Orgoglio e Pregiudizio: antologia moderna a stelle e strisce.

di vampirella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritratto pastorale (con armadietto). ***
Capitolo 2: *** Retate in discarica e scatti d'ira. ***
Capitolo 3: *** Orgoglio Russo ***
Capitolo 4: *** Colpi di...scena? ***
Capitolo 5: *** Dialogues ***
Capitolo 6: *** Gioventù Bruciata. ***
Capitolo 7: *** Intervallo ***
Capitolo 8: *** Perdido Street Blues ***
Capitolo 9: *** Needs and Duties ***
Capitolo 10: *** Doposcuola ***
Capitolo 11: *** Fever Night ***
Capitolo 12: *** Domenica mattina ***
Capitolo 13: *** Prom & Call ***
Capitolo 14: *** Nodi Gordiani. ***
Capitolo 15: *** Shock ***
Capitolo 16: *** Somebody to Love ***
Capitolo 17: *** L'ultimo giorno di scuola ***
Capitolo 18: *** Airport ***



Capitolo 1
*** Ritratto pastorale (con armadietto). ***


Capitolo 1
Un'introduzione del tutto dovuta dalla voce narrante,che dipanerà le vicende dei nostri eroi con imparzialità e un pizzico di ironia.

L'immagine proviene da qui: http://williamcoulson.deviantart.com/


Midgern era una tipica cittadina di quindicimila anime resegate in un territorio pianeggiante, circondato da campi di mais e collegato alle città vicine dalle grandi statali. Aveva un supermercato, una chiesa e un liceo, che sembrava direttamente uscito da un film hollywoodiano da distribuzione home video. Vi si potevano trovare tutti i cliché immaginabili: arroganti campioni di football, cheerleaders dalla testa vuota, clubs di scacchi e di scienze, un giornalino d’inchiesta ed un fumetto satirico.

Sembrava fosse tutto così scontato.

Poi Steve cominciò l’ultimo anno di liceo e le cose cambiarono.

Ma è meglio andare con ordine.

Steven Rogers era il quaterback della squadra di football, i Lions.

Era biondo, aveva gli occhi azzurri, una stazza invidiabile e un’energia sbalorditiva in campo. Era gentile ma deciso, ligio al dovere ma sempre pronto a fare festa e aiutare gli amici in difficoltà. Inutile dire che era il ragazzo più attraente e più popolare della scuola.

Sembrava perfetto, Steve. Insomma, avete letto le righe sopra no? Eppure c’era qualcosa che non andava.

Per prima cosa, Steve non aveva una ragazza.

Non aveva flirt, storie occasionali, fidanzate di lunga data sparite nel nulla: niente. E quando si cercava di scavare un po’ di più nel suo passato sentimentale lui scrollava la testa e cambiava discorso.

Che questa cosa gli pesasse non lo dava a vedere, ma si supponeva non fosse così. In fondo, se avesse voluto una fidanzata sarebbe stato semplice sceglierla fra le miriadi di fan che gli si accalcavano costantemente intorno. Cercava il vero amore? Probabile, ma in cinque anni di liceo vedere un quarterback senza una cheerleader al suo fianco era…strano.

Steve in generale era molto riservato. A scuola lo conoscevano tutti, partecipava agli eventi organizzati dalla comunità e spesso compariva a qualche festa organizzata dalla gente più cool della scuola, ma per il resto non si sapeva bene cosa facesse. Che fosse figlio di un acrobata da circo o di un cuoco francese nessuno lo sapeva: parlava pochissimo di sé e permetteva che a scuola su di lui girassero solo voci. Il resto, buio.

A nessuno però importava più di tanto. Chi era riuscito ad ottenere un minimo di interesse da parte di questo bel ragazzo era soddisfatto, vedendo l’utile che avrebbe portato la sua amicizia. Così, durante gli anni, Steve si era involontariamente circondato di ipocriti. Aveva stoicamente resistito, il quaterback, ma alla fine del quinto anno si rendeva conto che la situazione gli stava sfuggendo di mano. Doveva fare troppi favori a della gente di cui non gli importava niente e che ogni giorno cercava di prendere il suo posto in maniera subdola. A Steve non importava del suo ruolo a scuola, ma non sopportava di essere umiliato dopo tutto il supporto che aveva concesso.

Stava pensando a un cambiamento, Steve. Che fosse partire per l’Europa o cominciare il corso di Economia domestica non sapeva, ma qualcosa avrebbe fatto.

Per prima cosa, si disse, avrebbe aiutato quell’enorme ragazzo davanti a lui ad aprire il suo armadietto. Primo perché lo stava letteralmente scardinando, secondo perché in realtà quell'armadietto era di Steve.

Donald ‘Dan’ Blake odiava le scuole americane. Quando il padre era riuscito finalmente a convincere sua madre a trasferirsi Dan aveva pensato ‘Fantastico’. Ma dopo due mesi e quattro cambi di scuola non ne poteva più.

Per la frustrazione stava prendendo a calci il suo armadietto, quando un ragazzo gli mise la mano sulla spalla.

- Ehi amico, vacci piano. Quello è il mio armadietto! - gli disse, con fare scherzoso il ragazzo dietro di lui. Dan gli restituì uno sguardo interrogativo.

- Come? Non è possibile, io ho il 199. - rispose, guardando il biglietto che teneva in mano.

Steve prese il biglietto, e lo girò.

- Io credo sia il 661. -

Dan ci pensò su qualche secondo.

- Per dimostrartelo compirò una magia. - Steve armeggiò con la combinazione e l’armadietto si aprì di scatto. Dan si sentì improvvisamente molto stupido.

- Scusami. - si limitò a dire, guardandolo di sottecchi. - Sono un idiota. -

- Nessun problema. Capitano a tutti delle giornate no. Sei nuovo? -

- Già. Mi chiamo Donald. - e gli tese l’enorme mano.

- Steve. Da dove vieni? -

- Stoccolma, ma mio padre è americano. -

- Beh, credo che ti troverai bene, qui. Le ragazze già ti guardano con interesse. - si giustificò Steve, osservandosi intorno come per validare la sua ipotesi.

Anche Dan si guardò attorno. - Oh, ehm, ed è un bene? -

- L’ammirazione femminile porta al rispetto maschile. -

- Capisco. - anche se il suo viso esprimeva il contrario. - Sai dove si trova l’aula B3? -

- Fai letteratura inglese? -

- Beh, tanto vale mischiarsi fra gli autoctoni se dovrò vivere qui a lungo. -

I due ragazzi risero.

- Allora, seguimi. Anche io sono in corso. –

Da quel momento i due ragazzi diventarono ottimi amici. Non fu difficile per Dan mischiarsi alla 'fauna' del liceo, un po’ grazie a Steve e un po’ grazie al suo invidiabile fisico. Alla fine del primo mese ottenne circa cinque inviti dalle cheerleader, un paio da altre ragazze carine e moltissime da altre che non aveva mai visto o che erano senza speranza. Non che a Dan importasse, era più concentrato sui suoi voti (aveva come obiettivo quello di ritornare in Europa, alla fine del quinto anno, per studiare in un’università prestigiosa) e di essere nel giro “giusto” senza pestare i piedi a qualcuno. La cosa si rivelò abbastanza semplice, in fondo. Doveva molto a Steve, a cui però bastava averlo come amico sincero e leale. Pian piano Steve mise sempre più distanza dal suo vecchio giro del football per passare la maggior parte del tempo con lo svedese. In fondo seguivano parecchi corsi assieme e si ritrovavano su molte cose. Ma, si rese conto presto Dan, neanche con lui Steve si apriva molto.

Un giorno, al termine della lezione di Calcolo, i due ragazzi si diressero alla mensa per il secondo turno del pranzo, parlando dell’immensa mole di compiti che li aspettava a fine serata.

Prima di poter spingere la porta a vetri che dava sul refettorio gli si parò davanti Virginia Pots.

- Pepper! - sobbalzò Steve, spaventato dall’uscita a sorpresa. Presto diventò rosso come un peperone, sapendo già cosa doveva aspettarsi.

- Steven Rogers! - scandì Pepper. - Ti ho lasciato circa un miliardo di messaggi in segreteria. Hai ancora intenzione di aiutarmi con il fondo per gli Angeli di Midgern o no? Perché se non te ne frega più nulla allora posso cercarmi un'altro collaboratore! -

Pepper era a capo del Consiglio Studentesco. E del Club di Scacchi. E del Club di Oratoria. E di quello… beh, ci vorrebbero un sacco di pagine per scrivere tutto, e non ho voglia. Comunque credo di aver reso l’idea. Alla fine del quarto anno Pepper aveva un curriculum che avrebbe fatto impallidire uno studente dell’Università. Qualsiasi attività ci fosse da realizzare, qualsiasi tipo di volontariato esistesse, lei era della partita. Tutti la conoscevano, a Midgern.

- Mi sono… dimenticato. Quando ci sarà la prima raccolta? -

- Sabato. - Pepper fumava, letteralmente, di rabbia.

- Oh. Beh… ci sarò. -

- Non credere di cavartela così a buon mercato, mio caro! Devi essere punito. -

Steve non riuscì a trattenere un sorriso, mentre il viso della ragazza si addolciva.

- Che devo fare?-

- Un’intervista. Al giornalino della scuola. Sai da quanto tempo desiderano fartela. - continuò lei, mentre Steve scuoteva energicamente la testa in segno di diniego. - Così pubblicizzerai la cosa. Non dire di no, o altrimenti non ti parlerò mai più! -

Steve sospirò. - E va bene. Me la fissi tu? -

- Già fatto. - sorrise sorniona lei. - Domani alle quattro, nella loro aula. Non dovresti avere problemi: ho controllato il tuo orario. Grazie, caro, a sabato! - e scappò via, prima che Steve potesse dirgli qualsiasi cosa.

Dan entrò in mensa, guardando l’amico rinchiuso in silenzio assorto.

- Gli Angeli di Midgern? -

- E’ un’associazione di volontario - spiegò Steve, mentre si mettevano in fila al self service. - Si preoccupano di fornire cibo e altre forme di assistenza in maniera assolutamente gratuita agli indigenti della città.-

- Caspita. -

- Vorremmo sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alle loro attività. Ovviamente Pepper pensa sia una buona cosa che ci sia anche io. -

- Certo. - annuì pensoso Dan. - Per attirare la gente della scuola. In fondo qui dentro sei la persona più popolare. -

Steve lo guardò - Quindi lo pensi anche tu? -

- Non è la questione del pensare. E’ un dato di fatto. –

I due ragazzi, con i vassoi pieni, si misero a cercare un tavolo nell’affollatissima sala da pranzo. Fortunatamente una cheerleader del primo anno fece loro cenno di aggiungersi a lei e alle sue rumorosissime amiche.

-Oche. - in fondo alla sala, nascosta dalla varia umanità che pranzava e discuteva, urlava e camminava, Natasha Romanoff fumava una sigaretta di pessima fattura.

- Cosa hai detto? - urlò vicino a lei Luke Laufey, attento molto più alle parole che scriveva sul suo laptot piuttosto che all’amica.

Nat si girò verso il moro, contrariata. - Ma li hai visti? Per quale motivo devono avere tutto, quei due? Per quale motivo per loro deve essere tutto così maledettamente… semplice? -

- Come? - Luke alzò gli occhi verso di lei, completamente spaesato. - Di cosa…cosa…? -

Nat gli prese malamente la testa, come se fosse intenzionata a spezzargli il collo, e lo girò forzatamente verso il tavolo di Steve e Dan.

- Guardali! - ringhiò la ragazza. - Hanno tutto. Qualunque cosa gli serva arriva qualche dannato ragazzino servizievole pronto a fare i salti mortali per loro. Ti rendi conto che quella merda di Tim Ferguson gli ha promesso i compiti di storia di tutto il semestre? Gratis! Io gli ho chiesto un misero compito di chimica il primo anno e ho dovuto dargli i soldi che mi servivano per le sigarette di quella settimana! -

- Sì, beh, tanto poi non lo hai pagato. Ma di chi parli? Del ragazzo seduto vicino a Steve Rogers? -

- Anche. - con uno sbuffò Nat lasciò l’amico. - Donald Blake. E’ svedese. E’ arrivato da un paio di mesi. -

- Non l’ho mai visto, a essere sincero. - Luke si massaggiò il collo, osservando il ragazzo dagli occhi blu e la risata contagiosa.

- L’avresti VISTO se tenessi gli occhi staccati dal pc qualche volta. - lo canzonò lei. - Come va l’articolo? -

L’altro sbuffò, scorrendolo velocemente. - Lasciamo perdere. - Chiuse lo schermo del pc e lo mise in borsa. - Andiamo a lezione? -

- Francese. Che materia di merda. - Nat si alzò e schiacciò la cicca della sigaretta per terra, poi prese I suoi libri. - Perché abbiamo l’obbligo di studiare due lingue straniere? Tutti parlano l’inglese, no? -

- Senti, dimmi qualcosa di questo Donald Blake. - fece Luke, ignorando completamente il suo discorso.

- Oh. - Nat lo guardò. Luke Laufey era il direttore del giornalino della scuola fin dal secondo anno. Era riuscito a riportare in auge quel pezzo di carta che da anni fungeva semplicemente come bollettino di guerra per gli avvisi del preside o i cambiamenti del menù della mensa. Luke sapeva scrivere, e lo faceva bene: purtroppo era condannato a farlo per denaro (più correttamente, per i soldi che il giornalino poteva fornigli, nella sua tiratura limitata, e spendibili solo per la redazione.) Aveva in programma di pubblicare un libro prima della fine del liceo, e di studiare giornalismo all’università. Sempre che suo padre glielo avesse permesso.

Natasha Romanoff era completamente diversa. Lei non pensava, agiva. Era considerata una dei ‘ragazzi’ irrecuperabili della scuola e come conseguenza passava molto tempo dal consulente scolastico. Non che avesse qualche particolare problema, semplicemente odiava i vincoli e le imposizioni… a Luke piaceva molto perché non era come la lobotomizzata massa di gente che popolava la scuola. Lei aveva una sua opinione sulle cose che le interessavano e non gliene fotteva un cazzo di esporle anche quando sapeva che sarebbero arrivati guai. Che poi le conseguenze non erano così disastrose: Nat picchiava duro (merito delle lezioni di kick boxing che seguiva assiduamente) e sapeva come circuire le varie autorità nei momenti più critici. Il faccino da bambola sicuramente aiutava.

- Donald ‘Dan’ Blake. Capricorno. Altezza: 1,80. Occhi: azzurri. Capelli: biondi. Corsi seguiti:Calcolo, Letteratura Inglese, Tecnologia… -

- Nat, ti prego! Odio quando fai così. -

- Che c’è? Sono precisa! -

- Sembri un soldato! - l’esasperazione di Luke si trasformò in un sorriso malizioso quando vide nel corridoio affollato una figura conosciuta. - A proposito di soldati… -

Natasha Romanoff aveva un punto debole. Oddio, ne aveva diversi: il burro di arachidi, l’ossessivo masticare i tappi delle penne e le sigarette, ma il suo più grosso punto debole era Clint Barton.

Clint Barton era un ragazzo allegro. Non poteva vantarsi di essere una delle persone più importanti del liceo, ma aveva il suo giro. Faceva parte della squadra di arco del liceo, sport abbastanza praticato nella zona. Aveva vinto parecchie medaglie, anche a livello regionale,e si sentiva dire che la Nazionale aveva espresso dell’interessamento nei suoi confronti. Ma Clint non era interessato allo sport: aveva deciso di fare la leva militare subito dopo il diploma e di diventare soldato. I motivi erano essenzialmente due: il primo era che Clint era figlio del Generale Barton, che fin dalla più tenera età gli aveva inculcato concetti come orgoglio patriottico e dovere. La seconda era che dal decesso del padre la famiglia si trovava in ristrettezze economiche. Gli zii del ragazzo davano una mano e gli permettevano di studiare, ma si rendeva conto che non poteva chiedere loro altri sforzi per l’università. La carriera militare era l’unica scelta, e fin dal primo anno di liceo il ragazzo si era rassegnato alla sua strada.

Nat divenne rossa e cominciò a giocare con una ciocca di capelli. Il ragazzo si accorse dei due amici e li salutò con un cenno del capo.

- Ehi Clint, come butta? - gli rispose Luke, dandogli la mano.

- Tutto a posto. Voi? -

- Stiamo andando a francese. - rispose Nat, riprendendosi dal suo stato catatonico, cercando di sembrare più tranquilla possibile. - Tu che fai? -

- Ho Letteratura Americana. Ehi, Luke, ho sentito che hai intenzione di far uscire un’edizione del giornalino dedicata alle associazioni sportive della scuola. Cosa hai in mente per l’Arco? -

- Te lo farò sapere. - sorrise enigmatico il moro. - Aspettati una mia chiamata. -

Clint annuì e fece per continuare per la sua strada, ma Nat lo bloccò.

- Clint, mi chiedevo…è uscito l’ultimo di James Bond, questa settimana. Ti andrebbe di venire con me a vederlo? -

Lui la guardò, tranquillo, senza espressione, per un paio di secondi.

- Mi dispiace, ma non posso… -

- Oh. Magari un’altra volta. -

- Già. - Lui le fece un cenno e scomparve fra la folla. Nat guardò ancora per qualche secondo il punto in cui prima c’era il ragazzo, finché Luke le sussurrò all’orecchio. - Pessima mossa, rossa. -

- Chiudi quella fottuta bocca. - Nat si diresse verso l’aula di francese il più velocemente possibile per poter seminare l’amico, cosa che non riuscì a fare.

- Si può sapere perché ci provi ancora? - gli chiese lui, visibilmente curioso.

- Non sono fatti tuoi. -

- Già immagino. Sia mai che la nostra Natasha non abbia quello che desidera! Sai, le cose non vanno sempre come si spera. -

- Senti, Luke, non rompermi i coglioni. - Nat si sedette all’ultimo banco con il broncio. Subito gli arrivò una palla di carta in piena faccia. - Ehi rossa! Hai incontrato il soldatino? -

Dall’altra parte dell’aula stava arrivando,con la sua borsa sgangherata, Antony Stark.Sorrise complice a Luke, che si limitò a scuotere la testa mentre tirava fuori i suoi appunti dalla borsa.

Tony si sedette davanti alla ragazza e incrociò le braccia. - Avanti, dimmi: cosa ha fatto oggi? -

- Ma perchè siete così interessati a cosa succede con Clint? -

- Perché - si girò Luke. - Tu ci provi ogni santissima volta, e lui ogni santisssima volta ti da’ picche. E tu continui. Stai diventando ridicola, lo sai? Se non picchiassi forte la gente ti starebbe già apertamente deridendo.-

- Ciò non significa che non lo faccia di nascosto. - puntualizzò Tony. Se c’era una persona che aveva tutti i diritti ad andare al MIT, quello era Tony. Era letteralmente un genio e praticamente un nerd. Oltre agli ottimi voti che otteneva senza sforzo, Tony collaborava come stagista per una ditta di meccatronica del paese e spesso dava una mano al personale della scuola per sistemare pc e stampanti. Non c’era tecnologia che non si piegasse sotto il giogo del ragazzo.

Il discorso venne interrotto da Pepper, che si catapultò in aula tutta trafelata. I capelli dritti come spaghetti le uscivano dalla treccia che li teneva elegantemente assieme.

- Sono in ritardo? Ah, no, meno male. - con un sospirò lanciò le varie borse che teneva in mano sulla sedia del primo banco.

- Ehi Pep! Vuoi sentire le ultime? - urlò dal fondo della sala Tony, mentre Nat lo guardava di sbieco e tamburellava sul banco con le dita, incerta se ucciderlo subito o dopo la lezione.

- Dopo. Luke. - si avvicinò al ragazzo. - Steve ha accettato. L’appuntamento di domani è confermato. -

- Splendido. - rispose lui, con un tono che non era proprio di felicità.

Pepper lo guardò un po’ interdetta. - E mi raccomando, niente scenate. -

- Scusa? -

- Dai. Lo sappiamo entrambi cosa causa il tuo ‘giornalismo d’inchiesta’ - la ragazza cercò di sistemarsi i capelli, senza riuscirci. - Ricordi i termini: tu fai un favore a me e io uno a te. -

Luke la guardò come se fosse un alieno, poi abbassò la testa, pensieroso. - Va bene. Niente ‘giornalismo d’inchiesta’. -


Mai fare le cose di fretta. Ho pubblicato il primo capitolo di questa mia fic con i tempi un po' ristretti e troppo tardi di mi sono accorta di non aver spiegato un paio di cose che probabilmente sono importanti.
Quasi tutti i personaggi presenti in questo primo capitolo li conoscete - altrimenti non vedo perchè sareste qui :) ! - eccetto due: Donald Blake e Luke Laufey.
Vabbè, per Luke non ci vuole un genio a capire che non è nient'altro che il Malvagio Fratello Loki. Per quanto riguarda Donald Blake, ecco, qualche tempo fa scoprii dai fumetti Marvel che per un certo periodo di tempo Thor visse sulla Terra sotto mentite spoglie (credo si dica così). Un po' come nel film, anche se l'idea penso sia più simile a Clark Kent/Superman. Comunque, viveva sotto lo pseudonimo di Donald Blake. Non so altro, perchè credo che questo sia successo più o meno negli anni sessanta, ma era giusto per spiegare l'origine del nome. Ho dovuto sostituire i nomi dei personaggi con qualcosa di più umano, poichè la storia è della serie 'romanzetto adolescenziale' e non di avventura. Quindi non si vedranno superpoteri o supercriminali. Anche se qualcuna di voi mi ha già fatto venire un paio di idee...
...eh si, perchè 'sta storia ha, credo, un giorno di vita e ho ricevuto sia recensioni che visite! Devo dire che la cosa mi fa piacere, ma mi fa anche un po' paura. E se poi vi deludo?
A proposito di delusione, il secondo capitolo tarderà un po' ad arrivare, perchè sto traducendo gli ultimi paragrafi di
A prova di proiettile, che a quanto pare ha riscosso molto successo. Vi consiglio di farci un giro, prima di entrare nel vivo di questa storia!
Ho in cantiere anche
Avengers Assemble: la Guerra dei Robot. Ma questa ve la consiglio solo se vi piacciono le storie di avventura e le Het ;)))))
E poi, niente. Vi invito a guardare la mia pagina di profilo: sono pubblicate le storie complete, quelle in cantiere, e nella bio le coming soon.
Sì lo so, mi sono fatta schifosamente pubblicità. Mi farò perdonare.

Ri-edit. Devo smetterla di fare le cose di fretta. Ho corretto tutti gli errori che ho trovato. Spero sia più leggibile e chiaro il tutto. Alla prossima!

Ri-ri-edit: L'immagine è di williamcoulson. Fateci un giro e lasciatele un commento se vi piace!

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Capitolo 2
*** Retate in discarica e scatti d'ira. ***


Capitolo 2

Del come le nostre storie hanno avuto inizio da un'intervista piuttosto irritante.



Cavi. Un sacco di cavi si aggrovigliavano tutt’intorno alla scrivania e un po’ dappertutto per terra.
Luke diede un calcio esasperato a una matassa a pochi centimetri da lui. - TONY! - urlò, al colmo della collera.
Dall’altra parte della stanza spuntò il viso del ragazzo coperto da una maschera protettiva per saldature.
- Che cazzo stai facendo qui? -
- Ciao Luke. Il preside ha tagliato i fondi al laboratorio di scienze. -
- E QUINDI? - gli rispose lui, arrossendo per la rabbia. Stava letteralmente per esplodere.
- Beh ecco... - Tony si tolse la maschera e si grattò la testa. - Ti ricordi il mini-robottino che progettavo per la fiera di Denver? -
- Quello per cui sei entrato di notte nella discarica per trovare un po’ di ferraglia decente, ti sei incastrato nella rete di protezione e hai chiamato terrorizzato Nat nel cuore della notte? Certo. - disse, non capendo bene dove volesse andare a parare, ma non potendo risparmiarsi un sorriso al richiamo di quell’ilare situazione. Almeno per lui.
- Sì. - rispose, muovendo una mano in aria come per cancellarne il ricordo. - Beh, ecco, lo avevo finito. L'ho collegato al generatore…. poi è andato a fuoco il quadro elettrico di un’ala della scuola. Più precisamente quella dei laboratori. -
- Oddio...- sospirò Luke, sconsolato. Ormai era abituato ai casini che quel folle combinava in nome della scienza.
- Ehi, ho sbagliato voltaggio. Succede. - Tony si rimise la maschera. - Ma dopo questo piccolo errore il preside mi ha proibito di lavorare ai miei progetti a scuola. Allora ho pensato… -
- Antony Stark, mi stai dicendo che usi l’aula degli audiovisivi come laboratorio personale per le tue strambe invenzioni? - dalla rabbia Luke sbatté la borsa con i libri su un banco. - E senza permesso da parte dell'autorità scolastica! -
- Mi sembra il minimo, con tutto l’aiuto che ti do’! -
- Ad usare la telecamera e fare qualche montaggio per il ballo di fine anno? Ma se lo fai solo perché Pepper ti obbliga! E comunque avrei preferito che me lo chiedessi, prima! -
- Va bene. Posso restare qui? -
- NO! - Luke gli indicò la porta. - E ti pregherei di uscire da quest’aula subito. Devo lavorare. -
- Che parola grossa! - Tony si arrese e cominciò a radunare le sue cose di malavoglia. - Mi hai molto deluso, comunque. -
- Mi spiace. - disse con il tono di uno a cui invece non importava poi molto, di averlo deluso.
Tony lo osservò mentre apriva il computer e armeggiava con alcuni files. – Oggi hai le ‘interviste sportive’, vero? Chi viene oggi, comunque? Il capitano di scherma? Scacchi? Basket? -
- Steve Rogers. -
Tony si avvicinò all’amico. - Oooooooh il famoso Steven. E come sei riuscito ad ottenere un’intervista con mr-privacy-Rogers? -
- Pepper. -
Tony restò qualche momento interdetto. Poi scosse la testa. - Ha senso. -
Luke si girò verso di lui. – Lei mi ha fatto promettere di essere buono. -
- Ha senso anche questo. Ma lo farai? -
Luke sorrise sornione. – Lo puoi scoprire da solo, rimanendo a sentire. -
- Oh no.- Tony riprese l’aria da offeso. - Qualcuno mi ha appena cacciato da questa stanza. - disse, per rimarcare il suo disappunto.
- Tony… Ti rendi conto che questa è la sala degli audiovisivi, vero? Che non è attrezzata per le tue pazzie tecnologiche? -
- Non darei fastidio, lo giuro. Devo finire solo alcune simulazione al pc… - Tony cominciò a saltellare alternativamente sui piedi. - Tipregotipregotipregotiprego… -
Luke sospirò, rassegnato, e Tony fece un grande sorriso.
- Grazie amico. -
- Prima di chiamarmi amico cerca di non far saltare in aria tutto, ok? Altrimenti ti uccido. -
- Guarda, mi metto in quell’angolino là, nascosto tra i vecchi pc della segreteria, a fare le mie piccole scintille… -
- …Disturbo? - un’alta figura si prospettò davanti l’uscio. I due amici restarono per un momento interdetti per la sorpresa.
- Figurati. Ciao Steve, entra. Sei pronto per l’intervista? - rispose Luke, cercando di allontanarsi dallo scienziato pazzo.
Steve varcò l'uscio un poco a disagio, scambiando un’occhiata di striscio con Tony che lo osservava nello stesso modo in cui si osserva un leone allo zoo. Nessuno dei due sembrava fosse intenzionato ad aggiungere qualcosa.
- Ehm, Steve, conosci… - cercò di introdurre Luke.
- … Tony Stark. Di nome, sì. - Steve sfoderò uno dei più bei sorrisi di cui era dotato e porse la mano al ragazzo. - Ho sentito che hai fatto saltare il laboratorio di scienze. Di nuovo. -
- Non esattamente, ma ehi, a scuola si raccontano un sacco di cazzate. - rispose Tony alla stretta, con un sorriso velenoso. - Chissà quante voci false girano su di te. Per esempio, quella che ti da’ come il più dotato della squadra di football… - Tony si vide sbattere in faccia uno dei quaderni appena appena usciti dalla cartella di Luke.
- TONY! Vai in fondo e non muoverti per nessun motivo al mondo! -
- Anche se va a fuoco la scuola? -
- Specialmente! - I capelli di Luke erano un poco sconvolti dagli ultimi avvenimenti. Si girò verso il capitano di football sfoderando un sorriso falsamente gentile e lo invitò a sedersi. Quando entrambi si furono accomodati Luke fece partire il registratore dal suo notebook posto in mezzo a loro come una muraglia. Steve sembrava rilassato, anche se non si appoggiava allo schienale della sedia. Era in tensione, anche se cercava abilmente di nasconderlo.
Le prime domande furono pura formalità. Menate sulla squadra, i punti, i giocatori, le partite…a Luke non interessavano queste storie che facevano impazzire i maschietti della scuola. Lui voleva altro. Voleva storie, verità, dissenso e scoop. Voleva notizie.
- Allora Steve. Parliamo un po’ di te. Quarterback della squadra del liceo. E’ una bella responsabilità, vero? -
- Non posso negarlo. -
- Hai mai sentito la pressione della popolarità? Il peso delle responsabilità per la squadra? Perdere una partita significa rimetterci una possibile borsa di studio, specialmente in questo periodo dell’anno… -
- Ne sono consapevole, Luke. - Steve si esibì in un sorriso strafottente. - E comunque sì, ne sento il peso ma la so gestire da molto tempo. -
- Insomma, nessuna debolezza. -
- Tutti hanno delle debolezze, compreso il sottoscritto. -
- Oh, per fortuna sei abbastanza intelligente da ammetterlo. -
- Come prego? - Steve restò un attimo interdetto per quella frase: lo stava insultando oppure no?
- Il famoso quarterback della scuola ha delle debolezze, ma anche dei segreti. Ci si chiede da molto tempo cosa nascondono i tuoi silenzi, il tuo ‘basso profilo’. Girano tante storie su di te, mio caro Steve, ma a noi piacerebbe avere qualche conferma o smentita, riguardo alla tua vita. -
- Non credo siano affari del giornalino. - replicò seccato il biondo. Si mosse a disagio sulla sedia mentre restituiva uno sguardo di fuoco al suo intervistatore. Ma Luke non aveva intenzione di smettere.
- Dove sei nato? Chi sono i tuoi genitori? Come passi il tempo libero? -
- Ti ripeto che non sono affari tuoi. - disse, scandendo in maniera affettata le parole.
- Dai, è ridicolo. Ti rifiuti di rispondere a queste semplici informazioni? Cosa nascondi? - Luke si sporse leggermente verso il biondo, molto interessato alla conversazione.
- Io me ne vado. - Steve si alzò rumorosamente. Dall’altra parte della stanza Tony guardava il litigio con stupore e curiosità. Era raro vedere Rogers fuori dai gangheri. Anzi in campo era così apprezzato per il suo sangue freddo…
- Hai una ragazza? O dovremo dire ragazzo? -
Steve si bloccò ad un passo dalla porta ma non si voltò verso il suo interlocutore.
- Tasto dolente? Vediamo…. forse il quarterback cerca strenuamente di nascondere la sua vera sessualità per non perdere la popolarità acquisita. O forse la verità è ancora peggiore. - Luke lo stava provocando. Un sorriso cattivo comparve sulle labbra.
Steve finalmente si girò, fece qualche passo e si mise davanti a Luke. Si abbassò in modo tale da avere il suo volto a pochi centimetri di distanza e lo fissò per un lungo istante. Nella stanza si ebbe un silenzio carico di elettricità.
Poi Steve sbatté un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare i due ragazzi. Tony si avvicinò ai due, preoccupato.
- Senti, è meglio che te ne vai. - disse al biondo, obbligando a sedere Luke che nel frattempo si era alzato.
- E’ quello che ho intenzione di fare. - sbuffò lui. Quando Steve un nuovo silenzio si creò nella stanza.
- Certo che ci sai proprio fare, Luke. – iniziò Tony, con tono marcatamente sarcastico, mentre tornava alle sue faccende.
- Ehi, è il mio lavoro. O quello che vorrei diventasse il mio lavoro. -
- Strano, pensavo volessi fare il giornalista, non il cacciatore di gossip. -
- Cosa credi che venda questo giornale? Il blaterare sulla filosofia della scherma? -
- Cosa… -
- Credi che mi diverta a fare queste cagate? Le interviste agli sportivi? Una massa di idioti che credono di essere migliori perché sono bravi a maneggiare una palla, o quello che è. -
- Noto un certo risentimento… -
- …se il giornalismo, o la scienza, fossero considerate fighe saremmo noi i capi di questa scuola. Invece siamo considerati degli sfigati della peggior specie. E sai perché? Perché per essere come noi ci vuole sacrificio. E il ragazzino medio appena entrato nel periodo adolescenziale e in cerca di obiettivi non ha un cazzo di voglia di sbattersi. Puoi farlo correre quanto vuoi, ma guai a farlo pensare! E’ troppo difficile, la società l’ha reso troppo difficile. E’ tutto calcolato. -
- Sarà quello che vuoi, ma comunque ti sei comportato male con quel ragazzo. -
- Intanto per domani so già cosa scrivere e so già che venderò. E le vendite, oltre che venire in tasca alla redazione, non fanno chiudere il giornale, e questo resta sul curriculum … dove vai? -
- A casa. L’hai detto tu che per realizzare quello che faccio devo impegnarmi. Credo rivolgerò il mio impegno al compito di domani. Buona serata, giornalista d’assalto, e spera vivamente di non esserti scavato la fossa da solo. -
Luke rise, ma forse avrebbe pensato di più alle parole di Tony, considerando cosa successe il giorno dopo…
 

Finalmente ecco il secondo capitolo. Credo di riuscire a pubblicare abbastanza frequentemente dalla prossima settimana in poi, ma mai dire mai. Certo la neve aiuta J. Scherzi a parte. Fatemi sapere cosa ne pensate! A presto!

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Capitolo 3
*** Orgoglio Russo ***


Capitolo 3
Di come il tiro con l'arco c(')entri questa storia.

