarazzante il ritorno alle nostre camere.

«Hai freddo?» Le avevo chiesto prima di risalire dall’acqua, mentre continuavo ad esplorarla tutta con le mani, inglobandola il più possibile conto di me. Mentre la stringevo, continuavo ancora a sentire l’eco delle sue parole nella mia testa, quel “forse ti amo…”, che non mi aspettavo che avrebbe pronunciato.

Non mi ero sentito offeso dal dubbio che aveva espresso. Mi sarei meravigliato del contrario. Io per primo non credo ai colpi di fulmine ed Isabella è una donna che pondera le sue decisioni con cura. A quel punto, col cuore che mi scoppiava dall’emozione non avevo potuto che confessare che anch’io ero molto preso da lei… aggiungendo quel “forse” che rendeva le parole più sincere e l’impegno meno ufficiale.  

«No, non se mi stringi così a te» mi aveva sussurrato con la guancia appoggiata alla mia clavicola. La sua pelle accapponata, però, l’aveva smascherata.

Così piccola e tenera… in quel momento non stavo amando un comandante, ma una ragazza dolce e indifesa.

 

Mentre rientriamo, mano nella mano, mi  sorprendo a chiedermi se sarà possibile riuscire a scindere questi due lati della sua personalità senza incappare in qualche passo falso. Me ne accorgerò da domani…

Lancio un fugace sguardo allo specchio d’acqua che è stato il nostro talamo d’amore, sicuro che difficilmente riuscirò a passare ancora nei pressi di una piscina senza ricordarmi di questa notte.

«Anche per me sarà difficile dimenticarlo» mi sussurra ridacchiando Bella mentre entriamo nel residence.

Separarmi da lei, davanti alla sua porta, dopo averla di nuovo baciata fino ad avere le labbra dolenti per l’eccessivo uso, si dimostra  un atto di forza di cui spero di poter far presto senza.

 

(Bella)

 

Mi alzo trafelata con la brutta sensazione di essere in ritardo. La luce del giorno è, per fortuna, ancora incerta.  Ricordo solo di aver dormito bene anche se il mio sonno era affollato di meravigliosi occhi verdi che mi guardavano amorevoli, e di braccia forti che mi stringevano. Un leggero mal di testa mi ricorda i bicchierini che ho bevuto, che però hanno sortito i migliori effetti che avrei mai potuto desiderate, sia per Alice …che per me. La camera è silenziosa, segno che Rose è già uscita.

Meglio. Non mancheranno certo le domande su ieri sera, ma adesso mi devo sbrigare. La giornata si annuncia impegnativa, ma spero anche fruttuosa.

Entro nella cucina affollata con la divisa già indosso e l’espressione seria e compita che mi contraddistingue. Cerco di non far vedere che dentro ho un’intera compagnia di saltimbanchi che fanno festa dandosi grandi pacche sulla schiena ed esterno un saluto collettivo dirigendomi immediatamente alla caraffa del caffè. Così, giusto per guadagnare tempo.

Che sia chiaro, non sono assolutamente pentita del passo che ho fatto stanotte. Era il momento perfetto. E non sono nemmeno in imbarazzo. Non ho mai detto di essere una suora di clausura!

Cerco solo di far capire in giro che non basta “una scopata” per ammorbidirmi. E’ fondamentale ribadire il concetto che rimango “IL” Comandante anche se ho una vita privata.

Mi giro con calma e valuto la tavolata dei presenti. Noto finti sguardi indifferenti ed occhiatine curiose mascherate da visi innocenti. Localizzo un posto libero vicino a Rose ed uno di fianco ad Edward.

…Guarda caso.

Lui mi osserva con espressione neutra aspettando di capire quale sarà il mio atteggiamento.

BRAVO.

Strizzo l’occhio a Rose, che mi ha già scostato la sedia, le faccio un no con la testa, sorrido ad Edward mentre mi dirigo verso di lui.

Se il concetto di chi comanda deve essere chiaro a tutti, è altrettanto importante che nessuno pensi che Edward sia solo il mio passatempo.  Un uomo oggetto, che cosa trasgressiva, penso.

«Buongiorno, dormito bene?» Mi dice mentre mi regala un  suo meraviglioso sorriso.

«Benissimo, grazie, e tu?» Non aggiungo altro e lo fisso intensamente lasciandogli  fare il primo passo.

Forse leggendomi nei pensieri, sorride furbo e si avvicina lento al mio viso. Appoggia le labbra sensuali sulle mie succhiandole, senza approfondire, ma in modo estremamente intimo e possessivo.

«Mmhh, avrei preferito che fossi stata con me, ma non mi lamento».

«Capisco. Vedrò cosa si può fare per il futuro», sospiro. Aggiungo agli impegni della giornata quello di telefonare in Florida alla squadra che si sta occupando della risistemazione delle villette, per creare solo camere individuali…il posto c’è.

Usciamo e ci dirigiamo, tutti quanti, al lavoro. Il primo step  è con  Angela, nel suo ufficio, per pianificare le operazioni dei giorno… o perlomeno tutto ciò che si può fare con: telefono, fax ed i notebook scollegati dalla rete. Attendo il team di tecnici della Marina con impazienza. Il ritardo si sta accumulando ed i lavori, ormai, sono fermi da giorni. Sbuffo mentre mi metto  in contatto con il Generale Rogers per avere l’autorizzazione ad interpellare l’Agenzia Spaziale Europea (l’Esa), qui ad Houston, per creare un bypass d’emergenza con la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che orbita intorno alla Terra e verificare, in questo momento di blackout, che i codici di controllo della stazione siano ancora sicuri. L’Esa può essere considerato la versione internazionale della NASA. Dal 1975 è incaricata di coordinare i progetti spaziali di venti paesi europei. Il quartier generale si trova a Parigi, ma ha uffici a Mosca, Bruxelles, ed anche a Washington D.C. e Houston. Mi sento frustrata dal prolungarsi di questo guasto tecnico, che ci priva dei più basilari sistemi di comunicazione e di autentificazione digitale. I nostri colleghi europei si dimostrano gentili e comprensivi.  Un danno come il nostro, purtroppo, può capitare a tutti e l’assistenza  all’ISS è di vitale importanza. Ringrazio il responsabile dell’Esa ed aspetto di ricevere  via fax il rapporto settimanale del Comandante in carica della base nello spazio.

Ho appena chiuso la comunicazione quando Angela mi avverte dell’arrivo dei  tanto agognati tecnici da San Diego. Li accompagno personalmente nella sala dei server dove trovo il Sergente White intento al controllo di un armadio dati.

«Ecco signori, questo è il fulcro della memoria artificiale della NASA. Vi presento il Sergente Adam White responsabile del Ced». Mi guardo intorno cercando Jessica. «Vi avrei voluto presentare anche il responsabile informatico del progetto Odyssey, ma non la vedo da nessuna parte» Adam che ha già iniziato una discussione tecnica con i colleghi californiani mi indica con la mano la porta sul fondo della sala. «La trova nell’area riservata, Comandante ». Lo ringrazio e  accompagno una parte dei miei ospiti verso la zona dove si trovano gli elaboratori che contengono i segreti di tutta la Base. Gli armadi sono tutti chiusi, e il locale è vuoto. Prima di decidermi a telefonare a Jessica, procedo quindi verso il cuore dell’archivio. Apro la porta con il mio badge personale, e la vedo in fondo ad un corridoio immersa nell’atmosfera surreale delle luci di cortesia. Sta fissando lo schermo di un portatile e con un tester nella mano destra, “armeggia” tra i cavi che spuntano dai server. La mia passione per i film di fantascienza mi fa associare la ragazza tutta blu ad un personaggio di Avatar.

«Signori, vi presento il Tenente Stanley, è merito suo se, pur in questa posizione poco invidiabile in cui ci troviamo, non siamo precipitati nella disperazione più nera.» Gli ospiti si presentano e di mettono immediatamente a chiedere a Jessica ragguagli precisi sulla situazione della nostra rete. Mi sento presto di troppo in questi discorsi tecnici.

«Bene, vedo che non avete bisogno di me. Vi lascio al vostro lavoro e ritorno nel mio ufficio.» Percorro il cammino a ritroso  fino alla mia scrivania, dove trovo una serie di messaggi, tra cui l’invito di Alice a recarmi all’hangar di montaggio quattro.

Una busta in preziosa carta filigranata con timbro federale, spicca tra le altre, attirando la mia attenzione. Mi avvio con la missiva in mano verso l’ufficio di Angela per avere chiarimenti.

«E’ quello che penso, Angela?» Le chiedo con voce lugubre.

«Non ne ho la certezza, Bella, ma temo di sì. Un tecnico di San Diego l’ha riconosciuta immediatamente mentre me la consegnava il Messo Statale. Dice che il suo Comandante ne ha ricevuta una identica ieri mattina». La apro rassegnata. 

Un lungo gemito sfugge dalle mie labbra. Già l’intestazione è minacciosa:

DIPARTIMENTO FEDERALE DELLA DIFESA E DELL’ESERCITO DEGLI STATI UNITI, UFFICIO INVESTIGAZIONI DEL PENTAGONO.

A seguito dell’attacco cibernetico subito dalla Base NASA di Houston, Texas, in data 31 marzo scorso, informiamo  con la presente il Comandante Isabella Marie Swan di aver aperto una indagine contro ignoti volta all’individuazione dei responsabili del tentato furto di segreti militari. Si ritiene pertanto urgente e necessaria un’ispezione in loco per verificare se sussiste l’ipotesi di un  potenziale reato di complicità interna.  

                                                                                                  Washington D.C. Aprile, 3, 2013

 

 

«Ahia. Presto avremo i Federali tra i piedi, con una bella indagine  interna, Angela»

CI MANCAVA SOLO QUESTO.... devo prendere immediatamente un caffè!

Lascio la lettera ad Angela e mi dirigo verso il distributore automatico posto in fondo al corridoio. Passo davanti all’ufficio di Edward e lo vedo intento a leggere una serie di fascicoli racchiusi in cartellette di cartoncino giallo. Una fitta di nostalgia per la beatitudine di ieri sera, mi monta dentro e cambio direzione per entrare da lui.

E’ lì, bello come il sole, con la camicia bianca che gli illumina la pelle degli avambracci che spuntano dalle maniche della camicia arrotolate. A quanto sembra, se voglio, questa meraviglia d’uomo  è già mio.

Ma ho davvero tutto questo libero arbitrio? Non è che tra poco tempo lui si stancherà di sopportare il peso di una relazione così complicata e mi lascerà per una cercarsi una compagna con un mestiere più femminile? Magari la commessa di una profumeria.

Mmhh, non è da escludere visto come si è conclusa la mia relazione precedente...

Come in un sogno, ma solo per un attimo, metto a confronto  le caratteristiche dei due uomini.

JAMES / EDWARD.

Le analogie tra i due ci sono, eccome.

  • Primo: sono tutti e due piloti provetti.
  • Secondo: sono decisamente belli.
  • Terzo: sono persone serie ed affidabili.
  • Quarto: sono o erano ( incredibilmente ) innamorati di me.
  • Quinto...

No, non esiste un quinto punto. Le analogie finiscono qui, perché James aveva deciso di lasciare la carriera per la vita civile prima di chiedermi di seguirlo, mentre Edward, che è pure più vecchio di alcuni anni, è ancora in servizio e ne sembra felice.

Busso educatamente sulla sua porta aperta. «Ciao, hai tempo per un caffè?» Sospiro.

Edward mi osserva preoccupato e annuisce.

«Lo sai che per te ho sempre tempo. Ma...va tutto bene? Hai l’aria preoccupata...» Tentenno non sapendo se dar voce ai miei timori.

«Mmhh, probabilmente non è niente di drammatico, ma sono appena stata avvertita che ci sarà un’indagine interna per complicità nel tentativo di furto di Beni dello Stato»

«E tu credi che ci sia effettivamente una Talpa all’interno della Base?» Mi chiede sottovoce sgranando i suoi meravigliosi occhi di giada.

Una Talpa? Non ci avevo nemmeno pensato.

“All’interno della Base” potrebbe significare uno dei tanti dipendenti fissi di Houston, come pure uno dei membri del mio equipaggio... Con un moto di disgusto cerco di allontanare questa odiosa ipotesi.

Non conosco profondamente ogni singolo elemento del gruppo, ma aborro l’idea di un traditore tra di noi.

«No, personalmente spero di no. Mi auguro che tutta questa brutta situazione si dimostri solo l’atto di un ragazzino incosciente che gioca a fare la spia. »

Mentre sorseggio il caffè mi ricordo della chiamata di Alice.

«Edward, devo andare all’hangar quattro, ti andrebbe di accompagnarmi?» Spero che mi dica di sì. La sua sola presenza mi distrae a sufficienza da farmi sembrare la situazione meno brutta.

Gli esce una fragorosa risata ed io lo guardo perplessa.

«Se me lo chiedi con quello sguardo da cucciolo smarrito, non potrei mai dirti di no».

Beh, se riesce a vedermi come una persona bisognosa del suo conforto, forse ho qualche speranza che non si stufi troppo in fretta di me.

Alice sembra molto felice di vedermi accompagnata da Edward. Per tutto il tempo del nostro colloquio, non fa altro che alternare lo sguardo da me a lui, sorridendo beata.

Il succo della visita è che è pronta a presentarci il prototipo del Sistema di guida indipendente della Navicella Calypso.

«Appena saranno tornati i collegamenti con il computer, provvederò all’istallazione del software. Poi cominceremo con l’addestramento pratico. Hale e Black dovrebbero essere a buon punto con lo studio delle funzioni principali» La vedo cautamente ottimista. Capisco che freme per recuperare il ritardo accumulato.

«Ottimo lavoro, come sempre, Alice». Nel pomeriggio andrò anche a vedere come procedono le fasi di assemblaggio della carlinga della navicella. A sovraintende ile operazioni ho messo McCarty, in qualità di ingegnere costruttore. Mentre parliamo ricevo una chiamata da Jessica: «Capo, sembra che le cose si stiano sbloccando. Abbiamo già ottenuto il ripristino del venti per cento del sistema... Se non insorgono imprevisti, presto potremo tornare operativi».

«Oh, questa è una splendida notizia, Jessica. Incrocio le dita. Richiamami appena hai qualche altro risultato da segnalare».

Con slancio abbraccio prima Edward, poi Alice.

«Sembra che i computer comincino a sbloccarsi» dico loro con un sorriso trentadue denti.

Edward mi sorprende riacciuffandomi in un nuovo abbraccio in cui include anche Alice. «Era ora...» lo sento sospirare.


Mi scuso se qualche passo è un po' più zoppicante dell'altro, ma l'ispirazione purtroppo  non segue sempre un ritmo musicale.
Vi abbraccio forte, forte.

T

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannovesimo ***




Eccomi qui,appena in tempo. Scrivere questo capitolo è stato un delirio, perchè durante la settimana ho consegnato il  primo lavoro per i tre  contest a cui mi sono iscritta. Gli impegni familiari hanno fatto il resto, ma ci sono riuscita. Sono rimasta indietro con la lettura delle storie delle mie liste, ma spero di mettermi in pari presto.
Del capitolo non vi anticipo niente, ci leggiamo sotto per i commenti.
Saluto e ringrazio tutte le lettrici, che con mio grande sollievo , mi sostengono.
Baci,
Teresa


Capitolo diciannovesimo

 

(Alec)

 

Victoria è tornata a Londra.

Avevo cercato James Hamilton perché ricordavo che frequentava la Swan ai tempi in cui erano tutti e due Piloti dell’Aeronautica ed in quanto tali, avevano una password d’accesso personale alla rete dati. Sono certo che nel tempo questi codici siano stati cambiati, ma so che nelle nuove elaborazioni, rimane una traccia della trasformazione  e che un buon tecnico informatico riesce , da un codice obsoleto, a rilevare il DNA cibernetico capace di crearne uno nuovo funzionante.

Quel che sarebbe poi risultato da quest’azione di spionaggio, lo avrei venduto ad un facoltoso cliente del mio studio che lo avrebbe pagato a peso d’oro.

 

« E quindi, cosa vorrebbe da James?» Mi aveva chiesto Victoria al telefono la prima volta.

«Oh, solo incontrarlo per parlare dei vecchi tempi...»

«Ma a quali vecchi tempi si riferisce, se posso?»

Avevo capito che la mia interlocutrice non era una impiegata e nemmeno una governante di casa Hamilton, ma chiarire il suo ruolo era ormai diventato indispensabile.

«A quelli in cui era fidanzato con Isabella Swan, la migliore amica della mia ex ragazza» Non avevo avuto bisogno di una webcam, per intuire che si era fatta improvvisamente attenta e seria, così avevo continuato scoccando il colpo vincente:

«Mi scusi, se sono indiscreto, ma chi è lei per il signor Hamilton?»

«Sono la sua attuale compagna e gradirei perciò, che non si immischiasse nelle nostre vite, rivangando sentimenti morti e sepolti» Avevo ascoltato le sue parole mascherando malamente una specie di lamento.

 

«Mi scusi, Victoria, ma sono disperato. Non dormo più da mesi e la mia carriera ne sta soffrendo. Ho assolutamente bisogno dell’aiuto di James»

«NON SE NE PARLA NEPPURE», mi aveva sibilato al telefono,«ma mi sembra di capire che non ha intenzione di demordere, quindi mi dica dove raggiungerla che trattiamo di persona».

Avevo l'impressione che Victoria non avesse creduto alla storia che le avevo propinato sul fatto che non riuscissi a rassegnarmi all’abbandono subito da parte della mia “adorata” Rose, ma avevo scoperto che la sua personalità forte, le permetteva di salvaguardare l’interesse  suo privato, assecondando il suo desiderio di tenermi lontano da Hamilton, facendo comunque affari con me.

La sera stessa, dunque, eravamo intenti in un “incontro di lavoro”, nel mio letto a Boston.

«Povero cucciolo bisognoso di affetto» Mi aveva detto cominciando a slacciare i bottoni della camicia. Si strusciava su di me come una gatta, ed io recitavo il ruolo dell’innamorato ritroso.

«Victoria, smettila. Da quando Rose mi ha abbandonato per uno qualunque,  avere una relazione con un’altra donna non mi interessa più» Mi ero scostato da lei e mi ero seduto in un angolo del letto accavallando le gambe per non farle notare quanto, invece, fossi eccitato da quel gioco erotico.

«Mmhh, ma non dobbiamo avere per forza una relazione», mi aveva suggerito, «potrei cercare di farti passare un po’ di malinconia, mentre mi spieghi come posso aiutarti a riconquistare la tua bella» Si era avvicinata salendo sensuale in ginocchio sul letto e mi stava ricoprendo il collo e la mascella di piccoli tocchi di labbra, mentre con la mano scendeva lungo il torace fermandosi sul cavallo dei pantaloni.

«Il computer, Viky. Per ora devi solo istallarmi un piccolo, innocuo, programmino nel computer di James. Tutto qui. Poi avrai la tua parte a lavoro svolto.»

«E tu non ti farai più vivo con lui, vero?» Mi aveva detto mentre risaliva con la lingua dallo sterno al pomo d’adamo. «Sono quasi riuscita a convincerlo a sposarmi. Non ti permetterò di mandarmi a monte tutto». Non stava scherzando, il suo sguardo di ghiaccio mi faceva capire quanto fosse determinata e senza scrupoli, come me d’altronde. In questo senso eravamo fatti l’uno per l’altra.

 

(Bella)

 

Intorno alle sedici del pomeriggio, Angela entra nel mio ufficio pallida e trafelata.

«Isabella, sono arrivati gli agenti Federali» La guardo allarmata prendendo un lungo respiro.

Non hanno perso tempo, rifletto. E poi si parla male dell’efficienza dei dipendenti del governo...

«Quanti sono?» Non è importante, ma mi serve per guadagnare tempo e concentrarmi sulla notizia.

«Due uomini vestiti in abito scuro, molto...inquietanti» mi risponde torcendosi le dita delle mani.

«Ok, falli aspettare un attimo, chiedi loro se gradiscono un caffè, poi con calma, come se fossero visitatori qualsiasi, li fai passare».

Mentre Angela esce per recitare il ruolo di tranquilla segretaria di un’altrettanto tranquilla Comandante in capo, mi impegno in alcuni esercizi di respirazione controllata che mi ha insegnato Edward.

Quando alcuni minuti dopo, Angela bussa di nuovo alla porta per lasciare passare gli agenti, una professionale Isabella Swan, siede tutta impettita e medagliata, alla sua scrivania, con aria serena. Uno dei due uomini in nero che entrano, sorride sfrontato nascosto dai classici occhiali scuri. Un cliché da pessimo film giallo.  

Mi alzo e li raggiungo per stringere loro la mano. Quello con gli occhiali allarga il suo sorriso e si presenta:

«Comandante Swan, sono Garrett Thompson, dell’INTERPOL, e questo è il mio collega Derril della CIA»

«Piacere.» Dico stingendo loro le mani.

Perché poi continua a sorridere così, questo?...Un momento: ha detto THOMPSON?...

«...QUEL  Garrett Thomson? L’amico di James?» Gli chiedo incerta.

In tutta risposta, lui si toglie gli occhiali scuri e si avvicina con il chiaro intento di abbracciarmi. Gli inglesi sono così, molto più abituati al contatto fisico di noi americani, quindi vinco la riservatezza e ricambio la sua stretta.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=NOx9jJt2Hvo

 

«Isabella! Sono felice di rivederti. Quando a Londra ho saputo che c’era in corso un’indagine internazionale alla NASA di Houston, mi sono offerto volontario. Speravo proprio che ci fossi tu a capo della baracca. Gli occhi scuri gli luccicano sinceri e mentre continua a sorridermi si china si appropria delle mie labbra in un bacio improvviso ed appassionato.

Sbarro gli occhi incredula, e mentre mi divincolo con decisione dalla sua morsa, scorgo sulla porta la figura di Edward che, con i pugni contratti ci guarda con espressione sconvolta. Mi libero dalle braccia di Garrett, mente Edward sparisce dalla mia vista.

«Scusatemi un minuto, devo fare una cosa urgente. Sedetevi intanto» Dico loro mentre già fuggo fuori verso il corridoio.

Lo trovo nel suo ufficio, di spalle, appoggiato con le braccia alla scrivania in una posizione che dimostra la sua sofferenza. Mi chiudo la porta alle spalle, mentre il mio cercapersone mi manda un segnale dalla tasca. Mi avvicino e cerco di voltarlo. «Edward...» Il mio intento è quello di dargli un bacio per tranquillizzarlo, ma lui si allontana con aria schifata. « Non azzardarti a farlo, non voglio sentire il sapore del dentifricio di un altro» La sua voce è aspra e tagliente.

«Pensavo fossi una donna diversa...» Le sue parole mi feriscono, anche se in effetti capisco il suo sconcerto.

«Edward, cosa stai dicendo?!» Gli chiedo con voce strozzata.

«Bella, so cosa ho visto…» Mi ringhia voltandosi colmo di dolore. Gli prendo il viso con la mano e lo costringo a girarsi verso di me.

«Ti prego, non fare il bambino, quello che hai visto, non è “quello che è successo veramente”»Cerco di spiegargli, ma le parole suonano stonate anche alle mie orecchie…

Accidenti, Garrett, in che razza di casino mi hai messa?

«Ah c’è una gran differenza…» mi risponde sarcastico alzando la voce.

«PROVA A DIRE CHE NON LO STAVI BACIANDO, ALLORA!»

 

Ora sta proprio urlando. La porta è chiusa, ma non siamo molto distanti dal mio ufficio. Se non fosse che la mia attenzione  ora è focalizzata sul salvare il rapporto con Edward, mi preoccuperei della figuraccia che sto facendo davanti ad agenti internazionali.

«Ti rendi conto che stiamo litigando?» Gli sibilo tra i denti.«Non ci siamo ancora messi insieme e già non andiamo più d’accordo?» Provo a mettere la cosa sul divertente per provare ad alleggerire la situazione.

«Ecco, appunto. Volevo proprio parlare di noi, nel fine settimana che avevo organizzato, ma ormai penso che non ci sia molto da dire, mi sono sbagliato a credere di essere l’unico per te»

Il mio cercapersone continua a suonare insistente nella tasca ricordandomi che ho gente che mi aspetta.

NO, NO, NOOO. QUALCUNO DOVRA’ PUR PORTARE PAZIENZA!

Edward continua la sua ramanzina incurante del mio disagio.

«Sai cosa ti dico? Disdico tutto!» Si allontana mettendo la scrivania tra di noi. «Cercami quando vorrai divertirti.» Sputa fuori le parole con tono cattivo, evitando di guardarmi negli occhi.               «Edward, ti prego, non farlo. Partiamo e parliamone mentre siamo solo noi due. Vedrai che non è come sembra» lo supplico mentre continuo a sentire quel dannato rumore che mi sta urtando i nervi.

Bip, bip, bip.

«Adesso, purtroppo, non ho tempo, ne parliamo stasera». Gli prometto cercando di essere calma ed accomodante.

«No, stasera non ci sono, esco coi ragazzi»

Ascolto frustrata il veleno che gli esce dalla bocca, ma non so cosa dirgli per fargli capire che è tutto un malinteso.

«Edward, devi fidarti di me. Ti dico che è stato lui a baciarmi ed io non  ho fatto nulla per incoraggiarlo.»

Esco senza ascoltare la sua replica, perché ci sarebbe ancora tanto da dire e da fare per sistemare questo malinteso, ma non ho proprio più tempo e devo tornare al lavoro.

Ritorno nel mio ufficio, dove trovo Garrett ed il suo collega e dai loro sguardi leggermente stupiti, capisco che hanno sentito le urla di Edward.

Mi accomodo sulla mia poltrona con un profondo sospiro.

«Hai combinato un bel casino, sai?» Mi rivolgo a Garrett con voce infastidita, «avevo un quasi fidanzato, fino a qualche minuto fa. Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in testa? Fai così con tutte?»

Il mio ospite sembra quasi offeso dalle mie parole, si raddrizza meglio sulla poltroncina prima di rispondermi:

« No di certo. Solo con le ex dei miei amici… volevo capire cosa provasse James a stare con te. Comunque, Bella, chiunque ti dovesse lasciare per una quisquiglia del genere, non merita certo che perdi tempo a corrergli dietro» Appoggio la fronte sulla mani costernata.

«Non tutti hanno il tuo senso dell’umorismo…» piagnucolo.

Se per caso l’incazzatura mi stava leggermente passando, sentire quelle parole così superficiali, me la fa rimontare.

Il telefono nel frattempo, inizia a squillare… Che tempismo, penso. Magari però è Edward…

Dall’altro capo della linea c’è Jessica, invece e purtroppo insieme alla voce mi esce tutta la rabbia accumulata nel frattempo.

«Stanley, non ho tempo da perdere. Dimmi rapidamente come procedono i lavori!» Sono stata talmente sgarbata che anche i due uomini seduti davanti da me si guardano stupiti.

«Rapidamente…», il mio attacco l’ha messa in difficoltà me ne rendo conto. Ecco un’altra persona a cui dovrò chiedere scusa.

«Sì, certo Capo. Sintetizzando, siamo alle prese con un DOS, capisci?»

Non del tutto, ma preferisco non interromperla.

«Un Denial of Service, è un attacco sferrato al sistema con l’obbiettivo di rendere inutilizzabili alcune risorse, in modo da danneggiare gli utenti dello stesso.» Spiega.

«Tradotto in parole povere, vorresti dire che c’è qualcuno che vuole far fallire il nostro progetto?» Le chiedo

«Esattamente» Mi risponde. «Ma c’è di più. I colleghi di San Diego hanno isolato due tracce digitali diverse, una delle quali corrisponde anche al loro intruso, quindi siamo piuttosto sicuri nel dire che gli attacchi hacking siano stati due. Ma non sappiamo se hanno rapporti tra di loro».

 Di male in peggio.

«E cosa mi puoi dire della rimessa in funzione del sistema?»

«Siamo a più del cinquanta per cento di attività, dovremmo farcela a ripristinare tutto entro domattina. Nel frattempo stiamo potenziando la protezione crittografica, per evitare altre possibili fughe di dati.» Jessica sembra sollevata dall’avermi dato queste notizie.

Io avrei preferito che mi avesse detto che il sistema era ripristinato al completo e avrei anche voluto che Garrett non fosse mai entrato in questa stanza, in modo che Edward non fosse arrabbiato con me, ma non tutto va come si vorrebbe…

Guardo i miei ospiti, che stanno seguendo in diretta la chiamata che avevo messo in vivavoce.

«Dunque avete sentito: probabilmente gli intrusi sono due, e non per forza collegati tra di loro.»

«Corrisponde alle nostre indagini, Isabella. Eravamo proprio venuti a dirti, che  a Londra stiamo seguendo una pista che porta ad un interessante movimento  di soldi che si muove su conti offshore provenienti dall’est Europa, forse dalla Russia. Ma che sembra focalizzarsi qui, proprio in questa città. E qui c’è la NASA con le sue ricerche…» mi dice come se fosse la cosa più lampante del mondo.

Discutiamo ancora un po’ delle procedure di controllo e di sicurezza da tenere nei prossimi tempi e consegno loro una copia dei dossier riguardanti il personale operante sotto il mio comando. Questa faccenda della talpa interna proprio non riesco a digerirla, ma concordo con loro che le piste vadano vagliate tutte.

Sono oltre le nove di sera quando Garrett e collega se ne vanno. Mi hanno anche invitato a cena con loro, ma visti i problemi precedenti non mi sembra il caso di accettare. Devo correre via e cercare di far pace con Edward. Spengo tutte le luci che erano rimaste ancora accese, saluto la guardia notturna, ed esco sola nella notte. Arrivata al Residence, mi accorgo con mia disdetta che lui è già uscito.

Sono rimaste solo Alice e Angela, perché Rose e Jessica sono andate al cinema con Emmett e Mike. Mi preparo un paio di tramezzini ed una insalata, e mi siedo aspettando le loro domande.

«Bella, cos’è successo oggi pomeriggio?» Mi chiede Alice preoccupata. «Angela dice che si sentivano la urla incazzate di Edward per tutto il corridoio».

«Mmhh, è successo un gran casino. Hai presente gli agenti federali che stavamo aspettando?» Rispondo mentre mastico un pezzetto di pane. «Beh, uno di loro è un’ amico di James, ed ha avuto la bella trovata di salutarmi baciandomi ed Edward ci ha visti. Morale, pensa che lo abbia tradito.»

«Cacchio, questa sì che è una bomba».

Non capisco. Le ho riassunto una scena drammatica, e lei si sta mettendo a ridere.

«Scusa, ma non mi sembrava una notizia così buffa» Le rispondo offesa. «Posso sapere cosa ti diverte così tanto?»

«Nulla, nulla…è che pensavo ad una cosa» Dice sventolando una mano con noncuranza.

«A cosa, di grazia?»

«Beh, al fatto che dovrai trovare le parole giuste per riconquistare la sua fiducia, Bella. Perché quel ragazzo geloso come Otello, è innamorato cotto di te». Vedo Angela annuire.

Sospiro. Chissà se le ragazze hanno ragione?

Il problema, però rimane. Come fare a convincerlo che sono innocente?

(Edward)

 

Sono letteralmente a terra. Pensavo di avere trovato la mia anima gemella ed invece, sono di nuovo d’accapo. Solo e pieno di rancore.

Isabella continua a ripetermi che “non è come sembra”, ma come può essere in altro modo se l’ho vista io abbracciata come una cozza a quell’individuo in nero che le stava risucchiando l' anima come un Dissennatore di Azcaban*?

Sono anche infuriato con me stesso. Perché se avessi calcato la mano con lei, per impormi nella sua vita, nel momento in cui aveva incontrato il federale lo avrebbe tenuto a distanza allungandogli semplicemente la mano.

Avevo programmato un sabato pomeriggio e una domenica tutto per noi. E mentre me la sarei coccolata come avevo capito che le piacesse, le avrei chiesto di ufficializzare la nostra relazione.

Mi sembrava la persona che avrei potuto portare a conoscere i miei. E la delusione che mi spacca il cuore in quattro non mi permette di ragionare lucidamente.

Devo riuscire a parlarle, anche solo per urlarle di nuovo dietro il fatto che ora non riesco a rimanere sotto lo stesso tetto con una voltafaccia come lei, e credo che sarò costretto ad andarmene del tutto.

Sono uscito con Jasper, Tyler  Eric e Jake, solo per ripicca. Perché dentro di me la mia anima lacerata, urlava di andare da lei e di far qualcosa per lenire tutto il questo dolore.

Nel locale ho bevuto solo una birra. L’alcol ha un effetto troppo transitorio per il mio bisogno, ed in più so per esperienza quanto possa far fare cose imbecilli.

Rientro, quindi, ancor più frustrato di quando sono uscito. La vedo subito, nel patio seduta su una panchina in compagnia del mio cane.

Le passo affianco col groppo in gola ma con l’intenzione di oltrepassarla.

«Edward, fermati…ti prego» La sua voce è rotta ed insicura. Sembra preoccupata, ed io perfidamente me ne compiaccio.

«Sono stanco, lasciami andare» Divincolo il polso che mi aveva preso cercando di liberarlo.

«…Cavolo…sei proprio arrabbiato». La sua voce esce così flebile, che sembra stia parlando con sé stessa.

«Perché tu non lo saresti al mio posto?» Le ringhio glaciale.

Bella si allontana colpita dalla mia freddezza.

«Senti, hai tutte le ragioni del mondo, MA NON MI LASCI PARLARE!» Si sta arrabbiando e la sua pelle si colora di un rosso acceso.«Qui la questione è che ti stai comportando in modo infantile ed in più sto cominciando ad offendermi per la tua evidente mancanza di stima. COME PUOI NON FIDARTI DI ME?» Sta camminando avanti ed indietro mentre io sto lì a guardarla allibito. Si volta con i tratti del viso ancora distorti dalla tensione.

«Senti, io entro e mi vado a fare una doccia, poi andrò a leggere qualcosa in soggiorno». Mi guarda negli occhi ed io ancora non trovo niente da dirle. «Se vuoi raggiungermi… ti aspetto». Se ne va con passo veloce mentre io resto fuori bloccato come un pezzo di pietra. Vederla andare via arrabbiata mi svuota e mi rendo conto che se per la mia cocciutaggine decidesse di non volermi più... potrei morirne. Mi dirigo velocemente nella mia stanza per quella doccia che spero mi darà un briciolo di lucidità. Poi la raggiungo titubante in soggiorno, sperando che il mio comportamento puerile non l’abbia troppo esasperata. E’ seduta raggomitolata in un angolo di un divano. Sta sfogliando una rivista, illuminata tenuemente dal fascio della lampada del tavolino. Ha i capelli scuri raccolti tutti su una spalla e la testa le pende leggermente sulla stessa. Alza gli occhi mentre la sto raggiungendo a passo incerto. Dentro di me vorrei correre ma le mie gambe sembrano di piombo.

«Sei venuto…». Due grosse lacrime le sbucano dalle ciglia rotolando lucide sulle sue guancie.

«No, ti prego, non piangere…» vedere quei segni del suo tormento mi fanno capitolare definitivamente. Cado in ginocchio davanti a lei, e le catturo con le mani il volto amato.

«Edward…». Non la lascio continuare, non dopo averla maltrattata così. «Shhh, Bella non dire niente. TI CREDO. Sono stato uno stupido a comportarmi come ho fatto. Ho avuto paura di averti persa.»

«Scusa.» Le bacio veloce le labbra.

«Scusa.» Le asciugo la lacrima che le scorre sulla guancia destra.

«Scusa.» Passo a quella sinistra per poi tornare alle labbra che tanto mi sono mancate. Le divoro, con una frenesia che non pensavo possibile. La sento lamentarsi perché credo di avergliele morse, oppure perché la sto graffiando a sangue con la barba ispida che le sto brutalmente sfregando sul viso. Le mani le stringono i capelli umidi addossando la sua testa ancora più sulla mia. Se potessi mangiarla sento che lo farei. Dal petto un  senso di leggerezza mi sale frizzante fino alla testa. Mi accorgo che mi sta ricambiando e mi sento sopravvissuto ad un disastro. Mi stacco e la guardo attraverso le lacrime che riempiono inaspettatamente anche i miei occhi.

«Non mi lasciare mai, ti scongiuro» La supplico.

«Anche tu. Oggi ho creduto  di impazzire»

 

Nota: *il Dissennatore di Azcaban è un personaggio inquietante dei libri di Harry Potter.                  



Allora, vi chiedo scusa se continuo a considerare Bella un'antenna captabaci, ma mi serviva per movimentare il rapporto con Edward, che avevo già intuito molto geloso, ma che non trovava il modo di far saltare fuori il suo lato focoso.
Ora vi prometto che non capiterà più.
Vi abbraccio forte, forte.
Aspetto i vostri commenti/suggerimenti.

T

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventesimo ***




Sono arrivata, è notte fonda, ma non volevo rimandare a domani sera. Il lunedì è il giorno in cui, di solito, stacco la spina e non penso alla mia storia ed ai suoi personaggi. In questo periodo, invece, lo uso per scrivere i racconti per i contest a cui mi sono iscritta. Il primo l'ho già consegnato, il secondo mi illudo sia già a buon punto, ma non posso sgarrare coi tempi, altrimenti il programma di lavoro va a rotoli...
Scrivere questo capitolo è stato faticoso, perchè venivo sempre interrotta.
Non inizia con un Bella-Edward, perchè altri due personaggi bussavano per farsi sentire. Spero gradiate l'intromissione. un bacio a tutte le magnifiche ragazze che mi seguono,
Teresa.

Consiglio l'ascolto delle canzoni che ho inserito, specialmente l'ultima.



