Parenthood

di Aine Walsh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** «Kylie Thompson, Rolling Stone Magazine» ***
Capitolo 2: *** «Due vodka, una liscia e una alla pesca!» ***
Capitolo 3: *** «Però continuerò a chiamarti Ginger» ***
Capitolo 4: *** «Hunter, che giorno è oggi?» ***
Capitolo 5: *** «Scusa, che hai…?» ***
Capitolo 6: *** «Allora? Com’è andata?» ***
Capitolo 7: *** «Sei un gran bastardo. Per tua fortuna, però, sai farti perdonare» ***
Capitolo 8: *** «No, aspetta. Riavvolgi il nastro e ripeti» ***
Capitolo 9: *** «La mia vita è una tragedia, hai presente?» ***
Capitolo 10: *** «Anche se sono gay, non vuol dire che non abbia il coraggio di pestarti» ***
Capitolo 11: *** «Qualcosa mi dice che tu hai già un’idea…» ***
Capitolo 12: *** «Oggi è il gran giorno» ***



Capitolo 1
*** «Kylie Thompson, Rolling Stone Magazine» ***


Parenthood
 


1. «Kylie Thompson, Rolling Stone Magazine»
 
«Rolling Stone fa sempre le cose in grande, anche quando si tratta di una semplice intervista di mezz’ora» commentò non poco stupito Rian una volta che furono entrati nella hall dell’immenso e sontuoso Hilton Hotel di Baltimora.
La sala che li stava accogliendo era grandissima e dominata in massima parte dal bianco, dal blu e dal marrone chiaro, colma dappertutto di divani e piantane che servivano a dare quel tocco di eleganza (e snobismo) per cui la catena alberghiera era tanto famosa nel mondo, rendendo l’atmosfera più chic e soft. In più, l’aria era densa di un buon profumo di rose che sembrava provenisse dalle pareti.
«E Matt? – chiese Zack guardandosi intorno – Non è ancora arrivato».
«Flyzik è già sopra a scusarsi per il nostro ritardo» rispose Alex evidenziando bene l’ultima parola.
Jack, chiamato in causa, sbuffò. «Sono tornato a casa molto tardi, saranno state le quattro del mattino» protestò con il tono di un bambino di sei o sette anni.
«Posso aiutarvi?». Quel nascente battibecco fu interrotto dalla voce cordiale di un’impiegata dietro al bancone della segreteria. I ragazzi si aspettavano di trovare un’attraente signorina bionda con gli occhi da cerbiatto e restarono delusi quando invece si trovarono di fronte una sorridente e gentile donna di mezza età dai capelli corvini che portava al naso un antico paio di occhiali di corno.
«Sì, a dire il vero cercavamo la suite numero 324» spiegò il Dawson.
«Quinto piano, l’ascensore è in fondo a destra», fu la risposta accompagnata da un cenno della mano.
Il corridoio era ampio e ben illuminato, anche se infinitamente lungo, tanto che quando il quartetto trovò impresso su una porta il numero che cercava emise un sospiro, quasi fosse un unico corpo.
«Bene, – esordì Gaskarth visibilmente nervoso nonostante i suoi sforzi di apparire calmo – Brian Mills ha la fama di essere il giornalista più spietato dell’intera redazione, ma sono sicuro che ce la caveremo. Niente risposte idiote e cazzate varie: non diamogli l’opportunità di smerdarci nel suo giornaletto, okay?».
Gli altri due annuirono pensierosi mentre Rian si abbandonò contro la superficie della porta che, con sua grande sorpresa, era aperta. Il ragazzo fece il suo ingresso nella stanza cadendo a terra come un peso morto, con un tonfo. In un certo senso, quella caduta fu positiva. La tensione che si era creata si era dissolta all’istante, facendo ridere i quattro ragazzi e Matt Flyzik (appollaiato sul divano) come dei matti. Solo che una risata, seppure più contenuta, sovrastò le altre e i quattro si sorpresero quando al posto del Mills trovarono una ragazza. Le risate cessarono improvvisamente e quattro paia d’occhi presero a osservare la figura della sconosciuta, ma solo uno la fissava guardandola con qualcosa di più della semplice curiosità. E quello era lo sguardo di Alexander.
Grandi occhi verdi leggermente a mandorla con un piercing all’altezza del sopracciglio sinistro, capelli rossicci raccolti in una lunga treccia che le scendeva lateralmente lungo la spalla poco scoperta, qualche piccola lentiggine intorno al naso nascosta sapientemente da un trucco leggero; Alex si ritrovò a non poter fare a meno di osservare il viso dolce e mite della ragazza da cui si sentiva veramente tanto attratto. Non sembrava particolarmente alta (il ragazzo decretò che la sua altezza si aggirasse intorno al metro e sessantacinque) e il fisico non troppo ossuto era fasciato da un paio di jeans sbiaditi sulle ginocchia e da una larga maglietta bianca che portava scritto a grandi caratteri in verde Who the fuck is Chanel?.
Dal canto suo, la bella sconosciuta aveva posato lo sguardo sul leader del gruppo, il ragazzo con i grandi occhi castani circondati da spesse sopracciglia; ma quando si accorse del fatto che quest’ultimo la stesse guardando, abbassò di scatto il capo, sentendo calore all’altezza delle guance.
«E Brian?» domandò Rian, ripresosi dalla caduta.
«E’ spiacevole sapere ciò che è accaduto al mio collega» rispose l’estranea.
«E’ morto?!» chiese di getto Zack, strabuzzando gli occhi.
La rossa sorrise, ma con l’evidente intenzione di non prenderlo in giro. «No, è solamente bloccato nel bagno di casa sua a causa di una brutta gastroenterite» spiegò con semplicità.
«Siete stati fortunati, ragazzi. – ridacchiò Matt facendo cenno di sedersi alla band – Kylie è ancora alle prime armi, anche se ha tutta l’aria di essere una potenziale grande giornalista».
Kylie, quindi era questo il suo nome. Alex iniziò a ripeterselo in testa, come per farlo suo.
La ragazza indirizzò un mezzo sorriso all’agente e si rivolse al quartetto, stringendo la mano ad ognuno di loro mentre si presentava. «Kylie Thompson, Rolling Stone Magazine. Sorridete, siate carini, rispondete sinceramente ad ogni domanda e vedrete che l’intervista non sarà una strage di massa».
Quando fu la volta di afferrare la mano del Gaskarth gli sguardi dei due si incrociarono per un attimo mentre l’uno sorrideva spontaneamente e l’altra, imbarazzata, si chiedeva perché quello la guardasse e le sorridesse in continuazione da quando l’aveva vista. Non era tanto sciocca, una piccola idea in proposito l’aveva, ma le sembrava così assurda da non prenderla nemmeno in considerazione.
«Giornalista? Ma non sei un po’ piccola per far parte di una redazione come quella di Rolling Stone?» domandò incuriosito Barakat.
«Al contrario, la redazione mi ha ritenuta giovane abbastanza per poter svolgere un lavoro simile» rispose Kylie con un sorriso forzato che nascondeva un fondo di divertimento.
Matthew si spiattellò una mano in fronte, mentre gli altri tre ridevano sommessamente della figuraccia del chitarrista che, con un mezzo sorrisetto sornione, rispondeva: «Naturalmente».
Chiusa quella breve parentesi, la giornalista in erba si sfregò le mani, chiese di poter cominciare e attaccò il registratore posto sul basso tavolino fra i due divani.
L’intervista si rivelò essere l’esatto opposto di quello che la band e il manager avevano pensato e temuto. Niente di crudele, spietato o insidioso, nessuna domanda umiliante o difficile da rispondere proveniva dalla labbra poco sottili della Thompson, che riusciva a svolgere il suo lavoro come se avesse grande esperienza nel settore, con la stessa sicurezza di chi vi fosse dentro da ormai parecchi anni. Tuttavia non mancarono le battutine squallide da entrambe la parti e i doppi sensi che la ragazza fronteggiava rispondendo con altrettante allusioni. Kylie si guadagnò la stima dei quattro dopo che,  alla domanda «Il vostro lavoro vi sfianca parecchio?», Jack aveva risposto «Sì, specie quello di Matt che è durissimo» e lei aveva controbattuto con «Spesso le cose più dure danno più piacere», suscitando l’ilarità del gruppo mentre le sue guance prendevano fuoco.
Il risultato fu che alla fine nessuno dei ragazzi ricordò di aver mai avuto un’intervista tanto divertente e libera, nonostante in passato ci fu qualche giornalista che li mise a proprio agio.
«E con questo abbiamo concluso, signori. Troverete l’intervista sul numero del prossimo mese» disse Kylie dopo aver scattato una fotografia ai quattro seduti sul divano per inserirla nell’articolo.
Fu così che la giornalista, il manager e la band si diressero insieme verso l’uscita dell’hotel, scherzando e ridendo in ascensore come se si conoscessero da sempre, mentre Alexander cercava di pensare ad un modo per poter avere il numero della ragazza.
«Bene, io aspetterò qui che mi vengano a prendere. E’ stato un piacere conoscervi», si congedò così Kylie sorridendo sincera al gruppo davanti a lei. I ragazzi la salutarono di rimando con strette di mano e qualche pacca sulla spalla e, una volta che furono fuori, il cantante decise che fosse arrivato il momento di mettere in atto il suo piano.
Si fermò nel bel mezzo della strada, frugò nelle tasche dei jeans e «Ehm… Credo di aver dimenticato il cellulare in camera… Vado a riprenderlo, torno subito!» disse prima di correre indietro per rientrare nella hall.
Kylie aveva preso posto su un divano in fondo alla sala, vicino ad una finestra, e stava scribacchiando qualcosa su un foglio. Alex si prese un po’ di tempo per poterla osservare ancora. Non sapeva dire che cosa lo attirasse così prepotentemente verso quella ragazza, forse erano i suoi occhi o forse il suo modo di fare, anche se l’aveva vista in azione per pochissimo; eppure sentiva di voler passare del tempo con lei. Non c’era solo attrazione fisica (anche se quella era parecchio forte), c’era dell’altro. Ed era proprio quest’altro che Gaskarth non sapeva spiegarsi. Solo per un secondo l’idea di poter fare la figura dell’idiota gli passò per la mente, ma se infischiò altamente, prese un sospiro e camminò spedito verso la Thompson, rifettendo però sul fatto che era stato attirato da parecchie ragazze negli ultimi tempi.
«Ehi scusa, – cominciò – mi è venuta in mente una cosa. Un mio amico ha intenzione di intraprendere la carriera del cantante, ma ovviamente ha bisogno di qualcuno che gli scriva qualcosa, che so? Un articolo da pubblicare su un quotidiano o roba simile, credo. Il fatto è che mi stavo chiedendo se potessi farlo tu, ovviamente lui è disposto a pagare… L’unica cosa che mi serve è il tuo numero di cellulare, così posso farvi incontrare». Più parlava e più il ragazzo si convinceva della credibilità del suo discorso, lodandosi per l’astuzia e la velocità con cui l’aveva messo a punto. Solo un piccolo particolare gli era sfuggito: non sapeva di trovarsi di fronte un degno avversario.
Un sorriso furbo comparì sul viso gentile di Kylie. «Stai cercando di chiedermi un appuntamento, per caso?».
«Di lavoro, sì» rispose Alex come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo, salvandosi per poco dallo strozzarsi.
«Hai capito cosa intendo».
«E se così fosse?» chiese Will con lo stesso tono furbo e lievemente malizioso che la ragazza aveva usato contro di lui. Era sorpreso, spiazzato ed esaltato, anche se dovette ammettere a se stesso di aver fallito nel suo piano.
«Quando?» chiese Kylie cercando di nascondere la felicità che la stava divorando.
«Domani? O preferisci stasera?».
«Meglio stasera, domani non posso. C’è un locale carino sulla Scott Street, mi sembra che si chiami…».
«La Taverna di Tommy, lo conosco. Facciamo lì alle otto?».
«Alle otto, perfetto».
Si guardarono e si sorrisero, euforici e inebetiti dalla rapidità con cui si erano accordati e lasciarono involontariamente che un silenzio carico di pensieri calasse tra di loro.
«Allora ci vediamo più tardi» fece il ragazzo più sollevato già alla sola idea di poter andare via di lì e interrompere quell’imbarazzante momento.
«Alex, come faccio a rintracciarti se non mi dai il tuo numero?» rise divertita la rossa. Era una risata allegra e contagiosa e lo stesso Alexander non riuscì a trattenersi dal ridere a sua volta.
«Sono parecchio coglione, vero?» domandò bonario.
«Un pochino. Ma non credere che io sia meglio di te».
Dopo aver salvato il numero nella rubrica del cellulare, William salutò e fece per tornare dal resto del gruppo ma Kylie lo fermò. «Gaskarth, posso chiederti in qualità di cosa mi stai chiedendo d’uscire?».
Bella domanda, nonostante fosse palesemente a trabocchetto. Al ragazzo venne da pensare che la situazione fosse un tantino paradossale: Kylie avrebbe dovuto fare le domande più insidiose durante l’intervista, non dopo.
Il ragazzo si prese qualche secondo in più per ragionare sulla risposta, ma quando parlò apparì abbastanza sicuro. «Come conoscente che vorrebbe conoscerti un po’ di più».
Si lasciarono in questo modo, sorridendosi a vicenda e con in corpo l’ansia di rivedersi qualche ora dopo.

No one comes near...

Se sei arrivato/a fin qui, beh, hai tutta la mia stima!
A mia difesa posso solo dire che questo primo capitolo è un po' schifosetto e che ho graaaandi cose in mente per i prossimi *ride diabolica*
Si accettano recensioni di tutti i tipi, e anche quelle più negative (se fondate) sono ben accolte :D
Bien, sarà meglio che vada... Devo continuare a scrivere il capitolo dell'altra fic.
Ti ringrazio veramente tanto, anche se hai aperto la pagina per sbaglio (così mi illudo che qualcun altro abbia letto 'sta cosa qua LOL)
Alla prossima!

A.

P.S.: Perdonatemi quella squallida battuta oscena (la cosa più triste è che l'ho sentita davvero... Ma ovviamente qui ho cambiato i nomi) D:


 

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Capitolo 2
*** «Due vodka, una liscia e una alla pesca!» ***


2. «Due vodka, una liscia e una alla pesca!»
 
In macchina, durante il tragitto verso casa, Kylie non riusciva a fare meno di pensare se quella di accettare l’invito del Gaskarth fosse stata o no una buona idea. Era tremendamente figo, finalmente l’aveva conosciuto e, oltre ogni sua più rosea previsione, lui le aveva chiesto di uscire. Ma aveva fatto bene? E se avesse fatto una figuraccia? Effettivamente, penso tra sé, lei era proprio quel tipo di persona che non faceva altro che combinare guai ovunque si trovasse.
«Sei pensierosa… Che è successo?» domandò suo fratello Hunter distogliendo appena gli occhi dalla strada.
Hunter era tutto l’opposto di sua sorella: alto, biondo, estroverso, ci sapeva fare con tutti e riusciva a cavarsela in ogni situazione. Sia caratterialmente che fisicamente somigliava al padre, Ethan. Solo gli occhi lo accumunavano a sua sorella e, di conseguenza, a sua madre. Insomma, contrariamente da Kylie che il più delle volte poteva sembrare fredda e austera (la ragazza non sapeva ancora di aver avuto l’effetto inverso su Alex), Hunter era un piacione, uno che attirava a sé la gente come fosse un grande magnete circondato da piccole calamite che non riuscivano a opporgli resistenza e gli cedevano senza alcuna difficoltà. Qualche volta Kylie rifletteva sul fatto che suo fratello avrebbe potuto avere tutte le ragazze che avrebbe desiderato solamente schioccando le dita… Se solo fosse stato etero, ovviamente.
«Io sono qui che aspetto» continuò Hunter dato il silenzio della sorella.
«Non è niente Hunt, sono solo stanca» rispose la ragazza massaggiandosi le tempie.
«No, non è vero. So quando sei stanca e adesso non lo sei. E’ andata male l’intervista? Ti hanno detto qualcosa di brutto?».
Fratelli omosessuali: ti conoscono e comprendono fin troppo bene, fu il pensiero di Kylie.
«Ho un appuntamento. Stasera alla Taverna di Tommy» rispose la Thompson dopo qualche istante di esitazione. Kylie odiava mentire a suo fratello e non lo faceva mai, salvo casi di vita o di morte oppure quando voleva evitare di farlo agitare e preoccupare inutilmente. Sapeva perfettamente di non voler e poter dirgli nessuna bugia. C’era solo una persona di cui le importasse davvero nella sua vita, perché rischiare di perderla? E poi Hunter era un tipo affidabile e iperprotettivo che sapeva sempre la cosa giusta da fare.
«Fantastico! E chi è il fortunato?» esclamò il ragazzo sorridendo.
Kylie rise fra il nervoso e lo scettico. «La fortunata in questo caso sono io! Hai presente Alex Gaskarth?».
«Chi, quel cantante strambo che ti piace tanto?» domandò sorpreso.
«Sì, proprio lui. Stamattina Brian non si è presentato a lavoro perché stava male ed è toccato a me intervistare il gruppo».
«E’ stato lui a invitarti fuori?».
«In un certo senso. Prima voleva solo il mio numero, ma poi gli ho fatto capire di aver capito che intenzioni aveva e lui si è fatto avanti».
«E com’è? E’ davvero così bislacco come sembra?» ridacchiò Hunter.
«Beh, sono strani tutti e quattro… Ma dopo un po’ ci fai l’abitudine».
«Allora cos’è che ti tormenta?».
«Non so se ho fatto bene ad accettare, ecco» ammise in un sussurro Kylie, mordicchiandosi il labbro inferiore.
«Stai scherzando?! Quel tipo è il protagonista dei tuoi film mentali praticamente da sempre e tu adesso non sai che fare? Ti sei mangiata il cervello? E’ assolutamente ovvio che tu devi andare all’appuntamento!».
«E sei poi non gli piaccio?».
La macchina voltò un angolo e si fermò qualche metro più avanti, sotto un grande palazzone di mattoni rossastri di periferia.
«Spiegati meglio» la esortò il ragazzo.
«Voglio dire, e se io non dovessi piacergli? Lui continuerebbe a infestare i miei sogni lo stesso. Però sarebbe straziante pensare di averlo conosciuto, di esserci uscita insieme e di non essere riuscita a interessargli minimamente, non credi?».
«E se fosse il contrario? Se invece tu ti accorgessi che lui non è nemmeno lontanamente simile a quell’immagine che ti sei creata?».
«No, questo è impossibile» disse con estrema sicurezza Kylie mentre enfatizzava la frase con un cenno della mano.
«Non credo. E non vedo neppure un motivo per cui non dovresti piacergli; sei intelligente e sei anche una strafiga pazzesca. Se non dovesse mostrarsi interessato sarebbe lui quello ad avere problemi, non tu. Comunque sia, tentar non nuoce» concluse Hunter scendendo dall’auto.
Kylie afferrò la borsa e corse in direzione dell’alto ragazzo che si dirigeva a grandi falcate verso il portone.
«Ah, intanto che tu sarai impegnata a lasciare il segno nel cuoricino del tuo caro Alexander, io sarò a scatenarmi al pigiama party che ha organizzato Susan, quindi non aspettarmi sveglia perché tornerò domani pomeriggio dopo il lavoro».
La ragazza sorrise alzando gli occhi al cielo. Non osava neppure immaginare cosa sarebbe stato di lei se non ci fosse stato Hunter al suo fianco.
 

