Cronache di Hogwarts

di emanuele0933
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strane Lettere ***
Capitolo 2: *** Tempo di addii ***
Capitolo 3: *** Il Ministero e la magia ***
Capitolo 4: *** Lezioni di vita ***
Capitolo 5: *** Cioccolato inglese - parte 1 ***
Capitolo 6: *** Cioccolato inglese - parte 2 ***
Capitolo 7: *** Il Paiolo Magico ***
Capitolo 8: *** Ospedale per ferite e malattie magiche San Mungo ***
Capitolo 9: *** Muthsera ***
Capitolo 10: *** Il Bacio del Dissennatore ***
Capitolo 11: *** Il Cappello Parlante ***
Capitolo 12: *** Il tempo vola quando ci si diverte ***
Capitolo 13: *** Chi ben comincia... ***
Capitolo 14: *** Un nuovo tutore ***



Capitolo 1
*** Strane Lettere ***


Note dell’autore

Quanto state per leggere non è altro che una stesura delle mie idee riguardo ad una serie di ipotetiche avventure che mi avrebbero potuto coinvolgere se da ragazzino avessi ricevuto la famosa “Lettera del Preside di Hogwarts”, perciò il protagonista principale dell’intera storia (che è abbastanza lunga) sarò interamente io, anche se ovviamente riprenderò luoghi, situazioni e personaggi della saga creata dalla penna di J.K. Rowling. Essendo quest’ultima estremamente Pottercentrica (insomma, in 7 libri non è mai successo nulla in cui Harry non fosse coinvolto) ho cercato di allargare il mondo della saga stessa creando una mia mitologia, sottolineando la storia e specificando alcuni avvenimenti che nella saga principale sono dati quasi del tutto per scontati, perciò quello che leggerete è totale frutto della mia immaginazione e non ho preso in considerazione alcuna enciclopedia, almanacco o qualsivoglia “allargatore del lore” ufficiali della Rowling, perciò non scervellatevi chiedendovi da dove ho preso questo nuovo incantesimo, o chi è quel personaggio che lavora al Ministero, poiché è inutile: se quel dato personaggio, incantesimo, luogo, racconto non appare nei 7 libri “canonici” allora l’ho inventato del tutto io.

Poi ho due piccoli ma importantissimi punti da farvi notare: uno riguardante la forma, l’altro il contenuto. Iniziamo:

 

La forma

Sono un semplice ragazzo che è rimasto affascinato dalla saga Potteriana in età adolescenziale, perciò riconoscendone i pregi ed i molti difetti, non riesco a far altro che esser grato all’autrice di aver creato questo mondo e a Chris Columbus e John Williams di avermelo fatto conoscere grazie al loro film e fantastica colonna sonora. Ho voluto puntualizzare su questo per due motivi:

- primo, perché non ho fatto studi, corsi e specializzazioni in scrittura in prosa quindi non voglio dimostrare alcun talento letterario a nessuno, e anzi, se trovate errori di sintassi, logici e grammaticali ditemelo, li correggerò all’istante, perché nonostante l’attenzione con cui riguarderò i miei capitoli prima di pubblicarli qualcosa sicuramente rimarrà, o per distrazione o per ignoranza scaturita dallo scorretto uso della lingua italiana che purtroppo applichiamo nei discorsi di tutti i giorni. Siccome il non essere laureato in letteratura, in lettere o in giurisprudenza non rende meno gravi i miei errori, vi prego di segnalarmi ogni errore e/o bruttura che troverete e se avete dei consigli su un tale passaggio troppo pesante e prolisso o addirittura illeggibile senza una bombola di ossigeno, fatevi avanti!

- Secondo, perché come preciserò nella nota riguardante il contenuto, sarò costretto a cambiare alcune vicende viste nella saga della Rowling perché troppo centrate su Harry e che danno poco spazio alla creazione di un altro personaggio almeno un filino interessante, senza per questo significare che disprezzi il lavoro svolto dall’autrice. Insomma, sono costretto a cambiare alcune fasi, ma non perché mi sento superiore a lei, ecco.

Inoltre vi voglio avvertire che quello che state per leggere non è propriamente un racconto classificabile come romanzo, poiché elencherò una tale marea di informazioni, lezioni di magia, personaggi e situazioni del presente e del passato che in un romanzo fatto come si deve, devono esser necessariamente omessi, poiché a conti fatti non portano per nulla avanti la trama, né servono a qualcosa se non a scoprire qualcosa in più di questo mondo a noi celato ed a renderlo più affascinante e verosimile; insomma, dargli credibilità.

Perciò essendoci a tutti gli effetti una “trama lineare” (il mio personaggio avrà un bel da far durante i suoi anni ad Hogwarts) questa sarà abbastanza diluita a causa della natura diarista del racconto. Non farò dei salti di due mesi scolastici solo per far andare più spedita la trama in pratica.

Ciò non toglie che se la mia storia vi piace e mi chiedete una versione più “romanzesca” non dovete far altro che chiederlo e creerò una seconda versione riveduta e concisa della prima, senza per questo abbandonare la prima versione più dettagliata ma non per questo noiosa (almeno, non noiosa ai superfan come me).

 

Il contenuto.

Come ho già detto prima, sarò costretto a cambiare qualcosa durante il mio racconto. All’inizio saranno piccoli cambiamenti, in seguito saranno più consistenti, perché più avanti si andava nella trama più la saga diventava un Potter - Granger - Weasley vs The World, rendendo impossibile un approccio meno secondario possibile, diciamoci la verità.

Uno dei primi cambiamenti che penso solo i più accaniti si accorgeranno sarà lo slittamento in avanti di dieci anni degli avvenimenti che coinvolgono Harry ed i suoi amici. Infatti Harry inizierà a studiare ad Hogwarts nel 1991, ma io in quell’anno nascevo, perciò non ho avuto altra scelta che spostare tutto negli anni 2000, tanto alla fin fine la Rowling non ha mai riportato avvenimenti “di cronaca babbana” che potessero crear conflitto con la mia decisione. Inoltre vi svelo una chicca: essendo del ’91 avrei compiuto 11 anni solamente nel 2002 e non nel 2001 come dirò nel mio racconto, ma è stato proprio nel 2001 che Harry Potter è entrato di prepotenza nella mia vita e perciò questo piccolo paradosso temporale mi sembra piuttosto poetico ed azzeccato.

Essendo italiano e non inglese leggerete le mie difficoltà nell’ambientarmi nel nuovo Paese, per fortuna mi aiuterà la magia per i primi tempi ma comunque un problema resta: il nome di alcuni personaggi, luoghi, sostantivi ed incantesimi cambiano dalla versione inglese a quella italiana, perciò il mio personaggio udirà i nomi “originali” mentre voi leggerete le versioni adattate in italiano, questo sia per non sforzare chi non conosce i nomi in inglese (Silente addirittura verrebbe tradotto in Dumbledore) sia perché a me piacciono di più le versioni italianizzate (i dissennatori su tutti, direi). Ciò non toglie che in alcuni passaggi sarò costretto ad elencarvi entrambe le versioni se utili per la comprensione di successivi passaggi, prediligendo la versione italiana dei termini in caso di neutralità.

 

Bene, con questo ho terminato il mio biblico editoriale (LOL) e se non vi ho già annoiato a morte con queste mie precisazioni, facendovi decidere che è meglio lasciar perdere, vi auguro buona lettura!

 

 

Strane lettere

 

Era un’estate afosa, insomma, non che le altre lo fossero state di meno, ma ogni estate pare sempre più afosa della precedente nella mente delle persone e questa non faceva eccezione.

Come ogni periodo estivo come si deve lo passavo a far nulla fino alle sei di pomeriggio, poi si usciva a giocare fino alle dieci, undici di sera. A cosa giocare non era mai un problema, se eravamo sotto i sei membri si giocava a nascondino, oppure ci si rincorreva senza nessun motivo per tutta la serata ed io essendo il più lento solitamente facevo la “guardia” almeno 3 volte su 4. Se eravamo in buon numero, invece, si prendeva un pallone e si giocava a calcio, sempre e solo a calcio, non c’era via d’uscita da questo limbo: se eravamo almeno sei, tre a squadra e via col pallone. Non che mi dispiacesse, alla fin fine dare calci ad un pallone e agli stinchi degli amici era stranamente divertente, ma io più degli altri soffrivo la ripetitività della situazione, così una sera vedendo come si stavano mettendo le cose, tirai fuori il mio Game Boy dalla tasca e mi misi a giocare a Pokémon, nemmeno mi fregava più che qualcuno potesse prendermi in giro perché giocavo ad un videogame invece che a pallone. Impensabilmente però, successe l’esatto contrario.

Nemmeno una settimana dopo quasi tutti giù al quartiere avevamo un Game Boy con una copia del gioco dei Pokémon: chi aveva Rosso, chi Blu, chi sfoggiava il suo Game Boy Color con relativo Pokémon Giallo per far crescere l’invidia ai comuni mortali... Insomma, normale amministrazione, c’è sempre il galletto che vuole mostrare che i suoi genitori guadagnano più degli altri e che cerca di farlo ricordare in ogni modo.

Fatto sta che tra scambi, lotte, nascondini, acchiapparelli, gelati e partite a pallone, quell’estate così afosa fu la migliore in assoluto fino ad allora, cosa non di poco.

Le elementari ormai erano finite, l’esame per l’ammissione alle medie lo affrontai senza problemi ed un altro capitolo della mia vita stava per iniziare, perciò prima che mi dividessi definitivamente coi vecchi compagni cercai di restare con loro il più a lungo possibile per tutta l’estate.

Ma il destino aveva altri piani per me, talmente singolari che non avrei mai creduto possibili.

 

Tutto iniziò un pomeriggio verso la fine di giugno: scendendo come ogni mattina le scale, vidi la cassetta delle lettere piena fino a scoppiare. Molto strano, dato che controllavamo la posta ogni giorno; dovevano essere arrivate tutte quella mattina. Citofonai a mia madre per farmi dare la chiave della cassetta, accorgendomi così che le lettere erano solamente due, ma così spesse che riempivano da sole l’intero spazio.

Cosa conterranno per essere così grosse? Speriamo non siano bollette...

Ma non avevano un tono minaccioso: c’era il mio nome impresso sulle buste... Il mio, non quello di mio padre o di mio nonno, ma proprio il mio! Al sig. Emanuele M. Burgio... Così c’era scritto.

Addirittura il puntino sul mio secondo nome, dev’essere importante...

Dovevo assolutamente aprirle, così salii in casa veloce come un furetto e mi lanciai sul letto aprendo le buste nella maniera più delicata possibile...

Depliant. Entrambe contenevano stupidi depliant pubblicitari di una qualche scuola privata che voleva mi iscrivessi nei loro istituti per spillare soldi ai miei. E tanti saluti all’importanza!

Ero così arrabbiato che dovevo sfogarmi con qualcuno:

-Mamma! Vieni a vedere ‘sti cosi!

Mia madre si precipitò in camera mia con una scopa in mano, pensando avessi trovato qualche sgradito animaletto vicino al letto.

-Cosa c’è? Che sono quei volantini?

Era in un bagno di sudore: incredibile come le donne, nonostante portino vestiti molto leggeri, continuino a soffrire il caldo peggio degli uomini.

-E leggili!

Dopo averli letti un po’ si schiarì la gola e mi spiegò:

-Sembrerebbero delle scuole private che ti vorrebbero come studente, ma a quanto ho capito questa azzurra è francese, la Lamesfortes, mentre quest’altra tutta strana è addirittura finlandese, la Falcons Maailman, non so nemmeno cosa diamine significhino. Hai solo 11 anni, non puoi andartene all’estero così giovane, e non sai né il francese né il finlandese, che cosa gli passa per la mente...

-Pensi che anche ai miei compagni siano arrivate?

-Penso di sì, non abbiamo mica fatto domandine o cose del genere, penso che le avranno spedite a tutti quanti: più inviti, più possibilità di capitare il pollo... Che poi cercano polli ricchi, questa qua si fa pagare seimila franchi a trimestre, non so a quante lire equivalgano ma sicuramente sarà un sacco!

Mentre mia madre parlava con la coda dell’occhio mi accorsi che la foto di gruppo dell’ultima pagina faceva strani giochi di luce che, una volta controllata meglio, fu chiaro che non si trattava di uno strano effetto ottico... I ragazzi sorridenti ritratti in quell’immagine si muovevano proprio!

-Mamma, guarda quella foto: si muove!

-Ma cosa dici? E’ vero... Che diavoleria è questa? Se ne inventano una più del diavolo per farti pagare, una foto animata, ma guarda, chissà come funziona...

La cosa non mi convinceva: quel depliant era fatto di semplice carta, non c’era un display dentro... Era evidente che quella foto non fosse normale. Prendendo il depliant della scuola finlandese e leggendo con attenzione trovai la dicitura Scuola di Magia!

Non si trattava di un’altra scuola media o paritaria, ma proprio di Magia! E facendo un po’ più di attenzione, la statua del cavaliere di marmo dell’ingresso dell’elegante cortile faceva ondeggiare lievemente la spada, quasi come per passare tempo mentre io la guardavo e la riguardavo...

-Mamma, anche quell’altro dice che la scuola francese è una scuola di magia?

-Cosa? Scuola per maghi? No, certo che no, che sciocchezze stai... Aspetta! E’ vero, qui, dove elenca i requisiti di ammissione: undici anni, maschio, che ha conseguito il minimo grado di istruzione, cittadino dei seguenti Stati Europei ed... In possesso di poteri magici! Cos’è, uno scherzo?

-Ahahah, non lo so, ma sarebbe fantastico, ti immagini se esistesse la magia? Sarebbe stupendo, per prima cosa imparerei a fermare il tempo, così sparirei dalla vista di chi mi vuole rompere!

-Calma con l’entusiasmo, stasera farò vedere questi foglietti a tuo padre e vedremo di che si tratta realmente... Tsk, magia, che buffonata!

 

Per il resto del pomeriggio restai a letto a leggere e rileggere quei volantini, imparando a memoria tutti i luoghi che apparivano in quelle foto, i nomi dei tizi che studiarono lì in passato e di altri che invece tutt’oggi ci insegnano, le varie lezioni e attività extrascolastiche che è possibile svolgere durante gli anni, gli sbocchi professionali, l’importanza del nome della scuola nel mondo, come fare per pagare per la retta, di cosa si ha bisogno per le materie più impegnative... Sedici pagine stranissime ed ipnotizzanti che nonostante la loro evidente assurdità sembravano quasi vere. Per fortuna nessuno dei miei amici mi chiamò per scendere a giocare, così potei dedicare tutto il tempo a me stesso e non a restare fossilizzato in porta.

A tavola, come promesso, mia madre passò i depliant a mio padre come se lui potesse cambiare ciò che c’era scritto in qualcosa di sensato. Dato che non potè far molto, sospirò e disse semplicemente:

-Beh, che strano eh?

Ed iniziò a mangiare, così, come se nulla fosse...

Io mi sentii un po’ deluso per questa reazione, forse mi aspettavo un’indagine per scoprire se quei foglietti potevano essere seri, ma sinceramente neanch’io credevo ad una singola parola scritta in quei due pezzi di carta, perciò mi misi il cuore in pace e a metà tra il deluso ed il divertito per quella strana situazione fuori dal comune, me ne tornai in camera, sentendo mia madre che in cucina stropicciava i depliant per poi buttarli nella spazzatura...

 

Dlin-Dlon!

Chi diavolo può essere alle due di notte?

Le opzioni erano due: o un gran maleducato o, peggio, un ladro. I ladri non suonavano certo il campanello, ma poteva anche essere una tattica per immobilizzare con un attacco a sorpresa chiunque rispondesse alla porta... Sperai fosse solo uno dei soliti parti della mia mente troppo cinematografica, ma notai che anche mio padre fece più o meno i miei ragionamenti, data la sua evidente agitazione.

-C-Chi è?

-Ehm, signor Burgio? Scusi l’ora ma sa, per quante volte venga in Italia, mi dimentico sempre di come siano poco organizzate qui le città e di come perdersi sia facilissimo. Ma mi faccia presentare, sono ser Richard Uppercut, delegato per i maghi nati babbani, di cui fa parte vostro figlio, dell’ufficio Relazioni Internazionali sottosezione Iscrizioni Paesi Cadetti del Ministero della Magia Britannico, sono qui come portavoce sia del Primo Ministro stesso che del preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts per parlare ed eventualmente convincere lei e vostro figlio ad iscriverlo alla nostra scuola, perciò se mi fa entrare ne parliamo con più calma, nonostante l’ora tarda.

-M-magia?

-Sì signore, magia; penso abbia già dato un’occhiata allo spioncino della porta, sono solo, non porto armi e non ho un adeguato vestiario da scasso, perciò penso che converrà con me che non sia un volgarissimo ladro e mi aprirà gentilmente la porta, no?

Solo un’idiota poteva credere a queste scuse ed aprire la porta nel cuore della notte.

-Ci dispiace, ma siamo in pigiama e non vorremmo...

-Ma si figuri! Qui l’unico che si dovrebbe scusare sarei io e lo farò rubandovi meno tempo possibile, perciò se finalmente apre questa porta possiamo inziare, che ne dice?

Evidentemente imbarazzato per aver trattenuto lo strano individuo fuori casa così a lungo, mio padre titubando aprì la porta e lo fece entrare: abbigliato come l’ispettore Poirot, portava in testa una bombetta ed una giacca di velluto marrone. La camicia che indossava era persino più bizzarra con grossolani pizzi e merletti nelle estremità ed una larga cravatta si perdeva sotto il panciotto. Anche senza ghette o baffi era fuori moda di almeno un paio di secoli, anche se c’era da ammettere che riusciva a trasmettere un senso di eleganza anacronistica che riusciva a tranquillizzarti e a cancellare definitivamente l’ipotesi della rapina a mano armata.

-Oh, ecco il giovane mago! Prego, è tua!

E mi consegnò un’altra lettera intestata a me ma decisamente meno gonfia e più precisa già nell’intestazione delle altre:

Al Signor Emanuele M. Burgio, 6° stanza ad est del 5° appartamento al 3° piano del condomino Tamigi”

E nel retro c’era anche il mittente:

“Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts”

Alla parola magia rizzai lo sguardo verso il signor Uppercut che come se se lo aspettasse mi rivelò:

-Sì, hai capito bene, sei un mago Emanuele!

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Capitolo 2
*** Tempo di addii ***


Tempo di addii

 

-Perciò sarei un mago, eh? Di quelli che sanno fare le magie e che pescano un coniglio dal cilindro, no?

-Beh, potremmo dire di sì… Non esiste un incantesimo che fa apparire un coniglio dal nulla, ma se utilizzi i giusti accorgimenti ci riusciresti, tutto sommato…

Non riuscivo a crederci, ero così scettico che se mi avesse detto che ero un saiyan mandato sulla Terra e lui era mio fratello Radish, forse gli avrei creduto. E a quanto pare anche lo strano tizio se ne accorse.

-Non ci credi ancora, eh? Beh, non sei il primo né sarai certamente l’ultimo nato-babbano a cui devo dare dimostrazioni sull’esistenza del nostro mondo, perciò… Cosa posso mostrarti? Qualcosa di semplice ma strabiliante al tempo stesso… Hai qualche richiesta?

-Se farai volare quella televisione, ti credo all’istante!

-Uhm, no, quell’apparecchio anche se non so a cosa servi mi sembra alquanto fragile, non vorrei romperlo, proverò però con questo vaso in vetro, che anche se dovesse andare in mille pezzi potrei comunque ripararlo... Vuoi vedere?

-Ovvio!

Ormai il dialogo era solo tra me e Richard, i miei genitori erano in modalità ultrapassiva, tanto che mia madre nonostante avesse sentito che qualcosa di terribile stesse succedendo al suo vaso, non proferì parola. Il che rese la “dimostrazione magica” veloce ed efficace.

-Accio vaso!

E come previsto il vaso volò ad una velocità incredibile dal centrotavola alla mano dell’ormai indiscutibilmente uomo magico.

-Fico, quindi basta dire Accio vaso che quello mi corre dietro?

-Non proprio, l’incantesimo è l’Accio, questo sì, ma per usarlo bisogna pensare a quello che si sta facendo, muovere correttamente il polso e soprattutto avere una bacchetta magica come questa.

E mi mostrò con solennità la sua bacchetta, quasi fosse un reperto preistorico al cui minimo tocco si sarebbe inevitabilmente sgretolato.

-Oh, che peccato, avrei davvero voluto provare il mio primo incantesimo adesso! Ma ci provo lo stesso, vediamo se funziona… Accio fiori!

E, contrariamente a quanto disse ser Richard, i fiori schizzarono all’aria schiaffandosi sul soffitto sporcando ovunque. Per mia fortuna mia madre continuò a mantenere il suo religioso silenzio.

-Per le barbe di Merlino e Bacnemyus messe assieme! Un incantesimo eseguito quasi alla perfezione senza l’ausilio di alcun catalizzatore magico! Non avevo mai visto nulla di simile fino ad ora, come ci sei riuscito?

-Ah, allora non serve per forza quel bastoncino per far saltare le cose!

-Si che serve invece, e non solo quella! In qualche modo sei riuscito a modulare quasi perfettamente il flusso magico che possiedi concentrandolo in un unico punto… Ma anche così non si spiegherebbe come tu possa aver finalizzato l’incantesimo: nessun mago senza un catalizzatore, la bacchetta per intenderci, ci riesce senza un minimo di allenamento, al massimo ne vede gli effetti primordiali, e questo in casi di maghi estremamente dotati… L’unica spiegazione che mi sovviene è che per l’eccitazione del momento la tua capacità magica si sia concentrata enormemente per esplodere ed esaurirsi in quest’unico incantesimo, è una teoria assurda ma è l’unica cosa plausibile.

-Non ho capito molto, ma credo che lei pensi che ora che ho scaricato l’adrenalina non riuscirò più a far volare nulla senza bacchetta? Ah, spero di no, Accio mocio!

Sdeng! Tung! Crash!

Dal doppio servizio provennero bruttissimi rumori fin quando non ne apparve un mocio che mi si accasciò inerte ai piedi.

-Beh, almeno con questo potremo pulire il pavimento dalla pozza che s’è creata...

Ma qualcosa mi diceva di aver invece peggiorato la situazione.

-Questa poi... Non so, ne riparleremo una volta arrivati in Inghilterra.

-Aspetti, Inghilterra? Intende forse dire che vuole portare mio figlio così lontano?

Finalmente mio padre interruppe il suo angosciato silenzio, spinto dalla paura di vedermi solo da una cartolina da lì in avanti, magari in una di quelle che si muovono e con me che gli faccio una bella pernacchia.

-Questo è lo scopo della mia visita, ovviamente... Forse non sapete che per un motivo che non vi sto a raccontare, nei paesi mediterranei non esistono famiglie di maghi, perciò una scuola di magia e stregoneria in un Paese come l’Italia non avrebbe alcun senso, perciò i pochi nati-babbani, ossia i maghi che nascono da una famiglia senza poteri magici, sono costretti a scegliere una scuola in un Paese straniero, come la Francia, l’Inghilterra, la Danimarca, la Bulgaria e la Finlandia. Penso che quella di Hogwarts non sia la prima lettera che vostro figlio abbia ricevuto quest’oggi, no? Ebbene, il Ministero della Magia britannico solitamente manda un suo funzionario invece della sola lettera perché per ovvi motivi alla fine i ragazzi decidono quasi sempre di iscriversi ad Hogwarts, così per accorciare i tempi in un colpo solo manda lettera di ammissione, tutore magico legale e allestisce uno spettacolino come quello di poco fa per comprovare l’esistenza della magia e l’appartenenza del figlio a tale mondo anche alle famiglie più scettiche come la vostra... Efficiente, no?

-Sì, ma ciò non toglie che dovrà stare lontano dalla sua famiglia, in un Paese straniero, con persone che parlano una lingua che nemmeno capisce...

-Non si preoccupi di questo, suo figlio studierà l’inglese oltre che le materie propedeutiche dei suoi corsi, nel frattempo, un piccolo incantesimo che sarò io stesso ad insegnare al ragazzo, lo aiuterà a capire e a farsi capire dagli altri nonostante le differenze linguistiche; certo resterà sempre il fatto della lontananza dalla famiglia, ma quello è un passo che affronta ogni giovane mago che si iscrive ad un istituto di magia, e comunque lì si creerà una nuova famiglia, coi suoi nuovi compagni, gli insegnanti e tutto il personale scolastico. Di questo non deve aver timore, personalmente le posso dire che i migliori ricordi della mia vita sono tutti relativi ai miei 7 anni ad Hogwarts.

-Sette anni? Quindi volete portarvelo via per ben sette anni?

-Mettiamo una cosa in chiaro, noi non preleviamo nessuno con la forza. E’ una scuola come un’altra e, se acconsentirete, i moduli di iscrizione sono già compilati in attesa della vostra firma. Se non vorrete procedere con l’iscrizione di vostro figlio a me non recate alcuna offesa o torto, ma così limitereste l’enorme potenzialità di vostro figlio di cui difficilmente riuscirete a perdonarvi. E poi, come ogni scuola di questo mondo, sono previsti periodi di vacanza che sono per l’esattezza ben 18 giorni per Natale e due mesi durante l’estate, in cui vostro figlio può tornare a casa o svolgere attività extracurriculari, spetterà a lui decidere, perciò è ovvio che avrà anche del tempo per stare con la sua famiglia.

-Ok, ma... Che futuro ci attende? Insomma, da adulto mio figlio che cosa farà... il mago?

-Esatto, non è per niente una cosa di cui preoccuparsi, ad oggi suo figlio avrebbe un futuro professionale molto più promettente rispetto agli standard babbani odierni.

-E cioè? A cosa può aspirare?

-Oh, questo dipende da lui e dalle sue attitudini, esiste una così vasta quantità di sbocchi lavorativi che c’è davvero l’imbarazzo della scelta: si va dal semplice funzionario ministeriale che si occupa di un compito specifico come il sottoscritto, o lavori più pittoreschi come l’acciuffa fatture e il sempre più promettente reparto sugli studi dei manufatti babbani che negli ultimi decenni si è allargato notevolmente, data la veloce evoluzione delle vostre tecnologie, per poter riparare tali oggetti ed impianti in caso di necessità. Poi se vostro figlio è un tipo avventuroso c’è la possibilità di diventare un Auror, l’equivalente del vostro corpo di polizia, e perché no, se è uno sportivo nato, potrebbe addirittura diventare un campione di Quidditch; insomma, come vede, la possibilità che rimanga disoccupato è sotto lo zero.

-Wow, cos’è questo Quindici?

-Quidditch, ragazzo, non come hai detto tu... E’ il più famoso sport tra maghi, è molto complesso da spiegare, davvero, adesso non abbiamo il tempo per parlare anche di questo... Comunque vedo che il vostro è un ragazzo curioso, potrebbe perfino interessarsi così tanto al nostro mondo da, chissà, scoprire e divulgare lui stesso degli incantesimi, solo i maghi più curiosi ed intraprendenti riescono in tale impresa.

-Io, davvero, non so che dire, entro quando dovremmo decidere?

-Beh, normalmente avreste fino al 1° di Agosto, ma solitamente per i maghi di un'altra lingua è previsto un corso intensivo di 2 settimane di inglese in una nostra struttura convenzionata a Londra... Quindi temo che dovrete decidere entro oggi. Vi lascio tempo per riflettere, queste sono le carte per l’iscrizione, i nostri contatti per mandare lettere e pacchi a vostro figlio all’interno della struttura e naturalmente gli estremi per il pagamento della retta che non ci crederete, ma nonostante il prestigio della nostra scuola, sono le più basse d’Europa, infatti per il primo anno credo si parli dell’equivalente di 5'348,73 sterline, che non so quanto valgano nella vostra valuta, da pagare anche in due rate all’inizio di ogni semestre, cioè entro il 1° Settembre ed il 1° Marzo. Gli altri anni saranno un po’ più cari, ma se vostro figlio dimostrerà doti e abilità tali da fargli ottenere borse di studio potreste anche non sborsare un singolo zellino. Detto questo, mi congedo finalmente e vi lascio con un’ardua decisione da prendere. Ci vediamo alle sette pomeridiane di domani, mi raccomando, abbiamo poco tempo, fate in modo di avere una risposta definitiva.

Non appena terminò il suo monologo, si rimise la bombetta in testa, salutò con un cenno del capo ed uscì dalla porta, scendendo le scale in maniera alquanto sciolta, quasi per dimostrarci che se i miei avessero accettato di mandarmi in quella scuola anch’io avrei potuto un giorno scendere le scale alla Michael Jackson.

-Mah, che giornata pazzesca, andiamo a letto, decideremo domani sul da farsi, la notte porta consiglio, o almeno spero...

Ci dirigemmo così verso le nostre stanze: anche se erano le 3 passate, non avevo certo voglia di dormire fino al giorno seguente, ma dato che i miei genitori erano sconvolti e qualsiasi tentativo di affrontare il discorso sarebbe stato vano, entrai in camera mia, dove mia sorella continuava a ronfare nonostante il fracasso di poco prima.

Vogliono pensarci, ma pensare a cosa, DEVONO mandarmi lì, non esiste che resti qui a subire pallonate per tutta l’estate... E poi, quanto sarebbe figo sparare magie su tutti? Già, pare fantast...

Caddi in un sonno profondo, non era da me addormentarmi in meno di dieci minuti, ma probabilmente l’eccessiva eccitazione finì per stroncarmi. Il sonno fu talmente pesante che inizialmente a malapena ricordai cosa successe il giorno prima. Ero infatti dubbioso se tutta quella strana vicenda non fosse stata altro che uno strano sogno dei miei o se fosse stato tutto reale, ma mi bastò rivedere la lettera di Hogwarts sul mio comodino, per mettermi il cuore in pace.

Fiuu, tutto vero, per fortuna...

Anche se era mercoledì, notai mio padre in cucina, il che significava che si era dato un giorno di ferie per poter riflettere e parlare a lungo di ciò che avrebbero alla fine deciso: non sapevo se decifrarlo come un segno positivo o negativo.

-Oh, eccoti qua. Dicci, tu cosa ne pensi? Vuoi partire o pensi che stare lontano ti creerebbe problemi? Lo so che di solito vai dai nonni per settimane intere e che l’anno scorso sei stato in campeggio con gli scout per 2 settimane, ma qua si parla di almeno nove mesi l’anno, per sette anni; inoltre una volta entrato in questo “mondo” non ne potrai più uscire, addio vita normale.

Tutte quelle precisazioni mi mandarono in bestia, come era solito ogni volta che mio padre mi parlava. I suoi erano finti discorsi, aveva già sentenziato qualcosa, me ne parlava solo per due motivi: o per convincere me che la sua scelta fosse la migliore, o per auto convincersi di aver deciso la cosa giusta.

-Con questo che vuoi dire? Sai cosa ne penso, no? Io ci voglio andare, non mi interessa se dovrò stare lontano per anni da casa, e poi l’hai sentito quel tipo, no? Tutti i ragazzi che vanno ad Hogwarts lasciano la loro famiglia, è normale...

-Sì, ma stanno sempre in America, un colpo di telefono ed i genitori possono venire a prendere i propri figli...

-La scuola è in Gran Bretagna papà, non in America, e dubito che gente che non sappia cosa sia un televisore usi il telefono.

-Il problema però resta...

Decisi di andarmene, più tempo li vedevo e sentivo le loro idiozie, più avrei rischiato di mandarli al diavolo e giocarmi ancor di più il loro eventuale consenso.

Per scaramanzia e per dimenticare le assurdità che fino ad un attimo prima avevo sentito, mi misi a preparare una valigia con le cose più “essenziali”: la maglietta con Homer Simpson con la pancia in rilievo che mia zia mi regalò qualche mese prima, il Game Boy con un bel pacco di pile di ricambio, le ciabatte che per il campeggio scout avevo dimenticato rendendomi difficile anche l’andare in bagno senza prima indossare gli stivaloni e qualche numero di Piccoli Brividi per il viaggio: non sapevo esattamente con che mezzo saremmo partiti per Londra, ma anche l’aereo avrebbe impiegato qualche ora e per sicurezza, mi sono premunito. Così la valigia era pronta: ai vestiti e alla biancheria ci avrebbe pensato mia madre, non potevo abbassarmi a pensarci da me.

Una volta riguardata però, notai come stavo dando per scontato troppe cose.

Se non vedevano la televisione, i miei compagni maghi non avevano modo di conoscere i personaggi dei cartoni animati, i videogiochi basati sulla cattura di mostriciattoli tascabili e gli sciocchi libri per bambini che parlavano di puerili storie di mummie, alieni e compagnia urlante.

Mi accorsi così di come la mia vita in fin dei conti fino ad allora fosse stata patetica: tutto ciò a cui tenevo o che pensavo fosse divertente, per i maghi non doveva sembrare altro che una misera pantomima. L’unico conforto che trovavo è che c’erano altre sei miliardi di persone che conducevano una vita a metà come la mia, e che almeno io avevo  l’occasione di migliorare e voltare pagina. Questa presa di coscienza non fece altro che rafforzare le mie convinzioni: DOVEVO andare ad Hogwarts, costi quel che costi.

 

Contrariamente a quanto pensavo, già a pranzo i miei avevano preso una decisione, e cioè quella di non prenderla affatto: spettava a me decidere.

-Ci sembra giusto che spetti a te decidere, quindi, cosa vuoi fare? Partire? Mi raccomando, pensaci prima di rispondere, se non ne sei assolutamente convinto non vergogn...

-Sì, voglio partire!

Se nella storia qualcuno avesse mai preso una decisione più velocemente di così evidentemente la domanda era ‘Vuoi diventare ricco e felice per il resto della tua vita?’

-Ok, me l’aspettavo, comunque non posso fare a meno di dirti che se ci ripenserai, basterà che ci contatti e faremo di tutto per farti tornare a casa, ok?

-Si, va be’, ma stai tranquillo che non ci ripenserò.

-D’accordo allora, ora mangia però; prima di partire devi telefonare ai nonni e agli zii e spiegare che stai partendo e che non li rivedrai per un po’, pensiamo noi a dirgli dei particolari, tu salutali solamente, intanto tua madre ti prepara la valigia...

Sentendosi presa in causa, mia madre sentì l’irrefrenabile impulso di dire la sua, che come al solito consisteva in qualche lagna.

-Quella lettera non dice mica che vestiti si deve portare! Se non so dove stai andando e che clima troverai... Dovrai portarti almeno due valigioni, perché io il piumone te lo metto in ogni caso...

 

Così iniziai il giro delle telefonate, che sembrava non finire mai: ‘Poi dicci com’è andata!’, ‘Ora mi diventi inglese!’ i commenti delle mie zie che per fortuna presero tutto alla leggera, forse perché omisi il fatto che andavo a studiare magia e non Shakespeare; ‘Prima passa da noi che ti diamo qualche soldo’ fu invece il terrificante messaggio dei miei nonni. I soldi erano solo una copertura per riempirmi di baci e moine, ma  sapendo come la pensavano i miei sull’importanza degli affetti famigliari, fui costretto ad andarci... Meno male che erano gli unici parenti che abitavano nella mia stessa città, altrimenti la Via Crucis sarebbe durata il quintuplo.

-E che cosa ci vai a fare a Londra? Non ti piaceva qua? Mamma mia, che esagerazione, emigrare per far le medie...

Mio nonno non aveva tutti i torti, senza nominare la magia il tutto sembrava poco sensato.

-Non andrò a studiare proprio a Londra, lì ci starò per qualche settimana, poi andrò in un istituto fuori città... Comunque non ci sono scuole simili in Italia, perciò sono obbligato ad andare là.

-Eh già, cosa stai andando a studiare, magia? Ma va, speriamo che non viene a costare troppo ai tuoi genitori quest’idea scellerata, quante ve ne accontentano, a te e a tua sorella!

Anche se con tono sarcastico, mio nonno fu tanto così dall’azzeccarci, ma per fortuna cambiò subito il discorso.

-Tieni, sono 300.000 lire, sei un bambino intelligente, lo sai che questi sono tanti soldi e non si spendono in giocattoli, no? E non farli vedere a nessuno, mi raccomando. Una volta giunto a Londra cerca subito una banca per cambiarti i soldi, lì usano altre valute, ma questo lo sai già... Dacci un bacio a me e alla nonna, sai che ci mancherai, perché non ti porti quel cellulare? L’hai comprato solo per giocarci?

Smack!!!

Il bacio di mio nonno.

-Ehm, no, m’hanno detto che lì non prende nulla, sai è un castello medievale un po’ isolato, e...

Smack!!!!!!!!

Quello di mia nonna.

-Va be’, ora vado, alle sette mi viene a prendere l’incaricato della scuola e non voglio fare tardi...

Una volta finiti i rituali di separazione, mi sentii più leggero e mi fiondai in camera per vedere che aspetto avevano questi “valigioni” che mia madre aveva minacciato.

Era peggio di quanto mi potessi aspettare: non erano valigie, ma quattro armadi. Ognuna era alta quanto me e larga il doppio, pesava un quintale e nonostante ciò, mia madre cercava ancora borse per casa dove mettere creme solari ed antizanzare.

-Così non si fa nulla, non posso viaggiare con tutta sta roba...

-Stai scherzando? Starai via dieci mesi, e devi portarti l’equivalente di dieci mesi di vestiti e medicinali...

-Si, ma sono già le sette e ancora non abbiamo finito, che figura ci facciamo se ser Richard arriva e ci ritrova a schiacciare valig...

Dlin-Dlon!

Ed eccolo lì come se fosse stato evocato, puntuale come un orologio svizzero.

Parlando del diavolo...

-Salve, è tutto pronto? Avete preso una decisione? Se sì, scusate se sono frettoloso ma ci aspettano fra 15 minuti al Ministero, perciò...

-Ehm, sì abbiamo deciso, vengo, sì, però, eh, ecco...

-Sì?

-Ho con me tanti bagagli che non so come fare a...

-Oh, niente paura, ci serviranno soltanto due valigie, se fate come vi dico in 5 minuti riusciamo a farcela, dai! Signora, riapra tutte le valigie e metta il quantitativo di vestiario per due settimane in quella piccola valigia lì.

Mia madre abbastanza contrariata fece come disse il signor Uppercut, d’altronde aveva dimostrato essere abbastanza organizzato.

-Ottimo, adesso la chiuda e lasci fare a me il resto... Expansio! Ora potete mettere tutto il resto in quell’unica valigia, fate presto e... Ah, per riprendere il contenuto dovrai usare l’incantesimo Accio che ormai conosci, perciò non ci sono problemi.

-Meraviglia, come la borsetta di Mary Poppins!

Un po’ imbarazzato per lo stupido commento di mia madre misi in fretta e furia tutto quel macello di roba e chiusi finalmente la valigia che “magicamente” pesava come se fosse vuota.

-Possiamo andare? Avete altro da fare prima della partenza? Ci sono rimasti 11 minuti scarsi...

-Certo, dobbiamo ancora salutare nostro figlio!

Stavolta capii l’indisposizione di mio padre, fare tutta questa fretta in un addio anch’io lo trovai poco delicato.

-Ciao, campione, comportati bene e fatti sentire sempre, so che non sei di molte parole, ma un ‘Ciao, mi diverto’ o un ‘Mi mancate’ possono andare bene. Abbraccia anche tua madre e saluta tua sorella.

Mia sorella aveva solo 4 anni in meno di me ma ne aveva sempre dimostrati sessanta in meno, era proprio di un’altra pasta, troppo infantile anche per una bambina di 7 anni. Questo essere talmente diversi mi rendeva difficile il mio rapporto con lei, ed il fatto che eravamo di due sessi diversi poi ingigantiva il tutto. Tant’è che me ne uscì con un semplice: ‘Ciao!’

Pensandoci, però, chiesi a ser Richard:

-Signor Uppercut, per caso anche mia sorella è una maga?

-Si dice strega, non maga, comunque non si può dire: se fosse nata in una famiglia di maghi ci sarebbero stati ben pochi dubbi, ma per i nati babbani la cosa è molto diversa. L’induzione magica avviene in coloro che sono predisposti solo con l’adempimento dell’undicesimo anno d’età, quindi fino ad allora non abbiamo alcun segno che una certa persona possieda o meno tali poteri, per questo nei secoli siamo riusciti a suddividere le scuole babbane in elementari e medie, in modo da rendere il trasferimento molto più semplice. Comunque non sono rari i casi in cui più parti della prole di uno stesso nucleo famigliare posseggano poteri magici, quindi perché no, potrebbe essere.

-Sentito? Forse sei una strega, esercitati coi cucchiaini!

Ora che ebbi pure avuto l’occasione di fare lo sbruffone, ero pronto per partire.

-Ok, andiamo!

-Bene, seguimi.

-In gamba, campione!

-Ci mancherai!

-Ciao!

Dopo che ognuno ebbe detto la sua frase di commiato, ser Richard ritornò a scendere le scale come se stesse camminando, una cosa troppo strana da vedere per trattenersi dal ridergli in faccia.

Una volta sotto, sul marciapiede finalmente soli, glielo chiesi:

-Ma come faremo ad arrivare in 10 minuti al Ministero?

-Ora sono 7 i minuti... Soffri di stomaco?

-Beh, la Nutella mi fa venire spesso la diarrea e...

-Benissimo, tieniti forte, si vola!

Eh?

Come preannunciato da ser Richard volammo, o più precisamente, ci spaccammo in mille pezzi contorcendoci come se fossimo all’interno di un tornado: i piedi erano su quella che credevo fosse la mia faccia, il braccio di ser Uppercut mi circondava la vita, ma lo sentivo allo stesso tempo anche sulle caviglie ed i miei sensi a parte il tatto che funzionava pure troppo, erano talmente offuscati da non capire cosa stesse succedendo, né da permettermi di fare congetture.

Solo alla fine di quel viaggio terrificante capii quale fosse la nostra destinazione: un bagno pubblico.

-Oh, eccoci qui, al Ministero!

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Capitolo 3
*** Il Ministero e la magia ***


Mi chiesi se avessi capito bene:

-Ministero?

-Sì, il Ministero della Magia Britannico... Ovviamente questa è solamente un’entrata secondaria – potevo dire di servizio, ma sarebbe stato alquanto inadeguato, data la situazione – ma esiste un ingresso principale davvero faraonico, così come lo sono le sue interminabili code, quindi ogni impiegato preferisce un’entrata meno elegante ma più confortevole... E caso volle che il livello ove è ubicato il mio ufficio è raggiungibile proprio dalla passaporta dei servizi pubblici londinesi. E così faremo noi, mi dispiace che tu non possa vedere la struttura per intero, ma non siamo qui per turismo, abbiamo poco tempo: per la visita guidata faremo un’altra volta.

Non riuscii ad afferrare bene ciò che aveva appena detto, ma non ne capivo il motivo, poi ragionandoci un po’ scoprii il perché: come diavolo si faceva ad entrare in un ufficio da un gabinetto? La risposta era forse la citata passaporta? Stavo per chiedere delucidazioni a ser Richard, quando...

-Ecsc mì!

Un omone tutto sudato in canottiera mi sbatté contro, e come se nulla fosse, continuò nella sua poderosa corsa fino al bagno, sbuffando per lo sforzo quando aprì la porta.

-Ma che cavolo? Che maleducato!

-In realtà ha chiesto il permesso, infatti io mi sono spostato, ma lo ha chiesto in inglese: non l’hai sentito?

-Sì, ho sentito un farfugliamento in effetti...

-Non stava farfugliando, ha detto Excuse me, significa scusatemi o fate largo... Non lo sapevi?

-Sì, ma non avevo capito... insomma, troppo veloce...

-Bhè, dovrai abituarti, non è che ti si potrà parlare solo via spelling... Dai, entriamo che c’è già fin troppa confusione...

E così entrammo, ma prima di noi lo fecero altri due signori vestiti con eleganza retrò come ser Richard e pensai fossero altri maghi. Una volta dentro, mi accorsi che più che un bagno sembrava un ufficio postale il giorno delle pensioni: una quantità impressionante di persone calcavano le fila di ogni singolo gabinetto. Per fortuna queste erano abbastanza celeri a sfoltirsi: una persona entrava nella cabina e dopo una decina di secondi scarsi spariva, dando l’opportunità a chi lo seguiva di entrare e conseguentemente di svanire allo stesso modo. Ogni tanto si sentivano dei lamenti ed in quei casi la fila si fermava bruscamente.

-Oh, nooo!!

Si lamentò all’unanimità la fila alla nostra sinistra...

-Evidentemente il nostro amico babbano è entrato in quella cabina, eheh!

Anche nel riso il mio tutore manteneva compostezza, cosa che non si poteva certo dire dei suoi colleghi che agli scrosci e ai fragori aromatici che provenivano dall’altro gabinetto, dimostravano tutto il loro disgusto.

 

-Ecco, tocca noi.

Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, poi, come se l’avesse trovata, si rivolse a me dicendomi:

-Non vedo babbani attorno, bene, terrò la porta aperta così vedi cosa dovrai fare, ma se intravedo qualcuno con sembianze babbane dovrò immediatamente chiudermi dentro, quindi non metterti troppo vicino o bloccherai la porta.

Così, dopo aver aperto il bagno, si infilò dentro l’angusto spazio e mi spiegò:

-Vedi? Sembra un normale servizio igienico, ma in realtà è una passaporta. Cioè un oggetto magico incantato per far sì che ti trasporti in un determinato luogo. Sfrutta in pratica lo stesso principio dell’incantesimo di Materializzazione che ho usato per portarti qui a Londra, però c’è una grossa differenza:

il Ministero, così come Hogwarts e tutti gli edifici importanti e come tale possibili bersagli per attacchi di malintenzionati, hanno una protezione atta a rinviare qualsiasi cosa o persona voglia introdursi al loro interno senza autorizzazione. Avere la suddetta licenza, però, non è praticamente possibile, dato che gli unici a possederla sono rispettivamente il Primo Ministro ed il preside della scuola stessi, perciò capirai il perché non ci siamo materializzati direttamente nel mio ufficio. Inoltre la smaterializzazione che avviene in questo passaggio, per via della sua brevità, è quasi impercettibile, a differenza del nostro ultimo viaggio di cui si può dir tutto, tranne che sia stato confortevole. Guarda, infilo i piedi qui dentro e poi tranquillamente tiro lo sciacquone: è semplice!

Rabbrividii all’idea di dover farlo anch’io dopo di lui, ma per fortuna ser Richard come se mi avesse letto nella mente, mi rassicurò con altre informazioni.

-Tranquillo, quest’acqua è un’illusione per dare credibilità all’ingresso segreto, come tutto il resto, d’altronde. Vedi questi disegni pittoreschi raffigurati nelle pareti dello stanzino? Bene, non sono certo gli originali disegnati da qualche discolo ragazzino babbano, ma delle fedelissime copie. Questa stanza è accessibile solo dai maghi: toccando la porta si attiva o meno l’incantesimo illusorio che ti permette di accedere a questa versione del bagno, tutto dipende da chi la tocca. Sei un babbano? Entri nel vero bagno, sei un mago? Bene, hai accesso alla passaporta, altrimenti, oltre ai maghi, avrebbero accesso al Ministero anche tutti gli scarichi di questi servizi igienici. Tutto chiaro? Oh, dimenticavo, la sporcizia che vedi purtroppo è vera, perciò ci laveremo per bene le mani una volta usciti dal Ministero, o ci beccheremo qualche infezion... Babbano!

Come aveva predetto, chiuse bruscamente la porta proprio perché un ragazzo in jeans e maglietta militare entrò dall’ingresso principale. Fu in quel momento che una delle domande che avrei fatto a ser Richard ottenne da sola la risposta: come il mio tutore, tutti gli altri maghi si accorsero dell’intruso, così lo fecero passare immediatamente a capofila, in modo che non riuscisse a vedere gli ingressi senza uscita dalle latrine degli altri uomini, poiché troppo impegnato a far i suoi bisogni. Evidentemente la cosa era stata pianificata a lungo, poiché lo stratagemma era impeccabile: il ragazzo non si domandò minimamente il perché nonostante la lunga coda, gli altri lo fecero passare avanti; era un gesto gentile, e prima che qualcuno se ne pentisse, era meglio approfittarne al volo.

-E’ entrato?

Mi chiese ser Uppercut.

-Sì, proprio ora.

-Bene, posso riaprire quindi. Ripeto la domanda: tutto chiaro? Se hai ancora dubbi dillo, sennò dopo che me ne sarò andato sarai da solo.

-Sì, qualcosa in effetti non l’ho capita: se questa è un’illusione, la stanza reale dov’è andata?

-Da nessuna parte, è ancora qui, questa si è semplicemente sovrapposta: è l’unione di due incantesimi, uno espansivo, l’altro illusorio; ora non chiedermi quali sono perché non lo so, non posso conoscere tutti gli incantesimi di questo mondo: il reparto illusioni del Ministero è stato fondato proprio per questo tipo di incanti. Un impiegato dell’ufficio ogni primo del mese è tenuto a controllare ed aggiornare gli incantesimi illusori che tengono aperti questi passaggi, infatti questa firma Yollo qui in alto è nuova, farà parte dell’aggiornamento di questo mese, non mi pare di averla mai vista, qualcuno l’avrà scritta durante il mese di giugno. Ora, hai domande inerenti alla procedura di ingresso?

Il tono leggermente innervosito di ser Richard indicava chiaramente che avrei fatto meglio a mangiarmi tutte le altre domande sulla questione.

-No, metto i piedi a mollo e poi tiro lo sciacquone, no?

-Ecco, era questo che volevo sentire, mi raccomando fai presto o dovrò preoccuparmi.

Così, chiuse nuovamente la porta e dopo aver udito lo scroscio dell’acqua entrai finalmente anch’io. Mi domandai seriamente se quella fosse la stanza reale o illusoria, se la porta mi avesse riconosciuto o se ci fosse stato un errore o addirittura se non mi riteneva un mago. Ma purtroppo l’unico modo per scoprirlo era quello di immergersi fino alla caviglia nel liquame oleastro del water.

Squash, splot, sguack!

Se non avevo vomitato con quel folle teletrasporto fui sul punto di farlo in quel momento, ma per mia fortuna non ero tanto debole di stomaco, infatti non ho memoria di nessuna serata passata al letto con una scodella in grembo in cui rimetterci dentro; non ne ho mai sofferto.

Tirai la corda dello sciacquone come quando si tira la coda ad un toro per farlo innervosire a causa di una stupida scommessa fallita: ero di una lentezza micidiale, ma per fortuna nemmeno mi accorsi dell’acqua che scendeva giù, poiché ero io stesso che in qualche modo mi liquefacevo.

Fortunatamente l’indescrivibile sensazione di sudiciume durò nemmeno un secondo perché mi ritrovai perfettamente asciutto seduto su una poltrona di pelle davanti ad una scrivania presieduta da un tipo anziano e con gli occhialini appoggiati sul naso che leggeva il giornale. Al mio arrivo mi guardo e chiese:

-Pliz?

-E’ con me Winston, è il nuovo studente italiano che sono andato a prender ieri.

La voce era quella di ser Richard, che evidentemente mi aspettava seduto sulla poltrona alla mia destra;  menomale, perché non avrei saputo cosa rispondere.

Così l’uomo di nome Winston con un borbottio tornò alle sue pagine del quotidiano.

-Tranquillo, era Winston, il custode del livello, è suo compito fare domande a chi non conosce, sia per sicurezza che per efficienza. Ti mostro il 5° livello: dove stiamo andando noi ci sono gli uffici minori del reparto Rapporti Internazionali – per inciso, sono minori non perché più piccoli, ma perché non trattano pratiche legate ai criminali stranieri – mentre alla nostra destra c’è il lunghissimo corridoio degli Affari Interni; dietro di noi c’è l’enorme salone per i Congressi Impellenti: è più di dieci anni che non viene usato, ma non dirlo a chi è costretto a pulirlo nonostante tutto, eheh!

Produsse nuovamente quella sua discretissima risata: era visibilmente divertito, ma non apriva mai la bocca sfoggiando un sorriso a 32 denti, a ridere per lui erano gli occhi.

-Eccoci qui, Isabelle, ti presento Emanuele, il mio nuovo pupillo, Emanuele, Isabelle.

-Oh, nas tu mitiu diea!

Ecco, ci eravamo di nuovo: probabilmente conoscevo cosa mi diceva, ma non lo capivo proprio ad orecchio!

-Isabelle, ti ricordo che è italiano, manca ancora di esercizio il ragazzo!

-Oh, souui! Ai masnou ainou ainou!

Per un secondo mi chiesi se mi prendesse in giro con sti aiou ripetuti in continuazione, ma dalla sua espressione trapelava un forte senso di dispiacere, così scartai quella presuntuosa idea.

La giovane donna tirò fuori dalla borsetta la sua bacchetta, se la puntò sulla tempia ed esclamò:

-Logoscomprehendi! Ora mi capisci, piccolo?

-D-direi di sì...

Dopo quell’incantesimo sembrava quasi un’altra persona che parlasse, solo la voce mielosa restò uguale.

-E così hai scoperto come anch’io facevo a comunicare con te e la tua famiglia in una lingua straniera.

-Quindi posso parlare solo alla gente che si spara addosso quest’incantesimo?

-Uhuhuh, no, piccolo, non ce n’è bisogno, basta che lo usi su te stesso e riuscirai a capire e a farti capire da chiunque, noi lo abbiamo su noi stessi perché è una fattura e non abbiamo alcuna autorizzazione per lanciarla su un minore.

-Quindi dovrò subito imparare a lanciarla!

L’idea mi terrorizzava, non sapevo nulla di niente, non avevo bacchetta e nell’usare Accio avevo fatto un macello: non sarei mai stato in grado di lanciare un incantesimo di quel livello...

-Non ce ne sarà bisogno, non appena i tuoi genitori spediranno i documenti in cui mi autorizzano come tuo tutore a tutti gli effetti sarò io stesso a lanciartela; certo, sarebbe utile che la imparassi per conto tuo, in modo da non dover sempre dipendere da me, ma è una fattura mentale, non si studia a scuola, però una simile la si impara al quarto anno e padroneggiata quella, questa sarà una passeggiata. Bhè Isabelle, siamo ancora in tempo per presentare la sua domanda di iscrizione?

-Certo, avete ben 34 secondi per firmare, 33... 32...

-Sì sì, abbiamo capito, non ci badare, sta scherzando, non è vero, basta che la presentiamo entro la mezzanotte di stasera e siamo a norma, quindi c’è tutto il tempo: ricordati, mai firmare nulla prima di leggere attentamente il testo, anche se si tratta di cose sicure come questa. Tieni, leggi e quando vuoi, firma qua.

Mi indicò diligentemente il luogo dove avrei dovuto apporre la mia firma, come se ce ne fosse bisogno: il “Firma Qui” era così grande ed evidente che avrei potuto scrivere il mio già lungo nome per intero almeno sette volte.

-Quando firmerai, firma pure largo, sai tra i babbani non si usano nomi molto lunghi, ma tra i maghi la cosa è diversa, c’è chi ha otto o anche nove nomi, più il cognome! Infatti questo è un modello unico.

Sapevo che mi avevano appena esortato a leggere tutto il testo con attenzione, ma c’erano così tante clausole, che alla fine lessi solo poche righe all’inizio di ogni paragrafo o articolo, e da quello che lessi sembrava tutto a posto: iscrizione all’istituto di magia di Hogwarts; attenersi alle norme ed agli editti di comportamento; la scuola non si assume alcuna responsabilità se venissero infrante tali norme da parte dello studente; il materiale preso in prestito di proprietà della scuola deve essere restituito entro le date di consegna; i docenti hanno la facoltà di segnalare al preside ogni atteggiamento e/o comportamento inadeguato; si può venir espulsi per gravi irregolarità; si possono eseguire incantesimi e sortilegi non previsti dal piano di studi ma nessuno che vada contro alle direttive scolastiche e ministeriali; non si deve arrecare danno a cose o persone, in tal caso si incorrerebbe a sanzioni pecuniarie e/o penali; fino al conseguimento della maggiore età non si può esercitare magia al di fuori degli istituti autorizzati; i genitori o i tutori legali possono aver concesse visite autorizzate solo previa richiesta inoltrata al preside scolastico; gli animali devono essere tenuti sempre in gabbia o nelle loro aree attrezzate...

-Basta!!! Non ne posso più, firmo.

E firmai con la mia bellissima ed infantilissima firmetta da bamboccio.

-Bene, questa è fatta, mentre spedisco questa domandina di iscrizione, leggi lo Statuto Magico: sei tenuto a rispettarlo come mago, se non lo farai, bhè, ne pagherai le conseguenze; non c’è nulla da firmare, col tuo undicesimo anno d’età sei entrato di diritto nel nostro mondo e perciò dovrai sottostare alle sue regole, è meglio che leggi con cura anche questo perché d’ora in avanti si presumerà che tu ne sia a conoscenza. Non è altro che un sunto del nostro Statuto, ma sono pur sempre tre interi fogli di pergamena da leggere. Ora scusami, ma se non la do al corriere prima che esca dall’edificio, sono guai. Locomotor!

Per lanciare quell’ennesimo incantesimo, colpì con la sua bacchetta la busta contenente la mia domandina, la quale si spiegazzò fino a formare un aeroplanino di carta. Poi come mossa da un’impercettibile brezza si mise a planare. Anzi, a volare proprio, non aveva alcuna intenzione di cadere.

-Meglio che la segua, potrebbe perdere tempo bloccandosi in qualche ascensore colmo di gente; tornerò fra pochissimo.

Così tornai al mio mattone di regole e leggi da leggere. Mi domandavo sempre più se la mia vita d’ora in avanti sarebbe stata sempre così: da un lato situazioni inverosimili come un uomo adulto che insegue un aeroplanino di carta, mentre dall’altro un’infinità di nuove regole da scoprire.

-Dai un’occhiata veloce, tesoruccio. Lui fa sempre l’esagerato: quello Statuto elenca situazioni troppo estreme per cui tu possa infrangerne le leggi. Ti faccio una sintesi io: non uccidere, non rubare, non stregare oggetti altrui, non perseguitare, non maledire fino alla morte qualcuno e soprattutto non iniziare una guerra contro il Ministero. Farai qualcosa di tutto questo? Penso proprio di no, quindi ora riposati che dopo aver letto quel regolamento sarai esausto, per l’amor del cielo, hanno solo undici anni questi angioletti, perché caricarli di tutte queste pressioni? Immagino sarà stato già difficile per te lasciare la famiglia, non è vero? Come sei carino! Ah, se solo avessi un figlio come te, non finirei mai di sbaciucchiarlo! Quando arriverà Charlie mi raccomando, fai finta di averlo letto tutto!

E quando finalmente finì di squittire, potei riposarmi. In effetti notai di esser parecchio stanco ora che avevo un attimo per riflettere, ma nonostante tutto se qualcuno me l’avesse permesso, sarei andato a curiosare dappertutto in quello strano luogo dove gli spazzoloni si muovono da soli e gli appendiabiti seguono chiunque porti una giacca.

 

-Psst! Orsacchiotto, vedo il tuo tutore, mettiti in posa!

Subito presi le pergamene e le misi in grembo per esibirmi in un gesto di lettura; avevo più paura di non eseguire gli ordini di quella Isabelle che di dire la verità a ser Richard e cioè che non me ne fregava niente.

-Visto quante regole, eh? Mi raccomando, segui sempre la retta via, continua a leggere, nel mentre parlo con Isa la Bella.

-Che sbruffone! Ma vieni qui, tenerone!

-Cioccolatona!

-Nasin nasino!

-Naso naso!

Brrr... Non riuscivo a credere a cosa stessi per assistere. Certo, la “dolcissima” Isabelle era un bel vedere, ma ridursi così per lei era troppo, soprattutto per un uomo tutto d’un pezzo come ser Uppercut.

-Dimmi Isa... Matthew è tornato con l’altro ragazzo?

-No, purtroppo, è ritornato ieri sera, delusissimo, dicendo che il ragazzino aveva già scelto la Lames Fortes come scuola di magia, che peccato, a quest’ora avrei avuto ben due angioletti seduti in quelle sedioline. Ma gli ho detto di rasserenarsi, non è stata colpa sua, sono cose che succedono.

-Ma non a me!

-Già, non a te, perfettone!

Ormai nemmeno li ascoltavo per quanto mi ripugnavano quei discorsi, tant’è che senza accorgermene avevo letto mezzo foglio di pergamena, così decisi che tanto valeva dare una lettura meno meccanica; così facendo scoprii una cosa che mi addolorò molto: era vietatissimo rivelare la magia ad estranei babbani, neanche ai migliori amici, questo quindi escludeva degli show magici durante i compleanni, che sfiga!

