The (he)art of the streap.

di thecarnival
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO. ***
Capitolo 2: *** DUE. ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CINQUE ***
Capitolo 6: *** SEI ***
Capitolo 7: *** SETTE ***
Capitolo 8: *** OTTO ***
Capitolo 9: *** NOVE. ***
Capitolo 10: *** DIECI ***
Capitolo 11: *** UNDICI ***
Capitolo 12: *** DODICI ***
Capitolo 13: *** TREDICI ***



Capitolo 1
*** UNO. ***


Grazie a chi ha avuto il coraggio e

la pazienza di betare questi capitoli: ElleSinclaire.



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The (he)art of the streap.



UNO.


Mi guardava come se fossi un alieno, di quelli verdi con tre occhi e settordici mani, come potevo parlare e confidare i miei più intimi segreti a questo tizio che continuava a fissarmi in questo modo?
-E quindi perché ha scelto questo lavoro se ha una laurea?- Fissò la sua cartellina -In cosa ha detto di averla poi?
-Economia e gestione delle imprese- Gli risposi poco convinta; avevo come l'impressione che mi stesse giudicando e la cosa non mi piaceva per niente. -Tra quanto scade il tempo?
-Ancora dieci minuti. Vuole andare via prima?- Negai, in fondo quelle sedute le pagavo profumatamente; non volevo buttare del tempo prezioso solo perché quell'idiota pensava che avessi preso una laurea inutilmente e avessi un lavoro altrettanto inutile. -Vuole continuare signorina?
-Sì sì certo- Odiavo i suoi occhiali tondi, sembrava Maurizio Costanzo. -Il punto è che mi piace il mio lavoro, davvero, ma credo mi abbia rovinato la vita e abbia deluso tutte le mie aspettative sull'amore. Voglio dire, guardo tutte queste coppie che vogliono sposarsi e stanno per farlo e mi chiedo-
-Tempo scaduto.
-Ma non ho finito.
-Me lo dirà la prossima volta- Cercai di contenermi per non picchiarlo mentre mi alzavo dal lettino dove mi distendevo ogni qualvolta parlavo con lui, e gli lasciai la modica cifra di 350 euro e me ne andai.
Una volta a settimana era sempre la stessa storia: da via Paolo Ferrari dovevo arrivare in Piazza Euclide, quello che mi scocciava di più non era camminare a piedi, prendere la metro, arrivare a Piazzale Flaminio, aspettare il trenino, prenderlo per dieci minuti e arrivare finalmente a destinazione. Quel maledetto studio era in uno dei quartieri che più odiavo, il famoso e prestigiosissimo quartiere Prati ed io ovviamente mi ero andata a trovare l'analista proprio in quella zona. In realtà erano state quelle due pazze di colleghe che mi ritrovavo a consigliarmi quel tizio, ma aver accettato era solo colpa mia.
Erano appena le undici del mattino ed io ero già stanca e stressata: quell'uomo panzone, invece di calmarmi e sciogliere l'enorme matassa che avevo al posto del cervello, peggiorava le cose. Lui rappresentava la borsa e io le cuffiette dell' I-pod. 
Realizzai il concetto appena pensato fermandomi di botto in mezzo al marciapiede; una signora mi venne addosso, imprecando e urlandomi di stare più attenta, ma non l'ascoltai. Il mio unico pensiero era di essermi paragonata a un paio di cuffie: ero impazzita, non c'era dubbio. 
Mi accorsi di essere arrivata e sospirai sollevata; per quanto il mio lavoro mi stesse facendo impazzire e per quanto credessi mi stesse rovinando la vita, in quel luogo mi sentivo a casa, mi sentivo protetta. Accelerai quindi il passo, per non rischiare di perdere l'ascensore che mi portasse fino al sesto piano e riuscii a entrare senza rischiare di rimanere schiacciata e che il sangue schizz…
-Buongiorno. 
Eccolo. Il mio stalker. 
-A te- Cercai di essere abbastanza cortese e allo stesso tempo distaccata da fargli capire di lasciarmi in pace e non torturarmi ogni mattina o nella pausa pranzo e ancora nel pomeriggio.
-Tutto bene?
-Sì grazie- Non riuscivo a capire il perché lui si trovasse nell'ascensore ogni volta che entrassi io -Tu?
Mi annuì, sorridendo -Benissimo. Hai da fare più tardi? Intendo durante la pausa pranzo
Dovetti sbattere più volte le palpebre per non fulminarlo con lo sguardo. -In realtà sì, devo recuperare il lavoro di questa mattina.
-Capisco. 
Non esistevano ascensori più lenti di quello di quell'edificio. -Mi dispiace. 
-Sarà per un'altra volta. 
Perché gli uomini non capivano le frasi ironiche, quelle sarcastiche e quelle di circostanza?
Per fortuna le porte si aprirono al quinto piano e lui uscì sorridente e salutandomi con la mano. Sembrava un bambino tonto davanti alla sua prima cotta alle elementari. Mi poggiai a una delle pareti, colpendomi la fronte con una mano. Perché tutte a me?

Il mio ufficio, o meglio l'ufficio dove lavoravo, altro non era che un enorme appartamento con quattro stanze. Una sala d'aspetto, una stanza enorme con tavoli e manichini dove normalmente lavoravamo tutte insieme, una stanza più piccola che ospitava 'l'angolo personale' del nostro capo e il bagno. 
Le nostre scrivanie erano nella stanza più grande, dove regnava il caos più totale e dove, per fortuna, non dovevamo ricevere i clienti, o avremmo chiuso i battenti ancora prima di aprire.
-Alla buon ora.

Era il suo modo di salutarmi ogni venerdì mattina; non era un rimprovero, solo un modo per ricordarmi che secondo lei stavo sbagliando ad andare alle sedute del dottor Rossi e che lavorare per lei era lo scopo della mia vita. -Le altre ti stanno aspettando 
Carla Solari era una donna molto particolare, sia fisicamente sia di carattere: taglio di capelli molto corto, occhiali da vista stile anni '60, laccetto al collo e abiti stravaganti ma di classe allo stesso tempo. 
-Come è andata?
-Perché glielo chiedi, non lo noti dalla sua faccia? E' sconvolta. 
Lanciai la borsa sulla mia scrivania per abbandonarmi sulla sedia girevole di tessuto blu. Non risposi a nessuna di quelle due pazze, che non smettevano di parlottare sulla mia vita, ma sbuffai disperata.
-Tutto bene gioia?
-Giù, sei proprio testarda.
-E tu sei una rompipalle. Guarda com'è ridotta, è normale chiederglielo.
Ero sicura che il mio cervello sarebbe scoppiato da un momento all'altro sentendole litigare, quindi mi decisi a parlare. -Sto bene, grazie per avermelo chiesto Giulia- Mi sorrise felice -E tu, sei proprio un'ingrata, sappi che ti ho appena messo sulla lista nera.
Si finse indignata. -Oh che tragedia, dimmi che mi inviterai ugualmente al tuo matrimonio con Henry- 
-Certo che no. Adesso chiamo il palazzo per dire di ritirare il tuo invito. 
Scoppiammo a ridere evitando così i discorsi seri.
Giulia e Mina erano le mie due uniche colleghe: le incontrai e conobbi il primo giorno di lavoro e fu amore a prima vista. L'una totalmente diversa dall'altra, forse fu proprio per questo motivo che andammo subito d'accordo e instaurammo un solido legame d'amicizia.
Giulia era l'unica nata a Roma delle tre, ma non aveva nulla del carattere del tipico romano. Era molto timida, dolce e sensibile. Mina invece era il suo opposto: nata a Milano, aveva vissuto nel suo paese natale fino alla maggiore età per poi trasferirsi nella città eterna per seguire il suo vero amore, l'alcol. Voleva infatti aprire un bar nella capitale, ma il suo sogno fu stroncato dal suo ex ragazzo, che la lasciò per... un altro ragazzo. Spesso mi chiedevo cosa l'avesse spinta a lavorare in un'agenzia matrimoniale, ma chiederglielo era troppo pericoloso. 
-Abbiamo dei clienti.
-Io sono occupata, ho il matrimonio della Levi- Mina rispose senza neanche voltarsi, continuando a sfogliare i cataloghi in cerca di un qualcosa.
-Idem- Carla guardò Giulia perplessa. -Non che mi stia occupando dello stesso matrimonio, ma sono impegnata.
Mi alzai dalla mia amata sedia girevole di tessuto blu e raggiunsi il mio capo, prima di uscire mimai un vaffanculo alle mie care amiche e chiusi, gentilmente, la porta. 

Nell'ufficio di Carla c'erano sedute due figure alquanto bizzarre, ovviamente erano due donne, talmente bionde da fare invidia al sole; ebbi il timore di rimanere cieca di fronte a cotanto bagliore.
-Emily, ti presento la signora Castelli.- Le strinsi la mano -Questa è sua figlia e ha bisogno del nostro aiuto per il suo matrimonio. 
-Chiamami Virginia. 
Ma io non la volevo chiamare in nessun modo, avrei voluto rifiutare l'incarico, ma sembravano ricchi e ciò significava guadagnare il doppio del solito.
-Avevate in mente già qualcosa?- Chiesi ignorando gli urletti isterici di tale Virginia rivolti alla madre.
-Sinceramente no. Mi hanno consigliato di venire qui perché siete le migliori.
-Avete fatto benissimo- Carla si intromise –E avete avuto la fortuna di avere Emily.
Odiavo quando mi elogiava in quel modo solo per ottenere la fiducia dei clienti.

Le due strane scope bionde, intanto, mi guardavano adoranti e super sorridenti; temevo per una paralisi facciale.
-Vado a prendere qualche catalogo.- Mi dileguai in fretta con la scusa dei dépliant, anche se avevo già in mente il matrimonio adatto a quel genere di ragazza: un’enorme Chiesa addobbata con fiori e fiocchi bianchi e color pesca, con qualche petalo di rosa rossa sparsi sul pavimento, e veli lungo gli archi e le navate. Insomma, una cosa molto pomposa.
Sfogliarono i cataloghi scegliendo una Chiesa né troppo grande, ma neanche troppo piccola; quella che doveva essere maestosa era la sala per il ricevimento; volevano un parco, meglio ancora se fosse stata una villa antica. 
-Hai presente il matrimonio di Edward e Bella?
-Chi scusa?- Avevo sentito quello di William e Kate e dei reali di Spagna, ma non avevo idea di chi fossero questi due. 
-Edward e Bella. Il vampiro e l'umana.- Sbarrai gli occhi e trattenni l'impulso di darle un pugno in pieno viso quando prese il suo I-phone di ultima generazione per farmi vedere il video. -Ecco vorrei che il parco fosse allestito così.
Non sapevo se ridere, piangere o urlare. -Mi dispiace, ma temo sia impossibile avere dei tronchi di albero come panchine, oltre a tutto il resto.
-Avevo immaginato.- Era abbastanza delusa. 
-Però potremmo fare qualcosa che gli si avvicini se proprio vuoi questo genere.- Il sorriso che mi rivolse mi abbagliò, insieme ai capelli colpiti da un raggio di sole proprio in quel momento. Ero diventata ufficialmente cieca.

Mina e Giulia mi fissavano dalle loro scrivanie; lo sapevo perché sentivo i loro occhi puntati addosso e i loro bisbigli.
-D'accordo, basta. Che volete? 
-Chi, cosa, dove?
-Come e perché- Sembrava che Mina avesse il ciclo, era così acida. 
-Tieni, ingoia un po' di zucchero e smettila di mangiare yogurt al mattino.- Giulia le rispose mentre si veniva a sedere sulla mia scrivania. -Dunque, tesoro, cosa ti turba?
Scrollai le spalle e tornai a guardare il computer: dovevo trovare una villa disponibile per la data scelta dalla sposa e che rientrasse nei suoi canoni.
-Ti ricordo che so leggere nella mente.- Anche Mina era passata all'attacco. Non mi avrebbero lasciata in pace fin quando non avessi detto tutto.
-Quella tizia vuole il matrimonio come quello di Edward e Bella.
-Figo.- Giulia sembrava entusiasta.
-Li conosci? 
-Certo che li conosciamo. Em, ma dove vivi? Quei libri e quei film hanno infettato la mente delle ragazze di tutto il mondo.- Mina addentò il suo panino. -Una sera di queste potremmo fare la Twilight maratona, così prendi appunti per il matrimonio.
-Uh sì. Che ne dite di giovedì?- Giulia era così entusiasta da farmi paura.
-Quanti film sono?
Per poco non urlai nel sentire la loro risposta ma accettai, ero disposta a tutto pur di una serata tranquilla tra amiche.

La maratona era andata abbastanza bene: ero rimasta sconvolta nel vedere Edward brillare, mi ero addormentata durante la visione del secondo dvd, avevo preso in giro i capelli e i dialoghi finali del terzo e avevo urlato di voler spaccare anche io il letto in quel modo nell'ultimo. C'erano stati dei lati positivi in quella serata: avevo mangiato tantissime schifezze insieme alle mie più care amiche e avevo le idee più chiare per il matrimonio Castelli.
-Ciao, sei arrivata finalmente. 
Avevo detto a Virginia che avevamo bisogno di incontrarci per decidere le ultime cose e poter prenotare e lei aveva deciso di vederci in un bar al centro dove un caffè costava quasi quanto un kebab dal tizio sotto casa mia. 
-Sì, scusa il ritardo ma c'era traffico.
I suoi sorrisi mi irritavano.
-Sai Emily, c'è una cosa che non capisco. Di solito ci vuole un anno circa per organizzare un matrimonio, per prenotare la Chiesa e il resto... com'è possibile che io mi sposi tra quasi due mesi?
Sorrisi rassicurandola -Perché essendo un'agenzia matrimoniale abbiamo la precedenza. 
-Capisco.
-Stai tranquilla, riusciremo a fare tutto in tempo. 
La parte che preferivo di più nell'organizzare i matrimoni era la scelta dell'abito. Quel giorno la sposa era se stessa, nessuna maschera, nessuna paura, ma solo la gioia di provare quegli abiti maestosi e la consapevolezza di diventare donna. 
Virginia scelse l'abito più principesco che quel negozio potesse avere, pretese un lunghissimo velo, guanti e altri mille accessori per me inutili.
Avevamo organizzato e prenotato tutto, ero riuscita anche a trovare un falegname che intagliasse in delle tavole di legno il menù per il pranzo, da mettere poi su ogni tavolo. 
Gli sposi si sarebbero seduti più in alto rispetto agli ospiti, su delle sedie di legno e totalmente immersi nella natura. Con il fioraio avevamo infatti trovato il modo di far sembrare il tavolo degli sposi una mini ricostruzione del matrimonio del vampiro, proprio come aveva desiderato Virginia.

-Tu sei un mito. 
-Ti ringrazio, ma è solo il mio lavoro.
-Non posso crederci che domani mi sposerò.
Non potevo crederci neanche io, ero davvero felice di concludere quel matrimonio così estenuante. Aveva assorbito tutte le mie forze e la mia energia vitale, non che ne avessi già molta. 
-Ho avuto un'idea grandiosa.- Era tornata la Virginia di sempre, quella che avevo visto il primo giorno nell'ufficio di Carla. -Devi assolutamente venire questa sera.
-Venire dove, scusa.
-Ti sto invitando al mio addio al nubilato di questa sera per ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me in questi mesi.
-È appunto per questo che esistono i soldi.
-No no no. Non accetto nessun no.- Quella ragazza mi metteva davvero paura. -Ci vediamo alle 22 al 'Ladies Night'.
-Al cosa? 
-Ragazza, a volte mi sembra che tu viva in un altro pianeta. Viale dei Parioli 200, ore 22. Sii puntuale, e metti qualcosa di normale. Non così seria ma qualcosa di più...
-Normale.- Conclusi al posto suo con tono ironico che sembrò non notare.
Mi salutò ancora una volta e salì sulla sua auto; avevo due ore di tempo per prepararmi e andare alla festa di addio al nubilato.

Il motivo per cui mi spostavo con i mezzi era perché la mia auto non era molto affidabile: era una vecchia FIAT Panda bianca, acquistata di seconda mano non appena avevo compiuto la maggiore età con i soldi guadagnati dai vari lavori estivi. Quella sera però, non potevo permettermi di perdere tutto quel tempo nel cambiare trenini e prendere la metro e soprattutto di camminare a piedi, sola e vestita in quel modo. Mi feci coraggio e pregai la mia auto di fare la brava bimba.
Parcheggiai proprio di fronte al locale e mi diressi, dubbiosa, verso quei due enormi uomini vestiti di nero accanto all'ingresso.
-Emh, buonasera.- Non mi risposero. -Io, sarei stata invitata ad un addio al nubilato...
-Senti novellina, non ci importa. Se vuoi entrare prego... altrimenti risali sul tuo catorcio e vattene. 
Indignata, li superai e aprii la porta nera. 
Per poco non inciampai nella tenda di velluto rosso, la scostai e... scale, davanti a me c'erano delle scale che scendevano per un bel po' e sui muri dei quadri con foto di uomini mezzi nudi.
Che squallore.
Scesi le scale di corsa, stando attenta a non cadere, e mi bloccai non appena entrai nel locale vero e proprio. Mi guardai intorno: una decina di tavoli riempivano quell'enorme sala, insieme al bancone e a un palco.
-Emily! 
Virginia era ovviamente seduta al tavolo più vicino al palco e si sbracciava per farsi notare.
-Scusa il ritardo. 
-Non ti preoccupare. Loro sono le mie cugine e lei la conosci già
Salutai tutto il resto della combriccola e mi sedetti un po' in disparte; non volevo assistere troppo da vicino allo spettacolo. Il momento più imbarazzante della serata arrivò quando, Sonia, la migliore amica di Virginia e sua testimone, tirò fuori dalla borsa dei cerchietti bizzarri che fummo costrette a indossare, cerchietti con dei mini peni, adatti per gli addii al nubilato. La sposa ne indossò uno con mezzo velo, per farsi distinguere da noi altre.
Che imbarazzo.
-Signore: IT'S GETTING HOT, HERE. E' arrivato il momento più atteso della serata...
Le urla delle donne di tutta la sala mi fecero sobbalzare e non riuscii neanche più a sentire quello che aveva da dire il tizio al microfono. Le luci si abbassarono e ne apparirono due di diverso colore sul palco.
Il fumo mi fece tossire e quelle maledette urla mi stavano facendo venire il mal di testa.
Comparirono due ragazzi, vestiti in divisa della marina militare, con tanto di cappello ed io cercai di guardarli, ma le ragazze davanti a me erano in piedi e non si vedeva nulla.
-Signore, dovete sedervi per favore. E' contro il regolamento.
-Ci scusi è l'addio al nubilato della mia amica e siamo euforiche...
Il resto del dialogo non riuscii a sentirlo, ma Sonia rideva con quell'armadio e, alla fine, i due si strinsero la mano.
A quei due ragazzi se ne aggiunse un terzo: anche lui indossava una divisa della marina militare ma diversa rispetto alle altre.
-Loro sono 'i tre dell'Ave Maria'.- Disse a un certo punto Sonia rivolgendosi a tutte. -Giovanni, Riccardo e...
-Geremia?- Chiesi io, proponendo l'unico nome che facesse rima.
-No. MAMMA MIA!- Urlò una delle amiche di Virginia.
Iniziarono a spogliarsi e ripresero le urla. 
Non era un brutto spettacolo, anzi, si muovevano abbastanza bene e avevano un corpo da lasciare senza fiato, ma quel posto non era per me. 
-Ragazze mi dispiace ma mi sento poco bene, vado a casa adesso prima di peggiorare.
-Oh sì sì... grazie ciao-
Per fortuna erano troppo impegnate a guardare i tre caballeros sul palco per prestarmi troppa attenzione.
-EHI TU.- Continuai a camminare. -Biondina, dico a te.- Mi bloccai prima di salire le scale che mi dividevano dall'uscita del locale e mi voltai verso quella voce. Geremia, o come si chiamava realmente, mi stava indicando. -Non lasci il locale mentre mi esibisco-
Incrociai le braccia sotto il seno. -Si dia il caso che lo spettacolo non mi abbia soddisfatta, ergo me ne vado.
Scese dal palco per venirmi incontro, me lo ritrovai di fronte a petto nudo e mezzo sudato. Deglutii per restare calma e non mostrarmi nervosa.
-Non ti ha soddisfatta?- Ripeté al microfono ed io negai con il capo; lui fece una strana smorfia con le labbra. -Bene. Vediamo se questo ti soddisfa.


*****

Me si nasconde dietro qualsiasi cosa perché si vergogna.
SALVE!
Sì, ho un problema molto grave, non riesco a mantenere alcune promesse; avevo detto, da qualche parte, che mi sarei presa una bella vacanza da EFP e invece eccomi qua a “pubblicare” (non trovo mai un verbo adatto) questa COSA. La verità è che ero troppo curiosa di sapere i vostri pareri e volevo farvi conoscere i protagonisti (che amo e adoro come la pasta col pomodoro) e quindi niente, eccola qua... ZANZANZAN.
Prima di passare ai ringraziamenti, vorrei dire qualche cosuccia:
se siete arrivati fino a qui, avete letto questo capitolo e spero voi abbiate letto la trama nell'introduzione; ecco, vorrei precisare che NON ho preso spunto da NESSUN libro né film. Molto tempo fa, quando sul mio gruppo facebook avevo accennato alla bozza della trama, mi avevano fatto notare una somiglianza con il film “Prima o poi mi sposo” con J. Lopez e un altro (di cui non so il titolo) con J. Aniston; bene, la mia storia è frutto della mia malsana e malata immaginazione, e non ha nulla a che vedere con il primo film. Non so di che parla il secondo, non l'ho mai visto e non ho intenzione di farlo perché Jennifer Aniston mi sta sulle palle.
Prima che qualcuno mi accusi di aver “rubato” la trama di un film, me ne lavo le mani e tanti saluti.
BENE.
Ringrazio la bellerrima Elle per l'immagine che avete visto su e per aver avuto la pazienza e il coraggio di leggere questo capitolo in anteprima e togliere gli o/errori. La ringrazio anche il bullismo/terrorismo psicologico con cui mi ha obbligato a scrivere, MUAHAHAHA, ti lovvo Ellina bellina.
Se siete arrivate fino a qui siete davvero coraggiose; ringraziate, come me, Roberta, per avermi “convinta” a pubblicare questo primo capitolo.
Ho finalmente finito.
Alla prossima.


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Capitolo 2
*** DUE. ***




A chi ha sempre sognato di assistere a uno spogliarello.
Alla panna e ai sogni erotici.





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DUE.





Sbuffai infastidita, ero certa che quella fosse  una congiura nei miei confronti da parte di tutti gli esseri mortali e immortali dell'universo.
Il Karma, per esempio, mi stava punendo; sì, perché nella mia vita passata dovevo essere stata un serial killer, o una vedova, o non so cos'altro per fare infuriare in questo modo gli dei. 
Frenai il mio flusso di pensieri: io non ero buddhista o induista, non credevo nel Karma. La mia era solo sfiga.
- Ehi biondina, sei venuta per il bis? E quando dico venuta...
Solo tantissima sfiga.
Feci finta di nulla, dovevo solo continuare a camminare verso la mia auto e ignorarlo; lui non esisteva era solo un terribile scherzo della mia fervida immaginazione, come lo erano le sue mani, le sue braccia...
NO.
Camminare, macchina.
- Sto parlando con te. Hai perso la lingua dopo ieri sera? Eppure mi sembrava che...
- Senti un po', razza di coso oliato, smettila di parlare. Non hai qualche spettacolo da fare?
Il suo sorrisetto mi fece innervosire ancora di più: strinsi i pugni lungo i fianchi, mi morsi la lingua per non dirgli altro e proseguii dritta per la mia strada. Avevo di meglio da fare che perdere tempo con uno stupido spogliarellista da quattro soldi: dovevo riuscire a mettere in moto quella dannata Panda. 
Al terzo tentativo ebbi l'istinto di incendiarla e ballare sulle sue ceneri: mi aveva lasciata troppe volte a piedi ma quel giorno era stato l'apice; non solo ero tornata di fronte quello stupido locale, ma rischiavo anche di far tardi al matrimonio di Virginia e non potevo permettermelo: ero la sua wedding planner! 
Chiamai Giulia prima di urlare e uccidere tutti i passanti che mi guardavano curiosi e chiedevano se avessi bisogno di aiuto. Lei era romana, conosceva sicuramente qualche meccanico - onesto - che avrebbe riparato una volta per tutte quel rottame che mi ritrovavo per auto.
- In effetti sì.
- E dammi il numero, che aspetti?
- Oggi è sabato, apre solo nel pomeriggio.
- Allora vienimi a prendere. Non ho abbastanza soldi per un taxi e non posso prendere i mezzi per arrivare a quello stupido parco.
Era solo mezzogiorno e io ero già stanca e stressata con i piedi doloranti a causa dei tacchi: odiavo quei terribili affari inventati solo per far sentire inferiori noi donne; sì, perché doveva essere stato uno stupido uomo maschilista a disegnarle e metterle sul mercato. Un uomo che non sapeva cosa significasse stare ore e ore sulle punte con degli spilli conficcati nei talloni. Una donna poteva essere bella ed elegante sempre e in qualsiasi circostanza, non aveva bisogno di ricorrere a mezzi insulsi quali scarpe, super trucco o intimo seducente.
La verità era che le mie stupide caviglie mi impedivano di poter indossare scarpe come quelle per più di qualche ora e il mio stupido fisico troppo formoso e tondeggiante mi obbligava ad acquistare dell'intimo adatto a contenere la mia ciccia. 
Un colpo di clacson mi fece ridestare dai miei pensieri; rimisi le scarpe e scesi da quell'inutile auto. Avrei voluto lasciare un cartellino con scritto “Rubatemi” almeno avrei guadagnato qualcosa dall'assicurazione, ma chi era quel coraggioso o pazzo che avrebbe anche solo sfiorato quella macchina?
- Sei la mia salvatrice.
- Lo so, lo so, ma rimandiamo i ringraziamenti a domani. Piuttosto dimmi: che hai fatto ieri sera?
Deglutii a vuoto. - Io? 
- No, lo stavo chiedendo al vecchietto in bici- Tirò giù il finestrino dal mio lato e si rivolse al signore in bicicletta fermo accanto a noi, al semaforo: – Salve, potrebbe dirmi cos...- La bloccai prima che l'uomo potesse sentirla. - Allora, ti decidi a parlare o no?
- Sono stata all'addio di Virginia, la mia cliente.
- Questo lo so, dato che è stata un'idea mia e di Mina. Io voglio sapere quello che è successo.
- Intendi prima o dopo che me ne andassi?
- Qual è la parte più interessante?- Si voltò a guardami speranzosa e avida di pettegolezzi.
- Se per te è interessante aver avuto un tizio mezzo nudo, o tutto nudo, sulle proprie gambe allora la parte prima che me ne andassi.
Inchiodò all'improvviso, rischiando di farmi strozzare con la cintura di sicurezza – Tu hai, lui ha... voi? Credo di non aver capito.
Risi di gusto, tranquillizzandola – Forse è meglio se ti racconto un'altra volta, non vorrei morire proprio oggi.
- Parla o ti uccido con le mie stesse mani.
Risi di nuovo e le raccontai, evitando alcuni dettagli davvero scandalosi, quello che era successo la sera prima al Ladies Night, quando quel ragazzo mi aveva trascinata sul palco, fatta sedere su una sedia e si era spogliato davanti ai miei occhi.
- Ti ha messo della panna montata sul collo? - Ormai le sue erano delle semplici domande retoriche, formulate con una nota un po' isterica – E lui, la panna sulla pancia, e tu... Devo cominciare a frequentare questi locali.
Affermò risoluta, mentre arrestava l'auto nell'apposito parcheggio di fronte la villa dove si sarebbe tenuto il ricevimento.
- E' stato molto imbarazzante. Volevo sotterrarmi.
- Sì ma intanto gli hai ficcato la lingua nell'ombelico!
La spinsi amichevolmente e scoppiammo a ridere, mentre varcavamo la soglia di quell'immenso giardino: i tavoli erano già disposti come avevo ordinato, insieme alle composizioni floreali; il tavolo degli sposi si ergeva su uno stupendo palchetto di legno abbellito con rose bianche e violette.
L'atmosfera era magica, veniva quasi voglia si sposarsi.
- Notizie dalla Chiesa? - Chiesi a un mio collega che era appena tornato dalla celebrazione.
- Sono marito e moglie. Anche se la sposa ha avuto un attimo di tentennamento, tutto nella norma.
- Fammi indovinare: paura di essere tradita?
- Peggio, paura di tradire.
Non capivo i matrimoni; se due persone arrivavano a decidere di convolare a nozze era perché si fidavano l'uno dell'altra, perché lo volevano davvero, perché si amavano: allora perché farsi prendere dal panico? Il matrimonio era un ennesimo pezzo di carta, come il diploma o una laurea, non bisognava possederne uno per prendersi cura della persona che si amava; si poteva fare a prescindere da quello. 


Virginia era bellissima; emozionata e bellissima. Stretta alle braccia del suo sposo, salutava gli invitati sorridendo e scherzando; quella era la parte più divertente del matrimonio, almeno per gli altri, perché per me e i miei colleghi era quella più stancante dato che dovevamo coordinare tutto.
- Vieni Emily, fai un brindisi con noi.
- Non posso, Virginia, sto lavorando.
- Dai ti prego, fallo per la sposa.
Mi avvicinai al tavolo degli sposi e brindai insieme a loro e ai testimoni; ci fu più di un brindisi, per colpa delle battutine velate sulla panna e roba simile, di Virginia e Sonia; quelle due erano tremende, però conoscendole avevo imparato ad apprezzarle: non erano così terribili come avevo pensato all'inizio.
- Basta con i brindisi o non potrò più lavorare.
Liquidai Sonia e tornai alla mia postazione, dalla quale controllavo che tutto filasse liscio come l'olio; mi rilassai solo quando gli sposi aprirono le danze sulle note di “I will always love you” suonata dall'orchestra d'archi ingaggiata per l'occasione. 
Un po' scontata come canzone, era la più gettonata insieme a “Your song” di Elton John. Ero convinta che nessuno facesse mai caso al testo: “I will always love you” parlava di una triste e dolorosa separazione, non era per niente adatta come colonna sonora di un matrimonio. 
Tirai un sospiro di sollievo quando il ricevimento arrivò al termine: non vedevo l'ora di poter togliermi quelle scarpe troppo scomode e indossare le mie belle pantofole morbide. Mi ero, però, dimenticata dell'auto ferma di fronte quel maledetto locale; dovevo ancora telefonare il meccanico e sperai davvero che avesse un attimo di tempo libero da dedicarmi. Aspettai che tutti gli invitati andassero via, mentre davo le ultime indicazioni al catering : era stato uno dei matrimoni più difficili della mia vita lavorativa.
- Emily, grazie di tutto, sei davvero favolosa.
Virginia mi si era avvicinata con gli occhi lucidi dall'emozione, le sorrisi perché ero felice per lei: era una brava e cara ragazza, anche se all'apparenza sembrava tutto l'opposto; sperai davvero che il suo matrimonio fosse uno di quelli perfetti che si vedono nei film d'amore in bianco e nero, o in quelli troppo romantici.
- Mia madre passerà lunedì mattina per terminare il pagamento.
- Non c'è nessuna fretta, puoi stare tranquilla.- Il suo abbraccio mi lasciò di stucco e ricambiai dopo qualche secondo – Divertiti. 
- Senz'altro; tu invece, salutami Mr Panna. 
Risi al pensiero e salutai gli sposi definitivamente; era strano che mi affezionassi così tanto ad una coppia, di solito restavo fredda e distaccata, come era giusto che fosse; ma Virginia mi aveva stravolto la vita.

La macchina del mio collega si fermò proprio di fronte al Ladies Night. Lo ringraziai troppo imbarazzata per il luogo in cui ci trovavamo e aspettai che se ne andasse prima di andare verso la mia auto e chiamare quel maledetto meccanico che lavorava solo il sabato pomeriggio.
Per fortuna almeno era libero e mi avrebbe raggiunta dopo una mezz'ora circa. Erano le diciotto e trenta, cosa diamine avrei fatto per tutto quel tempo, da sola? Non avevo neanche il coraggio di guardare i miei piedi, dovevano essere simili a delle pagnotte.
- Puoi dirlo che ormai non puoi più fare a meno di venire qui.
Stavo iniziando ad odiare quella voce, oltre alla sua faccia da schiaffi.
- Sì hai ragione: stavo pensando di cominciare a lavorarci anche.
- Senza offesa, ma non hai il fisico adatto. Saresti una buona donna delle pulizie, però.
- Quindi tu, ieri sera, eri solo in prova? Perché hai il viso adatto per pulire i wc.
- WC?- Rise, facendomi innervosire. - Ma come parli? Si chiamano cessi e no, non ero in prova. Io sono la star. 
- Sì, la star dei cessi.- In realtà non volevo dirlo ad alta voce, ma fu più forte di me; risi io stessa per la battuta geniale.
- Sei simpatica come un cactus nel culo. 
- Spero uno di quelli con le spine.
- Ovvio, e quelle sono anche velenose.
Scrollai le spalle, mica solo lui poteva farmi innervosire: io ero un'esperta in quel settore. 
Stava per ribattere, ma fu chiamato da un ragazzo, ne fui davvero lieta; lo salutai con un sorrisetto impertinente sul viso, lui invece mi rispose alzando il dito medio: soliti cafoni e burini romani.
Mi chiusi in macchina, accendendo la radio, in attesa del famigerato meccanico. Chissà se fosse minimamente sexy come Tony di 'Iniezioni d'amore', un telefilm che trasmettevano sul digitale terrestre il giovedì sera. Lo sperai davvero, almeno avrei guadagnato qualcosa da quel disastro.
Erano le diciannove passate quando vidi arrivare un furgoncino rosso con il nome del meccanico stampato sui fianchi; quando scese quello strano individuo, per poco non scoppiai a ridere ricordando quello che avevo pensato prima: altro che Tony il meccanico, quello era un misto tra Tony Ciccione e il commissario Winchester dei Simpson.
- Allora signorina, vediamo che problema c'è con te.
Doveva anche essere un po' fuori di testa per parlare con le auto e non degnare di uno sguardo le persone.
Il suo viso perplesso mi fece preoccupare. - E' qualcosa di grave?
- Un bel po' signora. Sia il motore che il motorino di avviamento sono andati; potrei portarla in officina e sostituire i pezzi ma, detto tra noi, le verrebbe a costare tantissimo. Meglio comprarne una nuova.
Quella giornata non poteva andare peggio.
Chiamai prima Giulia e poi anche Mina per chiedere se potevano darmi un passaggio fino a casa, oppure alla fermata della metro più vicina: non me la sentivo di cambiare tre autobus quella sera.
Per fortuna Mina era libera, ma solo dopo le ventuno; avevo freddo e fame, mi veniva da piangere: possibile che fossi così tanto sfigata? Non potevo neanche sedermi in auto, dato che il signor Ciccio l'aveva portata via con quella specie di furgoncino / carro attrezzi. Mi sedetti, quindi, su un gradino accanto l'ingresso del locale: era l'unico posto disponibile e io avevo bisogno di stendere le gambe e far affluire sangue ai piedi.
Dopo mezz'ora una moto di grossa cilindrata si spense davanti a me; scese sicuramente un ragazzo, lo si capiva dalle gambe muscolose e dalle spalle larghe. Non stavo sbavando, solo dando un'occhiata.
Quando si tolse il casco integrale, il mio cuore perse un battito: era di una bellezza disarmante.
Capelli castani, viso pulito con dei lineamenti dolci, forse per la giovane età, e, infine, uno sguardo così profondo da gelarti sul posto. Quel ragazzo spruzzava sesso da tutti i pori.
- Ha bisogno di aiuto? 
Mi guardai in giro per essere sicura che parlasse con me: molto idiota come reazione, dato che là fuori c'eravamo solo io e lui. 
- Io, no. Aspetto che la mia amica mi passi a prendere, dovrebbe essere qui tra po'.
- Non per farmi i fatti suoi, ma da dove viene la sua amica? 
- Zona Prati, perché?
- Allora aspetterà un bel po': c'è stato un incidente ed è tutto bloccato.
Sbuffai disperata, era mica Venerdì diciassette? Oltre alla fame e al freddo poi, dovevo anche fare la pipì: mi sentivo sola ed abbandonata. La conferma del ritardo e della zona bloccata al traffico me la diede la stessa Mina con un messaggio, ero così nervosa che avrei potuto alimentare un'intera cittadina solo con un urlo.
- Questa sera fa piuttosto freddo, perché non entra nel locale? Almeno starà al caldo.
- Oh no no no. Non voglio più mettere piede lì dentro, senza offesa.
Non sapevo se quello fosse il proprietario o uno dei dipendenti, era meglio specificare.
- Non faccia la timida, ho un ricordo ben preciso di lei di ieri sera.- Arrossii e mi alzai; peggio di quello che mi era successo in quelle dodici ore, non poteva andare. - Io sono Riccardo.
- Emily.
Gli strinsi la mano mentre scendevamo quei gradini che mi separavano dall'inferno: il locale era vuoto e luminoso, completamente diverso dalla sera prima; anche la musica era di un altro genere, soft e rilassante. Veniva quasi voglia di restare lì e ordinare qualcosa da bere, peccato che sapessi cosa si nascondeva dietro i sorrisi degli uomini e del dj, per non parlare della voce viscida del proprietario.
Riccardo, quel caro ragazzo, mi fece accomodare su uno dei divanetti accanto ai camerini; almeno lì stavo più comoda e non c'era il rischio che qualcuno mi vedesse e mi scambiasse per impiegata, spogliarellista o peggio, una ninfomane! 
Distesi le gambe e sperai che Mina arrivasse il prima possibile: ero davvero stanca e sentivo il mio letto chiamarmi ad alta voce.
Passò un'altra ora; ora in cui avevo visto passare tantissimi ragazzi, vestiti in modo strano e poi mezzi nudi, andare a fare le prove per lo spettacolo di quella sera, quello in cui ero seduta era davvero un bel posto. Smisi di sghignazzare quando mi accorsi che il cellulare non aveva campo in quella sottospecie di sotterraneo porno; non sapevo se Mina fosse arrivata o mi avesse chiamato. Imprecai mentalmente, soprattutto quando mi dovetti alzare e andare verso l'uscita.
Il Karma però, voleva punirmi ancora: come se non fosse bastato tutto quello che avevo già sopportato.
- Biondina. - Andai a sbattere contro una roccia, ma poi mi resi conto si trattasse semplicemente di... Come si chiamava? - Che ci fai qui?
- Ti cercavo. Volevo chiederti che tipo di olio usi, vorrei avere la pelle morbida e lucente come quella tua.
Rise e sperai mi lasciasse in pace, ma a quanto pare non aveva di meglio da fare.
- Quindi?
- Un ragazzo molto carino e gentile mi ha fatta entrare e... EHI, non devo dare spiegazioni a te.
- Domandare è lecito...
- Mandarti a fanculo è una goduria. 
Salii di corsa le scale d'emergenza e mi ritrovai nel retro del locale, improvvisamente il mio cellulare iniziò a squillare come un matto: inutile leggere gli sms, chiamai quella pazza della mia amica.
- Co, cosa?
- Sto prendendo Giulia e veniamo lì. Voglio vedere lo spettacolo.
- Mina, ti assicuro che non ti perdi nulla. Ti noleggio un film porno e facciamo prima.
Rise – Un film porno? Ma tu chi sei. Comunque non cambio idea: voglio vedere Mr Panna in azione.
Mi sembrò di sentire un urletto eccitato, doveva essere sicuramente Giulia; quelle due stronze mi avevano incastrata.
Rientrai nel locale disperata. E io che avevo sperato di non metterci più piede.











******

Me si nasconde perché si vergogna.
Non so quale scusa accampare per giustificarmi; quando ho avuto l'idea di una storia con degli spogliarellisti non c'era caldo, non sapevo di Magic Mike e non conoscevo il tizio che somiglia lontanamente a Geremia (e ha il suo vero nome!) Quindi, sì, ero e sono una porcia; potete dirlo perché non mi offendo.
Sono fiera di questi bei tre uomini che gironzolano nella mia mente quasi nudi e ogni tanto si spogliano per me! =Q___
Ok, cosa posso dire di serio ma non noioso?
Ho aggiornato oggi e non domani perché so della chiusura del sito di domani notte; avrei potuto aggiornare domani mattina o pomeriggio ma tra lo studio e il mare non so se avrei avuto tempo.
E poi basta. Una cosa molto noiosa che vorrei precisare:
la storia è ambientata a Roma (dove sono stata solo una volta, quasi 10 anni fa, e ho visto poco e niente!) per fortuna esiste internet e gente disposta a darmi indicazioni :)
Il “Ladies Night” però, non esiste; è solo il frutto della mia malata immaginazione. Forse esisterà un locale simile ma, questo, con loro tre bei ragazzi, non c'è (altrimenti mi sarei trasferita subito)
Grazie a chi ha letto lo scorso capitolo e chi ha subito aggiunto questa pazzia tra i preferiti e seguiti: riceverete un premio speciale. MUHAHAHA
Grazie, ovviamente, a chi ha commentato.
Alla prossima.
Saluti pannosi.



AH! Una cosa che avevo dimenticato e che DEBINA87 mi ha fatto ricordare: il TONY meccanico di cui parlo in questo capitolo è un personaggio della storia (e non telefilm) di CHIARA FALLSOFARC "Iniezione d'Amore" che trovate qui su EFP. Metterò il link diretto la prossima volta perché adesso sto modificando il capitolo dall'html e non sono neanche sicura del risultato! XD P.S. Grazie mille adEllinaBellina per aver letto in anteprima e aver eliminato gli obbrobri.

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Capitolo 3
*** TRE ***





A chi sogna di andare in un locale di stripper.
Agli incontri nei supermercati.
Al destino.




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TRE.


La musica era assordante, ma non quanto le urla delle donne presenti in sala; che poi mi chiedevo come facessero a urlare per così tanto tempo: avevano tutto quel fiato? Mina e Giulia erano rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra e partecipavano anche loro allo spettacolo, soprattutto Mina che fischiava al ballerino dalla folta chioma bionda. Giulia si voltò verso me dicendomi qualcosa, ma io vedevo solo le sue labbra muoversi. Parlò più volte invano.
- Ho capito solo “panna”.
La musica si interruppe nel momento esatto in cui io urlai a squarciagola quella maledetta parola. Il locale non era molto grande e con la musica spenta tutti mi sentirono, anche quel Geremia dal palco, che mi fissava divertito e incuriosito.
- Signore, per chi non la conoscesse quella è la donna che ha avuto l'onore di assaggiarmi ieri.- Disse al microfono quello stronzo, scatenando l'ira di tutte. - Non siate gelose, preferisco di gran lunga voi.
Anche se avrei voluto ficcargli il microfono in bocca e la bomboletta della panna spray su per il sedere, rimasi al mio posto con le braccia conserte a guardare lo spettacolo, sbadigliando di tanto in tanto quando sentivo, o più che altro vedevo, il suo sguardo addosso. Non che mi stessi annoiando davvero, ma non volevo fargli capire che in fondo mi piaceva. Lo spettacolo intendevo; non si meritava questa soddisfazione. 
- Lo stai mangiando con gli occhi.
- Ma chi? Tu sei ubriaca! - Mina storse la bocca in una strana smorfia e si voltò per godersi la fine dello spogliarello.
Come previsto, e come già sapevo, rimase completamente nudo, solo il suo aggeggio era coperto da un minuscolo pezzo di stoffa colorata. Mina e Giulia, come tutte le donne là dentro, urlavano come forsennate, alcune addirittura lanciavano banconote da venti euro in su e rose rosse sul palco: mi vergognavo per loro.
- E' stato fantastico.
Giulia era la più entusiasta e non riusciva a smettere di ridere e saltellare sul posto, il che mi sembrava strano dato la sua indole seria e posata. 
- Prima dello spettacolo successivo abbiamo il tempo di fumare una sigaretta? 
- Un altro? Non vi è bastato? Vi prego, ragazze, sono esausta, andiamo a casa.
Mi guardarono sconvolte, come se fossi un alieno atterrato per rapirle e sezionare il loro cervello – Casa? 
- Forse non hai capito,- Mina si alzò dalla sedia e mi puntò il dito contro il viso. – Noi ce ne andremo solo ed esclusivamente se ci cacceranno.
E poi, soddisfatta della sua minaccia, se ne uscì a fumare la sua sigaretta lasciandomi con Giulia e i suoi ormoni canterini.