* * *

 
«Zack, hai per caso visto la mia maglia nera?» domandò Alex entrando in salotto con solo l’asciugamano avvolto intorno alla vita.
«Quella a colto alto?» s’informò il Merrick non distogliendo lo sguardo dal videogioco con cui stava giocando.
«No, quella che ti ho prestato l’altro giorno».
«Allora credo sia ancora in lavatrice» rispose desolato.
Alexander sbuffò rumorosamente e fece per tornare a mettersi davanti l’armadio, ma Jack lo fermò.
«Esci, Gaskarth?» chiese.
«A quanto pare», fu la vaga risposta.
«E chi hai rimorchiato stavolta?» domandò ancora il curioso e divertito Bassam facendo capolino dal divano sui cui era sdraiato.
Il cantante non ebbe neppure il tempo di pensare alla risposta da dare che Rian, tanto per scherzare, buttò lì a caso: «La giornalista».
Solo quando si accorsero del silenzio del ragazzo, i tre compagni si voltarono a guardarlo ammutoliti.
«Hai davvero rimorchiato Kylie?» fece ancora Dawson, sorpreso.
«E’ un problema?».
Barakat e Merrick proruppero in un concitato Oh-oh all’unisono.
«Attenzione ragazze, Alexander William Gaskarth è uscito dal letargo!» esclamò il primo.
«Bel colpo, amico!» si complimentò il secondo.
Alex sorrise soddisfatto e fece un mezzo inchino.
«Se vuoi possiamo lasciarti la casa libera stasera» ridacchiò Jack.
«Oppure posso prestarti la mia auto…» aggiunse Rian facendo l’occhiolino.
«Vi ringrazio, ma conosco qualche bel posto appartato in giro per la città. – scherzò il diretto interessato lanciando uno sguardo all’orologio – Sarà meglio che vada a vestirmi… Ho avuto l’impressione che Kylie non sia una ritardataria».
Infatti, come volevasi dimostrare, quando il ragazzo raggiunse la Taverna lei era già lì, seduta dietro ad un tavolo vicino a una finestra, con il mento appoggiato su una mano mentre con l’altra picchettava sul ripiano di legno seguendo il ritmo di qualche canzone.
«Di solito non sono le ragazze quelle che si fanno aspettare?» lo punzecchiò non appena lo vide.
«Hai detto bene, di solito. – sottolineò Will prendendo posto di fronte alla rossa – E’ da molto che aspetti?».
«Non tanto, sarà un quarto d’ora. Mio fratello doveva uscire e mi ha accompagnata prima. A proposito, spero che tu abbia un’auto o comunque qualcosa che possa trasportare la gente per riaccompagnarmi a casa; mi seccherebbe da morire dover tornare a piedi» disse con un sorriso.
«Dove abiti?».
«Dellwood Avenue».
«E’ lontano da qui… – soppesò il ragazzo – Beh, sei fortunata: la mia macchina è parcheggiata qua fuori. Ma…».
«Ma?».
«Beh, se io ti do un passaggio a casa, tu dovrai sdebitarti in qualche modo» patteggiò con un tono di voce malizioso e buffo. Che stava scherzando era chiarissimo, com’era chiaro anche che ci stesse provando o, perlomeno,  che fosse interessato a Kylie.
La ragazza scoppiò a ridergli in faccia. «Sto già scrivendo un articolo su te e la tua band, non ti basta?».
«L’hai già iniziato?», gli occhi di Alex si illuminarono.
La Thompson annuì proprio nel momento in cui una cameriera dall’aria molto scocciata che masticava lentamente una gomma  si piazzò davanti a loro e chiese con tono petulante: «Cosa vi porto?».
«Per me un Malibu al cocco, grazie. Tu che prendi?».
«Acqua tonica» ordinò la rossa rivolta alla cameriera che aveva tutta l’aria di non voler continuare a vivere.
«Acqua tonica? Ma dai, prendi un Mojito, una Capiroska… Va beh, facciamo due Malibu al cocco» decise Alexander con un tono che non ammetteva repliche.
«L’acqua tonica era più che sufficiente» mormorò Kylie imbarazzata.
Solo allora un pensiero attraversò fulmineo la mente di Alex e bastò a farlo sprofondare nel dubbio e nel timore di aver fatto una figuraccia.
«E con questo non volevo dire che non bevo» aggiunse lei, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Non lo pensavo. – mentì – Comunque, da quanto tempo lavori per Rolling Stone?», sviò l’argomento ben felice di poterlo fare.
Senza nemmeno degnarli di una parola, la bionda tornò, poggiò i due drink sul tavolo e si allontanò accompagnata dal sonoro rumore di una gomma da masticare che scoppiava. Kylie prese il suo bicchiere e mandò giù un primo sorso.
«E’ dolce, ma mi piace. Comunque, “lavorare” – parafrasò con le dita – è un po’ esagerato… Per il momento sono solo una tirocinante aspirante critica musicale che esegue gli ordini di Brian Mills».
Alex aveva già vuotato metà bicchiere. «E’ severo?» s’informò.
«Sì, abbastanza… Ma soprattutto è troppo pignolo e pure un gran seccatore». Seccatore? No, Brian non era un seccatore: era solo il più grande rompipalle che Kylie avesse mai conosciuto. La ragazza meditò un attimo in silenzio, sorseggiando un altro del po’ del denso liquido contenuto dentro al bicchiere, indecisa se dire quella parola o meno; ma poi pensò che Alex non era un tipo che si faceva problemi nel sentire o dire parole del genere, perciò corresse: «E’ solo un grandissimo rompipalle che detta ordini a destra e sinistra, il più fastidioso stronzo esistente in ogni redazione di Rolling Stone sulla faccia della Terra».
«Wow, hai proprio una bella opinione sul suo conto» rise il ragazzo.
«Oh, non immagini quanto» sbuffò lei, ma il fastidio si dissolse rapidamente nel vedere il sorriso stampato sul volto che le stava di fronte.
Alex non riuscì a fare a meno di cercare di capire che cosa lo spingesse a sorridere in continuazione quella sera, ma non trovò nessuna risposta. «E’ stata una fortuna aver trovato te, oggi».
La Thompson si sentì sprofondare nell’imbarazzo e cercò di evitare di continuare il discorso proponendo un brindisi. «Alla gastroenterite di Brian Mills» disse.
Fecero oscillare i loro due bicchieri e, dopo che bevvero tutto fino all’ultima goccia, presero a ridere a gran voce, complici.
«E oltre il tirocinio su cosa si basa la tua vita?».
«E’ un modo carino  per sapere tutto ciò che ho combinato negli ultimi vent’anni?».
«Assolutamente sì» rispose Gaskarth sbattendo più volte le ciglia mentre appoggiava il mento nei pugni chiusi.
Quella (volutamente pessima) imitazione di una cheerleader totalmente inutile cerebralmente fece ridere di gusto Kylie per quasi un minuto. Aveva una bella risata cristallina e altamente contagiosa, e i denti erano bianchissimi (tanto che per un istante William pensò a Rian) anche se gli incisivi erano un po’ troppo lunghi.
Quando si riprese cominciò: «Allora, sono nata ad Annapolis durante un piovoso quattordici Novembre di vent’anni fa con tre settimane d’anticipo, a quanto mi è stato detto. Ho un fratello più grande di sei anni che si chiama Hunter e i miei nonni materni erano italiani, quindi sì, nel caso te lo stessi chiedendo, conosco le basi d’Italiano anche se non sono mai stata in Italia e non so fino a che punto riesco a parlarlo correttamente. Ah, e so cucinare. Hunter dice che preparo la pasta alla carbonara più buona che abbia mai mangiato… Ma non so quanto ci sia di vero nel suo parere» fece una pausa per ridersela sommessamente prima di ricominciare.
Alex la osservava con attenzione ascoltandola quasi ipnotizzato, come se la ragazza gli stesse svelando il più grande segreto del mondo invece di raccontargli qualche estrapolato della sua vita. Aveva i capelli sciolti e il ragazzo non era riuscito a fare a meno di notare che quel ciuffo troppo corto che le ricadeva sempre davanti agli occhi le desse proprio un gran fastidio, a giudicare dal modo in cui lo spostava dietro l’orecchio ogni due o tre minuti. Aveva pure lo stesso trucco leggero della mattina, ma solo allora Will notò che la matita turchese che le incorniciava gli occhi le stava veramente bene, anche se lui di trucco ne capiva più niente che poco. Era un po’ più esperto nel campo dei profumi e poteva ben assicurare che quello di Kylie fosse buonissimo e odorasse di fiori, di peonia forse. Lo inebriava, gli saliva dal naso su fino al cervello che ne godeva estasiato. Ma se c’era una parte che lo attirava maggiormente quello ero il sguardo verde, tanto magnetico quando dolce.
Dal canto suo, anche Kylie non era inerte al fascino che il ragazzo che le stava seduto di fronte esercitava su di lei. Aveva visto Alexander tantissime volte in televisione ma ancora di più su YouTube e aveva sempre pensato che fosse figo, ma di presenza era tutta un’altra storia. Indossava una maglia grigia e un paio di jeans neri, come nero era anche il berretto che portava ben calcato in testa e che gli nascondeva i capelli che Kylie aveva sempre avuto il desiderio di toccare perché le sembravano a dir poco favolosi. La ragazza decretò che il cantante fosse vestito proprio bene, come sempre. Tuttavia non era solo l’aspetto fisico l’unico a fare lentamente breccia nel cuore di lei: da quanto aveva sempre visto attraverso il monitor o il televisore del salotto Alex le sembrava anche simpatico e quella sera ne stava avendo la conferma. E le stava sembrando anche tanto divertente. E gentile. E tremendamente carino quando le sorrideva. E gli occhi le sembravano anche troppo belli quando si soffermavano a guardarla e incontravano i suoi, facendole aumentare il battito cardiaco. E la voce! Per non parlare di quella meravigliosa voce che aveva! Fra un pensiero e l’altro Kylie riconobbe di aver fatto bene, ancora una volta, a dare retta a suo fratello.
Mentre si studiavano a vicenda, la ragazza proseguiva a raccontare questo e quell’aneddoto della sua vita fino a quel momento senza scendere troppo in certi particolari, Alex commentava, rideva e faceva qualche battuta ed entrambi continuavano a bere qualche altro drink gentilmente portato loro dall’allegra bionda dall’espressione seccata.
«E adesso basta così, okay? Tu sei famoso, avrai una vita certamente più interessante della mia… Perché non me parli un po’?» chiese infine Kylie parlando abbastanza lentamente e biascicando qualche parola.
Gaskarth sorrise di un sorriso storto, su di giri tanto quanto la Thompson. «Va bene, adesso ti racconto, ma prima… –  si girò in cerca della cameriera – Due vodka, una liscia e una alla pesca!».

Without going out of my door...

Sono sincera, non pensavo che avrei aggiornato così presto! LOL
Ho finito questo capitolo in tempo record e mi sento abbastanza ispirata, ma non so dirvi di preciso quando arriverà il prossimo.
Comunque sia, qui iniziamo a capire qualcosa in più della vita di Kylie, anche se per saperne di più dovrete aspettare un po'... *Me cattiva vi vuole tenere sulle spine*
Ah, un'altra cosa. Si capisce già dal primo capitolo che i protagonisti assoluti siano Alex e Kylie e devo anche dire che, per quanto cerchi di inserire pure Rian, Jack e Zack, la cosa mi riesce un tantino difficile... Posso solo dirvi che qui non è come qui, ecco. *Si fa pubblicità già che c'è xD*
Boh, penso che per adesso sia tutto... Dimentico sempre tutto quello che desvo scrivere nelle NdA, me scema ._.
Spero che il capitolo via sia piaciuto e che vogliate continuare questa popò di storia C:
Grazie a chi leggere/recensice/mettere tra le ricordate-seguite-preferite/apre la pagina per leggere e cambia idea al quarto rigo :'D
Con taaaaaaaaaaaaaaaaanta stima per aver avuto il coraggio di essere ancora qui a sopportare i miei inutili monologhi oltre che la storia,


A.




 

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Capitolo 3
*** «Però continuerò a chiamarti Ginger» ***


3. «Però continuerò a chiamarti Ginger»
 
Quando Kylie riprese conoscenza dal sonno in cui era sprofondata non aprì gli occhi: anche così poteva sentire benissimo il sangue che le pulsava nelle tempie e il forte mal di testa unito alla nausea. Non ricordava di essere andata a dormire e si sorprese quando, una volta aperti gli occhi per via della luce solare che filtrava dalla finestra, si ritrovò in camera di suo fratello. La prima brutta sensazione prese a farsi strada dentro di lei mentre fissava immobile il soffitto. Doveva essersi sbronzata, e anche di brutto. Del resto i sintomi c’erano tutti. Non le era mai successo e decise subito che non sarebbe mai più dovuto accadere. La seconda (e anche peggiore) brutta sensazione arrivò non appena si voltò per alzarsi e vide dei vestiti abbandonati a casaccio sul pavimento. Riconobbe i suoi jeans accanto al letto e la maglia più in là, vicino alla porta, e solo allora si rese conto di essere effettivamente nuda. Ma non era tanto la sua nudità a preoccuparla, quanto il vedere altri indumenti per terra che non appartenevano né a lei né ad Hunter. Un brivido le partì dalla testa e le scese lentamente lungo la schiena. Si voltò ed ebbe conferma del suo presentimento: Alexander era lì, steso a pancia in giù a pochi centimetri da lei, irresistibilmente, scandalosamente e completamente nudo.
D’istinto, senza sapere neppure il perché, Kylie emise un grido così acuto che il povero ragazzo sobbalzò e cadde giù dal letto trascinandosi dietro coperta e lenzuola.
«Che cazzo succede?!» urlò trafelato col cuore in gola e gli occhi sbarrati.
La rossa si portò una mano alla bocca come per chiedere scusa dello stridio, guardandolo con gli stessi occhi sgranati.
Il Gaskarth non impiegò molto a realizzare e fare il punto della situazione, ma tutto quello che fu in grado di dire fu un semplice «Ah».
Rimasero in silenzio per qualche minuto, riordinando le idee e cercando di trovare le parole giuste per dire qualcosa, anche se nessuno dei due sapeva cosa.
Si erano ubriacati insieme, avevano fatto sesso e nemmeno lo ricordavano; gran bella sfiga, pensarono nel loro profondo.
«Ehm… Posso?» chiese esitante Will indicando il letto.
Kylie gli fissò addosso uno sguardo carico di mille emozioni contrastanti, annuì silenziosa e si fece da parte stando ben attenta a coprire ogni singolo centimetro del suo corpo con la pesante coperta. Non aveva mai bevuto così tanto e non le era mai successo di andare a letto con uno sconosciuto prima d’allora. Più e più volte si domandò il motivo per cui fosse accaduta una cosa simile e per dipiù con Alex, che sicuramente si era fatto un’idea totalmente sbagliata di lei.
Per quanto lo riguardava, il cantante non faceva altro che rimproverarsi e darsi dell’imbecille e dell’idiota, unendo il tutto a improperi di vario tipo.
«Non ricordo nulla» disse la ragazza con un sussurro. Voleva aprire un discorso, dirgli che le dispiaceva e che lei non era quel genere di persona lì e soprattutto fargli capire che non era quello il motivo che l’aveva spinta ad accettare l’invito perché, anche se c’era attrazione fisica, non aveva la minima intenzione di fare una cosa simile; ma le parole le morirono in gola soffocate dall’imbarazzo. Ripensò alla prima volta, alla notte di pochi anni prima in cui aveva perso la sua verginità all’interno di una macchina fermata in uno squallido parcheggio e in compagnia di un ragazzo che bastava a farle venire il ribrezzo in quelle rare occasioni in cui il suo viso pallido faceva capolino fra i suoi ricordi. Nemmeno allora si era vergognata così tanto come in quel momento.
«Oh beh,  se per questo neppure io ricordo molto… Solo qualche piccolo sprazzo di lucidità, ma niente di più. Però siamo stati bravi: poteva andare peggio».
«Peggio come, scusa?» domandò interdetta la Thompson.
Alex indicò la stanza con un plateale gesto del braccio mentre diceva:  «Non abbiamo rotto nulla, sembra essere tutto a posto».
Dopo qualche secondo di silenzio Kylie scoppiò a ridere di cuore di quella battuta e Alex si sentì notevolmente più sollevato vedendo di aver ottenuto l’effetto sperato.
«Sei abituato alla violenza in questi casi, tu?» riuscì a dire la rossa fra una risata e l’altra.
«Non immagini quanto» rispose il ragazzo facendole l’occhiolino. Si fermò a guardarla, a contemplare la sua pelle bianca goffamente coperta da quella stoffa pesante pensando che, se avesse avuto una seconda possibilità con lei, avrebbe spaccato tutto e l’avrebbe fatto da sobrio. Tuttavia quel piccolo e pericoloso pensiero sparì immediatamente non appena Kylie riaprì la bocca per parlare.
Non era sicuramente il modo migliore per affrontare la situazione o per dimenticarla e non poteva certo dirsi fiera di quello che stava per proporre, ma le avrebbe risparmiato l’imbarazzo che sarebbe scaturito nel momento in cui avrebbero riaffrontato il discorso.
«Alex, posso chiederti di non discutere di quello è che successo la scorsa notte?».
William spalancò gli occhi, ma fu solo per un attimo. Anche a lui faceva comodo evitare la questione e apprezzò la domanda diretta postagli dalla ragazza. «Tranquilla Ginger, non ne faremo più parola» la rassicurò con tono dolce.
«Ginger? Da quando in qua ti ho dato tutta questa confidenza da potermi affibbiare pure un soprannome?» fece lei per scherzo.
«Abbiamo fatto sesso, direi che c’è abbastanza intimità no? – Kylie alzò un sopracciglio e il ragazzo fu costretto ad aggiungere – E questo era l’ultimissimo riferimento. Non dirò nient’altro a riguardo, lo prometto».
«Così va meglio».
«Però continuerò a chiamarti Ginger».
Kylie ‘Ginger’ Thompson fece spallucce. «Se proprio non puoi farne a meno… Ora girati, per favore».
«Perché, scusa?».
«Perché voglio andare a fare una doccia e devo rivestirmi. Non sbirciare, non hai idea di cosa potrei farti», il suo tono di voce voleva apparire autoritario ma non vi riuscì del tutto.
Alexander sbuffò e si lasciò cadere a peso morto sul letto, ma nonostante la minaccia non riuscì a trattenersi dal dare una rapida occhiata. L’unica cosa che vide fu la lunga schiena nuda della ragazza che si chinava per indossare la sua maglia grigia.
«Te la restituisco dopo. Sei hai fame, trovi tutto quello che vuoi in cucina; non fare complimenti» gli disse sorridendo appoggiata contro lo stipite della porta.
«D’accordo, però tu smettila di essere così».
«Così come?».
«Così dannatamente sexy» rispose con malizia.
La sentì ridere nel corridoio prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle. Rimase steso sul letto per qualche altro minuto, lasciando che il silenzio lo avvolgesse e sfruttandolo per mettere ordine fra quella baraonda di pensieri che gli stava affollando il cervello. Solo una cosa gli premeva veramente giunti a quel punto: dimostrare a Kylie che non era interessato a lei solo per il suo bell’aspetto.
Pensò e ripensò, spostando lo sguardo dal soffitto alla finestra e viceversa fino a quando non trovò la soluzione. Le avrebbe chiesto di uscire ancora, anche quello stesso giorno. La ragazza avrebbe facilmente capito le sue buone intenzioni nonostante ciò che avevano fatto e poi chissà, da cosa nasce cosa…
Visibilmente più rincuorato, Alex si alzò dal letto e andò dritto verso la cucina per fare colazione. Gli era stato detto di poter mangiare tutto quello che voleva, ma si sentiva a disagio e l’unica cosa che prese fu un bicchiere di latte dal frigo che sorseggiò mentre camminava per la stanza.
L’appartamento era abbastanza piccolo, costituito solo dalla cucina, da un bagno, una camera da letto e un piccolo ripostiglio trasformato alla bell’e meglio nella camera di Kylie (Alexander non vi era entrato per una strana sorta di rispetto della privacy, ma dalla porta socchiusa era riuscito a vedere le pareti rosse su cui campeggiava qualche copertina della rivista per cui lavorava la ragazza). In più la casa sembrava esser stata presa in affitto, come poté capire dalla lettera di un certo Mr. Matthews attaccata al frigorifero per mezzo di una calamita. Il resto della superfice metallica, invece, faceva sfoggio di varie fotografie i cui soggetti erano sempre gli stessi: la Thompson e quello che doveva essere suo fratello Hunter. Un bel ragazzo anche lui, non c’era che dire, pensò il cantante.
«Che fai, curiosi in giro?».
Kylie (già vestita e con i capelli asciutti) era come apparsa magicamente, tanto che Alex sobbalzò. Era stato colto con le mani nel sacco, ma non era carino dire che effettivamente stava ficcanasando in una casa che non gli apparteneva. «Stavo solo approfondendo dettagli della tua vita privata. Ognuno ha degli scheletri nell’armadio».
L’ultima frase voleva essere una battuta divertente, ma un’ombra calò sul viso della ragazza per un veloce attimo e William se ne accorse, sprofondando nell’imbarazzo.
«Nel mio armadio non ci sono scheletri. Ci sono cimiteri interi» rispose con un acido sarcasmo mentre afferrava i cereali non degnandolo neppure di uno sguardo.
Alex capì al volo che qualcosa non andava ma anche che era meglio lasciar perdere quella questione. Voleva evitare di complicare quella già strana situazione e fare altre domande non sarebbe di certo servito a semplificarla.
Ginger finì di fare colazione in silenzio, riflettendo sul fatto di essere stata parecchio sgarbata con quel povero ragazzo. Mise in ordine e lo raggiunse accanto alla finestra. «Allora, che programmi hai per oggi?» gli chiese in tono allegro.
«A dire il vero volevo chiederti la stessa cosa» sorrise Alex. Era uno di quei sorrisi innocenti, spontanei e belli che gli aveva visto durante qualche intervista caricata su YouTube, ma adesso che lo rivolgeva a lei le sue guance non riuscirono a trattenersi dall’arrossire.
«Pensavo di andare in centro, che ne dici?» concluse lui.
«Sì, va bene. Devo solo essere qui per le quattro e mezza».
«Abbiamo tutto il tempo che vogliamo».
 
Durante quella specie di appuntamento improvvisato passeggiarono lungo la Light Street, visitarono l’acquario nelle vicinanze e si fermarono a mangiare sushi (anche se Alexnder avrebbe preferito di gran lunga pranzare con una fetta di cheesecake). Una volta fuori dal ristorante camminarono in direzione del molo costeggiando il mare e, nonostante facesse abbastanza freddo e il cielo minacciasse pioggia, trovarono una sponda più tranquilla e riparata dalla zona di lavoro dove si sedettero e lasciarono penzolare i piedi giù verso la distesa acquosa.
«Non mi hai ancora detto perché hai smesso di andare al College» osservò ad un tratto Alex.
Kylie si passò una mano tra i capelli, gesto che faceva senza più nemmeno rendersene conto. «Perché finiamo sempre col parlare di me?».
«Primo, perché sono un inguaribile curioso; secondo, perché la tua vita è sicuramente più interessante della mia; terzo, perché puoi trovare tutto quello che mi riguarda cercando su Google».
«Primo, è vero; secondo, non credo proprio, non puoi paragonare la vita di una rockstar a quella di una comunissima ragazza di città; terzo, è vero anche questo, ma certi aneddoti non li trovi su Google e poi preferisco sentirti raccontare queste cose di persona».
«Va bene, allora la prossima volta parleremo solo di me» acconsentì il cantante pensando alla dote naturale che quella ragazza possedeva di convincerlo a fare qualcosa.
«Ed io la prossima volta ti porterò a mangiare cheesecake» rise Ginger.
«La mia delusione era così visibile?».
«Giusto un pochino, sì. Comunque ho abbandonato perché sarei stata più utile se avessi lavorato e l’occasione mi si è presentata su un piatto d’argento».
«Ecco, questa è una delle cose che volevo chiederti. Come hai fatto a far parte della redazione di Rolling Stone?».
«Oh, è stata una sculata tremenda! Mio fratello lavora come modello, non è famoso e non calca di certo passerelle importanti, ma è abbastanza conosciuto nel settore e un giorno posò per una boutique che sarebbe stata sponsorizzata sulla rivista. Il caso volle che quel giorno fossi con lui. Non so come abbia fatto, ma la settimana successiva mi ritrovai a cominciare il mio tirocinio. Ogni cosa che faccio la devo a lui, sarei persa senza Hunter» spiegò con una punta d’orgoglio.
Gaskarth le rivolse un sorriso veloce da cui traspariva la sua malinconia e si voltò a guardare il mare davanti a loro senza aggiungere altro. Era chiaro che stesse pensando a Thomas, Kylie lo capì e si sentì in colpa  per quello che aveva detto. Si avvicinò a lui e gli passò un braccio intorno alle spalle in segno di muto conforto; sapeva benissimo cosa voleva dire perdere una persona cara.
L’idea che la Thompson potesse sapere qualcosa di suo fratello, invece, non sfiorò minimamente il cervello di Alex, che cambiò improvvisamente e radicalmente stato d’animo credendo che la ragazza stesse cercando un contatto con lui. Le cinse la vita con un braccio, senza esitazioni e come se si conoscessero da molto più tempo, mentre rifletteva sul fatto di non essersi mai trovato in una situazione simile con un’altra ragazza prima di Kylie. L’ultima volta, quando stava con Lisa, aveva bruciato le tappe lentamente e una dopo l’altra, ma sembrava incapace di farlo con la rossa di Annapolis.
«E sei felice? Di quello che ti è successo, intendo».
«Beh, non sono una giornalista a tutti gli effetti… Però mi impegno e spero di diventarlo sul serio. In più mi diverto a stare in redazione, se riesci ad evitare le sfuriate di Brian e del caporedattore allora è fantastico. Per non parlare di tutta quella gente che ho incontrato in questi mesi: Lou Reed, gli Arctic Monkeys e una volta ho visto di sfuggita Dominic Howard dei Muse… E poi ci siete stati voi, e ci sei stato tu» concluse con voce più bassa. Era strano come riuscisse ad alternare sicurezza e timidezza passando ora all’uno ora all’altro senza lasciar trascorrere molto tempo.
Contento ma confuso e poco imbarazzato, Alex domandò: «E chi ti piacerebbe intervistare?».
«Dal momento che gli Oasis non stanno più insieme, direi Paul McCartney o Madonna, anche se è impossibile e quindi li escludo. I Green Day e i Paramore, in assoluto. E anche Jared Leto, così, per completare il quadro».
«Sei abbastanza confusa, eh?».
«Questo è quello che succede ad amare più cantanti e gruppi» rispose facendo spallucce.
«Però scommetto che i tuoi preferiti sono gli Oasis».
«Mi dichiaro colpevole, Vostro Onore».
«E fammi indovinare, la tua canzone preferita è Wonderwall vero?» chiese muovendo le mani sulla falsariga di certi maghi che aveva visto in televisione.
«Non vale, è la mia suoneria del cellulare e l’hai sentita poco fa!» protestò Kylie ridendo e dandogli un buffetto.
Presero a fare gli scemi per un po’, spingendosi a vicenda e ridendo così forte da avere mal di pancia fino a quando qualcosa di freddo e bagnato non andò a infrangersi contro la faccia del ragazzo.
«Ma è… E’ pioggia! Oh cazzo Kylie, andiamo!» esclamò. La prese per mano, si alzò e se la trascinò dietro senza smettere per un solo secondo di ridere.
Corsero veloci, ma la macchina era stata parcheggiata piuttosto lontano e quando la raggiunsero erano già bagnati fradici. Poi, come se non bastasse, non si erano resi conto che si fosse fatto tardi e Ginger aveva l’estremo bisogno di arrivare a casa il più presto che fosse possibile. Quando l’auto si fermò davanti il grande palazzo di Dellwood Road tirarono entrambi un sospiro. L’acqua sui vestiti non si era ancora asciugata e il freddo aveva iniziato a penetrare nelle loro ossa, ma almeno erano stati puntuali.
«Dobbiamo procurarci un ombrello» disse la rossa scuotendo la testa.
«Assolutamente sì» concordò William alitandosi sulle mani per riscaldarle.
«Bene, sarà meglio che vada. Hunter sarà a casa tra dieci minuti al massimo e non voglio sentire le sue paranoie sulla febbre. – sorrise bonaria – E’ stata una bella giornata, Alex, mi sono divertita».
Alexander sorrise di rimando, felice. «Ti chiamo stasera?» azzardò.
«Anche tra un’ora, se vuoi» gli rispose un attimo prima di chiudersi dietro la portiera e correre verso il portone.
Gaskarth aspettò di veder accesa la luce dalla finestra centrale del primo piano prima di mettere in moto la macchina e ripartire.
«Già, proprio una bella giornata» disse fra sé e sé.