Dopo averci rimuginato un po’ però mi accorsi di non aver salutato nemmeno uno dei miei amici prima della partenza e che quindi ai loro occhi sarei apparso come un gran maleducato. Altro che intera estate in loro compagnia! Tutti quei cattivi pensieri mi resero ancor più intollerante ai loro discorsi, così mi alzai di scatto e sbattei quei fogli sulla scrivania della “cioccolattona” dimostrando tutta la mia impazienza.

-Messaggio ricevuto, andiamo ora, ci vediamo Isabelle, saluta Isabelle, ciao ciao zia Isabelle!

Pure zia ora era diventata?

-Ehm, salve signora!

-Che cattivo che sei, l’hai messo in imbarazzo, poveretto, ciao Emy! Divertiti ad Hogwarts! E vienimi a trovare appena puoi! Anche solo per quattro chiacchiere, sarai sempre il benvenuto!

Ottimo, un diminutivo così femminile nessuno me lo aveva mai dato, nemmeno mia madre che soleva esprimere il suo amore con squittii che sfioravano gli infrasuoni quando ero in età prescolare.

 

Mentre ci avviavamo verso non so dove, ser Richard riprese l’imbarazzante argomento:

-Presumo tu abbia sentito i nostri frivoli e vezzosi discorsi, ma quello che ho fatto è solo a scopo ehm, professionale, infatti oltre al fatto che così lego con la mia collega d’ufficio per un sempre più ehm, proficuo rapporto di lavoro, mi sono anche preso la libertà di informarmi della presenza o meno nella tua futura scuola di un tuo connazionale, ma come avrai sentito... Peccato, avere qualcuno con cui poter legare fin da subito poteva essere d’aiuto, ma non ti preoccupare, le amicizie le farai sicuramente.

Pian pianino riacquistò il suo colorito naturale sbiadendo qua e là il rossore che nemmeno lui seppe celare.

-Dov’è che andiamo ora?

-All’uscita ovviamente, dobbiamo andare al collegio per farti seguire il corso di lingua inglese, ricordi?

E così entrammo insieme ad altre sei o sette persone in un antiquato ascensore con una decina di maniglie prensili sul tetto.

-Dove andate colleghi? Pian terreno?

-Pian terreno!

Risposero alcuni, altri dissero terzo e settimo livello, ma a quanto pare la regola della maggioranza prevalse ancora una volta ed un signore con sciarpa, guanti e berretto di lana in pieno luglio premette il pulsante G. [Ground in inglese]

-Tieniti forte ora, che si balla!

Swisss!

Come c’era da aspettarsi, quell’ascensore non era affatto un ascensore normale, ma si mise a viaggiare alla velocità della luce nelle 3 dimensioni possibili, rimescolandomi tutti i fluidi corporei, incluse le feci mi sa.

Improvvisamente il mondo finì di girarmi attorno e le sbarre dell’ascensore si aprirono. A quanto pare non eravamo ancora a piano terra, poiché nessuno, noi compresi, scese dalla gabbia, ma invece salirono a bordo un paio di aeroplanini stregati.

-Anche i foglietti prendono l’ascensore?

-Certo, sennò come vai agli altri piani? Attento che si riparte!

Non appena si richiusero le sbarre, l’ascensore ritornò ad impazzare su e giù, avanti e indietro, a destra e a sinistra prendendosi la libertà di andare anche in diagonale e nei due sensi quando ne aveva voglia. Il problema fu che stavolta non riuscii ad afferrare in tempo la maniglia messa intelligentemente ad un chilometro d’altezza, così quest’ultima parte del viaggio la dovetti affrontare sbattendo addosso ai miei compagni di viaggio che per fortuna erano tanti.

-Arrivati! Tutto bene? E’ elettrizzante la prima volta no?

Come no, quando faceva così mi veniva una gran voglia di picchiarlo sul grugno...

 

Tutto indolenzito seguii il mio tutore che fresco come una rosa mi aveva distaccato già di una decina di metri e quando se ne accorse con tono addolorato mi disse:

-Mi dispiace, ma la prossima parte del viaggio continuerà ad essere turbolenta. Consolati però, avrai ben due settimane per riprenderti da questi scossoni.

Eccome no, probabilmente per uscire da questo manicomio ci dovremo buttare sul fuoco!

Mai nessuna battuta sarcastica si rivelò esser più vera di quella.

-Eccoci nella Hall principale, grandiosa, vero? Se vuoi lì c’è un chiosco che vende ottimi gelati al Kyactus, pungenti al punto giusto, oppure possiamo fermarci a fissare la statua della fontana, ha ispirato vari artisti nelle loro opere più belle, sai? Guarda e scegli pure cosa fare: ora abbiamo tutto il tempo che vogliamo!

In effetti cose bizzarre e belle da vedere ce n’erano a bizzeffe, ma la cosa che mi premeva al momento era sapere quale altra tortura fisica mi attendeva prima di uscire da lì, ser Richard non poteva certo aspettarsi che dopo avermi anticipato ciò che mi aspettava, me ne sarei rimasto zitto e tranquillo.

-In realtà più che altro vorrei sapere come intendi farmi uscire dal Ministero e perché sarà doloroso.

-Non ho affatto detto che sarà doloroso, ho detto che non sarà piacevole, questo sì. Vedi ci sarebbero due modi: o usciamo dall’ingresso principale, sempre che ci riusciamo, così saremo direttamente al centro di Londra e a quel punto dovremmo farcela a piedi fino alla nostra destinazione, dato che non potremo materializzarci davanti a tutti quei babbani; oppure usiamo la metropolvere che ci porterà a destinazione in un batter d’occhio.

-E cos’avrebbe di terribile questa metropolvere?

-Ah, di suo nulla, il problema è che quando viene utilizzata ha la tendenza di avvolgere tra le fiamme il viaggiatore; fiamme che non bruciano certo, ma la sensazione per chi non è abituato è comunque sgradevole.

Era da ammetterlo: quel giorno la mia immaginazione venne battuta otto a zero dalla magia, un bel cappotto, non c’è che dire.

-Ok, siccome non ho nessuna fretta di finire abbrustolito, mi guardo in giro.

-Prego, io invece mi leggerò la Gazzetta in santa pace, se mi cerchi, sarò seduto là, a quel tavolino.

Una volta solo, mi guardai intorno, osservando fin nel più piccolo dettaglio qualsiasi cosa che capitasse sotto i miei occhi, c’era davvero di tutto.

Tanto per cominciare, le dimensioni di quell’atrio erano impressionanti: largo come una piazza all’aperto di una capitale europea ed alta almeno una sessantina di metri, poteva ospitare un’intera colonia di elefanti indiani messi in parata ed uno sopra l’altro. Il problema sarebbe sorto però non appena qualcuno di quegli elefanti si fosse mosso, poiché superati i tre metri d’altezza, le pareti non erano più fatte di mattoni o di qualsiasi altro materiale fossero fatte, ma di vetro. Vetro riflettente che permetteva all’enorme figura del Primo Ministro (almeno pensai si trattasse di lui) di fare quattro passi quando ne avrebbe avuto voglia. Se c’era una cosa che avevo capito dei ritratti magici da quei volantini delle scuole straniere era che ai modelli non piaceva affatto rimanere fermi a farsi ammirare; diavoli, nemmeno la statua della scuola finlandese ci stava, figuriamoci una persona in carne ed ossa.

-Che sagoma, eh? C’è chi lo difende dicendo che come Primo Ministro ha il dovere di sembrare autoritario ed intransigente, ma io lo conosco bene: si è messo in quella maniera perché gli avevano chiesto di mettersi in una posa regale e guarda come s’è messo! Sembra che gli abbiano appena detto che ha perso alle elezioni, bah!

Ser Richard, nonostante potessero sentirlo in almeno duecento lì dentro parlar male del suo datore di lavoro, non se ne curò e per dirmelo gridò così forte da sentirlo forte e chiaro da quella distanza. Io mi guardai intorno, ma sembrava che nessuno lo avesse sentito, tranne una vecchia signora poco dietro di me che però non capì da dove provenisse la voce.

-Tranquillo, qui la gente è così occupata a pensare agli affari suoi che nemmeno ti stanno ad ascoltare: quasi nessuno viene al Ministero per passarci la giornata, ci si stressa troppo.

In effetti, bastava vedere cosa successe a quella vecchietta che per cercare la fonte di quella voce venne travolta da decine di borse e ventiquattrore che la colpirono senza pietà da tutte le parti, per accorgersi del menefreghismo della gente.

-Le do una mano, signora?

Chiesi nella maniera più gentile che potevo, mi fece troppa pena.

-Oh, yes diarr... Meibi didiiu nou...

Eccoci, ci risiamo...

-Ehm no, signora, non lo so, ma quell’uomo seduto lì a quel tavolo probabilmente lo saprà, lavora qui da tanti anni.

E gesticolando un po’ goffamente, la mandai dal mio tutore: d’altronde era colpa sua se la signora era stata travolta da quegli automi umanizzati.

Anche se volevo godermi la scena, mi girai facendo finta di nulla per evitare di essere scoperto e tornai ad osservare il panorama. C’erano delle mensole a rotelle che correvano qua e là lungo la sala e che due volte su tre finivano per sbattere contro qualcuno che passava nel loro percorso; poi c’erano interi stormi di aeroplanini che sostavano in attesa dell’ascensore da prendere ed altri che libravano in aria per cadere nell’occhio dell’ignaro funzionario a cui evidentemente erano stati spediti: avevano una mira impeccabile, beccavano sempre l’occhio destro. Di spazzoloni incantati che pulivano e lucidavano il pavimento ce n’erano a bizzeffe, ma nonostante tutto a terra era quasi ovunque sudicio, il perché era facile intuirlo: i maghi andavano e venivano da uffici in cui pioveva, sale d’aspetto con annessa zona verde amazzonica e più in là c’erano i terribili camini in cui mi sarei dovuto carbonizzare di lì a poco. Anche entrare nelle cabine radiofoniche non era certo semplice dato che i portelli avevano l’abitudine di chiudersi sul naso di chi volesse utilizzare l’apparecchio.

Inoltre, ovunque era tappezzato di volantini di un ricercato, stile Far West, con tanto di scritta “Wanted, Dead or Alive”. Anche il nome sembrava tipico di un brigante da saloon: Sirius Black, il pistolero di Los Palacios. L’unica cosa che era nettamente diversa da un volantino dei film di Sergio Leone era che qui il ricercato urlava e si dimenava come un ossesso, quasi fosse indemoniato, il che in qualche modo spiegava il motivo di tale accanimento mediatico.

Ma la cosa più sorprendente di tutte era in effetti la fontana: tutta d’oro, rappresentava un mago, una strega, un cosino brutto e gobbo, un altro mostriciattolo piccolo ma più grazioso a vedersi ed un centauro muscoloso ed abbastanza incazzato. Cosa stava a rappresentare era difficile dirlo, ma se fu costruita solo per fare effetto, bhè, ci riusciva alla grande.

-Me l’hai mandata tu, non è vero?

-Chi?

-La signora Barrow, non nasconderlo...

-Non so di cosa tu stia parlando, comunque ho visto abbastanza, possiamo andare!

-Va bene, seguimi.

-Lo so dove sono i camini, di là!

E mi avviai senza aspettarlo, in modo da dimostrargli che non dovevo dipendere per forza da lui per ogni cosa.

-Esatto, e saprai pure che si trovano vicino l’ingresso principale, e che all’ingresso ci sono le guardie, e che siccome non sei stato registrato, se ti beccano finisci male...

-Azz, questo non lo sapevo.

-Lo supponevo, stammi vicino allora, almeno se qualcuno ci vede capirà che sei con me e non farà domande.

Siccome a tali minacce non si può far altro che obbedire ciecamente, gli rimasi il più vicino possibile.

 

-Ecco il camino della metropolvere!

-Ed ecco la polvere fiammeggiante!

Presi in mano una manciata di quella polverina verdognola per osservarla più da vicino, ma non sembrava proprio che avrebbe preso fuoco.

-Si chiama polvere volante e ora ti mostrerò come si usa. Innanzitutto entri là dentro, poi dichiari chiaramente la tua destinazione – ovviamente essa dovrà avere un camino come questo per arrivarci – e getti la polvere ai tuoi piedi con decisione, così ti trasporterà dove hai richiesto. E’ semplice, gratuito e soprattutto sicuro, dato che a differenza delle passaporte sei tu che decidi dove andare e non lei, quindi è indirottabile. Come al solito vado io per primo e tu mi seguirai immediatamente, mi raccomando la nostra destinazione è “Petalo Blu, a Londra”, ripeti?

-“Petalo Blu, a Londra”!

-Ottimo, se dirai così non ci saranno problemi e ci rincontreremo dall’altra parte, capito? Dai, ora guarda come faccio io.

Anche ser Richard prese la sua manciata di polvere volante, si infilò nella canna del camino ed esclamò:

-“Petalo Blu, a Londra”!

Buttò ai suoi piedi quella polverina verde, che, al contatto col suolo, divampò in un’altissima e luminosa fiammata verdecerulea che lo divorò in un istante. Al suo spegnimento, di ser Uppercut non rimase più nulla, se non una chiazza di fuliggine dalle dimensioni delle sue scarpe.

Alla faccia, e devo farlo anch’io?

Siccome non avevo altra scelta, mi sistemai nell’esatto punto in cui si era messo ser Richard e balbettai:

-“P-Petalo Blu, a-a Londra”!

Chiusi gli occhi, gettai la polvere ai miei piedi e sentii un forte fischio alle mie orecchie, seguito da un formicolio dappertutto specie nelle braccia e nella faccia ed infine precipitai...

 

 

Piccola curiosità:

La signora Barrow mi chiese:

- Oh, si, grazie giovanotto... Sapresti dirmi dove lavora il signor Rupert Grovenbump? Mi è stato detto di andare al suo ufficio o la mia gatta verrà sequestrata ed io non posso....

 

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Capitolo 4
*** Lezioni di vita ***


Wossh!!!

Non appena riottenni i cinque sensi, mi ritrovai in terra con le gambe all’aria ed il sedere poggiato su qualcosa, forse si trattava di un muro. Pensai di averci sbattuto contro, dato che mi dolorava il fondoschiena. Inoltre c’era il problema che non capivo dove mi trovassi, era tutto nero intorno a me, al massimo riuscivo a vedermi le mani che cercavano un appiglio a cui aggrapparsi. Dopo essermi rimesso in piedi e aver fatto mente locale capii perché era tutto così scuro: era fuliggine mista a polvere che sparsa nell’aria non faceva vedere ad un palmo dal naso. Ora che si stava diradando iniziai a vederci qualcosa in quella penombra: c’era un bancone di legno con gambe di metallo proprio di fronte a me; dietro e a sinistra avevo davvero un muro di mattoni, il quale presentava una chiazza più chiara dalle dimensioni delle mie chiappone, indice del fatto che ci ho sbattuto proprio come mi ero immaginato; mentre alla mia destra intravidi in lontananza il camino dal quale ero fuoriuscito. Era davvero lontano, almeno una quindicina di metri, il che significava che la mia lunga scivolata da vedere fu proprio...

-Un magnifico spettacolo!

Clap! Clap! Clap!

A quanto pare ser Richard s’era proprio divertito nel vedermi sgusciare a gambe all’aria.

-Porto ogni anno studenti in questo posto via metropolvere, ma tu hai stabilito un nuovo record di scivolata libera, e non solo: col tonfo che hai fatto hai sollevato un’impressionante quantità di polveri e micro particelle dannose alla nostra salute da meritare anche il premio “Miglior Proiettile Umano”, complimenti davvero!

-Oh, caro, ti sei fatto male? Ma guarda che modi, vallo ad aiutare invece di prenderlo in giro!

A quanto pare, c’era pure una donna con lui: se già prima mi sentivo in imbarazzo, ora volevo morire.

-Aspetta, non ho ancora finito. Devo ancora calcolare la velocità con la quale s’è schiantato sul muro, in maniera da poter grossolanamente prevedere per quanto ancora sarebbe scivolato se non fosse stato fermato; così ad occhio direi altri dieci, dodici piedi!

-Ihihih, che scemo che sei, dai su, vallo ad aiutare!

Pensai proprio che l’immagine che m’ero sino a quel momento fatta del mio tutore fosse del tutto sbagliata: era evidentemente un femminaro D.O.C.! Per di più riusciva a far colpo su tutte, e a farle ridere anche se il motivo dell’ilarità era un povero bambino dolorante e sporco di cenere fino al midollo.

-Pensi che con questa siamo pari? Ti sarai divertito nel vedermi con la signora Barrow, eh?

Che carogna! Vendicarsi di uno scherzo fattogli da un ragazzino di undici anni!

Un genio del male, non c’è che dire ed io di fronte a tanta perfidia non riuscivo a far altro che ridere, anche se la vittima dell’affronto ero io stesso.

-Ahahah! Che stronzo!

-Shh! Non davanti ad una signora! Comunque fai bene a ridere, bisogna sempre ridere di queste situazioni, così ti rimarrà per sempre come un felice ricordo. Non credere che al mio primo viaggio con la polvere volante non mi sia schiantato su qualcosa! Certo, ero più giovane e molto più aerodinamico di te – avevo solo cinque anni – ma scivolai così lontano dal camino che i miei per un momento credettero che avessi sbagliato destinazione, dato che non mi videro arrivare più. Se ci ripenso, mi vien ancora da ridere... Certo che tu però hai fatto un bel tonfo!

Mi sistemò la maglietta spolverandomi con sufficienza e finalmente passò alle presentazioni:

-Rose, ti presento il mio nuovo incarico, Emanuele: è italiano e fa sempre un sacco di domande. Emanuele ti presento Rose Kettleblack, proprietaria di questo splendido negozio di fiori, nonché mia personale amica. Salutala e chiedile scusa per il disordine che hai combinato.

-Mi scusi, signorina, non volevo... non sapevo...

-Oh, fa nulla, ogni anno il tuo tutore me ne manda sempre qualcuno e finisce quasi sempre così, stavolta è stato solo un po’ più fuligginoso del solito, ma la colpa è anche mia che non dedico mai abbastanza tempo a quel camino, sai lo uso così poco che me ne dimentico a volte. Infatti a parte qualche serata insolitamente gelida, non lo accendo mai, ai fiori ovviamente piace il fresco. Lo tengo più che altro per gli spostamenti dei ragazzi di Charlie.

A quanto pare anche lei lo chiama Charlie, eheh!

-Ti ho condotto qui perché il suo negozio è proprio di fronte al tuo collegio, dove da questo pomeriggio inizierai le lezioni. Guarda fuori la vetrina, lo vedi? Grazie alla metropolvere siamo arrivati subito!

In effetti, l’edificio che si vedeva al di fuori di quel negozio, aveva tutta l’apparenza di essere una scuola privata abbastanza esclusiva: un grande cancello in ferro battuto, ampio cortile con aiuole coloratissime anche in piena estate, alti alberi piantati appositamente per creare una naturale zona d’ombra alle panche di legno situate sotto i loro rami per ore di piacevole lettura ed infine una rampa che rendeva l’ingresso della scuola accessibile anche ai meno fortunati obbligati su una sedia a rotelle. Il tutto nel bel mezzo di Londra. Il problema è che ogni cosa sembrava fin troppo immacolata, il che significava due cose: o la scuola era recentemente incorsa in una bella ristrutturazione, oppure...

-Non ti emozionare troppo: in quei giardini non riuscirai a mettere un singolo piede, te lo assicuro. Non ne avrai il tempo, avrai così tante cose da imparare e ripetere in sole due settimane che al di fuori delle pause per i pasti e per dormire, avrai ben poco tempo libero, figuriamoci pensare di poter leggere sotto gli alberi. In compenso quando arriverai ad Hogwarts avrai tutto il verde che desideri, addirittura poco fuori le mura della scuola c’è un’intera foresta di betulle, conifere e sempreverdi. Ora, ritorniamo coi piedi per terra e aiuta me e Rose a pulire il negozio.

Neanche a dirlo, aveva già pronta in mano una scopa che mi passò in maniera gioviale, come se mi stesse passando qualcosa di piacevole.

Così tutti e tre iniziammo a spolverare e successivamente a passare panni e spazzoloni, per lavare e sgrassare tutta quella fuliggine che avevo sparso un po’ ovunque. Quando – dopo mezz’ora abbondante – finimmo di pulire il pavimento, ser Uppercut mi fece cenno di allontanarmi dalla zona del camino ed esclamò:

-Descumblius!

All’interno della canna fumaria si formò un vero e proprio uragano in miniatura: milioni di particelle di pulviscolo e fuliggine turbinarono vorticosamente per poi sparire nell’atmosfera.

-Uao! E perché non l’hai fatto prima? Potevamo risparmiarci tutta la fatica!

-A spazzolare in terra non ci vuole nulla, il camino richiedeva molta più competenza di quanto ne avessimo entrambi, perciò non ho avuto scelta, se non avessi usato la magia avremmo sicuramente peggiorato la situazione. Per quanto possibile bisogna evitare di usare la magia se non è strettamente necessario: non bisogna mai dipendere da essa per ogni minima cosa, altrimenti in situazioni particolari come in mancanza di bacchetta o esposto ad una folla babbana non sapresti cosa fare, anche quando il problema sarebbe di immediata soluzione. Capito?

-Sì, in effetti hai ragione, ma nel mio caso non c’è bisogno di tali lezioni: ho spolverato senza l’ausilio della magia per undici anni, non credo che dimenticherò poi così facilmente come si fa.

-E’ solo un esempio dato in generale, ovviamente vale anche per altro.

-Però scusa se te lo chiedo Rose, ma come mai non hai pulito tu stessa il tuo camino visto che non ci vuole nemmeno un secondo a farlo? Non conoscevi questo incantesimo? Avremmo evitato tutto questo...

-Ecco, sì che lo conoscevo, però, ecco, io non...

-Tranquilla Rose, ci penso io. Te l’ho detto che fa sempre un mucchio di domande, no?

Non seppi immediatamente il perché, ma l’atmosfera si fece immediatamente gelida non appena posi quella domanda. Perfino gli occhi del mio tutore nascondevano una sorta d’imbarazzo improvviso. Solo dopo ne capii il motivo.

-Vedi Emanuele... Rose, la qui presente stupenda, dolcissima, intelligentissima e dotatissima donna che ho al mio fianco, non è una strega. Nonostante sia nata in una famiglia di streghe e maghi, purtroppo lei non ha ereditato alcun potere magico e questo ovviamente le impedisce di cimentarsi anche nei più semplici incantesimi. In effetti è il tuo esatto opposto: tu sei nato babbano, ma all’undicesimo anno di età si sono risvegliati i tuoi poteri magici, a Rose, purtroppo, anche se figlia di due genitori entrambi maghi, no. Infatti ho dovuto lanciare io stesso Logoscomprehendi su di lei, perché da sola non ne è in grado. Per fortuna questi casi sono più unici che rari ma la tradizione ha purtroppo inferto a queste persone un nominativo a dir poco dispregiativo, ma che nonostante tutto viene ugualmente utilizzato universalmente come termine ufficiale, e cioè magonò. Capirai benissimo come sia difficile vivere una situazione del genere: spesso le famiglie vedono questo avvenimento come una sorte di maledizione infertagli da qualche nemico o dall’anima turbata di un antenato e non sono pochi nella storia i casi registrati di genitori che abbandonavano, segregavano o addirittura uccidevano i propri figli maghinò.

-Ma non è il mio caso per fortuna! In famiglia sono stata e sono tutt’ora amata tantissimo. Sono la seconda di cinque figli e l’unica ragazza della famiglia, perciò i miei fratelli mi hanno sempre voluto bene: mi hanno insegnato un sacco di cose sul mondo della magia, mi hanno prestato i loro libri, le loro attrezzature, mi hanno mostrato incantesimi e creature magiche e naturalmente mi hanno scagliato qualche fattura brufolosa per dispetto. I miei genitori non sono stati da meno: mio padre mi ha sempre portato a lavoro al Ministero quando glielo chiedevo, mentre mia madre si faceva aiutare in cucina e in giardino anche se non avrebbe avuto bisogno del mio intervento.

Mi sentii uno schifo, la mia curiosità unita alla mia boccaccia mi avevano nuovamente cacciato in una situazione di astronomico imbarazzo; non sapevo più cosa dire, né cosa fare.

-Ma cos’è questo silenzio? Suvvia, non è morto nessuno! Vivo il mio essere maganò in maniera assolutamente tranquilla e mai nessuno me l’ha fatto pesare più di tanto, perciò non essere triste per me ragazzino, ma piuttosto pensa a coloro che magari non sono nati in una famiglia comprensiva come la mia.

Questo non mi sollevò più di tanto il morale o diminuì la vergogna che provavo, ma almeno l’imbarazzante silenzio si interruppe.

-Perfetto, ora che tutto è al suo posto io ed Emanuele ci avviamo, se indugiamo ancora perderà il pranzo già pagato della sua nuova scuola e non si voglia che muoia di fame il curiosone. Saluta Rose e andiamo, che è tardi!

Nonostante fossi del tutto pulito, mentre mi avviavo verso l’uscita del negozio, scrollai lo stesso la maglietta perché sentivo come se avessi ancora addosso tutta quella polvere. Una volta all’aria aperta dissi:

-Arrivederci signorina Rose, e ancora mi scusi tanto sia per il camino che per la storia dell’incan... bhè, insomma...

Tanto per cambiare, mi stavo infilando nuovamente nell’imbarazzo più nero.

-Ihihih! Non fa niente, davvero, smettila di arrossire e torna sereno. Il più piccolo dei miei fratelli, Osmund, è ancora ad Hogwarts, farà il quinto quest’anno, ma sicuramente vi conoscerete, è spavaldo, ma simpatico. Fate amicizia, mi raccomando!

-Io intanto prendo questa bellissima rosa azzurra che tanto ti somiglia, per portarti sempre con me: così se non direttamente tu, almeno un tuo fiore potrà seguirmi nelle mie strampalate missioni. In cambio, dopo che avrò accompagnato Emanuele all’istituto, ti porterò del buonissimo gelato ai frutti di bosco, come piace a te, per ricambiare tutta la disponibilità e la gentilezza che come sempre mi riservi.

E con una strizzatina d’occhio ed il suo solito cenno del capo, uscì. Rose era diventata talmente rossa in viso che più che ad una rosa azzurra in quel momento assomigliava ad una scarlatta.

Ci sa davvero fare con le donne, nessun dubbio in merito. Gli cadono letteralmente ai piedi.

 

Mentre aspettavamo che il semaforo diventasse verde per consentirci di attraversare la strada che ci separava dalla nostra destinazione, Charlie il marpione mi diede delle dritte:

-Cerca di evitare d’ora in poi di fare troppe domande, specie quando queste riguardano gente che non conosci. Alla tua età è normale cacciarsi in situazioni delicate a causa della propria curiosità, ma col tuo modo di fare invece che di uscirne alla svelta, finisci per infilare il dito nella piaga, in pratica entri nel panico e invece di cambiare discorso continui farfugliando scuse poco convincenti. Inoltre, cerca sempre di essere galante con le donne: anche se alcune sono piuttosto mascoline, la maggior parte rimane comunque dolce e delicata, hanno bisogno di sentirsi importanti, desiderate ed indispensabili, ma stai attento: mai assillarle. Credimi, se una donna diventa tua amica, quella sarà un’amicizia sincera, a differenza delle amicizie tra uomini che spesso si instaurano solo per convenienza. Cerca solo di non tirare troppo la corda, altrimenti le fai invaghire enormemente di te e la situazione potrebbe diventare bollente, specie se la spasimante è una strega capace di maledirti, eheh. Certo, all’inizio sono petulanti, sempre inviperite, condottiere e si sentono superiori, ma superata la soglia dei quattordici anni, sfogano le loro frustrazioni sui genitori, sugli insegnanti e sui loro ragazzi. Se non fai parte di nessuno di questi gruppi, allora potrai fartele amiche e da quel momento in poi non avrai più problemi, te l’assicuro. Naturalmente ti parlo per esperienza personale: una mia compagna di banco, nonostante siano passati svariati anni da quando abbiamo lasciato Hogwarts, mi aiuta sempre nei momenti di bisogno. Ora è addirittura diventata segretaria di un membro del Wizengamot, la corte magica. E’ il primo passo per diventare qualcuno di veramente importante al Ministero. Credo che se un giorno le chiedessi di fare qualcosa per una mia promozione, il giorno dopo sarei dirigente. Eh sì, le amicizie, specie quelle nate durante l’adolescenza sono importantissime, cerca di ricordartelo.

Finita l’estenuante paternale, finalmente si decise a suonare quel campanello che ormai fissavo da ore: “Mrs. Langdon’s  Boarding School – Learn english in a fast, effective and satisfying way!”

-Sai cosa c’è scritto? Riesci a capirlo?

-Più o meno... La maggior parte dei termini non li conosco, ma posso intuirli perché simili all’italiano. Penso che dica così: “Scuola Boarding della signora Langdon” questo è un genitivo sassone, lo riconosco. Poi continua con: “Impara l’inglese in modo fast, effettiv... No, efficace e soddisfacente!” Ci siamo su per giù?

In realtà sapevo che non c’ero per niente, ma fare lo gnorri era l’unica cosa soluzione che mi passasse per la mente in quel momento.

-Qualcosa allora la sai, non dovrai cominciare proprio daccapo. Mi sa che nelle lezioni di oggi pomeriggio e di domani mattina ti annoierai un pochino, ma un bel ripasso ti farà senz’altro bene.

-Aloouu?!

-Salve, siamo il signor Uppercut ed il giovane signor Burgio. Siamo qui coi nostri bagagli a mano, le dispiacerebbe aprire?

-Yessciur, camanin end...

Già di mio non capivo nulla di quello che diceva la donna al citofono, per di più era sorto un nuovo problema:

Bagagli a mano? Oddio, le valigie! Da quando ci siamo materializzati sono sparite!

-Ser Richard! Le valigie! Le valigie...

-Sono qua, esatto, le abbiamo portate a mano.

Strizzandomi l’occhio mi fece cenno di stare zitto, che era meglio. Anche perché effettivamente le valigie erano lì, nascoste dentro a due cespugli rigogliosi.

-Certo che sei un distrattone, ti eri scordato delle tue valigie? Mi chiedevo quando te ne saresti accorto, ma non credevo proprio che saremmo arrivati fino al collegio senza che tu avessi quantomeno sentito la mancanza di qualcosa. Le ho materializzate direttamente qui, per evitare di portarci inutili ingombri al Ministero, successivamente ci ho condotti davanti l’ingresso del quinto livello. Ora, ricordati, acqua in bocca e scordati di essere un mago per due settimane. Questa struttura è all’oscuro dei nostri reali intenti e così deve rimanere, perciò prendi la valigia più piccola ed entriamo.

Il che era ovviamente un’ingiustizia. Ai babbani poteva sembrare normale, ma entrambi sapevamo che la valigia grande per via dell’incantesimo d’espansione pesava molto meno di quella che dovevo portare io. Ma non c’era niente da fare: se avessimo fatto cambio, quelli del collegio si sarebbero insospettiti.

Meno male che non ci devo rimanere per un mese intero, altrimenti sarebbe pesata il doppio!

-Uff! Good morning? I am Emanuele, the new student of this... come si dice corso?

-Ahahah, lascia perdere, ci penso io...

Così mentre il mio tutore faceva il suo dovere, io girai con lo sguardo l’intera struttura, o almeno quello che riuscivo a vedere dalla reception.

Intanto l’ingresso era abbastanza faraonico: per entrare passammo da una porta automatica scorrevole e che augurava un bel Welcome! a chiunque superasse la sua soglia; poi la hall principale presentava sulla destra un bancone stile hotel con dietro decine di vani quadrati dove posare le chiavi delle varie stanze, mentre sulla sinistra c’era un lungo divano di tappezzeria ad elle dello stesso colore dei tappetini dei tavoli di Poker e Baccarat, insomma, di un verde abbastanza scuro. Come se quell’ingresso non ti avesse già convinto che i tuoi soldi erano stati spesi nel modo giusto, i muri erano costellati di foto ed attestati incorniciati sontuosamente che testimoniavano i premi conseguiti e l’internazionalità di quell’istituto.

Sul tavolino della zona d’aspetto c’erano riviste di tutti i Paesi e in tutte le lingue, l’Italia purtroppo era rappresentata da un noiosissimo Panorama di giugno, quindi anche se ne avessi avuto il tempo, di leggere quel giornale non se ne parlava.

Di fronte c’era un lunghissimo corridoio con molte porte su entrambi i lati, e poiché alcune erano aperte, si potevano intravedere alcune cattedre, lavagne, cartine e mappamondi: da quel che si vedeva quelle classi sembravano perfette, a differenza di quelle della mia scuola elementare dove se riuscivi a beccare un banco senza buchi e che non ballava ti era andata di lusso. Alla fine del corridoio c’era un cartello che opportunamente tradotto indicava, con due frecce di senso opposto, mensa e scale per i piani 1 e 2.

-Biene cousì! Emanuelle, ora tiu starai qua pier dui settimiane, comi ti avievo gìa detto! Per favore vieni fuori!

Sembrava ubriaco, ma in realtà ser Richard cercava di parlarmi in italiano, anche se non capii il perché. Una volta fuori, mi spiegò:

-Scusa per la mia pessima pronuncia, ma davvero non ho mai avuto né l’occasione, né il tempo per imparare la tua lingua, magari durante il prossimo mese mi darai qualche lezione; comunque sia non è questo il punto: ora che sei qua ti devo lasciare, non posso parlarti liberamente, sennò si chiederebbero come mai un bambino che non sa nemmeno cosa significhi Boarding School riesca a parlare perfettamente in inglese con me. Perciò ti saluto; mi raccomando, impara più parole e più regole grammaticali che puoi, ricordati che qui si usano le sterline e il sistema metrico decimale che hai studiato a scuola è praticamente inutile, perciò dovrai iniziare a capire quanto equivale una pinta, una lega, un’oncia e così via. In questa scuola ti insegneranno un po’ di tutto, al resto e a qualche incantesimo che ti servirà nell’immediato futuro ci penseremo dopo queste due settimane, va bene? Per qualsiasi problema contatta me e per farlo vai da Rose e dille che mi vuoi vedere, magari usa i gesti per farti capire, perché il Logoscomprehendi svanisce dopo un po’. I tuoi genitori hanno il numero della reception perciò almeno per queste due settimane ti potranno contattare e non ti sentirai solo; gli altri ragazzi che seguiranno il tuo stesso corso sono tutti di nazionalità diverse, cerca di parlarci il più possibile, in modo che impari a comunicare anche con chi non parla la tua lingua. Non so cos’altro dirti più, se non ciao ragazzzo! Come l’ho detto? Male, vero? Comunque sia, stammi bene, ci vediamo fra due settimane!

E dopo avermi scombinato un po’ i capelli, lo vidi sorridermi per la prima volta anche con la bocca. Poi si girò, andandosene per la sua strada, probabilmente a prendere quel gelato che aveva promesso. Adesso ero solo, per due settimane sarei rimasto rinchiuso qui, ad aspettare che il mio destino si compisse. Per la prima volta in quella tumultuosa giornata ebbi voglia di tornare a casa.

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Capitolo 5
*** Cioccolato inglese - parte 1 ***


-Chid? Iumastentar, uievtu vraitinior neimiet!

Era la ragazza della reception, sembrava intelligente, aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo, indossava una camicia bianca e portava occhiali con lenti piccole ma con grosse montature, come era solito tra i secchioni, eppure non riusciva a capire che per me parlava arabo. Così le feci cenno di non aver compreso.

-Not tiu capisci, rait? Aicol... den, chiamo la directrice!

Chiama chi vuoi tu, ma se non parla la mia lingua ci toccherà comunicare a gesti...

E corse via come una forsennata, a quanto pare ciò che mi voleva dire era abbastanza importante e richiedeva celerità. Dopo un po’ si presentò una signora anziana, ma molto giovanile nell’aspetto. All’apparenza le si potevano attribuire un massimo di 55 anni, ma io ero abbastanza sicuro che ne avesse più di 70, poiché da quello che lessi su uno dei documenti appesi al muro, la scuola era stata fondata nel ’48, perciò anche se quella signora ai tempi ne avesse avuti solo 20, beh, il calcolo veniva lo stesso bello grosso.

-Tu devi essere il signor Burgio, non e vero?

-S-sì, sono io...

Rimasi sconcertato dalla perfezione con la quale parlava l’italiano, ebbe solo un piccolo problema ad accentare la e, che la pronunciò un po’ troppo atona.

-Il tuo accompagnatore ha gìa consegnato e firmato tutto quello che doveva, pèrcio rimangono solo i tuoi documenti da compilare e poi potremo iniziare. Prego.

Mi consegnò due fogli dove in entrambe, scritto in credo otto lingue, compariva la solita stringa “Firma Qui”. Siccome il resto del testo era tutto in inglese e non avevo proprio voglia di sforzarmi, firmai senza leggere nemmeno una singola riga, anche perché non riuscivo a togliermi dalla testa il suono della parola pèrcio fuoriuscito dalla bocca di Mrs. Langdon.

-Perfetto, ora ti spiego come sfrutteremo il nostro tempo a disposizione: ogni mattina, dal lunèdi al sabato, sei ore di lezione con l’insegnante Professoressa Marie Sinclair, qui imparerete termini, grammatica, forme dei verbi e ovviamente come ci si esprime nella maniera pìu formale possibile. Dalle 2 pomeridiane alle 3 e mezzo, avrete pausa pranzo per consentirvi di andare alla nostra mensa e rifocillarvi. Nel pomeriggio vi sposterete nell’aula dell’insegnante Professoressa Christine Hunger, che vi insegnèra a parlare con gli altri, a chiedere informazioni e vi allenèra all’ascolto. Le sue lezioni saranno molto pìu leggere per il mancato utilizzo di testi, ma non per questo meno importanti. Dalle 7 e 30 alle 9 avrete la pausa per la cena sempre nella nostra mensa, ma non vi sàra concesso in nessun caso di uscire per andare in qualche ristorante della zona, percìo non chiedetemelo. Dopo di che avrete il resto della giornata libero da passare come meglio credete, anche se al vostro posto io lo sfrutterei per ripassare cìo che ho imparato durante le lezioni e poi andrei subito a letto per evitare di risvegliarmi stanca il giorno dopo. La domenica che passerete qui, invece, sarà una giornata totalmente libera, e se qualcuno verrà a prendervi, potrete uscire dall’istituto se lo volete.

Una volta fatta l’abitudine, quegli accenti sbagliati non mi fecero più così tanto ridere, specie dopo aver sentito che bel programma mi attendeva per le prossime due settimane. E comunque quell’anziana signora parlava l’italiano molto meglio di tanti altri miei compaesani, il che era tutto dire.

-Inoltre devo avvisarti che in questa scuola tutto, dai libri ai menu della mensa, sono scritti in inglese e che il personale e le vostre insegnanti vi parleranno esclusivamente in madrelingua. Questo per incentivare lo studente ad impegnarsi anche al di fuori della lezione, questa discussione e soltanto un’eccezione per assicurarmi che capiate le regole dell’istituto. In camera troverai una scrivania con il tuo libro di testo: esso e pratico e funzionale, perche arricchito di immagini ed esempi studiati appositamente per gli studenti della tua eta. Dovrete portarlo con voi ad ogni lezione e completare gli esercizi che vi si richiedèra di affrontare; soltanto impegnandovi al massimo raggiungerete il vostro obiettivo che e quello di padroneggiare la nostra lingua, immettendovi così di diritto nel nuovo mondo della globalizzazione. Detto questo, mi e stato riferito che non hai ancora pranzato, serviti e poi dirigiti direttamente all’aula P1 dove inizièra la tua prima lezione; non preoccuparti del testo perche questo sàra pìu che altro un colloquio con la classe. Io sàro nel mio ufficio per qualsiasi chiarimento, ma non disturbatemi per problemi che potreste risolvere con il personale. Il fatto che sappia parlare perfettamente sei lingue e che me la cavi con altrettante, non vi deve cullare pensando di poter alla fine chiedere a me cìo che vi serve. Ti auguro una buona permanenza ed il pieno raggiungimento del tuo obiettivo.

Sei lingue ed altrettante con cui se la cava, alla faccia, chissà che farebbe se un giorno qualcuno le svelasse che basta uno stupido incantesimo per imparare in un secondo tutto ciò per cui lei ha impiegato un’intera vita? Bah, andiamo a mangiare che è meglio, ho una fame...

Così mi incamminai per il lungo corridoio, guardando qui e lì per trovare la stanza P1. Era proprio quella situata poco prima della mensa: all’interno c’erano piccoli banchi tutti separati tra loro, una cattedra insolitamente alta ed una lavagna con gessetti colorati. Sembrava tutto in ordine, così tornai a pensare al pranzo. Da quello che avevo studiato a scuola, in Inghilterra mangiavano da schifo; con fish and chips per colazione pensai che avrei vomitato per tutta la giornata, ma per fortuna dalla cucina proveniva un odore invitante. Infatti ciò che lessi nel tabellone dei piatti del giorno non era affatto male: c’erano tortellini e maccheroni al pomodoro (per fortuna mantenevano i termini italiani a parte il pomodoro che diventava tomato), carne che non capii come venne cucinata e anche il temuto pesce fritto con patatine. C’era anche uno spazio per il dolce, ma era vuoto, forse l’avrebbero servito la domenica.

Anche se sulla carta gli inglesi mangiavano come gli italiani, nelle porzioni erano tutt’altro che generosi: ricevetti quattro tortellini contati e una fettina di carne così minuscola che sembrava quella che si da al gatto; anche la porzione di pane era microscopica, ma quello non fu un problema, perché era così plasticoso che lo lasciai perdere dopo il primo morso.

Dopo il solitario quanto insoddisfacente pranzo, uscii da quella sala adibita a mensa e mi avviai verso l’aula P1. Non c’era ancora nessuno all’interno così potei scegliere il posto dove sedermi. Scelsi quello esattamente al centro dell’aula e mi sedetti. Per passare tempo contai i banchi: erano sedici, quindi se fossimo stati al completo avrei avuto quindici compagni, magari ci poteva essere un altro italiano o qualcuno che conoscesse la mia lingua, chi poteva dirlo.

 

Probabilmente mi appisolai per un po’, visto che non mi ricordo come entrarono gli altri, so solo che all’improvviso me li trovai lì, seduti tutti intorno a me e che ridacchiavano alle mie spalle.

Che bella figura, farmi trovare addormentato sul banco...

Finalmente entrò l’insegnante, che per assicurarsi che tutti si fossero accorti della sua presenza, gridò:

-Good morning guys!

Per lo meno scandiva bene le parole, di questo ne fui grato.

-Today we will know each other!

E scrisse quello che pronunciò alla lavagna. Cosa disse rimase un mistero ma almeno era chiaro che parlava di cosa stavamo per affrontare.

Dopo un altro po’ di frasi scritte e parlate, passò alle domande e a turno i miei compagni si alzarono dai loro posti per parlare, alcuni se la cavavano, altri erano perfino peggio di me: il tizio che avevo esattamente di fronte pronunciava così male quelle poche parole che conosceva che più che in inglese sembrava stesse parlando in russo. La bambina vicina a me parlava così bene e scandita che capii la maggior parte delle cose che diceva: si chiamava Karina, era ungherese, ma la sua famiglia viveva in Germania da ormai otto anni, perciò era a tutti gli effetti tedesca. Suo padre lavorava in una ditta di costruzioni e sua madre insegnava pianoforte, aveva una sorella più grande che studiava nell’università di una città con un nome impronunciabile e possedeva un gatto ed un coniglio, che mi sembrava avesse chiamato Squinzel e Ronzel, ma forse sentii male io, d'altronde era un miracolo che già capissi cosa stesse dicendo in inglese. Disse che voleva imparare al più presto l’inglese perché era fondamentale per quello che voleva diventare, un magistrato.

Un magistrato? Ed io che fino all’anno scorso volevo aprirmi un negozio di giocattoli...

L’insegnate rimase talmente colpita dall’eleganza e dalla bravura dell’allieva che le fece i complimenti, poi nel passare a me, credetti le fosse venuta voglia di vomitare perché iniziai a balbettare e non la finii più fin quando non terminai la mia presentazione. Ma in fondo la mia ansia era del tutto giustificata: non solo stavo parlando ad un gruppo di sconosciuti in una lingua che non era la mia, ma avevo sulle spalle pure la pesante eredità lasciatami dalla bambina che fino ad un attimo prima aveva dato mostra delle sue doti da figlia di papà; senza dimenticare il fatto che dovevo mentire sul vero motivo per cui mi trovassi lì e non potevo farmi scappare la parola “magia”. Insomma, era già un miracolo che riuscissi a spiccicare qualche parola.

Dopo un tempo che mi parve un’infinità finalmente finii di elencare vita, morte e miracoli del povero Emanuele Burgio, un ragazzino di soli 11 anni che si trovava a dover affrontare un boriosissimo corso di centomila ore per imparare in fretta e furia una lingua che di lì a poco sarebbe stato costretto ad usare ogni santo giorno ed al termine l’insegnante addirittura mi batté le mani, poiché a quanto pare ero andato meglio di quanto non credessi.

-A very passionate story... congratulations! A little bit insecure, but... Soon you'll be more confident!

Mentre parlava e mi elogiava, sottolineava alla lavagna le parole che più rappresentavano il mio discorso, che guarda caso erano comprensibilissime anche in italiano: insomma, ero stato passionale, ma di un’insicurezza spaventosa, come mio solito; anche nelle pagelle di fine anno compariva quella stramaledetta parola “insicuro”.

Le quattro ore di lezione praticamente passarono in quel modo, raccontando le nostre vicende ed i nostri obiettivi; l’insegnante ogni tanto interveniva per mostrarci i nostri errori o per suggerirci una maniera più consona per esprimere un dato sentimento. Tutto sommato la lezione non fu così terribile, ma io ero assonnato ed il fatto che se non avessi prestato la massima attenzione non avrei capito nulla di ciò di cui si stava parlando, non aiutava di certo. Tant’è che quando arrivò il mio turno nel gioco del descrivere un nostro compagno di classe, chiamai l’orso che era raffigurato sulla maglietta del mio vicino di banco “horse” invece che “bear”: un errore balordo ed evitabilissimo, ma che la stanchezza che avevo in corpo mi costrinse a fare.

 

Una volta finita quella che sembrava una puntata di un talk-show, i miei nuovi compagni scattarono come fulmini verso l’uscita per raggiungere la mensa; io invece feci tutto con lentezza, sia per via della stanchezza, sia perché nonostante il misero pranzo, l’appetito non mi era ancora arrivato, probabilmente perché mangiai tardi e stando seduto non smaltii nemmeno quel poco che avevo assunto.

A cena a quanto pare non offrivano il primo ma soltanto il secondo: c’era una bistecca ai ferri oppure una poltiglia strana che chiamavano couscous, che più che couscous l’avrei chiamata sbobba per cani, dato come si presentava, ma la maggior parte dei ragazzi presero quella, così mi aggregai al gruppo. Avevo ragione, era sbobba: non appena ne assaggiai un cucchiaio mi venne l’immediata voglia di risputarlo, ma per non sembrare maleducato evitai di farlo, costringendomi ad inghiottire quello schifo. Inoltre non sarei mai riuscito a spiegare alla cuoca il perché volessi cambiare il mio piatto con la bistecca, perciò mi obbligai a continuare ad assumere quel granuloso veleno. Gli altri invece mangiavano di gusto: un ragazzino scuro di carnagione disse pure che sua madre glielo preparava sempre quando riceveva bei voti a scuola.

Se mia mamma mi cucinasse lasagne ogni volta che le porto un buon voto da scuola, a quest’ora peserei novanta chili!

Una volta finito, quasi come fossimo telecomandati, ci avviammo verso le scale per poi separarci ed entrare ognuno nelle proprie stanze. A quanto sembrava le ragazze salivano un altro piano, mentre noi ci fermammo al primo.

-Good night!

-Good night!

-Hello!

-Hello!

-Hi!

-Hi!

How are you? I’m fine thank you! E ora che facciamo, ci mettiamo a ripetere tutti i saluti che conosciamo?

Però per non sembrare maleducato, dissi anch’io:

-See you tomorrow!

Non appena le ragazze sparirono, due dei bambini che sembravano fratelli mi rivolsero la parola:

-Now we go, ehm... to watch TV, you come with us?

Grammaticalmente scorretto, ma il senso era chiaro, guardare la TV assieme.

-Eccome no, come on!

Il televisore era in una stanza alla fine del corridoio del primo piano, a quanto pare gli altri a differenza mia avevano avuto il tempo di girarsi un po’ la struttura; il problema era che come tutto il resto anche i canali erano in lingua inglese, così dopo circa cinque minuti di visione più o meno tutti iniziammo a borbottare per il disagio e per la noia.

Tornammo nelle nostre stanze, ma per uscirne quasi subito: infatti ognuno di noi prese i giocattoli che aveva portato con se da casa, così confrontando i nostri gusti riuscimmo a conoscerci meglio in quell’oretta di allegria che in quattro ore di lezione. I due fratelli avevano portato ognuno mezza parte di un Optimus Prime gigante, dall’altezza complessiva di almeno un metro e mezzo; il ragazzo con lo stemma dell’orso sulla maglietta invece era un famelico collezionista di monete e diceva di avere a casa almeno tre bauli pieni di monete straniere comuni, ma soprattutto rare. Per dimostrare che non scherzava ci mostrò due pezzi da novanta della sua collezione, una dracma greca ed una rupia indiana: diceva che glieli portava suo padre quando tornava da lavoro; lui girava il mondo, così ne approfittava per portare oggetti insoliti alla famiglia, tra i quali figuravano ovviamente le monete. Il ragazzo con la pelle più scura di tutti invece collezionava insetti morti che poi metteva in dei barattoli con della gelatina trasparente dentro: così mi spiegai come mai gli piaceva così tanto quello schifo di couscous. Gli altri invece avevano giocattoli più classici, come i modellini snodabili di vari personaggi dei cartoni animati, oppure dei Walkie Talkie e una pistola laser per imitare le grandi spie, e curiosamente altri due bambini ebbero la mia stessa idea di portarsi dietro il proprio Game Boy con annessa copia del gioco Pokémon all’interno; peccato che nessuno di noi avesse pensato di portare anche il cavo link per poter lottare o scambiare le creaturine tascabili: un’occasione davvero sprecata.

Dopo un po’, stanco ed intontito tornai in stanza, dove mi attendevano un anonimo letto ed il minaccioso mattone che fungeva da libro di testo poggiato sulla scrivania: ero distrutto, ma felice.

 

La mattina seguente scoprii con mia immensa gioia che la sveglia era fissata alle 7 in punto:

-Briiip!

Ma che diamine?

Era il telefono della stanza che squillava.

-Pronto?

-Good morning! This is the alarm...

Mi ero appena svegliato, non mi ricordavo nemmeno dov’ero e quella della voce preregistrata mi parlava in inglese...

-Bon jour! C’est la réveil...

Cosa?

-Guten Morgen, das ist der Wecker...

Ma che dice?

-Buenos días, éste es el despertador...

Aah, che scemo, sta parlando in tutte le lingue...

-Buon giorno, questa è la sveglia che vi comunica che sono le 7, la vostra lezione inizierà fra un’ora esatta e si terrà nell’aula A1, si prega di essere puntuali, la colazione è già servita in mensa.

Bhè, quando devono comunicare cose spiacevoli ci parlano in italiano...

-Bom dia, este é o despertador...

A quanto pareva, la sveglia voleva farsi davvero tutte le lingue di questo mondo, ma io non avevo né la voglia né il tempo, perciò riattaccai.

Svegliarsi alle 7... mah, solo al campo scout per l’alza bandiera feci sta sfacchinata...

-Yaawn!

Mi lavai la faccia, presi dalla valigetta i vestiti che avrei indossato e poi mi spogliai. Quando entrai dentro la doccia però m’accorsi che non era affatto come quella di casa mia, infatti era così stretta che nemmeno mi potevo abbassare per lavarmi le gambe...

Che razza di bagno...

Cercai di fare il più in fretta possibile, sia per l’odio che provavo verso quel sarcofago, sia perché il bagnoschiuma monodose messomi a disposizione dal collegio era così denso che bastava una passata per farmi affogare nella schiuma. Alla fine ci misi comunque la mia solita mezz’ora.

Come vestiti avevo scelto quelli più sobri che avevo a disposizione, non volevo certo fare brutta figura, inoltre avrei conosciuto l’altra insegnante, quella del mattino. Quando finii, presi il libro sotto braccio, chiusi a chiave la stanza e scesi dalle scale. Mentre mi dirigevo alla mensa, la signorina della reception mi  consegnò un foglietto dove era riportato il messaggio “Fatti trovare in stanza alle 9, che ti chiamiamo!”: non potevano essere altro che i miei genitori, che sicuramente avranno sofferto nel non sentirmi il giorno prima, ma ero così stanco che me ne dimenticai.

In mensa trovai già quasi tutti i miei compagni, delle femmine nemmeno una; arrivarono in gruppo solo dieci minuti prima delle 8 e per far in tempo, bevvero solamente chi un po’ di thé, chi una gustosa tazzina di caffè amarissimo: berlo di prima mattina disgusta per tutta la giornata. Naturalmente io avevo finito già da un bel pezzo la mia colazione ipercalorica a base di cioccolata calda e fette biscottate con burro e marmellata, così salutai le ritardatarie, ripresi il mio libro dalla sedia in cui li avevamo impilati tutti assieme e mi avviai assieme al ragazzino che la sera prima mi aveva mostrato la sua collezione di Biker Mice.

Ero abbastanza imbarazzato, ma comunque non potevo continuare a chiamarlo per fischi ed esclamazioni, perciò gli chiesi come si chiamava, la risposta fu Martín, che siccome si pronunciava Maten fui convinto che si scrivesse proprio così, almeno fino a quando non lessi l’elenco degli studenti del corso che era affisso all’entrata della sala A1. Diedi una sbirciatina ai nomi, ma a parte per Martín e per un ragazzo di nome Matt, gli altri avevano nomi così strani che era inutile impararli a memoria, perché probabilmente si sarebbero pronunciati in maniera completamente differente. Addirittura c’era qualcuno, o qualcuna, che si chiamava Guvu Mbhasi Vhal, incredibile.

 

La nuova insegnante arrivò puntualissima entrando con fare guardingo e minaccioso. La differenza con la professoressa del pomeriggio era evidente: tanto giovanile l’altra, quanto arcigna questa. Intanto teneva il suo libro proteso in avanti al livello del petto, quasi per avvisarci che stava arrivando una carrellata di compiti, poi portava al collo degli occhiali da vista attaccati con una cordicella e aveva i capelli raccolti in uno chignon veramente elaborato, probabilmente ci metteva secoli ogni mattina per ricrearlo.

Si sedette e partì immediatamente:

-Classroom, we have to work hard!

Già il fatto che la sua prima frase non la capì nessuno faceva temere il peggio. E a ragione: per ogni ora di lezione avanzavamo al ritmo di sei, sette pagine alla volta, tutte pienissime fino a scoppiare di esercizi e termini da imparare a memoria. Solo una pagina fu divertente da completare perché si dovevano unire i puntini che rappresentavano delle parole i cui sinonimi erano da ordinare alfabeticamente: difficile ma piacevole. In quelle sei ore praticamente non parlammo mai tra di noi, perché se per un attimo perdevi la concentrazione, ti ritrovavi indietro di almeno due pagine, quindi mi sembrarono durare una tale eternità che quando finì, per un momento mi meravigliai di trovare alla mensa scritta la parola “Lunch”: ero così stanco che avevo dimenticato che fossero soltanto le 2 del pomeriggio, dato che il mio orologio biologico segnava invece mezzanotte spaccata.

Naturalmente per via dei pranzi striminziti all’inglese che ci propinavano, dei novanta minuti liberi il pasto ne occupava soltanto venti, perciò il rimanente tempo lo passammo alla reception a parlare.

Era incredibile la quantità di cose che si capivano anche senza usare passati, futuri e congiuntivi: innanzitutto i nomi dei miei compagni, Matt era uno dei due fratelli olandesi, l’altro si chiamava Vvendel; Guvu Mbhasi Vhal era la strana ragazza di colore dell’ultimo banco; Chansui era la bambina cinese che portava sempre i codini, mentre Nanagi era l’altra (che in realtà era giapponese, ma continuammo a considerarla cinese); Samahel Muhai (non capii se avesse due nomi o si presentasse sempre con nome e cognome) era lo scabro studente degli scarafaggi imbottigliati; la ragazza chiarissima non poteva che essere finlandese e si chiamava  Kiirsten; era molto gelosa del suo nome, infatti stando a quanto diceva, erano poche le Kïrsten che presentavano una doppia “i” invece dei due puntini di dieresi. Per me era solo un errore anagrafico, anche nel mio paese c’era un cugino di una mia amica che si chiamava Maicol, ma giustamente, non se ne vantava affatto; il resto degli altri nomi non appena li sentii li scordai al volo, tranne quello del ragazzo ebreo che poveretto si chiamava Besameel per il quale il paragone mentale con bresaola e besciamella fu inevitabile.

Non mancarono nemmeno le scoperte spiacevoli: il ragazzo che collezionava monete (Renaldo si chiamava) non solo aveva il padre che partiva per il mondo, ma gli era morta anche la mamma, così lui ed i suoi fratelli finirono con la nonna che era sorda da un orecchio, il che ovviamente non era piacevole, così si rifugiava nelle sue collezioni che svelò comprendevano una serie di cappelli bizzarri, bandierine da stadio dei vari Paesi e svariati bigliettini d’auguri per la festa della mamma scritti in tante lingue: la sua storia mi commosse talmente tanto che decisi di aiutarlo regalandogli un tipo di ogni moneta e banconota fino a diecimila lire, almeno anche se questo non gli avesse restituito sua madre, lo avrebbe aiutato a completare la sua collezione e conseguentemente ricordato me e l’Italia.

La pausa così volò via, riportandoci nuovamente in classe per la lezione pomeridiana: era più grazie a questa che riuscivamo a comunicare, la teoria da sola non sortiva alcun effetto, tant’è che puntualmente dimenticavamo di mettere in “–ing” certi verbi, oppure di non usare gli articoli davanti ai possessivi.

Dopo la lezione, cena, telefonata dei miei e nuovamente in sala TV a chiacchierare del più e del meno.

La prima settimana praticamente passò in questa maniera: era una routine che si spezzava solamente durante le pause, dove si rafforzavano le nostre amicizie ed inevitabilmente si creavano dei gruppetti più affiatati degli altri. Tant’è che arrivati a sabato, io non riuscivo più minimamente a parlare con quelli del gruppo di Karina, Samahel e Guvu Mbhasi Vhal perché se la tiravano troppo e alla stessa maniera Besameel e Chansui non parlavano con noi perché troppo timidi.

 

Finalmente era arrivata domenica, il che significava tre cose: innanzitutto un giorno di vacanza, poi che mezza tortura era finita, e soprattutto che sarebbe arrivato ser Richard a farmi visita.

Le cose non andarono però come pensavo, infatti verso le 9 del mattino squillò il telefono:

-Briiip!

Ma porco... Pure di domenica?

-Buongiorno, la vostra insegnante, la professoressa Hunger, avrebbe il piacere di portare lei e la sua classe a visitare Londra nel vostro giorno di ferie, siete pregati di confermare la vostra partecipazione alla reception entro le 10, grazie.

Era la direttrice dell’istituto all’apparecchio che mi informava dell’escursione.

-Ma è tipo una gita?

-Sì, signor Burgio, è una gita.

-E gli altri vengono?

-Non lo so, ho appena iniziato il giro delle telefonate. Ora, se non le dispiace, devo avvisare gli altri.

E riattaccò.

Ero molto combattuto: rimanere ed aspettare il mio tutore o andare con gli altri in gita? Per fortuna mi vennero in aiuto i “cimeli” che avevo portato con me da casa: quella era un’ottima occasione per mostrarsi fico davanti agli altri. Così mi vestii a razzo: maglietta dei Simpson originale con Homer in rilievo, berretto griffato PK (Paperinik) e portafogli della Nike.

Dopo questa settimana avrò più di un mese di tempo da passare con ser Uppercut e la magia, ma avrò solo oggi l’occasione di visitare Londra!

Firmai l’adesione alla reception entro l’ora stabilita e consegnai un messaggio a Rose specificandole di consegnarlo a Charlie, non appena fosse passato. Lì c’erano scritte le motivazioni per cui non mi avrebbe trovato all’istituto con le dovute scuse. Adesso ero pronto per partire.