… permettetemi di fare una digressione. Sarete impazienti di vedere cosa succede alla pubblicazione dell’intervista e delle varie vicissitudini che ne conseguirono (senza parlare di casini veri e propri) ma mi preme di raccontarvi un po’ sulla bella amazzone fulva e il soldatino di ferro. I due, come avrete già intuito, sono una coppia ben strana: lei ribelle, lui ordinario, lei sboccato, lui controllato… che a Clint uscire con Nat fosse l’ultimo dei suoi pensieri può sembrare ovvio, eppure c’era stato un momento che tanto ovvio non era.
Era il primo anno. Le matricole si aggiravano spaesate, quell’autunno, e non diversamente dagli altri anni. Qualche idiota del quinto anno aveva già scelto quelle da tartassare. Nat era diventata famosa per aver spaccato il naso in terza media ed essere stata sospesa ad un mese dalla fine della scuola. Anni dopo si rese conto che non era stato poi così intelligente quella mossa, ma ehi, McCarty aveva insultato sua madre. E queste cose non si possono perdonare.
Durante l’ora di educazione fisica Nat correva. Avrebbe preferito giocare a calcio o a baseball, ma nella scuola non c’erano squadre femminili di quel tipo. Aveva deciso che, piuttosto che mettersi a fare aerobica o pallavolo, le sarebbe stato più piacevole macinare chilometri con nelle orecchie le cuffie dell’Ipod. Tra l’altro le ragazze del suo anno non le andavano molto a genio: odiava la loro continua ossessione per lo specchio e i gossip e non sopportava dover essere criticata perché i suoi jeans erano sporchi o i capelli erano in disordine. Era a scuola per studiare, mica per una sfilata di moda.
Insomma, Nat correva. Cinque miglia e poi una doccia e poi a casa. A lei stava bene, tant’è che ginnastica cadeva di venerdì pomeriggio alle ultime ore. Stava pensando a come organizzare il weekend quando buttò un occhio nel campo vicino. C’erano dei ragazzi che si allenavano al tiro con l’arco. Uno in particolare era veramente bravo: non molto alto, i capelli castano chiari e lo sguardo assorto.
Nat si avvicinò alla rete metallica e osservò i ragazzi incuriosita. Era la prima volta che vedeva esercitarsi a quello strano sport.
- Romanoff! Che stai facendo? - La prof. Devon la richiamò dall’altra parte del campo.
Il ragazzo si accorse di lei che stava già per riprendere la sua maratona personale. - Ehi- la chiamò. - Sei interessata? -
- Come prego? - rispose Nat mentre si avvicinava di nuovo alla rete.
- Vuoi provare il tiro con l’arco? Per l’ora di ginnastica, intendo. -
- Oh, non credo di averlo come scelta. - un piccolo sorriso comparve sulle labbra della ragazza.
- Per quello ci penso io. - il ragazzo girò la testa e urlò - Prof. Fuller! -
- Barton? - il professore rispose anch’esso urlando.
- C’è una matricola che vuole provare, che ne dice? -
- Va bene. Avverto la Devon, te ne occupi tu? -
- Affermativo, professore. -
Nat attraverso l’apertura che separava i due campi mentre lui la aspettava.
- Come ti chiami? - gli disse, mentre calibrava l’arco e sceglieva le frecce.
- Natasha. Natasha Romanoff. Come facevi a sapere che ero una matricola? -
- Al primo anno non si può scegliere. Io dovetti ripiegare sul baseball, che non era male comunque. Io sono Clint Barton. Ora, vieni con me e ti insegnerò i segreti più reconditi di questa disciplina. - le rivolse un sorriso sincero e lei fu felice di ricambiare.
Da quel momento in poi il venerdì pomeriggio Nat faceva tiro con l’arco. Man mano l’anno passava si rendeva conto di quanto aspettasse con ansia quel momento della settimana, ma non ci faceva caso. Sapeva solo che non vedeva l’ora di mettersi i calzoni, impugnare l’arco e salutare Clint.
Poi un giorno, appena entrata nel campo dedicato ai loro allenamenti le parve di notare uno sguardo depresso nel suo arciere preferito.
- Ciao. - gli rivolse uno dei suoi più bei sorrisi, ma lui non lo ricambiò. - Qualcosa non va? -
- Ehi. - Clint sembrava stanco. Fece per rimettere in direzione l’arco verso il bersaglio e prendere una freccia. - No, io… tutto bene. -
- Oh…ok. - I due erano diventati molto amici, ma Nat aveva ancora qualche tentennamento a parlare di cose ‘personali’ con lui, non voleva sembrare troppo invdente. In fondo lui era più grande…
I due cominciarono ad allenarsi. Di quando in quando la ragazza lanciava sguardi preoccupati all’amico, che sembrava immerso nei suoi pensieri. Le due ore finirono in fretta ma Clint non dava segno di essersi stancato. Nat decise di tenergli compagnia: in fondo allenarsi mezz’oretta in più non cambiava poi molto. Solo che la mezz’oretta diventò un’ora e mezza.
- Clint. - Nat si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. - Tra mezz’ora il custode chiude. Dobbiamo andare. -
- Cosa? Ma che ore… - Clint parve svegliarsi all’improvviso. Poi si grattò la testa. - Cavolo Nat, mi dispiace un casino! Perché non sei andata con gli altri? -
- Mi dispiaceva lasciarti solo. - alzò le spalle lei. - Pensavo avessi bisogno di qualcuno con cui… beh… non che io… - Nat si rese conto di quanto difficile fosse dire quelle parole. Clint la osservò serio per interminabili secondi, poi la abbracciò sorridendo.
- Per fortuna che ci sei tu. Almeno tu, cavolo. - Da sotto il suo abbraccio Nat si sentì le guance in fiamme. Era una fortuna che lui non vedesse il suo volto.
Quando l’abbraccio finì Clint si decise a parlare. - Oggi mi hanno rifiutato la borsa di studio. Di nuovo. -
- Oh. - Nat si sedette sull’erba, e lui la imitò. - Mi dispiace molto, non puoi… -
- Ho già tentato qualsiasi cosa. Speravo che il tiro con l’arco mi potesse aiutare, ma non è stato così. Ho paura che la carriera militare resterà la mia unica scelta. -
- E tu non vuoi? -
- In verità… no. Preferirei entrare nella nazionale di tiro, ma temo non sarà possibile. - Clint sospirò, poi si girò a guardare il campo da football. - Ho sbagliato sport, credo. -
Nat non disse niente.
- Scusami, non dovevo dirtelo, è solo che… I miei amici non capiscono. -
- Mi fa piacere che tu ti confidi con me. - disse la rossa, accarezzandogli una mano.
Lui la guardò incuriosito. - Sai, avevo già sentito parlare di te, la prima volta che ti ho visto. -
La ragazza alzò il sopracciglio. - Davvero? -
- Sei la tipa che ha rotto il naso a uno, alle medie. -
- E questa cosa che reazione ti provoca? -
- Mi fa…ridere. Pensavo fossi un mostro, ma mi sbagliavo. -
- Ehi, non vado mica in giro a picchiare la gente! Cioè lo faccio, ma ho sempre un motivo. -
I due risero. Nat vide Clint fissarla, e si accorse di non poter reggere il suo sguardo. Si alzò, spolverandosi I pantaloni.
- Dovremmo andare, credo. - disse lei. Anche il ragazzo si alzò e si diressero verso gli spogliatoi. Clint le mise un braccio sulle spalle e lei si rese conto di essere contenta del fatto di essere diventata più intima con lui. Gli voleva bene, lo ammetteva, e lo ammirava molto,ed era così felice quando stava assieme a lui…
- I bus non passano più a quest’ora, amica mia. Ti va un passaggio? -
Così si trovarono davanti al vialetto dei Romanoff alla fine di quello strano pomeriggio.
- Grazie per il passaggio, Clint. Cerca di stare su per la faccenda della borsa di studio. In fondo mancano ancora due anni, tutto può succedere! - disse lei nella maniera più allegra possibile.
Lui sorrise triste. - Ti ringrazio Nat, per tutto. Di essere stata con me fino alla chiusura. Di aver ascoltato il mio sfogo, di essere la mia compagna di allenamenti e di star cercando di consolarmi. Sono contento di averti invitato ad unirti a noi, quel venerdì pomeriggio. -
Nat arrossì per la seconda volta, e per la seconda volta riuscì a nasconderlo per via del buio della sera.
Si guardarono per un breve periodo. Poi, come se si fosse riscosso da un sogno, Clint la salutò e lei uscì dalla sua macchina.
Non fece che pensare a lui per l’intero weekend.

Il lunedì dopo, a scuola, raccontò tutto a Tony, che sorrise divertito.
- Ti sei fatta un fidanzato, Natty? - la punzecchiò lui, che di rimando gli diede una gomitata nelle costole.
- Senti, ciccione, io non mi sono fatta il fidanzato, ok? Clint è mio amico e basta. - la ragazza soffiò nella sua direzione.
- Ehi! Non sono ciccione. E comunque da come ne parli sembri fottutamente innamorata. -
Nat si riscosse. Innamorata? Lei? Ma per favore! Poteva ammirare Clint, volergli bene ed esserci affezionata, ma innamorata… andiamo! Nat rise forzatamente, ma per tutto il giorno pensò alle parole del suo amico ciccione.
E lo fece anche martedì.
E anche mercoledì.
Giovedì si rese conto che mancava un giorno all’allenamento e il cuore le fece una capriola nel petto.
Venerdì si presentò al campo dopo aver perso mezz’ora a sistemarsi i capelli e a mettersi il lucidalabbra.
Non sapeva perché, ma aveva voluto farlo.
Clint si stava allenando nella parte più lontana del campo. Lo raggiunse e lo salutò.
Lui le fece un cenno e tornò a concentrarsi sui suoi lanci.
Lei parlò del più e del meno, e lui la ignorò.
Lei gli chiese come andasse a scuola e lui rispose forzatamente.
Lei gli chiese se aveva novità per la borsa di studio e lui le disse che non ne voleva parlare, poi mise via l’arco e la salutò.
Lo stesso trattamento si ripeté tutti i venerdì pomeriggio fino alla fine dell’anno scolastico.
Nat era furiosa: perché mai improvvisamente lui la trattava così? Che cosa gli aveva fatto per ricevere quello sdegno dall’arciere? A nulla erano servite le sue richiesta di chiarimento, di confronto, poiché lui rifuggiva ogni volta che lei cercava di venire al punto della questione. La cosa finì tristemente lì, poiché con la fine della scuola si vide catapultata a trovare i nonni in Russia.
L’anno dopo ricominciò con la corsa e fino a dicembre riuscì ad evitarlo. Poi un giorno si ritrovarono nel corridoio comune dello spogliatoio, pronti per tornare a casa.
Nat, un po’ imbarazzata, iniziò con un - Ciao Clint, come va? -
Lui, neutro, le disse che andava tutto bene. - Tu come stai? -
- Bene. Bene, grazie. - Clint fece per voltarsi, ma all’ultimo minuto gli lanciò un tenero sorriso e se ne andò.
Nat sentì qualcosa sciogliersi nel suo petto e le vennero in mente le parole di Tony. Si rese finalmente conto, dopo un anno, di essersi perdutamente innamorata di Clint Barton.
Da quel momento cominciò la caccia all’uomo, ma Clint era imprendibile. Inviti, lettere, appostamenti… non serviva a niente. Eppure Nat sentiva che c’era qualcosa sotto, quella sera al campo erano entrati in sintonia, avevano provato qualcosa… ma allora perché lui si comportava in quel moto?
Natasha Romanoff non sapeva dirlo. Ma sapeva una cosa: lei non perdeva. Né a botte, né in qualsiasi altro ambito della sua vita. Voleva Clint, e lo avrebbe ottenuto.

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Capitolo 4
*** Colpi di...scena? ***


Capitolo 4
Dove un giorno movimentato da' il via al corso degli eventi.


Il giorno dopo Pepper aveva il compito di Economia. Essa si trovava in classe, seduta al primo banco, in attesa del suono della campanella, mentre si torceva nervosamente le mani cercando di ripassare mesi e mesi di lezioni per essere sicura di non essersi dimenticata qualche particolare importante. Che poi si sapeva bene che Pepper meno di B non prendeva mai e che le sue erano preoccupazioni inutili, ma tant’è, per essere sicura di fare tutto per bene, ogni santo compito in classe si ripeteva sempre la stessa manfrina.
Solo che quel giorno qualcuno le sbatté il giornalino della scuola sul banco interrompendo i suoi pensieri e facendole prendere un colpo.
- Che cosa è questo? - Steve appariva sconvolto. Attorno a loro si radunarono alcuni ragazzi attirati dalla presenza del quarterback, che a quell’ora aveva ben tutt’altra lezione.
- E’ il giornalino della scuola. - rispose la ragazza dopo essersi ricomposta.
- Questo lo so. - Steve si sentì incapace di parlare. Abbandonò il giornale sul banco e si massaggiò il collo, come per calmarsi. - Lo hai letto? -
- Non ancora… Perché? -
La campanella suonò. Il biondo, ancora scosso, cominciò a correre verso il corridoio.
- Fammi un favore: appena puoi, leggi l’articolo su di me. E poi ricordami di non farti più favori. –

- Vieni da me alle tre, ok? Ti assicuro che non sarà una cosa molto lunga. - Tony si appoggiava alla fila degli armadietti con nonchalance mentre parlava con Clint, più intento a sistemare i suoi libri che ad ascoltarlo. Nonostante tutto sul suo viso si dipinse un sorriso di sufficienza.
- L’hai detto anche ieri. E l’altro ieri. Tony, sono impegnato… -
- …lo so, lo so… dai Clint! E’ l’ultimo anno per te! Sono gli ultimi favori che mi farai, che farai per la scienza! -
Clint scoppiò a ridere.
- Mi mancheranno le tue cazzate, Tony. -
Il ragazzo si rabbuiò un poco. - Non sono cazzate. Non hai idea che cosa ci sia dietro a questi progetti, la fatica che faccio per realizzarli… -
- Quello che non capisco - lo interruppe Clint, appoggiandosi all’armadietto vicino, i libri in mano. - E’ perché ti ostini a lavorare qui, a scuola. Hai una bella casa e se non mi ricordo male anche un garage, e non credo che tuo padre non ti dia il permesso di lavorarci dentro. Perché ti ostini ad inimicarti mezzo personale scolastico facendo, non so, esplodere i quadri elettrici? -
Tony sospirò scuotendo la testa. - Ecco io… - Con la coda dell’occhio vide Pepper passargli rapidamente davanti. Poi come a ripensarci, si piazzò davanti a lui.
Il corridoio era pieno di gente che urlava e chiacchierava allegramente: mancavano dieci minuti all’inizio delle lezioni dopo l’intervallo.
- Tony! - Pepper gli prese un braccio. Il ragazzo si irrigidì: l’amica sembrava più arruffata del solito. - Dov’è Luke? -
- E io che ne so? Prova in redazione… -
- Maledizione! Sai che cosa ha fatto? -
- Alludi all’articolo su Rogers? Credo sia un bel lavoro. - s’intromise Clint. Pepper gli lanciò uno sguardo d’odio.
- Dare del bugiardo al quarterback della scuola? Scrivere delle ‘milioni di bugie’ di cui si circonda per avere popolarità? Insinuare sulla sua omosessualità? -
- Che cosa? - Tony strappò di mano il giornale che Pepper stringeva convulsamente. - Non ci credo! E’ fuori? -
- E’ MORTO. - scandì Pepper. - Devo solo trovarlo. -
La ragazza li abbandonò senza un saluto. I due si guardarono.
- Non per difendere Mr. Popolarità, ma l’intervista non si è svolta proprio così. - I due si diressero verso l’aula di Disegno, mentre Tony buttava nel cestino l’oggetto del loro discorso.
- Lo immagino. E capisco anche perché Luke abbia voluto scrivere di questo. Sai che la tiratura è andata esaurita dieci minuti prima della prima campanella?
- Ho ordinato la ristampa per domani mattina. - da dietro di loro spuntò fuori Luke, chiudendo lo sportellino del cellulare. - Prevedo l’acquisto di una telecamera nuova per la redazione. - sorrise soddisfatto.
Tony lo bloccò. - Pepper ti cerca. -
- Lo so, l’ho vista ed evitata. Peccato non poter aver sempre questa fortuna. -
- Potresti darti malato per circa… un anno e mezzo. - disse ironico l’amico, con finto fare pensoso.
- E perché dovrei farlo? Non ho paura delle sue minacce. -
- Ah sì? Allora affrontala subito. -
- Sono impegnato. - e come per rimarcarlo, si sistemò la tracolla della borsa dei libri. - Ho la presentazione di un progetto la prossima ora. Ci mancava una scenata di Pepper a farmi saltare i nervi… -
Clint, che assisteva la scena, alzò gli occhi dietro le spalle di Luke. Tony se ne accorse e si girò, anche lui curioso. Vedendo che ormai nessuno gli stava dando corda, il moro fece altrettanto.
- Tu sei Luke Laufey? - gli disse il ragazzo dietro di lui.
- Sì, e tu sei Donald Blake, da quello che so. -
- Esattamente. Ho letto l’articolo che hai scritto su Rogers. -
- E… - Luke stava per dire ‘Quindi’ ma qualcosa lo fermò all’istante. In realtà quel qualcosa era il pugno di Donald Blake sul suo naso. Ci mise poco a sanguinare. Il suo naso, ovviamente.
- Razza di… - Luke si accasciò per terra, mentre il ragazzo se ne andava senza una parola.
- Ehi, MOSTRO! Torna qui se hai coraggio! Ti faccio espellere, schifoso bastardo! -
- Senti chi parla. - gli rispose di rimando Dan. - La prossima volta che ti permetti di insultare così il mio amico non sarà solo il tuo naso ad avere problemi. -
Tony prese per un braccio Luke e lo spinse lontano dal capannello di ragazzi che si erano radunati ad assistere alla scena.
- Stronzo… schifoso… -
- Sì, Luke, va bene, ma adesso andiamo in infermeria, ok? - Tony cercava di trattenere il ragazzo che tentava in tutti i modi di dirigersi verso lo svedese con l’intenzione di scatenare una bella rissa. Anche se difficilmente avrebbe vinto lui.

Nat guardava fuori dalla finestra mentre il prof di Geografia illustrava l’importanza di…oh, chissenefrega comunque. Pensava a come le sarebbe piaciuto bigiare quel giorno, andare in centro e sedersi al bar a guardare la gente correre in giro per la città, mentre lei si beveva il suo caffè in santa pace…
Sentì il vibro del cellulare: era arrivato un messaggio. Era Clint.
Il cuore le saltò in gola.
Lesse ‘Luke è in infermeria.’
Alla campanella scattò verso la porta. Fu la prima a uscire nel corridoio.
- Dov’è? Dov’è? - disse, appena aperta la porta e trovandosi davanti all’infermiera.
- Non mi risulta tu abbia fatto a pugni questa volta, Natasha. - la salutò con un tono benevolo l’infermiera Gertrude.
- Io…aspetti! Lei è prevenuta! Sto cercando… -
- Laufey? E’ tornato a casa. Niente di preoccupante comunque. - sospirò, alzando gli occhi dai fogli che stava compilando, seduta alla scrivania. - Voi ragazzi… non imparerete mai, vero? Lo scontro non è l’unico modo per risolvere i problemi. -
- Buona giornata, signora Bauer. - chiuse il discorso la rossa.
Nat pensò bene di cercare Clint, a pranzo, per farsi raccontare meglio la cosa.
Certo, avrebbe potuto chiamare Luke, ma sicuramente non avrebbe risposto alle sue chiamate. Sicuramente…ehm…
- Ciao Clint. - la ragazza si sedette vicino all’amico che stava tranquillamente mangiando la sua insalata mentre ripassava la lezione dell’ora successiva. Lui non gli rispose, avendo la bocca piena, ma gli concesse un cenno del capo. - Ho letto il tuo messaggio. -
- Luke dov’è? -
- E’ andato a casa. - Nat si ravvivò i capelli con le mani. - Si può sapere che è successo? -
Clint mandò giù un boccone. - Hai presente Dan Blake? Lo svedese? -
- Come non notarlo? - sorrise civettuola la ragazza.
- Ha spaccato il naso di Luke. -
- Perché? -
- Hai letto il giornalino della scuola, oggi? L’articolo sul quarterback? Beh, sapevo che quei due erano amici, ma non avrei mai pensato… -
- Cosa? Tu credi che… -
- Beh, riflettici: non tanti ragazzi si metterebbero nei guai, o peggio, si arrabbierebbero tanto per aver preso di mira uno dei loro amici. Si fosse incazzato il diretto interessato l’avrei capito, ma agire quel modo da parte sua mi fa pensare… -
Nat scoppiò a ridere. - Ma ti pare che quei due possano stare assieme! Insomma, io Blake non lo conosco, ma Rogers! Rogers è assolutamente etero! -
- Cosa te lo fa pensare? - Clint aveva richiuso il quaderno degli appunti e la guardava incuriosito.
- E’ un quarterback! -
- E allora? Lo hai mai visto con una ragazza? Lo hai mai sorpreso a pomiciare dietro il campo da gioco? -
- No, ma questo non significa che… non sia etero. -
Clint sbuffò, ilare. Si alzò dal suo tavolo e fece per congedarsi dalla ragazza che lo fermò con una domanda. - Vuoi venire con me a trovare Luke, dopo la scuola? -
- E perché mai? -
- Pensavo ti preoccupassi per lui. Mi hai mandato un messaggio, mi hai chiesto come sta… - il ragazzo scrollò le spalle, come per dire che la cosa non lo preoccupava più di tanto. Nat rincarò la dose.
- Potremmo prenderci un caffè, dopo…-
- Senti Nat lascia perdere, ok? - Clint la scartò bruscamente e si diresse verso il corridoio. La rossa sentì ribollire il sangue. Lasciò tutte le sue cose al tavolo e cominciò a rincorrerlo.
- Oh no mio caro! Io non lascio perdere ok? - gli sbarrò la strada. - Mi spieghi cosa ti ho fatto, per l’amor del cielo? Tu eri… il mio miglior amico fino a poco tempo fa e adesso non fai che evitarmi. -
Clint la guardò negli occhi. - Per favore… -
- Lo vuoi anche tu un pugno sul muso? Dio, mi fai così ARRABBIARE quando fai il condiscendente! - la ragazza si mise in posizione. Aveva una gran voglia di picchiarlo, quello stronzetto.
Il ragazzo sospirò e abbassò la testa, sconfitto. - Lo sai, vero, che sono innamorato di te? -
Natasha Romanoff sentì il suo cuore cadere tra le viscere. Sbatté le ciglia un paio di volte, ma non metteva a fuoco poi molto. Cercò di articolare qualche parola, ma anche quelle tardavano a uscire. Clint non aspettò una sua risposta, ma se ne andò al corso successivo.
Nat stette ferma nel corridoio finché non suonò la prima campanella del pomeriggio.

Ok, eccoci al quarto capitolo. Cosa dire: la faccenda è abbastanza complicata. Forse voi ancora non ve ne accorgete, ma mi sto incasinando nello scrivere il seguito. Come mi han fatto notare fino ad adesso Bruce non compare. Ma arriverà e, dico io, per fortuna! Altrimenti non saprei proprio come certe situazioni si potranno risolvere. Tra l’altro l’ho messo in pairing con una certa persona, sono proprio curiosa di sapere come la prenderete!
…sono contenta che questa storia piaccia. Siete state tutte molto gentili con i vostri commenti e mi spronate ad andare avanti! Comunque ricordatevi sempre che le critiche sono ben accette! Capitoli più lunghi/più corti? Certe cose non tornano? Ditemelo tranquillamente! Efp per me è un divertimento ma anche una palestra per migliorare la mia scrittura, quindi non fatevi problemi!
Ringrazio in particolare
roby_lia, Glitter Princess, Deansorri_1995 per i loro commenti negli ultimi capitoli. Il prossimo capitolo uscirà tra una decina di giorni, quindi vi auguro un Buon Natale. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Dialogues ***


Capitolo 5

Dove le scuse sono accettate ed i pensieri espressi.

A un tratto, nel laboratorio degli audiovisivi, si sentì un urlo isterico farcito di ogni volgare interiezione conosciuta nel globo.
- Oh, si! Porca puttana sì! - Tony saltava come un canguro per tutta la stanza, mentre il prototipo del braccio cibernetico su cui lavorava si muoveva da solo, sollevando pesi invisibili.
Il ragazzo si rilesse i suoi appunti, corresse alcune note e chiuse orgogliosamente il quaderno. Si preparò per andare a casa: spense le luci e si diresse verso il parcheggio.
Non c’era più anima viva nel perimetro della scuola ma d’altronde erano le sei e mezza. Guardò i campi da gioco, chiedendosi se ci fosse qualche allenamento fuori orario: era normale che gli sportivi si fermassero più del previsto, specialmente se c’era di mezzo qualche partita importante.
Notò una figura in lontananza correre come un forsennata, da sola, sulla pista di atletica: era Steve Rogers.
Non si aspettava di trovarlo lì, quel giorno, dopo tutto il casino che era successo. Dopo aver compiuto quel gesto violento, lo svedese era stato convocato dal preside insieme a Tony e a Clint, testimoni della scena. L’arrivo di Steve era inevitabile e la lettura dell’articolo fatale fu eseguita frettolosamente (e a voce alta) dal preside, mentre il quarterback diventava rosso di vergogna e di rabbia.
Steve era stato umiliato davanti a tutta la scuola e al Preside in un giorno solo.
Tony si sedette sugli spalti a osservarlo. Correva senza fiato mettendo in mostra un’energia ammirabile; si notava però che aveva la testa altrove. Dopo un quarto di giro lo notò e si avvicinò a lui.
- Come mai sei ancora qui, Tony? - gli chiese il biondo, dopo essersi asciugato il viso con una salvietta.
- Potrei farti la stessa domanda. - Tony accavallò le gambe e lo osservò. Steve si voltò verso il campo da gioco. - Dovevo fare qualcosa per scaricare la rabbia, dopo la figura di merda che mi ha fatto fare il tuo amico. - si sedette vicino al bruno. - Non dovrei dirlo, ma sono contento che Dan gli abbia tirato un pugno in faccia. -
- Peccato che si sia beccato tre giorni di sospensione. - replicò Tony. - Luke è stato un po’… eccessivo. -
- Io lo definirei più un ficcanaso, per essere gentile. -
- E’ solo che quando si mette in testa di fare una cosa non vede nient’altro che questa. Eri una bella notizia. - gli sorrise, ironico. Anche Steve gli rispose anche lui con un sorriso.
- Beh, suppongo sia il cerchio della vita. Era troppo aspettarmi un tranquillo ultimo anno di scuola, giusto? -
- Perdonami, ma la tua esistenza qui non si può proprio definire ‘tranquilla’. -
- Come? -
- Sei il ragazzo più popolare della scuola. Tutte le ragazze ti vengono dietro, conosci tutti, i professori ti rispettano e ti si presentano le migliori opportunità sulla piazza. -
- Oh. - Steve si grattò la testa. - Non è male. -
- Non è male? - Tony cercava di non urlare. - Ma hai presente quanto sei fortunato? I professori ti lasciano in pace… gli studenti ti rispettano… ti è mai capitato di essere rinchiuso nell’armadietto? Beh, io sì! -
Steve rise, ma si accorse di aver fatto la mossa sbagliata: Tony si era accigliato.
- Ok, ok, sono fortunato. O almeno lo ero, no? Credo di aver perso tutto il mio fascino, con quell’articolo. Dubito che le ragazze vorranno ancora uscire con me. -
Tony sbuffò. - Basta che tu faccia capire loro che non sei dell’altra sponda. Credimi, la storia si sgonfierà nel giro di poche ore. -
- Lo spero. Odio che la gente parli di me. Insomma, la mia vita privata è… privata. - il biondo si alzò. - E tale deve rimanere. –

-… e mi ha detto che è innamorato di me. -
- Beh, è fantastico! -
- No che non lo è! Voglio dire, mi evita e non vuole uscire con me. E poi mi dice che è innamorato! Io credo che mi stia prendendo per il culo. -
- Clint non è uno stronzo, lo sai meglio di me. -
- Sì ma allora… allora perché fa così? -
- Nat, non lo so. - Luke sospirò. - In questo momento ho dei lividi enormi intorno agli occhi, il naso che mi fa male e un mal di testa pazzesco. Senza offesa, ma non ho voglia di pensare a voi due. -
- Hai ragione, scusa. Forse dovrei parlargli. Se solo la finisse di evitarmi. Luke, sento che mi sto arrabbiando, e quando mi arrabbio… -
- Diventi poco controllabile, lo so. - Luke sorrise impercettibilmente per non creare altro danno alla sua faccia. - Senti, quando torno a scuola vedrò di parlargli. Tu però adesso tranquillizzati, ok? Pensa al compito di chimica.-
- Che palle. -
Luke non resistette e rise di cuore, per poi pigolare dal dolore. Il campanello di casa sua suonò.
- Nat, devo andare. Ci vediamo fra un paio di giorni ok? -
- Va bene, ciao. -
Luke si diresse all’ingresso ad aprire. Ad aprire a Dan.
- Che cazzo ci fai tu qui? - lo salutò poco amichevolmente il moro.
- Volevo scusarmi. – quell’enorme ragazzo biondo teneva la testa abbassata ma lo guardava comunque negli occhi. - Nonostante quello che tu abbia fatto sia stato orribile e ti sia comportato da vigliacco, mi rendo conto che il mio comportamento è stato scorretto. Me ne scuso. -
- ‘Scorretto’ è un eufemismo, ma vabbè… è il preside ti ha obbligato a fare questo? Potevi aspettare lunedì mattina per dirmelo. -
Dan lo guardò, sbalordito. - No, io… ho sbagliato. E quindi ti chiedo di perdonarmi. -
Anche Luke lo guardò sorpreso. Poi sospirò, toccandosi piano le guance.
- In fondo sono i rischi del mestiere, no? Intendo, a fare il giornalista. -
- Quello non era giornalismo. Erano insulti belli e buoni. -
- Senti - Luke fece per chiudere la porta. - non ho voglia di discutere di questa cosa, men che meno con te. Quindi se hai finito io ti saluterei… -
- Perché hai scritto quelle cose? - Dan cominciò a spostare il peso del corpo alternativamente su una e sull’altra gamba, a disagio ma comunque genuinamente incuriosito.
Luke rimase un attimo pensoso, poiché chiese. – Da quanto conosci Steven Rogers? –
- Da un po’. –
- E non ti sei mai chiesto certe cose di lui? Che cosa fanno i suoi genitori, se ha fratelli o sorelle… -
- Beh, sì. –
- Gliele hai rivolto queste domande? E lui ti ha risposto? –
- E’ rimasto sempre sul vago…–
- Ti sei mai chiesto perché mai quel ragazzo resti sempre sulle sue? Perché non riveli mai nulla su di sé? Io diffido delle persone troppo discrete. Nascondono sempre qualcosa.-
- E quindi ti sei sentito in dovere di sputtanarlo davanti tutta la scuola? - Dan alzò il sopracciglio sarcastico.
Luke sospirò.
- Ti va un caffè? - si rassegnò Luke, aprendo la porta all’ospite. Seduti nella spaziosa cucina del giovane giornalista in erba Dan si sentiva un po’ a disagio. - Non credo tu riesca a capire, Donald. Mi sembri il tipo che ha sempre avuto quello che voleva. Guardati un po’: bello, gentile, coraggioso… perfetto, no? Chissà quanti sorrisi ti hanno rivolto e quanto supporto ti hanno concesso per le tue scelte. Purtroppo per me non è lo stesso.- mosse la mano verso la casa. - La vedi questa? E’ una bella abitazione, vero? Tutto merito di mio padre. E’ proprietario della fabbrica d’armi della città. Metà della popolazione è impiegata lì. - versò il contenuto della caffettiera in due tazze. - La verità è che lui crede, giustamente, che io debba occupare il suo posto, dopo di lui. Crede che io debba ereditare l’azienda e mantenerla florida e prospera, se non espanderla. Ma questo non è quello che voglio. –
- Vuoi diventare giornalista, questo lo posso capire. - disse tra un sorso e l’altro Dan. - Quello che non capisco è perché tu ti abbassi a fare cose come quella di cui stiamo parlando. –
- Intendi dire perché mi diverta a seminare zizzania a scuola? Trovo sia una nobile occupazione! – Luke si sorprese quando il biondo, invece di inalberarsi di nuovo, scoppiò a ridere. Anche il moro abbozzò un sorriso, spiazzato da quella reazione di genuine risa.
- Sì, beh, non la vedrei proprio in questo modo… - Luke finì il suo caffè. - Mio padre non pagherà mai l’Università del Maryland per frequentare la facoltà di Giornalismo. L’unica cosa che posso fare è entrare nel programma nazionale di stage e tirocini per avere una borsa di studio al merito. E per farlo devo avere dei meriti sul curriculum scolastico legati al settore in cui voglio ottenere il tirocinio. Al momento mantenere alta la tiratura del giornalino scolastico è l’unica cosa che mi sia possibile fare per raggiungere lo scopo. –
- Sei sicuro che non si possa fare altro? - chiese incuriosito Dan.
Luke si riscosse: veramente stava discutendo del suo futuro con quel ragazzo? Con Donald Blake, che il giorno prima gli aveva spaccato la faccia, piombando su di lui come una furia? Luke si alzò dalla sedia, visibilmente a disagio.
- Ci sono altre strade, ma mi sono precluse. Credo che tu debba andare, ora. –
- Va bene. - Dan si alzò, sconfitto. - Grazie per il caffè, e perdonami per…beh… -
- L’aggressione? - sorrise sbilenco Luke, guardandolo negli occhi.
- Già. Ho un debito nei tuoi confronti. - restituendo una lunga,e profonda, occhiata.

Pepper era sull’orlo di una crisi isterica.
Davanti al suo pc, a casa, era incapace di concentrarsi sui suoi compiti. Due giorni mancavano alla manifestazione per gli Angeli di Midgern, Steve non le parlava più e sospettava non si sarebbe mostrato mandando in fumo tutti i suoi piani. Luke aveva combinato uno dei suoi stupidi casini mettendola in una difficile posizione con il preside e il consiglio di amministrazione. Senza contare che gli studenti erano completamente in paranoia per la scazzottata tra il direttore del giornalino e il gigante svedese. In più c’erano tutti gli altri impegni…
Pepper prese il cellulare e digitò un numero.
- Pronto? –
- Ciao… ti ho svegliato? - sussurrò dolcemente la ragazza, curando di tenere un volume tale da non farsi sentire dal resto della casa.
- Sì… sai, il fuso orario è terribile… - la voce era effettivamente impastata. - Cosa è successo? –
- UN CASINO! - gridò Pepper, esasperata, poi si ricordò di doversi contenere. Raccontò in fretta e furia tutti i particolari di quell’orribile settimana e al termine si sentì ridere in faccia.
- Cosa c’è di tanto divertente? –
- Scusami, tesoro, è che da qui sembra tutto così ridicolo! - per rimarcarlo la voce ricominciò a ridere. – Quando ci sei dentro sembrano così irrisolvibili i problemi… così ridicoli… -
- …io sono ridicola? - si incrinò la voce della ragazza. L’altro tacque.
- Non ho detto questo. - sospirò. - Pepper, sono ragazzate. Passerà, vedrai. Sabato sarà un grande successo, Rogers o non Rogers, e le voci si spegneranno a poco a poco. –
- Verrai per il weekend? –
- Tu vuoi che venga? –
- Sì…io… - Pepper si sentì arrossire per l’imbarazzo.
- Va bene, allora. I miei saranno contenti di vedermi, e io devo fare quattro chiacchiere con Tony. –
- Vorrei che parlassi anche con Luke. Qualcuno deve cercare di fargli capire che non può comportarsi sempre in questo modo. –
- Allora lo farò. Ma tu mi prometti che starai più tranquilla? –
- Te lo prometto. –
- Allora a sabato, tesoro. -
- Buonanotte… grazie. –
Con un click la telefonata s’interruppe e Pepper poté finalmente dedicarsi ai suoi compiti.

Ringrazio roby_lia per la sua assiduità e tutte le persone che han messo questa storia tra le preferite, seguite, etc...grazie mille.  Colgo l'occasione per pubblicizzare due one-shot che ho scritto:

*
Superfamily: il segreto di Peter.
* Can't we be friends?

Ci vediamo tra un paio di settimane (spero anche meno!).

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Capitolo 6
*** Gioventù Bruciata. ***


Capitolo 6

Dove si dimostra che una festa di paese può essere molto movimentata.