Ambarabà ciccì coccò (?)

A essere sincera non pensavo che fosse passato così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento...
Me ne sono resa conto stamattina e poi, dopo aver letto il tweet di @Fra_AW, ho capito di non poter andare assolutissimamente a dormire se non prima di aver aggiornato xD
Se mi piace il capitolo? Sì. No.
Mi piace la prima parte e preferisco un po' meno la seconda... Beeeeh, è strano che mi piaccia qualcosa di mio xD
Comunque, ho lasciato qualche piccolo e scarso riferimento sulla vita privata di Kylie *inizia a cantare Gli Ostacoli Del Cuore (?)*
Ok, mi sto facendo paura e sono sicura di starne facendo anche voi, quindi mi dileguo e spero che almeno a voi 'sta robetta piaccia ^^
Thanks a lot! :D

A.



 

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Capitolo 4
*** «Hunter, che giorno è oggi?» ***


4. «Hunter, che giorno è oggi?»
 
«Basta, io chiamo un dottore» decise Hunter, il tono di voce grave e seriamente preoccupato.
Kylie tirò lo sciacquone, si rimise in piedi barcollando e lo raggiunse lentamente e con difficoltà. «Non c’è bisogno, sarà un’intossicazione alimentare. Adesso prendo qualche pillola e vado a dormire, vedrai che quando mi sveglierò starò una favola» tentò di rassicurarlo sforzandosi di sorridere e apparire il più salutare che le fosse possibile in quel momento.
«Non è neppure l’una e tu hai già rimesso due volte! Per non parlare di ieri e dell’altro ieri! Anzi, sai che ti dico? Mi prendo il giorno libero per domani e andiamo subito a fare una bella visita al dottor Connor!» esclamò andando in cucina.
Kylie scosse la testa e si lasciò cadere per terra, sedendosi vicino al gabinetto e con la schiena poggiata contro il muro. Era in situazioni così che suo fratello la irritava massimamente. Era vero, negli ultimi giorni non aveva fatto altro che stare chiusa in un bagno a vomitare anche l’anima, ma non era certo il caso di reagire in quel modo. Poteva succedere a tutti di prendersi un’intossicazione, quindi perché lei ne dovrebbe essere stata esclusa?
Chiuse gli occhi e respirò profondamente per ricacciare indietro l’orribile senso di nausea che aveva ripreso a farsi strada su per la sua gola, mentre Hunter spiegava concitatamente al telefono i sintomi del malessere della sorella.
«Hunt sto be…», Kylie non riuscì nemmeno a finire la frase che si ritrovò di nuovo con il viso in direzione della tazza del water.
Il ragazzo lanciò il cellulare sul divano e corse in bagno per aiutare la sorella, tenendole sollevati i capelli.
«E tu saresti quella che sta bene?» la rimbeccò.
«Cazzo, stai zit…», altro conato che la interruppe.
Quando la rossa finì, Hunter l’aiuto ad alzarsi per sciacquarsi il viso mentre le diceva: «Abbiamo appuntamento alle nove e mezza. Te lo dicevo io di non mangiare troppe schifezze».
«Io non mangio schifezze» protestò debolmente la rossa.
«Allora spiegami cos’è tutta questa voglia di dolci che ti è presa negli ultimi giorni. Cos’è, hai problemi di cuore e pensi che la cioccolata sia un ottimo antidepressivo?».
Se non fosse stata così pallida probabilmente le sua guance si sarebbero tinte di un bel rosso acceso. Alex e il suo luminoso sorriso fecero capolino tra i suoi pensieri facendola sospirare.
«E non sospirare, sai? Guarda che ho ragione» disse Hunter con voce severa.
Kylie non rispose, continuando a pensare agli ultimi giorni trascorsi con il bel cantante; erano passate tre settimane da quel piccolo incidente di percorso e loro avevano continuato a vedersi praticamente un giorno sì e l’altro pure. Alex si era anche offerto di accompagnarla in redazione due o tre volte e l’aveva aspettata per approfittare insieme della sua pausa pranzo.
Erano passati solo ventuno giorni, ma era come se si conoscessero da almeno due anni.
Improvvisamente un pensiero le sfiorò la mente. «Hunter, che giorno è oggi?» chiese.
«Giovedì».
«No no, intendo proprio il numero» chiarì agitata la ragazza.
«Ventidue, ma perché?».
Kylie si sentì mancare. No, non era possibile e non le era mai successo in tutti quegli anni, pensò. Ne era sicura?
«Quand’è che siamo andati a casa di Mike per festeggiare il suo compleanno?» domandò ancora.
«E’ stato più o meno a metà dello scorso mese, l’undici se non sbaglio. Kylie… Kylie mi vuoi dire che ti prende?», alzò il tono di voce vedendo impallidire ancora di più la ragazza davanti a lui.
La rossa ripeté tutti i calcoli a mente per la seconda sperando vivamente di sbagliarsi, anche se sapeva che al novantanove percento non era così.
«Ho un ritardo di due settimane» mormorò a testa bassa.
Il silenziò piombò incombente nel piccolo bagno e Kylie iniziò a sentire freddo dentro, fuori e tutt’intorno a lei.
Due settimane di ritardo. Lei e Alex avevano fatto sesso tre settimane prima. Possibile che…? Un brivido accompagnò il ritorno della nausea. Quella era una semplice intossicazione alimentare e niente di più. Il ritardo era solo dovuto ad una pura e semplice coincidenza.
Senza dire una parola, Hunter uscì dal bagno e un minuto dopo Kylie lo sentì chiudere la porta d’ingresso: era andato via. Era andato via e l’aveva lasciata sola in un momento come quello.
Nausee, vomito, voglie improvvise di dolci: e se fosse stata davvero incinta? Gli occhi le si riempirono di lacrime. Cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe dovuto fare? Non aveva mai preso in considerazione un’eventualità del genere, non aveva mai avuto nemmeno un grande esempio materno, né tantomeno di sentiva pronta ad essere madre.
Insicura sui suoi stessi passi, Ginger raggiunse camera sua e si buttò a capofitto sul letto. Non riusciva a pensare a niente, era come se il suo cervello avesse smesso di funzionare all’improvviso, e non si accorse nemmeno di essersi addormentata. Quando si svegliò Hunter era seduto sul letto accanto a lei e la guardava con fare pensieroso, agitato e protettivo al tempo stesso.
«Come ti senti?» le chiese.
«Possiamo passare alla domanda successiva?».
«Andiamo in bagno».
«Cosa vuoi fare?» gli domandò seguendolo fuori dalla piccola camera.
«Voglio tagliare la testa al toro» rispose suo fratello agitandole sotto il naso quello che aveva tutta l’aria di essere…
«Un test di gravidanza?!».
«Sì. Ne ho comprati tre diversi e dobbiamo vedere cosa dice ognuno».
Kylie sospirò profondamente e si mise all’opera, compiendo ogni singolo gesto sotto la supervisione del ragazzo.
«Sei sicura di usarlo nel modo giusto? Io so che…».
«Hunter, sono una donna – lo interruppe sbuffando – e in quanto tale credo di sapere un po’ meglio di te come funziona un test di gravidanza».
«Sarà, ma io sono gay e dentro di me c’è una buona percentuale femminile».
Quando ebbe finito il risultato li lasciò ammutoliti. Lo avevano previsto, ma era ugualmente difficile mandare giù una notizia del genere.
«Bene. Chi è il padre?» chiese inespressivo il biondo.
«Lo sai».
«Quando è successo?».
«Il giorno stesso in cui ci siamo conosciuti. Abbiamo bevuto qualche bicchiere di troppo e l’indomani il danno era già fatto» sussurrò mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso agitato.
Hunter la abbracciò e la baciò in testa, fra i capelli. «Per quanto mi costi, devo chiedertelo e devo aiutarti nella tua decisione: vuoi abortire?».
Kylie si staccò con foga dalla stretta. «Cosa?! Non ne è ho la minima intenzione! Non posso dire di essere la persona più felice del mondo in questo momento, ma lui ha diritto di vivere proprio come me!».
Un sorriso comparve tra le labbra del ragazzo biondo. «Mi fa piacere che tu la pensi così, – dichiarò asciugandole le lacrime con una carezza – però credo che dovresti decidere in tempo. Nel caso che tu scegliessi l’adozione…».
«Prima voglio parlare con Alex, è giusto dirglielo e qualsiasi cosa farò dipenderà dalla sua decisione».
«Credi sia il caso di dirlo a papà?».
La ragazza rise ironica. «Sarebbe solo una preoccupazione inutile e non voglio avere intorno né lui né la sua ipocrisia. Forse incaricherò la nonna di farlo, ma non adesso».
Le note di Wonderwall si sparsero per l’aria e interruppero quel discorso. Hunter passò il cellulare alla sorella dicendole: «Lupus in fabula».
«Pronto?».
«Ehilà Ginger! Come ti senti oggi?», la voce di Alex rimbombò nella testa dolorante di Kylie.
«Decisamente meglio» mentì.
«Non è vero, hai una voce di merda. Hai chiamato un dottore o vuoi che ti ci porti io a forza?».
«Ci ha già pensato Hunter; ho appuntamento domani mattina».
Restarono zitti e Kylie si disse di doversi sforzare un po’ di più per far apparire il suo tono di voce meno freddo e distaccato.
Fu di nuovo Gaskarth a riprendere parola per primo. «Vuoi che venga a farti compagnia?».
«No! – esclamò troppo forte la Thompson – Sono in condizioni orribili e non voglio che tu mi veda conciata così».
Alexander rise dall’altra parte dell’apparecchio.
«Amore, vieni a letto» urlò Jack cercando di imitare una sensuale voce femminile che somigliava più al gracchiare di un corvo. Kylie sorrise immaginando William alzare il dito medio in direzione dell’amico, cosa che effettivamente il ragazzo fece.
«Sarà meglio che vada».
«Già. Saluta i ragazzi da parte mia e non combinate troppi casini, mi raccomando».
«Ci proveremo. Tu pensa a rimetterti, okay?».
«Consideralo già fatto. Ciao Gaskarth».
«Ciao Thompson».
 

* * *

 
Alex riattaccò sconsolato. Aveva creduto che Kylie stesse meglio e avrebbe voluto di chiederle di uscire, ma ovviamente il proposito si era dissolto non appena aveva sentito la sua voce dall’altro capo del telefono.
«Qualcosa non va?» domandò Rian accortosi dell’espressione dipinta sul volto dell’amico.
«No, niente di grave. E’ solo che…».
«E’ solo che lo stallone pensava di poter riuscire a montare la cavalla stasera, ma invece il suo piano è andato in fumo» concluse Jack appoggiato al bancone posto al centro della cucina.
Scoppiarono tutti a ridere, anche lo stesso Alexander che rimproverò: «Pensi sempre e solo ad una cosa!».
«Ti sbagli, quello pervertito sei tu. Io sono soltanto un ragazzo geloso» spiegò Barakat con eloquenza.
Il cantante andò a sedersi su uno sgabello. «Jackie, quante volte devo ripetertelo? Jalex è come un unicorno: nessuno lo vede, ma tutti sanno che esiste».
Ancora risate e Rian dovette parlare tutto d’un fiato per evitare di continuare a ridere per chissà quanto tempo ancora. «Questa casa è improvvisamente troppo piccola per tutti e quattro. Zack, andiamo a flirtare da un’altra parte, ti prego».
Per tutta riposta, il bassista puntò uno sguardo carico di terrore al batterista e fece per nascondersi dietro una porta, cosa che suscitò maggiormente la già grande ilarità che li aveva colpiti senza lasciar loro scampo.
Ci vollero cinque minuti buoni prima che si riprendessero da ogni attacco di risate isteriche e, quando ritornò la calma,  il Merrick chiese al suo compagno di parlare un po’ di Kylie.
Will arrossì nel sentire la richiesta. «Beh, non c’è molto da dire… Non ci conosciamo così bene…».
«Stronzate! – lo interruppe Robert – E’ da giorni che state sempre insieme, qualcosa sul suo conto l’avrai pur capita, no?».
«Sì, ma… No, cioè… – il cantante sbuffò rassegnato sotto gli sguardi indagatori dei suoi amici – Che volete sapere?».
«Tutto quello che ti viene in mente: colore preferito, hobbies, gusti musicali…» elencò Zachary.
«…Se siete andati a letto…» proruppe Barakat.
«No».
«Avanti, Alex!» lo incitò divertito.
«Ho detto di no».
«Allora c’è scappato il bacio».
«No» replicò il ragazzo con lo stesso tono freddo con cui aveva risposto alle due domande precedenti.
«Neppure uno? Neppure piccolo? Un bacio stampo ci sarà stato sicuramente, no?».
Alex stava per controbattere un’altra volta, ma un dubbio lo fermò. Magari il bacio ci sarà stato (forse anche più di uno), ma non poteva esserne sicuro perché non ricordava niente.
Per fortuna intervenne Rian a porre fine a quell’imbarazzante interrogatorio, assestando una gomitata al braccio ossuto di Jack.
«Lascialo perdere, è la gelosia che lo fa parlare così. – disse – Adesso però vogliamo sapere».
«Non riuscite proprio a farvi gli affari vostri, eh?» chiese Gaskarth divertito.
«No» rispose quei tre in coro.
«Il suo colore preferito è il giallo, è una cinemaniaca e le piacciono tutti i generi, tranne l’horror e le commedie romantiche troppo zucchero e miele, come le definisce lei. Ama l’inverno e le giornate di pioggia, anche se ammette di sentirsi di cattivo umore quando non riesce a vedere il sole per più di tre giorni. Ha gusti musicali molto vari, ma è una fan degli Oasis e la sua canzone preferita è Wonderwall. Ah, la sua alternativa agli Oasis sono i Maroon5 e rimpiange di non essere riuscita ad andare con Mills a intervistarli perché aveva la bronchite… Beh, credo che per il momento possa bastare».
«E allora che aspetti?».
«Che aspetto a fare cosa?».
«A portarla qui» rispose Dawson come fosse la cosa più ovvia del mondo.
Alexander sorrise alzandosi. «Vado a strimpellare la chitarra di là» sentenziò senza dare il tempo ai ragazzi di domandare altro, impaziente com’era di terminare quel terzo grado.
I tre si guardarono, ognuno riflettendo l’espressione furba dell’altro: Gaskarth non sembrava disposto a confessarlo, ma qualcosa dentro di lui stava cambiando.

Life is a race and I'm gonna win   (visto che siamo nel periodo olimpionico :D)  

Questo capitolo è una cacca.
L'ho riscritto tantissime volte e ancora non mi piace. E dire che avevo una grande aspettativa :/
Quindi, se volete lanciarmi i pomodori, fate pure, na avete diritto u.u
Altra cosa: settimana prossima partirò e non so se riuscirò a postare un altro capitolo... Perciò il prossimo dovrebbe arrivare intorno alla fine di Agosto D:
Okay, me torno a guardare il sincronizzato maschila (e a sbavare senza pudore davanti a Daley *_*)
Perdonatemi questo schifo,

A.

 

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Capitolo 5
*** «Scusa, che hai…?» ***


5. «Scusa, che hai…?»
 
Alexander stava già aspettando da una decina di minuti, ansioso, come ogni volta prima di vederla arrivare. Finalmente Kylie si era ripresa e gli aveva chiesto di fare colazione insieme visto che quel sabato non avrebbe dovuto lavorare; peccato solo che fosse in ritardo.
Il ragazzo volse lo sguardo fuori dalla finestra e osservò prima la strada e poi alzò gli occhi a guardare lo spiraglio di cielo tra i palazzi della South President Street. Aprile era quasi alle porte, pronto a mettere da parte Marzo e le sue piogge per fare spazio al caldo Maggio: l’estate non era molto lontana, dopotutto. Pensando alla bella stagione ad Alex venne in mente di poter chiedere alla rossa di accompagnarlo nella settimana che doveva trascorrere in Inghilterra dai suoi parenti e magari, chissà, lei avrebbe persino accettato.
Un rumore lo distrasse dal fantasticare quel viaggio e lo costrinse a guardare prima il tavolo e poi la ragazza che gli stava seduta di fronte. Il suo estremo pallore lo stupì, ma cercò di non darlo a vedere. «Cos’è?» le chiese, nonostante fosse facile intuirlo dalla copertina.
«Il motivo del mio ritardo. – spiegò Kylie sorridendo, nonostante l’affanno per la corsa che aveva fatto – Vai a pagina sessantadue».
Il cantante obbedì e scorse la rivista fino alla pagina dettagli. «Beh, se è per questo il tuo ritardo è perdonato», sorrise non staccando gli occhi dalla foto. Lesse qualche riga sparsa qua e là sotto lo sguardo compiaciuto della giornalista, poi si interruppe. «Ti dispiace se lo leggo insieme ai ragazzi?».
«Ma no, figurati. Non dimenticarti di farmi sapere che te ne pare, però».
«Sul serio vuoi il mio parere?» domandò sorpreso.
«Sì, che c’è di strano? Per la prima volta posso sapere che ne pensa l’intervistato, quindi ne approfitto. Però devi essere sincero, okay? Anche se l’articolo fa pena, intendo».
«Sarò più spietato dello stesso Brian Mills, prometto» disse Gaskarth con fare solenne.
Kylie rise riuscendo a mascherare tutta la tensione che si portava dentro. Era decisa a dirgli della gravidanza quel giorno stesso, ma non riusciva a trovare le parole adatte per farlo e neppure un momento che le permettesse di aprire bocca per cominciare. Aveva pensato più e più modi per attaccare bottone e trattare la questione, ma in quel momento tutto ciò che le era venuto in mente nei giorni passati le sembrava banale e poco adeguato alla situazione. Si era anche fatta un’idea in proposito e sperava che Alex potesse capirla, ma temeva profondamente le conseguenze. Aveva abolito l’aborto sin dal primo momento e non era neppure tanto sicura dell’adozione; tuttavia voler tenere il bambino poteva significare l’irreparabile allontanamento di Alexander da lei e quindi il diventare una ragazza madre sola, alle prime armi e totalmente inesperta. In quegli ultimi due giorni Kylie non aveva fatto altro che riflettere, tanto da non dormire neppure la notte, esaminando ogni singola possibilità e tutto quello che sarebbe potuto scaturire da ognuna di esse.
Lasciò che facessero colazione, parlando del più e del meno e scherzando come erano soliti fare, anche se quella volta era solo Alex a condurre la conversazione. Il ragazzo se ne avvide ma cercò di fare l’indifferente buttando qua e là qualche battuta per farla sorridere e spronarla a parlare. Il colorito del suo volto e le profonde occhiaie che circondavano i suoi bei occhi verdi non gli piacevano, lo mettevano in una sorta di agitazione e gli facevano sentire una fitta allo stomaco: che stesse ancora male?
Parlò e parlò, sentendosi anche un po’ stupido e trascurato dal momento che Kylie sembrava non essere del tutto attenta a ciò che lui le diceva. La goccia che fece traboccare il vaso cadde quando la ragazza, con la stessa espressione di chi era appena tornato alla realtà dopo un lungo viaggio mentale, gli chiese di cosa stesse discutendo.
«Kylie, c’è qualcosa che non va?», più che una domanda la frase suonò come una dura affermazione e alla rossa si raggelò il sangue nelle vene.
Ginger premette forte i palmi delle mani contro gli occhi per cercare di non piangere e apparire come una bimbetta idiota. Sapeva di non avere idea di come affrontare la situazione, ma doveva farlo e piangere non avrebbe portato a niente.
«Alex, dobbiamo parlare» disse con lo stesso tono duro usato poco prima contro di lei. Guardò per qualche istante fuori dalla finestra, poi abbassò lo sguardo verso il tavolo e si concentrò a disegnare cerchi immaginari con le dita, evitando il contatto diretto con gli occhi del Gaskarth. «Ho deciso di evitare inutili giri di parole e andare dritto al sodo. Ti ricordi quando… Ehm… La notte in cui abbiamo… Sì insomma, hai capito. So che ti avevo chiesto di non parlarne più, ma vedi, penso che invece dovremmo farlo, almeno per il momento».
Alexander si bloccò, non sapendo che pensare e chiedendosi dove la giornalista avesse intenzione di andare a parare con quel discorso che, purtroppo, non prevedeva i lunghi giri di parole che lo avrebbero aiutato a metabolizzare meglio il concetto. Che si fosse innamorata? Probabile, sì. E a lui sarebbe andato a genio stare con lei, nel senso di stare insieme come coppia? Non vedeva perché no. Ma se invece Kylie stesse cercando di allontanarlo proprio perché non riusciva a sopportare l’idea di quello che era successo tra loro? Il cantante sentì i suoi battiti accelerare e credette di essere sul punto di scoppiare. Kylie lo guardò e disse qualcosa, ma William vide solo le sue labbra muoversi, senza capire cosa volessero significare quelle poche parole.
«Scusa, che hai…?».
«Sono incinta. E il bambino è tuo».
Incinta, bambino, tuo: quelle parole presero e riecheggiare violente nella testa del ragazzo, procurandogli un dolore quasi peggiore di quello causato da un dopo sbornia. Poi, quasi fosse il più divertente degli scherzi, Alex iniziò a ridere e si fermò solo quando si accorse dell’occhiata sorpresa, mesta e totalmente indignata che Kylie gli stava rivolgendo.
«Questa è buona, Ginger. Sai che ci avevo quasi creduto?».
«Cosa vuoi, un test di paternità forse?» sibilò lei a denti stretti. Aveva sussurrato per non farsi sentire ed evitare scenate, ma il suo tono di voce così aggressivo e tremante fece accapponare la pelle a William, che capì due cose: la prima, di non aver fatto proprio una bella figura; la seconda (che era anche la più importante), di non trovarsi coinvolto in nessuno scherzo.
Aveva messo incinta una ragazza, era stato capace di creare una vita e non era contento. C’era gente che lottava per riuscire ad avere un figlio e lui che era stato in grado di farlo non si sentiva felice. Delle immagini cominciarono ad offuscargli la vista accavallandosi tra loro: Kylie grondante di sudore chiusa in una sala parto, un’infermiera sorridente che si avvicinava e gli porgeva un fagotto, lui stesso che teneva in braccio un neonato…
La ragazza interruppe quel filone confuso di pensieri e continuò il suo discorso: «Non ti ho chiesto di vederci perché voglio soldi o pretendo che tu stia insieme a me, sia chiaro. Non ti obbligo a fare nulla, né mai lo farò perché non sono quel tipo di persona, e credo che tu lo sappia. Pensavo solo che fosse giusto dirtelo e anche avvisarti del fatto che, qualsiasi cosa tu sceglierai di fare, io terrò il bambino. Sono sempre stata contro l’aborto e non voglio neppure che qualcuno lo adotti. – fece una pausa, come indecisa se continuare o meno, poi sospirò e la sua voce suonò come un mormorio malinconico – Non ti poterò rancore a vita se decidessi di non stare dalla mia parte, ma ovviamente dovremmo smettere di frequentarci perché non credo sarebbe giusto nei nostri confronti  e in quelli suoi mandare avanti questo teatrino».
La Thompson parlò con una tale risoluzione che Alex non poté fare a meno di ascoltarla, nonostante facesse fatica a ragionare. Aveva apprezzato tutto quello che la ragazza gli aveva comunicato, ma non riusciva a pensare a niente, non sapeva che rispondere e rimase zitto con lo sguardo basso. Kylie osservò a lungo quel volto inespressivo che però sapeva essere attraversato da emozioni diverse e da una lunga serie di domande, molte delle quali andavano a finire dritte in un vicolo cieco. Aspettò e aspettò, imbarazzata e ansiosa mentre ogni minuto che passava non faceva altro che acuire la pesantezza del silenzio intorno a loro.
Infine Alexander si decise ad aprire bocca: «Eppure ero sicuro di aver usato il preservativo…» sussurrò assorto.
Kylie stentò a credere a ciò che aveva appena udito. Spalancò gli occhi per lo stupore, ma questo fu subito sostituito dalla rabbia e dalla frustrazione. «Mi stai forse dicendo che io ti abbia incastrato?! Stai veramente pensando che l’abbia fatto di proposito?!».
Stava urlando e William capì di aver detto una cosa molto più che grave. Tentò di zittirla o, perlomeno, di farle abbassare il tono di voce anche se i suoi tentativi furono scarsi e totalmente inutili.
«Se avessi voluto diventare madre, caro Gaskarth, non avrei scelto te, no? Io lavoro con gente di un certo calibro, incontro rocker di fama internazionale con un bel conto in banca ogni fottutissimo giorno e se avessi desiderato un figlio non l’avrei sicuramente fatto con un ventiquattrenne sprovveduto e completamente irresponsabile, che ne dici?».
Era furiosa e le parole le scorrevano libere sulla lingua, senza preoccuparsi troppo di risultare offensiva nei confronti del ragazzo di cui era invaghita. Era preparata ad un no, ma non aveva pensato (né lo avrebbe accettato) che potesse essere accusata di una cosa simile.
Dal suo canto, Alex la guardò confuso e intimorito, non credendo possibile che una ragazza come Kylie potesse arrabbiarsi tanto. «Ginger, senti, ho detto una stronzata, però tu hai frainteso! Io non volevo dire che…».
«Ginger un cazzo!» sbottò lei. Altri paia di occhi si sommarono a quelli che li fissavano già da qualche minuto, godendosi la scena incuriositi e come se si trovassero al cinema. La ragazza avrebbe voluto dire di più, molto di più, ma le lacrime iniziarono a scivolare lungo le sue guance pallide e non riuscì più a proferire alcuna parola. A volte uno sguardo riusciva ad esprimersi meglio di mille frasi e questo Kylie lo sapeva benissimo, tanto da rivolgere una lunga occhiata carica di disprezzo ad Alex prima di correre via verso l’uscita senza smettere di piangere.
Il cantante si alzò di scatto e la seguì chiamandola a gran voce, tutto intenzionato a chiarire quell’enorme malinteso e persino a mettersi in ginocchio se sarebbe valso a qualcosa, ma fu invece fermato da un uomo che lo trattene per la spalla con un po’ troppa violenza. «Ragazzo, prima devi pagare» disse con una profonda voce severa. Alex estrasse veloce qualche banconota dal portafogli e gliele ficcò in mano, ma quando uscì dallo Starbucks non c’era più nessuna traccia della rossa.
Sebbene South President Street pullulasse di gente, il ragazzo si sentì incredibilmente solo. Era confuso, infinitamente triste e arrabbiato con se stesso e anche con Kylie che era saltata a conclusioni troppo affrettate. La testa gli girava vorticosamente, il cuore gli martellava nel petto e cominciò inconsciamente a provare odio per tutto ciò che lo circondava.
Estrasse il cellulare dalla tasca e compose il numero, quasi meccanicamente.
«Matt, ho mandato tutto a puttane».
«Che è successo?» domandò preoccupato il manager.
«Preferisco parlartene di presenza. Dove sei?».
«Non sono a casa, ma sarò di ritorno fra meno di un’ora perciò aspettami lì». Era parecchio impegnato, ma la voce dell’amico non gli lasciava scampo: era abbattuto e questo voleva dire che fosse accaduto qualcosa di particolarmente spiacevole. A dimostrazione di ciò che aveva pensato durante tutto il tragitto verso casa, quando arrivò, Matthew trovò William seduto sui gradini davanti al portone, chino su se stesso e con la testa fra le mani.
Esitò per qualche attimo, poi si avvicinò e si decise a dire qualcosa: «Alex, stai male?».
Il cantante rispose solo con un’occhiata con cui Flyzik capì che stesse bene solo fisicamente. «Vieni, andiamo dentro» disse tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Anche dopo che furono dentro e che Alex ebbe raccontato tutto, il manager mantenne un atteggiamento sostanzialmente tranquillo; corrugò solo la fronte, indice del fatto che stesse rimuginando sulla questione. Alexander sapeva di non dover entrare nel panico perché, in fondo, non era mica della fine del mondo che stavano parlando, ma la reazione calma del suo amico lo irritò.
«Quindi hai messo Kylie incinta, ci hai litigato e adesso lei non ne vuole più sapere di te. Bene. Cosa pensi di fare?».
«Non lo so, Matt, non lo so» replicò il ragazzo scuotendo il capo.
«Va bene, questo è comprensibile, però bisogna che tu lo capisca. Ti importa del bambino?  Perché se così, chiarire con Kylie non sarà difficile... Mentre se al contrario… Beh, lascia perdere».
«E’ questo il punto! – esclamò Gaskarth alzandosi di scatto dal divano – Io voglio chiarire con Kylie, ma non so se sono pronto per essere padre! E se io non accettolui, lei non accetterà me!».
Perché era tutto dannatamente complicato?
Alex si lasciò cadere sul pavimento.
«Scommetto che sono il primo a saperlo, vero?».
«Sì».
Matt rivolse uno sguardo al ragazzo disteso per terra: gli dispiaceva per quello che gli era capitato e anche lui nutriva dei forti dubbi sulla sufficiente prontezza del futuro neopapà. Era anche vero che c’è sempre da imparare e che, se Will avesse deciso in favore della paternità, magari si sarebbe rivelato un genitore migliore di quanto lui stesso avrebbe osato sperare. E poi avrebbe avuto anche tutto l’appoggio della band e della crew.
Il manager si alzò, prese una bottiglia di birra dal frigo e si sedette accanto all’amico, poggiando la schiena contro la parte bassa del divano beige. Bevve un sorso, sospirò ed espose le considerazioni che aveva appena finito di fare cercando di essere abbastanza convincente.
«Pensa a lei, – aggiunse – pensa a come si sente in questo momento. E’ vero che ti ha lasciato libero di scegliere, e questo è da apprezzare, ma dovresti ammirare ancora di più la sua decisione di tenere il bambino qualsiasi sarà la tua reazione».
«Stai cercando di convincermi ad assumermi le mie responsabilità?» chiese Alex conoscendo già la risposta.
«Non è che sto cercando di convincerti, è solo che mi piacerebbe che tu lo facessi. Ovviamente, però, sei tu il padrone di te stesso. Io posso solo invitarti a metterti nei panni della Thompson: tu avresti il coraggio e la forza di mandare avanti una baracca del genere da solo?».
Non ci fu affatto bisogno di riflettere a lungo, la risposta si presentò alla mente di Alex in pochi secondi, manifestandosi in tutta la sua verità: no. Non ci sarebbe riuscito e, in più, non gli andava giù l’idea di lasciare sola Kylie ora che necessitava di lui. Aveva sempre disprezzato i codardi che si tiravano indietro dopo aver combinato qualche guaio e si accorse di non essere tanto diverso da loro, in quel momento. Diventare genitore lo preoccupava parecchio, ma nessuno nasceva maestro e se c’era una cosa di sé che il ragazzo apprezzava quella era sicuramente la sua determinazione nel portare a termine tutto ciò che incominciava.
Avrebbe riconosciuto il bambino e avrebbe affrontato le conseguenze senza esitazioni e giurando a se stesso di non pentirsene mai. Qual era stato il motivo principale che lo aveva spinto a cambiare idea così all’improvviso non lo sapeva neppure lui. Si trattava di amore? Probabilmente, ma il ragazzo reputò di non doversene occupare in quel momento.
Si tirò su con uno scatto, baciò le guance del manager e si avviò veloce verso la porta che dava sul pianerottolo.
«Dove stai andando?» domandò un Matt Flyzik abbastanza sorpreso.
«Da Kylie, devo assolutamente scusarmi! E, Matt? Non dire niente ai ragazzi, lo farò quando sarò tornato» rispose rapido il cantante lasciando che la porta sbattesse per ritornare al suo posto.
Un’ondata di ottimismo lo travolse in pieno e Alex non poté fare a meno di sentirtisi più leggero e profondamente rincuorato.
O, forse, era solo l’effetto della birra.