Anche il ragazzo con i capelli biondi lunghi rimase nudo e io esultai perché significava che potevamo andarcene a casa: lo spettacolo era finito. Le luci si accesero improvvisamente e la voce dello speaker ci invitava a uscire dal locale in modo ordinato e, preferibilmente, silenzioso. Sulla seconda parte ero molto d'accordo dato che quelle oche non avevano fatto altro che starnazzare per quattro ore di fila. Era stato uno strazio per le mie orecchie. 
- Non ci credo che stiamo andando a casa, davvero, non posso crederci.
Sbottai quasi arrivata all'auto di Mina, con le lacrime agli occhi per la felicità; quest'ultima però scomparve non appena mi accorsi che mancava il mio cellulare dalla borsa. Imprecai in tutte le lingue che conoscevo, e non era un modo di dire, dissi le peggiori parolacce, prima in inglese e poi in francese, almeno ero sicura che nessuno mi capisse.
Non era possibile che quel giorno fossi così sfigata da perdere anche il telefono, cos'altro poteva succedermi? Una cacca di uccello in testa? Essere messa sotto da un camion?
La porta principale del 'Ladies Night' era già stata chiusa: mi veniva da piangere e mi sentivo la protagonista di una stupida storia romantica dove alla fine la “lei” si sarebbe riscattata di tutti i suoi guai innamorandosi e sposando il più figo della città; le solite storie dei romanzetti Harmony che leggeva mia nonna da giovane in pratica.
Bussai svariate volte come una furia alla porta sul retro, quella da cui ero uscita prima che arrivassero le mie amiche e, finalmente, dopo qualche minuto, qualcuno venne ad aprirmi.
- Grazie al cielo sei tu.
Riccardo, quel ragazzo gentile che avevo conosciuto in prima serata, mi era apparso, ancora mezzo nudo e sorridente.
- E' successo qualcosa?
- Niente di grave, ma credo d'aver lasciato il cellulare qui e mi serve, sai ci lavoro e...
- Entra pure, ti aiuto a cercarlo.
Sarebbe stato un po' difficile concentrarmi con lui in mutande davanti, ma cercai di fare finta di nulla e andai spedita verso il divanetto dove mi ero seduta per rilassarmi in attesa di quelle due traditrici: controllai più di una volta e dovunque ma del telefono nessuna traccia, neanche tra i cuscini.
Dovevo stare calma anche se sapevo già che non l'avrei trovato, quella era la giornata della mia sfiga assoluta: come avevo potuto pensare che almeno una cosa sarebbe andata per il verso giusto?
- Forse è al tavolo.
- Lo spero, ho tutti i numeri delle mie clienti là dentro.
Il mio tono dovette risultare piuttosto patetico e disperato perché Riccardo si avvicinò e poggiò una mano sulla mia spalla, consolandomi; sussultai al suo tocco, ma mi rilassai all'istante e gli sorrisi per ringraziarlo. Non so per quanto restammo in quel modo, a guardarci negli occhi ma mi rassicurava, tutto di lui mi dava l'impressione che il mondo fosse un posto migliore e la vita qualcosa di incredibilmente meraviglioso: forse i suoi occhi castani troppo giovani ed espressivi, forse il suo sorriso contagioso o forse i suoi modi di fare dolci e irresistibili allo stesso tempo.
- Che succede qui?
Interruppi il nostro dialogo visivo quando sentii quella voce. Ormai avevo imparato a conoscerla e avrei saputo distinguerla anche tra altre mille.
Quel tizio, di cui non ricordavo mai il nome, si era avvicinato a noi e aveva stampato sul viso un sorriso insopportabile.
- Stavo aiutando Emily a trovare il suo telefono.
- Chi è Emily?- La sua aria strafottente mi faceva salire il sangue al cervello più del previsto. - Oh, la biondina. D'accordo ti aiuto io, tu vatti a vestire.
Mi lasciai scappare un lamento, non solo perché cercare il cellulare con un Riccardo mezzo nudo era piuttosto piacevole, ma anche perché stare sola con... Mr Panna era una vera e propria tortura.
- Ho già cercato qui, dovrei tornare al tavolo, forse per sbaglio è caduto.
- D'accordo.
Era semplice: dovevo solo comportarmi da persona seria e matura così da poter instaurare un dialogo civile con lui. 
Sul tavolo non c'era traccia del mio blackberry nero e neanche sugli altri o per terra. Sbuffai rassegnata e arrabbiata: ce l'avevo con me stessa, con la mia sbadataggine e con quello stronzo del Karma.
- Tranquilla biondina, perso un cellulare se ne compra un altro.
Cosa avevo detto riguardo il dialogo civile? - Mi serve quello perché lì ho i numeri delle mie clienti.
- Posso darti i numeri delle mie di clienti, se vuoi.
Lo ignorai e mi incamminai verso il retro del palco, da lì sarei arrivata alle quinte e poi all'uscita di sicurezza e sinceramente non vedevo l'ora di uscire dal locale e non metterci più piede perché ero stufa di panna, ragazzi che si spogliavano e donne assatanate che urlavano: rivolevo la mia vita, la mia tranquillità, la mia routine e un paio di ciabatte comode.
- Dai aspetta non volevo offenderti. Milla, aspetta.
- Mi chiamo Emily, non sforzarti di ricordare il mio nome quando non hai neanche un briciolo di cervello per distinguere la destra dalla sinistra.
Fece una smorfia strana, ma poi scrollò le spalle e mi rispose ugualmente: - E' che non capisco perché ti serva proprio adesso il cellulare.
- Perché io ci lavoro con quello. Ho un lavoro serio, IO.
- Calma, calma non c'è bisogno di mordere. Non ho ancora fatto l'antirabbica.
Questo era troppo, non solo mi dava inutili soprannomi, mi seguiva dovunque e si divertiva a punzecchiarmi con battute idiote, ora si metteva pure a offendermi dandomi del cane rabbioso? 
Ebbi la sensazione di diventare verde come Hulk e di avere il fumo che usciva dalle orecchie.
- Ma chi ti credi di essere? Solo perché quattro ninfomani urlano il tuo nome ogni sera, questo non ti da il diritto di sentirti un Dio sceso in terra. Ora togliti perché sono stufa di vedere la tua faccia di plastica.
Lo superai ed aprii la porta, sorrisi felice e soddisfatta perché mi ero finalmente sbarazzata di quel pallone gonfiato. Avrei voluto fare la danza della vendetta o della goduria, insomma qualche danza che mi permettesse di rivelare al mondo il mio stato d'animo.
- Eppure prima non la pensavi così.
Non era possibile, quel ragazzo non si arrendeva mai! Mi voltai e lo vidi uscire e raggiungermi; mi guardava, il suo sguardo mi aveva immobilizzato, come se avesse qualche potere magico.
- Prima, durante lo spettacolo, mi stavi mangiando con gli occhi.
Risi – Assolutamente no, mi avrai confusa con qualcun'altra.
Scosse la testa. - Eri proprio tu, mi fissavi e sbadigliavi, ma so benissimo che era tutta una messa in scena.
- Ammettendo che fosse vero, cosa ti cambierebbe? L'ho detto prima che hai mille occhi puntati addosso ogni sera.
Le sue labbra formarono un ghigno divertito e seducente e solo in quel momento mi soffermai più del dovuto a guardarle, erano così carnose e lui era vicino, troppo vicino.
- Sì, ma nessuna di quelle ragazze riuscirebbe ad eguagliare il tuo sguardo di questa sera.
Quel sussurro all'orecchio mi fece rabbrividire e quelle parole mi sembrarono un sogno, come se me le fossi immaginate.
Lo vidi allontanarsi, con le mani nelle tasche dei jeans e fischiettare una canzone sconosciuta. Mi risvegliai da quello strano limbo solo quando scomparve dalla mia vista e finalmente salii in auto; Mina e Giulia mi guardavano sconvolte. Molto probabilmente avevano assistito alla scena di pochi istanti prima ma, non avevo proprio la voglia di parlarne: ero davvero stanca e tutto quello di cui avevo bisogno era mettermi a letto e dormire.


A Roma c'eran2.761.477 abitanti: non sapevo quante fossero le donne, ma era impossibile che proprio quel giorno che avevo deciso di stare a casa a riposare e a permettere ai miei piedi di ritornare ad avere una forma decente e naturale, una decidesse di piombare in ufficio e scegliesse ME come sua wedding planner; ME che tra le tante cose ero rimasta a casa a riposare.
Avevo tantissime cose da fare, come finire di leggere un libro stupendo,  “You Saved Me” , che  avevo iniziato mesi prima, ma che a causa dei mille incarichi di lavoro non avevo mai avuto il tempo di finire; aveva avuto un successo incredibile e tutti al mondo ne parlavano, solo io dovevo tenermi lontana dalle notizie per evitare spoiler sul finale. Una cosa era certa, non appena il film fosse uscito al cinema mi sarei precipitata a vederlo, non potevo perdermi l'occasione di vedere Ryan Gosling sul grande schermo.
Mi immersi nella lettura: risse, spari, film porno, lentiggini e battute divertenti; amavo quel libro perché riusciva a trasportarmi in un mondo a parte, ogni volta infatti perdevo la cognizione del tempo, tanto che non mi accorsi che era già l'ora di pranzo e io non avevo nulla da mangiare. L'ultima volta che avevo fatto la spesa un dinosauro aveva divorato un bambino.
Per fortuna il supermercato più vicino era nell'isolato accanto, perciò indossai una tuta e andai a piedi, un po' di moto mi avrebbe solo fatto bene.
Non avevo molta voglia di cucinare, quindi presi qualche sugo pronto, dei pacchi di pasta, piadine e degli insaccati; in realtà non avevo neanche voglia di vivere in quel momento, sarei solo rimasta distesa sul divano con i piedi a mollo, dato che erano ancora gonfi.
Quando passai di fronte al reparto dolciumi e schifezze mi illuminai, presi la tavoletta di cioccolato bianco e persi qualche minuto per decidere tra quella con le nocciole e quella con gli smarties, ogni volta era un proprio calvario.
- Guarda che il cioccolato fa ingrassare e tu dovresti solo dimagrire.
Mi innervosii e alla fine presi entrambe lanciandole nel cestino che avevo in mano. Ovviamente ignorai quella voce, quello era il mio giorno di riposo, quindi Mr Panna non esisteva, era solo il frutto della mia mente malata.
Forse ero come Izzie di Grey's Anatomy, avevo qualche male incurabile e lui era la proiezione del mio inconscio...
Mi voltai per guardarlo e toccarlo, quel pensiero mi spaventò un bel po' perché sinceramente avrei preferito vederlo ogni secondo e ogni istante che essere sul punto di morte.
- Sei tu vero? Non ti sto immaginando.
- Se il cioccolato ti fa questo effetto, biondina, dovresti smettere.
Stupida io che avevo pensato, anche se per un istante, che non fosse reale perché lui era lì, di fronte a me, con un capellino con il simbolo di NYC in testa, un cardigan grigio con dei bottoni neri sul petto e un paio di jeans scuri.
- Se non ti va bene come sono vestito posso cambiarmi o spogliarmi.
Arrossii e mi affrettai a rispondere, di certo non volevo che si mettesse a dare spettacolo dentro quel supermercato. - No. Posso sapere che ci fai qui, mi segui? Mia madre è un avvocato. Posso richiedere un'ordinanza restrittiva e...
Mi interruppe scoppiando a ridere, odiavo quando lo faceva soprattutto perché non trovavo nulla di divertente nelle mie parole – Perché mai dovrei seguirti? Sono qui per fare la spesa, questo è il supermercato più vicino a casa mia.
Il mio cervello collegò le sue parole in pochissimo tempo: lui abitava lì vicino. Per poco non mi venne un colpo! Non era possibile, quella era davvero una congiura. Non appena arrivata a casa avrei lanciato del sale alle mie spalle contro il malocchio. Mi voltai verso lo scaffale e presi talmente tante tavolette di cioccolato da riempire la metà del cestino, avevo bisogno della mia dose di zuccheri e affetto; volevo godermi quel lunedì  di riposo in santa pace.
- Tua madre l'avvocato non ti ha insegnato che è cattiva educazione non salutare le persone.
- Oddio, ma perché non mi lasci in pace? Sto cercando di ignorarti, fallo anche tu.
- D'accordo t'ignorerò, ma in questo modo non riavrai il tuo telefono indietro.
Presi anche una confezione di patatine, quel ragazzo mi avrebbe fatta ingrassare per la disperazione. Lo guardai impaziente, volevo solo andarmene e sperare di vederlo il meno possibile.
- Un mio amico è molto bravo con il computer, diciamo che potrebbe farti riavere il tuo numero di telefono...
Lo guardai scettica – Quindi tu non hai il mio telefono.
- No. Quel coso sarà già in vendita in qualche mercato.
- E come fa questo tuo amico a ridarmi il mio numero?
- Questo non posso dirtelo. Mi dovresti scrivere il numero telefonico e comprare una scheda nuova.
Sbarrai gli occhi incredula quando capii – ODDIO! Volete clonarmel... – Mi tappò la bocca prima che concludessi la frase e mi fulminò con lo sguardo.
- Sei impazzita e vuoi farci arrestare per caso?- Negai con il capo e lui continuò – Adesso toglierò la mano e tu dovrai dirmi, senza urlare, se accetti o no. D'accordo biondina?- Alzai un sopracciglio e annuii. Nonostante la situazione, aveva usato quel soprannome insopportabile. - Perfetto. 
- Ti darò quello che ti serve, ho bisogno di quel numero.
- Sai, non capisco proprio perché sei così fissata: potevi benissimo cambiarlo e darlo in giro.
- Tu non capisci e poi io sono una donna di mondo.
- Tu il mondo lo hai inglobato.- Disse squadrandomi dai piedi alla testa.
- Guarda che non sono neanche in sovrappeso, quindi stai zitto.
- Credevo che solo una tua tetta pesasse quanto una donna normale.- Si portò anche un dito sotto al mento per rendere il momento ancora più catartico. 
- Sei davvero un insolente.- Mi voltai, cercando di andarmene e borbottai qualcosa in francese, sperando che lui non mi sentisse. -Il n'est pas possible, il est insupportable. Une persécution. *
- E sei pure Francese! Ma in Francia non sono tutte bassine, magroline e carine?
Mi bloccai per rispondergli: mi aveva stufata. - Oh, sì. Infatti mia madre mi ha portato via prima che tutti mi esibissero come fenomeno da circo.
- Come Dumbo.- Chiuse gli occhi per qualche istante come se stesse pensando a qualcosa di troppo intelligente o... - Sei il Dumbo di Parigi.- O troppo cretino.
- La smetti di darmi soprannomi? 
- Devo pur trovare quello giusto, no? 
Lo conoscevo da quanto, una settimana? Forse di più ma lo odiavo come quel lontano cugino di campagna di mia madre, Louis, o come diavolo si chiamava. Insomma, quel cugino, ogni Natale e festività, veniva in casa nostra con il solito regalo, gli scarti della sua mucca o del suo agnello appena macellato, e camminava soddisfatto per casa vantandosi di come aveva sventrato l'animale in meno di dieci secondi: un nuovo record familiare. Mi chiedevo perché mia madre lo invitasse sempre.
Ecco, quello spogliarellista era come  Louis, si vantava per le cose sbagliate ed era una presenza di certo non gradita.
Per l'ennesima volta da quando l'avevo incontrato e conosciuto al Ladies Night, cercai di ignorarlo e mi voltai, dirigendomi velocemente alla cassa e facendo mente locale: non volevo dimenticare nulla perché non volevo mettere piede in quel supermercato di lì a un mese per evitare di incontrarlo ancora.
- Biondumbo non scappare, ci stavamo divertendo.
- Va au Diable. **
Ci provai davvero a ignorarlo, feci anche la fila con le altre persone in attesa di pagare gli acquisti, ma quello mi stava dietro e non aveva intenzione di mollarmi.
- “Ah, mama mia el Diablo
Ah, Ariba ariba el Diablo
Ah, mama mia el Diablo”
Risi scuotendo la testa arrendendomi alla sua tortura, si era messo a cantare una canzone satanista al mio orecchio ed ero convinta che se non gli avessi dato la giusta attenzione avrebbe istituito un concerto, seguito da uno spogliarello, proprio dentro il supermercato, magari sopra il rullo della cassa, e le clienti insieme alle commesse avrebbero urlato e applaudito come facevano tutte le donne del locale ogni sera.
Era abituato a dare spettacolo ed essere al centro dell'attenzione, io invece preferivo restare anonima e in disparte; ecco perché lo zittii prima che tutti ci guardassero e iniziassero a commentare l'accaduto.
- Sono quarantasei euro e ventinove centesimi; grazie.
Contai i ventinove centesimi, quella commessa era così tirchia e antipatica che mi avrebbe dato anche l'un centesimo di resto e io non lo volevo. 
- Sa, dovrebbe far pace con il suo ragazzo, io non me lo lascerei scappare uno così.
Per poco non soffocai con la mia stessa saliva, quella non solo aveva osato darmi un consiglio sulla mia vita privata, a me, che i matrimoni e l'amore erano il mio pane quotidiano; ma poi si era messa a fare gli occhi dolci e da cucciolo smarrito a... coso; perché scordavo il suo nome?
- Hai ragione, Elisa. Ma sai com'è no... quando si litiga poi il sesso è ancora più bello.
Le fece anche l'occhiolino e lo tirai per i due passanti posteriori dei jeans, prima che dicesse altro di ancora più sconcio o si inventasse la mia posizione sessuale preferita perché sì, non lo conoscevo da molto, e ancora sì, non ricordavo il suo nome, ma avrei scommesso qualsiasi cosa che sarebbe stato in grado di farlo!
- Ma cosa ti è saltato in mente, qui la gente mi conosce e ho una reputazione da mantenere. Io ho un lavoro serio e se mi faccio coinvolgere in queste situazioni rischio di perdere le mie clienti. 
- Dio, sembravi mio padre. Mi è bastato mettere le tette al posto della pancia ed eravate uguali, certo lui è un po' pelato e somiglia a...
Non ero mai stata una persona permalosa, impulsiva e impaziente, ma, accidenti! Quel tizio aveva la capacità di farmi diventare un mostro; gli diedi una spinta mandandolo a quel paese e poi, finalmente, mi incamminai verso casa, girandomi ogni tre per due per controllare se mi stesse seguendo. Non volevo che scoprisse dove abitavo o me lo sarei ritrovata in casa ogni giorno.
Iniziavo a pensare che davvero qualcosa o qualcuno me lo stesse facendo di proposito a farmelo incontrare ovunque; una volta avevo visto un film “I guardiani del Destino”, questi tizi, questi guardiani, agivano in modo da mettere in ordine e sulla giusta strada il destino degli uomini. Ecco, forse c'era un guardiano, o forse era semplicemente il fato, che metteva sulla mia via quel ragazzo. Avrei solo dovuto oppormi a quella forza e riuscire a scamparvi!







*****

Prima che lo dimentichi:
INIEZIONE D'AMORE è la storia di Chiara (Fallsofarc) di cui ho parlato nel precedente capitolo; avevo dimenticato il collegamento e il link. Vi consiglio di leggerla perché non solo è scritta bene e da Chiara, ma perché da un importante messaggio... non ve lo dico, ve lo faccio scoprire da sole! MUHAAHHA.
Seconda cosa importante:
YOU SAVED ME di Roberta (RobTwili) Non è un libro, non è un film (non ancora almeno) ma è sempre una storia qui su EFP e che vi stra consiglio di leggere, perché è figa e perché i personaggi sono shipposi e bellerrimi; e poi perché se non lo fate, Ryan stesso viene a casa ad uccidervi.
Il riferimento di Izzie di Grey's Anatomy è quando lei inizia a vedere Danny dovunque nonostante lui fosse morto anni prima. Riesce anche a toccarlo e baciarlo. Poi si scopre che lei ha il cancro al cervello ecco perché aveva quelle allucinazioni ed ecco perché Emily dice che preferirebbe incontrare Geremia piuttosto che essere in punto di morte.
Non so se si può clonare una scheda telefonica, ma in questa storia, nel mio mondo e nella mia fantasia si può; quindi l'amico di Geremia riuscirà a recuperare tutti i numeri di Emily e il suo vecchio numero utilizzando non so quale programma del pc e poi Emily sarà in debito con Mr Panna per sempre xD
Non parlo neanche una parola di francese, e sinceramente mi sta anche sul cavolo come lingua ma ho stranamente ho voluto tentare questa strada. Le frasi che leggete sono tradotte con google, quindi se trovate errori è colpa sua.
* Non è possibile, è insopportabile. Una persecuzione.
** Vai al diavolo.
Quella non è una canzone satanista, ma un pezzo di canzone de “El diablo” dei Litfiba.
Infine, il film “
I guardiani del Destino” esiste davvero, questa volta non è nessuna storia di EFP, vi consiglio di vederlo perché è davvero carino, anche se poi, per qualche giorno, mi sono fatta dei flash assurdi!
Pff, le note sono sempre lunghissime :O per fortuna questa volta non ho parlato a vanvera.
Come sempre ringrazio i seguiti, preferiti e ricordati e quelle meravigliose persone che dedicano 5 minuti del loro tempo per lasciarmi qualche parola.
Grazie per aver letto; spero che la visione del trio mezzo nudo sia stata di vostro gradimento.
Grazie ad
Elle. <3
Saluti pannosi.


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Capitolo 4
*** QUATTRO ***




A chi faceva sposare le proprie Barbie.
A mio papà.

QUATTRO.





Era sicuro come lo scioglimento dei ghiacciai: il Karma si stava vendicando e io dovevo prendere provvedimenti. Avrei dovuto chiedere a Giulia se conoscesse qualche sciamano, mago, tizio-fuori-di-testa, disposto a togliermi il malocchio, a purificarmi dai miei mali, eliminare il karma negativo e, soprattutto - perché era quella la parte che più mi interessava - rendermi una persona fortunata, in modo da non incontrare più Mr. Panna.
Da quando avevo scoperto che abitava vicino casa mia mi comportavo come una ladra; uscivo dal grande portone di legno con occhiali scuri e cappellino per non essere riconosciuta da qualcuno e, per evitare di incontrarlo agli incroci, sui mezzi e roba varia, avevo cambiato tutto il mio itinerario stradale. Avrei preferito spendere miliardi di euro in taxi pur di non parlare ancora con lui. 
Comportandomi così, stavo quasi per impazzire, ma ero riuscita a non incontrarlo per ben tre giorni; la settimana era quasi giunta al termine, ero fiera di me. Arrivavo anche in orario a lavoro, Carla ne era stupita. Era convinta che avessi manomesso tutti gli orologio dell'ufficio perché era impossibile che io fossi puntuale.

- Non conosco nessuno e, prima che me lo chiedi, non penso che Mina possa aiutarti.
Avevo chiesto a Giulia dello sciamano pazzo disposto a purificarmi, ma non aveva conoscenze in quel campo; e io che credevo fosse un po' fuori di testa anche lei, ogni tanto. 
- Potrei chiedere a Carla.
- Potresti, invece, frequentare questo caro ragazzo, perché di questo passo finirai come Carla: sola ed esaurita.
- Grazie Giù. Sei una vera amica, adesso sono così piena di entusiasmo che potrei conquistare il mondo a suon di matrimoni. 
- Pensavo dicessi “a suon di spogliarelli”.
Le feci una smorfia mentre lei se la rideva spaparanzata sulla poltrona; si divertivano a prendermi in giro poiché trovavano la situazione con Geremia, anche detto Mr. Panna, molto divertente. Pensavano che il fato lo avesse messo sulla mia strada per una ragione e che non potevo fare niente per sfuggirgli, perché lui era il mio destino.
Peccato che io non credessi né al destino né alle storielle sul vero amore.
L'unico vero amore era quello tra Pacey e Joey e loro erano due personaggi di un telefilm, non la realtà.
E poi avevo già deciso cosa fare con Mr. “Muscolo unto” : evitarlo per il resto dei miei giorni, solo in questo modo la mia vita sarebbe tornata come prima.
- Noiosa e monotona.
- No, Mina. Io volevo dire 'tranquilla'.
Fummo interrotte da un urlo di Giulia, dopo lo shock iniziale ci alzammo per controllare cosa l'avesse spaventata o scandalizzata a tal punto da sfidare una soprano. Dovetti sedermi quando vidi la foto ingrandita sullo schermo, mostrava il principe Henry, completamente nudo, con la manina sul piccolo Harryno. 
- O santi reali. Quanta perfezione in una sola foto.
- Maledetta Emmy. Perché sei nata tra gli snob francesi e non tra quelli inglesi?
Il pugno di Giulia sul braccio mi fece male e con il broncio tornai a lavoro, alla ricerca di un luogo che esaudisse le richieste delle mie ultime clienti. Per fortuna in quei giorni mi ero totalmente concentrata sul lavoro dato che quel compito era davvero difficile: due amiche, diverse e opposte, avevano deciso di sposarsi lo stesso giorno. Poteva essere bello, divertente e in un certo senso anche romantico, se solo quelle due non avessero avuto i gusti opposti! 
A una piaceva lo sfarzo, i merletti, i fiori, i colori sgargianti e tutto ciò che di più tamarro esisteva, mentre all'altra piaceva il bianco, la semplicità e nient'altro: metterle d'accordo e accontentare entrambe sarebbe stato impossibile.
Erano diverse pure sulla scelta dello sposo: un americano e un inglese; inutile dire chi delle due avesse scelto l'americano. 
- TROVATA!
Mi accorsi troppo tardi di aver parlato ad alta voce, ma ero felice d'aver risolto il primo problema: la location. Il matrimonio e il ricevimento si sarebbero svolti nello stesso luogo, dato che le coppie non volevano sposarsi in Chiesa poiché di religione non Cattolica: la Vigna San Sebastiano era il luogo ideale. Grande abbastanza per contenere gli ospiti di entrambe le spose, elegante, con una vista mozzafiato e, volendo, poteva essere resa un po' pacchiana, in modo da accontentare tutti.
Rimasi a lavorare fino a notte fonda, sfogliando cataloghi, cercando su ogni sito internet esistente e appuntando sul block notes qualunque cosa fosse utile; non capivo perché ogni matrimonio difficile capitasse a me, erano loro a cercarmi o Carla che mi raccomandava senza neanche chiedermi un parere?



Lavorare tutta la notte era deleterio. 
Quando suonò la sveglia mi sentii il protagonista di un cartone animato Hanna&Barbera tanto che avrei voluto tirar fuori dal nulla un enorme martello e distruggere quel maledetto aggeggio; anche se poi, come nei migliori episodi, avrebbe continuato a strillare imperterrito.
Mi alzai svogliata, inciampando quasi nel tappeto; per fortuna mi ripresi giusto in tempo per sbattere il piede e la spalla contro lo stipite della porta: si poteva essere più imbranate di me nella vita?
Divorai una crostatina al cioccolato della Mulino Bianco, mentre l'odore di caffè caldo si espandeva per tutta la cucina; ne bevvi tre tazzine e solo grazie alla doccia mi ripresi definitivamente. Non avevo voglia di stare scomoda, più che altro non ne avevo le forze, perciò indossai i primi jeans con maglioncino e camicia abbinati che presi dall'armadio e degli stivaletti dal colore indefinito, rigorosamente bassi: non volevo mica rompermi la schiena o una gamba, data la mia scarsa fortuna in quel mese. 
Strano a dirsi uscii di casa in orario, ma avevo appuntamento con il mio simpatico e amato analista. Non avevo molta voglia d'andare e avrei potuto rimandare o far slittare l'appuntamento o cancellare per sempre le sedute, ma in un certo senso parlare con Maurizio Costanzo dei poveri mi faceva sentire meglio: confessare le mie più intime paure ad uno sconosciuto che per 45 minuti mi ignorava, mi faceva stare bene. 
Avrei potuto parlare a un peluche e risparmiare tempo e denaro ma si sa, l'essere umano è stupido e come tale fa cose molto stupide. 
- Emily. 
Mi voltai curiosa di sapere chi mi avesse chiamata; il sorriso scomparve non appena lo riconobbi. 
L'ultima volta che avevo visto mio padre era una sera tempestosa di non so quale anno, forse del 2002, io avrei compiuto diciassette anni la mezzanotte della stessa sera.
- Em. Rallenta.
No che non avrei rallentato, avevo fretta; non sarei arrivata in ritardo all'appuntamento con il dottor Rossi. Percorsi via Paolo Ferrari di corsa e scesi le scale della Metro: volevo mettere più distanza possibile tra noi due Fu tutto inutile perché me lo ritrovai alla fermata.
- Possiamo parlare, per favore?
- Non voglio parlare con te. Vattene o mi metto ad urlare.
- Em non fare così, ti prego.
- Non. Chiamarmi. Così.- Sibilai a denti stretti a pochi centimetri dal suo viso. Avrei tanto voluto prenderlo a schiaffi tanto ero arrabbiata e schifata. Respirai a fondo, attendendo l'arrivo del treno: sentivo la sua presenza alle mie spalle e per quanto mi desse fastidio ero curiosa di sapere cosa ci facesse a Roma, cosa volesse e come mi aveva trovata. Fui sul punto di chiederglielo ma lui fu più veloce di me, come sempre.
- Sei bella, tutta tua madre.
- La mamma non è morta, se volevi vederla sapevi dove andare. 
- Sto male Emily, me lo hanno detto i dottori. 
- E vuoi che ti spinga sotto il treno per porre fine alle tue sofferenze?
In un tempo lontano avevo amato mio padre più di qualsiasi altra cosa al mondo, adesso lui era il nemico e io dovevo sconfiggerlo. 
Lo sentii sospirare e avvicinarsi ancora e il mio cuore perse un battito; aveva ancora gli occhi castani e profondi che ricordavo, le orecchie grandi e il naso a patata. Era sempre il mio 'papone' ma era colui che mi aveva abbandonata e io questo non potevo dimenticarlo. 
Trattenni le lacrime traditrici e lo guardai dura, doveva andarsene e non farsi più vedere; c'era riuscito per ben dieci anni e doveva continuare a farlo.
- Se solo tu provassi ad ascoltare...
Colpii la sua mano che si era poggiata sulla mia spalla e la allontanai bruscamente, quasi gli urlai contro, ma il nostro 'amorevole' dialogo fu interrotto.
- Ehi, tutto bene?- Non sapevo se disperarmi o esserne grata. Mr. Panna era accanto a noi, con il suo solito cappellino in testa e il sorriso strafottente stampato in viso. Mi guardava dall'alto del suo metro e ottanta, alternando lo sguardo con mio padre. Mi feci più vicina a lui, sperando che capisse che doveva salvarmi da quella situazione. - Oh. Finalmente ti ho trovata... Andiamo?
Era evidente che non ricordasse il mio nome, come io non sapevo il suo, perciò non gli dissi nulla e annuì semplicemente.
- Emily, aspetta. Parliamo e...
- Signore, forse non ha capito che Emily non vuole parlare; quindi farebbe meglio ad andarsene prima che chiami la polizia.
Non so che faccia fece mio padre o se gli rispose qualcosa, il rumore del treno in arrivo coprì tutto e ne fui grata; presi Geremia da un lembo del giubbotto di pelle e lo trascinai sulla Metro, prima che potesse combinare qualche casino.
- Fai il principe azzurro come secondo lavoro?
Cercai di sdrammatizzare per evitare domande imbarazzanti da parte sua su chi fosse quello strano uomo vestito elegante che voleva parlarmi a tutti i costi e che stavo per schiaffeggiare davanti a tutte quelle persone, ma lui fu più furbo e non cascò nella trappola del “cambio discorso perché non mi va di parlare”. 
- Quindi... ti piacciono gli uomini tardi? 
Risi per la definizione e per la deduzione; era irrecuperabile. 
- Adesso che sei tranquilla. Chi era quello? Un maniaco? Uno stalker? Non avevi detto che tua madre è un avvocato e...
- EHI EHI EHI. Frena. Quello è... un tipo del passato, di famiglia. Nessuno di importante.
- Non sembri molto convinta.
Lo fulminai con lo sguardo – Invece sì. Piuttosto, hai ricominciato a seguirmi?
- Quella è l'unica fermata all'angolo di casa mia, cara. Prendo quella per spostarmi, non è colpa mia se ci siamo incontrati, anzi dovresti ringraziarmi.
- Ti sei avvicinato tu, non ti ho chiamato io. 
Scosse la testa e non riuscì a ribattere perché la Metro si fermò; mi accorsi in tempo che dovevo scendere e lui fece lo stesso. Lo guardai male e lui mi rispose sorridendo strafottente. Poi, per fortuna, prese la direzione opposta alla mia. 

Aveva sempre la stessa posa ed espressione in viso, a volte pensavo fosse imbalsamato, poi però mi guardava o parlava, dandomi la dimostrazione d'essere vivo. Mi sdraiai sulla poltroncina e aspettai che mi desse il permesso per iniziare a parlare; avevo molto da dire quel giorno.
- Lui era il mio eroe; non esistevano i tipi come Spiderman, Batman, Capitan America e altri, mio padre era il vero supereroe pronto a salvare il mondo e me, la sua principessa, dai cattivi. Lui non mi avrebbe mai fatto del male e mi avrebbe protetta per sempre da tutto e tutti. Non la pensavo così solo perché avevo sette o dieci anni; lui era il mio principe o eroe anche a sedici anni, quando Pierre mi spezzò il cuore. Mio padre era ciò che non era mia madre, o ciò che mia madre avrebbe voluto essere. Poi una notte, se ne andò. Crede che la mia mancanza di fiducia negli uomini sia dovuta all'abbandono di mio padre?
- Lei non si fida di nessun uomo?
Pensai bene prima di rispondere. Non credevo fosse una questione di fiducia, ma di paura; avevo pianto ore, giorni e mesi perché lui non era più tornato, perché mi aveva lasciata la notte del mio compleanno ed ero convinta l'avesse fatto perché non mi amava. Mi ero data la colpa per anni. Avevo capito, un giorno, che le persone sbagliano perché è nella loro natura: colpevolizzare se stessi o biasimare loro non ha senso. 
- Oh, io non saprei. C'è per esempio questo ragazzo, di cui non ricordo mai il nome e che ho conosciuto per caso a un addio al nubilato di una mia cliente che mi perseguita. Lui è...
- Mi dispiace signorina Cutini ma il tempo è scaduto, potrà continuare il discorso venerdì prossimo.
Possibile che il tempo scadesse ogni qual volta io stessi per dire qualcosa di importante? Gli diedi i suoi maledetti soldi e me ne andai: avevo un lavoro a cui pensare, un matrimonio da organizzare. La mia vita e i miei problemi potevano aspettare.
Durante il tragitto in autobus e poi in metro riguardai gli appunti che avevo preso la notte prima sul famoso matrimonio, ripensavo a tutti i dettagli e immaginavo la cerimonia perfetta per quelle clienti tanto difficili.

- Ciao Carla.
Non aspettai che mi rispondesse, mi precipitai in ufficio per riprendere dove avevo sospeso la notte prima. Quando alzai lo sguardo verso le scrivanie di Mina e Giulia le trovai vuote; mi accorsi in seguito che erano in piedi di fronte la mia e stavano parlando con qualcuno. Mi feci più vicina e riconobbi quel cappello, quella voce e quel viso: Geremia aveva colpito ancora.
- Che diavolo ci fai tu qui, e come hai fatto a sapere dove lavoro?
- Tu non saluti mai. Mi assali sempre con tutte queste domande e poi non mi dai il tempo di rispondere.
Intanto quelle due traditrici si erano allontanate lasciandomi da sola con lui; si sbagliavano se pensavano d'essere salve, avrei ucciso anche loro. 
- Allora? 
- Sessanta minuti. 
La risata di Giulia mi fece imbestialire: quel tizio aveva passato ogni limite. Mi offendeva, mi perseguitava, si intrometteva nella mia vita privata, mi seguiva pure a lavoro e adesso si metteva a scherzare con le mie amiche. Gli lanciai il primo oggetto che avevo a portata di mano, che era sulla scrivania, ma lui fu più veloce e lo scansò, così la tazza con tutte le penne e matite cadde a terra.
- Tu sei fuori di testa.
Si alzò dalla mia amata sedia girevole di tessuto blu per avvicinarsi a me, furioso e forse spaventato; se non fossi stata arrabbiata avrei riso per la sua espressione. 
- Era di plastica, di che ti preoccupi.
La sua vicinanza mi infastidiva, non volevo succedesse quanto accaduto fuori dal Ladies Night: doveva starmi lontana, perciò mi chinai a raccogliere le penne e la tazza. 
- Ero venuto a portare il telefono con la sim nuova e a dirti che il tuo problema è risolto; ma evidentemente hai problemi più seri. Dovresti farti curare.
Mi sentii in colpa, perché era stato gentile e io l'avevo aggredito. - Se tu fossi meno arrogante e più disponibile allora...
- Sono disponibile a fare tutto ciò che vuoi. - Ammiccò pure e roteai gli occhi a quel gesto, ignorandolo.
La colpa era mia perché usavo i termini sbagliati, perché parlavo ancora con lui e perché non riuscivo a comportarmi come un normale essere umano con le altre persone.
Quel Geremia non aveva tutti i torti: avevo davvero un problema, e non era certo il cellulare; non mi fidavo delle persone, avevo paura d'essere ferita e abbandonata. 
- Grazie per il telefono e scusa per prima, non è stata una buona giornata. 
Scrollò le spalle mentre indossava il suo cappellino – Sì, ricordo il tuo stalker d'altri tempi.
- Non è uno stalker, non farmi pentire d'essermi scusata.
Rise e se ne andò dopo aver salutato cordialmente Mina e Giulia; quelle due quasi non svennero quando si chiuse la porta alle spalle.
- Che ci faceva qua? Di che stalker parlava? Ma quant'è figo. 
- Giù, calma, una domanda per volta. Avete già scopato?
Scossi la testa e mi sedetti alla mia postazione, rispondendo alle loro domande; se non lo avessi fatto mi avrebbero torturata per il resto dei miei giorni.
Era stata Mina a dirgli dove lavoravo, lui l'aveva chiamata, sicuramente prendendo il numero dalla mia scheda.
- Ma scusa, non avevi il software per recuperare da remoto i dati presenti nel telefono? 
Me lo feci spiegare più volte e poi capii che no, non avevo quel programma e che sarebbe stato tutto più semplice se anni prima lo avessi installato, almeno mi sarei risparmiata la fatica di parlare e litigare, ancora una volta, con Mr. panna.







******

Questa è la bellissima località di cui parlo:
Vigna San Sebastiano. Ho cercato e ricercato milioni di posti all'aperto e vicino al centro città dove si possono celebrare, non essendo di Roma non sapevo dove e cosa cercare, perciò quando ho trovato questo (che a parer mio è meraviglioso) l'ho scelto subito.
Nel capitolo, come avete visto, non succede nulla di che. Emily incontra dopo dieci anni il padre e cerca di evitarlo in tutti i modi ma ci riesce solo grazie a Geremia (ovviamente! XD ) Scoprite un lato del suo passato e il motivo per cui sta lontana dagli uomini e da Gerry soprattutto. Chissà se questo è anche il motivo per cui, dopo la laurea, ha preferito dedicarsi ai matrimoni piuttosto che continuare gli studi...
Vorrei ringraziare ancora tutte voi che avete avuto il coraggio di inserire questa storia tra i preferiti, seguiti e ricordati e grazie a tutte coloro che si fermano a commentare: sapere di non essere l'unica pervertita che fa strani pensieri sul fantastico trio pannoso mi consola! XD
Grazie mille ad Elle per la pazienza di leggere in anticipo ed eliminare gli orrori.
Per chi volesse esiste un
GRUPPO dove ogni tanto mi piace fare l'idiota più di quanto io non lo sia xD
Esiste anche una mia
pagina facebook dove pubblicizzo il mio account YOUTUBE e quello DAILYMOTION.
O ancora, il mio account
TUMBLR.
Se volete, cliccando sui nomi sottolineati, potete “visitare” ciascuno di loro.
Adesso mi ritiro in solitudine in attesa di uno spogliarello di Geremia.
Saluti pannosi.



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Capitolo 5
*** CINQUE ***




Agli incontri inaspettati.
Alle situazioni che ci creiamo da sole.
Ai momenti che ci cambiano la vita.



CINQUE.



Aver incontrato mio padre era stata la ciliegina sulla torta.
Continuavo a pensare al motivo per cui fosse venuto a Roma a cercarmi dopo dieci lunghi anni di silenzio e non riuscivo a trovarlo: forse stava davvero male e aveva bisogno d'aiuto. Per colpa sua avevo perso tutta la concentrazione che mi serviva per organizzare quello stupido matrimonio.
Stanca dell'ennesimo pensiero su mio padre, lanciai l'agenda sul tavolo e mi accasciai sulla sedia, sbuffando rumorosamente. Avevo voglia di una tazza di cioccolata calda. 
- Puoi parlarne, se ti va. - Avevo dimenticato che ci fosse anche Mina con me. - È per la storia dell'uomo misterioso di questa mattina? 