 
Arrivò il fatidico sabato. Il centro della cittadina si ridestò insieme alla primavera, con la Manifestazione delle Associazioni di Volontariato Sociale. Festoni e banchetti riempirono ogni centimetro di strada e la gente si riversò, allegra e curiosa, per godersi un weekend un po’ speciale.
Luke stava impalato a un angolo della via con al collo una macchina fotografica, annoiato.
Sbadigliò per la centesima volta. Natasha lo guardò storto da sotto il banchetto di legno per le esposizioni.
- Ma esattamente, tu, che cosa ci fai qui? - gli urlò dietro la ragazza.
- Il preside mi ha obbligato. Lo ha chiamato ‘servizio volontario’. -
- Mmm. Non mi pare tu ti stia proprio dando da fare…. -
- Da che pulpito. - Luke si abbassò verso di lei. - Cos’è quello, un drum? -
- Ehi, molla la sigaretta! - esclamò lei, mentre il moro si divertiva a togliergliela dalle mani.
- Hai finito i soldi per caso? Tu non fumi Malboro normalmente? -
- Quanto sei scassacazzo… - Qualcosa però attirò lo sguardo della ragazza. Improvvisamente esclamò di gioia.- Bruce!! O mio dio, sei tornato??? -
- Evidentemente sì. - Nat si catapultò verso il ragazzo che li stava raggiungendo facendogli quasi perdere l’equilibrio.
Essenzialmente di Bruce Banner si potevano due cose, cioè che era intelligente e buono. Ex alunno del liceo di Midgern, si era diplomato a pieni voti ed era stato inserito in uno dei programmi di chimica industriale più importanti d’America. Ma nonostante potesse competere per ingegno con Tony, non aveva nient’altro da spartire con lui. Timido e accondiscendente, Bruce era amato da tutti e molti si erano stupiti che un ragazzo così gentile e sensibile varcasse le porte del liceo e ne uscisse cinque anni dopo senza manie omicide.
Inutile dire che Bruce aveva lasciato tanti amici a Midgern e che quindi, quando gli era possibile, tornava a trovarli.
Strinse la mano a Luke. - Come sta il mio giornalista d’assalto preferito? -
- Beh, il naso lo vedi anche tu. – rispose laconicamente l’altro.
Bruce osservò un poco divertito la faccia dell’amico. - Sì, mi hanno informato. Bella botta, eh? -
- Non dirmelo. Che ci fai qui? -
- Mi mancavate. - il ragazzo si cominciò a guardare intorno. - Ma non vedo… -
- Bruce! - Tony stava arrivando con in braccio uno scatolone pieno di ferraglia. - Vecchio mio, come stai? -
- Benissimo. Ma che cosa… -
- Espongo i miei progetti. - si mise accanto a Nat e tirò fuori dalla scatola dei robottini. - Sono giochini del cazzo, ma magari a qualche bambino potrebbero piacere… -
- Notevole. - Bruce osservò da vicino una specie di frullatore con le rotelle.
- Allora, come va l’Università? -
- Bene. Stiamo iniziando una serie di progetti piuttosto complessi, a dire il vero. - il ragazzo alzò lo sguardo e si rese conto di aver visto ciò che cercava. Ma fece finta di niente. - Tu piuttosto, le tue ricerche? -
- Sono a un punto morto, benché il braccio cibertronico funzioni. -
- Mmm. E riguardo a quello di cui ti ho parlato? - Bruce lo guardò fisso negli occhi, e Tony non poté che far finta di niente e rimettersi ad organizzare i suoi ninnoli sul tavolo. - Tony, ho bisogno di una risposta...-
-..entro due mesi, lo so. Tranquillo, la avrai. Ma non ora.-
Bruce si rivolse verso gli altri due amici. - Ho visto che fanno le frittelle, qualche banchetto più in fondo, vorreste..-
- Tranquillo, ci pensiamo noi.- Nat sospinse via Luke prima che questo potesse lamentarsi. La ragazza si rendeva conto che quei due avevano bisogno di parlare da soli.
Bruce si tolse gli occhiali da sole e cominciò a pulirseli nella polo. - E’ ancora per quel motivo che tentenni? Per quello di cui abbiamo parlato?-
Tony rispose amaramente, riponendo via le scatole di cartone. – E’ patetico, vero? Considerando tutto quello che è successo, dubito di avere speranze.
- E allora perché sei ancora qui?-
Tony aprì la bocca, ma sapeva di non poter rispondere. Fortunatamente Clint li interruppe.
 
- Salve, una ciambella, per favore. -
- Hai mai capito di cosa parlano sempre quei due quando Bruce torna a casa? - chiese Luke, scattando foto a caso verso la folla e ricontrollandole nello schermo della sua Nikon.
- Boh… nessuno dei due me ne ha mai accennato. - Nat si ritrovò a guardare da lontano i suoi amici. - Di certo c’è solo una cosa: in certe cose anche Tony è un’idiota. -
- Come? E perché mai? -
- Bruce è riuscito ad ottenere un mega progetto in meccatronica nel suo stesso ateneo. E’ roba grossa, a quanto pare, un corso da frequentare in parallelo all’ultimo anno di liceo. Sembra ci sia dentro anche la NASA. Ma Tony non vuole accettare. -
- E perché? Gli dispiace dover smettere di distruggere la scuola? -
- E io che cazzo ne so? Probabilmente c’entra con quello per cui confabulano tanto. -
La rossa vide avvicinarsi Clint alla comitiva. Dalla rabbia strappò la ciambella dalla signora che gliela serviva e fece per dirigersi a passo spedito verso la combriccola, ma Luke la trattenne. - Ferma…ferma! Che cosa vuoi fare? -
- Dirne quattro a quello stronzo. - indicando l’arciere.
- Nat, io credo che tu….debba…. - Luke si era impappinato. Natasha alzò gli occhi e vide il motivo per cui l’amico, che normalmente aveva la risposta pronta, si era improvvisamente bloccato.
La rossa si rivolse a Luke, accennando verso il nuovo venuto. - Se vuoi lo picchio, sai? -
- Coraggiosa da parte tua, signorina. - si intromise Dan, poi si rivolse al moro. - Come va oggi? Ti senti meglio? -
- Ehm, sì. Ciao. Tu come stai? -
Nat girava alternativamente la testa da una parte all’altra, stretta in un panino piuttosto bizzarro. Era talmente concentrata che si ritrovò a mangiucchiare il dolce che non era destinato a lei.
- Bene. In ottima forma. Sai, sono venuto a dare una mano a Virginia, nell’Associazione degli Angeli di Midgern. -
- Suppongo che ci sia anche il tuo amico, allora. - replicò Luke, mettendosi sulla difensiva con velocità impressionante.
- Già. Era qui in giro qualche minuto fa… -
- Allora, è meglio togliersi di torno. - Luke agguantò l’amica e la trascinò via dal biondo.
- Ehi, aspetta, ma cosa ho detto ancora? - urlò Dan, piuttosto spiazzato da quella reazione.
Luke mollò la presa, girò sui suoi passi e si mise davanti al ragazzo. Si alzò leggermente sulle punte dei piedi per essere alla sua altezza e gli sibilò – Se credi che la scenetta delle scuse di qualche giorno fa possa avermi fatto cambiare idea su quello che ho scritto sul giornalino, beh, ti sbagli di grosso. Non ho intenzione di scusarmi con Rogers, ok?-
- Tu sei fuori. Io non intendevo… -
- Quindi non ti dispiacerà se me ne vado vero? - risolse a voce alta, allontanandosi.
Dan non poté fare a meno di guardarlo andare via, con quella buffa ragazzina…
- Dan! Dan! - Pepper si sbracciava in modo tale da farsi vedere dal ragazzo, mentre si avvicinava.
- Dimmi, Virginia. –
- Oh, ti prego! Non chiamarmi così. Solo mia madre si ostina a farlo. Senti, ci sarebbe da distribuire dei volantini… - Pepper cominciò ad armeggiare con una scatola di cartone mentre Dan continuava a fissare il punto in cui Luke aveva girato i tacchi.
- Dan? -
- Sì?-
- C’è qualcosa che non va? -
- Io… ho incontrato Luke Laufey. -
Pepper smise di cercare i fogli. - Che cosa gli hai detto? -
Dan non rispose e Pepper alzò gli occhi al cielo.
- Lascialo perdere, ok? Lo dico per te: dopo la faccenda del naso qualsiasi cosa cerchi di fare nei suoi confronti può esserti rivoltato contro. Anche se è un gesto carino. - Pepper si fermò un attimo. - Luke non è cattivo, ma è convinto che solo facendo lo stronzo riuscirà ad ottenere quello che vuole. Chi lo sa, forse ha ragione. Senti, prendi questa risma e mettiti là, vicino a Steve. Io devo ancora controllare alcune cose al banchetto… - in un attimo la ragazza sparì, mentre Dan si dirigeva dall’amico che invece di fare il proprio dovere stava conversando con alcune ragazze. O meglio, loro stavano chiacchierando con lui.
-… e allora dicevo alla mia amica Tiffany, sì insomma, che era impossibile che tu fossi gay. Insomma, dai, tu gay? Sei troppo carino per esserlo! - la ragazzina sorrise per terminare quell’intelligente frase.
Steve si sforzò di accennare a un sorriso di circostanza, cercando una possibile via d’uscita da quella ridicola situazione. Poi vide Bruce Banner e Clint Barton  vicino a uno degli stand.
- Scusatemi ragazze, devo andare. - Steve fece cenno a Dan e gridò. - Ehi, chimico! Qual buon vento in quel di Midgern? -
Bruce vide Steve e alzò un braccio per salutarlo. I quattro si avvicinarono.
- Allora tu sei il famoso Donald Blake. Bel gancio, mi hanno detto. – principiò Bruce con un mezzo sorriso, mentre stringeva la mano allo svedese.
- Sì, beh, preferirei non parlarne. -
- Dan si è trasferito da poco. Bruce studiava qui fino all’anno scorso. - Chiarì Steve. - A proposito, l’Università? -
Non era una grande giornata per Bruce: dopo venti minuti non era riuscito a concludere un discorso. Questa volta toccò a Nat che, trovandosi uno spazio fra Dan e Steve, si era messa a gambe larghe e con le mani sui fianchi. Sul suo volto comparve un sorriso cattivo.
- Ciao Clint. -
I ragazzi la osservarono, a disagio. Natasha Romanoff pareva arrabbiata, e non era una bella cosa.
Ma la cosa che stupiva di più era che la sua rabbia era rivolta verso Clint Barton.
Il ragazzo si mise sulla difensiva.
- Ciao. Tutto bene? - fece un cenno agli altri e si congedò. Nat gli corse dietro, cominciando a urlare.
- Ma…. La mia ciambella? – chiese Bruce. Gli altri si guardarono, spaesati.
- Rassegnati amico: quando Nat ha in mente una cosa non c’è niente che la possa distogliere. Specialmente se riguarda Clint… - Tony tornò al banchetto e vide i tre ragazzi. - Oh! Allora Pepper è riuscito a coinvolgervi, vedo. -
- Dov’è a proposito? - chiese Bruce girando la testa. Dan si offrì di accompagnarlo al loro banchetto.
Tony si sedette dietro alla bancarella, in attesa di qualche acquirente. Steve si mise ad esaminare le sue creazioni.
- Carini…li hai fatti tu? -
- Niente di che. Roba di scarto. -
- Ah, sì… girano voci su di te e sulla tua frequentazione della discarica. -
- Ahah. Sì, beh, non hai idea di quali meraviglie vengano buttate via ogni giorno. -
- Capisco… - Steve contenne una risata, mentre osservava rapito le meraviglie davanti a sé. Tony Stark aveva veramente una bella testa, non c’erano dubbi. Stava per fargli i complimenti quando qualcuno lo chiamò.
Il quarterback si girò. - Bart! Cosa ci fai tu qui? -
- Mi hanno detto che questa cazzo di festa è piena di ragazze carine così ho deciso di verificare. - se Dan era il braccio destro di Steve a scuola, Bart Allen lo era sul campo. Si vociferava che Steve gli avesse soffiato il posto più importante nella squadra, ma questo non sembrava aver dato fastidio al ragazzo che lavorava si impegnava al cento per cento per il suo capitano e portando i Lions spesso alla vittoria.
Steve era stato molto amico di Bart fino a quando si era reso conto che il suo atteggiamento strafottente e il suo modo volgare di rivolgersi, specialmente nei confronti delle ragazze, gli era ormai insopportabile. Aveva perciò tagliato i ponti con lui, che non l’aveva presa bene sebbene avesse continuano la sua collaborazione come sempre per il successo della squadra.
- Oh, ehm, sì, credo… - Steve abbozzò un sorriso forzato. - Dovresti andare verso il palco, sembra sarà eletta miss Primavera tra poco. -
- Tu non vieni? - alzò un sopracciglio il ragazzo. Dietro di lui arrivarono alcuni loro compagni di squadra.
- Per oggi passo. -
- E tu, sfigato? - apostrofò Tony. Lui si limitò a sbuffare, scuotendo la testa.
- Bart!. -
- Cosa c’è Steve? Ti preoccupi di ‘sto qua? -
- Non mi pare il caso di offenderlo così, senza un motivo. -
I tre della squadra risero. - Non lo sto offendendo, è la verità. -
- Steve, lascia perdere. - Tony si intromise.
- No che non lascio perdere. Lui è mio amico e merita rispetto, ok? Scusati subito. -
- Cosa sentono le mie orecchie? Devo per caso credere a quello che c’è scritto sul giornalino della scuola, Steve? Sai, se non ti conoscessi, mi verrebbe da pensare che…. -
…troppo tardi. Secondo pugno sul naso della settimana.
Nacque una rissa coi controfiocchi: Steve e Tony da una parte, Bart, Clark e Thomas dei Lions dall’altra. Il banchetto si rovesciò per via del peso di Thomas, scagliato verso terra, e i robottini caddero fragorosamente. Alcune ragazzine gridano mentre si una piccola folla di curiosi si assiepò intorno a loro. Qualcuno invocò la polizia a gran voce.
Tony trascina via Steve lontano dalla piazza. Presero una via, e poi un’altra,e poi un’altra, fino a lasciarsi lontani il rumore della festa.

Bene: eccoci al sesto capitolo. Ringrazio lettrici vecchie e nuove (roby_lia affezionatissima, ma anche   Wadding_, __sakura___,marianna_watson) e nulla… Come mi hanno fatto notare ci sono un po’ di errori nei capitoli precedenti, cercherò di sistemare la cosa. Spero che la visualizzazione (il font, la spaziatura etc) sia di vostro gradimento, nel caso scrivetemi che cercherò di sistemarla.
Ci vediamo tra una decina di giorni!

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Capitolo 7
*** Intervallo ***


Capitolo 7

Quando le coppie scoppiano.
 

- Comunque bel gancio. - disse in qualche modo Tony, tentando di riprendere il fiato dopo la lunga corsa. Erano seduti sul marciapiede, in uno dei vicoletti semideserti della cittadina.

- Grazie… avrò grane per il resto dell’anno con la squadra ma sono contento che la scenetta ti sia piaciuta. -

- Ci mancherebbe! Mi hai difeso, cazzo! E’ la prima volta che uno dei fighi della scuola mi difende. - sorrise soddisfatto il bruno. Steve grugnì una risata, mentre si massaggiava una caviglia.

- Cosa facciamo adesso? -

- Forse è meglio che torniamo a casa. Lasciamo che le acque si calmino da sole. - rispose Tony.

- Ma…i tuoi robot? -

- Li risistemerà Nat. In teoria doveva aiutarmi con il banchetto… anche se non mi sembrava molto concentrate, specialmente quando ha incrociato Clint. - scosse la testa. - Io con lei ci rinuncio. Anzi, devo proprio dire che il suo atteggiamento mi ha stufato. -

- Che cosa ha fatto? -

- Non l’hai vista oggi? Con Barton, intendo. -

- Sembrava abbastanza… ehm… determinata… a parlargli. -

- Diciamo così. Beh, Steve, è stato un piacere averti avuto tra i piedi oggi. Ti ringrazio per il tuo aiuto. Cercherò di restituirti il favore. - Tony si alzò, spolverandosi i pantaloni.

- Ma…come? Mi lasci così? -

- Come dovrei fare altrimenti? -

- Raccontami di Natasha Romanoff e di Clint Barton, no? -

- E’ una storia che dura da due anni! E’ troppo lunga da raccontare, e parecchio noiosa. - Tony sbadigliò; l’adrenalina dei primi momenti stava scemando. - Ti voglio fare vedere una cosa. Se ci stai, ovviamente. Sia mai che la vicinanza di uno dei peggiori nerd di Midgern possa pregiudicare la fama, già parecchio incrinata, del quarterback dei Lions. -

Steve si alzò e di risposta gli rifilò una gomitata. – Andiamo, mr. Nerd. Ti seguo. –
 

Pepper parlava con il sindaco mentre gli illustrava un organigramma gesticolando furiosamente. Era uno spasso osservare il viso concentrato ed eccitato della ragazza in contrasto con quello dell’uomo, molto simile a quello di uno scolaro annoiato.

- E’ tutto molto chiaro, signorina Potts. Sicuramente prenderemo in considerazione la sua idea. - senza aspettare i convenevoli l’uomo fece un cenno con la testa alla ragazza e scomparve nella folla, trascinandosi dietro la famiglia.

Pepper era quasi decisa a inseguirlo ma si trattenne: occorreva un certo contegno per trattare con le autorità. Sentendosi un po’ sconfitta si diresse verso la seggiolina posta accanto al banchetto strapieno di depliant informativi sull’associazione che cercava in tutti i modi di promuovere.

Incrociò le gambe e si mise a guardare il cellulare, annoiata. Schiacciava freneticamente i tasti nel prendere alcuni appunti sulla sua how-to-do list.

- Piano con quella tastiera! Adesso capisco come fai a rompere un telefono ogni sei mesi. -

Pepper alzò gli occhi dallo schermo, lentamente. Oddio. Oddio oddio.

Lui era lì.

Lì, davanti a lei, a Midgern.

Strinse convulsamente il telefono fra le mani.

Non sapeva cosa fare.
 

Tony batté forte sulla porta di legno.

- Tom…TOM!- gridò un paio di volte il ragazzo. - So che sei lì dentro. Stai guardando ancora ‘Love Boat’ eh, vecchio volpone? -

Da uno spiraglio dell’uscio si sentì una voce arrochita dal fumo. - Tony! Che cazzo vuoi? E’ sabato pomeriggio! -

- Le chiavi? -

- Non ci sono eventi in programma…-

- Voglio usare il vecchio proiettore. -

- Mpf. Non ti sopporto più. Non so perché ti permetto ancora di fare quello che ti pare. - La porta si richiuse. Si sentirono alcuni passi, poi dalla finestra volò un mazzo di chiavi che cadde rumorosamente sul marciapiede.

- E non riportarle tra due giorni né! - urlò quella strana voce abbassando le persiane.

Tony invitò l’amico a seguirlo nel vecchio cinema di Midgern. Aveva la sua storia, questo edificio: era ancora ricordato con tenerezza dai nonni della città. Purtroppo con l’arrivo di internet e delle multisale aveva perso attrattiva, riducendo pian piano la programmazione. In quel periodo veniva aperto solamente per qualche avvenimento importante o per le scuole. Tony ovviamente dava una mano con i macchinari e presiedeva alle proiezioni visto che Tom, il custode, non se ne intendeva molto.

Steve guardò la polvere che copriva le scale mentre si dirigevano verso la sala di proiezione. Neanche questa era molto pulita

- Mettiti comodo, devo accendere questo vecchio affare. - Tony si diresse verso un proiettore ammonticchiato in un angolo della sala insieme a altra cianfrusaglia. Cominciò a spostarlo verso il centro dell’area, accanto al proiettore che si usava normalmente. Steve buttò l’occhio in giro un paio di volte, impressionato, poi aiutò l’amico a spostare quell’immenso ammasso di ferraglia.

- Grazie. - disse Tony tra una manovra e l’altra. - Di solito il cinema comunale utilizza il proiettore digitale, sai, per le nuove pellicole, ma abbiamo ancora un archivio ben fornito di pizze in solaio e a volte chiedo al custode di poterle visionare. Ovviamente con questo. -

- Pizze di che tipo? -

- Roba moooolto vecchia. - Tony si mise ad armeggiare con i cavi. - Western, film muti, musical… Ecco, ho fatto. Che cosa vuoi vedere? -

Steve strinse le spalle.

- Va bene scelgo io. Tu vai a quell’armadietto: ci dovrebbe essere una bottiglia di whiskey e delle caramelle, poi prendi quella porta e vai in galleria. Io ti raggiungo. -

Steve fece quello che gli aveva chiesto e dopo una mezz’ora erano seduti nei posti migliori della galleria, da soli, passandosi la bottiglia e mangiando orsetti gommosi dai colori flou.

- E questa roba? - Steve indicò la bottiglia di Glen Grant mentre Tony spegneva le luci.

- A fare il proiezionista ci si annoia facilmente. Specialmente se guardi lo stesso spettacolo per la terza o quarta volta di fila. -

I due ragazzi risero. Partì la sigla del film. Steve aprì la bocca, stupito.

- …non ci posso credere! Ma questo è… -

- …Tempi Moderni, già. Trovo sia carino! -

- Stai scherzando?? E’ fantastico! -

La bottiglia si svuotò in fretta mentre sullo schermo passavano veloci i fotogrammi in bianco e nero. Le risate sgorgavano naturali dalle gole dei due studenti, concentrati sul film. Poi a un tratto si spense tutto. Tony imprecò.

- Si è ingolfata un’altra volta. Aspetta, tiro fuori il cellulare per farmi luce e vado a controllare quel cavolo di proiettore. -

- Ti invidio Tony. – uscì di botto.

Tony si girò verso il buio, il cellulare che illuminava il pavimento e la pellicola che frusciava in lontananza. - Perché? -

- Perché sai fare tutto questo! Costruisci robot, sai maneggiare macchine di ogni tipo… Posso chiederti una cosa? -

- Credo di sì. -

- Ti lamenti tanto di essere uno sfigato… -

- Guarda, non è disistima, l’hai sentito il tuo socio qualche ora fa! -

- …ma perché non reagisci?

- Che cosa dovrei fare? Andare a fare a pugni come fate tu e il tuo amico? No grazie, non sono portato per questo genere di cose. -

- Criticami pure, ma quello che sono diventato lo devo solo a me stesso. Pugni compresi. Cosa di cui non vado fiero…-

- …per fortuna… -

- Ma fanno parte di me. Fanno parte del percorso che mi ha reso ciò che sono! -

- Complimenti, allora. Non credo di potermi trasformare in Luke Cage. -

- Tony… - la voce appariva stanca. - …dico solo che hai così tante potenzialità e mi sembra assurdo che nessuno lo abbia già notato. -

- Sul serio? - il bruno sorrise nel buio. - Io invidio te. Direi che è perfetto. -

Tornò di nuovo il silenzio, ma stavolta era imbarazzato.

- Devo andare a pisciare. - grugnò Steve per uscire da quella scomoda situazione. Nel rialzarsi perse l’equilibrio crollando sulla poltroncina di legno che si spezzò: le seggiole erano molto vecchie e la caduta ebbe questo risultato.

- Porca…. -

- Che cazzo hai fatto? -

- E’ colpa mia se queste sedie sono tarlate? - il biondo si agitava senza trovare alcun appiglio.

-…hai sfondato una sedia? - Tony cominciò a ridere, a ridere… finché Steve cominciò a urlargli dietro.

- Non è divertente! Tirami fuori da qui, mi fanno male le gambe. -

Tony gli prese le mani e tirò, liberando Steve dalla sua ridicola prigione, mentre le risate scemavano dalle sue labbra.

Steve era arrabbiato. Ma neanche troppo. In fondo la situazione era assurda, lo aveva capito anche lui. Aveva sorriso, nel buio, ma Tony non lo vide. Non lo vide neanche quando gli mise le mani sui fianchi, lo spinse verso lo schienale del sedile della fila davanti e posò le labbra sulle sue.

Non lo vide. Non ce n’era bisogno.

- Ora basta! - le urla erano incontrollate. Nat era stufa di fare l’isterica, di sembrare una pazza. Clint la scartava velocemente, passando tra bambini sporchi di zucchero a velo e mamme esasperate. Nat sgomitò un poco e riuscì a placcarlo all’altezza della bancarella dei dolci.

- Perché mi hai detto quelle cose a scuola? Quando han rotto il naso a Luke. - sputò fuori la rossa, mentre Clint cercava di non guardarla negli occhi. -

- Era per spiazzarti. -

- Cazzate. Non sei così fine da usare questi mezzucci. Tu non capisci, anche io… anche io sento qualcosa per te. Io credo… -

- Clint! CLINT! - Peggy Carter era il capitano delle cheerleader e la ragazza più popolare della scuola. Era molto dolce ma non spiccava per intelligenza, né per profondità. Quando la vide arrivare, buttare le braccia intorno al collo del ragazzo di cui era invaghita e baciarlo sulla guancia cominciò a odiarla SMISURATAMENTE.

- Ciao Natasha, anche tu qui alla fiera? -

- Non manca nessuno, vedo. - ribatté gelida la ragazza alla cheerleader.

- Non mi dire, c’è troppa gente! Pensa che stavo cercando questo qui da mezz’ora. - sorrise a Clint. - Allora tesoro, cosa vuoi fare stasera? -

‘Tesoro?’ Nat fissava in trance il ragazzo, incapace di parlare mentre Peggy giocava sensualmente con i capelli. Clint le sorrise forzatamente senza però restituire l’abbraccio a cui era ancora stretto. - Ti vengo a prendere alle otto. -

Peggy annuì, poi si rivolse a Nat. - Non sembra assurdo? Intendo dire, io e lui assieme? Insomma, ho sempre pensato che Clint fosse un ragazzo carino, ma ero più attratta dai giocatori di football… sai com’è. Obiettivi comuni… -

-C…come? - Nat boccheggiava, letteralmente.

Clint prese coraggio e la fissò.

- Io e Peggy stiamo insieme. –
 

Non lo so, non lo so. Oh, non lo so. Forse è troppo…troppo questo capitolo. Lo sento un po’ forzato. E sicuramente ci sono ancora più errori del solito. Pazientate…dopo gli esami riuscirò a prendere tutto in mano. Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Perdido Street Blues ***


Capitolo 8

Dove i nostri eroi vengono messi di fronte allo stato reale delle cose.

- …Senta signora, gliel’ho già spiegato, io non lavoro per il Comune… -

- …guardi com’è carino con questo vestito il mio bimbo! Sono SICURA che il suo ritratto in mezzo alle bancarelle della festa sarebbe un’ottima pubblicità per le attività di Midgern, non le pare? -

- Sicuramente sarà così, ma per questo deve rivolgersi a qualcun altro! -

- Ma come?!?! Non mi ha detto di essere qui in veste ufficiale? E’ un fotografo? -

- Sì, ma per il giornalino del liceo! - quasi urlò Luke, mentre si sistemava nervosamente la Nikon attorno al collo. - E per quanto mi riguarda, ho finito il mio lavoro. Quindi, se vuole scusarmi… -

Non era stata poi una così bella giornata, dopotutto. Natasha che correva in lacrime in mezzo alla folla, Bruce scomparso nel nulla, le notizie della rissa fra Tony e i camerati della squadra di football… scommetteva sarebbe toccato a lui rimettere tutto a posto. In fondo chi era rimasto dei suoi amici?

Guardò il sole tramontare. La giornata era finita e la poca gente rimasta stava chiudendo baracca e burattini. Luke arrivò nell’angolo in cui i robottini erano rimasti fieramente in vista fino alla loro rocambolesca caduta: erano sparsi ancora tutti attorno ai resti del tavolo di legno rovesciato. Sembrava nessuno avesse portato via nulla ma Luke non poteva esserne sicuro.

‘Tanto peggio per Tony, così impara a fare il coglione. Che poi cosa gli sarà preso…’

Il ragazzo cominciò a riempire le scatole di cartone in modo da non rovinare nulla. Stava per finire la terza quando gli comparve davanti Dan. Di nuovo.

Veramente, non era una bella giornata.

- Perdona il DISTURBO - iniziò acido il ragazzo. - Ma sto cercando Virginia da un bel po’. Non so cosa fare con i volantini e i depliants degli Angeli di Midgern. -

- Virginia? - Luke cercò di ignorarlo ma non era così semplice: Dan era pur sempre uno scandinavo di due metri d’altezza.

- Pepper. - si corresse l’altro.

- Non ne ho idea, mi spiace. -

- Allora ti lascio in pace. Non vorrei mai che tu pensassi stia tramando qualcosa alle tue spalle… -

- Senti, non venirmi a dire che il tuo cuore gentile ha sentito l’obbligo di porgermi delle scuse perché non ci credo. C’è sotto qualcosa, vero? Perché non lo ammetti che sei venuto apposta a casa mia? -

- Perché non è vero! -

- Come no! -

- Come fai a dire di sapere come agisco io? Credi di sapere esattamente come agisco, come agisce la gente? -

- Sono un attento osservatore. - replicò placido l’altro.

- Che idiota. - Dan si girò per andarsene ma si ritrovò subito davanti il ragazzo, inviperito. Luke non lasciava cadere le offese così facilmente.

- Che idiota? Prima mi spacchi il naso e poi mi offendi? Ma allora sei recidivo! -

- Senti, mi hai stufato. Lasciami in pace ed io lascerò in pace te, d’accordo? -

Luke stava per ribattere quando gli suonò il cellulare.

- Sì? -

- Ciao… sono Pepper. -

- Si lo so. E’ un cellulare, i numeri compaiono sullo schermo quando chiami. Dove... -

- Chi è rimasto alla fiera? -

- Ehm…in che senso? -

- Nat? Tony? -

- Non ci sono. -

- E al mio banchetto c’è ancora qualcuno? -

Luke guardò il biondo con sguardo di sfida. - Dan Blake. -

- Oh, bene. Senti, gli puoi chiedere di sistemare tutto? So che è in macchina quindi non dovrebbe avere problemi a portare in giro la roba. Ah, e Tony vorrebbe che tu tirassi su le sue cose. -

- Lo immaginavo. Ma dimentichi che io non ho una macchina, al contrario del principino qui presente. -

- Luke, sei insopportabile quando fai così… - Pepper tentennò. - Beh, potresti… -

- Non ci pensare nemmeno! -

- Senti, chiama Tony e risolvitela da solo. Io devo andare. -

- Aspetta… -

Troppo tardi. Luke guardò lo schermo del telefono. Poi guardò il viso del ragazzo.

- Pepper ha chiamato. Vuole che smonti il banchetto. -

- Oh…ok. Allora… - Dan cercò di accennare un saluto ma la mano gli cadde involontariamente. Davvero, non sapeva come comportarsi con quel ragazzo. Lo lasciò in mezzo al marciapiede, incamminandosi verso la sua meta.

Dopo una ventina di minuti, Luke finì di impacchettare tutto. Sembrava uno di quelli a cui la casa si è allagata e non sa dove andare, con i cartoni impilati lì vicino mentre seduto sul marciapiede controllava i numeri sulla rubrica cercando di capire chi disturbare alle otto di un sabato sera per fare un favore a Tony e venire a prenderlo.

- Sei ancora qui? - disse il moro senza alzare gli occhi da quello che stava facendo. Lo aveva visto con la coda nell’occhio, Dan, in piedi con le ultime seggiole pieghevoli.

- Potrei farti la stessa domanda. -

- Mi hanno detto di sistemare questa roba. Ora devo capire come portarla a casa. -

- Il principino qui presente non ha una macchina? - chiese ironico Dan.

- Il principino qui presente non ha la patente. Sono al quarto anno. -

- Oh. Vuoi un passaggio? -

- Da te? Naaaa. - Luke arricciò il naso e si sentì scoppiare una risata nelle orecchie. Alzò lo sguardo dal telefonino, stupito.

- Che c’è? Sei buffo quando arricci il naso. - un sorriso dolce comparve sul viso dello scandinavo. Luke tentennò ancora qualche secondo, battendo il piede sul pavimento per il disagio e cercando di ignorare quella cavolo di voce che nella testa gli diceva ‘vai…vai…vai’.

Insomma, Dan gli aveva spaccato il naso.

E gli aveva dato dell’idiota.

Ma lo aveva anche ascoltato sfogarsi, nella cucina di casa sua.

Da quanto tempo qualcuno non s’interessava veramente a lui?

Beh, sì, Pepper lo ascoltava. Quando non era presa da altro. Quindi praticamente mai.

Tony, sì!…oddio, se non stava distruggendo qualcosa con un cacciavite.

Con Nat era inutile parlare sempre che la cosa non comportasse una sbronza colossale.

Che poi Nat era così: se si sbronzava buttava fuori tutta la merda che aveva in corpo, nella mente, e il giorno dopo pretendeva di non ricordare niente.

Perché lei doveva farsi vedere come una dura, una che niente e nessuno poteva scalfire. Il guaio è che tutti siamo fragili, anche lei.

‘Anche io.’ pensò, tirandosi indietro una ciocca di capelli con la mano, gli occhi verdi puntati verso Dan.

Luke era un essere umano, fragile e con i suoi difetti. Tra questi l’arroganza.

E l’orgoglio.

- Credo accetterò quel passaggio. –
 

- …insomma adesso siamo qui. -

- Già. - Pepper dondolava i piedi nel laghetto mentre una leggera brezza le scompigliava i capelli. Era sera ma non faceva freddo. Anzi, per i suoi gusti faceva fin troppo caldo.

- Mi sei mancata. - Bruce le circondò le spalle con un braccio e lei gli sorrise assente, osservando l’incresparsi dell’acqua. - Cosa c’è? -

- E’ solo che… no, niente. -

- Avanti, dimmi. -

- Quando riparti? - gli si rivolse diretta, avvicinando il viso al suo. Lui alzò gli occhi al cielo.

- Pepper… -

- …lunedì mattina. Certo, che stupida. E quando pensi di tornare? -

- Non lo so. E’ un casino in queste settimane… -

- …passeranno ancora due mesi? -

- Sapevi com’era la situazione. - Bruce le prese dolcemente il mento fra le mani, l’avvicinò al suo e le baciò lievemente le labbra, cosa che lei non ricambiò. - Le storie a distanza sono una fregatura. Specialmente se sono clandestine. -

Stavolta Pepper abbassò lo sguardo e non rispose. Bruce la lasciò e rivolse la sua attenzione ai piedi mentre li agitava velocemente nell’acqua gelida.

- Ti ricordi la prima volta che siamo venuti qui? – domandò il ragazzo, un po’ titubante.

- Certo. Avevamo vinto la gara di dibattito. -

- Ero così timido… Tony mi aveva detto del club di oratoria, del fatto che avrebbe potuto aiutarmi a risolvere questo mio problema. Alla fine mi ha obbligato a iscrivermi. Ora come ora lo ringrazierei di cuore se potessi. Cioè insomma, se potessi dirgli che il club mi ha permesso di conoscerti… meglio. -

Scese il silenzio nel parco in cui erano sgattaiolati per stare un po’ assieme.

- Pepper, dimmi la verità: perché non vuoi dire a nessuno di noi due? -

- Non… non lo so. - gli occhi le si velarono e la bionda ringraziò l’oscurità occultatrice. - E’ solo che… mi blocco. E’ come se… una parte di me avesse paura di essere giudicata. Mi immagino già i commenti: ‘ma come ha fatto Bruce Banner a mettersi insieme a quella? Quella…sfigata?’. Siamo seri, per la gente io sono solo un robot, una specie di supersegretaria multiattrezzata… -

- … tu sei la splendida donna che un giorno diventerà Presidente degli Stati Uniti. - la interruppe Bruce, sorridendole. - E devi smetterla di buttarti giù. Tu sei una persona speciale, la più speciale che io abbia conosciuto. Ancora non posso credere che un anno fa tu abbia accettato di uscire con me! -

Lei rise buttandogli le braccia al collo e obbligandolo a distendersi sul prato. - Adoravo, e ancora adoro, il ragazzino impacciato che eri e le tue orribili camicie a flanella viola che ti mettevi il giovedì. Le hai buttate, vero? -

- Tutte. - sussurrò lui, baciandola.
 

- Non mi ricordavo tu abitassi da queste parti. -

- Infatti questa non è casa mia. Hai presente Tony, no? Devo riportargli la sua roba. - indicò i cartoni sistemati sui sedili posteriori. - Mi dai una mano a scaricarli? -

Salirono le scale che portavano alla porta principale. Le luci del piano terra erano accese, quindi Luke suonò. - Il padre di Tony lavora per il mio. E’ per questo che io e Tony ci conosciamo, anzi si può dire che Tony lo conosca da sempre. Che gran fregatura. -

Dan stava ancora cercando di capire se Luke stava scherzando in quel suo strano modo o se era serio quando dalla porta uscì un sorriso circondato da Chanel n°5.

- LUKE! Luuuuuke caro! Vieni qui, fatti abbracciare! -

- Maria, come stai? -

La donna lo avvinghiò e buttò l’occhio sul suo accompagnatore. Luke se ne accorse.

- Lui è Donald Blake. E’ un nostro compagno di scuola. -

- Ciao caro, tanto piacere. - I due si strinsero la mano. – E’ un piacere vederti Luke, ma mio figlio dov’è? -

- Non lo so. Però ho riportato le sue cose. Quelle della fiera. -

- Ma… ha abbandonato il banchetto a te? Per fare cosa? -

- Girano voci che sia finito in una rissa… - Luke fulminò troppo tardi l’amico mentre la madre di Tony cominciava ad agitarsi.

- Dici sul serio? -

- Sicuramente non è così. Probabilmente è da qualche parte con Natasha o Clint, sai com’è… la testa sempre fra le nuvole, cose così… - Luke cercò di sdrammatizzare.

La madre li guardò per qualche secondo poi sospirò rassegnata. - Sì, probabilmente è come dici tu. Hai fame? Howard ed io stavamo per metterci a tavola. Sono le otto e mezza! I tuoi sanno che sei fuori? -

- Sì certo… -

- Beh, perché non ti fermi allora? Anche tu Donald sei invitato. Se siamo fortunati tornerà anche Tony. Benedetto ragazzo… - la donna rientrò in casa e chiamò il marito, intramezzando le urla con qualche frase rivolta al figlio scavezzacollo. Luke sorrise sotto i baffi.