She's got the ticket to her own show... But nobody wants to go-oh!

Sono tornataaaaaaaa! E non vi sono mancata, ci scommetto u.u
In teoria dovrei mettermi al lavoro e progettare la tanto desiderata scrivania di cui parlava il prof di Arte a giugno, ma non ne ho proprio voglia...
Quindi ho deciso di martoriarvi con questo capitolo (a proposito, ho fatto le corse per scriverlo... L'ho iniziato solo sabato pomeriggio e non avete idea di quanto mi sia costato scriverlo), solo che...
Boh, a me sembra banale. Ma proprio tanto tanto tanto banale ç_ç
Ergo, trovate i pomodori alla vostra destra u.u
Mi scuso per 'sta schifezzuola che sto cercando di portare avanti e me ne torno alle prese con questa santa scrivania -.-'
Sciao!

A.

P.S.: Se qualcuno volesse... Boh, sono @Slallah su Twitter...





 

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Capitolo 6
*** «Allora? Com’è andata?» ***


6. «Allora? Com’è andata?»
 
Hunter non doveva lavorare quel giorno, eppure, quando Kylie rincasò, l’appartamento era completamente vuoto. La ragazza non fece neanche in tempo a chiedersi dove  fosse andato suo fratello che trovò un biglietto sul tavolo con cui il biondo l’avvisava di essersi inaspettatamente dovuto recare a casa di Paul (uno degli amici omosessuali della comitiva), di non chiamarlo a meno che non fosse stato per motivi molto più che seri e, soprattutto, di non preoccuparsi inutilmente della sua assenza perché a qualcuno non avrebbe fatto per niente bene.
Kylie sbuffò, si diresse verso camera sua e si distese stancamente sul letto. Aveva smesso di piangere, ma i suoi nervi erano a pezzi e si sentiva esausta, come se si fosse sforzata molto più di quanto in realtà non avesse fatto; forse era stata colpa della lunga camminata.
Chiuse gli occhi per qualche minuto, non concentrandosi su nient’altro che non fossero i rumori che la circondavano (il rubinetto del bagno che perdeva regolarmente piccole goccioline d’acqua, il motore mezzo scassato del frigorifero, la dirimpettaia che tentava a tutti i costi di emulare Whitney Houston…), fino a quando non fu costretta a riaprirli e ad alzarsi, spinta da un improvviso senso di nausea. Nell’uscire dalla stanza, però, Kylie passò davanti al lungo specchio appeso alla parete e il suo sguardo fu catturato dall’immagine che vi si rifletteva all’interno. I capelli erano tutti scompigliati e le punte rovinate necessitavano di un taglio, il viso era pallido e gli occhi ancora un po’ gonfi e arrossati per il pianto che l’aveva accompagnata nel tragitto fino a casa. La sua attenzione fu attirata dal ventre. Sollevò la maglia di qualche centimetro e si osservò da più angolazioni: centrale, laterale sinistro, laterale destro, tre quarti da entrambi i lati… Nulla. Ancora nessun rigonfiamento che potesse saltare alla vista.
Istintivamente, si portò una mano alla pancia per sfiorarla.
«Quindi, siamo io e te da soli. Uhm. Beh, io non ho proprio idea di come giocare a fare la mamma e tu hai un senso del tempismo che è pari allo zero percento, lasciatelo dire. Tuttavia, credo che riusciremo a cavarcela. Tu che ne dici?» concluse sorridendo. Non era un sorriso forzato, amaro o triste, era solo il sorriso tipico di chi pensava al futuro e, immaginandolo, si vedeva riuscire in qualche impresa; il sorriso entusiasta ma non troppo perché si è a conoscenza di ciò che potrebbe nascondersi dietro l’angolo.
Dopodiché la ragazza dovette scappare verso il bagno.
«Cominciamo proprio bene» disse mentre si asciugava il viso. Sperava davvero che le nausee non sarebbero durate fino alla fine dei nove mesi. All’improvviso le venne in mente di non essere ancora andata da nessun ginecologo… O meglio, di non avere ancora un ginecologo da cui farsi visitare. Non era il caso di aspettare molto, l’indomani avrebbe cominciato la sua indagine chiedendo a qualche collega più grande o alle amiche di Hunter.
Le parole di Wonderwall la riportarono alla realtà. Lesse il nome sul display del cellulare: Alex. Come se al posto di un semplice telefonino Ginger avesse in mano una bomba ad orologeria in procinto di scoppiare, la ragazza scagliò lontano da sé l’apparecchio che fece un morbido atterraggio sul divano.
Due, tre, quattro chiamate e poi un sms con cui Gaskarth le chiedeva di aprirgli e farlo entrare perché sapeva  che lei si trovava a casa, lo aveva capito dal fatto che la persiana della finestra del soggiorno non fosse abbassata, come invece fratello e sorella erano abituati a fare ogni volta prima di uscire.
Kylie borbottò qualche espressione di poco gusto, si avvicinò alla finestra e scostò la tenda quel tanto che bastava per vedere senza essere vista. Alexander era proprio lì sotto, nel piccolo spiazzo davanti al portone, passeggiando avanti e indietro mentre controllava freneticamente il cellulare sperando in una risposta che tardava ad arrivare. La rossa stette a fissarlo così per un paio di minuti, fino a quando il ragazzo non alzò lo sguardo verso la sua direzione. Aveva una faccia da cucciolo bastonato che suscitò la pietà della Thompson; era forse venuto per chiederle scusa? Probabilmente sì, le sue intenzioni non erano difficili da immaginare, dopotutto. Ma meritava il perdono così velocemente? Aveva detto una cosa del tutto sbagliata e sicuramente poco bella, però, nel suo sguardo e nel suo tono di voce, era evidente che non voleva offendere, criticare o accusare nessuno: era solo estremamente sorpreso, come lo era stata Ginger un paio di giorni prima. E poi non aveva detto di non voler riconoscere quella piccola vita come suo figlio. Non aveva neppure acconsentito ad assumersi la sua bella fetta di responsabilità, era vero, eppure la ragazza aveva la sensazione che l’avrebbe fatto, quantomeno per non deluderla e apparire come un mostro.
In cuor suo, Kylie sapeva che lo avrebbe scusato e una parte di lei non vedeva l’ora di farlo, ma si bloccò, convinta di dovergli dare una piccola lezione per far sì che, la volta successiva, il cantante sarebbe stato in grado di gestire alcuni pensieri tendendoli per sé piuttosto che spifferarli ai quattro venti come niente fosse.
Intanto Alex continuava ad andare su e giù, impaziente e meravigliato perché non aveva mai creduto che una persona potesse essere tanto testarda. Per un attimo gli venne anche in mente di suonare il citofono di qualche altro coinquilino e piazzarsi dietro la porta di casa di Kylie, ma sapeva che lei non gli avrebbe aperto neanche per tutto l’oro del mondo e perciò non valeva affatto la pena di fare una cosa simile.
Lo squillare improvviso del suo cellulare non lo fece urlare per poco.
«Kylie!» esclamò euforico.
«Ehm, no… Sono Zack. – disse placido il Merrick (anche se era palese la sua voglia di ridersela) – Per la cronaca, dove ti sei cacciato? Stiamo tutti aspettando te e non ti vediamo da stamattina».
«Aspettare me? Per cosa?».
«Non ricordi? Dovevamo incontrare i…», Zack non riuscì a finire la frase che William ricordò tutto.
«E’ vero, hai ragione! Cazzo, arrivo subito!» disse riattaccando. Lanciò un ultimo sguardo malinconico a quella finestra e raggiunse la sua auto, quando un’idea gli balenò in mente e lo fece fermare con la mano sulla maniglia della portiera. Sorrise compiaciuto di quel pensiero.
E se… Avrebbe sempre potuto provare, no?
Entrò nell’abitacolo, ingranò la marcia e partì spedito, non smettendo di complimentarsi con se stesso fino a quando non raggiunse il resto della band.
Kylie osservò la scena dall’alto, si chiese chi fosse l’interlocutore dall’altra parte del telefono, vide il ragazzo fermarsi per una manciata di secondi prima di salire in auto e accompagnò il veicolo con lo sguardo fino a quando questo non ebbe voltato l’angolo; dopodiché richiuse le tende poco aperte che le avevano consentito di sbirciare e si sdraiò sul divano, iniziando a fare zapping fra i vari canali televisivi che le venivano offerti.
«Ah, sei a casa» disse sorpreso Hunter quando rincasò, circa due ore dopo.
«Mi avevi pure lasciato il biglietto» fece notare lei senza staccare gli occhi dallo schermo del televisore.
«Sì, ma pensavo che non avresti fatto in tempo a leggerlo perché saresti rimasta fuori con Alexander».
Kylie non rispose e al ragazzo non occorse molto tempo per capire che non era andata esattamente come sua sorella aveva sperato.
«Che guardi?» domandò lanciando un’occhiata alla tivù.
«Kate e Leopold».
«Kate e Leopold? Ma l’avrai visto centinaia di volte!»
Ancora nessuna risposta. Non solo non era andata come avevano pensato, ma doveva essere successo qualcosa di peggio. Hunter sospirò piano e andò a buttarsi nel divano accanto alla rossa.
«Allora? Com’è andata?».
«Prima tu» rigirò la Thompson.
«Tom ha lasciato Paul. Se n’è andato di casa durante la notte, dopo che hanno litigato, ma pare che il litigio sia stato tutto un pretesto perché da quasi due mesi Thomas non faceva altro che lamentarsi di Paul e dirgli di sentire nostalgia di New York».
«Mi dispiace. Paul come sta?» chiese Ginger interessata.
«Da schifo. Sta cominciando a credere che Tom abbia un amante, ma non è sicuro…».
«Quindi non gli hai detto niente?».
«No, non me la sentivo di dargli la conferma. Io gliel’avevo detto che quello non era il ragazzo giusto per lui».
Kylie rise, sapendo quello che il fratello intendeva. «E saresti tu il ragazzo perfetto per Paul?».
«Sicuramente non gli farei quello che gli ha fatto Thomas» concluse Hunter con fermezza.
Restarono in silenzio fino alla fine del film, quando il biondo incalzò curioso: «Tu non devi dirmi niente?». La ragazza lo guardò di traverso borbottando qualcosa e allora il fratello aggiunse: «Voglio sapere tutti i particolari».
Kylie raccontò e raccontò, non tralasciando nulla, spiegando come si era sentita e dicendo che, fra tutte le possibili reazioni che aveva considerato, quella non le aveva neanche minimamente sfiorato la mente e ne era rimasta parecchio delusa.
Quando finì, Hunter, che aveva ascoltato restandosene zitto, commentò: «Beh, io non conosco Alex, ma stando a quello che mi hai raccontato tu dev’essere un tipo in gamba. Magari, e giustamente, era sorpreso e non se l’aspettava. Credimi, se non gliene fosse fregato niente te l’avrebbe detto in modo diverso, non ti avrebbe rincorso e non sarebbe venuto sotto a casa sperando di vederti, non pensi? Non puoi condannare una persona perché si confonde davanti a una notizia come questa e si esprime male, dico davvero. Secondo me non voleva offenderti e accusarti di niente, ne sono convinto».
Kylie fu spiazzata dall’evidenza delle parole di suo fratello ma, testarda com’era, evitò di dargli ragione e ribatté: «Non sono sicura che sia così, mi dispiace. Però va bene. Cioè, non va bene, va solo… Bene, non so se mi spiego. Sì insomma, crescere un bambino da sola a nemmeno ventun anni non è il massimo, ma ci adatteremo e…».
«E non sarai mai da sola, perché qui c’è sempre la zia Hunter ad aiutarti» disse il ragazzo abbracciandola affettuosamente.
«Zia, come no!» rise forte Ginger lasciandosi stringere dalle braccia fraterne.

Lights will guide you home...

Massalve!
Devo ammetterlo, non pensavo di aggiornare così presto xD
Il capitolo era pronto già da due giorni ma, a causa del mio grande egoismo, ho deciso di tenerlo con me un'altro po'...
No scherzi a parte, ero indecisa su come terminarlo.
E' corto e lo so, ma sto preparando qualcosa di grosso per il prossimo capitolo (o almeno, ci sto provando xD) e quindi per stavolta dovete accontentarvi di questo... coso, sì. Questo coso.
E poi lo ammetto, vi volevo lasciare con la suspence e l'ansia di sapere che cosa ha in mente quel decerebrato di Alex xD
Bueno, credo di aver scritto tutto quello che dovevo scrivere e...
Beh, un grazie ci sta sempre :'D Mi sento motivata a scrivere questa fic :'D
Un abbraccio,

A.



