Una vita da non vivere.

di Allyy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La penna, un'amica, la vita. ***
Capitolo 2: *** Inizia l'incubo. ***
Capitolo 3: *** La resa dei conti. ***
Capitolo 4: *** Frazione di secondo. ***



Capitolo 1
*** La penna, un'amica, la vita. ***


Aline Cenere, 13 anni, Bergen.


Preferirei averne zero, di anni.
Preferirei non essere mai nata.
Preferirei essere CENERE, proprio come il mio cognome, libera.

Eppure sono qui, su un treno diretto chissà dove, con la mia penna in mano che finge di scrivere su un foglio, come quelli che avevo a casa, rosa con le margheritine sui bordi. La penna...regalo di due mesi fa, da parte di mia sorella, è ora il mio unico appiglio. Sono sola, triste, arrabbiata e, soprattutto EBREA, e rabbrividisco al pensiero, sembra quasi che pronunciare questo aggettivo porti alla fine. Sono solo cinque lettere, ma cinque lettere fatali, il che non è una bella cosa.

Si può nascere già morti per questo motivo? A me sembra davvero inconcepibile..ma sono piccola, qui la mia opinione non conta nulla e io posso solo subire, almeno per il momento. Mi sento impotente, come un burattino di legno nelle mani del più crudele burattinaio.
La morte è sempre all'angolo, aspetta solo che noi inciampiamo nel filo della vita. Non le darò questa soddisfazione, non così presto. Spero.

Ecco, mi son persa, ... ah si dicevo, LA penna. E' azzurra
con inserti argentati e sul tappo è inciso il mio nome. Quando la ricevetti, era accompagnata da un bigliettino, c'era scritto: 'Con te, per sempre'. Non lo dimenticherò mai. Ecco perchè me la porto sempre dietro, ovunque io vada, perfino su questo sporco e lurido treno. Sono circondata da gente come me, sconfortata, sfiduciata e rassegnata. Il pianto di un bambino squarcia, di tanto in tanto, la cupa atmosfera che ci circonda e mi fa tremare. Ho fame, sete, sonno. E quindi? Cosa posso farci? Davvero niente. Da quanti giorni sono in viaggio? Mi sento un oggetto dimenticato su una mensola, coperto di polvere, inutile. Dove sono finiti i miei progetti adolescenziali? Ne avevo così tanti, perchè la vita è così ingiusta?
Io davvero non capisco, non riesco, o forse non voglio.

Improvvisamente una mano mi sfiora. Mi volto, e scorgo nella penobra uno sguardo profondo e amichevole, nascosto da una frangetta nera, lunga.
Mi sarà concesso parlare? Ma sì, al diavolo!

-Ciao!-, comincio io, un po' titubante.
-Ehi! Che bello! Finalmente qualcuno con cui parlare, non ne potevo più di stare zitta, sai per me è difficile, sono logorroica, io non riesco a non parlare, mi assale l'ansia e poi...-, inizia lei.
-Frena, frena un attimo-, riprendo ridendo -Ahah, innanzitutto ti ringrazio per il sorriso che mi hai appena regalato ed inoltre..beh, sono contenta anche io di aver trovato un po' di compagnia, sai, la mia famiglia è morta, non ho più nessuno.-, dico, senza nemmeno una lacrima, le ho piante tutte del resto.
-Oh.-
Ritorna il silenzio assordante.
-Ehi, stai tranquilla, dai, dimmi come ti chiami!-
-Mi chiamo Fiamma!-,risponde -Tu?-
-Aline-

E ci sorridiamo. Protagoniste di un mondo solo nostro, perfette sconosciute che hanno in comune la speraza, complici di un progetto con un obiettivo ben preciso, chiamato Vita. Perchè alla base di tutto c'è l'intesa, quel sentimento fondamentale che in noi sembra innato. Sì, è così.

Un conato di vomito interrompe il magico momento. Gente che urina, chi sviene inerme, chi rigurgita sangue, insomma, le condizioni sono queste. 
Cerco di pensare ad altro, ma è difficile.

 Fiamma canticchia un carme ebraico.


               Gam-Gam-Gam Ki Elech

Be-Beghe Tzalmavet
Lo-Lo-Lo Ira Ra
Ki Atta Immadì
Gam-Gam-Gam Ki Elech
Be-Beghe Tzalmavet
Lo-Lo-Lo Ira Ra
Ki Atta Immadì
Shivtechà umishantechà
Hema-Hema yenachamuni
Shivtechà umishantechà
Hema-Hema yenachamuni   


Anche se andassi
nella valle oscura
non temerei nessun male,
perché tu sei sempre con me;
Perché tu sei il mio bastone, il mio supporto,

Con te io mi sento tranquillo.