Capitolo ventesimo

 

(Rose)

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=8NyEdmjkClo

«Sì, il film è stato bello, lo ammetto. Ma è possibile che quando si va al cinema con degli uomini, la scelta ricada sempre su pellicole in cui abbondano corse d’auto superveloci e ragazze sbavanti dagli shorts super attillati?» Mi volto, per quel poco che mi permette il braccio di Met che mi circonda le spalle, guardando Jessica. Spero in un suo commento in puro stile “solidal-femminile” che sottoscriva la mia lamentela. E’ tutta scena quella che sto facendo, perché ho passato una splendida serata in compagnia dell’uomo più bello e dolce che abbia mai incontrato e di Jessica e Mike, che per quanto li conosca ancora poco, non sono per niente male.

«Certo, di motori truccati ne abbiamo sentiti rombare molti, ma l’alternativa era il film sui droni impazziti con i circuiti in tilt, e permettimi… questa settimana ho avuto fin troppi problemi informatici per desiderare di vederne altri!» Replica lei.

«Mmh, la mia gattina avrebbe voluto vedere un film d’amore…» mi sussurra con la voce in falsetto Emmett stringendomi ancora di più.

«No, grazie… ci sei già tu che mi carii i denti da tanto sei mieloso… » lo stuzzico cercando di fargli il solletico nel fianco.

Emmett mi guarda offeso per niente impressionato dai miei pizzichi insistenti.

«Dimmelo, mia regina! Abbi il coraggio di dirmi in faccia che non ti piacciono le mie attenzioni!» Con una mossa fluida e improvvisa, mi piega all’indietro sostenendomi per le spalle col braccio che già aveva in posizione, mentre con l’altra mano risale con malizia lungo la gamba passando sotto il tessuto della gonna a portafoglio. La ferma in modo provocatorio ad un passo dalla natica, e con la punta delle dita mi solletica la pelle sotto l’elastico degli slip. Il suo sguardo beffardo, illuminato dalle insegne al neon delle vetrine dei negozi, lo fa assomigliare ad un personaggio dei fumetti della Marvel.

Un misto di Thor e  Bruce Wayne: un po’  supereroe un po’ gentiluomo…

«Sei un maledetto demonio McCarty. Aspetta che rientriamo e ti spiego per benino cosa penso di te» Cerco di applicare alla frase un tono minaccioso, ma l’effetto risulta tutt’altro e gli vedo spuntare quel sorrisetto compiaciuto che preannuncia una notte di fuoco.

«Sempre che riusciremo ad avere un po’ di privacy… Quando siamo usciti c’era aria di tempesta al Residence. Doc era incazzato nero e quindi temo che avremo i nostri rispettivi coinquilini tra i piedi» Mi rialza di getto stampandomi un bacio sulle labbra.

«Già mi hanno raccontato che nel pomeriggio si sentivano le sue urla da tutti gli uffici…» Commenta Mike con un’espressione ammirata. «Inveire contro il proprio superiore: temerario, veramente. Ha avuto un bel fegato, ed anche molta incoscienza» Scuote la testa pensieroso.

«Probabilmente perché l’argomento non era il lavoro. Sembra che si trattasse di un triangolo amoroso…» suggerisce Jessica, «anche se non la vedo Bella ad amoreggiare col primo che capita. Ci dev’essere stato di sicuro un malinteso.»

«Già, lo penso anch’io» Rispondo mentre torniamo all’automobile. Che Bella non sia una che passa da un uomo all’altro con disinvoltura, lo posso testimoniare. In tanti anni che la conosco si è sempre comportata correttamente, anzi fin troppo. Quante volte le ho detto di cogliere le occasioni che le capitavano senza starci troppo a pensare su. Ma in queste settimane sembrava aver trovato la persona giusta per lei, quindi tutte le mie teorie andavano a farsi benedire. Fino ad oggi, perlomeno…

Un velo di malcontento mi rovina in parte la serata. Sono dispiaciuta per la situazione, perché pur patteggiando per la mia amica, anche Edward mi sembra una bella persona.

 

Dopo aver parcheggiato nel cortile sul retro, entriamo dentro cercando di non fare rumore. L’ambiente è vuoto e silenzioso, ma sembra che ci sia ancora qualcuno in giro, visto che il riflesso di una luce esce dalla porta aperta del soggiorno. I nostri passi rimbombano secchi nel corridoio e comincio a pensare che forse la luce sia stata dimenticata accesa. Decido di andarla a spegnere, e di ritirarmi in camera. Avanzo nella penombra e svolto nella stanza. La scena che mi compare davanti cancella, d’un colpo solo, ogni malinconia. Mi volto commossa verso gli altri e regalo un sorriso da strappo muscolare a Met.

«Preferisci andare da te o da me?» Lui mi guarda dubbioso, ed io, senza smettere di sorridere gli accenno con la testa la scena che ho visto di là. Met, Jessica e Mike mi sorpassano in punta di piedi per andare a vedere. Li raggiungo mentre, mantenendoci ad una rispettosa distanza, rimiriamo i corpi addormentati di Bella ed Edward avvinghiati sereni sul divano. Lui ha il capo appoggiato sul seno di lei, e la avvolge con le braccia e le gambe meglio di una coperta.

Lei tiene la guancia appoggiata sui suoi capelli, e lo circonda con un braccio gentilmente, come se stesse cullando il suo bambino.

«Wow, direi che anche questo problema è risolto», sento sussurrare a Jessica. « Io me ne vado a letto, che domattina vorrei completare il  lavoro urgente. Buonanotte.»

« Fantastico, così da lunedì potremo iniziare a montare l’impianto elettronico sulla Calypso» Ci dice Met sulla soglia della sua camera da  letto.

«Potremmo festeggiare in anticipo, io e te, qui dentro…»

«E cosa dovremmo festeggiare?» Gli chiedo curiosa.

« Il fatto che il capo stamattina  mi ha confidato che stava valutando me come suo secondo pilota» Mi dice languido vicino all’orecchio.

«Non è che è per questo che Edward era furibondo?» Chiede ridacchiando Mike.

«Oddio, spero proprio di no…mi sembrava che c’entrasse uno dei federali» gli risponde con voce un po’ insicura.

 

«Bentornati, cari. Avete visto che scena deliziosa?» Alice saltella accanto a noi con un bicchiere di liquido verde in mano. Mi meraviglia che le piroette del folletto non ne stiano facendo uscire nemmeno una goccia. Miracoli della scienza…

«Beh, ora che tutto si sta sistemando per il meglio, vado a riposare. Da lunedì voglio vedervi agli hangar di montaggio». Guarda Emmett e Mike brandendo loro un ditino affilato. Poi passa a Jessica «Chi deve entrare in stanza decida subito cosa fare, che sono stanca. A domani boys and girls!» Alice se ne va veloce agitando una mano in segno di saluto.

«Allora, entri da me?» mi ripete Emmett. Non me lo faccio ripetere ancora e, dopo aver appiccicato un  post-it per Edward sulla porta invitandolo ad usare la camera di Bella, entro e chiudo a chiave.

Met mi addossa alla porta e strusciandosi sensualmente infila le mani sotto alla camicetta. Sono larghe e calde come sempre e mi fanno partire brividi profondi che si spargono per tutto il corpo. E’ come un’esplosione di desiderio: gli slaccio rapida i bottoni della camicia di jeans grigio che indossa, per potergli accarezzare i muscoli ben scolpiti dalle ore passate in palestra. In un attimo siamo sul suo letto, seminudi. Mi perdo nel mare limpido dei suoi occhi da cucciolo troppo cresciuto e mi lancio in un bacio aggressivo per poi costringerlo ad appoggiarsi al materasso salendogli cavalcioni.

E’ la mia altra metà del mondo, lo sento. Risveglia in me istinti primitivi e voglia di casa. Gli infilo le mani nei capelli e gli bacio le fossette che gli si formano ai lati della bocca quando sorride…

cioè sempre, rifletto. E’ il mio sole, il mio cuore, il mio amore...

Lui mi guarda adorante e mi stringe forte, a lungo, con quelle sue braccia rubate ad un dio dell’Olimpo, ma che sanno essere dolci e delicate soprattutto mentre facciamo l’amore. Di lui anche questo aspetto mi ha conquistata. E’ un amante forte e tenerissimo, soprattutto generoso e sempre attento a me. Con un dito percorro leggera i muscoli ben evidenti del suo addome scaldato dal sole. Un brivido lo percorre e gli accappona la pelle. Le sue mani si posizionano sul mio sedere e mi stringe a se per farmi sentire la potenza del suo desiderio. Ricambio il suo sorriso e mi dedico a lui ed a me, perché non vorrei essere in nessun altro posto che questo.

 

(Bella)

 

Presentarsi al lavoro stamattina è stato faticoso. Non solo perché è sabato ed in genere è giornata di riposo, ma per la sensazione di svuotamento e di sollievo, che la serata appena trascorsa mi ha causato. Edward si è finalmente convinto che non avevo avuto nessuna intenzione di ferirlo… tantomeno tradirlo. Anche se, per tradire una persona bisogna che questa assuma un ruolo di unicità quale quello di …un fidanzato. Mentre eravamo sul divano non abbiamo parlato molto, abbiamo più cercato di lenire la nostra disperazione reciproca con appassionati baci e carezze.

«Bella partiamo insieme domani pomeriggio?» Mi aveva chiesto in un sussurro.

«Certo. Avevo paura non volessi più». La voce mi si era incrinata di nuovo al ricordo del dolore provato per la sua probabile perdita.«Oh, io voglio, eccome» Mi aveva strinta ancora di più appoggiando la guancia sul mio cuore,«ed anzi, vorrei dirti ora quello che tenevo in serbo per domani… non resisto più, Bella, il terrore che ho provato quando ti ho vista con quell’altro, mi ha fatto riflettere che avrei dovuto dirtelo già giorni fa». Fa una pausa per prendere un respiro, mentre mi chiedo dove voglia andare a parare il suo discorso. Un po’ me lo immagino, ma preferisco non interromperlo: sono sfinita dal calo di tensione e la felicità d’averlo ritrovato mi rende ubriaca.

«Bella», ricomincia, «vorrei che fossi la mia ragazza. Oggi ho constatato sulla mia pelle che perdere te è come perdere un organo vitale. Quindi ti supplico di dirmi di sì. Desidero poter essere il centro del tuo mondo, come tu lo sei del mio.» Non avevo potuto far altro che stringerlo fortissimo, pensando che anche io mi sentivo zoppa senza di lui. E che tutto il dolore provato mi aveva portato alla consapevolezza di essere innamorata di quell’uomo così forte e fragile allo stesso tempo.

«Sì, Edward, sì.»

Non so bene per quanto tempo siamo rimasti così. Ricordo solo che mi sentivo in pace col mondo intero e che quando ho riaperto gli occhi già albeggiava. Mi dolevano un po’ le membra per la posizione scomoda, ma non avrei scambiato il corpo caldo che mi avvolgeva con il più soffice letto che esistesse.

«Ehi, bell’addormentato, mi lasci alzare?» Gli avevo detto quando finalmente gli avevo visto aprire leggermente gli occhi.

«Mmh, no». Aveva mugugnato sistemandosi meglio addosso a me.

«Nemmeno se ti dico che ti amo e che vorrei passare il fine settimana con te?» Aveva alzato la testa e di colpo mi sembrava sveglio.

«Dici davvero?» Sembrava stupito e il mio cuore si era sciolto per la sua insicurezza.

«Certo, che dico sul serio. Ora alzati che devo andare in bagno».

 

La mattina si è quasi conclusa. Jessica, mi ha già confermato che i server sono tutti a posto. Sto controllando il programma di lavoro della settimana prossima per essere sicura che tutto proceda per il meglio. Mando una mail a Garrett per comunicargli la mia decisione di promuovee McCarty a ruolo di Secondo Pilota. Non il mio vice, quel ruolo è coperto da Alice, ma colui che occuperà il comando della Calypso se per caso io non potessi farlo.

Non l’ho ancora detto ad Edward… spero non ne faccia un dramma. Spero che capisca che non potrei mai incaricare lui.

Primo perché ormai siamo una coppia e quindi potrei essere tacciata di nepotismo.

Secondo perché sostituirmi vorrebbe dire essere in due posti diversi, ed invece io desidero che rimanga sempre al mio fianco, dentro o fuori la missione.

 

(Edward)

Sto guidando col vento nei capelli dell’auto cabrio che ho noleggiato apposta per l’occasione. Ogni tanto mi volto a guardare l’angelo che mi siede sorridente affianco e penso che sono felice che ieri sia successo il dramma che è stato, perché mi, e spero ci, ha portato alla svolta che occorreva al nostro rapporto.

Nel culmine della fusione dei nostri cuori, Bella mi ha detto che mi amava. Pensavo che sarei stato io quello che si sarebbe esposto per primo, ed ora sono al settimo cielo, perché essere ricambiati del proprio affetto è la cosa migliore che possa succedere. Hanno un bel da dire, quelli che dichiarano che in amore è importante dare… BALLE, io sto ricevendo e ne sono talmente euforico che ogni cinque miglia mi devo fermare a bordo strada per poterla baciare ed assicurarmi che non sia tutto un sogno.

In mattinata ho cambiato meta. In origine volevo portarla a San Antonio a fare un bel giro in mongolfiera. Ma nei giorni scorsi una serie di tornado di forza eccezionale ha devastato la cittadina, causando più di trenta morti. Non me la sono sentita di portare Bella in un tour di sofferenza; già basta il fatto che Emmett debba andare in zona, domani a controllare la situazione di amici e parenti.

Ho optato per qualcosa di più vicino e rilassante, per potermi godere appieno del fatto di avere di nuovo una donna fissa.


Ho prenotato un cottage in riva al mare, nella zona litoranea di  Galveston, a sud di Houston.

 Saranno venti miglia, o poco più, ma sono sicuro che basteranno a sentirci in vacanza.

Arriviamo a metà pomeriggio, e in un attimo abbiamo sistemato le nostre cose dentro lo chalet. A Bella è piaciuto molto. In effetti, la struttura moderna costruita a palafitta direttamente sul golfo del Messico, è suggestiva anche per me che l’avevo già vista in foto.

Ho una voglia spasmodica di buttarla sul letto candido e di fare l’amore con lei fino a domani sera, ma vorrei che non si ricordasse di questi giorni solo per il tour del sesso, ma vorrei che ritrovasse la magia di domenica scorsa a san Francisco.

Devo farmi forza ed uscire di qui…

«Ti va di fare un giro sulla spiaggia?» Le propongo abbracciandola da dietro e stampandole un bacio sulla spalla. Mi tengo un poco scostato da lei perché non senta quanto già sono eccitato.

«Mmh, sì…» La sua risposta è quasi un ansimo, ed io mi stacco veloce e la prendo per mano. Non posso rimanere un minuto di più all’interno dell’ambiente, rischio di non rispondere di me stesso.

La giornata è stupenda. Il sole caldo mitiga la brezza che arriva dal mare. Dopo aver camminato a lungo, mano nella mano, ci sistemiamo du due lettini a prendere il sole.

«Per la serata mi sono fatto consigliare da Met un posto dove si possa anche ballare» Le dico mentre la guardo stesa al mio fianco. Noto che sulle braccia e sulle gambe scoperte dai pantaloncini ci sono ancora le tracce della lotta contro l’alligatore.

E’ una donna forte ma con un cuore capace d’amare intensamente. Sono felice d’averla incontrata, e che si stia mettendo in gioco per me.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=yyDUC1LUXSU

 

Il locale che mi ha consigliato Met, è in rustico stile texano. E’ pieno di gente vestita da cowboy, con tanto di Camperos ai piedi e cappellone a tesa larga, in testa. Mangiamo bistecca e verdure al forno, annaffiate con un boccale di birra fresca e leggera.

Sulla pista al lato della sala, parecchie coppie stanno ballando a ritmo di musica country. Un ritmo più pop mi solletica l’orecchio.

«Balli?» Non le lascio la possibilità di rifiutarsi che l’ho già trascinata verso la pista abbastanza gremita di gente. La avvolgo in un abbraccio da dietro e comincio a dondolarmi con lei. La canzone è sorprendentemente maliziosa, ed io mi spingo in una serie di strusciamenti di bacino, piegando le ginocchia, mentre con le mani le scorro la pancia e i fianchi. Indossa, come me, un paio di semplici jeans ed una maglietta attillata, che però le esaltano la linea ancor meglio dell’elegante vestito che indossava alla festa. Il sedere poi, ben fasciato dal tessuto denim, si protende alto e sodo pronto per essere toccato. Bella si volta e mi rivolge uno sguardo divertito e sempre ancheggiando a ritmo di musica ricambia il favore accarezzandomi sensuale il petto e le spalle. Si mette poi a girarmi intorno con passo felino sfiorandomi appena con la mano, con lo sguardo pieno di promesse erotiche. Sono allo stremo, carico come una molla. Fremendo, seguo con aria eccitata, le sue movenze sexy. Mi sento tanto catturato da una sensuale predatrice e ne sono fiero. La riacciuffo, mentre mi accorgo che la gente intorno ci sta guardando.

Guardate pure... tanto questa meraviglia di donna è mia!

Le prendo una mano e le faccio fare una piroetta all’andata e una di ritorno. I suoi capelli sciolti, volano morbidi e leggeri intorno al suo viso leggermente accaldato.  Mi torno a strusciare dietro a lei, incrociandole le braccia sul petto ed alitandole sul collo. Sento caldo e non solo per la temperatura del locale pieno di gente e nemmeno per l’effetto della birra…

Riprendo i miei passi in solitaria, in un muto invito a conoscermi più  in profondo. Mi sento giovane e felice, mentre sto mettendo in mostra al mondo ed a lei, le mie doti seduttive. Mi bilancio su una gamba e muovo i fianchi  in un esplicito movimento pelvico. Aggancio i nostri sguardi e le sorrido languido. L’avvicino intrecciando le dita alle sue e le stampo un bacio sulle labbra. Mi sorride e mi abbraccia stretto. Ora è lei che si strofina contro di me e sento i suoi capezzoli indurirsi al contatto.

«Oddio, Bella.» Ansimo. «Vorrei tornare al cottage». Sempre attaccata a me, con le mani ancorate alla mia nuca per potermi abbassare il viso annuisce con gli occhi che le luccicano. Mi bacia con passione per un attimo solo. Poi si stacca e mi trascina mano nella mano, verso la cassa.

Vi è piaciuto? Non sono arrivata alla loro notte insieme...ormai non ce la facevo più, dovrete aspettare la settimana prossima. Intanto farò un po' di pratica "coniugale" per scrivere qualcosa di "vissuto". (Ricordo che sono una che ama documentarsi...)
Vi auguro una buona settimana.
T

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventunesimo ***




Uff, finalmente sono qui. Ormai non ci speravate più, vero?
Ho saltato una settimana e vi chiedo scusa. Ho scritto la mia seconda OS che avevo in programma, ma non riuscirò a farvela leggere prima della fine di luglio, perchè la scadenza per le consegne è stata spostata al 15 del mese prossimo. Certo, se l'avessi saputo in tempo avrei corso meno...
Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, che spero sia all'altezza del tempo che avete dovuto aspettare, vi lascio il link della storia che ho scritto:

Profumo di Cuoio e Tabacco

L'avete già letta in tantissime, e anche recensita! Vi bacerei una ad una.
Ora non vi faccio perdere altro tempo, vi chiedo scusa se troverete errori grammaticali nel capitolo, ma dopo un po' che si rilegge, non ci si capisce più nulla.
Vi abbraccio forte
Teresa.

Consiglio come solito l'ascolto delle canzoni che ho inserito.






 

Capitolo ventunesimo

(Bella)

Tangled up

Usciamo abbracciati dal locale, ho la mano infilata nella tasca posteriore dei suoi jeans, un suo braccio mi circonda le spalle. E’ una sensazione molto intima, amplificata dai baci che ogni tanto mi lascia sui capelli e che mi fanno sentire talmente amata da avere quasi paura che il cuore mi scoppi. E’ una bella serata tiepida di aprile, ma la temperatura tra noi è decisamente bollente. I sorrisi che mi regala Edward quando mi azzardo a voltarmi verso di lui, mi procurano profondi spasmi all’addome e più che le classiche farfalle, mi sembra di avere nello stomaco uno stormo intero di rondini.

Partiamo col vento nei capelli. Ha scelto di noleggiare un’auto coupé, che si addice molto alla sua aria sbarazzina e che mi fa pensare di essere in un paese lontano e non a sole poche miglia dalla Base.

Adoro vederlo guidare. Il  suo profilo concentrato, mentre saetta per le strade dell’isola. mi riporta alla prima volta che sono salita accanto a lui a San Francisco. E’ passata appena una settimana, ma la nostra conoscenza si è talmente evoluta che ora stiamo insieme.

Sospiro felice. Si volta col ciuffo che svolazza irriverente e gli occhi luccicanti.

«A cosa stai pensando?» Mi chiede mentre mi sorride per l’ennesima volta.

«Stavo riflettendo su quanto ti ho trovato affascinante alla guida, già a San Francisco». Questa volta è lui che sospira, riportando lo sguardo sulla strada.

«Davvero?» Sembra compiaciuto. Tace per qualche secondo mentre sintonizza l’autoradio su una canzone dal ritmo argentino.

«Sono impazzito in quel fine settimana. Mi sono accorto di tenere a te nello stesso istante in cui ho rischiato di allontanarti. Riuscire a darti un’impressione positiva di me non è stata un’impresa facile, ma ne è valsa la pena».

Parcheggiamo l’auto tra i pali che sorreggono la struttura e ci dirigiamo verso la scala che porta la piano abitato. Il cielo nero che ci sovrasta è solcato all’orizzonte, proprio sopra il mare, da una spessa coltre di nubi temporalesche. Ci avviciniamo di comune accordo alla battigia per ammirare quel fenomeno naturale. E’ uno spettacolo inquietante e bellissimo allo stesso tempo. L’interno delle nubi, è rischiarato dai bagliori gialli e fumosi dei lampi e l’atmosfera carica di tensione che si percepisce in alto mare, contrasta con l’apparente calma silenziosa che proviamo qui sulla terraferma.

«Non vorrei per nessun motivo essere su una nave là in mezzo». Edward mi indica il temporale con un cenno del mento. Mi parte un brivido incontrollato, che non so se sia dovuto al vento che soffia dal Golfo del Messico, o al pensiero dei marinai che stanno solcando le acque sotto la tempesta.

In cielo mi è successo solo una volta di volare dentro un temporale e mi auguro di non dover mai ripetere l’esperienza.

«Rientriamo? Ti sta venendo freddo». Si è accorto del brivido e mi sta avvolgendo con le braccia. Ci spostiamo sulla veranda, incapaci di distogliere lo sguardo dalla tempesta che si sta consumando sul mare. Sono seduta al buio in braccio ad Edward, che pigramente mi bacia il collo e le spalle.

 

(Edward)

Everything 

La calma che ci circonda stempera l’urgenza che sentivo prima e la trasforma in un lento crescendo di emozioni che mi coinvolge i sensi. Infilo con delicatezza le mani  sotto la sua maglietta. Bella reagisce al mio tocco con leggeri sospiri , si appoggia meglio al mio petto e reclina il capo sulla mia spalla. Le bacio il collo e le accarezzo il seno coperto da uno strato di pizzo che mi divide dai suoi capezzoli che sento già turgidi sotto le dita. Le sfilo la maglietta, mentre lei copia i miei gesti lasciandomi a dorso nudo.

Ci guardiamo senza parlare. Il silenzio ed il buio sono preziosi alleati di questa nostra giovane unione. Le slaccio con lentezza il gancetto del reggiseno, dandole il modo di fermare le mie mani nel caso non fosse d’accordo. Il suo tacito consenso mi inorgoglisce più di mille parole. Mi sta lasciando fare  e la sua espressione rapita mi conferma come le mie attenzioni le siano gradite.

Cosa mi aspettavo da lei che fosse una tigre dell’erotismo? Che la sua grinta nella vita si rispecchiasse anche nel suo modo di fare l’amore?

Sediamo  seminudi, sul divanetto della veranda, in questo attimo in cui il tempo sembra essersi fermato. La mia dolcissima donna si lascia venerare come fosse una principessa.

La bacio, con un profondo movimento della lingua che la assapora tutta. Non ho mani a sufficienza per accarezzarla dove vorrei, ma non mi affretto. Intreccio le dita nei suoi capelli morbidi che profumano di pesca e fiori tropicali. Ansima sulle mie labbra ed io con lei.

Mi alzo e la prendo in braccio e mi dirigo verso la camera da letto per continuare questo nostro momento appena iniziato. Scavalco con noncuranza gli abiti abbandonati sul pavimento,  ora voglio vivere il mio sogno e tutto quello che desidero e di cui sono sicuro di aver bisogno, è qui fra le mie braccia. Con una mano scosto il copriletto e l’adagio sopra alle lenzuola profumate. Bella ride, leggermente imbarazzata, ed è troppo carina e giovane, con le guance tinte di rosa. Mi coglie il pensiero improvviso di quanto, in questo istante, si notino i sette anni di differenza tra noi.

Non sarò troppo vecchio per lei?

Ho quasi trentasette anni ed un matrimonio fallito alle spalle. La rimiro così, in tutta la sua bellezza: senza veli e con le difese abbassate.

Bella è anche questo e a quanto pare, solo per me; perché nella vita quotidiana è una persona senza età e senza sesso, che si muove nel mondo, dominandolo.

Più sereno mi stendo affianco a lei e con le dita le sfioro la pelle: dalla spalla le scendo verso l’addome, passando sul seno stupendo. Come tutti gli uomini, credo, ho una passione smodata per il seno femminile. Il suo è di misura media: non troppo piccolo, non troppo grande da sembrare rifatto.

Il mio tocco le procura evidenti brividi diffusi, che le accapponano la pelle e le fanno chiudere gli occhi. Un profondo sospiro le alza il diaframma.

«Mmhh, Edward, mi stai facendo morire». La bacio di nuovo famelico: posso resistere a tutto, ma non al suo evidente desiderio.

Bella si alza di scatto, mi abbraccia e mi trascina verso di se, stringendomi pelle contro pelle. Non mi faccio pregare. Con un ringhio la bacio aggressivo, mentre il mio ginocchio si fa largo tra le sue gambe. Una sua mano mi accarezza la schiena, risalendo fino ai capelli, che stringe con forza.

«Oh, Bella, non sai l’effetto che mi fai…». Lascio con dispiacere le sue labbra, trovando consolazione sulla sua pelle.

Mi avvento bocca e mani sulle sue  mammelle, mentre lei inarca la schiena e sussurra il mio nome.

Cosa c’è di più  erotico di sentire la persona amata che spasima per te?

Tolgo una mano dal seno per portarla verso il suo pube ancora coperto dalla minuscola mutandina.  Mi alzo in ginocchio e la guardo, illuminata dalla tenue luce dorata della abatjour. Quello che vedo è una splendida gattina languida che si struscia le mani sul seno per poi portarle in basso ad incontrare la mia già posizionata tra le sue gambe. Chiudo gli occhi e deglutisco per eliminare l’eccesso di salivazione che l’eccitazione mi procura. Tolgo l’ultimo ostacolo verso il suo paradiso, mi libero dei boxer e finalmente posso dar sfogo al mio ed al suo desiderio.

 

«Ti amo, Bella. Ti amo come non mai amato nessuna» La bacio ancora, mentre sudati cerchiamo di regolarizzare il nostro respiro. Si stringe a me, la nuvola dei suoi splendidi capelli color mogano, è sparsa su di noi come una morbida coperta.

E’ profonda l’emozione che sento, e sono spaventato che tutto questo fuoco che ci brucia possa consumarsi in breve tempo. Scaccio il brutto pensiero concentrato sulla sua mano che peregrina è alla ricerca della mia per poi intrecciarla stretta.

Ecco sì, tienimi ben saldo Bella, non lasciarmi andare alla deriva.

 

(Bella)

Stay

 

Il rombo di un tuono mi sveglia di soprassalto. Il chiarore  intermittente dei lampi illumina a tratti le lenzuola vuote e stropicciate accanto a me. Il cuscino mostra ancora la forma della sua testa, ma Edward non c’è. Sono stupita ed un po’ dispiaciuta. Non temo sia fuggito, sarà in bagno o in cucina, magari il temporale ha svegliato anche lui. Mi alzo senza preoccuparmi di coprirmi: è stupenda la sensazione di poter vagare per casa in libertà senza preoccuparmi di incontrare estranei.

Vedo la sua sagoma in controluce, sulla portafinestra del soggiorno, mentre raccoglie i nostri abiti abbandonati sulla veranda. Il cielo schiarito dal temporale, gli fa da luminosa aura intorno e ne  mette in risalto il fisico tonico. Lo rimiro in silenzio, mentre il desiderio di sentirlo ancora addosso mi prende improvviso. L’aria salmastra che soffia dalla finestra aperta trasporta l’odore della polvere bagnata, tipico di quando piove. Il rumore della risacca, frammezzato dal brontolio di un debole tuono lo fa assomigliare alla statua mitica di un dio del mare. Mi avvicino a lui incapace di procrastinare ancora il contatto. Sobbalza leggermente, quando lo abbraccio appoggiandomi alla sua schiena.

« Ti ho spaventato?» Gli bacio la spalla come gesto di scusa. La sua pelle calda e liscia, sa del sale portato dal vento.

«No, ma pensavo dormissi». Si volta leggermente dentro il mio abbraccio, passando spalla e braccio oltre la mia testa ricambiando così la mia stretta. Rimaniamo un attimo a guardare gli elementi che si scatenano intorno a noi, finchè non abbassa il capo per regalarmi un bacio appassionato. La sua mano destra scende sulla mia pancia e si intrufola più giù tra le mie gambe. Mugolo indecentemente sulle sue labbra, cosciente di quanto il suo tocco mi abbia già aumentato gli umori interni. Sorride mentre si stacca un attimo per prendere fiato:« Visto che sei sveglia, potremmo fare l’amore di nuovo...» Il mio cuore sobbalza quando sento la sua erezione pulsare sulla mia pelle. Non arriviamo alla camera: il divano del soggiorno è ampio e comodo. Edward si distende e mi trascina con sè. Ho scoperto che stare cavalcioni sopra di lui è  la mia posizione preferita. Mi permette di godere al meglio delle sue qualità fisiche e le sue mani, libere dall’impegno di doversi sorreggere, possono occuparsi di me.

«Oh sì, Edward, toccami, toccami ti prego...» ansimo, mentre forti contrazioni alle pareti intime mi preannunciano  il culmine del piacere.

Adoro essere toccata, nel momento dell’intimità, dalla persona amata; alla stessa stregua di quanto odio che lo facciano gli estranei durante la mia vita pubblica. Mi accorgo che la mia eccitazione sta facendo crescere anche la sua e di rimando, vederlo così lanciato verso l’orgasmo porta all’apoteosi il mio piacere e quindi, subito dopo, anche il suo.

Sfinita mi accascio con gli occhi chiusi sul suo petto.

Felice e soddisfatta.

Un leggero bacio sui capelli, mi conferma che è nella mia stessa condizione. 

 

Mi sveglio che è giorno fatto, nel nostro letto, con Edward che dorme beato accanto a me . Le lenzuola, i capelli e la confusione intorno, rendono l’idea di una notte molto movimentata.

Mmhh, sì. Ma molto, molto appagante. Sento l’urgente bisogno di una doccia. Il sudore si è asciugato sulla pelle, lasciando un leggero disagio.

Posiziono il miscelatore sul getto bollente, e mi lascio inondare dall’acqua che mi massaggia il corpo un po’ provato dalla maratona notturna.

Mi sembra, in lontananza, di sentire squillare il mio telefono.

Accidenti al tempismo: chi sta chiamando sveglierà Edward.

Il mio pensiero viene interrotto dalla sua voce che mi chiama dalla nostra stanza:«Bella? Bella, ti sta suonando il cellulare!»

«Rispondi tu, per favore?» gli urlo. Potrebbe essere la Base. E’ vero che è domenica mattina, ma è mia abitudine rispondere sempre alle chiamate.

«Ma, Bella, è t….» Non riesco a capire, mi è caduto il flacone del doccia schiuma ed il rumore ha coperto le ultime parole di Edward.

«Rispondi, per favore! Sono un impegnata in questo momento».

Sono chinata verso il piatto della doccia e sto cercando di recuperare il contenitore di plastica scivoloso che mi guizza tra le dita.

 

(Edward)

Mirrors

 

«Rispondi tu per favore?» mi ha urlato attraverso la porta chiusa.

Certo, non è mia abitudine rispondere alle chiamate altrui, ma se lei è d’accordo…

Guardo il display allibito: MAMMA, c’è scritto.

«Ma, Bella, è tua madre che sta chiamando!» Le rispondo indeciso.

«Rispondi, per favore! Sono impegnata in questo momento».

Sento un leggero trambusto provenire dal bagno, ma non ho il tempo di preoccuparmene, perché la mia attenzione è posta al piccolo oggetto che continua a suonare.

E’ sua madre che chiama, ed io non la conosco. Non so nemmeno se sa di noi…

Prendo un respiro profondo e accetto la chiamata.

«Pronto, Signora Swan? Sento un attimo di silenzio dall’altra parte, e capisco che la mia interlocutrice non si aspettava di sentire la mia voce.

«…Sì, sono la madre di Isabella. Vorrei parlare con mia figlia, me la può passare per favore?»

«Mi scusi, ma in questo momento è impossibilitata a rispondere, la faccio richiamare appena possibile?»

«…Ma sta lavorando, alle nove di domenica mattina? Mi sembra che si stia irritando e trovo doveroso darle delle spiegazioni.

«No, signora. Isabella è in bagno che si sta facendo la doccia»

Mmhh, sono su un terreno minato, sento già il rumore dei suoi pensieri che si attivano…

«Mi scusi, se glielo chiedo, ma potrei sapere con CHI sto parlando?» Mi chiede calcando sulla parola CHI.

«Sono Edward Cullen, Signora. Il… il fidanzato di sua figlia». Dico velocemente.

«Oh…», la sento esclamare. «Lei è per caso l’uomo con cui è stata fotografata Isabella a San Francisco?»

«Sì, Signora Swan. Sono proprio quello» La sua voce si fa carezzevole, anche se sento che è ancora stupita.

«Renèe, caro. Chiamami pure Renèe. E’ un piacere sentirti, finalmente. Bella mi aveva detto di aver conosciuto una persona “speciale”, ma non credevo che foste già così uniti».

«Effettivamente, Renèe, il nostro si può considerare un colpo di fulmine».

«Bene, mio caro ragazzo. Devi assolutamente venire a conoscerci. Ti aspettiamo insieme a Bella il più presto possibile, ok?»

«Volentieri, ne sarei onorato, a presto» . chiudo la comunicazione sperando di non aver combinato un casino.

Cosa dirà Bella sapendo che ho parlato con sua madre? E del fatto che ho accettato il suo invito ad andare a conoscerli?

Spero non abbia niente in contrario, anche perché è da ieri sera che sto aspettando di dirle che vorrei portarla a conoscere i miei genitori il mese prossimo, in occasione del mio compleanno.

Sua madre mi ha solo preceduto, tutto qui.




Come è stato?
Avrei voluto che discutessero della telefonata della mamma di Bella ma...ormai non ce la facevo più, dovrete aspettare la settimana prossima. Credo che riuscirò ad essere di nuovo puntuale, perchè la consegna della mia terza fatica è meravigliosamente slittata al 30 giugno. Sto impazzendo, ma è solamente colpa mia!
Vi auguro una buona settimana.
T

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventiduesimo ***




Sono arrivataaaaa!
Sto facendo una vera maratona di scrittura e temo che la qualità ne subisca  le conseguenze. Sono a buon punto anche con la mia terza OS, poi mi dedicherò al secondo capitolo di Cuoio e Tabacco.
Il ventiduesimo capitolo di The Crew, invece, è dedicato alla domenica di vacanza di Edward e Bella. Tante chiacchiere e romanticismo.A chi si stesse alzando il livello glicemico  consiglio di farmelo sapere, non mi offendo.
Per le pochissime che non l'avessero ancora letta, lascio il link della mia prima OS.
Il proseguo lo troverete aggiunto nella stessa storia, non dovrete cercarla ramengo per EFP.

Profumo di Cuoio e Tabacco

So che mi ripeto, ma sono rimasta meravigliata del numero di commenti che mi avete lasciato. E' vero che  avevo chiesto il vostro parere se continuarla oppure no, ma altre volte ho richiesto dei pareri e me ne sono stati dati veramente meno!
Visto che non posso baciarvi una ad una, vi abbraccio virtualmente tutte insieme.
Teresa






 

Capitolo ventiduesimo

 

(Bella)

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=fURTwAu7Wjs

Esco dalla doccia e trovo la stanza da letto vuota. Mi vesto, leggermente stupita e cerco Edward in giro per casa. Lo vedo mollemente seduto su uno sgabello della cucina che morde sensuale una fetta tostata ricoperta da un generoso velo di confettura.

Fragole, ricordo.

L’avevamo acquistata nel market vicino al cottage ieri pomeriggio, insieme agli altri prodotti che pensavamo ci sarebbero serviti per non uscire sempre a mangiare fuori.

Ci eravamo stupiti di trovarci d’accordo sulla scelta di quel prodotto. Una piccola cosa, di sicuro, che ci aveva però emozionati come se avessimo scoperto di avere un parente in comune.

«Anche a te piace la confettura di fragole?» Mi aveva chiesto nel momento che le nostre mani si erano appoggiate sullo stesso vasetto.

«E’ la mia preferita. Piuttosto mi meraviglia che piaccia anche a te: ti facevo uno da marmellata d’arance».

Mi aveva guardata con una smorfia di finto disgusto.

«Bada a come parli, bambina. Ti ricordo che sono nato in California, dove i campi di fragole si estendono a perdita d’occhio»

«Giusto», ammetto. «Ma per lo stesso principio, io che sono del nord dovrei adorare lo sciroppo d’acero, invece non lo posso soffrire».