A quanto parve non fui l’unico ad aver avuto quella brillante idea, anche gli altri si erano vestiti in maniera appariscente e c’era anche chi risultava fin troppo appariscente. Quasi tutti i maschi erano vestiti in maniera comoda ma trendy: chi preferiva i pantaloncini, chi i pantaloni coi tasconi, c’era addirittura chi indossava ridicoli pinocchietti. Tutti tranne ovviamente Samahel, che in pratica si vestì da matrimonio: giacca e pantaloni bianchi, cravattino celeste e camicia cerulea, il tutto per far risaltare la sua carnagione scura. Come era logico aspettarsi, le ragazze lo tempestarono di complimenti, ma siccome ogni piacere ha il suo prezzo, il conto che dovette pagare Samahel fu assai caro: sudava un inferno là dentro.

Le ragazze messe tutte assieme naturalmente ci oscuravano: splendenti come il sole, sembravano partecipare ad una sfilata di bellezza. Karina e Kiirsten erano semplicemente bellissime, i loro capelli biondi e gli occhi azzurri, uniti ai colori vivaci dei loro vestiti ricamati erano una gioia da vedere e da odorare; erano simili, ma anche differenti: la candidissima pelle di Kiirsten la faceva sembrare a tratti un angelo, mentre le lentiggini donavano a Karina un aspetto più visto e ribelle.  Anche Chansui era carina col suo completino orientaleggiante, sembrava una bambolina di ceramica;  di tutt’altra delicatezza era invece la ragazza rumena, che con top, minipantaloncini ed infradito sembrava stesse andando a mare talmente era nuda. Estremamente ridicola invece era l’estrosa Nanagi che sembrava uscita da una puntata di Sailor Moon: vestita alla marinaretta con delle calzone bicolore e scarponi tempestati di spille con teschi, ideogrammi ed altre balordate inguardabili. Ma il primo premio lo meritava senza dubbio Guvu: quel suo vestito di seta smeraldata che le scopriva solamente le spalle, le caviglie e il collo mi fecero finalmente capire cosa trovavo di misterioso in quella ragazza. I suoi lineamenti delicati, la sua pelle liscia e gli occhi verdi e profondi erano cose che non avevo mai visto in altre persone di colore; sembrava quasi che la sua pelle baciata dal sole non servisse ad indicare la sua provenienza ma ad esaltare la sua bellezza. Inoltre aveva stile da vendere: per non sembrare troppo monocromatica scelse una lucida borsetta e dei sabot dello stesso colore dello zaffiro, con quelle caviglie sottili sembrava quasi galleggiare in aria.

Ripresomi dallo shock causato da tanta bellezza, finalmente riuscii a godermi la gita: l’insegnante in pratica ci portò in tutti i luoghi londinesi degni di esser visitati: il Museo Nazionale, quello delle cere, il London Eye e perfino Buckingham Palace, dove per un momento fui tentato di usare Accio sul cappello di una delle famose quanto odiose guardie, per vedere se continuava a rimanere ferma ed imperterrita; ma non valeva la pena infrangere la legge magica per un capriccio del genere. Era evidente che la gita domenicale fosse una pratica consueta nel collegio: l’insegnante sapeva anche fin troppo bene dove andare, in quale ordine e come tenerci a bada per essere alla sua prima volta, inoltre non dovemmo pagare i vari biglietti per entrare, il che significava che in qualche modo erano già stati pagati. Solo per la Millennium Wheel dovetti pagare l’equivalente di ben tredicimila e ottocento lire, forse perché era un’attrazione di nuova costruzione e la scuola non aveva ancora avuto il tempo di mettersi d’accordo o perché comunque è difficile prendere convenzioni per una giostra. Una volta salito però, non mi sentii minimamente pentito per aver speso quella cifra: era stupendo salire così in alto ed avere il mondo letteralmente ai miei piedi, per di più con gli altri scherzai facendo finta di buttarmi di sotto per mimare un atterraggio spettacolare alla James Bond.

L’ultima tappa fu ai grandi magazzini Harrods, perché si sa, Londra ha sì una lunga storia ed una grande cultura, ma è anche una città moderna e come tale presenta il centro commerciale più impressionante dell’universo. E a quanto sembrava, non eravamo l’unica scolaresca che veniva a curiosare lì dentro, anzi forse c’erano più bambini che adulti. Infatti all’ingresso c’erano dei bodyguard che ci davano dei badge collegati al codice della nostra insegnante da ripresentare all’uscita, in modo che nessun bambino potesse uscire di lì senza che il suo accompagnatore lo sapesse, per evitare rapimenti o cose del genere. Così la professoressa Hunger, dato che non correva il rischio di perderci, ci lasciò liberi per un’oretta.

E fu lì che per la prima volta ebbi paura dei miei poteri.

 

Il quarto piano di quell’immensa struttura, dove per l’inciso si trovava il reparto dolciumi, era un richiamo irresistibile per tutti i bambini che si trovavano lì dentro, infatti, chi venne prima, chi dopo, ci ritrovammo tutti a fissarne le vetrine. Io ero intento a guardare la varietà di cioccolatini, quando alla mia destra sentii dei rumori abbastanza chiari: qualcuno stava facendo a botte. Avvicinandomi mi accorsi che più che di una colluttazione si trattava di una violenza: quello scarafaggio di Samahel tirava con tutte le sue forze il braccio di Guvu, facendole chiaramente del male.

-Givve me a kiss, bich!

-No, no!

Pur di liberarsi, Guvu tirò così forte che strappò una cordicella della sua elegante borsetta, rovinandola vistosamente. Vedendola in quello stato, per il dispiacere Guvu smise di dimenarsi, cosicché Samahel ne approfittò ritornando a strattonarla per farsi dare quello schifosissimo bacio.

-Ma che diavolo fai?

E mi ci buttai addosso con tutto il mio peso.

-Oof! Stupid asshole!

E ci picchiammo duramente. Io non avevo speranze, nella mia vita ho sempre evitato di fare a botte perché troppo fifone, mentre Samahel sembrava esser nato per quello.

Con un calcio nella milza mi fece rotolare dal dolore per diversi metri, tant’è che pensai di morire; ma non appena mi alzai, lo vidi che non contento stava per tornare alla carica. Dovevo reagire, se non per me almeno per Guvu che ci stava guardando terrorizzata, ma non sapevo che fare, i miei colpi erano scoordinati e lenti, li evitava tutti ed in più mi colpiva ai fianchi o allo stomaco non appena mi sbilanciavo un po’. La cosa che mi dava più fastidio però era quel vestito così costoso che veniva indossato da un simile maiale e la rabbia che mi provocava accese un fuoco dentro di me che sembrava divampare sempre più. Ma presto mi resi conto che l’incendio non si era sviluppato al mio interno, ma all’esterno: era Samahel che aveva preso fuoco.

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Capitolo 6
*** Cioccolato inglese - parte 2 ***


La sua giacca in un attimo da bianca come l’avorio diventò marrone e poi nera, stava andando a fuoco ad una velocità impressionante. Davanti a quella scena rimasi bloccato per un po’, ma le urla strazianti di Samahel e di Guvu mi risvegliarono dalla paralisi, così mi fiondai verso il ragazzo in preda alle fiamme e lo aiutai a liberarsi della giacca ormai completamente divorata. Non so come, ma riuscimmo a toglierla e a lanciarla lontano; la schiena di Samahel era visibilmente ustionata, anche la camicia azzurra dietro era incenerita, le mie mani pulsavano e bruciavano come se toccassero ancora le fiamme, ma almeno eravamo fuori pericolo.

Improvvisamente una gigantesca nube di fumo bianco ci colpì e fummo trascinati con forza da qualcuno. Erano gli addetti alla sicurezza che con l’estintore spensero le fiamme e che ci trasportarono nella sala di pronto soccorso del centro commerciale. Ci chiesero qualcosa, ma in quel momento non ero in grado di capire assolutamente nulla e quindi procedettero ai medicamenti. A me passarono sulle mani una crema che bruciava come l’Inferno, tant’è che piansi dal dolore, mentre Samahel nonostante le ustioni molto più gravi, non proferiva parola. La cosa non era un buon segno, l’unica frase che riuscii a comprendere fu quella del paramedico che curava il mio compagno: “He’s going to have a shock!”

Era orribile: Samahel era ormai del tutto svenuto, l’infermiere di corsa lo mise su una barella e lo portò fuori di lì; cosa gli successe dopo non si sa, udii solo la sirena di un’ambulanza a breve distanza dove penso lo abbiano fatto entrare. Dopo avermi fasciato le mani e datomi un tubetto di quella crema da spalmarmi per i giorni seguenti, il paramedico mi fece uscire dalla sala del pronto soccorso e mi consegnò alla mia insegnante che intanto era già stata informata dei fatti.

Ovviamente la gita finì lì e tornammo in fretta all’istituto. Nessuno mi rimproverò o mi fece domande, evidentemente la storia della rissa venne omessa, poiché oscurata dalla più grave combustione spontanea di Samahel. Solo io sapevo che in qualche modo era colpa mia, tutti gli altri pensarono ad un inspiegabile incidente e questo invece di rasserenarmi mi fece sentire ancor più uno schifo. Tornai in stanza, dove, con le mani tutte fasciate cercai di mettermi il pigiama. Se i miei genitori avessero chiamato quella sera non avrei detto loro nulla, anche se avrei tanto voluto farlo.

 

-Toc! Toc!

Oh no, e ora che c’è...

Anche se in pigiama aprii la porta senza indugi, sinceramente in quel momento non me ne importava nulla di essere presentabile. Ma sbagliai, perché era Guvu che bussò:

-Ah, e... oh, mi dispiace per quello che è successo oggi, io...

-No, sono io che sono venuta a ringraziarti di persona, pensavo saresti sceso in mensa per la cena, ma non avendoti trovato sono salita per chiamarti...

-Eh, figurati, non è stato nulla, certo ho preso un sacco di botte, ma quello messo peggio alla fine è lui, sai io non...

-E tu l’hai salvato! Dopo tutto quello che ci aveva fatto l’hai comunque aiutato, io ero così terrorizzata che non riuscivo a muovermi, ma tu hai mantenuto il sangue freddo e così come sei partito per difendere me, ti sei lanciato per salvare lui, sei stato bravo...

Se sapesse che in realtà ho appiccato io l’incendio scapperebbe a gambe levate invece di venire qui a parlarmene... Ehi, ma...

-Tu parli in italiano?

-Sì, te ne sei accorto solo ora?

E si mise a ridere, dopotutto quello che era successo aveva ancora la forza di farlo, e che risata poi, sottile e vellutata.

-Mio padre è italiano. Venne a lavorare in Namibia da giovane come ingegnere per le miniere di piombo ed incontrò mia mamma. Da quel giorno rimase sempre lì e non tornò più al suo paese. Il villaggio di mia madre in cui nacqui è matriarcale, perciò ho preso il cognome materno, di mio padre ho ereditato solo la lingua, qualche lineamento e gli occhi, ma non te ne eri accorto?

Io, ubriaco al massimo nel sentirla parlare in italiano risposi:

-E sì, gli occhi li avevo notati...

-E non solo quelli, mi sa!

E tornò a ridere. In lei tutto era perfetto, e quando parlava in italiano, in maniera molto più sciolta e sicura che in inglese, la sua voce era ancora più gradevole.

-Ti lascio riposare, sarai stanco, ma prima...

Estrasse un piede dalla sua scarpa e si grattò il polpaccio, come se la vergogna la stesse pizzicando da tutte le parti, mi si avvicino e...

Smack!

Un bacio inaspettato mi si stampò a metà tra la bocca e la guancia sinistra. La traiettoria originale in realtà prevedeva una bacio classico, ma io, in preda a qualche istinto protettivo, girai velocemente la testa, facendo per metà fallire l’opera.

-Ops!

Disse lei, ancora come se la colpa anche di quel bacio fallito fosse sua. Aveva ancora il piede nudo sfilato dalla scarpa e solo io so quanto quella cosa mi metteva a disagio, possedeva dei piedi così sottili che sembravano esser stati fabbricati alla perfezione. Evidentemente lei lo notò e lo rinascose subito dentro il sabot.

-Ah, ehm... Grazie!

-Ihihih, prego!

Grazie?! Lei ti dà un bacio e tu la ringrazi?

-No, cioè volevo dire...

-Lascia stare ho capito... Sai pensavo che io non ti piacessi, invece è tutto l’opposto.

Sono così tanto un libro aperto per le ragazze?

-Infatti! Non ti parlavo spesso...

-Diciamo per niente.

-Sì, non ti parlavo spesso perché eri sempre con quei due, che non sono proprio dei simpaticoni, ma non perché tu non mi piacessi.

-Lo immaginavo, stavo con loro perché voi sembravate già abbastanza uniti e non sapevo come fare per farmi accettare.

-Oh, mi dispiace, da domani parlaci pure, non mordiamo!

-Ihihih, ok, ci vediamo domani, riposati!

E se ne andò, quell’imbarazzante quanto magico momento durò pochissimo ma si protrasse per tutta la notte nella mia testa. Quella notte sognai che mi baciava almeno una quarantina di volte ed in tutte le volte io facevo qualcosa di assurdo per evitare il bacio. Addirittura una volta io mi allacciavo le scarpe e lei mi baciava la fronte, era deprimente. Ma tutte le volte sentivo il suo profumo, che più che una fragranza artificiale era un odore naturale. Sapeva di terra riarsa e di spezie orientali, non che io conoscessi realmente questi odori, ma in qualche modo la mia mente assuefatta mi portò a pensare ad essi.

 

Il giorno seguente scoprii che era arrivato un nuovo gruppo che sarebbe rimasto per altre due settimane, avrebbero occupato le aule A2 e P2 nei nostri stessi orari. Solo la mattina iniziavano un’ora dopo, cioè alle 9 invece che alle 8, questo perché quei bambini erano anche più piccoli di noi. La prima volta che li vidi non ci potei credere: il più grande di loro poteva avere al massimo otto anni. Trovai esagerato mandare dei bambini così piccoli via da casa per ben due settimane solo per insegnare loro una lingua straniera; certo, alcuni avranno avuto i loro motivi per farlo, come me, ma scommettevo che la maggior parte erano lì per la mania di grandezza dei loro genitori.

In classe invece la situazione cambiò notevolmente: il bacio mezzo-serio datomi da Guvu era ormai sulla bocca di tutti, così come il mio eroico salvataggio dalle fiamme di Samahel, perciò io e le mie mani fasciate fummo l’attrazione principale della giornata. Inoltre, poiché stavo al centro della classe, per tutta la lezione venni sommerso dalle lettere degli ammiratori e dagli sguardi maliziosi di Guvu che, approfittando dell’assenza di Samahel, cambiò di banco, avvicinandosi pericolosamente. Anche alla mensa mi stava attaccata. E anche nella sala Tv. E sul divano della reception.

-Non ho potuto fare a meno di notare che mi stai sempre addosso.

-Lo so.

-Anch’io lo so che lo sai, ma voglio sapere perché!

-Stiamo assieme, no?

Oddio, che situazione del cavolo...

-Senti Guvu, ragioniamo: non c’è cosa al mondo che mi piacerebbe di più che stare con te, ma capirai che staremo insieme soltanto un’altra settimana e poi ci divideremo per sempre, è meglio non affezionarsi troppo, o l’addio sarà ancor più doloroso...

-Lo so, ma già io mi sono innamorata, non possiamo lasciarci, io ti...

Ahia, non quella parola!

-Non lo dire, mi spezzerebbe il cuore sapere di perdere colei che amo e che mi ama, ma purtroppo non siamo destinati a stare insieme, io sono italiano, tu non mi ricordo di dove sei, comunque in Africa, troppo lontano.

-Mio padre lasciò tutto per stare con mia madre, possiamo rifarlo, è destino, sei italiano come lui.

Eh, ma non così pirla...

-Non penso che tuo padre avesse undici anni, ai tempi della difficile decisione. E nemmeno dei genitori preoccupati. Né penso dovesse ancora andare a scuola per imparare un mestiere.

-Hai ragione, è impossibile...

E se ne andò, triste come se le avessi appena ammazzato qualcuno, ma in effetti qualcosa del genere l’avevo fatta: le avevo spezzato il cuore.

Avrei voluto vedere Charlie in questa situazione, come se la sbrigava...

 

La lezione pomeridiana ci riservò una notevole sorpresa: la signorina Hunger era stata sostituita da un’altra professoressa, Doretta Springs se non ricordo male. Il motivo non fu reso ufficiale, ma era logico che la colpa fosse mia: dovevo parlare urgentemente con Mrs. Sinclair.

Anche se parve non terminare mai, alla fine la lezione finì, così potei correre all’ufficio della direttrice per spiegarle come stavano le cose.

-Corri da qualche parte, giovanotto?

Era lei, che stava uscendo dal suo ufficio: appena in tempo.

-Sì, signora. Volevo dirle che miss Hunger non ha colpa, quello che è successo...

-E stato un incidente, lo so. La professoressa aveva già portato in gita decine di volte i ragazzi degli altri corsi e non era mai successo nulla, sulla sua professionalìta non ci sono dubbi. Poteva accadere a chiunque.

-E allora perché è stata...

-Sostituita? Vedi, sebbene noi, anzi io conosca l’affidabìlita della professoressa Hunger, lo stesso non si pùo dire del padre del signor Muhai, che se non vèrra a sapere quantomeno della sospensione della professoressa responsabile dell’integrìta di suo figlio durante l’incidente, finirà per denunciarci. Se tutto andra bene, riottèrra il posto entro la fine dell’estate, altrimenti... Non preoccuparti, sicuramente trovèra un altro impiego, e giovane, ma il suo curriculum e molto valido.

-Curriculum?

-Oh, a volte dimentico con chi ho a che fare, sì giovanotto, il curriculum non e altro che il resoconto della carriera di una persona, in pratica gli studi ed i lavori che ha affrontato. E come ti ho gìa detto, il suo fa invidia a molti. Ora non ci pensare, e vai a mangiare, tanto non puoi aiutarla lo stesso.

E così dovetti tornare sui miei passi; anche se a conti fatti non potevo fare nulla, mi sentivo lo stesso in dovere di fare qualcosa.

 

Da quella sera e per le altre a venire, il gioco della bottiglia diventò la sola cosa che si riuscisse a fare. Era una versione modificata, dove non avevi libertà di scelta: o baciavi o venivi baciato. Ma erano soltanto dodici i ragazzi che partecipavano a quello scempio, visto che Samahel se la stava spassando all’ospedale, Guvu non usciva dalla sua camera, io non avevo voglia di cimentarmi di nuovo in approcci amorosi e Rinaldo preferiva fare la parte dello spettatore, senza giocare. E siccome queste cose non mi sono mai piaciute decisi di allontanarmi e scendere nella hall principale a vedere il giardino.

Lì incontrai uno dei bambini del nuovo gruppo che stava guardando qualcosa dietro la scrivania della reception.

-Ehi, hi!

Invece di rispondermi mi fissò dritto coi suoi occhioni.

-Ehm, hello?

Ancora niente.

-What’s your name? Mine is Emanuele!

Riconoscendo la famosa domanda, rispose:

-Me Gustav, you Emanuele?

-Yes, Gustav!

-I am happy!

E mi sorrise.

Beh, è logico, cosa pretendevo, ha solo sette o otto anni!

-Sciocolà?

Cos...?

-Sciocolà-tt!

E mi indicò un preciso punto dietro la scrivania. C’erano dei cioccolatini in una ciotola vicino all’elenco telefonico.

Ah, ecco cosa stava fissando prima...

-Vuoi del cioccolato, chocolat?

Alzò ed abbassò la testa violentemente come se mi stesse urlando: “SSSIIIII!!!!”

-Ok, te li prendo...

Anche se non era permesso, mi intrufolai dietro la scrivania e trafugai l’ambita ciotola della cuccagna. Il bambino prese subito due cioccolatini e se li infilò in tasca, un terzo, invece se lo pappò all’istante.

-Sciocolà! Gnam!

Mi fece venir voglia, così ne presi uno anch’io.

 

Destino volle che il resto della settimana lo passassi praticamente coi bambini cioccolato-dipendenti. Ogni pausa pomeridiana ed ogni sera, mi ritrovavo a fare da babysitter a quei mocciosi che non riuscendo a comunicare tra loro, avevano un unico modo per mettersi d’accordo su qualcosa che conoscevano...

-Sciocolà?

-Cioccolà?

-Giogolad?

Insomma, ognuno lo pronunciava a modo suo, ma il soggetto era sempre quello, perciò non potei far altro che rispondere:

-E cioccolattiamo!

Penso che mangiai più di venti cioccolatini in quei cinque folli giorni, e di sicuro se il corso fosse durato un paio di settimane in più, avrei messo su almeno un paio di chili. Ma nonostante ciò, preferivo la loro semplice compagnia a quella dei miei compagni di corso.

I motivi erano molteplici: ormai la situazione con Guvu si era fatta pesante, da splendente e radiosa com’era, passò a delusa e depressa; poi anch’io ero cambiato: dopo quello che avevo fatto a Samahel non me la sentivo più di spingermi troppo con le emozioni, non finché non avessi imparato a controllare i miei poteri; infine, non volevo attaccarmi ulteriormente a loro, altrimenti l’addio da triste sarebbe diventato tragico. Così tirai in questa maniera fino a venerdì, giorno in cui ritornò Samahel.

 

Il suo fu un ingresso in pompa magna: limousine di venti metri coi vetri oscurati, autista personale che aprì la portiera e genitore con annesse mogli che sprizzavano lusso e sfarzo da ogni passo. Solo Samahel, paradossalmente, fece l’ingresso meno regale di tutti; evidentemente neanche i soldi riuscivano a rendere eleganti le grosse fasciature che aveva sul torso.

Mrs. Sinclair, come direttrice, si presentò per prima rispetto agli altri dipendenti, dimostrando di conoscere alla perfezione anche la lingua del padre di Samahel, il quale non poté far a meno di rimanere quantomeno stupito. Ad un certo punto, non so come, ma dal discorso venne fuori il mio nome ed un attimo dopo venni presentato al padre del ragazzo.

-Tu sei salvadore di mio filio! Bravo raguazzo, ma adesso raccondici quello ch’è successo!

A quanto sembrava, si era preparato il discorso da farmi prima di venir all’istituto.

-Se vuoi aiutare la tua insegnante, questa e l’occasione giusta.

Mrs. Sinclair non poteva essere più chiara di così, perciò raccontai la verità: di Guvu, delle botte, dell’innocenza della signorina Hunger e soprattutto dell’incidente col fuoco.

-Mio filio ha raccontato me stessa tua stoira, perciò ti credo, fatti abracciare!

-Off!!

Era un abbraccio poderoso, non c’erano dubbi.

-Tieni, questo piccolo presente per te. Dallo a morosa!

Così, in un attimo, passai dall’essere il testimone chiave al non essere considerato più. Per lo meno avevo ancora il regalo che mi aveva fatto il padre di Samahel.

-Vedi che quello essere brillante, costare molti soldi, mio padre no capire difficoltà persone, perciò tu no pensare male di lui. Nascondilo, un giorno sarà utile. Ah, e grazie.

E inaspettatamente, anche Samahel si dimostrò riconoscente.

In fondo è un bravo ragazzo, non ha colpe se è cresciuto in quest’ambiente. Probabilmente suo padre ha anche più di una moglie e questo non l’ha aiutato certo a capire cosa sono gli affetti. Mi dispiace averlo sempre visto in cattiva luce.

Dopo un po’ decisero di andarsene e Samahel, con un ultimo inchino, salutò tutti.

-Sei stato bravo.

La signora Sinclair mi diede una pacca sulla spalla, il che voleva dire che tutto s’era risolto per il meglio; almeno per noi, meno per i responsabili del centro commerciale.

 

Il sabato mattina iniziò bene: Guvu uscì dalla sua depressione sociale e si azzardò pure a salutarmi; sembrava essere ritornata quella d’un tempo. Alla fine della lezione, la presi in disparte e le diedi il pacchettino contenente l’anello col brillante.

-E questo? Cosa significa?

-Significa che non sapevo che farmene e l’ho dato a te!

-Ma non è mica un regalo da fare alla prima che passa, vale un mucchio di soldi, non lo sai?

-Ma tu non sei la prima che passa, penso che questo anello sia il minimo che ti meriti.

-Ho riflettuto a lungo in questi giorni, tu non hai colpa, dicevi le cose come stavano, sei sempre stato così carino con me, ma non posso accettare tu...

-Tienilo nascosto fino a quando non avrai l’età per indossarlo. Ci tengo, ti ricorderà me. Tienilo.

-Ok, ma se lo rivorrai indietro basta dirmelo ed io...

-Va bene, ma sono sicuro non succederà, credimi. In più ti voglio chiedere di non serbare troppo rancore verso Samahel, lui è cresciuto con la convinzione che le donne sono degli oggetti, probabilmente nemmeno conosce sua madre. Anche lui se ne vergogna un po’, è addirittura venuto da me per scusarsi dei modi indelicati di suo padre, s’è pure preparato un discorso da farmi in italiano, non sarà stato facile... Non ti chiedo di perdonarlo, ma...

-Ci proverò, ma solo perché me lo stai chiedendo tu. Rimarrai per sempre nel mio cuore, voglio dirtelo ora che siamo soli, non so se ci ricapiterà un’occasione del genere.

Uffa, che melodramma, è meglio tagliarla al più presto.

-Andiamo, sennò si insospettiranno.

Così affrontai sereno e libero da ogni pensiero l’ultima lezione pomeridiana di quel corso. Samahel stava bene, Guvu si era ripresa e la signorina Hunger sarebbe tornata al più presto il suo lavoro: non poteva finire meglio di così.

 

La cena di quella sera fu abbastanza toccante, tutti sapevamo che quello sarebbe stato l’ultimo momento passato assieme, perciò più che un pasto sembrava un funerale. Scambi più o meno tristi di sguardi, qualche lacrima e perfino barzellette per allentare di un minimo la tensione: non ci facemmo fatti mancare nulla. Il che faceva riflettere sul fatto che se il corso fosse durato ancora qualche altra settimana, l’addio sarebbe stato estremamente straziante. Alla fine, fui io quello che si dimostrò il più impassibile. Mi dispiaceva, certo, ma star male o addirittura piangere per questa sciocchezza mi sembrava esagerato, perfino la ferrea Karina aveva gli occhi umidi e l’elettrica bambina rumena che in quattordici giorni di lezione aveva imparato quasi nulla non era più tanto allegra.

Più tardi scoprii che gli altri aspettavano dei voli per quella notte, mentre io ero l’unico che rimanevo in Inghilterra, perciò all’arrivo del mio tutore, fui il primo a dover salutare gli altri. Con semplici strette di mano o con forti abbracci il gesto aveva sempre la stessa importanza: si trattava di un addio definitivo, e Guvu lo sapeva. Mi abbracciò a lungo, io non potei far nulla se non ricambiare la stretta con un'altra meno soffocante, per poi lasciarla ed andare senza voltarmi verso ser Richard, che mi attendeva all’uscita.

-Hai visto?

-L’abbraccio?

-Direi...

-Ti sei fatto un’amichetta, eh? I miei insegnamenti ti sono tornati utili solo dopo pochi giorni, vedi, la vita che scherzi fa?

-Lascia perdere, è per colpa dei tuoi stupidi consigli che mi sono trovato nei guai con quella. Non sai cosa mi ha detto, lei...

-Poi mi racconti!

Prima di uscire, salutai educatamente tutte le insegnati – anche quelle che non conoscevo – la direttrice ed i due bambini dell’altro gruppo che più si erano affezionati a me ed ai miei cioccolatini.

-Penso di aver imparato molto sull’inglese, dovremo provare a...

-Poi mi racconti!

-Ok, ma prima devi sapere che ho dato fuoco...

-Poi mi racconti!

-E non ti interessa nemmeno sapere perché ho le mani..

-Va bene, ho capito, sono state due settimane pregne di avvenimenti, ma possiamo parlarne quando ci saremo sistemati? Ti faccio notare che sta piovendo...

Infatti non me n’ero accorto, ero così sovrappensiero che non avevo notato l’ombrello che ser Uppercut teneva sopra le nostre teste.

-Ma anche a luglio piove qui?

-Eh già, questa caro mio, è Londra: capitale della pioggia. Per fortuna la nostra prossima destinazione è provvista di camino per la metropolvere, così arriviamo subito.

-E dov’è che andiamo adesso?

-Dobbiamo passare un mese e mezzo assieme, dove studiare cose nuove sulla magia, imparare e provare nuovi incantesimi ed acquistare materiale per gli studi. Beh, c’è solo un posto in tutta Londra che ci permetterà di fare questo: il Paiolo Magico!

 

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Capitolo 7
*** Il Paiolo Magico ***


-Devi fare come l’altra volta, solo che ora dovrai dire ‘Paiolo Magico, Londra’, chiaro? E cerca di controllare la caduta se ti riesce.

Eravamo nuovamente nel negozio di Rose, anche se in pieno orario di chiusura, alle prese con la metropolvere.

La poveretta fu costretta a rimanere aperta fino a quell’ora solo per permettermi di usare il suo camino per arrivare in quella locanda, che, a quanto diceva ser Richard, distava parecchio da dove eravamo per poterci andare a piedi con tutte le valigie.

-La splendida Rose ha ritardato la chiusura del suo negozio proprio per permettere il nostro transito, il minimo che tu possa fare è ringraziarla.

Disse ser Uppercut non appena entrammo nella fioreria.

-Certamente: thanks a lot, miss Kettleback!

-Grazioso, ma mentre ci siamo, lascia che ti lanci il Logoscomprehendi, ho capito che ormai sai parlare l’inglese meglio di me, ma è meglio non pretendere troppo: sono arrivate le autorizzazioni dei tuoi genitori, ora posso lanciarti fatture a volontà, preparati, saranno dolori! Logoscomprehendi!

Ed una scintilla percettibile solo per un attimo, fuoriuscì dalla punta della sua bacchetta per arrivare alla mia fronte, dove sparì dissolvendosi.

-Beh, che hai provato? Solletico, fastidio o fitte allucinanti?

-Niente...

-Mi sembri deluso, forse ti aspettavi che facesse davvero male? Stavo solo scherzando... Ora parla come vuoi tu, in italiano, in inglese, anche in una lingua che conosci solo tu, tanto quello che uscirà dalla tua bocca verrà capito da tutti. Su, prova a parlare scioltamente con Rose.

-Ehm, grazie? Signorina Kettleback?

-Prego? Perché quel tono interrogativo?

-Quindi mi capisci, funziona!

Ser Richard sembrava divertito.

-E tu pensi che farei il tutore di allievi stranieri se non sapessi usare alla perfezione un incantesimo fondamentale come questo? Mi sottovaluti, e parecchio...

-No, è che per me è strano e...

-Hai problemi a capire il sarcasmo, non è vero?

In realtà no, era lui che con la sua eterna espressione vaga non faceva trapelare le intenzioni dei suoi discorsi.

-Non perdiamo altro tempo: prendi queste due valigie, mettitele ai lati ed entra nel camino.

-Paiolo Magico, Londra!

Come due settimane prima, anche stavolta le fiamme verdi mi divorarono in un secondo, trasportandomi come fumo dal camino di Rose a quello della mia nuova destinazione.

Swisss!

Ma stavolta furono le mie due valigie a sgusciare via come se a terra ci fosse del sapone. Io, invece, riuscii a mantenere l’equilibrio non appena sentii nuovamente solide le gambe; produssi solo un piccolo saltellino in avanti per assestarmi.

Ci sto facendo la mano. Me la ricordavo molto peggio la materializzazione!

-E’ meglio che ti sposti di lì giovanotto: la cappa del camino sta luccicando, vuol dire che sta arrivando qualcun altro!

L’avvertimento proveniva da un tizio baffuto dietro ad un bancone, che con un panno asciugava un boccale di birra. Ed io non potei far altro che ubbidire.

Whaamp!

Con una fiammata che partì dall’alto per poi spegnersi a terra, apparve ser Richard che, sorpreso nel vedermi in piedi, non riuscì a trattenere un cenno di approvazione.

-Ooh, ora capisco chi è questo ragazzo volante! E’ quello nuovo, vero?

Era ancora il baffone che parlava – anzi, urlava – ma questa volta ce l’aveva chiaramente col mio tutore.

-Sì, Wallace, ti presento Emanuele. Emanuele, Wallace. Questo qui è italiano.

-Piacere giovanotto!

Lasciò perdere le sue pulizie per avvicinarsi e stringermi la mano con una poderosa stretta.

-P-piacere mio, s-signore.

-E’ educato questo. A differenza di quell’altro, l’austriaco!

-Ma dai, sono passati quattro anni, non riesci a dimenticarlo?

-E come potrei, ha spaccato una botte facendo versare tutto il vino, 500 galeoni di danno! Valli a pagare!

-Appunto, l’hanno già fatto: sei stato rimborsato, Peter è stato rimproverato a dovere e tu dovresti passarci sopra!

-Beh, ragazzo, ti avverto: non farmi arrabbiare mentre stai qua, che di subire altri danni da un mocciosetto di Richard non c’ho proprio voglia! Sono stato chiaro?

-C-chiarissimo!

-Ecco, me l’hai spaventato. Ti avrei presentato a lui come un uomo grosso e simpatico, invece dovrò dirgli la verità. Sei uno scorbutico esagerato: non passa mai più di un giorno che qualcuno non incendi o faccia saltare in aria qualcosa qui dentro e tu sei il primo di loro. Proprio l’altro ieri Zimmer dell’ufficio Finanze mi ha detto che hai presentato una fattura per riparazione impianto idrico, dopo che tu hai allagato la cantina con non so quale incantesimo.

-Che c’entra, quello è stato... Và, inutile parlarne, tanto se vorrà distruggermi il locale lo farà lo stesso. Accetta con entusiasmo dicevano; non capita a tutti di firmare un contratto di lavoro col Ministero stesso, sono soldi assicurati dicevano; almeno un cliente l’anno per un mese intero: ne avrei fatto a meno di questo cliente, tsk!

Borbottando queste lamentele tornò al suo posto dietro il bancone, ritornando a pulire il boccale e dimenticandoci per un istante.

-Ehi, e la stanza?

Ser Uppercut per farsi sentire glielo dovette gridare.

-Bah, sceglietene una a caso, lì sopra... Sono quasi tutte libere, tranne un paio in fondo, il pienone ci sarà fra qualche settimana.

-Lo sappiamo, proprio per questo siamo qui oggi. Dai, prendi la valigia più leggera e sali; una stanza qualsiasi va bene a quanto pare, scegli quella che più ti aggrada, così ci riposiamo finalmente.

In realtà rimasi così stordito dalla scena di pochi momenti prima, che non mi ero nemmeno guardato intorno, quindi non sapevo minimamente dove fossero le scale.

La struttura era semplice: una stanza rettangolare con il bancone del gestore situato nel lato lungo che si affacciava all’ingresso, con una rampa di scale ed un camino con alcuni ritratti appesi sopra su i restanti lati. Alla sinistra del bancone era presente un’enorme botte alta almeno due metri che conteneva vino – almeno questo c’era scritto sulla targhetta – mentre a destra ce n’erano altre tre, più piccole, che però a quanto pareva contenevano una strana bevanda di nome burrobirra.

Se quello che si presentò alla mia vista fosse rimasto solo questo, allora non sarebbe apparso un locale molto magico, sporco forse, ma magico no di certo. Il fatto è che le sedie del tavolo si scambiavano periodicamente di posto, i piatti ed i bicchieri passavano dal lavabo ai tavoli in maniera del tutto autonoma e gli sgabelli posti sotto il bancone ogni tanto facevano qualche piccolo saltello. Per non parlare dei singolari clienti della locanda: la maggior parte di loro indossava mantelli e casacche scure, molti altri portavano strani cappelli a punta ed un uomo su tre aveva una lunga barba che arrivava fino al petto. Tipi abbastanza fedeli allo stereotipo del mago del tredicesimo secolo.

-Che hai da guardare?

Il tizio più strambo di tutti mi rivolse quella domanda assieme ad una torva occhiata.

-Non sente caldo con quei guanti di lana?

-Che?!?

Sembrava non avesse capito la mia domanda, ma in realtà si trattava di disappunto: avevo osato fargli notare l’inadeguatezza del suo abbigliamento.

-Ti sei imbambolato? Dai, sali, la scelgo io la stanza!

Ser Richard, per salvarmi da quell’imbarazzante situazione, aprì una porta che si rivelò rumorosissima, in modo da attirare l’attenzione del mago imbronciato. Ne approfittai al volo e lo seguii dentro quella camera.

-Ah, la vecchia porta scassata! Se Wallace un giorno l’aggiusterà, ci resterò male, ormai ci sono talmente affezionato...

La stanza era uno schifo: polvere dappertutto, perfino sulle pareti; non avevo mai visto pareti impolverate, ma grazie alla pulizia del locandiere, ora potevo vantarmi di averne viste ben quattro. Inoltre sotto una plafoniera ad olio c’era un buco che faceva presumere un’infestazione di ratti, anzi era cosa certa: infatti, il letto da una piazza e mezza a baldacchino che era posizionato nell’angolo sotto la finestra, aveva le lenzuola strappate e rosicchiate. Per non parlare delle tipiche cacche a pallina di cui era ricoperto ogni centimetro quadrato dell’ambiente: non avrei dormito in quella stanza nemmeno sotto tortura.

-Ma...

-Lo so, questa è la stanza usata come magazzino quando arriva la mobilia nuova, che, come vedi, non viene usata nemmeno per quello ormai. Era solo per disimpegnarti da quel tipo, è un attaccabrighe, lo conosco di fama. Cerca un’altra stanza: sono tutte uguali, ma scegli comunque quella che ti ispira di più.

Anche se era semplicemente impensabile che il mio tutore mi volesse sistemare in una stanza del genere, mi sentii lo stesso sollevato per lo scampato pericolo. Ora non restava che sperare che le altre stanze fossero un po’ più presentabili.

Uscendo da quel tugurio ci si trovava in uno strano corridoio costituito interamente da assi di legno. La stranezza stava nel fatto che non c’era una parete, uno stipite o una trave che fosse dritto. Era tutto assurdamente storto, tant’è che se non fossi sicuro di essere astemio, avrei pensato più facilmente di essere io l’ubriaco che ammettere che la struttura non aveva alcun senso architettonico.

-Ehm, ser Uppercut... Non è che ci cade addosso l’intera baracca?

-No, certo che no. Sono secoli che questa locanda sta in piedi e ci resterà ancora parecchio e, se tutto va bene, anche per sempre. La struttura ovviamente poggia su solidi incantesimi edificanti che non sempre vengono lanciati da chi conosce alla perfezione l’architettura e le sue simmetrie... E questo corridoio ne è un chiaro esempio. Contrariamente a quanto sembri, infatti, nemmeno un terremoto talmente potente da squarciare in due Londra può far cadere questo e tutti gli altri edifici sostenuti magicamente. Insomma, non c’è posto sismicamente più sicuro di questo, credimi. Anche se, effettivamente, il lavoro fatto in questa locanda è orribile: guarda, non c’è una parete che sia parallela alla sua frontale, nemmeno a occhi chiusi si poteva fare un lavoro peggiore, eheh. Che bello quando si è giovani, si vede tutto con stupore, ci si entusiasma pure per delle travi sbilenche!

Io di certo non sono entusiasta, forse terrorizzato è il termine giusto.

-Bah, come dici tu... Se dentro non fa schifo, prendiamo questa!

La stanza che scelsi era proprio quella che precedeva l’incurvamento più bislacco dell’intero corridoio: si era formato un angolo di almeno quaranta gradi, un muro praticamente.

Non è male, può andare!

Effettivamente era la copia spiccicata del tugurio-magazzino, ma meno sporco e decisamente meno infestato.

-Va benissimo, vedi qualche cacca di topo?

-Cosa?

Rabbrividii.

-Non le riconosci? Sono dei piccoli tondini marroncini... Vabbè, non importa, non ce ne sono, possiamo star tranquilli. Sì, questa stanza va proprio bene! Posiamo le valigie e mettiamoci comodi, ho la schiena a pezzi!

Detto questo, ser Richard posò la valigia che aveva in mano sopra la scrivania e si sedette sulla poltrona che dava sulla finestra.

-Vedi? C’è pure il camino, penso che fra un po’ lo accenderemo!

Penso si riferisca alla metropolvere, anche se ha usato il verbo accendere, non può esser così pazzo da farlo veramente! Ci sono quaranta gradi all’ombra!

-Allora, alle sette scendiamo di sotto per la cena, ci scambiamo quattro parole e ci salutiamo, ok? Stanotte dovrai riposarti per bene, ci attendono giorni pieni di impegni, dovrai imparare un sacco di cose sulla magia, dovremo acquistare tutto il necessario e cosa più importante dovrai imparare a controllare i tuoi poteri e a saper lanciare il Logoscomprehendi... Te lo ripeto per evitare che te lo scordi.

-E come si fa a dimenticare la situazione disperata nella quale mi trovo?

-Oh, non c’è nulla di disperato... Abbiamo più di un mese, ce la faremo senza dubbio. E’ tutto calcolato: ho già affrontato questo compito varie volte e non ho mai fallito. Di certo tu non farai eccezione... Entro Settembre saprai più cose tu sulla magia che un ragazzo nato in una famiglia di maghi, stanne certo. Ora, puoi raccontarmi pure tutto quello che hai fatto in quelle due settimane al collegio babbano, incluso il motivo per il quale hai le mani fasciate.

Uh, e da dove comincio?

Così sparai d’un fiato tutte le vicende più importanti che mi videro protagonista e, diversamente da quanto immaginavo ci misi meno di cinque minuti forse perché in fin dei conti, a parte l’autocombustione durante la gita, il resto non era particolarmente importante.

-Uhm, ha preso fuoco, hai detto? Beh, in effetti, può essere abbastanza grave, a seconda di che tipo d’incantesimo hai usato per mandarlo in fiamme. Domani controllerò immancabilmente. Ah, e ti farò curare le mani, naturalmente. Ora sistema il resto delle tue cose, che vado a fare quattro chiacchiere con Wallace, fra qualche minuto salgo e vediamo un po’ di iniziare a risolvere il primo problema: intercettare e fermare il rapporto della Traccia.

-Traccia?

-Sì, te ne ho già parlato grossolanamente, in parole povere è un sistema infallibile che, appunto, traccia i movimenti magici di tutti i minori; insomma se usano o meno incantesimi al di fuori delle aree permesse e senza un tutore magico al suo fianco. Se vuoi sapere come funziona esattamente, in uno dei libri che ti porterò domani, sarà spiegato dettagliatamente, per il momento ti basti sapere che se non fermiamo il rapporto che ti riguarda, a seconda della gravità dell’incantesimo che hai usato – ed incendiare una persona non è di certo una bazzecola – potresti anche venire espulso dalla scuola od, ancor peggio, ti potrebbe venir requisita la bacchetta. Sai che fregatura vedersi precluso un mondo in cui non si è ancor messo piede...

Su questo non ci piove...

-Ma non preoccuparti, per i nati babbani la procedura è molto più lenta: passano settimane prima che si prenda in considerazione un rapporto a loro sfavore, perciò siamo ancora in tempo. Per esser ancor più sicuri però, la farò cercare stasera stesso, sempre che all’ufficio ci sia ancora qualcuno.

Dopo avermi allarmato, come se nulla di terribile fosse uscito dalle sue labbra uscì, sornione, dalla stanza.

Ma tu guarda che razza di situazione, sarebbe il colmo venire espulsi dopo essermi sorbito due settimane di spelling e dettati, uff!

Non mi restava altro che disfare le valigie, detestavo ammetterlo, ma in quella stanza ci sarei dovuto rimanere a lungo...

Un quarto d’ora dopo, come un orologio svizzero, ser Richard bussò alla porta ed entrò, col pugno sporto in avanti e facendo cenno di allontanarmi e mettermi da parte.

-Largo, ho della metropolvere in mano, quello spilorcio manco una scodella m’ha prestato!

In effetti dalle fessure delle dita fuoriusciva copiosamente della polvere, ma la scena era così assurda che il pensiero delle pulizie che sarebbero seguite non mi balenò in mente neppure per un istante.

Ciaff!

Così la lanciò sul fondo della canna del camino, creando una bassa ma vigorosa brace. Pensandoci, quel caminetto non era largo abbastanza e decisamente basso per contenere una persona, perciò non mi sapevo spiegare come avrebbe fatto a materializzarsi da lì; in più stavolta buttò subito la polvere e non dopo come le scorse volte, perciò guardai con ancora più curiosità.

-Incrociamole dita!

Dopo queste scaramantiche parole, si piegò e buttò letteralmente la testa tra le fiamme, lanciando zampilli ovunque.

-Oddio!

Subito dopo, ritrasse la testa dal fuoco e si girò verso di me, dicendomi:

-Ah, tranquillo, materializzo solo la testa, non corro certo rischi.

E rinfilò la testa nel tizzone... Per poco.

-Ah, per mettere le cose in chiaro, l’incrociamo le dita era riferito alla speranza che ci fosse qualcuno in ufficio.

Infilò una terza volta la testa tra le fiamme rimanendoci però molto più a lungo delle precedenti.

Era stranissimo ritrovarsi davanti ad un corpo senza testa che ogni tanto si muoveva, si grattava la schiena o sistemava la postura, macabro direi. Solo dopo una dozzina di minuti, sollevando un enorme polverone fuligginoso, emerse la testa dall’ormai quasi del tutto esaurito fuoco del focolare, mostrando un volto soddisfatto.

-Tutto a posto, missione compiuta! Il tuo rapporto è stato mandato dritto alla mia scrivania, così potrò pensarci io stesso, in più ho fatto preparare i libri, così domani non perderò tempo e sarò di ritorno prima delle dieci. Ah, una cosa buffa poi: sai perché Matthew, il mio collega, non è riuscito a convincere quel ragazzo a studiare ad Hogwarts? Perché secondo i suoi genitori la Francia è più vicina! I babbani hanno proprio uno strana percezione delle distanze, come se in caso di bisogno i figli non potessero ritornare in casa lo stesso in pochi minuti!

-A proposito di quel termine, babbani...

-Sono gli individui che non posseggono alcuna dote magica.

-L’avevo intuito, con tutte le volte che l’hai ripetuto...

-E allora?

-Non ti sembra un po’ spregiativo?

-No e perché mai, cosa vedi di offensivo?

-Beh, non so, suona brutto... Non era forse meglio Non Maghi? Oppure PSP (Persone Senza Poteri)?

-No, si creerebbe confusione col termine Magonò di cui sai già il significato, e poi è comunque troppo lungo, babbano invece è veloce ed immediato, due sole sillabe: bab-ba-no! Vedi? Babbano!

[NB: in inglese babbano = muggle]

-Sarà, a me non piace per niente.

-Forse in passato era usato per disprezzarli, anzi quasi certamente, ma oggi non è più così: è il termine ufficiale per indicare coloro che non hanno le nostre stesse potenzialità, anche in un discorso formale lo si utilizza; non vederlo come un’offesa. Toh, è già ora di cena!

In effetti avevo un leggero languore, il che voleva dire che mi stavo abituando a cenare così presto... La cosa non mi piaceva affatto, in due settimane stavo stravolgendo completamente le mie abitudini, era disturbante un cambiamento così repentino.

-Scendiamo, su! Imparerai molto anche in tavola, vedrai cosa mangiano solitamente i maghi e cosa non deve mancar mai... Certo, ad Hogwarts avrai molta più scelta e la cucina sarà migliore, ma anche qui potrai notare le differenze con la gastronomia babbana.

Di colpo l’appetito mi passò: ser Richard sapeva proprio come fare a fermare ogni entusiasmo. Per fortuna il profumino che proveniva dal piano di sotto mi riaccese la fame, anzi la ingigantì.

-Umh sì, zuppa di rape e fagioli, tipico. E questo? Sniff, sniff! Braciole di maiale all’agrodolce! Mangeremo saporito stasera, ma non farci l’abitudine: dirò a Wallace di contenere le calorie, non voglio che poi ci sentiamo male.

Ennesima batosta morale.

-Non guardarmi male però. E’ per la nostra salute... Tranquillo che mangerai bene lo stesso.

Nonostante il buonissimo odore che emanava, il pasto a vedersi era semplicemente orribile: una ribollente brodaglia verde scuro nella quale ogni qual volta scoppiava un grumo, ne usciva una nauseante colata violacea.

-Buono, buono, buono. Su, non facciamola freddare sennò perde tutto il sapore.

Lo osservai attentamente per vedere come e soprattutto se l’avrebbe mangiata, ma con mia sorpresa prese un semplice cucchiaio di legno, lo inzuppò e se lo portò alla bocca, dove dopo averci soffiato sopra, risucchiò tutto il brodo.

-Beh, non mangi?

-No, è che... Le bolle...

-Ah, tranquillo, è una semplice zuppa...Per dargli un pizzico di sapore in più sono state aggiunte spezie un po’ troppo vivaci, ma nonostante l’aspetto tutt’altro che appetitoso, il gusto non è niente male: prova.

Mi convinsi ed immersi il mio cucchiaione in quella brodaglia tanto concentrata da farmi quasi sforzare per far risalire la posata. Trattenni il respiro e mandai giù il boccone: non era male, ma non la smetteva di gorgogliare neppure nello stomaco, fastidiosissimo.

-Con questa ci tiro su rutti da competizione!

-E non sai cosa t’aspetta questa notte, ahahah!

Risi anch’io, ma con amarezza; quella frase poteva significare di tutto: da una semplice notte costellata di puzzette ad una in preda a lancinanti fitte addominali.

Quando arrivò il secondo eravamo così sfiniti dal ridere (anche la semplice deglutizione era accompagnata da mille risate e commenti volgarissimi) che il solo masticare recava dolore alle mascelle troppo stanche per andare avanti.

-Se non fosse tutto pagato, uhuh, me ne sarei andato già da un pezzo, uhuhuh!

-Se non fosse che stanotte dormirò da solo in un locale pieno di brutte facce, riderei di più, ahahah!

-Basta, mi fai morire, ahahah, c’è qualcosa che non va... Oste!!! Brutto grassone, dicci subito cosa hai messo su quella zuppa, altrimenti... Pffft!

Il locandiere corse più veloce che poté ma non abbastanza per evitare un nuovo rimprovero da parte di ser Uppercut.

-Che ciccione lumacone, guarda come gli balla la trippa! Ahahah!

Sapevo che non dovevo ridere per rispetto ma era come se qualcuno avesse aperto il rubinetto dell’ilarità, inoltre c’era caldo, troppo caldo per trattenerle risate.

-Dimmi che non hai messo quello che penso io altrimenti ti uccido, eheh...

-E’ la Festa delle Banche questa, tutto contiene un goccetto di alcol, lo sai. Nel caso della zuppa c’era sidro di bacche del fuoco, per questo ribolliva continuamente.

-Mi sembrava fossero Naccherotti o qualcosa del genere, comunque sei un pazzo, servire sta roba ad un bambino di undici anni eh, eh... Per essere arrivati a questo punto altro che goccetto, siamo ubriachi fradici!

-Allora fermatevi perché anche il maiale è in umido... Su malto di birra.

-Sentito il criminale? Prima ci avvelena e poi ci avverte, uhuhuh... Sei troppo simpatico Wally, ringrazia il cielo che non ho nemmeno la forza per pensare ad un incantesimo, sennò...

-Sennò, ser Richard? Ahahah!

-Guardalo, ha gli occhi rossissimi, non t’è passato nemmeno per un secondo per la testa che ad un minore potesse far male tutto quest’alcol? Ma guarda che faccia, Pffft... Dovevo insegnarli come vivono i maghi e adesso cosa penserà? Che siamo un ammasso di ubriaconi, ecco cosa pensa! Vero?

-Oh, non penso a niente a dire il vero...

-E ci credo; su alzati, ti porto di sopra, dormire ti farà bene, domani mentre siamo al San Mungo per le mani, vediamo di sistemarti un po’ i valori del sangue...

-Dove andiamo domani? Mani insanguinate? Ma che stai dicen...

Mal di testa. Un enorme, immenso, profondo mal di testa.

Questo fu l’unica cosa che provai per il resto della serata fino alla mattina seguente. Mattina che peraltro iniziò nel peggiore dei modi.

Toc! Toc!

-C-chi è?

-Sono io, Richard, apri, devo parlarti immediatamente.

Con un pressante cerchio alla testa mi alzai da quel fagotto informe che compresi essere il mio letto ed aprii la porta, barcollando come se fossi sulla prua di una nave durante la tempesta.

-Bene, innanzitutto mi scuso per ciò che è successo ieri sera, se non fosse che abbiamo il tempo contato, non ti avrei svegliato e avremmo cominciato direttamente questo pomeriggio ma date le circostanze... Ho optato per svegliarti adesso, alle 10.

Le dieci? Il mio orologio interno batte le 5 del mattino, altro che 10...

-Ma che è successo? Non ricordo quasi nulla...

-C’è poco da dire, eravamo, ehm, un po’ alticci per via dell’alcol che abbiamo assunto in dosi sostanziose. Il motivo è perché oggi è il primo lunedì del mese di Agosto... Non so se conosci tutta la storia, ma qui è festa. E’ tutto chiuso tranne i servizi di prima necessità, e nel mondo dei maghi la festa si protrae per tutta la settimana e sfocia spesso nell’alcolismo di gruppo. Non era mai successo che Wallace servisse a me e ai miei ragazzi cibi “corretti”, ma stavolta sì. Comunque è tutto risolto, non ricapiterà più, creerà un menù tutto per noi, se gli altri vogliono sbronzarsi facciano pure, noi siamo qui per imparare; a proposito... Gradirei che questa faccenda non venisse allo scoperto... Non saprei come andrebbe a finire. Non è colpa di nessuno, ma... Inutile avere problemi, inoltre è meglio tenere all’oscuro i tuoi genitori, almeno per il momento.

-Sì, certo, tranquillo, sarò una tomba.

-Visto che hai accennato alle tombe... Ti dico subito perché sono così serio oggi. Controllando il tuo fascicolo, nel mio ufficio, ho letto quale incantesimo ha registrato la Traccia... Ed è il peggiore dei casi: La Carnum Inflamare.

Ovviamente non sapevo con esattezza perché fosse proprio il caso peggiore, ma di certo non mi aspettavo di aver usato un incantesimo innocuo.

-Non puoi saperlo, ma esistono vari incantesimi per dar fuoco alle cose, anzi, è proprio una delle cose basilari che si imparano per prime a scuola. Ma quasi sempre, o almeno solitamente, si tratta di semplici Incantesimi di stato o tutt’al più Alchemici. Usare questi incantesimi per errore non è grave, ci sono sempre delle contromisure adatte da poter adottare... Ma non è questo il caso. Quella che hai usato è infatti una Maledizione, nome brutto, per incantesimi pericolosi. Sono nati, e di conseguenza vengono usati, per ferire volutamente la gente: non hanno altro scopo se non l’arrecare danno all’obiettivo. In più sono difficilmente curabili; in altre parole, il tuo amico porterà i segni delle ustioni per sempre. Nemmeno un altro mago può curare o fermare gli effetti di una Maledizione. Per questo è gravissimo usarle. Per alcune c’è perfino l’arresto immediato; però tranquillo, a parte me, nessuno sa di questa cosa e nessuno verrà mai a saperlo, però comprendi il come sia estremamente importante che tu riesca quantomeno a controllarti emotivamente evitando l’utilizzo improprio della magia, specie nel tuo caso in cui l’assenza di un catalizzatore magico non comporta alcuna differenza.

Fu una vera e propria mazzata. E non era ancora finita.

-Fortunatamente – continuò ser Richard – per la paura avrai interrotto il contatto visivo, oltre ad aver smesso di lanciare l’incantesimo, altrimenti quel povero ragazzo sarebbe sicuramente morto. Perché sai, non erano i suoi vestiti ad aver preso fuoco, ma lui stesso. Per via dell’acqua che compone la maggior parte della nostra massa, è riuscito a non bruciare totalmente in quei pochi attimi in cui la Maledizione era attiva, ma parlandoci chiaramente: se fosse stato di pezza sarebbe morto sul colpo.

Se non avessi chiuso le palpebre sarebbe morto...

Era troppo, ero ad un passo dal piangere, anzi, stavo proprio piangendo come un moccioso.

-Sigh! Io... Io non volevo, non sapevo cosa stava succedendo... Lui fa Pum!, io faccio Grrr! e poi lui fa Whamp! e... Io... Io...

La mia lagna era resa ancor più umiliante dai miei goffi tentativi di mimare la dinamica dell’incidente.

-Lo so, lo so, non volevo spaventarti... Ma è questo che è successo ed è mio compito avvisarti ed allenarti propriamente per evitare che un episodio simile riaccada. Il documento che testimonia la Maledizione l’ho distrutto e la Traccia non produce più di una copia per ogni violazione quindi, almeno per questo, possiamo stare tranquilli.

Tranquilli un corno, ci stava per scappare il morto e...

-Dai, ora vestiti che così scendi, fai un abbondante colazione che poi andiamo al San Mungo, l’ospedale per maghi di Londra!

-Per... Per fare cosa?

-Come per fare cosa? Le tue mani, le hai scordate? Dobbiamo curarle, no?

-Ma hai appena detto che le ferite da Maledizione non possono essere...

-Curate, infatti. ma le tue sono ustioni indirette, ti sei scottato perché sei venuto a contato con delle fiamme, non per altro.

-Dovrei essere io a dover portare i segni per sempre, non lui...

-E come sei tragico! Da quanto mi hai detto ieri il tuo amichetto è ricco, no? Si farà curare dai medici babbani; a volte con la loro scienza riescono a riparare ciò che con la magia è impossibile, ti suonerà strano ma è così... Mi pare si chiami Impennata Plastica...

-Eh?

-Oh, pensavo la conoscessi, una mia collega s’è fatta trapiantare dei capelli color ocra che con gli incantesimi non riusciva ad imitare, ma si possono modificare altre cose: come naso, labbra, unghie e, in questo caso, cute nuova di zecca.

-Ah, la Chirurgia Plastica!

-Ed io che ho detto?

-Te lo sai tu cos’hai detto, ma di certo non chirurgia, ahahah!

Non so se sbagliò appositamente, ma ne fui grato: mi bastò quella piccola risata per risollevarmi il morale. Adesso potevo proseguire la giornata, non importava cosa mi avrebbe atteso o quanto mi girasse la testa, ero pronto a girar pagina.

[Nota: surgery (chirurgia) nel mondo dei maghi non ha motivo di esistere, perciò ser Uppercut s’è confuso con surge, termine che in italiano trova una difficile traduzione dato che è usato più che altro come supporto ad altri sostantivi per indicare un aumento, innalzamento.]

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Capitolo 8
*** Ospedale per ferite e malattie magiche San Mungo ***


-Vieni qua un attimo... Ecco, così: Logos Comprehendi !

Con un unico fulmineo movimento, ser Uppercut estrasse la sua bacchetta da sotto la giacca e sparò l’incantesimo dritto sulla mia fronte: le esili scintille fuoriuscirono nuovamente, accecandomi brevemente.

-Dovresti essere tu a ricordarmelo ogni mattina, sai?

-E’ che è così strano per me... Sembra tutto molto normale...

-E proprio perché vogliamo che sia tutto naturale che dobbiamo ricordarci di lanciarci questa fattura ogni mattina, almeno fin quando non imparerai l’inglese alla perfezione. Ok, scendiamo, siamo pronti... Ah, visto che siamo notevolmente in ritardo, temo che non faremo più in tempo per la colazione qui alla locanda, poco male, lungo il tragitto qualche locale sarà aperto anche oggi... Mal che vada opteremo per la caffetteria del San Mungo.

-San Mungo?

-Sì, l’ospedale dove stiamo andando si chiama proprio così e... Oh, quasi dimenticavo: Locomotor!

Il mio tutore lanciò quell’ennesimo incantesimo su qualcosa all’altezza delle sue gambe, ma poiché era dietro la parete che divideva la mia camera col corridoio della locanda, non potei vedere di cosa si trattasse fin quando non arrivò da me. Sì, perché a quando pare quella particolare formula serviva a far animare oggetti che normalmente starebbero belli e buoni fermi nelle loro ubicazioni. La cosa buffa era che gli oggetti sembravano sentire il peso delle loro forme e dimensioni dato che, infatti, i libri più voluminosi erano anche quelli più lenti, mentre quelli con meno pagine erano più agili ma inciampavano facilmente... Come facevano ad inciampare non avendo gambe non lo so, ma in un modo o nell’altro alcuni sono riusciti a sistemarsi sull’unica scrivania tutta scheggiata della sala mentre altri, quelli di stazza più grossa, solo sulla sedia: evidentemente non riuscirono assolutamente a sostenere un altro sforzo oltre a quello enorme del primo salto dal pavimento al sedile imbottito.