Sospirai, stanca di mentire a me stessa e di nascondere il mio passato agli altri – Era mio padre.
E così le raccontai una parte della mia vita, quella che avevo sempre tenuto segreta un po' per paura e un po' per vergogna: essere abbandonata non era cosa di cui vantarsi. Non volevo neanche che gli altri mi tempestassero di domande su come avesse reagito mia madre all'abbandono o su come avesse fatto a crescere due figlie da sola, dato che aveva un lavoro a cui pensare o ancora:
- Perché ti sei trasferita a Roma? Tua madre è rimasta in Francia e tua sorella è... dove hai detto che è, scusa?
Ecco appunto. Non era semplice spiegare il motivo della partenza mia e di mia sorella, soprattutto perché tutti poi pensavano che anche noi avessimo abbandonato nostra madre, quando era tutto il contrario; lei non era la vittima, ma uno dei cattivi, più o meno.
- Perché non era facile vivere in quel piccolo paesino dove tutti sapevano la nostra storia. Essere additata come la “bimba abbandonata” non mi faceva sentire a mio agio. Perciò decisi di venire qui in Italia dai miei nonni paterni, mia madre si trasferì definitivamente a Parigi e mia sorella ne approfittò per coronare il suo sogno: New York.
- Quindi odi anche tua madre?
E ovviamente mancava all'appello ancora quest'ultima domanda e la risposta era sempre la stessa – Certo che no. E' mia madre, come potrei odiarla? Le voglio bene, come lei ne vuole a noi, a modo suo. 
Parlarne con Mina, però, mi aveva fatto sentire meglio, molto più che dopo aver parlato con il dottor Rossi: almeno con lei c'era dialogo. Sbrigai le ultime cose in modo da poter restare a casa il giorno dopo, dato che era sabato ed era il nostro giorno di riposo; uscii dall'ufficio quando era troppo tardi per passare al supermercato e racimolare qualcosa per cucinare, perciò mi fermai dal Dio del Kebab sotto casa mia.
Kamal diceva che io ero la sua cliente preferita e non perché avessi le tette grandi o perché gli sorridessi sempre, ma perché avevamo una cosa in comune: eravamo stranieri, anche se lui lo era più di me; ecco perché mi faceva lo sconto famiglia. 
- Emily, non vedere te da tanto tempo. 
- Ciao anche a te, Kamal. 
Oltre ad avere il nome indiano più comune tra gli indiani e a essere gentile, faceva il Kebab più buono che avessi mai mangiato in vita mia; peccato che lo avessi mangiato solo lì. Non avevo neanche bisogno di ordinare perché sapeva già i miei giusti: carne, senza lattuga, con pomodoro e cipolla ma poco piccante; a volte facevo aggiungere le patatine fritte, quando volevo farmi del male ed ero tanto depressa, come quella sera per esempio. 
- Vuoi una birra, Emily? 
- Oh sì, per favore! E' stata una giornata pesante.
- Tu sposi sempre le persone, quand'è che ti sposi tu? 
Risi per quella sua domanda, Kamal era simpatico, gentile, un bravo cuoco, ma non si faceva mai i fatti suoi e chiedeva le cose giuste al momento sbagliato o le cose sbagliate al momento giusto o, forse per il fatto di essere indiano, aveva quello strano potere di capire le persone e leggergli dentro.
- Ma io non voglio sposarmi, sto bene come sto. 
Mi guardò stralunato, mentre poggiava il piatto con il Kebab che avevo ordinato davanti a me.
E perché tu non volere sposarti? Non credere in Dio?
Stavo masticando quella bontà divina e non potevo rispondergli, quindi scossi la testa. Fu qualcuno dalla cucina a dire, al posto mio, che magari non stavo con nessuno e che non ero innamorata. - Esatto. L'amore non esiste e quindi non mi sposerò mai.
Per poco non mi tolse il piatto da davanti e non mi cacciò dal locale; era come se avessi bestemmiato e avessi offeso tutte le divinità in cui credeva.
- In India diciamo “Non amare è un lungo morire”. Vuoi morire vecchia e sola, Emily? Con tanti rimpianti e rimorsi?
Mi resi conto che Kamal era molto di più che un semplice cuoco indiano, non era neanche il tizio straniero sotto casa mia che mi faceva lo sconto quando mangiavo la sua specialità; lui era il grillo parlante versione indiana, mandato da non so chi per portarmi sulla retta via e farmi pentire delle scelte fatte fino ad allora.
Forse era l'unico che poteva eliminare il mio Karma negativo; forse dovevo convertirmi all'induismo. 
Forse dovevo andare a rinchiudermi in qualche ospedale psichiatrico.
- Certo che no, solo che non credo nell'amore e a tutte quelle storie sul destino che sceglie per te, all'uomo della vita o alla storia del principe azzurro che riconosci solo perché il tuo cuore batte forte e senti le farfalle nello stomaco. Beh, le farfalle sono sfigate perché vivono solo un giorno quindi io non voglio avercele nello stomaco. 
Forse un manicomio era quello che più mi si addiceva.
- Scusa Kamal, non volevo aggredirti. Posso avere il conto così vado a casa e dimentico questa brutta giornata?
Mi dispiaceva averlo trattato male ma le sue parole mi avevano colpita dritto al cuore come una lama affilata. Quei discorsi sul vero amore e i matrimoni erano troppo delicati per affrontarli con un estraneo che non si faceva pagare trecentocinquanta euro.
- A presto Emily e ricorda “Fa che sia il tuo cuore a scegliere la meta e la ragione a cercare la via.”
- Anche questo lo dite in India? 
Annuì sorridendo e lo salutai per poi uscire dal locale abbastanza turbata e stanca; avevo voglia e tanto bisogno di una doccia e di mettermi a letto per non pensare più a ciò che avevo passato nell'arco di quelle ore. Ero distrutta e depressa, il mondo aveva ordito un complotto contro di me, cos'altro poteva andare storto ancora?


Cara El.”
- No. Troppo formale.
Ciao Elle, tutto bene?” 
Ma cazzo. Non la sento da quasi un anno, non posso mica dirle “ciao”
“Eléonore, ho visto nostro padre.”
Cancellai per l'ennesima volta l'inizio di quella email che vedeva mia sorella Eléonore come destinataria: stavo impazzendo. Non avevo sue notizie da più o meno dieci mesi e non sapevo cosa dirle e come dirle che nostro padre si era fatto vivo ma stava morendo, forse.
Misi su un po' di musica per rilassarmi e a piedi scalzi mi alzai dalla scrivania per andare in cucina e versarmi del vino bianco: amavo quei momenti serali in cui io, il vino, la musica e il computer avevamo degli attimi di goduria e puro relax. Capitava, ogni tanto, che bevessi qualche bicchiere di troppo e andassi a letto ridendo come un'idiota e 
per giunta accaldata, per alzarmi poi, il mattino seguente, con un mal di testa sensazionale: la tipica sbornia da vino, insopportabile e ingestibile.
Al terzo sorso e mentre cantavo insieme ai Kasabian, mettendo senza sosta una delle mie canzoni preferite, perché ne conoscevo solo due e mezza, scrissi quella maledetta email.



Questa email non ha inizio.
Ehi Elle, dove accidenti sei e perché non ho tue notizie dalla notte dei tempi? La colpa è anche mia, è vero, quindi metti giù quel telefono e smettila di minacciarmi telematicamente. Sto bene, non sono incinta e non sono fidanzata e NO! non ho nessun trombamico. Sì, lo so, ti ho delusa. Spero che tu stia ridendo perché devo darti una spiacevole notizia: ho rivisto papà. 
Devo dirti altre mille cose, quindi, per favore, potresti farti sentire?
Un bacio.”

La rilessi più volte prima di inviarla. Ripristinare i contatti con mia sorella mi metteva un po' d'ansia, in fondo se lei non si era fatta sentire per tutto quel tempo c'era un motivo: forse non voleva farlo perché mi odiava, forse le avevano rubato tutti i mezzi tecnologici utili a mettersi in contatto con me o ancora l'avevano rapita gli alieni o forse, semplicemente, non aveva il tempo per farmi avere sue notizie.
Eléonore era sempre stata così fin da piccola, non si preoccupava mai di dire ai nostri genitori quando e con chi usciva, lei lo faceva e basta perché lo voleva fare. Si definiva “uno spirito libero in catene” e non andava d'accordo con nostro padre perché erano uguali: entrambi si sentivano in gabbia, avevano gli occhi tristi ed erano sempre in cerca di qualcosa; non si accontentavano mai ed erano stanchi della propria vita e della Francia. Io invece ero tutto l'opposto. Accettavo quello che avevo senza battere ciglio, pentendomi in seguito di tutte le scelte sbagliate e di quelle imposte. 
Quando mio padre andò via quella fredda notte, mia sorella non disse nulla, non reagì o pianse, continuò la sua routine quotidiana andando a scuola, uscendo con i suoi amici e frequentando Gian-come-si-chiamava; solo dopo un mese o poco più disse a me e a nostra madre che dovevamo reagire, che piangere non serviva a nulla e che lei voleva andarsene. 
Improvvisamente mi ritrovai dai miei nonni a Roma e tutto il resto fu... vino bianco.





Amavo il sabato mattina perché potevo dedicarmi a me, non alle spose e ai loro stupidi capricci: almeno per un giorno alla settimana c'eravamo solo io, il bagno caldo e il libro che stavo leggendo; insieme ad altri momenti di relax.
Stavo giusto mettendo il cellulare in modalità silenzioso e staccando il cordless di casa per evitare che qualcuno mi disturbasse, portando il libro in bagno e iniziando a riempire la vasca, mettendo i sali giusti. 
Dopo neanche un minuto il flusso dell'acqua iniziò a diminuire fino a interrompersi del tutto e io imprecai come un maschiaccio. 

- Hai il numero di un cazzo di idraulico?
Il silenzio dall'altro capo del telefono mi innervosiva ancora di più – Non penso che i “cazzi” vivano di vita propria tale da avere anche i cellulari.
- Giù, sei davvero idiota. Non ho più acqua in casa e sto andando in panico.
Quella brutta strega iniziò a ridere, probabilmente fece anche cadere il telefono perché la sua risata sembrò distante – Ok, ci sono. Em, hai rotto qualche specchio di recente? E' incredibile la tua sfiga in questo periodo.
- Ti odio.
- Prima la macchina, poi il cellulare e adesso l'acqua.- Riprese a ridere, forse era meglio riagganciare e lasciarla sfogare in pace.
- Ti sto odiando. Hai questo numero o no?
- Sì sì, lo cerco subito.
- Non è che per caso devi dirmi che lavorano solo il pomeriggio dalle sedici alle sedici e zero uno? Sai com'è, l'ultima volta il meccanico...
- No miss “voglio tutto e subito” questi sono sempre a disposizione e quando ti decidi a prendere un elenco telefonico o un pagine gialle?
- Ma io ce l'ho già, perché cercare quando ci sei tu? Grazie Giuli. Bacino.
Composi il numero che mi aveva dato la mia amica e che avevo scritto su un post-it azzurro: ero fissata con quel colore. La voce di quell'uomo mi fece rassegnare all'idea che, dopo una mezz'ora abbondante, avrei avuto in casa un tizio sconosciuto sulla cinquantina, probabilmente con la pancia da birra, la canottiera bianca sporca di grasso e i jeans luridi e lacerati che mi avrebbero fatto intravedere metà delle sue chiappe.
Indossai una tuta e sconsolata mi stesi sul divano a guardare la televisione o meglio, passai mezz'ora a scorrere tutti i canali del digitale alla ricerca di qualcosa di interessante, ma quella stupida scatola non trasmetteva nulla che potesse soddisfare la mia voglia di omicidi. 
Al suono del campanello scattai come una furia, non guardai neanche dallo spioncino perché sapevo che a quell'ora poteva solo essere l'idraulico.
Lo fissai imbambolata per due minuti quasi, circa, forse meno ma melius abundare quam deficere.
- Ho qualcosa in faccia o ho sbagliato appartamento?
- Oh, emh... Non ha niente in faccia e credo non abbia sbagliato, è l'idraulico?
- Così dicono. Dov'è il problema?
Indicai con il dito la porta del bagno e quell'uomo, uno dei più sexy che avessi mai visto in divisa da lavoro, andò verso la fonte dei miei problemi per sistemarla, permettendomi di chiudere la porta d'ingresso. Andai a spiarlo anche perché volevo sapere quanto grave fosse il danno e lo trovai disteso supino sotto il lavello, con le gambe piegate, la canottiera nera leggermente alzata che lasciava intravedere gli addominali obliqui; scivolai dallo stipite della porta e quasi sbattei la testa. 
- Dovrei controllare anche in cucina, se non è un problema.
- No, no no.
I jeans non erano per niente luridi o lacerati, anzi, erano stretti e risaltavano il suo bel sedere tondo, sodo e da prendere a morsi. Deglutii e desiderai dell'acqua fredda in testa per calmarmi: era solo un bell'uomo attraente, con delle gran belle braccia muscolose e tatuate che faceva il suo lavoro. Potevo ignorarlo, dovevo.
- Quindi? 
Tornai sulla terra e mi ricordai che dovevo mostrargli la cucina – Ci siamo già visti da qualche parte? 
Era figo sì, ma mi sembrava di conoscerlo; lui mi guardò meglio, mi sembrò di vedere qualcosa di diverso nel suo sguardo come se avesse trovato la soluzione a una delle più terribili malattie del mondo, poi però scrollò le spalle, fece una smorfia e – No. Almeno non nella realtà ma, forse mi hai incontrato nei tuoi sogni.
- Come scusa? - Incrociai le braccia sotto al seno. Mi aveva davvero risposto in quel modo?
- Calma ragazza, stavo scherzando. E' una battuta di un cartone animato, lo dice un 
principe, volevo vedere se funzionava davvero.
Lo ignorai – Questa è la cucina. 
Si accucciò nella stessa posizione in cui l'avevo trovato in bagno e trafficò con alcuni attrezzi. Rimase un bel po' lì sotto a lavorare in completo silenzio, tutto quello che si sentiva era solo il rumore di tubi e altri 
cosi maneggiati; sapevo che non gli sarei stata d'aiuto perciò tornai sul divano per leggere qualche pagina in più di quel famoso libro.
- Qui sotto c'è puzza di panna, l'hai gettata nel lavello per caso?
Alzai gli occhi dal libro e fissai scettica lo schermo nero della televisione – Scusa?
Mascherò la risata con un colpo di tosse – Niente, dicevo per dire.- Non feci in tempo a tornare a leggere che lui riprese a parlare – Che fai nella vita? Lavori, studi... la ballerina professionista in locali notturni?
- Puoi limitarti a sistemare il problema e chiudere la tua bocca? Grazie. 
Lo fissai per qualche istante, in realtà fissavo le sue gambe perché erano l'unica cosa che riuscivo a vedere data la sua posizione e avevo ancora l'impressione d'averlo visto da qualche parte, benché non sapessi dove; forse era stato l'ospite di qualche matrimonio che avevo organizzato ma ciò non spiegava quelle frasi e domandine idiote che non smetteva di farmi: era idiota per caso o la puzza di fogna gli aveva atrofizzato i neuroni? 
La regola del 'biondo e cretino' a quanto pare valeva anche per i maschi.
- Finito, c'era questo tubo rotto che ho cambiato e adesso dovrebbe funzionare tutto. Controlla se non ti fidi.
Lui stesso mi fece vedere che l'acqua scorreva limpida e abbondante dal rubinetto della cucina e anche da quelli del bagno.
- Grazie mille. - Gli diedi la cifra che mi aveva chiesto, per fortuna non era caro. Sexy, maleducato, ma non caro.
- E' stato un piacere. Se dovesse rompersi la lavatrice, qui c'è il mio biglietto da visita: sono bravo con la centrifuga. 
Era un doppio senso quello? E aveva davvero ammiccato mentre mi passava il cartoncino bianco e rosso? Per fortuna uscì di casa perché stavo iniziando a pensare che quel tizio fosse un maniaco e ad avere un po' paura di lui. - S.C.? Che diavolo è S.C.?
- Il mio nome. E' stato un piacere ragazza, a presto.
Non aspettai che andasse verso le scale, chiusi la porta e andai in bagno per concedermi, finalmente, quella mia ora di relax immersa nella mia vasca.


Raccontai a Giulia quanto era successo quella mattina, mi rispose che ero la solita fortunata in fatto di uomini, perché ogni volta che lei chiamava quella ditta le mandavano un idraulico peggio dell'altro.
- Ma non avevi detto che ero sfigata? E ti ricordo il meccanico.
- Il signor Ciccio è gentile, non offenderlo.
- Comunque, meglio un idraulico indecente che quello di oggi, Dio, era insopportabile.
La sentii sbuffare – Sei tu quella poco tollerante Em. È pronta la pasta, ci sentiamo domani, buona serata.
- Sì, ciao ciao.
Anche io aspettavo che la mia cena si cucinasse, guardavo impaziente il pollo ancora crudo dentro al forno e non sapevo che fare.
Un'idea geniale illuminò la mia mente.
Accesi la tv sintonizzandola sul canale trentasei del digitale, RTL era quello che ci voleva per rianimare la serata e risollevare il mio morale; presi la bottiglia di vino bianco dal frigo e mi versai un bicchiere: adesso sì che il mio sabato sera poteva avere inizio. 


Avevo già bevuto tre bicchieri di vino e stavo versando il quarto; ero accaldata, perciò avevo tolto la tuta restando in intimo e scalpitavo in attesa della canzone successiva. Non mi piaceva il giornale orario o le informazioni sul traffico in autostrada: io volevo cantare e ballare.
Strillai felice quando il tizio salutò i video telespettatori e i radio ascoltatori e la VJ introdusse uno degli ultimi successi di J.Lo. 
Trangugiai mezzo bicchiere e salii sul divano – I wanna dance and love and dance AGAIN.
Aumentai il volume quasi al massimo, rischiando che i vicini del mio stesso piano venissero a suonare e protestare, ma era sabato sera, volevo divertirmi, almeno per una volta. 
- UUUUUHHH I wanna dance. EEEE. Oooooh.
Il campanello interruppe il mio acuto, proprio come avevo previsto.
Spensi la tv, posai il bicchiere sul tavolo in cucina e indossai una vestaglia, non potevo certo aprire in mutande e reggiseno: la signora Molinari si sarebbe scandalizzata più del previsto.
Non mi preoccupai, per la seconda volta, di guardare dallo spioncino; i probabili scocciatori potevano essere solo tre: la signora Molinari, appartamento adiacente al mio, terribile vecchiaccia rompi scatole che si lamentava anche per il ronzio di una mosca; mi odiava dal momento in cui aveva scoperto la mia nazionalità. Il signor Cesari, un signore mezzo sordo ma che, non si sapeva come, riusciva a sentire ogni rumore, nonostante abitasse di fronte al mio appartamento. Infine c'era lei, la signora Cuccia, cicciotta e bassina, siciliana ma romana d'adozione, viveva di pettegolezzi; molte volte suonava alla mia porta per chiedermi come stessi e perché nessun ragazzo mi facesse mai visita.
Non sapevo chi fosse il peggiore tra i tre.
Aprii la porta e spalancai occhi e bocca. - Mi prendi in giro?
- Chiudi la bocca biondina o entrano le mosche.- Era uno scherzo? Sentii una delle tre porte aprirsi e lo tirai dentro. - Eh, calma Dumbo, che irruenza! 
- Idiota, non voglio che i miei vicini ti vedano, non smetterebbero di parlare. Che ci fai qui?
- Aspettavi qualcuno? Carino il tuo appartamento.
Andai in panico. La vestaglia mi copriva fino a metà coscia e lasciava intravedere il mio décolleté; me l'avevano regalata Giulia e Mina, dicevano che sarebbe stata utile, prima o poi. Cercai di coprirmi il più possibile mentre quel deficiente si intrufolava in cucina e curiosava in giro.
- Tua madre non ti ha mai detto che è maleducazione fare quello che stai facendo?
Mi guardò sorridendo, aveva i denti bianchi e allineati in modo perfetto. - E cosa starei facendo?
Non risposi perché le rotelline del mio cervello non funzionavano bene come sempre, avevo bevuto troppo per reggere un confronto verbale con lui: avrei perso la battaglia, mi avrebbe umiliata. 
- Lascia perdere, non capiresti. Come hai fatto a scoprire dove abito? 
- Ho i miei informatori. Apri sempre in questo modo la porta di casa? Perché potrei venire spesso, a trovarti.
Perché ogni cosa che usciva dalla sua bocca era un esplicito riferimento al sesso? Il trillo del forno mi avvisò che il pollo era pronto; ne fui grata, in quel modo l'avrei cacciato di casa e mi sarei ripresa dalla quasi sbronza.
- La tua cena è pronta e sembra essere invitante. Apparecchio per due, ho un certo languorino...
- Ma tu non hai da lavorare questa sera? - Per colpa sua quasi non mi bruciavo nel tirar fuori la teglia dal forno. Maledetto idiota palestrato, oliato e deficiente.
Aspettai che il pollo si freddasse un po' prima di tagliarlo e metterlo nei piatti, intanto guardavo Geremia muoversi nella mia cucina alla ricerca dell'occorrente per apparecchiare: quella scena mi fece sorridere, era davvero raro che cenassi con qualcuno, soprattutto un estraneo. Pensai a quanto dovesse essere bello vivere con qualcuno, condividere con una persona la quotidianità di una giornata, raccontarsi i momenti brutti e belli a cena e poi accoccolarsi insieme sul divano a guardare la tv.
- S'è freddato abbastanza?- Mi fu accanto e tornai con i piedi per terra – Se vuoi faccio io.
- No, sei un ospite, quindi siediti e stai zitto.- Gli misi il piatto davanti e mi accomodai di fronte a lui.- Dov'è l'acqua? 
- Credevo volessi bere solo vino e non l'ho messa.- Fece di nuovo quel suo sorrisetto impertinente. Lo odiavo talmente tanto che avrei tanto voluto farlo a pezzetti e infilarlo dentro il forno. - Se hai problemi d'alcool conosco una clinica che può aiutarti.
- Senti, mettiamo ben in chiaro una cosa: io non ti conosco e non voglio farlo. Sei qui solo perché ti sei auto invitato e non ti caccio perché sono educata ma se continui ad offendermi ti sbatto fuori a calci, chiaro?
Annuì – Mangiamo?- Aspettò che tornassi a tavola con l'acqua. - Buona cena. 
Gli feci una smorfia e assaggiai il mio piccolo capolavoro.
Geremia o come si chiamava in realtà, mangiava in silenzio, gustando il pollo e lanciandomi, ogni tanto, un'occhiata; sembrava volesse dirmi qualcosa ma non ne aveva il coraggio. Nel silenzio di quel momento ne approfittai anch'io per guardarlo, era così calmo e gestibile che colsi la palla al balzo. Era proprio un bel ragazzo, nessuno poteva affermare il contrario e i suoi occhi avevano qualcosa di particolare, non era il colore, azzurro, o la forma, piccola e un po' allungata; c'era qualcosa, nel suo sguardo, che incuriosiva e affascinava, che spingeva a volerne sapere sempre di più. Era ipnotico. 
- Era mio padre.- I suoi occhi curiosi si posarono su di me – Quello non era uno stalker o uno dei miei amanti, era mio padre. - Il suo silenzio mi diede il coraggio di continuare. – Non lo vedevo da dieci anni, per questo stavo scappando. Lui, se n'è andato e non l'abbiamo più rivisto e io non voglio più avere niente a che fare con lui, perciò ti ringrazio per quello che hai fatto e mi dispiace davvero per la storia del porta penne.
Abbassai lo sguardo colpevole e imbarazzata
– Tranquilla, mi hanno tirato di peggio addosso.- Mi sorrise e ristabilii il contatto visivo. L'ho detto, era ipnotico. - Anche io ho un padre difficile. Lui è uno di quelli stra ricchi dei quartieri alti che mi ha sempre imposto cosa fare e cosa non fare. Voleva che andassi all'università e studiassi legge: io, giurisprudenza, ma ti immagini? 
Risi, in effetti non ce lo vedevo in toga, seduto di fronte a una corte a difendere un assassino; al massimo avrebbe fatto arrestare un innocente. 
- Così ho fatto di testa mia e sono partito, lui non ha visto di buon occhio questa mia scelta e mi ha buttato fuori di casa, definitivamente. Tutti abbiamo dei padri difficili o teste di cazzo, l'importante è non fare i loro stessi errori. L'ha detto anche Olivia a Peter “Na ine kalitero antropo apo ton patera toi”.
- Cosa hai detto? 
Sii un uomo migliore di tuo padre. E' greco. 
Gli sorrisi rassegnata: quel ragazzo era davvero strano. Verso le ventuno e trenta scappò via perché doveva andare a lavorare ed era in ritardo; avevo cenato con lui, gli avevo raccontato un pezzo del mio passato e lo stesso aveva fatto lui, ma non sapevo ancora il suo nome: era normale? 
La mia vita era un gran casino, preferivo la solitudine alla vita di coppia, rifiutavo l'amore per paura di star male, ma in questo modo soffrivo ancora di più. 
Quando sarebbe arrivata la grande svolta? O meglio, sarebbe mai arrivata?






****

UAO quanto ho scritto!
Il capitolo è diviso in tre parti: il Venerdì pomeriggio, Emily pensa al padre e racconta a Mina altri dettagli sulla sua vita e si scopre la presenza di una sorella. TA TA TA TAAAA. E la sera, impegnata a mandarle una email.
Sabato mattina, Emily vuole fare un bagno ma ha un problema con le tubature e così chiama l'idraulico. LOL Amo questa parte.
Terza scena: Geremia va a trovarla a casa.
Come accidenti avrà fatto a sapere dove abita? :O E cosa voleva da lei? Questo ragazzo è insopportabile, vero? (Mandatemelo a casa, vi prego! VI PREEEEGO!)
C'erano molte cose che volevo dirvi ma la mia memoria mi impedisce di farlo perciò accontentatevi di quello che ricordo.
Spero che tutte conosciate i Kasabian, io li ho scoperti troppo tardi e sto cercando di recuperare o almeno ci provo. ( La canzone di cui parla Emily è
Goodbye Kiss. )
*
melius abundare quam deficere è un espressione latina che si traduce con: meglio abbondare che scarseggiare. Si usa per affermare che per non rischiare di non raggiungere la giusta misura, è preferibile superarla ed eccedere. (Wikipedia mi ha aiutata con la spiegazione)
La frase che dice l'idraulico, detta da un
principe e che si riferisce ad un cartone animato altro non è che: La bella addormentata nel bosco e lui è il principe Filippo. (Questo cartone mi sta proprio sulle scatole)
Credo che tutti conosciate la canzone di J.Lo insieme a Pitbull, Dance Again. Dovevo metterla per forza nel capitolo dopo aver visto il primo episodio di Glee.
La frase in greco “
Na ine Kalitero, apo ton patera toy” La dice Olivia Dunham in Fringe nell'episodio 2x01 e significa: Sii un uomo migliore di tuo padre. E' greco antico la trascrizione originale è questa: Γίνε καλύτερος άνθρωπος από τον πατέρα σου.
Credo di non avere altro da dire se non :
Per chi volesse esiste un
GRUPPO dove ogni tanto mi piace fare l'idiota più di quanto io non lo sia xD
Esiste anche una mia
pagina facebook dove pubblicizzo il mio account YOUTUBE e quello DAILYMOTION.
O ancora, il mio account
TUMBLR.

Ringrazio chi ha letto e chi ha commentato lo scorso capitolo, chi aggiunge questa storia tra i preferiti, seguiti e ricordati: SIETE COSI' MERAVIGLIOSE CHE VI MANDEREI UNA BOMBOLETTA DI PANNA SPRY A CASA.

Ringrazio, infinitamente,
Ellina Bellina per quello che fa e per la sua pazienza.

Alla prossima e che la panna sia con voi.

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Capitolo 6
*** SEI ***


Allo stretto indispensabile.
Ai colpi di testa.
Ai colori.




SEI.

Avevo paura. Ero seriamente preoccupata: da una settimana a questa parte non avevo incontrato Geremia né mio padre aveva cercato di contattarmi, le cose a lavoro andavano bene, nessun danno a oggetti personali o a me stessa; cosa mi stava succedendo? Che fine aveva fatto la mia amica sfiga? 
- Dopo la cerimonia vi sposterete qui, è abbastanza grande per contenere entrambe le vostre liste di invitati; è sul prato ma i vostri due tavoli saranno in posizione centrale e rialzata rispetto agli altri in modo che tutti possano vedervi. L'orchestra sarà...
- La band vuoi dire! 
Ecco che ricominciavano i battibecchi tra le due spose, per fortuna erano amiche, non osavo immaginare cosa avrebbero detto o fatto se non lo fossero state. 
- Ilaria, io non voglio la band, voglio un'orchestra che suoi violini e altri strumenti a corda. Voglio una musica soave al mio matrimonio.- I suoi occhi chiusi e super truccati, l'aria sognante e le unghie ben curate mi fecero rabbrividire. - Ci saranno anche i gazebo vero?- Si rivolse a me, aprendo di scatto gli occhi castani e inviperiti.
- Veramente... No.- Prima che scoppiasse provai a spiegarle che il matrimonio era di entrambe e che stavo provando, insieme ai miei collaboratori, ad accontentare tutte e due. - Avevo pensato ad alcuni tavoli con sopra delle tovaglie di lino bianco e appuntati a esse dei piccoli fiorellini gialli e arancio che richiamano le composizioni ai vostri tavoli. 
- Io li voglio viola e rossi. 
Giada era la sposa più complicata tra le due, quella che stava con l'americano e che voleva le cose più strane. Che razza di abbinamento era quello che aveva scelto? Sospirai cercando una ragione per non strozzarla.
- Potremmo dividere le composizioni in base ai vostri tavoli e agli invitati. 
- L'importante è che io abbia i miei fiori viola. 
Quando tutti e quattro andarono via, mi rilassai sulla mia poltrona maledicendo Carla e la sua mania di darmi i lavori più difficili. Perché non potevo mai occuparmi di matrimoni semplici o di quelli civili? 
Mandai le ultime email per confermare la sala del ricevimento, chiamai il fioraio e anche il pastore che avrebbe celebrato il rito; stavo appunto parlando con quest'ultimo quando mi arrivò un messaggio al cellulare, mi soffermai a leggerlo più del dovuto, perdendo la concentrazione.
Ehi biondina, non pensare che mi sia scordato di te, sono solo troppo impegnato per passare a salutarti. Non disperare, recupereremo.”
Primo: non ero affatto disperata, anzi tutto il contrario: non aveva la minima idea di quanto fossi felice di non averlo incontrato in quei giorni.
Secondo: come diavolo aveva fatto ad avere il mio numero? 
La risposta lampeggiò nella mia mente come un'enorme insegna luminosa: il suo stupido amico che mi aveva duplicato la scheda! Un moto di rabbia mi assalì e fui tentata di rispondergli mandandolo, gentilmente, a quel paese; invece lo ignorai, credendo che in quel modo lui si sarebbe convinto che aveva sbagliato numero.
Signorina Emily, è ancora in linea? 
Avevo dimenticato di essere al telefono con il pastore Marzano – Sì, scusi, stavo appuntando tutto sull'agenda. Quindi confermiamo?
Quello rispose e chiusi la chiamata afflitta, possibile che quel tizio, di cui ancora non conoscevo il nome, doveva farsi sentire nei momenti sbagliati e inopportuni? 

Anche quella mattina arrivai in orario a lavoro; Carla non era nel suo ufficio, aveva lasciato un biglietto dicendo che era uscita per un sopralluogo. Mina e Giulia invece, erano già sedute alle loro scrivanie, ma invece di lavorare parlavano della loro serata precedente.
- Tu che hai fatto? 
Si accorsero di me solo perché feci tutti i rumori possibili, attirando l'attenzione – Oh, buongiorno ragazze, anche voi qui? 
La loro risata mi contagiò, era strano essere di buon umore di prima mattina. Ultimamente ero sempre così cupa e triste, un po' come Meredith Grey. 
Stavo per rispondere e raccontare loro della mia serata rilassante, passata sul divano a guardare una commedia americana quando il mio cellulare squillò: l'ennesimo messaggio.
Buongiorno Dumbo. Non puoi evitarmi per sempre.”
Lo misi in modalità 'vibrazione' e lo posai sulla scrivania.
- Chi era?- Mina e la sua morbosa curiosità.
- Non è che per caso hai qualche ammiratore segreto e non vuoi dircelo? - Giulia, quando ci si metteva, sapeva essere peggio di Mina, avrebbe potuto iscriversi a scienze investigative perché sarebbe stata un ottimo detective rompi scatole.
- Nessuno di importante. Volete sapere o no quello che ho fatto ieri?
- No, perché fai la stessa cosa ogni sera: stai a casa a guardare un film. Sei noiosa.
Volevo ribattere alle parole di Mina, ma l'altra arpia si intromise, mettendo fango su fango:
- Potrai parlare solo quando uscirai con qualcuno che merita e farete baldoria per tutta la notte. Fino ad allora, zitta e lavora.
Scoppiarono a ridere e finsero di darsi un cinque a distanza; le mandai a quel paese e mi misi a lavoro ignorandole. 

Quando andavo a scuola non facevo mai colazione o, se mangiavo, mi limitavo a ingerire qualcosa di secco come biscotti o simile evitando il latte e il caffè perché sapevo che a metà mattina sarei dovuta correre in bagno. Da grande persi la mia intelligenza e furbizia e iniziai a fare colazione bevendo latte e caffè, i due ingredienti più lassativi possibili messi insieme: verso le undici corsi in bagno per un attacco di mal di pancia incredibile. 
Forse era stata colpa del cinese della sera precedente, non ero mai stata male come in quel momento in vita mia; dovevo iniziare a mangiare in maniera decente e smettere di ingozzarmi di schifezze. 
Tornando in ufficio trovai le due streghe sedute sulla mia scrivania a ridere come due idiote.
- Oddio... “
Dovresti tornare al locale, potrei rifare il numero della panna solo per te.” 
Stavano leggendo i messaggi del mio cellulare.
- Giù, senti questo: “
Sto mangiando del pollo con i miei coinquilini: preferirei avere te davanti, con quella vestaglia nera e trasparente.” Era quella che ti abbiamo regalato noi? 
Mi avvicinai a loro, arrabbiata, togliendo dalle mani di Mina l'oggetto delle loro risa – Cosa state facendo?
- Ha cominciato a tremare e... Abbiamo letto. Scusaci.- Tra le due Giulia era quella con la testa sulle spalle e la meno curiosa. – Però adesso spiegaci cosa sono tutti questi messaggini.
Mi sbagliavo. - E' il tizio del Ladies Night, quello della panna.- Non mi fecero finire di parlare perché iniziarono a saltellare felici come delle antilopi nella foresta per tutta la stanza ripetendo quanto fosse romantico che - testuale - 'quel figo mi scrivesse ogni mattina, pomeriggio e sera'. A detta loro il romanticismo stava nel fatto che la nostra sembrava la versione rivisitata di “Pretty Woman”, lui era il prostituto e io la tizia ricca che cercava di migliorargli la vita; lui però non mi sembrava così infelice della vita che stava conducendo.
- E tu che gli dici?
Risposi mentre raccoglievo le mie cose per tornarmene a casa: nel pomeriggio avrei visitato la Vigna San Sebastiano insieme alle spose. Alla notizia che lo ignoravo per fargli credere che avesse sbagliato numero, Mina e Giulia iniziarono a insultarmi; non mi interessava cosa pensassero loro, io volevo solo che quell'idiota la smettesse di importunarmi.
- Io però potrei avergli risposto per sbaglio, prima. 
Era ufficiale: odiavo Mina. - Cosa hai fatto?- Sibilai, mentre mi avvicinavo minacciosa e con l'ombrello in mano: l'avrei usato come arma se fosse stato necessario. - Cosa gli hai scritto?
- Niente di grave, ho usato il tuo stile.
Mi bloccai – Ironica e tagliente? 
Negò con il capo e accennò una mezza risata – Isterico, quello di una zitella. 
Mi finsi arrabbiata mentre loro due morivano dalle troppe risate: Giulia cadde per terra e si teneva la pancia, dicendo che la mia espressione era troppo buffa; ancora una volta le mandai a quel paese e me ne uscii dall'ufficio. 
Non sapevo cosa avesse risposto Mina al messaggio e in tutta onestà non mi interessava affatto, ma mi aveva infastidito il loro intromettersi nella mia vita. Se non gli avevo raccontato nulla di tutta quella faccenda, c'era un motivo: quello di tener fuori, il più lontano possibile, Mr Panna, perché quello portava solo guai e sfiga. 
Loro due non erano cattive e quello che facevano lo facevano per il mio bene, di questo ne ero a conoscenza, ma il mio brutto carattere mi faceva reagire in quel modo, portandomi a trattarle sempre male. 

- Ciao Emily, come stai? 
Non potevo crederci, quel tizio era sempre in agguato e pronto ad assalirmi quando poteva. Stavo iniziando a pensare di scendere con le scale e abolire per sempre l'ascensore. Lo salutai per educazione anche se avrei preferito ignorarlo; lui come al solito aveva voglia di parlare perciò continuò a infastidirmi con la sua vocetta nasale.
- Non pensi che sia strano incontrarci sempre qui dentro?
Lo aveva notato davvero? Allora era un genio! - No, figurati. Io ci vivo qui dentro è normale incontrare qualcuno ogni tanto. 
Rise come un idiota e mi venne voglia di prenderlo a pugni – Lo so che è assurdo, ma ti assicuro che è una coincidenza: è la mia pausa pranzo e se non mangio le sfogliatine della signora Maria starò male per tutto il giorno.
Un altro dei miei problemi era che giudicavo troppo in fretta le persone; quel ragazzo era sempre stato gentile con me e aveva ragione, ci incontravamo solo negli orari di entrata o uscita dal lavoro; in effetti anche lui doveva andare a mangiare o a casa a dormire. Ero proprio stupida! 
Le porte dell'ascensore si aprirono e mi lasciò uscire, sorridendomi gentile; non ero abituata a tutta quella galanteria. 
- Cosa sono queste sfogliatine di cui parli? 
La mia bocca non era collegata al mio cervello oppure il mio cervello aveva smesso di funzionare. Perché cavolo mi mettevo a parlare di cibo con quello che fino a qualche istante prima avevo creduto fosse un maniaco sessuale? 
- Non le hai mai assaggiate? Dobbiamo rimediare. 
Mi sorrise ancora e, prendendomi per mano, mi trascinò fino al piccolo panificio di fronte al palazzo in cui lavoravamo. Ci accolse una signora bassina e ciocciotta, ma molto simpatica: lei doveva essere Maria.

- Emily, ti presento la signora Marianna che tutti chiamano Maria. 
Le strinsi la mano e lei mi riempì di cibo e complimenti. Quel tipo aveva ragione: le sfogliatine erano squisite, non ne avrei potuto fare a meno per il resto dei miei giorni.
Uscimmo dal panificio rotolando: mi sembrava di essere ingrassata di altri dieci chili per tutto quello che avevo mangiato, sarei scoppiata da un momento all'altro; come avevo potuto farmi trascinare da un tizio e mangiare tutte quelle cose? 
Dovevo smetterla di farmi domande e iniziare ad agire: salutarlo e andarmene erano le prime cose da fare.
- Grazie mille per il pranzo. Sei stato davvero gentile.
Era chiaro come l'acqua: il mio cervello era morto; se mi avessero fatto in quel momento un elettroencefalogramma si sarebbe vista una lunga linea piatta. 
- E' stato un piacere, potremmo farlo un'altra volta se ti va.
Dovevo solo negare, salutare e andare via. - Certo, puoi solo dirmi il tuo nome? Io, beh sai, ho una pessima memoria.
- Mario e qui c'è anche il mio numero.
Mi diede il suo biglietto da visita e poi lo salutai sul serio dato che dovevo incontrare le mie due simpaticissime clienti alla Vigna e non potevo perdere altro tempo.
Sull'autobus presi il cellulare per memorizzare il numero e trovai un altro messaggio il cui mittente era sempre “Non Rispondere”, lo lessi per curiosità:
Ho vinto: mi hai risposto. Biondina 0 - Pi...” 
La voce elettronica mi annunciò che quella era la mia fermata perciò lanciai il telefono nella borsa e scesi di corsa per non perdere la coincidenza. Dopo dieci minuti arrivai a destinazione, stanca e sudata. Odiavo i mezzi pubblici ma fin quando non avrei trovato un automobile a buon prezzo mi sarei dovuta arrangiare.

Dopo tutto il pomeriggio trascorso ad ascoltare le lamentele di Giada e le suppliche di Ilaria quando arrivai a casa presi due aspirine e mi buttai esausta sul divano con le lacrime agli occhi a causa del troppo mal di testa; quel lavoro mi stava uccidendo.
I matrimoni erano belli quando erano semplici e intimi, quando ci si sposava per amore e non per interesse; ammettendo che l'amore potesse spingere due persone a legarsi per sempre con un contratto.
Mi addormentai vestita, senza cenare; avevo mangiato abbastanza a pranzo e troppo stanca per camminare fino in camera da letto. Pensai a Mario, aveva un sorriso carino e gli occhi azzurri: mi piaceva quel colore degli occhi, chissà di che colore erano quelli di Geremia. 



Ero in ritardo e non avevo dei vestiti puliti perché la sera prima non avevo caricato la lavatrice; in più, essendomi addormentata sul divano, ero puzzolente e ancora vestita.
Maledii il mio lavoro per tutto il tempo della doccia, soprattutto quando dovetti indossare un abitino beige, l'unico indumento non troppo elegante che mi era rimasto nell'armadio, insieme a delle scarpe con il tacco rosse. 
Presi borsa e cappotto e uscii in fretta da casa: se fossi arrivata troppo in ritardo il Dottor Rossi non mi avrebbe ricevuta e quella corsa sarebbe stata inutile. 
Il traffico quella mattina fu dalla mia parte e riuscii anche a beccare tutte le coincidenze; scesa dall'autobus iniziai a correre come se stessi facendo la maratona di New York, nonostante non credessi di saper correre su quelle trappole mortali. In realtà avevo paura di cadere a ogni passo e di fare una figuraccia davanti a tutti i passanti, ma la reputazione con l'analista era più importante di una figuraccia per strada. 

Aprii la porta dello studio con soli cinque minuti di ritardo e la segretaria mi fece accomodare su una di quelle tante sedie scomode verdi e arancioni che c'erano nella sala d'aspetto. “Il dottore è occupato al momento, desidera qualcosa nell'attesa?” Mi aveva detto la segretaria e avrei tanto voluto spaccarle l'enorme Mac che aveva davanti in testa, perché avrebbe potuto chiamarmi e avvertirmi, almeno avrei fatto a meno di correre e sudare come un maiale in calore.
Dopo una lunga lotta interiore tra quale colore tra giallo e arancione fosse più brutto e quindi in quale sedia avrei poggiato il mio accomodante sedere, scelsi l'arancione e mi rilassai aspettando che il dottore di sto cavolo si liberasse; sfogliai qualche rivista, cancellai tutti i messaggi ricevuti senza neanche leggerli per liberare la memoria e ne mandai uno a Carla dicendo che avrei ritardo per colpa dell'appuntamento con l'analista; stavo per perdere quella poca pazienza che avevo quando delle urla attirarono la mia attenzione, mi sporsi dalla sedia per ascoltare meglio.
Il mio secondo nome era curiosità.
- La mamma sta male e io non posso andare a vederla perché tu lo hai proibito, che razza di padre sei?
- Pietro, abbassa la voce. 
- Non abbasso un cazzo. Mi hai tolto tutto, ma non ti permetterò di portarmi via la possibilità di vedere mia madre.
- E' colpa tua se siamo arrivati a questo punto, avresti dovuto fare a modo mio. Seguire i miei consigli invece di fare quello che fai... Sei una profonda delusione.
A qualche minuto di silenzio seguì un tonfo, il rumore di un oggetto lanciato per terra o contro il muro. Sentii dei passi verso la porta e mi spostai verso la finestra per non farmi vedere e scoprire: se avessero saputo che avevo origliato non avrei fatto una bella figura. 
- Non ti preoccupare, Dottore, risolveremo la questione a modo mio. E' tutto suo signora. 
Mi voltai quando il ragazzo aveva girato l'angolo, il Dottor Rossi era in piedi accanto la porta e stringeva la maniglia come a volerla rompere; aveva le nocche bianche e solo dopo qualche minuto si voltò verso di me.
- Mi scusi per lo spettacolo, si accomodi pure.



Non dovevo piangere, in fondo non era poi tanto grave avere male ai piedi per colpa delle scarpe; dovevo resistere fino in ufficio perché lì le avrei tolte ottenendo la pace dei sensi. 
Non erano poi così alte o così scomode, c'era il platò ad attutire il peso e il tacco non era spillo ma abbastanza grosso; il problema stava nella punta che stringeva troppo le mie dita rendendole ancora di più dei salsicciotti pressati e doloranti. 
La vibrazione della mia borsa mi distrasse dai miei pensieri sulle scarpe maledette; il numero era sconosciuto e per quanto odiassi quelle tipologie di chiamate dovetti rispondere perché poteva essere qualche mia cliente.
Emily, devi venire subito qui. 
- Scusa, ma con chi parlo?
Con tuo fratello! Per favore ho bisogno del tuo aiuto. Ti mando per messaggio il mio indirizzo, fai presto perché è urgente.
Guardai il telefono sbigottita per qualche istante, fino a che non mi arrivò un messaggio da “Non rispondere” con scritto una via e il numero civico; sbuffai e scesi alla fermata successiva, cambiando del tutto il mio tragitto. Al telefono mi era sembrato preoccupato e che avesse davvero bisogno del mio aiuto, perciò strinsi i denti e corsi verso casa sua. 
Per fortuna non ero così lontana e arrivai presto in via Treviso numero diciannove, il portone del palazzo era aperto e ne fui grata perché non avrei saputo a chi suonare; in realtà non sapevo neanche il piano in cui abitava quel cretino perciò gli mandai un messaggio a cui rispose qualche secondo dopo dicendomi anche che avrei trovato la chiave nelle palle del toro. 
Salii le scale fino al sesto piano perché, ovviamente, in quel palazzo non c'era l'ascensore; arrivai mezza sfinita e in punto di morte, avevo tolto le scarpe davanti al 3B sorridendo come una scema pensando ai protagonisti di un libro che stavo leggendo e avevo continuato la mia scalata verso l'idiota. 
Al 6A sospirai vittoriosa e cercai le palle del toro; a sinistra su un muretto con il ripiano in marmo, dietro una pianta grassa, c'era una piccola statua in bronzo di un toro in una posizione strana, sembrava stesse per fare la cacca; non potevo credere a quello che stavo facendo: infilai la mano sotto le palle di quella statua e le staccai, prendendo la chiave.
Disgustata, aprii la porta e cercai l'idiota, non sapevo neanche come chiamarlo, ma in qualche modo mi annunciai non ottenendo nessuna risposta: mi preoccupai. Guardavo tanti film horror o fiction poliziesche, per un attimo pensai che mi avesse chiamata a casa sua per uccidermi o per incastrarmi in un omicidio, poi però sentii la sua voce.