Avevo riposto il vasetto nel carrello vicino al caffè ed alla busta di insalata già pulita. Qualche altro ingrediente, per preparare un paio di piatti orientali, ci avrebbe permesso di pranzare il giorno dopo.

«Ti piace la cucina cinese?» Il piccolo interrogatorio aveva la finalità di conoscerci meglio nelle nostre abitudini quotidiane.

Ogni grande passione, prima o poi deve fare i conti con i brontolii dello stomaco e sarebbe brutto che finisse tutto per colpa del menù.

«Certo, ma non la so preparare e tu?»

«Poche cose ma buone: spaghetti di soia alla piastra, pollo con le mandorle, maiale funghi e bambù, riso alla cantonese…»

«Ok, perfetto. Stupiscimi.» Mi aveva  risposto con uno sguardo d’ammirazione. «Sei una donna dai mille talenti».

«No, sono una che vive sola da più di dieci anni» gli avevo svelato dandogli un rapido bacio mentre spingeva il carrello.

***

 

Lo osservo sgranocchiare, calmo e rilassato. E’ a dorso nudo, indossa solo un paio di jeans dall’aspetto vissuto. Sotto il tavolo noto i suoi piedi scalzi. Mi avvicino, mentre gli guardo vogliosa le briciole che gli sono rimaste appiccicate ai lati della bocca. Mi sorride e mi invita a sedermi di fronte a lui.

Solo ora mi accorgo del posto già apparecchiato pronto per me.

Sulla tovaglietta da colazione è posato un piatto con alcune fette di pane tostato tagliato a forma di cuore, spalmate della stessa confettura che sta mangiando lui. Affianco, un bicchiere di succo d’arancia, ed in bella vista uno splendido bocciolo di rosa rossa.

«Vuoi del caffè?» Edward me ne porge una tazza colma e fumante.

Sono commossa per il bel pensiero.

«Potrei abituarmi a questo trattamento, sai?» Sento le lacrime pungermi gli occhi dall’emozione; mi sporgo per baciarlo e per toglierli quelle briciole stuzzicanti che mi attraggono dal mio ingresso in cucina.

«Mmhh, non ti illudere, è solo per quando siamo soli, non vorrei dover preparare cuoricini per Emmett e gli altri» Rido per l’ espressione d’orrore che gli compare sul viso.

«Ok, ne sono onorata ». Attacco con appetito la mia colazione.

«Ha telefonato tua madre» lo sento dire con noncuranza mentre si appresta a bere un sorso di succo d’arancia.

«Quando?» gli chiedo curiosa.

«Mentre eri sotto la doccia, non ricordi? Mi hai chiesto di risponderle». Ecco cosa mi stava dicendo quando mi è caduto il flacone.

Mi si ferma per un attimo il cuore. Edward e mia madre al telefono da soli. Beh, immagino abbiano trovato argomenti di discussione.

«Ok, e cosa voleva?» Sembra tranquillo, non mi ha ancora accusato di avere una madre impicciona che gli ha fatto il terzo grado.

«Parlare con te, ha chiesto di richiamarla» Sì, me lo immagino, ora il terzo grado lo vorrà fare a me. Mi limito ad annuire con la testa.

«Ah, e ci ha invitati ad andarli a trovare appena possibile». Mi guarda serio, anzi leggermente preoccupato. «Le ho detto di sì, spero non ti dispiaccia. E’ che non mi sembrava carino rifiutare» Sorride timido aspettando un mio commento.

«No, hai fatto bene. Vorrei solo sapere cosa le hai detto, di noi, intendo». Adesso sono io quella in imbarazzo?

«Beh, cosa dovevo dirle? Che sono il tuo fidanzato… no?»

FIDANZATO, una parola magnifica e terribile allo stesso tempo.

«Per lo meno è quello che mi sento di essere». Continua leggermente allarmato dal mio silenzio.

Lo guardo con affetto. Io non avrei usato proprio quel termine, ma di sicuro non avrei potuto  qualificarlo solo come un amico di letto.

Quindi, è il mio fidanzato. Non si scappa. Sospiro, sperando che nessuno colleghi la parola “fidanzato” a “matrimonio” almeno per i prossimi dieci anni.

«Effettivamente è quello che sei», lo rassicuro, mentre con noncuranza giocherello col cibo.

Si rasserena e mi sorride.

«A proposito di viaggi: di sicuro sai che il mese prossimo compio gli anni».

Sì, lo avevo letto sulla sua scheda.

«Beh, in genere trascorro il compleanno in famiglia. Questa volta vorrei che mi accompagnassi e che conoscessi i miei».

Wow, i miei genitori, i suoi…il cerchio si stringe. Siamo alle presentazioni ufficiali.

«Certo, mi farebbe piacere».

E’ vero, non lo sto dicendo per farlo contento. Mi spaventa un po’ la cosa, ma mi sembra che ormai sia ineluttabile. Stare insieme ad una persona vuol dire fare parte del suo mondo, famiglia d’origine compresa.

Mi sembra contento della risposta. Si alza e comincia a sparecchiare la tavola.

«Che ti va di fare stamattina?» Mi chiede mostrandosi in tutta la sua semi nudità. Lo mangio letteralmente con gli occhi e dimentico le paranoie sulle conoscenze e sui legami. Penso solo che vorrei trasferirmi in un paese dove faccia sempre caldo, in modo da assecondare questa sua passione per la pelle scoperta.

«Mmhh, niente di particolare. Spiaggia e sole? »

«Ok».

 

(Edward)

 

Tutto bene. Le ho detto della chiacchierata con la madre e della mia intenzione di portarla a conoscere i miei. Vuol dimostrare di essere serena, ma mi sembra di notare una leggera preoccupazione nella sua voce. La capisco. Non sarà facile nemmeno per me presentarmi ai suoi, ma non me ne faccio un grosso problema. La madre mi è sembrata ben disposta nei miei confronti; quanto al padre, spero proprio di fargli una buona impressione.

Bella, invece, non avrà nulla da temere dall’incontro con i miei: sono sicurissimo che la troveranno fantastica.

Per la mattinata ha scelto di passare il tempo in spiaggia. Perfetto! Così vicino ed informale da poter raggiungere come sono: scalzo e a dorso nudo. Quando posso amo sentirmi libero, sarà forse perché vivo costretto nella divisa d’ordinanza tutta la settimana. Oltretutto ho notato che Bella mi guarda con occhi famelici e mi piace l’idea di stuzzicarla un po’.

Dopo aver sparecchiato, quindi, la prendo per mano e scendiamo i gradini della casa. Il temporale notturno ha lasciato il posto ad una limpida giornata di sole. La spiaggia ampia e piatta, è quasi deserta.

Mi lascio andare sulla sabbia calda trascinando Bella con me.

L’avvicino per baciarla e lei non si fa pregare: si inginocchia tra le mie gambe e risponde con passione al mio bacio infilandomi le dita nei capelli. La stringo e annuso il profumo di fiori che le è rimasto sulla pelle. Ha gli occhi grandi e sognanti e mi ci perdo dentro sperando di essere io a  procurarle quello scintillio quando mi osserva. Le mie mani si infilano sotto la sua canotta, che si sta già scaldando baciata dal sole. Vorrei togliergliela e ricominciare il nostro gioco d’amore. Da come risponde al mio tocco capisco che anche per lei è lo stesso.

«Bella?» Le sussurro con voce roca. «O rientriamo, o andiamo a fare due passi sul mare». Posiziono meglio le gambe in modo da lasciare più spazio al mio povero inguine troppo stretto nei pantaloni. La sento ridacchiare mentre mi bacia la spalla abbracciandomi stretto. Le sue mani mi percorrono la schiena, è una sensazione stupenda, le sue dita delicate sembrano prendere possesso del mio corpo che io le dono volentieri.

«Per ora mi accontento della passeggiata…» mi alita sulla pelle già accaldata.

 

Camminiamo da un po’ con l’acqua fresca della risacca che ci lambisce i piedi. Il venticello leggero le scompiglia i lunghi capelli che a volte le ricoprono il viso dispettosi. Le nostre mani intrecciate dondolano al ritmo tranquillo dei nostri passi. Ad un tratto si ferma ed io rimango agganciato alla sua mano un passo più avanti. La guardo stupito, cercando di capire dalla sua aria colpevole, cosa stia pensando.

«Tesoro, cosa succede? Vuoi tornare indietro?»

«Edward, ti devo confessare una cosa».

Mi preoccupo, dice di avere una CONFESSIONE da farmi? Un brivido mi corre lungo la spina dorsale, è già pentita di essersi messa con me?

Aspetto, sulla difensiva. Bella si sofferma un attimo a guardare il mare, come a cercare l’ispirazione,… o il coraggio.

«Bella,… ti prego, mi stai facendo pensare al peggio» Si volta facendo una smorfia con la bocca.

«Il peggio… dipende quanto è grande la tua ambizione professionale».

Parla di lavoro? Spero non centri quel Garrett.

«Siediti, ti prego» Mi accompagna con la mano che ancora tiene nella mia, e si posiziona in ginocchio di fronte a me che aspetto, accosciato questa tremenda rivelazione.

«Ieri mattina, ho assegnato il ruolo di secondo pilota della spedizione ad Emmett». Mi scruta seria, aspettando una mia reazione.

«Ah» le dico solo.

«E’ qualificato, ed ha molta esperienza di volo»  Dice rapida.

«…Più di me?» Ecco, l’ho detto. La sento sospirare. Si aspettava di certo questa risposta.

«No», bisbiglia.

Le circondo le spalle con un braccio e la costringo a voltarsi come me verso il mare. Non mi ha detto di amare un altro uomo: il fatto che mi abbia pugnalato alle spalle sul lavoro posso tollerarlo.

«E allora perché?»

«Per una questione politica, principalmente». Mi risponde.

«Tu sei il mio compagno ora, e se si venisse a sapere che faccio favoritismi scoppierebbe uno scandalo».

Questo lo capisco. Mi brucia, ma fa parte delle decisioni impopolari che il suo ruolo le comporta.

«E poi?» Capisco che c’è dell’altro,che ancora non mi ha detto.

«E poi, c’è una parte della missione che non è stata resa nota a nessuno, che mi vedrà alla guida della Calypso per un breve giro nello spazio. In quel momento per sicurezza, il secondo pilota dovrà rimanere sulla ISS*»  Mi spiega mentre lascia vagare lo sguardo verso l’orizzonte.

«Quindi avrò la possibilità di accompagnarti in giro per lo spazio?».

«Probabilmente avrò bisogno delle tue capacità mediche». Mi sorride speranzosa.

Il mio umore si è di nuovo risollevato. Mi ha dato un ruolo alternativo altrettanto valido di quello che mi aveva appena tolto.

La butto di schiena sulla sabbia e la bacio mordendole leggermente le labbra. Non posso saltarle addosso qui, in mezzo alla gente, ma non vedo l’ora di tornare al cottage per “farle pagare” lo sgarbo subito.

Le propongo di rientrare con la voce rotta dal desiderio.

 

(Bella)

 

E’ andata. Gli ho detto della nomina di McCarty, e per un attimo, ho temuto che si fosse offeso. Mi è sembrato dispiaciuto, ma quando gli ho spiegato le mie ragioni ha compreso. Mi sembra, almeno.

Rientriamo che è ora di pranzo. Ho deciso di cucinare il pollo alle mandorle. Un piatto semplice e gustoso. Lo metto ad apparecchiare la tavola, mentre io taglio a cubettini il pollo. E’ una sensazione straordinaria muoversi con lui in cucina. Riempie l’ambiente col suo corpo sexy, ogni cosa che fa ha una grazia sensuale. Passo alla tostatura delle mandorle dispiaciuta di dovermi girare verso i fornelli. Sembra avermi letto nel pensiero, però, perché me lo trovo alle spalle che mi cinge la vita con un braccio.

«La tavola è pronta, ti posso aiutare qui?» Il suo soffio vicino all’orecchio e la temperatura bollente della sua pelle scaldata dal sole, mi fanno desiderare di spegnere il fornello e dedicarmi al suo meraviglioso corpo.

«Sì, prendimi il pollo e la salsa di soia, per piacere»

Unisco carne e condimento e dopo pochi minuti ci mettiamo a tavola.

«Mmhh, buonissimo», mi dice servendosi un’abbondante porzione di insalata.

«Ma quando saremo nello spazio, cucinerai tu?»

Rido, all’immagine di me stessa che con un cucchiaio di legno in mano impartisco ordini all’equipaggio, mentre mescolo un tegame di sugo.

«No, purtroppo useremo molto il microonde».

«Peccato». Sospira affondando la forchetta in un paio di bocconcini di pollo.

«Beh, non è che partiamo domani. Nel frattempo avrò modo ancora di cucinare per te». Mi sorride entusiasta. Sembra un bambino a cui hanno promesso una gita al luna park.

Prima di rientrare alla Base abbiamo ancora il tempo di dedicarci un po’ a noi. Non vedevo l’ora. Anche solo vederlo mangiare mi aveva creato una forte attrattiva sessuale.

Edward mi bacia con passione il collo e le spalle, infilando le dita sotto la canotta tastandomi il seno. E’ dietro di me ed io getto le braccia all’indietro cercando la sua nuca.

Fremo. Quasi non riesco a stare salda, in piedi, sulle gambe. Mi stringe di più per sorreggere il mio cedimento. Ansima sulla mia pelle e il suo fiato mi sembra una lama di ghiaccio sul bollore provocato dai raggi del sole.

Ci spostiamo verso il letto, mentre i vestiti che ci ricoprono vengono lasciati sparsi per casa. Mi butta supina e mi ricopre con brutalità col suo corpo. Con la bocca e le mani tortura i miei seni, mentre selvaggi versi gutturali escono dalle sua labbra.

Struscio il mio bacino contro il suo già eccitatissimo, incapace di aspettare oltre. Con la mano accarezzo la sua erezione inumidendola dei miei umori abbondanti. Mi guarda con un’espressione impazzita e con un colpo deciso entra in me facendomi sobbalzare. Si ferma per un attimo in attesa di una mia reazione. Dopo il primo attimo il dolore diventa godimento e lo incoraggio a darmi di più. Il suo volto stravolto dai sensi è una maschera di piacere che aumenta la mia libido.

Poche decine di minuti è il tempo che dura il nostro amplesso.

Desiderato, consumato, goduto.

Stremati e sudati, giacciamo ansanti nel letto sfatto. Sono così felice che calde lacrime mi scorrono ai lati degl’occhi. Sento il suo respiro farsi profondo e costante. Si è addormentato con la guancia appoggiata al mio braccio.

Incapace di smettere, continuo a piangere presa da una sorta di crisi liberatoria. In questo preciso istante, in cui mi sento felice ed amata, mi accorgo del profondo senso di solitudine che provavo prima di conoscerlo. Gli bacio la punta del naso attenta a non svegliarlo.

Sospiro, pensando che fra poco dovremo tornare alla routine quotidiana e per tutta la settimana non sarà più possibile essere così intimi. Appoggio la tempia ai suoi capelli, che mi carezzano mentre il sonno mi coglie pian piano.

( * L'ISS è la Base Spaziale Inernazionale in orbita intorno alla terra già da una decina di anni. Ve ne parlerò più approfonditamente più avanti.)

Pss...Pss, Harley, hai visto il piccolo omaggio alla tua storia?
Per chi non l'avesse ancora letta, c'è un delizioso racconto in "pillole" , velocissimo da leggere e giusto da gustare. Eccolo qui:

"L'ultima notte"" di Harley 1958

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitreesimo ***




Ci sono. E' domenica, anche se ormai è tarda serata.
Sono riuscita a postare il nuovo capitolo puntuale anche se ho consegnato la terza ed ultima storia che avevo in programma.
Oggi si torna al lavoro, ma con un colpo di coda si inizia ancora dal weekend che sembra non voler più terminare. Spero non me ne vogliate, ma Eddy e Bella erano in astinenza da un po'!
Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, che ha un ritmo di scrittura un po' particolare, e spesso inframmezzato da pensieri e considerazioni,vi lascio ancora il link della storia che ho scritto:


Profumo di Cuoio e Tabacco

non perchè creda che ci sia ancora qualcuna di voi che non l'abbia letta,(sono ancora sconvolta per i numeri che mi avete fatto fare!!!!), ma perchè presto vi troverete anche la seconda parte.
Suvvia, non vi faccio perdere altro tempo, vi chiedo scusa per gli errori grammaticali che troverete, promettendovi che se un giorno dovessi diventare una scrittrice professionista, (cioè mai!), assumerò un correttore di bozze.
Vi abbraccio forte
Teresa.



 

 

Capitolo ventitreesimo

 

 

(Bella)

 

Siamo tornati in tarda serata. Era come se non riuscissimo ad uscire dalla bolla privata che ci eravamo ritagliati in queste trentasei ore.

Un giorno e mezzo che erano volati in un lampo, ma che avevano scavato tracce profonde che nemmeno anni, a volte, possono lasciare.

Ci eravamo baciati a lungo, in macchina nel parcheggio del residence, come due adolescenti che si debbono lasciare per tornare a casa dai rispettivi genitori. Nel nostro caso, la destinazione era la stessa, ed i terzi incomodi era rappresentato dal gruppo di amiche e colleghi.

«Mmhh», aveva sussurrato Edward sulle mie labbra, mentre con le mani continuava a palparmi schiena e braccia come per assicurarsi che fossi ancora lì. «Come farò stanotte senza di te? E domani notte? E quella dopo ancora?»

«No, ti prego. Non fare il melodrammatico. Sai benissimo che è una situazione delicata. Dobbiamo essere discreti. Non rendere le cose più difficili»

«Perché, tu non patirai la mia mancanza?»

Oh che stupidaggini mi toccava sentire!

Per tutta risposta lo avevo aggredito, avvinghiandomi ancora più stretta a lui, gli ero salita cavalcioni in braccio per quel poco che mi permetteva lo spazio interno dell’auto, e avevo cominciato a strofinarmi su di lui come una gatta in calore.

I suoi occhi si erano fatti profondi e scuri per la sorpresa, e la sua mano era corsa sul mio sedere per approfondire il contatto.

«Oddio, Bella, è da una vita che non faccio del petting.»

«Petting? Quest’auto non ha un tettuccio retraibile?» Avevo scherzato.

Si era fiondato su un pulsante del cruscotto con un impeto che mi aveva schiacciato involontariamente sul volante. Domani avrei avuto un altro livido da aggiungere alla mia collezione, questa volta al livello dei lombi. In una posizione da var invidia ad un numero da circo, aveva spostato la macchina con me ancora sulle sue gambe, verso il punto più scuro e fuori mano del parcheggio. Nel frattempo, durante la manovra, un motorino aveva rialzato la nostra protezione.

«Bella, e se qualcuno ci dovesse scoprire?»Mi aveva detto mentre mi aiutava a scastrarmi da lui per tornare la mio posto.

Eheee, avrei fatto una figuraccia che sarebbe uscita su tutti i giornali.

Ma chissà perché, ero pronta a correre il rischio. E poi lui si stava già slacciando i jeans, e quel solo e unico neurone che si era rimesso in moto, si era già dato malato. Senza commentare oltre mi ero tolta i pantaloncini e mi ero allacciata alla vita la felpa che avevo sul sedile posteriore. Gli ero di nuovo salita in braccio facilitata dal fatto che lui aveva reclinato il più possibile il sedile dietro di sé. L’adrenalina e l’eccitazione si mescolavano nelle vene, creando una lussuria che non avevo mai provato. Scostare lo slip e far entrare la sua erezione mi sembrarono, quindi,  i gesti più naturali del mondo.

«Cristo come sei eccitata» mi aveva ansimato Edward all’orecchio. «In queste condizioni non credo di resistere molto».

«Non farlo…Ahh, sbattimi più forte che puoi… Mmhh».

Pochi colpi, i più intensi della nostra relazione.

Avrei urlato se le nostre bocche non fossero state sigillate insieme.

Avevamo goduto in una frenesia animalesca.

Chi ci avesse visto non avrebbe mai creduto che eravamo una coppia reduce da un regolarissimo weekend di vacanza. Avrebbe pensato fossimo due amanti in un fugace incontro clandestino.

SQUALLIDO, forse? OH, NOOO, eccitante all’ennesima potenza!

 

Ci eravamo ripresi dopo un bel po’, a dirla tutta.

Io avevo dovuto appoggiare il capo sulla sua spalla ed aspettare che il fiatone rallentasse. La mia pelle madida si appiccicava a quella altrettanto sudata di Edward, che non smetteva di stringermi al suo petto.

«Ed, scusa, mi lasci un poco? Sto morendo di caldo».

«Io sto morendo… e basta, Bella» Aveva la testa abbandonata all’indietro e gli occhi chiusi. Il viso quasi distorto in una smorfia di dolore. Gocce di sudore gli colavano dalle tempie ed il torace ansante mi faceva andare su e giù al ritmo della sua respirazione affannata.

«Tutto ok?» Gli avevo chiesto lievemente preoccupata.

«Di più…Di più!» aveva scandito col fiato rotto. Aveva alzato la testa per fissarmi con due occhi di brace. Il viso imperlato sembrava brillare nella flebile luce notturna.

«Se stai cercando di rendermi tuo schiavo ci stai riuscendo in pieno». Mi aveva schioccato un veloce bacio sulle labbra per poi ributtarsi all’indietro stremato.

Erano le prime ore del lunedì quando ci eravamo salutati per  rientrare nelle nostre camere. Avevo cercato di fare piano per non svegliare Rose, ma non potevo non farmi una doccia dopo la “cavalcata” nell’auto.

«Bella, hai un’aria da orgasmo. Devo chiedere a Met di portarmi nello stesso posto il prossimo fine settimana». Aveva biascicato aprendo un occhio.

 

***

 

E’ arrivata l’ora di alzarsi.

Ho volontariamente ignorato il trillo della sveglia regolato sull’ora in cui mi sveglio solitamente quando esco a fare Jogging. Mi sento i muscoli provati come se fossi reduce da due giorni di allenamento intensivo.

Sorrido tra me e me, perché l’allenamento c’è stato, e riguardava non solo il fisico ma un muscolo che non usavo da un po’: il cuore.

Scendo dal letto e indosso con sicurezza la mia divisa e l’espressione da comandante in capo.

Nella cucina comune ignoro sorrisetti e ammiccamenti. Rispondo solo alle domande riguardanti il tempo e la sistemazione.

Capisco che le mie amiche, e non solo loro, muoiono dalla voglia di farmi il terzo grado. Ma dovranno resistere, almeno fino a stasera. Come d'altronde dovrò fare io, che non potrò saltare addosso ad Edward per tutto il giorno.

Devo pensare a come comunicare la nostra relazione al Generale Rogers. In un paese così evoluto e moderno come il nostro, il pensiero perbenista e bigotto segna la morale pubblica.

Si può possedere dozzine di armi da guerra in casa, o cambiare nome a proprio piacimento, ma avere una relazione con un collega è ancora visto con sospetto.

 

(Alice)

 

Guardo Bella avvicinarsi alla mia scrivania dopo che avevo chiesto ad Angela di cercarmela. E’ abbronzata sicura di sé e… felice?

«Oh, buongiorno. Arrivi dalla pausa caffè col dottore?»

«Da cosa l’hai capito?» Mi risponde ironicamente appoggiandomi un bicchierino fumante davanti.

«Ooh, solo dal fatto che ne avevi uno in mano, non certo dalla tua espressione serafica», la canzono. «La vacanza ti ha fatto bene, mi sembri radiosa», continuo.

«Sì, è stata molto costruttiva. Mi hai cercata?»

C O S T R U T T I V A.

Conoscendo Bella so che non usa mai le parole a caso, quindi più tardi dovrò soffermarmi sul concetto di “costruzione” che mi ha suggerito.

Capisco che non è momento, quindi passo all’argomento principale.

«Sì, vorrei che studiassimo insieme il programma di lavoro della settimana. E’ tutto finalmente funzionante, i ragazzi si stanno impegnando alla grande: siamo pronti per procedere in più settori.

  • Modifica dello Shuttle,
  • Assemblaggio della navicella Calypso,
  • Settaggio del sistema di guida indipendente.»

 

Mentre parlo le segno i punti  salienti contando con le dita.

«Fantastico, è una splendida notizia. Guardo la mia agenda poi ci risentiamo. Devo, a questo punto, far partire anche il programma di allenamento fisico.» Si alza con un sorrisone stampato in viso. Sembra volersene andare, quando invece fa il giro della scrivania e mi abbraccia baciandomi su una guancia. «Ti voglio bene, Alice» mi sussurra in un orecchio. Son leggermente stupita ma  compiaciuta. La giovane Isabella che conoscevo è rispuntata fuori per ricordarmi che io e lei, siamo ancora amiche per la pelle.

La vita pone delle distanze, è vero. Ma sta a noi, annullarle.

Si gira ed esce sul serio, stavolta.

Ritorno al mio lavoro scuotendo la testa e pensando che mi sembra veramente innamorata. Buon per lei.

Ed io? Cosa sto facendo per me stessa oltre a pensare al lavoro? La disavventura con Jacob e Jasper mi fa riflettere sul fatto che alla soglia dei trent’anni io non possa più comportarmi con leggerezza: ma cautela e diplomazia non sono mai state tra le mie virtù.

Jake e Jaz. C’è ancora qualcosa da coltivare in loro? O è meglio passare oltre e concentrarsi sulla ricerca di un’altra avventura?

Ahia, allora sono recidiva… non devo cercare un’avventura, ma una relazione che mi porti ad una buona stabilità affettiva…

Bleah, roba da vecchi!

 

 

(Bella)

 

Che bella notizia. Il lavoro è ripreso alacremente, e tutti sembrano voler recuperare il tempo perso senza che debba intervenire io a spronarli. Essere circondata da professionisti ha i suoi vantaggi!

Sono passata per prima cosa al Ced, per salutare Jessica e Adam che ci hanno permesso questa insperata ripresa. Incontro Adam nel corridoio  laterale del centro di elaborazione dati, immerso in un groviglio di cavi che ricorda il grosso intestino alieno di un film di fantascienza. Mentre rabbrividisco al pensiero, mi avvicino e gli chiedo come va.

«Bene, Comandante. Abbiamo ripristinato il 99,8% del sistema, e stiamo facendo un checkup generale per recuperare i piccoli errori residui»

Lo saluto soddisfatta e riprendo il cammino verso gli hangar. Il primo sulla mia lista è quello dove dovrei trovare McCarty alle prese con la navicella Calypso. L’ambiente è lindo e asettico. Gli operatori in tuta protettiva sono bardati come se stessero operando su un essere vivente. Affascinata resto a guardare la precisione e la competenza delle operazioni, finchè un anonimo tecnico in bianco non si avvicina. Riconosco Emmett dalla massa corporea celata sotto la tuta.

«Benvenuta, Capo. Cosa ti porta dalle nostre parti?»

«Volevo vedere il mio secondo pilota conciato come un Gosthbuster… ti sembra una buona ragione?» Lo canzono indicandolo con una mano. Lo vedo fare una smorfia.

«Sì, perdo gran parte del mio fascino, lo so. Ma non sono riuscito ad impedirlo. I due biochimici là dietro dicono che non dobbiamo contaminare l’ambiente di lavoro…Ma ti sembro uno che si diverte a spargere schifezze a destra ed a manca?»

Emmett si conferma ogni volta  una persona deliziosa, capisco l’interesse di Rose per lui. Pur essendo un serio collaboratore, mantiene la vivacità di un ragazzino.

«Ti ha visto Rose con la tua nuova tenuta?» Rincaro la dose, sicura che lui farebbe lo stesso se al suo posto ci fossi io o, meglio ancora, Edward.

«Eh no, ti prego. Non farmi questo. Ci dobbiamo trovare all’ora di pranzo in mensa… non farla venire qui». Estraggo con aria dispettosa il telefono dalla tasca e faccio finta di cercare il numero dell’amica in rubrica. Poi noto un velo di panico nei suoi occhi, e decido che lo scherzo è durato abbastanza. Chiudo con uno scatto la custodia dell’apparecchio, e lo rimetto in tasca velocemente.

«Ok, mi devi un favore McCarty» Gli volto le spalle e mi allontano prima di mettermi a ridergli in faccia e continuo il mio giro.

 

Torno finalmente alla mia scrivania per compilare la mia parte di programma d’addestramento per l’equipaggio da incastrare con quella tecnica di Alice. Mi segno di chiedere alla coppia J & J a che punto sono con lo studio del manuale dello Stealth, l’elaboratore di guida indipendente, ma un leggero bussare alla porta aperta mi distrae dai miei pensieri.

«E’ permesso?» Alzo gli occhi con un gran sorriso stampato in faccia. Ho sentito il timbro sexy della voce di Edward. A dirla tutta forse lo avevo riconosciuto già dal tocco delle sue nocche sul legno.

Mentre il cuore mi perde un battito, lo invito ad entrare.

«Posso invitare il Comandante a pranzo?» Mi chiede con un’espressione maliarda.

«E dove mi vorrebbe portare, Capitano?» Gli chiedo col tono più erotico che mi riesce.

«Mmhh, pensavo ad un posto frequentato da gente adatta al livello di una Signora… che ne dice della mensa della Base?»

Le ultime parole le sussurra leggermente proteso sulla scrivania, occhi negli occhi in un intreccio di sguardi che promette quei baci che purtroppo, in questo momento, non mi può dare.

Mi manca il respiro. Non pensavo che questo gioco fosse così eccitante. L’importante sarà capire quanto tempo riusciremo a stuzzicarci così senza cedere alla carnalità…

Ad un certo punto un pensiero fa capolino nella mia testa.

«Il posto è perfetto. La cucina è appena passabile, ma hai ragione, la compagnia è ottima. Abbiamo tempo un attimo per discutere di lavoro? Vorrei sottoporti il programma di allenamento fisico e psichico che il Dipartimento di Medicina Aerospaziale  mi ha spedito stamattina. Mi fai da supervisore?»

«Oltre che da tuo coach personale?» Ammicca malizioso.

«Esatto». Gli rispondo estasiata.

 


Non vi chiedo nulla, se non il vostro perdono se vi ha fatto orrore.
Vi ringrazio per la costanza che dimostrate e mando un bacio alle coraggiosissime che mi hanno inserito nelle loro categorie e a quelle eroiche che mi scrivono un commento.
Buona settimana,
Teresa

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Capitolo 25
*** Capitolo Ventiquattresimo ***


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Ciao, belle.
Sono qui, con il mio ventiquattresimo capitolo. E' molto tecnico. L'ideale per tutte quelle che stanno prendendo appunti e alla fine della storia si  costruiranno la propria navicella spaziale fatta in casa. Ritornerà pure a galla il problema dello spionaggio. E' l'anticipazione del prossimo capitolo, in cui si scopriranno i primi altarini...
Per ora non posso che salutarvi, e farvi sapere che sto per iniziare la seconda parte di
Profumo di Cuoio e Tabacco
che in tante state aspettando. Non ci sono riuscita questa settimana, non vi dico il motivo perchè non voglio tediarvi troppo con i miei guai.
Vi mando un bacio e ringrazio sentitamente tulle le care persone che mi seguono e le straordinarie che mi lasciano un commento.
Notizia dell'ultimo minuto: ho vinto il contest di Alice_Nekkina_Pattinson sul rapporto Padre/Figlio.
Eccovela qui:
IL NOSTRO SOLE SPLENDERA' DOMANI E PER SEMPRE

Teresa




 

Capitolo ventiquattresimo

 

(Rose)

 

«Spiegami meglio, Alice, ti prego!» Sbuffo, agitata, mentre alterno lo sguardo tra la mia paziente amica e lo schermo piatto del computer che abbiamo di fronte.

«Ripeto», scandisce lei lentamente, come se stesse parlando con una bambina di cinque anni: «Il “Mnemo System Control” contenuto nello “Stealth”, è un sistema di guida intelligente. Una volta predisposta la memoria interna, riesce ad applicarla alle varie fasi della sua missione, autonomamente». Si interrompe e mi guarda fissa negli occhi aspettando che io assimili il significato delle sue parole.

«Sì, la parte che riguarda l’intelligenza artificiale, bla bla bla, applicata al sistema di guida della navicella Calypso, che permette di predisporre un viaggio indipendentemente dalla presenza umana a bordo, l’ho capita. Quello che non riesco ancora a comprendere è come possa questo computer, perché è di questo che si tratta, comportarsi in modo autonomo in ogni fase della missione» Scuoto la testa. Mi sembra di essere dentro Star Trek, il film che abbiamo visto appena qualche sera fa.

«E’ una pura questione matematica, Rose. Se applichi ai dati immessi il giusto algoritmo e lo colleghi ipertestualmente alla variabile di compenetrazione del dato stesso, avrai una capacità di reazione assimilabile a quella che avverrebbe nella mente umana della persona che ha immesso i dati ». Si ferma un attimo, e mi sfodera un sorriso bonario.

«Non preoccuparti, in questi giorni assisterai alle sessioni di preparazione»

Io ed Alice stiamo preparando il materiale da presentare alla prossima Convention che terremo a Boston la settimana prossima per presentare il nostro progetto alla popolazione scientifica del prestigioso Massachusetts Institute of Technology in cui hanno studiato sia lei che Bella. Dobbiamo assolutamente fare una splendida figura. Ciò permetterà che la credibilità della missione ed i fondi a lei accreditati, si confermino e crescano sempre di più.

Guardo le slide che Alice e i ragazzi mi hanno preparato. Sono splendide e tecnologiche, come nel loro stile, ma io sento che non riesco a cogliere il fulcro della questione e , se devo essere portavoce del messaggio per il gruppo, ho bisogno di avere chiara ogni cosa.

Mi dimeno impaziente sulla sedia. La scienza non è mai stata il mio forte. Forse è per questo che ho preferito Harvard al MIT.

«Ok, ci sarò sicuramente, ma sarà meglio che cerchiate di essere “elementari”. Ho l’impressione che vi divertiate a mettermi in difficoltà parlando in lingua farfallina», brontolo.

Alice ride, piegandosi quasi in due sulla sedia.

«E’ solo linguaggio scientifico, Rose. Ti aspetto insieme ad Eric domattina alle nove, al laboratorio 6».

Esce dal mio ufficio ancora scossa dalle risate, mentre io fisso l’immagine del globo digitale che ancora troneggia sul mio desktop .

Sospiro preoccupata. Però Alice è così sicura che io possa farcela a comprendere tutto, che quasi mi ha convinta.

Bip, Bip.

Un messaggio in arrivo nel cellulare interrompe le mie riflessioni. Mmh. E’ di Met.

 

“Ehi piccola ti va una galoppata all’ora di pranzo?”

 

Qualche giorno fa ha noleggiato una moto. E’ stata una splendida idea perché così, durante la pausa pranzo, mentre gli altri si ritrovano in mensa, noi scappiamo veloci al residence per ritagliarci un momento tutto nostro lontano dagl’occhi dei nostri coinquilini.

Digito veloce la risposta.

“E me lo chiedi? Sai che indosso i jeans apposta per salire su quell’attrezzo infernale”

 

Bip, bip. Dopo due minuti mi arriva la sua risposta.

 

“Al mio, di attrezzi, piaci di più senza pantaloni”

 

Ahi. Mi sembra già piuttosto eccitato, sarà una faticaccia arrivare fino al residence.

“Porta pazienza, raggiungimi nel mio ufficio alla solita ora”. Invio.

 

Inganno l’attesa dedicandomi ad argomenti a me più consoni: ho alcuni diagrammi di analisi di mercato da valutare, quindi mi appresto a chiudere il file della presentazione. Stranamente non ci riesco, il pc mi manda il messaggio che l’applicazione non risponde.

Questa non ci voleva. Mi irrito a morte quando i miei strumenti di lavoro non funzionano. Cerco Jessica immediatamente.

«Pronto Jess? Ho il notebook che fa i capricci, potresti venire a dargli un’occhiata?» La prego.

«Sì, arrivo. Dammi qualche minuto per finire il lavoro che ho avviato e sono lì da te»

Arriva come promesso un quarto d’ora dopo. Lo osserva, posiziona le mani sulla tastiera e si concentra come farebbe un pianista all’inizio di un concerto. Poi all’improvviso comincia a digitare una sequenza infinita di lettere e numeri e sblocca lo schermo.

«Ecco, Rose. Adesso è di nuovo attivo». Mi guarda con un sorriso tirato e non si sposta dal mio pc… non capisco!

«Beh, se hai fatto, vorrei tornare al lavoro se non ti dispiace». Nel frattempo mi sono avvicinata spalla a spalla con lei pronta a riprendere il mio posto.

«Oh, no. Questo portatile non si tocca. Ho scoperto che ha un sistema spia istallato al suo interno che riesce a vedere tutto il materiale inserito. Quindi lo lasci così finchè non abbiamo chiamato il Capo che sicuramente lo vorrà far analizzare da chi se ne intende più di me».

La guardo sbigottita e un po’ allarmata.

Un programma spia nel mio notebook? Chi può avercelo messo e perché?

 

 

(Bella)

 

Maledetta nausea, non vuole proprio lasciarmi in pace!

E’ sempre così: tutte le volte che riprendo le prove di navigazione in assenza di gravità, il mio stomaco si ribella e mi rivolta come un calzino. Provo a fare finta di niente, è un’esperienza ormai familiare, ma mi procura sempre questo leggero malessere.

«Bella, tesoro, stai bene? Sei verde come l’aglio». Edward mi sta osservando, aggrappato al corrimano del silo in cui stiamo galleggiando piacevolmente. O quasi.

Sento la sua voce arrivarmi ovattata come un sussurro, ma non riesco a capire se effettivamente lui non voglia mettermi in imbarazzo davanti agli altri due che stanno con noi, o se sono le mie orecchie ad essere otturate dalla depressione dell’ambiente.

Ancora dieci minuti e questa tortura avrà fine.

«Sì, grazie… mai stata meglio». Mi sono dovuta interrompere a metà della risposta per non dar l’opportunità al mio stomaco di sfogarsi con un bel rigurgito.