-Questi sono i testi che penso ti potranno aiutare parecchio sulla conoscenza del nostro mondo. Contengono di tutto: un po’ di storia, un paio di favole e di leggende, qualche incantesimo utile, nozioni inerenti alle attività scolastiche di Hogwarts e molto altro. Sono tuoi, è un regalo. Faresti meglio a leggerne la maggior parte durante questo mese che passeremo assieme, ti daranno un aiuto notevole, vedrai.

Non appena rivolsi lo sguardo a quei tomi vecchi e logori rabbrividii, soprattutto pensando alla quantità di pagine che dovevano contenere quei tre grossissimi appollaiati sulla sedia.

-Tranquillo, contengono molte illustrazioni, i testi sono scritti a mano e molto larghi: ogni libro dimostra almeno il triplo del tempo che realmente occupa per essere correttamente assimilato, vedrai.

Speriamo...

-Ora andiamo, su!

Mi avviai assieme al mio tutore lungo il corridoio e poi giù per le scale, quando mi ricordai di non aver chiuso a chiave la mia stanza... Anzi, di non avercela proprio una chiave per la mia stanza.

-Ehm, ser Uppercut... Ma la chiave?

-Quale chiave?

Sembrava cadere dalle nuvole.

-Della mia stanza, cioè qui c’è un via vai notevole, non possiamo lasciare la stanza aperta ed incustodita, potrebbero entrare e...

-Ah, ho capito cosa intendi, no non serve, vieni, ti faccio vedere una cosa... Anzi, te la mostro per la seconda volta eheh.

Velocemente si avviò all’uscita della locanda e si affacciò fuori dall’uscio, con fare guardingo. Non potei far altro che seguirlo con riluttanza, perché stavamo allontanandoci un po’ troppo dalla mia stanza che, per inciso, era praticamente accessibile a tutti. Le mie preoccupazioni si gonfiarono non appena guardai con attenzione chi frequentava il Paiolo Magico in quel momento: la sala comune era pienissima, gente a destra, gente a sinistra, c’era chi portava le stesse vesti improbabili che avevo visto il giorno prima e c’era chi invece non portava altro che canottiera e calzoni, chi ballava sopra il tavolo lungo a ritmo di applausi e chi addirittura litigava con uno sgabello perché non lo faceva sedere, dato che ogni volta che ci provava, questi lo scansava facendolo rovinare col sedere per terra. Erano chiaramente tutti più che brilli, ma quelli più in preda ai fumi dell’alcol rispetto agli altri erano quei quattro tizi all’angolo tutti di statura e stazza diverse che cantavano abbracciati assieme una ballata in francese:

 

Mon amour, mon amour

je t’aime mon amour

s'il vous plaît, ne me fracasser

je le sais que je pue, tu dois me pardonner

je te promets, le bain je ferai

quand la Centenaire je vaincrai

ne me fracasser, mon amour.

 

Neanche a dirlo, furono stonatissimi.

-Dannati francesi, si sentono migliori di noi, sempre con la puzza sotto il naso stanno!

Era il più grosso (e stonato) del gruppo a parlare subito dopo aver finito quel delirio che doveva essere una canzone amorosa.

-Ehi, mia madre era francese!

Osò ribellarsi il più piccolo tra loro.

-Lo sappiamo Gerald, proprio per questo li odio! Un’altra volta dai!

Detto questo, il gigante prese con una mano la spalla sinistra del poveretto e se lo strinse accanto riprendendo a cantare quella nenia ancor peggio di prima, anche per via delle grosse sorsate che tracannava dal boccale tra un mon amour e l’altro. Gli altri tre invece, esausti, ormai a malapena riuscivano a canticchiare quel motivetto sempre identico sfoggiando un sorriso forzato ogni volta che veniva il turno del tanto esilarante mon amour.

-Che fai lì imbambolato, dai vieni, non sono un bello spettacolo.

Era ser Uppercut che mi parlava, ma mi ero completamente scordato di lui, quella canzoncina mi aveva quasi ipnotizzato, complice il cerchio alla testa che ormai pulsava a ritmo di musica.

-Ti presento Ricky, Ricky  ti presento Emanuele.

Fuori la locanda, ser Richard stava assieme ad un ragazzo con piercing alle orecchie e al naso, capelli ossigenati, giubbetto di pelle con borchie appuntite alle spalle ed un jeans strappato sporco di fango. Quasi dimenticavo che eravamo ancora a Londra e che la gente normale per la strada era possibile incontrarla. Anche se nel suo caso era difficile parlare di normalità, forse per lui il termine babbano calzava a pennello.

-Ehi, nano, ma stai in giro con ‘sto tipo qua che pare mio nonno? E frequenti sti postacci? Mamma mia, nemmeno io so’ così fuso da entrarci, ci entra solo gente stramba, non mi stupirei se finisse a coltellate qualche volta.

Mi dovevo correggere, di normale non aveva nulla: quando aprì la bocca notai che aveva un anellone d’argento trafitto nella lingua che faceva male solo a guardarlo e poi quando si sbottonò metà pettorina vidi chiaramente un logo Pink Punk! stampato sulla sua T-shirt.

-Ehm sì, bene... Ricky s’è offerto volontario per spiegarti come mai la tua stanza è bella che inaccessibile una volta che hai chiuso la porta. Prego Ricky...

Il ragazzo si grattò la nuca, corrugò la fronte e partì con la dimostrazione. Che si rivelò essere la chiusura e la riapertura del locale.

-Cosa vedi Ricky?

-E che devo vedè? Sempre i soliti due vecchi che si scolano la grappa.

Era impossibile che non notasse la baraonda che s’era creata là dentro così, incuriosito, mi sporsi per ottenere lo stesso angolo di visuale di quel tipo.

In effetti aveva ragione, il locale era totalmente diverso: più scuro, più piccolo e, se possibile, ancora più sporco e trasandato. Della folla che si stava scatenando fino ad un attimo prima non c’era traccia, solo due anziani signori praticamente accasciati sulle panche a sorseggiare chissà quale alcolico; inoltre era impossibile confondere il barista con Wallace: né l’età e soprattutto né la pancia corrispondevano... Anche il nome del locale era diverso: il ‘Gattaccio Nero’ appariva in ogni boccale, stoviglia, copritavolo ed in generale in qualsiasi cosa appartenesse al proprietario. Controllando l’insegna all’esterno il nuovo logo aveva sostituito il vecchio calderone fumante tipico del Paiolo Magico. Inspiegabile, come tutto da un paio di settimane a questa parte, del resto.

-E ora? – Chiese Ricky, dopo aver richiuso la porta. – Che devo fare?

-L’Ugly Black Cat, o anche conosciuto come La tana del ratto sporco, un postaccio. Non ci entra praticamente nessuno che abbia un minimo di buonsenso. Grazie così Ricky, puoi andare.

Ricky, più confuso che persuaso, iniziò ad indietreggiare, superò il mio tutore e se ne andò, bofonchiando di quanti incontri strani si possano fare per le strade di Londra.

-Capito, ragazzo? Vale lo stesso discorso di questa porta... E del bagno-ingresso del Ministero... Se non sei chi devi essere, bhè, la porta apre semplicemente qualcos’altro. L’importante è che tu abbia chiuso la porta, ma mi pare di averne sentito il cigolio.

Oddio, non mi ricordo...

-Bhè, ma chi vuoi che ti rubi qualcosa adesso? Sono tutti dabbasso troppo sbronzi e troppo esausti per fare qualcosa, in più il periodo dello sciacallaggio sugli studenti sprovveduti non è ancora arrivato, è troppo presto. Fidati, non hai di che preoccuparti.

A causa delle parole sicure e convincenti di ser Richard quasi mi dimenticavo della grossa falla presente nella teoria della porta intelligente: i rumori provenienti dall’interno.

-Scusi ser Richard...

-Dimmi.

Aumentò il passo, quasi per indicarmi di fare meno domande e più metri.

-Vada per la porta... Ma la canzone di poco fa? Va bene che forse non capiterà tutti i giorni che dei maghi si mettano a cantare in coro in maniera così stonata, ma comunque una locanda del genere produrrà parecchi rumori: impossibile non accorgersene.

-Ahahah, ragazzo... Dimentichi che siamo a Londra, la capitale del caos. Nessuno fa caso a ciò che sente dall’interno della locanda e se proprio riesce a captare qualcosa, crede che si tratti di suoni esterni che si propagano per il Gattaccio Nero, è più facile credere a questo che ad una festicciola in una bettola del genere, non credi? Per fortuna e dico, per fortuna, non molti babbani sono curiosi come te.

-Sarà...

Questa nuova spiegazione mi lasciò ancor più insoddisfatto della precedente, ma compiaciuto o meno, la questione era chiusa, perciò restai in silenzio fino alla fine del nostro, lunghissimo, tragitto.

 

-Incredibile come nemmeno un pub sia aperto... Siamo a Londra per la miseria!

-Cosa si festeggia oggi?

Chiesi lo stesso, nonostante mi ero promesso di non fare più domande del genere.

-Oggi è la Bank Holiday, una delle poche festività che esistono nel mondo magico. Non so il motivo esatto per cui i babbani hanno adottato questa festività, ma per noi maghi coincide con la ricorrenza del giorno in cui i folletti hanno finalmente deciso di depositare nelle proprie banche il denaro dei maghi e non solo gli artefatti magici, il che rendeva possibile alle nuove famiglie di maghi di avere un posto sicuro dove tenere i propri risparmi. Nuove è un termine che potrebbe trarti in inganno: si parla di famiglie anche vecchie di decine di secoli, ma che non riuscirono a farsi un nome durante gli anni d’oro dell’alchimia. Visto che anche i babbani avevano la propria Bank Holiday, bhè, si è pensato di unire le due festività, in modo da non colpire troppo l’economia, anche perché cade ai primi di Agosto, comodo, non trovi?

Non risposi perché ero troppo preso a cercare di ricordare e soprattutto capire cosa mi avesse appena detto: folletti, alchimia ed artefatti... Non avevo capito proprio nulla.

-Lo sapevo, non hai afferrato il concetto. Questo è perché fai troppe domande sulle troppe cose che non sai, ad Hogwarts approfondirai, non temere... Storia della Magia serve proprio a quello. Bhè, siamo quasi arrivati, inutile cercare per un altro posto dove far colazione, la faremo direttamente nella sala da thé dell’ospedale. Ah, prima che me lo chiedi, non conosco benissimo la storia di Mungo Bonham, il fondatore dell’ospedale, quindi inutile fare domande sull’argomento. Tutto quello che so è che si trattava di un vescovo o qualcosa del genere. Magari troverai un depliant o una targhetta commemorativa, ma non ci giurerei... Ecco, la seconda a destra.

Londra era veramente immensa: dopo più di mezz’ora di camminata a passo spedito si vedevano ancora strade ed edifici imponenti, come se fossimo ancora al centro pulsante della città. E gli abitanti, mischiati coi turisti, non accennavano a diminuire. Anzi, in certi punti c’erano grossi assembramenti di passanti che si fermavano ad osservare il taxi, bus, cabina telefonica di turno: tutto lì meritava una bella foto di gruppo.

Tutto questo faceva supporre che almeno l’ospedale avesse un ingesso principale più dignitoso di quello del Ministero, ma ovviamente mi sbagliavo. La traversa imboccata da ser Uppercut era l’unica costellata di edifici incompleti o abbandonati, dove i murales e la spazzatura la facevano da padroni, e il nostro ospedale non era popò di meno che il più fatiscente di tutti: un vecchio centro commerciale di nome Purge & Dowse Ltd, almeno a quanto diceva l’insegna ormai sporchissima.

-Arrivati.

-Ma anche Hogwarts avrà un ingresso del genere?

-Oh, questa è nuova, me la scrivo. So che ormai le tue aspettative sono basse, ma ti assicuro che il castello dove studierai sarà un vero castello: niente illusioni, niente dissimulazioni, niente di niente. Proprio per questo è ubicato in un luogo isolato, per agire in maniera più libera... Qui siamo a Londra, non possiamo esporci troppo.

-Dissimulazione?

-Oh no, un’altra domanda: entra dai!

Ser Uppercut spinse un pannello di vetro sintetico che si rivelò mobile, ed entrò, invitandomi ad entrare con la sua mano destra.

-Su, dai, non teniamo aperta questa porta per troppo tempo!

Non me lo feci ripetere due volte, così entrai anch’io.

 

Tutto sapeva di déjà-vu: tanto l’esterno era sporco e fatiscente, tanto l’interno pulito e maestoso. Piastrelle di marmo bianco sul pavimento; statue, busti, quadri e foto animate ad ornare gli ambienti; una fila di candidi camini per coloro che provenivano con la polvere volante e una sala d’attesa ordinata e funzionale: tutto come dovrebbe essere in un ospedale, perciò era la prima volta che vedevo una cosa del genere.

-Guarda, se sapevamo che non avremmo trovato neppure un chiosco aperto durante la strada, avremmo potuto usare la metropolvere ed evitarci la passeggiata. Pazienza, almeno abbiamo fatto un po’ di moto.

Mentre io ed il mio tutore andavamo al banco accettazioni per farci registrare, parecchia gente proveniva dai camini con dei vortici di fiamme verdi e nere, lasciando polvere e fuliggine qua e là. Per fortuna scopa, secchio e straccio erano lì sempre pronti a vigilare e a ripulire quando serviva, in modo da lasciare sempre tutto lindissimo. Perfino le suole delle scarpe di chi arrivava ricevevano lo stesso trattamento: la cura per l’igiene era evidentemente a livelli maniacali.

Anche le nostre scarpe vennero sottoposte alla pattinatura, cioè alla pulizia delle suole tramite pattine detergenti, con la differenza che mentre noi non avevamo alcun problema alle gambe, il ragazzo giunto poco dopo il nostro arrivo, aveva il piede destro purpureo e gonfissimo per chissà quale motivo e, alla spolverata forzata, rispose con un grido di dolore spaventoso, seguito da una caduta a terra e aspre lacrime. Subito però arrivarono due infermieri – o almeno sembravano tali – che trasportando una barella levitante, lo issarono e lo portarono alla reception, dove velocissimamente fu condotto all’opportuno reparto.

-Ci ha fregato il posto.

Questo fu il commento di ser Richard riguardo la triste scena a cui assistemmo.

-Non credo che lo abbia fatto apposta.

-Ah, no di certo. Poco male comunque, qui ci si sbriga comunque subito, vedrai.

Mentre avanzavamo la fila, notai come anche nella bacheca e in qualche finestra di quel posto, fosse affisso il manifesto che ritraeva un uomo fuori di sé e che recitava ‘Ricercato’: nel pomeriggio avrei chiesto a ser Richard notizie al riguardo, avevo aspettato fin troppo.

Finalmente toccò a noi e la donna della reception, alzando una cartella all’altezza del naso, chiese al mio tutore:

-Si?

Ser Richard, impacciato, mi prese il braccio destro e lo alzò, mostrandole la mano fasciata e aggiungendo che si trattava di ustioni da incantesimo. La donna scrisse qualcosa sulla cartellina ad una velocità impressionante, strappò il foglio e lo diede a ser Uppercut, assieme ad un biglietto bianco.

-Possiamo andare.

Il mio tutore fece cenno di ringraziamento alla dottoressa Pricklethorn – questo era il nome scritto sul cartellino che portava – ed uscì dalla fila, invitandomi a fare altrettanto.

Alla fine, quel si fu l’unica cosa che uscì dalle sue labbra.

 

Nel biglietto che aveva in mano ser Richard c’era scritto il piano e la stanza in cui dovevamo dirigerci e quindi, assieme a quella che in seguito capii fosse la mia cartella clinica, avendo tutto il necessario, ci avviammo verso il reparto assegnatoci. Dovevamo andare al quarto piano, dove si trattavano le ferite da Incantesimi e Maledizioni, perciò salimmo le scale.

-Per fortuna ci ha indirizzato dove volevo ci mandasse. Poteva anche mandarci al reparto Incidenti da Manufatti magici, dato che le ustioni sono state indirette, ma non volevo rischiare di perdere tempo e le ho fatto capire che l’incanto l’hai subito tu. Così magari fossero disponibili, ci potrebbero togliere quest’insopportabile mal di testa.

Mentre parlava però, venni distratto dal biglietto che cambiava progressivamente colore: fino al primo piano era bianco, poi dal secondo al terzo diventò grigio ed infine al quarto virò all’azzurro.

-Ma cos’è, perché cambia colore?

-Ah, questo è il nostro biglietto, cambia colore ogni volta che “avanziamo la fila”. Per comodità si è escogitato questo metodo: fino a quando il nostro biglietto non diviene scuro, nero per l’esattezza, non tocca ancora a noi. Così hai la possibilità di fare qualcos’altro mentre attendi il tuo turno; non hai bisogno di stare ad osservare a chi tocca, se è quasi nero, tocca a te!

Infatti, mentre il mio tutore mi spiegava queste cose e cercavamo un posto a sedere, il biglietto cambiò colore altre due volte: prima celeste e poi verde acqua, rispettivamente quando uscirono una signora con la figlia che fino a poco prima vomitava in un secchio e un vecchio che non strascicava più la gamba sinistra.

La sala d’attesa era di medie dimensioni, escludendo il corridoio, in cui comunque ci si poteva sedere ad attendere il proprio turno, là dentro c’erano posti a sedere per una quarantina di persone e di quelle quaranta poltrone più di trenta erano occupate. Nonostante tutto, l’attesa fu tutt’altro che lunga: in meno di mezz’ora il biglietto divenne nero e toccò a noi, ogni paziente impegnava il medico per non più di due - tre minuti, ed entrando scoprii il perché.

Toc! Toc!

-E’ permesso?

Chiese ser Richard bussando alla porta del dottor Kneel.

-Avanti, avanti!

Fece eco una voce maschile dall’interno.

Una giovane infermiera ci accolse chiedendoci la cartella e, una volta letta, mi chiese di togliermi le bende.

-Sollum Generatio...

Il medico farfugliò qualcosa e puntò la sua bacchetta sulle mie mani, che dapprima caddero in uno stato di torpore, poi iniziarono a formicolarmi, prudevano da impazzire. Più tempo passava, più era insopportabile e più il dottore stringeva il polso della mia mano destra per evitare che l’allontanassi dal contatto con la punta della sua bacchetta. Poi, all’improvviso, finì. E mi accorsi che le mie mani tornarono chiare.

-Potete andare.

Il medico ritrasse la bacchetta e la sistemò velocemente in un apposito rientro scavato all’estrema destra della sua scrivania, prese una penna stilografica dal taschino della sua camicia e firmò la cartella lasciando all’infermiera il compito di completare il referto, con tutto ciò che fosse stato necessario trascrivere.

-Prego da questa parte.

Fece la giovane assistente ad entrambi.

-Un momento per favore... So che non sarebbe compito vostro, data la natura del nostro malessere, ma sareste così gentile da trattare il dolore che da questa mattina ci tormenta alle tempie? Più precisamente sarebbe...

Il medico e l’infermiera si scambiarono sguardi: richiesta, diniego, supplica, rifiuto categorico, rimprovero e rassegnazione. Alla fine la ragazza riuscì a convincere il suo capo che, prendendole dai cassetti del comò dietro di lui, ci lanciò delle pastiglie verdastre dicendoci:

-A stomaco pieno, mi raccomando. E in bagno possibilmente.

Detto questo il dottore tornò a far finta di ignorarci e l’infermiera ci accompagnò fuori dalla stanza gridando:

-Il prossimo!

Prima che rientrasse col nuovo paziente – una donna che teneva un fazzoletto di stoffa premuto contro il gomito per  tamponare la ferita – ser Richard però le strizzò l’occhio e le sussurrò un Grazie. La ragazza arrossì e ci fece intuire un Prego.

-Bhè, un motivo in più per far colazione, non trovi?

Disse il mio tutore, osservando le pasticche che teneva in mano.

-O per vomitarla.

Dissi io, osservando le stesse.

 

Il bar, opportunamente chiamato Sala da tè per i visitatori da un cartello mobile posto tra l’ingresso del piano e il bancone del bar, era proprio a fianco del negozio dell’ospedale, un monolocale adibito ad esercizio commerciale che conteneva un po’ di tutto: fiori veri, fiori finti, fiori assurdi, fiori morti; giocattoli, giocattoli vivi, giocattoli assurdi; tazze, tazzine, tazzone da almeno quattro litri; soprammobili a forma di animale, animali ridotti a soprammobili, mobili con fattezze di animali; e molto altro ancora.

Dato che gli unici due locali del piano occupavano l’ala destra, tutta la parte sinistra era libera, perciò nonostante i sessanta e più tavolini sparsi per il pianerottolo, rimaneva un bel po’ di spazio inutilizzato in fondo, dove dei bambini ne avevano approfittato per giocare ad acchiapparsi e a fare un gran baccano.

-Sediamoci e prendiamo qualcosa.

Ser Uppercut prese uno dei menu posti sul tavolinetto e mi domandò cosa avrei preso. La scelta era difficile, nonostante lo stomaco brontolasse, non avevo proprio voglia di mettere qualcosa sotto i denti, inoltre le voci presenti nell’elenco delle pietanze non aiutava: i nomi o non dicevano nulla, o erano rivoltanti, così mi alzai per vedere la vetrina e scegliere ciò che più sembrava commestibile.

La scelta era notevole, a parte qualche pasticcino che nonostante il nome astruso adottato erano chiaramente muffin, ciambelle e rollini di crema, tutto il resto mi era nuovo e difficile da valutare. Praticamente quella sala da tè in realtà ti permetteva di pranzare e cenare, c’erano arrosti e fritture, liquori speziati e insalate conditissime; non proprio alimenti da merenda. Dato il mio stato di salute optai per un sobrio sorbetto al limone, anche per avere qualcosa di fresco nello stomaco dopo il bruciore della notte precedente; una volta ordinato tornai a sedermi al tavolo scelto dal mio tutore.

-Sì, hai fatto bene, anch’io ho preso qualcosa di leggero e fresco, un mango caramellato, poi lo assaggi.

No, grazie. – Fu quello che pensai immediatamente.

Poco dopo un ragazzo portò le nostre ordinazioni in un vassoio d’argento che posò sul tavolino, diede un colpo di bacchetta all’aria e ciò che si trovava sul vassoio iniziò a muoversi e a posarsi sul tavolo o a versarsi sui bicchieri. Un ombrellino di carta fu l’ultima cosa ad appoggiarsi al bordo non commestibile del mango caramellato di ser Richard.

-Umh, buono... Lo vuoi assaggiare prima di me?

Per tutta risposta succhiai rumorosamente il mio sorbetto dalla cannuccia.

-Ok, come vuoi. Non sai che ti perdi.

Il sorbetto sortì veramente un effetto positivo: la pressione alle tempie si acuì leggermente, ma in compenso la fastidiosissima sensazione di disorientamento e il vorticare dell’ambiente cessarono finalmente.

Quando finii, il mio tutore non era ancora neanche a metà del suo frutto fosforescente, perciò per ammazzare il tempo mi misi a guardare i bambini che giocavano in lontananza. Non era facile capire quanti anni avessero o che cosa si dicessero, poiché troppo lontani, ma l’eco del loro vociare arrivava fin troppo bene da noi che quasi assordava. C’era poi una voce più grave tra quelle stridule e acute dei bambini che creava una cacofonia terribile e, guardando meglio capii a chi apparteneva. La figura che in un primo momento mi sembrava essere la risultante di due bimbi messi uno sopra l’altro, in realtà si trattava di un uomo adulto, con mantello e spada, che inseguiva e tirava fendenti a quelli più piccoli. Sforzandomi di capire cosa dicesse, riuscii a sentire chiaramente solo un motivetto cantato/gridato dalle femminucce “Il drago! Il drago! E’ arrivato il drago!” e una frase di quell’uomo che rivolgeva al bambino che gli sfuggiva “In guardia, bestia degli inferi, sono Sir Dardan e giuro sul mio onore che ti ucciderò, le tue malefatte non rimarranno impunite!” o, almeno, questo è quello che credetti di sentire, ma non dovevo essermi sbagliato di molto, perché le ragazzine e due dei maschietti in disparte si misero ad applaudirlo. Stava giocando con loro, e con fervore aggiungerei.

-Ehi, vuoi farti due risate? Stai a guardare.

Era un ragazzo alle mie spalle a dire questa frase, e l’aveva detta a me.

-Che vi avevo detto? E’ qui, e crede di essere Sir Dardan.

Stavolta si rivolgeva a due medici tutti sudati che, senza neppure aver tirato una boccata d’aria dopo le scale, andarono di corsa verso i bambini e il bambinone un po’ troppo cresciuto.

-Signor Allock! Signor Allock! Per favore, la smetta! E’ l’ora del riposino...

Il bambinone si tramutò di colpo: da divertito e spensierato com’era, diventò freddo e spaventato, tanto da alzare la sua spada e tirare un fendente in direzione del medico che gli aveva rivolto la parola.

-Signor Allock! Posi quella gamba, no, non così, la dia a me.

Dato che non si facevano progressi, l’altro medico prese la parola:

-No! Non te la voglio rubare, te ne do una più bella, una vera, ma devi venire con noi, altrimenti non possiamo dartela, è troppo pesante, solo un vero cavaliere può brandirla con destrezza. Bravo, dammela, così... Ora!

E gli saltarono addosso, disarmandolo e tenendogli fermi gli arti superiori ed inferiori, poi lo trascinarono di peso per la sala fino a fargli scendere le scale. Avvicinandosi mi accorsi che doveva essere un uomo sulla quarantina, aveva i capelli biondi tutti arruffati e denti bianchissimi, indossava un pigiama ed il suo mantello altro non era che un lenzuolo dell’ospedale annodato sulle spalle e la sua “spada” una gamba di un letto, per fortuna non ci ha picchiato nessuno con quella. Scalciava e frignava come un forsennato, nemmeno da infante mi produssi mai in una scena del genere. Uno dei due medici, dopo aver ricevuto un calcio nelle parti basse, imprecò e disse:

-Dannate storielle, due mesi di progressi andati in fumo.

Era grottesco sì, ma divertente, specie ripensando alla “cattura”; mi scappò un ghigno.

-Te l’avevo detto che ci sarebbe stato da ridere, no? E voi, non piagnucolate, anzi andatevene! E’ un ospedale questo, non un parco giochi!

Era di nuovo quel ragazzo di prima che scacciava a gesti tutti i ragazzini rimasti delusi dall’esilio del “cavaliere temerario” di quarant’anni e passa.

-Sono Frederick Bowen, il figlio del primario di questo ospedale: mio padre è Matheus Bowen Junior.

Mi tese la mano. Anche se ero girato completamente dell’altro lato con il corpo, tesi la mano destra lo stesso, rendendomi ridicolo poiché non riuscii ad arrivare a toccare la sua. Pieno di vergogna, mi girai totalmente e finalmente porsi la mano come si deve. La stretta fu insolitamente solida per uno della sua età, la mia non era stata nemmeno forte la metà.

-Piacere, sono Emanuele Burgio, lui è il mio tutore, ser...

-Umh, a guardarti bene sembri della mia stessa età, vai già a Hogwarts?

-No, no... Dovrei iniziare quest’anno, ho fatto undici anni ad...

-Fantastico! Anch’io inizio a settembre! Magari ci mettono nella stessa casa. Siamo stati fortunati ad incontrarci proprio qua, e ancor più fortunati a non aver capitato quello come insegnante.

Credevo d’aver capito male.

-Come, scusa?

-Già, quel tipo, quel pagliaccio, Gilderoy Allock, fino all’anno scorso insegnava ad Hogwarts e non una materia qualsiasi, ma la materia, Arti Oscure; sai che avremmo imparato... Strano tu non lo conoscessi, era abbastanza famoso fino a qualche mese fa, ora basta leggergli una favola della buona notte su draghi e cavalieri, che si immedesima in uno dei personaggi e non la finisce più.

-Difesa Contro le Arti Oscure, non Arti Oscure e no, non è stato sempre così, di certo non ad Hogwarts.

Ser Richard prese la parola, dopo aver assistito in silenzio la scena della cattura e ascoltato Frederick.

-Posso assicurare ad ognuno di voi che la scelta del corpo insegnanti è molto severa e solo i migliori maghi e le migliori streghe con invidiabili curriculum sono ammessi all’insegnamento di una qualsiasi delle materie studiate ad Hogwarts.

-Bhè, se lo dici tu... Emanuele, vero? Nome straniero, interessante. Io sono Fred, mi raccomando, non dimenticartelo, io vado che non voglio perdermi la scena del sedativo. Ci vediamo a scuola allora!

-C-Ciao.

Fu tutto quello che seppi dire.

-Non era molto convinto, vero?

Mi rigirai verso ser Richard che nel frattempo aveva finito tutto il suo dolce.

-Hai conosciuto un tuo futuro compagno di avventure, che te n’è parso?

Prima che riuscissi a dire una parola rispose lui stesso.

-Scontrosetto, in effetti, ma sono sicuro sia un bravo ragazzo. Sarà cresciuto con la puzza sotto il naso, suo padre è il primario. Magari è la prima cosa che gli hanno insegnato a dire “Sono il figlio del primario”. Non meravigliarti dell’orgoglio insensato che aleggia in certe famiglie, qualcuno deve pur fare lo sbruffone in questo mondo, no? Su, alziamoci, prendiamo questa e andiamo in bagno, dopo ci sentiremo meglio.

Avevo completamente dimenticato la pillola per il mal di testa e anche il mal di testa, ma il ricordo me lo fece tornare più forte di prima, perciò mi costrinsi a prendere quel pietrone. Anche dopo mezzo litro d’acqua non aveva intenzione di scendere giù per la gola, era troppo grossa come pastiglia. Alla fine, al quinto bicchierone, ci riuscii. Ma qualcosa era andato storto: com’era sceso, così stava risalendo.

Andavo quasi fiero del mio primato di duro a rimettere, ma questa era già la terza volta in due settimane che qualcosa cercava di uscirmi dallo stomaco, e sta volta ci stava riuscendo.

-Oh, oh... Non ci siamo, sta già avendo effetto, sarebbe stato meglio prenderla direttamente in bagno, presto muoviamoci!

Scattò come un turbine verso le scale, indicandomi di seguirlo. Lasciò perfino molto più del dovuto come mancia sul tavolinetto pur di far presto e scappare da lì.

Il bagno pubblico, il lussuosissimo bagno dei visitatori dell’ospedale, si trovava ahinoi un piano più sotto e comunque abbastanza lontano dalla rampa delle scale da permetterci di arrivare in fretta. Durante l’interminabile tragitto sentii perfino l’anima fuoriuscirmi dalle viscere e agglomerarsi in bocca, un solo altro istante e sarei esploso in un’esplosione ascendente di vomito grigiastro. Ma per fortuna riuscii a trattenermi fino al luccicante lavabo del bagno che, dopo la mia visita, di luccicante gli era rimasto ben poco. Anche ser Richard era nelle mie stesse tragiche condizioni, ma lui era riuscito a trattenersi quel tanto in più da riuscire a chiudersi in uno dei camerini del bagno e a consumare lì l’indecoroso gesto.

-Ohibò, brutale ma decisamente efficace, non trovi? Il mal di testa se n’è andato completamente, ottimo rimedio, quasi istantaneo,e per nostra fortuna direi, eheh.

In effetti non c’avevo ancora fatto caso ma il mal di testa era completamente passato, o meglio, sparito. Probabilmente se l’era portato con sé il rigurgito di prima.

-Oh cielo, sarebbe meglio se uscissimo di qui alla svelta, non vorremo farci vedere dinanzi a tale devastazione; andiamo su.

Non me lo feci ripetere due volte, uscimmo più veloci della luce e ci avviammo verso l’uscita, diretti nuovamente al Paiolo Magico.

 

Quando arrivammo era già l’ora di pranzo, perciò mi aspettavo di vedere Wallace preparare un altro dei suoi manicaretti ultra alcolici, ma mi sbagliai; il Paiolo Magico aveva cambiato totalmente atmosfera e a quanto pare anche locandiere.

-Via, sciò! Anche per quest’anno la festa è finita, levatevi dai piedi!

Era Wallace, che in abiti borghesi prendeva letteralmente a calci nel sedere quelli che fino ad attimo prima erano i suoi clienti.

-E dai, un altro goccetto, solo uno, come sei cattivo!

-La festa è finita ieri, vi ho dato tempo fino a questa mattina per sloggiare, ma non l’avete fatto, ora mio cugino è tornato e mi costringete a sfrattarvi, come sempre del resto. Ma quanto diavolo pesi, Dwayne!

-Benvenuti sull’Anzitempo, mezzo di trasporto ad alta velocità per maghi e streghe in forte ritardo. Mi chiamo Stan Picchetto e, dato che mio padre è sparito e mia madre non c’ha voglia di lavorare, nonostante non siano passate nemmeno tre ore dal mio ultimo turno, sarò il vostro bigliettaio anche per questa corsa.

Era la voce di un ragazzo sui vent’anni vestito da bigliettaio che leggeva goffamente un foglietto di carta, dove probabilmente era scritta l’intera presentazione, tranne evidentemente la parte in cui elencava i problemi famigliari, dato che in quel passaggio era molto più spedito nella lettura.

Era a bordo di un autobus a due piani tipicamente inglese ed aveva proprio l’aria di essere esausto, anche per via della lentezza con la quale stampava i biglietti per i nuovi arrivati.

-Non li sta effettivamente cacciando, sono solo un po’ brilli ed hanno bisogno delle maniere forti per andarsene, ma avranno sicuramente altro da fare anche loro, la festa è finita ed oggi è un giorno lavorativo.

Ser Richard cercava di giustificare in un qualche modo la strambissima scena a cui stavamo assistendo, senza però riuscirci neanche un pochino.

-Dove vi devo portare? Al solito posto?

Disse l’autista del bus, un uomo rude e corpulento.

-E dove sennò? Ah, sono esausto, uff!

Il tizio di nome Dwayne fu l’unico che rispose alla richiesta e subito si addormentò.

-Sotto il ponte di Blackfriars, Dwayne?

-Si, si, fai come vuoi...

Un altro passeggero, evidentemente con la stessa triste meta, rispose per l’amico che schiacciava un sonoro pisolino.

-Bhè, come non detto...

Ser Uppercut era evidentemente imbarazzato per il ritratto di maghi che rappresentavano quei tizi, come se la colpa fosse sua.

-Tom, qui ho finito. Le chiavi sono al solito posto e l’elenco prenotazioni è aggiornato ed in ordine, ah, vedo che già hai controllato, allora vado.

Detto questo al tizio che sembrava fosse il nuovo locandiere, Wallace aprì la porta del Paiolo Magico ed entrò, in versione Gattaccio Nero, evidente si erano dati il cambio.

-Oh, bentornato ser Uppercut, e bentornato pure lei, signorino, io sono Tom, il gestore della locanda, mi dispiace abbiate pernottato proprio nell’unica notte di delirio qui alla mia locanda, ma quest’anno è capitato così, vi prometto che da oggi sarà tutto molto più tranquillo e a misura di famiglia!

Era l’uomo che aveva preso i vestiti di Wallace a parlare, un tizio basso, un po’ gobbo e pendente da un lato, sdentatissimo e calvo, ma decisamente a modo.

-E’ un piacere rivederla, Tom. Come al solito, vostro cugino ci ha trattato bene, ma voi siete tutt’altra cosa.

-Sempre troppo gentile, signore. Prego da questa parte, sarete affamati. Il pranzo naturalmente sarà sobrio questa volta, così come tutte le prossime a seguire.

Ci invitò ad entrare e con mia sorpresa trovai la locanda molto più pulita e confortevole, almeno nei luoghi accessibili al pubblico, nei cornicioni delle finestre che si affacciavano sulla strada c’era ancora dieci metri di polvere.

-Prego, sedetevi, il pranzo arriverà fra poco.

Una volta seduti fummo serviti immediatamente da una ragazza alta e magrissima, molto silenziosa nei movimenti, ma un po’ maldestra, si vedeva che quel lavoro non faceva per lei.

-Oh, grazie mille signorina.

Neanche a dirlo anche lei arrossì. Non so cosa gli faccia alle ragazze, ma ogni suo grazie equivale ad un arrossimento, sempre.

Un’altra cosa cadde subito alla mia vista: anche lì erano affissi decine di volantini con la faccia urlante di un certo Sirius Black da cui stare preferibilmente alla larga; evidentemente Tom li avrà affissi subito dopo il suo arrivo.

-Ser Richard, mi tolga una curiosità: chi è questo Sirius Black? Sono giorni che ne vedo il volto, sembra un pazzo furioso.

-E lo è infatti. Punto primo, ricordalo, perché è importante. Non tutti i maghi sono buoni.

Si fermò e dopo qualche secondo di silenzio, ricominciò:

-E se non sono buoni, beh, capirai che sono molto pericolosi. Sirius Black è uno di quelli. In altre parole è il tipico assassino che uccide giusto per il gusto di farlo, senza un perché; lo fa e basta. Ha fatto cose terribili ed è stato punito per questo, ha marcito per tredici anni nel penitenziario di massima sicurezza per maghi e streghe e ti posso assicurare che stare lì non è affatto piacevole, neanche lontanamente, e di fatto... E’ scappato.

Le ultime parole le pronunciò così in fretta che quando finì l’aria e fu costretto ad inspirare, le ultime due parole “E’ scappato” mi misero i brividi.

-Quindi è a piede libero?

Chiesi, come se ce ne fosse stato bisogno.

-Teoricamente sì, ma fuggire da lì mica era cosa semplice, nessuno c’è mai riuscito. Lui è stato il primo, e come tale ha suscitato grande scalpore e tutti sono alla sua ricerca, non credo sia così stupido da farsi rivedere in giro: anche la peggior canaglia dopo tredici anni di reclusione ci pensa due volte prima di ricommettere ciò per cui è stato punito. Puoi stare tranquillo, non credo lo incontreremo mai.

-E per cosa è finito dentro?

-Non lo so e non mi interessa saperlo, ma per dare una pena così lunga, di certo non avrà rubato caramelle. Ora finisci di mangiare che ci attende ancora un lungo pomeriggio di studio.

 

-Bene, prendi quel libro lì... Sì, quello lì, il secondo.

Presi il libro da lui indicatomi da sopra la mia scrivania e glielo porsi.

-Non c’è bisogno, aprilo tu, vai a pagina, umh... beh, quando inizia a parlare di fatture di primo livello.

Iniziavano addirittura a pagina 211, quasi alla fine del tomo.

-Ecco, tutto ciò che abbiamo saltato è molto importante, lo recupererai in seguito, per il momento ci dobbiamo focalizzare su questi concetti. Visto che ancora non hai la bacchetta ci soffermiamo sul teorico e non appena l’avrai acquistata potremo fare delle vere e proprie esercitazioni. Cosa leggi?

-Un sacco di cose...

-E di quelle cose cosa di davvero importante?

-Eh, che le fatture sono degli incantesimi diffusi... Non esistono fatture illimitate nel tempo, anzi è una loro prerogativa avere una durata limitata... Si dividono in quattro livelli di difficoltà che, sebbene spesso le più difficili sono anche le più imponenti e/o pericolose per l’incolumità nostra e altrui, le due categorie non coincidono... E poi che... Ancora?

-Sì, anche perché stai saltando un sacco di cose, stai leggendo solo le prime righe di ogni paragrafo, così ti perdi il succo, guarda qua: “Una fattura è un incantesimo che aggiunge o modifica determinate proprietà ad un oggetto o ad una creatura. Le fatture si distinguono dalle trasfigurazioni poiché si concentrano su alterazioni che non vanno in contrasto con la natura intrinseca dell’obiettivo. Ad esempio, la fattura Cambiacolore modifica temporaneamente le proprietà cromatiche dell’oggetto preso in esame. Alcune fatture sono talmente potenti ed articolate da permettere i più grandi prodigi, esattamente come l'Incanto Fidelius che può nascondere completamente una persona o un luogo in modo tale che nessuno può trovarla a meno che non si viene eletti Custodi del Segreto dall’utilizzatore. Fatture di memoria, inoltre, possono risultare essere così forti da rimuovere completamente la memoria di una persona per via dello shock. Per questo molte fatture più invasive tendono ad essere considerate perfino come maledizioni, malefici o malocchi.” Così devi leggere, senza fare strani riassuntivi che ti fanno perdere il fulcro degli argomenti.

Zero, questa era la quantità di nozioni che avevo assimilato.

-Ok, non pretendo che tu capisca tutto alla prima lettura, e nemmeno alla seconda. Anzi, non pretendo minimamente che tu capisca nulla se non il fatto che le fatture servono a modificare lo stato degli oggetti, animati e non, che ci stanno intorno. Con le dovute limitazioni, ovvio. Tutto il resto l’ho letto proprio per farti capire che il confine tra fatture ed incantesimi più gravi ed impegnativi è sottilissimo, ma tu stesso lo hai provato sulla pelle, lanciando una maledizione a quel povero ragazzo babbano. Fin qui ci sei?

-Sì, credo di si, le fatture modificano ciò che ci circonda ma non in maniera definitiva, ma questo l’avevo capito anche durante la mia lettura.

-Non ti ho detto solo questo, ma va bene, continuiamo. Come ti ho già spiegato Logos Comprehendi è una fattura, quindi ricade fra questa casistiche; te ne sei reso conto tu stesso che dopo un po’ l’effetto svanisce senza lasciar alcuna traccia, no?

-Sì, certo.

-Bene, tutto questo per farti capire che per riuscire ad utilizzare correttamente l’incanto devi innanzitutto sapere cosa stai per fare e di conseguenza affrontarlo con il giusto approccio. Per questo, dato che il Logos Comprehendi è una fattura abbastanza complessa, inizieremo da qualcosa di più basilare. Rimanendo sempre nell’ambito delle fatture che modificano lo status mentale dell’obiettivo, ti insegnerò l’incantesimo Confundus. E’ latino, ma credo tu l’abbia già intuito, serve esattamente per confondere l’avversario e fargli commettere qualche piccola azione a suo discapito. Ovviamente a differenza del Logos Comprehendi le sue finalità sono tutt’altro che pacifiche ma, ironia della sorte, è grazie a questo incantesimo che nel tempo sono riusciti a formulare la fattura che adesso ci è tanto utile per comunicare nonostante le nostre differenze linguistiche. Il Logos Comprehendi si può a tutti gli effetti identificare come una sua conseguenza, o, in termini più gergali, suo figlio.

-Iniziamo subito?

-Come? No, no, certo che no, non hai con te una bacchetta... Però effettivamente il miglior approccio in questi casi secondo me è quello diretto, perciò proviamo qualcos’altro. Sarà un po’ drastico ma son sicuro funzionerà alla grande. Non temere per qualche breve e fugace secondo ti sentirai disorientato, spaesato e non avrai più punti di riferimento, ma sarà di breve durata, servirà a farti comprendere meglio la vera potenza ed efficacia di tali incantesimi, dato che il Logos Comprehendi, data la sua natura più “soft” rende difficile far percepire.

Mi puntò la sua bacchetta sulla tempia sinistra.

-C-cosa vuoi fare?

-Ti sto lanciando un debolissimo Confundus se non ti è chiaro...

-Mi era chiaro sì, ma è obbligatorio?

-Credimi, subire sulla propria persona un pizzico dell’incantesimo che si vuole padroneggiare è il miglior modo per impararlo, lo capirai da solo una volta ad Hogwarts, ma per il momento devi fidarti di ciò che ti dico io adesso. Preparati: uno, due, tre... Confundo!

Immediatamente sprofondai in una voragine senza fine: la sedia su cui ero poggiato diventò impalpabile, senza spessore; anche se si trovava ancora sotto il mio posteriore era come non ci fosse, non poneva alcuna resistenza alla caduta ed io sprofondavo sempre più, sempre più giù, molto più giù... Ser Richard era sparito dalla mia vista, ormai solo il buio avvolgeva quella mia caduta senza fine, finché non vidi qualcosa incombere su di me: erano le pareti della stanza, che convergevano come un imbuto finendo anch’esse risucchiate in un’orbita culminante nel mio addome. Le pareti erano sciolte, liquide o forse gassose, ma nonostante ciò egualmente mi opprimevano: mi stavano schiacciando, soffocando, non avevo più scampo, sarei finito frantumato. In quel turbine indefinito si aggiunse pure una figura sottile, anch’essa deformata ma allo stesso tempo più materiale, reale; avvicinandosi la riconobbi: era la bacchetta di ser Uppercut, ma molto più grossa, molto più minacciosa. Mi perforò la fronte, il dolore fu lancinante. Gridai.

-Ehi, riprenditi, su! Apri gli occhi!

-C-cosa, cosa è successo, dove sono?

Ser Richard era di fronte a me, un po’ attonito, un po’ preoccupato e mi teneva per le spalle. Io ero ancora seduto sulla sedia, nulla s’era mosso in realtà. Infine, ricordai.

Che brutta figura...

-Ho... Ho gridato?

-Come? No, no. Sei rimasto per un paio di secondi irrigidito e poi hai chiuso gli occhi come se stessi sforzandoti ed in quel momento ti ho subito liberato dalla fattura, adesso come ti senti?

-Potrei star meglio...

Vedevo le mie mani tremare, e pure le labbra lo facevano. Anche il mio tutore se ne accorse.

-Ti sarai spaventato, anche se è durato una manciata di secondi deve esser stato terribile, non mi aspettavo una reazione del genere, ognuno reagisce in maniera differente, ma non pensavo proprio così. Ti chiedo di scusarmi e per farmi perdonare facciamo una cosa: domani, nonostante tu non abbia ancora la bacchetta, ci eserciteremo sul Confundus, in modo da accorciare i tempi e rendere queste lezioni meno noiose, ok? Sei un ragazzo sveglio e geniale, l’ho visto coi miei occhi che non hai di certo bisogno della bacchetta per lanciare gli incantesimi più semplici. Però per oggi basta, riposati, se ne parla direttamente domani, al massimo continua a leggere sull’argomento, per preparati al meglio per domani. Scendo giù, ti lascio solo, se hai bisogno di qualcosa fammelo sapere, starò qui fino a tardi, ma promettimi di riposarti.

-Ok.

Invece rimasi in silenzio nella mia stanza per tutto il resto del pomeriggio, leggendo di tanto in tanto quel libro sugli incantesimi, ma in maniera totalmente distratta, ed alla fine, non ricordai praticamente nulla di ciò che avevo letto. Mi addormentai presto, verso le sei di sera, forse per tutta la stanchezza accumulata, saltando pure la cena.

 

Toc! Toc!

-Chi è?

-Come chi è, sono io, il tuo tutore, ieri ti sei addormentato e non hai nemmeno cenato, scendi a fare colazione ti aspetto!

Quando me la finirò di fare domande sceme?

-Ah, spero non ti sia scordato che oggi ci alleniamo con la fattura Confundus!

Vero, finalmente si entra in azione!

Mi sbrigai in un lampo a lavarmi ed a vestirmi, o meglio a cambiare la sola maglietta dato che mi ero addormentato vestito e scesi con una fame da lupo.

-Colazione classica o più energica se preferisci.

La vista improvvisa di quello sdentato di Tom per poco non mi fece trasalire ma, per non sembrare maleducato, ringraziai lo stesso, nonostante lo spavento che mi aveva fatto prendere per esser sbucato dal nulla.

Per colazione classica intendeva del normalissimo latte con qualche biscotto dalla dubbia forma ma dall’ottimo gusto, mentre per energica una coppia di uova semi strapazzate ed un salsicciotto dall’aspetto invitante come un verme appassito. Ovviamente la mia scelta ricadde sul semplice ma nutriente tazzone di latte.

-Dovresti dargli una chance a quel tipo di colazione, sai? Non è così male come sembra e poi ti da la giusta carica per l’intera giornata. Ad Hogwarts il pranzo è meno abbondante della cena, vecchie abitudini, credo.

-Sarà, ma non ho voglia di provarla proprio oggi.

-Ho preparato il retro come mi avevate chiesto, ser Uppercut.

-Oh, grazie Tom, gentilissimo come sempre.

Tom fece a sua volta un cenno di ringraziamento e si defilò.

-Retro? Ci alleneremo lì?

-Non proprio, finisci che così iniziamo.

 

Per “ho preparato il retro come mi avevate chiesto” il buon Tom intendeva “ho spostato una botte rivelando una minuscola botola” da cui successivamente ci calammo per entrare nei sotterranei della locanda. Tanto silenziosa la parte in superficie, tanto chiassoso il sottosuolo.

-Cos’è questo fracasso?

Gridai per superare quei dannatissimi rumori.

-Vedrai, stiamo andando proprio lì, non spaventarti, non mordono!

-Cosa?

Anche se il mio tutore aveva alzato il tono della voce, più ci avvicinavamo alla fonte di quel rumore molesto e meno  riuscivo a sentire quel che diceva, ma avrei giurato avesse accennato ad un “non mordono”.

Il trambusto altro non proveniva che da delle botti di medie o grandi dimensioni che venivano lanciate per aria e fatte rotolare per metri e metri in quella che sembrava una distilleria abusiva; mentre gli schiamazzi e le risatine acute da coloro che si adoperavano in tale spettacolo: degli strani esserini non più alti di una mia mezza gamba e molto esili, affusolati, quasi spigolosi nei lineamenti del corpo e del viso.

Nel vederci, fermarono di colpo le loro attività.

-E questi, cosa sarebbero?

-Folletti, semplici ed irrequieti folletti infestanti. Non sono pericolosi come ti ho detto, ma sono molto vispi, non diamogli motivo di divertirsi con noi, fai come se non ci fossimo, si dimenticheranno presto della nostra presenza.

Infatti quel breve momento di quiete subito si interruppe e ricominciò la baraonda, anche più forte di prima. Cercai di contare quei mostriciattoli ma ne persi il conto diverse volte, si muovevano troppo velocemente ed in maniera confusionaria, comunque una cosa era certa: superavano la dozzina.

-Ma cosa stanno facendo? Si impegnano davvero tanto...

-Per loro è solo un gioco, si divertono e passano il tempo così, ma in realtà stanno offrendo un grosso servizio alla locanda. Vedi quelle botti? Lì dentro c’è una bevanda molto in voga tra i giovani, data la sua natura frizzante e pastosa ma non alcolica, è la burrobirra. L’unico modo per ottenere la giusta gradazione di effervescenza e di cremosità senza consentire alcuna fermentazione è quella di frullarla il più a lungo possibile prima del processo di imbottigliamento. Le grandi case produttrici ormai usano macchinari per farlo, ma Tom si affida al loro veemente operato, e devo dire che l’ha vista giusta.

-Non potrebbero ribellarsi? Stare tutto il giorno qui, chiusi a lavorare...

-Ohohoh, tu la vedi con gli occhi di un umano, per loro non è un lavoro, è divertimento. E poi stare qui sotto è il loro stile di vita: se non fossero qua probabilmente starebbero in qualche casa di Londra a devastarne l’arredamento, perciò meglio sfruttare le loro energie per qualcosa di produttivo, non credi? E comunque non sono certo prigionieri, vedi quella grata? Da alla fogna della città, possono entrare e uscire quanto vogliono, e lo fanno, altrimenti non avrebbero di che mangiare, poi come vedi ritornano sempre qua, come vedi a loro questo posto piace. Forse perché pieno di ratti, attento ne sta passando uno.

Mi scansai appena in tempo perché quel topolino stava cercando di scappare da uno di quei folletti che però si lanciò in un guizzo fulmineo prendendolo per la coda. Poi lo sollevò, ridacchiò e lo chiuse in una gabbietta posta sopra una cassa di legno.

-Ed il pranzo è assicurato.

-Ma cosa ci facciamo qui? Come faccio ad allenarmi con loro in giro?

-Sono proprio loro il nostro allenamento, userai il Confundus su uno di loro, mi pare chiaro, no?

-Come? E se si arrabbiano? No, è troppo pericoloso, hai visto come ha agguantato quel topo, no? Farà lo stesso con la mia gola!

-Ahahah, ti preoccupi troppo. Dimentichi una cosa: ci sono io qui con te. E poi se li prendi alle spalle nemmeno capiranno che sei stato tu, non per niente il nostro allenamento è incentrato su una fattura mentale, confondere l’avversario è il suo scopo. Inoltre, come se non bastasse, se per un malaugurato caso dovessi farti scoprire, basta che ci allontaniamo per qualche secondo che già si dimenticheranno di ogni cosa e ritorneranno alla loro mansione, hanno una memoria molto corta. Convinto?

-Se lo dici tu? Cosa devo fare esattamente?

-Beh, se ti ricordi cos’ho fatto io ieri, ho puntato la bacchetta sul mio bersaglio, ondeggiato un po’ il polso per due volte ed esclamato la formula Confundo, per incentrare i miei sforzi su quel preciso incantesimo e non su altri dall’esecuzione simile. Questo per quanto riguarda la postura e la procedura corretta... Mentalmente, beh, devi impegnarti parecchio nel focalizzare i tuoi pensieri su ciò che vorresti il tuo bersaglio faccia; in questo caso, vediamo... Ah, sì, ordinagli di buttarsi dentro la gabbietta dei topi, sarà anche divertente da vedere.

Che crudeltà... Ma d'altronde devo pur imparare...

-Visto che non hai la bacchetta, sfrutta il tuo indice come se ne fosse la punta, e puntalo dove vuoi che abbia effetto, dovrebbe funzionare. Credo.

Iniziai scegliendo il folletto meno attento e mettendomi alle sue spalle. Poi mi avvicinai leggermente, mi accovacciai per ridurre ancor di più le distanze, allungai il braccio, puntai l’indice sulla nuca di quella creaturina e pronunciai l’incanto: Confundo!

Niente, continuava a ricevere barili al volo ed a rilanciarli con la sua solita frenesia. Non che non me l’aspettassi, ma la delusione arrivò lo stesso. Riprovai.

-Confundo! Confundo! Vai, vai su! Perché no, dai!

Una botte in caduta libera mi fece fischiare l’orecchio sinistro. Cascando per terra si sfracellò, perdendo liquido giallastro in ogni parte. Il folletto dinanzi a me s’infuriò, evidentemente la colpa fu mia che gli avevo occluso il passaggio con la mia presenza.

-E’ meglio che t’allontani da lì, i folletti sono innocui, ma non le botti che lanciano. Eheh.

Non me lo feci ripetere due volte. Confundo! ripetevo, Confundo!. Ma niente, non ne aveva la minima intenzione di funzionare. Al settimo tentativo però il folletto che prendevo di mira iniziò a grattarsi nervosamente la testa.

-Ci sei, è spaesato!

Peccato che tale movenza faceva parte del loro pattern di comportamenti usuali: in quello stesso istante, insieme a lui almeno altri tre folletti si stavano grattando testa e orecchie esattamente nello stesso modo.

-Dici?

Domandai sconfortato.

-Dai, ritenta, mica è cosa immediata l’apprendimento di un nuovo incantesimo. Ci vuole grande volontà e pazienza, oltre che ovviamente grande concentrazione.

Dopo più di due ore di tentativi miseramente falliti, ormai il mio incantesimo suonava più come un borbottamento che altro e non avevo nemmeno più la forza di tener alzato il braccio, finché finalmente quel povero folletto non inciampò.

-Cosa?

Rialzandosi andò a sbattere contro un pilastro dello scantinato, era evidentemente Confuso.

-Dai mantieni il controllo! Digli di rinchiudersi  in quella gabbia, prima che finisca l’effetto!

Mi sudavano le mani, la bocca e la lingua erano secchissime e dovetti leccarmi le labbra più e più volte prima di inumidirle almeno un po’. Stavo per controllare il mio primo incantesimo!

Non sapevo da dove iniziare, ma decisi di pensare insistentemente al tragitto che la cavia doveva compiere, ripetendomelo mentalmente in un ciclo pressoché infinito. Stava andando esattamente come volevo: seppur con riluttanza, il folletto si avviò verso la gabbietta, l’aprì e con l’ultimo, esitante salto, ci si tuffò di dentro.

-Fatto!

-Si, si, ma non distrarti, riprova con un altro, prima che dimentichi come fare!

Cercai con lo sguardo quello più vicino, lo puntai e riusai il Confundus senza problemi, ora i folletti in gabbia erano due. Passai ad uno più in lontananza, poi ad un altro ancor più lontano, dopodiché cercai di non pronunciare alcuna formula magica ed infine di non puntare più il dito a causa dei crampi che mi stava procurando. Ormai era fatta, lo padroneggiavo completamente.

-Ed un altro!

-Si, ma ora basta, sono già sette la dentro, non en entrano più, e poi stiamo attirando troppo l’attenzione, andiamocene.

-Si, si!

Ero in fibrillazione, non riuscivo a trattenermi.

-Sai, a dirla tutta non credevo proprio che tu ci saresti riuscito realmente, non senza bacchetta per lo meno. Mi devo ricredere, o meglio, confermare quello che già pensavo: non hai minimamente bisogno di averne una! Ma la compreremo lo stesso, per evitare problemi.

Ero troppo concentrato sulle prodezze che avevo appena commesso per prestare attenzione alle sue parole... e a chi si avvicinava, dato che alla vista di Tom, quasi mi venne un colpo.

-Quanto tempo avete passato lì sotto, è andato tutto bene?

-Si Tom, Emanuele ha imparato il suo primo incantesimo, secondo a dire il vero, ma questo era tutt’altra cosa rispetto ad Accio.

-Bene, mi fa piacere. Posso richiudere il passaggio...?

-Si, certo, abbiamo concluso.

 

Una volta nuovamente in camera, io e ser Uppercut ci sedemmo sul letto per riposarci un po’, poi riprese:

-Bene, questa è fatta, il difficile deve ancora venire, dato che Logos Comprehendi è di tutt’altra complessità, ma almeno hai capito il metodo da adottare, ed anche piuttosto rapidamente per la tua età.

-E’ davvero così difficile?

-Purtroppo sì, io stesso lo imparai in età adulta per motivi di lavoro, non è un incantesimo propedeutico che viene insegnato a scuola. Non che sia impossibile comunque. E’ solo difficile impostarlo correttamente nei nostri pensieri;  i tempi e i movimenti sono del tutto identici a quelle del Confundus e di altre fatture simili, ma il problema sta nel ripassarsi a mente svariate parole nei vari idiomi per “allargare” artificialmente le nostre conoscenze.

-Cioè?

Come al solito, avevo capito ben poco.

-Detto semplicemente: come si fa a far capire al tuo cervello che vuoi rendere comprensibile qualsiasi espressione linguistica emessa da te o da un altro essere umano? Per renderlo possibile bisogna concentrarsi tantissimo sul risultato che si vuole ottenere, per questo gli insegnanti, ed io stesso d’altronde, consigliamo il ripetersi a mente ciclicamente una o più parole in diverse lingue, anche quelle che non interessano. Ad esempio, finora abbiamo usato la fattura solo per convertire le nostre espressioni in due lingue, ma per farlo ho dovuto pensare anche a parole in latino, francese, greco, bulgaro e così via, proprio per focalizzarmi sulla traduzione più che sul significato delle parole stesse. Proprio per questo se le parole pronunciate nella nostra lingua venissero ripetute il meno possibile sarebbe meglio, proprio per non venir distratti da pensieri svianti. In altre parole, usa ciao e traducilo in molte lingue e, quando le ripeti, cerca di evitare di ripeterlo troppo spesso in italiano perché rischieresti di pensare ad un saluto piuttosto che al tradurre indistintamente, mente un generico priviet in russo, non rischia di distrarti più di tanto.

-Accidenti...

-Certo, poi ci fai la mano e ti bastano due o tre parole al massimo per riuscire a lanciarlo senza problemi, ma all’inizio ricordo che dovetti tradurre la parola esame in più di dieci lingue, per riuscire a farcela. Sì, fu la prima parola che mi venne in mente proprio perché dovevo superare un test in quel periodo.

-Ma allora ho bisogno di un dizionario.

-Non c’è bisogno, se utilizziamo ciao lo so pronunciare in una dozzina di lingue diverse.

-Bene allora, dimmele, anzi scrivimele che così partiamo!

-Ah, non ora! Ci serve ancora qualcosa per poter proseguire, non l’ho portata con me perché non pensavo ci sarebbe servita già oggi, ma oggi pomeriggio quando ritorno la porterò con me. Intanto fino a pranzo riposati e ripassati queste traduzioni del ciao che ti ho scritto su questo foglietto, me l’ero preparato ieri, almeno questo l’ho portato.

Hi, ave, hallo, hola, salut, ahoj, haloo, servus, hei, cześć, un sacco di pronunce strane, ma nessuno batteva sdravisvanje, il saluto bulgaro, in quanto ad illeggibilità.

E come faccio?

Lo sconforto era estremo, così come la sfida che mi si era posta dinanzi.

 

Subito dopo pranzo ser Richard si presentò con una vecchia radio anni ’70 sotto braccio.