 

Mi addormento. E mentre chiudo gli occhi, realizzao che preferirei non svegliarmi PIÙ.

da PensieriParole

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Capitolo 2
*** Inizia l'incubo. ***


Ein, Zwei, Drei ... ALT!

 

Una voce aspra e metallica mi sveglia di soprassalto.

 

Ho paura di aprire gli occhi.
Ho paura di affrontare la realtà.
Ho paura di vivere.

 

Ma è inevitabile, sollevo una palpebra ed ecco il finimondo.
I generali tedeschi urlano a più non posso, i bambini piangono, le mamme disperate gridano con le lacrime agli occhi, gli anziani si rassegnano.
Vedo pistole, divise militari, stelle di Davide, morti, insomma, vedo la Guerra.

Ho tredici anni, ma sono una ragazza già vecchia, i miei occhi sono stanchi e colmi di immagini di una crudeltà infinita. Ho le rughe agli angoli della bocca, il mio cuore sta diventando di pietra, questa guerra mi sta strappando tutto ciò che mi era rimasto. Sono in balia degli avvenimenti, come una foglia spezzata che il vento impetuoso porta con sè.

Mi giro di scatto, dov'è Fiamma?! La cerco disperatamente, niente, non si trova. Mi faccio coraggio, stringo forte la mia penna in tasca ed esco dal treno.

Un tedesco mi squadra dall'alto in basso.

 

«AUF DER RECHTEN SEITE!», urla, indicandomi la sua destra.

Mi sposto velocemente ed impaurita, ed ecco che un «Ali!» mi salva!
Fiamma mi si avvicina e dice: «Vieni con me, noi ragazze dobbiamo stare da quella parte.»
Noto una fila di donne che, con la parola 'sottomissione' scritta in fronte, si avvicinano ad una stanzetta sporca. Cerco di leggere l'insegna:

H..IER Ha...R GE..SH.TTEN

Non capisco, questa maledetta scritta è sbiadita ed incomprensibile, chiedo così alla signora davanti a me.

«Scusi, sa cosa c'è scritto là?»
«Qui vengono tagliati i capelli.»
«Cosa?! E perché?? I miei lunghi boccoli neri, no, non possono!»
«Shh.» E' l'unica risposta che ricevo.

Trascorrono attimi interminabili, poi, ecco il mio turno!

Entro nella stanza e in pochi secondi sono fuori. Sfinita, triste, arrabbiata, brutta. Con forbici enormi e qualche coltello mi hanno rasata, ho molte ferite sulla fronte ed un taglio abbastanza profondo in mezzo alla testa. Provo a sfiorarlo, ma il sangue mi inonda. Ho la nausea, sto davvero male, sento che sto per svenire, quando percepisco appena forti mani sorreggermi per la vita. Perdo conoscenza per qualche minuto e, al mio risveglio, trovo due occhi azzurro ghiaccio scrutarmi con fare indagatore.

«Aiutooooo!» urlo.
«Zitta!» risponde l'uomo con voce stridula.
Mi accorgo che sono sdraiata su una panchina, mi siedo e ritorno a fissare il misterioso sconosciuto. Noto che indossa una divisa tedesca, ora ho davvero paura, cosa vorrà farmi?! Con uno scatto repentino cerco di sfuggire dalla sua stretta, ma non ci riesco, sono troppo debole.
«Non muoverti!» mi intima.
Poi vedo che in mano stringe una pistola. Ed ecco che realizzo: mi vuole uccidere.
Evidentemente non sono brava a celare le mie paure, il generale si accorge che sono terrorizzata e ben cosciente, infatti mi dice:
«Muta! Vieni con me e non fiatare.»

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Capitolo 3
*** La resa dei conti. ***


Come puoi descrivere gli attimi che precedono la tua morte? A cosa puoi pensare?
La risposta ad entrambe le domande è:   non lo so  .


Ho la testa vuota.
Ho la testa che scoppia.
Ho la testa. Non so per quanto ancora.

Continuo a seguire quella divisa verde militare, credo di non essere più padrona delle mie gambe. In un'altra situazione avrei elaborato frettolosamente un piano alternativo. Ora non ci riesco, sto rincorrendo, meccanicamente, senza rendermene conto, la MORTE. Il punto è che non riesco proprio a concepire l'idea di FINE. Mi hanno strappato via la famiglia, ho viaggiato in condizioni disastrose, non ho più una vita, mi hanno deformata, sto malissimo...chi sono io?
Una sagoma che barcolla, ubriaca di crudeltà subita. Forse sarebbe davvero meglio smettere di condurre una vita del genere. Ma non so come la concluderò. Verro picchiata, percossa, frustrata? Quanti minuti, ore, giorni passeranno prima che esalerò l'ultimo respiro? Con che coraggio fisserò il proiettile fatale? Quali saranno i miei ultimi pensieri?

Voglio la mamma.

Ma ho solo la penna, e stringo quella.

Il tedesco si gira di scatto con una faccia terribile.