- Sono qui, ultima porta in fondo al corridoio.
Superai l'unico ambiente del soggiorno-cucina e camminai per il lungo corridoio nel quale c'erano diverse porte colorate: una rossa, una verde scuro, una blu, una nera e infine in fondo, arancione; bussai e aprii incerta.
- Ma che cazz! Ti sembra il modo? Non potevi vestirti?
- Finalmente sei arrivata. Devi aprire la porta nera e prendermi la carta igienica, per favore.
Avrei pagato oro per vedere la mia espressione in quel preciso istante; dovevo avere la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite oltre all'istinto di sbattere la porta e tornarmene da dove ero venuta. Geremia se ne stava seduto sul water, completamente nudo, con un rotolo finito in mano e la faccia da schiaffi. 
- Stai scherzando?- Negò e chiusi la porta in maniera poco delicata, borbottando. All'interno della porta nera c'era uno sgabuzzino, cercai per un po' e quando la trovai tornai da lui lanciandogliela in faccia -Tieni, idiota.
- Sei molto carina con questo vestito. 
Nonostante avessi chiuso la porta, riuscii a sentire quel complimento e non potei fare a meno di sorridere; era strano che proprio lui mi dicesse qualcosa di gentile dato che era sempre stato scortese e maleducato. Ero in ritardo a lavoro per colpa sua e dovevo dirglielo, perciò mi sedetti sul divano di stoffa blu e bianca che c'era in cucina e aspettai che mi raggiungesse; picchiettavo il piede sul pavimento per lo stress, lo avrei ucciso, anzi prima lo avrei torturato: strappato i peli del naso uno alla volta, legato da qualche parte e fatto il solletico sotto i piedi e alle ascelle, gli avrei fatto la ceretta nelle parti intime e poi, fatto a pezzetti. Sì, era un piano perfetto.

- Il tuo sorriso mi spaventa: vuoi rapinarmi? Perché se è cosi non ho un soldo qui...
Rapinarlo? Era proprio idiota quel ragazzo. Alzai lo sguardo per rispondergli e per l'ennesima volta rischiai di morire quel giorno: era nudo, con solo una misera tovaglia a coprirgli l'amichetto in basso. 
- C'è qualcosa che vorresti chiedermi o vuoi che la tolga? 
Forse era meglio alzarmi e guardarlo in faccia. - Senti, razza di idiota, mi hai fatto venire fino a qui di corsa solo perché non potevi alzare il tuo culo dal cesso e prenderti da solo la carta igienica?
La sua indifferenza mi faceva innervosire ancora di più. - Non credi sia disgustoso camminare per casa in quel modo? Non sapevo chi altro chiamare: Riccardo è uscito per fare la spesa e Giovanni è a lavoro.
Quindi Riccardo viveva con lui, in quell'appartamento; chissà quale delle tre porte era la sua camera e chissà come faceva a vivere insieme a un troglodita come l'idiota che avevo di fronte. Era meglio non rispondergli e andarmene, avevo già perso l'intera mattinata in sciocchezze e se Carla avesse saputo che invece di tornare a lavoro subito dopo l'appuntamento con l'analista ero andata a fare visite di cortesia a degli spogliarellisti, mi avrebbe decapitata. 
- Devo andare, ma me la pagherai.
- Come posso sdebitarmi?- Mi accompagnò fino alla porta, aprendomela come un perfetto gentiluomo. 
- Intanto cominciando a smettere di mandarmi messaggi. 
Uscii da quella casa prima che l'aria diventasse irrespirabile; stare troppo vicina al suo corpo nudo non faceva bene ai miei ormoni arrugginiti; se sorrideva, poi, mi mandava in confusione ancora di più: non era normale avere quei denti così dritti e bianchi, forse era testimonial della Mentadent, dovevo provare a fargli mordere una mela. 
Il mio cervello era andato di nuovo. 
- Ti darò un biglietto omaggio per il mio spettacolo. 
E tutto, come al solito si riduceva al sesso – No grazie, ho già visto abbastanza.
- Potrei fartene uno privato allora. -Rifiutai mentre scendevo le scale, mettere più distanza possibile era la soluzione migliore. - Ti inviterò a pranzo, o a cena! Mi farò perdonare, vedrai.
Scossi la testa sorridendo, non avevo nessuna intenzione di uscire con lui né tanto meno di vederlo ancora; il modo perfetto per ripagarmi del favore sarebbe stato sparire per sempre dalla mia vita, ma sapevo che una richiesta del genere era impossibile. L'orso Balù insegnava che più si cerca qualcosa più non la si trova e viceversa; avevo solo bisogno di stare ferma ad aspettare che il destino facesse il suo corso, sperando però, che fosse come lo volevo io.






*****

Ma ciao belle donne, come state?
Sono già iniziate le lezioni universitarie? Come procede la scuola? PFF l'autunno è arrivato ma qui fa ancora caldo.
Non perdiamoci in chiacchiere e passiamo al capitolo.
Prima di dimenticarlo, il libro di cui parla Emily quando passa davanti al 3B non esiste ma è sempre un riferimento alla storia di Roberta:
YOU SAVED ME. (Che vi obbligo a leggere)
A parte il fatto che lo trovo noioso da moooooorire, non ho molto da dire:
anche questa volta il capitolo si divide in due parti, più o meno.
- Emily a lavoro alle prese con quelle due sceme di spose che personalmente vorrei strozzare perché stanno facendo impazzire pure me.
- Emily a casa di Geremia.
Ovviamente nella prima parte accadono un sacco di cose interessanti.
CHI è Mario e che vuole?
Alzi la mano chi li ha shippati per un momento. IO STO ALZANDO ANCHE I PIEDI!
I numerosi messaggini che Mr Panna le manda: oddio ma questo tizio è una tortura... non ha altro da fare? Lavorare, dormire, cercarsi delle amiche che non siano Emily? MAH!!!
La litigata strana che ha sentito dall'analista. ZANZANZAN.
Sono proprio curiosa di sentire le vostre supposizioni soprattutto sull'ultima parte del capitolo, quando Geremia vuole invitarla ad uscire.
* tante risate *


Credo di non avere altro da dire se non :
Per chi volesse esiste un
GRUPPO dove ogni tanto mi piace fare l'idiota più di quanto io non lo sia xD
Esiste anche una mia
pagina facebook dove pubblicizzo il mio account YOUTUBE e quello DAILYMOTION.
O ancora, il mio account
TUMBLR.

Voi che aggiungete la storia tra le varie categorie, che leggete e recensite: siete fantastiche e vi ringrazio immensamente. Prima o poi vi arriverà un Gerry mezzo nudo a casa.

Grazie a
Ellina Bellina per la pazienza che ha con me e per evidenziare alcune frasi in rosa.





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Capitolo 7
*** SETTE ***


A chi shippa tutto insieme a ogni cosa.



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The (he)art of the streap VIDEO.



Sette.



 Il vuoto. Stavo cadendo nel vuoto e urlavo. Urlavo e nessuno mi sentiva. Nell'impatto mi accorgevo di essere sopra qualcosa di morbido e bianco: delle nuvole? Abiti da sposa? 
C'era profumo di camomilla e quella era... Carta igienica.
- Inconscio del cazzo. 
Sbottai, allontanando le coperte il più lontano possibile per poter scendere dal letto. Per quale assurdo motivo avevo fatto quel sogno? E cosa significava? 
Volevo sbattere la testa contro lo spigolo della cucina. Non poteva indicare il mio bisogno di andare in bagno perché non avevo nessuno stimolo. Avevo sentito odore di camomilla: forse il mio inconscio mi stava suggerendo di rilassarmi. 
Prima o poi sarei diventata pazza o forse lo ero già: c'era qualcosa di strano nell'aria, me lo sentivo, qualcosa che avrebbe cambiato...
- Oddio il caffè! 
Ero così stupida da non essermi accorta che quel 
qualcosa altro non era che odore di caffè bruciato. Avevo sporcato il piano cottura e non avevo tempo per pulirlo; quella giornata era iniziata male e stava continuando peggio. 
Prima di uscire di casa controllai la cartina appesa al frigo con il percorso ideale che avevo disegnato e che avrei dovuto intraprendere per evitare di incontrare Gerry; ormai sapevo dov'era casa sua, quindi sfuggirgli sarebbe stato semplice,se solo lui fosse stato così gentile da permettermelo.

Era capitato di vederlo al supermercato o alla fermata della metro e autobus e non volevo che accadesse di nuovo, anche perché odiavo quel sorrisetto insopportabile che metteva su non appena mi notava: gli avrei dato un cazzotto in pieno viso così da fargli cadere quei denti perfetti. Non ero un tipo violento ma quello tirava fuori il peggio di me. 

Credevo d'essere salva, un po' come quando giochi a mosca cieca o nascondino durante l'intervallo alle scuole elementari: tu sei l'ultimo giocatore e sei sul punto di liberare tutti, credi di essere invincibile, hai il potere e l'illusione di aver fregato il tizio che ha fatto la conta; sei lì, a un passo dalla libertà, quando lui ti vede, tu lo vedi ed è una corsa a chi arriva primo a gridare: UN DUE TRE LIBERA TUTTI, oppure:
- Pensavi di sfuggirmi, vero?
Lui era arrivato prima di me, perché io nella corsa ero sempre stata una schiappa.
- Ciao “tizio-che-non-vorrei-incontrare-ma-che-non-faccio-altro-che-trovarmi-tra-i-piedi.”
Il mio entusiasmo si tagliava con un grissino, avrei potuto fare concorrenza a quella marca di tonno famosa; lui, dal canto suo, era felice e sorridente come sempre. Evidentemente le cose gli andavano bene o forse la botta in testa che aveva preso da piccolo gli aveva causato più danni del previsto.
- Dove vai di bello?
- A fabbricare bombe di carta; è martedì mattina dove vuoi che vada? Ho un lavoro a cui pensare.
Io lavoravo, io correvo a destra e a manca per evitarlo, io mi spaccavo la schiena – metaforicamente parlando – per far sposare la gente quando neanche credevo nell'amore e lui se ne stava impalato al semaforo, a guardarmi come uno stoccafisso. Lavorava, se quello poteva definirsi lavoro, la notte: perché la mattina era in giro a rompere le scatole a me invece di dormire? 
Mi accorsi che stava parlando troppo tardi, non avevo neanche visto le sue labbra muoversi; ero troppo intenta a offenderlo mentalmente. Qualsiasi cosa mi avesse detto o chiesto non mi interessava, perciò gli risposi con un secco “No”.
- Ma la mia non era una domanda. 
Il suo sguardo confuso mi fece sorridere ma mi trattenni. - Beh. No: non parlare, chiudi la bocca e sparisci.
- Non mi stavi ascoltando!
- Bravo Sherlock, vuoi la pipa e il cappello adesso? 
Averlo dietro mi metteva a disagio, sembrava fosse la mia ombra o il mio mastino napoletano. Uh, avevo un cane e neanche lo sapevo.
- Posso sapere cosa ho fatto di male per meritarmi il tuo disprezzo? 
Mi fermai sentendo la sua domanda e lui mi venne addosso, poteva almeno rispettare la distanza di sicurezza. Respirai lentamente,contando fino a dieci. Non volevo sbranarlo, perché il cane era lui e io non volevo apparire scortese, maleducata e pazza; quando fui abbastanza calma da pensare di riuscire ad avere un dialogo decente con lui mi voltai, trovando le sue labbra carnose appena dischiuse troppo vicine e i suoi occhi azzurri e luminosi puntati nei miei.
Oltre alla pazienza avevo bisogno di molto autocontrollo.
- Da dove comincio? Mi hai umiliata davanti a persone che neanche conoscevo facendomi salire su quel palco e mettendo le mie mani sul tuo culo nudo, per non parlare della panna.
- Ricordi anche tu? Quando mi hai strizzato la chiappa sinistra mentre risucchiavi l'ombelico è stato il momento più eccitante della serata e di solito non ricordo mai ciò che accade nella “sedia bollente”. 
- Lo stai facendo di nuovo: mi stai mettendo in imbarazzo, mi stai prendendo in giro. Lo hai sempre fatto. Io non ti conosco e ti odio; perché mi perseguiti, mi mandi messaggi o mi chiami per la carta igienica? Cosa vuoi, davvero, da me?
Aprì la bocca e la richiuse più volte e mi sembrò un pesce, forse stava pensando alla risposta più giusta da darmi, anche se avrei preferito che andasse via, lasciandomi in pace per sempre. Quando trovò le parole secondo lui adatte, sorrise e parlò: - Voglio conoscerti e poi devo farmi perdonare!
- Tutto qui?
- Se vuoi ti elenco qualche altro verbo che fa rima in 'are'. 
Ogni volta che lo ascoltavo parlare sapevo che un mio neurone tentava il suicidio, quindi perché rischiare di diventare una demente quando potevo scacciarlo come fosse una fastidiosissima mosca? 
- Io non voglio conoscerti, la mia vita era perfetta fino a prima che ti incontrassi quindi, per favore, torna da dove sei venuto. Lasciami in pace. - Aveva riaperto bocca per parlare, ma lo interruppi prima di un altro suicidio – Shhhh, zitto. SHHH! Il tuo blablabla mi fa venire il mal di testa; devi sparire! E se questo verbo non ti è chiaro, cercherò tutti i sinonimi esistenti per farti capire il concetto. Adesso io andrò dritto e tu, ti farai mettere sotto da un autobus.
- Dovrei morire perché non vuoi vedermi? Tu sei pazza e non è colpa mia. Avevi la possibilità di divertirti un po' con il sottoscritto senza preoccupazioni e l'hai sprecata: stammi bene Acidella. 
- VAFFANCULO!
Forse glielo urlai troppo tardi, ma lui mi sentì lo stesso, insieme a una decina di persone che attraversavano l'incrocio in quel momento.
Non potevo credere di essermi liberata di lui: ce l'avevo fatta. Avevo vinto. Arrivai a lavoro sorridente e felice dopo un mese circa di depressione cronica; non vedevo l'ora di dirlo alle mie amiche, sapevo che dopo un primo momento di isteria e parolacce mi avrebbero capita e sarebbero state contente per me. Almeno lo speravo. 

Li guardavo da cinque minuti senza sapere cosa dire e intanto sentivo le loro risatine alle mie spalle; ero indecisa se strappare quei post-it fucsia con i cuori disegnati e quelli azzurri con scritto 'Gerry più Emily = Panna per sempre' oppure strozzare le due streghe traditrici a mani nude e incollargli le dita una per una. 
- Respira Em. Non farti venire un attacco isterico. 
Avevo capito che Giulia, tra le due, era la peggiore: combinava il guaio, ti consolava e poi PEM ti pugnalava di nuovo e ancora più a fondo; era tremenda. 
- Cosa sono questi cosi? Cioè, so cosa sono ma cosa significano?
Con loro era meglio specificare sempre, in qualsiasi circostanza. Mina cercò di rimanere seria mentre mi spiegava che, dopo il mio resoconto sul piacevole incontro mattutino in cui avevo avuto quel dolce scambio di battute con tizio-idiota, avevano iniziato a shipparci insieme; termine che sembrava appartenere al gergo di un delinquente, ma poi capii il vero significato: “tifare” per una coppia.
- Oh dai, siete così carini insieme. Non fare quella faccia Em, pensaci!- Mina si era avvicinata, porgendomi il disegno di un cuore con dentro due iniziali.
- Ci sto pensando e non vedo nessuna nave con stampata la sua faccia pronta a entrare nel mio porto.
- Questa cosa suona molto porno, ma sono d'accordo con Mina; insomma lui ti manda messaggini, ti chiama, si fa trovare nel tuo ufficio...
- Cerca soprannomi carini con cui chiamarti, si auto invita a cena a casa tua, ti prende in giro di continuo.
- E, cosa molto importante, ti ha fatto assaggiare la sua pelle: se non è amore questo.
Stavano giocando a completa la frase e in più stavano rischiando di farmi innervosire. Ero così stanca di ripetere sempre le stesse cose: "non ho tempo da perdere", "non lo voglio vedere" ecc ecc; perciò le lasciai parlare e sognare.
- Pensatela come volete, costruite un modellino del Titanic, se proprio non avete nulla da fare, ma se vedo altri post-it del genere, vi mozzo le dita e ve le incollo alle orecchie.
Alzarono le mani in segno di resa e mi sembrò di sentirle borbottare un 'che c'entra il Titanic?'. Però ero troppo concentrata a strappare in mille pezzi quei fogli e buttarli per prestare attenzione a loro: quell'incubo era finalmente finito. Avevo vinto io, come sempre.



Niente cappellino e occhiali per nascondermi, niente tragitto modificato: tutto era tornato alla normalità, avevo riavuto la mia vita. Quando il giorno dopo il litigio lo avevo visto alla fermata della metro, avevo avuto paura che si avvicinasse e riprendesse a parlarmi come era solito fare, ma no, mi aveva ignorata, si era comportato come un perfetto estraneo e io avevo sentito i cori dell'alleluia in lontananza. 
Anche il giorno dopo ancora lo avevo incontrato di sfuggita al supermercato, era fermo al bancone surgelati a leggere le ultime offerte sui prodotti; per un attimo avevo avuto l'istinto di chiedergli perché mangiasse quelle schifezze invece di cucinare qualcosa di buono e sano, ma, quando vidi una moretta tutta tette e plastica avvicinarsi a lui con una bomboletta di panna spray e strizzargli una natica, mi ero allontanata mordendomi la lingua. Ero stata chiara con lui: doveva sparire dalla mia vita, quindi perché avevo pensato di parlargli?
Come una scema lo avevo detto a Giulia durante una delle nostre chiacchierate a telefono e la sua risposta mi aveva lasciata basita, credeva che fossi gelosa e che lui mi mancasse: stronzate. Tornare alla mia vecchia vita era ciò di cui avevo più bisogno.
- Emily, eccoti qui. Ho bisogno del tuo aiuto.
Carla era entrata nel nostro ufficio con il suo solito savor faire, la coda del suo coprispalle lungo arancione scuro svolazzava a destra e manca mentre camminava e i suoi occhiali stile anni '60 penzolavano sul suo collo. La guardai interrogativa e spaventata per quello che avrebbe potuto chiedermi.
- Questo è il nome della mia sposa e queste, – con la penna scorse tutto il foglio che aveva poggiato sulla scrivania, - sono le sue amiche che festeggeranno, insieme a lei, l'addio al nubilato.
Diedi un'occhiata alla lista, erano più o meno una ventina – Vuoi che regali una bottiglia di vino alla sposa? Un pene-cerchietto a ognuna delle invitate... Che devo farci?
Mi piaceva Carla, era un buon capo; rispettava il nostro lavoro e ci pagava bene al ventotto di ogni mese, ma una cosa che proprio non sopportavo era la sua risata: grossa e un po' maligna. 
- No cara, devi portarle in quel locale dove vai spesso. 
Mi sembrava d'essere un enorme punto interrogativo, di che locale stava parlando? - Emh, vuoi che le porti da Kamal a mangiare un kebab? 
Rise di nuovo e immaginai la mia matita tra le sue labbra, come a cucirgliele. - Il locale degli spogliarellisti! - Lo disse con una tale ovvietà e naturalezza da farmi spalancare la bocca: io lo frequentavo spesso? 
IO? 
QUEL LOCALE? 
Forse stavo sognando o magari quello era un brutto scherzo organizzato da Mina e Giulia.
- Puoi... potresti spiegarti. Per favore? 
All'improvviso avevo perso la capacità della parola, la saliva mi si era prosciugata e la lingua era come intorpidita; il mio cervello era andato a farsi friggere come se tutto, in quell'istante, rifiutasse quello che Carla mi stava dicendo: dovevo accompagnare quelle tizie al Ladies Night.
- Il locale è pieno zeppo, devi riuscire a farle entrare.- Quella notizia era fantastica: se non c'erano tavoli disponibili, non avrei avuto nessuna chance di procurarle i biglietti di ingresso e quindi io non avrei messo più piede là dentro, come avevo promesso a me stessa. - Tu conosci la star del locale, me lo hanno detto Mina e Giulia, chiamalo e fatti fare questo favore. 
- Ma io, cioè noi, lui. Non posso.
Il suo sguardo mi incendiò: potevo piangere? Quella era la vendetta del Karma, per un momento di felicità ne avevo ventordici di tristezza; cosa avevo fatto di male nella mia vita precedente? 
Ucciso o offeso qualcuno? Rubato, incendiato qualcosa; la mia vita era una grossa grande palla di sterco puzzolente e io ero intrappolata là dentro, morente per la puzza e per il peso sulle spalle. 
- Vuoi che ti licenzi?- Negai senza aggiungere altro e, afflitta, presi il cellulare per chiamare l'idiota. 




Riattaccai più volte ancora prima che iniziasse a squillare. Non sapevo che dire e come iniziare il discorso; cosa avrei detto non appena mi avesse risposto. Soppressi un urlo tra le mani e strinsi i capelli quasi fino a tirarmeli: stavo per avere un attacco di nervi. Respirai a fondo e pigiai il tasto verde.
Guarda guarda chi sta chiamando. Che succede, Acidella, hai cambiato idea e ne vuoi approfittare?
Mi serve un favore. È per il lavoro.
E perché dovrei farti un favore dopo il modo in cui mi hai trattato?
Sarei morta di ulcera perforata, ne ero convinta – Senti, non è per me; è per il mio capo. - Volevo essere convincente e nello stesso tempo non volevo che pensasse che avevo bisogno di lui. 
Per il tuo capo?- La sua voce era strana e non riuscivo a capire bene tutte le parole; sembrava stesse mangiando – Io non lo conosco nemmeno, perché dovrei aiutarlo?
- E' una donna e per favore, non voglio essere licenziata.
Lo sentii sospirare –
D'accordo, dimmi.
Gli feci un riassunto breve della situazione: avevo bisogno dei biglietti di ingresso per una mia cliente; lui però non faceva che ridere,rendendo il momento ancora più difficile da digerire. Non capivo perché serviva la prenotazione o un biglietto per entrare; io, quella volta, ero entrata senza problemi.
- Consideralo come il modo per sdebitarti. - Quella era la mia ultima carta, poi sarei dovuta andare da Carla e ammettere la mia sconfitta.
Mi devi dare il numero esatto, ti farò avere un pass e un tavolo con tutti i posti a sedere accanto al palco; ogni invitata, se arriverà in ritardo, dovrò dire ai buttafuori e al botteghino che è lì per l'addio al nubilato. 
Sorrisi soddisfatta – Le ragazze sono venti e grazie: mi hai salvato la vita.
Sospirò di nuovo; forse avevo esagerato a chiamarlo, in fondo non avevamo tutta quella confidenza anzi, non esisteva per niente. - 
Il pagamento sarà effettuato prima dell'ingresso, sempre al botteghino. Il costo del biglietto sarebbe di venti euro più cinque di prenotazione ma, solo perché è un favore e perché sei tu, dì alla tua sposa di portare quattrocento euro. Devo andare, ciao.
Riagganciai sollevata e mi lasciai cadere sulla mia sedia girevole, il primo passo era stato fatto e non era andata poi così tanto male, dovevo avvertire Carla e poi mi sarei rilassata a casa, soddisfatta per quell'estenuante giornata di lavoro.

- Credi che io metterei mai piede in un locale del genere e poi, cara, io non organizzo addii al nubilato.
Sentivo la rabbia invadere il mio sangue, ribollirmi le vene ed ero a un passo dal diventare l'incredibile Hulk: avrei voluto prenderla dai piedi e sbatterla dovunque distruggendo il suo ufficio tanto perfetto quanto pacchiano. 
Lei non voleva entrare in quel locale, per quale motivo avrei dovuto farlo io? Era la sua sposa e neanche io mi occupavo di feste, alcool e roba varia: il mio compito era quello di organizzare il giorno perfetto di una donna e renderlo il più bello della sua vita.
- Carla, io ti voglio bene, ma in questo momento ti odio. Non voglio fare questa stupida festa in quel locale, ci sono entrata una volta e mi è bastata; io mi occupo di matrimoni, non di spogliarelli.
- Per l'amor del cielo Emily, ti ho chiesto di accompagnarle, non di salire su quel palco e ballare nuda intorno a un palo. 
Mi arresi alla sua volontà e come un cucciolo abbandonato con la coda tra le gambe tornai alla scrivania per raccattare le mie cose e tornare a casa; altro che giornata lavorativa soddisfacente, quella poteva aggiungersi alla lista : “ciò che mi spingerà a suicidarmi”



Non rivolsi parola a Carla per tutto il giorno perché ero offesa, arrabbiata e ferita nell'orgoglio. In quei momenti mi sembrava di tornare bambina, quando mia sorella Eléonore andava dai miei genitori a dire che avevo finito il barattolo di marmellata; smettevo di parlare con lei per giorni perché eravamo una squadra e lei non poteva tradirmi in quel modo, perché una squadra lavorava insieme e noi dovevamo sconfiggere i cattivi e salvare il mondo. 
Carla mi aveva tradita e quindi non meritava la mia parola fino a quando non avessi deciso io il contrario.
D'altro canto però mi fece tornare a casa prima del previsto dato che dovevo prepararmi per la festa e dovevo essere al locale prima del tempo per avere il pass e pagare i biglietti.
Decisi di indossare qualcosa di diverso rispetto ai soliti jeans o pantaloni scuri che mettevo a lavoro. Contemplai il mio armadio per ben dieci minuti, avevo ancora l'asciugamano in testa a tamponare i capelli bagnati, e in meno di mezz'ora sarei dovuta essere al Ladies Night: ancora ero in intimo a decidere cosa mettere. Prima che il panico prendesse possesso di me, ebbi l'idea più geniale della storia: andare a controllare il mini armadio che tenevo nel ripostiglio e dove nascondevo gli abiti che Mina e Giulia mi obbligavano a comprare; ne trovai uno rosa con dei disegni neri e un fiocco di seta sotto il seno, lo abbinai con delle scarpe nere con il tacco basso e una borsa rosa. 
In realtà non sapevo cosa stavo facendo: agghindarmi in quel modo, truccarmi con cura e mettere il lucidalabbra non erano cose per me; io andavo in jeans e scarpe da tennis anche agli appuntamenti in banca perché non mi interessava apparire in un certo modo agli occhi degli altri né il loro giudizio. Il fatto che, quella sera, stessi dedicando più tempo del previsto alla cura del mio corpo e ai dettagli insulsi come abbinare scarpe e borsa al vestito, mi faceva pensare al peggio. 


Arrivai all'ora prevista nella mia tabella di marcia di fronte il Ladied Night e, indecisa su come e quando entrare, chiamai Geremia per chiedergli informazioni.
Ho lasciato il pass per te al botteghino, quando arriva la tua sposa ti fai dare il nome del tavolo e qualcuno vi accompagnerà giù.
Il pass è per me? Credevo servisse a tutte per entrare. Che devo farci con il pass? Uh, sono una vip.
Lo sentii ridere e sorrisi anche io, tanto non poteva vedermi - A dopo Emily e goditi lo spettacolo.
Sospirai rassegnata, scuotendo la testa, ritirai il mio pass VIP mettendolo in borsa e poi aspettai che arrivasse la sposa insieme alle sue care amiche.
Dopo un quarto d'ora in cui avevo maledetto me stessa per la mia puntualità, il mio lavoro, il mio non saper dire no e l'enorme idiozia nell'aver messo quelle scarpe che iniziavano a tranciarmi le dita vidi arrivare una limousine rosa shock che si fermò proprio davanti alla porta nera d'ingresso. Sperai non fosse la cliente di Carla perché dal colore di un'auto poteva capirsi la personalità di una persona, ma le mie speranze furono molto vane: dalla limo vennero fuori una quindicina di donne urlanti e troppo colorate per i miei gusti. 
- Tu devi essere – Non mi fece finire di parlare, quella cosa agghindata come un lampadario dell'ottocento.
- Rachele ma puoi chiamarmi Rachi. Tu sei la sostituta di Carla, quella che ci accompagna?
Io ero quella che le avrebbe spaccato il muso troppo rosso e rotto il naso rifatto. Da quale fabbrica fallita della Mattel era uscita quella? Di una cosa ero certa: Carla me l'avrebbe pagata di avermi assegnato il compito di badare a Barbie, Teresa e le sue simpatiche amiche.


- Oddio, sono emozionata: mi hanno detto che lo spettacolo di SpicyCock è quello più entusiasmante.
- Assolutamente no! Sono già venuta una volta qui – Risero come tante galline starnazzanti e desiderai essere sorda – Che scemotte! Stavo dicendo che mi ha subito colpita Electric Fire, la star del locale.
- ODDIO Sì. Ho saputo che molto spesso...
Mi allontanai da loro con la scusa di bere – Un midori sour per favore. - Poggiai i gomiti sul bancone in attesa che il barista mi desse il mio cocktail e feci una rapida panoramica del locale: era quasi pieno, le donne ai tavoli ordinavano champagne o spumante e scalpitavano in attesa dell'inizio dello spettacolo; io invece speravo finisse presto o che le ragazze si stancassero così da andare a casa prima del previsto, ma loro non sembravano propense a esaudire il mio desiderio nascosto.
Al primo sorso del mio drink le luci si spensero e dovetti aspettare i fari gialli che illuminavano il palco, per farmi strada e sedermi al tavolo. Non ero psicologicamente pronta per sentire le urla di quelle donne per minimo quattro ore, perciò decisi di bere per attutire l'udito, dato che diventavo un po' sorda da brilla. 
Finii il mio midori e sette ragazzi circa, erano sul palco, vestiti in modo elegante e aspettavano la base per iniziare a ballare e, ovviamente, a spogliarsi. 
Feci cenno al barista di portarmi un altro drink e mi rilassai sulla sedia per godermi lo spettacolo; alla prima nota di “Call me maybe” rischiai di soffocare: si sarebbero esibiti su quella canzone? 
Era un po' modificata rispetto all'originale, più veloce e recitava più volte il ritornello mischiandosi alle strofe; il risultato era abbastanza carino e azzeccato con il momento, ma non avrei più cantato quella canzone sotto la doccia o avrei pensato a quella roba lì che stavo vedendo. A metà esibizione, quando indossavano solo i pantaloni, scesero dal palco e ognuno di loro si avvicinò a un tavolo a caso. Geremia mi sorrise malizioso e venne verso il nostro tavolo: smisi di respirare per qualche attimo per timore di cosa avrebbe fatto, ma si mise a cavalcioni sulle gambe della sposa e ballò il ritornello in quel modo, lasciandosi toccare da quella. 
Salì sul tavolo e sulle note finali della canzone, mentre ballava come un idiota sexy e mimava “call me, maybe?” con la mano destra si tolse i pantaloni neri, restando in mutande: un paio molto corte e molto attillate con una cornetta del telefono stampata sul davanti. Scoppiai a ridere mentre lui accettava, senza complimenti, i soldi che le ragazze gli infilavano negli slip. 
Quando scese, prima di andare nelle quinte e cambiarsi, mi venne vicino tanto che mi immobilizzai. 
- Quanto mi farai aspettare per un tuo apprezzamento?
Me lo sussurrò, portando una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio; tremai per un attimo ma gli risposi, almeno per mantenere una certa facciata. 
- Vuoi che ti metta anche io una banconota nelle mutande?
Lo provocai anche se sapevo di non essere capace di farlo, mi voltai appena per vedere la sua espressione e mi ritrovai le sue labbra non lontano dalle mie; erano così carnose e non riuscivo a smettere di guardarle, dovevano essere morbide e belle da baciare. Sgranai gli occhi per il pensiero appena fatto. Almeno non l'avevo concretizzato. Il suo solito sorriso malizioso comparve sul volto e tornai con i piedi per terra, guardandolo negli occhi. 
- Divertiti. 
Mi fece l'occhiolino e scomparve, mentre tutto nella sala tornava normale e quelle arpie urlavano il bis a gran voce. Dovevo riprendermi prima di continuare a guardare o sarei morta per overdose ormonale. 
Ero accaldata per i due drink che avevo bevuto, in più la vicinanza di Geremia mi aveva destabilizzato e se non mi fossi calmata, oltre che raffreddata, avrei combinato qualche mio solito guaio. Lasciai scorrere dell'acqua fredda sui polsi e, guardandomi allo specchio, feci dei lunghi e grandi respiri, mentre una nuova canzone si sentiva in lontananza e io avevo paura a uscire.
- Emily non fare la cagasotto e torna di là. Adesso. 
Annuii alla mia parte più coraggiosa e tornai al tavolo: le ragazze erano in piedi a urlare e lanciare soldi sul palco a un ragazzo biondo mezzo nudo. Lo guardai meglio perché mi sembrava di averlo visto da qualche parte, oltre che in quel locale; aveva qualcosa di familiare. Avrei chiesto il suo nome a Geremia.
Il biondo ci diede le spalle e con un colpo secco tolse i pantaloni restando nudo: il suo sedere, sodo e bello da guardare, era in bella vista e ciò non fece che aumentare le urla di tutte in quella sala; quando si voltò verso noi, teneva le mani davanti ben attente a coprire i suoi gioielli di famiglia ma, per mia sorpresa e piacere, tolse prima una e poi l'altra. Chiusi gli occhi istintivamente: non volevo vederlo tutto, tutto nudo. Sentendo gli applausi e le urla, mischiate alle risate, delle altre li riaprii e sorrisi anche io: il biondo aveva una coppa, come quella che usavano i ballerini, con disegnato uno smile: molto divertente. 
Raccolse tutti i soldi, mostrando il suo sedere dappertutto e poi scomparve dietro le quinte.
- SC è il mio preferito, ve l'avevo detto. 
Uno dei loro commenti attirò la mia attenzione: dove avevo sentito quel nome? Mi sforzai di ricordare rischiando di farmi venire il mal di testa e finalmente ebbi l'illuminazione: cercai nel portafogli quel biglietto da visita e trovandolo, esultai.
L'idraulico! Ecco dove avevo visto quel ragazzo biondo ed ecco come aveva fatto Geremia a sapere dove abitassi; che stronzo e che bugiardo. 
Non ebbi il tempo di pensare ad altro, perché le luci si abbassarono e una musica sensuale si sostituì a quella da sottofondo, del fumo coprì tutta la visuale del palco e per qualche secondo smisi di respirare per evitare di soffocare.
Geremia era al centro del palco: il capo basso, le gambe incrociate, un braccio in alto e l'altro in basso teneva in mano qualcosa; era vestito in modo strano e non riuscivo a distinguere il colore perché quel maledetto fumo mi annebbiava ancora la vista.
La musica si fece più veloce e lui iniziò a ballare, non l'avevo mai visto così concentrato e infervorato nel fare qualcosa o forse ero io a guardarlo sotto una prospettiva diversa, non sapevo quale però. 
Delle luci blu e gialle lo illuminarono meglio e solo allora mi accorsi com'era vestito: indossava un completo da medico verde e sopra un camice bianco, al collo aveva uno stetoscopio: quello che fino a poco tempo prima aveva tenuto in mano. Si mosse verso i tavoli posizionandosi al centro della passerella e tolse il camice bianco, le ragazze del mio tavolo urlarono e si alzarono, intimai alla sposa di sedersi prima che le rompessi la bottiglia di champagne in testa e quella obbedì, abbastanza brilla da fare tutto quello che volevo. 
Geremia continuava a ballare e la musica mi fece impazzire, era un mix troppo eccitante da gestire; si tolse il pezzo di sopra del completo verde e lo fece così lentamente da farmi desiderare di strapparlo con le mie stesse mani. Era a petto nudo sulla passerella e tutte le donne in sala erano in estasi, me compresa anche se cercavo di mantenere una certa compostezza; fu quando le luci puntarono su di noi che entrai nel panico.
- Signore, credo che qualcuna di voi abbia bisogno di una visita.
Prima che tutte lo assalissero si voltò verso il nostro tavolo ed ebbi paura che mi chiamasse lassù un'altra volta. Per quanto per un attimo avessi desiderato toccare i suoi pettorali e tracciare il profilo di quei tatuaggi, non volevo essere al centro dell'attenzione un'altra volta; con mia sorpresa fece cenno alla sposa di raggiungerlo e quella quasi inciampò dalla fretta.
La fece stendere su un lettino, uno di quelli ospedalieri e le salì addosso, sedendosi a cavallo; mise lo stetoscopio alle orecchie e poggiò l'altro capo sul cuore della sposa, non smettendo di muoversi in modo compromettente: era una scena imbarazzante e avrei voluto prendere per i capelli la tizia e ricordarle che tra qualche giorno si sarebbe sposata e che quello non era un comportamento consono a una futura moglie. La sala scoppiò quando lui si alzò da quella posizione tornando in passerella e si tolse i pantaloni, restando con un mini perizoma a coprirgli il migliore amico in basso. Il suo sedere era bello come ricordavo e la donna, intanto, non era più distesa ma si era seduta su un trono; le ballò intorno e poi le si posizionò davanti. La nostra visuale era migliore o almeno così pensavo fin quando la finta Barbie gli poggiò le mani sui fianchi e con due colpi secchi gli slacciò il perizoma lasciandolo completamente nudo. 
Credevo che avesse anche lui uno smile come il biondo di prima, ma quando lei tornò da noi aveva una faccia sconvolta, non faceva altro che ripetere quanto fosse stato eccitante spogliarlo e quanto fosse lungo il cobra di Eletric Fire. 
- Ecco perché lo chiamano così. 
Non riuscii a sopportare le loro risatine e i loro urletti isterici, perciò mi alzai di nuovo. Volevo andare a casa: mi facevano male i piedi, il vestito prudeva, mi bruciavano gli occhi e avevo sonno. 
Potevo far scattare l'allarme antincendio o dire a Barbie, Teresa e company che erano ricercate oppure che non erano più desiderate nel locale. Potevo urlare che c'era un topo, qualsiasi altra scusa pur di andarmene a casa e dormire.
Ordinai una coca cola, poiché dopo lo spettacolino appena visto non volevo ingerire alcol o avrei ceduto a ogni tentazione, e mi sedetti su uno sgabello. Per fortuna ero lontana dai tavoli e dal palco e grazie alla mia mezza cecità non vedevo cosa succedeva là sopra. 
- Allora? - La sua voce mi fece sobbalzare, mi voltai a guardarlo: era vestito in maniera normale, jeans e camicia azzurra che risaltava i suoi occhi. - Non hai niente da dirmi?
- Sai che vestito così sembri quasi un bravo ragazzo? 
Si sedette accanto a me, ordinando qualcosa di imbevibile – Lo so che avresti voluto essere al posto della sposa di plastica. 
- Oh sì, mi hai proprio letto nel pensiero e questa notte non dormirò perché l'invidia mi divorerà l'animo.
Poggiai il bicchiere vuoto, convinta d'aver vinto l'incontro, ma si avvicinò ancora, la sua mano si posò su un mio fianco e sussurrò al mio orecchio – Non dormirai perché mi penserai nudo per tutta la notte e non basterà neanche una doccia fredda per calmarti.
Lo allontanai, scuotendo il capo con fare rassegnato, e feci finta di nulla, non rispondendo alla sua provocazione perché non volevo che si montasse la testa e perché non sapevo che dirgli. Bevve d'un sorso il suo drink e in quel momento arrivò l'altro componente del famoso trio: il biondino, nonché l'idraulico. La mia serata procedeva di bene in meglio.
- Ehi Spicy, ti presento Emily.
Quello mi guardò, mi sembrò fosse scocciato; si sedette accanto a me e fece un segno al barista – Allora, per lo spettacolo privato sono cinquanta, se vuoi toccare saliamo a cento se vuoi il servizio completo devi sborsare...
- Ehi, non sono qui per niente del genere, razza di maiale pervertito. 
Geremia rise di gusto, si piegò addirittura in due ma lui non ci fece caso e bevve un sorso di birra dalla bottiglia di Guinnes che il barista gli aveva passato – Menomale, perché non mi attizzi per nulla anzi questo coso rosa che hai addosso è noioso. 
Se avevo pensato, per un secondo, che Mr Panna fosse il peggior maleducato che avessi incontrato, quel tizio, Spicy, lo batteva in tutto e per tutto. Era insolente, insopportabile, egocentrico e i suoi capelli erano inguardabili. 
- Noioso è l'aggettivo che userei per il tuo spettacolino di prima. Lo smile poi era fuori luogo, oltre che piccolo.
La risata dell'idiota alla mia destra mi rimbombò nelle orecchie: era bella, melodica e affascinante; non l'avevo mai visto e sentito ridere, perché era sempre così serio o impegnato a torturarmi e prendermi in giro da non avere il tempo di scherzare. - Oddio, non posso farcela: Emily potrei farti una statua.
- Quando ho aggiustato le tubature di casa tua però hai apprezzato tutto.
La sua frase mi sorprese, ma io ero abituata a rispondere al suo amico, perciò non ebbi paura – Perché era tutto coperto, vuoi davvero continuare a stuzzicarmi? Non hai capito che perderesti comunque?
La buttai lì perché speravo che quel battibecco finisse: ero davvero stanca e non volevo passare per la zitella acida di turno. L'idiota alla mia destra si intromise, salvando il salvabile.
- Ha ragione, è divertente litigare con lei ma non hai nessuna speranza di vincere. - Lo ringraziai con lo sguardo e il suo sorriso mi abbagliò. - Quindi, Emily ti presento Giovanni: mio collega, mio coinquilino e mio amico. E' un bravo ragazzo, un po' coglione, ma dopo averlo conosciuto bene lo si apprezza. 
- Ciao Giovanni: suo collega, suo coinquilino e suo amico. Il fatto che tu abbia messo l'amicizia all'ultimo posto dovrebbe suggerirmi qualcosa? - Mi rivolsi direttamente a lui che scrollò le spalle. 
- Solo che è un coglione. - Sorrisi a quello scambio di effusioni e guardai verso il palco: lo spettacolo era finito e sospirai sollevata perché finalmente potevo andare a casa. - Vuoi qualcosa da bere Emma?
- Mi chiamo Emily e no grazie, ho già bevuto abbastanza. - Provai a sorridergli ma quel tipo non mi stava molto simpatico, soprattutto se sbagliava il mio nome e mi stuzzicava in quel modo. 
I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di Riccardo, quel ragazzo era così bello da farmi morire per autocombustione; mi riconobbe subito tanto che mi salutò con un abbraccio. Credevo che gli spogliarellisti avessero una memoria breve per le ragazze, che queste frequentassero in troppe il loro letto e che non avessero il tempo di memorizzare i loro volti; Riccardo invece mi stupì ricordando anche il mio nome. 
- E tu come la conosci? - Fu Giovanni a chiederglielo: lo sguardo fisso davanti a sé, le mani strette alla bottiglia di birra e le labbra tirate in una smorfia. 
Lo sguardo che gli rivolse l'altro fu agghiacciante, tanto che mi allontanai da entrambi avvicinandomi a Geremia – E perché dovrei dirtelo?
Non sentii la risposta perché alla mia destra, Gerry, richiamava la mia attenzione – Devi andare a casa? 
- Io? Sì, solo quando quelle... - Guardai il tavolo della sposa e mi accorsi che era vuoto: le avevo perse. 
- Sono andate via qualche minuto fa – Mi spiegò, guardandomi fisso negli occhi: erano così azzurri da far concorrenza al cielo d'agosto. - Devi andare a casa? - Ripeté ancora e io annuì incapace di proferir parola; lui sorrise di nuovo. Perché quella sera sembrava diverso dal solito? – Vuoi un passaggio? 
- Hai un mezzo di trasporto? 
Ero sinceramente stupita da quella scoperta; lui rise e quella risata era meravigliosa e io dovevo essere drogata per trovarlo nei modi in cui l'avevo descritto fino a quel momento – Ovvio, non posso certo muovermi a piedi, la notte, quando i mezzi di trasporto sono fuori servizio.- Aspettò che gli rispondessi, ma non vedendo una mia reazione mi stuzzicò – Allora, lo vuoi o no?
- Sì, grazie. 