-Ecco qua, d’altronde è l’unico modo, come avremo fatto senza? Adesso ti disattivo la fattura e la lancio su me stesso, così io e te ci capiremmo sempre alla perfezione, ma tu non capirai ciò che diranno gli altri o, in questo caso, la radio.

Dopo aver smanettato con la bacchetta, accese la radio e mise in un canale di musica vintage.

-No, questo no, cerchiamo un notiziario, ah ecco!

Ovviamente parlava in un inglese abbastanza rapido per capire cosa stesse dicendo.

-Ora lo imposto silenzioso, ogni volta che lancerai la fattura aumento il volume e mi dirai se capisci cosa dicono, ok?

-Si.

-Partiamo allora, ti ricordi tutto?

-Come si pronuncia...

-Lascia perdere, usa quelle semplici, se il bulgaro o il croato lo salti, non muore mica nessuno!

E così iniziammo. Ad ogni presunta fattura equivaleva un tentativo con la radio, che non voleva saperne di parlare in italiano.

-Logos Comprehendi!

Le solite scintille partivano dal mio indice che premeva contro la mia tempia destra, ma non dava indizi se fosse andata in porto. Il mio tutore rialzò il volume della radio.

-Adesso?

-Niente, inglese, inglese, sempre in quello stramaledettissimo inglese!

-Non agitarti, è normale, riproviamo.

 

Passavano i minuti, le ore, i giorni: era quasi finita la settimana, quando...

-Betty Rosso, bassista dei celebri Sinistre Sorelle, si è infortunato questa mattina alla gamba sinistra cadendo violentemente dalla scopa, mentre provava una prodezza da mostrare al suo pubblico durante il concerto di questa sera allo Stadio Cazadores.  Jim O’ Derate, il medico personale della troupe, ci spiega i dettagli dell’infortunio: “Non ho mai visto una tale devastazione in tutta la mia carriera, il menisco si è praticamente polverizzato e dobbiamo ringraziare il cielo se non sono stati riportati danni alla colonna vertebrale.” Effettivamente la caduta è avvenuta da 45 metri di altezza e molti fan che assistevano alla sessione di prove hanno temuto il peggio. La prognosi diagnosticata per una completa guarigione della gamba è di 3 ore e 25 minuti, restate con noi per eventuali aggiornamenti sull’argomento.

Non ci potevo credere, no, non alle scempiaggini della trasmissione radio, ma finalmente recepivo le parole in italiano, la mia lingua! Ero troppo felice.

-Funziona! Ha parlato, cioè l’ho recepito in italiano!

-Davvero? Bene, hai visto che con l’impegno ce l’hai fatta? Riproviamo? Cambio stazione, cosa dice?

-Prevista breve pioggia nel versante...

-Pioverà!

-Esatto, e qui?

-Solo da noi il meglio del meglio del meglio del meglio per il Quidditch! Venite a trovarci a...

-Annuncio pubblicitario!

-Perfetto, ora disattiva la fattura e riproviamoci!

-Sì! Ehm, ma come?

Ser Uppercut mi guardò in silenzio e poi scoppiò a ridere.

-Ahahah, davvero, ho dimenticato di insegnarti come annullarla, ahahah! Ora te lo insegno...

Poi iniziai a ridere anch’io, ma per la felicità di esser riuscito a farcela; in ogni modo entrambi continuammo fino alle lacrime.

Il resto della giornata lo passammo cercando di imparare il contro-incantesimo.

 

 

[CURIOSITA’]

 

Il testo della canzone cantata dai clienti della locanda, può esser tradotto in italiano più o meno così:

 

Amor mio, amore mio

ti amo amore mio

per favore, non schiantarmi

lo so che puzzo, ma mi devi perdonare

ti prometto, il bagno io farò

quando la Centenaria vincerò

non schiantarmi, amore mio.

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Capitolo 9
*** Muthsera ***


“Ricordati di usare il Logos Comprehendi non appena ti alzi!”

Questo recitava il post-it lasciatomi da ser Richard sulla porta. Ormai non ce n’era più bisogno, mi veniva automatico, ma per i primi giorni se non fosse stato per quel foglietto probabilmente avrei chiesto la colazione in una lingua che in tutta la locanda conoscevo solo io.

Era quasi passato un mese ormai, settembre stava per arrivare e con esso anche l’inizio del mio primo anno scolastico ad Hogwarts. E soprattutto al Paiolo Magico la cosa si notava. Il locale che da silenzioso, quasi lugubre, divenne una specie di stalla con bambini che correvano e urlavano di qua, cameriere che passavano l’aspirapolvere di là e gatti, gufi, civette e topi che infestavano ogni centimetro quadrato della sala principale. Per fortuna tutto quello che dovevo conoscere sulle misure inglesi, sulla storia e l’architettura di Hogwarts e sulla mitologia magica l’imparai nelle settimane precedenti, altrimenti con tutto quel baccano sarebbe stato praticamente impossibile, anche dopo che il mio tutore tentò di applicare un incantesimo insonorizzante sull’uscio della mia camera.

 

-Muffliato!

Un velo impalpabile coprì l’intera superficie della mia stanza, per poi sparire una volta ancoratosi alle pareti.

-Ecco, ora non dovresti più sentir nulla. Puoi dormire e leggere in tutta tranquillità.

In un certo senso era vero, dei rumori che provenivano da fuori non ne arrivava più neanche uno, ma in compenso ognuno di quei suoni, anche il più flebile, si trasformò in un piccolo ronzio che, sommandosi agli altri, creò una maglia sonica insopportabile.

-Accidenti, annulliamo tutto che è meglio. Son bastati due secondi a farmi scoppiare la testa. Mi dispiace ma temo dovrai convivere con questo trambusto. Comunque ti servirà come allenamento per la scuola, non credere sarà un posto più silenzioso di questo. Anche se lì, con molta probabilità, anche tu sarai partecipe della baraonda.

 

E così passai gli ultimi quattro giorni nella confusione più totale, tanto che alla fine di ogni giornata mi buttavo a letto distrutto, senza la forza di prendere mezzo libro e di esercitarmi con l’inglese.

Quel giorno però era particolarmente chiassoso: una famiglia che dire larga è dir poco, era arrivata la sera prima e adesso stava facendo colazione di sotto; una dozzina di teste rossicce che ridevano, si punzecchiavano e gridavano per ogni minima cosa stavano infestando il tavolo grande.

-Grattastinchi torna qui! No, non seguire quel cerca guai di un topo! Ronald, vuoi tenere rinchiuso Crosta? Sta facendo impazzire il mio gatto!

-Ma perché non rinchiudi tu il tuo gatto? Che più che gatto dovrei chiamarlo paffutolo, guarda quant’è grasso!

-E’ la specie che è più pienotta delle altre, lo sai, il mio Grattastinchi non è affatto grasso. E’ in perfetta forma per la sua razza.

-Sarà, ma non ho mai visto un gatto che non riesce nemmeno a passare da sotto il tavolo visto che s’incastra sempre. Eheheh!

Questi erano più o meno i discorsi che si sentivano ogni mattina appena alzati. In quello specifico caso si trattava di due dei ragazzi di quella famiglia ultra chiassosa. Il loro battibecco era iniziato nel corridoio e si protrasse fino ai tavoli, dove il ragazzo di nome Ronald, evidentemente proprietario del topo in questione, si sedette e mangiò non curandosi più di quello che sua sorella borbottava.

La stanza era gremita di gente e gli unici due posti liberi erano o accanto quel tipo, o vicino la finestra alla destra della porta di ingresso. Mi stavo dirigendo senza indugio in quest’ultima direzione, quando il mago che sedeva nel posto di fronte a dove avrei voluto collocarmi, allungò i piedi e li poggiò sulla sedia, occupandola.

Beh, stia comodo...

Non mi restò che prender posto proprio dove non avrei voluto.

-Ehm, permesso? E’ libero?

-Mpff!

Fu quello che uscì dalla bocca strapiena del ragazzo. Mi voltai allora verso suo padre che occupava il posto a destra, ma era impegnato ad argomentare con Tom su non so cosa.

-Quello che Ron voleva maleducatamente dire è che il posto è libero, puoi sederti.

Sua sorella mi invitò a sedermi e lanciò un’occhiataccia a Ron.

-Che c’è, stavo mangiando! Non si mangia a bocca piena, quante volte me lo hai detto?

-Si, ma almeno avresti potuto farti capire a gesti.

La fame mi era passata, anzi era da una settimana che non avevo proprio voglia di scendere di sotto, esattamente da quando il teatrino aveva montato le tende.

Dopo neanche cinque secondi dal mio insediamento, Ron estrasse una foto dalla tasca e me la schiaffò davanti.

-Guarda, siamo noi in Egitto, ti piace? Io avevo un maglione di lana, può sembrare strano visto che eravamo in un deserto, ma non portava più caldo di una comunissima T-shirt. Tu ci sei stato in Egitto? Lo conosci? Ti piace? E’ pieno di mummie e cose antiche, c’è la storia lì...

-Si, si, mi piace, non ci sono mai stato però...

-Eh lo so, ci vogliono un sacco di soldi per permettersi il viaggio, nemmeno noi ce lo saremmo potuti permettere, ma per fortuna mio padre ha fatto una vincita e... ed eccoci lì, tra le piramidi e le Spingi.

-Sfingi Ron, non Spingi. E poi la Sfinge è una sola, non usare il plurale che ti rendi ridicolo nonché ignorante.

-Ma tu guarda questa... Che figure mi fai fare?

Dovevo interrompere immediatamente la diatriba.

-Ehm, come dicevo, non ci sono mai stato, ma a casa ho la collezione di videocassette che mostrano i luoghi più famosi, tipo la piramide di Cheope che...

-La collezione di che?!?

Accidenti, dimentico sempre che questa è tutta roba che loro non conoscono...

-Ho sentito che parlate di videocassette babbane, Laurence dell’ufficio manufatti babbani me ne parlava giusto il mese scorso, di come questi supporti magnetici stanno letteralmente cambiando la vita della gente comune, tu che ne sai ragazzo? Ah, a proposito, Arthur Weasley, piacere.

Il padre dei ragazzi che si intromise nella conversazione mi tese la mano, che strinsi, nonostante la posizione tutt’altro che comoda.

-Beh, ecco, ha presente i film?

Ti prego, almeno questo...

-Arthur! Cosa gli stai chiedendo? Qualcosa che ha a che fare con i babbani, non è vero? Siamo ancora in vacanza, perciò smettitela!

Questa invece era evidentemente la madre della combriccola, nonché moglie di quel tipo allampanato che nemmeno conosceva cosa fossero le videocassette. Era abbastanza robusta a dispetto della corporatura del resto della famiglia.

-Oh, Hermione cara, cosa ci fai anche tu qui? Non ti avevo vista, sono stata in camera fino ad ora...

-Benissimo, signora Weasley, non sa che sorpresa vedervi qui in anticipo anche voi, avevo il timore di dover passare quasi una settimana da sola, visto che i miei son dovuti partire per lavoro.

-Visto? Sembrerebbe siamo destinati a rimanere sempre insieme, vero Ron?

-Già, che per tutto il viaggio non ha fatto altro che piagnucolare sul fatto che Hermione non fosse con lui.

Due ragazzi più grandi identici nell’aspetto sbucarono da dietro una colonna, parlando a turni e completandosi la frase a vicenda, sincronizzati alla perfezione; alla Qui, Quo e Qua, praticamente.

-Splutt!

Ron sputò per intero il succo che aveva sorseggiato.

-Non, è andata così, non stavo piagnucolando, costatavo un fatto e non volevo ci fosse solo Hermione, se dovete raccontarle le cose fatelo bene, volevo anche Harry a farmi compagnia!

-Fatto sta che sei diventato rosso lo stesso, come mai?

-E basta voi due, lo state mettendo troppo in imbarazzo, vieni Arthur, non riusciamo a trovare da nessuna parte la spazzola di Ginny.

-Andiamo pure noi Fred, altrimenti nostro fratello ci annoierà ancora con quella sua stupida foto.

-Si, non me lo faccio ripetere due volte... Ehi, guarda! Un piccione! A lui non gliel’hai ancora mostrata, presto prima che se ne va, spaventalo con la storia di Tutankhamon!

-Bah, basta, non si può mangiare così, me ne vado!

Restò solamente la ragazza di nome Hermione, che fino a pochi istanti prima credevo erroneamente facesse parte della famigliola felice.

-Beh, ecco, scusaci.

Imbarazzata, si alzò anche lei e se ne andò. Finalmente era da solo, o meglio, c’era ancora un sacco di gente, anche di fronte a me, ma non nelle immediate vicinanze e comunque nessuno che mi importunava. Anche se in ogni modo la fame non voleva saperne di tornare, complice il rigurgito di succo d’arancia che gocciolava dal tavolo.

-Buone notizie, ragazzo! Accidenti che confusione oggi...

Ser Richard, appena entrato nella locanda, venne verso di me sventagliando una pergamena motivo della sua felicità.

-Questa qui è la richiesta firmata dei tuoi genitori di aprire un conto corrente alla banca dei maghi: la Gringott! E guarda questo sigillo? E’ stata finalmente accettata! Possiamo aprire il conto oggi stesso, perciò finisci lì che andiamo subito ad aprire il conto. Non mi dire, hai già finito? Bene allora, andiamo!

Finalmente stavo per uscire da quel tugurio, sembrava quasi che fossi stato messo in prigionia.

-Scusa per questo enorme ritardo, solitamente aprire un nuovo conto non richiede tutto questo tempo, è che in Europa sta cambiando la moneta corrente ed i folletti si devono regolare di conseguenza...

-Folletti? Di nuovo quelli...

-No no, altri ovviamente. Chiamali Goblin se vuoi, ma a loro non piace, ti avverto. Scusami...

Eravamo nel retro della locanda, dove Tom, o chi per lui, gettava la spazzatura nei bidoni di latta, ovviamente il cortile era chiuso da una muraglia in pietra e dove stavamo andando, solo il mio tutore lo sapeva.

Toc! Toc! Tac!

Con la punta della sua bacchetta, ser Uppercut bussò tre volte su un mattone della parete che circondava il cortiletto, come se stesse usando un codice segreto.

-Stai a guardare!

Improvvisamente il muro prese a vibrare ed i suoi mattoni iniziarono a roteare, in modo che la parte più larga divenisse perpendicolare al muro per occupare meno spazio, rivelando quindi un passaggio.

-Che te ne pare? Benvenuto a Diagon Alley!

Ser Uppercut aveva tutte le ragioni di questo mondo per sentirsi soddisfatto nel mostrarmi quel luogo: era come se si fosse aperto un mondo nuovo per me: negozi a destra, boutique a sinistra, gente che faceva i propri acquisti e poi questi li seguivano autonomamente, bambini che si tiravano palline fumogene e gatti, gufi e pipistrelli che in coro accompagnavano il via vai frenetico di quelle persone. Era esattamente come il paiolo magico in quei giorni di delirio, ma la bellezza del posto faceva apparire anche quella confusione come parte di un’opera d’arte.

-Avrai modo di guardare tutto più attentamente più tardi e nei giorni a venire, ora dobbiamo sbrigarci ad andare alla banca e prelevare qualche soldino, non vuoi finalmente la tua bacchetta? Seguimi, dobbiamo andare sempre dritto, e non distrarti!

Facile a dirsi ma impossibile a farsi: come si faceva a non fermarsi ad osservare imbambolati ogni singolo negozio del vialetto? I primi negozi erano anche quelli più affollati: una libreria chiamata Il Ghirigoro alla sinistra e una lussuosa gelateria di un certo Florian Fortebraccio a destra. La vista di quei gelati e della gente che se li gustava, mi fece rinascere la fame come per magia.

Accidenti, se avessi saputo dell’esistenza di questa gelateria a due passi dalla locanda altro che cappone bollito...

-Dai non perdere tempo, ti ho detto che poi giriamo per tutto il tempo che vorrai.

Fu una tortura insostenibile, ad ogni passo che facevo, c’erano due o tre negozi potenzialmente meravigliosi da ammirare e sbavarci davanti le vetrine: empori di cianfrusaglie, negozi di modellini e merchandise griffati, una rivendita di scherzi e gadget esilaranti, una bottega colma di ingredienti assurdi e addirittura un lercissimo venditore ambulante di collanine e poltrone sconquassate che quasi stonava con l’ambiente abbastanza pulito ed ordinato, per quanta pulizia ci possa essere in una strada dove erano esposti gli animali più strambi ed esotici dell’universo.

-Lo so, è dura ma stiamo arrivando; guarda lì compreremo la tua prima bacchetta e lì invece la divisa che indosserai ad Hogwarts, almeno fin quando ti entrerà.

Mi indicò due negozi l’uno di fronte all’altro: il primo si chiamava Da Olivander ed era presumibilmente quello dove avrei acquistato la bacchetta, dato che l’altro, Madama Mc Clan – Indumenti per ogni occasione, era chiaramente il luogo dove avrei acquistato la divisa. Tanto elegante, sopraffino e con una vetrina coreografica il secondo, quanto grezzo, anonimo e per nulla invitante il primo, ancor più dal fatto che sembrasse chiuso, date le persiane abbassate.

 

-Arrivati!

Ser Richard si fermò di colpo indicandomi con gli occhi di guardare di fronte: potrà sembrare strano, ma l’unica direzione a cui non prestavo la minima attenzione era proprio quella dinanzi a noi, ero troppo preso da ciò che si vedeva dalle viste laterali.

-La Gringott, la più grande ed antica banca dei maghi di tutta l’Inghilterra! Osservala nel suo antico splendore!

Di splendente non aveva nulla, era anzi tristemente pendente verso destra fino ad un’altezza di quattro o cinque metri, per poi pendere nella direzione opposta, sarà stata opera di un incantesimo edificatore non propriamente riuscito. Per non parlare poi dei muri e delle colonne che dal bianco originario ormai erano divenute color panna per via della sporcizia accumulata nel tempo, o del grosso portale in bronzo che ormai era completamente annerito; la parola manutenzione non sapevano proprio cosa significasse evidentemente. Di contro però dovevo ammettere che era un edificio davvero imponente e mostrava una certa maestosità e serietà, se si fosse immaginato lucido e splendente come sarebbe dovuto essere.

-Mi raccomando, ora entreremo, non fare domande, non fissare nessuno, non stare troppo indietro, né mi devi precedere, insomma fai esattamente quello che faccio io, qui sono molto severi e a rigettare la nostra richiesta nonostante l’approvazione non ci metterebbero nulla.

Così mi tenni incollato al fianco del mio tutore ed evitai al massimo il contatto visivo con chiunque incontrassi dentro e fuori l’edificio, siano esse persone o folletti, anche se quest’ultimi furono particolarmente difficili da ignorare. Decisi allora di osservare il soffitto per evitare di cadere in tentazione,  non credevo qualcuno si fosse in qualche modo offeso se avessi fissato il tetto a volta o gli enormi lampadari. Lampadari che erano di dimensioni veramente colossali: più di duecento cristalli su ognuno di essi, che, per un qualche sortilegio emettevano luce, con quintali di ragnatele e polvere appiccicate ad ogni singola faccia, rendendo difatti la sala molto meno luminosa di quanto sarebbe dovuta essere.

La volta era a sua volta altissima, non so per quale motivo, ma tra noi ed il soffitto c’erano almeno quindici metri di distanza, che mi impedivano di vedere nel dettaglio gli affreschi che lo permeavano.

Il mio sguardo successivamente cadde inesorabilmente sul pavimento, visto che in alto le poche cose da vedere non erano poi un così grande spettacolo e mi misi a contare le mattonelle nere e quelle bianche, per vedere quale dei due colori “vinceva” sull’altro. Il risultato fu una mia mezza caduta per via della cera scivolosissima che avevano passato sul marmo, e quindi decisi di smetterla coi conteggi.

Ma che diamine, è tutto sporchissimo e l’unica cosa che puliscono è il pavimento per far scivolare i clienti?

In realtà non era affatto vero, alzando finalmente lo sguardo ad un’altezza più congrua, notai che i lunghi banconi di legno posti ai lati della sala dove lavoravano questi folletti erano tutti lindi e lucenti, mentre gli stessi impiegati, siano essi umani o goblin, avevano indosso un’uniforme impeccabile senza nemmeno una piega. I carrelli portavalori poi, erano scintillanti nonostante il metallo di cui erano composti sia rinomato per la facilità con cui si arrugginisce.

-Buona giornata, sono ser Richard Uppercut, impiegato numero 93012 del Ministero della Magia Britannico, capo divisione dell’ufficio relazioni internazionali. Mi presento qui oggi in veste di tutore e responsabile dell’ anch’egli qui presente giovane Emanuele Maria Burgio, il quale desidera aprire un conto presso il Vostro istituto di credito bancario, la società Gringott’s Wizardry Bank. Ho il permesso nonché la richiesta firmata dei reali genitori del ragazzo, con il sigillo del vostro ufficio cancelleria il quale ha varato il consenso a tale domanda. Siamo qui invero per la parte conclusiva di tale procedura, con l’apertura e la convalida del conto corrente monetario e del suo primo versamento, oltre che di un piccolo prelievo.

Recitando in maniera impeccabile quella lunga sequela di ricercate espressioni, il mio tutore aveva dimostrato non solo tutta la sua competenza e concentrazione, dato che in sottofondo c’erano migliaia di timbri che battevano all’unisono, ma anche il fatto di conoscere il mio ridicolo secondo nome tutt’altro che maschile, cosa che avrei assolutamente voluto evitare finisse anche ad Hogwarts, dato che in passato non mi aveva portato altro che offese gratuite.

-Molto bene, il documento.

Non appena ser Uppercut gli passò il rotolo di pergamena, il folletto si rivolse a me indicando alcuni termini del testo:

-Confermi ciò che dice il signore? Tu sei effettivamente colui la cui identità corrisponde ai dati descritti in questa dichiarazione? Lo giuri?

Dato che si stava riferendo a me, ed ero libero di guardarlo in volto, non mi lasciai sfuggire l’occasione di fargli una fotografia mentale. Non avevano nulla a che vedere coi folletti infestanti del Paiolo Magico, questi erano molto più simili agli uomini nella corporatura; certo, bassi e squadrati, ma non erano molto diversi da un uomo particolarmente tozzo e con qualche problema di crescita. Ciò che li differenziava maggiormente era la generale acutezza di alcuni lineamenti del viso come naso, labbra e orecchie, nonché la loro smisurata lunghezza. Era inoltre evidente che ai folletti più anziani la cartilagine di queste parti tendeva a cedere favorendo l’azione della gravità, che le incurvava facendole spesso e volentieri prendere traiettorie a dir poco “uncinanti”; ed il mio interlocutore era proprio quello col naso ed orecchie più cascanti, tant’è che a bocca chiusa la punta del suo naso arrivava a toccare la linea del mento, mentre le orecchie arrivavano pure più in giù, perdendosi tra i risvolti della giacca e della camicia. Discorso inverso per la peluria che, invece, era molto più folta nei volti dei folletti più giovani, mentre al funzionario che mi aveva rivolto la parola non erano rimasti che quattro peli sulle sopracciglia e un paio di capelli sulla testa ormai totalmente pelata.

-Allora?

Accidenti, l’ho fissato troppo a lungo...

-Si, si, sono io, lo giuro.

-Molto bene, seguite il collega che vi scorterà dal Mastro Forgiatore. E ritenete questo. Bongi, vieni qui per favore.

Mentre ser Richard riprendeva il documento un altro folletto, molto più giovane e leggermente più alto si avvicinò.

-Sì?

-Accompagna i signori dal Mastro Forgiatore, devono aprire un conto.

-Certo, seguitemi.

Seguendo Bongi attraversammo l’enorme portone in bronzo che separava la hall principale dalla sala dei documenti e gli accessi ai caveau. Quel portone era sì più basso di quello principale, ma decisamente più spesso, proprio per indicare l’importanza di ciò che celava al suo interno; anche i cassetti dei portadocumenti erano blindati, mentre altri avevano perfino grossi catenacci a bloccare qualsiasi pensiero di furto da parte di sprovveduti malintenzionati. Anche se alla fine tutti quei cassetti contenevano solo scartoffie.

Durante il lungo tragitto immerso tra quelle pile di scaffali e casseforti, rischiai di cadere almeno altre tre volte per via del pavimento esageratamente scivoloso, l’unica consolazione che ebbi fu il vedere il mio tutore nelle mie stesse disagiate condizioni: infatti anche lui prese un paio di scivoloni, ma per fortuna nessuno dei due fece la magra figura di cadere col sedere a terra. Bongi e tutti gli altri dipendenti, invece, si muovevano perfettamente su quel pavimento infernale: non so come, ma riuscivano ad avanzare nonostante non alzassero i piedi da terra, o meglio,  non li muovevano affatto; giusto scivolavano e basta, come se fossero stati spinti da una forza invisibile. Giunti alla porta del terzo caveau però notai un anziano folletto che, piegato su se stesso, passava ancora cera da tutte le parti.

-Scusi la domanda, signor Bongi, ma il pavimento non è già abbastanza lucido? Non per qualcosa, sia chiaro, ma è così scivoloso che rischiamo di cadere e farci male davvero.

-Lo so.

Bongi rispose senza voltarsi, continuando la sua marcia.

-E’ voluto, infatti. Non è certo un segreto che una delle nostre migliori tecniche difensive contro i ladri è proprio questa. Nessuno tranne noi folletti impiegati in quest’istituto siamo in grado di avanzare senza alzare le piante dei piedi, nessuno. E se qualcuno fa un po’ troppo rumore quel qualcuno non è sicuramente un folletto. E se non è un folletto deve essere accompagnato da un dipendente ed avere un buon motivo per essere qua, come voi due del resto. Inoltre se a qualche furbo venisse la malsana idea di farsi passare per uno di noi, la sua andatura certamente lo tradirà. Tecnica semplice ma infallibile, non è d’accordo? Seguitemi, siamo quasi arrivati, subito dopo quella scrivania alla vostra destra.

-Ti prego, basta domande o si indisporranno.

Ser Richard mi supplicò ti tener chiusa la bocca, bisbigliandomi all’orecchio quella frase che a causa di uno strano rumore metallico non compresi appieno. Più ci avvicinavamo allo scrittoio più quel rumore assordante di martellate sul metallo si faceva vivo e, superata l’immensa porta blindata che accedeva alla grotta, ne fu chiara la sorgente. Nonostante in quel luogo tutti i blindati erano imponenti, la porta di forma circolare che superammo in quel momento era tutt’altra cosa: alta e larga almeno tre metri, era spessa circa quattro volte il volume di un uomo e tutta completamente d’acciaio nero. Il perché di quelle dimensioni mastodontiche mi sembrò evidente una volta entrato: la figura di un enorme gigante, che indossava solamente un enorme grembiule di cuoio e che maneggiava enormi arnesi che faceva entrare ed uscire periodicamente da un enorme forgia emerse dalla penombra nata dal contrasto delle fiamme col buio più profondo che permeava quell’ambiente.

I-il maestro forgiatore...

-Mumkhar, la numero 1991, prego.

Il folletto tese la sua piccola mano, come se stesse attendendo qualcosa. Il gigante sentendo quelle parole si allontanò sparendo dietro un muro di fumo ed ombre e al suo ritorno allungò il suo possente braccio verso Bongi. Sembrava volesse stritolarlo, invece poggiò con delicatezza una piccola chiave nera sulla mano del folletto che a sua volta la consegnò al mio tutore indicandogli di farla toccare pure a me e quindi di riconsegnarla.

-In questo modo solamente chi è presente oggi in questa sala sarà in grado di toccare questa chiave, tutti gli altri ne verrebbero irrimediabilmente ustionati. Da questo momento sono ufficialmente il vostro Referente Autorizzato del vostro conto, signori. Se avrete necessità di consegnare la chiave a qualcun altro o vorrete cambiare Referente, dovrete fare una formale richiesta scritta, grazie alla quale ripeteremo quest’operazione per registrare chiunque debba venirne a contatto, prego Mumkhar.

Il colosso afferrò la chiave lasciatagli sul banco da Bongi ed incominciò a colpirla con spaventosa potenza utilizzando un maglio infuocato: il solo frastuono di quei colpi faceva tremare tutti gli utensili appesi alle pareti della grotta.

-E’ l’orientale acciaio Kachiin, utilizzato fin dall’antichità dagli alchimisti per la sua indistruttibilità anche contro gli incantesimi più potenti: solo un gigante armaiolo ha la forza per forgiarlo. La famiglia di Mumkhar è maestra di forgia da secoli ormai, nessun altro è più capace di spezzare il nostro sortilegio, e la magia dei folletti è potente, ragazzo. Tieni, è fredda.

Con un malcelato velo di soddisfazione per l’ultima parte del discorso che aveva detto, mi porse la rovente chiave nera che nelle mani del gigante sembrava minuscola ma che in realtà era di notevoli dimensioni. Ora che era in mio possesso potevo osservarla meglio della prima fugace volta: era nera, sì, ma in un certo senso brillava; si impregnava di qualsiasi minima fonte di luce per rilasciarne a sua volta un po’ quando posta al buio. Era fenomenale, non solo per quella particolarità, ma anche nell’aspetto, fiordi ed incavature permeavano l’intera superficie della chiave, solo il listello era liscio, ma perfino il pettine era un trionfo di forme ed arabeschi. Incredibile come un essere gigantesco come quello sia riuscito a creare una tale meraviglia.

-Se volete potremmo dipingerla d’oro, molti preferiscono così.

-Non ce ne sarà bisogno. Dalla a me, meglio non perderla.

La consegnai a ser Richard e lasciammo quella forgia per dirigerci finalmente alla mia camera blindata, ma non prima di aver compilato il modulo di avvenuta consegna della chiave e aver posto firme in tutte le salse. Ritornammo praticamente quasi all’ingresso, poiché, a differenza della forgia, il mio caveau si trovava dietro la prima porta blindata della sala. Se non fosse che scoprii che quella porta non dava direttamente alle camere blindate, ma ad un’infinita galleria sotterranea.

Non si vede la fine... E manco l’inizio...

Infatti oltre a continuare in lunghezza verso non si sa quale parte dell’Europa, era pure senza fondo: cadere da lì sarebbe equivalso ad una caduta di ore seguita da morte certa. L’unico mezzo per potersi muovere in quei cunicoli era una specie di carrello a due posti, all’apparenza tutt’altro che comodo. E non solo all’apparenza.

-Tieniti forte, mi raccomando.

O mi tenevo forte, o mi tenevo forte, dato che in quel carrello c’era posto solo per due passeggeri e quello di destra - con una bella poltroncina - l’aveva occupato il folletto, lasciandoci solamente quello stretto e per nulla ergonomico di sinistra. Il parabraccia poi era soffocante.

-Il viaggio sarà un po’ lunghetto, mettetevi comodi.

Fa pure lo spiritoso...

Swiisss !!!

Con un lungo e fastidioso cigolio, il carrello iniziò a muoversi, aumentando via via sempre più di velocità.

-Non spaventarti, fra poco ci saranno certe curve che ci faranno girare la testa!

Mi urlò il mio tutore per rasserenarmi, se non fosse che quelle curve più che la testa fecero girare tutto il corpo, carrello compreso. Girando su se stesso dal perno centrale infatti, quel carrello fece almeno una quindicina di giri completi durante tutto il folle tragitto, inoltre ogni salita o discesa con un forte dislivello facevano pendere pericolosamente tutto il peso dal nostro lato, evidentemente il più pesante, facendomi provare dei lancinanti dolori al fianco sinistro per la pressione che esercitavo sui parabracci.

In compenso la vista del panorama era spettacolare. Per via dell’alta velocità, tutto quello che fosse stato più piccolo di un muro di cinta non riuscivo a focalizzarlo bene, ma di piccolo là sotto c’era davvero ben poco: tutto illuminatissimo da torce danzati e lampioni ad olio, sembrava quasi il regno di una civiltà sotterranea. C’erano prevalentemente caveau e gabbie piene dei tesori più spettacolari, ma anche enormi statue di marmo, capitelli di antiche colonne ormai diroccate e soprattutto un intero castello abbandonato sotto i nostri piedi. Dovevo saperne di più. Prima di aprir bocca, seri Richard mi anticipò:

-E’ Arx Shagar, l’antica dimora dei folletti. Molto prima che la civiltà bretone si insediasse in Inghilterra erano loro gli abitanti più evoluti di quest’isola. In uno dei libri che ti ho regalato c’è tutto quello che devi sapere.

Mi bastò, anzi, non vedevo l’ora di ritornare alla locanda per saperne di più, al diavolo lo shopping: quel castello era bellissimo, tetro ma bellissimo.

Swiisss !!!

-Arrivati. La lampada prego.

Indicò una lampada ad olio appesa con un chiodo su una delle colonne della galleria.

Non se la può prendere lui? Perché diamine le mettono così in alto se manco ci arrivano? Che viaggio terrificante...

-Camera 1991, la chiave prego.

Ser Richard stava facendo praticamente il facchino di Bongi, ma la cosa non lo turbava affatto.

Il folletto inserì la chiave nella piccola serratura della porta blindata che acconsentiva alla camera che mi fu attribuita e, con un delicato suono di ingranaggi che si sbloccavano tutt’intorno la porta, essa si aprì da sola nonostante il peso, anche se forse era Bongi che l’attirava con qualche incantesimo, rivelando il contenuto.

Due misere pile di monete grosse e dorate, alte non più di un metro ciascuna, erano le sole ospiti di quel vasto ambiente... Uno spazio sprecato.

-Tsk!

Scappò al folletto. Evidentemente anche per Bongi quei quattro soldi non devono esser parsi un grande spettacolo. Notando i nostri sguardi seccati, per non apparire troppo indiscreto indietreggiò nascondendo alla sua vista la camera.

-Bhè, in fondo me l’aspettavo... Il cambio Galeoni-Sterlina non è affatto vantaggioso per quest’ultima e soprattutto non lo è quello tra la Lira italiana e quella inglese, due condizioni troppo svantaggiose danno come risultato questo: credo che queste monete siano interi mesi di stipendio dei tuoi; ma non ti preoccupare, bastano e avanzano! E poi, oltre a quelle di inizio anno per rimediare il materiale scolastico, non avrai certo altre spese vive!

-Ma quante sono?

-Giusto... Signor Bongi, una cortesia: potrebbe dirci a quanto ammonta il conto del signor Burgio? E quanto possiamo prelevare in un’unica operazione?

-Sì, certo. Bene, rispondere alla sua prima domanda è immediato: ogni pila di un piede equivale a cinquanta galeoni, perciò, essendocene due, sono esattamente cento. Per la seconda è più complesso, dato che normalmente il limite è di 500 galeoni alla settimana, ma non essendo questo il caso, dovremo utilizzare le percentuali. E’ possibile prelevare il 60% del fondo dei conti inferiore ai 1000 galeoni, ma a questi vanno sottratti il 7% di interessi annui che sono offerti dall’istituto, mentre un ulteriore soglia del 12% che...

-Insomma, quanto possiamo prelevare?

-Ci stavo arrivando! Comunque mi duole avvisarvi che potrete prelevarne solamente 42 per tutta la settimana e, se come credo avete l’intenzione di prelevarli tutti, la prossima settimana scatta una tratta inibente di un ulteriore 30% bloccandovi il secondo prelievo a soli 13 galeoni. Perciò vi consiglio di non prelevarne più di 40 questa settimana, almeno la prossima avrete sempre la possibilità di ritirarne almeno 20.

-Si, credo faremo esattamente così, 60 galeoni sono più che sufficienti; prenderemo le cose più importanti tra oggi e domani, il resto poco prima di partire, ok?

-Eh, per forza...

-Già, dai iniziamo a prendere qualcosa.

Bongi tirò fuori dal suo taschino della giacca un sacchettino di stoffa e lo porse a ser Richard.

-Usate questo portamonete standard, è un omaggi della banca.

-Ah, ottimo, ne ho uno anch’io, ma è meglio che Emanuele abbia il suo. Tieni, mettigliene 40 esatte.

Il portamonete era decisamente troppo piccolo per contenerne 40 di quelle grosse monete, ne sarebbero entrate a forza al massimo due, ma ero sicuro che quello non sarebbe stato un problema, e infatti entrarono tutte quante. Adesso la vista delle due colonnine di soldi era ancor più misera di prima.

-Uscite prego, devo chiudere.

Una volta fuori, il ciclo di “datemi questo, datemi quello, prego” si ripeté, così come il viaggio infernale sul carrello.

-Bene, adesso andate al primo sportello che trovate libero e consegnate questo e quest’altro.

Ci diede il borsellino con una pergamena legata ad esso. Così ci avviammo al bancone per completare tutte le operazioni. Sebbene il sacchettino avesse un peso praticamente nullo, il folletto bancario lo peso su una sua piccola bilancia d’ottone e ne azzeccò l’esatto quantitativo di monete.

-40 galeoni, esatto? Benissimo, firmate questo e potrete andare.

 

-Finalmente adesso siamo liberi! Hai visto quanto tempo c’è voluto? E’ già quasi mezzogiorno, ci conviene andare prima da Madame Mc Clan, almeno in quest’ora prima di pranzo combiniamo qualcosa. Che ne dici?

In realtà non sapevo cosa fare, inizialmente volevo visitare qualsiasi negozio o bottega della viuzza, ma la consapevolezza di non aver abbastanza denaro per far nulla mi frenava.

-Sì, facciamo come dici tu.

-Fermo, dove stai andando? La boutique è qui a destra, come ti avevo detto prima, te ne sei scordato?

-No no, ero solo distratto...

-Senti, stai tranquillo, quei soldi bastano ti ho detto. E molto probabilmente se faremo spese oculate ci può scappare anche un certo margine per acquistare qualche cianfrusaglia, te l’assicuro.

Era chiaro che non gli si poteva nascondere nulla, visto che comprendeva qualsiasi cosa mi passasse per la mente.

-Entriamo, ma mi raccomando, non fare alcun tipo di osservazione sullo stile degli abiti, al massimo qualche sfacciato complimento, la proprietaria è molto vanitosa.

La porta d’ingresso del negozio di Madame Mc Clan trillò quando ser Uppercut la aprì per entrare e subito fummo accolti da un caloroso benvenuto da parte di una giovane ragazza tutta vestita di pizzi e merletti gialli. A dispetto di quanto sembrasse da fuori, la sala era davvero grande, a due piani, e con decine e decine di scaffali e grucce pieni zeppi di indumenti, accessori e specchi, sicuramente utili ai clienti per vedere come gli calza la roba indosso. Per provare qualcosa di più complesso di un cappello o di un foulard, ovviamente c’erano anche tre camerini di prova in fondo: due erano occupati, l’altro no. Non si riusciva a vedere cosa ci fosse al secondo piano, ma era molto probabile che fosse identico.

-I signori desiderano?

-Bene, noi stiamo cercando un uniforme scolastica che si addica a questo ragazzo. Nulla di troppo complesso o costoso, comunque.

-Certo, primo anno ad Hogwarts?

-Esatto, ha capito al volo.

-Avete già qualche idea sulla linea, o comunque possedete già qualche pezzo o volete l’intero corredo?

-No, signorina, dobbiamo acquistar tutto oggi, non abbiamo ancora preso nulla. Come modello scelga lei per noi, non abbiamo particolari preferenze.

Mentre il resto del negozio era gremito di gente, nessuno era presente nel reparto delle divise scolastiche, neanche mezzo bambino.

-D’accordo, allora le mostro le linee prodotte direttamente da Madame Mc Clan stessa, sono le più apprezzate ed utilizzate. E non hanno un costo eccessivo. Ecco, questo è la nuova linea per il 2001. Bella, no?

Prese una tunica e un pantalone di stoffa nerissima e li poggiò sul banco vicino le scale dell’altro piano. Erano molto sobri rispetto al resto dei costumi di carnevale che riempivano il negozio, anche se non mancava qualche cucitura un po’ troppo colorata nelle parti più in vista e poi la giacca era piena di stemmi raffiguranti una grande H, sia cuciti che stampati, sia davanti che dietro, sia all’interno che all’esterno.

-Come mai tutti questi stemmi identici?

-Sono le insegne della scuola di Hogwarts. Alcune rimarranno così, altre cambieranno aspetto il giorno stesso del tuo insediamento in una delle quattro case. E’ utile per capire immediatamente quale scuola frequenti e a quale casa appartieni, tutto qui. Come al solito Madame Mc Clan ha approfittato di questa esigenza per metterci il suo tocco artistico ed ecco così che, rispetto agli anni passati, la H di Hogwarts si trova spostata più a destra rispetto al centro del dorso, così la leggera asimmetria data dalle differenti lunghezze delle maniche e del pantalone viene resa ancor più armoniosa da questo gioco ottico.

Mentre diceva quest’ultima frase, prese un’altra giacca e la accostò a quella di prima per palesare la sua teoria. In effetti il simbolo della scuola era leggermente più piccolo e centrale nella seconda, anche se ad occhio non si notavano le diverse dimensioni delle estremità.

-Questa era la linea dell’anno scorso, per festeggiare il 2000, Madame Mc Clan aveva mantenuto il massimo della tradizione ed impreziosito il tutto con ricami e bottoni dorati, vedete? Deliziosi. Ovviamente, anche essendo un raro pezzo di arte stilistica, è comunque scontato poiché dell’anno passato, potete seriamente considerarne l’acquisto.

I prezzi comunque erano allucinanti: 75 galeoni il primo e 62 il secondo, non ci saremmo arrivati nemmeno pagando a rate. Ma anche ser Richard se ne accorse e aggiunse:

-Fantastici come sempre, ma non ha per caso qualcosa di ancor più accessibile? Sappiamo benissimo che questi prezzi sono già stracciati ma purtroppo al momento non abbiamo molta disponibilità, spero ci possa aiutare.

-Ma certo, vado a vedere se è rimasto qualcosa degli altri anni della taglia giusta.

Dopo aver ordinatamente posato la roba che aveva precedentemente preso, salì velocissima al secondo piano, sparendo dietro il solaio.

Ecco, mi toccherà prendere il modello dell’anno in cui sono nato...

Dopo pochi secondi ritornò con altri due capi tra le mani.

-Ecco, questa è la linea del ’98, mentre questa del ’96, ormai sono entrambi pezzi unici. Se non va bene questa misura non c’è altro. Dovremmo passare ad altri stilisti.

Erano assolutamente identici: questa volta niente cuciture dorate, niente stemmi asimmetrici, niente di niente.

-E cosa cambia tra i due? Mi sembrano uguali.

-Non dire così...

Ser Richard digrignò leggermente i denti, ma non potevo farci nulla, a causa della mia estrema curiosità, mi era scappato.

-Ohohoh, acuto il ragazzo.

Un’anziana ma molto arzilla signora scese le scale venendo verso di noi agitando una bacchetta di legno.

-Guarda qui, bambino. Cosa vedi?

Con l’asticella aprì la giacca mostrandone i bottoni: erano decisamente più grandi rispetto a tutti gli altri che avevo visto.

-Già. E anche se non li puoi vedere adesso, ma anche la cravatta dell’uniforme maschile e la gonna di quella femminile sono molto più lunghe della misura standard.

-Cravatta? Indosserò una cravatta? Io non so allacciarla.

-Davvero? Non ti preoccupare ti insegnerò io, sembra complicato, ma con un po’ di pratica verrà automatico.

Già come tutto, del resto...

-A questo simpatico giovanotto applichiamo uno sconto extra: non tutti hanno la faccia tosta di venir qui a criticare i miei lavori.

-Sicura, madame?

-Sicura? Che ti sembro, rimbambita? Dai, prendi le misure e mettiti subito al lavoro, al prezzo ci penso io con questo baldo giovanottone.

Prese sotto braccio ser Uppercut ed insieme si avviarono verso la cassa. Nel frattempo la commessa iniziava a prendermi le misure di vita, braccia, collo e gambe, più qualche altra parte del corpo che non riuscivo a vedere poiché il metro fluttuante che la ragazza usava per misurarmi continuava a bloccarmi la testa in posizione eretta.

-Fatto. Avrai la tua divisa pronta entro un paio d’ore. Ancora abbiamo poche ordinazioni, perciò posso mettermi subito al lavoro. Vai dal tuo amico e riferisciglielo.

Trovai ser Richard che ancora discuteva del più e del meno con la signora Mc Clan, ero sicuro si stesse annoiando a morte, ma dalla sua espressione e dai suoi sorrisi non faceva minimamente trapelarlo.

-Oh, eccoti qua, non ci crederai, ma la gentilissima proprietaria ci ha fatto uno sconto strabiliante: solo 30 galeoni per tutto il corredo scolastico, compresi gli accappatoi e gli asciugamani. Non avremmo potuto sperare di meglio, sei contento?

-Credo di si...

-Ah, i ragazzi di oggi, non sono mai riconoscenti. Ritornate oggi pomeriggio, vi aspettiamo!

Il mio tutore chinò leggermente il capo ed uscì, invitandomi a seguirlo.

Dopo questa spesa ci restano ben 20 galeoni, credo che la bacchetta riesca ad entrare in questo budget, ma prima, mangiamo! Che ne dici di un gelato da Florian? Per oggi niente cibo del Paiolo Magico, offro io naturalmente.

In effetti al ricordo del gelato mi salì una fame da lupi. Camminando riosservai tutti i negozi del viale, con più calma sta volta e mi domandai se ne avessi davvero avuto l’occasione di visitarli.

-Quando avremmo finito potrai girare per tutta la settimana, ti consiglio di guardare cosa vorresti, farti una lista e poi, fra sette giorni, quando avremo gli altri 20 galeoni, fare la spesa. Che poi, se ho ben capito il ragionamento di quel folletto, 20 galeoni è il tetto massimo da non sforare per non bloccare i fondi per la settimana seguente, no? Ma tu per quella data sarai già a scuola, quindi non ti serviranno; potresti anche non importartene e prendere fino a 30 galeoni, sì, si può fare.

Lasciai i conti al mio tutore, mentre io avevo già deciso quale sarebbe stata la mia prossima tappa: il negozio di scherzi di fronte la libreria, Gambol & Jape. Qualsiasi cliente del negozio ne usciva con aria allegra e soddisfatta, ed un sacco di scintille provenivano dal suo interno. La seconda tappa risultò difficile da fissare, tutti i negozi, dal primo all’ultimo, mi intrigavano parecchio, perfino quello che vendeva pentoloni, alla fin fine era tutto una novità per me.

Arrivati alla gelateria Fortebraccio ci sedemmo su uno dei graziosi tavoli posti all’esterno del locale: c’era molta gente che, come noi, aveva pensato di pranzare con un buon gelato. Dopo non molto un uomo robusto chiese le ordinazioni; io presi una coppa a due gusti, semplice cioccolato per non avere sorprese e menta scarlatta per provare qualcosa di fuori dal comune, inoltre molta gente l’aveva ordinata, quindi doveva essere buona. Il mio tutore invece fece una richiesta strana:

-Una bottiglia di acqua minerale per favore. Con due bicchieri. Ah, e se possibile un boccale vuoto, per piacere.

-Non desidera altro?

-No no, sto bene così.

Inizialmente pensai volesse risparmiare almeno sulla sua ordinazione, ma quando arrivarono il gelato e l’acqua capii perché non ordinò nulla. La coppa altro non era che una montagna di gelato cascante, erano tipo tre chili di roba caramellata e glassata, l’equivalente di sei pranzi.

-La mangi tutta?

Si prese gioco di me ser Richard.

-Ancora caschi in questi tranelli. Se richiedi una porzione intera, stai chiedendo una pinta. Ed una pinta è veramente esagerata per un bambino. Non ti ho detto nulla perché anche a me va bene quello che hai preso tu, dividiamocela.

 

Completamente satollo, avevo un po’ di sonnolenza, ma la nostra visita a Diagon Alley non era giunta nemmeno a metà e fermarsi ora sarebbe stato stupido, quindi ci avviammo nuovamente verso la boutique di Madame Mc Clan dall’altra parte della via, poiché il negozio di bacchette si trovava esattamente di fronte.

-Questa bella camminata ci farà digerire un po’ e quantomeno ci risveglierà, abbiamo tante cose ancora da comprare.

Quel lugubre negozio chiamato Da Olivander come al solito sembrava chiuso, ma in realtà la porta era sbloccata, quindi riuscimmo ad entrare. Mi sembrava difficile credere che quel negozio fosse aperto dal 382 a.C. come recitava l’insegna, ma a quel punto, tutto poteva esser possibile.

-Permesso?

Un signore più che anziano che trasportava una montagna di scatolette sbucò fuori da dietro uno degli scaffali e ci diede il benvenuto.

-Prego, non aspettavo ancora clienti per tutto il resto della settimana, ma prego, entrate pure. Desiderate?

Ser Uppercut mi fece cenno di rispondere ed io, colto alla sprovvista, balbettai.

-Una, u-una bacchetta, s-signore.

-Ah, ma davvero? Ed io che credevo foste venuti per un tè! Su, mi dica il suo cognome, faremo prima.

Non avevo la più pallida idea di come il mio cognome avrebbe aiutato il mercante, ma tant’è...

-Il mio cognome? Burgio!

-Burgio? Mai sentito... Sicuramente straniero, non è vero? Catalano forse?

-No, italiano...

-Bene bene, mi domandavo quando mai avrei rincontrato uno studente di origini italiane nel mio negozio... Forse, questa qui...

Il vecchio posò le scatole sul tavolo e sparì nuovamente dietro quegli scaffali colmi di innumerevoli scatole più o meno piccole, messe sicuramente sotto un qualche strano ordine ben preciso.

Dopo un po’ riapparve, tenendo in mano una scatola che da bianca era ingiallita parecchio. Da lì estrasse una particolare bacchetta avorio, del tutto diversa da quelle di ser Richard e del dottore dell’ospedale.

-Solitamente bacchette e maghi sono legati anche da legami geografici, ognuno dei materiali di cui è composta questa bacchetta sono mediterranei, dovrebbe fare al caso tuo.

La presi in mano ed aspettai i pareri del negoziante, ma niente.

-Su, via, la agiti!

Ah...

Non sapendo bene cosa fare la agitai a mo’ di sonaglino per neonati, ma mai mi sarei aspettato un tale risultato. Il palmo della mano iniziò a bruciarmi talmente tanto che lasciai cadere la bacchetta per terra, che prese fuoco e si polverizzò, in un istante.

-Per tutti i folletti, mai capitata una cosa del genere. Direi che non andava bene, per nulla bene.

Il mio tutore subito si mostrò in mia difesa:

-Le assicuro che non era sua intenzione distruggerle la merce, ripagheremo i danni e...

-Non c’è bisogno che vi scusiate, è normale, sa quante me ne capitano ogni giorno. Finora nessuno aveva mai polverizzato una bacchetta, ma c’è sempre una prima volta. E poi nel prezzo delle bacchette è sempre compreso qualche extra come cauzione per i danni, non si preoccupi. Forse quest’altra; non è ben chiaro il perché, ma di quei pochi ragazzi italiani che vennero negli anni, la maggior parte hanno trovato affinità con questa.

Ritornò a frugare nel suo magazzino.

-Ecco qui, legno di cipresso imbevuto nel sangue di lucertola magna e crine di unicorno fulvo. Antica ricetta, non ne fabbrico altre da decenni ormai.

Sebbene la lista dei pezzi di cui era composta sembrava essere uscita da un qualche libro di streghe di serie B, dovevo ammettere che il colore rimandava veramente all’idea di tutti quei materiali, sebbene non avessi in mente che legno avesse il cipresso o che diamine fossero la lucertola magna e l’unicorno fulvo.

-Questa volta agitala rivolgendola in terra, cerchiamo di evitare al massimo gli eventuali danni.

-Non ce ne sarà bisogno, sono fiducioso. Su, agitala.

La scossi esattamente come mi aveva consigliato il mio tutore, e feci bene. Questa volta sentii solo una leggerissima scossa tra l’indice ed il pollice, ma la bacchetta in compenso esplose in mille pezzi e le sue schegge volarono ovunque, conficcandosi in diversi punti del negozio; per fortuna nessuno s’era fatto del male.

-No, no, assolutamente no.

Guardai ser Richard sperando potesse darmi conforto, ma niente, lui era più preoccupato di me.

-Sei un caso difficile, ragazzo. Se neanche questa va bene, non saprei cosa proporti. Dovrò provare a darti un esemplare per famiglia, ci impiegheremo un sacco di tempo mi sa. Almeno che...

Questa volta non tornò con una scatola tra le mani, ma addirittura uno scrigno di legno e la scocca in rame. All’interno vi era una bacchetta dall’aspetto magnifico, lucente e trasparente come il cristallo, liscia come il vetro e con all’interno un sottile filamento verde acido.

-E’ fatta con osso di diaruga, la tartaruga millenaria.

Appena sentì quel nome, il mio tutore scattò in avanti:

-Non possiamo permettercela, sarebbe troppo costosa, Emanuele, non toccarla, se si rompesse saremmo nei guai.

-Ah, no, non è una bacchetta da mettere in vendita. Vedi questo nucleo? Si colora a seconda del mago che la tiene. Grazie ad esso potremmo capire quale famiglia di bacchette farà al caso nostro. E non si preoccupi per la bacchetta stessa, è indistruttibile, nemmeno gli incantesimi più potenti sono in grado di mandarla in frantumi. Avevo quasi dimenticato di possederla, non mi è mai e dico mai servita. Ma oggi devo ammettere che sono in crisi, il mio fiuto non m’è stato d’alcun aiuto.

Presi in mano la bacchetta e, sperando in cuor mio non esplodesse in milioni di micro particelle, la agitai verso il pavimento. Ritornò il bruciore della mano, ma stavolta la bacchetta non si incendiò, ma si accese di un rosso profondo. Era troppo calda, quasi incandescente, perciò la poggiai velocemente sul tavolino alla mia sinistra, che era quello più vicino a me.

-Curioso, davvero curioso...

L’anziano Olivander prese la bacchetta e la ricollocò nel suo scrigno.

-Cosa c’è di curioso?

-Curioso è il fatto, signor Burgio, che il nucleo della bacchetta di diaruga, che lei ha appena toccato, si sia oscurato, rendendo risultato nullo. Ed è curioso il fatto che esso significa che nessuna delle bacchette esistenti possano fare al caso vostro. Il che significa anche che non potrò aiutarvi quest’oggi nella ricerca della vostra bacchetta, in tal caso...

-Vuole dirci che ce ne andremo a mani vuote?

-Purtroppo sì, è quello che stavo per dirle.

Sembrava tutto troppo impossibile per essere vero, tutta questa attesa per possedere la mia bacchetta, e adesso nulla. Ogni mia speranza, distrutta.

Eppure la bacchetta s’è colorata di rosso, non nero, come dice  il vecchio...

Sporgendomi verso lo scrigno ed osservando meglio la bacchetta mi resi conto che sebbene la bacchetta si fosse accesa di un rosso fiammante, il nucleo al suo interno s’era incupito, come se si fosse bruciato.

-Non c’è nulla che possiamo fare, una altra bacchetta, un altro negozio?

-No, ragazzo, ho più di diecimila combinazioni differenti di bacchette e nessuna di esse andrà bene. Tre l’altro la bacchetta di osso di diaruga non mente: nessun materiale preso in considerazione ad oggi sarà utile alla causa. L’unica possibilità che abbiamo...

-Si?!?

-Si?

Chiedemmo all’unisono io ed il mio tutore.

-Vi avverto, ci vorrà tempo, molto tempo. Probabilmente ci impiegherò un intero mese, vi sta bene?

-Abbiamo scelta?

-Effettivamente no. Sapete, questa è una storia che ci tramandiamo i maestri artigiani di generazione in generazione: la bacchetta di sughero.

Io e ser Uppercut ci guardammo perplessi, mentre il negoziante parlava dietro il muro di scatole e bacchette, accompagnato dal sottofondo che produceva rovistando tra i suoi arnesi.

-Secoli fa, anzi, più di mille anni fa, con l’apertura della scuola di Hogwarts, ci fu un incremento vertiginoso di adepti alle arti magiche. I maestri artigiani dell’epoca, eh, compresi i miei antenati, non riuscirono a tener testa a quella mole di nuovi clienti, molti dei quali provenienti da nuove famiglie non presenti nei nostri registri. Necessitavano un qualcosa, un miracolo, che potesse dare loro un attimo di respiro, che riuscisse a comprendere quali bacchette andassero bene ad ogni diverso cliente, dato che molte delle ricette odierne furono scritte proprio in quel periodo. Così, dopo numerosi ed impensabili esperimenti, nacquero queste due meraviglie, la bacchetta di cristallo e quella di sughero.

Quella di cristallo l’avete appena vista, è uno strumento fenomenale per comprendere al volo quale materiale catalizzi al meglio il flusso magico di ognuno di noi, l’altra beh, è tutt’altra cosa.

Sebbene la bacchetta di diaruga non avesse ma fallito prima d’ora, in quegli anni la maggior parte dei maghi ricevevano la strada verde, scoprendo successivamente che si trattava di particolari combinazioni di legno di platano, faggio, agrifoglio e quercia con nuclei provenienti da animali e creature rare e pericolose, come corde di cuore di drago, lacrime di sirene erculee e propoli di falene arcobaleno.

Era impossibile soddisfare tali richieste, e la frustrazione per esserci andati così vicini, fu enorme. Fin quando, beh, forgiarono la bacchetta di sughero. Ah, eccole qua...

A quanto pare il signor Olivander aveva appena trovato ciò che stava cercando, perché il rumore cessò di colpo. Adesso stava tornando verso di noi.

-Anch’essa una bacchetta straordinaria: resistentissima, praticamente indistruttibile, a patto che non ne venga spezzato il sottile nucleo e con una particolarità. A causa della sua composizione porosa, che è anche il motivo per cui se viene distrutta può essere riparata con un semplice incantesimo riparatore, riesce ad assorbire ogni esubero di flusso magico proveniente dall’utilizzatore e, contemporaneamente, amplificare lo stesso, se esso risulta inferiore a quello dovuto per realizzare un determinato incantesimo. Detto così può sembrare complicato da capire, ma vi basta sapere una cosa: poteva essere utilizzata da chiunque. Nessuno sa con certezza assoluta perché una bacchetta decida di seguire un determinato mago nonostante non faccia parte della famiglia, o perché quella di sughero non faccia distinzioni, fatto sta che lo fa. Purtroppo c’è un però...

Il commerciante venne verso di noi mostrando una boccettina contenente degli strani filamenti secchi e cinerei.

-Queste. Ciglia di elfo dei boschi, dette in maniera leggera, ma in realtà sono vasi sanguigni. Non sto qui a dirvi di giustificare i miei antenati ed i loro colleghi perché sarebbe impossibile, ma sono loro la ragione per cui essi si siano estinti secoli fa. Ed è anche il motivo per cui gli elfi, nati e cresciuti come bestie in delle stalle di allevamento, siano diventati domestici. La loro sofferenza e la loro malinconia di casa, uniti alla lontananza con le loro foreste natie hanno impoverito il loro sangue, rendendoli a tutti gli effetti inutili se non per esser utilizzati come schiavi. E’ una storia terribile, ma è la verità. Ovviamente essendo estinti, non fu più possibile creare nuove bacchette di sughero ed il loro ricordo diventò sempre più flebile, fino a diventare una leggenda ai giorni nostri. Ma, la mia famiglia ha sempre tenuto questo barattolo per darlo in eredità alle generazioni future, giusto per ricordargli sempre di non commettere più queste atrocità per il facile guadagno. Come vedete ce ne sono quattro, quattro ciglia per quattro bacchette. Il sughero bianco non è difficile da trovare, quindi è possibile crearla. Non ne ho mai vista una in vita mia ed il progetto originale è custodito nella camera blindata della mia famiglia alla Gringott, perciò dovrei iniziare proprio da lì. Ho solo quattro possibilità di riuscita, perciò non posso nemmeno assicurarvi che riesca a costruirla senza averle sprecate tutte per i tentativi falliti, ma ci proverò.

-Non sono più tanto sicuro di volerla...

-Sciocchezze! Vedi come sono secche diventate ormai queste ciglia? Erano almeno il triplo del volume quando furono raccolte, continuando così si dissolveranno entro una generazione o due, perdendo così anche l’ormai futile scopo di monito ai futuri fabbricatori di bacchette. Ormai gli elfi da cui sono stati sottratti sono morti, sarebbe solo uno spreco lasciarli a marcire senza dargli un’ultima vita. E poi il tuo è il tipico caso in cui bacchette straordinarie come questa dovrebbero venir adoperate, non perché una scorciatoia, ma perché l’unica possibilità. Ragazzo, davvero, nessuno meglio di te se la meriterebbe.

Ser Richard nonostante fosse più confuso che persuaso, accettò la proposta a nome mio:

-D’accordo, le commissioniamo quest’incarico. Quanto tempo le servirà?