- Senti, io mi fermo a mangiare. Tu cosa fai? -

- Oh, non vorrei disturbare. Credo tornerò a casa… ma non vorrei lasciarti a piedi. -

- Chiederò a Howard, non è un problema. Ma sei sicuro di voler andare via? -

- Andiamo… - il ragazzo si mise le mani in tasca e si guardò intorno. - Neanche li conosco! -

- Che c’è? Ti assicuro che sono persone molto simpatiche. -

- Non lo metto in dubbio, ma… -

- Ragazzi siete ancora sulla porta? Entrate, entrate! – li chiamò la donna dalla cucina.

Luke lo guardò come per dire ‘Vedi? Non puoi fare altrimenti’. Dan si rese conto che aveva ragione.
 

Quanto tempo era passato? Pepper non lo sapeva, ma che fosse tanto o poco non le importava. Voleva rimanere lì tutta la notte, tutta la vita, fra le braccia del ragazzo di cui era pazzamente innamorata.

Stesi sul prato, i ragazzi guardavano il buio. Pepper appoggiò il viso sul petto di lui mentre Bruce le cinse la vita col braccio libero.

- Non tornare al campus. - disse improvvisamente lei con la voce un poco incrinata.

- Posso tardare la partenza di qualche giorno, ma lo sai che devo andare. - Bruce si girò sul fianco per guardarla in viso. - Le cose non cambieranno se non fai qualcosa per trasformarle. -

- Potresti trasformarle tu! - ribatté scontrosa lei.

- E cosa dovrei fare? Tornare in questo schifo di città e perdermi l’opportunità della mia vita? -

- Io… no. Non per me almeno. Non voglio che tu lo faccia per me. -

- Lo so. Per questo che stai così male. – il ragazzo le accarezzò i capelli. - Non esiste una soluzione semplice. Dovresti saperlo anche tu: tutte le cose che hai fatto, gli obiettivi che hai raggiunto, sono frutto di un grandissimo impegno e tenacia. Il nostro rapporto ha bisogno di tanta forza di volontà, altrimenti non vale il tempo che perdiamo qui. -

- Come puoi dire pensare solo che io non tenga a noi? Tu non hai idea di quanto soffra la tua lontananza, di quanto mi manchi… - la ragazza scoppiò in un pianto liberatorio e Bruce la strinse fra le braccia.

Quanto tempo aveva pianto? Pepper non lo sapeva, ma ogni minuto era puro dolore.

- Vieni da me durante le vacanze di Pasqua. Inventati una scusa se proprio non riesci a risolvere questa cosa, qualsiasi sia, sul nostro rapporto, ma vieni, ok? Starai con me in camera e fanculo le regole sulla separazione dei sessi nel dormitorio. Non ti lascio nemmeno per un minuto. - le sussurrò baciandola. E baciandola. E baciandola ancora.

Lei si calmò ma si strinse ancora di più a lui. - Ci penserò… ma non adesso. Ti prego. -

- Va bene, non adesso. –
 

Le luci dei lampioni illuminavano il viale di entrata della casa di Luke.

- La madre di Stark cucina benissimo. - Dan cercò di dissimulare un rutto che ci usciva prepotentemente dallo stomaco con scarsi risultati.

- Già, è molto brava. Come ti è sembrato Howard? -

- E’ simpatico. E somiglia un sacco a suo figlio. Hai visto come ha cercato di convincermi a provare quello strano oggetto da cui aveva preso la scossa? Secondo te sono stato scortese a rifiutare? -

- No… è abituato ai rifiuti della gente, specialmente quando sa che le sue invenzioni sono palesemente una fregatura. - I due ragazzi scoppiarono a ridere.

- E’ stata una serata strana. Mai mi sarei aspettato di andare a cena di due sconosciuti. - Dan perse lo sguardo in lontananza sorridendo un poco nel ricordo della giornata passata. - Sei un ragazzo pieno di sorprese. -

- Lo so. - Luke si accoccolò sul sedile, compiaciuto. - E tu sei stato molto gentile a scarrozzarmi in giro. -

- Mmm. Non potevo mica lasciare il fotografo della scuola in balia delle tenebre. -

- Seee, ridi tanto: l’hai detto tu che sono pieno di sorprese. Qualcosa mi sarei inventato. -

- Del tipo? -

Luke non sapeva bene cosa rispondere, quindi cambiò discorso. - Vuoi vedere le foto che ho scattato oggi? -

Dan lo guardò nella penombra, l’espressione indecifrabile. - Vediamo. -

Luke avvicinò la camera a lui e cominciò a scorrere le foto.

- Ecco vedi… questo è il presidente del club di scacchi…. questo è quell’idiota di Enry Millard, questo è il bidello pazzo… -

Luke finì le foto nello slideshow e si rese conto di quanto vicino fosse al viso del ragazzo. Incontrò i suoi occhi tremendamente azzurri ed esaminò il suo volto mostrare una sorta di, come dire, stupore. O forse era solo la poca luce. Eppure si era reso conto che anche lui aveva la medesima espressione. E il cuore batteva forte, forte….

- Devo andare.- Luke scese dalla macchina e sbatté la portiera dietro di lui, senza convenevoli. A metà del viottolo si rese conto di essere stato sgarbato e si girò per salutarlo.

Ma i fari della macchina si stavano già perdendo in lontananza.
 

Ecco, questo capitolo mi piace già di più. Per i fan della Stony e della Clintasha abbiate pazienza: faccio fatica a gestire i personaggi tutti assieme! Fatemi sapere cosa ne pensate dell’improbabile coppia Bruce/Pepper (una Brupper! :)) e poi niente. Ah sì, il titolo del capitolo è preso da una canzone che stavo ascoltando mentre scrivevo e l’immagine è di tumblr (ignoro da dove venga). Mi piaceva e l'ho appiccicata, spero di aver fatto cosa gradita. Grazie millissimo per i vostri commenti (ah, le mie fedelissime! Vi adoro!) e a presto!

Edit: mi han fatto notare che il padre di Tony si chiama Howard e non Edward. Ho cambiato. Perdonatemi!

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Capitolo 9
*** Needs and Duties ***


Capitolo 9

Dove la vita può essere complicata. Specialmente il lunedì mattina.

Dire che Tony aveva dormito durante il weekend era un eufemismo bello e buono. Le occhiaie emergevano prepotentemente sulla pelle cinerea e i capelli parevano più scarmigliati del solito. Vagava nel corridoio della scuola con lo zaino appoggiato malamente alla spalla cercando di riordinare le idee e ricordare quale lezione doveva seguire quella mattina.

Aveva richiuso il portone del cinema verso mezzanotte. Poi, incamminandosi verso casa, aveva buttato la bottiglia di whiskey ormai vuota nel primo cestino disponibile, pensando alle ultime ore trascorse nel vecchio edificio.

Non si ricordava bene come, ma a un certo punto si erano ritrovati incastrati tra una fila di poltroncine e l’altra, i movimenti impediti dal poco spazio disponibile. Erano rimasti lì, in silenzio, a baciarsi. Ora dopo ora, senza dire una sola parola, senza capire che cosa stava succedendo tra di loro.

Poi però Steve si era allontanato da lui. - Devo andare a pisciare. - ripeté un paio di volte, alzandosi malamente dal pavimento. Tony aveva dovuto lasciarlo andare, approfittando del momento per rialzarsi e sedersi comodamente sulla seggiola più vicina. Peccato per la mancanza di luce, altrimenti si sarebbe goduto lo spettacolo di quel fantastico sedere andarsene verso i bagni. Avrebbe avuto altre occasioni per ammirarlo, si promise.

Tony tirò fuori il cellulare: tra Luke e sua madre il telefono era zeppo di chiamate senza risposta. Ce n’era una anche di Pepper. Mandò a ognuno un messaggio per assicurare loro che era ancora in vita… più che in vita, veramente… si poteva dire che era felice. Era davvero felice per come si erano sviluppate le cose e… terminato l’ultimo sms si chiese perché Steve ci mettesse tanto a tornare da lui. Era passato un po’ di tempo.

Nella super-brillante mente di Tony scattò qualcosa. Si diresse verso il corridoio. - Steve, ci sei? - disse, entrando nei bagni.

Nessuno gli rispose.

Con l’aiuto del cellulare raggiunse la sala di proiezione per riaccendere le luci. Cercò dappertutto: nel foyer, in platea, dietro lo schermo. Di Steve nessuna traccia.

Se n’era andato.

- Ciao Luke! Sono Pepper. Sì, di nuovo. Senti, appena arrivi a scuola potresti venire in mensa? Devo parlarti. – la bionda chiuse la telefonata e si diresse verso l’entrata del liceo. Tutt’intorno a lei il vociare degli studenti le metteva allegria. Il sole le illuminava il viso col suo tepore, migliorandole ulteriormente l’umore. Era il giorno giusto, era pronta a dire ai suoi amici della storia con Bruce. ‘Ce la posso fare… non m’interessa il giudizio degli altri’ ripeté per l’ennesima volta il mantra di quel lunedì. Era determinata. Oh, eccome se lo era.

Al loro tavolo Tony e Nat erano arrivati. Non erano al massimo delle loro facoltà, notò, ma almeno non erano in ritardo.

- Che vi è successo? - chiese la ragazza, appoggiando i libri sul tavolo. Nat alzò la testa mettendo in evidenza gli occhi gonfi mentre Tony rigirava il suo caffè, mesto.

- Si può sapere cosa è accaduto sabato, almeno? - Pepper cercò di estorcere ai due amici qualche parola, ma nessuno sembrava in vena di conversazione. -…Tony… -

- …niente. Non è successo niente. - si limitò a rispondere lui, acido.

- E tu Natasha? Ti sei divertita alla manifestazione? – si rivolse allora alla rossa, incoraggiante.

- Senti Peps, che cazzo vuoi? - le rispose questa.

La determinazione di Pepper cominciò a scemare. - Ehm…ecco…io.. -

Luke si sedette vicino all’amico e fece un cenno della testa a mo’ di saluto alle ragazze. - Come va? -

- Pepper stava per dirci qualcosa. - fece laconico Tony.

Anche Luke sembrava perso nei suoi pensieri. Cominciò a osservare la gente nella sala, ossessivamente.

‘Va bene. Sapevo non sarebbe stato facile.’ pensò Pepper, ricordandosi le parole del fidanzato. O per meglio dire, quello che sperava un giorno sarebbe stato il suo fidanzato.

- Ok. Dovete sapere una cosa….Luke, parlo anche con te! – urlò provando ad ottenere l’attenzione del ragazzo. Prese un bel respiro. - Vedete, quando due persone sentono di avere un feeling particolare, di piacersi e di stare bene assieme e, cominciando a frequentarsi, comprendono di sentirsi veramente legate e di voler passare più tempo possibile assieme, allora è normale che queste decidano di stare assieme… Nat? -

Quel lunedì mattina un discorso del genere non era da fare: la compagnia si ritrovò a fissare Natasha Romanoff riversa sul tavolo della mensa a piangere a dirotto, il viso nascosto fra le braccia.

Senza capire come mai l’amica avesse reagito in quel modo, Pepper cercò di confortarla: si avvicinò e fece per abbracciarla ma la ragazza si allontanò.

- Si può sapere che succede? - chiese spazientita la bionda.

- Non succede un cazzo. - tirò su col naso la rossa. - Si può sapere perché ti sei messa a sparare queste stronzate? -

- Io…io…io… - ecco, Pepper si era bloccata di nuovo. E al diavolo il mantra.

- Ho bisogno di bere. - tre paia di occhi la seguirono mentre Nat si alzava e se ne andava fuori dalla mensa, fuori dalla scuola.

- Ma che fa? -

- Cosa vuoi che faccia? Fa sega. – rispose Tony a Pepper. Si alzò, ancora più depresso di quando si era seduto. - Scusatemi, ma devo andare. Ho delle cose… da fare prima di Aritmetica. -

Luke alzò il sopracciglio. - Tony, tu non segui Aritmetica. -

- Oh, già. Quello era l’anno scorso. Beh, io vado. - e scomparve anche lui.

Pepper guardò l’ultimo amico rimasto, sconsolata. Luke cercò di abbozzare un sorriso, a disagio.

Lei sospirò. - Vai. Ho finito. -

Luke schizzò via dal suo posto, dirigendosi verso il corridoio.

Forse non era venuto, pensò il moro. Forse era malato. O forse era in classe, in attesa dell’inizio delle lezioni.

O forse era esattamente dove sperava che fosse. Cioè davanti al laboratorio degli audiovisivi.

- Ciao. -

- Ciao, Dan. Che ci fai qui? -

- Oh, niente, passavo di qua. - disse il biondo, cercando di apparire il più sincero possibile. - Poi volevo darti questa. -

Gli consegnò una chiavetta. Il ragazzo la guardò un po’ titubante.

- Oh… ehm… grazie ma… cos’è? -

- Sono delle foto. Di sabato. Senti, non prendertela male - iniziò lui. - Ma con la macchina fotografica non sei proprio portato. Ho pensato di portartene di più carine, queste le ha fatte Sarah Megan, sai la cheerleader del terzo anno. Le ha pubblicate su facebook e così le ho viste e gliele ho chieste. E’ veramente molto brava…-

Luke sentì come se qualcuno gli stesse punzecchiando lo stomaco con una matita. Che cosa fastidiosa.

Il moro gli sorrise. - Ehi, grazie. Le terrò in considerazione. Ringrazierò anche Sarah. E’ tua amica su facebook, quindi? - continuò, aprendo la porta e invitandolo a entrare in laboratorio. Appoggiò il portatile sulla cattedra e lo accese.

- Sì… come del resto metà della scuola. -

- E io sono nella metà sbagliata. -

- Fino a qualche giorno fa non c’eravamo molto simpatici, giusto? -

- E adesso? - si girò di scatto verso di lui, come punto sul vivo.

Dan tentennò senza dire una parola, poi abbozzò un sorriso enigmatico e cambiò argomento. - Guarda le foto. -

Luke cominciò a scorrere frettolosamente le immagini. - Sono… notevoli. -

- Mi ha detto che sta seguendo un corso di fotografia. Ovviamente sa che te le ho passate. E’ molto contenta dell’opportunità che le dai.-

- E sarebbe? –

- Di vedere pubblicati i suoi lavori sul giornalino della scuola. -

- Chi ti dice che le pubblicherò? -

- Andiamo! Non mi dirai che sono peggiori delle tue! -

- Non intendevo questo. - Luke chiuse lo schermo del portatile. Dan intanto sorrideva apertamente mentre osservava le mosse del ragazzo.

Luke si guardò in giro, sperando gli venisse in mente una frase arguta e penetrante per chiudere il discorso, un modo per rifiutare le foto di quella svampita di Sarah Megan, di non dargli la soddisfazione di far vedere al liceo quanto fosse brava come fotografa, visto che aveva pure quella di chattare con Dan così, tranquillamente, mentre lui neanche era fra gli amici di facebook dello svedese. Aprì la bocca un paio di volte, senza emettere suono. Il suo cervello si era spento.

- Allora? - lo punzecchiò il biondo, avvicinandosi, un’espressione dolce e birbante dipinta sul viso.

Non c’era niente da fare: la testa di Luke era in tilt. Si limitò a guardarlo, mentre Dan colmava gli ultimi metri di distanza e lo baciava, nel bel mezzo dell’aula degli audiovisivi, tra il pc portatile e la pistola sparacolla abbandonata da Tony nel corso dei suoi esperimenti.

Un cazzo di drink. Le serviva un cazzo di drink.

La sorveglianza della scuola non la preoccupava. Neanche la sospensione. O i suoi che davano di matto.

Doveva uscire, andarsene da lì. Non voleva vederlo, per nessuna ragione.

Guardò il parcheggio. La macchina era già lì. Un motivo in più per andarsene. Cominciò a dirigersi verso la pensilina dell’autobus. Aveva la testa bassa, era persa nei suoi pensieri. In realtà non voleva pensare a niente ma erano due giorni che li vedeva dentro la sua testa, abbracciati…

L’urto la riportò alla realtà.

- Stai attenta, cavolo… -

- Ehi! Stai attento tu! -

Steve, scocciato, si girò in fretta verso la sua destinazione. S’infilò nel corridoio il più in fretta possibile sperando di non dover incrociare nessuno. Era entrato in ritardo apposta.

Entrò nell’aula di Calcolo, maledicendosi per essersi alzato dal letto quella mattina. Dan non c’era. Provò a chiamarlo dal telefonino, ma non rispondeva.

In compenso c’era Tony Stark che spuntava dalla finestra e gli faceva cenno di avvicinarsi. Era in bilico sui porta-bicicletta che circondavano il perimetro esterno dell’edificio.

Steve si sedette nel banco più lontano dalla cattedra, mentre i suoi compagni chiacchieravano in attesa della professoressa. Con circospezione guardò di nuovo la finestra. Sul vetro, all’altezza del suo viso, era appoggiato un foglio di carta con scritto ‘Dov’eri finito?’

Il biondo strappo un foglio dal suo blocnotes e scrisse velocemente. ‘Dovevo andare.’

Tony lesse la risposta senza espressione, poi scarabocchiò ‘Oggi pomeriggio. Agli spalti?’

Steve rifletté. Alla fine avrebbe dovuto affrontarlo, come avrebbe dovuto affrontare la sua squadra. Prima lo avesse fatto prima avrebbe smesso di tirarsi scemo su quella stramaledettissima serata.

Fece un cenno della testa e Tony gli restituì un sorriso timido. Poi scomparve appena in tempo per vedere la prof varcare la soglia dell’aula.

Luke spinse dolcemente il biondo via da lui - E’ suonata la campanella…-

- Al diavolo! Credo di aver voglia di un’ora di detenzione, questa settimana. - gli rispose il ragazzo, mordicchiandogli il labbro per evitare la sua risposta. Luke gli buttò le braccia al collo prendendo seriamente in considerazione l’idea di rinchiudersi insieme a Dan nel laboratorio, e chi si è visto si è visto, quando qualcuno irruppe nella stanza.

Beh, oddio, irrompere è una parola grossa. Clint aveva visto la porta ed era entrato, sperando di trovarvi Tony. Di certo non pensava di scoprire tale scenetta romantica.

- Oh… scusate… io… caspita, non immaginavo… - l’arciere non sapeva bene se essere sconvolto dal fatto che Luke amoreggiasse con il tipo che gli aveva spaccato il naso una settimana prima o dal fatto che finalmente gli piacesse qualcuno. Era da quando lo conosceva che lo vedeva correre di qua e di là in cerca di qualche notizia o alle prese con dei saggi per vari concorsi ma non si ricordava averlo mai visto alle prese con qualcosa che non riguardasse la sua ‘carriera’. In fondo Luke era sempre stato una sorta di Pepper del giornalismo.

Clint fece per arretrare quando Dan lo bloccò dicendogli di restare, tanto lui doveva andare. – Dopo ci vediamo? - chiese al moro, che annuì senza spiccicare una parola. L’arrivo dell’amico lo aveva messo un po’ a disagio.

- Dopo la settima ora può andare? - Luke annuì di nuovo e Dan gli fece l’occhiolino. Poi, salutando Clint richiuse la porta alle spalle.

L’arciere scoppiò a ridere. - Dan Blake? Donald ‘lo svedese’ Blake? Tu sei completamente matto! -

- Grazie. Si può sapere cosa vuoi? Sbaglio o dovresti essere in palestra a quest’ora? -

- Cercavo Tony. Mi ha detto che si è trasferito qui… -

- Beh, non c’è. - Luke radunò le sue cose, nervoso. - Quindi se non ti dispiace, dovrei chiudere la stanza e andare a lezione. -

Clint si avvicinò e gli mise una bracciò attorno alle spalle. - E così il grande reporter ha un cuore, eh? - disse parlando in tono cospiratore.

Luke si mise sulla difensiva. – Oggi Natasha è scoppiata a piangere in mensa. Che cosa le hai fatto? -

Il braccio di Clint ricadde lungo il busto. Si era improvvisamente fatto serio.

- Non le ho fatto proprio nulla. Quella ragazzina deve capire quando il gioco dura troppo. -

- Quale gioco? E’ da tre anni che vi rincorrerete come il gatto col topo. Non negare che non t’interessi! Mi ha chiamato qualche giorno fa, e mi hai detto cosa hai avuto la faccia tosta di dirle. Perché le hai detto di esserti innamorata di lei? -

Clint si fece cadere su una sedia posta lì vicino. Guardava il pavimento.

- Suppongo perché mi sentivo di dirlo. -

- Supponi? -

- Ho compilato la pre-iscrizione per l’accademia militare. - rispose lui, piatto. - Mi è sembrato di firmare la mia condanna a morte. Ok, forse a morte no, ma una condanna sicuramente sì. Improvvisamente ho capito che avrei perso quello a cui tenevo di più. E a che cosa tenevo di più? - rivolse un sorriso amaro all’amico. - Sono stato un idiota, l’ho fatta soffrire. Lo so. Credo, anzi sono convinto che sia meglio così. In fondo, che senso avrebbe stare insieme? - sospirò. - Qualche settimana e poi partirei. E l’accademia sarebbe il meno. Cosa succederà quando andrò in guerra? -

- Come sei drammatico! Magari vi rendete conto di non stare bene assieme e vi lasciate l’anno prossimo, o magari anche prima… -

- O magari no. Lo sai difficilmente dico cazzate, Luke. Non parlo mai a sproposito. Se ho detto di esserne innamorato è vero. E questa cosa dura da troppo tempo. Io penso… io penso che lei sia quella giusta. Quella con cui potrei passare il resto della mia vita. Proprio per questo non voglio che un giorno debba soffrire per colpa mia. Per delle scelte che ho dovuto compiere. -

Restarono a lungo in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri, poi Luke lo guardò preoccupato. - Nat ha fatto sega, oggi. E’ in centro. Credo che tu possa trovarla da Alfredo’s. - Clint lo osservò senza dire una parola. Luke continuò. – Le cose che mi hai detto ora… dovresti fargliele sapere. Almeno per evitare che ti odi per il resto della sua vita! –

L’arciere si alzò, lentamente, e lanciò uno sguardo verso la finestra. Uno sguardo deciso e triste.

- Credo che lascerò le cose così come sono. Credimi, è meglio così. –

Olè. Nuovo capitolo. Ho un sacco di persone da ringraziare (è dallo scorso capitolo che devo farlo) ma ora non ho tempo. Magari riedito, magari lo faccio la prossima volta. L'immagine è dedicata a coloro che ce l'hanno un po' su con Clint ;) Come al solito fatemi sapere che cosa ne pensate!

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Capitolo 10
*** Doposcuola ***


Capitolo 10

Dove certe storie vanno avanti, altre indietro.


 

Alle cinque di pomeriggio di quel lunedì il liceo era abbastanza vuoto. D’altronde i corsi del pomeriggio terminavano alle quattro e gli studenti non vedevano l’ora di raggiungere la casa o dedicarsi ad altro, sgomberando velocemente l’edificio. I pochi rimasti si erano diretti verso l’aula di detenzione o in biblioteca per qualche progetto.

L’aula degli audiovisivi invece era fin troppo affollata, per l’orario.

Ai lati di uno dei tavoli che i ragazzi della redazione usavano per scrivere (ma il più delle volte per chiacchierare e bere caffè, neanche fossero al bar) erano seduti Dan, Steve, Luke e Tony.

In silenzio.

Luke lanciava occhiate di fuoco a Dan che non pareva poi molto interessato alla cosa. Osservava Steve: lo aveva incontrato in corridoio e si erano messi a parlare, fino a quando, all’entrata del laboratorio, si era congedato. Ma Steve, guardando di sottecchi dentro l’aula, senza dire una parola aveva varcato la porta.

Anche Dan aveva spiato dentro. Con terrore pensò si dovesse svolgere una litigata con i controfiocchi fra Luke e Steve, ma poi si accorse che il quarterback stava fissando quello strambo ragazzino del quarto anno, quel tale, Tony Stark.

Era bella strana la cosa: Dan sperava di rimanere solo con il suo seccante, ma assai intrigante appuntamento, invece era intrappolato in una situazione che pareva una polveriera sul punto di esplodere.

- Tony, forse dovremmo andare da un’altra parte. - disse Steve, le parole esplosero nel silenzio della stanza.

- Oh, sì certo. - farfugliò di fretta il ragazzo, alzandosi ancora più velocemente. I ragazzi uscirono dall’aula.

Luke continuava a fissare Dan. Il biondo, chiedendosi ancora una volta cosa animasse l’amico e se c’entrasse qualcosa la rissa di cui non voleva rivelargli nulla, finalmente si accorse dello sguardo contrariato del moro.

- Che cosa c’è? - sbottò lui.

- Hai portato Steve Rogers… qui? -

- Non ricominciare! - si alzò con rabbia, facendo cadere la sedia. Troppo slancio. - Io non ho fatto un bel niente! Hai visto che doveva incontrarsi col tuo amico! -

- Sì, beh, anche Tony dovrà darmi delle spiegazioni. - Luke guardò fuori dalla finestra. Stava per piovere.

Dan si avvicinò a lui e passò le braccia attorno alle sue spalle. Gli sussurrò all’orecchio. - Se credi che rovinerò questa possibilità di rimanere da solo con te in aula per le prossime due ore perché hai voglia di litigare ti sbagli proprio. Non so perché Steve fosse qui e di certo non gli ho chiesto di venire. Sappi anche che non dirò niente sulla faccenda dell’articolo, se ti da’ tanto fastidio. Anche se mi costa molto. -

Luke non rispose, continuando a fare l’offeso. Era cosciente del ragazzo dietro di lui, del respiro sulla pelle. Avrebbe voluto girarsi e saltargli addosso, ma si conteneva, sperando che il suo mutismo portasse a una resa incondizionata del suo svedese.

Ma Dan non aveva poi molta voglia di cedere. Di farlo cedere sì, visto che gli passò una mano nei capelli e con l’altra lo circondò in un abbraccio.

- Sei sempre convinto che io abbia fatto la cosa sbagliata. – cercò di resistere Luke.

- Già. –

- E che dovrei scusarmi. –

- Già. –

- Sai anche che io non ne ho la minima intenzione. –

- Esatto. –

- Ma… allora cosa facciamo? Insomma, prima mi odiavi, ora… però ho offeso un tuo amico, ma non mi vuoi obbligare a chiedere scusa. Devo ammettere… io… non ti capisco. –

Dan sorrise. – Non tutto è bianco e nero. Se non vuoi fare nulla, pazienza, non ti forzerò. Steve è mio amico, ma… tu sei qui. Io sono qui. E ho una gran voglia di chiudere la porta. A chiave, stavolta. -
 

Andare sugli spalti in quel momento forse non era una bella idea: le nuvole si assiepavano intorno ai campi sportivi.

Steve propose una deviazione. - Entriamo qui. -

- Il laboratorio di Tecnologia. Vuoi uccidermi, vero? -

- Cosa? –

- Col martello o con uno dei seghetti? –

- Tony, io… -

- Stavo scherzando, Steve, tranquillo. -

Steve si appoggiò su uno dei tavoli di legno che erano utilizzati per lavorare. Tony si guardò attorno, cercando di mostrarsi a suo agio. - Sai che non mi hanno permesso di seguire il corso? Dicevano che ero imbranato… -

- …Tony… -

- … non l’hanno mai detto apertamente, è vero, ma sono sicuro che la motivazione fosse quella… -

- …Tony… -

- … un piccolo scienziato pazzo imbranato. Credo mi chiamino così, il Preside e le segretarie. Ho fatto dei danni, ok, ma… -

- TONY! -

Il bruno si voltò il ragazzo.

- Forse dovremmo parlare di sabato. – continuò, abbassando il tono di voce.

- Già, forse. - Tony si sedette vicino a lui. - Prima di tutto potresti dirmi dove sei andato a pisciare. -

- Andiamo, lo sai cosa è accaduto. -

- Vorrei che avessi il coraggio di dirlo tu, anzi, confessarlo. -

- Ho bevuto troppo. Lo abbiamo fatto entrambi. - alzò gli occhi al cielo. Merda.

- Parla per te. -

- Ok, allora ho bevuto troppo e ho… fatto qualcosa di cui mi pento. -

- Del tipo? -

- …ti prego, non farmelo dire. -

- Perché? - Tony lo guardò, stupito. - Ti VERGOGNI di dirlo? -

- Io non mi vergogno di dire niente. -

- Allora dillo. Dillo che mi hai baciato perché ti piaccio e… -

- Tony, tu non mi piaci. Io non sono gay. -

- Sul serio? - Tony alzò il sopracciglio, cercando di nascondere il fatto di essere sconvolto. - Sai per quanto tempo siamo rimasti in quel fottutissimo cinema, al buio? Sai per quante ore? -

- Questo non cambia… -

- Tre ore! TRE CAZZO DI ORE DOVE NON HAI FATTO NIENT’ALTRO CHE INFILARMI LA TUA LINGUA IN BOCCA! -

Steve si avvicinò a lui, nervoso. - Abbassa la voce, per favore…. -

Tony si bloccò. Uno stramaledettissimo omofobo. Anzi, peggio: si era innamorato di uno che non riusciva ad accettare la sua natura. Che aveva bisogno di una bottiglia di whiskey per riuscire a essere sé stesso.

- Sai cosa ti dico? Va bene. Perdonami di averti portato sulla via della perdizione. Cercherò di stare lontano da te… dal nostro machissimo quarterback… sia mai che possa recarti ancora danno!-

Tony si alzò e corse fuori dall’aula prima che Steve potesse ribattere.
 

- Sì? -

- Che brutta voce che hai. -

- Oh, Bruce…. io… non ce la faccio più! -

- Che cosa hai bevuto finora? -

- Due bionde e un paio di… aspetta… come fai a saperlo? -

- Mi ha chiamato Pepper. Era abbastanza sconvolta. -

- E da quando Pepper ti chiama? -

- Dovevamo parlare… di alcune cose. Allora? -

- Clint esce con Peggy Carter. -

- Beh, è una ragazza molto carina e gentile… -

- BRUCE! -

- Ok. Scusami. Nat, forse è il momento di cambiare pagina. -

- Non credo di potercela fare. Non dopo quello che mi ha detto. -

- Che cosa? -

- Che è innamorato di me. -

Dall’altra parte del telefono arrivò un lungo sospiro.

- Va bene, ci parlo io con lui. Tu vai a casa e fatti una dormita. Vi vengo a trovare nel weekend. -

- Oh, no, non devi farlo per me, io… me la caverò. -

- Sì, finendo in detenzione. Non ti preoccupare, sistemo un paio di cose e torno, ma tu non fare cazzate, ok? -

- Va bene. E… Bruce? -

- Sì? -

- Grazie. -

Nat chiuse il ricevitore. Quel ragazzo riusciva sempre a sistemare le cose, a farla sentire meglio. Lasciò qualche spicciolo sul tavolo del bar e si diresse verso la fermata dell’autobus. Odiava stare male, odiava sentirsi debole, odiava quella cazzo di situazione. E odiava Clint. Sì lo odiava. Forse. No, in realtà no: probabilmente non l’avrebbe mai odiato.

- Natasha Romanoff! -

Nat girò la testa. - Pepper! -

- Sono due ore che ti cerco! Dove sei stata tutto il giorno? -

- Senti, stammi su di dosso, sembri mia madre! - La ragazza cominciò a dirigersi velocemente verso la sua destinazione.

La bionda cominciò a seguirla, aumentando il passo. - Senti, io non so cosa ti sia successo oggi in mensa, ma voglio dirti solo che mi dispiace se ti ho fatto sentire male. Forse ne potremmo parlare! -

- Fuori dalle scatole. -

- Oh, sei impossibile! - urlò la bionda. – Perché nessuno di voi tre si confida con me? Vi dite sempre tutto mentre io sono sempre l’ultima a sapere le cose! Perché non vi fidate di me? -

- E perché dovremmo farlo? Tu hai tuoi cazzi e noi i nostri. Semplice. -

- Come? - Pepper restò basita, vicino al cartello degli orari. Poi cominciò a diventare rossa, molto rossa. - Quante volte vi ho tirato fuori dai guai, voi tutti, banda di piccoli scalmanati… -

- Ehi calma, calma! Nessuno ti ha mai chiesto nulla! -

Dalla rabbia Pepper batteva furiosamente i piedi sul marciapiede. - … e le punizioni, e le aule della scuola che saltano, e la tua sfrontataggine! - la indicò per rimarcare il tutto. - Io sempre a scusarvi! Col Preside! Con gli insegnanti! Con… chiunque. Sai cosa ti dico, stupida ragazzina? Vai al diavolo tu e la tua banda di amici! -

Nat la guardò di sbieco: davvero la stava offendendo? Non era proprio da Pepper. La osservò andarsene per la sua strada, le spalle un po’ curve e i capelli, come al solito, disordinati. Cominciò a correrle dietro.

- Peps, ehi, aspetta! Mi dispiace di averti offesa, non era mia intenzione… -

- … ovvio, tu non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni! -

- … adesso non esagerare. -

- Sei scazzata con tutti. Tutti, oh, a parte Tony, Luke, Bruce e Clint. Con loro no, sei un angioletto…. -

Stavolta fu Nat a fermarsi su due piedi. La bionda si girò verso di lei. - Che c’è? -

- Dubito che sarò più gentile con Clint. -

- Come…? -

- Si è messo con Peggy. Peggy Carter. -

Il viso della bionda cambiò istantaneamente trasformandosi in una maschera di pietà. - Oh, cara… -

- No, no! Non provare ad abbracciarmi! - si scansò lei. - Sto bene. Sto bene. Più o meno. -

- Vuoi parlarne? -

- Ci ha già pensato il tuo confidente, grazie. -

- Cosa? -

- Mi ha chiamato Bruce. Ha saputo della mia… assenza da scuola, da te. -

- Oh, ehm sì, l’avevo chiamato per delle cose… -

- Beh, suppongo che tutti i miei sogni romantici siano da buttare via, giusto? -

- Alludi a Clint? Beh, ecco, non saprei… Puoi sempre, ehm… cercare di riprendertelo. -

- Si vede che non sei brava a trattare di queste cose. – ammise sogghignando, l’amica.

- Stupida! No beh, magari se lo facessi ingelosire… ok, non sono molto brava in queste cose lo ammetto. Forse dovresti solo parlargli… -

La mente della rossa cominciò a ronzare a pieno ritmo. - No, credo sia una buona idea. -

- Quella di parlargli? -

- No, quella di… farlo ingelosire. Pepper, ho bisogno di un favore. -

- Omioddio, no… -

- Senti, non è niente di che. Devi imbucarmi alla festa a casa dei Roderick, sabato sera. -

- Come???? -

- Massì, dai, quelli del quinto anno. Sembra che tutti i vips della scuola vi parteciperanno. -

- E io come faccio a procurarti un invito? Mila Roderick mi odia da quando gli ho soffiato il ruolo da Presidente per il comitato del Ballo! -

- Chiedi a Steve Rogers! -

- Ah. Potrei provare… -

- Ti prego! Significa molto per me! -

- Va bene, va bene. Se però tu mi prometti un minimo di considerazione, d’ora in poi. -

- Penso di avertene già data troppa. Andiamo, sembra dover venire giù il diluvio. - rispose lei, in tono fintamente autoritario, mentre le metteva il braccio intorno alle spalle e la conduceva verso la loro pensilina.
 

L’aveva cercato a lungo, Tony. In biblioteca, in aula magna, persino sugli spalti. Probabilmente era tornato a casa.

Merda, questa non ci voleva proprio. Con tutti i cazzo di casini che aveva, proprio Tony Stark…

…avrebbe spifferato in giro del loro incontro? E chi poteva saperlo? Quello era testa matta. Fottutamente matta.

Il biondo sospirò, dando uno sguardo d’insieme ai terreni della scuola.

Doveva ancora parlare con Bart e gli altri, sperando che non lo buttassero fuori dalla squadra, inoltre c’erano ancora i gossip del giornalino che gli pendevano sulla testa e Tony come scomodo testimone.

Era preoccupato per come si sarebbero potute trasformare le cose in quegli ultimi mesi di scuola, eppure la cosa che più gli dava fastidio era di aver deluso l’amico. A una parte di lui dispiaceva avergli mentito perché Tony non se lo meritava. Quel ragazzo era intelligente, gentile e nel suo modo un po’ nerd era anche affascinante. Cosa più importante, era una delle poche persone che aveva avuto il coraggio di affrontarlo, senza aver paura di chi fosse.

A Tony non importava più di tanto di chi fosse Steve: non seguiva le partite, non partecipava alla cerimonia annuale di presentazione della squadra di football, non gli importava delle premiazioni agli sportivi del liceo che si tenevano in primavera.