******

Se volete vedere l'abito rosa/noioso di Emily : (Aprite in un'altra finestra)
QUI.

Oddio, se siete arrivate fino a qui meritate un regalo, aprite la porta di casa, sarà sul tappetino. Cosa posso dire di questo lungo capitolo? Mi piace tanto la prima parte perché Emily è divertente e perché la sua amica sfiga è tornata a farsi viva.
Per il resto è tutto un BLABLABLABLA BLAAAAAAA BLAAAAAAAAAA che palle BLAAAA. Lo so, avete ragione.
Ok, sono seria.
Due piccoli flashback dal primo capitolo, quando Emily è sul palco con Gerry.
Emiluccia torna al locale e, per la prima volta, vediamo da vicino qualche spogliarello: avete visto come è intraprendete Electric Fire? Ma che bravo, anche io vorrei essere al posto di Barbie sposa e farmi visitare da lui. (Per la cronaca, non guarderò mai più un medico allo stesso modo!)
Le musiche a cui mi sono ispirata sono :
CALL ME MAYBE e OMG
L'idraulico: è stato scoperto il mistero? Era uno del locale ed era Giovannuzzo, l'avevamo quindi già incontrato anche se per qualche istante. E' anche un coinquilino di Gerrimio (nuovo soprannome) insieme a Riccardo.
Oddio, oddio... Emily cosa pensa su Geremia? E accetta un suo passaggio? Cosa succederà adesso?

E' stato un piacere leggere le vostre recensioni e grazie enorme a chi inserisce la storia tra le varie categorie.
Un grazie enorme a
ELLE perché è una santa e non solo legge e corregge tutto in anteprima ma si sorbe le mie pippe mentali!


Per chi volesse mettersi in contatto con me, lo può fare tramite il mio gruppo facebook.
Che la panna sia con voi.
Alla prossima.





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Capitolo 8
*** OTTO ***


Ai film horror che ci segnano per sempre.
Agli inopportuni.
Ai lucidalabbra.



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The (he)art of the streap VIDEO 



Otto.



Le gocce d'acqua dal rubinetto, il caffè pronto della moka, la matita della studentessa nervosa, le lancette imperterrite di un orologio, la sedia rotta della scrivania di Mina e la porta cigolante dell'ufficio di Carla: qualsiasi rumore sarebbe stato più piacevole rispetto a quel silenzio imbarazzante. 
Le lunghe dita della sua mano sinistra tamburellavano sul cruscotto mentre la mano destra era ben salda sul cambio, lo sguardo fisso sulla strada e le labbra tese in un mezzo sorriso; era affascinante.
- Vuoi un caffè? - Lo guardai confusa: un caffè a quell'ora della notte? Non avrei dormito per il resto della mia vita. Capì la mia perplessità perciò mi spiegò la sua domanda – Mi sei sembrata un po' su di giri al locale, quindi forse ti serve il caffè per riprenderti. No?
- No. Grazie.
Il mezzo sorriso di prima si trasformò in uno vero e proprio; non distolse, però, lo sguardo da davanti a sé, come se avesse paura a guardami e non volesse farlo perché lo imbarazzassi. 
Mi voltai verso il finestrino a guardare la strada, i palazzi, le macchine posteggiate e i pali della luce lampeggianti e mezzi rotti; era tutto così triste e desolante, non c'era un'anima viva a quell'ora eppure Roma era conosciuta per i suoi schiamazzi notturni.
- Sei cambiata. - Piegai la testa verso sinistra e lo guardai curiosa di sapere cosa stesse per dire. - Sì insomma: mi ringrazi, accetti un mio passaggio, mi chiami per un favore; adesso sei tu ad avere bisogno di me, mi vuoi, ti piaccio e vuoi essere mia amica. 
Lo guardai sbigottita e restai in silenzio per qualche istante, poi scoppiai a ridere perché era stato così divertente da farmi piegare in due. - Tu non stai bene. Dovresti piacermi solo perché accetto un tuo passaggio o ti ringrazio? 
- Ti piaccio perché mi trovi attraente.
Sbuffai – Non faremo questo discorso: non ti dirò quanto sei carino e non mi dirai che ti piacciono le mie tette. Tra di noi non ci sarà niente perché non mi sembra il caso.
Per la prima volta si voltò a guardarmi, solo perché uno dei tanti semafori incontrati fino ad allora era rosso – Ottima scusa. 
- Ottimissima, Mr Electric Fire. - Gli feci una smorfia infantile, anzi era più un verso idiota al quale lui rispose con una linguaccia prima di rimettersi a guidare. Sorrisi per quanto accaduto, erano rari quei momenti di ilarità e spensieratezza. - Da dove nasce? 
- Possiamo parlare di tutto, ma il parto è l'unica cosa che mi fa un po' impressione, sai?
- Mi riferivo al soprannome – Sussurrai esasperata, perché effettivamente avere una conversazione con lui era molto stancante – Perché hai scelto proprio questo?
Scrollò le spalle divenendo, d'un tratto, serio – Non saprei, è nato per scherzo qualche settimana dopo i nostri spettacoli; ha iniziato Giovanni a dire che il suo uccello era magico, era di fuoco e Riccardo ha detto la sua...
- Piccante. - Pensai ad alta voce e lui rise. - Qual è il soprannome di Riccardo, non l'ho sentito.
Ero curiosa: volevo sapere altri retroscena sul suo lavoro, dettagli sulla sua vita e sul rapporto con gli altri due; avevo capito che non era un cattivo ragazzo e che forse avrei potuto fidarmi di lui. 
- Questo perché eri distratta a flirtare con Giovanni. 
Ammiccò mentre svoltava a destra, dando la precedenza a un tram. - Io non stavo flirtando con nessuno, stavo parlando animatamente. - Gli spiegai con calma, guardandolo di sbieco; i suoi occhi riflettevano la luce dei lampioni della strada ed erano lucidi, espressivi e meravigliosi, di un azzurro diverso da quello che avevo visto di solito: più intenso, sul blu, ma con qualche sfumatura verde: erano magnetici.
Come faceva a sorridere in quel modo, aveva qualche paralisi alle labbra? Gli si muoveva o verso destra o a sinistra, aveva la mascella slogata? Io non riuscivo a fare quelle cose lì; ci provai pure a rivolgergli un sorriso mezzo decente o almeno provocante, ma mi uscì uno sgorbio.
Ma poi chi volevo prendere in giro: io provocare lui? Per quale motivo? Questa era ancora più assurda di quello che aveva detto prima su Giovanni e il mio flirtare; a parte che non sapevo neanche come si facesse e poi quello neanche mi interessava, aveva i capelli troppo lunghi e viscidi, neanche fosse quell'attrice lì che tutti prendevano in giro, Cristina Stewart. 
- Emily, tutto bene? - Lo guardai interrogativa – Mi sembravi assente, se stai male puoi dirlo, ti porto al pronto soccorso.
Ero irritata per quella domanda, ma anche lusingata: era davvero preoccupato o mi stava prendendo in giro? Perciò lo guardai intensamente, cercando di scoprire qualcosa. - Non sono una ragazzina, so bene quali sono i miei limiti e di certo bevendo qualche drink non li ho superati. Perciò sì, sto bene.
Incrociai le braccia sotto il seno voltandomi del tutto verso la mia destra e dedicandomi a quello che vedevo; d'accordo era stato carino, a modo suo, a chiedermi come stessi, ma a lui poi che importava? Mi sembrava di essere tornata un'adolescente con sbalzi d'umore e d'ormone incorporati. 
Ero una donna adulta con sani principi, un lavoro a cui pensare e lui doveva sparire; invece era sempre lì a complicare tutto e a incasinarmi la vita. Avevo pensato per un attimo che fosse un bravo ragazzo e magari lo era davvero, ma non lo era per me, non lo era in quel momento, quando cercavo di dare un senso a tutto: passato e presente, non pensando al futuro. Perché era piombato lui?
Sbuffai, appannando il finestrino e lui se ne accorse.
- Stiamo arrivando, questo lungo calvario è quasi finito.
Non volevo pensasse che stare con lui fosse un supplizio, anzi a volte era piacevole. - Ero sovrappensiero, figurati se mi preoccupo della tua presenza.
Tentai di stuzzicarlo, ma non ottenni nulla se non uno sguardo serio e fisso sulla strada; in quel momento sì che desiderai di arrivare in fretta, perché doveva esserci sempre traffico in quella cavolo di città? Eravamo stati dieci minuti bloccati in fila perdendo un sacco di tempo, per fortuna almeno in quella via non c'erano macchine e andavamo veloci. 
- Scusa, ma com'è che ti... - Stavo per chiedergli come si chiamasse, dato che avevo accettato un suo passaggio senza sapere niente di lui, se non il suo lavoro e dove abitasse, quando lampeggiò a una macchina con i fari spenti. - Sei impazzito!?- Gli diedi una botta sul braccio, voltandomi a guardare quella vettura.
- Perché? Ho solo avvertito quel coglione, anche se immagino fosse una donna, di accendere le luci. 
Boccheggiai – Tu, cioè, non sai... Oddio hai mai visto i film horror? Non sai che non si abbaglia mai quando l'altra macchina ha i fari spenti? Sto per svenire.
Mi accasciai sul sedile mentre mi facevo aria con la mano e l'idiota rise – Come sei esagerata.- Sbuffò e i suoi occhi si posarono sullo specchietto retrovisore, allarmandomi: l'ansia mi stava già uccidendo; maledetti film horror che avevo visto fin da piccola, lo sapevo che prima o poi mi si sarebbero ritorti contro. - Stai calma, andrà tutto bene.
- Andrà bene un cazzo, quello ci sta seguendo e noi moriremo.
- Ma no che non moriremo.
- Sì che moriremo. – Mi voltai di nuovo verso quell'auto che ci inseguiva con gli abbaglianti puntati verso noi, mi veniva da piangere – Succede sempre così, il ragazzo figo e la ragazza che gli sta accanto fanno una brutta fine.
- Non moriremo Emily: anche se sono figo e tu mi sei vicina. - Le sue dita sul mio mento voltarono il mio viso quel poco che bastava per guardarlo negli occhi – Puoi fidarti di me, per favore? 
Quegli occhi erano così belli da mozzare il fiato – Puoi guidare, per favore? - Rifece di nuovo quella smorfia con le labbra verso sinistra e si concentrò sulla strada: quarta, quinta, quarta; scalava le marce come se non ci fosse nient'altro di importante, svoltava in vie a me sconosciute, sorpassava auto troppo lente lanciando un'occhiata all'auto dietro di tanto in tanto, che non era più così vicina e io stavo iniziando a rilassarmi.
- E' quasi tutto finito, tranquilla.
Gli sorrisi incerta e, quando vidi l'incrocio con il semaforo, capii cosa aveva intenzione di fare: rallentò un po' aspettando che la luce diventasse arancione e poi accelerò di colpo, lasciando la macchina dietro ferma per il rosso. Mi tranquillizzai, sospirando rilassata:finalmente era finito quell'incubo e noi eravamo arrivati, senza sapere come, in zona Colosseo. Fermò l'auto e respirò anche lui: era stato teso per tutto il momento, in effetti l'avevo fatto agitare io.
- Visto? E' andato tutto bene.
Mi sorrise e io ricambiai – Non volevo turbarti e di solito non sono ansiosa neanche io, solo che i film horror mi mettono paura e quella scena era maledettamente simile a...
- Sì tranquilla. E' stato divertente però.
Scoppiò a ridere, forse per la tensione o forse perché in fondo era davvero stato divertente essere inseguiti per le strade isolate di Roma, fatto sta che dopo un momento di stupore mi unii alla sua risata, togliendo un peso dallo stomaco e rilassandomi del tutto; ridere era una cura per tutto, mia nonna lo diceva sempre, o me l'aveva detto Kamal una delle tante volte che avevo mangiato al suo locale.
Come in un film, ovviamente, perché la mia vita cominciava a essere il cliché dei cliché, smettemmo di ridere nello stesso momento, dei colpi di tosse si sostituirono alle risa e un silenzio imbarazzante piombò nell'abitacolo; perché non aveva ancora messo in moto per portarmi a casa? Era tardi e avevo sonno.
- Emily... - Ero ripetitiva ma i suoi occhi sembravano volessero dirmi qualcosa, si umettò le labbra pronto per parlare o per fare qualcosa, il mio sguardo si posò sul labbro inferiore più carnoso e più bagnato rispetto all'altro: era così invitante. Sospirai affranta perché sapevo quello che stava per succedere: ci saremmo baciati e i miei piani di tenerlo fuori dalla mia vita sarebbero andati in fumo; eppure non riuscivo a muovermi, a oppormi, perché una parte di me voleva tastare quelle labbra e giocare con la sua lingua. 
All'improvviso ero regredita di dieci anni.
Il suo respiro si infrangeva sul mio viso e lo maledii mentalmente perché non aveva ancora annullato quella maledetta distanza baciandomi. Il suo naso sfiorava il mio e potevo benissimo vedere le sfumature verdi nei suoi occhi azzurri: non mi ero sbagliata, quel colore era davvero particolare oltre che meraviglioso. Il mio sguardo si posò di nuovo sulle sue labbra e senza pensarci passai la lingua sulle mie, a quanto pare dovette piacergli il mio gesto perché la sua mano finì tra i miei capelli e mi tirò ancora più vicino a sé: stava accadendo, quelle labbra tanto peccaminose sarebbero state mie per un momento.
Un ticchettio metallico mi fece sobbalzare: che fosse la macchina di prima? Geremia si voltò alla sua sinistra scocciato e io, quando mi accorsi di chi si trattasse, desiderai morire per la vergogna.
- Buonasera agenti.
- Patente e libretto per favore. - Dopo un “sì” di circostanza, l'idiota si mise a cercare il libretto dell'auto per passarlo al vigile – Anche il documento della signorina, grazie. 
- Noi non. - Tentai di parlare, ma quel cretino mi bloccò poggiando una mano sulla gamba, sussultai a quel tocco rude e inaspettato. L'agente prese quello che gli serviva e si allontanò dalla nostra auto raggiungendo il suo collega: era la prima volta che mi capitava una cosa del genere, stavo iniziando a pensare che era quel Geremia a portarmi sfiga. - Che vogliono da noi?
Sapevo che il sorriso serviva a tranquillizzarmi, ma mi ero innervosita di nuovo – Sarà solo un controllo di routine, non preoccuparti. 
Spostai i miei capelli sul lato sinistro cercando di stare calma: non ne potevo più di quella serata, di quella giornata in generale, stavo iniziando ad avere un fastidio alla tempia destra, proprio sopra l'orecchio a causa dello stress e di quello che avevo dovuto sopportare quel giorno; era tanto difficile arrivare a casa senza che succedesse qualcos'altro? 
A rendermi ancora più irrequieta ci si metteva anche lui con il suo tamburellare nervoso sul cruscotto. Mi soffermai a guardarlo mentre era intento a osservare i due vigili più lontano rispetto a noi: aveva gli occhi ridotti a due fessure, forse per cercare di capire cosa stessero facendo e perché ci stessero mettendo così tanto tempo, le labbra semi aperte e la mascella tesa come se stesse digrignando i denti; evidentemente era nervoso anche lui, ma non voleva darmelo a vedere. Quando i due si avvicinarono, cercò di mostrarsi il più cordiale possibile, rilassandosi.
- Dunque signor Vivaldi e signorina Cutini, cosa ci fate qui a quest'ora? 
Lo guardai meravigliata, avrei voluto dirgli che non erano affari suoi e che non stavamo facendo nulla di male o sbagliato ma il cretino mi anticipò – Ci siamo fermati un attimo perché il mio telefono squillava e non avevo l'auricolare, non mi sembrava il caso di rispondere per strada.
La sua risposta mi stupì, così come le sue doti recitative, il vigile ci diede i documenti e si appoggiò al finestrino: cercava di intimorirci, lo si capiva dallo sguardo serio – Ragazzi, non dovreste essere qui, prima che io vi chieda di scendere e che vi controlli sparite dalla mia vista.
- Oh, ci scusi, non sapevamo fosse vietato fermarsi, andiamo subito via.
Geremia, o meglio, il signor Vivaldi aspettò che quell'odioso vigile si togliesse dal finestrino per rimettere in moto e portarmi, finalmente, a casa. 
Per il resto del viaggio restai in silenzio ripensando a quello che stava per succedere o sarebbe successo, se la polizia non ci avesse interrotto; come avevo potuto desiderare di baciarlo? Mi ero talmente incantata a guardare i suoi occhi e le sue labbra da volerle assaggiare. Stupida me e stupidi ormoni che non se ne stavano buoni al proprio posto. Preferivo di gran lunga litigare con lui, piuttosto che fare pensieri sconci. Dato che il destino l'aveva messo sulla mia strada e ogni cosa sembrava sempre riportarlo a me, tanto valeva scegliere da che parte stare e io avevo scelto il litigio. 
- Emily... - Trattenni il respiro, sperando che non parlasse di quanto accaduto prima. - Siamo arrivati. 
Non mi ero accorta che fossimo sotto casa mia talmente ero sovrappensiero; mi voltai per ringraziarlo e lo trovai poggiato con la schiena al finestrino e un sorriso impertinente stampato in faccia. Lo stronzo rideva di me per un motivo ben preciso, ma sconosciuto.
- Ti faccio ridere? Perché non condividi il tuo pensiero, magari mi diverto anche io.
- Ma io non sto ridendo, sto sorridendo. 
Provai a controbattere ma sapevo già che sarebbe stato tempo perso. - Grazie per il passaggio.- Scesi dall'auto, ma mi richiamò. Mi sporsi verso l'interno appoggiando i gomiti allo sportello – Che vuoi?
- Che vuoi? - Ripeté meravigliato e con un tono fin troppo ironico – Prima mi chiedi un favore, poi accetti un passaggio e scherzi con me, poi stai per baciarmi e adesso mi chiedi cosa voglio?
Pensai molto alla risposta, perché sapevo che qualsiasi cosa avessi detto lui l'avrebbe rigirata contro di me a suo piacimento: odiavo quell'abilità, volevo avercela anche io.
- Buonanotte – Come diavolo si chiamava? - Signor Vivaldi.
Una risata gli illuminò il viso – Signore? Va beh, ma non mi hai ringraziato. 
- Senti, mi piacerebbe tanto stare qui a discutere sui miei metodi di ringraziamento ma ho dimenticato di dare da mangiare al gatto e non vorrei che morisse di fame, perciò addio: spero di non vederti mai più.
Rise di nuovo e me ne andai, ero già davanti al portone quando lo sentii urlare – Il tuo lucidalabbra è invitante, voglio assaggiarlo. 
Lo ignorai e mi chiusi in casa prima che qualche vicina si affacciasse e gettasse un secchio d'acqua colpendomi in pieno; ero arrivata al punto di saturazione con lui, mi provocava, mi faceva innervosire, mi tentava con il suo corpo, voleva baciarmi e poi tornava a farmi arrabbiare, la domanda era una sola e semplice: perché?



Gettai la sveglia per terra non appena la sentii suonare: non avevo voglia di alzarmi dal letto e andare a lavoro, volevo stare sotto le coperte e al calduccio. Il mondo esterno era cattivo e io sapevo che se fossi uscita di casa avrei incontrato il cretino e la mia giornata sarebbe peggiorata ancora prima di iniziare. Purtroppo per me, dovetti alzarmi e affrontare quel giorno come sempre, perché in ufficio mi aspettavano le due spose tanto simpatiche che avevano deciso di cambiare e aggiungere alcuni dettagli del ricevimento: le avrei strozzate entro la data del matrimonio, ne ero certa.
Arrancai fino in bagno e mi spaventai, guardandomi allo specchio: neanche il super correttore speciale che aveva consigliato Clio in una delle puntate su Real Time sarebbe servito a compiere il miracolo, perciò feci una doccia bollente e mi vestii coprendomi il più possibile, dato che stavo morendo di freddo.

Quella mattina Roma sembrava più rumorosa del solito e non appena arrivai sospirai sollevata, almeno sarei stata chiusa in ufficio senza sentire il rumore delle auto passare e ripassarmi accanto, i borbottii dei pedoni, le urla dei commercianti e così via.
- Buongiorno Emily. 
Il suo sorriso era irritante ma dovetti salutarlo per forza – Ehi, ciao. Come va?
- Sono Mario, ricordi? - Pigiò il numero cinque dell'ascensore e poi, accanto a me, aspettò che le porte si richiudessero. Per evitare di sprecare ancora fiato, gli annuì e sperai che quel maledetto affare si muovesse a salire i cinque piani. - Comunque va tutto alla grande, oggi è una bella giornata; tu come stai? Come procedono i matrimoni?
- I matrimoni procedono come sempre: spose, tulle, fiori, anelli e divorzi. Fortunatamente non sono un avvocato.
Forse ero stata un po' troppo brusca, ma il suo buon umore mi urtava, così come la sua risata – Grazie a te e le tue colleghe, noi lavoriamo di più.
- Credo che Carla l'abbia fatto di proposito ad aprire l'ufficio proprio sopra lo studio di un avvocato divorzista e associati.
L'ascensore si fermò e le porte si aprirono – Mi ha fatto piacere vederti, Emily. - Mario uscì e un suo collega lo salutò con una pacca sulla spalla – Potremmo riveder...
Per fortuna non riuscì a completare la frase: l'ascensore mi portò al mio piano togliendomi l'imbarazzo di rifiutare un suo eventuale invito. Né Carla né Mina erano in ufficio, Giulia invece era al telefono e stava urlando contro qualcuno, continuava a dire che i gamberi erano crostacei e non pesce e perciò dovevano essere messi sul menù: era di sicuro il catering del matrimonio che stava organizzando. Non sapevo il motivo ma stranamente erano sempre loro, i cuochi, a dare più problemi, oltre alle spose.
- Tutto bene? - Le chiesi quando riagganciò. - Stavi per sbranare il tuo interlocutore.
- Quello era un imbecille di prima categoria, lasciamo perdere. Tu come stai? Sembri uscita da The walking dead. 
Mi indicò il viso e sospirai: non sapevo se il mio stato dipendesse dalla strana serata precedente e dal fatto che fossi andata a letto alle tre del mattino inoltrate o da altro, come i dolori muscolari, il mal di testa e il naso che colava ogni dieci minuti. 
- Hai bevuto ieri sera?
- No, cioè un po', ma non ho i postumi, ho solo fatto tardi e sono stanca.
Mi accasciai sulla sedia e iniziai a sbattere la testa contro la scrivania quando il campanello suonò: sapevo già chi fosse perché avevo appuntamento con Giada e Ilaria, le spose più indesiderate di Roma. Giulia aprì loro la porta e le raggiunsi nell'altra sala, dove ricevevamo i clienti: una cosa ero certa, avrei preferito stare con Mr Oliato-è-meglio-che-sbarbato Geremia Vivaldi piuttosto che con loro. 
La mia vita, se iniziavo a pensare quelle cose, era finita.







********

Mi scuso per il ritardo e per la bruttezza di questo capitolo, addio.
No scherzo, devo prima dirvi alcune cose. Intanto calma, vedo già i cuori e gli arcobaleni delle ship da qui; lo so Gerrimio è adorabile ed Emily è troppo noiosa, non posso farci nulla.
Dunque, non ci sono momenti eclatanti, citazioni o altro quindi sarò breve.
La scena della macchina a fari spenti è tipico di molti film horror, quello a cui mi sono "ispirata" in questo caso è Urban Legend (trailer QUI ) ovviamente alla fine i due ragazzi vengono uccisi, quindi è un po' diverso il momento e comunque è risaputo: mai abbagliare a un auto con i fari spenti.
The walkind dead è un telefilm sugli zombie e roba varia, ho visto solo la prima puntata, m'hanno detto che è carino, sinceramente non lo so.
Clio di ClioMakeUp è la tizia che è diventata famosa grazie ai video tutorial su YouTube e che adesso conduce il programma su Real Time.
Per il resto non avrei altro da dire: i due idioti stavano per baciarsi e poi sono stati interrotti, Emily è imbarazzata e tratta male, di nuovo, Gerri; non si chiede, però, cosa succederà nel momento in cui lui la incontrerà di nuovo.

Vorrei ringraziare con il cuore tutte voi, una ciascuna, per aver inserito questa storia tra i seguiti, ricordati e preferiti: siete tante e ve ne sono davvero grata, mi fate emozionare.
Vorrei fare qualcosa per farvi capire quanto sono felice ma non saprei cosa, magari vi regalo un Gerri nudo la prossima volta. XD
Ringrazio, come sempre, Elle per la sua pazienza, per il rosa e per stalkerarmi.

Se volete potete trovarmi nel mio gruppo facebook, esattamente
QUI.
E' stato un piacere e che la panna sia con voi.

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Capitolo 9
*** NOVE. ***


The (he)art of the streap VIDEO.

Agli sbalzi di temperatura.
A Ryan che ci prende in giro.
Alla musica e cinema degli anni '60.



NOVE



Le ascoltavo, le osservavo litigare mentre si dimenavano sui divanetti, lanciandosi occhiate di fuoco e maledizioni sulle famiglie reciproche, e non avevo la forza di fare nulla; i due futuri mariti erano nella mia stessa situazione anche perché capivano la metà dei discorsi. Fu nel momento in cui una delle due disse che avrebbe rinunciato a sposarsi che intervenni: non potevo perdere una cliente.
- Ragazze, non capisco dove sia il problema. Avrete entrambe la vostra parte del locale addobbata come preferite, sarà tutto diverso tranne che la musica; quindi perché litigate?
Ilaria, la più pacifica delle due, abbassò lo sguardo imbarazzata. – Temo che Giada abbia paura che il mio ricevimento possa essere migliore del suo.
- Questo non è vero, io ti voglio bene e sono felice di festeggiare il giorno più bello della mia vita insieme a te.
- Allora smettila di cercare di sabotarlo con le tue idee assurde. - Aveva le lacrime agli occhi e forse potevo pure capirla: avrei voluto davvero fare qualcosa per aiutare lei e zittire una volta e per tutte l'altra.
- Ci sono due soluzioni: smettete di litigare, mantenendo quello che avete deciso fino ad adesso oppure… – Feci una pausa per rendere il momento più catartico – … affidarvi a me e lasciarmi organizzare tutto dall'inizio, ma avreste la stessa cerimonia, stessi fiori, cibo, addobbi, colori: niente di diverso e nessuna invidia.
Parlai lentamente in modo che anche i due futuri sposi mi capissero; tutti e quattro si guardarono e io mi rilassai contro lo schienale della poltroncina verde pistacchio, aspettando una loro risposta che non tardò ad arrivare.
- Okey. - Disse la stessa Giada convinta. - Mi sembra la cosa più giusta da fare, oltre al fatto di anticipare le nozze, così eviteremo di litigare e far impazzire te. 
Anticipare cosa? Forse non sapevano quanto fosse faticoso organizzare un matrimonio, soprattutto il loro, e quanto sarebbe stato complicato ricominciare tutto: il catering, il fioraio e compagnia bella mi avrebbero odiato, o forse anche uccisa.
Spiegai loro che avrebbero dovuto lasciare la data prevista in modo da darmi più tempo per preparare tutto nel migliore dei modi e per fortuna capirono: il matrimonio si sarebbe celebrato un mese e mezzo dopo, loro non mi avrebbero assillato e io sarei stata libera.


All'ennesimo starnuto, Giulia mi tirò addosso una palla di carta, colpendomi in testa – Vuoi andartene a casa, per favore? Non voglio ammalarmi anche io.
- Non sono… – Dovetti fermarmi per soffiare il naso – … malata, è solo un piccolo raffreddore.
Mina mi guardò scettica e tolse la mascherina per parlare – Piccolo? Guarda il tuo naso com'è rosso e poi dimmi se è solo un piccolo raffreddore.
Non capivo perché avesse quell'aggeggio a coprirle bocca e naso, neanche fosse Micheal Jackson nei suoi ultimi giorni di vita; tuttavia ignorai lei e le minacce di Giulia di denunciarmi a Carla. Stavo bene: qualche starnuto non mi avrebbe certo mandato a casa e costretta a letto.
- Non possiamo ammalarci pure noi, quindi vattene.- Mina era a un passo dal trasformarsi in una belva assassina; mi fece ridere la sua finta espressione da dura. - Emily, sono seria.
- Devo fare queste chiamate, ieri ho detto a quelle streghe che avrei ristrutturato il matrimonio.
- Ri-cosa? - La risata di Giulia risuonò cristallina nelle mie orecchie e mi infastidì a tal punto che le lanciai la palla di carta di prima. Non misi troppa forza, tanto che cadde al centro della stanza facendole ridere ancora di più. - Non sai parlare e, ripeto, sembri uno zombie. Quindi adesso te ne vai a casa o ti faccio licenziare.
Quando si mettevano in testa qualcosa era impossibile fargli cambiare idea, perciò misi tutto ciò che mi serviva nella mia grande borsa beige e mi feci accompagnare a casa perché, secondo loro, nelle mie condizioni non ero in grado di prendere i mezzi. Sarei potuta svenire tra tutta quella gente e qualcuno avrebbe potuto approfittare di me. Avevo delle amiche con la mente piuttosto contorta e non me ne ero mai resta conto.




- Sicura che posso andare? - Giulia mi aveva accompagnato fin davanti alla porta del mio appartamento contro la mia volontà.
- Sì, stai tranquilla. Io sto bene, hai insistito tu per farmi da scorta fino a qui. 
Mi guardò male, ma non avevo la forza di risponderle. La salutai con la mano prima di rintanarmi in casa, dove lasciai cadere la borsa per terra e corsi, o per meglio 
dire, mi trascinai come un elefante in punto di morte sul divano, accucciandomi su me stessa per non sentire freddo. Mi svegliai di soprassalto perché qualcosa nella mia testa rimbombava come le casse in discoteca; non mi era mai successo di addormentarmi come una pera cotta sul divano vestita e con il cappotto addosso. Mi accorsi che quel rimbombo era la vibrazione del mio cellulare dentro la tasca,quando quello riprese a squillare: chi cavolo mi chiamava in quel modo disperato?
- Sai quanto ci hai fatto preoccupare?
Sospirai all'urlo di Mina: perché mi aveva chiamato, impedendomi di dormire? - Ti serve qualcosa?
- No, volevamo sapere come stavi. Hai chiamato il medico?
- Perché dovrei – Mi fermai prima che ricominciasse a urlare quanto fossi incosciente – Sì, prima. Posso tornare a dormire adesso?
- Se hai bisogno di noi, chiamaci.
La rassicurai, riagganciando subito il telefono. Lo spensi, lanciandolo sul tavolino e, sempre con la leggerezza di un pachiderma incinta, mi mossi verso la mia camera per indossare il mio pigiama grande e caldo di pile e infilarmi nel letto, sotto le coperte, dove un mondo migliore fatto di arcobaleni, unicorni, Paul Newman e Elvis Presley mi stava aspettando. 



L'ultima cosa che ricordavo era di aver poggiato la testa sul cuscino e d'aver programmato di chiamare il fioraio non appena mi fossi svegliata, perciò perché ero su una giostra? Aprii gli occhi lentamente, rendendomi conto di essere ancora sul letto, tutta sudata e con le coperte attorcigliate ai piedi; il tetto non la smetteva di girare e gli sbalzi di temperatura iniziavano a darmi sui nervi. Mi misi a sedere, cercando la forza interiore che mi aiutasse ad alzarmi del tutto e andare fino in cucina per bere, dato che avevo la gola e le labbra secche, ma al primo passo un capogiro più forte degli altri mi fece perdere l'equilibrio: per fortuna caddi sul letto, ma quel contatto morbido non fermò il conato di vomito stimolato dai dolori alla testa.
Arrivai in tempo in bagno, ma non fui abbastanza brava a trattenermi: per fortuna il lavandino era molto vicino alla porta; sentivo bruciare la gola mentre rigettavo del liquido verdognolo, gli occhi lacrimavano e le tempie pulsavano a una velocità esorbitante. Scivolai piano lungo le mattonelle celesti e mi accasciai a terra, allungando le gambe per sgranchirle. Non avevo forza in nessun muscolo neanche per togliere i capelli incollati alla fronte sudata; probabilmente non mi sarei più mossa da lì, sarei morta di fame e sete perché nessuno si sarebbe premurato di venire a controllare le mie condizioni. 
Dopo aver constatato che se mi fossi alzata con molta probabilità avrei vomitato il nulla un'altra volta, strisciai, come un bravo soldato durante il suo periodo d'addestramento, fino al divano in salotto e mi ci buttai sopra, coprendomi con due coperte di pile. Accesi la tv, sperando che il digitale trasmettesse qualcosa di interessante, ma dovetti accontentarmi di Barbara e i suoi attacchi di “mostruosità” di Paint your life: quel programma faceva venire la sonnolenza peggio di Maurizio Costanzo Show ai tempi in cui andavo ancora a scuola. Non potevo continuare a vegetare sul divano, dovevo trovare la forza di alzarmi e preparare qualcosa da mangiare; anche se avevo lo stomaco chiuso e una discoteca al posto del cervello, cucinai un po' di pasta con il brodino, anche perché erano gli unici ingredienti disponibili nella dispensa. Dovevo fare la spesa o, in quei giorni di reclusione forzata, sarei morta di fame.
Riaccesi il telefono, mentre mi obbligavo a inghiottire la seconda cucchiaiata di pasta e brodo: il raffreddore aveva anestetizzato le mie papille gustative e la febbre aveva ucciso il mio appetito perciò quella roba nel piatto per me era poltiglia nell'acqua. Trovai una decina di messaggi della Vodafone che mi avvisava, molto cordialmente, che le mie care amiche mi aveva cercato come delle disperate: mandai un messaggio a Giulia per dirle che ero viva e vegeta e poi chiamai Mina per chiederle un piccolissimo favore. In fondo lei mi aveva spedita a casa, quindi me lo doveva.
- Te lo scordi! Ho un sacco di cose da fare domani, non posso pensare a te.
Trattenni un conato di vomito, quando finii di mangiare quella schifezza – Ma morirò di fame. - Piagnucolai come una bambina a cui rompono il giocattolo preferito – E tu non vuoi che succeda, vero?
- Certo che no, ma...- La sentii sbuffare e ghignai felice, mentre mi distendevo sul divano esausta: ogni movimento mi costava molta fatica. - D'accordo, ma mi devi un favore enorme. 
Sorrisi e chiusi la chiamata, mi veniva da piangere per il mal di testa e i dolori muscolari, avevo bisogno di un massaggio e anche di un medico che mi prescrivesse qualcosa per farmi guarire: non mi piaceva stare male, mi sentivo impotente e inutile in quei momenti e in più avevo da fare tantissime cose non potevo permettermi il lusso di stare a letto o sul divano sommersa da coperte e fazzolettini di carta.

 



Avendo dormito per tutto il pomeriggio, la notte feci fatica a prendere sonno, nonostante la debolezza e la stanchezza fisica mi avessero costretta a letto e mi avessero impedito di fare ogni cosa. Perciò mi svegliai alle sei del mattino, rigirandomi più e più volte tra le coperte, per colpa degli sbalzi di temperatura e delle smanie per il non fare nulla. Stavo peggio rispetto a due giorni prima dato che Mina non mi aveva portato la spesa e l'antibiotico che le avevo chiesto perché aveva troppo da fare, ma almeno, stando a letto, avevo recuperato un po' di forze, quelle necessarie per lavorare e continuare a organizzare il matrimonio dell'anno. 
Con il portatile sulle gambe, il telefono accanto e dei fogli sparsi sul resto del letto, cercai di sciogliere i nodi più difficili di quella situazione; dovevo disdire le vecchie prenotazioni e assicurarmi che non mi mandassero a quel paese mentre facevo quelle nuove. 
Il termometro, alle dieci del mattino, segnava la temperatura di trentotto e due: avevo i brividi di freddo e il mal di testa era tornato a farmi compagnia, colpa anche di tutte quelle ore trascorse al pc, cercando di distrarmi e impiegare al meglio il mio tempo. Spensi il portatile e lo spinsi insieme alle altre scartoffie ai piedi del letto e mi rifugiai sotto le coperte, sperando che il piumone mi riscaldasse abbastanza.
Battevo i denti: stavo malissimo e sentivo troppo freddo: decisi di chiamare Mina per chiederle aiuto, dato che doveva ancora portarmi la spesa e le medicine.
- Lo so, lo so – Rispose senza nemmeno salutarmi e ancora prima che potessi dirle qualcosa – Devo farti la spesa, solo che sono bloccata in mezzo al traffico e devo ancora passare dalla Chiesa e parlare con il Parroco.
Sorrisi stanca, immaginandomela alla guida della sua Ford Fiesta melanzana – Mina, ho bisogno dell'antibiotico.
- Oddio, stai tanto male vero? Sono una pessima persona. Maledetto traffico. - Scostai il telefono dall'orecchio,perché sentirla imprecare contro gli altri automobilisti contribuiva solo a far aumentare il mio terribile mal di testa. - Prometto di portarti tutto entro un'ora o delegherò qualcuno, non ti lascerò morire da sola a casa.
- Lo spero, non voglio morire per una stupida influenza.
La sentii ridere, mentre chiudevo la chiamata e lanciavo il telefono dall'altra parte del letto: avevo sete, dovevo fare la pipì e forse avevo anche fame, ma non riuscivo ad alzarmi da quel letto; puzzavo e mi sentivo una stracciona. E se non avessi conosciuto Mina e Giulia? Se fossi stata sola al mondo come avrei fatto? Sarei dovuta uscire e comprare le medicine io stessa, quindi potevo e dovevo alzarmi e fare qualcosa, per il mio bene e per l'igiene di tutto il mondo. 
Come sempre mi trascinai fino in cucina: strisciavo i piedi, perché alzarli era troppo faticoso e in effetti mi divertivo, insomma, perché sprecare energie nel camminare bene e alzare i piedi, se strisciandoli si otteneva lo stesso risultato? È come: perché rifare il letto se poi, la sera, lo si riusa? 
La febbre stava iniziando a farmi delirare, magari con una doccia mi sarei ripresa o sarei tornata a ragionare come le persone normali; sapevo che Mina non sarebbe arrivata prima di un'ora, perciò feci tutto con calma, riscaldando pure le mie fragili ossa con l'acqua calda e il vapore.
Uscii quando le mie mani si erano raggrinzite e quando le mie gambe avevano iniziato a cedere, segno che la febbre stava salendo ancora: maledetto freddo, maledetto tempaccio e stronza Mina che non mi aveva portato l'antibiotico. 
Profumavo di mandorle; i miei capelli mossi e ribelli e il mio pigiama, sempre in pile, blu con le case disegnate mi davano un'aria sbarazzina e liceale; quella doccia mi aveva rinvigorita e trovai addirittura la forza di prepararmi una tazza di thè e sistemarmi sul divano a mangiare, attendendo impaziente l'arrivo di Mina. Stavo guardando Cucina con Ale immaginando Alessandro Borghesi nella mia cucina a preparare quel piatto di pasta succulento e servirmelo a letto, quando suonarono il campanello. Non volevo alzarmi per aprire, sia perché mi annoiava camminare sia perché non volevo perdere, neanche per un secondo, quella bellissima visione, ma, sapendo che fosse Mina con il mio cibo e la mia cura, avanzai fino alla porta, avvolta in un coperta perché il freddo era tornato a possedermi. 
Aprii il portone del palazzo senza neanche rispondere e, con un gesto meccanico, anche quella d'ingresso, lasciandola socchiusa, in modo da poter tornare sul divano e godermi il mio Alessandro.
Dopo dieci minuti, sentii un rumore familiare – Perché ci hai messo tanto?
- Non ricordavo il piano.
Una voce maschile. 
Non era Mina, a meno che non fosse diventata un uomo nel giro di qualche ora; ero in preda al panico perché con molta stupidità avevo aperto la porta senza neanche chiedere chi fosse: uno sconosciuto era dentro casa mia e mi avrebbe uccisa, violentata e uccisa. 
Avevo la febbre, magari se glielo avessi fatto presente sarebbe scappato.
- Tua mamma, il grande avvocato, non ti ha insegnato che non si apre la porta agli estranei?
Sospirai sollevata quando lo riconobbi e mi voltai a guardarlo – Gerri! - Esclamai felice, mordendomi la lingua un secondo dopo: quello non era il suo vero nome! – Che che ci fai tu qui?
- Certo che sei messa davvero male eh? 
Posò dei sacchetti sul tavolo e dopo qualche secondo tirò fuori, da uno di quelli, uno scatolino della farmacia. - La mia salvezza. 
Mi alzai, ma la fretta causò un altro di quei terribili capogiri e cascai sul divano; fu Geremia stesso a portarmi un bicchiere d'acqua e una capsula, ma non riuscii a guardalo negli occhi e lo ringraziai mentre prendevo la pillola dalla sua mano destra. La ingoiai e mi distesi sul divano, aspettando che facesse effetto. 
- Che ci fai qui? - Gli chiesi mentre sistemava il latte in uno sportello. - Voglio dire, perché mi hai portato la spesa?
- Ero al supermercato e ho incontrato la tua amica. Dove va questo? - Mi mostrò una bottiglia di succo di frutta alla pera e gli indicai il frigorifero. - Comunque quella è un po' fuori di testa, voleva pagarmi per farmi venire. - Si bloccò e mi sorrise malizioso. - Quello è gratis, oltre che naturale e spontaneo. 
- Idiota. - Mi rannicchiai su me stessa, coprendomi meglio con il piumone; lo sentivo muoversi in cucina e sistemare il resto della roba. Non volevo che restasse un minuto di più perché la sua presenza mi imbarazzavaera pur sempre un estraneo e non mi andava farmi vedere in quello stato. 
- Ti serve qualcos'altro? - Negai e mi alzai per accompagnarlo alla porta, non volevo cacciarlo, ma se fosse rimasto un minuto in più si sarebbe ammalato anche lui. - Se hai bisogno di qualcosa chiamami. 
Lo guardai incerta. - Sì, certo. - Provai a ringraziarlo, ma un altro conato di vomito ebbe la meglio: tappai la bocca con le mani e corsi in bagno, cercando di non inciampare nel tappeto del piccolo corridoio; questa volta arrivai in tempo e rigettai il thé e i biscotti che avevo mangiato qualche ora prima dentro il water. Mi sentivo uno straccio. Quando provai ad alzarmi delle mani mi aiutarono a farlo, Geremia era rimasto e aveva assistito allo spettacolo. 
- Oddio, che vergogna.- Mi sedetti sul bidet, nascondendo il viso tra le mani. Lo sentii ridere e lo guardai scettica, più o meno. - Cosa ci trovi di così divertente? 
Fece spallucce e, dopo aver tirato lo sciacquone, buttò un po' di candeggina dentro per eliminare il cattivo odore: era un uomo di casa. - Tu che ti vergogni d'aver l'influenza. - Mi porse una mano e mi sorrise: non era il suo solito ghigno malizioso o strafottente, era diverso, quasi preoccupato. - Forse è meglio se ti porto a letto.
- Vorresti approfittare di me in queste condizioni?- Mi finsi offesa e la sua risata mi rilassò. - In realtà avrei un po' di fame.
Mi sorrise di nuovo e mi scortò fino in cucina, aiutandomi a sedere sullo sgabello. - Cosa desidera mangiare,signorina?
Lo guardai sbalordita e divertita, mentre indossava un grembiule – Sai cucinare?
- Me la cavicchio. Allora, cosa vuoi che ti prepari: primo o secondo? – Chiese, non smettendo di sorridere e guardandosi intorno, probabilmente cercando di orientarsi.
- Stupiscimi. - Per la seconda volta mi morsi la lingua: quella febbre stava iniziando a farmi dire le cose peggiori. Era peggio dell'alcol. - Voglio dire…
- Sì ho capito, non peggiorare la tua situazione.
Gli feci una smorfia e l'osservai lavoraredi tanto in tanto mi chiedeva dove fossero le spezie o altri oggetti e gli rispondevo con gesti e cenni del capo; era divertente stare a guardare senza fare nulla, sentirmi ospite in casa mia e avere un uomo attraente in cucina a prepararmi il pranzo. Il silenzio però era troppo imbarazzante: cercai, quindi, di instaurare una conversazione per lo meno civile, senza nessun litigio o doppio senso; rispondeva alle mie domande tranquillo, mentre tagliava i pomodori e li metteva in padella. Lui non chiedeva mai nulla, come se non gli importasse nulla di me.
- E quindi è da molto che fai questo lavoro?
- Lo spogliarellista? Qualche anno.
Chiacchierare con lui era davvero difficile. - Perché, hai qualche altro lavoro? - La sua risposta mi aveva indotto a pensare che facesse qualcos'altro oltre a spogliarsi la notte e a farsi infilare banconote da minimo venti euro nel perizoma. 
Rabbrividii al ricordo di lui nudo.
- Hai freddo? 
- No, sto bene, grazie. 
Non l'avevo mai visto così preoccupato, in realtà non l'avevo mai visto in altri momenti o in altre vesti. Si stava prendendo cura di me come se fossi una sua amica. Piombò di nuovo il silenzio e ne approfittai per guardalo ancora: mescolava la pasta dentro la pentola facendo attenzione che l'acqua non schizzasse fuori, con un cucchiaino, poi, aveva assaggiato il condimento e aveva aggiunto del sale e pepe, forse, dopo aver fatto una smorfia schifata.  
- È quasi pronto. - La sua voce mi colse in flagrante e abbassai subito lo sguardo – Apparecchio qui o vuoi andare sul divano? 
- Va bene qui, grazie.
Se lo avessi ringraziato ancora, mi sarei sparata alle ginocchia.
- Comunque – Continuò, mentre scolava la pasta – in teoria non ho nessun altro lavoro.
Mi porse il piatto fumante e abbastanza invitante, lo odorai, ma non sentii nulla: avevo naso e gola chiusi per colpa del raffreddore – E in pratica? - Mandai giù il primo boccone e lo guardai in attesa di una risposta.
I suoi occhi erano fissi nei miei, come se da un momento all'altro aspettasse che dicessi qualcosa quando in realtà era lui a dover parlare. Masticai gli spaghetti con calma, cercando anche di capire che sapore avessero.
- Ti piacciono?- Aveva preferito cambiare discorso e lo lasciai fare perché, in effetti, non avevo tanta voglia di stare lì a discutere sul suo lavoro o altro; non gli risposi perché non sapevo che dirgli, per me erano insapore. Allo stesso tempo non volevo deluderlo, perciò annuii e continuai a mangiare, alternando dei sorrisi accennati ai bocconi.
Essere osservata mentre mangiavo, però, era piuttosto inquietante e fastidioso, ma non gli dissi nulla per non sembrare scortese: in fondo mi aveva preparato un pranzo coi fiocchi senza che gli avessi chiesto nulla. Aspettò che finissi tutto prima di togliere il piatto e riposarlo dentro il lavandino insieme alla forchetta e al bicchiere.
- Che stai facendo?- Lo fermai prima che iniziasse a lavare le stoviglie, un conto era cucinare e un conto era sfruttarlo come domestica personale. - Ti prego, lascia stare, li farò più tardi o domani.
- Ma stai male e... D'accordo, non insisto. - Gli sorrisi grata. - Adesso devo andare, ti serve altro?
- Oh, no no. Hai fatto troppo e ti devo un favore enorme.
- Non pensare che tutto quello che gli altri fanno per te sia questione di dare e ricevere, magari è anche un piacere farlo, no?
Abbassai lo sguardo imbarazzata: mi aveva colpita nel segno; in realtà mi comportavo in quel mondo, erigevo un muro invisibile, perché non volevo soffrire, non volevo stabilire nessun tipo di contatto o legame con gli altri. Era più comodo pensare che qualcuno fosse gentile con me per un tornaconto personale piuttosto che per vera e propria gentilezza o perché volesse farlo. 
Non credevo, comunque, che Geremia si comportasse in quel modo nei miei confronti perché avesse qualche interesse o perché, mosso da uno spirito di crocerossino, sentiva il bisogno di prendersi cura di me; ero convinta che ci fosse sotto qualcosa, ecco perché mi tenevo a debita distanza, continuando a mettere mattoni sempre più grossi su quel muro invisibile. 
- A presto e grazie di tutto … - Era frustrante non sapere il suo nome.
- Pietro. 
- Cosa?
- Mi chiamo Pietro e mi sembra assurdo che tu non lo sappia ancora. - Scoppiai a ridere, colpa dell'imbarazzo e della febbre alta, sotto il suo sguardo interrogativo. - Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. - Mi lasciò un bacio sulla guancia, ma molto vicino alle labbra; indugiò troppo sulla mia pelle tanto da farmi chiudere gli occhi, mentre percepivo il contrasto freddo–caldo tra la sua bocca e la mia guancia. Sospirai quando si staccò. - A presto.
Mi chiusi la porta alle spalle e sfiorai il bacio con la punta delle dita. - Pietro. Pietro. Torna indietro.