Gli sorrido e decido di dirgli la verità: in fondo ho affianco il mio uomo, che è pure il medico della missione.

«Mi succede così ogni volta che riprendo questi dannati allenamenti dopo un lungo periodo di sosta. Ma passa presto, non preoccuparti. Già la prossima volta andrà meglio».

«Mmh», mi dice solo. Non sembra convinto ma non ribatte. Mi guarda ancora una volta prima di “nuotare” verso Mike e Jacob che galleggiano alle mie spalle. Edward ha un aspetto magnifico, come sempre.

Perché è così stramaledettamente bravo in tutto quello che fa? Penso con irritazione.

Respiro a scatti brevi, nel modo che so che mi aiuta a contenere la nausea. Controllo la strumentazione  e il timer che mi avverte che la capsula in cui siamo, sta per essere riportata a gravità normale. Un led verde lampeggiante segnala la manovra di ripristino.

Finalmente è andata. Pian piano appoggio i piedi a terra e controllo il resto dell’equipaggio.

Tutti bene, sono uomini loro. Non hanno lo stomaco delicato come me!

Sorrido, mentre cerco di mascherare piccoli movimenti della mascella che mi liberano le orecchie ancora tappate.

Lo sportello ad apertura pneumatica si apre con un sibilo sulla piscina della Base in cui eravamo stati immersi.

Come ogni buon comandante, lascio che il mio equipaggio esca, prima di accomodarmi sul gommone che ci riporterà all’asciutto.

Il cercapersone al polso mi avverte che devo chiamare con urgenza l’ufficio di Rose.

« Sono Bella, dimmi»

«Scusa Capo, ma sono Jessica. Ho fatto una scoperta piuttosto sconcertante nell’ufficio di Rose, dovresti venire subito».

«Giusto il tempo di riporre l’equipaggiamento e di firmare un paio di scartoffie, e arrivo… Non puoi anticiparmi di cosa si tratta?»

«…preferirei di no, è una cosa delicata». La voce di Jessica è titubante, è chiaro che mi vuol parlare di qualcosa che non si può dire al telefono… Ma cosa?

«OK, arrivo al più presto». Sono veramente curiosa, ed anche un po’ in apprensione. Mentre mi tolgo la tuta e il caschetto protettivo, lancio un’occhiata ad Edward che parla sereno con gli altri ragazzi. Che sia il caso di metterlo al corrente?

Mi piacerebbe moltissimo non avere segreti per lui, ma non riesco ancora a definire quale sia la soglia di riservatezza che devo mantenere.

Mentalmente scollo le spalle, ancora non so di che emergenza si tratti quindi Edward è il benvenuto.

Ritorno con l’auto alla palazzina degli uffici che dista circa un miglio dal luogo dove ho appena fatto l’allenamento. Lascio Mike e Jake all’ingresso dei laboratori e mi dirigo, con Edward al fianco, verso l’ufficio di Rose. Trovo le due donne, affiancate da una perplessa Alice, che osservano a distanza il pc acceso, come se fosse posseduto dal demonio.

«Che c’è, Jessica?» Mi avvicino e mi chino ad osservare meglio l’apparecchio che però non mostra caratteristiche strane.

«Abbiamo trovato un intruso», mi sussurra Jessica seria.

«Nel personal di Rose c’è un programma che clona la sua memoria e la trasmette da qualche altra parte».

Trattengo il respiro. «Ci stanno spiando, quindi».

«Spiando, o rubando i nostri segreti» mi risponde.

A gesti li richiamo tutti fuori dalla stanza, che chiudiamo a chiave.

Li faccio accomodare nella sala riunioni dove cerchiamo di mettere in chiaro la situazione.

«Dunque, Jessica, possiamo capire che tipo di programma sia stato istallato nel pc di Rose, quando sia successo, e chi lo abbia fatto?»

«Che tipo di programma sì. E’ un Dragon di ultima generazione che mi è già capitato di vedere ai corsi di addestramento. Sul quando e sul chi, non posso esserti utile, so solo che non credo sia arrivato via rete, sono più propensa per l’immissione manuale»

«E credi che ci siano altri computer “infetti” nella Base?» Sento che sospira.

«Di preciso non lo so. Non dovrebbero essere molti, perché altrimenti ce ne saremmo accorti. Ma nei giorni scorsi ci siamo focalizzati sul server e sui difetti di comunicazione della rete. Ai personal non abbiamo dato molta importanza»

«Cosa consigli di fare, allora?Abbiamo un sacco di dati importanti dentro». Le chiede Alice preoccupata.

«Per prima cosa io ed Adam ci dedicheremo a “bonificare” gli apparecchi principali, poi passeremo al setaccio gli altri di nostra competenza. Ma più di così non possiamo fare. Per quelli del resto della Base bisogna chiamare rinforzi». Jessica mi guarda allargando le braccia con un’espressione dispiaciuta.

«Certo», la rassicuro.«mi metto subito in contatto con gli agenti che sono stati qui la settimana scorsa, intanto, dovresti procurare un altro computer pulito a Rose, in modo da lasciare l’altro in quarantena. Penso, però, che sia il caso di lasciare il programma com’è in modo da non insospettire chi lo ha istallato… Anzi, Rose», mi volto verso la bionda colta da un’idea, «continua ad usarlo per cose di poco conto, in modo che sembri tutto normale».

Un dubbio mi sorge, però, improvvisamente:«Non è che c’è istallato anche un rilevatore ambientale che funziona con la web cam?»

«Non credo», mi risponde Jessica pensierosa, «ma per essere più sicuri la disinstallo».

Ci alziamo e torniamo tutti frastornati al nostro lavoro.

Mentre passo, lascio detto ad Angela di chiamarmi i Federali al telefono.

«Quindi avremo tra i piedi ancora quel Garrett?» Ringhia Edward sedendosi in un angolo della mia scrivania.

«Proprio non riesci a tollerarlo, vero?» Chiedo in risposta alla sua domanda.

«No. Quelli che fanno i cretini con la mia donna, mi stanno antipatici a priori» Dichiara con tono serio.

Lo guardo con un leggero sorriso. Questo suo lato possessivo mi piace, spero solo che a lungo andare non diventi un problema sul lavoro.

Decidiamo di interrompere la gara di sguardi per andare a pranzo.

Mentre giro intorno alla scrivania, Edward mi passa le braccia intorno alla vita e mi stringe a sé.

«Come va il tuo stomaco? Ti è passata la nausea?»

Ah, già, il mio malessere di prima. Non me ne ricordavo più presa dai problemi che mi hanno travolta.

Mi concentro per un attimo per analizzare i segnali che mi arrivano dall’interno.

«Mmh, sembra sparita quasi del tutto» Gli rispondo baciandolo con delicatezza.

«Bene, però ti consiglio per pranzo un bel panino con tanta mollica, che ti assorba i succhi gastrici in eccesso, e Coca Cola» Lo guardo incuriosita, non sembra un menù molto salutare.

«Strano, vero? Ma la Cola gassata è la panacea per i riflussi gastrici. Andiamo?» Mi dice prendendomi per mano.

«Andiamo…» sospiro. Anche se la mensa non è proprio il luogo dove vorrei dirigermi.


Non mi rimane che aurarvi un buon fine settimana,
con affetto,
T

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Capitolo 26
*** capitolo venticinquesimo ***



Ehi, girls!
Ecco il venticinquesimo capitolo.
C'è un po' di tutto. Mistero, gelosia, tenerezza, fantascienza. Chi più ne ha più ne metta.
Ci sono anche un sacco di immagini, forse anche più del solito, spero che gradiate l'impegno che ci metto.
Alle tante che stanno ancora aspettando la seconda parte di
Profumo di Cuoio e Tabacco ,
voglio dire che ci siamo, mi sono di nuovo calata nello spirito dell'epoca e ho incominciato a lavorare.... ho anche già fatto qualche bella immagine, e ve ne voglio regalare subito una come dimostrazione che non sto tirando per le lunghe inutilmente:Incontro nel bosco

Vi mando un bacio e ringrazio sentitamente tutte le care persone che mi seguono e le straordinarie che mi lasciano un commento.
Vi volevo dire che ho vinto il contest di Alice_Nekkina_Pattinson sul rapporto Padre/Figlio.
La mia OS, che tratta del rapporto Emmett/Carlisle è linkata qui sotto:
IL NOSTRO SOLE SPLENDERA' DOMANI E PER SEMPRE
Baci,

Teresa



 

 

Capitolo venticinquesimo

 

(Alec)

 

Interessante…penso mentre sorseggio, in ufficio, la mia dose mattutina di caffè. Nel computer di Rose, che sto controllando grazie al programma spia Dragon 3.0 che avevo inserito quando ancora stavamo insieme, c’è il materiale per un meeting di presentazione del progetto a cui sta collaborando.

 

Dalla scaletta e dagli appunti, imparo che si terrà mercoledì prossimo al MIT.

AL MIT QUI A BOSTON? Wow, che fortunata coincidenza.

Sorrido come un ebete. Spero non passi nessuno nel corridoio davanti al mio ufficio, perché non riesco a togliermi questo ghigno dalla faccia. E’ più forte di me, proprio non riesco a non pensare che sarà l’occasione giusta per riprendermi la bionda.

L’anno scorso, non doveva finire così’. La pausa di riflessione che le avevo concesso, sicuro che sarebbe tornata da me a supplicarmi di riprenderla, era diventata una separazione definitiva.

No, no, e poi no!

Io ho bisogno di una ragazza come Rose. Con lei al mio fianco, bella ed intelligente, a quei tempi, ero l’avvocato più invidiato del Jet set dell’ East coast.

Chissà se quando l’incontrerò  avrò tra i piedi anche quel tipo che le ronza intorno…

Ecco fatto! Mi è bastato pensare all’ammasso di muscoli deambulante, per farmi venire un attacco di nervi. Altro che sorriso.

Esco dalla memoria virtuale del pc di Rose per aprire un file del mio. Ci sono le foto scaricate dal sito del Congresso di San Francisco, in cui sono ritratti tutti i componenti del progetto denominato Odyssey: col Comandante Swan in testa.

Cerco, tra le tante, quella che mi fa più incavolare: proprio l’immagine del biondino con quella che per me è ancora la mia donna.

“Studia il tuo nemico per poi fottertelo come amico…” Mai come in questo momento il motto preferito del nonno mi sembra congeniale. Lo osservo con accuratezza, cercando di non soffermarmi sull’irritante posizione della sua mano sinistra che celata all’obiettivo, immagino stia sul sedere di Rose.

Dopo pochi minuti chiudo la foto. Non riesco a trovare nulla nello sguardo o nella postura dell’uomo, che mi faccia pensare che nasconda un segreto da poter usare a mio beneficio. Sembra proprio il classico ragazzone di provincia rispettoso del dovere e delle regole…

Mi alzo dalla poltrona e mi affaccio meditabondo alla vetrata che si apre sul panorama della città. Questa loro inaspettata trasferta, mi consente di togliermi dai piedi definitivamente Victoria, che nel frattempo, mi ha fornito il vecchio codice identificativo di James a patto che lo lasciassi fuori dalle mie macchinazioni.

Milady sarà esaudita, penso con sarcasmo. Con la mia ex qui e l’accesso diretto ai segreti della NASA, non ho decisamente più bisogno di lei.

Devo preparare a Rose un’accoglienza all’altezza della mia potenza: deve provare il desiderio di non essere mai partita…

Mi appunto mentalmente di controllare più volte al giorno il clone del suo pc, in attesa di scoprire dove alloggerà.

 

 

(Edward)

 

Mi sono imposto di non essere presente al loro incontro.

Di Bella mi fido ciecamente, ma solo il pensiero della presenza dell’agente Thompson nel suo ufficio mi fa girare i coglioni.

Rimango seduto sulla mia poltrona, giusto per il tempo necessario ad accorgermi che la sua voce odiosa arriva fino a me.

«Isabella, cara, è sempre più lampante che hai un traditore tra i tuoi sottoposti». Il suo tono è nauseantemente dolce e pericoloso come quella di un cobra…

Attenta, amore, non farti abbindolare da lui. Prego tra me e me.

«Hai trovato qualcosa nei documenti che ti ho procurato?»

Sorrido, lieto, del fastidio che sento nella risposta di Bella.

 «Non ancora. Ho controllato i dossier del tuo equipaggio, ma non ho trovato macchie nel loro passato o legami con personaggi sospetti».

C’è un attimo di silenzio. Immagino, pur non vedendola, l’espressione soddisfatta sul viso della mia ragazza.

«Questo non vuol dire niente, però!» Sento Thompson  alzare il tono della voce irritato. «Hai sicuramente qualcuno che fa il doppio gioco. Altrimenti non avreste trovato il Dragon nel computer della tua amica!»

Un rumore di sedie smosse e di passi mi fanno supporre che la conversazione sia giunta alla fine. Mi alzo svelto come una lepre, prendendo a caso una cartellina di documenti dalla mia scrivania e mi porto nell’ufficio di Angela per gustarmi l’uscita di scena dell’uomo.

«Angela, scusa mi dovresti controllare questi…», la porta dell’ufficio di Bella si apre all’improvviso mentre sto inventando una scusa per giustificare la mia presenza lì. Mi volto verso l’agente prevedibilmente vestito di nero, e lo squadro con un’espressione che spero dichiari quanto mi scocci trovarmelo ancora tra i piedi. Lui mi osserva, di rimando, da capo a piedi e mi sorride in modo malevolo.

«Senti, Isabella, facciamo così. Ti mando un collega della Scientifica per prendere le impronte dall’oggetto manomesso e per raccogliere gli indizi che ci possono essere sfuggiti». Si volta di nuovo verso di lei che nel frattempo lo ha seguito fuori dal suo ufficio. «Intanto, però, ti consiglio di non fidarti delle persone che hai intorno… soprattutto quelle “più vicine a te”». Mentre parla si volta di nuovo verso di me guardandomi con sospetto.

Ti piacerebbe che fossi io la talpa, vero Thompson? Così avresti la strada libera con Bella!

La sento sbuffare infastidita. L’impressione che le stiamo dando in questo momento è di due adolescenti che si sfidano a chi fa la pipì più lontano.

«Arrivederci Garrett, fai buon viaggio», gli ribatte secca.

 

 

(Rose)

 

Dire che sono ancora scioccata è poco. Quando finalmente Emmett è riuscito a staccarmi dal mio ufficio, mi sentivo ancora come se mi avessero violata della mia intimità. Sapere che uno sconosciuto mi osservava da chissà quanto tempo per carpire il mio lavoro, mi ha fatto sentire come una ragazzina a cui avessero appena letto in pubblico il diario segreto.

«Vieni, Rose, abbiamo ancora un po’ di tempo per noi, prima che finisca la pausa pranzo». Avevo cercato di protestare, adducendo la scusa che non ero in vena di effusioni, ma lui mi aveva baciata sulla fronte e trascinata decisa verso l’attaccapanni dove tengo appesa la giacca da moto.

«Non ammetto repliche, Rose, devi rilassarti. Sei troppo tesa. Vuoi che passiamo da Edward e ti faccia preparare un certificato per trascorrere il pomeriggio a riposo? Te lo farebbe, sai. Basta guardarti in viso per capire che sei sull’orlo di una crisi isterica»

Oh, non ho dubbi, che Edward starebbe al suo gioco.  Penso malignamente. Il detto “Dio li fa poi li accoppia”, sembra applicabile anche per i compagni di camera.  

«E tu? Cosa ti fai mettere sul permesso del dottore?» Lo stuzzico divertita.

Mi guarda con un’espressione angelica e una mano sul petto: «Io? Io sono il tuo accompagnatore, nonché infermiere personale. Non ho bisogno di permessi speciali. Mentre usciamo dico ad Angela di avvertire il Capo che rientrerò un po’ più tardi… vedrai che non avrà nulla da controbattere»

Bene, non insisto. In effetti mi gira un po’ la testa e anche stargli attaccata alla vita, seduta dietro di lui sul sellino della moto, diventa un’impresa faticosa. Arrivati al Residence, Emmett propone un tuffo in piscina prima di uno spuntino leggero con successivo riposino. Bel programma.

Rilassante, rinfrescante, rigenerante.

Soprattutto la parte che riguarda il rilassamento, che lui prende come impegno personale. Dopo avermi fatta sdraiare sul mio letto, mi bacia con venerazione centimetro per centimetro la pelle che il bustino di pizzo nero, che maliziosamente ho indossato, mi lascia scoperta.

Le sue labbra lasciano impronte di fuoco che, una dopo l’altra, mi liberano dai pensieri molesti per sostituirli con altri  ben più eccitanti.

«Mm. Rose, sei così bella», mi sussurra roco vicino all’orecchio.

Gli accarezzo i muscoli del dorso nudo tastando compiaciuta la sua pelle fresca e profumata di cloro. Piccole goccioline d’acqua scendono formando rivoletti cristallini tra i radi peli del petto, che cadono poi sul mio, formando brividi di piacere.

Chiudo gli occhi e sorrido al mio uomo così premuroso.

Ritorniamo dopo un paio d’ore in ufficio e mi sento decisamente meglio. Leggo di nuovo la scaletta di cose che devo organizzare per il Meeting di Boston, indecisa di cosa inserire e cosa no, nel computer spiato.

La lista di quelli che saranno in viaggio è da tenere segreta? Beh, non credo, visto che  si saprà già all’apertura della sessione di lavoro.

Quindi lo inserisco nel vecchio pc:

  • Meeting di Boston, presenze: io, Eric Jasper e Alice.

La presenza di Jasper è sempre stata sottintesa, in quanto è mio fratello. Coglieremo indubbiamente l’occasione di andare a trovare i nostri genitori che vivono da quelle parti.

Emmett non ci sarà, come neppure gli altri, che sono impegnati con gli allenamenti. Peccato, ma sarà per la prossima volta.

  • Prenotazione volo ed albergo: no, questo preferisco tenerlo per me e non farlo sapere allo spione. Non so perché ma mi sento più sicura a non divulgare queste informazioni.
  • Materiale descrittivo della conferenza: ormai era già inserito  nel vecchio pc, quindi è compromesso. Non vale la pena di toglierlo. Insospettirebbe inutilmente il soggetto ignoto che mi osserva.

 

 

(Bella)

 

Irritante. Non trovo altro aggettivo per descrivere Garrett Thompson.

Ma era così anche quando l’ho conosciuto? Non me lo ricordo, sinceramente. 

La cosa che mi infastidisce di più è sapere, che in fondo, ha ragione.

E la verità, spesso, è molto scomoda.

Preferirei che nessuno mi dicesse che uno dei miei collaboratori sta facendo il doppio gioco, ma lo capisco da me, anche se non lo accetto.

Mike?...Jessica? …Eric?...Nooo, inconcepibile! Eppure…

Sono così persa nei miei pensieri che non mi accorgo nemmeno di quello che sto facendo. Solo quando focalizzo le facce sorridenti e stupite delle persone che incontro, mi rendo conto che sto letteralmente trascinando Edward mano nella mano verso il distributore automatico del caffè. Lui lascia fare elargendo sorrisi a destra e a manca con un’espressione rassegnata che fa tanto:

“Scusate ma è lei che comanda”.

Ferma davanti alla macchinetta, lascio la sua mano come se scottasse.

«No, fai pure…a me non dispiace. Solo mi pareva di capire che ti volevi muovere con discrezione…» ridacchia, mentre si china per raccogliere il bicchierino di caffè già pronto. Mi sento le guance imporporare.

Ho perso la concentrazione e non ne vado fiera.

Mi viene in mente, che con tutto il trambusto che c’è stato oggi, non ho ancora pensato alle parole da usare per comunicare al Generale Rogers la mia relazione con Edward.

“Generale. Io e il Capitano Cullen andiamo a letto insieme”. Essenziale e conciso, arriverebbe subito al nocciolo della questione.

Ma non credo che glielo dirò così. Mi riservo di aspettare ancora un po’ per trovare una formula più diplomatica per fargli sapere che il nostro gruppo sta veramente fraternizzando…a parte quel Giuda che ci sta tradendo, naturalmente! Grrr, che rabbia.

Rientro nel mio ufficio, dopo aver accompagnato Edward nel suo che si trova sul nostro percorso. L’ho lasciato con un bacio e la promessa di una serata tranquilla da soli. Mm… non vedo l’ora.

Mi siedo davanti al pc e studio il planning per la giornata di domani.

Mi accorgo di una mail di Alice che mi comunica di avermi mandato in allegato il logo della nostra missione. Bello, non c’è che dire.

All’interno di una serie di orbite di pianeti campeggiano i nomi dell’equipaggio mentre in basso lo Shuttle Odyssey sembra allontanarsi dalla Terra tranquillo.

Prendo in mano il telefono e le rispondo direttamente: «Ehi, Alice, è un lavoro grandioso».

«Allora ti piace; ero un po’ dubbiosa per gli ellissi gialli: cosa sono secondo te?»

«Orbite di pianeti, perché cosa dovrebbero essere?» Le chiedo sorpresa.

«Bah, a me subito sembrava la rappresentazione di un atomo, ma poi mi hanno spiegato che erano orbite planetarie e sono riuscita a vederle anch’io…»

«Io non ho avuto dubbi, in proposito. Ma se poi fossero i neutroni che ruotano intorno al nucleo, sarebbe una bella rappresentazione del nostro gruppo scientifico. Ma secondo me sono orbite», concludo.

«Ok, allora è deciso. Domani ne ordino la produzione anche in tessuto da cucire sulle nostre nuove tenute. Che dici, chiudiamo tutto e torniamo al Residence?»

Guardo l’orologio che ho al polso. Sono le diciannove e quindici.  «Sì, direi che per oggi la giornata è conclusa. Ci vediamo fuori».

Edward spunta sulla porta mentre sto sistemando la scrivania.

«Sono già tutti usciti, andiamo anche noi?» Mi suggerisce con un sorriso che mi fa perdere un battito al cuore.

«Eccomi, sono pronta». Raccolgo le mie cose, mi guardo in giro per controllare che sia tutto in ordine, spengo le luci ed esco dalla Base un passo dietro all’uomo più sexy del mondo.

 

****

 

(Soggetto ignoto all’interno della Base)

 

 

«Buonasera, Signore. O, visto dove si trova Lei, dovrei dire buongiorno?»

«Non perderti in chiacchiere. Hai quello che ti ho chiesto?»

«Non ancora, Signore. Ma lo avrò presto…Ci sono stati dei contrattempi, e il montaggio della navicella spaziale è leggermente in ritardo… Qualcuno ha cercato di entrare nel server!»

«Già, l’ho saputo. Ho i miei informatori, lo sai vero? Quindi non ti conviene fare il furbo…»

«No, Signore. Tra noi c’è un accordo e sono qui per mantenerlo. Ma a proposito di questo, le ricordo che la mia posizione si fa sempre più rischiosa… ora abbiamo anche i Federali  tra i piedi.»

«Avrai quello che abbiamo pattuito, non un dollaro in più. I primi duecentomila ti saranno depositati direttamente sul tuo conto alle Isole Cayman quando avrò conferma che hai accesso ai progetti del Mnemo System Control. Il restante milione man mano che mi farai avere  il materiale che voglio»

«Ma Signore… e quell’extra che mi aveva promesso?»

«Ah, ah ah, la tua avidità è la mia migliore alleata… lo avrai se impedirai alla Base di Cape Canaveral di effettuare il lancio. Mm, mi sembra già di sentire  quelle vecchie e boriose mummie della Nasa  che mi pregano di far decollare la loro Odyssey dalla nostra Base di Lancio nei Carpazi…»

«Sì, Signore. Sarà un giorno glorioso.»

«Taci, stupido. So bene che ti interessano solo i soldi.»

«Ma, Signore…»

«Zitto. Mettiti al lavoro …e ricordati che c’è sempre qualcuno che ti controlla».

«Certo, signore. Ora devo andare, sono le diciannove e fra poco  verrà fatto partire il sistema d’allarme. Arrivederci, Signore».

Clic.

Mi guardo intorno ed esco nell’ombra, prima che siano messe in funzione le telecamere di sicurezza.

 


Finito, per ora.
Ricordo che il programma spia Dragon 3.0 è di proprietà di Uvetta e lo trovate nella sua storia "Gli occhi dell'assassino".
Ve la consiglio. Trovate il link cliccando su "Dragon 3.0" nel testo.
Vi auguro una buona settimana, e per chi è in vacanza buon riposo.
Un abbraccio, 
 T

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Capitolo 27
*** Capitolo Ventiseiesimo ***



Sono quiiiiii
non ci credevate, vero?
Sono stata impegnatissima, non sono andata in vacanza.
Oggi, mi sono messa d'impegno e ho finito, (si fa per dire, perchè ci sarebbe stato ancora molto da scrivere), il capitolo nuovo.
Sono quasi tutte riflessioni e dialoghi, e la storia si sviluppa in una serata. A volte penso che di questo passo non arriverò mai alla partenza per lo spazio. Mi dispiace se qualcuna sente un po' di frustrazione da "mancata azione", ma la storia parla di "persone", di un "equipaggio" e delle loro interrelazioni.
Gradirei sapere se preferireste più azione ed uno sviluppo più rapido, o se vi va bene così.
Vi lascio ancora il collegamento con la mia nuova Os originale, che si chiama
Fuoco sotto la cenere.
Non è ancora stata giudicata, chissà come si classificherà.  Mah, sono contenta comunque di averla scritta.

Saluto e ringrazio con affetto, tutte quelle che nonostante il periodo "caldo" passano ancora a trovarmi. Vi mando un bacio.
Teresa



 

Capitolo ventiseiesimo

 

(Alice)

(I love it- Icona pop)

Ci siamo tutti, stasera. Nessuno è uscito: né un cinema, né una partita a bowling… c’è quel velo di nervosismo generale, causato dal sospetto che uno di noi stia giocando sporco. Penso a questa situazione così assurda, acciambellata sulla poltrona in cui mi sono buttata per noia. Apro una rivista valutando le alternative che mi si presentano: un bagno in piscina con Jessica, Mike e Jasper? Mmh, si potrebbe fare…

Oppure una partita a “Piante contro Zombie” alla Playstation con Jacob Eric e Tyler? No, questo no. Troppo da ragazzini ritardati.

Come fanno, mi chiedo con genuino stupore, i maschi della loro età a trovare ancora divertenti i videogiochi?


Ma che altro c’è da fare, stasera, in questa casa?

Beh, le coppie sono chiuse nelle rispettive camere ed immagino che non stiano giocando a carte…

Ahhh, sospiro, beati loro.

Mi guardo intorno con la sensazione che manchi qualcuno.

Angela. Ecco chi non è nei vari gruppi.

La cerco più per togliermi da questa stanza invasa dai versi gutturali dei giocatori, che per la reale curiosità.

Angela è una ragazza composta e gentile e non potrei mai sospettare che sotto  sotto nasconda qualcosa di losco. Mi fido di lei come di me stessa.

La trovo in camera, comodamente allungata sul suo letto con un paio di cuscini a reggerle la schiena.

«Ciao», le dico sedendole di fianco. «Cosa leggi?»

 Con le guance che si imporporano leggermente, volta verso di me la copertina del libro che tiene aperto sulle gambe.

«Mmh, “Cinquanta sfumature di grigio”…lettura interessante», replico con malizia. « E, a che punto sei arrivata?»

«Quando Christian porta Anastasia a cena dai suoi» risponde lei con un sospiro.

Ah, sì ricordo bene come è finita quella cena, che avrebbe potuto essere solo una comunissima serata in famiglia e  che, invece, a causa del fatto che la ragazza era uscita senza mutandine si è trasformata in una sessione di erotismo spietato, imboscati nella rimessa delle barche a pochi metri dal resto della famiglia.

Rifletto sulla spregiudicatezza del suo gesto: a me, che non disdegno la trasgressione, non è mai venuto in mente di uscire col pube al vento e intrattenere relazioni sociali… ma lo trovo eccitante, molto, anche solo da sognare!

«Ehh, Christian Grey ci sa fare con le donne» commento, sorvolando sul fatto che una ragazza, in fondo, sa sempre come movimentare una serata.

Sbircio tra le righe delle pagine aperte.

 «Già, a volte penso di far leggere questo libro a Ben, chissà che non gli vengano in mente un paio di giochetti da fare con me…» sussurra lei, maliziosa.

Ho conosciuto Ben, il suo fidanzato, mentre eravamo a Cape Canaveral e in effetti mi ha dato l’impressione di essere un ragazzo tranquillo, poco incline alle pazzie amorose.

«Devi sentirti molto sola, qui senza di lui».

«Ammetto che mi manca, ma ci sentiamo spesso, e poi non rimarremo in Texas in eterno, no?»


«No, è vero, in tre mesi circa dovremmo finire di assemblare la Calypso e tornare in Florida. Ma nel frattempo, se vuoi raggiungerlo nel week end, credo che Bella non avrebbe nulla da ridire»

«Grazie, lo terrò presente, ma preferisco non lasciarvi soli. Temo che altrimenti al mio rientro potrei trovare un disastro irrecuperabile». Mi spinge leggermente col gomito, ammiccando. Capisco che sta scherzando, ma le sue parole hanno un fondamento di verità.

«Già, è un timore fondato il tuo», rido. «Forza dai gira pagina che continuiamo a leggere», le dico ricambiando la gomitatina.

Angela ubbidisce, ma subito dopo alza lo sguardo su di me.

«E tu, Alice, non ti senti mai sola?» Ahi, ecco la domanda del secolo.

«Negli ultimi tempi sì», ammetto. «Da quando Bella si è messa con Edward, mi sono resa conto che in tutti questi anni ho fatto affidamento sulla sua perenne compagnia. Sono passata con leggerezza da una avventura all’altra senza farmi problemi, perché sapevo, nel mio intimo, che una volta lasciato l’amante del momento, l’avrei trovata al mio fianco» Sospiro, con lo sguardo perso nel vuoto.

«Sono gelosa, Angela» ammetto in un sussurro. «Gelosa, ed invidiosa del bel rapporto che avete tu, Bella e Rose, con i vostri ragazzi…»

Sarei tentata di chiederle il segreto per un rapporto duraturo, ma non vorrei sentirmi dire che “basta essere un po’ meno superficiali”. Penso ai due uomini che recentemente hanno dimostrato interesse per me.

Jacob che ha un fisico da urlo, mi sta trattando con freddezza. Volendo potrei provare a riconquistarlo, ma non riesco a trovare una motivazione che vada oltre a quella del sesso.

Jasper, invece, è un enigma. Si comporta in modo molto gentile senza però sbilanciarsi mai in atteggiamenti che dichiarino il suo interesse per me. Beh, la settimana prossima saremo in viaggio insieme… sarà l’occasione giusta per studiarlo più da vicino.

Mi distolgo da quel pensiero, tornando alla realtà.

«Che ne dici, Angela, di accompagnare la lettura mangiando un po’ di gelato?» La tento.

«Mmh, ce l’abbiamo al cioccolato?» Mi chiede con gli occhi che le brillano.

«Vado a vedere».

Scendo con un balzo dal letto, e mi precipito in cucina. Nel freezer ne trovo un barattolo arricchito di nocciole tritate. Perfetto.

Lettura intrigante, compagnia piacevole, gelato consolatorio…

Domani prenderò in considerazione l’idea di dare una smossa alla mia vita affettiva. Per stasera va bene così.

 

(Bella)

 

“Egregio Signor Generale,

Con questa mia, vorrei comunicarle il mio fidanzamento col Capitano Edward Cullen…”

«Come ti sembra?» Gli chiedo alzando gli occhi dallo schermo del notebook.

«Mmh» mi risponde disinteressato il mio bel ragazzo mentre mi bacia il collo.

«Edward! Sto cercando di lavorare e per essere più precisi, di annunciare a tutto il mondo che l’integerrimo Comandante Swan, si è finalmente accorto di essere una donna…»

Sono sul mio letto, sdraiata prona, davanti al pc. Edward è steso su un fianco, appiccicato a me, intento a distrarmi con una serie di umidi baci che mi lascia tra la spalla e il collo. Sento la sua mano insinuarsi sotto l’elastico degli shorts che indosso di notte, per raggiungere, audace, le mie natiche.

«Ah, se hai bisogno di un testimone, io posso assicurare che lo sei» risponde lascivo senza alzare la testa.

Mi volto verso di lui, leggermente indispettita dalla sua mancata collaborazione.

«Per favore, Edward…» interrompo la ramanzina che stavo per fargli, abbagliata dal fuoco erotico che incendia i suoi occhi. In un attimo dimentico tutto quello che avrei dovuto scrivere nella mail indirizzata al Generale Rogers per concentrarmi sulla contrazione che mi si sviluppa nel basso ventre. Ruoto su me stessa, chiudendo di scatto il pc e mi posiziono seduta di fronte a lui, che compiaciuto si è preparato ad accogliermi.

«Allora che faccio? Lascio perdere  e dico ad Angela di prendermi un appuntamento?» Brontolo mentre infilo le dita nei suoi capelli ancora leggermente umidi, per la doccia che ha fatto da poco.

«Mmh, sì, brava fai così. Di persona è meglio.» Sussurra mentre mi stringe tra le braccia.

E’ concentrato e perso nelle sensazioni che lo pervadono. Tiene gli occhi chiusi e, dopo avermi dato un bacio forte e passionale, struscia la guancia rasata di fresco e profumata di dopobarba sulla mia pelle, all’altezza delle clavicola. Gli accarezzo la schiena  mentre le ciocche setose dei suoi capelli mi solleticano il viso. Abbasso il viso e arrivo con la bocca alla sua fronte e al  naso dritto. Seguo i suoi lineamenti respirando il profumo che mescola l’aroma del bagnoschiuma all'odore leggermente selvatico della sua pelle.

Tutto è perfetto così. Nel mio animo rispunta la meraviglia per il colpo di fortuna che ho avuto ad incontrarlo: è talmente giusto per me, che ancora stento a crederci. Lo amo e mi ama.

Non sarà facile affrontare le critiche dei vertici dell’esercito, ma spero di non dover scegliere tra amore e carriera. Un piccolo brivido, nasce da un angolino della mia mente, cosciente che purtroppo potrebbe succedere. Lo ricaccio indietro immediatamente per godermi questo momento di estasi.

 

***

Il trillo della sveglia del cellulare mi riporta faticosamente alla realtà. Apro un occhio prendendo coscienza del corpo di Edward che mi grava, caldo sulla schiena. Dopo che abbiamo fatto l’amore, non si è infilato la maglietta e i peli radi del suo petto mi solleticano le spalle. Più in basso è tutto un groviglio di arti e lenzuola. Se anche volessi, non riuscirei a trovare il bandolo per districare questa matassa. Agito leggermente il braccio su cui è appoggiata la sua guancia. Le punte della barba cresciuta nella notte, mi pizzicano piacevolmente. Mugugna, pigro, mentre uno spiraglio verde spunta sotto le sue palpebre socchiuse.

«Buongiorno dormiglione». Lo saluto con un leggero bacio sul naso.

«E’ già mattina?» Borbotta stringendomi di più.

«E’ presto, ma sai che siamo in partenza oggi.»

«Uh, giusto. Chi guida?» Brontola ancora mezzo addormentato.

«Non lo so, vuoi farlo tu?» Gli chiedo.

«No, io voglio dormire» si lamenta.

«Ah ah, su pigrone alzati che altrimenti saremo gli ultimi ad essere pronti.» Mi sporgo con un braccio all’indietro dandogli una pacca sul sedere.

«Ahio, cattiva. E’ così che tratti il tuo grande amore?»

«Cosa ti fa pensare che ti ami così tanto?» Lo stuzzico.

Edward si sveglia del tutto, sgranando i suoi meravigliosi occhi chiari. «Mi era sembrato», risponde tutt’ad un tratto insicuro. Aprofitto del fatto che si sia scostato per guardarmi meglio per districarmi dalle sue membra. Lo scherzo è durato anche troppo, e non voglio che uno stupido scherzo ci rovini la giornata.

«Scusa. Avevi capito benissimo.»

Lo bacio con passione, mentre un sorrisetto gli spunta sulle labbra.

«Questa me la paghi, Crudelia. Stasera mi prenderò la mia rivincita».

La minaccia mi procura un altro brivido nelle parti intime. «Non vedo l’ora» gli rispondo baciandolo su tutto il viso, «ma adesso ci dobbiamo proprio alzare!»

Ci prepariamo più in fretta possibile, ma quando usciamo dalla stanza non troviamo nessuno in giro.

Sono già tutti usciti, accidenti, penso.

Li troviamo nel cortile intenti a caricare zaini ed attrezzatura nel portabagagli del pulmino che la Base ci ha messo a disposizione. Siamo diretti Nei dintorni di Austin, dove la locale Facoltà di Aeronautica ha un campo di lavoro. Potrebbe sembrare ancora un po’ presto per addestrarsi agli sbalzi di pressurizzazione, ma le  temperature del deserto texano sono implacabili, e già ad aprile si raggiungono punte di trentotto gradi centigradi. Proprio non sarebbe possibile utilizzare le cabine di addestramento tra giugno e settembre.

«Eccoli, finalmente». Sento esclamare da McCarty.

Ci avviciniamo a lui, che spunta col busto dal finestrino del pulmino. Ha un sorriso beffardo sul viso e sta parlottando sottovoce con Angela che sta in piedi di fianco a lui.

«Ehi, pensavamo che foste troppo impegnati per unirvi a noi, vero Angela?» le suggerisce ironico.

Lei sorride lanciandoci uno sguardo indulgente.

«Non fare lo spiritoso, Emmett e conserva l’energia per portarci a destinazione». Lo guardo fingendo di essere arrabbiata. «E visto che sei così allegro e già in postazione, oggi guidi tu».

«Agli ordini, capo.» replica.

Giro intorno al mezzo, prendendo Edward sottobraccio, per portare i nostri zaini nel vano baule.

«Ecco fatto, durante il viaggio puoi continuare a dormire, abbiamo un “volontario” per la guida». Gli dico ridacchiando sottovoce.