 

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Capitolo 7
*** «Sei un gran bastardo. Per tua fortuna, però, sai farti perdonare» ***


7. «Sei un gran bastardo. Per tua fortuna, però, sai farti perdonare»
 
La testa di Hunter fece capolino dalla porta socchiusa del bagno, dove Kylie si stava ancora vestendo.
«Non avevi detto di essere pronta, quindici minuti fa?» chiese  canzonatorio con la conseguenza di ricevere una linguaccia da parte della sorella.
«Se hai intenzione di fare così tutto il giorno avvertirmi, perché altrimenti a fare shopping ci vai da solo».
«Siamo arrivati alle minacce?» rise il biondo.
«Forse non te ne accorgi nemmeno, ma diventi altamente isterico quando si tratta di andare a fare compere».
Molto probabilmente Hunter avrebbe risposto, così, giusto per stuzzicare la ragazza, ma il nascente battibecco fu stroncato dal suono del campanello che colse di sorpresa i due Thompson.
«Aspettavi visite?» domandò Kylie.
«Io no, e tu?».
Ginger scosse la testa. «Puoi andare tu? Ti prometto che nel frattempo finisco di prepararmi».
Hunter non se lo fece ripetere due volte e andò dritto alla porta, guardando fuori dallo spioncino prima di aprire. Il biondo osservò la figura fuori sul pianerottolo per qualche istante, indeciso: se avesse aperto, Kylie avrebbe potuto arrabbiarsi (e anche di brutto), ma in cuor suo Hunter era molto più che contento e soddisfatto di quella visita. Girò la chiave nella toppa e aprì.
Qualcuno avrebbe potuto giudicarlo strano, ma il Thompson non provava alcun tipo di risentimento nei confronti del ragazzo che aveva messo incinta sua sorella.
«Ciao» salutò cordiale.
Alex fu talmente spiazzato nel vedere Hunter che dimenticò di ricambiare il saluto, andando dritto al sodo: «Cercavo… Ehm… C’è per caso Kylie?».
Hunter non ebbe nemmeno bisogno di rispondere che Ginger fece il suo ingresso in cucina. «Hunt, chi er… Oh», si bloccò non appena vide Alexander fermo, in piedi davanti alla soglia del suo appartamento, e un imbarazzatissimo silenzio scivolò su di loro.
La rossa lanciò un’occhiata al suo consanguineo e lo vide fare spallucce, come se non avesse potuto fare a meno di aprire la porta a quello lì. Kylie avrebbe tanto voluto urlargli contro, ma sapeva che non era il momento più adatto per discutere con suo fratello e si limitò ad esprimere tutta la sua rabbia con un sospiro, pensando che con lui avrebbe fatto i conti dopo.
«Ti aspetto giù, okay? – proruppe il più grande dei tre rivolto alla sorella – E’ stato un piacere conoscerti, Alexander» concluse con un sorriso prima di uscire dall’appartamento.
L’agitazione s’impossessò di Kylie: erano passati quattro giorni da quella feroce discussione a senso unico e non pensava che avrebbe rivisto Gaskarth, specie dentro casa sua. La testa le ronzava e avrebbe voluto fare un bel discorsetto anche lui, ma decise all’istante di non fare altre scenate e provare ad ascoltarlo. E poi, in fin dei conti, fu costretta ad ammettere a se stessa che era contenta di vederlo.
Per quanto riguardava Will, il ragazzo riuscì ad acquistare quella parte di sicurezza e determinazione che l’aveva portato fin lì non appena Hunter li lasciò soli. Non aveva nulla contro di lui, ma la sua breve presenza lo aveva messo a disagio perché pensava che, se fosse rimasto, il biondo gli avrebbe sicuramente dato addosso in favore della sorella, disprezzandolo e odiandolo così tanto che Alex non avrebbe più avuto la possibilità di chiarire le sue intenzioni e fare ciò che aveva programmato di fare. Tuttavia, non fu lui a interrompere l’assenza di parole tra di loro.
«Devi dirmi qualcosa in particolare o sei venuto soltanto ad ammirare il mobilio di casa mia?» domandò piccata Kylie.
«Volevo sapere come stavi» .
«Bene. Bene, sto benissimo, non si vede?» gesticolò la ragazza in fermento.
«Ginger, senti… Io… Mi dispiace per l’altro giorno e… – sospirò profondamente – Devi venire con me».
«Come scusa?», Kylie strabuzzò gli occhi per la sorpresa.
«Devi venire con me. Adesso» ripeté calmo il cantante.
«No, non credo».
«Non farmi diventare cattivo» disse Alex con un sorriso.
«Alexander, per l’amor del Cielo, che ti passa per quella testa matta?! Vieni a casa mia così, dopo quattro giorni che non ti fai sentire, e pretendi che io venga con te? Non riesci neppure a formulare una scusa decente e pretendi che io venga con te? Ti rendi minimamente conto di quello che mi stai chiedendo di…?».
Stanco di stare a sentire quel monologo (e anche totalmente convinto di ciò che stava per fare), Alex afferrò la Thompson per il polso e la trascinò con sé, fuori dalla porta e giù per le scale, mentre la ragazza continuava a dimenarsi nel tentativo di liberarsi dalla stretta.
«Lasciami! Ti ho detto di lasciarmi, hai sentito?! Subito! – continuava a strillare – Cosa diamine stai facendo?!».
«Sto cercando di rimediare, ecco cosa sto facendo! – urlò il ragazzo per sovrastare le urla di lei e farsi sentire – E ti pregherei di fidarti di me. Non sono un assassino, e neppure un maniaco, lo sai. E smettila di agitarti in questo modo: il bambino potrebbe risentirne» concluse abbassando notevolmente la voce.
Kylie lo guardò stupita e, un attimo dopo che William ebbe finito di parlare, abbassò il capo sentendo i suoi occhi riempirsi di lacrime che premevano per uscire. Alex allentò la presa dal polso e fece scivolare la mano fino ad incontrare quella di lei, che accarezzò piano col pollice prima di lasciarla andare.
Quando furono fuori, Ginger sentì gli occhi di Hunter puntati su di sé, ma non parlò. Sorrise ricacciando indietro la voglia di piangere e lo salutò da lontano, salendo nell’auto del Gaskarth.
Percorsero la strada in silenzio, l’una ripensando al suo comportamento degli ultimi giorni e realizzando di essersi comportata veramente male e di aver frainteso, se non tutto, almeno una buona parte dell’accaduto; l’altro rimpiangendo di essere stato troppo duro qualche minuto prima, lungo le scale, e sperando con tutto il cuore di essere scusato.
L’auto si fermò, ma Kylie non si era ancora resa conto di essere arrivata e solo quando Alex glielo comunicò scese a alzò lo sguardo per ammirare meglio l’immensa struttura dalle pareti a specchio che le si parava davanti.
«Che ci facciamo all’Hyatt Regency?» domandò perplessa.
«Adesso vedrai» fece l’Inglese con un tono lievemente allegro.
«E’ un hotel» continuò Ginger con aria di evidenza.
«Lo so».
Kylie non era mai entrata lì e l’interno del grande hotel la meravigliò così tanto che si fermò nel bel mezzo della hall a contemplarne l’arredamento. Se gli eventi non l’avessero portata a diventare un’aspirante giornalista, le sarebbe tanto piaciuto diventare un’arredatrice d’interni.
«Da questa parte», Gaskarth richiamò la sua attenzione, guardandola con un sorriso a metà strada tra il divertito e il canzonatorio.
«Ehm, sì… Arrivo, arrivo» rispose Ginger imbarazzata di quel suo stupore tanto infantile.
Lo raggiunse e insieme presero le scale mobili che li portarono al piano superiore, poi girarono a destra e percorsero un lungo corridoio dove qualche inserviente alle prese con le pulizie li salutava con la cordialità tipica del loro mestiere. Quando si fermarono, la giornalista poté leggere Sala Incisione sulla placchetta laccata d’oro accanto alla porta. Non ebbe nemmeno il tempo di dar voce ai suoi pensieri che Alex la precedette.
«Confido nel tuo buonsenso e nella tua discrezione, okay? Non mi deludere» le raccomandò un secondo prima di spingere la maniglia.
«Che vuol dire, scusa? Non ho capito cosa…».
«Alex, bello mio!», una terza voce interruppe la rossa che impallidì sul colpo.
Alto, moro e con gli occhi verdi, con un fisico ossuto ma non troppo e dei tatuaggi sulle braccia scoperte.
No che non poteva essere lui.
Will sorrise e afferrò l’amichevole stretta che l’uomo davanti a lui gli offriva. «Adam, lei è Kylie. Kylie, lui è Adam».
Il cuore della ragazza si fermò del tutto e mancò qualche battito quando vide quei due occhi verdi incontrare i suoi e quelle labbra sottili allargarsi in un sorriso.
«Adam Levine, piacere» si presentò tendendo la mano.
«Kylie Thompson» disse lei pensando che Adam non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto grande fosse il suo piacere di incontrarlo.
Dopo che ebbe lasciato la mano della ragazza, il frontman invitò i due ad entrare in studio e si congedò promettendo loro di scambiare quattro chiacchiere non appena lui e il resto della band avessero finito di registrare.
Dati quei mesi di tirocinio, Kylie si era pressappoco abituata a vedere e parlare con star internazionali di un certo calibro, ma durante tutto il tempo di quella seduta non poté fare a meno di sentirsi elettrizzata ed euforica, come una bimbetta sovraeccitata. Quando fu in grado di tornare in sé e di poter dire qualcosa senza bisogno di urlare, fissò lo sguardo sul ragazzo accanto a lei.
«Alex, io non so davvero come…».
Gaskarth la interruppe, intimandole di fare silenzio ponendo l’indice davanti alle labbra dischiuse. «Mi ringrazierai dopo» le sussurrò facendole l’occhiolino.
Ginger sorrise ampiamente, prima a William al suo fianco e poi ad Adam di fronte a lei che continuava a cantare Daylight. Aveva ricevuto tanti torti nel corso della sua vita fino a quel momento, alcuni dei quali veramente pesanti, ma mai nessuno le aveva chiesto scusa ed era riuscito a farsi perdonare così bene come aveva fatto Alexander.
La seduta terminò (troppo velocemente secondo il parere della Thompson) e, mentre quattro dei Maroon5 si defilavano ognuno verso i propri impegni salutando educatamente, Levine fu di parola e, dopo molte obiezioni, riuscì a convincere Kylie ed Alex ad offrire loro qualcosa. Presero posto in uno dei tavoli del bistrot all’interno dello stesso hotel e la rossa si soprese di quanto fosse facile chiacchierare con il bel frontman. Alex li ascoltava e interveniva di rado, lasciando che fossero loro due a gestire la conversazione, felice e soddisfatto oltre ogni modo per aver fatto una figura simile agli occhi della ragazza: sapeva bene di essere stato abbondantemente scusato per la sua grande sprovvedutezza. Tuttavia, era anche a conoscenza del fatto di non aver detto tutto quello che sentiva di dover dire.
Il trio si trattenne a parlare per tre quarti d’ora buoni, quando una chiamata di ricordò ad Adam di aver preso un impegno e di non poter assolutamente mancare.
«Ti farò avere una copia dell’album qualche giorno prima dell’uscita, allora. Cerca di non essere troppo di parte nella recensione, va bene?» rise Levine rivolto a Kylie.
«Sta’ tranquillo, prende il suo lavoro molto seriamente» intervenne Alex prima che la ragazza potesse aprire bocca.
«Com’è giusto che sia. – concluse dando il cinque al collega, per poi stampare due baci sulle guance bordeaux di Kylie – E’ stato veramente piacevole parlare con te» le disse sincero, e fece per andarsene.
«Un momento, Levine! – esclamò lei a gran voce, tanto che si rimisero tutti e tre a ridere – Non crederai davvero di svignartela così, no? Non mi hai concesso neppure l’onore di una foto insieme!».
«La prego di perdonare la mia poca accortezza, signorina» recitò con tono pomposo cingendole i fianchi, mentre Alex estraeva il suo cellulare dalla tasca dei jeans per immortalare quell’attimo. Scattò e porse l’apparecchio ai due, convinto che Kylie avrebbe avuto qualcosa da ridire del suo aspetto (convinzione fondata, dal momento che la ragazza affermava categoricamente di essere venuta male in ogni fotografia). Dovette ricredersi, però: stranamente non fu la Thompson a lamentarsi, ma bensì Adam, che chiese di poterne scattare un’altra… e un’altra… e un’altra ancora, cambiando ogni volta espressione in modo che fosse più buffa della precedente.
Uscirono insieme dall’hotel e, dopo che il leader del gruppo di Los Angeles li ebbe salutati per la seconda volta, fu palese sia ad Alex che a Kylie che era arrivato il momento di chiarire tutto. Attraversarono la strada e andarono a sedersi su una panchina di fronte al grande albergo, lasciando, in un primo momento, che lo strombazzare delle auto e il chiacchiericcio della gente attenuassero quel senso di imbarazzo che si prova quando si sente la necessità di scusarsi.
Kylie tirò un sospiro. «Alex, io devo chiederti scusa. Non so cosa tu abbia deciso, ma non posso contestare in alcun modo, quindi fai ciò che ti senti di fare. L’unica cosa che mi resta è scusarmi per il comportamento che ho assunto l’altro giorno… Purtroppo, a volte sono parecchio…».
«Impulsiva? – continuò lui sorridendo – Sì, me sono accorto».
«Già, si nota. Non ho proprio quello che viene definito un carattere docile, vero?».
«Forse, ma ognuno ha i suoi difetti. E poi è meglio così: non mi piacciono le persone infinitamente calme» ammiccò lui.
Ginger sorrise e si lasciò scivolare sulla panca, tirandosi le maniche della felpa blu fino ai gomiti. «Comunque sia, devo anche ringraziarti. Non mi aspettavo che una normale giornata passata a fare shopping con mio fratello potesse trasformarsi in qualcosa di così… – alzò gli occhi al cielo, cercando la parola giusta – Strepitoso, ecco».
«Felice che la sorpresa ti sia piaciuta».
«Sei un gran bastardo. Per tua fortuna, però, sai farti perdonare» gli concesse lei dandogli una lieve pacca sulla spalla.
«Hai finito? O devi aggiungere ancora qualcosa?» domandò Alex.
«Se continuassi ad aggiungere tutto quello che voglio dire, credimi, staremo qui fino alle quattro di domani mattina. Magari posso provvedere dopo la fine del tuo discorso».
«Meglio di no. Preferirei lasciarmi alle spalle questa penosa parentesi, che ne dici?». La ragazza annuì con convinzione e, solo dopo che lo ebbe esortato a parlare, Gaskarth riprese. «Quasi sicuramente penserai che io sia pazzo, ma in questi ultimi giorni ho provato a farmi venire in mente un discorso abbastanza decente; solo che non ci sono riuscito perché mi mancavano la parole adatte e…».
«Ma no, ad un cantautore mancano le parole?» ridacchiò Kylie sbeffeggiandolo.
«Dai, fammi finire! – disse lui ridendo – Il fatto è che… Mi dispiace tanto, non immagini neppure, e ti chiedo scusa. Mi sono sentito uno schifo, davvero. Se non mi credi, puoi chiedere a Matt. Non volevo offenderti e addossarti la colpa, assolutamente no, ero… E sono… Solo molto sorpreso e… Anche impaurito, lo ammetto. Prima d’ora non avevo mai pensato seriamente alla paternità e un po’ mi spaventa ma… Insomma, se tu ci stai, io ci sto».
Kylie sorrise benevola e compassionevole, strofinandosi gli occhi nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime che sentiva formarsi alle basi degli occhi. Avrebbe tanto voluto parlare, ma il magone alla gola glielo impedì e tutto ciò che poté fare fu prendere la mano di Alex e stringerla forte.
Il ragazzo si ammutolì di colpo e abbozzò un sorriso imbarazzato che si allargò sulle sue guance arrossate. «Stavolta sono io a chiederti di non parlarne più» sussurrò accarezzando col pollice il dorso della mano di lei.
«Mai più, promesso».
«Certo che avrò un bel daffare con te» osservò lui in tono allegro per sdrammatizzare.
«Meglio, no? Lo faccio per te: puoi stare certo che non ti annoierai».
William sospirò piano. «Spero chelei sia meno impulsiva di te».
«Ah, quindi tu dai già per scontato che sia una femmina?» domandò con interesse Ginger.
«Perché, tu no?».
«No, secondo me è maschio. Almeno, quando lo sogno è maschio. E spero che sia in grado di collegare il cervello alla bocca prima di parlare, diversamente da come fai tu». Il cantante, visibilmente indispettito, fu lì lì per replicare, ma non ebbe il tempo perché la ragazza continuò: «A proposito, mercoledì prossimo ci sarà la prima ecografia e… Mi piacerebbe tanto che tu ci fossi».
La mente del Gaskarth fu subito invasa e annebbiata da una moltitudine di sentimenti diversi, ma nonostante questo improvviso caos, sapeva benissimo cosa fare.
«Non me la perderei per tutto l’oro del mondo».

Just do it for the memories, do it for Baltimore! And do it for me! (perchè non mi sono fissata con questa canzone, se è questo che pensate u.u)

Tà dààààn! Piaciuta la sorpresa?
Avanti, ditemi che siete deluse xD
No, sul serio: pensavo di scrivere qualcosa di più eclatante, ma il mio cervello stressato ancora prima dell'inizio della scuola ha partorito solo questo.
E poi Kylie è fan dei Maroon5, se vi ricordate... E anche io sono in un periodo di fissa assurda dopo aver comprato Overexposed xD
Mmm, questo forse è il capitolo più lungo che abbia scritto finora...
Ah, prima di dimenticarmene! Mi duole dirvi che adesso smetterò di aggiornare velocemente (potrei postarvi anche un capitolo al mese, per intenderci ._.)... Non date la colpa a me, date la colpa alla scuola e alla Maturità che incombe minacciosa ç_ç
Ok, la smetto coi piagnistei e torno a studiare per la patente #yeah (Ma perchè vi dico tutte queste cose che non vi interessano? Bah)
Un grazie enorme, come sempre :D

A.


 

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Capitolo 8
*** «No, aspetta. Riavvolgi il nastro e ripeti» ***


Sappi che se aggiorno ora lo faccio solo per te.
Perchè domani è il tuo compleanno.
E quindi, considera questo capitolo come mio personale regalo u.u

8. «No, aspetta. Riavvolgi il nastro e ripeti»
 
Nonostante ciò che aveva promesso a Matthew qualche giorno prima, Alex non era ancora riuscito a dire a nessuno (né della band, né della crew, né tantomeno ai suoi genitori) il fatto che di lì a quasi nove mesi sarebbe diventato padre.
Per quanto riguardava nello specifico i tre componenti della band, non era che il cantante non avesse avuto voglia di parlare della situazione con loro, anzi era tutto il contrario. C’era solo un particolare che lo frenava da quel proposito, ovvero il timore che i colleghi potessero non vedere di buon occhio la nuova nascita e che quindi questa potesse finire con il compromettere il gruppo.
L’avrebbe detto, solo che non sapeva quando.
E poi l’occasione gli si presentò su un piatto d’argento, una mattina.
«Hey Alex, esci anche oggi?» domandò Zack vedendo l’amico dirigersi verso la porta principale.
«Sì, hai… Bisogno che ti porti qualcosa?».
«No, niente. E’ solo che…».
«…Ultimamente non stai quasi mai a casa» completò Rian.
«E a Jack questa cosa non piace» affermò Barakat per se stesso.
«Da quando siete così curiosi?».
«Da quando tu sembri avere la testa fra le nuvole» risposero i tre all’unisono.
Alex li guardò negli occhi, uno per uno, cercando di capire se stessero scherzando o se le loro intenzioni fossero reali. Purtroppo per lui, i suoi coinquilini erano davvero decisi a sapere cosa passava per la sua mente e non esitarono a manifestargli la loro fermezza.
«Insomma, ormai è da un po’ che ci riempi di cazzate» osservò Dawson con calma.
«Non è che vogliamo sapere nei dettagli quello che fai, – prese parola Jack – ma vogliamo sapere almeno cosa fai».
«E anche perché non vuoi parlarne con noi» disse Zack col consenso degli altri due.
Gaskarth alzò gli occhi al cielo e sospirò profondamente. Si sentiva con le spalle al muro e in quel momento realizzò di non poter più andare avanti così e imbottire i suoi migliori amici di bugie. In fin dei conti, i ragazzi potevano sempre prenderla bene, no? In caso contrario, Will pensò di poter chiedere a Matt di intervenire.
«Cos’è, fai uso di droghe?» domandò serio il chitarrista.
«Cosa?! Jack, stai scherzando!» esclamò stupito il cantante, ma la risposta dell’altro moro non arrivò e Alex capì che quella non era una delle sue solite battute, ma un pensiero reale e condiviso. «Come diavolo vi viene in mente una cosa del genere?!» chiese esterrefatto.
Nessun suono proveniva dalle labbra dei tre, serrate fino all’inverosimile, e Alexander decise di lanciarsi. «Kylie è incinta, – disse – e il padre sono io».
Facile come togliersi un cerotto: doloroso al momento dello strappo e poi niente più che il sollievo. O almeno per il momento.
Come c’era da aspettarsi, Rian, Jack e Zack sprofondarono nel silenzio, con lo sbigottimento ben dipinto sui loro volti.
«No, aspetta. Riavvolgi il nastro e ripeti» ordinò il batterista.
«La sera del giorno dell’intervista sono uscito con Kylie, questo lo ricordate, no? Abbiamo bevuto qualche bicchiere di troppo e la mattina dopo ci siamo ritrovati a casa sua, col danno già bello e fatto. Non ricordo assolutamente niente, e neppure lei, e ho anche il dubbio sul fatto di aver usato il preservativo… Comunque sia, lei è incinta da quasi un mese e alla fine abbiamo deciso di tenere il bambino».
«Alex, sei un coglione. – affermò Bassam dopo circa un minuto, e il diretto interessato provò una fitta allo stomaco – Dovevi dircelo prima, e che cazzo! Sto per diventare zio e tu me lo dici così? E via quella faccia da funerale, sapevamo tutti che con la tua condotta ci avresti portato presto una notizia simile, no? Non c’è mica scappato il morto, eh!» concluse ridendo.
William sorrise di tutto cuore e si scagliò contro l’amico con l’intenzione di abbracciarlo forte, solo che il ragazzo non fu in grado di sostenere quel peso e i due rovinarono per terra, ridendosela come dei matti.
«E’ una notizia grandiosa, Al! Perché non hai voluto dircelo prima? Anzi no, non raccontarmelo: non mi va di ascoltare i tuoi psicodrammi» sorrise Rian. Alex accettò la mano che gli tendeva per alzarsi e abbracciò stretto anche lui.
«Beh, che dire? Se va bene a loro, va bene anche a me» disse divertito Merrick.
«Avanti, Zacky!» lo esortarono Dawson e Barakat con lo stesso fare allegro.
«Sono felice per te, Alex, sul serio. Non me l’aspettavo, ma è una bella notizia e ne sono contento. E poi Kylie è una bravissima ragazza» si complimentò il bassista.
«Eh, bravissima sì, ma non bisogna mai farla aspettare troppo» sbuffò Gaskarth.
«Le ragazze non devono aspettare, ma devono sempre farsi aspettare. L’ho imparato a mie spese» confessò Robert riferendosi chiaramente alla sua ragazza.
«Avete un altro appuntamento o roba del genere?» s’informo Jack.
«Non proprio, dobbiamo andare in ospedale per la prima ecografia. – il cantante lanciò uno sguardo all’orologio appeso nella parete di fronte – E sono anche parecchio in ritardo, meglio che vada».
«Facci sapere com’è andata!».
«Manderò un sms a uno di voi!» rispose il ragazzo chiudendosi frettolosamente la porta alle spalle.
 