*******

Emily ha la febbre, povera piccola.

Ciao a tutte e ben tornate! Come è andata il 31 notte? Avete festeggiato o siete rimaste a casa a lavorare a maglia? Io sono andata a ballare e sto utilizzando questi giorni di vacanza per riprendermi del tutto ma forse è meglio smettere di ciarlare inutilmente e concentrarci sul capitolo.
Emily, finalmente si è sbarazzata di quelle due stupide spose, cioè, le ha messe d'accordo anche se dovrà lavorare il doppio ma almeno le farà stare zitte – speriamo.
Sì è però, beccata una brutta influenza ed è costretta a stare a casa, ora, vorrei precisare qualcosa: non sono un medico né mai lo diventerò perciò non so quali sono i giusti sintomi della febbre ma avendola avuta spesso e soffrendo di emicrania e cefalea tensiva so quanto ci si possa sentire allo stremo delle forze e quanto sia possibile vomitare per dei capogiri o fitte alla testa. Ovviamente è tutto amplificato, datemi un po' di licenza letteraria su. XD
Paint your life è un programma su RealTime, non saprei come spiegarvelo perché l'ho visto poche volte e ogni volta mi sono addormentata, perciò, cliccate sul nome per saperne di più.
Cucina con Ale invece, è molto carino, sulla cucina e sempre su RealTime condotto da Alessandro Borghese ve lo consiglio se vi piace cucinare e se vi piace lui.
IL NOME. Finalmente si è scoperto questo benedetto nome di Gerri, in realtà si chiama Pietro, Pietro Vivaldi.
Alcune di voi avevano indovinato, altre se lo ricordavano perché ne avevo parlato mesi fa nel gruppo dimenticando che non potevo.
Comunque sia ormai il mistero è risolto ;)
Credo di non avere altro da dire e lascio la parola a voi.
Ringrazio tutte coloro che hanno recensito la scorsa volta e chi continua ad aggiungere la storia tra le varie categorie: grazie millissime, mi riempite il cuore di gioia, amore e pace. <3
Grazie, ovviamente, a
Ellina e al suo tocco rosa.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo
facebook e del mio canale youtube.
Grazie ancora e che la panna sia con voi.
Alla prossima.

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Capitolo 10
*** DIECI ***




Ai sogni infranti.
A mia sorella.



The (he)art of the streap VIDEO.





Dieci.




Una settimana, quattro chili, sei confezioni di fazzoletti dopo, ero finalmente guarita e potevo tornare a lavoro; in realtà avevo la tosse, quella brutta e grassa, ma almeno avevo smesso di starnutire, vomitare e avere sbalzi di temperatura. Non potevo rischiare, comunque, una ricaduta, perciò indossai degli abiti pesanti e, dopo aver messo sciarpa e cappello di lana, uscii dal mio appartamento: avevo disdetto l'appuntamento con il dottor Rossi perché avevo perso troppi giorni di lavoro e non potevo permettermi altre due ore di nullafacenza pensando a mio padre, la mia famiglia, il mio passato e al mio grosso problema con gli uomini.
Avevo miliardi di cose da fare, una tra quelle mandare un'altra email a mia sorella, dicendole quanto fosse stata stronza a non rispondermi: forse era morta in qualche disastro aereo o attentato americano, ma in quel caso avrei sentito i telegiornali parlarne, forse. Sull'autobus c'era molta più gente del previsto a causa del blocco del traffico e dovetti spiaccicarmi al finestrino tra un ventenne con dei fantastici occhi chiari e un vecchietto che non smetteva di fissarmi il sedere: se fosse stato più giovane gli avrei mollato una sberla. Ci impiegai circa un minuto per scendere, rischiando di perdere la coincidenza per arrivare in ufficio: odiavo i mezzi pubblici, tutta quella gente che toccava e spingeva, quel contatto fisico con degli estranei mi mandava fuori di testa, ma era l'unico modo per spostarmi, dato che la mia auto mi aveva abbandonata e non avevo i soldi per comprarne una nuova. 
Arrivai in ufficio già stanca, Mina e Giulia non c'erano ancora o forse erano già uscite per degli appuntamenti o sopralluoghi. Abbracciai la mia scrivania e mi lasciai cadere felice sulla sedia girevole di tessuto blu: mi era mancato tanto quel luogo così familiare e casalingo, la verità era che trascorrevo più tempo tra quelle quattro mura piuttosto che a casa quindi mi sentivo più a mio agio lì e, dopo quella settimana a letto o sul divano e a vomitare qualsiasi cosa, volevo stare il più lontana possibile dal mio appartamento.
- Ben tornata. - Carla aprì di scatto la porta, facendomi sussultare. – Ho tanto da proporti. - Rubò una sedia dall'angolo della stanza e si sedette accanto a me, con una strana espressione sul viso e il suo sorriso non prometteva niente di buono. In più indossava una foulard rosa: lei odiava quel colore, doveva esserci sotto qualcosa.
- Ciao anche a te, Carla, sto bene. Grazie per averlo chiesto.
Scherzai e lei mi guardò perplessa per qualche secondo, poi riprese a parlare. - Dunque, in questa settimana abbiamo avuto molto da fare e so che, nonostante la tua malattia...
- Febbre.- Non le piaceva essere interrotta, ma dovevo spiegarle o comunque ricordarle che non avevo avuto una malattia grave, solo una stupida febbre. - Non mi hanno ricoverato d'urgenza al Gemelli per un caso strano o incurabile: avevo una brutta influenza, tutto qui.
- Ciò non cambia che sei rimasta a casa e arrivi al mio discorso. - Con Carla era inutile parlare, girava la frittata a modo suo per avere ragione, perciò me ne stetti buona e zitta, annuendo di tanto in tanto, ad ascoltare i dettagli dei matrimoni di cui si stava occupando e – Degli addii al nubilato che organizzeremo.
- Interessante. - Lanciai un'occhiata all'orologio, sperando che qualche cliente suonasse il campanello, salvandomi dalla situazione: non riuscivo a stare del tutto attenta a causa della sua parlantina veloce e del vizio che aveva di inserire, ogni tre - quattro parole, la frase “perché voglio dire” o ancora “capisci che”. Perciò annuivo distratta e stufa di starla a sentire, fin quando non disse qualcosa che attirò la mia attenzione, completamente. 
- Come, scusa?
- E' una buona idea, vero? Sapevo saresti stata d'accordo. - Frugò nella sua Gucci in finta pelle di coccodrillo arancio per qualche secondo e tirò fuori qualcosa: sorrideva peggio di prima – Ho qui il biglietto da visita con il numero del locale, dovresti chiamare e...
- No, no no. Carla rallenta; mi sono distratta un attimo e ho capito male, puoi ripetere, per favore?
- Devi chiamare questo numero... - Lo disse con più calma, ma le feci capire che avevo ben compreso quella parte, avevo bisogno che mi ripetesse ciò che aveva detto prima ancora. - Ci metteremo in affari con il Ladies Night, quel locale che conosci bene; organizzeremo gli addii al nubilato delle nostre spose lì quindi ho bisogno che tu li chiami e parli con il proprietario per fissare un appuntamento. Dobbiamo stipulare questo accordo e non vedo l'ora.
Si alzò cinguettando e, sgambettando, tornò nel suo ufficio. Improvvisamente desiderai tornare a casa, avere la febbre ed essere disoccupata: non volevo chiamare quel tizio e cosa più ovvia, non volevo che la nostra agenzia matrimoniale si mettesse in affari con il Ladies Night, perché avrebbe significato trascorrere tanto, molto, troppo, tempo con Geremia cioè, Pietro.
Non era proprio possibile che stesse succedendo a me, tra tanti locali del genere che c'erano a Roma, perché proprio quello? 
- Ehi febbricitante: ben tornata. - Fissai lo sguardo su Mina, ma non mi mossi dalla mia posizione. - Stai di nuovo male? E' morto qualcuno? Ti hanno fatto una proposta di matrimonio? Dimmi cosa è successo perché hai una faccia che spaventa.
- Quella ce l'ha sempre. - Giulia fece il suo ingresso trionfale. - Buongiorno, belle donne. Oddio Emily, c'hai na faccia: t'è morto l'uccello?
- Diciamo che non le era mai nato.
Risero dandosi il cinque, non mi preoccupai neanche di dire qualcosa o di difendermi: ero ancora sconvolta dalla notizia di Carla; loro due se ne accorsero e preoccupate mi furono vicino. Come al solito Giulia si sedette sulla scrivania e Mina si appoggiò semplicemente, incrociando le braccia sotto al seno aspettando che iniziassi a parlare.
- Carla mi ha dato la peggior notizia della mia vita.
Mina scattò in avanti, spaventandomi – Ti ha licenziata? 
- Certo che no, ma che vai a pensare?
- Beh – Si intromise la rossa, Giulia era tornata al suo colore di capelli naturale, come quando l'avevo conosciuta e non me ne ero neanche accorta. - Hai detto “peggior notizia” e ci hai fatto prendere un colpo. Cosa può essere di così grave da farti impallidire e schockare in questo modo?
Sospirai poggiando la fronte sulla scrivania: l'avrei sbattuta volentieri più volte se fosse servito a qualcosa. Sbuffai irritata e ciondolai il capo verso le mie amiche, poi mi decisi a parlare – Ci metteremo in affari con il Ladies Night.
Alla mia frase seguirono alcuni secondi di silenzio: dal basso della mia postazione fissavo Mina che a sua volta lanciava strane occhiate a Giulia. Quando poi si decisero a parlare, mi rimisi seduta composta con la schiena poggiata alla sedia e le braccia incrociate: ero visibilmente scocciata.
- E' una cosa fighissima, perché questo teatrino?
Mina spinse l'altra con delicatezza, era una pacca amichevole – Ogni tanto mi sembri più scema di lei. E' per Mr. Panna no? Non vorrà vederlo, stare con lui, scambiarsi affettuosi sguardi d'amore e tutta quella roba lì a cui lei non crede.
Feci spallucce – Anche se in modo sgarbato e sbagliato, Mina ha detto la verità. Non voglio stare con quello, stare vicina a lui mi manda in...
- Estasi?
Pietrificai Giulia con lo sguardo – In paranoia! E devi smetterla di completare le mie frasi, perché lo fai in modo sbagliato.
Mina fece un cenno a Giulia e si sedette accanto a lei sulla scrivania. Quest'ultima poi mi obbligò a guardarla e ascoltarla con attenzione e ciò significava che stava per farmi uno dei suoi discorsi seri e ispirati; mi faceva paura quando diventava improvvisamente troppo seria e non avevo voglia di stare lì ed essere accusata di qualcosa che non avevo fatto o essere additata come quella senza cuore e senza sentimenti.
- Ems, ascoltami bene perché non ripeterò più quello che sto per dirti. - Sospirammo nello stesso momento e sorrisi, ma questo scomparì dalle mie labbra non appena incontrai il suo sguardo serio – Devi smettere di avere paura, devi imparare a fidarti degli altri perché, se continui a essere come sei, finirai con il rimanere sola. Butta giù quel muro che hai intorno al cuore e impara ad amare perché non è con l'amore che si soffre ma senza.
Provai a parlare ma le parole non vennero fuori, mi accorsi di avere un groppo in gola e le guance bagnate: stavo piangendo. Asciugai con un gesto veloce e arrabbiato le lacrime e mi sedetti composta.
- Emily.
Fu Mina a parlare, forse aveva capito che le parole di Giulia avevano fatto centro, che mi avevano colpita dritta al cuore e fatto male; la guardai negli occhi e non so cosa lesse nel mio sguardo, ma, dopo qualche secondo, insieme alla rossa, si alzò e in silenzio tornò alla sua scrivania, lasciandomi al mio lavoro. Cercavo di non pensare a nulla, solo al matrimonio di Giada e Ilaria: al catering da chiamare, al fioraio e alla nuove composizioni: il discorso di Giulia era tabù.

- Lo so che avevo detto ostriche per antipasto ma... - Mi massaggiai le tempie mettendo da parte il cordless, evitando di stare a sentire il responsabile del catering dall'altro capo del telefono che non smetteva di urlare e ripetermi quanto fossi maleducata a disdire e cambiare il menu dall'inizio alla fine. - Se per favore mi ascoltasse... - Parlare non aveva senso, quindi lo lasciai sfogare ancora un po' e poi, con voce ferma, lo interruppi e una volta per tutte e gli spiegai la situazione, mettendolo a tacere e dettandogli l'ipotetico nuovo menu: ci saremmo visti in settimana per assaggiarlo e, nel caso, confermarlo. 
Mi stirai la schiena per stendere i muscoli, era una cosa che mi rilassava fin da bambina, lo facevo anche appena sveglia come se, con quel gesto, si svegliasse tutto il mio corpo; Carla entrò proprio quando stavo scrocchiando le ossa del collo e del busto. 
- Novità? 
Sbarrai gli occhi: il Ladies Night! Lo avevo dimenticato. 
- Prima non ha risposto nessuno, quindi ho fatto altro e non ho ancora richiamato.
- Richiamali allora. - Si sedette come qualche ora prima, incrociando le gambe e tamburellando, paziente, le dita sul legno della scrivania; per fortuna mi aveva creduto o a quest'ora mi avrebbe urlato contro. - Emily, cosa aspetti, che il locale fallisca?
Non era una brutta idea – No, ovvio. E' che non capisco il bisogno di metterci in affari con loro.
- Stanno aprendo tante agenzie matrimoniali Ems, certo non offrono i migliori servizi come i nostri, ma sono economiche ed è a questo che la gente punta con la crisi di adesso, ma... - Avvicinò la sedia di qualche centimetro, i suoi occhi si fecero più intensi, tanto che potei vedere delle sfumature grigie in quelle distese verdi – Cosa desiderano le donne oltre al denaro, più di questo? - Ci pensai qualche secondo e prima che potessi rispondere lei continuò – Il sesso Emily, il sesso. - Scandì bene ogni lettera, come se, in quel modo, volesse rendermi chiaro un concetto. - E noi dobbiamo accontentarle, noi dobbiamo essere le migliori e daremo loro tutto ciò che vogliono: un matrimonio da favola e un addio al nubilato indimenticabile.
Carla mi faceva davvero molta paura; composi il numero sotto il suo sguardo attento, eccitato e non so cos'altro, non capivo perché non potesse essere lei stessa a chiamare ma chiederlo mi sarebbe costato un altro di quei discorsi strani sulle clienti e il loro essere ninfomani, perciò evitai e mi misi d'accordo con qualcuno al telefono: a volte mi sembrava d'essere una segretaria, non una wedding planner. 

- Andiamo a mangiare qualcosa fuori? - Mina ce lo propose mentre tutte e tre stavamo uscendo dall'ufficio dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro. - Finalmente domani la mia coppia si sposa e ho bisogno di una serata tra donne per rilassarmi.
- Io ci sto, oggi ho lavorato troppo e mi farebbe bene la vostra compagnia. - Giulia ci regalò uno dei suoi sorrisi e mi guardò in attesa di una risposta. Io ero indecisa: da un lato volevo andare con loro e lasciarmi quella brutta giornata alle spalle, dall'altro ero così stanca da voler solo mettermi a letto e dormire. - Dai Ems, sei stata tutta la settimana a casa e non esci mai con noi.
Sospirai facendo spallucce – D'accordo ma non facciamo troppo tardi, ho la testa che mi scoppia.
- Sì, nonnina.
Risi insieme a loro e andammo al locale più vicino, quello dove il barista ormai ci conosceva e ci faceva lo sconto sulle birre.




Uscire con quelle due matte era sempre una buona cosa perché mi mettevano di buon umore, perché erano le mie due migliori amiche e grazie a loro mettevo da parte ogni brutto pensiero divertendomi, perché con loro non dovevo nascondermi o erigere un muro, potevo essere un po' più me stessa senza soffrire.
Il sabato era il nostro giorno libero perciò potevo prendermela comoda e fare ciò che volevo, come finire il libro che avevo iniziato mesi e mesi prima e che non avevo mai il tempo di leggere, pulire e sistemare casa che stava diventando un immondezzaio e, sopratutto, prendermi cura di me stessa perché ero quasi peggio di un uomo.
Misi a scaldare la cera mentre, sulle note del nuovo singolo dei Negramaro, passavo l'aspirapolvere in cucina, salotto e nel piccolo corridoio; avevo finito di spolverare i mobili in camera da letto e RTL aveva appena trasmesso il giornale orario, quando mi ricordai della cera che per fortuna era quella con il rullo elettrico perciò non c'era il rischio di bruciarla o di appiccare un incendio in casa. 
Preparai l'occorrente e, armata di coraggio e buona volontà, iniziai a fare la ceretta prima alle gambe e poi alle cosce: per l'inguine avrei chiamato qualcuno o, al limite, mi sarei ubriacata per non sentire dolore; per fortuna c'era la musica a distrarmi e, di tanto in tanto, cantavo a voce alta. Era un ottimo rimedio e anestetico.
Avevo appena posato la striscia sul lato destro dell'inguine, quando il mio cellulare iniziò a squillare: andai in panico, non sapevo cosa fare prima, se strappare la striscia di colpo, abbassare il volume della tv o rispondere; presi un respiro per riflettere, risposi a telefono e con un gesto secco tolsi la striscia, mordendomi il labbro per non imprecare. Non avevo neanche controllato il mittente che se ne stava in silenzio in attesa di un cenno: eravamo zitti entrambi, non sapevo chi fosse più cretino tra i due.
- Pronto? - Dissi infine. - C'è nessuno?
- Oh, pensavo fosse caduta la linea.
- Ma chi parla?
- Il fantasma formaggino: tua sorella, chi vuoi che parli.
Ero sicura di avere un'espressione sorpresa, imbambolata, sconvolta e molto altro. - Elle? 
La senti sghignazzare –
Hai altre sorelle e non ne sono a conoscenza? Sì sono io, Lilly. Come stai?
Avrei voluto riattaccare, urlare un po' e poi richiamarla ma ero troppo contenta di sentire la sua voce dopo tutti quegli anni, – Io sto bene, tu come stai? Dove sei e che stai facendo? Perché non ti sei fatta sentire...
Rise di nuovo e mi si scaldò il cuore. La sua risata mi rilassò e mi fece sentire al sicuro come quando eravamo bambine. Rispose a tutte le mie domande e mi raccontò della sua nuova vita a New York, del suo fidanzato famoso, del suo lavoro impegnativo ma sempre bello ed emozionante, di come ogni tanto le mancasse la Francia , ma che, sopra ogni cosa, le mancavo io: la sua famiglia, la sua vera casa.

Parlare con lei, sentire la sua voce, i suoi gridolini e le sue risa, pur se distante mille miglia, mi aveva fatto tornare quella di un tempo: lei mi faceva sentire protetta, come se niente e nessuno potessero farmi del male.
- Ti sei innamorata di uno spogliarellista. - Me la immaginai piegata in due per le risate, con i lunghi capelli castano scuro a coprirle il viso.- Se lo sapesse la mamma ti ucciderebbe.
- Non mi sono innamorata, io quel tipo lo odio.
- Lilly, te l'ho detto miliardi di volte: “Dall’amore all’odio c'è solo un passo.” * Quindi è inutile che ti ostini a tenerti lontana dall'amore e a proteggerti da esso, tanto Amore è più forte di noi, perché, come dice Shakespeare “ciò che Amore vuole...” - Stette in silenzio per qualche secondo perché si aspettava che io terminassi la frase, poi parlò di nuovo - Continua la frase Emily!
- “Amore osa”- Feci come aveva detto o non mi avrebbe lasciata in pace. 
Eléonore era molto determinata, testarda e innamorata della vita, dell'amore: da piccola aveva tantissimi corteggiatori e un solo fidanzatino perché diceva che bisognava amare solo uno per volta e in modo assoluto, che lei era fatta così. Donava tutta se stessa e poi, se stava male, non lo dava a vedere, voltava pagina e ricominciava ad amare con più intensità, cercando la persona giusta, quella che avrebbe ricambiato il suo grande e folle affetto.
A volte la invidiavo per questo, perché aveva il coraggio di provare, perché aveva la forza di rialzarsi.
- E' tornato Simone. – Mi parve di vederla sorridere come quando, da piccole, i nostri genitori ci portavano al Luna Park e ci lasciavano libere. - Ti prometto di farmi sentire più spesso.
- Non fare promesse che non puoi mantenere Elle, lo so che sei impegnata, non ti preoccupare.
Sentii dei bisbigli e forse dei baci e roteai gli occhi: era sempre la stessa. 
- D'accordo ma tu, cara la mia sorellina, devi smettere di fare la dura e lasciarti andare: Amore è lì che ti aspetta ad ali spiegate per farti volare con lui. 
- Ma che cosa stai dicendo? - Se fosse stata con me le avrei tirato un cuscino in faccia
- E il tuo bel spogliarellista ti aspetta con la panna addosso per leccargliela via.
Scoppiai a ridere e non potei risponderle perché era caduta la linea, ma sentirla per quel breve istante mi aveva rinvigorita: ero pronta per affrontare il resto del sabato e per fare l'altro lato dell'inguine. 




Il lunedì, quando tornai a lavoro, ero emotivamente distrutta: avevo trascorso il fine settimana a leggere il libro e, arrivata alla fine, avevo pianto come mai in vita mia. Non riuscivo ancora a riprendermi dallo shock e dalla depressione, camminavo in ufficio come fossi un automa, pensando alla protagonista e al suo cuore rotto in mille pezzi. Giulia se ne accorse e mi chiese, da buon amica, se mi fosse successo qualcosa e, quando seppe la verità, mi scoppiò a ridere in faccia, confessandomi poi che anche lei aveva avuto più o meno quella reazione.
- Non vedo l'ora che esca al cinema. - Era l'ora di pranzo, tutte e tre eravamo in mensa a mangiare qualcosa; anche Mina aveva letto il libro, finendolo prima di tutte e trattenendosi dallo spoilerarlo e ora aveva bisogno di commentarlo con noi. - Ho letto su internet che il cast sarà stellare. 
Ingoiai la mia insalata. – Più che il cast è sempre un film di Nolan e sono curiosa di vederlo.
- Sei un po' fissata con lui. – Annuii a Giulia che intanto mangiava la sua carne – Ma devo darti ragione, i suoi film sono grandiosi.
- Spero solo che non sia complicato come Inception.
Mina si intromise, lei preferiva i libri ai film, diceva che al cinema, sul grande schermo, si perdeva l'originalità, la purezza e bellezza; leggendo ci si poteva immergere nelle situazioni e immaginare ogni cosa. Guardando il film, invece, era tutto servito e spiattellato così come voleva il regista.
- Inception non è complicato. - Le risposi, rubandole l'ultimo sorso di coca-cola. – Sei tu che non capisci i film.
Si finse offesa e mi fece una linguaccia che ci fece ridere: mi era mancato trascorrere del tempo con loro, ma la febbre, il matrimonio delle grandi amiche e gli altri impegni mi avevano tenuta troppo impegnata. Per fortuna stavo recuperando a poco a poco. 
Il divertimento durò poco, Carla mi chiamò sul cellulare, obbligandomi a tornare in ufficio prima del previsto. Dovevamo fare tantissime cose, parlare con il proprietario del Ladies Night e Dio sapeva cos'altro voleva da me quella donna. La trovai seduta di fronte alla mia scrivania, troppo occupata a scrivere qualcosa per accorgersi che ero entrata nella stanza. Poggiai una mano sulla sua spalla e lei si spaventò, intimandomi di non farlo mai più, che era bella ed elegante, ma aveva pur sempre una certa età e non poteva rischiare dei malori. 
- Cosa posso fare per te, Carla? - Ignorai i suoi discorsi e mi sedetti al mio posto, pensando al caffè che non avevo bevuto e ai cinque minuti di pausa pranzo che avevo saltato.
- Dunque, dobbiamo chiamare il signor Maurizio e decidere per il pranzo.
- E il signor Maurizio sarebbe?
- Il proprietario del locale, Emily. Chiama e vedi se è disponibile per domani.
- E se parlassi direttamente tu, insomma, è qualcosa di ufficiale tra proprietari e...
I suoi grandi occhi verdi si ridussero a due fessure: di solito faceva in quel modo quando stava pensando a qualcosa. - Hai ragione, fai il numero e poi me lo passi.
Per fortuna aveva deciso di fare a modo mio, non mi andava di essere la sua segretaria, stare lì a telefono con quel Maurizio che neanche conoscevo e prendere appuntamento per lei, avevo altro da fare ed era già tanto che facessi quel numero al posto suo.
- Ecco.
- Cosa fai? - Rifiutò la cornetta. - Devi essere sicura che risponda lui a telefono prima di passarmelo.
Quello era il colmo! Tentai di dirle qualcosa ma dall'altro lato una voce mi anticipò e mi affrettai a rispondere prima che riattaccassero o di fare la figura dell'idiota.
- Buongiorno, chiamo da parte dell'agenzia matrimoniale W&W ** di Carla Solari, parlo con Maurizio?
- No, Maurizio non è qui al momento, può dire a me se vuole.
Non sapevo che fare, ecco perché non volevo occuparmene. - Aspetti un momento. - Riferii a Carla quanto mi era stato detto e, ovviamente, mi rispose che non voleva parlare con quel ragazzo; mi trattenni dall'ucciderla. - Dunque il mio capo vorrebbe pranzare con il signor Maurizio domani, se è possibile.
- Io non so se è possibile, Maurizio è sempre in giro per Roma e non lo si becca mai.
- Non potrebbe chiamarlo o scriverlo in agenda?
Lo sentii sghignazzare facendomi innervosire ancora di più –
Non sono il suo segretario, richiami più tardi e se lo trova buon per lei.
-
 Senta – Respirai spazientita; avrei urlato anche contro quell'idiota che mi ero ritrovata come interlocutore, se fosse servito a risolvere la situazione. – E' un pranzo di lavoro, non di piacere, rientra negli interessi delle nostre attività. 
- D'accordo, cosa devo dirgli? 
Per fortuna anche i cretini erano in grado di usare il cervello ogni tanto. – Che l'agenzia matrimoniale ha chiamato e che aspettiamo una conferma per domani.
- Vedrò cosa posso fare. A presto, Madame. 
Carla mi guardava in attesa di una risposta che non tardai a darle, aggiungendo che non ero la sua segretaria e che la prossima volta avrebbe dovuto chiamare da sola perché io non volevo avere niente a che fare con quel locale, proprietari e dipendenti. 
- E non vuoi neanche accompagnarmi domani al pranzo?
- Perché dovrei? - Digitai un messaggio a Mina, dicendole di portarmi un caffè ristretto ,perché ne avevo bisogno. - Sembra quasi che tu abbia paura di entrare in contatto con quel mondo: non mangiano, stai tranquilla. 
- Io non ho paura, Emily, ti sto solo osservando e istruendo. - La mia curiosità la spinse a continuare – Prima o poi dovrò ritirarmi dal mondo del lavoro e lasciare questa agenzia nelle mani di qualcuno, non posso di certo farlo al primo che passa, perché la W&W è mia figlia, l'ho fatta nascere e l'ho cresciuta con le mie sole forze. Poi siete arrivate voi ragazze che mi avete aiutata e non immagini neanche quanto avevo bisogno di voi: siete fantastiche ma tu più di tutte.
- Davvero? 
- Non sai quanto Ems. Hai una dedizione e una capacità incredibile, riesci a mettere d'accordo tutti, a far combaciare gli appuntamenti e nessuno è mai deluso del tuo lavoro. Le spose sono sempre soddisfatte e tornano o chiamano per ringraziarti. Non so se questo dipenda dai tuoi anni di studio o dal tuo non credere nell'amore e nel matrimonio e, detto con sincerità, non mi interessa perché ti fa essere la migliore.
- Non so che dire... Carla, grazie. - Le sue parole mi avevano stupita, non credevo pensasse quelle cose di me.
- Ti ho chiesto di organizzare questo incontro non per farmi da segretaria ma per renderti partecipe, come se fossi tu a capo di questa baracca, perché vorrei lasciare a te le redini dell'agenzia un giorno. 
- UOU, cosa? Non pensi sia affrettato ed esagerato?
- Cos'è esagerato? - Le ragazze entrarono in quel momento – Tieni il caffè Em, lo volevi anche tu Carla?
- No tesoro, grazie. - Le sorrise, mentre si alzava dalla sedia e la rimetteva a posto. - Continueremo il discorso un'altra volta Emily e se hai notizie di Maurizio fammi sapere, mi trovi nel mio ufficio. 

E' successo qualcosa?
- Mi è sembrata più strana del normale.
Negai e bevvi il caffè in pace, ripensando però alle parole di Carla: mi reputava così brava e in gamba da volermi lasciare la sua agenzia, sua 
figlia, come l'aveva chiamata lei stessa. Per quanto mi sentissi onorata, non ero sicura di volere quel posto in futuro, in fondo anni prima avevo accettato quel lavoro solo come occupazione part-time fin quando non avrei capito cosa volevo fare davvero nella mia vita. Che poi non lo avessi ancora capito era un altro paio di maniche, ma certo non volevo ancora organizzare matrimoni alle coppie felici per sentirgli dire che aveva paura di essere tradite o altro.
Volevo trovare un altro lavoro che mi rendesse davvero contenta, volevo andare a letto stanca la sera, ma felice di esserlo perché avevo un lavoro che mi appagava, volevo svegliarmi al mattino e sorridere allo specchio perché ero soddisfatta e sapevo che tutto questo non l'avrei raggiunto continuando a organizzare matrimoni, ma, purtroppo, non avrei mai trovato altro. 


Carla mi aveva incastrato a quel pranzo di lavoro, perciò ero obbligata a vestirmi maniera adeguata per fare una figura decente agli occhi di Maurizio; mia madre mi aveva sempre insegnato che nei momenti importanti l'abbigliamento era molto decisivo e influenzava il giudizio degli altri, quindi decisi di abbandonare jeans e scarpe comode e optai per un completo un po' più elegante sul beige, giubbino e scarpe nere e, per un tocco di classe, la mia inseparabile Chanel che mi aveva spedito mia sorella da New York per Natale. Controllai d'aver preso tutto e uscii di casa più nervosa che mai: 
sapevo che Carla era in macchina ad aspettarmi, era passata a prendermi perché non voleva arrivare da sola, aveva paura che quell'uomo potesse farle qualcosa: “E' sempre qualcuno che ha aperto un locale del genere”, aveva detto quando mi aveva chiamata per dirmi che mi avrebbe dato un passaggio. Gliene ero molto grata perché in quel modo mi aveva risparmiato quasi mezz'ora di sbattimento sui mezzi pubblici, ma, in tutta sincerità, avrei preferito non andare e stare a casa a guardare una puntata di qualche telefilm.

Arrestò la sua C3 cabrio nel posteggio riservato ai clienti del ristorante e, dopo aver respirato più volte per darmi coraggio, scesi dall'auto cercando di elencare dei buoni motivi per non uccidere Carla.
- Buongiorno signore. - Quello doveva essere Maurizio, non ricordavo il suo viso, in fondo lo avevo visto una volta di sfuggita al locale. - Siete splendide, accomodatevi. 
Spostò la sedia del mio capo per farla sedere e, prima che potesse fare lo stesso con me, provai a sedermi: non volevo nessuna attenzione da parte di 
nessun uomo, ma, proprio quando stavo per spostare la sedia, qualcuno da dietro la avvicinò. Maurizio era ancora intento a parlare con Carla, mi voltai per vedere chi potesse essere stato e sbarrai occhi e bocca stupita.
- Eccoti qui Pietro, aspettavamo solo te. 
I suoi occhi non lasciarono i miei. - Scusate il ritardo. - Inclinò le labbra in un sorriso sbieco: non capivo perché non riuscissi a dire nulla, non era la prima volta che lo vedevo sorridere, eppure in quel momento era così diverso e io così stupida. - Lei deve essere Carla, è un piacere conoscerla. 
Le si avvicinò fingendo un baciamano e scossi la testa rassegnata: era il solito leccaculo. Quando si sedette accanto a me andai in panico.
- Aspetta, tu pranzi con noi?
- Certo. 
Sorrise di nuovo e, se prima ero imbambolata, in quel momento mi venne voglia di prenderlo a cazzotti. Era tornato quello di sempre: arrogante, impertinente, sgarbato e bello.
Mi morsi la lingua – E come mai?
- Pietro è un socio onorario, più o meno. Volevo averlo al mio fianco.
Fu Maurizio a interrompere quel breve dibattito, come se qualcuno lo avesse interpellato; mi salirono i nervi ancora di più, Lo sapevo che dovevo rimanere a casa quel giorno. Carla batté le mani estasiata spiegando che più o meno era la stessa situazione con me e io la fulminai con lo sguardo perché lei non doveva dare nessuna informazione su di me davanti a quell'energumeno tutto muscoli senza cervello, con quegli occhi tanto azzurri da fare concorrenza all'orizzonte del mare, con la barba sexy e incolta e le labbra da baciare.
Maledizione, cosa mi succedeva?
- Che ne dite se ordiniamo? - Ancora quel Maurizio a parlare. - Direi di cominciare con degli antipasti e un ottimo vino...
- Ma io. - Tentai di dire che non volevo gli antipasti e che era un gran maleducato a decidere per tutti, ma Carla mi pestò un piede e dovetti rimangiare le mie parole. - Sono d'accordissimo.
Il mio sorriso falso e di circostanza attirò l'attenzione di Ger-Pietro che trattenne una risata e, quando il cameriere portò la bottiglia di vino bianco che il gentile Maurizio aveva ordinato, alzò un bicchiere verso di me sorridendo ancora: complice, fastidioso e sfacciato.
Quel pranzo sarebbe stato più difficile del previsto.










*****


*Entro ballando e cantando sulle note di Some Nights*
Ieri ho visto Glee e sono ancora su di giri: MA CIAO BELLEZZE! Come state? Spero bene, dato che io sono raffreddata e ho un po' d'influenza (che palle) Come procede la vostra vita? Pff, io sono tornata da una brevissima vacanza e adesso sto studiando come una pazza perché il 4 ho un esame, stupida università.
Bene, bando alle ciance: SCUSATE IL RITARDO, ma tra lo studio, la vacanza e la pigrizia non ho avuto molto tempo per scrivere e devo anche dire che il capitolo non mi ispirava molto... Avete notato anche voi che è noioso, vero?
Non succede nulla di importante:
- Emily e il suo lavoro.
- Emily e sua sorella
- Emily e le sue amiche.
Che fine ha fatto Geremia/Pietro? Ohhh eccolo alla fine, che fa un'entrata “trionfale” da gentiluomo, MA VAH, NON FA PER TE CARO MIO! XD
Con questo capitolo volevo svelarvi qualche altro dettaglio della vita di Emily, i rapporti che ha con Mina e Giulia e soprattutto con sua sorella (che amo e adoro!)
Qualche appunto noioso:
*Frase originale:
Dall'amore all'odio non c'è che un passo di Giovanni Soriano, Maldetti. Pensieri in soluzione acida, 2007
** W&W : Ovviamente non esiste e ho immaginato che si dica “VU AND VU” che significa “White and Wedding”
Il libro di cui parla Emily, come al solito, non esiste.
Inception, invece, è un film bellissimo a parer mio di C. Nolan che vi consiglio di vedere.
Per chi volesse vedere il SET abiti di Emily, può farlo QUI
Infine, r
ingrazio tutte coloro che hanno recensito la scorsa volta e chi continua ad aggiungere la storia tra le varie categorie: grazie millissime, mi riempite il cuore di gioia, amore e pace. <3
Grazie, ovviamente, a
Ellina e al suo tocco rosa.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo
facebook e del mio canale youtube.
Grazie ancora e che la panna sia con voi.
Alla prossima.

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Capitolo 11
*** UNDICI ***


E' più facile dare un bacio che dimenticarlo.
-
Anonimo.



The (he)art of the streap VIDEO.



Undici.



- Scusate, vado in bagno un attimo.
Poggiai il tovagliolo di tessuto rosa molto pallido sul tavolo e mi alzai con gentilezza e urgenza. Avevo bisogno di cambiare aria per qualche istante perché, in tutta sincerità, ero stufa di sentire Carla e Maurizio parlare di come la storia dei nostri locali sarebbe cambiata non appena avessero firmato quel contratto, Pietro fare battute senza senso che facevano ridere solo quei e, ancora, ero stanca di vedere quei due scambiarsi risate e occhiate d'intesa mentre l'idiota mi stuzzicava o cercava di attirare la mia attenzione, rubando gli antipasti dal mio piatto.
Non avevano ancora portato il primo e già volevo scappare.
- Dovevi davvero andare in bagno! – Me lo trovai seduto sul marmo, accanto al lavello. - Hai vomitato? 
Non gli risposi, anche perché la sua domanda non aveva senso, e mi avvicinai per lavarmi le mani.
- La tua maleducazione mi stupisce sempre di più.
- Sai che questo è un bagno per donne?
- No, è unisex. - Rispose con così tanta ovvietà da farmi imbestialire.
- Cavolo, non avevo visto il cartello per disabili, se lo avessi saputo ti avrei lasciato entrare per primo.
Mi fu talmente vicino da sovrastarmi con la sua altezza – Ma che diavolo di problema hai? - Il suo petto sbatté contro il mio. - Se sono me stesso, sei una stronza, se provo a essere gentile, innalzi il tuo grande muro di cemento e sei una stronza lo stesso. Quindi, dimmi che devo fare con te!
Le sue parole mi colpirono e la sua vicinanza mi stava facendo impazzire, aveva un profumo talmente buono da farmi desiderare d'assaggiare la sua pelle; il mio sguardo slittò dai suoi occhi azzurro mare alle sue labbra carnose. Deglutii e respirai a fondo per convincermi a non baciarlo.
Con un po' di pressione sul suo petto lo allontanai dal mio corpo e sussultai quando sentii il calore della sua mano sulla mia: la stava stringendo.
- Cosa. Stai. Facendo? - Lo vidi avvicinarsi ancora di più e mi spaventai. 
Pietro!
Quello che doveva essere un rimprovero uscì come una supplica e senza neanche rendermene conto chiusi gli occhi nel momento in cui sentii il suo respiro infrangersi sulle mie labbra. Avevo la gola secca dal desiderio di quel maledetto bacio: non poteva giocare sporco in quel modo, era la seconda volta che accadeva. 
- Per essere una che mi 
odia, hai la tendenza a baciarmi troppo spesso: è già la seconda volta che succede. 
Quel sussurro mi fece rabbrividire, ma spalancai gli occhi e, imbarazzata, lo allontanai; evitai di mandarlo a quel paese e di urlare, ma raccolsi quel briciolo di dignità femminile mista a orgoglio che mi era rimasta e uscii dal bagno.