«Ti siedi vicino a me?» sussurra speranzoso. Gli occhi gli brillano nell’attesa della mia risposta. Ci penso un attimo solo.

«Certo.» Gli rispondo.

Lo lascio lì, con un sorrisetto compiaciuto che gli spunta sulle labbra. Mi dirigo da Angela che sta controllando qualcosa sul tablet.

« Buongiorno Angela. Mi dovresti prendere un appuntamento col Generare Rogers»

«Per quando, Comandante?» Risponde professionale.

«Anche domattina, se è possibile».

Non posso aspettare oltre. Se per caso la notizia della mia relazione con Edward gli dovesse arrivare da fonti terze, sarebbe un guaio maggiore. Gli voglio parlare anche delle insinuazioni fatte dall’agente Thompson.

Sarà un colloquio spinoso. Rifletto con un sospiro.

Raduno i miei uomini, e donne naturalmente, e partiamo alla volta di Austin. Dovremo percorrere duecento cinquanta miglia nel cuore del nulla. Mi accerto che i controlli sul mezzo siano stati effettuati. Abbiamo un collegamento GPS, ma doverci far venire a prendere per mancanza di carburante o una ruota bucata, sarebbe troppo vergognoso.

«Mike, Tyler, il pulmino è a posto?»

«Certo, Comandante: abbiamo fatto il pieno, controllato il mezzo, caricato carburante supplementare e ricambi di prima necessità» Mi risponde Crowley serio.

«Ottimo, allora possiamo partire.»

Nessun commento particolare, solo i link delle altre mie OS:
Profumo di Cuoio e Tabacco
Ancora non ho scritto la seconda parte, spero di farlo presto.


IL NOSTRO SOLE SPLENDERA' DOMANI E PER SEMPRE

che mi ha dato la soddisfazione di vincere un contest.

Bacioni,
T.

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Capitolo 28
*** Capitolo Ventisettesimo ***



Ciao, care amiche dell'estate...
Sono ricomparsa dopo una settimana passata in montagna. Sono riuscita a scrivere il capitolo anche là, anche se non mi ero portata dietro il pc. Ho comprato un quadernetto, una matita e ho scritto a mano come facevo le prime volte che dovevo fermare su carta le idee che mi venivano in mente all'improvviso. Son riuscita anche a cominciare la seconda parte di Profumo, per il quale mi sono immersa nella natura montana, trovando una meravigliosa fonte di ispirazione.
In questo capitolo i nostri eroi sono al lavoro per prepararsi alla loro avventura, e anche il subdolo Alec sta tramando...
Vi auguro buona lettura e vi ringrazio, come solito per la costanza che mi dimostrate.
Baci,
Teresa

 

 

Capitolo ventisettesimo

 

(Alec)

 

“Niente. Perché diavolo non c’è niente di interessante nel tuo pc, Rose?” Cammino avanti indietro per il mio ufficio sbuffando. Sono infastidito da questa inaspettata mancanza di informazioni.

Nessuna vera novità, le solite cose. Mi aspettavo di fare progressi sostanziali per organizzare il tuo arrivo, ma mi mancano i dati importanti: dove alloggerai, per esempio.

“Non lo hai messo, dolcezza, come mai?” E’ qualche giorno che dal tuo computer mi arriva un’immagine del tuo lavoro sbiadita, stanca.

“Ti sei pentita di esserti buttata in questa avventura della Nasa? E’ troppo dura anche per una testolina brillante come la tua, lavorare agli ordini dell’Esercito? Ti sei finalmente resa conto che le tue amiche, sono persone opportuniste come tutte le altre?”

Un sorriso bieco e soddisfatto, mi spunta sul viso.

“Bene. Sarà più facile farti tornare da me”.

Ho in mente un gran bel piano: incontrarti come per caso, invitarti fuori a cena, irretirti con un regalo costoso e farti capitolare definitivamente con un’offerta di lavoro a sei zeri, che ti lascerà senza parole. Ti dovrai sentire desiderata, amata e legata a doppio filo con me. Ti voglio far ricordare cosa ti sei lasciata scappare, e farti agognare di riaverlo tanto da non poterne più fare a meno.

E’ tutto pronto: cena in una suite all’Hotel Marriott con vista sulla baia, bracciale di platino e brillanti da quarantamila dollari, il contratto d’assunzione come consulente d’immagine per il mio studio…

“Ahh, non riuscirai a dirmi di no, stavolta … mi rimane solo di scoprire dove cazzo pernotterai…”

Guardo fuori dall’ampia vetrata, verso la baia nella vivida luce del pomeriggio primaverile. Devo bypassare il vicolo cieco che ho trovato da te. Ma ad un tratto so cosa fare: controllo speranzoso le mail che mi manda zelante mia madre, nella speranza che mi faccia vivo con lei più spesso.

Ecco il messaggio che cerco, che riguarda l’ultimo appuntamento della stagione sinfonica. La mia famiglia ha alcuni posti riservati al Teatro dell'Opera, come quasi tutte quelle che contano in città… compresi gli Hale. L'evento è per venerdì 19 aprile, domani… quindi.

Ottimo. Farò felice mia madre accompagnandola a quel noiosissimo concerto dove incontrerò, casualmente, la madre di Rose.

Col mio fascino, che tengo sempre ben allenato, sarà uno scherzo da ragazzi avere le informazioni che mi servono.

 

(Bella)

 

Le duecento miglia che ci separavano da Austin erano state per fortuna quasi tutte di superstrada.

Perché ora, che abbiamo superato la città, ci troviamo nel deserto più desolato del Texas. E’ ancora prima mattina, ma la forma di vita più grande intorno a noi, è quella di un cespuglio alto come un bambino di tre anni.

Emmett ci avverte di aver bisogno di una fermata urgente. Ha guidato fin qui senza mai chiedere il cambio, ora però siamo in mezzo al nulla e non potremo far altro che sgranchirci le gambe.

Oppure no.

Da lontano vediamo un edificio squadrato costruito proprio sul ciglio della strada. Se abbiamo fortuna è una stazione di servizio. Magari con una tavola calda in cui prendere comodamente un caffè.

Un gridolino eccitato alle mie spalle mi distoglie dai miei sogni .

«Sììììì.» Alice e Rose stanno letteralmente saltando sui loro sedili.

«Fermati lì, fermati lì, Emmett. Per favore.» Gli urla Rose.

Ora capisco e rimango basita. Stiamo parcheggiando affianco ad un negozio di scarpe. Di Prada, per giunta. 

Una griffe in mezzo al deserto? Parcheggiamo vicino alla struttura, e siamo l'unico mezzo nel giro di parecchie miglia.

«Che sia stato estirpato da un tornado vagante in città, che poi lo ha appoggiato casualmente qui, come la casa di Dorothy Gale nel fantastico mondo di OZ  Chiedo ad Edward sottovoce.

Guardiamo ammirati la merce, esposta ordinatamente nel negozio moderno ed elegante. Scarpe alte con vertiginosi tacchi che sembrano sculture, mi occhieggiano traditrici come sicure fonti di caviglie fratturate. Controllo meglio e mi accorgo che non si tratta di un negozio, ma di una opera d’arte e sorridendo stupita del paradosso fantasioso, mi appresto a radunare la piccola folla estasiata che è rimasta incantata da questa specie di miraggio.

«Sù, non abbiamo tempo da perdere, ripartiamo.» li incito. Non è facile, li capisco, ma abbiamo il tempo contato e dobbiamo rimetterci in moto. Anche Edward è fermo davanti al negozio, e sta parlottando animatamente con Jasper, indicando col dito un paio di eleganti scarpe da uomo.

Prima di risalire Eric ci scatta alcune foto da postare sul blog. Chiedo ad Angela se ha già inviato la mail al Generale Rogers come le avevo chiesto. Lei annuisce sorridendo. Ora non mi rimane che aspettare la risposta.

Mi guardo intorno e controllo l’ambiente. Il vento è ancora fresco, ma i raggi del sole che occhieggiano nella mattina appena iniziata, promettono una giornata bella calda. Il programma di questi due giorni di permanenza nel deserto, prevede l’alternanza di quattro ore di marcia nel nulla ad alrettante di lavoro nel rifugio gonfiabile. Questo esercizio ha lo scopo di abituarci agli ambienti inospitali, in modo da allenare resistenza e spirito di squadra. Più avanti faremo altre esperienze estreme in grotta o in ambiente ghiacciato. Nelle ore che trascorreremo nel rifugio, dovremo adattarci alla condivisione di spazi minimi, e avremo l’opportunità di ascoltare le onde radio che giungono dallo spazio senza  interferenze magnetiche dovute agli insediamenti urbani.

Sarà interessante: chi lo ha già fatto mi ha anticipato che si prova una forte emozione ascoltando i “suoni dell’universo”.

«Sei pronta, capo?»

Il primo esercizio della giornata è una marcia a due componenti, in cui uno è bendato e deve percorrere il cammino seguendo le indicazioni del compagno che lo precede di qualche passo e lo guida col suono della voce.

E’ una prova che mira ad aumentare la fiducia del componente bendato, e il senso di responsabilità in quello che lo guida.

Ho estratto a sorte le coppie. Io sono capitata con Jacob, che mi guiderà nella mia camminata cieca.

«Certo, partiamo.»

Tolgo dallo zaino la benda da mettere sugli occhi, pronta ad iniziare. Edward si è leggermente allontanato e mi  guarda contrito. Avrebbe voluto fare coppia con me, lo so, ma io ho preferito lasciare al caso la scelta. Non voglio incorrere nell’errore di creare coppie professionalmente statiche. A lui è capitato Tyler; ed il  broncio che mi sta dedicando, mi dimostra tutto il suo disappunto.

«Okay, allora ascoltami: dobbiamo andare in direzione nord, quindi devi mantenere il contatto dei raggi del sole sul lato destro del tuo corpo», mi suggerisce Jacob con voce ferma e sicura. «Per buona parte del percorso avrai il terreno in piano, con una vegetazione di tipo arboreo non superiore ai venti centimetri».

Sorrido, la sua precisione mi faciliterà l’avanzamento.

Dal canto mio, non potendo usare la vista, dovrò concentrarmi sull’udito e sul tatto.

Metro dopo metro, mi rilasso e ascolto il ritmo dei passi della mia guida: sincronizzo i miei con i suoi, perdendo appena il tempo nel momento in cui mi segnala una asperità improvvisa del terreno.

Sono sudata ma eccitata.

Avevo già fatto  questo tipo di esercizio, ma con partner più maldestri e mi erano capitati anche lievi incidenti. Con Jake sembra andare tutto liscio. E’ veramente bravo. Forse la concentrazione che ci sta mettendo è un modo di ringraziarmi per essere corsa in suo aiuto mentre lottava coll’alligatore. O forse è solo una dote naturale…

«Come va? Sei stanca?» mi chiede, dopo un paio d'ore di cammino.

«Siamo quasi arrivati al punto in cui dovremo invertire la direzione, ma se vuoi possiamo fare una sosta.»

«No, per me possiamo proseguire. Dammi solo il tempo di bere un sorso d’acqua». Sgancio dalla cintura la borraccia termica facendo attenzione a non lasciar cadere il tappo mentre lo svito.

Mentre bevo, il sudore mi cola sulla fronte. Il sole si sta alzando inesorabilmente, scaldando l’aria intorno. Nel silenzio della fermata, colgo in lontananza il flebile suono metallico dell’elica di un elicottero che si mescola con il  ronzio delle mosche e il  frinire delle cicale.

Ascolto ancora analizzando il suono,  che si avvicina, sempre più evidente.

«C’è un elicottero dietro di noi, a ore cinque». Dico a Jacob.

« Dal rumore che fa, mi sembra un UH 60 BLACK HAWK, biturbina a singolo rotore», gli comunico.

Sento Jake ridere: « Sai dirmi anche di che colore è?» Scherza, con una nota d’ammirazione nella voce.
« No, ma per quello risolvo subito», rispondo.

Tolgo la benda dagli occhi, mentre il mezzo dell’esercito si abbassa vicino a noi scatenando una tempesta di polvere.

«Il Comandante Swan?»

Un militare in tenuta mimetica scende con un balzo e si avvicina salutando con rispetto.

«Il generale Rogers l’aspetta a bordo».

Seguo il soldato sorpresa, ordinando a Jacob di aspettarmi fuori.

Nella penombra del velivolo, il generale mi invita a sedermi sul sedile di fronte a lui.

«Comandante Swan, buongiorno. Ci incontriamo nei posti più impensati, dove vivono solo coyote e serpenti a sonagli», ride. « Ho ricevuto la tua richiesta di colloquio urgente ed eccomi qui… sono stato sufficientemente rapido?» Allarga le mani accondiscendente.

«Molto, Generale. Mi stupisce incontrarla così presto.»

«Ah, ma non è un caso se mi trovo qui. Ho ricevuto la tua mail mentre tornavo da Dallas e quando mi hanno detto che eri da queste parti nel deserto, sono venuto a controllare che non ti facessi catturare dai sostenitori della Lega per la sopravvivenza dei rettili» continua ridendo della sua battuta.

Riesco a concedergli solo un piccolo sorriso tirato.

« Non ci sono riusciti per gli alligatori della Florida, non credo che qui possano nuocermi granchè». Gli rispondo.

«Ah, ah. E’ quello che ho pensato anch’io mentre ti localizzavano col GPS. Allora, dimmi: di cosa volevi parlarmi?»

«Ehm, Generale, gli argomenti sono due, e sono piuttosto riservati» dico guardando il sergente di guardia all’ingresso del velivolo.

Il Generale fa un cenno con la testa e il soldato scende a terra.

«Mi hai incuriosito, Swan. Cosa c’è di così urgente in ballo?»

Mi guarda con occhi acuti e seri. Una ruga più profonda delle altre gli solca la fronte da sessantenne.

Prendo un bel respiro decidendo con quale argomento iniziare.

Edward? Sì, gli parlerò prima di lui.

Mi auguro che lasciando il tema spinoso della talpa come secondo punto, il Generale si distrarrà dalla notizia della nostra relazione.

«Ecco, volevo avvertirla, prima che lo impari dai giornali, che…» mi muore la voce prima di riuscire a finire la frase. Attendo un attimo per riprendere fiato mentre lui assume una postura d’attesa, un po’ allarmato.

«…Che?...» mi incalza.

« Che nelle ultime settimane ho una relazione sentimentale fissa». Sputo.

« Okay, non sono mica tuo padre, Swan. Dov’è il problema?» Mi chiede sospettoso.

« E’ che mi sono legata al Capitano Cullen, Signore».

Vedo le sue spalle irrigidirsi.

« Ahi.  E’ un tuo sottoposto, Swan. Non ti ho proprio insegnato niente sull’etica del comando, allora!»

Abbasso la testa, colpevole ma leggermente sollevata. Mi aspettavo che non sarebbe stato felice della notizia, ma almeno non mi sembra infuriato.

Il Generale sospira, in risposta al mio silenzio, pizzicandosi con le dita la radice del naso.

« Quanti anni hai, Isabella?»

Alzo gli occhi stupita. Non mi aspettavo questa domanda anagrafica.

« Trenta a settembre, Signore».

Sospira di nuovo. « E lui?»

« A giorni trentasette » . Rispondo.

« Capisco. Non siete più dei ragazzini, quindi è inutile che ti dica che i nostri oppositori storici ci sguazzeranno con un pettegolezzo del genere». Si passa una mano sulla fronte con aria stanca.

« La bionda, come si chiama? … La Hale, lavora ancora per te?» Chiede, brusco.

« Rosalie. Sì, Generale.»

« Bene. Allora se non vuoi trovarti contro l’opinione pubblica, ti suggerisco di spronarla a creare una campagna a vostro favore. Deve fare in modo che questo vostro fidanzamento sia l’evento dell’anno. In tutto ciò dovrà risultare un’immagine talmente romantica della missione, che le donne come mia moglie non possano smettere di piangere per settimane.»

«Sì, Signore. Faremo del nostro meglio.» Gli rispondo perplessa, ma più serena.

« C’è un secondo argomento di cui vorrei parlarle» gli annuncio seria.

« Grave? » Mi chiede corrucciato.

« Abbastanza».

« Ti ascolto». Si appoggia allo schienale della poltrona in attesa.

Nel buio del’abitacolo, i bottoni dorati della sua giacca risplendono illuminati da un solitario raggio di sole.

« Gli agenti dell’ Interpol che stanno indagando sul boicottaggio del nostro server, sono sicuri che ci sia un elemento del mio equipaggio che tradisce», sussurro.

« Ne sono sicuri? Tu sospetti di qualcuno? E il tuo boyfriend, è un elemento affidabile?»

Capisco la sua sorpresa. Sono ancora costernata anch’io. Nella foga delle domande, il Generale si è proteso verso di me. Sento l’aroma mentolato del suo dopobarba.

«Non c’è ancora la certezza. Ma l’Agente Thompson sembra molto sicuro della cosa. Io non sospetto di nessuno, Generale, ma escludo ASSOLUTAMENTE, che l’eventuale talpa possa essere il Capitano Cullen.»

Evito di dirgli che in effetti mi fido anche degli altri, altrimenti il valore delle parole spese per Edward verrebbe compromesso… sempre poi che si riesca a dimostrare che esista veramente questo fantomatico traditore.

Rimaniamo in silenzio per un po’. Nell’aria calda intorno a noi, aleggia, sospeso l'eco delle rivelazioni che gli ho appena fatto.

« Ti và di bere qualcosa, Comandante?» Mi chiede all’improvviso il Generale. « Ho del Bourbon che tengo per le situazioni critiche come queste», mi rivela strizzandomi l’occhio.

« No, grazie, Signore. Sono in servizio.»

«Okay, allora se hai concluso, ti lascio riprendere la tua passeggiata sotto il sole», mi dice storcendo il naso.

«Sì, Signore. Grazie per avermi concesso così rapidamente il suo tempo.»

Lo saluto in modo formale portando due dita al cappello e mi congedo.

****

Riprendiamo il percorso a ritroso verso il campo, variando leggermente il percorso. Jacob, bendato alle mie spalle, mi segue sbuffando per le mie continue disattenzioni. Più di una volta l’ho sentito imprecare sottovoce per aver inciampato in un ostacolo che mi ero “dimenticata” di segnalargli.

« Bella, vuoi che interrompiamo l’esercitazione?» Mi chiede con un tono fintamente gentile che assomiglia tanto ad un “Cazzo, Bella, potresti stare più attenta?”

Ha ragione, però, devo ritrovare la concentrazione.

Inspiro e stabilizzo il passo, mentre lascio vagare lo sguardo all’orizzonte.

Il sole ormai alto nel cielo appiattisce ogni prospettiva. Il caldo si sta facendo più intenso. Le colline intorno a noi, si stagliano, arse e brulle. Il volo solitario di un avvoltoio sovrasta inquietante le nostre teste.

« Cerca di non farci perdere, Capo. Lo senti anche tu l’uccellaccio che aspetta di mangiare le nostre carogne?

« Stai tranquillo, Black. Siamo già in vista del campo base.»

Finalmente arriviamo al punto di partenza. Scorgo Edward da lontano. E’ impossibile non notarlo. E’ un sogno, appoggiato alla scaletta del rifugio della Nasa, a braccia conserte.

Mentre ci avviciniamo, scorgo un sorrisetto compiaciuto  increspargli il viso. Devo essere un orrore, sudata ed impolverata, mentre lui è impeccabile nella sua divisa kaki, con la visiera del cappello calata sugli occhi. Mi accosto a lui, e lo bacio leggermente sulle labbra. Sa di fresco e di buono.

«Ciao, bentornata. Cominciavo a essere in ansia e stavo per venirvi a cercare» mi deride.

« Mi spiace che ti sia preoccupato così tanto» ironizzo, «ma sono stata trattenuta da una riunione straordinaria con Rogers».

«L’elicottero, certo. Mi chiedevo perché volasse così basso.» Il sorriso gli si spegne immediato.

« Gli hai parlato di noi? Cosa ha detto?» Mi chiede ansioso.

Vorrei tenerlo sulle spine un po’, per ripagarlo della battutina fatta al mio arrivo, ma non riesco a trattenere un sorriso.

« Vieni dentro che ti spiego». Lo prendo per mano e mi dirigo al fresco dell’interno della mia tenda.




Ed ora?  Cosa organizzerà, Rose, per Edward e Bella?  Tremo al pensiero che si possa far aiutare da Alice... Ma la nostra scienziata ha già abbastanza pensieri per conto suo per impicciarsi dei fatti degli altri...forse!
Abbiate pazienza se domenica non ci sarò con il nuovo capitolo, ma dopo essere andata a prendere all'aeroporto la mia ragazza di ritorno dall'Irlanda, mi devo dedicare al lavaggio dei suoi vestiti e alla valigia mia e del figlio piccolo che partiamo per la Germania.
Porterò dietro il quadernetto, ancora, tranquille.
Scommetto che la Foresta Nera, dove sono diretta, mi sarà veramente utile...
ancora saluti,
T

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Capitolo 29
*** Capitolo ventottesimo ***


Carissime amiche, sono qui! 

Ormai non ci credevate più, vero? Non sto a tediarvi con le mie problematiche, che  riguardano soprattutto la scarsità di tempo e  il mio pc che va e viene.

Spero che il capitolo vi piaccia, anche se l'ho dovuto scrivere a pezzi e bocconi .

Non posso garantirvi  una data precisa per il prossimo,  sempre per le suddette questioni.

Da brava professionista, (ih ih ih),proprio ierisera, ho frequentato un bel corso di approfondimento sul mio argomento di  narrazione... cosa ho fatto? 

Beh, sono andata a vedere  "Gravity" al cinema, e vi assicuro che mi ha ispirato molto. Ve lo consiglio, è adrenalina dal primo all'ultimo minuto. 

Mentre io mi perdevo nelle mie fantasie spaziali, mio marito , col suo solito spirito pragmatico, mi ha fatto notare  il forte investimento sul cast che ha fatto il produttore: solo due attori  per tutto il film... originale, veramente.

Ora concludo, abbracciandovi forte e ringraziando quelle carissime ragazze  che  hanno bussato alla mia porta per sapere se c'ero ancora: l'ho apprezzato veramente  tanto.

Baci, Teresa.

 

 

Capitolo ventottesimo

 

 

(Alice)

 

«Che te ne pare, Rose? Le ho fatte ieri sera prima di andare a dormire».

« Oh, Alice, sono veramente da sballo. Ma sono veramente opera tua... o sei passata dall’estetista?» Mi chiede guardandomi con un sopracciglio alzato.

« Ehi, ma dai!» Le rispondo leggermente offesa.

«Sai che non sono uscita, dove l’avrei trovata un’estetista?»

Non può controbattere, soprattutto dopo che le ho spiegato con dovizia di particolari, passaggio per passaggio, i vari strati di smalto che ho usato: prima bianco, poi blu notte, poi ancora azzurro cangiante, quindi  vari tocchi fuxia e gialli, e per finire una bella mano di trasparente coi brillantini. Mi ci è voluta più di un’ora... ma d’altronde, che altro avevo da fare, sola, nella mia camera?

Mi sembra convinta, e perché no, anche ammirata.

« Aspetta che le fotografo e le metto sul nostro blog, vedrai quanti followers avrà il tuo “Space Style”!»

Annuisco e continuo ad osservare orgogliosa le unghie effetto cosmo che .le ho appena mostrato. Sono splendide, è vero, e faranno un figurone con l’elegante abito lungo blu, che mi sono comprata per la serata di gala che si terrà dopo la convention di mercoledì prossimo a Boston. Peccato che qui, nel deserto, si rovineranno nel giro di poche ore. Béh,  poco male, vorrà dire che le rifarò martedì. E’ mia abitudine provare e riprovare ogni cosa in modo meticoloso: odio l’improvvisazione, anche in semplici attività come la cura delle mani.

... Però, ha ragione Rose, mi stanno proprio bene!... Chissà, se non avessi intrapreso una carriera tecnica, col fisico e il gusto che mi ritrovo, forse avrei potuto sfondare nel mondo della moda!

Esco dal mio sogno ad occhi aperti, con la consapevolezza che, il mestiere che svolgo rispecchia in pieno quello che mi è sempre piaciuto fare, e presto mi darà anche la grande opportunità di volare nello spazio: cosa che non capita certo a chiunque.

 

Sollevo lo sguardo e lo lascio  scorrere sui colleghi al mio fianco.

Sono seduta vicino alla mia bionda amica ed ad Angela, al tavolo da riunioni, nella fresca penombra della struttura da campo della NASA. Di fronte a noi Mike e Tyler stanno parlando dell’esercitazione appena conclusa: mi sembra che discutano di sistemi di orientamento, ma ciò che  cattura effettivamente la mia attenzione è  un riferimento a Cullen.

«… E’ che mi sembra che se ne approfitti, che voglia fare il superuomo... non che non sia bravo, intendimi, ma il fatto di essersi messo col Comandante, non gli dà il diritto di tirarsela così tanto...», Tyler sta borbottando sottovoce, ma non credo di essermi sbagliata. Mi volto verso le ragazze, che però sono intente a controllare un non so cosa sul tablet di Angela. Alla mia sinistra, Jasper, comodamente affondato nella sedia a capotavola, si rigira pensieroso una mela nella mano mentre osserva la scena. Capto al volo un suo sguardo complice. Anche lui, quindi, ha sentito il commento di Crowley. Me lo indica con un cenno del capo e una smorfia sulle labbra. Sbuffo e, a  gesti, gli faccio capire che sono indispettita da ciò che ho sentito e vorrei prendere provvedimenti. Sia Mike che Tyler fanno parte del mio team scientifico: comprendo che possano sentirsi un po’ invidiosi della popolarità  dei  piloti, ma a tutto c’è un limite.

Jasper sorride e scuote silenziosamente il capo. “Lascia perdere, non ne vale la pena...” mi stanno dicendo i suoi occhi. Poi sfrega la mela, lucidandola sui pantaloni della tuta, e la porta lento alla bocca.

Mmh, guarda come la morde. La visione mi toglie il respiro. Un fremito mi corre lungo la schiena e non riesco a togliere lo sguardo da lui.

Chissà se si rende conto di quanto sia sexy  quel gesto.

Lo schiocco deciso del boccone, mi riporta  alla realtà.  

E’ sempre stato così malizioso? Non ricordo di averlo mai notato.

Per scacciare  il momento d’imbarazzo, allungo una mano e prendo anch’io una mela dal cestino colmo posto sul tavolo.

« Buona?» Gli chiedo con disinvoltura.

« Buo-ni-ssima ». Risponde fissandomi divertito.

Mi sembra o non sta parlando della mela? Scuoto la testa e, lusingata dal velato complimento, mi alzo fuggendo alla ricerca di Bella che mi pare di aver sentito rientrare, finalmente, dalla spedizione nel deserto.

E’ molto in ritardo, tutti gli altri gruppi sono tornati da più di un’ora.

Mi piacerebbe lasciarle un attimo di respiro, ma non c’è tempo, dobbiamo parlare del programma di lavoro a Houston che purtroppo, tra intoppi e cambi di programma, sta sommando ritardi mostruosi.

La trovo poco oltre il recinto del campo, vicino alla parabola ricevente, intenta in una fitta discussione con Cullen.

Certo che se  continuano ad appartarsi così, non possono pretendere che nessuno parli di loro!

Mi schiarisco la voce, per segnalare la mia presenza.

« Disturbo?» Domando con un sorriso.

Due visi sorpresi, si voltano verso di me, imbarazzati dietro le lenti scure.

Si rilassano, alla mia vista, ma mi rimane l’impressione di aver interrotto qualcosa di importante.

« Scusate, tutto ok?» Azzardo.

« Sì, va tutto benissimo ». Risponde Bella con un gran sorriso. Si volta verso Edward e con una leggera carezza sul braccio si congeda da lui: « Continuiamo il discorso più tardi ».

Edward non risponde, ma le regala un sorriso talmente splendente da far sciogliere i ghiacciai millenari.

Ci incamminiamo, io e lei, verso la tenda principale. I nostri passi risuonano sordi sul suolo duro coperto da un leggero strato di polvere rossastra che si alza in dense nuvolette.

« Oddio, Bella. Quando siete insieme, tu ed Edward emanate una carica sessuale da porno divi! » Rido, mimando una esagerata eccitazione.

«Addirittura! Secondo me sei solo invidiosa. Ma in effetti sì, le cose tra noi vanno alla grande, non posso lamentarmi. Ora, poi, che ho anche la benedizione di Rogers…  potrei voler di più dalla vita?» Ghigna con una punta di ironia nella voce.

«Lo hai informato? E quando?»

«Poco fa, mentre ero con Jake nel deserto. Mi ha raggiunta a bordo di un elicottero».

Annuisco. L’ho visto sorvolare i dintorni. Ecco cosa ci faceva il Black Hawk da queste parti.

« E quindi…? » La incalzo.

«E quindi, cosa? »

Se c’è un difetto di Bella che mi ha sempre fatto incazzare a morte, è la sua reticenza a raccontare di sé stessa.

« Cosa ti ha detto! » Sbuffo, spazientita di dover insistere così tanto.

«Sintetizzando, suggerisce di creare alla nostra coppia una immagine mediatica romantica, che faccia impazzire l’opinione pubblica… Giusto per pararci il culo, dice lui». Replica procedendo a passo spedito.

 

 

(Bella)

 

 

Mentre camminiamo sotto il sole splendente, sento Alice borbottare, inquieta.

«Ah, penso che il Generale, abbia ragione» sospira. « E..., non fraintendermi, sono felicissima per voi, ma tutto questo fermento amoroso, messo in bella mostra, rallenterà ancora di più i tempi della nostra spedizione. E sai anche tu che siamo tremendamente in ritardo.» Mi agita sotto il naso un ditino ben curato, continuando la sua filippica.

« Vedi, sono sicura che Rose suggerirà di inserire la vostra prima uscita ufficiale all’interno del convegno a Boston. Così anche tu ed Edward dovrete venire con noi e il lavoro sulla Calypso verrà sospeso di nuovo.»

Cerco di inserirmi nel suo monologo, ma mi zittisce senza pietà. E’ nervosa a causa mia, e ne sono veramente dispiaciuta. Le cingo le spalle con un braccio in un moto d’affetto. Siamo amiche da tanto tempo e nessun problema è mai riuscito ad allontanarci. Spero ardentemente che non succeda ora.

«Aahhh, ma non devi pensare che questo mi colga impreparata, sai» continua, «ho già trovato una soluzione: non saremo presenti per un paio di giorni a metà della settimana prossima? Bene, lavoreremo questo week end, e forse anche quello dopo.»

Wow, questo sì che è prendere decisioni alla svelta!

«Okay, se gli altri saranno d’accordo, … ma non posso costringere nessuno a lavorare nei giorni festivi, lo sai. » Le dico mentre valuto al volo pro e contro della sua proposta.

«Bene. A questo punto non ci resta che andare a parlare con Rose».

Alice si divincola, cambia direzione bruscamente e mi trascina, tirandomi per un gomito, verso il laboratorio mobile.

****

 

« Mmh, voi la fate facile», ci dice Rose controllando il planning del viaggio muovendo agile le dita sullo schermo touch del suo tablet.

Seduti vicino a lei, ci sono anche Angela, Eric ed Emmett.

«Ma, se già era stato difficile trovare le camere quando le ho prenotate, ora a pochi giorni all’evento, ci vorrà un miracolo perché ne sia rimasta una libera per te e per Edward.»

« Eddai, come sei esagerata, si tratta solo di una in più, no?» Risponde Alice strizzandomi l’occhio.

«Ahhhh, ecco. Perché non ci sono arrivata da sola?» Sbotta esasperata Rose alzando occhi e braccia al cielo. «Avresti ragione, cara la mia spiritosa, se non fosse che nel distretto del MIT, nello stesso periodo, si tiene una fiera-mercato di numismatica che richiama visitatori da tutto il mondo». Scandisce lenta, in modo che la notizia venga recepita da noi in tutta la sua drammaticità.

«Io però potrei risolvere il problema andando a dormire dai miei, e…» si volta verso un McCarty assorto nei suoi pensieri, «sarebbe un’ottima occasione per farti conoscere la mia famiglia, se mi accompagni ».

Lui sgrana leggermente gli occhi, sorpreso.

«Eh, no baby, io non faccio parte del pacchetto vacanza.» Dice alzando le mani come per scusarsi delle sue parole. Il sorriso che gli illuminava il viso si gela per un attimo in una smorfia, ma torna subito ad essere la solita meravigliosa parata di denti bianchissimi e perfettamente allineati.

«Ma… sarebbe un onore, per me Rose, credimi.» Poi si abbassa e le sussurra qualcosa all’orecchio, ed esce dalla stanza sogghignando.

 Lei scuote la testa e quando si volta verso Alice, ha gli occhi lucidi  e un gran sorriso stampato sul volto.

«Ok, faremo così: io e TE andremo  a casa dai miei, mentre Bella ed Edward occuperanno la nostra stanza dell’hotel. Ma che sia chiaro: mia madre dovrà rimanere allo scuro di tutto fino all’ultimo, altrimenti ci troveremo invischiate in estenuanti pranzi con tutti i parenti!»

«Promesso», replica allegra Alice battendo le mani, «Non vedo l’ora di rivedere tua madre, ed essere informata sui pettegolezzi di Boston degli ultimi anni. Ma adesso scusateci, io e Bella dobbiamo tornare al lavoro».

Mi alzo e la seguo, mentre Rose, Eric e Angela si tuffano a capofitto in una discussione sulle modifiche del programma già organizzato.

Durante lo spostamento, rimugino sulla frase sfuggita dalla labbra di Rose poco prima. Con un calcio, colpisco sovrappensiero un sasso sulla mia strada, che atterra con un tonfo sordo alcuni metri più avanti.

Mmhh, mi spiace proprio, ma Emmett deve rimanere a Houston. In assenza mia e di Alice, è l’ufficiale più in alto in grado.

Alice mi lancia uno sguardo comprensivo mentre scosta la tela della tenda principale. «Lo sa anche lei, tranquilla», mi rassicura quasi come se mi avesse letto nel pensiero.

 

****

 

Sono le otto di sera, la notte ha già preso il posto del giorno, e finalmente non sto più soffocando dal caldo. Proprio non si potrebbe resistere in questa landa infuocata in piena estate, e ringrazio di nuovo i colleghi degli uffici centrali della NASA che,  stranamente, sono stati così gentili da consigliarci di anticipare la nostra trasferta.

Mi trovo all’interno nel laboratorio astronomico, dove i condizionatori mantengono  computer e macchinari a temperatura costante. L’aria fresca dal leggero odore di eucalipto del disinfettante per i filtri, mi ghiaccia il sudore sulla pelle e mi fa rabbrividire. Mi tolgo la giacca umida della mimetica e indosso quella che mi sono portata dietro. Rimpiango di non aver avuto il tempo di fare una doccia, ma ho prenotato il collegamento via satellite con La Stazione Spaziale Internazionale per le 20.15 e mi devo affrettare. Sfilo, infine, anche l’auricolare del telefono che, ormai, mi si era fuso all’orecchio: oggi credo che solo mia madre si sia dimenticata di chiamarmi, e di questo la ringrazio. 

 Sto aspettando che Edward finisca di registrare i risultati delle visite mediche post esercitazione. E’ il nostro turno di lavoro  e tra i vari test che dobbiamo completare, ce n’è uno un po’ speciale che ho tenuto da parte proprio da fare con lui.

Dovrebbe arrivare a momenti…

Inganno l’attesa digitando sulla tastiera la serie infinita di numeri e lettere che corrispondono alle coordinate dell’ISS che in questi giorni sta orbitando sul nostro emisfero. Dopo qualche attimo gli ingranaggi meccanici della gigantesca parabola, che si erge nel recinto dell’osservatorio, ruotano  posizionandola  nel punto esatto del quadrante del cielo che ho impostato, pronta a ricevere. Un display a led azzurri mi avverte che la trasmissione sarà operativa tra poco meno di cinque minuti…

Su Edward, sbrigati…

Lo “suiss…” ovattato della porta pneumatica, mi annuncia il suo ingresso.

Con un sospiro di sollievo ascolto i suoi passi che si avvicinano, leggeri.  Come sempre il mio fisico risponde alla sua presenza: è come se ogni terminale nervoso periferico si espandesse, e condividesse con lui parte della sua energia, ottenendo il risultato di farmi sentire più… leggera. E più in simbiosi.

Mi appoggia le mani sulle spalle e il viso all’altezza dell’orecchio.

«Scusa» sussurra, « Sono molto in ritardo?»

«No, per fortuna». Non sono arrabbiata e non cerco nemmeno di far finta. Con un sorriso dolce sulle labbra, si sposta al mio fianco.

Gli lancio, languida, un’occhiata: la tenue luminescenza bluastra che schiarisce l’ambiente, non altera la sua mascolina bellezza.

«Preparati, mancano due minuti all’apertura del segnale. Sul foglio che hai davanti, ci sono le coordinate dei settori stellari che ci ha spedito il telescopio Hubble.»

«Okay, Comandante. Ma non c’è nemmeno il tempo per un bacio veloce?» Il suo viso si incupisce, ma gli leggo una nota scherzosa.

Mi scappa una risatina: è così tenero con quel suo finto broncio!

«Per quello il tempo lo si trova sempre».

Lo colgo di sorpresa afferrandolo per il bavero della giacca,  lo tiro verso di me, e gli stampo un rapido bacio a labbra chiuse. Pochi secondi dopo sono di nuovo al mio posto, di fronte alla console. Con la coda dell’occhio lo vedo che mi fissa con un’espressione stupefatta.

«Wow, Bella, sei una vera romanticona».

Sghignazzo mentre lo invito a concentrarsi sullo schermo. Un insistente bip bip ci segnala l’inizio della connessione con lo spazio.

«Dal quadrante Beta 4, spostati di 32 gradi verso il quadrante Gamma» gli ordino.