-Come vi ho detto, per me sarà un’esperienza nuova, dovrò andare in Irlanda da un mio compagno di studi per poterci lavorare assieme, credo che anche lui ne rimarrà entusiasta, ed in questo periodo sarò oberato a mantenere aperto questo locale per i clienti un po’ meno difficili del qui presente signor Burgio, perciò credo se ne parli per ottobre.

-Ottobre? Ma le lezioni iniziano a settembre, che farò nel frattempo?

-Scriverò personalmente al preside, non ti preoccupare, sono sicuro che troverà una soluzione per il tuo caso, è un uomo dalle mille risorse e soprattutto è molto comprensivo. Siete stato molto gentile, ci scusi per il disagio e i danni, ci rivedremo ad ottobre.

Dopo esserci stretti la mano, uscimmo dal locale ma, poco prima di chiudere la porta, il signor Olivander mi urlò!

-Grazie!

Per cosa?

-Era da tanto che non mi sentivo così euforico ed emozionato, la sua futura bacchetta è leggendaria, ci dobbiamo aspettare grandi cose da lei, signor Burgio. Grandi!

-Prego...

Non sapevo proprio cosa dire, sapevo solo che lui era felice, mentre io senza bacchetta. Chiusi la porta e mi ritrovai nuovamente a Diagon Alley, anche se con la mente ero ancora là, assieme a quei poveri elfi che venivano sterminati per produrre quella bacchetta che di lì a poco sarebbe diventata la mia.

 

-Che storia, eh? Non avevo mai visto Olivander in crisi. Ma tu sei speciale, no? Qualsiasi cosa facciamo, succede sempre qualcosa di fuori dagli schemi. Sei fortunato, guarda il lato positivo: ci siamo risparmiati i soldi della bacchetta, non trovi?

Lo volevo uccidere.

-No, eh? In effetti non è questa gran consolazione. Mi dispiace che tu non abbia provato la sensazione che si prova quando si tiene in mano la propria bacchetta per la prima volta. Riesci proprio a sentire che qualcosa vive dentro di te, capisci finalmente che le magie che sei in grado di fare e che hai fatto fino a quel momento non erano pure illusioni, ma la realtà. Che sei un mago, che sei speciale ed in grado di fare qualsiasi cosa. Beh, poi comunque non è esattamente così perché poi scoprirai che essere un mago non significa per niente essere onnipotente e che anche tu hai dei limiti, ma in quell’esatto momento credi di riuscire a volare solo con la forza del pensiero! Ah, fantastico.

Notando la mia espressione torva cambiò subito argomento:

-Ma non fa nulla, oggi, fra un mese: cosa cambia? Ad ottobre la proverai senz’altro. Intanto, visto che ci rimangono ancora 20 galeoni dopo aver ritirato l’uniforme da madame Mc Clan, andremo a scegliere il tuo animale domestico, almeno per questo non credo ci debbano essere problemi, eheh!

Effettivamente un bell’animale era quello che ci voleva dopo la delusione della storia della bacchetta, magari un cagnolino scodinzolante o un allegro criceto a cui piacciono le giostrine. Ma cosa c’entravano con la scuola?

-Ma, ser Richard, perché dobbiamo acquistare un animale?

-Che sbadato, me ne ero dimenticato, ovviamente oltre alla tua domanda di iscrizione è arrivata pure la lista del materiale didattico da portarsi ad Hogwarts, contenente i titoli di tutti i libri di testo raccomandati, gli accessori di cui non si può far a meno e tutte quelle altre cose che servono per imparare le varie discipline. E gli animali sono uno di quelli. Sono molto utili per allenarsi con certi incantesimi durante le lezioni, vedrai che hanno un loro preciso scopo. In più i gufi possono trasportare lettere e pacchi un po’ come i corrieri postali. Non sono obbligatori però, la scuola ha già i suoi da dare in comodato agli studenti. Se si vuole essere un po’ più indipendenti però si può optare per acquistarne uno; molti lo fanno, del resto.

Il mio tutore cercò tra le tasche della sua giacca e tirò fuori una lettera:

-Eccola qua! C’è la lista di tutto ciò che ti serve. Altre cose te le raccomanderò io quando saremo al negozio giusto, ma per la scelta dell’animale uno vale l’altro, perciò sei libero di decidere autonomamente, basta che ti attieni tra quelli riportati nella lista.

Gufo, gatto, rospo...

-Ma qui indica solo tre animali! Altro che scelta...

-In realtà potresti portare qualsiasi animale che si mantenga sotto certe dimensioni, ma oltre a quelli citati non mi vengono in mente altri animali, o sono troppo piccoli, o troppo grossi. Ed un cucciolo non vale, dato che poi crescerebbe andando fuori misura. Ci penseremo poi, al Serraglio Stregato. Intanto, ritiriamo l’uniforme che deve essere già pronta.

 

Tlin Tlin!

-Ohohoh, chi si rivede, il ragazzino curioso ed il suo elegante accompagnatore, ma prego, prego, venite. Amanda!!! Sono pronti gli abiti del signor Burgio, non è vero?

Una vocina stridula e terrorizzata proveniva dal secondo piano:

-S-sì, devo solo confezionare gli ultimi pezzi e...

-Confezionare?!? Ma che ti sei bevuta? Il ragazzo deve ancora provarli! Scendi, spacchetta tutto e vieni qui! Scusatela... E’ nuova...

Accidenti, è terrificante.

La ragazza si precipitò da noi con una dozzina di buste addosso: sulle spalle, sotto le braccia, tra il mento ed il petto. Tutto pur di non far spazientire la sua datrice di lavoro.

Tutti quei vestiti?

-Bene, giovanotto, inizia con la divisa estiva. Prendi questo, e questo e quest’altro. Provali come ti stanno e poi esci per farti guardare.

Mi diressi verso i camerini di prova e fortunatamente tutti erano liberi. Forse era ancora presto per lo shop pomeridiano.

Nonostante fossero indumenti della divisa primaverile, erano molto pesanti ed iniziai a grondar sudore e non finirmela più.

-Le scarpe, hai dimenticato le scarpe, provale.

E mi arrivò scivolando da sotto la tendina uno scatolo contenente le scarpe nere della scuola.

Canottiera, camicia, pantaloni e scarpe: questa era la divisa da mettere quando iniziava a far caldo, o all’inizio dell’anno.

-Si, direi che vanno bene. La camicia dovrebbe cadere esattamente sotto le ascelle, ma nel giro di un paio di mesi crescerai che quel punto lo raggiungerai senza problemi. Prossimo: autunnale!

Canottiera di lana, camicia scura, gilet di caldo cotone, giacca e pantaloni più spessi.

-Tutto perfetto, la giacca allarga sulle spalle ma è normale, mettiti più dritto! Si, così va benissimo, anche qui crescendo fra qualche mese ti cadrà a pennello. E’ meglio che stiano un po’ più larghi adesso che stretti durante l’anno scolastico. Vai con l’invernale!

Fino alla camicia mantenni tutto, cambiando solo un maglione di lana così spesso e pungente che mi sembrava di stare dentro un forno. In più mi dovetti mettere il mantello per quando piove.

-Qui c’era poco da controllare, era ovvio che se ti stavano bene i precedenti anche questi sarebbero stati ok, abbiamo finito. come le pare, ser Uppercut?

-Tutto magnifico, madame, come sempre, del resto.

-Ma certo che lo è. Amanda adesso che puoi confezionare gli abiti dei signori, in fretta!

Oltre che per il caldo che sentivo a causa dei mille cambi d’abito e alla temperatura rovente che aveva raggiunto Londra in quel giorno, stavo sudando guardando la frenesia col quale la povera ragazza si muoveva per rispettare gli ordini della proprietaria.

Una volta pagato e ricevute le buste, ser Richard si chinò, raccolse la mano di madame Mc Clan in segno di galante congedo e si diresse verso l’uscita, senza dimenticarsi di fare il solito occhiolino alla giovane commessa. Due donne diverse, di età diversa e con caratteri opposti, eppure le invaghì entrambe, strabiliante.

-Adesso dove dici di andare, al Serraglio Magico?

-Si, è meglio. Ho voglia di vedere animali strambi.

-Ti avverto, anche il proprietario di questo negozio è antipatico da morire. Purtroppo è una caratteristica comune di molti negozianti, forse stressati dalle richieste assurde dei clienti pian pianino si trasformano in questi esseri scontrosi ed intrattabili. Limita i commenti che a sbatterci fuori non ci sta neanche un secondo, intesi?

-Si, ormai me lo dici sempre ma poi non ti ascolto mai.

-E lo so, eheh.

Il Serraglio Stregato era uno dei negozi che avrei voluto visitare per primi, per via della merce che vendeva, non certo per il suo aspetto. Già da fuori si capiva che non doveva essere il massimo della pulizia: corvi, pipistrelli e ratti scorazzavano liberi nell’ampia corte recintata che attorniava l’edificio in cui il negozio era situato, lasciando resti ed escrementi al loro passaggio. Anche se erano tutti abbastanza irrequieti, ritornavano sempre sui loro posatoi e trespoli, solo un arruffatissimo suricato era tenuto con una cordicella legata alla gamba per non permettergli la fuga, ma comunque era abbastanza libero per poter gironzolare attorno per metri e metri. Gli animali all’interno erano quelli o più preziosi o pericolosi, o che semplicemente soffrivano troppo la luce del sole diretta. C’erano grosse tartarughe fiacche che non facevano altro che dormire e masticare fieno secco, ma anche tartarughe marine così minuscole che sparivano una volta immerse nell’acqua putrida in cui sguazzavano. Il lato destro era quello decisamente più rumoroso, qualsiasi animale, siano essi topi ballerini, scimmie urlatrici o piccoli di cinghiale, creava un chiasso assordante. A sinistra invece c’erano per lo più insetti e rettili che volendo o meno non potevano emettere più rumore di un semplice sibilo.

-Allora, cos’è questo baccano... E’ entrato un cane, forse?

Un uomo alto, con un gilet nocciola e la camicia azzurra a righe blu, in parte canuto, in parte calvo e con un paio d’occhiali poggiati sulla punta del naso apparve urlando dal retro della sua bottega.

-Allora? Smettetela! Sono solo clienti! Dannate bestiacce! Voi, volevate?

Probabilmente quella era il massimo della cortesia che sapeva esprimere. Ma a causa delle sue urla gli animali iniziarono ad urlare ancora più forte che ormai se non si gridava non si riusciva a sentire una singola parola.

-Cercavamo un qualche animale da poter portare ad Hogwarts! Questo ragazzo deve frequentare il primo anno e gli serve una bestiolina dalle dimensioni adatte! Cosa avete da poterci mostrare?

-Che domande, tutto!Scegliete, prendete, pagate e sparite! Devo occuparmi di queste bestiacce che continuano a sfondare i timpani, dannate pantegane! Brutti rospacci! Inutili moffette!

Ad ogni imprecazione seguiva una bastonata alla gabbia o alla vasca che conteneva tali animali, che non faceva altro che aizzarli ancor di più.

-Non capisco, non hanno mai fatto così, sanno che con me non si scherza e che farebbero meglio a tener la boccaccia chiusa quando impugno questo. Volete finirla o no?!

Sdeng! Sdeng!

Ancora bastonate.

-Diamo un’occhiata da soli, non riceveremo alcun aiuto mi sa... Guarda cosa potrebbe piacerti che sia delle dimensioni più o meno delle nostre mani, prendilo, pagalo e filiamocela di corsa da questo manicomio.

Ero molto interessato ai topi ballerini, appena entrato avevo posato gli occhi su di loro, infatti oltre ad essere della dimensione giusta, erano parecchio divertenti: saltavano sulla corda, facevano capriole e giravano su se stessi tenendo un nastro rosa tra i denti. Non so come diamine abbiano fatto ad ammaestrarli ma erano molto bravi e coordinati, ma ormai non stavano più esibendosi in nessuna performance. Come tutti gli altri animali infatti, soffiavano e squittivano nervosamente, come se fossero posseduti.

Bah, meglio guardare qualche rettile, non c’è il rischio che mi saltino addosso...

Erano tutti molto tranquilli, ma a parte un iguana a strisce rosse e arancioni, qualsiasi altro animale non lo conoscevo affatto. In alcuni c’erano i cartellini coi prezzi ed il nome della specie a cui appartenevano, altri invece erano semplicemente lì, buttati nel mucchio degli ingredienti per pozioni. Pensiero terrificante l’immaginarsi che venissero acquistati per esser tagliuzzati e messi in pentola, eppure era così. Volevo salvarne almeno uno da quel triste destino. Così li guardai negli occhi, cercando di capire chi fosse quello più consapevole della propria situazione ed evitargli ulteriore sofferenza e fu lì che mi accorsi di una cosa.

-Emanuele, credo che gli animali...

-Me ne sono accorto.

-Ma perché?

-Non ne ho idea...

-Ti era mai capitato prima d’ora?

-No, assolutamente no, possedevo perfino un cane quant’ero piccolo, non mi era mai successa una cosa del genere.

Infatti gli sguardi di tutti i rettili e gli anfibi erano rivolti su di me, se mi giravo a destra, continuavano a fissarmi spostando a loro volta la testa a destra, se facevo l’opposto, idem. Poi, chi poteva, stava irto sulle zampe anteriori in un atteggiamento di apprensione e tensione, come se di me avessero paura. Allontanandomi da quelle teche mi accorsi di un fatto ancor peggiore: anche gli altri animali mi fissavano, ma a differenza di quelli muti, questi ringhiavano e sbuffavano, mostravano i denti e gli artigli, minacciosissimi. Capii perfino che i topini s’erano fermati perché infastiditi dalla mia presenza e non a causa del loro padrone, ma il peggio era che gli animali che stavano fuori in esposizione entrarono nel negozio per intimorirmi a loro volta.

E’... E’ sicuro... ce l’hanno di sicuro con me...

-Ma dimmi un po’, non è che ce l’hanno con te, ragazzino? Che gli hai fatto?

Niente, io non gli ho fatto niente... E’ evidente che mi odiano, ma perché?

-Non preoccuparti, hanno fatto così probabilmente perché hai un odore diverso, come il mio, lo sento...

Una voce sinistra, fioca ma penetrante, sopraggiunse da dietro.

-Un odore diverso, come il tuo? Ma che stai dicendo?

Mi voltai, ma non c’era nessuno dietro di me, a parte ser Uppercut al mio fianco.

­-La verità, non mentirei mai, non ne sono capace...

-Dove sei? Fatti vedere!

-Sono qui, dinanzi a te, mi guardi ma non mi vedi, mi senti ma non mi credi...

Tutte queste frasi incomprensibili, chi diamine è? Mi prende in giro? Lo guardo ma non lo vedo... Quindi per non perderlo non devo spostare lo sguardo, perché è qui davanti, ma dove? Ci sono solo una salamandra e questo serpente qui sotto... Un attimo, il serpente...

-Mi hai trovato, finalmente!

Il serpente! E’ il serpente che sta parlando!

-Muthsera!

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Capitolo 10
*** Il Bacio del Dissennatore ***


-Cosa? Che hai detto?

-Dovresti saperlo meglio di me, non ho fatto altro che prenderlo dalle tue conoscenze. Vuol dire sia ‘Piacere di conoscerti’ che ‘Buongiorno signore’, o entrambe le cose. Strana domanda, la tua.

-Ti assicuro che non l’avevo mai sentito... Come si pronuncia?

-Muthsera, ma adesso basta, odio ripetermi. Io comunque l’ho preso da lì, dalla tua testa.

-Che vuoi dire dalla mia testa? Sai leggere il pensiero?

­-Ehm, Emanuele, cosa...

Il mio tutore era pallidissimo in volto, non ne capivo il motivo, forse neanche lui si aspettava che il serpente si mettesse a parlare.

-Ma ser Richard, questa razza di serpenti parla? O il Logos Comprehendi funziona pure sugli animali?

-Niente di tutto questo, sei tu che... Che...

-Il Diavolo! Il Maligno! Cosa avete portato qui dentro! Gli animali sono impazziti a causa vostra, a causa sua! Cosa vi è saltato in mente... L’antico male, il più pericoloso, andate via! Via!

Il negoziante tirò fuori dalla tasca la sua bacchetta magica e ce la puntò minacciosamente contro.

-Ce... Ce ne stiamo andando, ok? Per favore, abbassi la bacchetta, non vogliamo incidenti, ora usciamo e finirà tutto...

Ser Uppercut indietreggiava lentamente, la situazione era tesa, questo era chiaro ma... Perché?

-Finisce tutto un corno! Prendetevi quel demone e sparite, o io vi... vi...

Mi diressi cautamente verso la gabbietta che conteneva il serpente e mi sporsi per agguantarla, quando ser Richard mi ammonì:

-Non farlo! Usciamo al più presto da qui, vieni...

Una volta vicino l’uscio del negozio, ser Richard mi spinse violentemente buttandomi fuori e si sbrigò a seguirmi, chiudendo con tutte le sue forze l’ingresso dell’esercizio.

-Allontaniamoci, lì, dietro quel muro...

Come un pazzo si diresse verso la prima traversa che incontrò e successivamente si accasciò al muro. Io lo seguii con molta meno frenesia, dato che tutti ci stavano osservando ed il mio imbarazzo era alle stelle. Sembravamo quasi dei ladri con tutti quegli animali che ci ruggivano dietro.

-Miseriaccia, santa, santissima miseria... Cosa faccio? Non arriverà mai in tempo... Ma devo provarci...

Il mio tutore sembrava davvero uscito fuori di senno, estrasse dal taschino un taccuino con una pennetta legata con una cordicella dorata e si mise a scriverci furiosamente qualcosa. Poi ne strappò un foglio e lo lanciò in alto, dopodiché lo toccò con la punta della sua bacchetta, trasformandolo in un minuscolo aeroplanino di carta.

-Vai, vai, e fa’ presto! Ti prego!

Con un brusco movimento del polso, diede una spinta propellente a quel velivolo, facendogli raggiungere una velocità tale da farlo sparire dalla vista in meno di due secondi.

-Resta qua, adesso. E spera che non usi il telefono per chiamare qualcuno.

Ser Uppercut allungò il collo sporgendosi dallo spigolo per scrutare la situazione attorno al locale, vedendo tutto tranquillo, si avviò per osservare più da vicino.

Quella situazione era così assurda ed imprevista che mi spiazzò, non sapevo proprio cosa fare o pensare,  ma dentro di me sapevo che ne ero stato l’artefice, perciò mi sedetti su uno scalino ed aspettai che tutto passasse.

Dopo qualche minuto però una nube luccicante di fumo grigio si abbatté sul viale, puntando verso il mio tutore. A quel punto mi alzai per andare ad avvertirlo, ma era troppo tardi: un uomo alto, secco e con indosso una bianca maschera con un lunghissimo naso che gli copriva metà volto si stagliò accanto a ser Richard.

-Nel, per fortuna sei qui.

-Cosa c’è Charlie? Non ho mai visto una Comunicazione così frettolosa.

-E’ successo un guaio, non deve avvertire nessuno, o la cosa si complica, fai presto, è la dentro.

-Al Serraglio Stregato? Cosa ci fa un babbano da queste parti?

-Non è un babbano, è il proprietario.

-Cosa? No, Richard... Sai che per queste cose ci vuole una richiesta scritta ed approvata almeno da un membro del Wizengamot, non posso mica arrivare e cancellar la memoria a chiunque.

-Lo so, Nelson, lo so. Fallo per me, come favore personale. Quello che ha visto è... Insomma ne va della sicurezza di un bambino!

-Come un bambino? Che stai farneticando?

-Sst... Non parlare a voce alta! Vuoi peggiorare la situazione?

-Scusa, ma... Devo sapere. Non solo mi chiedi di trasgredire la legge, ma vuoi che lo faccia senza sapere il perché?

-Devi farlo, altrimenti non avrei chiesto il tuo aiuto. Dieci minuti basteranno, non di più: non è grave e nessuno verrà a saperlo.

-Se è solo per gli ultimi dieci minuti penso si possa fare, ma cosa devo fare esattamente?

-Nulla, cancellagli gli ultimi 10 minuti e basta, a dargli dei finti ricordi ci penserò io.

Senza dire una parola, l’uomo con la maschera entrò nel negozio tenendo bassa la bacchetta. Prima che chiudesse completamente la porta dietro di se, ser Richard lo ammonì:

-Stai attento. E’ spaventato e pericoloso.

A quel punto la mia curiosità ebbe la meglio e sporsi tutto il mio intero corpo fuori da quello spigolo di fabbricato, non solo la testa, tant’è che il mio tutore mi notò.

-Vieni pure, ma fai piano.

Sembrava molto più sereno, quindi accettai di buon grado l’invito. Da dentro il locale provenivano due voci, una calma e pacata, l’altra agitata ed aggressiva.

-E adesso chi sei tu? Cosa vuoi da me? Prima quel bambino e adesso un Mangiamorte? Cosa volete da me? Avanti, rispondi!

-Calma, le assicuro che non sono qui per farle del male, abbassi la bacchetta e non succederà...

-Certo che l’abbasso, così mi fate fuori. Canaglie!

-Oblivion!

Una luce bianca invase la stanza e fuoriuscì dalle fessure delle persiane, poi il silenzio.

-L’ha, l’ha ammazzato?

Ero stato davvero il testimone di un omicidio? Ed il mio tutore ne era il mandante?

-No, che c’entra, gli ha solamente cancellato la memoria. Ah, eccolo che esce.

-Non so, Charlie. Non è stato piacevole, sembravo io il cattivo.

-Hai fatto una cosa giusta. Per entrambi. E per lui, Emanuele.

-E’ lui il bambino? Non so cosa tu abbia combinato, visto o sentito, ma il tipo era spaventato a morte. Avete cinque minuti da adesso, io mi defilo, nessuno deve sapere che ero qua questo pomeriggio.

-Grazie, grazie mille. Andiamo Emanuele.

-Ah, Charlie, il volto.

E sparì esattamente come era apparso poco prima: trascinato da una nube di fumo sprizzante lampi luminosi.

Deve essere così che appare una Smaterializzazione dall’esterno... Sono davvero diventato del fumo l’altra volta?

-Uhm, no. Facciamo una cosa: tu resta qui fuori, meno gente vede mentre è in questo stato meglio è. In più se ti avvicini troppo gli animali ricominceranno ad agitarsi e rischieremmo di svegliarlo dal suo torpore. Ora devo trovare qualcosa che mi copri la faccia... Ah, ecco lì: un bel volantino di Sirius Black. Grazie ricercato, a qualcosa di utile sei servito per lo meno.

Avvolse il manifesto intorno al volto, nascondendo sia i suoi lineamenti che quelli del famigerato pluriomicida.

-Hai visto il mio amico poco fa, no? Indossava una maschera particolare che soltanto gli Obliviatori indossano. Questo perché non vogliono che le persone a cui cancelleranno la memoria possano avere in qualche modo legami mentali con il volto di chi gli ha eseguito la Rimozione. Per questo mi sto avvolgendo ora con un foglio di carta, per non farmi vedere in viso. La mente umana è troppo complessa per cui non possiamo avere la presunzione di riuscire a manipolarla perfettamente: basterebbe che un giorno, anche lontanissimo, vedesse per caso il nostro volto e gli ritornerebbe tutto alla memoria, ritornando al punto di partenza. Non dobbiamo correre questo rischio. Perciò, non ti muovere e resta qua.

Ser Uppercut entrò nel locale lasciando la porta aperta a metà, in modo che io né vedessi e né venissi visto, ma che potessi ascoltare ogni singola parola.

-Stavi dando da mangiare al tuo pavone nel retrobottega, quando alcuni animali iniziarono a strillare. Accorri per capirne il motivo e vedi una grassa signora che senza dare troppe informazioni ti spiega che voleva acquistare quel serpente laggiù, probabilmente per una pozione anti rughe, visto che aveva una pelle abbastanza liscia nonostante l’età. Non hai fatto domande, le hai consegnato l’animale e sei ritornato dal tuo pavone che nel frattempo s’era mangiato tutto il becchime. Solo dopo ti sei accorto che la signora non ha pagato e ti arrabbi parecchio, iniziando a dare colpi al banco, facendo cadere il telefono. Questo è quanto. Inoltre, anche se fra qualche giorno probabilmente ritornerai quello di sempre, farai di tutto per cambiare di carattere: non sbraiterai più contro i clienti e soprattutto non picchierai più la tua merce.

-Sì...

Non riuscivo a vedere il volto del commerciante, ma la sua voce sembrava tutt’altro che sicura, probabilmente era ancora in trance.

Ser Richard prese il serpente e filò via il più in fretta possibile.

-Bene, cosa ne facciamo di questo?

Il serpente era accasciato sull’unico tronco presente in quella gabbietta, annoiato nonostante ciò che successe fino ad un attimo prima.

-Ce lo teniamo! Quanto mai ci ricapita un serpente che sa parlare? E poi se non lo salviamo, finisce di sicuro in qualche pentolone...

-Non se ne discute. Per il momento lo portiamo via da qui, abbiamo attirato già troppo l’attenzione. Una volta alla locanda decideremo sul da farsi e soprattutto mi prenderò una camomilla.

 

Appena rientrati al Paiolo Magico, Tom quasi ci assalì, il che non aiutò di certo i nervi del povero Ser Richard.

-Vi aspettavo per pranzo, mi sono preoccupato nel non vedervi arrivare... Oh, ecco perché: avete anche fatto spese, vedo.

-Sì. E’ stata una giornata molto intensa e siamo stanchi. Abbiamo pranzato con un gelato di Florian, ci dispiace non aver avvertito per tempo.

-Ma figuratevi, ovviamente capisco. La vostra stanza è pronta e pulita, potete salire a rinfrescarvi che fra poco si cena.

-Grazie, ma preferiamo mantenerci leggeri questa sera, un po’ di thé per il ragazzo e camomilla per me con qualche biscotto ci farebbe senza alcun dubbio piacere, giusto per rilassare un po’ i nervi. E se potreste portarceli in camera sarebbe ancora meglio.

-Come desiderate. Però desidero avvertirvi che da oggi gli animali domestici non sono più liberi di scorazzare dove vogliono, ho ricevuto parecchie lamentele per il caos degli ultimi giorni e sono costretto a chiedervi di mantenere il vostro roditore all’interno della sua gabbietta.

Roditore? Ma dico, è cieco?

Ci vedeva benissimo, invece. Non so come né quando, ma il serpente s’era tramutato in una specie di pantegana irrequieta.

-Certamente. In realtà non era nostra intenzione tenerlo qui, l’avrei riportato con me.

-No!

-Si! Ora ci scusi, ma abbiamo molto di cui discutere...

 

Clack!

Ser Uppercut chiuse ermeticamente la porta.

-Bene, i vestiti li metto qui, sopra l’armadio... Il serpente. Finite!

Il ratto che stava per divorare le barre della sua gabbia da quanto era nervoso, riassunse sembianze ofidiche.

-Dì al tuo amico di non farlo mai più...

Decisi di ignorarlo, perché avevo ben altra urgenza.

-Perché non posso tenerlo!

-Non sono ammessi serpenti ad Hogwarts!

-Ma tu stesso hai detto che si possono scegliere anche altri animali!

-Ma non... Parliamo a bassa voce... Non rientra nelle dimensioni adatte, è troppo grosso. E probabilmente crescerà sempre di più.

-Mi insegni quella magia per renderlo un topo! Risolto il problema!

-Non si è risolto niente, invece... Continuerà a rimanere un serpente, mangerà come un serpente, vivrà come un serpente, che ne sai tu di come si nutrono?

-Lo leggerò da qualche parte e poi... Me lo dirà lui stesso, parla!

-Ecco, è quello il motivo principale, tu non puoi parlarci; è... E’ malvisto, ecco com’è. Non ti è bastata la scena di prima? Immaginati se ogni persona del mondo reagisca così. Avresti bisogno di un esercito di Obliviatori al tuo fianco. No, non se ne discute... E’ rischioso e malvagio.

Malvagio?

-Starei attento a non farmi scoprire anche se non capisco cosa ci sia di male in un serpente parlante. E’ pericoloso?

-Non è tanto il serpente. Lui non parla... Solo tu lo senti. E’ questo il problema.

-Cioè tu non riesci a capire le sue parole?

-Certo che no, sibila! Sta sibilando pure adesso, che sta dicendo?

-Non fatelo più... Digli che mi brucia tutto...

-Niente, si sta solo lamentando.

Ser Uppercut si sedette.

-Va bene, senti, ti dico tutto quello che so... Che non è molto, ma comunque riuscirà a darti l’idea del perché la gente associa i rettilofoni al male. No, non interrompermi, i rettilofoni sono coloro che riescono a parlare coi serpenti, come te, appunto. Quindi sì, sei un rettilofono, a quanto sembra. Per quanto assurdo possa sembrare... E’ così!

Nel pronunciare quelle ultime parole ser Richard era letteralmente scattato dalla sedia, per poi risedersi una volta distesi i nervi.

-Non credere che abbia pregiudizi o cose del genere... E’ inquietante, sì, ma anche affascinante. E’ proprio questo che mi preoccupa, se la cosa mi scappasse con qualcuno ti rovinerei la vita.

Pregiudizi? Inquietante? Rovinarmi la vita? Quant’è che sputa il rospo ed inizia a dire cose sensate?

-Tagliamola corta: parlare la lingua dei serpenti, il serpentese, è male. E’ così da millenni, alla base di tale convinzione credo ci sia la superstizione, ma fra i maghi cui è stata comprovata questa abilità non ce n’è fu uno che si fosse comportato bene. O che almeno non avesse tentato di sterminare  la sua gente: Salazar Serpeverde, il Mastino di Baskerville, il Barbiere di Fleet Street, Gellert Grindelwald e perfino Colui Che Non Deve Essere Nominato... Tutta gente folle, assassina del proprio sangue, fautori di morte e distruzione.

Tutti quei nomi effettivamente erano uno più terribile dell’altro, già il solo nominarli sembrava scuotere ser Richard nel profondo.

-Potrebbe anche essere esistito qualche rettilofono che non si sia macchiato di crimini orrendi, ma capirai che la gente ricorda molto più facilmente un assassino che un menestrello. Si dice che anche Beda il Bardo fosse un rettilofono e che scrivesse le sue fiabe ispirato dai sussurri delle serpi, ma anche se ciò corrispondesse al vero, non cambierebbe di certo l’opinione che la gente ha per questo tipo di capacità. No, la cosa non deve saltar fuori per nessuna ragione. Informeremo solamente il preside che è molto discreto e potrebbe aiutarci se qualcosa dovesse trapelare, ma al di fuori di lui, nessuno. Non devi nemmeno dirlo ai tuoi genitori, se la posta venisse controllata sarebbe un guaio. Capisci la gravità della situazione? So che non sarà affatto facile tenere per sé questo segreto ma dovrai farlo... Non c’è altra soluzione.

Finito il monologo, si passò le mani fra i capelli, scombinando l’impeccabile capigliatura: era la prima volta che lo vedevo veramente disperato. Capii che sarebbe stato meglio così, come diceva lui, ma non potevo fare a meno di chiedergli del futuro dell’animale:

-Cosa ne sarà di lui, allora?

-Non lo so, per oggi lo porto da me, ma già domani gli cercherò una nuova collocazione. Tranquillo mi accerterò che non venga usato per qualche brodo o pozione, d’altronde questa storia non è né colpa tua, né tantomeno sua. Non voglio far soffrire nessuno dei due.

Mi sembrava un buon compromesso alla fin fine.

-Avete finito di discutere? Dimenticate una cosa importante: se io me ne andassi, tu rimarresti senza animale...

-Già! E’ vero!

Il mio tutore mi guardò incuriosito, non capendo il nesso delle mie parole col suo discorso.

Ops! Solo io capisco il serpente...

-Stavo riflettendo... Senza di lui non avrei un animale per Hogwarts!

-Lo prenderemo successivamente, non preoccuparti.

-E se gli animali reagissero nuovamente come oggi?

-Effettivamente... Potrebbero perfino risvegliare i ricordi modificati con tanta fatica... Ti farò arrivare un rospo o un corvo da Brentford, non dobbiamo per forza prenderli a Diagon Alley.

-So cosa pensa, non funzionerebbe, una volta vicino a te qualsiasi animale si agiterebbe in tal modo. La causa è il tuo odore...

Ancora con questa storia dell’odore...

-Ti sta sussurrando cose, non è vero? Non dargli ascolto, è meglio se lo ignori.

-Però sta dicendo la verità. Il problema sono io, non le bestie. Dice che puzzo di serpente.

-Che assurdità, non odori assolutamente di serpente; per Diana, nemmeno so che odore abbia un serpente!

-Emani lo stesso odore del pericolo, di un agguato, di morte... Non voglio allarmarti, ma i miei sensi sono molto più sviluppati dei vostri, non che ci voglia molto, e così anche quelli di tutti gli altri esseri viventi; so cosa dico.

Non potendo rispondergli nella sua lingua, né tantomeno dire a ser Richard l’orribile verità che avevo appena udito, fui costretto ad inventarmi una scusa.

-In ogni caso è vero, fin da bambino tutti gli animali mi ringhiavano contro, non potevo nemmeno uscire in luoghi frequentati da cani o avvicinarmi troppo alle gabbie dello zoo, mi si aizzavano sempre contro. Qualcosa dovrà pur significare...

In realtà era tutto falso: sono sempre stato in contatto con gli animali, in casa eravamo pieni di canarini e di altri volatili e da piccolo avevo perfino un pastore tedesco, almeno fin quando non decise di scappare con un’altra cagnolina senza più tornare. Però fu l’unica cosa che mi venne in mente per non rischiare di perdere il saccente rettile.

-Dici davvero? Non... Non credi tu possa trovare ciò che possa fare al caso tuo?

Abbassai la testa in segno di negazione.

-Anche questa ci voleva...

-Però potrei imparare quella magia...

-Insisti con questa faccenda? Dimmi un po’, non è che ti suggerisce lui cosa dire?

-No, no... Mi ha solamente riferito il fatto del mio odore particolare e... Che odia venir trasformato in ratto.

-Figuriamoci.

Mi sentivo a disagio, sapevo che non stava attaccando direttamente me bensì il rettile, ma non l’avevo mai visto così diffidente nei miei confronti.

-D’altronde se le cose stanno così, siamo davvero costretti a questa soluzione. Però prima fammi parlare con lui. Cos’è che vuoi da noi? E da questo ragazzo in particolare?

Il serpente ci guardava con aria assente, come se non capisse cosa ser Richard gli stesse chiedendo.

-Perché non risponde? Non ti dice nulla, vero? E’ pericoloso... Ecco cos’è: un falso. Ma guarda un po’, che strana scoperta!

-Forse qui dimenticate che io sono un serpente e non comprendo il vostro chiassoso linguaggio... Se magari la smettesse di urlare e girare in tondo come in preda alla follia e ti chiedesse di tradurre, probabilmente saprei rispondergli...

Era buffo che l’essere che si stava dimostrando più lucido in quella situazione era quello con il cervello più piccolo, ma anche preoccupante.

D’un tratto ser Richard sembrò capire il problema e mi indicò col braccio il serpente.

-Posso...?

-Su, dai, traduci!

Continuando a fissare il mio tutore, rivolsi al serpente ciò che mi venne riferito.

-Ci chiediamo: perché ti interessa restare con me?

-Emanuele, stai parlando in inglese.

-Scusa, è che non so proprio come si faccia a...

-Prova a fissare il serpente invece che me, magari così viene spontaneo.

Facendo come mi suggerì ser Uppercut effettivamente riuscì a parlare in quella strana lingua:

-Perché ti stai dando tanto da fare per convincere ser Richard a tenerti con me? Anche io sono dubbioso sui tuoi effettivi intenti...

Ero preoccupato che il mio tutore potesse giudicarmi male nel sentirmi parlare il serpentese, ma mi face segno che era tutto apposto, evidentemente s’era preparato psicologicamente a ciò che avrebbe sentito.

-Ecco, ora va meglio. Non spero voi capiate esattamente cosa io provi, ma ci proverò. Innanzitutto gratitudine, non solo perché se fossi rimasto lì in pochi giorni sarei finito in una marmitta, ma soprattutto per il dono che mi avete dato. Prima era come se dormissi, in uno stato di eterno torpore, appena siete entrati nella bottega però, divenni per così dire, lucido. Non mi muovevo più per istinto o per reazione, finalmente ragionavo, avevo una coscienza, ho una coscienza. Ma so anche che non è la mia, ma la tua; se ti dovessi allontanare da me, sono sicuro che riperderei questa capacità e tornerei schiavo dei miei istinti. Voi umani non sapete la fortuna che avete possedendo una coscienza ed una volontà. Non voglio perdere tutto questo, voglio rimanere con te, vivere la mia vita, condividere ciò che impareremo insieme, per me tutto questo è nuovo e meraviglioso; se volete togliermi questa opportunità piuttosto uccidetemi.

A quelle parole mi salì un terribile nodo alla gola, come avrei fatto a spiegare tutto a ser Richard? Non ci avrebbe mai creduto...

-Ma stai piangendo?

Era vero: avevo gli occhi umidi, non so bene il perché, mi risultava difficile credere di essermi commosso per così poco, ma eravamo come in sintonia, il suo dolore lo sentivo anch’io, forse se avesse avuto delle ghiandole lacrimali, avrebbe voluto piangere anche lui. Era uno stranissimo fenomeno empatico.

-No, io non... Mi sarò sforzato la vista nel concentrarmi su ciò che mi sussurrasse, però non sto...

-Va bene, ho capito. E’ importante per te. Non dobbiamo fermarci ai pregiudizi e alle apparenze. Anch’io da piccolo avrei voluto un animale con cui parlare in privato, magari proprio in una lingua che solo noi avremmo capito. Cosa cambia se si tratta di un serpente? Non è forse un animale come tutti gli altri? Forse no, del resto, nessun altro animale riesce ad entrare in simbiosi con l’uomo come fa un serpente, ma che importa saperlo, cambierebbe qualcosa? Cambierebbe la realtà dei fatti? Sicuramente no. Sai, è da quando ho visto che riesci a lanciare incantesimi senza alcuna difficoltà nonostante l’assenza della bacchetta che ho capito che eri speciale. E ogni giorno che passa, mi riservi sempre più sorprese, e non siamo che all’inizio. Credo che tu fossi destinato ad incontrare questo serpente, che tu fossi destinato a tutto ciò già da prima che io venissi a visitarti in casa.

Ora era ser Richard quello che mostrava i segni di commozione: ci doveva essere davvero qualche granello di polvere che faceva il monello.

-Sai, ho deciso di intraprendere questo lavoro proprio per rendermi utile a chi ne aveva davvero bisogno. Non è da tanto che ho iniziato, perciò non ho ancora potuto vedere i frutti del mio impegno, dopo tutto il mio studente più grande va ancora al quarto anno; però guardandoti so per certo che hai un grande potenziale, non ho la necessità di vederti fra dieci o vent’anni per capire che sei destinato a grandi cose, lo intuisco già da ora. Perciò io ti appoggerò e ti aiuterò in ogni avversità sperando tu non mi deluda mai: ho grandi aspettative in te, sappilo.

Accidenti, solo per esser riuscito a parlare con un rettile, mi fa carico di questa responsabilità?

-Dicevi che non sopporta trasformarsi in un altro animale: che altre opzioni abbiamo?

-Gli chiedo se c’è qualche motivo particolare perché non sopporta prendere le sembianze di un roditore?

-Si, fai pure, e fagli capire che serve anche un po’ di spirito di adattamento nella vita.

-Scusa, perché non vuoi che ti trasformiamo in un altro animale? E’ l’unico modo che ho per portarti ad Hogwarts...

-Non è che la cosa mi dia fastidio, è che è doloroso. I mammiferi hanno il sangue troppo caldo, soffro terribilmente, è brutto quando bruci dall’interno.

-Ah, ser Richard, dice che il problema sta nella temperatura del sangue. E’ troppo elevata per i suoi gusti.

-Ma certo, la maggior parte dei rettili sono animali a sangue freddo, chissà perché non ci ho pensato. Avrà patito l’inferno, poveretto. Proviamo così allora. Trifors!

Grazie a quell’ennesimo incantesimo il serpente si trasformò... in una grassa lucertola!

-Wow, cos’è?

-E’ un tritone, perfetto per il nostro scopo: sangue freddo, nessuno si sognerebbe di toccarlo e per via della sua necessità di restare in acqua, lasciarlo nella sua gabbia per la maggior parte del tempo non desterebbe sospetti. Inoltre è molto più largo in vita della sua forma rettile, quindi possiamo prendere una gabbia più larga in modo tale che di notte possa uscire e rientrare nel suo alloggio senza problemi, per procacciarsi il cibo.

-Intendi dire forse che dovrei lasciarlo libero di scorazzare in lungo e in largo? Non è pericoloso?

-Se riesci a capire come non farvi scoprire dagli umani, allora non correrete alcun pericolo. In caso contrario... Beh, dubito lo lascino scappar via. Purtroppo è l’unica soluzione: i serpenti sono esclusivamente carnivori, non puoi dargli topi o ragni davanti a tutti. Dovrà cavarsela da solo, anche se sono convito che Hogwarts pulluli di prede ben pasciute. Non resta altro che insegnarti l’incantesimo che, sebbene sia facilitato dal fatto che il nostro obiettivo è un animale dalle caratteristiche simili al risultato finale, rimane pur sempre abbastanza ostico, anche perché non sono certo un insegnante di Trasfigurazione. Ma ne parleremo domani...

Era incredibile come in così poco tempo avesse già trovato la perfetta soluzione al nostro problema, pensando proprio a tutto.

 

-Ho in mano l’elenco dei testi consigliati per il primo anno e, a parte alcuni di cui sei già in possesso, li troverai certamente tutti qui, al Ghirigoro. E’ la migliore libreria di Diagon Alley, poco ma sicuro, già dalla vetrina potrai accorgerti del grande assortimento di testi presenti. Permesso!

Il locale appariva fin da subito mastodontico: non c’era uno scaffale che non fosse stipato di centinaia di libri e che non toccasse il soffitto, che di suo era altissimo poiché la libreria era suddivisa in due piani e come se non bastasse alcuni libri, probabilmente le novità o quelli in offerta speciale, erano accasciati al suolo occupando pure gran parte dello spazio calpestabile. Ciò che più colpiva però non era l’estensione del negozio, ma le piccole ma grandi assurdità che permeavano l’ambiente.

I libri innanzitutto: cuoio, seta e stoffa erano solo alcuni dei materiali utilizzati per le rilegature dei miliardi di tomi presenti, e di certo i più sobri; marmo, pelo e, incredibile ma vero, acqua velata, quelli più originali. Variavano anche in forme e composizione, alcuni erano di forma trapezoidale e si aprivano dall’alto, altri invece erano piccoli come taccuini ma spessi come elenchi telefonici, altri addirittura si auto sfogliavano e rimescolavano in maniera casuale le proprie pagine... Del resto il libro in questione si intitolava La Teoria del Caos e le sue Applicazioni. I romanzi erano quelli più divertenti da guardare comunque: la maggior parte di essi avevano la copertina animata che rappresentavano il più delle volte scene rappresentative della storia presente in essi o, nel caso di autori già affermati, fotografie autografate che li ritraevano nelle pose più intellettuali. Mi sembrò pure di riconoscere il volto del paziente un po’ matto del San Mungo tra i volumi del 2x3.

Però tutta quella confusione mentale che pervadeva chiunque mettesse piede lì dentro, spariva lentamente una volta capito il reale intento degli scaffalasti. All’incirca a mezza altezza di ogni scaffale era scritta la categoria in cui rientravano tutti i testi presenti in quella data sezione, evidenziata anche in alcune freccette rosse o blu volanti nel caso di incroci tra le file di mobili; inoltre se il reparto si chiamava ad esempio Leggende ed Epiteti, riuscivi a sentirti davvero perso in quel labirinto colorato formatosi dalla disposizione tutt’altro che lineare degli scomparti, od in Oceani ed Acque Lacustri ti immergevi tra le pareti blu e cerulee che via via diventavano sempre più scure e claustrofobiche.

-Primo anno, dico bene?

-Sì signorina, ma non ci servono tutti i testi, alcuni li abbiamo già.

-Ottimo, li abbiamo posizionati qui, a destra del banco, così potete scegliere quelli che volete... I libri contrassegnati da un talloncino giallo sono disponibili anche usati, praticamente tutti, ovviamente. Se avete bisogno, comunque, chiedete pure.

-Ah, grazie mille. Faremo sicuramente così.

Ser Richard iniziò a setacciare le pile di libri disposti in ordine di anno scolastico, cercando quelli che facevano al caso nostro.

-Tieni l’elenco, cerca i primi tre libri della lista, gli altri li cerco io.

I libri erano Infusi e Pozioni Magiche, Manuale degli Incantesimi - Volume Primo e Storia della Magia, guarda caso tutti e tre abbastanza vicini fra loro e disponibili anche usati. I prezzi non erano elevatissimi, ma neanche economici, se gli usati non fossero stati in condizione pietose, probabilmente li avrei preferiti ai nuovi.

-Vuoi vederne i relativi usati, vero?

-Sì, ma solo se non sono troppo rovinati o sottolineati, gli appunti a margine mi vanno bene, ma odio le sottolineature.

-Ma tu guarda, anch’io sono dello stesso parere, creano troppa confusione all’interno di un testo per poterci capire qualcosa. Sì, questi tre fanno al caso tuo, praticamente nuovi ma a metà prezzo. Solo il libro di Incantesimi ha la terza di copertina con uno scarabocchio, ma roba di poco conto. Ti mostro anche gli usati dei libri che sta prendendo anche il signore?

-Sì, se sono nelle stesse condizioni.

Ero proprio soddisfatto, i maghi a quanto pare tenevano ai propri libri e non li sgualcivano in alcun modo, o forse era la gente comune a cui ero abituato ad esser poco civile nei riguardi del materiale scolastico. Presi solamente due testi nuovi, uno perché l’usato non era disponibile poiché già prenotato da un altro studente e l’altro perché di nuova edizione; spesa totale: 7 galeoni e 3 falci, un affarone.

-Scusi signorina, è stata gentilissima, ma il libro di Trasfigurazione consigliato dal Ministero è un po’ troppo misero, ne ho sfogliato l’indice e non arriva nemmeno agli Intenti Viventi.

-Ha ragione, ma non si preoccupi, è prevista la seconda parte per il secondo e terzo anno. Per questo il prezzo è così ridotto, ha la metà dei contenuti.

-Non c’è una versione più completa, che la prendiamo adesso anche per gli anni successivi? Quando andai a scuola io utilizzavamo il Trasfigurare: come, quando e perché, mi sembrava un buon libro.

-Se vuole il mio parere quest’ultima edizione sebbene divisa in due metà offre migliore esposizione e ha molti più incantesimi a parità di argomenti. Al massimo le posso dare il secondo tomo del volume.

-Sicura che non ha il libro che le ho detto poco fa? Sa, per esperienza personale...

-Senta, il libraio qui è lei o io? Conosco alla perfezione ogni libro di questo negozio, non faccio che leggerli ad ogni nuova edizione, anche se i cambiamenti sono minimi, e se le dico che questo volume è migliore di quello che raccomanda lei, allora è come dico io. Se proprio vuole un libro che contiene in un unico tomo tutti gli anni di Trasfigurazione, allora prenda la vecchia edizione del classico Trasfigurazioni ed Evocazioni, che il ministero ha deciso di cambiare non perché superato, ma bensì perché era in commercio da troppo tempo e aveva fatto ristagnare il mercato. Eccolo qui!

Tonf! Un libro pesante almeno sette libbre e bianco come il volto del mio tutore fece la sua polverosa apparizione sul banco della libraia.

-Per inciso, non mi si venga detto che consiglio libri diversi solo perché non posseggo quelli che mi vengono richiesti, il suo bellissimo libro ce l’ho ed è qui...

Tonf!

-...Ma non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, perciò mi dica lei quale sceglie per il suo ragazzo e finiamola qui.

-Ci... Ci mancherebbe altro, ha dimostrato di saperne molto più di me sull’argomento, non che ne dubitassi, quindi...

-Bene, se mi ridate il libro che non volete per questo faccio la differenza e... 6 falci e 12 zellini.

Senza neanche guardare il portamonete il mio tutore sganciò le monete e si preparò ad uscire il più presto possibile.

-Grazie mille e arrivederci.

-Buona giornata anche a voi!

Funereo in volto, ser Uppercut mormorò qualcosa simile ad un torniamo in stanza e si avviò in direzione Paiolo Magico.

Che figuraccia, mamma mia...

 

-Beh, per prima cosa prendi quel libro che ci è stato caldamente consigliato, quello intitolato Trasfigurazioni ed Evocazioni e andiamo al capitolo... Non so il numero esatto, comunque quello che parla di Trasfigurazioni di animali in altri organismi complessi viventi e leggi ciò che dice, sarà all’incirca il ventesimo, se ha un minimo di modularità.

Oh no, partiamo di nuovo dai concetti primitivi...

 

L’emporio del gufo si presentava ottimamente dall’esterno: era un po’ cupo ovviamente, dato che ospitava bestie notturne, ma tutto stava al suo posto, niente scatole, casse e gabbie gettate alla rinfusa come nel Serraglio Stregato, ma, soprattutto, le gabbie e le voliere erano tutte pulite e gli animali mostravano vero benessere. Un giudizio sull’interno, beh, non mi è dato concederlo, dato che appena mi avvicinai di qualche passo, tutti i rapaci iniziarono ad agitarsi furiosamente; il loro rilassante tubare si trasformò in men che non si dica in un urlo corale. L’uccello che posava libero sul trespolo iniziò a volteggiare sulle nostre teste, minacciando di beccarci al minimo passo falso. Tanto disordine allertò l’anziana proprietaria che arrivò di corsa per sedare i suoi pargoli.

-Beh, ci abbiamo provato... Ma un gufo dobbiamo comunque prenderlo, ti servirà. Se non a te ai tuoi genitori intendo... Dovranno pur avere un mezzo per spedirti la corrispondenza. Facciamo così, tu ne scegli uno adesso, a debita distanza, e poi io lo acquisterò in tutta calma e lo porterò personalmente alla tua famiglia spiegandogli come utilizzarlo per inviarti lettere, pacchi e qualsivoglia cosa gli serva per tenersi in contatto con te, perciò su, scegli.

Scelta non facile: erano tutti molto esotici e con piumaggi eleganti, occhi scintillanti e creste perfettamente ritte o incurvate, a seconda della specie; senza parlare del fatto che non ero informato delle caratteristiche che li contraddistinguessero.

-Sono tutti molto belli, è dura scegliere.

-Hai ragione, se ti aiuta a prendere una decisione io da piccolo presi un Assiolo perché sono molto agili ed affidabili.

-E quale sarebbe?

-Qui fuori non mi sembra di vederne, ma è simile a questo Gufo dagli Occhiali, solo un po’ meno colorato e più longilineo, insomma, è un gufo da corsa praticamente.

-E’ troppo anonimo però, soprattutto se dici che ha un colorito ancora più uniforme, che ne dici di questo? E’ simpaticissimo...

-Sì, è caruccio, ma ci faresti ben poco, gli Allocchi Nani non sono fatti per le lunghe traversate, e poi un colpo di vento lo spazzerebbe via.

-Oddio, quello è inquietante, è un Barbagianni, vero? Avevo una sua figurina da piccolo, ma non è minimamente paragonabile al vederlo dal vivo.

-Lo conosci? Sì, è un Barbagianni Scozzese, lo prendiamo? E’ uno dei migliori, è sia agile che resistente, perfetto per le lunghe traversate e, data la distanza che separa Hogwarts da casa tua, non hai poi molta scelta...

-Si, ma lui terrorizzerebbe mia madre, anzi credo che la terrorizzerebbero tutti, perciò scegliamone uno meno minaccioso possibile. Sono indeciso tra questi due...

-Perfetto, il primo è una Civetta delle Nevi, capirai che le temperature mediterranee la ucciderebbero e non va bene, mentre l’altro è niente meno che un Gufo Reale, come dice il nome stesso, il sovrano degli strigiformi, è perfetto per il tuo caso: possente, resistente ed affidabile, sarà un po’ lento certo, ma su di lui potrai contare. Il problema è il prezzo, credo sia uno dei più cari, specie se giovane. Ma contratterò, la signora Eeylop mi conosce da molti anni. Anche questa è fatta allora, prossima tappa: calderone ed alambicchi!

Peccato, mi sarebbe piaciuto entrare...

 

-Dice che praticamente devo tenere ben in mente tre cose: la fisio-biologia dell’animale d’origine, la fisio-biologia dell’animale obiettivo e la TIV, la Trasposizione degli Intenti Viventi, qualsiasi cosa essa significhi.

-E qui ti volevo, cerca il capitolo che tratta di TIV e TII.

La cosa andrà per le lunghe...

 

Negozio di Calderoni e Robivecchi non erano certo nomi molto originali, ma per lo meno mi evitarono l’enorme sforzo di capire cosa vendessero al loro interno, soprattutto il primo, pieno di stoviglie e mensole pensili buttate nei pressi dell’entrata.

-E’ permesso? Scusate, largo, sì, scusi, no, è impolverato, signore... Signore, permesso... Lo sta facendo a posta credo, le ho detto che la polvere ci sta sommergendo, aspetti che passiamo... E’ proprio sordo...

L’ambiente di suo non era piccolissimo, ma tutte quelle dannate pentole gettate alla rinfusa sul pavimento in doppie e triple file, creava dei minuscoli corridoi dove al massimo poteva passare una persona alla volta, e se, come in questo caso, qualcuno iniziava ad armeggiare con le polverosissime marmitte poste più in alto, oltre al passaggio dimezzato, si creava una poco salutare cascata di pulviscolo che si infrangeva sulle nostre teste.

-Presto, presto, allontaniamoci.

-Scusate il signor Potridge, è un po’ avanzato d’età e non ci sente quasi più, in compenso è uno dei miei miglior clienti e posso certamente affermare che conosce ogni uso possibile per ognuna delle pentole del mio negozio... Ma voi siete qui per un calderone in peltro misura 2, no? E perché siete entrati, li ho messi in bella mostra all’ingresso, inserite 21 Falci nel calderone delle offerte e potrete prenderlo, assieme ad un utilissimo becco Bunsen dal valore di 15 Falci, insomma, regalato!

-E se noi volessimo solamente il calderone?

-Allora sono 17 pezzi, ma quello mio è un prezzaccio, è uno spreco non approfittarne.

-Non ne dubitiamo, è che siamo già ristretti col budget e non possiamo permetterci spese extra, ed un fornello, per uno studente che utilizzerà quelli della scuola, lo è.

-Certo, certo, ma ora, se permettete, vado ad occuparmi del signor Potridge che temo si stia facendo rovinare addosso l’intera partita di marmitte. Ah, come vi ho detto, appena uscite, alla vostra destra, qualsiasi pezzo va bene, a sinistra invece, sotto il mio pappagallo Arthur troverete il calderone delle offerte.

E così dicendo sgattaiolò verso il suo miglior cliente, che nel frattempo gli stava anche procurando il miglior incidente, cercando di tirar fuori proprio la marmitta che faceva da appoggio ad un’intera batteria.

Anche noi ci dirigemmo verso l’uscita, lasciando soli vecchietto e commerciante.

-Faremo così allora. Arrivederci!

-Sì, si, arrivederci a voi! No, signor Potridge, non quella, è pericoloso... Signor... Signor Potridge, no! Questa è uguale, no?

-Ma io voglio quella! Non questa! Quella è più piccola delle altre di tre quarti di pollice non vede? Voglio quella, non se ne discute!

Ser Uppercut chiuse la porta e gettò 17 monete sul calderone adibito a cassa, sentendosi offrire dal pappagallo, intento a pulizie domestiche:

-Sicuri di non volere il set completo calderone-fornello a gas? Ideale per la scuola!

-Ehm, no grazie, prendiamo solo il calderone, il fornello lo abbiamo già.

-Allora a posto così, grazie e arrivederci!

E dopo aver finito il discorso, tornò a beccarsi l’ala: certe cose riuscivano a stupirmi anche dopo averne viste di tutti i tipi.

Il Robivecchi invece, nonostante l’aspetto un po’ trasandato, era ben strutturato, oserei dire modulato. C’era una specie di logica comune tra gli oggetti esposti negli scaffali dell’esposizione, o almeno così traspariva, ad esempio, se si partiva dal trita pepe, si passava ad un porta saliere in argento, ad un porta tovaglioli in ottone, ad un taglia carta in acciaio, ad un’antica stampa risalente al XIII secolo, ad un set di caratteri in avorio per macchina da scrivere... Così via fino ad arrivare, tramite chissà quale filo conduttore, ad un ciuccio decorato in raso appartenuto, secondo il talloncino, nientemeno che dal principe Federico, erede di re Giorgio II.

-Set di numero sei provette, numero due alambicchi e numero uno base per appoggio per ognuno, serve altro?

-Si, ci sono questi due...

-Numero uno bilancia in ottone e numero uno telescopio portatile... 4 Galeoni, 11 Falci e 23 Zellini prego.

-Ecco a lei.

-A voi, buona giornata...

Una volta fuori, ser Richard tirando un sospiro di sollievo mi confidò:

-Deprimente, eh? Sembrava un automa, come mai non ci ha augurato una numero uno buona giornata non lo so! Comunque sia, anche per questa settimana i fondi sono finiti... Tieni questi 13 Falci di resto ragazzo, occhio che sono quasi un Galeone, non li sprecare per roba inutile. Torniamo alla taverna, oppure continuiamo a girare senza comperare nulla se vuoi, ma io sono un po’ stanco e mi devo sedere almeno per un paio di minuti.

-Si si, anch’io...

 

-“TII, Trasposizione degli Intenti Inanimati: si parla di TII quando il Trasfiguratore ha l’Intenzione di Trasfigurare un elemento Inanimato in un altro dallo stesso Criterio.” Una cosa l’ho capita: c’è un abuso di maiuscole in questo testo.

-Eheh, sono termini pragmatici della materia. Questo per farti capire che se non vuoi ammazzare il tuo animaletto domestico, dovrai prima imparare a Trasfigurare oggetti e solo poi passare al passo successivo, il che è arduo, dato il poco tempo che ci rimane. Ma ce la faremo.

Prese una lanterna ad olio, la poggiò sopra il tavolo e l’accese, nonostante la luce che proveniva dalla finestra ed esclamò:

-Iniziamo da quello che a mio avviso è l’incantesimo di Trasfigurazione più semplice che esista: dovrai tramutare questa lampada in una candela di cera. E’ semplice, perché il nostro cervello è abituato ad accomunare tutte le fonti di luce a combustione ad un unico sentimento: la paura di venir scottati; prova. L’incantesimo si chiama Candleverto, cercalo tra i primi capitoli.

 

-Nuova settimana, nuove spese: scegli, cartoleria o negozio di manici di scopa?

-E perché non fare una capatina dall’elettrauto? Posso capire la cartoleria, ma a che mi serve una scopa?

-Divertente battuta, davvero. Poi mi spiegherai cosa sia un elettrauto, però per il momento spiego io a te cosa serve una scopa ad Hogwarts, o meglio, ad un mago. E’ solo una tradizione, a dire il vero si può incantare qualsiasi oggetto dalle dimensioni adatte, ma comunque sia servono a volare. Sì, librarsi nell’aria, volteggiare nell’etere, svolazzare in libertà...

-Capito capito, ma non si può volare e basta? Senza scope intendo?

-Non siamo mica uccelli!

-Le scope non sono uccelli!

-Quanto la fai difficile, è un incantesimo avanzato, è più facile avere un oggetto perennemente incantato che affidarsi ad un incanto provvisorio su una persona, no? Immaginati di deconcentrarti mentre sei a cento piedi da terra, crolleresti a picco e non deve essere piacevole...

-Se è come dici tu posso scegliere un altro oggetto? Non mi va di usare una scopa...

-Ma cos’hai contro le scope?

-Sono brutte! E sporche!

-Ma non le userai mica per spazzare... Dai, cartoleria o negozio di manici di scopa?

-Cartoleria, almeno poi sapremo quanti soldi ci rimangono per ‘sta benedetta scopa...

-Furbo, d’accordo, hai ragione.

 

-Alcune cose non mi sono chiarissime per la loro fantascientificità ma ci proverò lo stesso. Il metallo rimane metallo, l’olio diventa cera, lo stoppino si allunga e si sfilaccia, mentre la cenere si rigenera in materia... Candleverto !

Dal mio dito si diffuse un alone espanso di colore verdastro tendente al rame che in pochi attimi tramutarono la lanterna in un ammasso grigiastro informe e fumante.

-Coff coff! Non ti abbattere, è normalissimo, solo apriamo la finestra ora, eh?