Ma gli piaceva Steve. Lo aveva invitato nel vecchio e scassato cinema di Midgern, si era messo a trafficare per stupirlo. In qualche modo aveva messo la sua intelligenza a sua disposizione. Aveva fatto qualcosa per lui, senza voler qualcosa in cambio.

Forse Tony era il primo cui piacesse - in quel modo - solo perché era… Steve. Non il quarterback, non il vip. Solo Steve.

Merda. Quello lo faceva sentire ancora peggio.

Un tuono. Steve alzò gli occhi al cielo.

Il cellulare squillò.

- Sì? -

- Ciao, Steve, come stai? -

- Pepper! Bene ma… perché mi chiami? Ho dimenticato di fare qualcosa per te? -

- No no… ti chiamo per un favore. -

- Spara. -

- Guarda, mi dispiace disturbarti per questo, fosse per me non te lo chiederei mai… -

- Pepper, spara! -

- Senti, io e Natasha potremmo venire con te alla festa dei Roderick? -

- Nessun problema. -

- Grazie mille. Scusami ancora. Poi ci mettiamo d’accordo, ok? Ciao…. -

- … aspetta. Senti, se vuoi invitare anche gli altri… -

- … gli altri? -

- … i tuoi amici, voglio dire… - Steve prese un bel sospiro e cercò di rimanere calmo. - Luke Laufey e Tony Stark… -

- Luke? Ho sentito bene, Luke? -

- Sì, credo… dovremmo mettere una pietra sopra, noi due. -

- Oh. Va bene, glielo dirò. Allora, a sabato? -

- Beh, spero prima a scuola. Ti ricordo che c’è la riunione per il Prom domani, e senza di te siamo perduti! -

La ragazza rise nel ricevitore.
 

- Questo non significa che lascio cadere l’argomento. -

Dan si rimise la maglietta. I teloni su cui si erano stesi erano pieni di polvere. Sentiva di doversi grattare dappertutto.

- Come vuoi. Ma a me non fa piacere che tu lo faccia. -

- E’ una velata forma di minaccia? - Luke era ancora steso sul pavimento e lo guardava ironico, appoggiato su un braccio.

Dan, seduto vicino a lui, lo osservò per qualche secondo. - Vestiti, tra dieci minuti chiude la scuola. –
 

Periodo di cacca. Col prossimo capitolo ringrazierò tutte e scriverò anche altre cose. Tra l’altro prevedo un bel capitolo interessante! Ho tutto in testa, vi piacerà! Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Fever Night ***


Capitolo 11

Dove la festa più attesa dell’anno può cambiare di nuovo le carte in gioco.

 

 

E sabato era arrivato.

Si chiacchierava della festa dei Roderick da parecchie settimane. I due gemelli, Mila e James, frequentavano l’ultimo anno del liceo di Midgern e con l’arrivo del Prom, e la partenza per l’università, avevano deciso di organizzare una festa nella loro magnifica casa di campagna, a pochi chilometri dal centro della città. Erano stati invitati tutti gli studenti del quinto anno più alcuni dei ragazzi più popolari. Si prevedeva alcool e musica fino all’alba, tant’è che il posto era praticamente isolato, immerso nella boscaglia che circondava Midgern.

Anche perché i genitori dei gemelli erano in vacanza.
 

Pepper era nervosa. Odiava le feste e odiava ancora di più imbucarsi a quelle a cui non era invitata. Fortunatamente Bruce le aveva annunciato di tornare anche per quel weekend: ci sarebbe stato anche lui. Per la verità le aveva anche chiesto di andare assieme: in fondo era un vecchio amico di James e sarebbe stato scortese tornare in città senza salutarlo. Quale miglior pretesto per rendere pubblica la loro relazione? Eppure la ragazza aveva declinato: non era ancora pronta ad affrontare le conseguenze. Quali fossero queste conseguenze così terribili, Bruce se lo chiedeva spesso.

Tony aveva saputo dell’invito di Steve e subito gli era montata una rabbia pazzesca. Lo evitava ormai da lunedì e pensava che, in fondo, questo andasse bene anche a lui. D’altra parte il biondo non si era più palesato, né in aula audiovisivi né da nessun’altra parte, con l’intento di scusarsi o di ammettere se non i suoi sentimenti almeno la sua natura. Invece Steve aveva preferito lanciare quell’invito, aspettando passivamente una mossa del brillante ragazzino. Tony aveva subito declinato, ma per tutta la settimana il pensiero gli era continuamente ritornato in mente: che cosa credeva di fare cercando di essere gentile con lui dopo averlo umiliato in quel modo? Era un modo per scusarsi? Allora che lo facesse alla luce del sole, affrontandolo faccia a faccia, e non con quell’assurdo stratagemma.

Anche Luke era stupito dall’invito del quarterback. A comunicarglielo si era premurato Dan, in una delle loro riunioni dopo la scuola, nel solito laboratorio. In quel momento sì, si era un po’ sentito in colpa per lo scherzetto fatto a Steve, ma si era guardato bene dal dirlo al suo ragazzo (che poi non era il suo ragazzo… in realtà non sapeva bene cosa fossero loro due. Non parlavano molto.)

Peggy aveva obbligato Clint a partecipare, dicendogli che era l’ultima festa non ufficiale del liceo ed era assurdo non partecipare, tant’è che era sabato e bisognava assolutamente fare qualcosa assieme. Clint aveva ceduto per farla contenta: in fondo era la sua ragazza, no? Si sentiva in dovere di fare qualcosa per lei.

Steve era in ansia. Che cosa avrebbe fatto, con Tony? Che cosa avrebbe detto? Senza pensarci si era infilato in una situazione particolarmente scomoda e non aveva idea di come tirarsene fuori.

Natasha era pronta. Aveva un piano, e non vedeva l’ora di metterlo in pratica.


Ore 21:00

Steve suonò il clacson, un paio di volte, fuori dalla porta di Pepper.

Dopo venti secondi la bionda lo raggiunse, trafelata.

- Ehi! Potevi prenderti qualche minuto in più…. – cominciò il ragazzo, vedendo l’amica ancora in fase di work in progress.

- Tranquilla, sono pronta. - rispose lei, mentre finiva di acconciarsi i capelli nella solita treccia e tirare fuori il portacipria per finire il trucco. - Sono tornata a casa da poco. E’ un miracolo che sia riuscita a farmi la doccia! -

- Ok. Chi andiamo a prendere adesso? –

- Nat. -

- Mmmmm e poi? -

- Basta. -

- Sul serio? - Steve sentì un misto di sollievo e rammarico confonderlo. - Ma….gli altri… -

- Tony non viene e Luke dice che ha trovato un altro passaggio. -

Steve annuì sovrappensiero, poi ingranò la marcia e cercò di apparire elettrizzato. - Va bene, inizia la serata! –


Ore 21: 15

Dan scese dalla macchina e si diresse verso l’ingresso della casa di Luke. Stava per suonare quando sentì delle voci soffocate dall’altra parte del muro.

- … quante volte devo dirti, Luke, che io mi opporrò sempre a questa folle idea della facoltà di giornalismo? Quante? -

- Questo dimostra quanto poco tieni a me! -

- Che discorsi assurdi! Sai bene quanto io e tua madre ti amiamo… -

- E allora perché non mi lasciate fare quello che desidero? -

- … e proprio per questo sappiamo cosa è meglio per te! -

- Balle! Sono stufo di questa storia. Ogni santissima volta sempre la stessa storia. Lo capite che non cederò mai? E’ il mio futuro! -

- E sia, ma cosa credi di fare senza una borsa di studio o senza il nostro appoggio? Dovrai rinunciarci e lo sai. Fattene una ragione. -

- Io esco. – concluse la voce per chiudere bruscamente il discorso.

La porta dell’ingresso si spalancò e Dan si coprì gli occhi a causa della luce che proveniva dall’atrio.

- Ci mancava uno spione. - ribatté acido Luke e senza aggiungere altro si diresse verso la macchina.

Dentro l’abitacolo della macchina ancora spenta, Dan voleva dire qualcosa di intelligente, o di carino, insomma qualsiasi cosa potesse aiutare quella testa dura a recuperare il buonumore. Luke rimuginava peggio di Pepper alle prese con un compito in classe.

- Mi dispiace…-

- Aver origliato? -

Dan sospirò, alzando gli occhi al cielo. Si accoccolò nel suo sedile, osservando le macchine che passavano sulla strada. - Suppongo che tu non voglia andare alla festa. -

- Francamente? No. Non che ne avessi molta voglia neanche prima. -

- Cosa vuoi fare, allora? -

- Vorrei fare qualsiasi cosa serva per dimenticare i miei problemi. -

- Ok. - Dan pensò per qualche minuto. - Hai una carta di credito? -

- Come? -

- Insomma, hai dei soldi con te? -

- Beh, sì… niente cifre assurde, ma… -

- Va bene. - Dan accese la macchina, aprì il cassetto del cruscotto e tirò fuori un cd. Poi lo infilò nel lettore e mise la musica a tutto volume: ‘Running Wild’ degli Airbourne. - Non so molto dell’America ma una cosa l’ho imparata dai telefilm americani: esiste un solo luogo dove la gente si diverte e dimentica tutti i suoi problemi. E perde un sacco di soldi al gioco. Andiamo a Las Vegas. –


Ore 21:30

- Bruce? Caro, è da un secolo che non ti vedo! Come va l’università? -

- Salve, signora Stark. Bene bene, grazie. Tony è uscito? -

- Non credo uscirà, stasera. - Maria lanciò un’occhiata preoccupata verso le scale. - E’ un po’ giù in questi giorni, ma non vuole dirmi perché. Magari vuoi… -

- Se è possibile, sì. - Bruce varcò la porta della casa dell’amico e si diresse verso la sua camera.

Aprì la porta senza bussare: sapeva che Tony aveva piazzato una telecamera all’ingresso per avere tutto sotto controllo, nel suo ‘territorio’.

Lo trovò intento a giocare alla Xbox, la musica a palla sparata nelle cuffie.

Bruce si mise davanti allo schermo per avere l’attenzione dell’amico. Lui lo mandò a quel paese, ma spense tutto senza fare altre resistenze. - Allora, qual buon vento Bruce? -

- Lo sai benissimo. Ti ho chiamato oggi pomeriggio per farti venire con me alla festa dei Roderick. -

- E io ho rifiutato. -

- Non mi hai detto però che ti aveva invitato anche Steve Rogers. -

Tony si spaparanzò sul letto. - Hai parlato con Nat, suppongo. -

- Non importa con chi ho parlato. Perché non me lo hai detto? - Bruce si sedette sul lato del letto.

- Non ho voglia di parlarne. -

- Tony, ti rendi conto che stai buttando via una delle occasioni più importanti della tua vita per colpa di una stupida cotta? -

- Perché non partecipo ad una festa? -

- Perché non accetti il programma di meccatronica che ti ho proposto nella speranza che Steve Rogers si accorga di te! -

Tony non disse nulla.

- E’ da quando sei una matricola che hai questa cotta. Quando me lo hai rivelato, beh, non ho detto nulla, ma sapevo in cuor mio che quel ragazzo non ti avrebbe mai corrisposto. E poi non erano affari miei. Ma ora… insomma, dopo la storia del giornalino e tutto il resto dovresti aver capito che non esiste una minima possibilità di riuscita. -

- Non è etero. - rispose laconico l’amico.

- Come fai a esserne così sicuro? -

Tony si mise seduto e guardò Bruce negli occhi. - Perché l’ho baciato. Ci siamo baciati. Sabato scorso. Dopo la rissa. -

Bruce rimase interdetto per qualche secondo. Aprì la bocca un paio di volte, prima di esclamare. - U-uau. Ma… uscite insieme? -

- No. - Tony si ristese. - Mi ha detto esplicitamente che il suo è stato un errore, e ha cercato di chiedermi di non dirlo a nessuno. -

- Oh. - Bruce si grattò la testa. - Beh, Steve è sempre stato molto riservato. -

- Non cercare di difenderlo. E’ un omofobo del cazzo, anzi un represso del cazzo. -

- Beh, allora è tutto a posto. Dovresti fare le valigie: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. -

Ancora nessuna risposta.

- Andiamo! Cosa ti trattiene ancora qui? –

Nessuna risposta.

- Tony… -

- Lo so, lo so. E’ da pazzi. Eppure, te lo giuro, io penso….io penso di avere ancora una possibilità. -

- E va bene. - Bruce si alzò dal letto e si diresse verso l’armadio del ragazzo. - Se dobbiamo perdere altro tempo dietro a quel ragazzo, sarà meglio trovare questa possibilità il prima possibile. -

- Come? -

- Devi parlare con lui. Stasera. Se pensi che veramente possa esistere qualcosa fra voi. -

- Ma…-

- In fondo gran parte del lavoro l’hai fatta no? Ma devi promettermi una cosa: se dopo questa sera non cambierà assolutamente niente accetterai il programma, ok? -

- Va bene. In fondo hai sempre ragione tu. -

- Lieto di sentirlo. E adesso vai a farti una doccia: puzzi. -

Ore 22:00

Clint girava la cannuccia nel bicchiere, annoiato. Vicino a lui, Peggy chiacchierava animatamente con i suoi amici, seduti nel salotto dei Roderick insieme ad un migliaio di altri loro compagni sparsi per la casa. La musica permetteva a malapena di parlare e la gente cominciava già a essere parecchio su di giri.

- …voi non capite! Fare la cheerleader è difficile quanto praticare il vostro sport! - I ragazzi risero all’affermazione della ragazza. - Credete che si tratti solo di agitare pon-pon? Non è così! -

Clint si appoggiò al bracciolo del divano e guardò svogliatamente la porta. Era arrivata altra gente. Si riscosse quando nell’atrio comparve Nat insieme ai due amici.

Quella sera la ragazza era splendida: fasciata in un tubino nero che metteva in mostra il corpo atletico, i capelli elegantemente acconciati. Sembravano anche più rossi.

La ragazza lanciò uno sguardo apparentemente poco interessato al salone. Non diede segno di vederlo, eppure gli sguardi si erano incrociati. Prese a braccetto Pepper (sempre arruffata, persino di sabato sera) e le due si diressero in cucina.

Clint buttò giù quasi tutto d’un fiato la sua bevanda. La cosa parve talmente improvvisa che il gruppetto parlante si fermò a osservarlo, curioso.

- Cosa c’è? Avevo sete. – cercò di difendersi lui.


La fase uno di Nat era compiuta.

Clint l’aveva guardata, anzi l’aveva osservata bene. Ci aveva messo tre ore a prepararsi in quel modo e aveva dovuto chiedere a quella noiosa di sua sorella di darle una mano con i capelli, ma alla fine aveva ottenuto l’effetto desiderato. Ora doveva aspettare e trovare la persona adatta per terminare il suo piano.

Agguantò una birra e la passò a Pepper dopo averle tolto il tappo con i denti. Fece lo stesso con la sua e poi colpì la bottiglia della bionda con la sua. - Alla salute! -

- Ti ringrazio, ma non ho molta voglia di bere… -

- Oh, andiamo Pepper! E’ sabato sera! - Nat rise di gusto e due ragazzi la guardarono interessati. - E comunque dov’è Steve? Dovrebbe anche lui: è con noi, dopotutto. -

Steve era stato intercettato quasi subito da Bart, ansioso di chiarire la rocambolesca situazione che si era venuta a creare alla festa. Steve si aspetta un regolamento di conti nello stile del sabato precedente e per questo motivo si era tenuto lontano tutta settimana da lui e dalla squadra. (Mossa da vigliacco, lo ammetteva, fosse stato in sé probabilmente non l’avrebbe mai compiuta, ma in quel periodo non era in sé. Decisamente.) Si rese conto che Bart voleva agire diversamente, quella sera.

- Quello che hai fatto è stata veramente una bastardata, te ne rendi conto? – lo affrontò subito il ragazzo.

- Sì. Senti, mi dispiace… -

- …ma avevi ragione. Sono stato uno stronzo. -

- Sul serio? – Steve rimane immobile, non credendo al fatto di poter assistere a Bart che si scusava.

- Suppongo. E’ la prima volta che t’inalberi così con qualcuno della tua squadra. Un motivo ci sarà stato. - Bart lo guardò a lungo, pensando bene alle parole che voleva pronunciare. - Senti Steve, tu sai quanto contino per me i Lions. Sai che senza noi due la squadra è spacciata. E sai quanto valgano le ultime partite della stagione, vista la presenza dei talent scout. Ora come ora dobbiamo essere più uniti che mai, quindi lasciamoci alle spalle questa storia e diamoci da fare, ok? -

Steve sorrise e annuì. - Trovo che sia un’ottima idea. -

- Ok, allora ci si vede in giro. E… prova a toccarmi di nuovo e ti faccio fuori. Hai capito? -

Steve non rispose ma il ragazzo sembrava soddisfatto. Bart lo lasciò solo e Steve si guardò in giro.

Beh, per lo meno la serata aveva portato a qualcosa. Il piano ‘cercare di chiarirsi con Tony’ era miseramente fallito, ancora prima di cominciare. Forse era meglio così, considerando che non sapeva assolutamente cosa dirgli. Confessargli di essere stato un filino razzista? Oppure essere sincero e dirgli che non poteva permettersi di lasciarsi andare nella situazione in cui era? No, non avrebbe capito, per lui la sua vita era rose e fiori, un sogno. Se solo avesse saputo.

Lo avrebbe saputo se si fosse confidato con lui. Avrebbe saputo chi era veramente lui e che cosa aveva dovuto sopportare. Ma si poteva fidare veramente di Tony? Alla fine non lo conosceva bene. Si trattava di saltare nel vuoto e Steve non ne aveva il coraggio.

Steve gli rispose al saluto dell’arciere, che lo raggiunse.

- Allora Steve? Come va con la squadra? Ho visto che parlavi con Bart. E’ tutto a posto dopo… la faccenda di sabato? -

- Credo di sì. – alzò le spalle il biondo. Non avesse molta voglia di parlare di quello. - E a voi dell’arco come va? -

- Forse passiamo le selezioni per le regionali, ma la vedo dura. La maggiorparte dei miei sono alle prese con gli esami, e sono poco concentrati… - Clint girò in mano il suo drink, indifferente. - Ho visto che sei venuto con Pepper e Nat. Non sapevo girassi con loro. -

- Come? - Steve lo guardò, stupito dal repentino cambio di discorso. - No, io… Pepper mi ha chiesto se la imbucavo. -

- E anche Nat. -

- Sì, anche lei. –

- Senti, Steve, non sono bravo in queste cose, quindi sarò diretto: ti piace la Romanoff? -

Clint lo guardava in modo talmente determinato ed ostile che Steve si ritrovò a deglutire a disagio.

- Io…io…no. Tra l’altro a me quella ragazza non piace molto, la trovo un po’ troppo sgarbata, ma è un’amica di Pepper… ma perché mi fai questa domanda? -

- Oh, non so, forse perché è la prima volta che vieni a una festa con una ragazza. Anzi due. -

- Primo: non capisco cosa t’importi che io venga con qualcuno. Secondo: non è detto che, avendola portata qui, io stia con la Romanoff. Avresti potuto chiedermi se uscivo con Pepper, non ti pare? -

- Naaaa, non è plausibile. -

- E perché, scusa? -

- Ma le hai viste? Cioè Nat è…Nat è molto meglio. -

- Come prego? - Steve alzò il sopracciglio, confuso.

- Ok, anche Pepper è carina, ma… -

- …senti Clint. Capisco che hai bevuto e che, effettivamente, stasera la Romanoff sta da dio, ma mi spieghi perché mi fai questi discorsi? E soprattutto da quando t’interessi della mia vita sentimentale? -

Furono interrotti dal campanello: non si erano spostati dall’ingresso.

Mila Roderick li superò e aprì la porta, curiosa. Le sfuggì un gridolino di giubilo. - Bruce! -

- Ciao Mila, è da un po’ che non ci vediamo. Posso entrare? -

- Certo…. - Mila posò lo sguardo un po’ interdetto su Tony.

- Oh sì, ho portato un amico. Spero che non ti dispiaccia. -

- No… prego… la casa è grande… divertitevi! - disse, prima di sparire fra la folla.

Steve arrossì quando vide Tony, un po’ per vergogna un po’ per piacere.

La compagnia si riunì. Tony si ostinava a ignorare il quarterback.

- Allora, come sta andando? - disse Bruce, cercando di avviare un discorso.

Clint fece spallucce. – Bene, per adesso. –

-Chi c’è stasera? –

- Credo… tutti. E la cucina è ben fornita. -

- Dici? Uhm…e in quanto a ragazze? -

- E’ la prima volta che mi fai questa domanda. – il ragazzo rise. - Le solite. -

- Ah, certo. - Bruce si guardò intorno. - Sei qui con Peggy, giusto? - gli chiese.

Clint lanciò uno sguardo indifferente verso la sala. - Già. Siamo venuti insieme a dei nostri amici. Credo sia in salotto. -

- Mmmm. Tony, - continuò Bruce, facendo finta di niente. – Non dovevano raggiungerci anche Pepper e Natasha? -

- Non so… - Tony gli lanciò un’occhiataccia. - Credo dovresti chiedere a Steve. E’ lui che ci ha imbucato stasera. Tra parentesi, - si rivolse al diretto interessato quasi di controvoglia. - Grazie per l’invito. -

- Nulla. - rispose lui con un fil di voce. Poi si riscosse: - Le ragazze sono in cucina a prendere qualcosa da bere. -

- Oh, perfetto. Pensavo di andare giusto lì. Clint, vedo che ti sei già servito, ma saresti così gentile da…. -

- …ti accompagno, vieni. - rispose Clint, contento di avere una scusa per controllare cosa faceva la rossa. I due se ne andarono.

Steve guardò titubante Tony. - Vuoi anche tu… -

- Magari dopo. Scusa, devo andare in bagno. - tagliò velocemente il ragazzo, che si defilò.
 

- Quindi la squadra dovrebbe passare le regionali! E’ fantastico, Clint! - si congratulò Bruce.

- Si, beh, non è ancora detto. - Clint si diresse verso Pepper, che appoggiò la sua birra sul tavolo e fece loro un saluto con la mano.

Il suo sorriso divenne più marcato quando vide Bruce avvicinarsi. Stava per chiedergli come mai fosse tornato anche quel weekend quando Nat irruppe nel gruppetto, si aggrappò a Bruce e lo baciò appassionatamente.

- Oddio Bruce, per fortuna che sei venuto! Mi sei mancato tanto! - disse lei, tenendolo ancora più stretto fra le sue braccia. Pepper aveva occhi e bocca aperte e stringeva convulsamente il ripiano della cucina cui era appoggiata. Clint osservò i due, le sopracciglia che gli arrivavano all’attaccatura dei capelli. Si riscosse, e senza dire una parola si diresse verso il frigo, aprì una delle ante e tirò fuori una birra. Poi, con un cenno del capo, li lasciò soli.

Bruce guardava alternativamente le due ragazze, incapace di fare qualsiasi mossa. La bionda, ricacciando a forza le lacrime che stavano per scenderle dalle guance si limitò a dirigersi in un’altra stanza, senza però evitare di scoccare uno sguardo d’odio nei riguardi di quello che era diventato il suo ex ragazzo.

Appena se ne fu andata Nat cominciò a saltare come un cagnolino. - C’è cascato! C’è cascato! -

- Cosa? – Bruce la guardò ancora turbato, mentre lei le rivolgeva un sorriso vincente.

- Vedi che insieme possiamo sistemare le cose? E’ sufficiente che teniamo il gioco per tutta la sera, e vedrai che… -

- Aspetta un attimo: mi sei saltata addosso per… far ingelosire Clint? -

- Beh, sì, era quello il mio piano. - lo sguardo della rossa divenne improvvisamente compassionevole. - Oh, pensavi che provassi qualcosa per te? -

- Pensavo tu fossi impazzita! Si può sapere perché cavolo ti è venuto in mente di includermi nel tuo piano? - Bruce gesticolava e cercava disperatamente di non prendere a mal parole.

- Ma… pensavo ti facesse piacere aiutare un’amica! - esclamò lei, senza capire. - Sai quanto conta per me questa cosa! -

- E tu sai cosa conta per me? - stava per dirglielo. Oh, come stava per dirglielo! - Lascia stare. E per favore, per il resto della serata LASCIAMI IN PACE. -

- Bruce ma… Bruce! - gli urlò lei mentre il ragazzo usciva dalla stanza.


Steve aspettava da una decina di minuti nel corridoio. Appoggiato alla parete, cercava di prepararsi un discorso che, sapeva, al momento giusto non sarebbe mai venuto fuori.

La porta del bagno si aprì: Tony lo fissò contrariato prima di dirigersi verso le scale.

Steve lo bloccò appoggiando la mano sul muro e bloccandogli il passaggio.

- Che cosa vuoi? - lo affrontò sbrigativo Tony, le braccia incrociate appoggiate sul petto.

- Parlare. -

- Di nuovo? Non abbiamo molto da dirci. -

- Io sì. -

- Va bene, ti ascolto. - Tony si appoggiò al muro, lo sguardo leggermente sollevato verso di lui.

Steve fece cenno intorno a lui. - Non qui. -

- Oh, certo, dimenticavo: dobbiamo salvare le apparenze. Beh, sappi che non ci sto, non farò tutto quel cazzo che vuoi solo… -

- Ti prego… - gli sussurrò il biondo all’orecchio.

Tony aveva un gran desiderio di urlare e di andarsene ma, cosa che stupì anche lui, lo seguì in una delle camere degli ospiti che riempivano quell’immensa villa.

La stanza era spoglia ma molto ben arredata. Il letto era coperto da un lenzuolo, probabilmente per proteggerlo dalla polvere. L’unica finestra presente dava sulla strada e il giardino.

Steve si sedette sul letto mentre Tony si mise a osservare le piccole figure scure che chiacchieravano tranquillamente nel prato sottostante.

- Vorrei dirti che mi dispiace averti offeso, lunedì pomeriggio. Sono stato indelicato. -

- Non hai offeso me. Semmai te stesso. -

- Tony, te l’ho già detto… -

- …sì, ok, me lo hai già detto. Peccato che le tue azioni si discostino dalle tue parole. - Tony si diresse verso il letto e si sedette vicino a lui.

- Mi sono ubriaco un migliaio di volte con Luke, Bruce e Clint e, ti giuro, nessuno ha mai tentato di baciarmi. -

Steve non rispose. Si guardava le scarpe, cercando di rispondere in maniera sensata alle ‘accuse’ che il ragazzo stava per rivolgergli.

- Perché non provi a essere onesto con me? Solo con me. Prometto di non dire niente a nessuno. -

- E come posso crederti? -

- Lo sai benissimo che avrei potuto sputtanarti in qualsiasi momento! - rispose con una risata stanca il ragazzo. Tony si tolse le scarpe e alzò il lenzuolo e si stese. Prese uno dei cuscini e ci appoggiò la testa. - Non m’interessa parlare della mia vita, e della tua, con tutta la scuola. Puoi fare o credere quello che vuoi: non ho intenzione di tradirti. -

- Ti ho rifiutato. Potrebbe essere un ottimo movente per una vendetta. -

Tony sprimacciò il cuscino. - Naa. -

Gli angoli della bocca di Steve si alzarono mentre osservava lo scienziato accomodarsi in quel letto mezzo sfatto. - Naa? La tua difesa è ‘naa’? -

- Non mi sto difendendo. Te l’ho detto: sta a te crederci o meno. -

Steve si distese sul letto, vicino a lui, guardando il soffitto, e cominciò a parlare.
 

- Peggy, Clint, avete visto Pepper? -

- Ciao Bruce! E’ da un secolo che non ti vedo! Come… -

- Peg, scusami, ma Pepper? -

- Oh, non l’ho vista. Tesoro, tu… -

- No. Non so. Congratulazioni per la vostra storia, Bruce. -

- Ma quale… io e Pepper… -

- Non tu e Pepper. Sbaglio o poco fa Natasha ti baciava con trasporto? -

- Che cosa? - Bruce prese qualche secondo per calmarsi. - Senti, è una storia lunga e non è come pensi. Anzi, di questo noi dobbiamo parlare.-

- Dubito ci sia qualcosa da spiegare. -

- Io non sto con Nat. Ho una fidanzata, perdio! -

- Ah sì? Sono contenta per te, Bruce! Sei così carino e gentile, mi sono sempre chiesta come mai non avessi trovato una brava ragazza! -

- Se ti piace così tanto puoi sempre uscirci tu con lui, CARA. -

- Oh, Clint, sai benissimo che io parlo come amica. -

- Ora scusate, devo cercarla. -

- La tua ragazza? -

Li guardò senza capire. – Pepper… - rispose, incerto.

- Ma stavamo parlando della tua fidanzata… -

- Sentite, devo andare. - lo scienziato sparì fra la folla.


- Ho una paura fottuta, Tony. Ed è sempre lì, non sparisce mai, è sempre pronta a farmi andare nel panico. -

Tony lo ascoltava assorto. Fece un cenno del capo. - E’ un casino. -

- Già. - Steve sospirò. - Ora sai tutto. Commenti? -

- No. Non credo che ci sia niente da aggiungere. - girò il busto e prese un altro cuscino. Glielo porse. - Quello che stai facendo è molto bello, veramente. Non fa altro che aumentare l’ammirazione che ho per te. -

- Beh, avevamo già chiarito questo punto. - rispose, mettendosi il cuscino sotto la testa e girandosi finalmente verso il suo interlocutore. – Mi rendo conto di essere stato un po’ egocentrico. –

- Un po’? Hai parlato per due ore! – lo canzonò Tony. Steve gli lanciò il cuscino.

- E va bene, mio caro scienziato pazzo: dimmi qualcosa che non so su di te. -

Tony si avvicinò, portandosi dietro il suo cuscino. - Vediamo: mi piace la cioccolata fondente. In casa mia ce n’è sempre una scorta abbondante. E la musica rock: più è datata e meglio è. E infine, vediamo… ho un’enorme, folle, irritante e sconsiderata cotta per il quarterback della scuola. Da più o meno…il primo anno. - E detto questo lo baciò.


Nat era seduta sul dondolo, in una mano una sigaretta e nell’altra un gin tonic. Era piuttosto alticcia e non sapeva bene quanto tempo fosse passato, sperava solo che Steve non se ne fosse già andato altrimenti a chi l’avrebbe portata a casa? A Bruce? Sì, se non si fosse arrabbiato con lei non ci sarebbero stati problemi. Che tra l’altro non capiva proprio la sua reazione. Sì, beh, forse avrebbe dovuto avvertirlo di cosa intendeva fare, ma in fondo non era che un innocente scherzo!

- Dove hai lasciato il tuo fidanzato? - Clint si sedette vicino a lei, senza essere invitato. Lei agitò la testa mettendo in moto i suoi riccioli. Era Clint, giusto? Non aveva bevuto abbastanza da avere le visioni.

- E’ andato a prendere da bere. -

- Volevo farvi le congratulazioni. State molto bene assieme. -

- Grazie. Anche tu e Peggy sembrate… molto uniti. -

- Non lo siamo, ma è un complimento molto carino. - le prese dalle mani il gin tonic. - Come non è vero che tu e Bruce siete una coppia. -

Lei rise forzatamente. - E che cosa te lo fa pensare? -

- Pensare? Niente. E’ Bruce che mi ha DETTO che lui ha un’altra. All’Università, pare. -

Natasha Romanoff si congelò. Nonostante cercasse di apparire distante aveva una gran voglia di cercare Bruce e picchiarlo. Cazzo, non poteva stare zitto, almeno per quella sera?

- Io…io… e va bene! - la rossa si alzò e buttò via il mozzicone della sigaretta. - Non stiamo assieme né io sono minimamente interessata a lui. Contento? -

Clint la raggiunse e le riconsegnò il bicchiere quasi vuoto. Poi le prese il viso e lo alzò verso di lui. - Non sono contento. Sono sollevato. -

- Clint… - L’arciere la baciò con impeto e il bicchiere cadde a terra, frantumandosi. Nat si aggrappò con tutte le forze a l’unico ragazzo che aveva amato così dolorosamente per tutto quel tempo, che gli aveva fatto battere il cuore così a lungo.

Clint la lasciò. - Quello che ti ho detto è vero. Lo sai, lo hai sempre saputo che dicevo la verità, vero? E’ per questo che ti sei inventata questa cazzata con Bruce. E’ per questo che hai continuato a provarci, nonostante gli altri ti dicessero che non ci sarebbe stato mai niente tra noi. Quante volte avrei voluto dirti di sì, quante volte avrei voluto rapirti e tenerti sempre con me! Ma la vita è una puttana, una fottuta puttana e non volevo farti soffrire. E non voglio farlo ora. - Il ragazzo parlava velocemente nell’orecchio della sua bella, mentre dalle guance di lei le lacrime scendevano sulle guance. - E ora come cazzo faccio senza di te? Come si fa a resistere all’amore della propria vita? -

- Suppongo che non si possa fare. - sospirò lei. -

- Peggy doveva allontanarti da te. Ho pensato… che se tu non mi avessi più cercata avrei lasciato perdere tutto. Sarei andato avanti, verso un futuro che non desidero ma a cui sono destinato. Ma non ha funzionato. Stasera avrei UCCISO Bruce davanti a tutti per il solo fatto ti ha toccato, mentre io non lo avevo mai fatto. -

- Clint… -

- Tu sei mia, punto. Credo che su questo non ci sia da discutere. E ora andiamocene da qui.-

Detto questo, senza aspettare una risposta, le prese la mano e la condusse verso il parcheggio.

Tony si stiracchiò, appoggiandosi più comodamente sul petto del quarterback, ormai quasi mezzo addormentato. - Allora, com’è stato? -

- Grande. Veramente. -

- E…-

-…potremmo rifarlo. -

- Era quello che volevo sentirti dire. -

- Però, ecco, potremmo… -

- Senti. - Tony lo interruppe. - Capisco che in questo momento per te non sia facile. Per me è ok se teniamo la cosa per noi, sul serio; quando ti sentirai pronto allora… beh, qualsiasi cosa succeda la affronteremo. - abbassò la voce.

Nel buio della camera Steve sorrise.


Questo capitolo è stato devastante da scrivere ma ho ritenuto narrare tutta la sequenza della festa per avere un quadro completo della situazione. Consideratelo un bonus per il vostro supporto.

(Tra l’altro non sono ancora convinta del risultato. Devo cominciare a revisionare, non c’è niente da fare!)

Finalmente ho un po’ di agio per scrivere un po’ di cavolate che ho rimandato per qualche capitolo.

Dunque, ho iniziato a scrivere questa fanfic dopo aver constatato il numero esiguo di racconti sugli Avengers in AU!College o AU!High School (che tra l’altro mi sono confusa, ho scritto college nella definizione della storia e in realtà è ambientata al liceo, rimedierò).

Ero curiosa di vedere se qualcuno l’avrebbe filata e quindi se qualcuno fosse interessato alla trasposizione dei supereroi in una dimensione più ‘reale’ e devo dire che fino ad ora la storia ha riscosso un buon successo.

Tutto questo per introdurre i ringraziamenti dovuti a coloro che hanno perso un po’ di tempo a leggere questo delirio. In particolare ringrazio tutte le mie recensioniste: roby_lia che si scusa sempre di essere in ritardo ma per me può recensire quando vuole! marianna_watson che sta sviluppando una storia più ‘classica’ sempre sui vendicatori (sappiatelo), Flox93 che scrive recensioni chilometriche e ingarbugliate (il tuo correttore ortografico sul telefono è sconvolgente!!!!), Glitter Princess ormai mia recensitrice di lunga data (e per questo una delle mie preferite!), Wadding_ che metto in difficoltà con le mie trame assurde ;), __sakura___ che sembra sia l’unica che, insieme a me, difende un minimo Clint (anche se ammetto sarebbe da picchiare, almeno fino ad adesso!), H o p e l e s s che ha amato Dan fin da quanto ha mollato un cazzotto a Luke (e solo per questa frase ti adoro!), Bamboo93 che mi ha messo come autore preferito <3 (insieme a Glitter Princess e Wadding_) e Bartonseyes che mi cazzierà se dirò qualcosa di errato sul tiro con l’arco visto che lo fa anche lei…giusto?

MI sembra di avervi citato tutte, nel caso mi scuso di aver dimenticato qualcuno.