Siamo all’ultimo esercizio del programma di orientamento astronomico. Sono molto soddisfatta. Edward si è dimostrato acuto anche nell’utilizzo delle coordinate stellari. Verrà il momento in cui ci concentreremo principalmente sulla navigazione, ma per ora va bene così.

Mi sento più rilassata, ma ho freddo e sono stanca. Prima, però, di concludere questa interminabile giornata, mi è rimasta un’ultima cosa da fare. E’ un piccolo esperimento,  che dovrebbe ricompensarci di tanti  sacrifici.

Estraggo dalla tasca dei pantaloni una copia della mail che mi è arrivata alcuni giorni fa dai colleghi del Goddar Space Flight Center del Maryland. Si tratta di una ricerca sulle stelle antiche, risalenti al periodo del Big Bang.

«Abbiamo ancora dieci minuti di collegamento coll’ ISS. Ti andrebbe di sentire i suoni dell’universo?» Gli chiedo abbracciandolo con trasporto.

«Mmh, e cosa sarebbe, una specie di musica NewAge?» Mi risponde ricambiando la stretta.

«No, assomiglia di più al canto delle balene» sussurro mentre ad occhi chiusi mi gusto il suo contatto. Lui si abbassa e mi bacia, leggero e dolcissimo. Il cuore mi batte così forte che sento il rimbombo nelle orecchie.

«Oh sì, amore,  e non vedo l’ora di essere con te lassù, tra le stelle».

I suoi occhi brillano commossi, assurdamente incolori in questa luce da acquario. Mi ipnotizzano. Con fatica  riprendo il controllo dei miei arti  e attivo un selettore sulla pulsantiera al mio fianco, ma sarei tentata di lasciar perdere tutto per buttarmi a capofitto su di lui.

Il fatto è che non ho controllato: c’è un sistema di chiusura interna, in questa stanza?

 

 

 

 

 

 


Finito. Spero non siate rimaste troppo deluse dal fatto che ho troncato un possibile momento hot... ma non potevo andare oltre, ci avrei messo altre tre settimane a postare, altrimenti. 

I suoni dell'universo li ho veramente, ve li metto la prossima volta, come pure il pezzo hot... è un po' che i due piccioncini non ci fanno sognare...

Ora vi lascio sul serio. Buona settimana,

T

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo Ventinovesimo ***


capitoli

Carissime amiche, sono ancora tra Voi e questo Vi sorprenderà molto!

Ormai la pubblicazione settimanale è un mesto ricordo... non so come facessi prima, ma ora di sicuro non riesco a tenere il ritmo.

Vi chiedo scusa, di cuore.

Siamo vicine a Natale, e ci tenevo a farVi i miei più sentiti auguri. Vi regalo un capitolo spero abbastanza corposo, dalle immagini interessanti, e un pensierino in più tutto per voi appassionate di questo Fandom.

Lo trovate in fondo al capitolo, in anteprima per le mie assidue lettrici.

Vi ringrazio di esserci sempre, Buone Feste a Voi ed alle Vostre famiglie.

Baci, Teresa. P.S:Aggiunta dell'ultimo minuto, care amiche: ho scritto una OS natalizia, semplice e  di poche pretese, ma con tanto calore "festaiolo". Perchè non andate a farci un salto?  Almeno le immagini non vi deluderanno di certo.

Una notte davvero straordinaria

Capitolo ventinovesimo

 

(Alice)

 

Guardo in alto godendomi, il fresco della sera. Milioni di stelle risplendono nel cielo nero come la pece, luminose e colorate come non le avevo mai viste. Il buio assoluto del deserto, così straordinariamente profondo, rende la volta celeste quasi raggiungibile alzando una mano, e mi sento una minuscola formica nell’universo.

Se mi concentro e mi dimentico di essere ancora sulla Terra, posso benissimo immaginarmi già immersa nello spazio.

Uno spontaneo giramento di testa, forse una vertigine, mi conferma quanto questa sensazione sembri reale. Ma ritorno presto coi piedi ben piantati sul mio pianeta d’origine quando, alle mie spalle, capto una serie di passi silenziosi che si avvicinano.

«Fermo dove sei, straniero: ti avverto che sono armata».

Sono all’interno del campo militare. E’ grande, sì, ma è recintato. Questa precauzione tiene fuori dai piedi curiosi ed animali selvatici, ed io so di potermi godere la solitudine notturna in tutta sicurezza.

«Non sono uno straniero, e tu non sei armata, dolcezza.» Le parole e la risata sommessa di Jasper mi colgono piacevolmente di sorpresa.

Cosa ci fa qui, a quest’ora?

«Potrei stupirti. Fossi in te non rischierei». Gli rispondo secca, facendo finta di non averlo riconosciuto.

«No, non credo che tu voglia privare la missione di un elemento cardine come me», mi stuzzica rispondendo per le rime.

«Bah, siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile, sotto questo cielo.» Mi giro verso di lui, allargando le braccia.

Mi piace battibeccare con lui, anche se non riesco a non stupirmi di questa improvvisa giocosità. Nelle ultime settimane ci siamo diplomaticamente ignorati, e ormai mi ci ero abituata.

O almeno così mi sembrava.

Sorrido tra me e me a questo cambio di programma: volevo starmene un po’ in pace a sbollire lo stress e la fatica della trasferta, nella assoluta immobilità della notte texana. Ma ora è arrivato lui.

La sua sagoma scura si muove venendomi incontro ulteriormente. Distinguo a malapena il bianco del suo sorriso, tra i lineamenti appena accennati. E’ una strana sensazione, quella che provo mentre lo percepisco vicino, un misto di eccitazione fisica e di atavica paura dell’uomo nero.

«Alice. Sono io, Jasper.» Mi dice con voce cauta. La mano, con cui stava per toccarmi, gli rimane a mezz’aria.

«Si, certo, ti avevo riconosciuto». Gli rispondo sicura, anche se intuisco che abbia percepito il sussulto che ho avuto al suo gesto.

«Bene. Perché sono venuto ad ammirare  questo spettacolo insieme a te.» Sussurra continuando il movimento della mano per rimettermi una immaginaria ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il suo indice scende delicato verso il collo ed io non posso fare a meno di socchiudere gli occhi, mentre mi gusto il brivido a fior di pelle che mi provoca. Respiro profondamente. Sento odore di cardi selvatici e di lui. I suoi occhi, sempre più vicini,  ora brillano maliziosi nel tenue riflesso delle stelle. Non so ancora cosa abbia in mente, ma nel mio profondo spero che sia intenzionato a spegnere l’incendio dei sensi che mi sta causando.

«Sai, oggi mentre ti osservavo, mi sono reso conto che non abbiamo mai l’occasione di scambiare due parole insieme». Sussurra.

E’ vero, ma preferisco non dire niente, aspettando che arrivi al succo del suo discorso.

«Sei così cambiata da come ti ricordavo. Ora sei una donna forte e sicura di te, e il potere che emani è così… eccitante.» Si abbassa e mi appoggia le labbra sul viso e lo percorre di piccoli baci. «E mi chiedevo se,  come sta capitando a me, non ti pesi mai essere single.»

Il suo respiro sulla mia pelle è come benzina sul fuoco. Le mie mani  si avventano sulle sue braccia, attirandolo a me e ogni pensiero razionale si sconnette per lasciare il posto al desiderio.

«A volte sì. Ma molti uomini sono intimoriti dai miei modi ruvidi.»

«Perché per mia fortuna sono degli smidollati» ansima, mentre estrae con movimenti decisi la mia camicia dai pantaloni. Insinua, poi, le mani calde sotto la stoffa accarezzandomi la schiena e io mi perdo al loro tocco. Percepisco appena che ci stiamo spostando di qualche passo sulla sinistra. Mi aggrappo a lui mentre mi sento trascinare verso il basso. Si è seduto su una roccia, facendomi cadere sulle sue ginocchia.

«Maggiore Brandon, ti chiedo il permesso di sfilarti i pantaloni e di prenderti, qui, su questa pietra». La sua voce è un solo un sussurro roco, ma il mio corpo risponde, come ad uno squillo di tromba. Il cuore mi balza in gola e una scarica di adrenalina mi corre dalla testa ai piedi, causandomi un violento capogiro.

Con la bocca asciutta e la mente confusa dalla sorpresa, cerco di impostare una risposta coerente. Sento dentro di me esplodere la stessa sua urgenza.

«Permesso… accordato. Capitano… » balbetto fiondandomi sulle sue labbra.

Oddio! In tutto questo buio, il calore della sua pelle che si propaga sulla mia, mi sconvolge. Una inaspettata frenesia mi invade, e mentre ancora sono indaffarata con le sue labbra mi affretto, con le dita impacciate dall’emozione, a slacciare i bottoni della sua camicia. Sotto a quella trovo una dannata maglietta, che mi impegno, ostinatamente, ad estrarre dalla cintura dei pantaloni.

Jasper mi fa alzare e con una risatina armeggia veloce con i suoi indumenti, per poi dedicarsi ai miei. Mi apre il bottone e la zip dei calzoni, e infilando i pollici sotto il tessuto, me li cala velocemente insieme agli slip. Barcollo eccitata dal gesto e dal colpo d’aria fresca che mi colpisce la pelle nuda delle gambe.

«Tieni indosso la camicia, piccola. Non si sa mai che capiti qualcuno da queste parti.»

Annuisco, distratta, perchè in questo momento non me ne importa proprio nulla di eventuali girovaghi guardoni. Sono troppo impegnata a fremere e sospirare al tocco delle sue mani sul mio seno scoperto.

Mmh… e che dire poi, di quella lingua che mi sta esplorando l’orecchio?

Mi mordo forte il labbro inferiore, cercando di trattenere la supplica che mi martella nella testa: presto, Jasper, ti prego. Non resisto più…

Mentre penso di essere ad un passo dallo svenire per la tensione, sento un rumore di plastica che si stappa. Le sue mani non sono più su di me, ed io sono costretta ad aggrapparmi alle sue spalle per non cadere all’indietro a causa della  debolezza che mi ha colto.

Lo sento armeggiare tra me e lui e inguainare con un preservativo, l’erezione che, fino a pochi attimi fa, pulsava tentatrice sul mio pube. Le sue dita si insinuano tra le mie gambe esplorando il punto che ormai freme per l’attesa.

«Sei pronta, scricciolo? Oh, sì, che lo sei…» Lo sento dire con una punta di estasi nella voce.

«Mmh, ahh…» gli rispondo solo mentre mi riempie lento. Rimaniamo un attimo immobili, senza respiro, prima di iniziare la nostra danza lenitiva. Ad ogni colpo se ne va un po’ di stanchezza. Ad ogni sussulto la mente diventa più leggera. Strizzo gli occhi mentre l’intensità del fuoco dentro di me cresce. Le stelle del cielo turbinano dietro le mie palpebre serrate al ritmo dei nostri sospiri. Gocce di sudore mi imperlano la fronte mentre con le dita sento che anche i suoi capelli si inumidiscono per lo sforzo. Ci muoviamo veloci, sempre di più. Finchè tutto diventa troppo intenso, quasi doloroso. Jasper esplode, con un ringhio soffocato sul mio collo, e io lo seguo esaltata dalla carnalità della sua eccitazione.

E poi tutto si placa, tranne i respiri, che sembrano sfondarci le gabbie toraciche. Scivoliamo senza forze sul terreno. Io mi accascio sul suo petto che sussulta vistosamente.

«Ahi, mi sono graffiato il sedere », mi dice sbuffando.

Rido, rido di gusto.  E’ una risata catartica. Mi sento in pace col mondo e assolutamente incapace di riprendere il controllo del mio corpo.

«Dobbiamo rientrare, prima che ci diano per dispersi» gli comunico quando finalmente riacquisto un minimo di lucidità. Ho ancora le orecchie che mi fischiano, e la sensazione di levitare staccata dal corpo. Evito di interrogarmi sul significato di quanto è successo. E’ stato magnifico, punto. Non sento il cuore palpitare d’amore, ma sono così appagata che metterei in agenda un altro di questi incontri, a breve. Mi rivesto faticosamente. Mi chino, e prima di andarmene, gli prendo il mento tra le dita e gli appoggio un lieve bacio sulle labbra.

«Sei veramente matto, Jaz. Aspetta qualche minuto prima di rientrare.» Le sue labbra, sulle mie, si stirano in un sorriso.

 

(Edward)

 

Fermo davanti allo specchio incorniciato d’oro, cerco di sistemarmi questo maledetto cravattino che non vuole proprio saperne di stare dritto. Sono molto tentato di chiedere aiuto a Bella, che nella stanza da bagno dell’Hotel Marriott di Boston, sta finendo di truccarsi.

Ma devo riuscirci da solo, cazzo, l’ho fatto per più di vent’anni, ed ora, che sto per ritrovarmi “ufficialmente” fidanzato, sono diventato già così dipendente? Sorrido alla mia immagine riflessa.

La giornata di oggi, è stata solo un assaggio, del gioco mediatico che ci aspetta stasera. Tutto si è svolto come da programma: Rose aveva previsto la presenza in sala di più di cinquecento persone, e mi pare di aver sentito dire che ce ne fossero anche di più. Cameramen con telecamera in spalla, si aggiravano tra i presenti per carpire ogni espressione. Con Bella eravamo d’accordo che ci saremmo seduti vicini, ma che avremmo mantenuto un contegno formale.

Ora in questa lussuosa camera, mi chiedo se sono pronto per quello che stiamo per fare. Al pian terreno, nella splendida sala da ricevimenti, ci aspetteranno,  oltre ai Media, anche i miei genitori e quelli di Bella, per annunciare il nostro fidanzamento al mondo intero. Nemmeno fossimo rampolli di non so quale stirpe regale!

Sono nervoso. E il fatto che questa, non sia nemmeno la mia prima volta, non aiuta.

E se qualcuno chiedesse se abbiamo intenzione di sposarci? Come potrei far capire a Bella che non mi sento ancora pronto per ripetere un passo così importante, senza offenderla? Non ne abbiamo mai parlato… ma Cristo Santo, ci conosciamo ancora da così poco tempo… Mi torna alla memoria, però, quel breve momento quella sera in cui eravamo di guardia all’osservatorio nel deserto texano. Sarà stata l’atmosfera romantica, o l’eccitazione fanciullesca di Bella, ma ho sentito una comunione così forte della mia anima con la sua che mi sono quasi commosso. 

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=eDYc_ot_P08

Il suo entusiasmo per la registrazione che mi stava facendo sentire, andava ben oltre il suono stridente che sentivo, tanto che ricordo di aver pensato che la vita avesse molto più senso se vissuta insieme a lei.

Mentre ripenso con affetto a quella sera, un tocco deciso alla porta mi distrae. Apro e dall’altra parte mi trovo, sorprendentemente, uno sconosciuto moro, sulla trentina, elegante in un perfetto abito scuro a doppio petto. Lo guardo con una palese curiosità, che mi viene apertamente ricambiata.

«Buonasera. Cerca qualcuno?» Gli chiedo formale. Lo sconosciuto mi fissa un istante di troppo in silenzio. A pelle mi sembra una persona eccessivamente sicura di sé, e questo mi irrita.

 «Effettivamente, sì. Cerco la signorina Hale. Posso chiederle con chi ho l’onore di parlare?» Lo sconosciuto ha una voce profonda, ma tagliente. La mia irritazione cresce.

«Sono il Capitano Cullen. Se sta cercando Rose, la trova nella sala ricevimenti.» L’uomo guarda dubbioso me e il numero d’ottone appeso alla porta, ma decide di non replicare e con un sorriso falso mi saluta e si dirige verso l’ascensore.

Con un’alzata di spalle chiudo la porta e mi dirigo verso il bagno, deciso a dimenticarmi immediatamente dell’intruso.

«Chi era, Ed?» Bella sta cercando di agganciare lo scollo dello stupendo abito  di velluto rosso che avevo visto appeso all’armadio fino a qualche minuto prima… Mmh, non avevo notato che le lasciasse completamente scoperta la schiena…

«Solo un tizio che cercava Rose. Ti aiuto?» Le bacio il collo, e per distrarmi dal fatto che mi sento già surriscaldato dalla visione la guardo riflessa nello specchio. Ha due leggere occhiaie, che il fondotinta non è riuscito a nascondere del tutto.

«Sì, grazie. Mi eviteresti una distorsione del gomito, mentre cerco di abbottonare questo stupido vestito». Sospira e mi sorride con aria stanca.

«Lavori troppo, sai?» Affermo, mentre infilo il bottone gioiello nell’asola, attento a non impigliarmi nei capelli che le ricadono sciolti sulla schiena nuda.

«Sì, lo so. Ma non posso farci niente», sbuffa.

All’improvviso si interrompe sgranando  gli occhi.

 «Però mi spiace di non essere in perfetta forma. Stasera mi presenterai ai tuoi, e avrei voluto fare bella figura.»

Rido, veramente divertito dalla sua rivelazione.

E’ davvero questo quello che la preoccupa? Non l’ho mai vista insicura mentre affrontava generali e subalterni. E non mi pare che abbia titubato un secondo, nei racconti che ho ascoltato, quando ha salvato Jake dall’alligatore… Quindi ora trema al pensiero di conoscere una comune coppia alla soglia della pensione? Scuoto la testa allibito.

«Stai tranquilla, Bella, non potranno che amarti.» La rassicuro.

«Anzi, pensandoci bene, loro saranno ancora più preoccupati di te. In fin dei conti stanno per conoscere un Comandante della NASA.»

Non ci avevo ancora riflettuto, ma credo che questa mia intuizione sia giusta.

Bella è un personaggio importante, e credo che loro, ancora più di me, se ne stiano rendendo conto.

«Ah, grazie. Così mi fai veramente coraggio», risponde indispettita dalla mia risata.

«Visto che hai nominato il lavoro, non ti ho ancora chiesto che cosa ne pensi del sistema di guida automatico che monteremo sulla Calypso…  mi sembra che i ragazzi abbiano imparato bene il suo funzionamento.»

«Mh, sì. Non c’è dubbio, Jasper e Jake sono stati chiari ed esaurienti, nella loro spiegazione, ma hanno avuto tutto il tempo per prepararsi.» Rispondo imbronciato. «Gli altri, poi, in questi giorni si potranno esercitare con calma. Al nostro ritorno, io sarò il più impreparato, e questo non mi piacerà per niente.» Brontolo. «Per non parlare del fatto, che Met non farà che ricordarmelo prendendomi in giro in ogni occasione.» Bella si gira verso di me e mi prende il viso tra le sue mani fredde: è davvero molto agitata poveretta. Penso accantonando il momentaneo malumore.

«Di questo non ti devi preoccupare assolutamente. Sono sicura che saprai metterti in pari, senza che ti debba impartire lezioni supplementari. Che tralaltro sarei più che disposta a darti.» Mi dice mentre mi guarda maliziosa.

«Ok. Vedremo. Ma sono lieto di sentire che sei così sicura  delle mie capacità». La bacio con un tocco leggero, per non rovinarle il trucco. E’ ora di andare. Mi piacerebbe che riuscissimo ad incontrare le nostre famiglie, prima dell’arrivo di tutti gli altri invitati. Ma prima di uscire, devo assolvere ad un ultimo compito. Da un angolo nascosto della mia valigia estraggo una scatola di raso avorio di discrete dimensioni. So che non è la persona giusta a cui regalare un solitario, non potrebbe mai portarlo, in servizio. Ma diamine, è sempre il nostro fidanzamento! Gliel’allungo titubante. Spero che apprezzi il contenuto. Dopo essermi  consultato con Alice ho scelto abbinarmi al vestito di stasera. Bella guarda la scatola enigmatica. Ha sicuramente notato che le dimensioni non sono quelle classiche di un porta anello.

«Non dovevi…» Obbietta. Le apro la confezione a scatto, e le mostro il contenuto. All’interno della scatola ci sono tre bracciali rigidi in oro, smalto e zirconi. A mio avviso belli. Spero che piacciano anche a lei. Bella non sa dove guardare: passa lo sguardo da me ai bracciali, ripetutamente, emozionata.

«Oddio!» Esclama. «Sono magnifici.» Ha gli occhi lucidi, ed un sorriso radioso che mi riempie d’orgoglio maschile. Se li infila con cura nel polso sinistro, momentaneamente libero dall’onnipresente orologio. Poi lo alza e se li rimira facendoli scivolare su e giù per il braccio.

Felice le porgo il mio, galantemente. Bella si appoggia con un sospiro ed usciamo.

 

(Alec)

 

La pazienza è da sempre la mia migliore alleata.

Se fossi stato una persona istintiva, non sarei mai diventato uno dei migliori avvocati di Boston. Perciò, aspetto che Rose esca dalla sua stanza, nascosto in un corridoio laterale. Ho una buona visuale della porta, non può sfuggirmi. L’uomo che mi ha aperto, prima, deve essere quello fotografato con lei a San Francisco. Mi ha detto che non c’è. Ma non mi fido.

Non l’ho riconosciuto, in effetti, ma nell’immagine di scarsa qualità,  l’uomo era di profilo.

Giocherello col cinturino dell’orologio per ingannare il tempo. Controllo per l’ennesima volta, il rigonfiamento della tasca destra della giacca: ok, la scatoletta della gioielleria è sempre al suo posto. Ripasso il discorsetto che mi sono preparato per quando “casualmente” ci incontreremo. Non potrà resistermi. Non ci riesce nessuna.

Mi guardo intorno annoiato: quattro porte con numero dispari… tre con numero pari. Ecco che la sua si apre. Spunta per primo il tizio in abito scuro. Poi la intravedo, inguainata in un fiammante abito rosso. E’ sulla soglia ma torna dentro. Forse ha dimenticato la borsa. Sorrido, sempre troppo distratta la mia Rose!

Peccato che ci sia con lei quel gorilla in smoking: devo inventarmi qualcosa per togliermelo dai piedi. Eccola che spunta di nuovo, finalmente. Esce in tutto il suo splendore.

Ho un sussulto. Non è lei.

Eppure quella camera è registrata a suo nome.

E’ la sua amica, Isabella Swan, quella con la quale non ho mai avuto feeling; la stessa che ora comanda la squadra della NASA per cui lavora Rose.

Il suo accompagnatore digita il codice di sicurezza nel tastierino elettronico e si chiude la porta alle spalle, poi porge il braccio alla dama e si avviano verso l’ascensore.

Avevo supposto che l’uomo mi stesse mentendo, a proposito di Rose, ma a questo punto mi devo ricredere.

Aspetto ancora un paio di minuti e mi dirigo verso  lo stesso ascensore.

Avrei preferito incontrarla in un luogo appartato come questo, ma poco male. In mezzo alla gente sarà ancora più facile isolarla da un possibile compagno, e portare a termine il mio piano.

Raddrizzo le spalle, sorrido, e mi preparo al bagno di folla.

 Spero che vi sia piaciuto. Il momento hot è stato di Alice e Jasper, non di Bella ed Edward... deluse? In compenso gli auguri ve li faccio portare dal nostro ex vampiro preferito...

sognatelo.

T


 

PS: come avrete potuto capire, la passione per la grafica non mi ha abbandonato assolutamente. Anzi,  in questo periodo mi ci sono dedicata moltissimo.

Andate a vedere i banner che ho creato, tra gli altri, per la mia cara amica Gaccia. Oltre alle storie, che sono sempre molto interessanti da leggere, ci troverete un sacco di opere mie. (Abbiate la pazienza di scorrere più capitoli, perchè è talmente ispiratrice, che le ho fatto un sacco di banner diversi per ogni storia... e lei li ha messi sempre tutti!)

http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=122907

XXX

 

 

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Capitolo 31
*** extra: visita guidata ai miei banner AGGIORNAMENTO ***


introduzione

Attenzione: questo inserto extra è UN AGGIORNAMENTO DEL PRECEDENTE. E' in uscita doppia insieme al capitolo 29. Se volete seguire THE CREW, quindi,  ed eravate arrivate al capitolo 28, sappiate che potreste averlo saltato.   


Come promesso eccovi una carrellata dei miei lavori grafici.
Vi sarete certo accorte, che non sono una "scrittrice molto prolifica, anche se  negli ultimi tempi mi sono iscritta a tre contest, (quindi nei prossimi mesi avrete in uscita, oltre a THE CREW, tre mie OS nuove).

 La stessa cosa non si può dire della mia produzione di immagini: è sicuramente varia e abbondante... poi, sulla qualità, giudicherete voi.


I miei lavori sono abbinati a storie che stavo, (e sto!), leggendo.

Io ve le consiglio caldamente.

L'ordine è alfabetico e il link vi porterà direttamente al capitolo in cui compare per la prima volta la mia immagine.
Vi esorto però a leggerle dal primo capitolo, naturalmente.

"A.A.A. offresi diciottenne verginello- no tardone"  di  gaccia 


"It started out whit a kiss how did it end up like this? " Di Annabells, (in fondo)


"La bambina di cristallo"  di Foldr


"Lo sport preferito di Edward Cullen"  di Moon1977



"Non ti ricordi di me?" di SummerGiada



"Planetes"  di  MartaAka97 

 

"Se ami la vita, la vita ricambia il tuo amore"  di Foldr


"The return of the sun"  di Denny Cullen


  

"The wedding affair" di Moon 1977

 


"V per Vendetta"  di Jaymes

"Vita e misteri nella città degli angelidi Ledycullen


7mi Hunger Games della pace  di Gaccia  (Scorrete i capitoli, ce ne sono veramente tanti)

 

Fidanzato in prova  di Gaccia  (son tre diversi)

 

La punizione di Scorpius Malfoy  di Gaccia    (sono due)

 

Sapore di Caffè   di Morane 18

Man mano che ne verranno pubblicati altri, ve lo segnalerò.

Fatemi sapere cosa ne pensate.

Baci

Teresa





 

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Capitolo 32
*** Capitolo Trentesimo ***


cap 30
Care amiche, eccomi più in ritardo che mai. Sono stata a Boston, e a New York, (e in tanti altri posti carini come Salem, la città delle streghe), come vi avevo anticipato, ma sono tornata già da tempo. E' che in queste settimane piovose ho sofferto di mal di testa, e potete immaginare come questo dolore mal si coniugasse con la scrittura.
per rincuorarvi vi annuncio che il prossimo capitolo è già in lavorazione e, se sono fortunata che rimarrà bel tempo, mi auguro che il mal di testa da cervicale di cui soffro, non si farà vivo per un bel po' permettendomi di finirlo in tempi decenti.
Mi fermo qui ringraziandovi per la pazienza che mi dimostrate. Siete andate a vedere i 40 e passa banner che ho fatto per la storia di Gaccia I 7mi Hungher games della pace? Fatemi sapere se ho sudato per qualcosa!
Vi mando un grosso bacio, buona lettura,
Teresa







Capitolo trentesimo

 

(Rose)

Lorde -  Tennis court

«Cosa hai detto, Met? Puoi ripetere per favore? C’è un baccano d’inferno in questa sala, non riesco a sentire niente.»

Sto praticamente urlando al ricevitore. Un invitato in smoking mi guarda critico passando, io gli sorrido imbarazzata ma poi riporto l’attenzione al mio biondo texano. Sospiro mentre mi ripete, scandendo, la frase che mi ero persa.

«Ho solo detto che mi manchi e che non vedo l’ora che sia domani sera per poterti baciare… mmh, Rose, guarda che ti voglio indosso il meraviglioso vestito che hai in questo momento.»

Rido, compiaciuta, del suo tono malizioso.

«Come fai a sapere che è bello se non l’hai nemmeno visto?» Lo stuzzico.

«Se è su di te, sono certo che sia una favola.» Per qualche secondo tace, tanto che temo che sia caduta la linea. Poi riprende roco: «Veramente non vedo l’ora di togliertelo, quel vestito. Oh Rose, torna presto e… non divertirti troppo.»

«Puoi stare tranquillo. Qui l’età media è oltre i cinquanta, in più c’è solo gente noiosa» sussurro con una mano davanti al microfono per non farmi sentire.

Sono l’organizzatrice del party, quindi so che gli invitati fanno parte  dell’alta società del New England: liberi professionisti, dipendenti del Ministero della Difesa, politici: tutta gente di buona famiglia, danarosa e, per la maggior parte,… bianca.

Salutato Emmett, mi mescolo tra di loro per controllare che la serata proceda bene. Ma tra gli uomini in abito da sera mi sembra di riconoscerne uno che non avrei voluto vedere. E’ solo un’impressione, mi dico, perché la persona in questione non è stata volutamente inserita nell’elenco. L’uomo, invece, si volta e non ho più dubbi: si tratta proprio di Alec il mio ex. Cerco con lo sguardo una via di fuga, qualcuno con cui iniziare una conversazione, ma le persone che ho intorno sono tutte impegnate a parlare tra di loro. Con disinvoltura abbasso lo sguardo sul telefono che ho ancora in mano e mentre mi fingo concentrata nel riporlo nella pochette, con scioltezza cambio direzione. Tutto inutile, la sua voce mi ferma sul mio cammino.­­

«Rosalie, tesoro, che bello rivederti.»

«Oh, Alec, che sorpresa. Non sapevo che ci saresti stato anche tu.» Gli rispondo atteggiandomi in un sorriso di circostanza. Lui alza un sopracciglio stupito, ma si ricompone  subito sorvolando sulla mia accoglienza formale.

«Beh, questa serata è anche in tuo onore, mia cara, e gli amici sono tenuti a dimostrarti tutto il loro affetto presentandosi a questa festa. Parlavo giusto un attimo fa con tua madre, di quanto ci rendi orgogliosi dello splendido lavoro che stai facendo col Governo: veramente Rose, sono ammirato. Sono convinto che potresti sfruttare bene gli agganci che ti sei creata, qui tra la gente che conta.» Mentre mi parla mi sorride e, prendendomi sottobraccio, mi conduce verso il tavolo del bar.

«Vieni prendiamoci un bicchiere di champagne. Voglio brindare alla ragazza più carina e brillante di questa serata.»

 

(Edward)

Passenger- let her go

 

«Cosa è successo, mio Dio… cosa ho fatto?» Mi lamento mentre mi sostengo con le mani al lavabo del bagno degli uomini, col fiato rotto come dopo  una lunga corsa. Avvilito, mi guardo allo specchio: occhi sgranati, guance rosse, capelli sconvolti.

Come posso avere permesso che succedesse un casino così?

Eppure mi consideravo una persona matura. Invece è bastato uno stupido scambio di vedute e tutta la mia sicurezza è andata a puttane.

Cerco di rielaborare i fatti incriminati, per capire perchè sono scivolato così maldestramente.

La serata era iniziata sotto i migliori auspici. Bella era incantevole e felice nel suo splendido abito rosso. Aveva accettato commossa il mio regalo, che esibiva con compiacimento muovendo il polso.

Avevamo raggiunto gli ospiti e sorriso ad un fiume di persone che si complimentavano per il nostro fidanzamento. Io e Bella eravamo felici in quel momento, non c’erano ombre su di noi. Poi avevamo brindato con le nostre famiglie, che erano state invitate in gran fretta proprio per l’annuncio.

«Signori Swan, sono onorato di conoscervi.» Avevo detto con convinzione stringendo la mano prima alla madre, poi al padre di Bella. Lei aveva fatto lo stesso con i miei, e li avevamo presentati tra di loro. Tutto era tranquillo, tutti sorridevano. Poi non so bene da chi fosse iniziato il discorso, ma mi sono accorto che qualcuno stava pronunciando le parole “errore”… e “colpo di testa”.

«Non vorrei essere fraintesa, ma siamo sicuri che vostra figlia sia la donna giusta per Edward?» Stava dicendo mia madre ai genitori di Bella. «Lui ha una brillante carriera avviata a San Francisco, e mandarla in fumo trasferendosi chissà dove con una donna appena conosciuta, mi sembra avventato.»

…Coosa? «Scusa mamma, ma cosa stai dicendo?» Le avevo chiesto confuso.

«Che dovrai trasferirti in una base dell’esercito qualsiasi nel momento in cui sposerai Isabella, tesoro.» Mi aveva detto con compassione.

«Mamma io non intendo sposarla.» Mi era uscito dalle labbra. Mi ero voltato subito verso Bella, che si era gelata al mio braccio. Aveva le pupille dilatate ed il sorriso teso. «Vero Bella? Non ne abbiamo ancora parlato: non per ora…»

«Certo. E’ vero signora: è successo tutto molto in fretta, e forti pressioni  esterne hanno contribuito ad accelerare ulteriormente i tempi della nostra unione.» Era disinvolta, mentre lo diceva. La sua mano, però, aveva allentato la presa e quasi non toccava più il mio braccio.

«Quindi stai con lui per convenienza?» L’aveva accusata suo padre alzando il tono di voce.

«No, certo che no, ci amiamo… vero Edward?» Bella aveva cercato appoggio nel mio sguardo,  poi aveva continuato guardando i miei genitori, «…e vi posso assicurare che anch’io non ho mai pensato al matrimonio.»

«Beh, sono più tranquilla, ora che so che non stai commettendo un errore.» Aveva sospirato mia madre sorridendomi.

«Perché, scusi, riterrebbe mia figlia un errore?» Aveva replicato la madre di Bella, piccata.

«Per carità, ne ho una gran stima professionale. Ma vede, Edward tende a buttarsi a capofitto nelle relazioni. Per poi pentirsene…  e non vorrei che ripetesse l’errore che ha già commesso in passato.» A quel punto Bella aveva sbuffato sonoramente, aveva salutato composta i miei e aveva allontanato i suoi genitori con la scusa di dover presentar loro alcuni ospiti.

«Oddio, ma ti senti quando parli, mamma?» Avevo ringhiato una volta rimasto solo con loro. «Mi hai fatto passare per un povero inetto. Io AMO veramente Bella, ma il fatto di essere un suo sottoposto, complica le cose. Non ti ci mettere pure tu per favore. …Adesso scusate, ma devo sistemare questo casino. Spero che Bella non sia troppo arrabbiata con me.»

Sulla strada mi ero rifugiato  un attimo in bagno per cercare di riacquistare un briciolo di lucidità,  sciacquandomi il viso con un po’ d’acqua fresca. Sarei  stato meglio se fossi stato travolto da un autobus.

 

****

Esco quindi dal bagno deciso a riconquistare la fiducia di Bella. Devo farle capire che è tutto un gran malinteso: io non sono assolutamente uno sprovveduto e la amo così tanto, da non riuscire più a fare a meno di lei.

Sì, glielo devo dire subito, prima che rimugini troppo e decida di non volermi più. Questo pensiero mi procura una dolorosa fitta allo stomaco.

Appena fuori dalla porta, però, mi scontro con Jasper. Sembra molto agitato.

«Edward, hai visto Rose?»

«Ero nella toilette degli uomini, se non lo hai notato.» Gli rispondo sarcastico, un po’ scocciato perché mi sta facendo perdere tempo prezioso.

Lui non sembra farci caso, anzi continua scrutandomi con i suoi occhi chiari sgranati. «Non la trovo. E’ più di un’ora che nessuno la vede, sembra svanita nel nulla.»

«Mah, sarà con Alice o con qualche vecchia conoscenza.» Replico disinteressato mentre mi guardo in giro in cerca di Bella.

«No, anche lei la sta cercando e non risponde neppure al telefono.»

«Magari è tornata a casa perché aveva mal di testa.» Gli suggerisco.

«Senza dire niente a noi, o a nostra madre? E poi non ha preso l’auto, né chiamato un taxi…» Capisco dal suo tono che è realmente preoccupato. Quindi smetto di guardarmi intorno e gli concedo tutta la mia attenzione.

In quel momento si avvicina Alice, seguita a ruota da Bella.

«Avete notizie?» Chiede la seconda con voce secca. Gli altri due sono troppo concentrati dalla sparizione di Rose per notarlo, ma io mi accorgo di come stia evitando di incrociare il mio sguardo.

«No, purtroppo.» Le risponde Jasper e ripete loro quello che aveva appena detto a me.

«Cerchiamo di stare calmi» dico prendendo la parola, « provate a ricordare quando e con chi, l’avete vista l’ultima volta.»

«Io l’ho vista verso le dieci. Stava parlando con il suo ex.» Risponde Alice.

«Chi O’Neill, l’avvocato?» Domanda Jasper sorpreso.

«Quel tipo non mi è mai andato a genio, troppo… untuoso. Jasper hai detto che Rose non risponde alle chiamate, ma il telefono ti è sembrato acceso?» Gli chiede Bella col suo tono professionale.

«Sì, suona libero e dopo una decina di squilli parte la segreteria telefonica, perché?»

«Perché potremmo intercettare il segnale GPS» Gli risponde con un sorriso. Poi estrae il suo Smartphone dalla borsetta, digita un numero e resta in attesa. «Speriamo che risponda», la sento borbottare sottovoce. «Jessica, sono io. Scusa l’orario ma  dovresti correre alla Base  e collegarti col satellite per localizzare il telefono di Rose… Ah, riesci anche col tuo computer a casa? Perfetto, potresti farlo subito per favore? Sì, non risponde da un po'... sì, anche noi ci auguriamo non le sia successo nulla. Aspetto in linea». Passano pochi interminabili minuti, mentre siamo tutti lì in attesa di una possibile traccia. Bella finalmente si illumina e si rivolge a Jasper col telefono ancora all’orecchio.

«Quindi Rose si trova  in città, precisamente nella zona del Waterfront. Grazie Jessica mi segno le coordinate, sei stata grande, come solito.» Le dice Bella chiudendo la comunicazione.

«Andiamo io e Jasper  a cercarla, voi rimanere qui con gli ospiti.» Annuncio convinto.

Bella è pronta a replicare, ma Alice la precede dandomi ragione. Prima d’uscire abbraccio stretta la mia ragazza cercando di mettere nel mio gesto tutto l’amore che riesco. Lei si scioglie un poco e mi regala un sorriso. Meno male, penso, mentre un forte senso di sollievo mi allevia il nodo allo stomaco.