 

In tutta Diagon Alley un solo negozio poteva fregiarsi del titolo di locale sobrio e per nulla strampalato, sia come mercanzia in vendita che come personaggi che la frequentavano, ed esso era la Cartoleria di Amanda Hensiss. Essendo una, appunto, cartoleria, vendeva esclusivamente carta e penne, ma anche oggetti più classici come piume d’oca, calamai e rotoli di pergamena, niente corni di bufalo per contenere l’inchiostro o qualche altra stramberia, al massimo c’erano boccette di china che cambiavano colore a seconda dell’occasione, ma era il minimo che mi dovevo aspettar di trovare in un negozio per maghi.

-Buongiorno, desiderate?

-Questo ragazzo si sta per iscrivere al suo primo anno ad Hogwarts, necessita quindi di tutto l’occorrente per non trovarsi mai a corto di materiale.

-Benissimo, è un principiante con le penne d’oca? Solitamente mi viene richiesta la penna auto correttiva, che rilascia sempre la stessa quantità di inchiostro ad ogni tratto, fin quando non finisce del tutto, ovviamente.

-Sì, penso possa andar bene, ma ci dia anche qualche piuma semplice, occorre che impari ad usare anche quelle senza particolari aiuti.

-Queste quantità credete vadano bene?

La signora della cartoleria aveva preparato un bel po’ di roba: una penna auto correttiva, quattro penne semplici, dodici boccette di inchiostro nero, due del rosso, una dozzina di pacchi di rotoli di pergamena e qualche raccoglitore ad anelli con un paio di risme di fogli bucherellati e relative grafiti per eventuali appunti grafici.

-Assolutamente, non avremo bisogno d’altro per un bel pezzo, credo. Totale?

-6 Galeoni e 8 Falci... Gli spiccioli li arrotondiamo.

-Gentilissima, grazie mille!

-Prego, ciao piccolo, buono studio!

-Grazie signora...

Siamo entrati, abbiamo comprato ciò che volevamo e ne siamo usciti in poco tempo, senza problemi. Strano.

-Dimmi la verità, sei deluso perché nemmeno un marmocchio spruzzandosi addosso un intero calamo ha combinato qualche casino?

-No, o forse sì...

-Non ti abituare troppo alle stramberie, credimi, anche nel mondo dei maghi esiste la normalità!

 

-Candleverto!

Stesso risultato di prima.

-Candleverto!

La poltiglia era un po’ più bianca e viscosa, ma poco cambiava.

-Candleverto!

Questa volta non venne prodotto fumo.

-Candleverto!

Ora invece sì.

-Sbagli qualcosa, non ci sono progressi.

-Si, ma cosa?

-Solo tu puoi saperlo... Se tenessi a mente ciò che hai ripetuto a voce alta prima non dovresti avere grossi problemi, evidentemente non lo fai. Oppure... Non è che in realtà non pensi al risultato finale? A guardar bene qui ci sono tutti gli elementi base dell’obiettivo, ma sono informi e miscelati, penso sia questo il problema.

-Ah, dovevo pensare anche alla forma della candela?

-Certo, che domande! Ricordi, era uno dei tre requisiti fondamentali, quello di pensare all’aspetto dell’obiettivo!

-E quante cose dovrei tenere in mente? E’ difficilissimo!

-Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile, ma nemmeno impossibile, è fattibilissimo, su! Una candela con piattino da supporto, ne avrai viste tante, figurati quando dovrai pensare ad un tritone.

-Candleverto!

Effettivamente questa volta, sebbene un po’ sbilenca e con lo stoppino affogato al suo interno, la candela venne fuori, il piattino poi, era perfetto. Forse mi ero concentrato un po’ troppo sulla parte bassa.

-Bene, bene, ottimo lavoro, riproviamo.

 

Accessori per il Quidditch di Prima Qualità o Scope di Seconda Mano?

Queste scope mi ponevano costantemente di fronte ad immani dilemmi.

-Il secondo, sembra più economico.

-Saggio.

Ovvio, io sono saggio.

Nel negozio coi prezzi stratosferici, tutto era curato nei minimi particolari: vetrine luminose, esposizione coreografica, manichini alla moda, folla di sbavanti standard e ovviamente prodotti autografati dalle stelle dello sport chiamato Quidditch per i clienti più spendaccioni, da loro denominati oculati.

Tutto l’opposto era il negozio in cui eravamo invece appena entrati: stretto, classico, funzionale ma essenziale e soprattutto economico. Sembrava quasi un anatema per la gente “oculata” che un manico di scopa costasse sotto i 30 galeoni, perciò di tutta la fila presente in quel punto vendita dal nome lunghissimo, il piccolo esercizio commerciale Scope di Seconda Mano ne vedeva un sesto. Meglio così.

-Siete fortunati, vedete quel signore che sta uscendo? E’ il famoso giocatore dei Prides, Mark Evans... Non dovrei dirlo, ma durante il ritiro della scorsa settimana ha colliso un Bolide e... La sua Comet 270 si è scheggiata proprio nel punto della contromarca, dove hanno luogo gli sponsor... Inutilizzabile per un giocatore del suo rango, ma per uno studente... E’ un affare d’oro! Una Comet 270 nuova fiammante a metà prezzo, riuscite a crederci?

-Dipende dal prezzo...

Il commesso si guardò attorno come se mi stesse per rivelare un segreto inenarrabile:

-40 Galeoni ed è tua.

-D’accordo, facciamo 10.

-Cos...? Shht, a bassa voce... Ragazzo, hai capito cosa ti ho detto? E’ una Comet 270!

-Quello che ho capito è che l’unico segno distintivo si è “accidentalmente” scheggiato e che ora come ora non è possibile verificare se sia una Comet o no... Il che la rende, oltre che danneggiata, anche invendibile per una vera Comet. 10 Galeoni.

-Calma, hai ragione, è una strana coincidenza, ma dubiti della mia onestà?

-Non dubitiamo di nulla; Emanuele lascia perdere, cerchiamo altro, dai...

-Sentite, ho speso ben 12 Galeoni per questa scopa che solo adesso mi sto accorgendo potrebbe essere un falso pensando di aver fatto un buon affare... Santi numi, non sono nemmeno sicuro che quello fosse il vero Mark Evans... Vi prego, prima che se ne accorga il principale, fatemi almeno recuperare i soldi spesi! E’ un buon manico, su questo non ci piove, ma non potrò mai venderla come Comet 270 e senza sapere l’esatto modello finisce immediatamente nel cestone dei 5 Galeoni e per me significherebbe il licenziamento in tronco, vi scongiuro...

-12 Galeoni?

Al mio tutore si illuminarono gli occhi, evidentemente di scope se ne intendeva almeno un pochino.

-Sì, ed è vostra.

-Compresi quei guanti di pelle di drago?

Presi parola, notando che avevamo il coltello dalla parte del manico, suscitando perplessità in entrambi i volti dei due adulti.

-Chi ha parlato di guanti?

-Io. Anche perché non è un problema nostro, a me vanno bene anche i manici in offerta...

-E’... E’ un ricatto, non è vero?

-Si chiama contrattare, perché devo spendere 7 Galeoni in più per un qualcosa che non ho richiesto? Almeno mi venga in contro con i guanti che invece mi servono!

-Non ti vanno bene questi in pelle di caimano? Sono molto meno ruvidi e...

-La lettera dice guanti di drago e guanti di drago devono essere.

-D’accordo, ma ora sparite, e non fatevi vedere più!

Dopo aver pagato con ben 12 degli ultimi 14 Galeoni rimastici, ser Uppercut prese finalmente parola:

-Non c’è bisogno di essere sgarbati con i clienti se si è contrariati per motivi personali, andiamo Emanuele.

All’esterno del negozio, mi confidò tacitamente:

-Wow, bella mossa, è una Comet 260, l’ho riconosciuta dalla punta striata in argento e magenta, non ci sono dubbi, ed è pure nuova, wow. Wow!

Sembrava quasi che l’avesse comprata lui per quanto sembrasse felice.

-Guarda là, il prezzo di una Comet 260 nuova, guarda su!

L’affare in effetti non fu ottimo, fu stratosferico: il prezzo al dettaglio? 95 Galeoni!

 

Ormai la Trasfigurazione non aveva più segreti per me, o almeno quella riguardante lumi e lumicini. Sapevo trasformare lanterne in candele, candele in lanterne, lanterne in candelabri, candelabri in lampadari, lampadari in torce da parete, torce in fiammiferi e ciliegina sulla torta, fiammiferi in bastoncini d’incenso: semmai un giorno dovesse servirmi creare un’atmosfera rilassante ed esotica.

-Passo successivo: oggetti inanimati in esseri viventi... Pietra in lumaca? E lumaca sia!

Così iniziai a leggere nozioni sulla fisiologia dei molluschi invertebrati, scoprendo che delle ottocento e passa pagine del libro, più di due terzi riguardavano approfondimenti scientifici sulle forme di vita cui si vuole emularne le sembianze.

-Mi sembra un po’ esagerato: devo davvero pensare a ghiandole mucose, stilofori e ovidotti che se ingrossano troppo fermano il cuore? Mi sta venendo da vomitare!

-Ehm, se volessimo essere professionali si, ma per puri scopi didattici potremo anche dimenticarci dell’apparato riproduttivo e preservativo, ma la ghiandola mucosa, quella ci vuole, altrimenti morirebbe in nemmeno dieci secondi.

Snervante vedere come sghignazzavano sia il mio tutore che il serpente... E dire che facevo tutto questo per lui.

I primi tre tentativi morirono all’istante o non avevano mai “rizzato le antenne”, ma dopo il quarto colpo riuscii a riprodurre una colonia di chiocciole in perfetta forme e tutti rigorosamente sterili.

-Mi deludi, alla mia prima esperienza di Intento Vivente, le lumache erano tutte di un colore diverso l’una dall’altra.

Accettai di buon grado la sfida, riuscendo perfino a ripugnare il mio tutore mostrandogli ciò che da bambino mi scioccò e non poco: un lumacone verde muschio grosso, purulento e con decine di bozzoli neri e viola sulla coda, antenne e guscio. Risate assicurate.

 

-Sai cos’è questo?

-Un biglietto?

-Già, un biglietto per cosa?

-Per il treno che mi porterà ad Hogwarts, forse?

-E come lo sai? E’ girato dalla parte non stampata...

-E per cosa poteva essere? Uno spettacolo teatrale? Per comprare quel gufo i miei dovranno aprire un mutuo...

-Va bene, era ovvio in effetti. Comunque sia, lo tieni tu o lo tengo io? Lo perdi?

-No che non lo perdo, non ho mai perso niente in vita mia, almeno non da dopo i cinque anni d’età...

Ser Richard mi porse il biglietto fresco di stampa e notai che la figura dell’espresso aveva dei rilievi piacevoli al tocco.

-Da Londra ad Hogwarts, Binario 9 e 3/4... Mi ci accompagnerai tu, non è vero? Non saprei manco dove si trova la stazione...

-Certo, non ti preoccupare, tu pensa solo ai tuoi bagagli e a non dimenticare nulla.

-Non c’è l’orario d’arrivo... E’ lungo il viaggio?

-Un po’, ma passa in fretta stando in compagnia.

-E questi sono i soldi rimanenti del tuo conto: sono un bel po’ ma non li spendere tutti, potrebbero servire più avanti. Se vuoi, qualcosina di semplice da Scherzi da Maghi riesci a comprarla, mi raccomando però, niente di offensivo o pericoloso per te e per gli altri!

-Possiamo andare subito?

-Hai dato da mangiare al tuo serpente?

-Sì, cioè no, ci penso la sera, poco prima di dormire, mi sembra che gradisca così.

-Bene allora, andiamo.

-Però tu aspetti fuori!

-Eheheh, e va bene...

 

-Aumentiamo un pochino la difficoltà: lascio cadere una lumachina in questa ciotola d’acqua, se non riesci a Trasfigurarla in una vongola prima che tocchi il pelo dell’acqua, morirà annegata e ce l’avrai sulla coscienza... Tranquillo, tornerà ad essere un ciottolo. Sei pronto?

-No che non lo sono!

-Bene, tanto non lo saresti mai, via!

-Valvifors!

Esattamente un attimo prima che colpisse la superficie dell’acqua riuscii a tramutarlo in quello che sembrava un mollusco marino, ma sembrava tutt’altro che vivo, cadendo con la conchiglia aperta e “a faccia in giù”. Ma pian pianino riuscì a richiudere il guscio e ad adagiarsi in maniera meno inerme.

-Beh, è logico: anche loro devono adattarsi al nuovo metabolismo.

Tutto ciò era fantastico, roba da sentirsi dotati di poteri divini, davo vita propria ad oggetti inizialmente morti. Ma come mi aveva predetto il mio tutore non si trattava altro che di mere illusioni, bastava un semplice Rilascio per far tornare l’animale nella sua forma d’origine, non importa quanto complesso e vero sembri la nostra creazione.

-Sì, sei pronto per imparare il Trifors.

 

Gambol & Jape: Scherzi da Maghi, già il nome era un programma. Erano settimane che desideravo di entrarci per qualche secondo ma a parte una fugace ed insipida visita il giorno dell’apertura del conto alla Gringott, quel negozio fu per me Off Limits causa budget risicato fino all’osso. Ora i soldi c’erano, il tempo pure, perciò nulla mi poteva vietare di comprare qualche idiozia.

-Ti aspetto qui allora. Fa’ presto, ok?

-No!

E serrando dietro di me la porta chiusi la questione. Dall’ultima visita il negozio s’era rinnovato un pochetto: c’era qualche giocattolo in più e soprattutto più scherzi attivi, che rendevano caotico e divertente l’ambiente; poi, con l’inizio della scuola alle porte e con fiumi di bambini e ragazzini che si conducevano in massa in quel negozio, l’aria era proprio di festa. Dopo varie e profonde riflessioni, e dopo esser passato innumerevoli volte dinanzi il reparto degli scherzi schifici dove ogni cosa emanava tanfo e putrescenza e la rampa delle illusioni travolgenti, piena di specchi che aggiungevano vari effetti ai nostri riflessi, la scelta ricadde fra due soli prodotti: la melma portatile e i palloncini indistruttibili. La prima concettualmente era una gran figata: si prendono tre capsule, le si lancia a terra con forza ed in poco tempo dovrebbe moltiplicarsi a dismisura una quantità immensa di mucillagine giallo-verdognola, ideale per far evacuare immediatamente una stanza da ospiti indesiderati, o magari da far crescere fra i capelli di qualche ragazza antipatica; i secondi invece, anche se meno spettacolari, avevano potenzialità immense: innanzitutto, i palloncini possono espandersi a dismisura senza limiti, ed essendo indistruttibili potrebbero benissimo fungere da sfollagente riempiendo la zona di lattice, anche se ci vorrebbe un sacco d’aria nei polmoni; poi possono anche indurirsi e diventare dei veri e propri mattoni in termini di durezza, il che significherebbe bombardamenti aerei dai piani alti verso la gente più in basso; infine, essendo comunque utilizzabili come dei comuni palloncini, possono diventare dei semplici ma tremendi gavettoni se riempiti d’acqua, possibilmente sporca. Il problema era che entrambi li avrei dovuti acquistare a scatola chiusa, fidandomi del loro funzionamento, visto che non era possibile provarli preventivamente. Perciò passai ad uno scherzo più semplice e meno entusiasmante, ma comunque godibile se si trova il fessacchiotto giusto che ci casca: una finta bacchetta che dà la scossa non appena si tenta di utilizzare un incantesimo. Niente di complesso effettivamente, e con effetto simile alle penne-scherzo babbane, ma le bacchette erano riprodotte fedelmente e, funzionando ad attivazione vocale, non nascondevano bottoni o altri elementi che le potessero tradire, perciò sì, qualcuno ci sarebbe potuto anche cascare... E poi non costavano nemmeno 12 Falci l’una.

-Una Bacchetta Elettrificata per favore.

-La vuoi provare prima di prenderla? Il pacco è nuovo, la apro ora per te.

Si, e magari faccio esplodere il palazzo...

-No, grazie, mi fido, ho visto le altre che provavano i ragazzi e funzionavano tutte.

-Bene, 11 Falci e 19 Zellini allora.

Finite le compere mi avviai soddisfatto verso l’uscita, accorgendomi dalla posizione del sole, che avevo passato un bel po’ di tempo là dentro... Trovai ser Richard annoiatissimo seduto su un gradino di Telami e Tarlatame, il negozio ubicato esattamente di fronte a Gambol & Jape.

-Finito? Hai fatto con comodo...

-Scusa, è che c’era un sacco di gente e...

-Tranquillo, te la sei meritata questa giornata di riposo, hai speso tanto?

-Meno di 12 Falci.

-Allora come premio gelato da Florian, offro io; t’è piaciuto l’altra volta vero?

-Sì, ma stavolta voglio provare il gelato alla Runa Egiziana, dicono sappia di cocco all’ibis...

-Non credere a tutto ciò che dicono, chi vuoi che sappia che gusto ha un ibis?

-Ma cos’è l’ibis?

-Oh cielo...

 

Trasfigurare animali dotati di un intelletto ed istinti meno primitivi rispetto agli invertebrati era tutt’altro che semplice, non solo per via della loro evidente complessità metabolica, ma perché quei pochi che riuscivano interi, una volta in vita si comportavano in maniera del tutto inaspettata, sbattendo contro gli ostacoli, vomitando organi e rotolando di fianco e dandosi delle spinte con la coda.

-Non ti abbattere, dopo qualche tentativo dovremmo vedere in quale aspetto dovrai focalizzarti di più; vedrai, per il resto ci penserà l’incanto coadiuvato dalle tue esperienze pregresse a completare l’organismo, tanto che sembrerà automatico.

In effetti dopo circa una trentina di tritoni scemi e suicida, era chiaro che la quasi totalità di essi deficitavano in intelligenza.

-Prevedibile, il problema è nel sistema nervoso. Credo che ti verrebbe più facile se partissimo da un essere vivente con un sistema nervoso già funzionale. Facciamo così: io creo un rospo e tu lo Trasfiguri in tritone, magari non sarà un rospo vero, ma l’importante per noi è che abbia tutto al proprio posto.

­Così il mio tutore estrasse la sua bacchetta e tramutò una delle salme dei miei esperimenti falliti in un rospo grassoccio e festante, tant’è che mi risultò difficilissimo osservarlo per il tempo necessario a farmi un’idea delle sue sembianze da modificarle affinché somigliassero in quelle di un tritone.

-Trifors!

-Visto? Sembra non abbia nulla che non vada, proviamo adesso se ha gli stessi riflessi.

Lo toccammo entrambi delicatamente sulla parte inferiore del dorso, provocandogli ben poche reazioni ma, improvvisamente, si mise a sgambettare.

-Ahahah, è un tritone con la mente di un rospo, non è andata esattamente come volevamo, ma per lo meno non usa la coda per soffocarsi. Dai riprova.

 

-Sì, sei tu questo, ti assomiglia in tutto: colore, forma, lunghezza, abitudini... Non ci sono dubbi, sei una Coronella Austriaca!

-Nome poco virile per un maschio...

-Sei anche detto Colubro Liscio se vuoi, sei diffuso praticamente in tutta l’Europa, fai la muta due volte l’anno e... Oh, ecco! Per fortuna, non sei velenoso! Anzi, in combattimento sei proprio scarso: non avveleni, non soffochi, non puoi tendere agguati e se puoi eviti il combattimento battendo la ritirata...

-Tutto vero purtroppo, ma dove la vedi la fortuna?

-Intendevo per il nostro caso, non dovrò farti svuotare le ghiandole... Però mi domando come farai a cacciare... Ma guarda un po’ non lo fai!

-Questa mi è nuova, campo d’aria?

-No, ti cibi solo di animali per nulla combattivi, come lucertole, grassi insetti, orbettini e ratti bianchi o grigi, perché, quelli neri vi fanno schifo?

-No, ma con un morso ci possono rompere il cranio, ho già assistito a questa scena...

-Ma non finisce qui, siete lentissimi nell’inghiottire e digerire le prede, infatti per completare l’assimilazione di un orbettino ci impiegate fino a tre settimane... Ricompare quest’orbettino, ma cos’è?

-Ah, io non lo so, le stai leggendo tu tutte quelle fesserie. Le zampe di gallina e le uova di tordo che ci propinava il vecchiaccio le facevo fuori in mezza settimana, non mi sembrano tempi esagerati.

-Sarà, ma questo significa che se intendi cacciare i tipici ratti di fogna cui Hogwarts sarà piena dovrai fornirti di denti ben più robusti di quelli attuali, o non riuscirai mai a metterli fuorigioco, né tantomeno a deglutirli se non li sminuzzi almeno un po’.

-E dimmi, conosci per caso un rettilofono specializzato in protesi dentarie?

-No, ma ho comprato questo mangime per rane toro da combattimento dal Robivecchi, assicurano una crescita fino al 60% dell’animale che segue il trattamento, così non dovresti avere problemi...

-E tu come facevi a sapere di questo problema se lo hai letto solo ora?

-Me l’ero immaginato: al Serraglio c’erano lombrichi più grossi di te, ho pensato subito a questo problema. Dai, assaggia, da oggi fino a quando finirà la busta mangerai solo questo!

-Come sei premuroso... Però anche a me farebbe piacere esser un po’ più grosso, per lo meno per il mio ego... Pluah, fa schifo!

-E che ti aspettavi, carne di pollo? Di’ un po’, non è che una volta anfibio non potremo più parlare?

-Chomp... Questo non lo so, ma se solo i serpenti riescono a comunicare con gli umani, allora qualcosa di particolare lo avranno... Non escluderei la possibilità che mi rincitrullisca una volta tramutato in qualcos’altro.

-Sarebbe un peccato, del resto a scuola manterresti quasi sempre quella forma...

-Non vedo dove sta il problema però: l’altro giorno hai Trasfigurato quel rospo in tritone mantenendone l’intelletto, infatti cercava di saltellare come se fosse ancora in grado di farlo, non potresti ripeterlo con me?

-Come se fosse facile...

-Tu provaci comunque. Neanche a me va molto a genio perdere le mie facoltà mentali per un tuo capriccio.

Toc! Toc!

-Avanti!

-Buongiorno! Vedo che stai leggendo il libro sugli animali che ti ho portato... Trovato importanti informazioni?

-Oh si, so praticamente tutto di lui, è completamente innocuo per gli esseri umani, e non parlo solo dell’assenza di alcun tipo di veleno, ma del fatto che non sarà assolutamente in grado di rappresentare un pericolo per nessun essere vivente più grosso di 30 centimetri, ehm, 12 pollici. A proposito, sai cosa sono gli orbettini?

-Non ne ho la minima idea, farò delle ricerche, per il resto sapevo già tutto, non l’avrei lasciato da solo con te altrimenti. Hai provato a vedere come si comporta se gli apri la gabbietta?

-Sì, l’ho aperta un paio di volte per mettergli cibo e acqua e non ha mai tentato né di mordermi, né di fuggire, non ne avrebbe motivo, del resto...

-Bene, perché qui ho una sorpresa per lui! Una bella gabbia per tritoni imperiali! Guarda, c’è tutto: sabbia dove si può riposare quando ha le sue vere sembianze, ampia vasca d’acqua per quando è sottoforma di anfibio e dulcis in fundo una palma in vero legno dove può grattarsi per fare la muta, basta che poi fate sparire la pelle da qualche parte. Mi raccomando però, digli che i bisognini li dovrà fare in acqua perché questa sabbia non è adatta a quel tipo di cose, farebbe venire la scabbia a tutti.

Il piccolo rettile si trasferì sgusciando da una gabbia all’altra, passando, fra l’altro, tra le sbarre della gabbia più grossa, nonostante avessi aperto il portello d’ingresso.

-Beh, per lo meno così saremo sicuri delle sue reali intenzioni: se questa notte scappa o tenta di ucciderti lo sapremo... Ma non credo lo farà, non adesso almeno.

Ser Uppercut non si fida ancora di lui, io invece, perché sì?

-A proposito, gli hai già dato un nome? Se sì, non mi sembra di averlo mai sentito...

In effetti stavo ancora temporeggiando in attesa che mi arrivasse l’ispirazione rivelatrice, ma ormai era passata più di una settimana e nessuna buona idea mi era ancora passata per la mente. Colpa di un termine che mi balenava per la mente.

-Qual era quel termine strano che hai utilizzato per salutarmi al negozio la prima volta che ci siamo incontrati? Quello che significava Piacere di fare la tua conoscenza, o giù di lì...

-Quante volte dovrò ripetertelo? E’ Muthsera, e nemmeno so se esiste davvero, diamine, è stata la prima parola che ho carpito dalla tua coscienza, pensavo la conoscessi, dimenticala.

-No invece, mi piace. E’ esotica, misteriosa e rappresenta alla perfezione la nostra relazione: ti dispiace se ti do questo nome?

-Fai pure, dopo Coronella, pure Muthsera. L’ho sempre pensato che sarei dovuto nascere femmina, non sarei finito in vendita come ingrediente per cosmetici per iniziare...

-E’ deciso allora, ti chiamerai Muthsera, o Sera per abbreviare, almeno un senso per le altre persone questo nome lo avrà!

-Allora? Il nome?

-Sera, lo chiamerò Muthsera.

-Sera? Ma non era maschio? Avevo capito di sì...

Meno male che Sera non lo capisce...

 

-Non guardarmi così... Ormai ho imparato, non sentirai alcun dolore...

-Non ho abbastanza muscoli facciali per poter esprimere emozioni, se mi vedi preoccupato è perché in realtà lo sei tu!

E certo che lo sono...

-Che ti dice? Ha paura, eh?

-Sì, beh, in realtà puntualizza sul fatto che il primo ad essere in tensione sono io...

-Ed è vero?

-Tu che dici?

-Allora riprova con uno degli altri rospi, sai che non puoi permetterti di fallire. Non importa quante prove fai, non sono mai abbastanza se non ti senti sicuro...

-No, basta, ormai di prove ne ho fatte abbastanza, ho creato centinaia di tritoni forti e sani, l’incanto lo so, è il coraggio che mi manca...

-Per questo non sarai mai pronto fino a quando non sentirai di esserlo e per pronto non significa non essere titubante, del resto c’è una vita in gioco, ma metter da parte tutti i timori per far spazio alla parte più sicura del tuo essere.

Le solite frasi fatte, ma del resto cosa potrebbe dirmi? E va bene, o la va o la spacca...

Poggiai la mano sinistra sul volto per occultarmi la vista di quel che a breve sarebbe successo ed urlai:

-Trifors! Scusami, scusami, scusami, scusami!!! E’ vivo?

-Guarda tu stesso...

Sì, era vivo, anche troppo vivo: si arrampicava su e giù lungo le sbarre della sua gabbietta con una vitalità che raramente si nota negli anfibi nel loro habitat naturale.

-Non sapete quanto siete fortunati a possedere degli arti voi bipedi e quadrupedi, quest’agilità è pazzesca!

-Vedo che ha funzionato anche il mantenimento delle tue funzioni cerebrali, era un passaggio delicato, ma ce l’ho fatta...

-Sì, per un momento c’è stato un piccolo blackout, ma è stato come entrare in una scatola buia per qualche secondo ed uscirne con gli occhi di qualcun altro... Questi lucertoloni ci vedono davvero male, a stento riconosco la tua faccia...

-Mi sembra felice, cosa dice?

-Non è proprio felicissimo, ma comunque è contento di esser ancora vivo, questo sì. Riproviamo?

-Come vuoi, conosci l’incanto...

-Finite Incantate!

Muthsera riprese le sue forme serpentine e con esse i suoi modi simpatici.

-Fai pure con comodo, tanto la vita in gioco è la mia, per non parlare dello stomaco... Noi serpenti non mastichiamo sai? La digestione è lenta e complessa e tu non aiuti molto il mio organismo con questi repentini cambi di identità. Temo che fra poco vomiterò: hai mai visto un serpente vomitare? Non è un bello spettacolo, anche perché vomitano anche la sacca gastrica, ho visto un mio coinquilino crepare così! Bella scena, non avevo neppure un mese di vita...

-Lo so che non deve essere piacevole, ma più mi impratichisco adesso che c’è ser Richard meno rischi correremo a scuola! Un po’ di pazienza!

-Dillo al mio esofago infiammato, non a me!

Stavo per rimpiangere il fatto che abbia studiato l’apparato digerente degli ofidi da quell’enciclopedia sugli animali che mi portò ser Uppercut: tutto ciò che imparai su di loro, lo acquisì anche il mio serpente che di sicuro non avrebbe perso l’occasione di rinfacciarmi qualche strano malanno fisico al minimo problema che si fosse presentato con tanto di spiegazione veterinaria, come adesso del resto.

-Ma quanto parlate voi due, vi fate proprio dei gran discorsi, eh? E’ mezzanotte Emanuele, sai cosa significa? Che domani inizierà il tuo primo anno scolastico ad Hogwarts! Fai altre tre o quattro prove sul tuo orbettino e poi va’ a letto, almeno sarai riposato per il viaggio sull’Espresso!

-Non può essere, guarda il calendario, domani è sabato, non domenica.

-No, oggi è sabato, anzi, è iniziato ben tre minuti fa. Altre ventiquattro ore e non vedrò più te e quel serpentello per un bel pezzo, e mi concederò un po’ di relax.

-La smette di prendermi in giro credendo non lo capisca o gli devo mordere la caviglia?

-Che ha detto? Mi fissa in modo avvelenato...

-Ma no, è la sua unica espressione, ha detto che anche tu gli mancherai molto...

 

-Grazie ad entrambi per averci scelto.

-Mi saluti anche Wallace, Tom.

-Senza alcun dubbio. Passi un buon anno ad Hogwarts giovanotto.

Queste furono le poche parole d’addio che ci rivolse il locandiere poco prima che ci congedassimo. Con appresso ben cinque valigie di bagagli ed una gabbia per tritoni imperiali, fu sorprendente notare come la gente per strada non ci degnasse di alcuna particolare attenzione, eppure ero sicuro fossimo un bello spettacolo.

-Ancora ti stupisci del fatto che nessuno si accorga di noi e del nostro strambo carico? Per non parlare del mio vestito in velluto così tanto demodé per la gente comune! Siamo in Inghilterra, e per altro a Londra, patria delle stramberie cosmopolite... Ormai qui la gente è abituata a vederne di cotte e di crude, noi non siamo altro che una goccia nell’oceano.

Sarà, ma in Italia non saremmo certo passati inosservati...

-Questa è la stazione centrale, ti ci ho condotto per insegnarti la strada dal Paiolo Magico semmai un giorno ti servisse saperlo, ma per tornarci più tardi ci Materializzeremo direttamente lì dentro. Ora... Dove vuoi andare per pranzo? E’ il nostro ultimo giorno insieme, decidi tu. Unica raccomandazione: resta leggero, questa sera ci sarà un banchetto al castello, e banchetto è sinonimo di abbuffata fino allo sfinimento.

Sebbene per i primi cinque secondi la libertà di scelta mi lasciò spiazzato, non mi scervellai di certo a pensare la nostra prossima meta culinaria. Ero a Londra da più di un mese ormai, circondato da gente di tutte le etnie, con un mago con una bombetta in testa, eppure non ero ancora andato in un ristorante cinese, posto che da sempre ho voluto visitare semmai fossi andato in una grande città.

-Voglio mangiare del sushi, conosci ristoranti cinesi?

-Non conosco questa particolare pietanza, ma di certo conosco il posto che cerchi... Anche se a dire il vero non ho mai pensato di fermarmici a mangiare, andiamo.

Il locale era da tutt’altra parte di Londra, così il mio tutore chiamò un taxi, che a differenza di quanto ci insegnarono a scuola, era tutt’altro che giallo.

-Il ristorante Fiore di Luna lo conosce?

-Certo, ma davvero volete andare fin lì? E’ in periferia e con tutti i bagagli che vi ritrovate non sarebbe sicuro andarci...

-Non si preoccupi, sappiamo badare a noi stessi, ci accompagni come richiesto senza fare troppe domande e avrà una lauta mancia.

Saliti sul veicolo, noncurante della presenza dell’autista ser Uppercut mi confidò:

-E’ un’altra entrata segreta del Ministero, sai? La utilizzano solamente quelli dei servizi segreti e gli Auror, io non sono autorizzato. Anche se più che ingresso è meglio definirla come uscita d’emergenza, per questo è così lontana dal centro, per defilarsi in fretta. Ma dimmi, cos’è questo sushi?

-Non ne ho la minima idea, l’ho sentito nominare in TV.

-Ah, bene.

 

Arrivati a destinazione capii subito cosa intendeva dire il tassista: il quartiere non era esattamente malfamato, però il contrasto tra il centro affollatissimo e pieno di vita e quella zona era evidente.

-Si sta levando un po’ di nebbia, si vede che agosto sta per terminare. Anzi, il bel tempo è durato anche troppo per i nostri standard, su entriamo.

-Buongiorno!

-Buongiorno signora!

-Buongiorno!

-Un buon giorno anche a lei!

-Buongiorno!

-Ehm sì, buongiorno, possiamo?

-Buongiorno!

Un piccolo esercito di cinque cameriere orientali ci assalì con i loro saluti ed inchini che non sembravano voler terminare.

-Benvenuti!

-Benvenuti!

-Benvenuti!

Oh no, ora cominciano coi benvenuti...

-Oh, simbolo di scuola di magia di Hogwarts, voi volete usare polvere magica?

-No no signora, siamo qui per del... Come si chiama?

-Sushi!

-Ah già, sushi! Lo avete no? Del sushi!

-Sushi è pietanza tipica di cucina giapponese. Noi no giapponesi, ma cinesi, da Cina.

Ed indicò la bandiera rossa a stelle appesa sulla parete dietro la cassa.

-Ma voi no preoccupate, gente europea sbaglia sempre. E sushi molto famoso. Se noi cacciassimo tutti quelli che chiedono di sushi, noi fallire. Nostro cuoco viene da Giappone, prepara per voi miglior sushi della vostra vita. Se volete può anche lavorare in sala, così voi vedete sua maestria e freschezza di pietanze.

-Va bene, dove ci possiamo sedere?

-Tavolo per due, siete soli, sì?

-Sì, madame...

-Prego e buon appetito!

-Buon appetito!

-Buon appetito!

-Buon appetito!

Ci risiamo...

Il ristorante era ben curato: ovunque erano presenti raffigurazioni ed effigi del folklore orientale, molte delle quali rappresentavano, a detta delle inservienti e delle didascalie poste sotto ogni illustrazione, varie fasi della leggenda del pesce Koi, una carpa che sfidò gli umani e le correnti per risalire la grande Cascata del fiume Giallo. Era una specie di Via Crucis con protagonista un pesciolino d’acqua dolce, molto curata nei dettagli e stranamente appassionante, nonostante la sua semplicità e brevità. Secondo le tavole, un giorno, il piccolo Koi, decise di risalire il torrente come facevano i suoi simili più adulti. Questi, però, lo facevano solo per andare a deporre le uova a monte del fiume, lui, invece, voleva farlo giusto per curiosità. Gli sforzi a cui sottopose il suo piccolo corpicino suscitarono l’ilarità degli altri pesci e degli umani che transitavano lungo la riva, facendogli perdere giorno dopo giorno le speranze di riuscita. Una ragazza, però, entusiasmata dalle prodezze di quel piccolo pesce, lo incitò ed incoraggiò giorno dopo giorno, aiutandolo a superare i dubbi e la fatica. Quella ragazza era proprio la Fiore di Luna dell’insegna del locale. La traversata di Koi, però, fu irta di ostacoli: il grosso pesce gatto che gli umani gli aizzarono contro, il fango in cui si avvinghiò e la furia delle Grandi Cascate lo misero alla prova. Superando ogni intoppo e pericolo grazie alla fiducia di Fiore di Luna e all’aiuto degli Dei dell’acqua e del vento, riuscì finalmente a risalire l’enorme cascata che portava al regno dei cieli: in quel preciso momento, all’ultimo balzo che separava il piccolo Koi dal fiume Azzurro della volta celeste, un mulinello di acque dorate e cerulee lo avvolse, tramutandolo in un bellissimo drago. Sirio, così venne chiamato dagli dei in quel momento, scese sulla Terra per poter ringraziare la dolce Fiore di Luna e portarla con se a giocare nell’irraggiungibile fiume Azzurro.

-Una bella favola, non c’è che dire.

-Non è una favola, è tutto vero. Certo, forse la storia è stata gonfiata un po’ per dargli anche una morale, ma migliaia di anni fa veramente un mago trasformò una carpa in drago, che ci crediate o no.

Era il cuoco giapponese, che, a differenza delle ragazze, parlava benissimo l’inglese.

-Ma voi siete del mestiere, perciò ci credete, no? Posso procedere?

Il cuoco prese un Santoku, un coltello per tritare giapponese, ed iniziò a mozzare teste, tentacoli e radici a qualsiasi cosa gli fosse sottomano, viva o morta che sia. Poi, sfilacciò le parti da scartare, condì con qualche spezia, annacquò ciò che doveva essere inumidito, avvolse alcuni lembi nel tofu o nel riso, schiacciò qualche alga per farne uscire i fluidi amari e legò con la fibra vegetale alcuni involtini di fegato di salmone. Il piatto era finito e pronto per esser mangiato. Il mio stomaco no.

-Prego, buon appetito.

Il cuoco fece un inchino e rimase in attesa di non so cosa come un soldato di Buckingham Palace per un mucchio di tempo.

-Forse vuole che iniziamo a mangiare...

Suggerì il mio tutore.

Già, mangiare... E’ tutto crudo qui!

Presi la cosa meno all’apparenza meno disgustosa e la ingoiai senza manco masticare: fu come mandar giù un cubetto di ghiaccio molliccio. La stessa cosa fece ser Richard ed il cuoco finalmente si allontanò.

-Beh, speriamo di non finire nuovamente al San Mungo...

-Scusa, non sapevo fosse tutto crudo qui.

-Poco male, mi vergogno di me stesso, con la mia età e non ero mai entrato in un ristorante cinese, o giapponese che sia, insomma, è un altro mondo, veramente affascinante. Dovrò venirci più spesso, magari l’anno prossimo dovrò accompagnare ad Hogwarts uno studente asiatico.

Ed iniziò a mangiare, dapprima lentamente, poi prese gusto e ci diede dentro.

-Non è poi così male, sai? E’ sempre freddissimo e fa un po’ senso quando mandi giù questa roba semiviva, però le spezie e l’impanatura... Buonissime.

Dopo molti tentativi falliti riuscii finalmente a mandar giù almeno il salmone impacchettato e le palline di riso con pesce spada, ma del resto non toccai nulla, soprattutto quei tentacoli di polpo ancora in preda a spasmi muscolari. Alla fine, chiedendo un po’ di maionese, riuscii pure ad addentare un paio di gamberetti, ma il gusto di mare era ancora troppo forte nonostante la salsa.

 

-Grazie, e arrivederci!

-Arrivederci!

-Arrivederci!

-Arrivederci signore, salutatemi tanto il cuoco, è stato bravissimo!

Quasi mi ero dimenticato di Muthsera che brontolava nella sua gabbia, avevo tenuto un paio di filetti di pesce apposta per lui, anche se non ho letto da nessuna parte se potevano far parte della sua dieta. Però lui parve apprezzare.

-Che mangiata, eh? Mi è rimasto quasi tutto sullo stomaco, ci hanno offerto del gelato fritto come dessert, ma ho rifiutato a nome di entrambi, non mi sembrava salutare. Beh, alla fine è meglio così, qualcosina l’hai messa sotto i denti e ti sei comunque mantenuto leggero, visto che hai lasciato quasi tutto. Spero non si sia offeso quel giapponese, ma non ce l’ho fatta neanche io a mangiare quella specie di embrione di pesce. Certo, ora come ora non è l’ideale dopo un pasto del genere, ma... Tieniti a me!

Crack!

Ci materializzammo in un posto mai visto prima: un lungo muro di mattoni rossi si stagliava dietro di noi, mentre di fronte avevamo un’ampia distesa di campagna con in lontananza un piccolo boschetto. Facendo qualche passo notai dei binari sotto il rialzo della banchina e due panche a doppia schiera alla nostra sinistra, capendo così che ci dovevamo trovare in una fermata ferroviaria.

-Qui prenderemo l’Espresso per Hogwarts. Ora sediamoci ed aspettiamo che arrivi.

Presi dalla tasca del giubbotto il biglietto del treno che avevo ricevuto la sera prima perché non mi tornavano i conti.

-Qui dice che la partenza è alle cinque e mezza, e non sono nemmeno le tre! Non ti sembrano esagerate tre ore di anticipo?

-E’ importante essere puntuali nella vita, è segno di responsabilità e di affidabilità. Comunque il mio compito più importante è far si che tu salga su quel treno senza intoppi; capirai che è fondamentale che mi assicuri da eventuali inconvenienti, per questo ti ho portato qui con largo anticipo. E comunque non disperare, arriverà a momenti e potrai scegliere con comodo il tuo posto a sedere, bel privilegio.

-Ma qui è deserto! Ci siamo solo noi, è troppo presto...

-Lo so, ma il ragazzo dell’anno scorso, prendendosela un po’ troppo comoda, a momenti perdeva il treno... Non voglio che riaccada mai più, dai siediti.

Il treno che doveva arrivare a momenti impiegò invece un intero pomeriggio a comparire ed essendo l’orario tipico della pennichella, non ci fu affatto difficile appisolarci sulle panchine come due barboni.

Twaaaaaaath!

Un fischio assordante mi svegliò di colpo. Col cuore a mille mi sforzai di capire cosa ci fosse dietro quella densissima coltre di fumo.

E’ un treno a vapore!

-Sembra sia arrivato finalmente, alle quattro e mezza in punto, abbiamo dormito un bel po’.

Il mio tutore aveva tutta la giacca sgualcita sul lato sinistro, evidentemente si era accasciato su un fianco.

-Ah, Richard, ci rincontriamo anche quest’anno! Ragazzo nuovo?

-Sì, te lo presento Trent, è italiano, si chiama Emanuele. Lui è Trent, il macchinista del veicolo che vi condurrà tutti ad Hogwarts. E’ un esperto, fa questo mestiere praticamente da una vita, ha accompagnato pure me parecchi anni fa.

-Non che sia il lavoro più complesso del mondo, questo gioiello si guida da solo, anche se l’anno scorso due pazzi si sono scagliati sui binari con la loro auto volante proprio quando uscivo dalla galleria e per poco non finiva in tragedia... Mi sono fatto dire i loro nomi e dovrebbero andare al terzo anno ora, vediamo se avranno la faccia di ripresentarsi. Ora scusate ma scappo, la natura chiama.

L’omaccione che indossava un perfetto completo da macchinista dell’800 iniziò a correre con quelle sue gambette verso il bagno pubblico della fermata. A dispetto della sua età, non sembrava anziano, forse tutto quel grasso lo faceva sembrare più giovane e simpatico.

-Sai che ti dico? Faresti bene ad andarci pure tu prima di salire... Il viaggio non sarà lungo, ma neanche breve, e poi per tutta la serata ti verrà difficile alzarti dal posto per dirigerti ai servizi igienici, approfittiamone.

Ci dirigemmo nella stessa direzione di Trent e girammo intorno al muro di mattoni, finendo in una specie di latrina pubblica, che però al suo interno era molto più lunga di quanto non sembrasse dal di fuori.

-Vi ho visto accovacciati beatamente su quei trespoli poco fa, così mi sono assicurato di svegliarvi con una bella strombazzata, spero non vi sia dispiaciuto, eheh. Da quanto tempo aspettate?

Il macchinista ci stava parlando dalla sua cabina, alzando la voce per coprire lo sgocciolamento del suo atto fisiologico. Il mio tutore si chiuse in quella subito alla sua destra e rispose a tono:

-Dalle tre, più o meno. Non volevo rischiare di arrivare in ritardo come l’anno scorso.

-Per mille fischi! Potevate andarci a piedi ad Hogwarts per quanto vale! Avreste fatto sicuramente prima.

Il discorso finì così. Proprio in quel momento io stavo iniziando a svuotare la vescica ed il mio bisogno sembrò quasi rimbombare, a causa del silenzio improvviso in cui cadde la stanza.

Che imbarazzo...

 

Salimmo dalla carrozza posteriore del treno, per poter avere una panoramica completa del veicolo... Del resto mezz’ora in qualche modo dovevamo pur doverla far passare.

-E’ rimasto fermo per più di un mese e senza manutenzione, per questo c’era tutto quel gran polverone prima, inoltre devo mantenerlo acceso, almeno carbura un po’. Però anche se in termini di efficienza tecnologica non è il massimo, mantiene un’eleganza inarrivabile, non trovate?

In effetti aveva ragione: da fuori sembrava una riproduzione fedele di un treno d’epoca per quanto lucido e ben colorato. Nessun segno di ruggine o di grasso tradiva l’avanzata età del mezzo, eppure aveva più di duecento anni.

-La linea è quella classica degli interregionali dell’età vittoriana, ci sono alcune modifiche che lo rendono unico ovviamente, come la sala combustioni e tutti i simboli che rimandano ad Hogwarts, ma per il resto è identico ai suoi fratelli di fabbrica. Sempre che ne siano rimasti ancora di funzionanti. Questa zona solitamente la frequentano quelli degli anni superiori, perciò non pensare di fermarti qui, ti farebbero sloggiare in men che non si dica, gli studenti sono molto territoriali.

Le carrozze successive erano decisamente meno confortevoli ed eleganti della prima, non mi sorprendeva il fatto che fosse ad uso esclusivo degli studenti più grandi. Queste erano divise in cabine strette e anguste, con due seggiole lunghe ai lati di ognuna, mentre la prima aveva grandi poltrone in velluto rosso e tavolini interposti tra le diverse file di sedili, in modo da poterci appoggiare qualcosa e rendere più confortevole e rilassante il viaggio. Inoltre le stive superiori per le valigie nelle cabine erano insufficienti, se ogni studente avesse portato la mia stessa quantità di bagagli, sicuramente sarebbe finita a dover portare più bagagli a mano, mentre nella carrozza di prima classe erano molto lunghe e profonde, rendendo possibile l’impilamento di più carichi possibile.

-So che di primo impatto possono lasciare un po’ delusi, ma non sono poi così male. Sono comunque abbastanza comode e c’è certamente più tranquillità una volta chiuse le bussole. Questo perché nel modello originale l’ultima carrozza fungeva da privilegio per nobili, in quanto più lontana dal motore e dai suoi rumori e sobbalzi, inoltre, essendo alla fine, ogni curva viene attutita ed alleggerita, in altre parole è persino possibile bere del the durante il tragitto. Tutte caratteristiche che per un breve viaggio come il nostro non servono poi a molto.

-Scegli una cabina dove sederti, che posiamo i bagagli di sopra.

Non me lo feci ripetere due volte e presi senza indugio posto nella cabina di mezzo della carrozza intermedia del treno, giusto per non ritrovarmi troppo vicino agli snob o troppo vicino ai primi posti, usualmente noti per ospitare i reietti della società: speravo di aver fatto una buona scelta.

-Hai deciso qui? Possiamo entrare Trent?

-Dipende, ha il biglietto?

Ser Richard si stava voltando per chiedermi di esibirmi, ed io stesso lo stavo prendendo senza necessità di farmelo dire, quando il macchinista si mise a ridere:

-Stavo scherzando, certo che potete! Ahahah!

Il mio tutore impilò tutti i miei bagagli nelle portantine sopra i posti a sedere, visto che era alto, mentre io tenevo in mano la gabbia di Muthsera.

-Quella invece la terrai a fianco o tra le gambe, una frenata improvvisa potrebbe farla sbalzare e ferire il tuo animale, ok?

Affacciandomi dal finestrino che dava alla fermata ferroviaria scorsi i primi arrivati che, come me, dovevano partire alla volta del nuovo anno scolastico: genitori, studenti e fratelli più piccoli si abbracciavano, si stringevano tra loro e accarezzavano il volto in segno di commiato. Era toccante assistere a quelle scene, e mi riportarono alla memoria i miei famigliari, facendomi risentire nostalgia di casa.

-Beh, ci siamo. E’ ora di salutarci anche noi, credo. Non posso stare qui, non sono autorizzato e se mi becca un genitore poi Trent sarebbe obbligato a cacciarmi in mal modo. Stringiamoci la mano come fanno i veri uomini e diamoci appuntamento a dicembre, quando per le feste natalizie ti porterò dai tuoi. Fatti tanti nuovi amici, sii rispettoso e studia, che ne va del tuo futuro. Ma queste sono tutte cose che di sicuro già sai, i tuoi genitori ti hanno educato bene. Tieni queste monete, durante il viaggio passerà per le carrozze una vecchia signora con un carrello di dolciumi, prendi quello che vuoi sempre senza esagerare o ti verrà il mal di pancia. Ciao ragazzo.

E come al solito mi passò la mano fra i capelli, che trovava sempre troppo folti, per scombinarli un po’ e vedermi rimettermeli in sesto. Ser Richard non era visivamente commosso, ma aveva un tono di voce un po’ smorzato, che produceva in me un senso di tristezza che mista all’eccitazione della nuova esperienza, tramutava tutto in un turbinio di sensazioni confuse. Ero conscio del fatto che non l’avrei rivisto per un bel po’, ma la mia mente, forse per auto proteggersi, mi faceva credere che l’indomani mi sarei ritrovato ancora al Paiolo Magico a fare prove sul povero Muthsera. Solo quando scese dal treno e da dietro il vetro lo vidi allontanarsi verso la massa di gente in attesa di veder partire i propri figli, la mente iniziò ad elaborare meglio il tutto. “Resterò qui fino a quando non ti vedrò partire” ripeteva il labiale di ser Richard e, una volta chiuso nella mia cabina e la gabbia di Muthsera tra le braccia, sciolta la tensione, un paio di lacrime finalmente scesero lungo le mie guance.

 

-E’ permesso? Posso?

Un ragazzino, dall’aria un po’ preoccupata, aprì la bussola della mia cabina per chiedermi, evidentemente, di poter sedere accanto a me.

-Certo.

-Oh, grazie. Le prime sono tutte piene o se non lo sono, chi le occupa non vuole che ci entri per niente al mondo, per fortuna qui c’eri tu, o avrei dovuto fare l’intero viaggio in piedi. Ah, piacere, mi chiamo Miller, Miller McBumble.

Mi porse la mano sinistra, mentre con la destra slegava i lacci dei bagagli e li buttava nella stiva superiore.

-Io sono Emanuele...

-Si, lo so che è un cognome strano, ma è irlandese. Mio nonno era dell’Irlanda e quindi... Scusa, che stavi dicendo?

-Il mio nome, sono Emanuele...

-Emanuele! Che bel nome lungo... Che significa?

Basta, non ci provo più a presentarmi per intero...

-E’ un nome abbastanza comune in Italia...

-Sei italiano allora, figo! Mio nonno ammazzava gli italiani in guerra, perciò me ne ha raccontate parecchie di strambe storie sul vostro esercito!

Ah, bene...

Fortunatamente l’interessante discorso venne interrotto da due signorine che cercavano disperatamente dove sedersi.

-Grazie al cielo qui è in parte libero. Vieni, ne ho trovata una!

La ragazza che aveva aperto la bussola era vestita di giallo e rosso: gialle la camicia a maniche corte e le calze di lana, rossi la gonna a righe, le decolleté e i dettagli degli altri indumenti. L’altra invece aveva un completo di seta bianco e verde, evidentemente troppo leggero, visto che si era fatta prestare la felpa rossa dalla sua amica. Entrambe entrarono senza aggiungere altro e, aiutandosi l’un l’altra, sistemarono le proprie cose dal lato opposto al nostro. Una volta accomodate, il mio vicino si sbottonò:

-Ciao, come vi chiamate?

-Io mi chiamo Amanda Queen, Amy per gli amici.

Rispose quella vestita di giallo.

-Io Kathleen Fadden, solitamente mi chiamano Kat.

Aggiunse l’altra.

-Kathleen, che bel nome che hai! Leggero e femminile, non come Amanda.

-Ma voi due non vi conoscete?

-No, ci siamo incontrate poco fa, entrambe cercavamo un posto e...

-E per fortuna Amanda si è rivelata un’ottima persona: ha visto che avevo freddo e mi ha prestato la sua giacca a vento!

-Non esageriamo, io avevo troppo caldo, tu troppo freddo... Ci siamo aiutate a vicenda!

-Già, in qualche modo è andata così. I miei hanno insistito che indossassi questo vestito che è elegante, ma è decisamente troppo leggero per oggi. E dire che ieri era una così bella giornata!

-Abbiamo genitori totalmente diversi: i miei mi hanno obbligato ad indossare questo completo della mia vecchia scuola, è tremendo, non trovi? Meno male che ad Hogwarts avremo nuove uniformi!

E ridacchiarono un po’. Miller, sentendosi in obbligo a far parte della conversazione si insinuò e ci presentò:

-Amy e Kat, piacere. Noi siamo Miller McBumble e...

-No, Amanda.

-Avevi aggiunto che ti fai chiamare Amy...

-Dagli amici! Siamo amici noi due per caso?

Un sorrisetto mi si stampò in faccia per la cattiveria di quella frase che disintegrò l’umore del mio vicino, ma per fortuna nessuno lo notò.

Twaaaaaaath!

Il treno iniziò a fischiare e sbuffare; quel grigio polverone tornò ad espandersi per l’aria, oscurando gran parte della visuale. Dal mio lato non riuscivo a vedere ser Richard comunque, perciò non provai a cercarlo con lo sguardo essendo del tutto inutile, e poi il motore del treno era appena entrato in regime, sarebbe stato incauto alzarsi proprio durante la partenza.

-Stiamo partendo...

-Già, ciao ciao Londra, sei troppo caotica per i miei gusti!

Amanda salutò con la mano Londra nonostante fossimo in aperta campagna e tutti gli altri la imitarono.

 

-Amanda Queen... Non sarai per caso parente di...

-Esatto, proprio lei! E’ mia zia.

-Wow, che effetto fa essere nipote di Samantha Queen?

-Beh, è più famoso il suo nome che lei. Spesso la gente nonostante la sua fama non la riconosce e quindi le occasioni in cui qualcuno le richiede autografi o fotografie sono ben rare...

Questa volta ero io ad essere curioso di sapere di chi si stava parlando, perciò le domandai:

-Tua zia è famosa?

-Mi chiedi se mia zia è Famosa? Samantha Queen? La più importante scrittrice di romanzi dei nostri tempi?

Amanda aspettava qualche risposta da Miller, ma questi, sia perché attonito dalla risposta secca di prima, sia perché non sapeva che cosa dire, rimase in silenzio.

-Allora è vero che i ragazzi non leggono! Che ignoranti...

-Sua zia ha scritto molti romanzi rosa e qualche noir, e sono tutti abbastanza famosi.

-Togli l’abbastanza. Il bacio del Dissennatore, ad esempio, ha venduto più di due milioni di copie in tutto il mondo, ed è solo uno dei suoi cinquanta e più romanzi... Io li ho letti quasi tutti. Tranne quelli che mi hanno proibito di leggere, troppo crudi a detta di mia madre.

-Quel libro non l’ho mai letto, ma lo conosco di fama.

Miller, sentendosi messo in cattiva luce, provò a riscattarsi:

-Io ho già sentito questo nome, Dissennatore... E’ un corpo di polizia, vero?

Ovviamente la risposta era erratissima e lo sguardo di Amanda trasudava disprezzo e biasimo da tutti i pori. Ma la sua risposta fu pacata, stavolta.

-No, tutt’altro. Anzi, ora che mi viene in mente c’è una storia divertente di me piccina alle prime prese con quel libro...

-Dai, racconta!

Tanto parli solo e sempre tu...

-Il titolo del libro sembra qualcosa di romantico, no? Il termine “bacio” è in genere legato a qualcosa di positivo, per di più la copertina del libro presentava una rosa in punto di appassimento, che poteva significare un amore stantio... Così lo presi e ne lessi qualche capitolo. Poi capii cosa effettivamente fosse un Dissennatore e non riuscii a dormire per almeno una settimana.

-E perché, cos’è?

La curiosità stava corrodendo sia me che Miller, ma molto più lui, visto che ormai pendeva dalle sue labbra.

-E’ una guardia un po’ spettrale del carcere di massima sicurezza di Azkaban, vero?

Fu Kathleen a parlare, prima che rispondesse Amanda, in modo da dimostrarle di non essere sul nostro stesso piano di ignoranza.

-Esatto, Kat.

-Ma allora sono dei poliziotti come avevo detto io!

Questo era Miller, che cercava disperatamente di sembrare meno patetico possibile, ottenendo l’effetto contrario.

-No, non è affatto un poliziotto. Fa la guardia ai carcerati, è vero, ma non diversamente di come uno squalo potrebbe farla ad un relitto. Sono spettri il cui unico scopo è divorare le anime delle proprie vittime. E lo fanno proprio col Bacio del titolo.

-Ma è terribile! Come possono permettere a questi esseri di girare a piede libero?

-Servono da deterrente a chiunque voglia delinquere, credo. Anche se pure io sono del parere siano troppo  crudeli anche per un lavoro del genere. Intuirete la strizza che ebbi quando lessi quelle pagine... Da quel momento, ogni volta che combinavo un pasticcio i miei genitori utilizzavano il ricatto del “Ora chiamo il Ministero e ti faccio portare via da un Dissennatore”, che perfidia.

Del suo shock infantile non me ne importava granché, invece ero curioso di sapere da dove venisse quello strano nome.

-Cosa significa Dissennatore?

-Non ne ho la più pallida idea, probabilmente lo impareremo a scuola, perché vuoi saperlo?

-Perché se come dite voi si parla di uno spettro divoratore di anime, perché chiamarlo in modo così ridicolo?

-E scusami, dove sarebbe ridicola la parola Dissennatore?

-Dove? Se scambi un paio di lettere diventa Demente...

-E con questo? Ti fa ridere la parola demente?

Evidentemente in inglese non è visto come un termine offensivo...

-Ehm, lui è italiano, forse da loro demente fa ridere, boh?

Miller cercava invano di proteggermi dagli sguardi accusatori delle due ragazze, indubbiamente era portato per l’arrampicamento sugli specchi.

-Sei davvero italiano? Che ci fai qui?

Kathleen era molto incuriosita sulla mia provenienza e Amanda quanto meno non sembrava contrariata alla sua domanda, perciò forse avrei potuto parlare un po’ di me senza preoccuparmi di venir mangiato a parole.

-Sì, in realtà potevo scegliere tra Inghilterra, Francia e...

Clank!

Il treno vibrò per un attimo producendo un suono metallico, poi si spensero le luci, tremò ancora una volta e dopo qualche secondo tornò tutto come prima.

-Cos’è stato?

-Sarà uno sbalzo di corrente.

-Ed uno sbalzo di corrente fa balzare i treni? No, si deve essere rotto qualcosa...

-Se si fosse rotto qualcosa avremo certamente deragliato.

-In effetti è vero, allora cos’era?

-Non lo so, ma sicuramente non è importante, altrimenti ci saremmo fermati.

-Brrr, non so voi ma io incomincio a sentire freddino nonostante il cardigan.

Miller aveva ragione, la temperatura era scesa parecchio da quando lasciammo Londra.

-Mi sa che è ora di cambiar abito, mettiamoci le divise della scuola: saranno più calde.

Le due ragazze si alzarono per prendere i borsoni in cui avevano riposto i loro indumenti e ci fissarono per un po’.

-Allora?

-Cosa c’è?

-Uscite che dovremmo cambiarci?

-Dobbiamo uscire? E dove?

-E che ne so, qua fuori, solo per un po’... Non vorrete rimanere a guardarci mentre ci spogliamo, no?

-Assolutamente no. Miller, andiamo.

-Che pazienza ci vuole con voi ragazzi, vi si deve spiegare proprio tutto. Non sbirciate, eh! Che ce ne accorgiamo!

Fuori dalla cabina tutto appariva molto più lento: le grandi finestre coprivano un raggio visivo più ampio, così il treno impiegava molto più tempo a far sparire dalla vista dei determinati elementi dello scenario. Sembrava che quel viaggio non finisse mai, il panorama era sempre lo stesso. Non eravamo i soli a bazzicare per il corridoio, anche altri studenti, per lo più degli ultimi anni, si erano dati appuntamento fuori dalle cabine per chiacchierare e scherzare con le proprie comitive. Non avendo invece molto da dire al mio compagno, mi concentrai a guardare fuori dal finestrino. Il penultimo vagone aveva però una strana aura nera che le fluttuava attorno; dapprima mi sembrava fosse uno strano fenomeno ottico, poi capii che la cosa era viva e si muoveva linearmente al treno. Ad un tratto lo strano fluido scuro entrò dalla seconda porta a soffietto della carrozza, provocando l’ennesimo sobbalzo all’intero veicolo.