Infine pubblicizzo (ancora) gli altri miei lavori sugli Avengers:

* Drabble Are you gonna be my man? E In Your Shoes

* One Shot: Can't we be friends? E Superfamily: il segreto di Peter. (che spero di poter sviluppare un giorno, perchè I <3 superfamily!)

* Traduzioni: A prova di proiettile

* Storie a capitoli: Avengers Assemble: la Guerra dei Robot.

Una persona mi ha detto che è molto importante per chi scrive avere dei pareri su come si evolve un racconto, su come procede la scrittura, come sono caratterizzati I personaggi etc… quindi lo ripeto ancora una volta, qualsiasi critica o consiglio sono ben accetti!

Per il resto io vi ringrazio tutti di cuore e spero di incontrarvi di nuovo nel capitolo 11 (oddio, no, il 12! non ce la faccio più ;).

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Capitolo 12
*** Domenica mattina ***


Capitolo 12

La colazione è il pasto più importante della giornata.


Fare after non era mai stato così divertente. All’inizio Luke aveva provato a lamentarsi e a cercare di far cambiare idea al suo ‘rapitore’, anche perché non avevano con loro abbastanza soldi, e poi se fosse successo qualcosa? Nessuno sapeva dove fossero diretti e…. ma il biondo aveva seguitato a sorridere senza rispondergli, abbandonandosi alla guida. Ci avevano messo due ore ad arrivare o forse un po’ di più, a causa delle fermate nelle aree di sosta per fare l’amore, così, appartati e alla clandestina.

Arrivati in Nevada poi, non ne parliamo! Non c’era stato tempo di pensare: un salto al casinò a scommettere trenta dollari a uno dei tavoli peggiori (e perdere miserabilmente fra gli sguardi torvi dei giocatori professionisti), una sosta al Venetian per ammirare la riproduzione della città italiana e ballare ai ritmi psichedelici del Tao (Luke aveva tentato, sul serio, di trattenere Dan dal salire su un cubo provvisto di palo di lap dance. Lo aveva pregato di scendere, più e più volte, ma per tutta risposta lui aveva cominciato a dimenare i fianchi in maniera veramente ridicola, suscitando la gioia di un gruppo di studentesse visibilmente ubriache. Inutile dire che la cosa era finita al bar, a bere in compagnia delle ragazze, dietro di loro generosa offerta.). Infine, verso le quattro di mattina, dopo aver battuto a biliardo un gruppo di motociclisti incontrati in un piccolo pub all’estremo della città, erano risaliti in macchina per tornare a Midgern.

Il sole era appena sorto e i due erano seduti sulla ringhiera del portico che separava la casa di Luke dal giardino.

- Sono morto. - esclamò Dan, stiracchiandosi il più lentamente possibile.

- Immagino…ci hai dato dentro stasera. -

Dan gli mise un braccio intorno alle spalle. - Almeno ti sei divertito? -

- Divertito? Divertito? E’ stato…. assurdo! Cioè tu… io…oddio, ancora non riesco a crederci a quello che abbiamo fatto con cento dollari! A Las Vegas, poi! -

Dan lo baciò sulla nuca. - Pensavo valesse la pena fare una pazzia. -

Luke gli sorrise. - Questa è stata la più bella serata della mia vita. Ti ringrazio per questo. -

- Come come come? Nessun sarcasmo, nessuna battutina tagliente….? -

- Sono troppo stanco. -

- Allora sarà meglio andare a dormire. - Dan saltò giù dalla ringhiera e gli fece un cenno di saluto. Luke lo seguì lo con lo sguardo mentre percorreva il vialetto, poi lanciò giù anche lui e lo rincorse.

In mezzo alla via in cui era cresciuto, con il sole che stava sorgendo e la calma che regnava sovrana in quel giorno festivo, Luke lo baciò appassionatamente, come forse non pensava di poter permettersi. Perché, in fondo, aveva sempre creduto di non potersi innamorare. - Ecco….io…ok. - si limitò a dire dopo Luke, lasciando il biondo felicemente confuso in mezzo alla via, mentre lui se ne andava a dormire.
 

- Devi vestirti. -

- Ma cosa… che ore sono? -

- Le otto. Su, sbrigati! -

- Buongiorno anche a te, Nat. -

- Mia madre ha l’abitudine di svegliarsi presto e controllare se tutti i suoi figli sono rincasati dalla sera prima. - la rossa sorrise. - Se ti vede mi fucila. -

- Va bene, va bene…. - Clint si strofinò gli occhi con le mani, ancora rimbambito dal sonno. Nat lo osservava, seduta in fondo al letto, le gambe incrociate. Com’era bello! Era bellissimo ed era lì con lei, lo era stato per tutta la notte. Le aveva detto che era l’unica donna della sua vita. Glielo aveva ripetuto… quante volte? Troppe? No? Tante? Sicuramente. E stavolta non era un sogno.

Clint si chinò verso il pavimento per cercare i boxer. - Suppongo che fare colazione sia un’idea improponibile, giusto? -

- A meno che ci si incontri da Alfredo tra mezz’ora. -

- Grande! - Clint sbuffò. - Ho proprio bisogno di un caffè. -

- Io mi sento benissimo. - L’arciere alzò lo sguardo verso il viso sbarazzino della ragazza, i capelli tanto ben acconciati la sera prima cadevano disordinatamente sulla sua t-shirt. Si avvicinò a lei e le scostò i capelli dal viso prima di posarle un bacio sulla fronte.

- Stamattina sei ancora più bella del solito. -

- E’ la stanchezza che ti annebbia la vista. -

- Non credo. -

- Tu invece sembri mio nonno. -

- Ah grazie! – Quando le risate scemarono dalle loro, resto il silenzio, e nel silenzio i due si osservarono, come per imprimersi quel momento. Quel momento in cui erano insieme, uniti per la prima volta, in un letto troppo piccolo.

Nat si riscosse. Dopo, dopo avrebbe avuto altro tempo. - Senti, devi andare. - Aprì la porta finestra. - Ora! -


Un’intera notte passata sotto una finestra. Bruce non si ricordava di aver fatto una cosa così stupida in tutta la sua vita. Aveva chiamato Pepper un migliaio di volte al cellulare, cercandola dappertutto in quell’enorme casa, per poi scoprire che se n’era andata da una mezz’ora. Da chi si fosse fatta accompagnare non si era capito bene, tant’è che Steve era sparito ma la sua macchina era ancora nel parcheggio, quindi non poteva essere stato lui.

La richiamò ancora quando, sotto casa sua, non sapeva bene che fare. Era notte inoltrata, mica poteva suonare il campanello e svegliare i suoi genitori. Per dire loro cosa, poi?

Nessuna risposta, qualche chiamata rifiutata. Era rimasto lì, sperando a un ravvedimento della ragazza. Già, come se la cosa non l’avesse sconvolta poi così tanto. Gli veniva in mente il suo viso, contratto, a disagio, ma soprattutto… deluso. Da lui, come se la colpa fosse stata sua. Beh, un po’ lo era, ma non… non aveva avuto intenzione di farlo. Era successo. Nat era stata precipitosa a organizzare la cosa e ancora gli veniva il nervoso a pensare alla sua impulsività, ma d’altronde lei che ne poteva sapere delle conseguenze del suo gesto?

Alla fine, stanco, il ragazzo si era seduto per terra, in giardino, appoggiato a uno dei muri esterni della casa, sovrappensiero e molto depresso.

Gli sembrava avesse abbassato le palpebre per qualche minuto quando si accorse di sentire caldo. La luce lo stava colpendo prepotentemente sul viso.

- Si può sapere perché stai dormendo nel mio giardino, ragazzo? - un signore sulla cinquantina con i capelli grigi corti che spuntavano da sotto un cappello di paglia lo guardava curioso dall’alto dei suoi stivali di plastica. Aveva in mano una cesoia.

Bruce lo osservò bene: doveva essere il padre di Pepper. - Salve, signor Potts. - aggiunse, giusto per non sembrare un pazzo o peggio.

- Quindi mi conosci, eh? - gli rispose l’uomo, a metà fra il divertito e il contrariato. - Cosa ci fai qui? -

- Non spaventarlo, caro. Sai chi è? E’ Bruce Banner! - la signora Potts era uscita dalla cucina per capire con chi parlasse il marito.

- Dovrei saperlo? -

- E’ quel ragazzo di cui parlava Virginia, quello menzionato nell’albo d’oro. Ma sì, sono sicura che te lo ricordi, il chimico. -

- Oh. OH. - rispose lui. Lo sguardo passò dalla moglie al ragazzo.

La donna aveva dipinto un sorriso benevolo sul volto mentre si puliva le mani nel grembiule. - Vuoi unirti con noi a colazione, Bruce? Ho fatto la torta di mele. -

- La ringrazio ma io… - che scusa poteva inventarsi? ‘Ho un impegno’? Sì certo, mi sembra ovvio: passare la notte nel giardino di estranei e poi defilarsi appena scoperto. - Non voglio disturbare. -

- Non disturbi mica, vero caro? - si rivolse la donna al marito, che non ebbe tempo di rispondere. - E poi sono sicura che Virginia sarà contenta di vederti! - gli disse, strizzandogli l’occhio mentre rientrava in cucina al suono del timer.

Pepper si stava guardando allo specchio. Aveva gli occhi gonfi e neanche lavarsi la faccia con l’acqua gelata aveva aiutato. Si preparò mentalmente le risposte da dare ai suoi genitori nel caso le chiedessero della sua brutta cera. In fondo non era la prima volta che stava sveglia tutta la notte per terminare un progetto, si disse. Sì, come scusa andava bene.

La sorella bussò alla porta e la invitò a scendere per colazione. Pepper sospirò e si mise le sue babbucce a forma di gatto, non senza prima darsi un ultima occhiata allo specchio.

Faceva abbastanza schifo.

Entrò in sala e vide il padre leggere il giornale con indosso gli stivali di plastica.

- Oggi giardinaggio, papà? -

- Un tuo amico ci ha raggiunto a colazione. - rispose lui, senza alzare gli occhi dall’articolo che stava seguendo.

Il cuore di Pepper fece una capriola quando Bruce entrò in sala insieme alla madre, con in mano un vassoio pieno di roba da mangiare e lo sguardo diretto nella sua direzione, intento a chiedere clemenza.

La bionda si sedette al tavolo senza dire una parola. Accanto si sedette il ragazzo che le passò il piatto con dentro il dolce. Davanti a lei la sorella lo guardava un po’ incuriosita. - Bruce…ehm…ciao. Come stai? -

- Bene, Lindsay. Come va con le cheerleader? -

- Tutto a posto… - Lindsay vide la sorella lanciarle uno sguardo di fuoco e si mise a bere il suo the. C’era qualcosa che non andava assolutamente, pensò Lindsay. Anche suo padre lo aveva capito benché facesse il finto tonto, mentre imburrava una fetta di pane e parlava delle tasse con sua moglie. La donna faceva finta di niente, ma sembrava a suo agio in una situazione di per sé complessa. Specialmente di domenica mattina.

I ragazzi mangiarono in silenzio. Dopo un tempo che considerò ragionevole, Bruce ringraziò per il pranzo e si congedò dai presenti. Pepper lo accompagnò alla porta di casa e cercò, letteralmente, di buttarlo fuori.

- Devi ascoltarmi, ok? - disse lui, mettendo un piede fra l’uscio e la porta. - Tra me e Nat non c’è niente. Si è inventata questa storia per far ingelosire Clint, ok? - sibilò il ragazzo. Era assolutamente sicuro che in sala qualcuno li stesse ascoltando.

- Sicuramente. E sicuramente ti sarai sentito IMPOSSIBILITATO a toglierle la lingua di bocca giusto? -

- E’ stato… un riflesso incondizionato, e me ne pento. Ero confuso, non capivo cosa stesse succedendo… -

- Sai che cosa credo io invece? - Pepper aprì la porta di scatto per affrontarlo. - Io CREDO che tu non aspettassi altro che una cosa del genere. Non voglio dire con Nat. Voglio dire che non vedevi l’ora di trovare un’altra per sostituire l’isterica e pazza che hai davanti. -

- Questo non è vero. Lo sai che ti voglio bene, nonostante tutte le tue fisime… -

- Compresa questa. Dai dillo! -

- Ebbene sì, perché è solo una cazzo di paranoia che hai tu, come tutte le altre. - Bruce si stava arrabbiando. Le prese la mano. - Non sono io che ho deciso di nascondere a tutti che stiamo assieme. Io ero orgoglioso di averti come fidanzata. Tu lo eri? Perché francamente comincio ad avere dubbi. -

- Io…Certo che lo sono! Perché usi il passato? -

- Come? -

- Hai detto che eri orgoglioso. -

- Con te non si può fare mai un passo falso. Sei piena di dubbi, di domande e di difetti, ma questo è ok! Sei fatta così ed è per questo che mi piaci. - Bruce le sorrise stancamente. – A volte penso… che tu ti consideri perfetta. Se qualcosa non va nel verso giusto, l’errore deve averlo fatto qualcun altro, o almeno è quello che tu sembra voler credere. Ok, stavolta è vero, ho sbagliato, ma sarebbe successo questo se fossimo usciti alla luce del sole? Mi dispiace, Pepper, io sono innamorato di te, ma sono stufo di essere considerato io quello… mancante. Questo… è troppo. -

Lasciò la mano della ragazza, congelata sulla porta, e a testa bassa si diresse verso la macchina.

Pepper rientrò in casa e si diresse in camera. Si guardò nello specchio, poi scoppiò a piangere.

La sua faccia faceva veramente schifo.


Dan entrò da Alfredo: aveva bisogno di un caffè ma non aveva voglia di tornare a casa. Se lo avesse fatto, si sarebbe sicuramente crollato e non voleva che avvenisse: addormentarsi voleva significare terminare una delle giornate più belle della sua vita da quando era arrivato in America.

Al bancone parlò qualche minuto con il barista poi si guardò intorno. Riconobbe la buffa amica di Luke, la ragazza con i capelli rossi. Stava ridendo per qualcosa che aveva detto il ragazzo seduto davanti a lui. Dan riconobbe la voce. Prese il caffè e si diresse verso di loro.

- Clint? -

I due ragazzi si girarono verso di lui. - Ehi, Dan! Anche tu mattiniero, eh? -

- Oh, sì… - Dan salutò la ragazza. Era la prima volta che la vedeva rilassata. Lei gli restituì un sorriso e lo invitò a sedersi con loro.

Era successo qualcosa a quella dannata festa, decisamente.

I ragazzi cominciarono a raccontare un po’ chi c’era dai Roderick, com’era la casa. Dan li osservava: c’era qualcosa che morivano dalla voglia di dirgli, ma non arrivavano mai al punto. Quello probabilmente volevano tenerlo per sé.

Clint stava per raccontare l’incontro fra Steve e Bart (li aveva osservati dall’altra parte della stanza), quando salutò da lontano una persona e la chiamò lì da loro.

Nat e Dan si girarono.

- Oh, finalmente. Te la sei presa comoda eh, Luke? -

Il ragazzo rispose con una smorfia e fissò Dan come dire ‘E tu cosa ci fai qui?’.

Clint fece spazio al nuovo arrivato che si mise a bere il suo caffè silenziosamente.

- Allora, a voi com’è andato il sabato? - chiese Clint, cercando di trattenersi nel dire per la milionesima volta che il suo sabato era stato… parecchio interessante.

Prima che Dan potesse dire qualsiasi cosa, Luke appoggiò il bicchiere del caffè sul tavolo e guardando Dan seduto davanti a lui, parlò senza espressione. - Io e Dan siamo andati a Las Vegas. -

Nat alzò subito lo sguardo dalla sua ciambella. - Come? -

- Sì insomma. Non avevamo molta voglia di vedere gente del liceo. - s’introdusse Dan, guardando interrogativo il moro.

Che tra l’altro non si trattenne poi molto. - Volevamo stare un po’ da soli. Sai, com’è… era un appuntamento. -

Nat si strozzò con un pezzo del suo dolce. Clint le passò il the, poi tornò a rivolgersi ai due. - Beh, è fantastico… credo… - effettivamente non sapeva bene cosa dire. Scoppiò a ridere. Era una bella scena dai, Clint che moriva dal ridere e Nat che moriva e basta.

- Cioè, tu…ahahaha….ti ha spaccato il naso…ahaha…oddio, non ce la faccio…. - Clint non smetteva. Alla fine anche Dan cominciò a ridere. Nat, liberatasi dal boccone infausto, aveva le lacrime agli occhi. Anche lei dal ridere.

Luke li guardò tutti, alternativamente. - Almeno tu, Dan! - rispose lui, ma Dan alzò le mani come per difendersi: da fuori la cosa sembrava effettivamente assurda.

Luke abbassò le spalle, sconfitto. La sua era una vita assurda. La sua ‘relazione’ era assurda, ma gli andava bene così: in fondo era innamorato.


Grazie mille per tutte le vostre visite. Le cose ricominceranno a farsi incasinate dal prossimo capitolo ;)

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Capitolo 13
*** Prom & Call ***


Capitolo 13

E’ difficile liberarsi dalle cattive abitudini.
 


 

Steve era una persona molto occupata in quel periodo. Oltre alle responsabilità che lo legavano ai Lions doveva tenere in considerazione i numerosi impegni del Comitato del Ballo di Fine Anno, in cui era entrato a far parte per insistenza di Pepper. Senza contare che era all’ultimo anno e doveva prepararsi per gli esami finali e mandare le richieste d’iscrizioni alle varie università. Aveva scelto di seguire il corso di Arte e Cinematografia all’UCLA e viveva nell’ansia di ricevere una risposta positiva. Sapeva infatti di non potersi permettere l’ammontare della retta e che, inevitabilmente, all’inizio di settembre si sarebbe iscritto a qualche corso di minore importanza nell’università della città.

Steve si divideva così, sognando a occhi aperti un futuro che non si sarebbe avverato e un presente molto stressante. In quelle ultime settimane sperava di dare lustro alla squadra e permettere ai più meritevoli dei suoi compagni di emergere e ricevere qualche offerta importante dai vari cacciatori di teste che comparivano durante le partite, in cerca delle nuove promesse del football.

I giorni passavano, le scadenze si avvicinavano e le responsabilità diventavano sempre più opprimenti, di conseguenza gli incontri segreti con Tony divenivano sempre meno. Di solito si vedevano il mercoledì sera, a volte in quel cinema, dove tutto era cominciato, a volte da Alfredo per mangiare una pizza insieme a Clint e Nat, diventati ufficialmente una coppia. Una volta Tony lo aveva perfino invitato a casa sua per poter così presentargli i suoi genitori (non in veste di fidanzato ufficiale, beninteso.). Era stato strano incontrare i suoi genitori, ancora più strano il calorosissimo benvenuto che gli avevano riservato: nonostante non l’avessero mai visto prima della fine della serata lo trattavano come un amico di lunga data, esattamente come era successo a Dan. Aveva avuto modo di discutere di quella particolare famiglia con lo svedese ed erano arrivati al punto che, tutto sommato, Maria e Howard Stark erano persone a posto e simpatiche. Dan gli aveva raccontato dell’incursione di Luke in quella casa e Steve lo aveva ascoltato, divertito, durante l’ora che i due erano riusciti a ritagliarsi per cazzeggiare un po’.

Avevano appena finito Letteratura Inglese. I libri erano sparsi su uno dei tavoli vuoti del refettorio ma nessuno aveva voglia di studiare per la prova del giorno dopo. Dan lanciò la biro fra i fogli macchiati e si schiarì la voce. - Allora? -

- Allora cosa? -

- Che hai fatto in questo periodo? E’ da un secolo che non ci si vede più! -

- Buffo, potrei dire la stessa cosa di te. - Steve abbozzò un sorriso. - C’è niente di nuovo che dovrei sapere? -

- Del tipo? -

- Del tipo che esci con Luke Laufey? -

Le guance dello svedese s’imporporarono. - Sì, beh, senti, so quello che ti ha fatto e che, insomma, non credo che sia la persona che preferisci di più al momento… -

- Ehi, va tutto bene. Quello che è passato è passato. Sono sicuro che sia un bravo ragazzo e che non abbia scritto quelle cose per ferirmi o screditarmi. -

- Ciò non significa che non debba chiederti scusa. - replicò il ragazzo, corrucciandosi. - Gli voglio bene ma a volte è veramente testardo e arrogante. Suppongo che di una persona si debbano amare sia i pregi che i difetti senza lamentarsi, giusto? -

- Specialmente i difetti. - rispose Steve, rimarcando le sue parole facendo roteare in aria la matita. - E poi l’importante è che ti renda felice. - ‘Come una certa persona rende felice me’ pensò fra sé e sé il ragazzo.

Sembrò che Dan gli leggesse nel pensiero. - Non mi hai ancora detto che cosa mi combini. -

- Io? Nulla. La squadra… gli esami… e il ballo. Tutto qui. -

- Sarà, ma ti vedo molto più sereno in questo periodo. Più felice. -

Era la stessa cosa che pensava Tony quando raggiungeva scuola insieme a Nat. Scendeva dal bus, si dirigeva verso gli armadietti e incontrava - casualmente - Steve. Allora rimanevano lì a chiacchierare, per qualche minuto, per poi perdersi nel loro tran tran giornaliero. Quei pochi minuti però bastavano a entrambi per sopportare il resto della giornata.

Per paura che il loro rapporto non venisse neanche notato i due non passavano più di quei pochi momenti assieme, almeno a scuola, anche se ormai tutti parlavano dell’amicizia fra lo ‘scienziato pazzo’ del quarto anno e il quarterback più carino che il liceo avesse avuto da molti anni.

Un pomeriggio Tony lavorava su una scheda elettronica (sempre abusivamente nella redazione del giornalino scolastico) quando sentì aprirsi la porta dietro di lui.

- Te l’ho già spiegato Luke, fino alla fine del mese resto qui. E’ inutile che mi minacci di sgombrarmi con la forza, tanto non ci credo. -

- Non sono Luke. - gli rispose Steve. Il bruno si alzò, stupefatto. - E la nostra regola che fine ha fatto? -

- Quale regola? -

- ‘Nessun contatto dopo il suono della campanella del mattino’? -

- Che si sfotta. - gli disse, prima di baciarlo con tanta foga che Tony dovesse tenersi al tavolo per non cadere.

- Wow! E’ successo qualcosa che dovrei sapere? -

- Sono solo felice di vederti. - gli rispose lui, prendendogli i fianchi e avvicinandolo a lui. - Mi manchi. - gli sussurrò.

Tony sorrise. - E’ un periodo del cazzo per tutti. Sto ultimando i dettagli del mio prossimo progetto ma ho quasi finito. Ti va se dopo andiamo da qualche parte? -

- Mi piacerebbe, - disse il ragazzo, sfregandosi gli occhi. - ma ho una riunione per il Ballo. -

- Ah già. - sogghignò Tony. - Pepper ha mollato la poltrona e ti ha lasciato tutto sul groppone. -

- Non me ne parlare. Ci mancava solo questa. -

- Sì beh, non so che cosa stia capitando a quella ragazza da un po’ di tempo. E’…apatica. Sembra assente. Sai che ha preso una B in Storia e non si è neanche scomposta? Non so se preoccuparmi per lei oppure no. -

- Dovresti farlo, è tua amica. -

- E’ che di solito è lei che si preoccupa per me. Non so come comportarmi in questo caso. -

Steve rise e cominciò a girare intorno ai tavoli, osservando i ritagli di giornale appesi alle pareti. - Cosa sono? -

Tony gli rispose distratto. - Una sorta di collezione degli articoli più rilevanti che hanno riguardato il liceo. Meriti, partite vinte… credo che ci sia anche tu, da qualche parte. -

- Credi? - chiede il biondo, alzando ironicamente un sopracciglio.

- Guarda vicino alla lavagna. - si arrese Tony.

Steve sospirò. - Mi mancherà tutto questo. -

- Sul serio? – lo canzonò il bruno mentre riponeva i suoi attrezzi nella cassetta.

- Ho passato alcuni dei momenti più belli della mia vita qui dentro. - Steve si girò verso di lui. - Specialmente in questi ultimi giorni. - Prese una sedia e si accomodò. - Sai che parteciperò al Ballo come caposcuola, vero? -

- Suppongo. Non so molto di come funzionino queste cose. -

- Vorrei comunque che tu sapessi questa cosa da me prima che qualcuno te lo dica nel momento e nel modo sbagliato. - Steve lo guardò negli occhi, nervoso ma comunque fermo. - Ho chiesto a Peggy di essere la mia accompagnatrice. -

Tony ci mise qualche momento a elaborare la cosa. - Perché Peggy? -

- Diciamo che è parecchio triste da quando Clint l’ha mollata, tra l’altro neanche molto gentilmente. Ok, non sono cavoli miei e so che Natasha è tua amica. Sono contento per loro, davvero. - si scusò il ragazzo.

- Perché non… - cercò le parole Tony. Distolse lo sguardo da lui. Non avrebbe finito di elaborare la domanda perché sapeva che era veramente stupida e non era da lui dire cose stupide.

- Credo che sia bene presentarmi con una ragazza all’ultimo Prom. Peggy è mia amica e lo è da una vita. Non siamo molto intimi, è vero, ma è stata una presenza in qualche modo costante per me qui a scuola. Se deve girare la voce che esco con qualcuna vorrei che riguardasse lei e non un'altra ragazza. - Un pesante silenzio si frappose fra i due. Tante parole fremevano nell’uscire dalle labbra dei due ragazzi ma nessuno dei due aveva intenzione di pronunciarle. Non si poteva, non si poteva e basta. Tanto valeva chiuderla lì, e accettarla.

Steve si batté i palmi delle mani sulle gambe e si alzò. - Bene. E’ meglio che vada. -

- Sì…no, non devi. Rimani. - gli chiese, o forse lo supplicò, Tony.

Steve stiracchiò un sorriso. - Magari un’altra volta. –
 

——— Chat di Facebook ———

Ore 18:34

Natasha Romanoff: ciao bionda, come te la passi?

Ore 18:45

Natasha Romanoff: Pepper?

Ore 18:54

Natasha Romanoff: PEPPER! Ti conosco bene, lo so che sei a quel dannatissimo pc, quindi rispondi ok?

Ore 19:30

Natasha Romanoff: Ora vado a mangiare, però dopo ci sentiamo, ok? DAI!!!!

Ore 20:03

Natasha Romanoff: per favore…

Ore: 20:18

Pepper Potts: piantala di chiamarmi

Ore 20:18

Natasha Romanoff: finalmente!Come stai???

Ore 21:47

Natasha Romanoff: Si può sapere cosa ti ho fatto? E’ una settimana che non mi parli!

Ore 21:50

Pepper Potts: Tu? Assolutamente niente, a parte il fatto di esserti dimostrata la SOLITA EGOCENTRICA E PREPONTENTE CHE SEI

Natasha Romanoff: Ma perché?

Pepper Potts si è disconnessa.
 

Nat guardò lo schermo del suo computer. Era più di una settimana che la bionda non le rivolgeva la parola e faceva di tutto per evitare lei e i suoi amici. Quello che più soffriva dello strano comportamento della ragazza era Tony che però cercava di dissimularlo bene, mentre gli altri erano più o meno persi nei loro problemi e la cosa non li aveva toccati più do tanto. Aveva cercato di parlarne a Bruce ma questo era risultato piuttosto sfuggente dall’ultimo ritorno a Midgern. Intanto Pepper aveva mollato quasi tutte le attività extrascolastiche e i suoi voti erano peggiorati. I professori erano preoccupati e una volta la rossa l’aveva persino incontrata dal consulente scolastico. Nat non era mai stata molto legata a Pepper ma sentiva di avere un debito nei suoi confronti dopo gli avvenimenti della festa. Voleva fare qualcosa per lei.

Il guaio è che non era per niente facile aiutarla poiché non le diceva quale fosse il problema. Nessuno dei suoi amici lo sapeva e la bionda si rifiutava di parlare con loro. Continuava a ripetere di lasciarla in pace e con Nat poi non ne parliamo! Quelle frasi erano ancora gentili rispetto al tono che aveva adottato da qualche tempo nei suoi confronti.

La rossa prese il cellulare e digitò alcune cifre.

- Sì? -

- Secondo te sono prepotente? -

- Cosa? Senti Nat, NON ORA. Sono fuori e… -

- Non credo che la parola prepotente sia la più corretta. Io direi che determinata mi si addica di più, non trovi? -

- Come vuoi. Devo andare. - in sottofondo si sentivano alcune risate soffocate.

- Sei con Dan, vero? - sorrise la ragazza all’apparecchio. Mise il telefonino davanti alla bocca e urlò. - CIAO DAN! -

- Ehi. Qual è il problema? - Dan aveva sottratto il cellulare dalle mani del compagno che si mise a protestare.

- Una mia amica è arrabbiata con me. - restò sul vago la ragazza.

- Ti ha accusato di essere prepotente? -

- Ed egocentrica. -

- Sicuramente sei manesca. - Luke riuscì a riprendere il cellulare dalle mani dello svedese. - Strafottente e volgare. Uhm sì, credo anche prepotente. -

- Sul serio? -

- Andiamo Nat! Lo sai benissimo che hai dei difetti e lo sa benissimo pure Pepper. Il fatto che li abbia tirati in ballo ora sarà legato a qualcosa che hai fatto e che l’ha profondamente ferita, no? -

- Chi ha parlato di Pepper? -

- E’ da un po’ che non vi parlate e Pepper è incazzata come una biscia con tutti noi. Avevo buone possibilità di imbroccarla. - si schiarì la voce. - Hai parlato con lei? -

- E’ lei che non mi vuole parlare! Credi che… -

- Chiedi a Tony, forse sa qualcosa di più. Per quanto mi riguarda credo sia successo qualcosa a quella benedetta festa dei Roderick. Dio solo sa cosa mi sono perso. -

- Niente di che in confronto a Las Vegas. - rispose ironicamente la ragazza.

- Già. Fammi sapere se risolti la cosa o sei hai bisogno di una mano. Ci vediamo a scuola. -

Luke interruppe la chiamata e osservò Dan accoccolato sul suo petto. Fece scorrere la sua mano nei capelli di lui, sovrappensiero.

- A cosa stai pensando? - mormorò Dan, mezzo addormentato. Il letto di Luke era molto comodo e sentiva che stava per appisolarsi pericolosamente.

- Pepper è molto giù in questo periodo ma non si vuole confidare con nessuno. -

- C’entra Natasha secondo te? -

- Chi lo sa? E’ probabile. -

- Credi che anche lei fosse innamorata di Clint? -

Luke scoppiò a ridere per non dare a vedere il suo disagio. Che fosse? Per tutti quegli anni Pepper era rimasta segretamente innamorata di Barton, incapace di confidarsi per paura di ferire i sentimenti di Nat e ora che quei due si erano messi assieme aveva deciso di dichiarare guerra al mondo? No, non esisteva: eppure perché l’idea gli si era ancorata nella mente?

Luke inspirò profondamente. - Sei troppo pesante. Spostati. -

Dan rotolò su un lato lasciandolo libero.
 

Clint rigirava fra le mani il pezzo di carta. Lo aveva letto almeno tre volte e sui bordi era leggermente spiegazzato.

La chiamata.

Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata, solo sperava non in quel momento. Finalmente era felice e l’unica cosa cui voleva pensare era la sua vita sentimentale. C’erano gli esami è vero, ma erano ben poco fastidio al mood estremamente positivo in cui viveva le sue giornate.

Poi era arrivata la convocazione alle prime visite per l’ammissione all’esercito. Il cuore gli era salito in gola e si era sentito mancare ma poi aveva realizzato che doveva fare il suo dovere.

Prese il cellulare e scorse la rubrica.

- Ciao. Dobbiamo parlare. -

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Capitolo 14
*** Nodi Gordiani. ***


Capitolo 14

Dove alcune situazioni si ingarbugliano, altre sembrano districarsi.

 

Tony era arrabbiato. Sapeva - continuava a ripeterselo - che Steve avrebbe partecipato al Prom per un motivo o per l’altro e ammetteva che aveva fatto bene a invitare Peggy. Era assolutamente logico che la cosa si svolgesse in quella maniera ma nonostante tutto la notizia lo aveva fatto uscire dai gangheri. Il ragazzo continuava a immaginarsi il quarterback in smoking circondato da un nugolo di compagni adoranti, come al solito a suo agio, intrecciato a quella stupida cheerleader dai capelli scuri e gli occhi grandi. Tony era un uomo - anzi, un ragazzo- di scienza, ma sentiva di perdere ogni razionalità nel pensare a quella particolare situazione.
Ci rimuginava ormai da parecchi giorni e non risolveva niente che non fosse che così doveva essere, e cercava di lasciare perdere ma poi si accorgeva che la sua mente vagava ancora su quella immagine. Steve avrebbe tenuto il discorso di fine anno al termine della serata? Avrebbe ringraziato Peggy di essere rimasto al suo fianco durante quell’ipocrita festa o avrebbe preso il coraggio a piene mani e avrebbe dichiarato a tutta la scuola di essere omosessuale? L’immaginazione di Tony andava a mille per poi riprendersi e torturarsi in altri mille modi nel confessarsi che niente di quello che desiderava si sarebbe avverato.
Dunque, quella domenica mattina Tony era seduto nel suo bar preferito insieme a Nat, anche lei abbastanza preoccupata per la piega che aveva preso la telefonata della sera prima con Clint. Il suo tono non le era piaciuto: troppo serio, troppo grave per non trascinarla di nuovo nelle solite paranoie a cui era ormai abituata.
- Tony? Mi stai ascoltando?-
- Mmm. -
- Ti dispiacerebbe darmi un minimo di attenzione? Non so se ti sei accorto che sono abbastanza preoccupata. -
- Sul serio? Credo che tu ti stia comportando nella solita maniera del cavolo. -
- Come?-
- Tu che ti lamenti di Clint, che non comprendi perché è COSI’ difficile per lui capire i tuoi sentimenti e che non si rende conto di quanto tu stia soffrendo in questo momento… -
- Non so se tu sai le ultime novità, poiché sei praticamente rinchiuso in laboratorio da una settimana…-
- Certo che lo so che state assieme, non hai fatto che palesarlo a tutta la scuola, ma sai che c’è? Non me ne frega un beneamato cazzo.- Tony si alzò dal tavolino del bar. - Se non ti dispiace ho i miei problemi anch’io. -
- Sei stato bocciato al compito di scienze? - chiese la ragazza in maniera veramente acida, evidenziando la scarsità di tatto per cui è ormai diventata tristemente famosa.
Tony si girò verso di lei per lanciargli uno sguardo d’insofferenza. -Credi veramente che tutto debba sempre girare intorno a te? Sono stufo dei tuoi piagnistei. Per anni non hai fatto altro che cercare di conquistarlo e ora che hai ottenuto quello che volevi veramente sei terrorizzata dal dover subire passivamente le sue decisioni? Succederà quel che succederà e se pensi ne valga la pena continuerai a combattere per lui, altrimenti continuerai la tua strada. Sai che dramma. E comunque non permetterti mai più di rivolgerti a me in questo modo. Credi di essere l’unica a soffrire in questo momento? Beh, ti stai sbagliando di grosso. -
Una punta di rimorso s'insinuò nel cuore della ragazza, mentre Tony se ne andava via piuttosto adirato.
 