Insieme a Jasper corro verso il parcheggio sotterraneo dell’Hotel. Nella guardiola il custode ci guarda sorpreso, mentre ci allunga solerte le chiavi dell’auto. Per  fortuna il Suburban Chevrolet che avevamo noleggiato è parcheggiato  poco lontano. Mi dirigo verso lo sportello dell’autista, e con un balzo salgo nel comodo abitacolo rivestito di pelle nera e radica. 

In men che non si dica siamo immersi nel traffico notturno di Boston.

A  Jasper ho delegato il ruolo di navigatore: è comprensibilmente preoccupato e per questo ho preferito guidare io anche se ci troviamo nella sua città. Lui, seduto affianco a me, si sfrega nervosamente il palmo delle mani sui pantaloni come se soffrisse di un forte prurito ed immagino che non veda l’ora di sfogare la sua rabbia repressa sul naso dell’idiota che ha rapito sua sorella.

Oh, lo farei anch’io se fossi al suo posto.

A quest’ora per strada il traffico non è molto intenso, incontriamo soprattutto sgargianti taxi gialli che, come terrestri comete, saettano tra il marrone  degli edifici di pietra di questa città. Più in alto i grattacieli moderni, abilmente ricoperti di vetro fumè, si armonizzano con le costruzioni più antiche  riflettendo le luci dorate dei lampioni stradali contribuendo a rendere l’atmosfera cittadina di una eleganza un po’ retrò.

 

«Ecco Edward: una volta imboccato il ponte dovrai tenerti sulla corsia di sinistra ed uscire sulla 93 Sud», mi sta dicendo Jasper indicandomi la direzione col braccio.

Pur essendo concentrato nella guida, riesco comunque 

ad ammirare la struttura in ferro che mi sovrasta che risplende di fasci di luce arcobaleno, campata dopo campata.

Se solo fosse una situazione meno drammatica, sarebbe bellissimo essere qui con Bella, rifletto con rimpianto.

«Attento: al prossimo svincolo volta ancora a sinistra poi immettiti sul lungomare lentamente, perché siamo arrivati.» Faccio di nuovo come dice ma, svoltato l’angolo, mi ritrovo la strada sbarrata da due auto della polizia. Accostiamo e scendiamo per proseguire a piedi e mentre ci avviciniamo ci accorgiamo che numerosi agenti in divisa vanno e vengono dall’edificio verso cui siamo diretti. Acceleriamo il passo come se a entrambi fosse venuto lo stesso pensiero: o Signore fa che non sia successo nulla a Rose. Stiamo per chiedere informazioni, quando vediamo spuntare altri due agenti che trattengono un riottoso uomo in abito da sera. Il soggetto si divincola mentre i due poliziotti lo tengono ben saldo per le braccia e lo trascinano verso un’autopattuglia. Ho come un flashback e rivedo il tizio che poche ore fa aveva bussato alla porta della mia camera chiedendo di Rosalie. Jasper conferma i miei sospetti scattando verso di lui.

«Brutto stronzo, dov’è finita Rose?» Gli grida cercando di raggiungerlo. Un agente gli si para davanti e lo blocca con malagrazia chiedendogli i documenti. Mi arresto all’istante per non fare la stessa fine e mentre rifletto su come comportarmi, dall’edificio spunta Rose accompagnata da un ennesimo poliziotto.

«Rose!» E’ il grido di sollievo che esce contemporaneamente dalla mia bocca e da quella di Jasper.  La ragazza è palesemente sollevata nel vederci, ma sembra in buona salute. E’ lei che viene verso di noi, e si butta tra le braccia del fratello.

«Oh, Jasper, grazie di essere venuto in mio soccorso. E grazie anche a te, Edward.» Mi sorride dalla spalla di Jasper che la sta letteralmente stritolando. Poi, mentre prende gli ultimi accordi con gli agenti per la denuncia da fare alla Centrale, ci spiega di aver chiamato soccorso  dalla toilette dei locali dove quell’uomo l’aveva condotta.

«E’ stato veramente brutto. Credo che Alec sia completamente fuori di testa.»

Ci siamo seduti durante il tragitto verso la macchina, su una umida panchina di legno, per ascoltare il racconto surreale di Rose.

«L’ho seguito qui sperando che assecondandolo si calmasse. Voleva assolutamente che vedessi il nuovo ufficio che mi aveva fatto preparare nel suo studio e non c’era verso di convincerlo che stasera non era il momento giusto: aveva alzato la voce, alcuni ospiti del party si erano già voltati verso di noi scandalizzati. Una volta arrivati qui, ho visto che nella stanza c’era un tavolo apparecchiato per due con tanto di candele accese. Sul piatto era appoggiata una busta con un nuovo contratto di lavoro per me con affianco un astuccio contenente un gioiello tempestato di diamanti. A quel punto ho capito che dovevo fermare le sue fantasie, perché vedevo il suo sguardo farsi sempre più esaltato.» Rose si interrompe un momento e rimane muta a fissare lo skyline.

«Quando gli ho detto che non avevo intenzione di recidere il contratto con la Nasa, è esploso. Mi ha accusato di aver tradito la sua fiducia, e di essere una sporca arrampicatrice sociale… Oh è stato terribile. Dopo mi si è avvicinato e ha incominciato a toccarmi… ecco lì mi è preso il panico, sono corsa in bagno, mi sono chiusa dentro e ho chiamato il 911.» Rose si stringe meglio nella giacca che le ha prestato Jasper, che la stringe a sé sciorinando maledizioni verso il porco aggressore.

Mi intrometto dolcemente. «Non vorrei mettervi fretta, ma dobbiamo chiamare le ragazze e dire loro che stai bene, saranno preoccupatissime. Come pure tua madre, ed Emmett  che a Houston è incazzato nero con il mondo per non essere stato con te quando avevi bisogno .»

La vedo sospirare stanca. «Certo, poi devo ancora andare in centrale per la denuncia.»

«Facciamo che io chiamo Alice e Bella mentre tu parli con Met»,  le suggerisco mentre ci avviciniamo all’auto. Sono sollevato che anche l’emergenza Rose sia superata, perché non vedo l’ora di parlare con Bella.

Questa è ora la mia priorità. Mi allontano da loro, e mentre digito il suo nome nella rubrica, rivolgo una muta preghiera verso il cielo  sperando  nell’esistenza di un Santo  che protegga le coppie in balia del vento come noi.

 Eccomi qui, spero che non siate deluse. C'è stato un piccolo colpo di scena al party, ve lo aspettavate? Nel prossimo capitolo rimarremo ancora un poco a Boston, città magnifica che ho adorato, e che vorrei raccontarvi  meglio.

poi torniamo a costruire il nostro razzo spaziale e daremo una smossa alla storia, ferma da un po'.

Bacioni,

T

 

 

 


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Capitolo 33
*** Capitolo Trentunesimo ***


cap 30
Care amiche, Ci sono riuscita, finalmente. Sembra che di sera mi prenda un attacco di sonnolenza  tale che accendere il computer diventa un affare di stato. Detto questo, che suona  alle mie orecchie come l'ennesima giustificazione, continuo a perorare la mia causa avvertendovi che, come anticipato, l'azione si svolge ancora a Boston, il giorno dopo la funesta serata che ha visto Edward e Bella aggrediti dai genitori e Rose rapita dal suo ex Alec, ricordate?Vi avverto che le immagini che l'accompagnano vengono proprio dal mio viaggio negli States (ecco perchè anche se nella storia siamo in marzo troverete gli alberi molto spogli e la gente con piumini e berrettoni).
Ora vi lascio ringraziandovi di cuore per la pazienza che mi dimostrate,( ed anche della fedeltà, perchè siete ancora veramente tante).
Il mio pensiero corre a quelle carissime amiche che mi lasciano sempre un commento, ma anche a quelle che silenziosamente mi seguono: grazie, grazie, grazie.
A tutte buona lettura, e Buona Pasqua.

Teresa

 

Capitolo trentunesimo

 

(Bella)

 

E’ lo scatto della serratura della porta che interrompe il mio dormiveglia. Apro gli occhi quel tanto che basta per rendermi conto che, ai lati delle pesanti tende, filtra un pallido bagliore che rischiara appena le tenebre. Saranno forse passate tre ore da quando ho salutato Alice dopo che, finalmente, anche gli ultimi ospiti della serata se ne erano andati. 

Li richiudo e resto in attesa di sentire il movimento del materasso mentre accoglie il corpo di Edward. Nella calma della camera, lo sbuffo delle lenzuola che si alzano, diffonde nell'aria un profumo fresco di docciaschiuma che mi solletica le narici. Io resto immobile, voltata sul fianco opposto. Non sono in collera con Edward, è che non so bene come comportarmi dopo quello che è successo ieri sera. Decido di aspettare, quindi, che sia lui a fare la prima mossa.

Da sotto le coperte, dopo un attimo forse di indecisione, Edward si avvicina, mi abbraccia e appoggia la guancia sui miei capelli. «Bella… » Il mio nome bisbigliato esce dalle sue labbra come un lamento. Immediatamente la tensione accumulata si allenta e tutto ritrova la giusta dimensione. Mi volto senza indugio nel suo abbraccio e mi stringo forte a lui. Mi è mancato da morire, ma sento che in questo momento ogni parola sarebbe di troppo.

«Sshh,  è tutto a posto. Dormi, amore…» Gli cerco le labbra con le mie e vi appoggio un bacio delicato assaporando la pace ritrovata sulla sua bocca fresca  e invitante Edward con un sospiro profondo ricambia la mia stretta, con una forza tale da farmi scricchiolare le costole. Mi manca per un attimo il fiato, ma non lo allontano: preferisco un paio di ossa rotte al freddo che sentivo nel letto senza di lui. Ed è così che presto mi addormento cullata dal suo respiro e dal ritmo regolare dei nostri cuori.

Sono circa le otto del mattino quando mi muovo, silenziosa, per la camera. Le ultime ore trascorse tra le braccia di Edward mi sono bastate a farmi sentire riposata e pronta ad affrontare la nuova giornata. Lui è ancora lì tra le coltri, completamente abbandonato al sonno. E’ così bello e indifeso in questo momento, da farmi dimenticare, se mai l’avessi avuto, ogni pensiero bellicoso. Perché  ho realizzato che la tragicommedia di ieri sera è è stata causata dal fatto che non avevamo avuto l'occasione di incontrare i nostri genitori  precedentemente in modo da informarli di  ciò che ci stava succedendo.

…“Devi comprenderli, hanno solo reagito di conseguenza agli imput ricevuti”… Mi aveva spiegato Alice con una lucidità invidiabile, vista l'ora così tarda, mentre insieme aspettavamo, nervose, notizie di Rose.

“...La questione centrale è, aveva continuato, se TU ti fidi di Edward”. Poteva sembrare una considerazione semplice, ma era stata fatta col tono che usa il Maggiore Brandon quando si rivolge al Comandante Swan. Quindi il messaggio che avevo letto tra le righe è che dovevo liberare la mente dalle paturnie femminili e usare il mio intuito professionale.

Ma ora, ripensandoci, mi viene da ridere, anche solo all’idea di provare a trattare in modo “professionale” l’adone abbronzato e dai capelli divinamente arruffati, che giace come morto nel mio letto.

Happy -Pharrell Williams

Ecco però che il cerchio si chiude. In questo momento della mia vita, non posso scindere l’aspetto privato da quello lavorativo. E quindi se risulta fondamentale aver fiducia nella  squadra, Edward,facendone parte, merita lo stesso trattamento: innocente… fino a prova contraria.

Un desiderio a cui non riesco a resistere, mi attrae verso di lui. Mi avvicino silenziosa  al letto coricandomi al suo fianco.  Con i polpastrelli gli percorro delicata la schiena nuda cosciente che il brivido che gli sto procurando sottopelle arriverà a svegliarlo. E’ questo il mio fine… e  anche il nuovo inizio. Edward si sveglia cercando di mettere a fuoco la situazione. Nel suo sguardo ancora torbido di sonno vedo spuntare la mia stessa passione. E’ l’invito che stavo aspettando. Abbandono i miei pensieri per fondere il mio cuore col suo, e mi sciolgo nel magma incandescente dei nostri sensi, per plasmarmi con lui in una una  materia nuova che nulla abbia  a che fare con quella  di ieri.

****

Tra i vari impegni  della mattina, devo annoverare, purtroppo, anche una visita al Distretto di Polizia che ha soccorso Rose. Durante una conversazione telefonica mi è stata comunicata  l’apertura di una procedura per appropriazione di segreti militari, verso il suo ex.

Il farabutto, oltre ad aver commesso una bella lista di reati contro la persona, è stato beccato ad essersi insinuato nella nostra rete informatica. Dalla polizia stessa ho saputo che il soggetto controllava da tempo il computer di Rose e che, quindi ,oltre alla denuncia per stalking e tentata aggressione, avrei dovuto in qualità di rappresentante della parte lesa, sottoscrivere il  fermo per spionaggio, in attesa che il Pentagono mettesse tutto nelle mani della FBI.

Ma una volta chiusa  questa sgradevole faccenda, che comunque mette finalmente chiarezza sui misteriosi disguidi informatici che ci erano successi, sono intenzionata a trascorrere serenamente con Edward le ultime ore che ci rimangono  nella città dove ho trascorso i miei anni di college.  


****

 

«Quindi sono stata chiara, Garrett? Il Capitano Morris del Nono Distretto di Polizia di Boston ti aspetta per aggiornarti sul materiale trovato nel computer di O’Neill.» Pronunciare quel nome mi provoca sempre un po’ di disgusto, sia per come ha trattato Rose, sia per lo squallido tentativo di spionaggio a nostro danno. Ma se voglio essere sincera, è talmente tanto il sollievo che sto provando per aver riconsolidato il mio rapporto con Edward e per lo scampato pericolo della mia amica, che mi sento quasi euforica e fatico non poco a concentrarmi sul mio interlocutore e sugli aspetti burocratici che devo portare a termine prima della mia partenza.

«Mmh, mi aspettavo un po’ più di entusiasmo da parte tua, o almeno che ammettessi che avevo ragione quando ti dicevo di stare in campana», si lamenta lui al telefono, «ma tu non ci sarai oggi pomeriggio quando arrivo?» Sento un leggero accenno di delusione della sua voce.

«Oh no,  il nostro volo per Houston parte alle 16.00, e  dobbiamo tornare subito al lavoro, abbiamo perso fin troppo tempo.» Gli spiego. «Quello che era di mia competenza l’ho fatto. Ho firmato un mucchio di scartoffie, e ho pure partecipato ad un penosissimo riconoscimento insieme a Rose… fidati se non ci fossero stati i poliziotti, avrei volentieri spaccato la faccia a quel coglione di persona.»

«Uhm, quindi il “coglione”  ha rischiato grosso. Ho sentito dire che sei una tosta» replica lui ghignando.

«Non so se sono poi così tosta, ma di solito giro armata e questo, credimi, basta a dissuadere la maggior parte dei balordi.»

«Ahi, mi sbaglio o leggo un avvertimento tra le righe?»

«”Male non fare paura non avere”… diceva mia nonna. Ti saluto, Garrett. Mi aspetto di ricevere un rapporto ufficiale dall’FBI a caso concluso.»

«Ok, ci rivedremo presto, Swan. Perché ti ricordo che i tuoi guai non sono finiti qui, hai ancora una serpe in seno…»

«No, io preferisco credere che sia tutto finito qui.» Lo interrompo.

«Pensala come vuoi, ma fai attenzione, perché io SONO sicuro di quello che dico. Ciao Comandante.»

«Buona giornata, Garrett.»

 

(Edward)

Sono quasi le tredici quando arrivo in Beacon Street a bordo del bus numero centotre della Gray Line,  diretto in downtown. E’ un mezzo, di dubbio gusto, decorato a fitte colonnine in finto stile retrò. Sembra una  brutta copia su ruote dei giocattoli di latta degli anni cinquanta, ma mi ricorda anche lo stile dei battelli fluviali di NewOrleans, o forse dovrebbe assomigliare al cable car della mia adorata Frisco? Scendo ancora dubbioso e raggiungo in quattro falcate il  Common Park, dove ho appuntamento con Bella. Dalla tasca dei pantaloni mi arriva il familiare trillo del cellulare. Questa è stata una mattinata da manicomio. Prima Emmett, poi Jessica, e pure Angela. L’eco delle notizie partito da Boston ha provocato uno Tsunami in Texas. Sono arrivato davanti al grande cancello in ferro battuto che recinta il parco, e mentre armeggio per rispondere alla chiamata senza perdere il passo e senza che mi sfugga il telefono di mano, chiedo distrattamente indicazioni alla prima persona che incontro.

«Scusi, saprebbe indicarmi come arrivare al Frog Pound?» E al telefono: «Eccomi Met… sì tutto a posto… se ti dico che Rose è okay devi fidarti… No non fare cazzate, aspettaci lì al Residence, arriviamo in serata.» Solo in quel momento alzo gli occhi per dar retta all’uomo che, pazientemente, sta rispondendo alla mia domanda. Lo strambo  soggetto è in abito settecentesco, con tanto di palandrana e tricorno in testa, e sta sorseggiando una bevanda energetica da una lattina, mentre mi guarda e se la ride.

LUI sta ridendo di me?

Alzo le sopracciglia attonito. Per risposta l’uomo venuto dal passato alza la mano che regge la bevanda e mi indica il sentiero principale che attraversa il parco. Diligentemente e senza indugio seguo il suo consiglio mentre torno a concentrarmi sullo sfogo isterico del mio collega ed amico.

«Non sono tranquillo, Cullen,  sono qui dalla parte opposta dello Stato e non posso essere d’aiuto…Lei mi dice che sta bene, suo fratello che è tutto sotto controllo… e tu li copri. Bell’amico sei.  »

«Senti piantala. Se tutti ti dicono che la situazione è risolta, fattene una ragione…o pensi che stiamo giocando a “racconta una balla a Met”

Mentre cammino e lo ascolto brontolare poco convinto, ammiro gli ampi prati verdi, leggermente collinari, che si estendono a perdita d’occhio e su cui pasciuti scoiattoli, dalla lunga coda pelosa, si rincorrono indisturbati. Il tepore della mattinata ha fatto sì che il luogo si sia riempito di turisti alla ricerca di un ombroso riparo dal sole, ma anche di  studenti che, con un libro appoggiato sulle gambe, trascorrono la pausa pranzo seduti sotto un albero.
Capisco perché sia un posto così apprezzato: oltre ad essere il parco pubblico più antico degli Stati Uniti, Bella mi ha detto che è un ottimo punto per iniziare una rapida visita alla città. 

Bella! 

Spero vivamente di non essere in ritardo. Non mi piace l’idea di fare aspettare nessuno, men che meno lei.

Arrivo nel posto prestabilito. E’ una grande vasca d’acqua, in cui galleggiano  fiori di loto e ninfee  e un paio di curiose sculture in bronzo raffiguranti due ranocchie sedute in relax.

La percepisco ancor prima di vederla. Spunta allegra e profumata al mio fianco.

«Ehi, ciao. E’ molto che sei qui?» Mi dice. Mi sembra allegra e spensierata, come mi piacerebbe che fosse sempre, ma come, invece, raramente le capita.

«Ehi», le rispondo abbracciandola con trasporto, « è andata bene la mattinata, vedo.»

«Mmhh, sì, se bene significa che mi è venuto male al polso a furia di firmare documenti, che ho dovuto vedere anche quel pezzo di merda di O’Neill, e che mi sono dovuta sorbire un riepilogo del codice di procedura sulla sicurezza da parte dell’FBI… allora direi che è tutto okay.» Bella mi strizza un occhio e ricambia il mio abbraccio stringendomi a sé. «E’ che ho deciso di non rovinare queste poche ore che ci rimangono prima di partire. Sei nella città in cui io e Alice abbiamo trascorso i nostri anni di gioventù, non sei curioso di vederla? Dai vieni, per le cose serie avremo tempo una volta tornati alla Base.

Come faccio a resistere ad una proposta del genere? E’ vero che mi ero reso conto che Bella aveva superato l’imbarazzante serata già dal calore che mi aveva riservato al mio risveglio, ma credevo che ne avremmo dovuto parlare ancora. Ma io non sono certo masochista, quindi se lei preferisce voltare pagina, io sono d’accordo.

Usciamo dal parco tenendoci per mano. Bella mi invita a seguirla mentre con attenzione attraversa la strada dove ci aspetta, come mi spiega, l’inizio del percorso storico. Il centro di Boston è sorprendente anche per uno come me abituato a città dall’aspetto originale come San Francisco. Il divertimento sta nel seguire il Freedom Trail, il sentiero di mattoni rossi che si dipana, marciapiede 
                              
                           dopo marciapiede, tra i grattacieli rivestiti di marmo marrone, che  come giganteschi  funghi affiancano antiche chiese ,  edifici storici,  cimiteri, risalenti alla guerra d’indipendenza dal dominio inglese.

L'atmosfera è molto toccante. Sapere che da qui i nostri bis-bis- bisnonni  di fine settecento fondarono le basi del nostro grande paese mi rende fiero di essere americano. Strattono Bella, attirandola a me, e la bacio proprio nel punto esatto in cui gli undici patrioti bostoniani vennero massacrati dai soldati inglesi scatenando                                                           l’insurrezione dell’intera colonia.

 «Ehi, Cullen, hai intenzione di mangiarmi?» Ansima lei guardandomi con gli occhi lucidi. Annuisco in silenzio incapace di proferire parola.

«Pazienta ancora un minuto, che siamo praticamente arrivati.»
Bella riprende la marcia trascinandomi quasi a peso morto. Io sarei rimasto lì, nel crocevia più bello del mondo.

                                               Voltato l’angolo ci troviamo in una piazza dove svettano, allineati, tre edifici          ottocenteschi dall’aspetto classico. Ci dirigiamo verso quello centrale con la     facciata riccamente decorata da imponenti colonne di marmo bianco, che sorreggono un timpano su cui svetta la scritta dorata: Quincy Market.

Daft Punk - Get lucky

All’interno una lunga galleria di gastronomie take away, ci solletica l’appetito con colori e profumi.

«Che ne dici di mangiare qui?» Suggerisce speranzosa Bella.

«Certo, mi sembra che ci sia l’imbarazzo della scelta. Tu cosa mi consigli? » le rispondo guardandomi intorno. Messicano, tailandese, italiano…l’offerta dei cibi esposti con abbondante cura mi frastorna.

«Pensavo al Boston sea food, se non ti dispiace.» mi risponde con una piccola smorfia, « mi è mancato molto in questi anni.»

«Ottimo, adoro il pesce, lo sai. Ma guarda che l’aragosta che si mangia sulla costa del pacifico non ha nulla da invidiare a questa.»

«Ma non dire eresie!» ride lei. «Seguimi che ti farò fare l’esperienza culinaria più forte della tua vita.» Ci facciamo largo tra la folla che, come noi, sta scegliendo cosa mangiare tra le decine di bancarelle allineate ai lati del corridoio.

Bella si ferma davanti ad una che esibisce splendidi panini ripieni di salsa ai crostacei e una spettacolare zuppa di vongole. Dopo una lunga meditazione opto per la seconda e con i nostri vassoi in mano ci accomodiamo nella parte centrale dell’edificio dove una ricca serie di tavoloni di lucido legno chiaro permettono ai visitatori di assaporare seduti su squadrati sgabelli dello stesso legno, il proprio pranzo. La  cremosa zuppa è meravigliosa. Il sapore della ricetta del New England è più dolce e ricca rispetto a quella che si mangia dalle mie parti, e Bella mi spiega che il segreto della sua squisitezza sta nel fatto che la ricetta a base di panna e vongole, è arricchita dalla presenza di patate bollite tagliate a cubetti, il tutto servito nel croccante panino rotondo scavato al centro a formare una coppa.

«Io e Alice invece di andare alla mensa del campus, scappavamo spesso qui, e ci incontravamo con Rose durante la pausa pranzo, gustandoci insieme questo paradiso.» Mi confida tra una cucchiaiata e l’altra.  Non posso darle torto. L’atmosfera di questa ampia sala è festosa e la struttura a due piani, coperta dalla volta rotonda riccamente decorata a cassettoni verde e  oro, rende più emozionante anche il più semplice pasto da asporto. Tra il via vai dei turisti, in un angolo, una band di ragazzi sta suonando e cantando splendide canzoni dal ritmo Hip Hop. Torno anch’io indietro nel tempo e mi vedo seduto in uno qualsiasi dei locali del Fisherman’s wharf di San Francisco a ridere e mangiare in compagnia degli amici e di splendide bellezze abbronzate. Ora la bellezza che mi sorride seduta di fronte è solo una, più matura e per niente stile beachgirl, ma con un carisma che mi stende con un solo battito di ciglia.

Posso desiderare di rimanere per sempre qui, con lei? 

Emozionato rispondo al suo sorriso. Sento che questi minuti di pace mi stanno nutrendo l’anima più delle calorie del cibo che sto ingoiando. Intreccio riconoscente la mano libera alla sua, mentre mi accorgo che la canzone che la boy band sta cantando racconta giusto di noi e sotto il suo sguardo imbarazzato la intono sottovoce:

“…ne abbiamo passate troppe

Per rinunciare a quello che siamo.

 

Quindi alziamo il tiro

e i calici verso le stelle.

 

Lei resta sveglia tutta la notte

Fino al sorgere del sole.

 

Io resto sveglio tutta la notte

Per ottenere qualcosa.

 

Restiamo svegli per  tutta la notte

Per divertirci.

 

Restiamo svegli tutta la notte

Per fare sesso.

 

Restiamo svegli tutta la notte

per fare sesso.

 

Restiamo svegli tutta la notte

Per fare sesso…”

 

 



 Non commento oltre, ancora auguroni,

T

 

 

 


Carissime, ecco un pensierino di Pasqua per voi. Spero che lo gradiate,
con amicizia,
Elenri/Teresa




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Capitolo 34
*** Capitolo Trentaduesimo ***


cap 30
Bellissime, eccomi qua. Non ve l'aspettavate vero?
Quanto tempo è passato dallo scorso capitolo... due settimane? Wow, sono sorpresa anch'io. Cosa sarà successo? Forse ho avuto un po' più di tempo, forse è perchè mi è passato, temporaneamente, il mal di testa, (che tra l'altro ho fatto venire a Rose e so cosa vuol dire!), ma sono riuscita a postare con una tempistica decente. Sarebbe bello potervi promettere di mantenere questo ritmo... vedremo. Nel capitolo ci sono un po' di cose, tra il serio e il faceto. Spero vi piaccia. Come solito ho fatto un lavorone iconografico, (oggi ho mangiato il dizionario) e manco a dirlo la vista dall'alto della città di Boston fa parte del mio bagaglio di viaggio.
L'unico che non centra con la storia è proprio il dolcissimo Muso che campeggia in copertina: ma che rientro a casa sarebbe stato se lui non avesse dato il benvenuto?
Ora vi lascio, ringrazio come sempre tutte quante,
bacioni,
Teresa.



 

 

Capitolo trentaduesimo

 

(Alice)

Hey brother- Avicii

Giuro che non volerò mai più con una compagnia di linea civile.

Lo avevo ripetuto a me stessa, per tutto il pomeriggio, nella speranza di imprimermelo bene nella memoria. Dopo la parentesi a Boston, era improcrastinabile ributtarsi  al più presto sul lavoro, e quindi l’attesa dei tempi biblici del check in dell’aeroporto Logan era stato un vero e proprio tormento.  

A complicare le cose un irritante guasto tecnico all’aereo stava posticipando la partenza bloccandoci all’imbarco altre due ore. Tutto il gruppo mostrava la mia stessa impazienza, tranne Rose, che silenziosa, trascorreva il tempo leggendo una rivista con apparente noncuranza. L’impulso di presentarmi al personale della compagnia aerea e offrirmi per risolvere il problema, era diventato irresistibile.

«Accidenti, Bella, qui stiamo facendo sera.» Avevo brontolato alla mia amica e collega guardando l’orologio.

«Già, se fossimo partiti in auto, saremmo quasi a New York.» Mi aveva risposto. «Se avevo apprezzato l’idea iniziale di viaggiare in borghese e non coi  mezzi militari, in questo momento lo rimpiango amaramente.» Aveva continuato battendo nervosamente il piede a terra.

«Sai cosa facciamo?» Le avevo propongo entusiasta. «Sbattiamo sul naso, a quei tizi laggiù, i nostri tesserini della NASA e andiamo a controllare di persona cosa c’è che non va nella pancia del bambino sulla pista.» Ero eccitata all’idea di fare qualcosa di concreto, sicurissima che la nostra competenza tecnica fosse di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi manutentore di quel fottutissimo aeroporto. «Ti prego, Bella. Si tratta di un comune Airbus A340, è roba da esercitazione scolastica…»

Bella aveva riso ma non aveva avvallato la mia idea.

«Sarebbe fantastico, Alice, ma credo che dovremo aspettare qui, buone, che se la cavino da soli. Abbiamo portato già abbastanza scompiglio alla sonnolenta città per i miei gusti. Unisciti ai passeggeri e fingi di essere una donna qualsiasi che sa a malapena aggiungere l’acqua ai tergicristalli dell’auto.»

Il Comandante si era, quindi, appoggiata un paio di inutili occhiali scuri sul naso e, con aria annoiata, si era seduta sulla poltroncina libera tra Edward e Rose.

«Perché, tu sai dov’è la vaschetta del tergi?» Avevo ironizzato stando al suo gioco.  «Io è una vita che non alzo il cofano di un’auto… Lo faccio fare ai miei sottoposti, cara.» Le avevo risposto con tono lezioso fingendo di controllarmi le unghie delle mani.

Avevo notato con piacere che alla risata dei miei colleghi, dovuta al mio siparietto, si era aggiunta anche quella di Rose. Bene.
Quando finalmente Dio aveva voluto, eravamo riusciti a partire ed io avevo salutato con sollievo la scintillante città della mia gioventù che scorreva sotto di noi nella notte.

****

Riconsegno la tazza vuota del caffé all’instancabile assistente di volo e mi allaccio, per l’ultima volta, la cintura di sicurezza. Stiamo per atterrare a Houston dopo otto ore tra attesa e viaggio, (calcolando anche le due di recupero per il fuso orario!), quindi spengo diligentemente lo Smartphone sul quale, insieme a Bella, stavo controllando, punto per punto, il programma di lavoro che mi ha spedito Angela. La nostra giornata dovrà iniziare prestissimo, domani, per far fronte a tutti gli impegni, perciò non vedo l’ora di arrivare al residence per potermi fare una bella dormita.

«Questo viaggio è stato uno schifo.» Mi confida Jasper mentre con i nostri bagagli ci avviamo verso l’uscita dell’aeroporto: «In tutti i sensi. Sai, prima della partenza avevo progettato di portarti in un bel locale nei dintorni di Boston ma purtroppo, per  come sono andate le cose, non ci sono riuscito. Scusa.»

Guardando la sua espressione abbattuta mi chiedo con una punta di rimpianto, cos’altro avesse avuto in mente.

«Ci saranno altre occasioni, immagino.» Gli rispondo accomodante. «Ma per un po’ dovremo accontentarci dei panorami del Texas.»

Lui annuisce e torna a fissare davanti a sé pensieroso. La sua confessione mi porta a riflettere sul rapporto altalenante che intercorre tra noi e mentre procediamo fianco a fianco, mi rendo conto che se indubbiamente devo essere molto fiera della qualità del lavoro che stiamo svolgendo, non riesco ancora a dare la giusta collocazione alle sporadiche occasione di piccante intimità che ogni tanto ci capitano.

Beh, ad ogni cosa il suo tempo.

 

(Rose)

Wake me up – Avicii

Il rombo sordo dei trolley, trascinati sul pavimento di marmo del terminal, sovrasta ogni altro suono e mi perfora le orecchie. Ho un mal di testa pungente che dalle tempie si estende fino agli occhi. Sento su di me l’attenzione dei miei compagni di viaggio e suppongo che si stiano chiedendo quali pensieri stia celando dietro agli occhiali, dalle lenti scure, che ho indossato per limitare il riverbero della luce artificiale, che acceca il mio povero nervo ottico. Cerco, tra la folla in attesa, il viso di Emmett che ancora non si è mostrato. Strano. Mi aspettavo di vederlo spiccare prepotentemente davanti a tutti, e mi ero già rassegnata psicologicamente al suo assalto di domande.

«Black e Newton a ore dieci.» Comunica Edward al gruppo.

Solo loro due?  Un forte senso di delusione mi coglie immediatamente peggiorando il dolore che mi attanaglia. Avrei di gran lunga preferito potermi buttare in uno dei meravigliosi abbracci di Met piuttosto che scambiare convenevoli vuoti con Jake e Mike. Invece seguo distratta  il gruppo, alla ricerca del nostro mezzo, perso tra migliaia di altri nell’immenso parcheggio dell’aeroporto di Houston. E’ una sera mite che profuma di tigli fioriti e la differenza di temperatura con quella del New England, la fa sembrare quasi estiva. Il sole è appena tramontato e all’orizzonte: è rimasta solo una sfumatura turchese che si fonde nel cobalto della notte imminente. Tolgo gli occhiali che mi impediscono di vedere gli ostacoli del selciato e così ad una ventina di metri di distanza lo scorgo nell’ombra. E’ mestamente appoggiato al recinto esterno, a pochi passi dall’auto e sta guardando nella mia direzione. I muscoli delle gambe scattano anticipando il comando della mente e accelerano il passo verso di lui, che con lentezza, si stacca dalla rete e mi viene incontro. Ha lo sguardo cupo e la sua bocca non è piegata nel solito sorriso. In poche falcate mi raggiunge seguito dal brusio di saluto dei colleghi intorno. Finalmente sono stretta a lui, che mi abbraccia in silenzio. Sollevo sorpresa la testa anche se mi costa fatica staccare la guancia dal suo petto caldo e compatto, ma questo suo mutismo mi mette in ansia. Lo scruto nel profondo delle sue meravigliose iridi azzurre, che nelle ombre della sera, sono quasi solo una pozza nera di inquietudine.

«Ciao» mi sussurra, «come stai?»

E’ talmente strano vederlo così dimesso, mentre di solito è un uomo pieno di vita, che dimentico la stanchezza e il dolore per concentrarmi sulla sua espressione.

«Io bene, e tu invece?» La domanda ha un ché di retorico, perché lo leggo dal suo viso che c’è qualcosa che non va.

«Adesso è tutto okay, ma ho creduto veramente di impazzire.» Mi stringe ancora di più a sé e affonda il viso tra i miei capelli. «Ti sapevo là, da sola, in pericolo… ed io da qui non potevo fare nulla. Rose sono stato un vero imbecille. L’unica volta che hai avuto veramente bisogno di me, non c’ero. Non riuscirò mai a perdonarmelo… mi avevi anche chiesto di accompagnarti!» Non sono stupita tanto dal tono delle sue parole, quanto dai suoi occhi che luccicano umidi.

No, Emmett, ti prego, non piangere qui davanti a tutti. Gli accarezzo la guancia ispida cercando di alleviare la sua sofferenza.

«Non è colpa tua! Anche se mi sarebbe piaciuto, non avresti potuto seguirmi. Sei il vice di Bella, ricordi? Se non c’è lei… ci devi essere tu. E’ la regola. Su, dai adesso andiamo che ho bisogno di una doccia.

Lo vedo rasserenarsi un attimo seguendo un pensiero misterioso: «Sì anch’io» mi dice regalandomi un sorrisetto malizioso prima di appoggiare le sue labbra sulle mie.

 

****

Questa è una mattina in cui dovrei proprio concentrarmi sul lavoro, ma non mi riesce possibile. Alice seduta di fronte alla mia scrivania comincia ad assumere un’aria irritata. Stiamo esaminando la mia idea di merchandising dedicato al progetto che ci farà coprire una bella fetta delle spese future. O così almeno spero. Si tratta di un negozio on-line che venderà prodotti a marchio NASA.

«Per ora è tutto provvisorio» mi giustifico. «Nel momento in cui  avremo concordato con i fornitori ufficiali gli articoli e le caratteristiche definiremo tutti i particolari. Cosa ne dici?» 

«Dico che se lo scimmione che ti spunta da dietro la testa  smettesse di farmi le boccacce, potremmo lavorare seriamente.»

Ehm già, sono seduta in braccio ad Emmett, che da ieri sera non mi lascia sola un minuto.

Bella entra nel mio ufficio bussando sullo stipite della porta aperta e si blocca con aria sorpresa: «Disturbo?» Dice guardandoci uno per uno.

«Tu no, ma qualcun altro qui è di troppo» si lamenta Alice. «Diglielo anche tu a questo qui che abbiamo un sacco di lavoro da svolgere e che quindi deve togliersi dai piedi…» continua.

«Ma daaaii Alicee…» brontola lui, «è venerdì, abbi un poco di cuore…»

«Su dai Alice, facciamo uno strappo alla regola, solo per una volta…» Esclama un Edward spuntato in quel momento anche lui dalla porta mentre abbraccia Bella alla vita.

«Oh ma cosa è preso a voi maschi, oggi?» Sembra che Alice non sappia se ridere o piangere. «Vado a prendermi un caffè. Vi concedo mezz’ora di pausa, non un minuto di più. Capito?»

«Sissignora!» Esclamano in contemporanea i due uomini, mentre lei esce impettita. Io e Bella ancora abbracciate dai nostri ragazzi, scoppiamo a ridere.

«Posso sapere anch’io cosa avete?» Chiede lei guardandoli entrambi.

«Io sono solo contento che siate tutti qui.» Risponde Emmett soffiandomi nell’orecchio.

«E tu, invece?» Chiede ad Edward.

«Anch’io sono contento di essere qui, mi piace il clima del Texas.»

«See…, ne riparliamo a luglio.» Lo sfotte Emmett.

«No, in luglio saremo già in Florida da un pezzo.» Gli risponde Bella.