«ÜBER!», grida, indicandomi una porticina.
Tento di aprirla, ma perfino la maniglia è diventata pesante, troppo pesante, sono debole. Mi accascio a terra priva di sensi, ancora. Non faccio in tempo a chiudere gli occhi che uno schiaffo mi colpisce in pieno volto. Mi rialzo faticosamente in piedi e seguo ubbidiente il generale all'interno della stanza. C'è un odore strano, mi guardo in giro, è pieno di morti..tutti portano sul viso ferite insanabili, alcuni gemono ancora con gli occhi spalancati, mosche luride volano in giro, senza sosta, il nero sangue mi imbratta le consumate scarpe che indosso. Ho la nausea. Vedo il corpo di un bambino di uno o due anni giacere senza vita fra le braccia di una donna.  Il piccolino stringe forte un dito della mano della madre. A questa scena non reggo, scoppio a piangere sommessamente...


«Quando sei svenuta, ho visto che avevi un penna con dettagli d'argento. DAMMELA E NON FRIGNARE!», grida il tedesco interrompendo il silenzio agghiacciante della stanza.

Ed ecco che tutte le ultime sofferenze accumulate, adesso raggiungono l'apice.


«NO!» sbotto.

Il generale appare per un attimo smarrito e sbigottito, ma subito si riprende:

«TI HO DETTO DI DARMI QUELLA FOTTUTA PENNA.»
«Perchè?!» chiedo allo stremo delle forze.
«Perchè tu sei EBREA, io sono TEDESCO, tu DEVI obbedirmi, chiaro?! Se voglio la penna, tu non PUOI opporti»

Capisco che ormai ho perso la partita, che io gli consegni la penna o meno, verrò uccisa comunque. O per aver disobbedito, o per aver mancato di rispetto a quel lurido generale. E, se devo essere sincera, preferisco morire stringendo l'unico ricordo che mi è rimasto, come il bimbo stringe il dito della madre.

«La penna è mia.» sentenzio tremando.
«Bene, pistola o coltello? SCEGLI.»

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Capitolo 4
*** Frazione di secondo. ***




«Pistola», rispondo impassibile.
 
Il tedesco mi fissa, immobile.
Stupito di questa fermezza?
Sì, forse.

Avanza verso di me, mi gira intorno due o tre volte, mi scosta i capelli dal volto, mi conduce vicino a tutti i corpi ammassati sul fondo della stanza.
Estrae dalla cintura la pistola, controlla che sia carica, ma non lo è. Dio mio, quanto tempo deve ancora trascorrere prima che possa porre la parola FINE alla mia vita?
Il generale fruga nelle sue ampie tasche. Ecco, ha trovato la scatolina dei proiettili....i proiettili minuscoli assassini, predestinati colpevoli della mia morte.
 
Ed è un attimo, realizzo cosa posso, o meglio, cosa DEVO fare per fotterli, tutti quanti. Potrò pentirmi, potrò fallire, potrò perdere l'occasione della mia vita, ma voglio farlo.
 
«Là!», mi urla il tedesco distogliendomi dai miei fitti pensieri.
Mi sposto, spalle al muro.
Dovrò essere scattante...
Ho la fronte imperlata di sudore.
I riflessi pronti...mi servono solo quelli.
 
Il tedesco si posiziona, davanti a me, lurido, fiero nello sguardo, impassibile, punta la pistola e mi dice:
«Sei solo una sporca ebrea, non meriti altro che la morte!»
 
Abbasso gli occhi.
Vorrei urlargli contro, saltargli addosso, picchiarlo, sputargli contro, graffiarlo, ma non riuscirei a fare nulla, nè voglio davvero provarci.
Ho un piano da attuare ed ogni singolo sguardo o movimento potrebbe tradirmi. Obbediente, quindi, con le mani dietro alla nuca, mi fingo rassegnata.
Ma intanto lo osservo...ha il dito vicinissimo al grilletto, lo accosta un po' di più, lo sfiora, un ghigno si dipinge sul suo volto, sorride, solleva le sopracciglia, mi inquadra bene, alza ancora gli occhi... ed ecco.
Mi accascio per terra, in una pozzanghera di sangue non mio, mentre il proiettile, in una frazione di secondo, si perde nel muro che ho alle spalle. Agghiacciante boato.
...
...
...
...

Dannatamente perfetto.

Ce l'ho fatta, fingendomi morta un attimo prima che il proiettile mi colpisse, io sono ancora qui. Ho sfiorato la morte in tutti i sensi.
 
Soddisfatto di sè, invece, il tedesco si volta, ignaro del mio piccolo grande stratagemma, e così esce dalla stanza, accostando la porta.
 
Sono ancora terrorizzata,
Sono incredula,
Sono VIVA.
 
Ed è questo che conta adesso, stringo la penna e sorrido.

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