Dan DOVEVA studiare. Erano giorni che se lo ripeteva. Ma com’era possibile concentrarsi quando hai la migliore distrazione del mondo a pochi secondi di chiamata? Luke si divideva nel preparare l'ultimo numero del giornalino e organizzarsi le vacanze, in particolare aspirava a uno stage a Washington (piuttosto elitario e costoso) ma a parte questo aveva un sacco di tempo libero, tempo che era ben contento di dedicare a Dan.
Quel giorno lo svedese aveva deciso che doveva assolutamente darsi da fare per gli esami perciò si era svegliato presto e si era diretto in biblioteca, deciso ad affrontare Shakespeare in una battaglia all’ultimo sangue.
Dopo un paio d'ore si era reso conto che era in netto svantaggio.
Guardò gli altri avventori: tutti sembravano presi dalle loro attività. Dan pensò di potersi concedere una chiamata a Luke, giusto per sapere come stava anche se era da meno di dodici ore che non lo vedeva.
Stava per alzarsi quando vide entrare nella sala Pepper. Ormai non era una novità vederla nervosa e abbattuta e quel giorno non era diversa. Lei incontrò il suo sguardo e accennò un sorriso a mo' di saluto. Lui la raggiunse davanti al bancone.
- Ciao Dan, anche tu qui? -
- Già, sto cercando di concentrarmi un po’ per gli esami. Tu invece? -
- Restituisco dei libri. - Pepper parlò qualche minuto con la bibliotecaria, poi cercò di congedarsi dall’amico che la fissando preoccupata. - Cosa c’è? - gli chiese lei, ponendosi subito sulla difensiva. Dan notò che aveva delle occhiaie piuttosto marcate.
- Mi stavo chiedendo… ecco forse… ti andrebbe un caffè? –
 
Davanti alla biblioteca c’era un locale piuttosto caratteristico, se caratteristico si poteva intendere la copia pacchiana di un pub inglese. Alle undici di mattina il posto era deserto, a eccezione di un paio di vecchiette pigolanti dedite al tramandarsi ricette dal sapore antico.
- Come vanno le cose? -
Pepper distolse lo sguardo dalla vetrina e cercò di mostrarsi rilassata. - Bene. Voglio dire, la scuola sta finendo, quindi direi che va tutto a meraviglia. -
- Sembri un po’ giù…. -
- Non è niente, passerà. -
- I tuoi amici sono molto preoccupati… Hai lasciato un sacco di clubs a scuola, compreso il comitato per il ballo. Mi hanno detto che non partecipi più neanche alle riunioni degli Angeli di Midgern. -
- E questo come lo sai? -
- Luke. Sai, adesso… parliamo molto. -
Nonostante l’aspetto dismesso e frustato sul volto della ragazza comparve un piccolo sorriso. Cielo, gli ricordava così tanto lei, i primi tempi che era innamorata… Prese un sorso di caffè. - Dan, posso raccontarti una storia? -
- Certo. -
- Mettiamo che tu conosca una ragazza. - cominciò quasi balbettando la bionda, cercando di prenderla alla larga. - Una brava ragazza, ligia al dovere, premurosa con i suoi cari e i suoi amici. Precisa, puntuale, i suoi voti sono altissimi e…. -
- …una perfezionista? -
- Esatto. Talmente perfezionista da sembrare troppo rigida, tanto da essere vista come una specie di… mostro. -
Il viso di Dan mostrava stupore e dispiacere nello stesso tempo, ma Pepper non lo notò. Rigirava la sua tazza fra le mani diventando sempre più rossa.
- Immagina se un giorno questa ragazza s’innamorasse di una persona, e questa persona la ricambiasse. Immagina che questa ragazza tenti di nascondere il loro rapporto e infine il ragazzo, stanco, la lasci andare. Ecco tu credi…che lei potrebbe rimediare? -
- Trovo che il problema sia un altro. -
- Dan, per favore… -
- Virginia. - il tono di Dan era grave e autoritario tanto che la ragazza cominciò a fissarlo con gli occhi spalancati. - Tu non sei un mostro. -
- Io… -
- E’ del tutto naturale che tu voglia condividere la tua vita con una persona. Perché lo hai allontanato? -
Grosse lacrime scendevano dal volto della ragazza. - Io…io credo…di aver avuto paura di cambiare. Mostrarmi diversa da quella che ero sempre stata… sembra stupido detto da me, ma…se la nuova Pepper non fosse andata bene? A volte penso che la gente… mi stia intorno solo per quello che faccio e non per quello che sono. Lo pensavo anche di lui, a volte. E’ terribile, lo so…- Pepper tirò fuori dalla borsa un fazzoletto e si soffiò il naso, affranta.
Dan si alzò dalla sedia, la raggiunse e posò le labbra sulla sua nuca. - Forse è meglio che ce ne andiamo da qui. –
 
- Luke, tu sei pazzo! -
- Lo so che è assurdo ma volevo avere una conferma. -
- No, non ne so niente e guarda, proprio non mi interessa, sono in una fase delicata della mia vita… -
- Eppure boh… il fatto che Pepper sia arrabbiata con Nat, con tutti quanti… -
- Mi dispiace per Pepper, ma io sono innamorato di un’altra persona e ora come ora sono più concentrato a capire come non farla soffrire troppo per… -
- Aspetta un momento: dopo tutto quello che è successo vuoi mollare Nat? -
- Luke, non sono io che voglio che accada, ma devo farlo. E’ arrivata la leva. –
 
Steve aveva corso almeno per un’ora e mezza. Era uscito per scaricare il nervosismo e la tensione di quegli ultimi giorni, ma alla fine non solo non si era liberato di nessun fardello ma aveva guadagnato sudore e stanchezza. In particolare non era riuscito a cancellare lo sguardo di delusione che Tony gli aveva rivolto quando lui gli aveva comunicato l’ intenzione di andare al ballo con il capitano delle cheerleader. Non dubitava del fatto che Tony comprendesse le motivazioni della sua scelta solo che, come lui, non aveva proprio voglia che la cosa finisse così. Non voleva fingere, specie adesso che c’era qualcuno di speciale con cui condividere momenti come quelli.
Steve aprì il cancellino che circoscriveva il giardino della villetta monofamiliare in cui viveva. S’incamminò verso la porta della cucina sapendo che sarebbe stato più facile trovarla aperta rispetto a quella d’ingresso.
Lo accolse un vivace parlottio intramezzato da alcune gorgoglianti risate. Steve aprì curioso la porta finestra pensando di trovare il signor Drew, un signore sui sessant’anni che viveva vicino a loro e che talvolta faceva visita alla sua famiglia, insieme ai suoi quattro rumorosissimi cani. Invece si trovò davanti Tony mentre beveva una tazza di latte e ingoiava - letteralmente - la torta che sua nonna gli serviva nel piatto.
- E così mi dicevi di questo progetto… -
- Si beh, ecco. - Tony deglutì a fatica e fece per pulirsi gli angoli della bocca. - Non avevo da parte molti soldi per i ricambi così ho deciso di andare in discarica a rovistare fra i ferrivecchi. Ne avevo trovati un sacco ma il custode non me li ha fatti portar via, sa, pare che ci voglia un permesso dal Comune. Io però non avevo tempo di richiederlo così quella notte stessa ho deciso di intrufolarmi nella discarica. -
Gwen, la madre di Steve, si asciugava gli occhi con un fazzoletto. Aveva riso troppo. - E poi? -
- Poi sono rimasto incastrato nella recinzione. Ho dovuto chiamare una mia amica per liberarmi. -
Le due donne scoppiarono a ridere mentre Tony non si faceva scrupolo a servirsi di un’altra fetta di torta. Fu il primo ad accorgersi dell’arrivo di Steve.
- Steven caro, siediti con noi. Il tuo amico Anthony è venuto a cercarti. Gli ho detto che eri fuori ma ha insistito per aspettarti. -
- Quando sei arrivato? - si rivolse il biondo direttamente a lui.
- Venti minuti fa. - Tony sorrise alle due signore. - Non mi avevi mai detto che vivevi con due top-model. -
La nonna di Steve scoppiò a ridere ma sua madre si limitò a guardarlo con un misto di stupore, imbarazzo e soddisfazione. Fu allora che Steve chiese a Tony di accompagnarlo fuori, per parlare in privato da soli.
Il sole splendeva e nel giardino si diffondeva un piacevole tepore fra l’erba verde. Tony fece alcuni complimenti per la casa.
- …tua nonna è veramente una forza della natura! E tua madre… è molto dolce. Sono state veramente gentili con me, e poi mi hanno offerto quella torta squisita e io non ho saputo dire di no… -
- Cosa ci fai qui? -
Tony lo osservò per qualche istante, intento a elaborare la frase più giusta da esprimere. - Desideravo parlarti. Di te. Di noi…. insomma, di ogni cosa. -
- Ti avevo detto di non presentarti MAI qui. -
- Lo so. - Tony gli appoggiò la mano sul braccio ma Steve si ritrasse subito. La sua rabbia stava crescendo. - Non volevo mancare di rispetto venendo qui, te lo giuro, ma avevo bisogno di parlarti. Questa cosa del Prom mi sta dando parecchi problemi e mi fa stare male. Pensavo… pensavo che dopo tutto quello che mi avevi detto, dopo esserti confidato così… profondamente, ecco, pensavo… -
- Pensavi di poter irrompere nella mia vita così, senza essere invitato. - continuò apparentemente tranquillo Steve, cercando di controllarsi. Prese un lungo respiro per tentare di non alzare la voce e far preoccupare le sue parenti che erano a pochi metri di distanza. - Sai quanto sia difficile questo momento. Tutto quanto … -
- Lascia che ti aiuti, davvero, posso darti una mano. -
- Con che cosa? -
- Vuoi una mano con gli esami? Possiamo studiare assieme… oppure posso accompagnare tua madre per le sue cure. Sto facendo la patente, quest’estate ti potresti dedicare all’UCLA. -
Steve strinse di occhi in un moto di stizza. - Credi che veramente che io possa andare all’UCLA? Guardati bene qui intorno, Tony! Tu che tanto ammiravi la mia vita da bello e impossibile, guarda cosa nasconde quell’impalcatura! Hai abbastanza elementi da dedurre a quale cazzo di vita sarò costretto per il resto dei miei giorni! Vuoi rendermi le cose semplici? Va bene. – Silenzio.- Penso che fino alla fine del semestre non dovremo vederci più. -
- Come? -
Steve si diresse verso la cucina. Si girò per guardarlo l’ultima volta prima di entrare. Aveva una grandissima voglia di tornare a quel sabato in cui l’aveva baciato nel buio di quel cazzo di cinema. Un bacio spontaneo, semplice, incurante delle difficoltà che avrebbe scatenato. Aveva voglia di abbracciarlo e scappare via da tutta quella situazione del cazzo, ma non poteva. La vita non è semplice, sua nonna glielo aveva sempre ripetuto, a ogni ostacolo lo guardava risoluta e glielo diceva. - Devi essere forte, se non per te, per noi. -
Anche in quella situazione doveva essere forte.
- Buone vacanze, Tony. -
 
Sono in ritardassimo e superincasinata, non avete idea di come mi spiaccia caricare controllando di frettissima. D’altronde o carico o allungo ancora di più i tempi e mi dispiacerebbe troppo. Perdonatemi e perdonatemi!

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Capitolo 15
*** Shock ***


Capitolo 15
Quando si arriva al in fondo non si può fare altro che risalire.
 

Indorare la pillola non sarebbe servito a molto. Clint si rigirava in mano le chiavi della macchina, intento a osservare la strada di fronte a lui. Camminava nervosamente sul marciapiede davanti al ristorante cui aveva dato a Natasha appuntamento, rimuginando in fretta e furia su tutti gli avvenimenti di quell’ultimo periodo.
Mancava una settimana alla fine della scuola e due giorni al Prom.
La rossa testolina comparve al principio della via, agitando la mano nella sua direzione. Un misto di apprensione e di genuina gioia comparve sul suo volto, nel suo sorriso. I due si avvicinarono.
- Stai benissimo stasera. - si complimentò Clint, sincero. Il cuore aveva cominciato a martellargli nel petto mentre un lieve panico attraversava le sue membra. Clint era combattuto come mai nella sua vita e tale disagio in qualche modo si mostrava nei suoi gesti.
- Ti ringrazio. - disse lei senza aggiungere altro. Clint le fece cenno di seguirla all’interno del ristorantino romantico che aveva prenotato per loro quella sera stessa.
Nat non voleva torturarsi per molto tempo ancora. La cena galante, l’invito formale… era tutto per renderle il colpo finale meno doloroso. Lo sapeva, conosceva Clint. Fu per questo che, appena il ragazzo le accostò galantemente la sedia, scoppiò a ridere in maniera isterica. Cercò di nascondere la sua reazione dietro il tovagliolo, rendendosi conto di non riuscire a controllarsi. Cielo, era così patetico.
Clint gli chiese bruscamente cosa ci fosse tanto da ridere. Era teso e nervoso da ormai qualche giorno e vedere tanto allegra Nat in quel momento così delicato lo infastidiva, per non dire che lo faceva irrazionalmente incazzare.
Nat ripiegò con cura il tovagliolo cercando di ritornare a un comportamento più consono: il suo corpo la tradiva mostrando tutta la sua preoccupazione nella maniera più sbagliata possibile e lei non ci poteva fare niente.
- E’ così…snervante. - Nat si guardò intorno. Nessuno li degnava di uno sguardo. - Siamo qui nel più bel ristorante della città, sto indossando uno dei vestiti migliori di mia sorella - senza averglielo chiesto in prestito, fra l’altro - e tutto per farmi mollare dopo una fottutissima settimana. - La rossa lo guardò negli occhi per capire se aveva irrimediabilmente ragione. Clint la osservò fra l’impacciato e l’inquieto, ma non disse nulla. - Dopo anni… speravo finalmente di essere… felice. Non siamo destinati a stare assieme, evidentemente. - la ragazza strinse i pugni sotto il tavolo. - Immagino che la tua bellissima dichiarazione a casa dei Roderick sia dovuta a un’eccessiva assunzione di alcool… -
- Ora basta. - la interruppe Clint, perentorio. - Questo non è vero, e tu lo sai. -
- Dimmi che sto sbagliando tutto, allora. Dimmi che non stiamo per distruggere il nostro rapporto per…. -
- E’ arrivato l’ordine di convocazione per l’ammissione in Accademia, Nat. Parto subito dopo la fine della scuola. -
Merda. Nat se n’era scordata. L’esercito, la Spada di Damocle, il pensiero più cupo nella mente del suo ragazzo.
- Cosa farai? -
- Ho le visite mediche. Psicologiche. Fisiche. La mia richiesta verrà messa al vaglio da una commissione ma alcuni colleghi di mio padre dicono che sia un proforma. E’ come se fossi già stato preso. - il ragazzo chiamò il cameriere. - Non volevo che succedesse questo e mi dispiace. Spero solo che tu capisca. -
- Che cosa? -
- La nostra storia finirà. -
- Quindi vuoi veramente mollarmi? -
- Cosa potremmo fare altrimenti? -
- Solo perché ti trasferisci a frequentare una scuola? -
- In Accademia le regole sono ferree e non sono contemplate molte libere uscite, ma anche se rimanessimo una coppia cosa credi che ci potrebbe essere dopo per noi? -
Nat lo guardò, stupita. - Tanti militari hanno famiglia… -
-… tu non capisci. Non l’hai vissuto. Non vedere mai tuo padre, pensare a lui costantemente col desiderio che stia bene in qualunque parte del pianeta lui sia mandato. Pregare ogni sera sperando di rivederlo ancora una volta. E quando se ne va per sempre… sentirsi spezzare dentro. Sai come ho saputo che mio padre era morto? - Clint si sporse verso la ragazza, sibilando per non urlare tutto il suo dolore. - Ero in terza elementare. Stavo facendo aritmetica quando un marine entrò in classe e chiese alla maestra di potermi portare fuori di lì. Io lo capii subito. Capii che non avrei mai più festeggiato il suo ritorno a casa. -
L’innaturale silenzio che s’instaurò fra i due stridette con l’allegria del vociare presente nel locale. Senza essersene accorta Nat si era messa una mano sopra le labbra, sconvolta. Clint, forse intenerito per il suo gesto o forse per sopportare la sua angoscia cercò la sua mano e la strinse forte. - Non negherò MAI che ti amo, hai capito? Mai. Preferisco vederti odiarmi perché chiudo qui il nostro rapporto piuttosto che sapere di lasciarti sola, un giorno. -
Nat capiva. O meglio, la parte razionale comprendeva le ragioni del comportamento del suo ragazzo. Lo vedeva lì davanti a lei, risoluto e spaventato a morte, coraggioso e fragile. In quel momento si rese conto che non avrebbe potuto mai odiarlo. Come odiare una persona che vuole solo che tu sia felice?
- Allora perché siamo qui? - disse lei, la voce rotta mentre cercava di non rovinarsi il mascara con le lacrime che cercavano di uscirle dagli occhi.
- Tanto vale festeggiare l’ultima notte insieme, no? - rispose lui amaro. - Champagne? -
- No. Mi dispiace, non ci riesco. - Nat si alzò velocemente dal tavolo e scappò dal ristorante. Clint la inseguì.
Quella sera era insolitamente fresca. Clint camminava velocemente dietro qualche passo alla rossa, mentre chiamava il suo nome. L’avrebbe raggiunta in fretta se, avendo deciso di scartarlo, Nat non avesse attraversato la strada senza guardare. D’altronde era troppo sconvolta per preoccuparsi di quello che accadeva intorno a lei e accorgersi della macchina che stava passando.
 
Pepper appoggiò tutto il peso sulla maniglia per aprire la porta di vetro. Le luci al neon le ferirono gli occhi mentre cercava di raggiungere velocemente la reception.
- Sto cercando Natasha Romanoff, mi scusi, sa dov’è? - chiese la ragazza all’infermiera di turno senza darsi pena di salutarla. La donna, visibilmente occupata, le chiese di aspettare qualche minuto. Pepper si guardò in giro cercando di comprendere da sola dove potesse essere la sua amica, dove dirigersi. Indossava il cappotto di sua madre sopra la vestaglia da notte e le scarpe da ginnastica e appariva alla stregua di una barbona, ma non le importava. Poche ore prima Tony l’aveva chiamato sconvolto: Nat aveva avuto un incidente ed era nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Midgern.
A un tratto vide passare davanti a lei Luke che attraversava il corridoio velocemente, come spiritato.
- Luke! - chiamò lei mentre correva verso l’amico. Lui si girò e la guardò straniato. - Hai saputo? -
- Sì. Dov’è? -
- E’- Luke si dovette fermare un attimo a causa di un singhiozzo. Pepper lo abbracciò. - E’ ancora in sala operatoria. -
- Oddio. Clint… era con lei? -
- Sì. Vieni, siamo tutti qua. -
Tony camminava avanti e indietro, lanciando sguardi di sottecchi all’arciere, seduto su una delle sedie in plastica che circondavano i muri dei corridoi. Clint aveva il viso sprofondato fra le mani, i gomiti puntati sulle ginocchia. Tony era indeciso se formulare l’ennesima domanda (a cui Clint non avrebbe risposto, considerando non aveva spiccicato parola dall’arrivo degli amici) quando arrivarono Luke e Pepper. Clint alzò il viso: gli occhi erano gonfi e rossi e la sofferenza era così palpabile…
- Oddio Clint. - sussurrò Pepper, sedendosi vicino a lui e abbracciandolo. I quattro amici rimasero in silenzio a lungo.
Non c’era molto da dire.
Passarono dodici ore, dodici interminabili ore in cui i ragazzi sobbalzavano ogni volta che un dottore si apprestava ad avvicinarsi loro. Non che si aspettassero di essere informati, in fondo non erano neanche i parenti, ma speravano ardentemente di captare da qualche discorso il minimo indizio sulle condizioni dell’amica.
Avevano fatto i turni tutta la notte per stare vicino a Clint. Il ragazzo non si era mosso dalla sedia se non per andare in bagno e non aveva parlato con nessuno. Qualcuno aveva cercato di chiedergli cosa era successo, ma invano: si era limitato a parlare con i paramedici quando l’ambulanza era arrivata nel luogo dell’incidente, ma poi si era rifiutato di spiccicare parola. Non aveva dormito neanche un secondo, non aveva mangiato nulla, non aveva preso neanche un caffè: si limitava a fissare le porte della terapia intensiva, in stato catatonico. Dopo aver chiamato la madre di lui per assicurarle che stava bene e aver cercato di cacciare gli altri a casa per dormire qualche ora (invano, ovviamente), quando si rese conto che non c’era altro da fare che aspettare ancora, Pepper agguantò il cellulare e uscì fuori dall’ospedale.
- Pronto? –
- Ciao. –
- ….ciao. Come stai? –
- Io…io bene. Bruce, non avrei mai voluto disturbarti dopo… non è mia intenzione stalkerarti o cosa, solo… -
- Va tutto bene, dimmi…è successo qualcosa? –
- E’… - Pepper scoppiò a piangere. – Natasha… -
- Cosa è successo a Natasha? –
- Ha avuto un incidente. E’ in terapia intensiva. Clint era con lei quando è successo ed è sconvolto. Non ci dicono niente, è in sala operatoria da  tre ore… -
Per la prima volta nella sua vita Pepper sentì Bruce bestemmiare. – Prendo la macchina e sono lì tra un paio d’ore, ok? – si sentì dire.
- No, Bruce, io ti ho chiamato perché tu non lo venissi a sapere da qualcun’altro, non vorrei che ti sentissi obbligato a venire… -
- Sono tornato per motivi meno importanti, non ti pare? – rispose lui, brusco, chiudendo la telefonata.
 
Tony e Luke stavano davanti alla macchinetta del caffè, cercando di limitare le smorfie dovute alla cattiva qualità delle bevande che stavano sorseggiando.
- Non ho mai visto Clint in quello stato. – disse Tony sbadigliando sonoramente.
Luke arricciò l’angolo della bocca in un’espressione infastidita. – Quei due… a volte penso siano destinati a farsi fuori tra di loro. Non volontariamente, ovvio. – una girata a quel maledettissimo caffè. – E’ solo che… boh... sono sfortunati, forse. Finalmente erano riusciti a trovarsi… -
- Dio, non farmi pensare a tutto questo.- Tony scosse la testa, cercando senza alcun successo di scacciare l’idea dell’amica sul letto della sala operatoria. – Parliamo d’altro ti prego. Come ti vanno le cose? –
Luke sorrise debolmente. – Stranamente bene. – si girò verso il cestino e buttò via il suo bicchierino. – La scuola è praticamente finita, no? –
- Mmmm, già. Per fortuna. –
- E tu invece? –
- Io? Oh, bene. – imitando l’amico, Tony lanciò il suo bicchiere nel medesimo cestino. S’incamminarono verso la sala d’aspetto. – Tutto va a gonfie vele. – rispose piuttosto sostenuto, mettendosi le mani in tasca e cercando di non apparire scocciato al pensiero del litigio con Steve. Luke alzò il sopracciglio guardandolo di sbieco.
- Sei… sicuro? –
- Luke, ti prego, non chiedermelo. –
- Che cosa? –
- Non farmi altre domande. –
Luke mise la mano sul braccio del ragazzo per fermarlo. – Mi dici cosa sta succedendo? –
Tony lo guardò fisso negli occhi per qualche secondo, diviso sul voler confidarsi con qualcuno e non poterlo fare per via di una promessa fatta a una persona che l’aveva trattato di merda e non voleva vederlo più. – Sai che avevi ragione? –
- Cosa? –
- Rogers… è gay. –
Luke sbatté le palpebre un paio di volte, alternandole con aperture della bocca. Stava per chiedere all’amico come ne fosse così sicuro quando si rese conto di sapere già la risposta. – Oh. – si limitò a dire.
- Già. Peccato che l’idea di fare outing gli scocci. Dubito che riesca ad ammetterlo a sé stesso. – Tony alzò le spalle in atteggiamento ‘chi se ne importa’. Anche se gli importava molto. – Mi ha silurato. –
- Che stronzo. – si limitò a dire Luke, pensando che Dan non gli aveva detto nulla. Non se n’era mai accorto? Quando quella storia sarebbe finita (sperando nel migliore dei modi) lo avrebbe torturato pur di avere notizie certe sul quarterback.
- No beh… non è nulla. – si limitò a dire lo scienziato, ricominciando a camminare. Luke lo raggiunse.
- Ti piace ancora, eh? –
- Da stare male, sì. –
 
Erano passate otto ore. I ragazzi, seduti su piccole sedie di plastica disposte nella sala d’attesa dormicchiavano alla meglio. Solo Clint teneva ancora gli occhi fissi sulle porte del reparto. Indipendentemente da quello che sarebbe successo a Nat quella sera non se la sarebbe più perdonata. Quella scena non l’avrebbe mai dimenticata. Quel dolore sarebbe stato sempre presente. Si sentiva così… colpevole per tutto. L’averla chiamata a tirare con l’arco. Averle detto di amarla. Averla baciata. Era sempre stata colpa sua. Poteva lasciarla andare per la sua strada, allontanarla per sempre e permetterle di vivere la sua vita. E invece aveva pensato sempre a sé stesso, fino ad arrivare a quel momento.
Brock, il fratello maggiore di Nat, si era improvvisamente materializzato vicino a lui.
- Sono un mostro. – lo salutò Clint. Brock sospirò senza darsi la pena di guardarlo.
- Non è colpa tua, lo sai. I paramedici ci hanno raccontato tutto. Mia sorella è scema. – si limitò a dire. Aveva una voglia matta di farsi una sigaretta.
- Come… -
- è stabile. Ha subito una commozione cerebrale. Ha bisogno di qualche giorno sotto osservazione, ma tornerà la solita rompipalle di sempre. – il ragazzo tirò fuori il tabacco e le cartine, poi con un cenno della testa si accomiatò dall’arciere.
Clint non lo guardò nemmeno. Appena se ne fu andato, finalmente il suo sguardo si staccò dalle porte del reparto. Si prese il viso fra le mani e pianse per il sollievo.
 

Io mi scuso infinitamente per il ritardo, ma mi sono messa a scrivere un fanfic per un concorso e questo ha allungato terribilmente i tempi. Tornerò regolare, I promise. Nel frattempo ringrazio tutti i fedelissimi che torneranno a seguire questa storia e vi mando al prossimo capitolo per note più decenti che sono iperstanca. Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Somebody to Love ***


Capitolo 16
Scontri e fraintendimenti: non basta un incidente per calmare gli animi.


Dan svoltò l’angolo camminando in modo sostenuto. Era in un ritardo spaventoso ed era parecchio arrabbiato con sè stesso per questo; purtroppo, dopo la chiamata di Luke non aveva avuto molto tempo per raggiungerlo, essendo a qualche decina di km dalla città per sistemare alcuni documenti relativi al suo passaporto. Vide Luke appoggiato alla porta del bar di Alfredo, intendo a digitare sul suo cellulare in maniera piuttosto frenetica.
- Ehi. - si limitò a dire al moro, sfoderando uno dei suoi più caldi sorrisi ed abbracciandolo. Il ragazzo lo ricambiò, mettendo il cellulare in tasca. - Come sta? -
- Se la caverà. - rispose Luke. - Entriamo? -
I due si sedettero vicino alla vetrata e ordinarono un caffè. Dan osservò il viso del suo ragazzo. - Hai un aspetto terribile. -
- Abbiamo passato tutta la notte in ospedale. E’ stato terribile. -
Dan gli strinse la mano e lo guardò preoccupato.
- Ehi, è passato. - tentò di sorridere Luke, anche se si sentiva troppo stanco pure per fare quello. - Ti prego, non ne parliamo. E’ un fatto troppo spaventoso e recente per cui se… -
- Certo, certo. Tutto quello che vuoi. -
- Tu lo sapevi che Steve usciva con Tony? - adesso sul viso di Luke splendeva un grosso sorriso di strafottenza. Non per niente quante volte il biondo lo aveva accusato di sbagliare sulla ‘questione gay' di Rogers?
- Mi stai prendendo per il culo. - si mise lui sulla difensiva.
- Me lo ha detto Tony. -
- Oh, beh… - Dan si grattò la testa. - Non l’ho mai visto con una ragazza. -
- Esattamente. -
Dan ci pensò su un attimo, poi si limitò ad alzare le spalle. - Se lo dice Tony, suppongo sia vero. Voglio dire, non mi sembra il tipo che dice cazzate. -
Luke aprì la bocca, stupito per la reazione tiepida che aveva avuto il ragazzo. - Tu non sapevi niente? -
- No. -
- Ma sei il suo migliore amico! -
- Non esageriamo: siamo buoni amici ma non siamo così intimi, inoltre è un periodo che non riusciamo a vederci molto spesso, con tutti gli impegni che abbiamo… -
- Ok, ok. Suppongo che sia normale che un giornalista intraprendente come me sia più informato di un comune studente. -
Dan alzò il sopracciglio, rendendosi conto del tono ironico di Luke che di risposta scoppiò a ridere. Il biondo decise di dargli pan per focaccia.
- Vuoi avere un scoop? Se ti dicessi che so con chi si vedeva Pepper? -
Luke rizzò le orecchie.
- Banner ti dice qualcosa? -
- Stronzate. Come lo sai? -
- Me lo ha detto Pepper. -
Luke alzò gli occhi al cielo. Pazzesco. Come poteva il suo fiuto da reporter non aver notato una cosa simile? Complice la lontananza di Bruce, supponeva.
- Però mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno. - lo avvertì Dan. - Quindi… -
- Stai scherzando?  Credi veramente che terrò la bocca chiusa? -
Dan si raggelò sulla sedia. Improvvisamente le ultime settimane che aveva passato col moro si cancellarono con un colpo di spugna. Ma era veramente possibile che quel ragazzo, il ragazzo di cui era innamorato, che aveva difeso nei suoi intenti credendo che, sotto quella scorza dura, si nascondesse una persona migliore, fosse alla fine...quello che si era sempre palesato?
- Come? -
- Sai con chi stai parlando, vero? Sono il direttore del giornalino, se non te lo ricordi. -
- Vuoi sputtanare Pepper? -
- Mica la sputtano, rendo solo noto una notizia… -
- …che non è affare di nessuno, se non dei diretti interessati. - Dan continuò. - Vuoi scrivere di Steve, vero? -
- Forse. - lo guardò in gesto di sfida Luke. Tamburellava le dita sul ripiano del tavolo, nervoso.
- Sei incredibile. - Dan si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta. Appena uscito Luke fece per sospirare, quando Dan rienttrò furibondo e si piazzò davanti a lui. - Ma non hai un minimo di umanità in quel cazzo di cuore? -
- Ehi, piano. Non puoi giudicarmi così. - rise nervoso il ragazzo, un riso amaro che tradiva una collera crescente. Anche lui si era alzato.
Gli avventori del bar cominciarono a osservarli incuriositi.
- Se fossi loro amico… -
- Io non ho niente da spartire con Rogers! -
- Ma con Pepper sì. E pensavo anche con me. -
- Che cazzo c'entri tu? -
- Se tu avessi un minimo di considerazione per me, sapendo quanto mi da’ fastidio questa tua scelta, lasceresti perdere. -
- Se tu mi conoscessi veramente sapresti quanto è importante per me questo schifo! - urlò istericamente Luke, aprendo le braccia per rimarcare il concetto.
Dan lo osservò, pieno di rabbia, in piedi in mezzo al bar, nel silenzio assoluto degli altri commensali. - E va bene. - disse lui, lentamente. - Non farti vedere mai più davanti a me, è chiaro? -
Luke incassò il colpo. - Immaginavo mi dicessi qualcosa del genere. -
- Vedo che la cosa non ti sconvolge più tanto. -
Il ragazzo scosse la stessa, afflitto. Guardava il pavimento, improvvisamente senza energie.
- Lo vedi che non mi conosci? -

- Vuoi venire a pranzo da noi? -
La voce di Pepper appariva timida, così come il suo sguardo. Bruce aveva appena riattaccato il cellulare. Le sorrise debolmente.
- Devo andare dai miei. -
- Oh. Certo. - Pepper si guardò per la prima volta e si rese conto del suo stato. Aveva ancora addosso il pigiama, Bruce l'aveva vista così. Dopo tutto quello che era successo, era OVVIO che non volesse passare più tempo del dovuto con lei. - Allora ci si vede, dopo forse. -
- Sì… -
La ragazza s’incamminò verso la fermata del bus. Non aveva voglia di chiamare I suoi genitori, non voleva vedere nessun altro ancora per un po’. Gli eventi di quella notte e Bruce che tornava…il suo cuore era in subbuglio. Camminò ancora per qualche passo poi il ragazzo la chiamò.
- Posso portarti a casa? -
Lei si girò lentamente e gli sorrise per acconsertire.
In macchina non parlarono molto. Pepper osservava assorta i cartelli stradali che si susseguivano lungo la statale.
- Sei stanca? - gli chiese lui, subito pentendosi di una domanda così stupida.
- Mmm. -
- Mi dispiace tanto. -
- Non è mica stata colpa tua se Nat è in ospedale. -
- Non parlavo di Nat. - si fermò al semaforo e mise la prima. - Mi dispiace se ti ho fatto soffrire. E’ solo…non ce la facevo più. Sono veramente innamorato di te, Pepper. Non voglio dirlo per scusarmi delle parole che ti ho rivolto, voglio solo che tu lo sappia. Forse un giorno potremmo ripartire da questo...questo momento per creare un rapporto più sano, anche solo di amicizia, non credi? -
Pepper lo ascoltava, imperscrutabile, per tutta la durata del suo monologo, poi gli prese il viso fra le mani e lo baciò. Lui le passò le mani fra i capelli in disordine e l'attirò più vicina. Nel frattempo le macchine dietro di loro cominciarono a suonare. Era diventato verde.

- Steve? Sono Dan. -
- Ehi, ciao, come… -
- Senti, è successo un casino. Hai presente la Romanoff, no? Ha avuto un incidente stanotte. -
Steve si paralizzò. - Ma.. -
- Sta bene. Non è di questo che volevo parlarti. So quanto tu sia riservato e non ti dirò niente su questo, come tu non sei pronunciato sul mio rapporto con quella vipera di Luke, ma certe cose tue, personali… stanno per diventare pubbliche. -
- Che cosa?-
- Luke sa di te e di Tony, ok? Sa tutto. Glielo ha detto lui. -
Un altro colpo al cuore. Steve si sentì preso dal panico.
- Steve, ci sei? -
- Sì, io… devo andare. -
- Cosa? No, aspetta! Se veramente non vuoi che questa storia venga fuori devi parlare con Tony, ok? Io ho provato a fare ragionare Luke, davvero, ma vuole spiattellarla a tutta la scuola col suo maledetto giornalino! Io penso che….essendo suo amico… -
- Certo. Hai ragione, gli parlerò. Scusa, ma ora devo proprio andare. - Steve si sedette sul pavimento, la schiena appoggiata alla parete, lo scoramento dipinto sul suo volto.
Il suo peggior incubo stava per avverarsi.

- Ho combinato un bel casino, vero? - lo saluto Nat, sorridendo alla vista dell’enorme mazzo di rose rosse che portava appresso uno stanco Clint. La testa della ragazza era fasciata e si intravedevano alcune zone rasate del cranio.
- Come stai? - Clint appoggiò i fiori su un mobiletto e le si avvicinò, senza però tentare di sfiorarla. La colpa si dipingeva nella sua espressione contrita.
- Senza mia madre tra i piedi, bene. Sono riuscita a mandarli a mangiare. Torneranno fra mezz’ora. - scherzò lei, guardando soddisfatta il suo regalo da lontano.
- I tuoi vorranno uccidermi. -
La rossa scosse la testa. - Clint, non è stata colpa tua. Io ero…fuori di me, non ho guardato la strada… -
- Sono io che ti ho messo in quello stato, ricordi? -
- Io…me lo aspettavo che tu mi lasciassi, a essere sincera, ma non pensavo di reagire così. E’ solo… - Nat soffocò le parole, mordendosi la lingua. Poi lo guardò dritto negli occhi, triste. - Mi mancherai un sacco. -
- Anche tu. - Clint le strinse la mano, incapace di un gesto più intimo per via del suo fragile stato.
- Mi telefonerai, qualche volta? -
- Io…sempre. Ogni settimana. -
- E tornerai, qualche volta? -
- Non lo so. Spero. Ma ti prometto di venire a trovarti, appena possibile. -
Rimasero lì ancora per una decina di minuti, in silenzio. Ormai il tempo delle parole era finito: non c'era più niente da dirsi. Le cose stavano così e gli eventi di quella notte avevano fatto comprendere loro che non si poteva fare altro che accettarli. Se il loro era vero amore, sarebbe resistito, e loro erano certi che il loro rapporto non sarebbe terminato lì.
 Tony, che per caso era arrivato poco dopo l’arciere in ospedale, aveva accidentalmente ascoltato tutto il loro discorso. Un groppo in gola gli si era lentamente formato: era affezionato ai due amici e gli dispiaceva vederli in quella situazione, ma soprattutto li invidiava, perchè il loro era vero amore. Ora più che mai si rendeva conto che non avrebbe potuto sperare che Steve avesse la stessa venerazione che Clint dedicava alla sua bella. Il quarterback era troppo impegnato a occultare i suoi segreti e a farsi benvolere per innamorarsi, soprattutto di Tony.
Mentre i due ragazzi parlavano, Tony si diresse verso l’uscita dell’ospedale. Se per la sua storia d’amore non c’era niente da fare, pazienza: si sarebbe sempre ricordato con affetto dei momenti che aveva vissuto con Steve. Per il resto, avrebbe cercato di aiutare quei due, in un modo o nell’altro.