- Ma dove eravate finiti? - Il sorriso di Carla mi fece arrossire vergognosamente e avrei voluto prendere a pugni la faccia da coglione che mi sedeva accanto.
- Ero andato a controllare che Emily stesse bene; con l'influenza che s'è presa di recente, bisogna stare attenti a una ricaduta.
Assottigliai lo sguardo. - E ce l'avrei avuta in bagno?
- Magari ti serviva una mano per vomitare o un appoggio per lavare le mani.
Quell'ultima parte, per fortuna, la sussurrò, perché se l'avessero sentita anche gli altri due l'avrei sul serio eliminato dalla faccia del pianeta. Avevo provato a giudicarlo in modo diverso, a farmelo piacere caratterialmente, perché era chiaro che mi attraesse in un altro senso, ma era più forte di me: quel ragazzo era troppo insopportabile per poterci andare d'accordo. 
Il resto del pranzo trascorse come mi ero immaginata, con Pietro che continuava a stuzzicarmi con battute velate sui nostri due baci non dati, con Carla e Maurizio che non la smettevano di parlare delle spose e del trio che le avrebbe soddisfatte: avevano in mente tante cose per il locale e l'agenzia. Ogni tanto l'idiota si intrometteva proponendo qualcosa o dichiarandosi in disaccordo, io mi limitavo ad annuire, chiedendomi quando sarebbe finito quello strazio.

 

- E' stato davvero piacevole trascorrere queste ore in vostra compagnia. - Maurizio baciò la mano destra di Carla e fece un mezzo sorriso a me che rabbrividii a quel gesto: non mi piaceva quell'uomo, mi sapeva di viscido e subdolo. 
L'odore di mare mi investì non appena raggiungemmo il parcheggio, così come la voce di Pietro.
- Stai già andando via?
- No, pensavo di rubare una macchina e giocare agli autoscontri qui dentro.
Rise, sbilanciando il busto e la testa all'indietro – Sei davvero divertente, oggi. - Si appoggiò allo sportello dell'auto ignorando il mio invito a sparire e incrociò le braccia al petto – Avevo una proposta da farti.
- Oh, anche io. - Sorrisi sarcastica e continuai – Perché non vai a...
- Shh, finiresti per essere monotona e ripetitiva. Io invece voglio proporti un armistizio. 
Tolsi l'indice che aveva posato sulle mie labbra per zittirmi e lo guardai con odio – Per favore, te lo chiedo ancora una volta da quando ci conosciamo: puoi lasciarmi in pace?
- No che non posso Emily. - Sputò quella frase come se gli costasse fatica. Fece un passo, avvicinandosi ancora di più. - Puoi tu, invece, ascoltarmi e venire con me?
- Venire dove? 
- Biondina curiosa. – Mi fece l'occhiolino e sospirai rassegnata. - Signora Carla, mi scuso per averla fatta aspettare, ma può andarsene.
- Posso andare?
- Può andare?
Io e Carla lo chiedemmo nello stesso momento e con lo stesso tono sorpreso, perché se lei fosse andata via, io come sarei tornata a casa?
- Certo, accompagnerò io Emily. Scusi ancora.
Non ebbi il tempo di ribattere o parlare con Carla, perché Pietro legò la sua mano alla mia e mi trascinò lontano dall'auto. Era caldo e sicuro, arrossii quando mi resi conto che neanche dopo cinque minuti aveva lasciato la mia mano, anzi, ne lisciava il dorso con il pollice come se fossimo una coppia innamorata. Avrei dovuto spostarmi, dirgli di lasciarmi andare in quel momento e per sempre, ma non ci riuscivo; perciò restai lì dov'ero in silenzio, a bearmi del suo tocco e dell'odore del mare che pian piano si faceva sempre più intenso.
- E' il bello di essere a Ostia: puoi decidere di passeggiare in spiaggia dopo un pranzo di lavoro con...
Il vento mi scompigliò i capelli e liberai la mano dalla sua per sistemarli dietro l'orecchio; si era interrotto mentre compivo quel gesto, perciò lo esortai a continuare quando finii, ma lui non rispose, o meglio, fece il vago e riprese a camminare.
- Aspetta, questi cosi mi danno fastidio. 
Mi fermai per togliere le scarpe visto che i tacchi affondavano nella sabbia e mi impedivano di camminare e in pochi secondi Pietro mi fu accanto e mi fece da appoggio. Lo ringraziai con lo sguardo e, quando mi sorrise sincero per poco non caddi per mancanza d'equilibrio: doveva smetterla di giocare sporco.
- Portavi l'apparecchio per i denti da piccolo?
- Questa domanda fa tanto “Porti le lenti a contatto?” di quel film con i vampiri turchini.
- Vampiri turchini? - Il mio tono stupito lo fece ridere e non potei fare a meno di notare che, quando rideva di gusto, comparivano due fossette agli angoli della bocca. 
- Quelli che brillano come le fate. Come si chiama il film? - Schioccò le dita più volte, come se quel gesto potesse fargli venire in mente il titolo.
Avevo capito e aveva ragione. Io avevo visto tutti i film per un matrimonio che avevo dovuto organizzare, quello che mi aveva portato dritta da lui: sorrisi al ricordo. - Non so il titolo, però ho capito di cosa parli.
Mi sorrise ancora e questa volta fui più furba e non lo guardai, tornando a concentrarmi sul mare che, stranamente, nonostante quel po' di vento, era piuttosto calmo. Amavo il mare e il potere che aveva di calmarmi: quand'ero piccola i miei genitori mi portavano sempre in montagna, perciò non avevo la possibilità di tuffarmi e giocare in acqua; ecco perché da quando vivevo a Roma, tutte le volte che potevo, mi rifugiavo in spiaggia a osservare le onde, ad ascoltarne il suono e a meditare.
- A che pensi?
Mi ero scordata di lui. – A niente.
- Bugia! Avevi uno sguardo malinconico e assorto: stavi cercando di immaginarmi nudo, come l'ultima volta?
Risi e lo spinsi con la spalla – Sei un'idiota, te l'ha mai detto nessuno?
- Tutti, almeno una volta al giorno. Prova a essere più originale.
Se avesse continuato a farmi quei mezzi sorrisi che mostravano i denti perfetti e il suo sguardo malizioso e troppo azzurro, gli sarei saltata addosso, gli avrei morso le labbra e strappato i capelli, in senso positivo.
- Ogni volta che ti faccio una domanda, tu non mi rispondi.
- Perché mi chiedi le cose sbagliate.
- Oppure sono argomenti scomodi.
Sbuffò – Era un apparecchietto insulso, di quelli mobili che serviva per correggere la posizione della lingua mentre parlavo, non i denti. Quelli li ho sempre avuti dritti e perfetti. - Guardai davanti a me, cercando di nascondere il mio sguardo. - Soddisfatta?
- Abbastanza. 
- Continuo a pensare che sia una domanda cretina, ma se ti interessava saperlo...
- Perché è impossibile avere dei denti così perfetti e bianchi.
- Ha parlato quella con le tette enormi: ognuno ha i propri pregi, io ne ho molti. Troppi. Ok, sono un pregio in persona.
Le sue parole erano state un'allucinazione perché nessun essere sano di mente avrebbe detto quello che avevo sentito; era così vanitoso da mettere i brividi. Nonostante tutto non riuscii a trattenere una risata, perché quella situazione era davvero comica e anche lui, dopo qualche secondo, si unì a me: mi piaceva quel momento, così rilassato e tranquillo; parlavamo e camminavamo senza litigare e cercavamo un confronto da persone civili. Ma il problema era: quanto sarebbe durato?

Mi strinsi nel cappottino e continuammo a camminare, ascoltando il silenzio che ci avvolgeva.
- Come mai hai deciso di accoppiare le persone? - Mi chiese, spezzando quella strana atmosfera. Mi fece sorridere però, perché io non “accoppiavo”. Come al solito non aveva capito.
- Non sei la persona adatta per fare questa domanda.
- Vuoi sapere perché faccio lo spogliarellista? - I suoi occhi si illuminarono, divenendo maliziosi; si voltò,camminando all'indietro come i gamberi e non smettendo di guardami. - Sei curiosa! - Mi stuzzicò ancora e dovetti cedere.
- Tu non lo saresti?
Il suo sguardo mi imbarazzò. - In realtà no, ma ne approfitterei. Vuoi sapere come?
- No, lo immagino.
- Posso mostrartelo se vuoi.
Mi bloccai, sbuffando – Non volevi un armistizio? Stava andando tutto bene quindi non stuzzicarmi. - Ripresi a camminare, sperando che capisse e che soddisfacesse la mia richiesta. 
- Mi dispiace per quello che è successo in bagno prima. - Mi fu di nuovo accanto, con le mani in tasca e lo sguardo basso. - Per quello che ho fatto, intendo.
- O non hai fatto. - Mi scappò prima che potessi accorgermene e mi tappai la bocca; dalla sua risata capii che mi aveva sentito.
- Lo so che avresti voluto baciarmi. - Lo fulminai. – Anche io volevo farlo.
Accantonai la sorpresa dovuta a quella rivelazione e gli risposi – Smettila di prendermi in giro, lo fai fin troppo spesso. 
- Ero serio. Volevo baciarti in macchina quella sera e a casa tua, quando stavi male. 
Stava sicuramente scherzando e quella era una trappola per sedurmi e abbandonarmi: io non volevo essere un pezzo di una sua collezione, una delle tante che lui si portava a letto, perché per lui era facile sceglierne una e TAN scrivere il nome sulla lista; ero convinta che si stesse comportando in quel modo perché lo incuriosivo, perché lo respingevo, perché non ero come le altre. 
Lo spinsi – Smettila. - Un'altra volta. - Smettila di prendermi in giro. – Ancora una. – E confondermi. 
Quando lo feci di nuovo mi bloccò le mani e, nell'impatto, perse l'equilibrio cadendo all'indietro e trascinando me su di lui: era una situazione imbarazzante ma piacevole. Lo guardai negli occhi, sempre maliziosi e divertiti e sospirai, dandogli del cretino, perché la colpa era sua se eravamo caduti e se c'eravamo sporcati; ma lui non si scompose, anzi rise, affondando la testa nella sabbia. Quando provai ad alzarmi, facendo peso sul suo petto troppo muscoloso, mi trattenne portando un braccio dietro la mia schiena e tenendo ben saldi i miei polsi nell'altra sua mano: ero in trappola.
- Sta' buona. 
- Lasciami andare.
- Assolutamente no. – Strinse la presa ancora di più – Ascoltami bene: tu hai un problema di fiducia, l'ho capito ma, ti assicuro che non voglio farti del male, che vantaggio ne avrei?
Smisi di ribellarmi – Sii sincero. - Se eravamo in ballo, tanto valeva ballare. – Cosa vuoi, davvero, da me?
Non mi rispose, ma lessi nel suo sguardo qualcosa di nuovo, l'ironia e la malizia erano scomparse, il solito azzurro era diventato più intenso; non so quando accadde di preciso, ma mi accorsi troppo tardi che mi aveva baciata, quando sentii le sue labbra premere sulle mie e il mio cuore andare giù fino allo stomaco. 
Chiusi gli occhi e, sperando non fosse uno scherzo come quello di prima, mi lasciai andare approfondendo quel bacio: dischiusi la bocca il giusto per sentire la sua lingua tracciare il profilo del mio labbro superiore.
Mi accesi come una miccia.
Liberai le mia mani dalla sua stretta e le poggiai sul suo viso, sfiorando le sue guance e giocando con le sue orecchie; la sua mano sinistra poggiava sulla mia schiena e mi spingeva sempre più verso lui. Il mio stomaco si era svuotato e il mio cervello aveva smesso di funzionare: in quel momento esisteva solo il suo corpo caldo sotto di me, le sue labbra morbide e carnose, la sua lingua danzante e le sue mani curiose e, se tutto il resto fosse sparito, non me ne sarei accorta e forse non mi sarebbe fregato nulla, avevo lui e mi bastava.
Appoggiò la fronte al mio mento quando ci staccammo per riprendere fiato, solo allora riaprii gli occhi, con molta calma, e mi accorsi che non ero più sdraiata su di lui, ma seduta e con le gambe incrociate al suo bacino: quando avevamo cambiato posizione?
Mi venne da ridere: com'era possibile che avessi dato il bacio migliore della mia vita alla persona che più odiavo in quel periodo?
Un brivido di freddo mi scosse, stavamo lì, fermi e ancora appiccicati a cercare di calmare i nostri battiti e regolarizzare il respiro; personalmente avevo paura di muovermi e parlare, non volevo tornare alla realtà o affrontarla perché mi imbarazzava e mi spaventava sapere come avrebbe reagito lui; come mi avrebbe trattata mi paralizzava a tal punto da farmi rimanere lì ferma e immobile.
- Forse è meglio andare, comincia a fare freddo.
Non gli risposi e, senza neanche guardarlo, mi staccai da lui, alzandomi e pulendo dai vestiti la sabbia che vi si era attaccata, mentre si metteva in piedi anche lui; quel silenzio era troppo imbarazzante, prima o poi uno dei due avrebbe dovuto dire o fare qualcosa per migliorare il momento. 
Il tragitto del ritorno, per fortuna, fu più breve, ma il meglio doveva ancora venire visto che doveva accompagnarmi a casa ed eravamo molto lontani: avrei affrontato il viaggio in macchina più imbarazzante, silenzioso, brutto, inopportuno e chi ne ha più ne metta, della mia vita.
- Che fai? - Si voltò, notando che non ero accanto a lui, ma mi ero seduta su una panchina per scrollare la sabbia dai piedi e mettere le scarpe. Le avrei rovinate all'interno ma non potevo certo camminare sul cemento a piedi nudi. - Aspetta.
- Ma che…
Si avvicinò e, con un braccio sotto le ginocchia e l'altro dietro la schiena, mi sollevò dalla panchina portandomi fino alla sua auto non molto distante.
– Prego Madame. – Disse, facendomi l'occhiolino. - La carrozza la sta aspettando.
Mi fece ridere – Sei proprio un cretino.
Mise in moto e partì in prima – Oh, la signorina Emily ha ricominciato a parlare; credevo avesse perso la lingua su quella spiaggia anzi, credevo d'averla mangiata io. Stavo iniziando a sentirmi in colpa...
Lo colpii al braccio, cercando di nascondere il mio imbarazzo – Chi sei tu e che cosa ne hai fatto di Ger... Pietro? Non dovevi baciarmi, non dovevi prendermi in braccio. Tu non dovresti trattarmi così. - Gesticolai per sottolineare meglio quell'ultimo concetto. - Noi due, insieme, non funzioniamo quindi non dovremmo neanche provarci. 
- Puoi calmarti e mettere la cintura di sicurezza? Non vorrei prendere una multa.
Lo colpii di nuovo. - Mi stai ascoltando?
- Sì Emily e tu non sei la mia ragazza. E' stato un bacio come un altro, smettila di farne un dramma. Neanche t'avessi messo incinta.
Lo sapevo che sarebbe finita così.
Mi sedetti composta, osservando la strada dal finestrino com'ero solita fare; non lo guardai più né gli rivolsi parola, fin quando fu lui stesso a parlarmi, quando riconobbi i quartieri vicino casa: stavamo arrivando, per fortuna.
- Mi dispiace. - Indifferenza. - Non volevo risponderti in quel modo.
- Puoi anche accostare qui.
- Ma manca un bel po' prima di arrivare.
- La faccio a piedi.
- Emily ascolta...
- No ascoltami tu – Lo fulminai con lo sguardo, puntandogli l'indice contro – Mi hai detto di fidarmi, che non mi avresti fatto del male, solo per baciarmi? Complimenti, sei come tutti gli altri. - Respirai per calmarmi, perché se avessi perso la concentrazione avrei iniziato a piangere davanti a lui e non volevo. - Hai ragione: ho grandi problemi di fiducia e non mi aspetto di certo che sia tu a risolvermeli, che lo pago a fare il Dottor Rossi altrimenti?
- Chi?
– Sta' zitto. - Forse era meglio restare sul punto e non dilungarmi - Adesso hai ottenuto quello che volevi, ma sappi che è finita qui: scordati il mio nome, se non per fini puramente lavorativi. Adesso ferma la macchina perché non ho intenzione di respirare la tua stessa schifosa aria.
Provò a parlarmi e farmi ragionare, ma, prima che quella diventasse una tipica scena da tragedia napoletana, riuscii a convincerlo e accostò a due incroci da casa mia. Per fortuna era ancora giorno e arrivai a casa sana e salva senza che nessuno avesse cercato di rapirmi o fare del male viste le mie condizioni: ero vestita fin troppo bene,ma avevo camminato a piedi nudi.
Che schifo; quel verme me l'avrebbe pagata.





- Vi siete baciati?
Annuii.
- Non ti ha lasciata a casa?
Negai. Ormai quelle due facevano le stesse domande, insieme: mi preoccupavano.
- Non vi siete più sentiti?
Parlò solo Giulia, guadagnandosi le occhiatacce da parte mia e di Mina. Quest'ultima poi decise che doveva dire la sua. 
- Lei ha tutte le buone ragioni per non farlo e, a parer mio, hai fatto bene a comportarti in quel modo: è stato un grandissimo stronzo.
- Ma non ha fatto nulla.
- Giulia dicci la verità: ti ha pagata per difenderlo?
Forse avrei fatto meglio a non dire nulla alle mie amiche, dato che iniziarono a battibeccare su quella situazione, su chi avesse ragione, su chi avesse esagerato, su lui che era stronzo e io pazza e, poi scoppiai. 
- Ragazze basta, mi è venuto il mal di testa. - Mi accasciai sulla scrivania – La colpa è solo mia perché mi sono fidata per quell'istante, lui ha ragione e in fondo non ha fatto nulla: non mi ha promesso le stelle, non ha detto di amarmi e mi ha tradita con la prima che passava. E' stato un bacio come gli altri, devo andare avanti.
Un bacio che non riuscivo a dimenticare, un bacio che aveva lasciato il segno e mi aveva stravolto completamente. Sentivo ancora bruciare le labbra e avevo lo stomaco in subbuglio al sol pensiero; com'era possibile che fossi stata solo io a provare quelle emozioni? Avevo ancora ben impresse le sue parole ma non riuscivo a farmene una ragione: non ero pazza, non potevo essere l'unica ad aver avuto la sensazione di sentire il cuore scoppiare durante quel bacio.
Era lui il bugiardo.
- Maledizione. – Sbottai, lanciando i fogli sulla scrivania. Non riuscivo a lavorare con tutti quei pensieri per la testa; neanche dopo due giorni riuscivo a smettere di togliermi quell'immagine dalla mente, quei discorsi, quel suo sorriso e quello sguardo mentre mi liquidava in pochi secondi. 
- Emily, sei pronta? 
Carla entrò nell'ufficio con il cappotto sul braccio e la borsa nell'altra mano, non ricordavo avessi un appuntamento. 
- Per fare cosa, esattamente?
- Dobbiamo andare in quel locale, il Night qualcosa...
Quante probabilità c'erano, in quell'istante, di essere colpita in testa da un incudine? Probabilmente erano maggiori rispetto a quelle di non incontrare Vermetro* al locale. Mi alzai controvoglia e la seguii, testa bassa e sguardo funereo, salii sulla sua auto, quella che mi avrebbe condotto al patibolo.
Lo capii solo dopo: io non avevo nulla da temere, era lui ad aver sbagliato ed era lui che avrebbe pagato. Presi coraggio e, non appena Carla parcheggiò, scesi a testa alta, pronta ad affrontare quello che sarebbe stato un incontro di lavoro coi fiocchi e i botti.






******


* Vermetro: Verme + Pietro. Devo dire che mi diverto tantissimo a inventare soprannomi per lui. Questo è quello più riuscito. LOL

Sventolo bandiere bianche e multicolor; quelle bianche perché so che dopo questa lite/discussione mi vorrete uccidere ma ABBIATE FIDUCIA, Vermetro si farà perdonare (lo spero per lui). Quelle multicolor perché durante il bacio e prima li shippavo che era una meraviglia e non dovrei. *me si frustra *
Eravate tutte curiose di sapere cosa succedeva durante questo fatidico pranzo e TA DAN non è successo nulla di particolare, cioè sì, Pietro ha fatto lo stronzo facendo credere a Emily, in bagno, di stare per baciarla; non so perché l'ha fatto, credo fosse un test ma forse neanche quello. Io non capisco questo ragazzo/personaggio perché sta prendendo una piega tutta sua, sta andando per i fatti suoi e si sta scrivendo da solo. Io avevo altri progetti per lui e per questo capitolo ma nessuno dei due me l'ha permesso, erano lì che urlavano: BACIO, BACIO. VOGLIAMO BACIARCI. Ed è dovuto succedere. XD
La scena successiva, quando hanno quella piccola discussione (che mi sa tanto di tragedia napoletana) non so a cosa sia dovuta, non credo che Emily se ne sia pentita – perché lo si capisce che ci pensa ancora – credo invece abbia paura e che sia arrabbiata con se stessa per essersi fidata o forse per aver giudicato male Pietro o ancora per non aver capito come è fatto questo ragazzo. E' confusa e arrabbiata.
Mentre lui non è contento di sentirsi accusare di continuo – penso – perché non credo sia così stronzo da fare il carino con lei solo per un misero bacetto.
Sì, penso che entrambi ci stiano nascondendo qualcosa.


Ringrazio tutte coloro che hanno recensito la scorsa volta e chi continua ad aggiungere la storia tra le varie categorie: grazie tanterrimo, mi fate gongolare tanto. <3 :3
Grazie, ovviamente, a
Ellina e al suo tocco rosa.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo
facebook e del mio canale youtube.
Grazie ancora e che la panna sia con voi.
Alla prossima.



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Capitolo 12
*** DODICI ***



NEL CAPITOLO PRECEDENTE:

Emily scopre che la sua agenzia ha stretto un accordo con il Ladies Night e si reca a pranzo, insieme a Carla, per incontrare Maurizio, il proprietario del locale e discutere di alcuni punti del contratto. Lì incontra anche Pietro e, dopo i primi momenti come al solito molto disastrosi, i due vanno a passeggiare in spiaggia, riuscendo a parlare in modo tranquillo, senza litigare; a quel punto si baciano in modo molto passionale.
Quel bacio manda in confusione Emily e, in macchina, aggredisce Pietro accusandolo di cose assurde.
Da adesso in poi i due dovranno collaborare a stretto contatto ed Emily si sente imbarazzata per quello che è successo anche se spera e crede di riuscire a mettere una pietra sopra a quello che è successo a Ostia.



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Dodici.



- Questo mettetelo qui. STATE ATTENTI. 
Due settimane e stavo sul serio rischiando di impazzire; non era facile mantenere la facciata del “ti ignoro, sono superiore e non mi interessa nulla di quello che è successo al mare”, soprattutto se trascorrevo ore e ore con lui, quasi ogni giorno. 
Al mattino, in ufficio, controllavo i preparativi dei matrimoni; nel pomeriggio mi destreggiavo tra i vari sopralluoghi o appuntamenti con le spose; la sera avevo le riunioni con lo staff del Ladies Night oppure accompagnavo le spose degli addii al nubilato. Ero così stanca che avrei pagato oro per un giorno di riposo.
Stavo preparando un matrimonio dell'ultimo momento: una coppia aveva deciso di sposarsi perché lei era in dolce attesa e non aveva il tempo o le idee per organizzarlo, perciò mi ero trovata a chiamare milioni di chiese e ristoranti alla ricerca di quelli disponibili nel giorno stabilito e convincere il prete a fare un corso pre-matrimoniale molto accelerato. Sarei morta d'infarto alla fine del ricevimento.
Non mettevo piede in casa da diciotto ore circa, non avevo fatto la lavatrice e non pulivo da non sapevo neanche io quanto tempo: avevo bisogno di una vacanza.
- Dove cavolo è il tuo cellulare?
Ecco come la mia giornata, su una scala da uno a infinito, era peggiorata infinito al quadrato.
- Che ci fai qui?
- Ti stavo cercando e, visto che non mi rispondevi a telefono, sono venuto a parlarti di persona.
Lo sorpassai, raggiungendo il fioraio che era appena arrivato. - Sto lavorando e tu mi disturbi.
- Sarò breve.
- Buongiorno signor Manfredi.
- Ciao Emily, è un piacere vederti. - Il sorriso di quell'uomo mi rilassò per qualche istante: avevo sempre visto in lui una figura paterna, quasi fosse il nonno che era venuto a mancare quand'ero piccola. - Dove devo mettere questi vasi?
- I vasi grandi vanno vicino alle colonne, quelli medi ai lati del tavolo degli sposi e una composizione su ogni tavolo. 
Gli operai del signor Manfredi seguirono le istruzioni sotto il suo sguardo vigile, mentre io mi occupavo della mia piaga personale; era appoggiato al muro, con la gamba piegata e le braccia incrociate al petto.
- Sei brava. – Disse, mentre mi avvicinai. - Hai quell'atteggiamento da “fai quello che ti dico perché sono migliore di te” che, non so, ti fa brillare gli occhi.
Mi trattenni dal sbattergli la cartelletta in testa – Vorresti dire che ho la tendenza a comandare gli altri?
- L'hai detto tu. - Mi sorrise strafottente.
- Dimmi perché sei qui e facciamo la finita, così te ne vai. - Si rimise in piedi composto. - E comunque io non penso di essere migliore degli altri.
Mi diede una pacca sulla spalla – Certo. Maurizio mi ha detto di dirti che per questa settimana le riunioni sono annullate.
- Perché? È successo qualcosa? - Non lo conoscevo da molto, ma ormai avevo imparato alcune sue espressioni – Cosa mi stai nascondendo?
- Niente. Abbiamo dei problemi interni e quindi dobbiamo rallentare.
- Vuol dire che sono sospesi anche gli incontri con le spose? - Mi prese il panico.
- No. O almeno credo. 
Mi mancò il respiro per qualche istante: come lo avrei detto a Carla? In quelle settimane avevamo puntato tutto sulla novità degli addii al nubilato e in effetti gli affari erano migliorati tantissimo; cercai di calmarmi per non perdere il controllo, ero pur sempre a lavoro e la futura sposa sarebbe arrivata da un momento all'altro per controllare che tutto fosse a posto. 
- Emily rilassati, andrà tutto bene. 
- Risolvete questi problemi il più presto possibile, perché se tu e i tuoi cari amici mandate in rovina la mia società, ti faccio pentire di avermi rivolto parola, quel giorno, al locale.
Minacciarlo mi metteva sempre di buon umore.
Borbottò qualcosa, ma non lo capii visto che mi ero allontanata per raggiungere il signor Manfredi e ringraziarlo per il lavoro ben svolto; un urlo, proprio nel momento in cui guardavo il risultato fino a quel momento raggiunto, mi fece sobbalzare. Era arrivata la sposa e stava parlando con Gerem... Pietro.
Quell'idiota avrebbe rovinato tutto.
Li vidi avvicinarsi a me in fretta e lei aveva un sorriso strano stampato in viso.
- Grazie, grazie, grazie.
Quando mi abbracciò, capii che era fuori di testa. - Di cosa? - Le risposi, allontanandola come se avesse il tifo. 
- Per questa sorpresa, non sapevo fosse compreso nel pacchetto.
- Non capisco. - GerPietro ricambiava il mio sguardo confuso e solo allora mi accorsi che Lucia, la sposa, lo teneva per il polso.
- Lui. Electric Fire è il mio regalo. Grazie.
- Oh. - Lei aveva capito  minchie per lanterne.* - No, guarda che...
- Non dovevi scoprirlo così, doveva essere una sorpresa. - L'idiota si intromise, facendo credere a quella donna che in serata avrebbe avuto uno spettacolo molto privato con Mr. Electric Fire. - Adesso dovresti lasciarmi, così vado a prepararmi.
Lucia urlò di nuovo e, quando mi abbracciò, ringraziandomi ancora, fulminai con lo sguardo il cretino che mi aveva messo in quel casino: come avrei fatto?
- Aspetta. – Gli corsi dietro. – Dimmi un po', grande genio, come faccio adesso?
- A fare cosa?
- Quella pensa che questa sera ti metterà le mani addosso. - Sputai la frase con rabbia, non lo sopportavo più.
- Lo so. Ti serve un passaggio a casa?
- Non cambiare discorso.
Richiuse lo sportello con un gesto deciso e si voltò a guardarmi un po' arrabbiato – Devi smetterla di farti prendere dal panico e di aggredirmi: questa sera avrete il vostro spettacolo.
Lo bloccai prima che potesse salire in macchina – Sì ma lei non lo ha chiesto, nessuno lo ha pagato. Come...
- Emily: rilassati, cazzo. 
Questa volta l'istinto riuscì a prevalere, lo spinsi così forte da fargli sbattere la schiena contro l'auto, ero fuori di me. - Non dirmi cosa devo o non devo fare. Mi hai stufata con le tue battutine o sorrisini e non permetterti più a rispondermi male.
Con un passo indietro mi allontanai, ristabilendo la giusta distanza.
- Sei violenta ultimamente, è successo qualcosa in particolare?
- Vaffanculo.
Perché perdevo tempo con lui quando avevo ben altro a cui pensare? Vidi Lucia vicina al tavolo degli sposi muoversi con fare sospetto e accelerai il passo per avvicinarmi e chiederle cosa avesse intenzione di fare; l'avrei raggiunta se solo lamiapiaga, perché sapevo fosse lui, non mi avesse fermata, prendendomi per il polso e facendomi girare bruscamente verso lui. 
- Violenta e maleducata.
- Non costringermi a farti la stessa solita domanda. Ormai mi sembra di vivere in un film: la smetti di assillarmi? Lasciami in pace, ti prego. Ho bisogno di vivere la mia vita senza che tu mi stia intorno, puoi farmi questo favore?
Ero patetica, lo ero stata più volte, ma lui non ne voleva sapere e più gli supplicavo di lasciarmi in pace più mi ronzava intorno come una mosca fastidiosa: avrei voluto avere un grosso insetticida. 
- No. - Scrollò le spalle – Più che altro vorrei baciarti in questo momento.
- Oh ma per favore... - Cercai di liberarmi dalla sua stretta – Vorresti baciarmi per poi trattarmi di nuovo male? Che razza di cervello hai.
- Ti tratto male? Se non mi avessi aggredito in quel modo sarebbe andato tutto bene.
- Bene in che senso? - Litigare era diventato così normale per noi – Nel senso che mi avresti portata a letto e avresti tagliato il mio nome dalla tua lista? Certo, ho scombinato il tuo piano... oh come mi dispiace.
- Piano? Lista? Guardi troppi film Emily e stai sempre sulla difensiva: non volevo dirti quelle cose in macchina, avrei voluto accompagnarti a casa e baciarti ancora, fine della storia; ma tu non me l'hai permesso.
La stretta sul mio polso si fece più forte e una smorfia di dolore si dipinse sul mio viso; mi lasciò andare quando se ne accorse. Lo massaggiai per cercare di non pensarci e per non guardare i suoi occhi di un azzurro troppo intenso e arrabbiato per sostenerlo.
- Scusa. - Scrollai le spalle – Perché mi hai detto quelle cose? Perché pensi che io non possa baciarti o essere gentile con te?
- Ho da fare Pietro, non è tempo e luogo per parlarne.
Sembrava la quiete dopo la tempesta, avevamo quasi urlato per circa cinque minuti, ci eravamo fatti del male perché eravamo troppo stupidi per guardarci negli occhi e dirci la verità e adesso stavamo in silenzio a guardare per terra. Quel silenzio mi faceva paura.
- Se non ne parliamo adesso, non ne parleremo mai più. 
Ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi. – Vuol dire che non c'è nulla di cui parlare. 
- D'accordo come vuoi. Ti faccio sapere per questa sera. 
Sapevo di aver fatto la più grossa cazzata di tutta la mia vita, ma non ero pronta per affrontare quel discorso,soprattutto perché non sapevo cosa avrei dovuto dire.


Avevo raggiunto le mie amiche all'ora di pranzo, non appena finito di lavorare.
- Io ho un'idea
, ma so già che me la boccerai. - Giulia posò il menù sul tavolo e mi guardò seria.
- Dimmi pure Giù
. – Le risposi, leggendo ancora tra i piatti di pasta che offriva il ristorante.
- Dovresti dargli una possibilità, dirgli che baciarlo ti è piaciuto. Provare a parlargli
, dicendogli che potete provare a stare insieme o avere una specie di storia.
La guardai scettica dal menu
. – Se è uno scherzo, non mi diverte. 
- Non è una brutta idea. Magari lui ti sta così addosso perché vuole essere il tuo amico speciale.
- Già, il tuo amico di letto.
Odiavo il 
loro modo di scherzare, quando il soggetto delle loro risa ero io. 
- Mettiamo in chiaro una cosa: non. voglio. stare. con. lui. 
- Ma perché? - Giulia mi sembrò disperata – Che ti ha fatto questo povero ragazzo per meritarsi il tuo disprezzo?
- Lui... - Ci pensai e mi accorsi che non lo sapevo – In realtà ho paura di molte cose. Non voglio che mi prenda in giro, che mi porti a letto e mi scarichi un'ora dopo o che mi usi per qualche divertimento personale. 
- Fallo tu. - Mina si sbracciò per chiamare il cameriere – Approfitta di lui e del suo bel corpicino succulento.
- Ma non hai mai visto i film romantici? Poi va a finire male: lui lo scopre e sono guai per la lei.
- Sì ma poi, dopo aver litigato, si mettono insieme. Mal che vada ti innamori.
Rabbrividii alle parole di Mina – 
Ma anche no. Ragazze siate serie, non ho tempo e voglia di stare dietro a un ragazzo, soprattutto lui.
Giulia mi guardò maliziosa – Io dico che una sana scopata ti farebbe bene. Solo una e se non ti piace non ti fai più vedere.
- Giulia ha ragione, ne avete bisogno entrambi
: vi mangiate con lo sguardo! Una volta sola e, tolto lo sfizio, ognuno se ne va per la propria strada.
Le guardavo allibite. - Io non le faccio queste cose, non vado a letto con uno solo per togliermi lo sfizio o per accontentarlo.
Fummo interrotte dall'arrivo delle nostre ordinazioni: il cameriere era stato stranamente veloce o forse eravamo noi a essere troppo prese dal discorso. Mina cercò di cacciarlo per continuare a parlare.
- Senti, qui non si tratta di ciò che è giusto o sbagliato o quello che di solito si fa ma: ne hai bisogno Ems.
Giulia annuì
, mentre gustava la sua carne. – Esatto. Non saresti una poco di buono, vai tranquilla.
Non era una questione d'essere giudicata come una poco di buono, io non volevo andare con lui per qualche blocco mentale-personale; se avessi ceduto, gli avrei dato quello che voleva fin dal primo momento e poi cosa mi sarebbe rimasto? Solo il ricordo di una notte e, per quanto mi allettasse l'idea di divertirmi con lui, avevo sempre una dignità femminile che mi impediva di lasciarmi andare per paura d'essere abbandonata ancora una volta.
- Potrei uscire con Mario.
- Chi cavolo è Mario?! - Mina mi guardò male.
- L'avvocato del piano di sotto
. – Le spiegò Giulia. – È carino, ma di un noioso da far arrivare il latte alle ginocchia.
Mina mi tirò un pezzo di pane in faccia – Niente Mario. Scoperai con GerPietro, il caso è chiuso.
Amavo stare con loro e apprezzavo il loro dare consigli
, ma a volte perdevano il senso della realtà; non avrei fatto una cosa del genere, non mi sarei mai abbassata a quel livello, avevo bisogno di altro, certezze e stabilitàPietro mi ispirava tutto tranne che fiducia, ma, come aveva detto Giulia una volta, avrei potuto lasciarmi andare con il tempo:forse e se ne avessi avuto voglia e coraggio, l'avrei fatto. 



Neanche un'ora e già mi dolevano i piedi: maledette scarpe. Odiavo il mio lavoro soprattutto perché, durante le cerimonie, mi toccava indossare abiti eleganti e di conseguenza tacchi, accessori, orecchini e roba che non faceva per me; io preferivo di gran lunga un paio di jeans o una tuta.
Da lontano osservavo il risultato del duro lavoro di quella settimana e ne ero soddisfatta: era tutto perfetto, esattamente come avevo chiesto.
- È  così che ti vesti quando lavori? 
Era, avevo pensato benissimo. Mi voltai e lo vidi in tutto il suo splendore. Indossava uno smoking nero con camicia bianca e tanto di papillon e mi chiesi se fosse la sua divisa o se si fosse vestito in quel modo per il matrimonio; feci, comunque, finta di nulla e lo ignorai, dandogli le spalle e parlando con la mia collega attraverso l'auricolare.
- Melania, cosa sta succedendo lì? - Vidi qualcosa di strano in lontananza, ma fui subito tranquillizzata, perciò mi dedicai alla mia palla al piede. - Dimmi tutto. 
– Dovrei venire a trovarti più spesso. - La sua radiografia mi indispose – Dove lo facciamo?
Lo guardai stralunata. – Ma di che parli?
- Dello spogliarello. È già arrivata la sposa? - Mi passò avanti sorridendo malizioso. – Stai sempre a pensare male, che ragazzaccia!
Idiota. – La sposa è dentro, con le damigelle; la voce si è sparsa subito. 
Il suo sguardo felice ed eccitato mi fece innervosire ancora di più: per quale assurdo motivo trovava divertente spogliarsi e farsi toccare da estranee? Era contento di sapere che altre donne, oltre a Lucia, lo attendessero in quella stanza affamate e vogliose di spogliarlo con le loro stesse mani. 
Dovevo smetterla di pensare o avrei ucciso tutti quel giorno.
- Non mi accompagni? - Me lo chiese prima di entrare nell'enorme hall della villa e mi sorrise complice, strizzandomi l'occhio. Non seppi resistere: sbuffai e dopo qualche passo fui accanto a lui. 
- Rimarrai durante lo spettacolo? 
Negai. – Ho da lavorare.
Si fermò prima di abbassare la maniglia e lanciarsi in pasto alle belve feroci. – Mi devi presentare e non puoi lasciarmi da solo: ho bisogno che qualcuno le tenga calme.
- Dovrei farti da guardia del corpo?
Sorrise malefico e, prendendomi per il polso, aprì la porta, coinvolgendomi in quella che sarebbe stata la fine della mia vita o l'inizio della mia rovina.

Le ragazze erano sedute. Più o meno, perché si muovevano irrequiete su loro stesse continuando a borbottare eccitate; Pietro si sarebbe esibito di fronte e vicino a loro, su nessun palco, facendosi toccare e infilare i soldi dovunque fosse stato possibile. Mi prese in disparte, prima di entrare in scena, e in quel momento mi accorsi del suo cambio d'abito: indossava una divisa da vigile del fuoco. Cliché. Anche se, dovendo essere sincera, era molto sexy e non riuscivo a togliergli gli occhi da dosso neanche quando iniziò a parlare nervoso. Non capivo cosa lo innervosisse così tanto al punto da torturarsi i capelli in quel modo o volermi dentro con lui, non era mica il suo primo spettacolo.
- Hai capito quello che devi dire? - Lo guardai allarmata e sbuffò – Ascolta bene: Per favore non...
- Non vi è permesso toccare più del dovuto. - Mi sentivo una scema nel dire quelle cose ma Pietro era stato abbastanza categorico. - Non potete saltargli addosso né spogliarlo con le vostre mani o lo spettacolo verrà interrotto e sarete voi stesse a risarcirlo. - Questa era stata una mia idea, dell'ultimo momento. - Buon divertimento.
Urlarono felici e mi sedetti in un angolino, appiccicata al muro in modo da non partecipare a quello scempio; le luci si spensero e restarono accese solo le lampade da terra che davano un'atmosfera più intima. Pietro apparve dopo le prime note di una canzone da discoteca mai sentita fino a quel momento. 
Batteva il piede a tempo, muovendo i fianchi ritmicamente e tenendo la testa bassa; solo quando iniziarono le parole della canzone alzò il viso, puntando i suoi occhi verso la piccola folla urlante e sorridendo malizioso, giocando con la cerniera della divisa e con il casco giallo, che tolse del tutto e mise in testa alla sposa. Fece un balzo indietro giusto in tempo per non essere sequestrato dalle mani abili della donna. 
Continuò a muoversi sensuale per il resto della canzone, togliendo lentamente la tuta, passando tra le sedie e strusciandosi su quelle ragazze che stavano perdendo, a poco a poco, la loro voce. 
Rimase a petto nudo con addosso solo i pantaloni della divisa; la canzone stava per finire perciò velocizzò tutto,avvicinandosi alla sposa e mettendosi a cavalcioni su di lei. Mi aveva detto che non ci sarebbero stati momenti troppo ravvicinati, che loro non potevano toccarlo o spogliarlo, eppure era lui stesso a cercarseli; un moto di rabbia mi travolse e, per un attimo, ebbi l'istinto di accendere la luce e interrompere tutto, ma quando le mani di Pietro tolsero dal proprio sedere quelle di Lucia e tornò in piedi, ripresi a respirare e mi calmai.
Non ero gelosa, mi attenevo alle regole.
Con un gesto secco tolse i pantaloni proprio nel momento in cui la canzone terminò, restando con un misero paio di parigamba* neri, troppo aderenti. Si inchinò come se fosse stato chissà quale attore o ballerino e sparì, lasciando la sposa, testimoni e amiche soddisfatte, urlanti e ancora eccitate.

Andarono tutte via e non potei fare almeno di ascoltare i loro commenti maliziosi su quello che avrebbero fatto a “l'uomo dagli addominali invitanti e dal culo d'oro”. Roteai gli occhi disperata perché quasi tutte erano fidanzate, sposate o giù di lì ma avrebbero volentieri tradito le loro metà con Pietro: ecco perché non aveva senso sposarsi o stare insieme a qualcuno.
Sospirai: sarei rimasta sola per sempre.
Sobbalzai quando mi sentii sfiorare la spalla e mi voltai – Ci hai messo un secolo, sei peggio di una femmina.
Assottigliò lo sguardo, abbassandosi alla mia altezza – E tu sei come quei bambini che offendono per difendersi. - Si rimise composto e mi regalò un sorriso – Andiamo? 
Dove saremmo dovuti andare, noi due, insieme? Io dovevo lavorare, lui, per quanto mi riguardava, poteva andarsene a casa o a farsi ammazzare. 
Mi alzai e lo seguii senza aggiungere mezza parola perché sapevo che se le avessi fatto avremmo litigato e dovevo impiegare tempo, forze ed energie nelle ore successive a dirigere e tenere sotto controllo la situazione.
Lucia stava finendo di prepararsi insieme alle amiche, mentre lo sposo si trovava dall'altro lato della villa a bere e festeggiare con i testimoni e non sapevo chi altro.
- Dove stiamo andando? 
Dovetti rispondergli per forza visto che me lo chiese quasi una decina di volte. - Faccio un giro per vedere se va tutto bene, tu puoi andare dove vuoi.
- No. - Si bloccò, facendo fermare anche me. - Io sono stato invitato e starò con te.
Era uno scherzo?
- Io devo lavorare.
- Ti aiuterò, te lo devo.