* * *

 
«Sicura che non vuoi venga anche io?» domandò Hunter finendo di fare colazione.
«Hunt, ti prego, non chiedermelo ancora e non farlo con quella faccia da cucciolo bastonato. La dottoressa è stata chiara: solo un accompagnatore»
«Okay, va bene. Porta Alexander, è giusto. Esigo una tua chiamata subito dopo la visita, però».
Kylie sorrise e schioccò un bacio sulla guancia del fratello. «Avevi dubbi?».
Il ragazzo si alzò e, mentre sciacquava la tazza nel lavandino, chiese: «E poi tornerai a casa o te ne starai tutta la giornata con il tuo amato?».
«Punto primo, non è il mio amato. Punto secondo, non lo so, vedremo. – la Thompson gli si mise accanto e aspettò un po’ prima di riprendere parola – Ho intenzione di dirgli tutto».
Hunter le rivolse un’occhiata seria. «Tutto? Proprio tutto tutto?».
«Se vuoi posso tralasciare quello che riguarda te» propose la rossa altrettanto seriamente.
«No, diglielo pure tu. Sei sicura di poterti fidare?».
Kylie non ebbe ulteriormente bisogno di riflettere su quella domanda, quindi rispose con decisione: «Sì, ne sono sicura. E’ un bravo ragazzo e poi, vista la situazione, credo che lui meriti di sapere».
«E poi dici che non è il tuo amato! Comunque, secondo me scapperà via urlando che non vorrà mai più vederti in tutta la sua vita» scherzò il biondo.
«Probabile» rise la ragazza.
«A proposito, quand’è che ti deciderai ad invitarlo a cena? Finora io e lui abbiamo parlato solo per tre minuti e non è il massimo, visto che è una sottospecie di mio cognato».
Ginger si arrestò per un attimo, con lo sguardo fisso nel vuoto. «A dire il vero non ci ho ancora pensato… Ma glielo chiederò!» aggiunse come per discolparsi.
«Solo una cosa: quando dici che gli racconterai tutto, intendi dire anche quella cosa di cui siamo a conoscenza solo io, te e altre tre persone? Quella cosa che inizia con M e…» la stuzzicò Hunter.
«Non nominare quello scempio!» esclamò lei coprendosi le orecchie con le mani, riuscendo benissimo a sentire, però, la risata di suo fratello che la prendeva in giro.
«Dovevi proprio ricordarmelo, eh?» disse acida.
«Nel bene o nel male, fa parte di te».
«Simpatico…». Il bip del cellulare distrasse la ragazza dal finire di rispondere.
«E’ lui?».
«Già, è qua sotto. – lo informò prendendo la borsa – Ti chiamo dopo, bella bionda!».
Ginger scese di cosa le scale e, quando arrivò alla fine, trovò il portone aperto ed Alex lì a tenerglielo. «La ringrazio di vero cuore, Sir Gaskarth» recitò accennando un inchino.
«Ma si figuri, Lady Thompson, era il minimo che potessi fare per una donna come Voi».
«Beh, allora non oso immaginare cosa farai quando sarà grassa come una balena e non farò altro che urlare isterica» osservò lei.
«Questo è un bel problema… Fammici pensare un po’, devo escogitare qualcosa di veramente efficace. – rispose mentre si allacciava la cintura – Sei ansiosa?».
«Per la visita? Sì. No. Non lo so. Penso di sì, ma forse sono più curiosa che ansiosa. E tu?».
«Io non ho nemmeno dormito la scorsa notte» ammise il cantante.
Kylie spostò lo sguardo dalla strada al ragazzo, stupita e con un sorriso felice tra le labbra. «Sul serio non hai dormito per questo?» chiese con un filo di voce.
«Pare proprio di sì. Riesce a tenermi sveglio ancora prima della sua nascita».
A quelle parole, la rossa sentì il forte desiderio di saltargli addosso e abbracciarlo, cosa che ovviamente non fece visto che lui stava guidando. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma non sapendo come ordinare il caos di pensieri e impedita in parte anche dall’imbarazzo, rimase in silenzio e alzò il volume della radio; Alex cominciò subito a cantare e lei lo seguì senza farsi troppi problemi sulle steccate che era ben in grado di prendere. Commentarono le scelte musicali dello speaker e canticchiarono lungo tutta la strada fino al grande edificio del Maryland General Hospital, quando l’auto si fermò e i due scesero diretti all’accettazione.  Lessero svogliatamente una rivista poggiata su un tavolino nero, giusto per ingannare il tempo, ma non dovettero aspettare molto prima che fosse loro detto che la dottoressa Edwards era pronta a riceverli. Alex e Kylie si alzarono, guardandosi interdetti: nessuno dei due sapeva dove andare e come muoversi all’interno di quell’enorme struttura.
«E’ la prima volta che avete un appuntamento con la Dottoressa Edwards?» domandò cordialmente una donna seduta poco distante. Kylie lo guardò bene, fermandosi soprattutto a fissare il pancione e chiedendosi se anche lei sarebbe diventata così.
«A dire il vero, sì» rispose Gaskarth.
«Lo avevo immaginato» fece lei con un sorriso prima di dar loro le indicazioni.
Il cantante e la giornalista presero alla lettera quelle parole e, quando si ritrovarono davanti alla porta dello studio della ginecologa, William non poté fare a meno a commentare: «Chissà in quale strano reparto o angolo sconosciuto e tenebroso ci saremmo ritrovati se quella donna non avesse aperto bocca».
«Probabilmente ci saremmo persi e non saremmo stati in grado di uscire da qui prima della fine dei nove mesi» scherzò la Thompson un attimo prima di bussare alla porta.
La Dottoressa Eleanor Edwards era una donna sulla cinquantina, con i capelli biondi a caschetto, il viso segnato da qualche leggera ruga, gli occhi azzurri e vispi e un paio di occhiali poggiati sul naso a punta.
«I signori Thompson?» domandò con una strana ma gentile vocetta acuta.
«Sì» rispose prontamente Alex per non destare sospetti e domande che sarebbe stato meglio evitare.
«Sì» confermò Kylie cercando di non guardare stupita in direzione del ragazzo.
«Bene bene bene. – fece la donna in tono allegro – Prego, entrate pure. Che bella coppia giovane siete!» esclamò sedendosi su di una poltrona e invitando la coppia a fare altrettanto.
«Tu sei…?» chiese alla rossa.
«Kylie».
«Allora Kylie, quando hai avuto per l’ultima volta il ciclo?».
«L’undici Febbraio».
«Undici, Febbraio. – ripeté la Dottoressa mentre annotava su una cartella – Quando hai fatto il test di gravidanza e da quando ti diceva di essere incinta».
«E’ stato il ventidue del mese scorso e diceva di tre settimane».
«Ah, quindi siamo già entrate nel primo mese. – osservò la bionda con tono dolce – Hai disturbi vari, vomito, nausea, capogiri…?».
«Tutte e tre le cose, ad essere sincera» rispose Ginger ripensando a quanto fosse diventata familiare con i bagni negli ultimi giorni.
«E’ normale, ma se sei fortunata ti passerà dopo il terzo mese. Vieni, sdraiati qua sopra il materasso. E tu, Signor Papà, non c’è affatto motivo di essere così musoni, va bene?».
Alex spalancò gli occhi e farfugliò qualcosa mentre Kylie gli rivolgeva un sorriso rassicurante.
«Oh, ecco qua il pargoletto!» esclamò dopo qualche minuto la Dottoressa guardando lo schermo.
I due ragazzi si lanciarono una veloce occhiata emozionata e poi fissarono il monitor, ammutoliti, con i cuori che martellavano nei petti. A Kylie divennero ben presto gli occhi lucidi guardando quel piccolo esserino muoversi senza sosta dentro di lei, pensando che da quattro settimane ci fosse della vita all’interno del suo stesso ventre e desiderando ardentemente di sentire presto i suoi piedini scalciare contro la sua pancia. Era felice, emozionata e terribilmente ansiosa di averlo tra le braccia.
Alla gioia di Alexander, invece, bisognava aggiungere anche un immenso senso di stupore per aver creato una cosa simile e un minimo di confusione causata dai troppi e forti sentimenti che stava provando in quel preciso istante. Spostò lo sguardo dal monitor a Kylie, che continuava a fissare lo schermo incantata, le si avvicinò e le afferrò con delicatezza una mano; al che la rossa si voltò e i si scambiarono due sorrisi commossi.
«Basta così, puoi scendere. – annunciò la Edwards – Lo scheletro, il cuore, il cervello e tutti altri organi che si stanno formando finora sono in condizioni ottimali e funzionano bene, ma devo sempre farvi qualche altra domanda…».
Durante il resto della visita la Dottoressa s’informò se la paziente, il partner o qualcuno dei loro congiunti fosse affetto da malattie di particolare importanza o anche da patologie ereditarie, chiarì i dubbi di Kylie e le spiegò come dover gestire il periodo del primo trimestre (poiché «L’aborto spontaneo è sempre dietro l’angolo», aveva detto) e infine fissò insieme alla ragazza la data del controllo del mese successivo, ricordandole di portare con sé i risultati delle analisi.
«Per adesso direi che è tutto, bisogna solo capire se sarà un Alexander o una Kylie. – sorrise incoraggiante stringendo la mano ai due ragazzi – Ricordatevi di potermi chiamare in qualsiasi momento e per qualsiasi cosa, va bene?».
Alex e Kylie la ringraziarono ancora e sparirono oltre la porta, lasciando alla donna la sensazione di aver, almeno in parte, intuito come stessero davvero le cose.

And I have finally realised what you need...

Dite che ho impiegato un po' troppo tempo per aggiornare?
Ahahahaha, non avete ancora visto niente! xD
Sul serio, non chiedetemi di aggiornare fino a età Ottobre, vi prego ç_ç
Che poi, detto fra noi, ho avuto problemi psico-fisici nell'ultimo periodo e non ho avuta la forza di muovere l'indice destro per cliccare sul file...
Ma adesso il capitolo c'è.
Anzi, che ve ne pare? No, perchè a me sembra patetico e un po' insensato a dirla tutta O.o
Mmm, non so che altro dirvi se non che questo capitolo è dedicato alla mia cara Tori19 che domani compie gli anni #fuckyeah :D
Ebboh, adesso penso sia davvero tutto.
Grazie, come sempre <3

A.

P.S.: Ma perchè l'editor mi si blocca? D':

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Capitolo 9
*** «La mia vita è una tragedia, hai presente?» ***


9. «La mia vita è una tragedia, hai presente?»
 
Il sole iniziava a tramontare lento dietro la schiera di case all’orizzonte, tingendo il cielo di arancione e di rosa i contorni delle nuvole: Kylie si meravigliò pensando di trovarsi immersa in un’atmosfera da film.
«Ci voleva proprio un pomeriggio del genere, non credi? Niente caos, niente auto che strombazzano, niente fretta, niente di niente», inspirò la ragazza a pieni polmoni.
Alex, con la schiena distesa contro il cofano anteriore della sua auto, non sarebbe potuto essere più d’accordo e annuì fra il soddisfatto e il completamente rilassato. Nonostante tutto, però, non riusciva a reprimere un dubbio che lo aveva colto nell’esatto momento in cui avevano lasciato l’ospedale e, non potendo più restare indifferente, si affrettò a chiedere a Ginger: «Secondo te la Dottoressa ha sospettato qualcosa?».
«Qualcosa… Cosa?».
«Su noi due, dico».
La rossa rifletté per un attimo. «Pensi? Secondo me siamo stati bravi e abbiamo recitato bene».
«Non so… Il suo sguardo… Era come se avesse capito».
Kylie si sollevò sui gomiti e fissò gli occhi sul viso perplesso del Gaskarth. «Secondo me ti fai troppi problemi» gli disse schiettamente.
«Io mi faccio troppi problemi e tu salti troppo velocemente a conclusioni affrettate. Siamo una coppia perfetta, no?» la rimbeccò Will con un sorriso e facendole l’occhiolino.
La Thompson ricambiò il sorriso, suo malgrado.
Coppia. Era la seconda volta quel giorno che sentiva quel sostantivo affibbiato a lei ed Alex. Ma loro non erano una coppia. Erano solo Kylie ed Alex, due ragazzi se non estranei nemmeno troppo intimi che non condividevano niente al di fuori della conseguenza di una notte di cui non ricordavano nulla. La parola perfetta per definirli insieme (qualora non si fosse riusciti ad evitarlo) era duo; peccato solamente che fosse davvero poca la gente che nella vita quotidiana usava quelle tre lettere per riferirsi a due persone che sembravano abbastanza legate, anche più di quanto avessero voluto dimostrare. In più, come se non bastasse,  coppia la faceva riflettere sul rapporto tra lei e William. Prima di sapere della gravidanza, infatti, Kylie era davvero convinta che tra lei e l’inglese sarebbe potuto succedere qualcosa, ma dopo non osava più nemmeno sperarlo. Eppure Alex continuava sempre ad essere  dolce, gentile e premuroso nei suoi confronti e lei non capiva se lo facesse perché, dopotutto, era la madre del suo futuro bambino o perché tenesse a lei in modo particolare. Certe volte sembrava pure che lui ci provasse, ma forse era nel suo DNA scherzare in quel modo.
Accadeva che Kylie si fermasse a guardarlo e ripensasse a quanto in passato aveva desiderato conoscerlo e a quanto ora fosse paradossale trovarsi immischiata in una storia del genere insieme a lui. La repressa parte romantica che si portava dentro continuava a ripeterle che quella non poteva certo essere pura casualità; la dominante razionalità, al contrario, continuava a far appassire le sue speranze e quei rari sogni d’amore, convincendola del fatto che non ci sarebbe stato niente più del semplice affetto.
Comunque stavano le cose, Kylie decretò che fosse arrivato il momento adatto per aprire il suo grande armadio e farne uscire tutti gli scheletri che vi dimoravano da troppi anni.
«Ti senti abbastanza rilassato?» gli chiese.
«Non immagini quanto» rispose Alex stirando indietro le braccia.
«Bene. Devo raccontarti un po’ di cose ed è importante che tu abbia la mente assolutamente libera».
Alex aprì gli occhi e la fissò. «Cos’è, stai ricordando i particolari di quella notte e vuoi congratularti con me?».
«Ma dai!» rise a gran voce la rossa.
«Allora… Hai rubato un pacco di caramelle quando avevi cinque anni e le hai regalate a tuo fratello, vero? Nobile gesto, il tuo…».
«No».
«Mmm… Allora sei una serial killer. Anzi no, una vampira. E visto che io sono una zombie…».
Il sorriso sulle labbra di Kylie si affievolì un poco. «Alex, è una cosa seria».
«Cosa c’è di più serio di essere una vampira, scusa?».
«La mia vita è una tragedia, hai presente?» sospirò dopo qualche attimo di silenzio.
«Sì, dicono tutti così».
«No, è vero. Tipo quelle famiglie dei film drammatici, per capirci».
Will sbarrò gli occhi, mettendosi a sedere con la schiena poggiata sul parabrezza. «Ti stai riferendo a lui?» domandò con voce flebile.
«Cosa? No, lui non c’entra niente».
Il sole era ormai sparito dietro la città, inghiottito dall’oceano, e le stelle cominciavano ad accendersi una dopo l’altra nel cielo che andava scurendosi dal pervinca al blu profondo.
«Senti, io non so quali siano i tuoi problemi, ma posso dirti che tutto si sistemerà perché ogni cosa, prima o poi, torna al suo posto e bisogna solo aspettare» sussurrò il ragazzo con tono serio.
Ginger sorrise mesta. «Dimentichi un particolare: non sempre è così».
«Spiegati, ti prego».
«Oh, possiamo cominciare subito. Iniziamo da qualcosa di più… Leggero, per così dire. Sei pronto?».
«Vai».
«E’ imbarazzante… Tanto imbarazzante. E tu sei la sesta persona al mondo che sa questa cosa. Confido nella tua capacità di saper tenere la bocca chiusa, Alexander, e non deludermi. Sai cosa potrebbe accaderti in caso contrario, vero?».
Alex rise a fior di labbra, curioso come non mai di sapere quale fosse il primo di quella serie di inconfessabili segreti.
«Kylie… Non è completo. Ho un secondo nome che generalmente evito di dire. Prometti di non ridere e prendermi in giro?».
«Croce sul cuore».
«Sicuro?».
«Sicurissimo».
«Guarda che mi sto fidando e…».
«Kylie che non ti chiami solo Kylie, ho capito!».
«Va bene. Il mio nome completo è Kylie Mayflower Thompson» sussurrò lei con lo sguardo fisso sulle sue Converse.
Gaskarth fu costretto a mordersi la lingua per non scoppiare a ridere, ma non per quel buffo nome, tanto più per come Mayflower stava esagerando la faccenda. Quando fu certo di poter aprire bocca senza manifestare alcun segno di ilarità, parlò. «Tutto qui? Cioè, questo è il tuo secondo imbarazzantissimo nome?».
«Oh dai, non usare quel tono indifferente, okay? E’ ridicolissimo!» esclamò Kylie.
«D’accordo, forse non è il massimo, ma non è tanto brutto… Ho pensato di peggio, credimi».
«E sentiamo, cosa avresti pensato di peggiore?» chiese lei in torno ironico.
«Che so, mi era venuto in mente qualche nome strano della mitologia… O magari di qualche libro… Avresti anche potuto chiamarti Gandalf, pensaci bene».
«Ma Gandalf è un nome maschile!» ribatté Ginger ridendo.
«Appunto, ma nessuna legge di questo Stato evitava ai tuoi genitori di poterti dare questo nome. E non mi guardare in quel modo, non sono ancora pazzo» aggiunse notando lo sguardo accigliato della ragazza.
«Va bene, faccio finta di non aver sentito le tue ultime battute e vado avanti. Da adesso in poi le cose si fanno veramente più serie».
«Quanto più serie?» domandò Alex interessato.
«Hunter dice che scapperai via urlando che non vorrai mai più rivedermi, giudica tu».
«Mi hai detto di non essere una serial killer, quindi posso stare tranquillo».
Le labbra di Kylie s’incurvarono in un leggero sorriso, poi si aprirono in un sospiro e dopo iniziarono a muoversi per produrre suoni.
«Non bisogna essere Einstein per accorgersi del fatto che vivo solo con mio fratello. E non bisogna essere nemmeno tanto intelligenti per vedere che nelle foto appese sul frigorifero gli unici soggetti siamo sempre io e lui. Scommetto che l’hai notato, vero? Eppure non mi hai mai chiesto niente…».
«Sì, la cosa mi ha fatto un po’ riflettere, ma se non volevi parlarmene, perché tormentarti?».
«Non hai idea di quanto l’abbia apprezzato, Alex, sul serio. Comunque sia, immagino che la storia del matrimonio dei miei genitori non ti interessi quindi ti risparmio tutto ciò che può essere evitato. Per quanto mio padre cerchi di nasconderlo, sia io che Hunter sappiamo che il loro è stato un matrimonio avventato. Erano giovani e follemente innamorati l’uno dell’altra e in meno di un anno dalla loro conoscenza erano già sposati, e in meno di due cullavano Hunter per farlo addormentare. Hanno bruciato le tappe molto presto, insomma. Poi sono nata io e le cose hanno cominciato ad andare per il verso sbagliato. Cioè, si volevano ancora bene, ma una buona parte di quella passione si era spenta, capisci? Era rimasta solo l’abitudine. E poi da lì è stato tutto un susseguirsi di fatti, uno dietro l’altro, senza sosta: papà ha perso il lavoro e si è dato all’alcolismo, mamma ha iniziato a disprezzarlo, giorno per giorno, urlandogli di trovarsi qualcosa da fare perché lei non riusciva a coprire con il suo stipendio tutte le spese necessarie. Così l’odio subentrò all’amore. Io non ricordo nemmeno quel periodo, ma Hunter dice che riuscivano addirittura a non parlarsi per due o tre giorni consecutivi e, quando lo facevano, litigavano solamente. Mi dispiace che mio fratello abbia dovuto sopportare tutto questo… Era solo un bambino e non lo meritava». Kylie continuava a raccontare gli avvenimenti come se stesse parlando della vita di qualcun altro, di qualcuno che non conosceva però, e il suo tono completamente freddo e distaccato non sfuggì ad Alexander, che la guardava come se anche lui avesse sofferto con lei per quello che era stato.
«Nemmeno tu lo meritavi, anche tu eri solo una bambina» affermò con decisione, seppure la sua voce risuonasse flebile.
«Sì, ma ero troppo piccola per ricordare. Il culmine arrivò una sera, non so neppure quando, ma avevo più o meno sei anni. Forse era estate, perché ora che ci penso Hunter non c’era e le uniche volte in cui dormiva fuori casa era quando andava in campeggio con gli scout. Dormivo e non so cosa sia successo di preciso, ma la mattina seguente mamma non c’era e papà dormiva sulla poltrona con accanto qualche bottiglia vuota. Io e Hunter abbiamo ragione di credere che sia scappata via senza nemmeno svegliarlo. Di mamma non si è più saputo niente e papà non se n’è mai preoccupato più di tanto, anzi. Figurati che il resto della mia vita prima di venire ad abitare qui l’ho vissuto spostandomi da casa di mia nonna a quella di qualche zia, in base alle “esigenze” di mio padre» fece una piccola pausa per riprendere il controllo della voce che tentava ad incrinarsi, mentre gli occhi restano immobili a fissare la luna che nasceva.
Alex non sapeva che cosa pensare, che cosa dire e che cosa fare per poterla fare stare meglio. L’avrebbe stretta, l’avrebbe coccolata, l’avrebbe persino baciata eliminando in un colpo solo tutte le insicurezze che si portava dietro già da qualche tempo, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farla sentire amata e per cercare, in qualche modo, di sopperire a quell’amore che le era mancato da bambina. Ma, incapace di fare ciò e convinto del fatto che quella non fosse l’occasione giusta per dimostrare il sentimento che gli si stava formando dentro, l’unica cosa che riuscì a dire fu esprimerle il suo dispiacere.
«Non serve che ti dispiaccia, davvero. – gli disse sorridendo nel tentativo di risollevargli il morale – Non ricordo quasi niente di allora e ti posso assicurare che vivere con mia nonna e con le zie non è stato male come può sembrare. Ammetto che ogni tanto sentivo l’assenza dei miei genitori, specie di mamma, ma non ho mai sofferto particolarmente perché non ho avuto con lei un rapporto lungo e felice, ecco. Per quanto riguarda papà, beh, dopo due anni ha smesso di bere, si è trovato un lavoro e quando si è imbattuto in una donna disposta a sopportarlo, l’ha sposata convinto che io ed Hunter saremmo andati a vivere insieme a lui. Secondo me non lo voleva davvero, era come se sentisse più di doverlo fare… E noi l’abbiamo tolto dall’impiccio rifiutando. Adesso lui e la sua nuova moglie hanno tre figli e conducono un’allegra e felice vita familiare e, anche se lui non me l’ha mai detto, so che è così. Ci sentiamo poco e ci vediamo ancora di meno, ed è meglio per tutti, credimi. La mia vita di ora mi piace e, anche se non è il massimo, ne sono soddisfatta e non la cambierei per nulla al mondo. A essere sincera, non cambierei neppure il mio passato, perché in fondo mi piace essere così come sono oggi».
William continuò ad osservare la ragazza con tanto d’occhi, non credendo possibile che una persona che avesse sofferto come aveva fatto Kylie potesse essere tanto solare e gentile.
«Dio, sembri traumatizzato. Forse non avrei dovuto raccontarti tutte queste cose…» mormorò la Thompson visibilmente pentita.
«No, no! Invece hai fatto bene… E’ meglio condividere certe cose con qualcuno piuttosto che tenersele dentro…».
«Però ti prego, non pensare che io sia una povera sfortunata o una specie di orfana, va bene?».
«Okay» affermò lui cingendole la vita con un braccio.
Kylie sollevò di poco la schiena dal parabrezza e la appoggiò in parte contro il petto del cantante, abbandonando la testa nell’incavo del suo collo.
Rimasero in questa posizione e circondati dal silenzio per un po’, entrambi pensando la stessa cosa.
«Quindi… Hai finito o c’è dell’altro?».
«A dire il vero, c’è dell’altro» ridacchiò la rossa.
«Ed è una cosa drammatica come la precedente?» s’informò il ragazzo.
«Beh… Diciamo che dipende dai punti di vista».
«Niente giri di parole. Avanti, spara».
«Hunter è omosessuale».
Alex si voltò di scatto. «Davvero?» domandò stupito.
«Già. E’ stata una bella batosta per tutti quando ce l’ha detto; ma io penso di averlo sempre saputo».
Subito il pensiero di quel bel ragazzo biondo che lavorava come fotomodello invase la mente del Gaskarth. «Non lo avrei mai detto».
«Lo so. La gente resta spesso di stucco per questo. E non ti dico tutti i cuori che ha spezzato!».
«Un po’ come me» replicò Alexander con aria da saccente.
«Certo Gas, come no. A proposito, mio fratello vorrebbe che ti invitassi a cena».
«Mmm… Ora che mi ci fai pensare, anche i ragazzi vorrebbero rivederti. Potremmo organizzare qualcosa tutti insieme, no?».
«Si può fare, non credo che ne uscirà qualcosa di troppo disastroso».
«Bene, resta fatto. Comunque, hai finito adesso? Perché ho capito che stasera sei in vena di confessioni…».
Kylie alzò un sopracciglio. «E…?».
«E penso che adesso sia arrivato il momento delle domande».
«Sei uno sporco approfittatore» commentò dandogli una leggera gomitata allo stomaco.
«Lo prendo per un sì. Allora, l’ultima relazione che hai avuto: quando, con chi e quanto è durata».
«Cosa?!» esclamò Ginger staccandosi per un attimo da lui.
«Hai sentito bene. Coraggio».
La ragazza lo guardò con un finto broncio, pensando di riuscire a fargli cambiare idea e ad evitare quella risposta, ma vedendo che il ragazzo non si decideva a rimangiarsi ciò che aveva detto, lo accontentò. «Tre anni fa, con un giocatore di football della mia scuola, sette mesi. Contento?».
«Oh-oh, – fece il moro sbeffeggiandola – un giocatore di football! Ti trattavi bene, eh? Com’è finita?».
«Non penso che mi sia mai piaciuto più di tanto; mi sembrava più intelligente di quanto in realtà non fosse. Il classico stereotipo di giocatore di football tutto fumo e niente arrosto, per dirla tutta. L’ho scoperto a provarci pesantemente con la mia migliore amica e l’ho mollato senza pensarci troppo».
«Stronzo».
«Già».
«Avrebbe dovuto essere più attento» scherzò lui ridendo forte.
«Ma tu sei sempre così? Quando ti vedevo in televisione o su YouTube pensavo fossi stupido, ma non fino a questo punto!» si lasciò sfuggire la rossa, divertita.
«Aspetta, aspetta. Cosa vuol dire ‘quando ti vedevo in televisione o su YouTube’?» domandò prontamente Will con tono allo stesso tempo inquisitorio e allegro.
Kylie lo guardò, imbarazzata e confusa, dicendo a bassa voce: «Ho la sensazione di essermi fregata da sola…».
«Chissà perchè anch’io credo che tu ti sia fregata da sola».
La ragazza sbuffò. «E va bene, okay. Non è che sono una fan… O forse sì, non lo so. Vi ascolto spesso e sono un po’ informata, ma non deliro e do di matto, ecco. Se non controllo i vostri profili Twitter per più di un mese, non mi crolla il mondo addosso. Per questo mi definirei più come un’ascoltatrice interessata».
Alex rise di gusto ascoltando quelle parole. «Certo Ginger, come vuoi. Ma guarda un po’ quante cose sto scoprendo sul tuo conto… E tutte in una sola sera! Scommetto che sei rimasta abbagliata dalla mia bellezza, dalla mia simpatia e dal mio charme, vero?».
La ragazza arrossì e ringraziò il buio perché lo teneva nascosto agli occhi del cantante. Senza nemmeno volerlo, Will era riuscito a indovinare tre ragioni su quattro al primo tentativo. «Ora vedi di non montarti la testa, però. Piuttosto, io ho fame e lui deve mangiare, quindi che ne diresti di andare alla ricerca disperata di cibo?».
«Agli ordini, Capitano Mayflower! – esclamò scivolando giù dal cofano e aiutando Kylie a fare lo stesso – Ho scoperto che diventi un tantino irritabile quando sei affamata…».
«E divento ancora più scontrosa quando qualcuno mi chiama col mio secondo nome» precisò lei mentre si allacciava la cintura.