Luke rilesse le ultime righe sul suo laptot. L’articolo andava benissimo e a quella velocità sarebbe stato pronto per l'indomani. La soddisfazione era dipinta sul suo viso mente si stiracchiava, seduto sulla sedia della scrivania. Stava pensando di farsi un caffè quando la madre lo chiamò dalla tromba delle scale.
Steven Rogers era venuto a casa sua.
Luke sbuffò: era arrivata la resa dei conti, a quanto pare. Solo, non pensava di essere così fortunato da affrontarlo in campo favorevole.
- Mi ha chiamato Dan. - principiò il quaterback senza convenevoli, ma in fondo Luke se lo aspettava: i saluti sarebbero stati solo un’ipocrisia tra loro.
Luke annuì e gli accennò di salire. - Forse è arrivato il momento di parlare, tu ed io. -


Ok, capitolo un po’ corto. Però ci sono alcuni motivi:
1 - mi è esploso il pc, questa settimana. Alla fine sono riuscita a farmene prendere uno nuovo, ma ho perso tempo a spostare i dati e installare i programmi. Ancora adesso non ho Office, quindi mi scuso per l’ortografia.
2 - dal prossimo capitolo si scioglieranno tutte le trame e non avevo voglia di anticipare nulla.

Per il resto ringrazio chi ancora mi segue nonostante il dilungarsi dei tempi. Cercherò anche di andare avanti con Avengers Assemble, perchè è ferma da un sacco di tempo. Vi pubblico anche un’altra fanfic che è quasi pronta, una Thorki AU (losso che vi piace!) e poi, forse, FORSE, ne inizio un’altra a episodi.
Alla prossima!

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Capitolo 17
*** L'ultimo giorno di scuola ***


Capitolo 17

Fare la cosa giusta porta sempre a delle conseguenze.

Natasha rimase in ospedale per dieci giorni e ne uscì giusto in tempo per festeggiare la fine della scuola. La cosa non le era dispiaciuta per nulla, considerando che Clint aveva passato ogni momento libero al suo capezzale. Benché non fossero più ufficialmente una coppia, in quel periodo trascorsero più tempo assieme che in tutti gli anni in cui si erano desiderati da lontano. Senza pensare a quello che era accaduto o a quello che sarebbe successo, i ragazzi passarono lunghi pomeriggi a giocare a carte, leggere fumetti (Nat aveva una predilezione per il personaggio della Vedova Nera, super-spia protagonista di numerose testate della Marvel), ma soprattutto parlarono. Discussero della loro famiglia, del loro futuro, delle loro paure e di tanto altro ancora. Litigarono, si confessarono, si scherzarono a causa delle loro abitudini e dei loro gusti e infine una risata cancellava ogni cosa.

Spesso i loro amici venivano a trovarli. In gruppo o da soli, ognuno portava qualcosa all’inferma che ringraziava e chiedeva delle loro vicissitudini. Luke e Tony, essendo in un periodo ‘delicato’, di solito rispondevano glissando velocemente su argomenti futili e portando la conversazione molto lontano dalla loro vita privata.

Le visite di Pepper erano velocissime, poiché si fermava giusto il tempo di assicurarsi che andasse tutto bene e poi volava via a causa dei suoi impegni. La ragazza aveva ripreso con tutti i suoi impegni e sembrava più radiosa di prima. Un giorno Luke raccontò alla coppia-non-più-coppia la tresca che riguardava la loro bionda amica e Bruce, notizia bomba poi confermata dallo stesso interessato, il giorno che venne a fare visita alla rossa portandole in regalo un mazzo di fiori.

Mentre Clint rideva di gusto per il misunderstanding Nat, rossa quanto i suoi capelli per l’imbarazzo, si profuse in mille scuse per averlo messo nei guai con Pepper il giorno della fatidica festa. Bruce accettò le scuse con un’alzata di spalle e sorrise: le cose con la sua – finalmente – ragazza si erano sistemate e lui non ci pensava più da tanto a quel particolare evento. Anzi, era quasi tentato di pensare che, grazie all’avventatezza di Nat, finalmente era riuscito a vincere le reticenze della bionda a rendere pubblico il loro rapporto.

Impegnato nel suo ruolo di infermiere Clint non aveva partecipato al Prom. Preferiva stare con la ragazza che amava piuttosto che passare una serata con professori e compagni di classe, tant’è che aveva pure la scusa di non vedere la sua ex malamente mollata Peggy Carter che, a quanto aveva saputo, si era consolata in fretta e furia con Rogers.

Peggy era al settimo cielo: avrebbe partecipato come accompagnatrice del ragazzo più popolare della scuola e che, oltretutto, era stato incaricato di tenere il discorso di commiato come rappresentante degli studenti. Tanto la Carter era eccitata tanto Steve era sempre più scazzato, quella sera. Erano poche le persone che aveva veramente voglia di vedere: Dan, che aveva accettato di venire come sostegno morale e che in realtà avrebbe voluto passare la serata in un bar a ubriacarsi per cancellare la rabbia che provava nei confronti di Luke, Pepper, insieme a Bruce per la prima volta, che era stata l’artefice di quella serata insieme a lui e con cui aveva condiviso alcune delle sue responsabilità in quel contesto che era stato il liceo, e Tony, che aveva saputo non sarebbe mai comparso proprio dallo sguardo triste che gli aveva lanciato la bionda. Il resto delle persone che affollavano la sala potevano tranquillamente non esistere che per lui non sarebbe cambiato nulla.
 

Luke aveva appena finito di preparare i popcorn quando suonò il campanello. Il moro si avvicinò alla finestra e urlò verso l’ingresso, senza badare a chi fosse. - Entra da qua, sto finendo di preparare da mangiare. -

Tony portava un sacchetto della spesa in una mano e un dvd nell’altra. - Ho preso della roba da bere. I tuoi quando tornano? -

- Domani sera, tranquillo. Non c’è il rischio che ci trovino con le mani nella marmellata - Luke prese la ciotola e un paio di bicchieri e fece cenno a Tony di seguirlo. – Anche se non si tratta proprio di marmellata. -

Tony cambiò discorso mentre si accomodava sul sofà del soggiorno. - Hai parlato con tuo padre? -

- Sì. - il moro cominciò ad aprire una bottiglia di vodka, appoggiata sul tavolino lì vicino. - Dice che ci deve pensare su ma l’ha trovata un’ottima idea. Era da tempo che avevano intenzione di espandersi nel settore sportivo ma non avevano mai preso una decisione in merito. Ora che il mercato è fermo hanno intenzione di aprirsi verso alte strade e questa è una che intendono percorrere. Appena le cose diventeranno un po’ più concrete ti saprò dire di più. -

- Ottimo. - Tony prese il telecomando e premette play. I titoli iniziali del film cominciarono a sfilare davanti a loro.

- Ti dispiace non essere al Prom? - chiese titubante Tony. Durante una delle loro visite in ospedale Nat aveva accennato brevemente alla questione svedese, pertanto Luke si era trovato a raccontare le ultime settimane al suo amico, un po’ stupito dalla notizia. Il moro aveva rivelato loro che il tutto si era concluso parecchio male, senza però addentrarsi in eccessivi particolari. Neanche in quel momento ne aveva molta voglia di parlare. - Se intendi dire se mi spiaccia non essere a una festa ipocrita con gente che disprezzo, beh no. Se intendi dire se mi spiaccia non essere con Dan… - sospirò. - Mi manca. -

Tony annuì e allungò i piedi sul tappeto con l’intenzione di seguire la trama del film.

Luke lo guardò di sottecchi per osservarne la reazione alle parole che stava per pronunciare. - Steve è venuto da me, qualche giorno fa. -

- Perché? – chiese lui senza staccare gli occhi dal televisore, apparentemente tranquillo.

- Prima del litigio ho detto a Dan di voi due. Mi dispiace. -

Luke aveva avuto sempre la bocca troppo larga. Tony scrollò le spalle e fec un buffo suono con la bocca. Prese il suo bicchiere ma invece che berne il contenuto ne guardò il fondo, pensieroso. - Vuoi dire a tutta la scuola di noi due, vero? -

Come risposta Luke si alzò, andò in camera e, tornato in soggiorno, gli lanciò il borderò dell’ultimo numero del giornalino di quell’anno scolastico. Tony lo scorse velocemente. - Qui non c’è scritto niente su Steve. -

- Già. - ammise senza interessi Luke, sedutosi vicino a lui. Prese una manciata di popcorn dalla ciotola e se li portò alla bocca.

- Hai deciso di non divulgare lo scoop. – assentì, incredulo, lo scienziato.

- Ammetto di avere perso un po’ la bussola su questa storia dei gossip. Non è così che voglio ricordarmi i miei anni da ignoto giornalista rampante. – rispose ironico Luke.

Tony soppesava i fogli, osservando l’amico. - E’ per questo che hai litigato con Dan, vero? -

Luke non rispose. Il suono di una sparatoria si diffuse nella stanza: il film era entrato nel vivo dell’azione.
 

L’ultimo giorno di scuola era sempre stato un delirio, pensò Natasha schiacciando il mozzicone di sigaretta sotto la scarpa e dirigendosi verso l’entrata del liceo. Nel marasma generale la gente che incrociava la salutava e si congratulava per la sua guarigione. Lei sorrideva leggermente, ringraziava e passava oltre, in cerca dei suoi amici. Eccezionalmente per quella giornata le lezioni si sarebbero tenute in completa libertà: generalmente ogni classe organizzava festeggiamenti e non era raro vedere gente nei corridoi o in aule per dei corsi che non seguivano. La giornata trascorreva fra saluti e risate, attendendo l’inizio dell’estate mangiando torte e biscotti.

Pepper corse incontro alla rossa, trafelata mentre cercava di portare alcuni documenti in segreteria e nel frattempo rincorrendo il capitano della banda musicale della scuola, ricordandogli del concerto che avrebbe tenuto il pomeriggio nel campo di football.

- Vedo che hai preso molto sul serio i tuoi doveri. - rise la rossa vedendola impegnata più che mai. Pepper fece per sdrammatizzare quando la ragazza la prese per il braccio e si fece seria improvvisamente. - Senti, non te l’ho mai detto ma…mi dispiace molto la festa dei Roderick. Per Bruce, veramente non sapevo… -

- Non fa nulla. - la interruppe Pepper. Dal Prom ormai tutta la scuola sapeva del fidanzamento fra la ragazza e l’ex studente e tutti commentavano che non esisteva coppia migliore. Tony rise quando lo riferì alla bionda, accedendo un coro nel bel mezzo del corridoio al grido di ‘PEP-PER! PEP-PER!’ e facendola arrossire violentemente dalla soddisfazione quando si accorse che molti dei ragazzi presenti si erano uniti alla voce dell’amico.

In quel momento comparve Clint e prese la rossa per la vita schioccandole un bacio sulla guancia. - Hai deciso di venire allora? -

- L’ultimo giorno insieme in questo dannato penitenziario, come avrei potuto perderlo???? - gli rispose lei buttandogli le braccia al collo e baciandolo a sua volta.

Pepper li lasciò soli e si diresse a svolgere le sue mansioni, evitando per un pelo un gavettone che le passò sopra la testa. Buttò un occhio nel laboratorio degli audiovisivi e vide Luke riordinare e buttare le cartacce: pulizie estive.

- Disturbo? - Steve bussò alla porta. Luke alzò gli occhi verso di lui e fece cenno di entrare. Steve aveva in mano il giornalino.

- Ti volevo ancora ringraziare per quello che hai fatto, anzi, per quello che NON hai fatto. -

Luke alzò il sopracciglio e un angolo della bocca ma non smise di riordinar. - Quello che non capisco è perché sei venuto a chiedermi non dire nulla sulla tua omosessualità quando lo hai spiattellato tu al Prom. -

Steve si bloccò: non lo sapeva neanche lui. Quando aveva iniziato a recitare il suo discorso davanti alla scuola aveva cominciato a parlare delle sue amicizie, dei suoi compagni, insomma della vita che aveva trascorso in quella scuola, ma mano a mano che andava avanti si era reso conto che quella non era la sua vita. Erano stati anni di sotterfugi, di omissioni, di finzioni: la persona che stava descrivendo, così ben inserita nel contesto sociale del liceo, beh, non era lui. Guardò in faccia tutte le persone che lo circondavano, i compagni di scuola, le cheerleaders, tutti i leccaculo che avevano costellato la sua vita da liceale. Alla fine le persone che contavano veramente si contavano sulla punta di una mano. C’era Dan, ovviamente, forse Bart nei momenti migliori, Peggy e Pepper, ma non erano state così importanti come Tony. Con nessun altro era stato veramente sé stesso.

Tony, che aveva lo aveva ascoltato mentre gli raccontava la sua vita e gli descriveva le sue paure.

Tony, che gli era stato vicino senza voler niente in cambio.

Tony, che aveva allontanato per il puro panico che potesse conoscere a fondo il suo segreto.

Tony, che alla fine l’aveva coperto, nonostante tutto.

Steve si interruppe improvvisamente. La gente cominciò a guadarsi in giro, a disagio.

- La verità è che questo non sono io. - aggiunse stanco il quarterback. Un brusìo si diffuse in sottofondo. Dan trattenne il fiato. Pepper lo guardò curiosa.

Steve prese un lungo respiro. - Mi chiamo Steven Rogers. Ho 19 anni e sono il quarterback dei Lions. Sono all’ultimo anno di liceo e l’anno prossimo mi iscriverò in un’università pubblica, poiché ho rifiutato una borsa di studio dovuta ai miei meriti sportivi. - I suoi compagni di squadra lo guardarono sorpresi. - Vivo con mia nonna e mia madre, malata di HIV, alla periferia ovest di Midgern. E sono gay. -

E’ inutile dirvi di come sia andata la serata. Sappiate solo che Peggy Carter tornò in lacrime a casa, i professori cercarono di placcare Bart per farsi dare spiegazioni su quello che aveva appena detto il suo compagno di squadra e Steve si defilò col suo amico svedese e assecondare il suo desiderio di ubriacarsi fino all’alba.

- Suppongo che volessi essere il primo a dare la notizia. - terminò Steve, lanciando la copia della rivista su uno dei tavolini.

- Tutta la scuola parla di te, lo sai? -

- Oh, sì. - sorrise enigmatico il ragazzo. - In questi ultimi giorni mi sono trovato davanti ragazzine in lacrime, bulletti che volevano pestarmi per essere ‘una fottuta checca’ e il plauso dei professori per aver sopportato coraggiosamente da solo la malattia di mia madre. - Il suo sguardò divento più opaco. - Forse non avrei dovuto dire niente su di lei. Qualche genio pensa che sia colpa mia. -

- Gli idioti sono a ogni angolo. - sdrammatizzò il moro. - Hai fatto bene a spiegare le circostanze della sua malattia. Purtroppo capita sempre più spesso che le infermiere contraggano malattie del genere, a causa del proprio lavoro. Ferite accidentali…cazzo, queste cose non dovrebbero accadere. -

- Già. - Steve lo guardò chiudere l’ultimo faldone e posizionarlo su una mensola vicino alla cattedra. - Non hai qualcosa da chiedermi? -

- Io? Sei tu che sei entrato a parlarmi. -

- Pensavo ti interessasse sapere dove fosse Dan. -

- Ti sbagli. - la cosa che più dispiaceva a Luke era che Dan non si era preso la briga di parlargli, quel giorno. Non che volesse sentirsi dire grazie per quello che aveva fatto ma sperava che quel gesto lo avesse colpito e gli avrebbe permesso di avvicinarsi a lui. Sospirò.

- Dan è partito due ore fa per l’aeroporto. Sta tornando in Svezia per le vacanze. A settembre s’iscriverà a Oxford: vuole studiare mediazione linguistica. - Steve osservò il comportamento del moro. - Non ha visto il giornalino. -

Le mani di Luke si bloccarono a mezz’aria. Si guardarono per qualche momento.

- Non… -

- No. -

- Oh. -

- Già. Ti propongo una fuga. - Steve lo raggiunse facendo dondolare la chiave della macchina davanti agli occhi. - Usciamo di qui, prendiamo l’autostrada e lo intercettiamo prima che parta. Dubito che tu l’abbia salutato propriamente. -

- Luke, ho trovato Nat e Clint, credo che potremmo darle loro la buona notizia… - Tony aprì la porta e si trovò davanti i due ragazzi. Il biondo abbassò lo sguardo e si mise le mani in tasca, a disagio. Luke guardò i due, alternativamente, poi invitò Nat e Clint a entrare.

- Ragazzi, forse è meglio che voi usciate. - si rivolse a Steve e Tony. - Lo dico io a Clint. -

- Ma cosa? - si lamentò l’arciere. E’ un’ora che Tony ne parla e non mi vuole dire nulla. Allora? -

Luke cacciò i due amici fuori dal laboratorio e chiuse loro la porta in faccia. - Allora… -


Tony odiava quando Luke faceva di testa sua. Davanti la porta del laboratorio Steve aprì la bocca per parlare, ma il ragazzo cercò di allontanarsi più in fretta possibile da lui. Si sentiva ancora umiliato da quello che gli aveva detto quando avevano parlato l’ultima volta.

- Aspetta. - Steve lo trattenne. - Devo dirti una cosa. -

- So quello che è successo al Prom. E’ stato molto coraggioso. – disse il ragazzo con uno tono che non ammetteva repliche, senza prendersi il disturbo di fermarsi e cercando di non guardarlo. Steve evitò di andare a sbattere contro un paio di ragazzine del primo anno e uno del terzo che si era preso la sfrontatezza di sfrecciare con lo skateboard nel corridoio, e lo seguì.

- Non l’avrei mai fatto se non fosse stato per te. – Intorno a lui alcuni ragazzi osservavano la scena e bisbigliavano fra loro con un sorrisetto sulle labbra.

- Non credo di meritarmi i tuoi ringraziamenti. -

- Piantala Tony. Lo sai benissimo cosa intendo dire. Perché sei ancora arrabbiato con me? -

- Perché mi racconti delle balle. - Tony si girò verso di lui. – Hai deciso di confessare tutto e apparire come Mr. Coraggioso per evitare di perdere la faccia , non è vero? -

- Cosa? -

- Luke stava per pubblicare. - nonostante fosse arrabbiato Tony non poté sentirsi un po’ colpevole. In fondo gli aveva promesso di non dire nulla di loro e lui l’aveva riferito all’unica persona che lo avrebbe di sicuro fatto scoprire. O almeno così pensava fino a qualche giorno prima. - Per evitare una figura peggiore hai deciso di parlare? -

- E’ vero, ho saputo che ti eri confidato con Luke, così sono andato da lui. Gli ho chiesto di non pubblicare nulla. Lui mi ha chiesto di dargli una buona ragione per non farlo e io non sono riuscito a rispondergli. Sai perché? Ero stufo. Così gli ho detto di fare quello che voleva, a condizione che non ti tirasse dentro questa storia. – Steve continuò. – Non mi sono comportato molto bene con me e mi dispiace, sul serio, ma anche tu mi hai tradito. - ora era Tony a non riuscire a guadarlo. - Abbiamo sbagliato entrambi, non credi? Ma potremmo ricominciare da capo. Alla luce del sole, insieme. Credi che sia possibile? -

Tony lo guardò senza dire una parola. Il suo volto era duro, tirato, nervoso.

Il sorriso di incoraggiamento sul viso di Steve si spense. Si grattò il collo, a disagio. - Forse è meglio che vada. – terminò, abbattuto, mentre lo sorpassava e si dirigeva verso il campo da gioco.
 

Siamo quasi alla fine. In realtà ci sarà qualche capitolo in più, poichè la lunghezza dei caps sta aumentando un po’ troppo. Grazie ancora a tutti coloro che mi seguono, siete fantastici! Alla prossima!
(P.s. Sì, ho visto Puncture.)

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Capitolo 18
*** Airport ***


Capitolo 18
E vissero felici e contenti :)
 

- Stai scherzando? - Clint guardava Luke, stupito e raggiante.
- Un tirocinio nella ditta di mio padre quest’estate e una borsa di studio come apprendista. Capisco che l’università pubblica non sia il meglio che ci sia in giro e che i soldi siano un po’ pochi, ma dovresti farcela a terminare gli studi. - ripeté per la terza volta il ragazzo. Guardò nervosamente la porta, sperando che Tony e Steve risolvessero velocemente i loro problemi. Doveva vedere una persona prima che partisse per l’altra parte del mondo, lui.
- Quindi, significa che Clint resterà qui? - chiese Nat, piuttosto confusa. I due ragazzi sembravano aver paura a credere a ciò che l’amico gli stava riferendo loro.
- Credo che Clint riuscirà a evitare la sua carriera nei Marines, o qualsiasi cosa non volesse fare, in questo modo. - s’intromise Tony, rientrando nell’aula e chiudendo la porta dietro di lui. Aveva lo sguardo abbattuto e Steve non lo aveva riaccompagnato. Il moro pensò di doversi scordare dei suoi piani di riconciliazione.
L’arciere andò verso di lui e lo abbracciò.
- E’ fantastico, ragazzi…veramente, grazie. -
- Ehi, in fondo chi può essere più all’altezza di te per questo posto? - rispose Luke, mentre Clint si metteva ad abbracciare Tony. - Quello che serve a mio padre è un esperto di armi sportive e tu, per la tua passione, sei un buon acquisto. Sono sicuro che con la laurea giusta tra qualche anno riuscirai a scavalcare il padre di Tony come ingegnere capo! -
- Ehi! - scattò Tony, mentre gli altri scoppiarono a ridere.
Nat batté le mani, radiosa. - Dobbiamo assolutamente festeggiare! Vado a fregare una bottiglia di spumante da qualche rinfresco sperando che non siano già state tutte consumate. -
- Ti accompagno. - gli rispose Clint, chiudendo la porta dietro di loro. I loro sguardi sollevati e le voci gioiose si persero nel corridoio affollato.
- Allora com’è andata? - chiese Luke, non avendo dimenticato i patimenti dell’amico che era rimasto in laboratorio con lui. Il sorriso che qualche secondo prima si era dipinto forzatamente sul viso scomparve velocemente dal volto.
Tony non rispose. Cominciò a camminare avanti e indietro per qualche minuto, estremamente pensieroso, l’espressione confusa mentre i pensieri gli si accavallavano nella mente. Luke rimase immobile, pronto per il momento in cui…
Senza mostrare alcuna attenzione alle parole dell’amico, ancora sovrappensiero, Tony gli chiese - Cosa ti ha detto Steve quando è venuto a casa tua? –
- Te l’ho detto, non voleva che scrivessi nulla sul giornalino. –
- Ma, esattamente, cosa ti ha detto? -
Luke sapeva che sarebbe arrivato a quel punto. Sorrise. - Mi ha chiesto di non pubblicare nulla su di te. -
- Come? -
- Non gli interessava che lo sputtanassi, che raccontassi del fatto che fosse gay e che lo nascondesse da un po’ di tempo. Non voleva che ti tirassi in mezzo. -
Tony lo fissò senza sapere cosa dire.
- Tony, quel ragazzo è FOTTUTAMENTE innamorato di te. – vedendo che le parole non sortivano alcun effetto, andò avanti prendendola un po’ alla larga sperando di riuscire a colpire l’amico. - A volte bisogna avere l’umiltà di perdonare ma ancora di più di accettare i propri errori. Suppongo che dopo tutto quello che è successo, dopo il modo che ti ha trattato in questi mesi…beh, per quello che so, ovviamente… non sia facile passare davanti ad un’umiliazione, specialmente la propria. Ma se quello che mi hai detto è vero, se sei sempre stato innamorato perso di lui, perché non lasci perdere tutto e non gli dai una possibilità? –
Poche decine di minuti dopo Nat e Clint rientrarono in classe, ridendo. Guardarono Luke in piedi davanti alla finestra intento nelle sue riflessioni. - Disturbiamo? - fece Clint, alzando la bottiglia. Tony era sparito.
Luke si girò verso di lui e con l’espressione risoluta di uno che ha appena capito quello che vuole, disse - Ho bisogno che tu mi faccia un favore. –
 
Steve mise l’ultimo paio di calzini nel borsone appoggiato sulla panca e richiuse l’armadietto. Sospirando si guardò in giro: non c’era più nessuno. Aveva aspettato che tutti se ne andassero dallo spogliatoio per riprendere le sue cose, poiché non aveva desiderio di incontrare i suoi ex compagni di squadra e sapeva che neanche loro avevano voglia di vederlo. Dalla sera del suo discorso si era diffuso scetticismo e diffidenza nei suoi confronti. Già giravano squallide voci di lui e i suoi comportamenti durante le docce, alla fine delle partite, che era meglio ignorare per non uscire di senno dalla rabbia. Chissà cosa avrebbe portato il tempo.
Steve scosse la testa per non pensarci. In fondo era finita: non era più la sua squadra, non era più la sua scuola, non era più un suo problema. L’unica cosa che gli era rimasta era quel senso di amarezza nei confronti degli ex compagni di liceo. Improvvisamente, dopo il suo coming out tutto era cambiato, tutti lo giudicavano, la maggior parte negativamente, ovvio. Si riscosse: in fondo non aveva sempre pensato che questa sarebbe stata la conseguenza del rivelare al mondo la sua vera identità? In fondo non era per questo che si era nascosto tutti quegli anni?
Qualcuno era entrato nello spogliatoio. Steve sentì la porta aprirsi e chiudersi e dei passi avvicinarsi a lui.
- Hai dimenticato qualcosa, Bart? - il biondo non si voltò nemmeno verso il suo compagno: conosceva la sua camminata, l’aveva sentita migliaia di volte e l’avrebbe riconosciuta fra mille.
Bart si avvicinò e si sedette sulla panca, vicino al ragazzo. Lo guardò mentre chiudeva la zip del borsone senza dire una parola.
- Sei contento di essere stato preso alla Yale? - chiese Steve, più per cortesia che per interesse. Aveva saputo dei progetti dell’amico durante uno degli ultimi allenamenti, ma poi gli eventi non li avevano più portati a confrontarsi come era loro solito, specialmente sul campo da football. Non che Steve pensasse Bart fosse lì per parlare di scuola: sapeva che c’era un altro motivo ma ancora non riusciva a capire quale fosse.
- Diciamo di sì. - annuì con un sorrisino enigmatico il ragazzo. - Giocherò con una delle squadre più forti del campionato universitario e seguirò i corsi di legge come vuole mio padre, finché riuscirò a fare entrambe le cose. Poi… si vedrà. - tacque per un momento, osservando il suo vecchio capitano. - E tu sei contento della tua scelta? -
- Per l’università? - Steve non rispose e scosse la testa, lasciando cadere la domanda nel vuoto. - Beh, è stato bello Bart. Buona fortuna con tutto. Io… -
- Sei stato ammesso all’UCLA? -
Steve gli lanciò uno sguardo curioso. - Tu come fai a sapere che ho fatto domanda all’UCLA? -
- La sera del tuo… cristo non riesco neanche a dirlo. - Bart si leccò le labbra, prendendo tempo. - Coming out, beh, diciamo che Peggy era sconvolta e io l’ho…consolata. - il ragazzo sorrise. – Abbiamo cominciato a vederci. Qualche volta parliamo di te. -
Steve sorrise ironico. - Ovvio. -
- Lo so che il nostro è sempre stata un’amicizia sul filo del rasoio e so anche che la tua pazienza nei miei confronti in certi frangenti è arrivata al culmine…mi ricordo un sabato pomeriggio… - I due ragazzi risero piano. - Comunque siamo compagni di squadra, giusto? E io aiuto sempre un compagno. - Il ragazzo tirò fuori una lettera. - Mia madre ha la fortuna di avere qualche suo collega che lavora lì. Non è molto, ma questa lettera di referenza potrebbe consentirti di ricevere la borsa di studio. - gli allungò altri documenti. - Dovrai sbrigarti a compilare e spedire il modulo per la richiesta. Il resto dipende da te. -
Steve scrutò il ragazzo e prese lentamente i fogli. Accennò di aver capito e sussurrò con riconoscenza. - Grazie. Sei un amico. -
Bart si mise le mani in tasca e annuì imbarazzato, poi si allontanò verso l’uscita. Nel mentre Tony entrava guardingo.
- Sfigato. - lo salutò Bart, per poi prendere la porta, lasciandoli soli. Tony gli lanciò un’occhiata velenosa, prima di impallarsi nel vedere il biondo davanti a lui.
Steve lo notò ma cercò di ignorare il cuore che gli batteva a mille per la sorpresa. Apparentemente calmo, prese la sacca e si diresse verso di lui, nel corridoio.
- Ehi… - iniziò Steve, cercando di mostrarsi leggero nonostante la reazione del ragazzo di poco tempo prima lo avesse amareggiato.
- Prima che tu dica qualsiasi cosa – lo interruppe Tony, mettendogli un dito sulle labbra. – Ecco, mi dispiace. Mi dispiace molto di essermi confidato con Luke. Non avrei dovuto tradire così la tua fiducia ma ero veramente al limite. E’ da anni che ho una cotta per te, Steve. Vedermi rifiutato per ben due volte da te è stato troppo. – si fermò un attimo, scandagliando il suo sguardo. – Se l’offerta è ancora valida vorrei riprovarci anch’io. A meno che Bart ti abbia consigliato altro... –
Steve mollò la borsa per terra e lo baciò senza dire una parola.
 
- Questa sì che è un’avventura! – urlò Nat lanciandosi sul sedile posteriore con in mano la bottiglia di spumante ancora chiusa. Mentre Clint si accomodava sul sedile del guidatore e accendeva la macchina la ragazza si diede da fare con impegno per aprirla il prima possibile.
Il tappo saltò fuori dall’abitacolo mentre Luke correva verso di loro, inseguito da Pepper. – L’aereo parte per Stoccolma fra due ore. Considerando che s’imbarcherà una mezz’ora prima suppongo voi abbiate abbastanza tempo per raggiungerlo… -
- Sì, se tengo una media di 150 km orari. – accennò sarcastico Clint mentre impostava il navigatore. – Speriamo di non incontrare traffico. –
Vieni con noi, Peps? – chiese la rossa, passando un bicchiere ricolmo di liquido giallino al suo fidanzato, che declinò l’offerta.
- Non posso, oggi pomeriggio vado da Bruce e devo fare ancora un sacco di cose qui a scuola. – si rivolse a Luke che nel frattempo aveva preso posto vicino a Clint. – Andrà tutto bene. Appena riesco a trovare Steve gli chiedo a che gate si imbarca e ti telefono, ok? –
- Grazie. – si limitò a rispondere Luke. Si sentiva lo stomaco attorcigliato per il nervosismo.
Sgommando Clint uscì dal cortile della scuola.
- Come faremo quando sarai in California? – chiese Tony a Steve, appoggiando la testa sulla sua spalla. Erano ancora in mezzo al corridoio, la borsa abbandonata a qualche metro di distanza, i vestiti disposti alla rinfusa intorno a loro.
- Puoi venire a trovarmi quando vorrai. – gli rispose il biondo, gli occhi semichiusi per la sonnolenza che pian piano si stava impadronendo di lui.
Tony notò una luce lampeggiare dai pantaloni di Steve e gliela indicò. – Io credo… -
Steve s’impossessò dell’apparecchio. – Pronto? Pepper, sì.. – Steve imprecò. – Quando sono partiti? –
 
Luke varcò le porte di vetro dell’aeroporto e cominciò a guardarsi intorno. Il marasma che vi regnava all’interno lo mise ancora più in agitazione. Dietro di lui la nuova coppietta sembrava più interessata alle vetrine dei negozi piuttosto che aiutarlo nella ricerca.
- Ragazzi, volete darmi una mano? – si rivolse Luke, rude, verso di loro. I due smisero di ridere e lo guardarono intimoriti.
- Rilassati, hai ancora un po’ di tempo… - accennò Clint, guardando l’orologio.
- Sì, un quarto d’ora. E questo posto è enorme! – scattò Luke. – Vi rendete conto che questa è la mia ultima possibilità di rivederlo? Speravo di avere un po’ più di comprensione da parte vostra, dopo tutto quello che avete passato dovreste capire in che stato sono! –
Nat dava l’impressione di non starlo a sentire. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Prese il braccio dell’amico e gli indicò un punto imprecisato dietro di lui. – Hai una bella fortuna, Luke… -
Dan era sulle scale mobili, diretto verso il gate 18.
Luke cominciò a correre.
 
- …le auguro un buon viaggio. –
- Grazie. – Dan salutò l’hostess e prese la carta d’imbarco, diretto verso il metal detector. Era il suo turno quando si sentì chiamare.
Luke lo stava raggiungendo, affannato.
Dan era talmente stupito che non si diede la pena di salutarlo.
- Tu… -
- Non partire. Non prima che io abbia parlato, per lo meno. – disse Luke, cercando di prendere fiato. Dan si limitò a sbattere le palpebre, aspettando rigido una sua spiegazione.
Luke deglutì. – Ho il terribile difetto di essere arrogante e un pochino egocentrico. Odio la gente che mi mette i bastoni fra le ruote ed esistono poche cose che permetto di ostacolarmi. Non ho mai accettato l’idea di innamorarmi perché non ho mai creduto in un sentimento del genere. L’ambizione, quella sì che faceva parte della mia vita. Unita alla grande considerazione che possiedo nei miei confronti mi ha reso quello che sono. – Luke abbassò lo sguardo verso le sue scarpe per riflettere sulle parole da dire. – La cosa che più mi ha stupito è che non mi hai mai giudicato per tutto questo. Mi hai accettato per quello che ero e hai condiviso parte della tua vita con me. – il viso di Dan si addolcì. – E anch’io ho fatto lo stesso perché mi piaceva stare con te. All’inizio lo consideravo un capriccio, in fondo sei un figo pazzesco… no fammi finire. La verità è non mi rendevo conto di quello che provavo veramente per te, fino a quando hai voluto chiudere questa storia. Questo mi ha fatto riflettere e mi ha portato alla conclusione che è ora di crescere, di migliorare. Devo diventare una persona migliore se voglio solo tentare di stare con la migliore delle persone. – alzò lo sguardo verso di lui. – Non ho scritto nulla su Rogers né su chiunque altro. Niente più gossips, niente manipolazioni. Te lo giuro. –
Dan gli sorrise. – E’ stato un bel gesto da parte tua. – Si girò e andò verso il check in, lasciandolo in piedi in mezzo alla sala.
- TUTTO QUI? – urlò Luke, aprendo le braccia. Il biondo si girò, interrogativo. – Ho detto che mi dispiace, che sono innamorato di te e che sono cambiato per te e tu mi molli così? –
- Stavo prendendo la borsa. - Dan andò verso il rullo del metal-detector per poi tornare sui suoi passi, verso Luke. Aveva in mano la valigetta del pc. Con tranquillità si avvicinò al ragazzo con un ghigno dipinto sulla faccia.
Le guance di Luke s’imporporarono. Si passò la mano fra i capelli, imbarazzato dalla sua reazione spropositata. Dan lo prese per la vita e lo tirò verso di sé.
 – Ecco, l’impulsività è una cosa su cui devi ancora lavorare. – gli prese il viso fra le mani e lo baciò.
 

Signori e signore, è con mia somma gioia (e dispiacere) che dichiaro chiusa questa novella. Avevo in mente di portarla ancora avanti ma gli eventi hanno seguito un corso diverso. Vi ringrazio per tutto il vostro sostegno, sono orgogliosa di avere dei lettori come voi. In questo lungo periodo ho ricevuto dei bellissimi commenti e delle sane critiche e devo dire che sono veramente contenta di questo. Spero di re-incontrarvi presto su altre pagine con altri spunti e altre discussioni. Per quanto riguarda ‘Orgoglio e Pregiudizio’ credo non finirà qui: come ho promesso dovrò cominciare una seria revisione. D’altronde, non me ne vogliate, ma è la mia prima fatica a capitoli e tanti problemi si sono presentati nella stesura di questo testo. Complessivamente però ne sono soddisfatta.
Prossimi progetti? Ce ne sono molti e non so quale partirà per primo. Da qualche tempo sto pensando a un plot che coinvolga le coppie Steve/Tony e Dan/Luke sempre con ambientazione AU, inoltre sto cercando di buttare giù un racconto originale. Per quanto riguarda un sequel di ‘Orgoglio’…non ci voglio pensare per qualche tempo J
E’ tutto. Vi abbraccio tutti e vi auguro tante altre avventure fra le pagine di EFP! A presto!

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