Non bastarono gli sguardi d'odio, le battute acide, il mio ignorarlo per farlo andare via o smettere di seguirmi e starmi tra i piedi. Continuava a parlare, sorridere alle mie colleghe perché, di sicuro, voleva portarsele a letto, e cercare di aiutarmi nel lavoro, non sapendo che in quel modo peggiorava la situazione; se dicevo a Melania di far servire poco vino al tavolo dei testimoni, lui portava dei bicchieri per brindare, dicendo che doveva risollevare il morale a tutti e di conseguenza, la situazione.
Lo avrei strozzato con le mie stesse mani.
Al ballo padre-figlia mi rilassai, sedendomi sulla prima sedia libera e cercando di muovere le dita all'interno di quelle maledette scarpe; le indossavo da così tanto tempo da temere che i piedi avessero preso la loro forma.
- Ecco a te. - La sua mano con un bicchiere di champagne spuntò dal nulla e io alzai lo sguardo, trovando il suo divertito. - Potrebbe farti stare meglio.
- Sto lavorando, non posso bere.
Me lo avvicinò ancora di più – Solo un sorso. Hai quasi finito.
Il più grande errore fu quello di guardarlo negli occhi, perché mi lasciai convincere da quello sguardo malizioso e sicuro di sé, da quell'azzurro così intenso da far invidia al mare di inverno. 
Presi il calice dalle sue mani e bevvi. 
- Mi piace il tuo lavoro. - Si mise a cavalcioni su una sedia di fronte a me, continuando a bere il contenuto del suo flûte.
- Perché ti piace? 
Ero davvero curiosa dato che io stessa lo odiavo, ogni tanto. 
- Non so, è interessante. Guarda come sorridono tutti, sono felici, non come quando vengono da me, qui lo sono davvero. Hanno una luce diversa negli occhi; forse la speranza che questo possa durare per sempre e che domani non sia un giorno come un altro e… – Tornò a guardarmi, facendomi rabbrividire. - E sei tu che realizzi tutto questo, senza neanche rendertene conto.
Per un momento, solo quello, avrei voluto baciarlo: i miei occhi erano incollati ai suoi che, come impazziti, si muovevano veloci prima a destra e poi a sinistra; c'era qualcosa che mi attirava a lui, una sorta di calamita che mi impediva di spostarmi o allontanarmi, come se il mio posto fosse quello.
Una voce stridula nel mio orecchio mi distolse dalla trance, sbattei le palpebre più volte per riprendermi e risposi a Melania che urlava disperata.
- Sto arrivando, aspettami lì.
- Hai bisogno di...
Lo interruppi prima che continuasse – No, stai pure qui è una sciocchezza. Non muoverti ok?
Non sapevo se quell'ordine derivasse dalla mia paura che lui potesse combinare qualche guaio o dalla voglia di trovarlo lì seduto ad aspettarmi e poter continuare quello che era stato interrotto ma, quando mi sorrise e annuì, mi rilassai e raggiunsi la mia collega.

- Grazie, è stato tutto perfetto.
Lucia, stretta a suo marito, mi guardava e ringraziava con gli occhi lucidi di chi aveva trascorso il giorno più bello della sua vita.
- Grazie a te per aver scelto noi e per avermi resa partecipe di tutto questo.
Carla diceva che dovevo mettere più enfasi in quella frase che ormai ripetevo da troppi anni, ma ormai la forza dell'abitudine e la mia poca stima nei confronti matrimoni mi facevano apparire annoiata. 
La guardai andare via ed esultai mentalmente: anche quella era fatta, adesso potevo andare a casa, togliermi le scarpe e farmi una bella dormita. 
Pietro non era più dove lo avevo lasciato e, dopo un primo momento di dispiacere, realizzai che fosse assolutamente normale: non mi avrebbe mai aspettata, era nella sua natura, non sarebbe mai rimasto lì seduto a riflettere sulle sue stesse parole o su quello che sarebbe potuto succedere, perché era Pietro e perché forse, era anche colpa mia, l'avevo trattato così tanto male da meritarmi quel comportamento.
Ero più bipolare di lui: prima lo allontanavo, poi lo cercavo, poi lo rifiutavo e poi lo desideravo ancora. 
Che diavolo potevo aspettarmi?
Di certo non mi sarei mai immaginata di trovarmelo seduto sul divano della sala interna della villa, con il mio cappotto e borsa in mano e un sorriso da far sciogliere i ghiacciai stampato in volto.
- Che ci fai qui?
- Ho visto che avevi finito perciò sono venuto a prendere le tue cose. Tieni. 
Mi aiutò a indossare il cappotto e non riuscii a dire nulla: tutto quello che facevo era guardarlo sconvolta. Chi era quel tipo così gentile e che ne aveva fatto del rude ragazzo che avevo conosciuto al Ladies?
- Ti serve un passaggio?
- Pietro. - Mi stupii di come suonasse strano chiamarlo con il suo vero nome eppure non era la prima volta che lo chiamavo, forse. - Ho seriamente paura di quello che potrebbe succedere.
- Non succederà niente che tu non voglia.
Con un cenno della testa indicò il posteggio e lo seguii.
- Il problema è questo: e se io lo volessi? Le cose si complicherebbero ancora di più: io non ti conosco, non facciamo altro che litigare e... 
Lo vidi, vidi l'esatto momento in cui la sua pazienza vacillò, vidi il momento in cui avrebbe voluto mandarmi a quel paese e odiarmi per tutta la vita; tuttavia si trattene, abbassandosi alla mia altezza e guardandomi negli occhi.
- Non farlo di nuovo: non rovinare qualcosa ancora prima che accada. 
E io la sentii, sentii la stessa sensazione di prima e la seguii: con un passo mi avvicinai a lui e lo baciai. La mia mano si posò sulla sua giacca nera e la strinse talmente forte che ebbi paura di sgualcirla; non si aspettava quel mio gesto, lo capii dalla sua reazione: aveva le braccia lungo il corpo e gli occhi spalancati, non avrei dovuto farlo, rovinavo sempre tutto.
Nel momento in cui stavo per allontanarmi e scusarmi, la sua mano si posò sulla mia schiena facendomi aderire al suo corpo statuario e mi scappò, senza volerlo, un mugolio di piacere per quel contatto così irruento e inaspettato tanto che lui sorrise sulle mie stesse labbra; approfittai di quel momento per stuzzicarlo e, come una vera maestra di seduzione, tracciai il contorno del suo labbro inferiore con la mia lingua, invitandolo ad approfondire il bacio, a risucchiarmi l'anima e non lasciarla andare mai più.
La sua mano sinistra si insinuò tra i miei capelli, stringendoli forte, come se avesse desiderato quel momento da troppo tempo; le nostre lingue stavano combattendo una guerra senza vincitori né vinti e le nostre labbra ballavano una danza nuova, ma comunque conosciuta. 
Quando ci staccammo, riaprii lentamente gli occhi, per paura che quel breve momento di pace e paradiso diventasse un lungo calvario verso l'inferno; il suo sguardo infuocato, azzurro, malizioso, troppo bello per essere reale, era puntato su di me, come un faro nella notte che aiuta le barche a tornare a casa.
Non disse niente, non ce ne fu bisogno, e io lo seguii lo stesso perché avevo bisogno di trovare la mia via.










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EMILY SET ABITI: QUI. (Aprire in un'altra scheda)
* il parigamba è un tipo di slip.
* Minchia per lanterne, significa: fischi per fiaschi.


Ciao, sono Alessia e se siete arrivate fino a qui, se mi avete aspettata allora VI MERITATE UN BACIO, UN ABBRACCIO EUN GERRI NUDO.
Come avete trascorso le vacanze? Avete mangiato, bevuto, ballato e tutto quello che c'era da fare? Oddio, io sì e adesso non so come tornare alla vita normale. PLEASE, SOMEONE HELP ME, PLEASE!
Ok, torno seria.
Ricordavate ancora cosa era successo nel capitolo precedente, spero di sì: per fortuna ho fatto un mini veloce riassunto prima di questo, per rinfrescarvi la memoria.
Ecco qui che i due, come al solito, dopo aver litigato... si avvicinano e... ZANZANZAN si baciano. Per la verità è Emily che bacia Pietro: PERCHE'? Me lo chiedo anche io, visto che non era programmato!
La ragazza è confusa ma si lascia influenzare, facilmente, dagli occhi azzurri del bel omaccione che si ritrova davanti, beh, lo farei anche io...
Non so che altro dirvi, è un capitolo molto importante questo perché si capiscono molte cose ed Emily, anche se non le dice apertamente, lascia dei segnali abbastanza chiari. Chi vuol capire, capisca. ;)
La vera domanda è: dove stanno andando e cosa succederà dopo?
Grazie infinite a tutte per avermi seguita fino ad adesso, per aver inserito la storia tra le varie categorie, per avermi recensita e sostenuta.
Grazie a
Ellina per lo splendido lavoro che fa con me, per la pazienza e per il suo bullizzarmi.
Grazie a Buba perché mi su/opporta.
Grazie a voi, ancora.

Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo
facebook e del mio canale youtube.

E, per chi se la fosse persa: LA ONE SHOT NATALIZIA.


UN SOGNO DI NATALE.


One Shot Natalizia tratta dalla long: The (he)art of the streap.
Pietro ed Emily si trovano in una situazione del tutto nuova per loro, quasi surreale e con loro c'è un nuovo, piccolo, personaggio.

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Capitolo 13
*** TREDICI ***




The (he)art of the streap VIDEO.

Tredici.

Il tetto era molto interessante, sì, molto. Ed era l'unica cosa che potevo guardare da quella posizione: avrei potuto chiudere gli occhi e dormire, ma non riuscivo a smettere di pensare a quello che era successo nelle ore precedenti. Avevo bisogno di uscire dalla stanza, bere e calmarmi. 
Spostai la sua mano grande e calda dalla mia pancia e lentamente scivolai lungo il materasso, cercando di fare meno rumore possibile. Quando misi i piedi a terra, esultai in silenzio e cercai qualcosa da mettere addosso per evitare di girare per casa in intimo: sulla poltrona riuscii a trovare una felpa, così la indossai mentre mi richiudevo la porta alle spalle.
- Lo sapevo che sarebbe successo prima o poi.
Mi morsi il labbro per non urlare e mi voltai spaventata: il coinquilino di Gerry, quello biondo che faceva l'idraulico con cui avevo litigato al locale e di cui, ovviamente, non ricordavo il nome, se ne stava in piedi di fronte a me, in mutande e tutto sorridente. 
Chiusi immediatamente la lampo della felpa nascondendo il mio corpo al suo sguardo troppo curioso.
- Dov'è la cucina?
Cercai di guardare ovunque tranne che il suo corpo scolpito e pieno di tatuaggi che, stranamente, risplendeva nella penombra neanche fosse un vampiro fasullo; cercavo di non fargli capire quanto fossi imbarazzata in quel momento:tra lo stare nudi e l'avermi scoperta fuori dalla camera del suo coinquilino, avrei voluto sotterrarmi. 
Senza rispondere, mi lasciò come una cretina lì dov'ero e andò verso la porta d'ingresso. Voltando a destra, lo seguii e trovai la cucina.
- Dove sono i bicchieri?
La sua occhiata mi gelò tanto che mi sedetti sullo sgabello e smisi di parlare, guardandolo mentre versava l'acqua e mi passava il bicchiere.
- Quindi, siete già arrivati a questo punto? - Lo ignorai, perché forse sarebbe stata la mossa più giusta, ma lui continuò, sedendosi accanto a me e sottoponendomi a un imbarazzante terzo grado. - Sei diversa dalle altre, quelle di solito urlano come pazze possedute e questa volta non ho sentito nulla o forse ero concentrato a fare altro.
Finì la frase quasi sussurrando e guardando verso il corridoio: si stava riferendo a qualcuno e a qualcosa perciò era meglio non rispondere o sarebbe stato in grado di raccontarmi i dettagli. 
- Mi sono sempre chiesto come sia Pietro a letto, insomma, è anormale e impossibile che quelle tipe urlino ogni volta, no? - Sputai l'acqua dentro il bicchiere: cosa aveva detto? - Ti ho fatto ricordare qualche dettaglio hot?
Quando mi decisi a parlare, qualcuno arrivò alle mie spalle, salvandomi da quella brutta e strana situazione; mi voltai verso destra, guardandolo, non appena mi sfiorò il collo e accennai un timido sorriso. Molto timido.
- Oh, come siete carini.
- Coglione! - Gli diede un forte pugno sul braccio, facendolo sbilanciare all'indietro. Mi chiesi se gli avesse fatto male, ma con tutti quei muscoli che si ritrovava a malapena aveva sentito il tocco. - Che t'ha detto?
Scrollai le spalle: non avevo voglia di stare lì a riferire tutto, anche perché era imbarazzante. 
- Ho chiesto cosa hai di speciale per farle urlare tutte.
Mi nascosi tra le mani e desiderai, per la seconda volta, sparire. L'altro idiota, e lì capii perché erano amici e vivano insieme, scoppiò a ridere fortissimo: perché non ero a casa mia, a dormire nel mio caldo e comodo letto?
- Sei invidioso? - Non smetteva di ridere.
- Di te? Se sapessi le magie che faccio a letto, vorresti...
- EH NO! - Li interruppi prima ancora che continuassero e diventassero volgari – Non starò qui a sentire i vostri discorsi da primadonna.
Pietro mi spostò i capelli su un lato e si chinò a baciarmi la porzione di pelle dietro l'orecchio: rabbrividii.
- Andate in camera, mi viene da vomitare. 
Fui io a ridere questa volta e lo salutai felice mentre lo guardavo andare via e il mio sguardo cadde più volte sul suo sedere fasciato da un paio di boxer: non era colpa mia se quella casa abbondava di perfezione.
Qualcun altro attirò la mia attenzione, sedendosi di fronte a me e lasciandomi baci su tutto il viso, baci che divoravano. 
- Fa sempre così? - Non volevo essere assalita, non in quel momento e in quel luogo. - Assalta tutte le tue conquiste? 
- No perché di solito non sgattaiolano via dal letto, anzi... 
La sua mano provò a tirare giù la cerniera della felpa e lo fermai.
- Avevo sete. Dobbiamo parlare.
- Ecco, ci siamo: lo sapevo, mi chiedevo dove fosse finita la vera Emily.
Mi irrigidii – Tu non sai niente di me.
Le sue mani si strinsero in due pugni ed ebbi paura che mi colpisse o distruggesse qualcosa, ma, dopo un respiro profondo, mi guardò negli occhi e parlò. – So che ogni volta che facciamo un passo avanti, TU ne fai cinque indietro perché hai paura di qualcosa, perché non ti fidi di me e perché sei una stupida.
- Io, invece, mi chiedevo dove fosse finito il Pietro stronzo! 
Mi alzai, andando verso la sua camera, lasciandolo come un'idiota. Forse non dovevo reagire in quel modo, forse sarebbe stato meglio continuare a parlare e arrivare a un punto d'incontro, ma che senso aveva parlare con lui quando l'unica cosa che voleva da me era portarmi a letto?
Accesi la luce e iniziai a raccogliere i miei vestiti sparsi per la camera. 
- Che stai facendo? 
Se ne stava poggiato allo stipite, in mutande, con le braccia incrociate e le sopracciglia corrucciate: gli avrei voluto tirare la scarpa in faccia e sfigurarlo per sempre, almeno sarebbe stato meno attraente.
- Mi sembra ovvio.
Entrò, chiudendo la porta con un rumore secco, facendomi sussultare: era davvero arrabbiato; con due passi mi fu vicino. Riuscivo a vedere le sfumature dei suoi occhi.
- Voglio che me lo spieghi, visto che io non leggo i tuoi cazzo di pensieri.
- Infatti qui devi solo osservare: raccolgo i miei vestiti.
Era fumo quello che usciva dalle sue orecchie?
- Il motivo? - Lo guardai fisso, sperando che capisse, ma la sua reazione mi stupì: fece un altro passo, costringendomi a indietreggiare e afferrò al volo un mio polso, stringendolo. - Ti ho detto che non leggo nella mente, perciò dimmelo.
Se avesse continuato in quel modo avremmo finito per urlare, svegliando tutto il palazzo.
- Perché me ne vado, pazzo. 
Si poteva leggere nel suo sguardo quanto mi stesse odiando in quel momento, tuttavia mi lasciò andare e si rimise a letto ignorandomi.
- Fa' quel che cazzo vuoi, sono le quattro del mattino: se trovi un modo per tornare a casa buon per te.
Immaginai tutto: il momento in cui prendevo la lampada dal suo comodino e gliela sbattevo più e più volte in testa, ridendo beatamente di quel gesto e sentendomi, poi, soddisfatta nel non dover ascoltare più le sue battute fastidiose. Tuttavia feci come aveva fatto lui prima con me e, dopo aver preso la scarpa che stava sotto un mobile, uscii dalla sua camera, sbattendo la porta.
Ero talmente nervosa che avrei potuto piangere, ma non potevo lasciarmi abbattere e d'altro canto non potevo farlo vincere rientrando in camera e stendendomi accanto a lui per fare finta di nulla dandogli in questo modo tutte le ragioni del mondo: io ero più forte.
Mi sdraiai sul divano, coprendomi con i miei stessi vestiti e aspettai che il mio cuore decelerasse, chiusi gli occhi e solo dopo un'oretta mi addormentai, stanca e ancora nervosa.


- Mi fai male, coglione. 
Una risata e delle sedie che si spostavano.
- Adesso fa male? 
Rumori di sportelli chiusi troppo forte e voci indistinte: dove diavolo ero?
Aprii gli occhi, notando un’enorme tv al plasma, un tappeto bruttissimo, un tavolino in vetro e una poltrona troppo vecchia che stonava con l'arredamento; un'altra risata mi riportò alla mente ciò che era successo la notte prima e, come un automa mi alzai, scoprendo come indossassi ancora la felpa dello stronzo, mentre la metà dei miei vestiti era sparsa per terra. 
Il tizio biondo e Riccardo erano in cucina a fare colazione. Forse, se avessi fatto piano, non si sarebbero accorti di me e sarei potuta uscire di nascosto.
- Problemi in Paradiso, madame? 
Piano fallito.
Anche Riccardo si voltò e mi sorrise non appena incontrò il mio sguardo assonnato e imbarazzato.
- Emily? - Anche lui era molto sorpreso di trovarmi lì. – Cavolo, mi hai fatto perdere la scommessa.
O forse no. 
Avevo bisogno di una doccia, di un caffè e di vestiti puliti.
- Potreste dirmi dov'è il bagno?
- Non vuoi fare colazione con noi? - Riccardo non smetteva di sorridere e, dopo qualche secondo di seria riflessione, accettai, anche perché stavo morendo di fame. - Il caffè è ancora caldo.
- Oh sì, ti prego. 
- Non hai risposto alla domanda di prima. – L'idraulico anonimo iniziava a darmi sui nervi. - Problemi in Paradiso?
Fu Riccardo a intervenire, dicendogli di lasciarmi in pace e farmi godere la mia colazione; gliene fui grata visto che era dalla notte che non faceva altro che stuzzicarmi e, in tutta sincerità, volevo mangiare e bere il mio caffè prima che quell'altro cretino arrivasse e rompesse il clima sereno. 
Il bagno era la porta in fondo al corridoio, quella arancione, come avevo potuto dimenticarlo visto che, mesi prima, era stata la prima che avevo aperto? 
Sorrisi al pensiero di quel momento assurdo ed entrai nella stanza non rendendomi conto, però, che ci fosse qualcun altro dentro.
- Se volevi vedermi nudo...
Mi tappai gli occhi. – Oddio, scusa, non sapevo fossi qui, io... - Rise, interrompendomi: era sempre così antipatico! Sbirciai dalle mani mezze aperte: aveva indossato un asciugamano che gli copriva ciò che doveva, per fortuna.
- Devi dirmi qualcosa?
- No, mi serve il bagno.
- Appena finisco sarà tutto tuo.
Se questa notte gli avrei sbattuto la lampada in testa più volte, adesso gli avrei tirato addosso il contenitore d'acciaio del sapone liquido, almeno se lo sarebbe ricordato per sempre.
Non avevo tempo da perdere e mi urtava vederlo muoversi con lentezza solo per infastidirmi; lo spinsi via da di fronte lo specchio guadagnandomi un'occhiataccia.
- Ti dispiace? 
- Sì. Puoi finire di impiastricciarti i capelli in camera tua, ho bisogno di sciacquare il viso.
Aveva il suo solito ghigno stampato in quella faccia da schiaffi, ma dovevo comportarmi da donna matura quale ero e ignorarlo.
- Emily, sei a casa mia. Ricordi? - Il suo sguardo si illuminò, come se in quel momento avesse ricordato qualcosa di molto importante che avrebbe risolto il peggior male del mondo. - Non dovevi andare via questa notte? 
Per la prima volta mi ritrovai senza parole e, come sempre, scoppiò a ridere; quando capì poi, che avevo dormito sul divano, si piegò in due: se mi guardava rideva ancora di più. Era un cerchio senza fine.
- Quando hai finito me lo dici, così esci e mi lavo.
Per un attimo tornò serio. – No, biondina acidella, io devo fare la doccia perciò sei pregata di aspettare fuori, a meno che...
- Un corno! Devo andare a lavoro e ho bisogno di lavarmi.
Lo capii troppo tardi, quando ormai non avevo più scampo: un getto d'acqua fredda mi colpì in pieno viso e poi alle spalle, stronzo di un Vermetro! 
Era guerra.
Lasciai cadere i vestiti a terra perché avevo bisogno delle mani per difendermi e, allo stesso tempo, attaccare; cercai di schizzarlo dal rubinetto del lavandino, ma era impossibile visto che il soffione della doccia era puntato contro la mia faccia e rischiavo di morire soffocata o di annegare. Mi voltai per respirare e per trovare un'arma tutta mia e fu allora che vidi ciò che mi avrebbe fatto vincere: afferrai la bomboletta e, dopo averla agitata per qualche secondo, gliela spruzzai addosso sperando di averlo colpito visto che avevo gli occhi chiusi per colpa dell'acqua. 
- Questo non vale. - Aveva smesso di bagnarmi e quando aprii gli occhi per guardarlo scoppiai a ridere: era completamente sporco. - Lo trovi divertente? 
- Abbastanza. 
Gli spalmai come fosse crema abbronzante, tutta la schiuma da barba sul petto, in faccia e poi tra i capelli, sotto il suo sguardo allibito. Poi, con un abile gesto, mi appropriai del soffione e fu il mio turno di bagnarlo e rischiare di annegarlo. 
- Non vincerai mai.
Risi ancora più forte nel vederlo con gli occhi chiusi, sporco e bagnato di schiuma da barba e confuso perché non riusciva a trovarmi e disarmarmi.
- Se ammetti che ho vinto e che sono più intelligente e furba di te, ti lascerò in pace.
- MAI.
Aprì gli occhi di scatto e si avventò su di me, facendomi urlare dalla paura, e mi trascinò fin dentro la doccia dove completò la sua opera, mettendo il soffione dentro la sua stessa felpa per bagnarmi l'intimo e sporcarmi di schiuma da barba viso e capelli.
- Ma così non vale, tu sei grande e grosso e io non posso difendermi. 
Tentai di dissuaderlo con le buone, ma ottenni solo una sua grossa risata, perciò passai al piano B, quello che sapevo l'avrebbe fatto impazzire: tirai giù la cerniera della felpa, sfilandola e gettandola sul pavimento. Mi guardò come un uomo perso nel deserto: assetato e confuso.
Feci spallucce - Ormai era inutile e pesante. 
Volevo che cascasse nella mia trappola, ma quando rimise il soffione al suo posto e mi spinse contro le mattonelle fui io a cadere nel baratro: ero, come sempre, incantata dai suoi occhi azzurri e luminosi e di certo l'acqua non aiutava a calmare i miei ormoni.
Avrei dovuto allontanarlo, mettere fino a quella tortura, smettere di guardarlo e immaginare le sue labbra contro le mie o le sue mani sul mio...
- Emily. - Tornai sulla terra, più o meno. - Non sono un tipo da discorsi, ma tu sei abbastanza, non mi fraintendere, diversa e credo che sia il caso di farne uno. - Quelle gocce d'acqua che cadevano lungo il suo naso e finivano sul labbro inferiore erano troppo pericolose... - Sto per baciarti e vorrei che dopo tu non ti comportassi da pazza perché mi piaci e mi piacerebbe che, insomma, ci fosse qualcosa tra noi. Non qualcosa di serio né solo sesso ma, non so...
- Pietro – Uh, come mi sentivo figa nell'interrompere i discorsi. - Mi baci o stiamo qui a sprecare acqua? 
Come avevo potuto resistere, come avevo potuto dormire sul divano quando potevo approfittare di tutto questo ben di Dio? 
Mi aggrappai alle sue spalle muscolose, allacciando le gambe al bacino visto che i suoi baci sul collo mi avevano tolto la forza e la ragione. Gli morsi il labbro famelica mentre mi slacciava il reggiseno con un colpo da maestro: era stato così veloce da farmi pensare al numero delle donne con cui era stato. Cercai di cacciare via il pensiero e concentrarmi su di lui, noi e l'asciugamano in procinto di essere tolto.
- Pietro! - Dei colpi alla porta ci fecero sussultare - So che sei lì dentro. 
- Cazzo vuoi?
Il suo sguardo incazzato era decisamente migliore del mio confuso: chi osava disturbarci e per quale motivo?
- Abbiamo da fare, ricordi? Perciò VIENI! 
Da quella squallida battuta si capiva che fosse il biondo; mi trattenni dall'urlargli quanto fosse cretino, inopportuno, stronzo eccetera perché al momento non avevo termini abbastanza offensivi per la mente visto che la visione di Pietro mezzo nudo e altro che si allontanavano mi avevano annebbiato il cervello.
- Arrivo, scassacazzo. - Si asciugò alla bene e meglio e prima di uscire tornò da me – Ti trovo qui al mio ritorno?
Negai, ancora scossa – N-no. Sono già in ritardo.
Il suo sorriso mi uccise – Ci vediamo più tardi al Ladies allora. – Annuii, rendendomi conto troppo tardi e grazie alla sua radiografia della mia quasi nudità – Conserverò un ottimo ricordo.
- Cretino. 
Il mio tentativo di colpirlo con la spugna fu vano, visto che fu più veloce nell'avvicinarsi e pizzicarmi il sedere.
Quando andò via ragionai su quello che era successo e su quello che mi aveva detto: forse dovevo smetterla di pensare e iniziare a prendere tutto quello che mi veniva offerto, compreso il suo corpo, lavarmi in santa pace, essere una normale donna di gnegne* anni che si gode la vita e basta con le paranoie.


- E tu che ci fai qui?
Dopo quello che era quasi-successo in doccia, trovarmi Riccardo a petto nudo con addosso dei pantaloni della tuta grigi e larghi mi destabilizzava; mi guardò come se fossi impazzita, ma comunque mi sorrise.
- Ci abito, tu perché indossi l'accappatoio di Pietro?
Diventai rossa quanto la porta della camera da letto che avevo accanto e mi nascosi ancora di più nella spugna accorgendomi che profumava di uomo, muschio selvatico e mare. Si chiuse nella sua stanza dalla porta verde scuro prima che potessi rispondergli, lasciandomi da sola con un grande dubbio: cosa avrei indossato sotto i vestiti, dato che la biancheria era completamente zuppa?
Se hai usato il suo accappatoio, siete già intimi.
- Non puoi fare come ti ho chiesto e tacere?
Em, sono dall'altra parte di Roma, è impossibile. - Avevo chiamato Mina per chiederle di passare da casa mia e portarmi del cambio, ma non poteva, così come Giulia: ero nei guai. - Avete dormito insieme, fatto la doccia, hai usato la sua asciugamano: metti le sue mutande!
Rabbrividii. – Oh certo, così mi becco qualche malattia.
La sentii sbuffare. – Cazzo Em! Quando stava per entrare in galleria senza cintura non hai pensato a nessuna malattia però! - Boccheggiai senza aggiungere nulla. – E scusami ma, quando ce vò ce vò.
Chiusi la chiamata prima che questa diventasse troppo volgare e accettai il mio destino: presi dei boxer dal cassetto di Pietro e dopo averli odorati ed esaminati con attenzione li indossai, sperando di sopravvivere al resto della giornata.





- Sei in ritardo. – Neanche il tempo di arrivare, che Carla mi rimproverava. – E sei vestita come ieri, cosa ti è successo? 
Si tolse gli occhiali e mi lanciò uno sguardo che la diceva lunga che io ignorai, entrando in ufficio: non volevo rispondere a domande scomode e, soprattutto, non volevo che là dentro iniziassero a circolare voci strane e sbagliate.
Sbuffai, scrocchiando la schiena e il collo: avevo dormito malissimo su quel divano e avere addosso l'odore di Pietro mi infastidiva; era duro ammetterlo, ma avrei preferito essere insieme a lui piuttosto che rivivere quello che non era successo qualche ora prima.
Passai una mano tra i capelli, pettinandoli. Non mi ero neanche truccata perché non avevo ciò che mi serviva con me: ero un mostro, pieno di problemi.
- Uh, ecco la piccola fuori testa, ben arrivata. - Giulia entrò in ufficio sorridente, come il suo solito, e con in mano un enorme scatolone – Dammi una mano, va.
- Che è sta roba? - Guardai dentro, mentre lo posavamo sulla sua scrivania e inorridii – Perché hai questi cosi?
Rise forte, togliendosi il cappotto. – Devi portarli al locale, sono per questa sera, per le ragazze.
La guardai male mentre mi sedevo sulla scrivania di fronte la sua. – Non capisco perché debba essere sempre io ad andare là! Insomma, è la tua cliente!
- No, è di Mina. – Ridacchiò, mentre mi lanciava un cerchietto hot. – Perché tu hai un buon rapporto con i dipendenti e quando dico buon rapporto e dipendenti, intendo...
- Sì, sì, sì! Ho capito, sei peggio di una comare. Come faccio a portarlo, comunque, visto che devo andare in metro?
- Ti do un passaggio io. Forza andiamo.
Strabuzzai gli occhi: non potevo andare al Ladies in quel momento, vestita ancora in quella maniera e con addosso le mutande di Pietro.

 Dovevo prima passare a casa a cambiarmi, togliermi il suo odore dal corpo ed essere abbastanza lucida da riuscire a resistergli. Ovviamente le mie lamentela furono vane: mi ritrovai in macchina di Giulia, immersa nel traffico mattutino di Roma, verso il patibolo. 
- Devo passarti a prendere? - Non potei alzarle il dito medio perché tenevo in mano quell'enorme scatola, ma le risposi, in modo molto gentile ed educato, mandandola a quel paese e facendola ridere a crepapelle.
Mi sarei vendicata.
La porta d'ingresso del locale era chiusa perciò dovetti fare il giro fino a quella d'emergenza, ma per mia sfortuna come se non bastasse quello che avevo già passato da quando ero sveglia, anche quella era chiusa. Dovetti chiamare al telefono Pietro implorandolo più volte, visto che aveva voglia di scherzare e gli piaceva l'idea di lasciarmi fuori, in piedi, ad aspettare e congelare. 

- Ciao Emily.
Fu Maurizio ad aprirmi, sorridente e viscido come sempre; neanche lo salutai: gli mollai la scatola enorme e scesi le scale di fretta, trovandomi dietro le quinte.
Una musica assordante rimbombò nelle mie orecchie: i ragazzi erano sul palco a provare; avanzando, vidi prima Riccardo con gambe e braccia incrociate che guardava di fronte a lui, mentre Giovanni e Pietro stavano facendo dei passi. Anzi, l'idiota numero uno li stava spiegando all'idiota numero due.
Per poco non mi mancò il respiro quando fui di fronte al palco e vidi ogni cosa, soprattutto Pietro e il suo abbigliamento: i pantaloni di tuta blu larghi risaltavano, inspiegabilmente, il suo sedere bello, sodo e da mordere, la felpa bianca modellava le sue spalle e i suoi muscoli.
Avevo bisogno di una sedia e di tanto ossigeno.
- Oh, abbiamo un ospite. - Idiota numero due si accorse di me e fece cenno al dj di staccare la musica. Con un salto scese dal palco e si avvicinò a me – Hai bisogno di qualcosa o qualcuno?
- Lasciala in pace, Van. 
Riccardo si intromise, come sempre, facendomi un saluto da lontano al quale ricambiai con un sorriso. La mia attenzione fu catturata però da Pietro che beveva dell'acqua in un modo tutto suo e così sexy da farmi desiderare d'essere quella bottiglietta.
Stavo perdendo la testa o forse l'avevo persa tempo prima e me ne stavo rendendo conto lentamente.
- Ehi. - Perché mi sorrideva così? Non doveva farlo! - Come mai sei qui? 
- Ho portato delle cose per questa sera, ma sto andando via
Dove stavo andando? Da quando il solo guardarlo negli occhi mi faceva dire scemenze?
- È venuta per vedere te, come una ragazzetta innamorata.
L'avrei ucciso. Se solo poi non avessi dovuto pagarne le conseguenze, lo avrei ucciso con le mie stesse mani. Ma che diavolo voleva da me quello...
- Stupido coglione? - Mi accorsi troppo tardi di aver parlato ad alta voce e mi tappai la bocca con entrambe le mani, guadagnandomi un'occhiataccia dall'oggetto dell'offesa in questione e uno sguardo molto divertito dagli altri due. – Scusa, non volevo dire quello che ho detto. – Ci pensai su. - In realtà sì! Non capisco quale sia il tuo problema nei miei confronti e perché parli tanto a sproposito.
Mi avvicinai di qualche passo a lui, lasciando alle mie spalle un Pietro sorridente e incuriosito dal mio atteggiamento, perché in effetti non mi aveva mai visto reagire in quel modo, per un'accusa sciocca e infondata. 
- Se ti infastidisce avermi tra i piedi o vedermi con lui puoi girarti o andare via, questo è il mio lavoro e purtroppo sono costretta a condividere la tua stessa aria. Adesso ti conviene andare a provare il tuo spettacolino perché facevi pena. 
Probabilmente mi avrebbe risposto o picchiato, se la risata di Riccardo non lo avesse distratto e richiamato la sua attenzione. Non capivo sul serio perché si comportasse in quel modo con me: non avevo mai fatto niente di male, al nostro primo incontro era stato lui stesso ad aggredirmi e io mi ero difesa, giustamente; quel ragazzo aveva dei seri problemi nel socializzare e io non potevo farci nulla.
- Dai Van, ha ragione. Vieni su e continuiamo a provare.
Riccardo lo chiamò più volte, prima di convincerlo. Fino ad allora non abbassai mai lo sguardo, non volevo mostrarmi intimorita o altro: volevo che capisse quanto mi avesse infastidita con il suo comportamento e quanto fossi stufa del suo atteggiamento da idiota. Quando si voltò verso il moretto sorridente tornai a respirare, calmandomi e mi accorsi della presenza di Pietro accanto a me.
- Dunque, come mai sei qui?
- Te l'ho detto, ho portato la roba per questa sera. 
- E stavi andando davvero via? - Con un passo fu a pochi centimetri da me. Mi guardava negli occhi sorridendo furbo e io ero consapevole di stare affogando nel mare dei suoi occhi e speravo, con tutto il cuore, che qualcuno mi venisse a salvare prima che fosse troppo tardi. - Potresti restare qui fino al termine delle prove e poi potremmo andare a casa a finire quello che abbiamo interrotto oggi... - Quello era il momento adatto per rifiutare, andare via e sopravvivere, ma, stupida, accettai, sentendo l'acqua bagnarmi ogni parte del corpo, fino a quasi soffocarmi. Il suo sorriso si trasformò in uno più sincero e forse dolce, come se la mia risposta gli avesse fatto davvero piacere e mi baciò, cogliendomi di sorpresa. Un bacio veloce, ma lento, un bacio che tornò a farmi respirare, facendo sparire tutta l'acqua.



Quando finirono le prove, era già ora di pranzo e io avevo cercato di concentrarmi non tanto sui loro movimenti sensuali e sul mio stomaco brontolante, quanto sulle carte da lavoro che avevo in borsa e fare delle chiamate importanti. 
- Sto morendo di fame, ti dispiace se prima di andare a casa ci fermiamo a mangiare qualcosa?
Riflettei su quella frase: dovevamo andare a casa insieme, mangiare insieme, muoverci insieme; neanche fossimo stati una coppia vera e propria. Ci eravamo solo scambiati qualche bacio e visti mezzi nudi, stop, non era successo altro e già lui parlava di andare a casa insieme. 
Gli risposi prima di farmi prendere da un attacco di panico.
- Non posso. Cioè, devo tornare a lavoro
- Ti accompagno allora
Lo avevo fatto di nuovo, lo avevo allontanato quando avevo promesso a me stessa e, soprattutto a lui, di non farlo: dovevo rimediare, fargli capire che mi piaceva trascorrere del tempo insieme e che mi piaceva sul serio.
Mi bloccai di fronte all'auto prima di aprire lo sportello: mi piaceva? Quando lo avevo capito?
- Tutto bene?
Lo guardai, sperando non si accorgesse di nulla – Sai, ho fame anche io e conosco un posto di fronte all'ufficio molto carino, potremmo mangiare lì insieme.
Sorrise di nuovo. – Sali, prima che ti mangi.
Il viaggio fu piacevole e veloce, diverso dai precedenti, visto che riuscimmo a parlare senza litigare, a canticchiare le canzoni che trasmettevano in radio. Risi addirittura alle sue battute senza pensare alle paranoie che mi ero fatta qualche minuto prima: non era male stare con lui, bastava solo lasciarsi andare.
- Posteggia qui, non passano mai i vigili a quest'ora. - Mi guardò male. – Dai, fidati!
Spense il motore e, dopo aver rubato le chiavi, scesi dall'auto chiudendo lo sportello con forza.
- Ehi, trattala bene. - Gli risposi con una smorfia e infilai le chiavi in tasca. - Dov'è questo posto dove si mangia bene? - Indicai il marciapiede opposto con la mano e lui si voltò a guardare, curioso. - Bene andiamo. Hai chiuso? 
Pigiai il tasto rosso del telecomando e insieme attraversammo la strada per entrare nel panificio; la signora Maria ci accolse con il suo solito sorriso e venne via dal bancone per abbracciarmi e salutarmi a dovere; dovetti abbassarmi per ricambiare il suo abbraccio, era così tenera e cortese da farmi sperare ancora nell'umanità.
- Cosa volete ragazzi? Ho appena sfornato la pizza. 
Il mio stomaco brontolò a un volume troppo alto, tanto che anche Pietro lo sentì e scoppiò a ridere, dandomi una leggera spallata e facendomi perdere l'equilibrio. Era un cretino.
- Io vorrei quel pezzo con i funghi, salsicce e olive.
Spalmò il dito sul vetro, come un bambino e aspettò che Maria gliela passasse: la guardava come se fosse un pezzo raro e prezioso d'antiquariato; al primo morso si leccò le labbra e alzò gli occhi al cielo, sembrava in paradiso.
- Tu non mangi? - Ingoiò l'ultimo boccone della pizza e mi guardò curioso.
- Sì, ho preso questa. – Indicai la sfogliatina al prosciutto, funghi e mozzarella che Maria mi aveva appena passato. – Dovresti assaggiarla, è buonissima.
Mi prese la mano e, fissandomi, diede un morso al mio pranzo, leccandosi poi le labbra come aveva fatto prima, senza togliere gli occhi dai miei. 
- Hai ragione. Posso averne una anche io? - Scossi la testa e cercai di ignorare i suoi chiari segnali maliziosi, gustandomi la mia sfogliata. - Se volevi assaggiare la mia pizza potevi dirmelo, t'avrei fatto dare un morso.
Il boccone mi andò di traverso e iniziai a tossire: di che stavamo parlando? Possibile che ogni cosa venisse fuori dalla sua bocca aveva uno sfondo sessuale? 
Mi aiutò, dandomi delle pacche alla schiena e porgendomi dell'acqua.
- Se vuoi uccidermi...
- Oh fidati, sceglierei un altro modo.
Lo guardai male – Senti…
Non riuscii a finire o quantomeno a iniziare il mio discorso, perché qualcuno ci interruppe, qualcuno che non vedevo da molto e che avrei preferito non incontrare in quel momento: Mario mi si era avvicinato sorridente e con la sua aria da perfetto gentiluomo.
- Emily, che piacere incontranti qui. – Arrossii, imbarazzata – Allora hai davvero apprezzato le meraviglie di Maria.
- Sì, io non scherzo mai sul cibo.
Sentivo lo sguardo di Pietro addosso e potevo vedere un sorriso impertinente sulle sue labbra: sentivo odore di guai.
- Se me lo avessi detto prima, t'avrei raggiunto.
Sgranai gli occhi – Oh beh... io... Lui è Pietro. Pietro ti presento Mario, lavora nell'ufficio al piano di sotto.
Si strinsero la mano, ma non riuscivo a capire lo sguardo di Pietro, sembrava lo stesse incendiando o gli stesse comunicando di scappare prima che alzasse le mani contro di lui.
- Hai preso anche tu la sfogliatina? - Pietro la guardò e rispose con una smorfia. – Brava Em, diffondi il verbo.
Avrei voluto sotterrarmi, anzi no! Avrei voluto sotterrare lui: ma sapeva stare zitto sto scemo?
Per fortuna Maria richiamò la sua attenzione e, dopo aver salutato Pietro e aver dato un bacio a me sulla guancia, un po' troppo lungo, andò a ritirare la sua ordinazione.
Uscii dalla panetteria sconvolta, soprattutto per quel “Quando ti va di pranzare insieme dimmelo, conosco altri posti carini”. Non aveva smesso di guardarmi e provarci per tutto il tempo: e se l'idiota al mio fianco, che era rimasto in silenzio, fosse stato il mio fidanzato? 
Vidi Pietro gettare quel che rimaneva del suo pranzo nell'immondizia e dirigersi a passo svelto verso l'auto, lo raggiunsi appena prima che attraversasse la strada, fermandolo e notando il suo sguardo di fuoco.
I suoi occhi azzurro scuro che mettevano paura.
- Vai via senza salutarmi?
Si diede una pacca in fronte: che teatrale. - E' vero, scusa. Dammi le chiavi.
- Qual è il tuo problema? Fino a due minuti stavamo ridendo ed era tutto normale, cosa è successo?
Mi scoppiò a ridere in faccia, una risata falsa e sin troppo ironica. – Devo andare, salutami l'amico tuo.
Feci due più due. – Siamo arrivati già a questo punto? Tu, geloso, che ti arrabbi perché parlo con un collega e te ne vai senza dire nulla? 
- Non sono geloso, puoi andare a mangiare ogni cazzo di sua sfogliatina!
Risi, piegandomi in due: come poteva essere così stupido da pensare e dire cose del genere? Mi guardò male e mi avvicinai a lui, posando entrambi le mani sul petto, costringendolo ad abbassarsi alla mia altezza: avevo le sue labbra a pochissimi centimetri dalle mie, i suoi occhi fissi nei miei confusi e ancora un po' arrabbiati.
- Preferisco rimanere a digiuno, se l'alternativa è mangiare la sua sfogliatina.
Forse era troppo esplicita e sotto sotto, molto sotto, romantica ma volevo che gli fosse chiaro il concetto di quella mattina in doccia: volevo davvero provarci, non avrei dato di matto e mi sarei comportata meglio, almeno fino a quando sarebbe stato possibile.
- Bene.
Sorrise e non riuscii più a resistere.
- Ora baciami, pazzo.






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*Gnegne anni: Emily non ha voluto dire la sua età.


L'ultima volta era il 16/01 e adesso io non so cosa dire per scusarmi di questo immenso ritardo. Forse aiuterebbe se dicessi che la sessione d'esami mi ha, in pratica, rapita e costretta sui libri senza neanche darmi il tempo di respirare?
Non posso neanche promettere di essere più costante la prossima volta perché, purtroppo, tra qualche giorno ricomincio a studiare per la sessione straordinaria di Aprile e ho minimo tre esami da fare; mi dispiace tantissimo, spero mi capiate e seguiate ugualmente.
Passiamo al capitolo: un parto!
Mi scuso per la lunghezza, dieci pagine in cui non si dice nulla, in pratica ma, in sostanza, capiamo che Emily ha FINALMENTE (sento il suono delle campane) messo la testa a posto, cioè, si è arresa all'evidenza e ha deciso di lasciarsi andare con Pietro.
NON SENTITE I CORI DELL'ALLELUIA?
Ovviamente ha sempre alcuni scatti da pazza e fa ragionamenti assurdi ma ci siamo, siamo arrivati al punto cruciale: è iniziato qualcosa.
Non mi soffermo su Mario, so che voi lo odierete e direte abbastanza, perciò chiudo qui le note e vi ringrazio per l'attesa, per esserci sempre e per tutte le recensioni.
Un immenso grazie.
Ringrazio anche Elle per il suo splendido lavoro.
Alla prossima, spero presto.
Che la panna sia con voi



Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del gruppo facebook e del mio canale youtube.
E, per chi se la fosse persa: LA ONE SHOT NATALIZIA.


UN SOGNO DI NATALE.


One Shot Natalizia tratta dalla long: The (he)art of the streap.
Pietro ed Emily si trovano in una situazione del tutto nuova per loro, quasi surreale e con loro c'è un nuovo, piccolo, personaggio.

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