«Beh, io adoro anche il clima della Florida. Ora visto che il maggiore Brandon ci ha concesso una pausa, vorrei anch’io una tazza di caffè, se non ti dispiace.» Replica con un sorriso Edward trascinando via Bella per mano.

«Ehi honey, ora che siamo soli posso avere un bacio?» Mi sussurra Emmett mentre struscia il naso sul mio collo.  

Cosa posso dire? Sono disperatamente felice. Cioè felice perché tra le sue braccia ho ritrovato la serenità che l’incontro con Alec mi aveva tolto, disperata perché le stesse appendici non smettono di stringermi in modo possessivo impedendomi di lavorare.

«Met, caro, potresti liberarmi, per favore? Siamo in ufficio e mi sento in imbarazzo.»

«Devo recuperare il tempo perso, mi sono sentito così solo». E’ da ieri sera che non mi lascia un minuto.

Burn – Ellie Goulding

Ieri sera. 
Dolci ricordi mi tornano alla mente sciogliendomi il cuore. A cominciare dalla sua mano grande che era rimasta intrecciata alla mia fino all’ingresso del bagno, dove, con l’altra libera, aveva aperto il getto dell’acqua calda.

«Ehi, che stai facendo?»

«Mi sembra chiaro, ci facciamo una doccia.» Aveva risposto stupito.

«Ma, sei completamente vestito.» Avevo obiettato.

«Anche tu…» e mi aveva tirato verso di lui direttamente sotto il getto tiepido.

«Ahhh, sciocco dispettoso…» mi ero lamentata, ma poi le sue mani avevano cominciato ad accarezzarmi la pelle ed io non avevo potuto far altro che rilassarmi al loro tocco.

Presto anch’io ero completamente zuppa e il tessuto sottile della camicia, aderendo alla pelle, pendeva trasparente. Lo sguardo voglioso di Met dimostrava di averlo notato.

«Mmh, Rose sei ancora più bella di come ti ricordassi.»

Le sue labbra erano scivolate dalle mie lungo il collo verso il seno già completamente contratto dallo sfregamento con il suo corpo. Durante questo movimento il viso mi era rimasto alzato verso il getto dell’acqua, ma io mi gustavo la pelle d’oca che mi procuravano i suoi baci, incurante dell’acqua che continuavo ad inghiottire.

In quel momento annegare di passione mi sembrava un gran bel modo di morire.

Dalla doccia eravamo presto passati al letto e, sinceramente, non ricordo bene il momento in cui i nostri abiti erano spariti, solo stamattina avevo realizzato che erano quegli stracci informi all’interno di pozze d’acqua sparse in giro sul pavimento.

Met al mio risveglio mi aveva sorriso ed io, distrutta dalle sue ripetute ed irruenti incursioni non avevo potuto far altro che arrendermi all’evidenza del sentimento che provavo per lui. Lo avevo aggredito buttandolo, supino e sbalordito, sul letto ed ero salita cavalcioni su di lui per placare il fuoco che sentivo ardermi dentro.

Me l’ero gustato, pian piano con gli occhi, con le mani e con le labbra finchè non avevo sentito che i nostri corpi, fusi insieme, avevano lo stesso calore. Lui mi aveva lasciato fare, ammaliato, soggiogato, sedotto. Il piacere finale, arrivato simultaneamente, aveva spazzato via ogni lordura dell’esperienza passata.

Met era il mio sole e con lui non avevo paura di nulla. Mi ero accasciata sfinita sul suo petto e lì ero rimasta fino al trillo dispettoso della sveglia. Ci siamo alzati dispiaciuti di dover lasciare il nostro angolo di paradiso. Ma sapevamo che era solo un arrivederci, perché sarebbe stato un giorno splendido.

Come lo sarebbe stato quello dopo e quello dopo ancora.






Non vi faccio perdere altro tempo, alla prossima,

T

 

 

 


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Capitolo 35
*** Capitolo trentatreesimo ***


cap 30
Rieccomi. Sono passati più di quindici giorni... il capitolo era effettivamente pronto alcuni giorni fa... è che non ho avuto il tempo di postarlo.
Cosa ci vuole? Direte voi. Il più è scriverlo, poi si fa in un'oretta.
Ehhh, magari fosse così. Anche senza contare il tempo per prepararle, le immagini vanno caricate nel sito browser, poi incollate nel programma di editor, così come pure bisogna creare i collegamenti per le canzoni.
Non mi sto lamentando, volevo solo farvi partecipi del modus operandi.
E a proposito di lavoro: questo è un capitolo operativo al cento per cento. Costruiremo tantissimo, per le romanticherie dovrete aspettare il prossimo.
Ora vi lascio, ringrazio come sempre tutte quante, silenziose e comunicative, 
bacioni,
Teresa.



 

 

Capitolo Trentatreesimo

(Bella)

Budapest- George Ezra

«Inspira!» Mi ordina Edward accompagnando con le braccia l’ordine mentre cammina svelto affianco a me.

«Immetti aria, allunga il diaframma, espandi i muscoli addominali, trattieni qualche secondo e poi butta tutto fuori. Devi concentrarti di più nella respirazione se vuoi avere un buon controllo sullo stress.»

«Edward, so come si respira, lo faccio da una vita.» Replico ironica.

Il fatto è che tornati a Houston mi sono resa purtroppo conto che non ho un minuto da perdere e la sensazione  del tempo che scorre troppo velocemente mi crea ansia…

solo un po’ non c’è bisogno di fare tutta sta tragedia!

«Bella, non è facendo la spiritosa che risolvi il problema. Sai che devo tenere sotto controllo lo stato psicofisico di tutto l’equipaggio, a cominciare da te.» Edward mi taglia la strada costringendomi a fermarmi ad un palmo dal suo petto. Il suo familiare profumo mi investe ricordandomi che sotto a quel camice bianco c’è un magnifico corpo che vorrei abbracciare. Ma non qui e non ora.

«Sto preparando il calendario  del training con le tute spaziali, ma tu non sei ancora pronta.» Replica stringendo gli occhi e scuotendo la testa.

«COSA VORREBBE DIRE CHE “IO NON SONO… PRONTA?”» Gli urlo contro col fiato spezzato dalla sorpresa. «Io sono PRONTISSIMA, LA PIU’ PRONTA DI TUTTI.» Lo aggiro arrabbiata continuando sul mio cammino.

«Ecco vedi? La tua reazione isterica mi dimostra che ho ragione. Non sei sufficientemente calma per sopportare la costrizione in quegli scafandri.» si ferma un attimo forse colpito dallo sguardo assassino che gli sto lanciando.

«Senti, non è che il fatto che stiamo insieme ti dà il diritto di prenderti queste libertà, sai? Poniti questa  domanda: per caso il nostro fosse solo un rapporto professionale diresti queste cose al tuo Comandante?» Lo sto sfidando, occhi negli occhi, alla gara di chi è più duro. Nei suoi vedo un momento di indecisione, sta riflettendo sulle mie parole, è il mio momento per attaccare.

«Ah aaah, vedi che ho ragione? Ora smetti di farmi da balia e infilami SUBITO in quella lista.»

«Bella, sii ragionevole…»

Lo incenerisco di nuovo con lo sguardo e gli indico perentoria, col braccio teso, la direzione verso il suo ufficio.

«Obbedisco, Comandante. Ma ti metto per ultima, comunque.» Mi urla mentre si allontana lungo il suo corridoio.

Scuoto la testa sconcertata per la situazione: tra fidanzati ed amici, non sento di avere la giusta presa sul gruppo. Devo farmi valere di più, a costo di risultare impopolare. Mentre rifletto sullo spinoso problema relazionale, sono già arrivata all’hangar dove stanno costruendo il razzo vettore. Ho appuntamento con McCarty e con gli ingegneri costruttori per valutare lo stato di avanzamento dei lavori.

«Eccomi qui, Met. Novità?»

«Fantastiche novità. Dall’ultima volta che sei stata qui, sono stati fatti molti progressi. La scocca esterna è pressoché pronta, ma vieni, c’è Alice che ti aspetta per illustrarteli di persona.» Mi guardo intorno: sì effettivamente l’intelaiatura cilindrica della parte sommitale del razzo è completa, ma ci sono ancora grandi spazi vuoti tra la base ed il fondo.

«Che ne pensi, eh?» Mi chiede Alice euforica. «Non ti sembra di vedere la “luce in fondo al tunnel”?» Mi guardo intorno cercando di mascherare un moto di stizza. I lavori sono andati effettivamente avanti, ma di questo passo saremo pronti per il 2025!

«Beh, mi sembra più un capodoglio spiaggiato mezzo divorato da un’orca assassina.» Mi scappa detto d’impulso. Ad Alice muore il sorriso sulle labbra all’istante.

Ahi, credo di averla ferita…

«No scusa, volevo dire… che mi aspettavo di vedere il lavoro un po’ più… come dire? Completo.» Aggiungo subito.

«Mmh, sì, qui l’avanzamento non è al top, ma vieni a vedere: ho una sorpresa per te. Vedrai che questa volta rimarrai soddisfatta.»

 

(Alice)

Team- Lorde

Un cetaceo  spiaggiato? Che orribile immagine.

Cerco di non dare molto peso alle parole di Bella.

Probabilmente è stanca, la capisco. Ma ora non possiamo dormire sugli allori: bisogna reagire. La prendo per mano come quando eravamo ragazzine e me la trascino dietro per tutto l’hangar verso quello adiacente. I nostri scarponi gommati stridono sul pavimento echeggiando  nello spazio vuoto intorno a noi.

«Chiudi gli occhi, non guardare fino a quando non lo dico io» la minaccio.

«Alice, ti prego, questo gioco è piuttosto stupido.»

«No, no. Voglio vedere la faccia che farai. Su, chiudi gli occhi, fai la brava!» Bella ubbidisce, borbottando sottovoce un: «Spero che non ci veda nessuno.»

Siamo arrivati al grande portone di ferro che divide i due ambienti di lavoro. Faccio scorrere facilmente un’anta sulle guide ben oliate aprendo un varco sufficiente a far passare le nostre due persone.

«Ecco, fai tre passi poi apri gli occhi» le dico con la voce mozzata dall’emozione. Bella ubbidisce si appoggia alla ringhiera zincata del soppalco, prende un attimo poi si lascia andare in un esaltante esclamazione: «Ommioddio. Oh-Mio-Dio!» Si volta verso di me, le mani a coprirsi la bocca e gli occhi lucidi di lacrime.

Sotto di noi sta, nella sua disadorna bellezza, la scocca della navicella Calypso. Completa. Uno stuolo di tecnici nella tuta blu della NASA, si stanno prendendo cura di lei. Bella si precipita giù dalle scale di ferro che rintoccano allegre sotto i suoi passi facendo voltare tutti. La seguo felice della sua reazione.

«Alice! La struttura della Calypso è finita!» Esclama al colmo della meraviglia. «Ed è grande, più grande di quanto mi immaginassi»
«Questa capsula è stata progettata per trasportare fino a quattro persone, oppure due più una stiva di merci di carico.» Spiega Jacob Black sbucando dal nulla. «Manca ancora il  rivestimento esterno, che ci arriverà tra dieci giorni dalle officine del Colorado e sarà costituito da un disco girevole di fibre di metallo di nuova generazione che grazie al processo di fabbricazione “Spin Forming” ci consentirà di modellare il guscio esterno senza bisogno di saldature.» Jacob è orgoglioso della sua spiegazione e Bella, che pure è a conoscenza di ogni particolare della progettazione e dei materiali lo asseconda nel suo entusiasmo.

«Così riusciremo a ridurre la massa complessiva del veicolo e il tempo necessario per costruirlo» Interviene Mike Newton intento a caricare dei dati sul tablet che ha in mano. «Secondo i test che ci hanno consegnato dal Colorado, la nuova lega metallica sarà in grado di aumentare del trenta per cento l’isolamento termico della Calypso, tutelando meglio dalle radiazioni solari sia gli astronauti, sia le merci sensibili come le apparecchiature scientifiche che vogliamo sistemare a bordo.»

Io e Bella ci scambiamo un gesto d’intesa: per la prima volta abbiamo la sensazione che ce la possiamo fare. Il tempo perso in questi mesi sembra miracolosamente recuperato e si concretizzano gli sforzi tecnici ed economici dell’Agenzia. E’ fantastico. Sono così felice ed orgogliosa di tutti i miei ragazzi che li abbraccerei uno ad uno.

Beh, vicino ho Jacob… intanto potrei cominciare da lui.

Mi è mancato. Lo capisco mentre stringo il suo torace così forte e caldo.

Bella interrompe il mio momento intimo, annunciando una riunione straordinaria per le 17.30.

(Bella)

Home- E. Sharpe & The Magnetic Zero

Li ho tutti lì, seduti intorno al tavolo ovale, ad aspettare attenti che sveli il motivo della chiamata improvvisa. Il chiacchiericcio di sottofondo si è interrotto nel momento in cui mi sono alzata per prendere la parola. Angela, efficiente come solito, ha già fatto girare la chiavetta USB con il materiale per l’esposizione.

«Dunque, vi ho chiamati qui per un motivo molto importante.» Annuncio.

Sto prendendo tempo, per gustarmi questo momento di gloria dopo tutta la frustrazione patita nelle settimane scorse. Dai loro visi si intuisce che non si aspettino cattive notizie, visto che anche se ognuno ha i propri compiti, è chiaro come il sole che le cose, finalmente, procedono bene. Penso che lo intuiscano a “pelle” anche dall’umore mio e di Alice.

«Il Maggiore Brandon ed io vogliamo comunicarvi che il Progetto Spaziale Odyssey, verrà attuato come da progetto completo.»

Mi interrompo per aprire il file che ho posizionato al centro del desktop.

«Se prestate attenzione alle slide che vi ha fornito il Tenete Weber, vi sarà più chiaro a cosa mi sto riferendo.» Continuo osservando le loro espressioni attente.

«Intendi il progetto che prevede due lanci?» Chiede Eric sorpreso. «Non ne avevo più sentito parlare.»

 

Annuisco accondiscendente.«Sì, è vero. In questi mesi per sicurezza abbiamo puntato sul progetto meno avventuroso, ma più realizzabile, che prevedeva il trasporto dell’equipaggio e le merci sullo Shuttle Odyssey, ma che si sarebbe interrotto con l’aggancio alla Stazione Orbitante Internazionale. Invece da oggi possiamo annunciare che effettueremo anche il secondo lancio con il razzo Ulysses  che trasporterà inglobata la navicella Calypso» Cerco di spiegargli.

«Okay, ma nel frattempo cosa è cambiato?» Chiede ancora lui con aria perplessa.

Sto per rispondergli quando Alice mi brucia sul tempo.

«All’origine del progetto ci siamo semplicemente trovati, come tutti, davanti ad alcune problematiche tecniche riguardanti il peso e la massa che non eravamo ancora in grado di risolvere. Per questo, pur avendo preparato due missioni, di cui una molto azzardata, abbiamo indirizzato le nostre energie su quella più semplice che prevedeva un unico viaggio a bordo dello shuttle modificato. Ma fortunatamente i risultati dei test che ci sono arrivati dai nostri partners esterni sono stati talmente rassicuranti  che abbiamo deciso di inseguire il sogno originale.» Gli spiega gonfia d’orgoglio.

«i Vertici del Ministero e il Generale Rogers sono stati già avvertiti del cambio di programma?» Chiede Rose prendendo appunti.

«Certo, ho spedito i progetti in file criptati io stessa.» Risponde Jessica.

«E avete già stabilito anche come saranno composti gli equipaggi?» Chiede Jasper attento.

«Non ancora» gli risponde Alice «tutto dipenderà dal carico che potremo trasportare, ma di questo avremo tempo di discutere più avanti.

«Beh, vorrei ricordarvi che anche la vostra struttura muscolare entrerà nel calcolo del peso trasportato, quindi vi comunico che è ora di iniziare l’allenamento fisico, perché una buona tonicità abbatte la massa grassa e protegge la struttura scheletrica dai danni dovuti alla lunga assenza di gravità» interviene Edward, che continua regalando un sorriso malizioso alla parte femminile dell’assemblea:

«naturalmente aspetto in palestra anche voi signore, soprattutto quelle che ultimamente stanno battendo un po’ la fiacca.» Dice facendomi l’occhiolino.

Cos’è ce l’ha con me, per caso? Solo perché è qualche settimana che non trovo il tempo per la mia corsa mattutina?

«… Naturalmente insisto solo perché siete più predisposte all’osteoporosi di noi uomini…» si giustifica.

Ignoro la sua provocazione.

«Okay, per ora ho detto tutto, ci sono domande?» Dichiaro rivolgendomi a tutti.

Emmett alza la mano.

«McCarty?»

Il ragazzo si schiarisce la voce, lancia un’occhiata veloce a Rose, e mi pone una domanda con aria innocente:

«Si sa già che piano tariffario è meglio stipulare prima di partire? Magari un “You and Planet Earth”?» La risata generale scoppia fragorosa.

«Okay,… okay,…» Cerco di riportare la calma al gruppo consapevole che è ora di dar loro modo di riposarsi un po’.

«Dopo questa perla di saggezza del nostro Vice Comandante, direi che arrivato il momento di chiudere qui la giornata. Cosa ne dite di una birra tutti insieme per festeggiare?» Propongo al gruppo sovraeccitato.






Spero di non avervi annoiato troppo. Nel prossimo festeggeremo in modo insolito il compleanno di Edward... ho già tante foto pronte per voi.
T

 

 

 


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Capitolo 36
*** Capitolo trentaquattresimo ***


cap 30
Ciao a tutte care spazionaute.
Sono un pelo in ritardo sulle due settimane... un po' in anticipo sulle tre. Spero che il mio "tira e molla" non vi crei troppo fastidio, ma mi dispiaceva aspettare il fine settimana avendo il capitolo pronto oggi.
Per quanto riguarda il contenuto, non è solo compleanno di Edward, ma c'è anche del lavoro... spero che siano contente quelle che stanno seguendo il trainer del "bravo astronauta".
C'è del piccante e del dolce...
Nei giorni scorsi ho ricevuto una richiesta a proposito di un nuovo capitolo di "fuoco sotto la cenere"...
Be', a dispetto di quante pazientemente stanno aspettando il proseguo di "profumo di cuoio e tabacco", l'ho iniziato. Chissà che non sia di buon auspicio anche per l'altra storia!
Vi lascio ringraziando tutte per la pazienza e la gentilezza che mi riservate: siete il faro della mia vita. (Wow stavolta forse ho esagerato), ma vi voglio molto bene, veramente.
Teresa.


 

 

­Capitolo trentaquattresimo

­

(Bella)

Palm Desert- Giovanni Bromoli

La parte più noiosa del mio lavoro è quella relativa alla burocrazia.

Se avessi voluto passare giornate intere seduta dietro una scrivania, non avrei frequentato gli istituti scientifici più prestigiosi, ma mi sarei orientata verso un master di economia.

Con buona dose di pazienza spulcio, meticolosamente, il resoconto settimanale che Angela mi ha fatto trovare pronto sulla scrivania, in forma cartacea, come ogni venerdì pomeriggio.

Dopo averlo verificato e approvato lo firmo e lo timbro, con sigillo  protocollare progressivo, e lo ripongo con gli altri nella cassaforte murata alle mie spalle, in attesa di essere spedito con furgone di sicurezza all’archivio della NASA al Pentagono.

Due presenze sono diventate una routine di questi venerdì pomeriggio: Angela, naturalmente, che va e viene padrona del suo microcosmo,  ed Edward si è adeguato presto a questa prassi e non fa che spuntare alla mia scrivania per sottopormi i risultati del suo lavoro. Serio e professionale mentre si muove da un ufficio all’altro sferza l’aria col camice bianco che porta perennemente aperto.

Lo sa di essere mostruosamente sexy… o è il bellone più ottuso dell’intera Aeronautica?

«Se ti serve un po’ di  tempo per pensare alla risposta, passo più tardi…» ride lui sventolandomi una mano davanti agli occhi, «Terra chiama Bella… rispondi, Bella.»

Sbuffo irritata per essermi fatta sorprendere distratta.

«Edward, ho capito, per me va bene» azzardo. In effetti non ho proprio sentito la sua domanda, ma in genere è un uomo di buon senso e mi sono sempre trovata d’accordo con le sue scelte.

Mi guarda ironico e si sfrega le mani soddisfatto.

«Ottimo, allora usciti di qui, con la moto di Emmett andiamo spediti a Pasadena a provare le nuove montagne russe a otto giri della morte che hanno appena inaugurato.»

Guardo scioccata la sua espressione malandrina: davvero ho appena accettato un programma del genere?

Mi arrendo all’evidenza di dover ammettere che stavo sbavando mentalmente su di lui.

«Okay, scusa, non ti stavo ascoltando» gli svelo arrossendo, «ma veramente mi stavi proponendo un giro in giostra?»

«No, ma non ho saputo resistere alla tentazione di prenderti in giro: mi stavi guardando come se fossi un gelato con la panna… Quasi quasi arrossivo.» svela con gli occhi umidi per la risata trattenuta.

A questo punto sono io che mi sento le gote andare a fuoco.

«Per stasera» continua senza far caso al mio imbarazzo, «avevo intenzione di proporti una tranquilla passeggiata al Buffalo Bayou park, io te e Muso. Niente di avventuroso, come vedi. Ma, se tu preferisci… possiamo andare a scatenarci da qualche parte…» sogghigna.

«No, per carità, sono stata burattata abbastanza stamattina durante il mio turno in piscina.» Piagnucolo.

«Ah ah, me lo immaginavo. E’ per questo che ti stavo suggerendo un programma soft. Ma a proposito di lavoro: ecco i risultati della settimana di allenamenti. » Si china e mentre appoggia davanti a me un fascicolo in cartoncino azzurro con il logo dell’agenzia mi schiocca un bacio sulla tempia sussurrandomi: «ero venuto per questo, Comandante.» E se ne va.

Apro la cartellina con interesse. In questi giorni l’attività dedicata all’addestramento umano aveva riguardato l’adattamento alle tute spaziali. Il primo appuntamento di una lunga serie di incontri finalizzati alla perfetta padronanza dell’abbigliamento specifico per la missione che porterà me e il mio equipaggio a considerarlo alla stregua di una seconda pelle.

Life of the Ocean- Enya

Questa mattina è toccato a me.

Prima delle nove mi sono presentata nell’ampio hangar vicino ai laboratori e sono stata accolta da Edward che, imperturbabile, mi ha fatta accomodare in un ufficio adibito ad ambulatorio. Dopo aver controllato come da scheda cuore e pressione arteriosa, si è alternato ad Alice nelle varie fasi di preparazione all’immersione in piscina.

 «Non hai mai pensato di fare il medico civile?» Gli ho chiesto ad un certo punto mentre riempiva l’ultima provetta per le analisi del sangue. Era una domanda così per dire, giusto per alleggerire quel silenzio da “visita medica” che sentivo nell’ambiente insieme all’odore del disinfettante.

«Mah, magari se un giorno non risultassi più idoneo all’Aeronautica… o se avessi un buon motivo per congedarmi…» ha risposto col solito sorriso mascalzone. «E tu, non hai in previsione un’attività più stanziale, che non ti porti ai confini dell’universo?» Mi ha chiesto con noncuranza mentre mi stringeva il bracciale dello sfigmomanometro per misurarmi la pressione arteriosa.

« Mmh, succederà, ed anche presto.» Ho brontolato piano. «Questa è l’unica missione che ho la possibilità di comandare. A quaranta, massimo quaranta due anni, sarò considerata vecchia per il volo attivo, e la NASA mi darà un incarico di scrivania.»

«Ehi, cosa ti lamenti, non hai ancora trent’anni, cosa dovrei dire io allora?» Ride.

Mi viene in mente che domani è il suo compleanno, trentasette anni… portati divinamente. Lo guardo con occhio professionale e vedo un giovane ufficiale concentrato ed efficiente… con quello del cuore, invece, vedo un ragazzino irriverente e sensuale che gioca al dottore.

«Domani è il tuo compleanno e non ti ho nemmeno concesso una licenza per tornare a casa.» Gli ho risposto dispiaciuta.

 Lui ha sollevato la testa di scatto e mi ha guardata intensamente.

«Bella, ne abbiamo già parlato. Ti ripeto che non ho nessuna voglia di trascorrere questi giorni con i miei.»

«Ma lo hai sempre fatto… Ricordi?  Me lo hai detto tu durante il fine settimana che abbiamo trascorso al mare.»

Edward sospira. «Sì, mi ricordo. Ricordo anche che in quell’occasione ti ho invitato a San Francisco per conoscere i miei. Ma è stato prima di Boston…e… be’, ormai li hai conosciuti e non credo che nemmeno tu impazzisca dalla voglia di vederli di nuovo» taglia corto con un moto di stizza. «Passeremo la giornata sul divano a guardare la tv… e magari se il resto della banda si togliesse pure dai piedi per un giorno…potremmo avere più tranquillità.» Mi ha, quindi, confidato ammiccando.

In risposta alla sua esternazione me ne sono  rimasta in silenzio, perché avrei rischiato di svelargli che, alla faccia della sua idea di tranquillità, domani avremmo trascorso il suo compleanno proprio tutti insieme, come da programma assolutamente segreto, di McCarty.

 

Finito il controllo medico è entrata in scena Alice  che ha seguito le varie fasi della “vestizione” con la stessa attenzione di una stilista alla vigilia della sua nuova collezione.

«Dimmi come te la senti addosso. Ruota le braccia… okay. Ora alza una gamba e sali su quel gradino… bene. Infine prova a inginocchiarti e poi rialzati.» Mi ha ordinato perentoria prendendo appunti sul tablet.

Ho obbedito senza fiatare, anche perché Edward si è affiancato a lei e ad ogni mio movimento stile “omino Michelin” mi bombardava anche lui di domande. La parte più complicata è stata l’inserimento del casco che sembrava non volersi agganciare alla ghiera di chiusura dello scollo. Per un attimo ho pensato a cosa avverrebbe  se un banale cedimento meccanico nei dispositivi di protezione si verificasse durante il volo spaziale e un brivido freddo mi è corso lungo la schiena.

«E…ecco sistemata. Come va?» Mi ha chiesto Alice, guardandomi attraverso il vetro, quando con fatica  è riuscita a inserire lo scrocco metallico.

«Bene, anche se mi sento un pesce rosso nella boccia… » ho ironizzato parlando attraverso il microfono interno.

«Se vuoi ti compro delle vetrofanie a forma di alga da appiccicarci sopra, » ha aggiunto lei stizzita. «Ma mi rovineresti il look minimal.»

Edward si è intromesso bussando gentilmente con l’indice sul vetro. «Ora smettiamola con le stupidaggini, che ho già fatto il pieno  durante il turno di Emmett... Inspira a piccole dosi, ricordandoti che l’aria che hai a disposizione è più ricca d’ossigeno. Ora guardami e dimmi: ti senti girare la testa?»

«Sì.» Gli ho risposto con un sospiro fissandolo nella profondità degli occhi.
Edward ha alzato un sopracciglio. «Be’, meglio così. Ci sarei rimasto male se mi avessi risposto di no. Alice per favore chiedile se sente dei capogiri.» Aveva detto rivolto alla collega con quel sorrisetto malizioso che mi piaceva tanto. Lei ha scosso la testa e ci ha rimproverati bonariamente: «Per favore piantatela di fare così! Edward, guarda come me l’hai ridotta, era una persona seria, una volta.»

«Anche tu lo eri, cara mia. Non…volarvi di fiore in fiore come fai ora…» Le ho risposto allusiva.

«Parla piano, disgraziata. Non vorrai far sapere a tutti i fatti miei!»

«Ehh, che esagerata! Qui ci sono solo Edward e altre quattro o cinque persone…»

Alice si è procurata una cuffia con microfono per connettersi con me in privato.

«Bella, non so cosa credi di sapere, ma sono solo fatti miei, chiaro? Quando Edward avrà finito di controllare i regolatori dell’aria ti caleremo con il paranco in vasca e… spera che mi ricordi di tirarti su.»

Il suo tono era sufficientemente acido da farmi  temere che avrebbe potuto portare a termine la minaccia ma, un po’ perché si sforzava di non ridere, un po’ perché la presenza di Edward mi tranquillizzava, ero sicura di riemergere nei tempi stabiliti.

La gru ha così  iniziato il movimento di sollevamento con uno strattone, e dopo qualche istante non ho più sentito il pavimento sotto ai piedi.

 

(Edward)

Magic- Coldplay

Apro un occhio e cerco di indovinare che ora sia dalla luce che filtra nella stanza. Il riflesso azzurrino e la mancanza del ronzio monotono della ventola del climatizzatore, mi fanno supporre che sia ancora molto presto. E’ sabato mattina, ma la forza dell’abitudine mi ordina di alzarmi. Bella, affianco a me dorme ancora. Sono indeciso se svegliarla o meno visto che anche per lei è stata una settimana pesante. Apre gli occhi mentre la sto osservando.

«Buongiorno splendore.» Le sussurro felice che si sia svegliata. Lei si stiracchia e striscia verso di me appiccicandomisi addosso. «Mmhh, la vecchiaia ti ha fatto abbassare la vista, dovremmo farci consigliare il nome di un buon oculista.» Mugugna strofinandosi sensualmente.

«Può essere, ma di sicuro non puoi accusarmi di avere bisogno di un andrologo.» Le rispondo a fior di labbra mentre la struscio con l’eccitazione che mi ha appena provocato.

«No, sembra proprio di no.» Ridacchia mentre con la mano sui miei pantaloni inizia a darmi tormento. «Penso però che sia meglio controllare, non si sa mai…»

Deglutisco mentre la vedo scivolare verso le mie parti intime in subbuglio. Ha il viso nascosto dai capelli ma sento il suo respiro caldo attraverso la stoffa dei pantaloni del pigiama.

Me li cala insieme ai boxer ed io con un movimento di gambe li sfilo completamente.

Delizia. No, di più… estasi. Anzi… un eccezionale tormento.

Bella, oggi, sembra essersi svegliata molto motivata…

Non posso fare altro che mugolare, inarcando il bacino, mentre lei con molta convinzione, mi sta lavorando all’inguine di lingua. Se la sua intenzione è quella di assoggettarmi al suo volere, ci sta riuscendo in pieno, perché ormai il calore che sento salirmi dai lombi, mi sta fottendo il cervello.

Sono suo. Completamente suo.

«Oddio, Bella, così… così mi fai venire…»

Ho la vista annebbiata dallo sforzo che sto facendo per non lasciarmi già andare, vorrei sollevarla da lì e finire ciò che ha meravigliosamente iniziato dentro di lei, ma non sembra intenzionata a mollare la presa. Anzi, ha alzato gli occhi e mentre mi lavora sorride aumentando il ritmo.

A questo punto mi arrendo. Ogni mio pensiero è in pappa. Un forte tremore mi colpisce la parte alta delle cosce e sento tornare al punto d’origine l’onda tempestosa che mi aveva invaso. Digrigno i denti dallo sforzo di non urlare consapevole che fuori dalla porta ci sono orecchie che preferirei non sentissero il risultato del geyser rovente che mi sta esplodendo dal membro.

Rimango stremato sulle lenzuola, mentre come in un’esperienza extrasensoriale mi sembra di sentire Bella risalire strusciando il suo corpo al mio ancora intorpidito.

«Ehi, posso augurarti buon compleanno?» Sussurra mentre mi mordicchia il lobo di un orecchio.

Alzo faticosamente le braccia che sembrano di piombo, e le afferro deciso le natiche che sporgono dai minuscoli pantaloncini da notte.

«Mmhh, se hai qualche minuto di pazienza, ti restituisco il favore e me li puoi cantare mentre godi, demonio di una donna…»

Devo essermi riaddormentato. Me ne rendo conto dalla fatica che faccio a tornare cosciente e capire cos’è questo rumore fastidioso che mi entra nelle orecchie e mi strappa con cinismo dalla mia catalessi. Sento Bella muoversi affianco a me.

«Edward, è il tuo telefono…» bofonchia.

Ecco cos’è che interrompe il mio meritato riposo. A fatica mi districo dalle lenzuola che, scomposte, creano infide trappole per i miei arti scoordinati. Con uno sbadiglio raggiungo con una mano l’odiato affare che trilla allegro, dal comodino, un motivetto country.

«Ehiii, raggio di sole… svegliaaa!» La voce di Emmett è decisa e squillante. «Ammetti che sono stato bravo e non sono entrato direttamente nella tua stanza, … che poi era anche la mia prima che ci facessimo pescare come due marlin… ma non volevo rischiare di vedere il tuo culetto al vento, sai com’è, non riuscirei a non scoppiare a ridere ogni volta che ci incontriamo…»

«Met, per piacere, posso sapere cosa cazzo vuoi?»

«Ehi, scusa fratello, ma sono le sette e il sole splende alto nel cielo, tu e la pollastra al tuo fianco siete pregati di alzarvi.»

«Pollastra?» Ripeto sorpreso.

«Beh, siamo fuori servizio, … o no?» Brontola confuso, il buonumore leggermente svanito. «A scanso di equivoci, evita di dirglielo, okay?» Taglia corto. Ora sono io che ghigno al telefono completamente sveglio. «Ti sto chiamando per dirti che se tu e “il Comandante” voleste  cortesemente alzarvi, potremmo far partire il programma della giornata.»

«Perché abbiamo un programma?»

Ma soprattutto: insieme? Penso con sconforto.

«Sì. Di accompagnarti da un geriatra.» Risponde secco. «Ma uno bravo, perché ormai non ci sei più con la testa. Dai, muovi le chiappe e coprile con un paio di jeans e una camicia sportiva. Vi aspettiamo per la colazione. Rapidi! Rapidi!» Ringhia irritato prima di chiudermi la comunicazione in faccia.

Mi alzo con un misto di divertimento e di frustrazione. E’ sfumata la speranza di una giornata di relax da solo con Bella, ma allo stesso tempo sono curioso di sapere cosa abbia escogitato Emmett: perché sono sicuro al cento per cento che tutto ciò che è stato architettato sia opera sua!

«Tu sai cosa faremo oggi?» Chiedo a Bella con  noncuranza.

«Non di preciso. Qualche giorno fa mi sono lamentata di non riuscire a trovare il tempo per organizzarti qualcosa per il compleanno e McCarty si è offerto di occuparsene.» Mi svela con un'aria pentita. «Scusa spero di non averti deluso, ma hai visto che settimana abbiamo avuto!»

«No, è tutto a posto. Anzi sono contento di trascorrere il compleanno tra amici.» Mento. Con un sospiro silenzioso la bacio sui capelli mentre finisco di vestirmi.

 

(Bella)

Take it easy- Eagles
 

Dopo ore che il mio povero sedere viene schiaffeggiato da una rigida sella di cuoio  e il sudore mi scende in imbarazzanti rivoletti dalla nuca infilandosi nella schiena senza riuscire ed essere trattenuto dal tessuto della maglietta, mi viene quasi da piangere pensando alla comodità del mio ufficio.

No, ma che dico, anche questa traballante seduta è meglio di una impersonale poltrona dietro una scrivania, è che al fresco dell’aria condizionata ci si abitua presto.

Il rumore degli insetti che ronzano e l’odore pungente di selvatico confermano che ci stiamo avvicinando al recinto del bestiame dove McCarty ci ha promesso uno spettacolo strepitoso.

                                                                                 

  A dire il vero non posso lamentarmi, natiche a parte, perché per ora il pilota texano ha mantenuto appieno le sue promesse.  Stiamo cavalcando nella brughiera di un ranch immenso di proprietà di Margaret Ann, stravagante zia del nostro amato Emmett. Se non sapessi di trovarmi nel sud del Texas, giuro, potrei credere di essere nella savana africana. Durante il nostro cammino, mentre il sole continua implacabile a risplendere nel cielo, nei trentamila acri della tenuta, abbiamo incontrato cinghiali, cervi dalla coda bianca e decine di inquietanti alligatori sulla sponda di un lago dall’acqua limacciosa da cui ci siamo allontanati subito. Edward ha cavalcato affianco a me per tutto il tempo senza smettere di sorridere. Mentre mi parla  i suoi occhi brillano, come quelli di un fanciullo, nella penombra della falda del nuovo cappello Stetson di feltro nero, regalato questa mattina dai colleghi.

«Niente male, la vita del cowboy eh, Bella?»

«Sì, se non fosse per le piaghe che mi verranno sul sedere o i mosquitos che continuano a pungermi» brontolo alzandomi leggermente dalla sella, puntando i piedi nelle staffe,  per dare un po’ di sollievo al mio povero didietro affaticato.

«Uhm, povero sedere. Cosa ne dici se stasera me ne prendo cura io? Ho della crema all’arnica, potrei farti un bel massaggio e magari soffiarci sopra, per aumentare il sollievo.» Mi dice piano con voce roca e allusiva.

Deglutisco dispiaciuta di non essere già al tramonto. Ma una nube di polvere e rumore di zoccoli al galoppo interrompono la nostra parentesi intima. McCarty, rimasto per un po’ in fondo al gruppo, ci supera urlando verso Edward:«Yiiiihaaa! Allora ragazzo… la facciamo una bella galoppata finale verso il ranch della zietta cara? C’è un bel  bull riding rodeo che ci aspetta, yuppieee!»

«… Un rodeo? Con i tori?» Gli urla estasiato Edward mentre lancia il suo cavallo bianco all’inseguimento del collega.

Alzo gli occhi al cielo. Mio Dio dammi la forza. Devo fermare  questa assurdità prima che qualcuno si faccia male e comprometta la missione, Ma non sarà facile… i maschi e i loro divertimenti da bambini. Con un movimento di briglie e un colpo coi tacchi sui fianchi del mio baio, mi butto sulla scia dei due pazzi scatenati.



 

Tranquille il compleanno entrerà nel vivo nel prossimo capitolo e non sarà solo "di gruppo".
Vi lascio con un bacio,
T

 

 

 


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