I really wanna love somebody...

Sorprese? Ahahahahahaha, anche io lo sono xD
Vi dirò, la parte iniziale del capitolo era già pronta quando ho postato il precedente, ma non credevo che sarei riuscita a finirlo in fretta...
Non vi dico, il quinto anno si sta rivelando tostissimo e non faccio altro che studiare... E, per di più, la notte mi faccio prendere da attacchi di insonnia...
Ecco com'è nato questo capitolo. Di notte.
Forse è per questo che non ha molto senso :S Però almeno ha chiarito la situazione di Kylie, no?
A PROPOSITO, ho trovato Kylie!! :'D Ero alla sua ricerca da ere, ma ci sono riuscita :'D
Però lascio a voi la scelta di vederla o no u.u In ogni caso, cliccate qui :)
Ebbè, credo sia tutto :)
Alla prossima! :D

A.



 

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Capitolo 10
*** «Anche se sono gay, non vuol dire che non abbia il coraggio di pestarti» ***


10. «Anche se sono gay, non vuol dire che non abbia il coraggio di pestarti»
 
Kylie batteva le dita sulla tastiera velocemente, ansiosa di finire l’articolo e di farlo avere al caporedattore per conoscere il tanto atteso e sospirato responso: il periodo di apprendistato era sul finire, ed era il momento di scoprire cosa ne avrebbe fatto del suo futuro in fatto di lavoro.
Si fermò, lesse la recensione dall’inizio, cambiò qualche parola e la rilesse, pensando che valutare l’operato di una band emergente fosse davvero dura perché lei, dall’alto della sua posizione, era in grado sia di lanciare quei cinque ragazzetti in cima alle classifiche, sia di stroncare la loro nascente carriera.
Negli ultimi cinque giorni non aveva fatto altro di diverso che ascoltare l’album di debutto dei My2Pounds, tentando di coglierne ogni influenza, magari anche qualche somiglianza con altre canzoni più o meno note, e cercando soprattutto le parole giuste per scrivere su di loro. Non che quel gruppo non le piacesse; semplicemente non rispecchiava il suo genere musicale preferito per via di tutti quei suoni metallici che facevano a pugni con la musica elettronica e, conoscendosi, sapeva che non avrebbe mai acquistato quel CD. Tuttavia, era molto più che palese che i componenti avessero ancora parecchio da imparare e lei non se la sentiva proprio di cestinarli al primo tentativo.
Ecco su cosa si basava tutto ciò che aveva scritto.
«Allora, fammi dare un’occhiata» disse JJ accostandosi al monitor.
«E’ una schifezza, sul serio. Parlo dell’articolo, non del gruppo… Anche se quello non scherza affatto» aggiunse la rossa in un bisbiglio.
«Ah, gode nel vederti soffrire. – commentò la bionda accennando con un leggero movimento della testa all’ufficio del capo – Anche a me ha chiesto di fare una cosa simile con un cantante che, beh, se te lo dicessi…».
«E alla fine com’è andata?».
«”Complimenti, signorina Johnson, è una di noi” – recitò la ragazza con fare pomposo – L’articolo è importante, ma non fondamentale. E’ più una questione di prassi, puoi anche fare pena ma alla fine ti prenderanno lo stesso… Se riconoscono che il tuo tirocinio è stato serio e impeccabile».
Kylie guardò la collega con scetticismo. Jane Johnson, detta JJ, era l’unica nuova recluta in due anni e mezzo di apprendistati vari. Moltissimi erano stati respinti e la Thompson temeva proprio di fare la loro stessa fine. La loro stessa fine in compagnia di un neonato, però.
«Quand’è che devi consegnare?».
«Non ho una scadenza precisa… A sentire Brian, pare che dovrò ancora accompagnarlo in qualche altra intervista… Non so, mi sembrano confusi. E la fine si avvicina…».
«It ain’t over till it’s over» canticchiò l’altra.
Il telefono sulla scrivania squillò, uno dei tanti telefoni sulla scrivania che squillavano in una redazione affollata.
«Sono sicura che presto ci ritroveremo a lavorare fianco a fianco. Andrà tutto bene, tranquilla. – disse un attimo prima di rispondere – Rolling Stone Magazine, qui parla… Oh, va bene. E’ per te».
La rossa afferrò la cornetta. «Pronto?».
«Oggi pranziamo insieme, non si discute», Hunter.
«D’accordo, solo che…».
«Solo che?».
«Solo che avevo già preso un altro impegno per pranzo, e a meno che non ti dispiaccia essere in tre…».
«Oh, hai già partorito?» buttò lì il fratello per scherzare.
La ragazza si ammutolì per qualche attimo. «Hunt, non ho capito» confessò alla fine, perplessa.
«Lascia perdere, fai conto che non abbia detto niente. Però voglio che tu ed Alexander mi portiate a mangiare pollo fritto, visto che… Te lo dirò dopo».
«Hunter, va tutto bene? Mi sembri confuso», ed effettivamente il ragazzo lo era.
«No no, è tutto okay».
«Cos’è che devi dirmi?» incalzò lei.
«Niente, per ora».
«Come fai a sapere che ci sarà anche Alex?».
«Non era difficile da indovinare; hai detto che siamo in tre. Che poi non è vero, saremo in quattro».
Confusione e pignolismo:  Kylie reputò subito che fosse accaduto qualcosa, e anche qualcosa di piuttosto rilevante. In più, il ragazzo aveva perso una piccola parte del suo naturale contegno da omosessuale serio e aveva iniziato a parlare con una vocetta un po’ più stridula.
«Devo tornare dentro. Ci vediamo dopo al KFC di Greenmount Avenue. Ciao!», e riattaccò lasciando la sorella sospettosa e senza darle la possibilità di ricambiare il saluto.
 
Il Montebello Park non era mai un luogo molto affollato per il semplice fatto di trovarsi dall’altra parte della strada rispetto al Clifton Park, di gran lunga più esteso. Era quasi l’una e Kylie ed Alex, lei seduta su una panchina e lui sdraiato con il capo sulle gambe della ragazza, ingannavano il tempo chiacchierando del più e del meno, osservando le nuvole affollarsi su nel cielo e rivolgendo troppe occhiate ai loro orologi.
«A che ore dovrebbe essere qui tuo fratello?».
«Credimi, non lo so. Mi ha mandato roba come una decina di sms in un’ora, cambiando sempre luogo dell’appuntamento e adesso è pure in ritardo».
«Scommetto che non è da lui».
«Infatti. Mi sembrava strano, poco fa al telefono… Era agitato, come se avesse qualcosa di grosso da dirmi».
Le corde vocali del Gaskarth furono più lente del suo stomaco, che reclamò rumorosamente cibo e fece scoppiare i due a ridere, ponendo fine alla conversazione.
«Oh, eccolo là!» esclamò William tirandosi a sedere per fargli posto.
Hunter andò loro incontro reggendo due enormi buste del Kentucky Fried Chicken, rese più scure dal contatto con l’olio. «Scusate il ritardo, c’era una fila a dir poco assurda».
Alex fischiò. «C’è da mangiare per un esercito, lì!» commentò ridendo.
Kylie scrutò bene il fratello, dal momento in cui l’aveva visto apparire da lontano fino ad ora che prendeva posto accanto a lei, constatando che non le sembrava particolarmente sconvolto. Forse si era soltanto ingannata, pensò.
Mangiarono coscette di pollo a sazietà, in parti più o meno eque, chiacchierando delle loro giornate fino a prima del pranzo e accorgendosi ben presto di aver vuotato senza alcuna difficoltà il contenuto delle buste.
Ginger si era quasi convinta di essersi preoccupata inutilmente, quando Hunter disse: «Sono contento che sia anche tu, Alexander. Ho un annuncio da fare… No, non è proprio un annuncio, sono due notizie, una buona e una cattiva».
A quelle parole Alex lanciò una rapida occhiata alla rossa, ma questa non lo colse perché troppo concentrata a guardare il fratello con aria ansiosa. «Prima quella cattiva!» esclamò subito.
Hunter sorrise benevolo. «Purtroppo l’ordine delle cose mi costringe a lasciare quella per dopo. Avevi ragione quando mi avevi detto che ti sembravo confuso, ma ho dovuto prendere una decisione molto velocemente e, sai come sono fatto, avrei preferito rifletterci un po’ di più. La buona notizia è che mi è stato offerto un lavoro, un buon lavoro, se vogliamo dirla tutta. Modello presso Dolce&Gabbana, l’avreste mai detto?».
Will aprì la bocca per complimentarsi, ma Kylie lo zittì subito con fare sbrigativo e sospettoso: «Aspetta Gaskarth, c’è puzza di bruciato sotto. Però complimenti, fratellino, proprio un bell’impiego».
«La cattiva notizia è che dovrò trasferirmi a Los Angeles per qualche mese. Fra due settimane». Il Thompson parlò in modo tranquillo, come se stesse dicendo chissà quale normalità, ma un freddo silenzio piombò sul trio.
Kylie sospirò mesta, alzando gli occhi al cielo per ammirare le nuvole. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato per suo fratello il momento di andare via, di traferirsi altrove e di iniziare finalmente e definitivamente la carriera che gli spettava, quindi, almeno per quel giorno, era psicologicamente preparata e ben disposta ad accettare l’allontanamento.
Nel frattempo, un visibilmente imbarazzato Alexander desiderava ardentemente di trovarsi in qualsiasi altro punto del pianeta, trattenendo il fiato nell’attesa di una reazione della ragazza.
«Spero davvero per te che tu abbia accettato, Hunt, perché altrimenti…» cominciò lei sciogliendosi in un sorriso, anche se conosceva già la risposta.
In un’unica mossa repentina, il biondo si alzò di scattò e sollevò di peso la sorella senza smettere per un attimo di ridere. «Ed io che mi ero pure preparato un lungo discorso consolatorio! Pensavo pure di chiedere l’aiuto del qui presente cantautore per convincerti!».
«Convincermi? Non sono mica una bambina! – protestò Ginger ritornando con i piedi per terra – Sono felicissima per te, non immagini quanto! E’ la tua occasione e non devi affatto sprecarla e… Oh, Hunter!» esclamò infine, gettandosi tra le braccia del ragazzo.
«Quindi non sei triste?».
«Per adesso no, ma non prometto nulla per il giorno della partenza».
William, intanto, era rimasto al suo posto e sorrideva sia a causa della notizia, che a causa del fatto che Kylie l’avesse presa molto più che bene. Non era da molto che conosceva i Thompson, ma era particolarmente affezionato a loro (specie alla rossa) ed era sinceramente felice di quella novità; dopo tante brutte notizie un cambiamento era assolutamente necessario ed Alex era convinto che Hunter meritasse quel lavoro e la successiva fulminante carriera che ne sarebbe conseguita.
«Ora, resta da discutere un problema che non possiamo di certo trascurare: – riprese parola il maggiore dei tre – che ne sarà di te, povera piccola Kylie, dopo che io mi sarò trasferito? Dove alloggerai?».
«Non sono sicura di aver capito. Se vai via tu, devo andare via anche io?».
«Esattamente».
Gli occhi del Gaskarth scintillarono a quell’affermazione, ma nessuno dei due ragazzi se ne accorse. Avrebbe potuto proporlo, no? Dopotutto, lui era il padre e non credeva di essere sul punto di chiedere qualcosa di troppo strano o sconveniente.
«Avanti, Hunter, non dire scemenze: io non me ne vado di casa e tu lo sai».
«Non vedere questa cosa come una possibilità, considerala più come un obbligo. Sei incinta, io non so quando tornerò e tu non puoi e non devi restare da sola. Ho intenzione di chiedere a zia Meg di trasferirsi temporaneamente qui, visto che è sola e non ha famiglia e…».
«Frena frena, Thompson! – esclamò Kylie a voce più alta – Non c’è bisogno che tu chieda favori a nessuno, riuscirò a cavarmela benissimo da sola, e poi zia Meg…».
«E quando la pancia crescerà? Quando sarai sul punto di partorire? Metti caso che ti si rompano le acque e tu sia da sola, cosa farai? Non potrai nemmeno guidare fino all’ospedale, guarda un po’!».
Alex tossicchiò un paio di volte con indifferenza, anche era palese che volesse essere interpellato. Era lì, insieme a loro, e nessuno dei due aveva pensato alla soluzione più ovvia che ci potesse essere.
«Io avrei pensato ad una sistemazione» esordì infine, alzando anche lui il tono per essere udito. I Thompson si voltarono a guardarlo incuriositi e il ragazzo ebbe improvvisamente la sensazione che la sua idea non fosse poi così geniale, come aveva pensato. «Beh, Kylie potrebbe venire a stare da me… Cioè, da noi. Forse convivere con quattro ragazzi non è il massimo, ma sento di dover contribuire anch’io in qualche modo…».
Un enorme sorriso prese posto tra le labbra rosee del ragazzo biondo: il cantante, forse involontariamente, non aveva tardato molto a capire cosa il fotomodello intendesse.
Kylie fissò a bocca aperta prima l’uno e poi l’altro. «Voi avete qualcosa che non va, dico sul serio. Non se ne parla proprio, io da quella casa non mi sposto neanche dietro compenso. E adesso, se permettete, devo ritornare di corsa in redazione e ho intenzione di approfittare di quel taxi che si sta avvicinando».
Hunter rise a cuore aperto e Alex, stordito, senza sapere come comportarsi, ricambiò il saluto veloce che gli rivolse la ragazza e la guardò sparire dentro all’auto.
«Sapevo che mi avresti capito. – disse il biondo dopo qualche minuto – Sei sveglio, Alexander, anche se a volte sembra proprio il contrario».
Alex sorrise imbarazzato mentre ripensava che magari anche al suo cognato-non-cognato era capitato di vedere qualche video sciocco (anche se sciocco non era la parola usata dal ragazzo) insieme alla sorella.
«Hai poco più di una settimana per convincerla a trasferirsi da te durante la mia assenza e sono sicuro che ce la farai».
«Perciò non hai niente in contrario?» domandò Gaskarth per avere ulteriore conferma.
«Nient’affatto, anzi! A quanto pare anche a te farebbe piacere che mia sorella alloggiasse a casa tua» rispose quello in tono leggermente malizioso.
Camminarono in silenzio, godendo del frusciare delle foglie nei rami mossi dal vento, fino a quando non uscirono dal parco e si ritrovarono accanto all’auto di Hunter.
«Sembra che qui le nostre strade si dividano, Alexander».
«Già… Eh, posso chiederti una favore? Smettila di chiamarmi sempre Alexander, neppure i miei genitori lo fanno più», sorrise per essere più convincente.
«D’accordo, Alex» scandì bene il nome mentre gli tendeva la mano.
Il giovane la strinse e aspettò di vedere anche lui scomparire nella strada.
«Anche se sono gay, non vuol dire che non abbia il coraggio di pestarti» aggiunse Hunter sorridendo furbo dal finestrino prima di sgommare via.

What do I stand for?

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!
Mi sento uno schifo, mi credete?! Più di un mese che non aggiorno e torno con questo scempio ç_ç
Non mi sorprenderebbe non avere recensioni, sapete? ç_ç
Pertanto, vi autorizzo a lanciarmi tutto quello che volete, tranne libri...
Ecco, i libri: è per colpa loro. E' sempre colpa loro. Il quinto anno mi sfianca e convivo ogni giorno con la paura della Maturità...
Ma... a voi che vi frega? Ecco, boh, non lo so ._.
Anyway, assodato che il capitolo fa pena e che non prometto nulla sui tempi di aggiornamento, volevo chiedervi una cosa: se non vi scoccia, potrei mandarvi un mp ogni volta che pubblico, che dite? #proposteinsensate
Ok, mi dileguo. Ho fatto un break, ma devo tornare ai miei amati (?) Quattordici punti Wilsoniani -.-'
Quindi, eh, a te che sei arrivata fin qui... Complimenti! :D
Sto delirando.
Mi farò sentire presto, spero!
Grazie, bacio con schiocco e buona serata u.u

A.



 

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Capitolo 11
*** «Qualcosa mi dice che tu hai già un’idea…» ***


11. «Qualcosa mi dice che tu hai già un’idea…»
 
L’estate non era ancora arrivata e quindi il periodo di alta stagione era lontano, ma l’aeroporto pullulava di gente da ogni parte: nei gates, nei negozi, a perdere tempo in giro, a salutare i parenti, seduti a sfogliare una rivista in attesa di essere chiamati o di essere venuti a prendere per andare a casa.
Kylie li guardava tutti con aria assorta, chiedendosi quanto fossero stati via, dove fossero andati o dove fossero diretti, sentendo crescere sempre più il nodo alla gola che cercava faticosamente di reprimere. Alex, al suo fianco, la guardava con tenerezza e buttava una battuta qua e là per sdrammatizzare e farla sorridere, sperando che quella sorta di convivenza forzata si dimostrasse qualcosa di assolutamente positivo.
«Sicuro di non aver dimenticato niente?» domandò ancora una volta la ragazza.
«Sì, c’è tutto. Ti ricordo che sto andando a Los Angeles, non da qualche parte sperduto in mezzo ai Canyon, okay?» fece Hunter con un sorriso affettuoso.
«Los Angeles è la seconda città degli Stati Uniti per omicidi e crimini in generale» buttò a caso Jack.
Tutti risero della battuta, meno che Kylie, che guardò il Barakat con fare spaventato. «Dici sul serio?» mormorò.
Il chitarrista fu sul punto ti replicare, ma Alexander glielo impedì prendendo parola: «E tu ci credi davvero? Avanti, Ginger, è stato Jack a dire una cosa simile. E’ lo stesso Jack che ieri sera fingeva di piastrarsi la lingua!» aggiunse dopo, vedendo la rossa ancora innervosita.
Una voce dall’alto li avvisò che era già arrivato il momento dei saluti.
Hunter porse la mano a Zack e Rian (che la strinsero calorosamente), diede una pacca sulla spalla a Jack e si avvicinò ad Alex quel tanto che bastava per potergli sussurrare qualcosa all’orecchio senza che quella vicinanza mettesse il minore in imbarazzo. «Trattala come se non avessi nient’altro di più caro al mondo, va bene? Perché è così che faccio io».
Si rivolsero un rapido sguardo d’intesa prima che il biondo abbracciasse forte la sorella.
«Devi chiamarmi ogni giorno per almeno due volte, intesi?» ordinò questa con la voce rotta.
«Ma le chiamate ormai sono superate! Noi useremo Skype!» la corresse lui con tono agitato.  Nonostante cercassero di contenersi, era chiaro ad entrambi che quella separazione sarebbe stata più dolorosa di quando avessero creduto.
«Mi mancherai tanto, Hunt».
«Anche tu mi mancherai. – sussurrò sciogliendo l’abbraccio e chinandosi all’altezza del ventre della sorella – E sentirò pure la tua assenza, bello di zia!».
Bello di zia. Gli All Time Low si scambiarono un’occhiata benevola: negli ultimi giorni, da quando Hunter li aveva aiutati a sistemare in modo decente la camera che sarebbe spettata a Kylie, avevano potuto notare come, certe volte, il lato femminile del Thompson si manifestasse all’improvviso e in tutta la sua libertà.
«Bene, adesso sarà meglio che vada. Non sono ancora abbastanza famoso da far aspettare il pilota» ridacchiò riprendendo in mano il borsone (l’unico dei tanti bagagli a non essere già stato caricato sull’aereo) e allontanandosi accompagnato da un coro di «Ciao» e «Fa’ buon viaggio!».
«Divertiti, e non spezzare i cuori di nessuno!» esclamò la rossa prima di vederlo scomparire tra la folla.
Aspettarono di veder decollare l’aereo prima di uscire fuori nei parcheggi e, per nulla indifferente al silenzio di Kylie, Alex le si avvicinò e le passò un braccio intorno alle spalle. «E’ in gamba e se la caverà, non preoccuparti» la tranquillizzò sfoggiando un sorriso convincente.
«Ragazzi, io ho un impegno Cassadee; ci vediamo stasera!» esclamò Rian mentre si allontanava nella direzione opposta.
Raggiunsero l’auto e Kylie fece per sedersi al posto del conducente, ma fu prontamente bloccata da Zack che la riprese gentilmente dicendole: «Le donne incinte non guidano».
«Non guidano quando hanno all’incirca sette mesi di gravidanza alle spalle».
«E non guidano neppure quando sono nel primo trimestre, perché il feto è ancora debole». La dolcezza con cui le parlava e l’attenzione che le aveva rivolto fecero arrossire la ragazza, che si zittì imbarazzata e abbassò il capo come a frugare nella borsa alla ricerca degli occhiali da sole.
«Allora guido io!» esclamò raggiante Jack.
«Indovina un po’, Barakat? Nemmeno i chitarristi libanesi guidano» replicò Alex lanciando le chiavi al Merrick, che le afferrò al volo.
«Sporco razzista bastardo» borbottò il ragazzo fingendosi offeso.
Arrivarono a casa in poco tempo e, mentre Steven e Bassam scaricavano le ultime due valigie, Will aprì la porta d’ingresso e scortò Kylie in cima alle scale, nella stanza in fondo a destra, ansioso com’era di mostrarle la camera che le avevano preparato e che lei non aveva ancora visto.
«Beh, non è quella famosa suite dell’Hilton Hotel, però… Puoi considerarlo il tuo regno fino a quando starai qui».
La Thompson varcò la soglia della stanza e vi entrò guardandosi tutt’intorno: le pareti erano tappezzate di poster e di foto, e il muro che se ne riusciva ad intravedere era blu elettrico; al centro della camera era posto un grande letto ad una piazza e mezza e poi più a destra una finestra che dava su un piccolo terrazzo capiente a stento per tre persone. Kylie vagò in silenzio per la stanza per qualche minuto, osservando le fotografie e sfiorando prima la scrivania e poi il bordo del letto.
«Ti sei scelto la stanza migliore» disse infine, voltandosi in direzione del cantante.
«Come hai fatto a capire che era la mia?».
«Non è stato tanto difficile. I ragazzi potranno avere tutte le buone intenzioni di questo mondo, ma credo che nessuno di loro sia ancora disposto a cedermi la propria camera».
«Ragionamento impeccabile. Leggere Holmes ti fa davvero bene».
«Secondo me è anche predisposizione naturale. – ridacchiò lei – Mi piace qui, è bello e accogliente. Però non riesco a fare a meno di chiedermi dove dormirai tu. Voglio dire, a me andrebbe bene anche una camera più piccola, non ho alcun tipo di problemi purché...».
«Non credo che il divano ti sarebbe tanto comodo, specie fra qualche mese» tagliò corto Alexander.
L’idea che Gaskarth sarebbe potuto andare a dormire sul divano non aveva, fino a quel momento, mai sfiorato la mente di Kylie, che guardò il ragazzo in attesa di elaborare qualcosa da dire.
«No, Alex, non aiutarmi a portare su questa valigia, va bene. Ce la faccio da solo» si sentì dalle scale.
William alzò gli occhi al cielo. «Arrivo subito, Jackie!».
Fino all’ora di pranzo furono tutti e quattro impegnati ad aiutare la nuova coinquilina a sistemare quello che lei definiva come lo stretto indispensabile, anche se, come aveva fatto notare Bassam, tanto stretto non era. E neanche tanto indispensabile, forse. «Peccato che tu non sia riuscita a portare anche i quadri di casa tua! – aveva scherzato – Sono sicuro che Zack ti avrebbe aiutato volentieri ad appenderli!».
Mentre erano impegnati a trasformare radicalmente quella camera, però, nella mente di Alex si affacciò un problema a cui non aveva ancora pensato e, ne era convinto, neanche Kylie aveva preso in considerazione quell’aspetto del dopo-gravidanza.
La domanda, a dirsi, era alquanto semplice: una volta partorito, lui e Ginger sarebbero dovuti andare a vivere sotto lo stesso tetto? E in qualità di cosa? Non stavano insieme e non sarebbero stati conviventi: sarebbero stati solo i genitori dello stesso bambino. Il vivere con Kylie, per quanto potesse sembrare una bella proposta, sarebbe finita col rivelarsi tutto l’opposto: magari lei si sarebbe lamentata per le continue libertà che lui si sarebbe preso, e lui si sarebbe prima o poi stufato e sentito oppresso e allora avrebbero finito sempre col discutere e il litigare, con la conseguenza di perdere del tutto quel bel legame che stavano costruendo pezzo dopo pezzo. Il ragazzo si sentì subito di dover escludere quell’ipotesi.
E allora, cosa sarebbe stato necessario fare? Alex si sarebbe forse dovuto accontentare di vedere ciò che aveva creato per poche ore al giorno prima di tornarsene a casa sua? Era assolutamente impensabile una circostanza simile.
Scosse la testa, deciso del fatto che avrebbe chiesto consiglio a qualcuno, anche se sapeva che la descrizione di quel qualcuno coincideva perfettamente con quella di un certo Matt Flyzik.
«Nessuno di voi è vegetariano, giusto?» domandò Kylie urlando a gran voce dalla cucina mentre richiudeva il frigorifero.
«Secondo te abbiamo facce da vegetariani?» ridacchiò Zachary, seduto sul divano insieme agli altri due, esprimendo il parere generale.
La Thompson fece il giro dell’isola al centro della cucina e li raggiunse nel salone, piazzandosi davanti al televisore e squadrandoli bene in viso. «No, direi proprio di no. – decretò sollevando le confezioni che teneva in mano – Questa dovrebbe andare più che bene».
«Carne? Credevo che la odiassi» osservò Alex girandosi per vederla mettersi dietro ai fornelli.
«Infatti, la odio. Ma ne ho voglia».
«Ah, ne ha voglia» sottolineò bene Jack dando una pacca sulla spalla del cantante.
Pranzarono in tutta tranquillità, rispondendo alle domande del quiz televisivo che stavano guardando e commentando l’intelligenza dei concorrenti, e quando finirono, dopo che Will vietò categoricamente a Kylie di lavare i piatti dicendole che lo avrebbe fatto al posto suo, la ragazza salì le scale e si sdraiò a letto.
In un primo momento si limitò ad osservare il paesaggio che si intravedeva al di là della finestra, ma poi, quasi inevitabilmente, il pensiero di suo fratello iniziò a farsi strada. Non aveva notizie di Hunter da circa sei ore e non riusciva a fare meno di chiedersi dove fosse e quanto mancasse prima che raggiungesse la destinazione e si facesse sentire. Tuttavia, per quanto risentisse dell’assenza del biondo, Kylie dovette ammettere che una parte di lei era felice di trovarsi in quella casa e con quei coinquilini e che tutto prometteva bene.
Il suono di un pugno contro la porta di legno la riportò alla realtà.
«Ah, pensavo che l’angoscia ti avesse già uccisa» sorrise Alexander.
«Sto resistendo».
«Posso?» chiese lui mentre faceva per entrare.
Ginger si spostò sul letto per fargli spazio. «Fino a prova contraria, questa è sempre camera tua».
Il ragazzo si sedette sul bordo del materasso, si sfilò le scarpe e si distese con la schiena contro la spalliera. Tirò un sospiro e rimase in silenzio.
«Era da quella famosa notte che non dividevamo un letto» osservò la Thompson soffocando a stento una risata.
«Già… Però ora capisco che non abbiamo combinato un completo disastro, anzi» disse guardando la pancia di lei.
«Inizia a crescere, eh? Non vedo l’ora di sentirlo».
A quelle parole, Alex sorrise con dolcezza e baciò i capelli della ragazza, tutto contento. «Pensi ancora che sia un maschio?» chiese.
«Sempre e comunque. Tu sei ancora convinto che sia femmina?».
«Non più, anche se preferirei che lo fosse».
«Secondo te è troppo presto per scegliere il nome?» domandò Kylie, cambiando discorso.
«Qualcosa mi dice che tu hai già un’idea…».
«Infatti» affermò lei in tono allegro.
«Avanti, sentiamo».
Kylie si sistemò sul letto, incrociando le gambe davanti a sé. «Allora, se è maschio, mi piacerebbe tanto Noah… O magari Thomas, che ne dici? Oppure Peter…».
«Non voglio che mio figlio abbia il nome di nessuno dei componenti della mia famiglia. – controbatté Alex leggermente perentorio – E poi Noah Gaskarth mi piace e suona bene, quindi direi che il nome è deciso, almeno per il momento».
«Beh, allora adesso tocca a te».
«Tocca a me, cosa?».
«Io ho scelto il nome in caso sia maschio, ma potrebbe anche essere femmina… Voglio vedere cosa combini» aggiunse con torno canzonatorio.
«Donna di poca fede. – la appellò il ragazzo per scherzare – A me piacciono nomi tipo Jillian, Emily, Janet…».
«No, Janet no!» tuonò Kylie.
William la guardò con un sopraccigli alzato. «Okay, chi è Janet e che ti ha fatto».
«Janet era una stronzetta bionda che si è messa con il ragazzino che sapeva piaceva a me, quando avevo undici anni. Ultimamente non ho avuto belle notizie sul suo conto; non che batta i marciapiedi, ma…».
«D’accordo, d’accordo. Mia figlia non avrà mai il nome di una stronzetta bionda che non batte i marciapiedi, ma quasi. Che ne pensi di Sadie?».
«Sadie? Come Sexy Sadie, la canzone dei Beatles? La maccherai a vita!» rise la rossa.
«Con un padre del genere, mi sembra ovvio che nascerà una ragazza estremamente sexy» spiegò Alex con lo stesso tono di chi la sa lunga.
«No, Sadie è fuori discussione».
«E allora vediamo cosa propone il grande genio dei nomi» disse lui fingendosi offeso.
«Se proprio lo vuoi sapere… Vanessa, Ginevra, Emma…».
«Stop, stop! – la bloccò subito Gaskarth coprendole la bocca con una mano – Che fine hanno fatto i nomi classici come Madelaine, Camille…?».
«Oh Dio Santissimo, Alex! Ma ti senti quando parli? Non ci credo, non posso credere al fatto che ti piacciano nomi del genere… Tu sei tutto Holly, Jasey Rae, Stella… Coraggio, so che puoi fare di meglio. Qualcosa di più originale, più moderno e sicuramente più…».
«Sidney» propose William di punto in bianco.
«Sidney?».
«Sidney, sì. Sidney Gaskarth».
Kylie ripeté il nome più volte, cercando di capire come suonasse, anteponendo anche il cognome al nome. «E’ bello» decretò infine.
Alex iniziò subito a cantare l’Alleluia e Ginger fece per dargli uno schiaffetto sul braccio, ma il ragazzo fu più veloce e le afferrò il polso per bloccarla, rotolando insieme sul letto e finendo col ritrovarsi sopra di lei, con le loro pance che si sfioravano appena e i loro visi a pochi centimetri di distanza.
Quando smisero di ridere, fu chiaro ad entrambi che la posizione era parecchio scomoda e subito le guance della ragazza si tinsero dello stesso colore dei suoi capelli.
Erano occhi negli occhi e i loro respiri si fondevano in uno solo, mentre i loro cuori acceleravano i battiti sempre più velocemente.
Spinto dal momento e dalla voglia, il ragazzo si chinò maggiormente e annullò il poco spazio che li separava, non fermandosi nemmeno dopo aver udito l’avviso di chiamata che proveniva dal computer lasciato acceso sopra la scrivania.
Kylie chiuse gli occhi, pregando il suo cuore di reggere il colpo che quel bacio le avrebbe provocato.
Alex poggiò le labbra sulla guancia della rossa. «Sarà meglio che risponda a tuo fratello» le disse prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciarla sola, trafelata e con gli occhi sbarrati.

Jingle Bells, Jingle Bells, Jingle Bells Rock!

E' NATALE, GEEEEEENTE!
E lo so che non vi frega, ma la cosa mi gasa.
E in più...
OGGI E' IL COMPLEANNO DI ALEXANDER WILLIAM GASKARTH, GEEEEENTE!
Questo vi dovrebbe importare.
Perchè è per colpa sua che oggi aggiorno, sì. Quindi prendetevela con lui.
Ho iniziato a scrivere questo capitolo lo scorso weekend, ma ho avuto una settimana incredibile e l'ho scritto tra una cosa e l'altra, per questo non mi piace. Cè, mi sembra frammentario... e penso che lo sia davvero. Insomma, avrei potuto scriverlo meglio, questo riconoscetemelo u.u
Anyway, c'è e ve lo beccate xD Nah, scherzo.
Mi dispiace per il ritardo, ma vi avevo avvertite... La scuola assorbe tutte le mie energie vitali...
Spero davvero di poter scrivere e pubblicare durante le vacanze, ma, in caso contrario, vi auguro già adesso di passare delle buone feste all'insegna del Merry Christmas, Kiss My Ass ;)
Ringrazio veramente di cuore chi si prende la briga di seguirmi in questa follia, mi motivate non poco  <3
*Si allontana lanciando coriandoli e suonando la tromba*

A.



 

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Capitolo 12
*** «Oggi è il gran giorno» ***


Allora, uhm, da dove comincio?
È dura scrivere qualcosa, specie perchè credo che questa storia (e la sottoscritta) sia finita nei meandri oscuri della sezione, quelli che mai nessuno va a guardare...
Va bene, facciamo una sintesi: poco fa ho deciso di prendermi un'ora libera per spulciare un po' tra i vecchi files del computer, quando mi trovo sottomano questa storia. La guardo e penso "Cacchio, dovrei proprio finirla", quindi clicco per vedere dove ero arrivata. Scorro fino alla fine e mi accorgo della presenza di questo 12esimo capitolo. Apro in fretta Efp e mi assicuro di averlo postato, ma... no, non l'avevo mai pubblicato. Cosa che mi premuro a fare adesso.
*Voce fuori campo* E te ne accorgi solo ora? Dopo quasi sette mesi di totale abbandono? è.è
Eh, sì. Sono una brutta persona, lo so.
Brutta come questo capitolo che però posto perchè mi sembra giusto (e chi lo sa più cos'è giusto, a questo punto?) nei confronti chi mi segue. Seguiva. Aveva seguito sperando che io aggiornassi presto ç_ç *si fustiga*

Quindi, beh, questo sfortunato Capitolo 12 non è affatto un granchè (strano ma vero, credo/spero/prego di essere migliorata nel frattempo. Perchè sì, non ve l'ho ancora detto, ma ho controllato anche la data dell'ultima modifica del documento e mi sono accorta che risaliva ai primi di Gennaio O.o), ma spero davvero che possiate perdonare questa distratta e sciagurata maturanda che promette di impegnarsi a finire questa storia, dovesse pure impiegarci anni (Dio Santo, di sbrigarmi un po' prima).

Grazie a te, a te, a te e a te che ti stai grattando il capo chiedendoti che diavoleria sia questa. Hai ragione.


A.



12. «Oggi è il gran giorno»

 
Kylie scese di tutta fretta le scale, accennò un breve saluto mentre afferrava la borsa dall’attaccapanni e appoggiò la mano sulla maniglia, senza però avere il tempo di aprire la porta ed uscire.
«Dove stai andando?» chiese Zachary, spontaneo.
La rossa sospirò.
«E’ oggi?!» s’intromise Rian, sbucando da chissà dove.
«Purtroppo sì» fece lei con un filo di voce.
«Buongiorno, bella gente! – esclamò un raggiante Jack mentre faceva il suo ingresso in soggiorno – Che sono queste facce?» domandò poi, notando l’aria che tirava.
«Oggi è il gran giorno» rispose Merrick.
Bassam addentò il suo croissant, masticando pensieroso. «Quindi, oggi si saprà se sarai una importante donna in carriera o se sarai condannata a lavorare in questa casa come inserviente, giusto?».
Kylie abbozzò una risata.
Erano già passati undici giorni dal suo trasloco in quella casa ed era felice di poter confermare che si stava trovando veramente bene, proprio come aveva pensato. I ragazzi la facevano divertire davvero tanto ed erano molto più che premurosi nei suoi confronti, come fossero tanti Hunter con qualche anno in meno (e con una naturale e forte propensione al sesso femminile e non a quello maschile, ovviamente); in più, erano diventati più ordinati e spesso si dividevano le faccende di casa per evitare che la loro ospite si stancasse troppo (ad essere onesti, la ragazza non aveva nemmeno sperato in una cosa simile).
Insomma, durante quel periodo, Kylie ebbe l’ennesima conferma di potersi trovare bene anche senza la presenza di una figura femminile al suo fianco.
«Sono sicuro che andrà tutto bene, non hai niente da temere» la rassicurò Robert dandole una lieve pacca sulla spalla.
«Me lo auguro; perdere il lavoro sarebbe un bel problema. Anche se non è che abbia lavorato nel vero senso del termine finora, ma… – guardò distrattamente l’orologio, s’interruppe, tornò a fissarlo – Cazzo, ma è tardissimo! Devo scappare! Pregate per me, razza di fannulloni!» esclamò con un sorriso mentre si precipitava ad aprire la porta.
«Aspetta, aspetta, aspetta !» le urlò dietro Alexander uscendo fuori casa.
«E tu da dove sei saltato fuori? – ridacchiò Kylie – Credevo stessi dormendo».
«Infatti, era così fino a… Venti minuti fa, più o meno. Poi è suonata la sveglia e mi sono accorto di aver dormito un po’ troppo e… Ma perché non sali in macchina? Dai, ti accompagno io!».
«No, non credo proprio… Sembri un barbone. E comunque, non ne ho bisogno».
«Sì, invece».
«No, invece. Sono ancora in grado di guidare e preferisco andare in redazione da sola… Non si sa mai». La frase completa sarebbe stata Non si sa mai cosa sarei in grado di fare se mi dicessero di no, ma la ragazza si fermò, convinta del fatto che Alex non l’avrebbe mai lasciata uscire da sola se avesse aggiunto quelle parole.
«Prenditi del tempo per te: ultimamente non hai fatto altro che sgobbare. Per adesso non c’è alcun motivo di essere così… così apprensivi, ecco. Fai colazione, schiaccia un pisolino, strimpella la chitarra… Potresti anche sbarazzarti di quella brutta barbetta e andare dai tuoi genitori per far loro sapere che saranno nonni tra sette mesi».
Will sospirò mentre alzava il capo ad ammirare il cielo terso, azzurro intenso: erano veramente poche le nuvole che lo attraversavano con fare minaccioso. In più, il freddo era ormai svanito del tutto e le temperature avevano iniziato a salire; quelli erano i giorni ideali per una scampagnata.
«Come fai a sapere che non sanno già tutto?».
Kylie sorrise, avvicinandosi per dargli un leggero bacio sulla guancia. «Ricordati che leggo Sir Arthur Conan Doyle. Certe domande potresti anche non farle».
Alex la guardò salire in macchina, mettere in moto e partire, ansioso tanto quanto di lei di sapere cosa la rivista le avesse riservato. Tuttavia, anche dopo che il veicolo si fosse allontanato, restò impalato sulla soglia di casa con fare pensieroso.
Era vero, i suoi genitori non sapevano ancora nulla della gravidanza, né tantomeno di Kylie, e non ci volle molto a capire che era arrivato il momento di metterli a conoscenza della svolta che la sua vita stava per prendere.
Da quando aveva saputo di diventare padre aveva riflettuto molto sulla sua famiglia e sulle conseguenze che la notizia avrebbe comportato; aveva anche cercato di prepararsi un discorso, ma senza riuscirci.
Aveva ventiquattro anni, pensava, e molti suoi coetanei erano già genitori. Peccato solo che tutti loro fossero già accasati, mentre lui e la Thompson non solo non erano sposati, ma non avevano nemmeno le basi per uno straccio di relazione. La lo storia somigliava più ad una di quelle commedie romantiche di secondo ordine, quelle in cui ci si sarebbe potuto aspettare di tutto, senza mai arrivare ad indovinare il finale.
Sospirò, si strinse nelle spalle e rientrò in casa; poco più di un’ora dopo saliva sulla sua auto, diretto verso la sua vecchia casa.
 
* * *
 
Kylie entrò in ufficio piano, con passi misurati e timorosi, tenendo lo sguardo basso: avrebbe preferito ricordare quella mitologica redazione per come l’aveva vissuta nei mesi precedenti, piuttosto che vederla secondo l’ottica dell’abbandono e del fallimento.
Non aveva paura, era una cosa da sciocchi, ma era incredibilmente ansiosa e preoccupata e migliaia di  domande e pensieri le invadevano la mente, stordendola.
«Heyhey, chi si vede!» esclamò Aaron girandosi sulla sua bella poltrona in pelle. Lui si occupava delle vignette satiriche, il che era una gran cosa perché sapeva che mai nessuno lo avrebbe rimpiazzato perché mai a nessuno sarebbe venuto in mente di farlo.
«Allora? Emozionata?» domandò JJ tutta su di giri.
«Se per emozionata intendi che sto per farmela sotto, direi che sì, sono emozionata» spiegò Kylie con un filo di voce.
«Su su, andrà benissimo!».
«È da parecchio che non viene rinnovato il personale, abbiamo bisogno di carne fresca» ammiccò il disegnatore.
Il solo pensiero di una fetta di carne ebbe l’effetto di far venire la nausea alla Thompson, che represse a stento un conato.
«L’importante è non dimostrarsi agitati… Che poi non c’è neppure motivo di esserlo: Wenner è tutto fumo e niente arrosto, e tu sei veramente in gamba. Quindi entra lì dentro e fagli vedere chi sei!» esclamò Jane spingendo l’amica in avanti verso l’ufficio.
Kylie avanzò quasi meccanicamente e, arrivata davanti alla porta del direttore, si girò giusto per vedere Aaron e JJ alzare i pollici in segno di buona fortuna. Si spostò una ciocca dietro l’orecchio, sorrise forzatamente e bussò.
Si sarebbe aspettata di tutto, tranne che lo stesso Jann Wenner si alzasse per aprirle personalmente.
Kylie non poté fare a meno di arrossire visibilmente a quella manifestazione di inaspettata cortesia, ma una parte della tensione svanì non appena l’anziano disse: «Ah, sei tu? Pensavo fosse Dave… Lo avrei licenziato già da tempo, se non fosse così schifosamente geniale». Aprì le labbra in un ghigno, si sedette sulla sua poltrona e si accese una sigaretta.
Fumo. Altra cosa che nauseava la ragazza, troppo imbarazzata e tesa anche per poter solo balbettare qualcosa, preferendo ammirare le foto, gli articoli e gli attestati sparsi per tutto il perimetro della stanza.
«Ti siedi o vuoi restare lì impalata?» le chiese il direttore alzando lo sguardo dai fogli che stava consultando.
«Sì, signore» mormorò appena Kylie.
«Allora, allora, vediamo un po’… Kylie Thompson, Annapolis, vent’anni e niente Università. Neppure il College… Uhm, non è un problema. Se avessi seguito una strada diversa, magari ora non saresti qui, davanti ad un vecchio folle che sproloquia, chiedendoti quand’è che finirà, eh? Tranquilla, sarò breve. Sicuramente sei stata informata del bilancio di assunzioni degli ultimi tempi, vero? Brian li ha fatti secchi tutti. Ma con te… – alzò lo sguardo e lo piantò dritto negli occhi della rossa – Pare che il suo temibile spirito critico sia stato placato. Ha scritto un’ottima relazione sul tuo conto, signorina. Dice che sei sveglia e acuta e che sai tenere testa a chiunque senza troppe difficoltà. Aggiunge anche che le vostre idee sui My2Pounds coincidono, interessante».
Kylie lo ascoltava con la massima attenzione, pendendo letteralmente dalle sue labbra.
E così Brian, lo spietato Brian Mills, aveva scritto un recensione favorevole su di lei. Davvero l’aveva trovata così sorprendente, energica e dotata di animo come Jann Wenner stava continuando a leggere?
«Bene, questo è ciò che scrive Brian. Ma Brian non è il direttore» precisò l’uomo con una strana espressione di divertimento dipinta sul volto.
Quell’ultima frase bastò a far crollare le già deboli speranze che la Thompson aveva nutrito ascoltando il discorso dell’anziano che aveva di fronte.
Wenner si stropicciò gli occhi fingendo di riflettere e quell’atteggiamento indignò l’animo di Kylie per due motivi: il primo, perché stava inutilmente perdendo tempo, ignaro di star facendo del male non ad una, ma a due persone; il secondo, perché entrambi sapevano che lui aveva già preso la sua decisione e che quindi non ci fosse nient’altro su cui ponderare.
«Brian è il mio braccio destro, qui dentro lo sanno tutti, persino i muri, ed è logico che il suo parere influenzi un buon quaranta percento delle mie scelte… com’è anche giusto che a me spetti il sessanta percento di tale libertà. I tuoi colleghi ti avranno sicuramente detto che non assumiamo gente dall’Alba dei Tempi, o sbaglio? Il fatto è che voi della nuova generazione siete, come dire, spenti. Non avete abbastanza inventiva, non avete la scintilla, vi manca un po’ di sana competizione. Prendete tutto alla leggera, non vi affaticate e credete che tutto vi sia dovuto».
Altra pausa.
Kylie pensò che, dopotutto, l’uomo non aveva avuto torto a definirsi un vecchio folle che sproloquia. Istintivamente, si portò una mano alla pancia e la sfiorò.
«Tuttavia, – proseguì il direttore accendendosi un’altra sigaretta – credo che tu abbia delle potenzialità. Sei piccata, lungimirante, hai lo stile giusto e una buona conoscenza della storia della musica che ti permette di fare paragoni anche abbastanza azzardati. Quindi… Benvenuta a bordo» concluse con un sorriso incoraggiante mentre le tendeva la mano.
Benvenuta a bordo, tre semplici parole in grado di cambiare una vita.
Ce l’aveva fatta, era entrata, era ufficialmente parte di quella redazione ed era anche l’ultima recluta degli ultimi due anni, mandando con ciò a quel paese i pregiudizi di alcuni e le scommesse di altri.
Nemmeno lei seppe come riuscì a tenere sotto controllo tutta l’euforia e la gioia che le vibravano sotto pelle, ma, quando parlò, sembrò estremamente calma e soddisfatta della notizia.
«La ringrazio, signore, è un grande piacere poter lavorare per lei» disse con semplicità afferrandogli la stretta.
«Sì, me lo dicono in tanti. – scherzò Wenner alzandosi per accompagnarla alla porta – Confido in te, signorina Thompson, e spero vivamente che non mi deluderai. Adesso vai a scegliere la tua scrivania e prenditi il fine settimana libero: ti voglio carica per lunedì».
 

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