-Sta succedendo qualcosa, è entrata una strana ombra da quella parte, non è un malfunzionamento.

-L’ho vista pure io, dobbiamo dirlo a qualcuno... Ehi, avete visto pure voi?

Allertati sia da Miller che da un membro del loro stesso gruppo, i ragazzi più grandi che alloggiavano nelle cabine dietro a noi si rintanarono subito nelle loro cuccette, dimostrando tutto il loro coraggio.

-Emanuele... La carrozza dove è entrata quella cosa... Adesso è al buio!

Dovevamo fare qualcosa, o almeno avvertire Amanda e Kathleen.

-Ragazze, stiamo aprendo, spero abbiate finito!

-No che non abbiamo finito, che avete intenzione di...

Anche le luci del nostro vagone si spensero totalmente, ma non per pochi secondi stavolta. Aprimmo la porta e ci infilammo nella cuccetta come due razzi.

-Che sta succedendo? Perché siete entrati?

Amanda era già pronta, mentre Kathleen doveva ancora mettersi calze e scarpe. Anche se si trattava di indumenti poco intimi, la ragazza era molto imbarazzata.

-Non lo sappiamo, ma qualcosa sta entrando in ogni carrozza del treno provocando questi blackout. Anche i ragazzi più grandi sono terrorizzati, perciò non è una cosa normale...

-Certo che non lo è, ma questo non vi autorizza ad entrare mentre due ragazze si cambiano! Uscite e...

Un urlo femminile provenne dalla cabina dietro la nostra, poi il silenzio. L’opaco vetro della porta proiettò un’ampia ombra, che sembrava stesse avvicinandosi sempre più- Una volta che raggiunse l’adeguata distanza, Amanda e Kathleen appresero con terrore a cosa essa apparteneva.

-Dissennatori!

 

[N.B.: Dissennatore in inglese si dice Dementor, per questo Emanuele lo trova simile alla parola italiana demente]

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Capitolo 11
*** Il Cappello Parlante ***


Dissennatori? Quei Dissennatori? Non ha senso... Perché mostri del genere dovrebbero assalire un treno di studenti? E perché apparire proprio ora, appena dopo il nostro discorso sul loro Bacio?

Quelli furono più o meno i pensieri che mi frullarono per la testa, in quei terribili secondi in cui attendevamo che l’ombra proiettata sul vetro si trasformasse in qualcosa di più tangibile e mortale.

Dai movimenti poco decisi della sagoma, si poteva intuire che lo spettro non era molto convinto se entrare o meno; si avvicinava e allontanava, come se stesse aspettando una qualche reazione o ordine per aprire ed attaccare. In quei momenti fu inevitabile scambiarci qualche occhiata terrorizzata, avrei preferito che avesse aperto subito quella dannata porta per mettere fine alla tortura uccidendoci, ma solo alla fine si decise.

La porta si spalancò di colpo, come animata da una forza invisibile, e dalla penombra spuntò fuori un volto incappucciato. Non era affatto incorporeo come me l’ero immaginato, era fatto di carne, o almeno, sembrava che l’avesse. Era più che altro un ammasso di tessuto secco e raggrinzito, che non aveva più nulla di vivo. Pelle, muscoli e organi: niente di tutto ciò si distingueva ormai. La bocca era un largo foro al centro della faccia, non più delimitato dalle labbra, ma da spaccature e crepe che ne scavano i contorni. Non aveva occhi, o almeno non ne avevo visti, e le mani erano sottili come quelle di uno scheletro, anche se possedeva unghie e mostrava delle rughe alle estremità delle falangi. Il resto del suo corpo era totalmente avvolto da una stoffa nera come la notte, che si prolungava estendendosi fino a sparire totalmente in una nube di fumo scuro; attorno aleggiava un’aura gelata che ghiacciava qualsiasi cosa, anche gli animi.

Mentre io continuavo a scrutarlo attonito, i miei compagni di viaggio erano totalmente angosciati: Kathleen guardava un punto fisso davanti a sé ed ansimava, come in preda all’asma, mentre Miller ed Amanda erano rannicchiati su se stessi con gli occhi chiusi, forse sperando che alla loro apertura l’essere fosse sparito dalla vista.

Il più irrequieto comunque rimaneva il non morto che, come se ci stesse visionando nel profondo, continuava a rivolgere quella sua sudicia bocca da un malcapitato ad un altro, cambiando ogni tanto angolatura. Ad ogni suo spostamento, la stoffa con cui era avvolto riempiva l’aria come se fosse eterea, non materiale, rendendomi impossibile capire quali fossero le sue intenzioni, dato che non mi dava la possibilità di vederlo con chiarezza in volto. E così lo notai.

Per qualche strano motivo il Dissennatore aveva categoricamente escluso la mia persona dai suoi interessi, rivolgendosi alternativamente agli altri miei compagni. Passava furiosamente da una testa all’altra, sporgendosi di tanto in tanto con il petto in avanti, ma sempre preferendo la direzione delle ragazze. Ad un tratto, interruppe il suo rito e decise di andarsene, così com’era entrato.

Non eravamo ancora al sicuro ovviamente, ma ci sentimmo decisamente sollevati. Strano come nonostante sapessimo che il Dissennatore adesso si trovava proprio una cabina davanti a noi, il pericolo sembrava davvero scampato. Stavo quasi per chiedere agli altri se stessero bene quando Miller scoppiò:

-Che diavolo ci fa un Dissennatore sul treno?

Effettivamente era una bella domanda.

-Non ne sono sicura, ma credo di averlo capito. C’è un solo motivo plausibile per cui un Dissennatore si sia potuto allontanare liberamente.

-Non dovrebbero stare di guardia ad Azkaban?

-Appunto, lasciami finire. Lui sta continuando a servire il carcere, anche qui, adesso.

Io e Miller ci scambiammo uno sguardo di smarrimento.

-Eh?!?

-Dico... Oltre a non leggere romanzi, non leggete nemmeno i giornali voi maschi? La Gazzetta del Profeta ne parla da mesi...

-Parli del fuggitivo?

-Sirius Black?

-E chi sennò. Ovvio.

Era ovvio un cavolo.

-Ma non ha senso venirlo a cercare qua: perché dovrebbe salire su un treno di ragazzini diretti ad una scuola?

-Stiamo sempre parlando di un pazzo, potrebbe fare la qualsiasi...

-Ma possono salire solo gli studenti, un adulto non passerebbe inosservato!

-Ricordi? L’evasione? Dal carcere di massima sicurezza per maghi? Cosa vuoi che sia per lui un trenino!

Effettivamente aveva ragione, ma il fine non giustificava certamente i mezzi, non questa volta. Scagliare dei Dissennatori su un treno pieno di minorenni era semplicemente assurdo.

-Ora che ci penso, mi ricordo d’aver visto un signore di una certa età in una delle cabine della prima carrozza, ma non mi ci sono seduto accanto, non mi andava di fare un viaggio con un tipo del genere...

Questa confessione di Miller era sconvolgente, anche se lui non se n’era ancora reso conto.

-Era Black?

-Non lo so, non l’ho visto in volto, era avvinghiato in una coperta, stava dormendo.

-Comportamento sospetto, forse si nascondeva.

-Chi si nasconderebbe in maniera così grossolana?

Era evidente che Miller cercava di trovare qualsiasi prova per dimostrare che quell’uomo non fosse davvero Sirius Black, altrimenti il suo errore nel non averlo detto prima a qualcuno non avrebbe avuto scusanti.

-E chi invece riuscirebbe a dormire in un treno così affollato e chiassoso?

-Forse s’è addormentato prima, salendo quando il treno era appena arrivato. Poi, sai com’è, c’è chi una volta chiusi gli occhi non si sveglia manco con le cannonate...

-Non può essere. Io sono salito per primo e non c’era nessun altro a bordo oltre me fino all’arrivo dei primi studenti. Deve essere salito con voi.

Questa volta ero io a controbattere i tentativi di difesa di Miller. Alla mia rivelazione, comunque, era ormai chiaro che fossero rimasti ben pochi dubbi sul fatto che quell’uomo fosse il Sirius Black ricercato dai Dissennatori, il che ci metteva in un pericolo ancor maggiore rispetto a prima, visto che stavamo parlando di un pluriomicida.

Dopo un lungo silenzio un fascio di luce colpì l’intera cabina, facendoci sobbalzare tutti. Il Dissennatore, accartocciato come un cappotto portato via dal vento, volò lungo la corsia di passaggio, sfrecciandoci davanti come in preda al terrore.

E ora che succede?

Credo fu il pensiero dell’intero gruppo.

Un uomo attraversò dinanzi a noi, inseguendo lo spettro.

-E’sicuramente lui!

-Lui?

-Sì, l’uomo di cui stavamo parlando un attimo fa! Sirius Black!

-Ed è riuscito a scacciare uno di quei cosi? Come avrà fatto?

-Chi se ne importa, ora sarà furioso!

Clang!

Dopo quel suono metallico di portellone che sbatte con violenza, l’uomo incriminato ripassò di fronte la nostra cabina, spedito e alquanto arrabbiato.

-Iiiihhh!

Non riuscì a trattenersi Kat; era sul punto di piangere.

-A me, comunque non sembra lui: è molto meno barbuto.

-Si sarà camuffato, è ovvio! Non ci vuole molto... Credo.

Niente da fare, ogni tentativo di attenuare la tensione da parte di Miller, finiva sempre demolito da un’osservazione mia o di Amanda.

Una figura alta e snella si stagliò con prepotenza su di me, che mi ero leggermente affacciato per seguire i movimenti del sospetto che, nel frattempo, era tornato alla prima carrozza. Era un giovane alto e slanciato, sui sedici anni o giù di lì, con un viso abbastanza tranquillo, ma con fare arrogante. Ovviamente non aveva nulla di spaventoso, ma viste le circostanze, la sua apparizione improvvisa mi fece sobbalzare.

-State tutti bene? Qualche morto? No? Benissimo, ora arriva la baby sitter!

E si dileguò, con la stessa velocità con la quale era venuto...

-Scemo, siamo entrambi prefetti, non puoi andartene così e lasciare tutto a me!

Una ragazza dai capelli biondi della stessa età del ragazzo di prima urlò tali parole al vento, dato che quest’ultimo era già sparito dopo aver fatto un rapido censimento delle restanti tre cabine.

-Siete del primo anno, vero? Poveracci, sarete sicuramente terrorizzati... E’ tutto finito ora, siete al sicuro. Vedete quello di prima era un Dissennatore, una creatura...

-Lo sappiamo, s-signora...

L’occhiataccia che rivolse la ragazza a Miller dopo che pronunciò la parola ‘signora’ fu forse più spaventosa del Dissennatore stesso.

-Come dicevo... Il professor Lupin li ha scacciati entrambi dal treno e si sta assicurando che non subiremo altre visite del genere. Inoltre ci ha chiesto di informarvi sui fatti e assicurarci che stiate bene e che assumiate un po’ di zuccheri per riprendervi dagli eventuali shock. Ora passerà la signora dei dolci e chiedetele del cioccolato, qualsiasi andrà bene, offrirà il professore. Basta che non esageriate! Se avete bisogno, ci troverete in giro per il treno, a controllare che tutti stiano bene, ma vedo che voi a parte per la paura, state benone. Continuo il giro, ciao!

Poco dopo però tornò per aggiungere un’altra informazione:

-Stiamo per arrivare ad Hogwarts, fareste bene a cambiarvi anche voi maschietti.

Per un paio di minuti che sembrarono un’eternità, dopo il congedo della sedicenne, restammo in totale silenzio ed imbarazzo; Kathleen, poi, era perfino rimasta per tutto il tempo scalza e, complice la mancanza di distrazioni su cui dirigere gli sguardi, finimmo tutti e tre per osservarle i piedi contemporaneamente, facendola diventare rossa come la sua valigia.

-E per favore, uscite da qui!

Amanda sbottò contro di noi nonostante fosse anche lei complice dell’atto.

Io e Miller ci fiondammo subito alla porta, ma nel corridoio c’era più folla che dentro le cabine: i ragazzi erano quasi tutti fuori per chiedere informazioni, per vedere se qualcuno se l’era fatta addosso o semplicemente per fare quattro chiacchiere e diminuire lo stress accumulato, perciò ci ritrovammo ben presto premuti contro il finestrino della carrozza ancora congelato dalla visita dei due simpaticoni di prima.

-Che roba, eh?

Stavolta ero io a cercare di rompere un po’ il ghiaccio, almeno quello metaforico, visto che quello vero ci stava surgelando le spalle.

-Incredibile, spaventoso certo, ma incredibile... Guarda, ci scherzano già su. Io credo non riuscirò a dormire stanotte.

Volevo rispondergli di stare tranquillo e non esagerare quando Amanda aprì la bussola per darci il cambio; dopotutto Kathleen doveva solo mettersi delle scarpe.

Una volta faccia a faccia con i miei nuovi indumenti mi accorsi di non sapere affatto cosa dovessi mettermi, ma cercando di ricordarmi l’aspetto dei ragazzi delle altre stanze, alla fine optai per il completo autunnale, più la mantella che già Amanda e Kat avevano indossato.

-Hai notato se, forse quello che ti sto per dire ti sembrerà un tantinello strano, oltre alla paura per il Dissennatore stesso hai provato altre tipi di paure?

Più che un ‘tantinello’ la trovavo proprio assurda quella domanda. E ci si metteva pure la camicia che non voleva saperne di allacciare l’ultimo bottone.

-No, almeno non credo, spiegati meglio...

-E’ difficile da spiegare, ma è come se... Mi avesse portato alla mente un sacco di brutti ricordi. Io ho da sempre una fifa blu per le vespe, non sto a raccontarti ora il perché, ma vedi, da piccolo passavo intere estati nella villa al lago dei miei nonni e...

-Sì?

Cercai di interrompere l’aneddoto, altrimenti non saremmo mai arrivati al punto.

-Scusa, sì, il punto è questo: vedevo le vespe! Ma non qui sul treno, nella mia testa, insomma, sapevo che non c’erano, eppure non potevo fare a meno di averne paura! Erano in centinaia e mi ronzavano intorno, anche chiudendo gli occhi le vedevo sciamare ovunque, e mi pungevano con cattiveria... Ad un certo punto mi ero quasi dimenticato del Dissennatore, tant’è che stavo per alzarmi per fuggire dal nugolo... Assurdo, no? A te è successa una cosa simile? O sono io un caso disperato?

Questo spiegava il perché tenesse gli occhi chiusi, comunque io non avevo provato nulla di tutto ciò, perciò cercai di essere meno insensibile possibile nel dirgli in maniera delicata fatti visitare.

-Nono, per fortuna. Anche se forse più che a me dovresti chiedere ad Amy e Kat, le ho viste particolarmente scosse, durante la visita del nostro amico.

-Si, come no... Quelle due già mi odiano, figurati se gli vado a chiedere se hanno rivissuto momenti spaventosi della loro infanzia... Non se ne parla.

Effettivamente...

Toc! Toc!

-Avete finito? Ci state mettendo più di noi! La signora col carrello è qui, dovete prendere qualcosa?

-Sei pronto Emanuele?

Feci cenno di sì con la testa, tanto mi mancava solo di stringere la cravatta e mettermi la mantella, che di certo non erano passaggi che necessitavano di particolare intimità.

-Qualcosa dal carrello, cari?

Una piccola e grassoccia signora, che a malapena si distingueva dal carrello portavivande, attendeva le nostre ordinazioni. Il problema era che non sapevo affatto cosa prendere, erano tutti dolci sconosciuti per me.

-Una cioccorana!

Partì a razzo Miller. Kathleen sembrava propensa a seguire il suo esempio, ma alla fine si fece guidare dal giudizio di Amanda e prese una Bacchetta di cioccolato fondente, che aveva meno calorie di quello al latte. Quando Miller però aprì la scatola e ne rivelò la presenza di una rana viva tutta fatta di cioccolato, fugai ogni dubbio e ne presi una pure io.

-Accidenti, ma che figata!

-Non l’hai mai mangiata? Non la vendono in Italia? Il primo morso non si scorda mai!

Ormai Miller parlava con la bocca colma di cacao e le guance sporche come quelle di un bambino. Ma non era del tutto colpa sua: la rana tendeva sempre a sgusciare di mano, perciò l’unica soluzione era quella di ficcarsela in bocca il più in fretta possibile, per limitare i danni all’immagine. Le zampette che si muovevano sia dentro che fuori le gote poi, rendevano tutto più divertente e macabro allo stesso tempo. Ma il cioccolato era comunque favoloso.

Dopo essermi ripulito a fondo mani e mento, visto che il cioccolato era arrivato fin lì, notai uno strano cartoncino pentagonale.

-E’ una figurina Streghe e Maghi Famosi, a dire il vero ci sono pure vampiri, bestie e draghi, ma all’inizio della raccolta c’erano solo i maghi più famosi, perciò mantiene ancora il nome. Non ne ho moltissime, ma nemmeno poche, contando i doppioni credo che arrivi a 200 figurine più o meno, ma conosco gente che ne ha molte di più. Non so se consigliarti di iniziare la collezione, alla lunga diventano un’ossessione, ma secondo me, ne vale la pena... Chi hai trovato?

-Qua dice... Barnaba il Babbeo. E’ un tizio messo in una stramba posizione e che prende bastonate praticamente da tutte le parti. Ahahah, ma chi è? Non può essere esistito veramente.

-Ah, bella, mi manca, sei stato fortunato, non è molto comune. I maghi meno famosi sono anche i più rari. Non posso dirti se la sua storia sia vera o meno, ma solitamente lo sono, almeno se non prendiamo personaggi molto antichi le cui figure si mischiano alle leggende, comunque se vuoi saperne di più dovresti ordinare un Folio Magi tutto per te. Ma guarda, di nuovo Derwent Shimpling, ne ho già due di questa, facciamo uno scambio?

La sua figurina era simpatica: un omone tutto viola in viso che sembrava stesse per vomitare da un momento all’altro; anche se non batteva di certo la mia, in quanto a strampalaggine. Lo scambio non l’avrei mai accettato.

-No, è la mia prima figurina... Piuttosto, cos’è il Folio Magi che hai nominato poc’anzi?

-E’ il raccoglitore ufficiale della collezione. Lo ordini per posta e ti arriva comodamente a casa, oltre a questo comunque ti permette di leggere brevi descrizioni sui protagonisti delle immaginette, è divertente. Col primo ordine arriva sempre Merlino, la figurina numero uno. Infatti è la meno rara.

-Ci sto, mi hai messo curiosità, voglio collezionarle anch’io!

-Bene, magari potremmo fare qualche scambio in futuro...

Crunch!

Amanda aveva volutamente attirato l’attenzione mordendo rumorosamente la sua bacchetta di cioccolato per indicarci di smetterla con quelle bambinate, e prese la parola:

-A proposito di rospi, discorsi ripugnanti e cose del genere... Cos’è quella bestia che hai sotto il sedile?

Indicava la gabbia del mio serpente: lo avevo totalmente dimenticato. La sollevai e ne mostrai il contenuto agli altri, facendo attenzione a non tradirmi con le parole.

-E’ un tritone imperiale, il più grosso della sua specie. Nonostante sia un anfibio, può rimanere fuori dall’acqua per molto più tempo rispetto i suoi simili e mangia anche di più. Sarà il mio animale da allenamento.

-Ed è regolamentare? Nella lettera non era mica menzionata la sua specie...

-Beh, si, mi sono informato prima, certo... Ed i vostri animali?

-Io utilizzo il gufo di mia sorella maggiore, ce l’ha lei nella sua cabina in questo momento.

-Anch’io userò un gufo, dovrebbe arrivarmi domani, con la posta dai miei genitori.

-Idem.

Furono le risposte di Amanda, Kathleen e Miller, in ordine. A quanto pare i gufi andavano per la maggiore.

-Del resto comprarsi un gufo è necessario per poter scambiar della corrispondenza, tanto vale usarlo per entrambi gli usi e risparmiare qualche soldo e preoccupazione. L’unico vantaggio di usare due animali è che non dovrai andare ogni qualvolta ti serve in guferia per prelevarlo e portarlo a lezione. Ben poca cosa comunque, visto che alla fin fine dovrai recarti lì per forza almeno una volta al giorno per non farlo morir di fame. Spero non ti sia costato troppo, quel coso.

-No, figuratevi, il negoziante mi ha fatto un prezzo di favore. Praticamente regalato.

-O meglio, rubato.

Visto che Muthsera dovette dire per forza la sua, decisi di riporlo al suo posto, sotto i sedili, al buio.

Ormai era tarda sera e mancava poco all’arrivo.

 

L’arrivo ad Hogwarts fu preannunciato in largo anticipo dal boato eccitato degli studenti delle cabine della prima carrozza che, vedendo le luci del castello in lontananza, iniziarono a festeggiare. Non li si poteva di certo biasimare, dato che la vista era uno spettacolo mozzafiato.

-E’ la scuola, diamine, è Hogwarts, non ci posso credere, è tutta la vita che aspetto questo momento!

Miller stava letteralmente saltando dalla sua poltrona, ma anche se più pacate, persino le due ragazze erano evidentemente commosse. Io invece non sapevo come sentirmi esattamente: ero elettrizzato, certo, ma a differenza loro, non ho mai nutrito lunghe attese e desideri per questo luogo, del resto fino a qualche settimana prima, nemmeno ero a conoscenza dell’esistenza della magia. Mi ritenevo un po’ un intruso, un imbucato ad una festa a cui non ero gradito, o meglio, invitato per cortesia all’ultimo momento.

Più ci avvicinavamo al castello e più si faceva imponente, eppure era ancora lontanissimo oltre la collina. A causa del buio,  il contorno delle sue forme era spesso indefinito, e le torri più esili e le aree più arretrate, si confondevano con il cielo stellato, creando l’illusione che Hogwarts stessa confinasse con la luna. Magico.

Il fischio del treno ci indicò che eravamo arrivati al capolinea e che il viaggio era finito.

Presi le valigie e poggiai Muthsera su quella più grossa, per ingombrare meno spazio possibile, e mi avviai assieme agli altri all’uscita. Uno ad uno scendemmo i gradini delle varie carrozze e ci stringemmo attorno all’unico lampione della fermata, grandi e piccini, maschi e femmine: eravamo un unico corpo, che condivideva le stesse emozioni.

Il casello era in pietra e con gli infissi in ferro e dietro di esso c’era un ripido viale roccioso scarsamente illuminato che portava ad un ampio cancello spalancato, l’unica apertura dell’imponente muraglia che circondava il castello. Più in là non si riusciva a vedere per via dei boschi e dell’inclinazione del terreno, perciò mi concentrai ad osservare l’ambiente circostante. Il nostro gruppo non si era in realtà raggruppato per stare vicino ad una fonte di luce, ma perché sotto di essa giacevano dei larghi tronchi catastati gli uni sugli altri seduto sui quali vi si trovava un omaccione grosso e barbuto.

Messosi in piedi, l’uomo sembrò ancor più grande, ed avvicinandosi ulteriormente, raggiunse dimensioni davvero gigantesche. Dato che il bambino in prima fila gli arrivava a malapena alle ginocchia, arrivai alla conclusione che fosse alto poco meno del triplo dell’altezza di un undicenne, ma molto più grosso e peloso. Non sembrava affatto pericoloso comunque, ed anzi mostrava un sorriso divertito. Quando aprì la bocca, portandosi la mano sinistra sulla guancia e la destra sopra la testa scuotendo la lampada tolta poco prima dal suo piedistallo, tuonò:

-Primo anno! Primo anno! Studenti del primo anno, seguitemi! Da questa parte, prego! Seguitemi!

Dalla folla generale, una fiumana di piccoli ragazzini, serpeggiò in direzione dell’uomo corpulento per seguirlo fin dove avesse detto; l’aria era frizzante e pungente, se fosse stato un qualsiasi altro giorno dell’anno avrebbe anche dato fastidio, ma non lì, non in quel momento: era il clima ideale per stemperare i nostri bollori e accompagnarci energicamente verso la nostra direzione. Le foglie degli alberi danzavano assieme alle fiamme delle lanterne, in un caleidoscopio di ombre e luci che si proiettavano su di noi. Le acque scure del lago che raggiungemmo riflettevano ogni minima fonte di calore, dalla lampada in mano all’omone alle luci degli alloggi di Hogwarts, increspandole ed espandendole verso l’orizzonte, come se venissero spalmate nella notte.

C’erano una dozzina di piccole imbarcazioni di legno ormeggiate sulla riva del lago, in ognuna delle quali potevano salire all’incirca tre o quattro bambini.

-Su, ragazzi! Ognuno carichi i propri bagagli sulla barca che le spostiamo in acqua.

La gigantesca palla di pelo si rimboccò le maniche ed iniziò a spingere le barchette che erano già cariche e ci sistemò sopra, poco prima che prendessero il largo, gli studenti, prendendoli in braccio. Anche io, Miller e le due ragazze fummo disposti su una di quelle imbarcazioni ed iniziammo la traversata.

Le barche si muovevano autonomamente, niente e nessuno le trainava o usava i remi per manovrarle, semplicemente andavano avanti. Il lago era molto vasto e a causa dell’oscurità non se ne vedeva con esattezza la riva opposta, ma era comunque chiaro che stavamo facendo il giro largo del castello, poiché vedevo che i ragazzi degli altri anni erano già in dirittura d’arrivo, mentre noi eravamo ancora in alto mare.

Il viaggio fu abbastanza lungo, così mi permisi di dare una sommaria occhiata agli studenti che mi avrebbero fatto da compagni di classe. Tutte le barche contenevano una gran quantità di bauli e valigie e, tranne una, esattamente quattro ragazzi. L’unica con un solo bambino a bordo era quella condivisa con l’energumeno, che già da solo ingombrava l’intera scialuppa,  mentre le altre seguivano uno schema ben definito: le ragazze e quelli più esili davanti, mentre i maschietti più robusti dietro. Io e Miller, infatti, eravamo seduti nella parte piatta dell’imbarcazione, mentre Amanda e Kathleen stavano voltate sull’incurvata prua: una posizione che non sembrava affatto comoda.

Continuando il tragitto, dato che il castello si faceva sempre più incombente e definito, ne potei ammirare le mura più esterne e le vetrate più basse: era veramente un palazzo molto antico, tanto da pensare che avesse almeno mille anni, visto che la pietra di cui era fatto era dello stesso colore dei manieri che si vedevano nelle fiabe ambientate nel medioevo. Le parti in ombra davano un colore grigiastro all’occhio, mentre quelle alla luce dei falò un pallido color sabbia: era impossibile decidere quale dei due fosse quello naturale al momento, l’avrei potuto verificare soltanto l’indomani mattina. Tra le rocce su cui poggiava il maniero c’era un canale di scolo chiuso da una grossa grata e giurai di aver visto passare l’ombra di un ratto, ma non ne ero sicuro e non potevo chiederlo ai miei vicini, poiché ipnotizzati da ciò che ci si parò davanti: una lunghissima e contorta scalinata saliva ripidamente verso la parte retrostante del castello: tutta era illuminata da numerose fiaccole che la rendevano una specie di camminatoio stellato ed alla sua base una piccola casetta di legno faceva da rimessa per piccole imbarcazioni.

Le barche, una alla volta, entrarono nella struttura per permetterci di sbarcare e svuotare il carico, poi, sempre con il massimo ordine, si fecero issare da un sistema di carrucole che le posizionava in determinati stipetti del deposito, il tutto senza alcun intervento umano.

-Lasciate i bagagli qui fuori, ci penserò io a portarli di sopra, nel frattempo salite le scale e troverete il custode ad attendervi. Sarà lui ad accompagnarvi alla Sala Grande, fate presto su!

Posammo i pacchi alla base della scalinata, dove ci aveva indicato, e iniziammo a salire quell’interminabile quantità di gradini. Lasciai lì Muthsera da solo con un pizzico di preoccupazione, ma sapevo che non gli sarebbe successo nulla.

-Che emozione!

-Che bello!

-Che freddo!

Erano tutte opinioni veritiere e condivisibili, soprattutto l’ultima: l’aria frizzante di prima s’era trasformata ben presto in gelo e l’umidità assorbita durante il passaggio del lago non fece certo bene alle nostre ossa. La via era molto contorta: ogni trenta o quaranta gradini, dovevamo cambiare rampa per continuare nel verso opposto di quello da cui provenivamo; il corrimano era freddo e ruvido e, data la bassissima temperatura che ci aveva irrigidito le dita, toccarlo sarebbe stato sinonimo di dolenti tagli. Esausti, infine, raggiungemmo la cima che ci piazzò dinanzi ad un cortile in pietra dentro il quale ci stava aspettando un anziano signore che reggeva una lampada ad olio con un gatto spelacchiato rannicchiato sugli scarponi.

-Umh, bene, seguitemi.

La voce del custode era rauca come se fosse passata prima per una grattugia e poi arrivata alle nostre orecchie, ma non era l’unica cosa strana di quell’uomo: innanzitutto zoppicava con la gamba sinistra, probabilmente perché era più corta di quella di destra, dato che sembrava funzionasse bene; indossava un frac beige di almeno tre misure più grande, la cui coda strusciava vistosamente a terra e come ultima cosa, di certo non per importanza, avanzava impettito con quel gatto dagli occhi rosso sangue che gli si infilava sempre tra le gambe, la qual cosa lo obbligava, a volte, a fare passi più lunghi del normale; e per uno che già di suo zoppicava, era proprio uno spettacolo. Alcuni dei miei coetanei non riuscirono a trattenere qualche risatina, ma l’austero personaggio, o non li aveva sentiti, o semplicemente non se ne importava.

 

Il grande portone di ingresso era già spalancato ed al nostro passaggio il custode lo richiuse dietro di noi, lasciandoci da soli davanti ad un’alta statua in bronzo. La sala era fin troppo illuminata, ma era normale: le torce a combustione non gonfiavano mica la bolletta. Alla nostra destra c’era un enorme ambiente pieno di scale, ma nessuno osava uscire dal gruppo per andare a darci un’occhiata; dinanzi a noi, invece, c’era un'altra grande porta, meno massiccia, ma ugualmente imponente da cui proveniva la cacofonia di centinaia di voci: era chiaro che gli altri erano lì dietro.

Un’anta della porta si aprì leggermente e ne emerse una figura esile ed elegante, con un cappello a punta che ne sembrava rispecchiare simmetricamente la forma affusolata del bacino.

-Benvenuti ad Hogwarts, studenti del Primo Anno. Sono la professoressa McGranitt e sarò una dei vostri insegnanti qui a scuola. Fra poco ritornerò e vi accompagnerò dal Cappello Parlante, che vi smisterà nelle varie Case dei quattro fondatori. Nel frattempo, cercate di distribuirvi in ordine alfabetico, così all’appello  eviteremo di perdere tempo nel cercare gli studenti. Vi prego di aspettate qui.

Non appena rientrò nella sala, chiudendo la piccola apertura che aveva aperto poco prima, tutti iniziarono a guardarsi in modo indagatore, come per leggere in faccia all’altro qualche indizio che gli potesse suggerire il cognome esatto. Neanche a me era venuta qualche idea sul come fare a mettersi in ordine senza nemmeno conoscersi, ma per fortuna un ragazzo poco dietro di me prese l’iniziativa.

-Quelli il cui cognome inizia con la A vadano avanti, B poco dietro, C ancora più indietro e così via... Non è difficile!

Era un’idea semplice ma efficace in effetti: non serviva per forza che fossimo in ordine esatto, anche indicativamente andava bene. Al massimo qualcuno col cognome che iniziava per C sarebbe potuto trovarsi in mezzo a quelli con la B per iniziale, nulla di grave. Cercai di mettermi un po’ più indietro per far spazio a coloro il cui cognome iniziasse per A, ma a quanto pare nessuno rientrava in quella categoria. Così mi ritrovai in prima fila con Miller e ad altri quattro ragazzi, uno dei quali lo conoscevo già.

-Ciao, ci rincontriamo finalmente. Emanuele, vero?

-Sì, ciao Fred!

La McGranitt tornò da noi, aprendo la porta per intero questa volta ed invitandoci ad entrare. La Sala Grande, così come l’aveva chiamata l’armadio a tre ante del barcaiolo, aveva un nome del tutto azzeccato: appena entravi, ti sentivi letteralmente minuscolo, dato che sia in altezza che in lunghezza non se ne vedeva la fine. Il tetto era veramente invisibile, poiché delle nuvole ed un cielo stellato lo coprivano: non aveva senso perché eravamo certamente ancora all’interno del castello, ma era così. Delle candele galleggiavano inerti nello spazio, ma la maggior fonte luminosa della stanza erano le alte fiaccole poste ad ogni intermezzo tra un pilastro ed un altro. Questi ultimi erano adornati con dei lunghi arazzi delle quattro Case fondatrici: erano di colori accesi e primari, in modo da renderli subito riconoscibili, anche se non se ne osservavano gli stemmi. Grifondoro, a discapito del nome, portava colori rossicci; Corvonero era distinto dal colore blu; Serpeverde da un verde acido, mentre la casata color giallo non era Grifondoro, bensì Tassorosso. Per attraversare la sala era necessario percorrere un lungo percorso segnato da un tappeto bordeaux che passava esattamente tra le fila di tavoli in cui erano seduti i ragazzi degli altri anni. Centinaia di coppie di occhi che ci guardavano, studiavano e, quasi sempre, schernivano erano sopra di noi e tra le loro voci e la strana musica di sottofondo che accompagnò il nostro ingresso, era difficile capire persino le parole di chi mi stava a due passi di distanza.

-Chissà dove ci smisteranno...

Fu l’unica parte della frase di Miller che riuscii a comprendere.

Dagli, dagli, senza sbagli

fa che la pozione quagli

dagli, dagli, senza sbagli

fa che la pozione... Quagli!

Quale arcano arriverà!

-Grazie al nostro professor Vitious ed al suo coro Voci dallo Stagno! Una meravigliosa melodia di benvenuto interpretata magistralmente da tutti i suoi membri che, ricordiamo, sono stati in tournée l’intera estate. Un bell’applauso!

Clap! Clap!

Mentre il nostro gruppo si avvicinava al termine del pellegrinaggio, il coro di studenti, che a quanto pare aveva cantato e suonato per noi, accompagnato dal suo maestro, un piccolo ometto baffuto, si faceva da parte per permettere alla professoressa McGranitt di prendere posto dinanzi a noi.

Il professor Vitious ci osservò attentamente mentre faceva i complimenti ai suoi allievi e dava qualche pacca alle grassissime rane canterine che, non so come, riuscivano a produrre musica da sala tramite le loro corde vocali. Assieme alla sua attenzione avevamo quella dell’intero corpo insegnanti: dietro un lungo tavolo rettangolare sedevano più di una dozzina di facce serie e tutt’altro che rasserenanti che, ne ero certo, di lì a poco avrei imparato a temere. Ancor più indietro, erano presenti quattro grosse clessidre dorate che sfidavano la legge di gravità: la parte con la sabbia, infatti, non stava sotto, ma sopra.

-Bene, ora nominerò ognuno di voi per nome e verrete qui e vi siederete su questa sedia per farvi smistare nelle varie Case, che sono: Grifondoro...

Ed indicò il tavolo alla sua sinistra:

Yeeehh!

-Tassorosso...

Un'altra ovazione provenne dal tavolo un po’ più centrale.

-Corvonero...

Fischi e un battere di piedi in terra arrivavano dal tavolo sinistro del lato orientale della sala.

-E Serpeverde.

Dall’ultimo tavolo all’estrema destra non provenne alcun fischio o urlo, solo qualche sporadico applauso.

-Per questo compito ho con me il Cappello Parlante, il quale ha il piacere di presentarsi da solo a tutti voi e spiegare il motivo delle sue scelte, prego.

La professoressa sollevò un vecchio cappello a punta in stoffa scura, logoro e rattoppato. Lo poggiò sulla sedia al centro del palco e da inanimato com’era improvvisamente prese vita e assunse forma di un viso umano; scuotendo le pieghe del tessuto per mimare il movimento delle labbra, iniziò a cantare:

-Un benvenuto a voi, o giovani stregoni

che dinanzi a me vi vedo coi magoni,

dell’esito però paura non abbiate

perché sempre al posto giusto con me vi collocate.

Debolezze, virtù, di voi io tutto leggo

e state certi, che un buon giudizio posseggo.

Finirete in Grifondoro, la Casa dei leoni,

che di lealtà e coraggio sono i padroni?

O forse in Corvonero, che della scienza suo vanto fa,

perché in questo mondo gente in gamba sempre servirà!

Ci sono anche i Tassorosso, pazienti come il mondo

benché scoppiasse il Caos, continuerebber il girotondo.

Vengon per ultimi i Serpeverde, che son primi nel lignaggio,

ma questo non li giustifica a non moderar il linguaggio!

Quindi di me non abbiate paura

che non vi lancio mica una fattura!

Son obiettivo e sono anche un cantante

potete fidarvi del vostro Cappello Parlante!

Per tutta la durata della canzone non potei far altro che provare imbarazzo per lui.

-Terribile, davvero...

-Bene, ora possiamo procedere con il primo della lista, vediamo un po’...

Ero molto teso, non sapendo cosa aspettarmi, ma per fortuna non sarei stato il primo, c’era almeno Frederick prima di me, e questo mi sollevava un pochino.

-Sullivan Bones!

Il ragazzo a fianco di Miller si fece avanti, salendo i pochi gradini che separavano il resto della sala dal palco degli insegnanti. Notai che anche lui era parecchio agitato, ma chi non lo sarebbe stato al suo posto.

Sedutosi sull’elegante sedia in legno, la McGranitt posò delicatamente sulla sua testa il Cappello Parlante, che iniziò immediatamente a mugugnare:

-Vediamo... Dove ti posso collocare... Sì! No, anzi no, meglio... Tassorosso!

Siii!

Gli studenti di Tassorosso iniziarono a scaldarsi per l’arrivo del nuovo membro che, dopo essersi fatto togliere il cappello, si diresse subito verso il tavolo dei suoi nuovi compagni per prendere il primo posto vuoto disponibile. Io a quel punto mi sentii ancor più apprensivo riguardo il mio destino, perché quella casata, Tassorosso, non mi piaceva per niente. Inizialmente per il nome sciocco, Tassorosso: era stupido, poco accattivante e demotivante, poi per il colore troppo generico ed infine per i suoi membri, quasi tutti rossicci o biondi, sarei stato l’unico bruno del gruppo, mi venivano i brividi al solo pensiero.

Già da piccolo mi trovai in una situazione simile: durante il giuramento scout fummo smistati nei vari branchi di lupetti e mentre i miei amici vennero affidati ai Neri, Bianchi, Grigi e Pezzati, io finii nel tremendo branco dei Fulvi, l’unico gruppo con le medagliette color rosso pomodoro e rosa carne. Fu umiliante dover rivelare ai miei genitori di esser stato assegnato ai Fulvi: quelli col colore che nessuno conosce se non dopo l’aver effettuato una ricerca sul vocabolario. Non volevo ripeterne l’esperienza con Tassorosso.

-Accidenti Miller, non voglio finire in quella Casa per niente al mondo!

-Ah, nemmeno io se per questo.

-Perché io si?

A quanto pare era un’opinione comune tra i nati col cognome la cui prima lettera era la B.

-Io non ho dubbi: finirò in Grifondoro, devo andarci, quella Casa è fantastica: vince da due anni di fila sia la Coppa delle Case che il torneo di Quidditch della scuola, perciò vincerà anche quest’anno. E vincere una Coppa delle Case significa pure avere voti migliori in pagella, è un’occasione d’oro, non la si può lasciar fuggire!

Avevo letto di questi tornei amichevoli in uno dei libri che mi aveva dato ser Richard, ma a me interessava più il trovarmi bene con i compagni di Casa, che l’ottenere un’aiutino coi voti. Anche se ad avere entrambe le cose non sarei rimasto affatto scontento.

-Si, ma se vi manda lo stesso a Tassorosso, voi che fate?

-Ma no che non lo farà, il Cappello Parlante prende in considerazione ciò che noi vogliamo veramente. Basta che tu pensi con tutto te stesso di finire assieme a me nei Grifondoro e lui ti ascolterà.

-Ma che stupidaggini vai dicendo, la fai troppo semplice la cosa; se fosse davvero così non avrebbe alcun senso utilizzare uno strumento che fa qualunque cosa tu gli dica di fare, tanto valeva farci scegliere liberamente e basta.

Fred aveva azzeccato il punto in pieno.

-E’ così, lo so, me lo hanno detto. Il Cappello Parlante lo si usa solo per tradizione, ma sono anni ormai che il suo modo d’agire lo conoscono praticamente tutti. Fidatevi!

Non mi convinceva del tutto, ma tanto valeva fare un tentativo, pensai.

-Frederick Bowen.

Fred si mosse, più tranquillo del ragazzo di prima, ma lo stesso non molto a suo agio. Anche sul suo capo, la McGranitt appoggiò il cappello.

-Uhm, credo di aver già capito dove possa trovarti bene, sì mi sembra azzeccato... Serpeverde!

Un fragoroso applauso provenne dal tavolo dei Serpeverde e qualcuno dietro di me gli urlò:

-Vai Fred!

Evidentemente era un suo amico. Fred Bowen comunque sia fece cenno di ringraziamento per gli applausi ricevuti e si sedette accanto ad uno studente Serpeverde alto e muscoloso, probabilmente degli ultimi anni.

-Miller McBumble!

Solo allora realizzai che Miller di cognome facesse McBumble e non solo Bumble, perciò intuii che per gli inglesi non c’era alcuna differenza tra le due versioni, cosa veramente strana.

-Ohohoh, so bene dove ti posso collocare, senza alcun dubbio... Tassorosso!

Oh cavolo, altro che il Cappello ti piazza in Grifondoro se ne sei realmente convinto! Qui finiamo tutti in Tassorosso, che guaio...

La minaccia del giallo in divisa si faceva sempre più incombente, ma non avevo altro tempo per riflettere sulla gravità della situazione perché subito dopo arrivò il mio turno:

-Emanuele Burgh, no... Burgo... Forse Burghio?

Nessuno dei tre...

-Burgio, Bur-gi-o!

-Burzio? Perdonami, lo imparerò col tempo, vieni ora, su! Sei tu, vero?

Certo che sono io, che figuraccia, proprio davanti a tutti...

Avanzai lentamente verso la sedia ed il cappello del destino, così lentamente che ad un certo punto sembrai fermo, tutto perché cercavo di ripetermi dentro la testa più volte possibile queste disperate parole:

No Tassorosso! Non Tassorosso. Tutto tranne Tassorosso. Va bene Grifondoro, va bene Corvonero, anche Serpeverde, ma non Tassorosso. Tassorosso, no! Grifondoro, Serpeverde e Corvonero, si!

Senza nemmeno posare uno sguardo al povero Miller, nuovo fiero membro dei Tassorosso, mi sedetti chiudendo gli occhi, aspettando l’esito del Cappello.

Sentii sull’orecchio destro lo spostamento d’aria provocato dal movimento del braccio della professoressa ed una leggera pressione sul mio cranio. Aspettai un po’, poi...

Kiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiith!!!!!!

Un infernale stridore mi perforò i timpani. La fonte era vicina, molto vicina, vicinissima, praticamente nella mia testa. Mi tappai le orecchie, ma servì a poco, il rumore era troppo potente e troppo penetrante per poterlo attenuare sotto la soglia del dolore. Sentivo come un sottofondo di urla di dolore, probabilmente appartenevano agli altri ragazzi della sala che, come me, stavano soffrendo da morire.

La McGranitt, mai abbastanza in fretta, mi staccò dalla testa il cappello ormai impazzito e lo tenne innalzato per qualche secondo. Vedendo che non cessava di emettere quell’infernale rumore, si rivolse indietro verso i suoi colleghi che accorsero subito per darle una mano. Nonostante tenessi gli occhi socchiusi in quel momento, riuscii a vedere la reale preoccupazione dei docenti e capii, quindi, che non doveva trattarsi di un problema tecnico che capitava di frequente. Il più anziano dei docenti, nonché quello con la barba più lunga, prese in mano il Cappello e chiamò a se due suoi colleghi, uno dei quali era il professor Vitious. Assieme presero la porta alle spalle della Sala Grande e sparirono. Lo stridere del Cappello era ancora forte e chiaro, ma almeno non si sentivano più le tonalità peggio sopportabili dell’urlo, così potemmo tornare a liberare le orecchie. La professoressa era un fascio di nervi e, anche se non voleva lasciarmi, dopo un po’ di riluttanza, seguì i suoi colleghi fin dentro quella stanza. Mi ritrovai, infine, da solo seduto su quella sedia con tutti gli occhi puntati addosso. Cercai di non guardare nessuno e di fissare le mie mani che poggiavano sul margine del sedile.

 

Dopo una serie di interminabili minuti con l’attenzione di tutti puntata addosso ed il mio imbarazzo arrivato alle stelle, finalmente il Cappello finì il suo lamento. Sulla sala piombò un cupo ma riposante silenzio che durò poco, visto che si tornò a chiacchierare dopo poco tempo. Le orecchie continuavano a fischiarmi, e rendevano tutti i suoni un po’ più ovattati, ma confidavo nella speranza che l’effetto fosse temporaneo e non c’avessi rimesso permanentemente l’udito. Il ritorno alla normalità intensificò anche l’attività mentale, che, nei lunghi momenti in cui continuai a rimaner solo, riprese a pensare a quanto accaduto prima. Cosa diamine era successo? Perché a me? E come mai sembrava che nemmeno i professori sapessero ciò che stava avvenendo? Sapevo che quelle erano domande le cui risposte non potrò avere mai, ma non potevo fare a meno di chiedermelo.

-Scusate l’incidente, è stato un semplice malfunzionamento del Cappello, tornate calmi e continuiamo lo smistamento; può capitare.

Le scuse poco credibili di quello che probabilmente era il preside, data l’importanza della sua figura, misero comunque a tacere tutti quanti e tanto bastava per far continuare il programma della serata.

La mano della McGranitt questa volta tremava, forse perché temeva che il Cappello Parlante potesse andar di matto di nuovo, il che non era certo incoraggiante. In ogni caso ero pronto a tapparmi nuovamente le orecchie, se ce ne fosse stato il bisogno.

Non appena il Cappello sfiorò uno dei miei capelli, comunque, emanò il verdetto:

-Serpeverde!

Nessun applauso questa volta, né alcuna ovazione. Ero stato assegnato alla casa di Serpeverde ma era come se mi avesse appena rivelato di essere contagioso. La McGranitt stessa ritrasse il Cappello prima di subito e gli altri insegnanti mi osservarono con somma preoccupazione. Presi posto proprio di fronte a Fred e a fianco di un ragazzo un po’ pallido, ma nessuno di noi aveva voglia di far conversazione.

 

Passai il resto degli smistamenti a fissare il calice di vetro che avevo trovato all’altezza del mio posto e ad immaginarmi di stare da solo, senza i fastidiosi bisbigli che mi sparlavano dall’inizio della serata. Seguii con attenzione solamente gli esiti di Amanda e Kathleen, ma nessuna delle due finì con me o con Miller: Amanda era adesso una Grifondoro, mentre Kathleen una Corvonero. Era sicuramente curioso il fatto che in quella cabina del treno erano destinati ad incontrarsi tutte e quattro le diverse sfaccettature di Hogwarts. Anche altri studenti erano stati affidati a Serpeverde, ma non riuscii a ricordare i loro nomi, eccetto quello di Rupert Runcorn, che era l’amico intimo di Fred e che si era seduto immediatamente al suo fianco e di Brendan Callaghan, il mio vicino, nonché l’unico che osò rivolgermi la parola da quel fatto del Cappello.

-Piacere, Dan!

-Dan? Ma non ti aveva chiamato Brendan la McGranitt?

-Sì, è per accorciare. Tu invece? Come ti fai chiamare?

Non sapevo cosa rispondere, nessuno aveva mai trovato per me diminutivi diversi dall’infantile Manu, perciò confermai il mio vero nome, sembrando un tipo che non voleva prender confidenza ed ammazzando l’unica possibilità di conversazione che mi si era presentata. Ben fatto.

Per fortuna, comunque, l’intervento del preside monopolizzò l’attenzione, evitandomi di continuare nella mia solitudine.

-Benvenuti! Benvenuti ad un altro anno qui ad Hogwarts!

Il dirigente aveva una postura altera e sicura di sé. Non dimostrava certo di essere nel fiore degli anni, ma nemmeno l’età che solo un uomo con una barba più lunga del proprio corpo poteva avere. Indossava delle piccole lenti sorrette solo dalla gobba del naso ed un mantello argentato che, nei tratti in cui entrava in contatto con la sua barba,  creava una sorta di platinatura imperiosa. I suoi passi erano lenti e pacati, tant’è che prima che arrivò al leggio a forma di gufo, aveva già finito i convenevoli da un pezzo. Al suo arrivo le ali del metallico volatile si schiusero, accompagnandolo nella presa del sostegno. Una volta pronto, continuò:

-Anche quest’anno ho qualche annuncio e consiglio da darvi, alcuni dei quali veramente importanti, perciò prestate attenzione e non distraetevi in modo da farmi finire abbastanza presto per permetterci di gustare al meglio questo delizioso banchetto. Come molti di voi sapranno, vivendolo sulla propria pelle a bordo dell’Espresso per la nostra scuola, Hogwarts è stata costretta dal Ministero, per garantire la massima sicurezza agli studenti e al personale didattico, di ospitare alcuni dei Dissennatori del carcere di massima sicurezza di Azkaban. Non si tratterà di una convivenza facile, perciò vi chiedo di esercitare la massima prudenza e di non lasciare i locali scolastici senza autorizzazione; anche mentre vi parlo, decine di Dissennatori stanno setacciando ogni angolo del castello alla ricerca del criminale Sirius Black.

Scioccamente tutti quanti, io compreso, ci voltammo verso le vetrate, per vedere se si notassero le ombre dei Dissennatori all’esterno, ma dato che fuori c’era buio pesto, tornai ad ascoltare il vecchio professore.

-Per i più spavaldi e coraggiosi, consiglio vivamente di abbandonare qualsiasi idea di sfidare o provocare questi esseri: non possono essere ingannati o confusi, né tantomeno schiantati. Sono creature malvagie, non faranno distinzione tra chi danno la caccia e chi si trova sul loro cammino; non è nella natura di un Dissennatore provare pietà o perdonare. Per questo, ho avvisato tutti i prefetti ed i capiscuola, compresi quelli nuovi, di vietare categoricamente qualsiasi interazione tra essi e gli studenti, anche tramite l’assegnazione e l’applicazione di provvedimenti disciplinari.

A queste parole un sorrisetto maligno si stampò sul volto del grosso ragazzo al fianco di Fred.

-Voglio comunque ricordarvi una cosa molto importante, nel caso vi troviate alle strette: la felicità la si può trovare anche nei momenti più tenebrosi, se solo ci si ricorda... Di accendere la luce.

Una frase insensata ma d’effetto, senza dubbio. Specie quando fece cenno all’accensione della luce ed effettivamente la candela alla sua sinistra prese fuoco.

-E adesso un avviso specifico a tutti i nuovi studenti del primo anno. Siete stati smistati ognuno nelle case in cui i propri caratteri e potenzialità possono trovare un ambiente favorevole e di soddisfazioni, ma vi prego di fare attenzione ad un determinato particolare. La storia dell’uomo non è segnata dal destino, ma dalle scelte che fa. Se oggi la vostra vita vi mette dinanzi ad un determinato percorso, percorretelo, ma sappiate che mai nulla potrà inibire il vostro volere, le vostre reali intenzioni. La cosa più importante che imparerete qui a Hogwarts non è la magia, ma la consapevolezza dei vostri poteri ed il giusto impiego di essi. Non sentitevi obbligati a percorrere sentieri oscuri perché le altre vi sono precluse: come ho detto prima, è sempre possibile accendere una luce.

Quest’ultimo discorso sembrava d’esser rivolto particolarmente al mio tavolo, da quante volte mi è parso vederlo ammiccare nella nostra direzione. E se non fossi stato certo che era impossibile, avrei pensato che ce l’aveva direttamente con me.

-Vi prego di pazientare un altro po’ per potervi dare gli ultimi, piacevoli, annunci. Come ben sapete, il professor Allock ha avuto uno spiacevole incidente durante lo scorso anno scolastico, che gli ha impedito di poter riprendere la cattedra affidatagli, perciò vi presento il nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, il professor Remus Lupin, che ha gentilmente accettato la mia offerta, salvando la scuola da sicuri pasticci.

Un sacco di applausi si levarono per accogliere il professore che ci aveva salvati dai due Dissennatori durante il viaggio, il quale, fortemente imbarazzato, si inchinò per ringraziare.

-Devo presentarvi però ancora un altro membro del corpo insegnanti. Il professor Kettleburn, l’insegnate di Cura delle Creature Magiche, ha finalmente deciso di andare in pensione per far riposare gli arti che gli restano, perciò credo siate felici come lo sono io di sapere che il suo posto verrà preso, niente popò di meno, dal nostro Rubeus Hagrid, che, da quest’anno, oltre a continuare a svolgere la sua mansione di guardiacaccia, potrete chiamare professore. Un bell’applauso anche per lui.

Non mi ero neanche accorto che l’uomo che ci aveva condotti lungo il lago fosse entrato in sala e salito fino al tavolo degli insegnanti, dovevo essere parecchio depresso. Hagrid, comunque, per cercare di imitare il comportamento del professor Lupin, cercò di alzarsi dalla sedia per inchinarsi agli applausi che riceveva, ma per via della sua mole che lo costrinse a sbattere con le ginocchia al tavolo, ottenne solo il rovesciamento di tutti i calici ed i boccali presenti sul tavolo. Sarebbe stato parecchio difficile chiamarlo professore.

-Ora che le cose importanti da dire mi pare si siano finite, che cominci finalmente il banchetto!

Immediatamente sul tavolo apparvero decine e decine di leccornie, in piatti giganti e dalle forme più disparate: c’erano il piatti tondi che contenevano verdure tagliate e decorate finemente con altri cibi o dei semplici fiocchi di carta colorata, i piatti quadrati ospitavano le carni bianche, quelli rettangolari i costati e le frattaglie, mentre quelli esagonali frutta e sorbetti. Non mancavano quelli con forme meno regolari, come gli stellati, i trifogli o i cristalli a tre punte: ognuno di essi contenevano un tipo diverso di dolci, che rappresentavano la portata principale di questo banchetto. Decisi di prendere solo del semplice pane dolce e zuppa di legumi, con qualche polpettina fritta tra un boccone e l’altro, sia per non appesantirmi troppo, dato che il giorno dopo ci sarebbero state lezioni, sia per evitare di trovare qualcosa che non fosse di mio gradimento e lasciare il piatto con il cibo intatto, come farebbe un bambino viziato.

-Non lo prendi il succo di cinghiale?

Mi domandò Brendan Callaghan indicandomi una caraffa col tappo a forma di testa di scrofa.

-No, no, preferisco della semplice acqua.

-Ma è buono! Non è mica fatto di cinghiale, se è questo che ti preoccupa. E’ soltanto uno sciroppo gassato all’aroma delle bacche che solitamente mangiano loro, per questo si chiama così! Gnam! In Italia non lo bevete?

-No, purtroppo no. Lì vige la monarchia del grappino.

-E cos’è? E’ buono? Chomp!

-No, è alquanto alcolico...

-Quindi fanno bere anche i bambini? Strano... Glop!

-No, noi abbiamo... Lasciamo perdere.

Se avessi risposto con un nome a caso delle bibite babbane, mi avrebbe sicuramente domandato di cosa si trattasse, trascinandomi in un circolo infinito. E poi, mi stava veramente innervosendo il fatto che mangiasse mentre parlava.

 

-Muahahah!

Una risata spettrale giunse dal fondo del tavolo. Ed infatti di quello si trattava, di uno spettro. Ma non era il solo: altri fantasmi iniziarono a comparire un po’ ovunque nella sala e, mentre alcuni si fermavano a salutare, altri erano buoni solo a far baccano. Questo era uno di quelli chiassosi.

-Si si, tagli pure l’arrosto Barone...

Quel che sembrava il fantasma di Capitan Uncino, assunse una posizione da scherma e, incitato dalla poca entusiasta espressione di un Serpeverde, tagliò di netto il pezzo intero dell’agnello, non facendogli nulla.

-Ben fatto. Mi presento a voi nuove leve, sono il cosiddetto Barone Sanguinario, fantasma designato della Casa Serpeverde, nonché condannato alla sofferenza eterna. Il mio compito è quello di assicurarmi che non disturbiate la quiete dei Sotterranei, luogo dove sconto la mia eterna solitudine condividendo gli spazi con voi della Casata del Serpente. Ecco, la mia visita è finalmente compiuta, posso andarmene...

Il fantasma voltò le spalle al nostro tavolo ed iniziò a sprofondare nel terreno, forse si stava recando proprio nei Sotterranei che aveva appena nominato.

-Non fateci caso, è totalmente matto. Non è una gran rottura, sta sempre per le sue la maggior parte del tempo, ma se sfortunatamente lo incontrate lui cercherà in tutti i modi di intimorirvi, fategli sempre credere che ci riesca, o vi infilzerà con la sua spada un milione di volte tentando, inutilmente, di uccidervi. Solitamente bazzica dalle parti del bagno, per cercare di pulirsi i vestiti dal sangue di non so quale donna che pugnalò quand’era in vita, perciò ora che lo sapete, evitate sempre di andare da quella parte e preferite i bagni del piano terra, tanto sono ugualmente vicini. A meno che non vi scappi proprio, in quel caso preparatevi a farla mentre avrete una spada trasparente piantata nel petto.

Due dei ragazzi più grandi alla mia sinistra risero di gusto, forse perché si stavano immaginando la scena, o magari erano a conoscenza di qualche retroscena che non potevo immaginare, fatto sta che notai che nonostante un fantasma mi apparve sotto il naso, la cosa non mi sorprese più di tanto, il che rendeva sorprendente la mia ormai quasi totale inclinazione all’indifferenza degli eventi finora creduti impossibili.

 

Al termine del lungo banchetto, il preside si alzò dal tavolo adducendo che era l’ora di tornare alle nostre Sale Comuni per darci una veloce sciacquata e riposare per la notte, dando l’ordine ai prefetti di accompagnare i nuovi allievi per insegnargli la strada più breve per i loro dormitori. Quando iniziò ad allontanarsi per ritirarsi nei suoi alloggi, realizzai che non conoscevo neanche il nome del nostro preside, perciò chiesi al ragazzo che mi avvisò sul territorio del Barone Insanguinato di informarmi sul suo nome.

-Sapresti dirmi come si chiama...

Che figuraccia scampata per un pelo: se non avessi riflettuto sul fatto che essere italiano non era un alibi credibile per non conoscere nemmeno il nome del direttore della propria scuola, sarei passato come un ignobile ignorante, perciò per evitarlo dirottai la domanda verso il tipo più sinistro tra gli insegnanti.

-Il professore proprio dietro il preside?

-Ah, quello? E’ Piton... Imparerai a conoscerlo molto presto, è il direttore della nostra casa: fatti beccare con le mani nel sacco e la sua sarà l’ultima faccia che vedrai qui ad Hogwarts. Insegna Pozioni, gran brutta materia, grazie a lui.

Quella breve descrizione ed il suo aspetto da Conte Dracula, mi diedero le giuste informazioni per inquadrarlo come tipo problematico.

-Ci vediamo dopo, Kevin!

-Si, ciao!

I ragazzi più grandi salutarono così il mio interlocutore, lasciandolo indietro. Lui invece si fermò con noi, pregandoci di metterci in fila ordinata.

-Serpeverde, adesso vi porterò alla nostra sala comune, nei Sotterranei. Imparate bene il tragitto che domattina ci daremmo appuntamento sempre qui per arrivare nell’aula del vostro primo giorno di lezioni. Il percorso sarà breve, seguitemi.

Usciti dalla Sala Grande ci affacciammo finalmente all’ambiente che da già da lontano sembrava immenso: un locale enorme cosparso di quadri che collegava tutti i piani del castello tramite decine e decine di grossissime rampe di scale in pietra. Alcuni livelli a dire il vero sembravano isolati, ma il perché fu presto chiaro: le scale si muovevano autonomamente, finendo così per collegare due piani che fino ad un momento prima erano scollegati fra loro. Un’altra stramberia da aggiungere alla lista.

-Noi dobbiamo scendere solo due rampe, quindi non ci sono problemi, ma per il futuro, quando vorrete salire per i piani superiori state attenti ai loro cambi improvvisi, vi potreste trovare senza terreno sotto i piedi da un momento all’altro. In passato è capitato anche qualche morto, per questo le piastrelle del pavimento sono bianche e rosse: per nascondere meglio il sangue!

Questa era chiaramente una bugia bella e buona, ma il suo avvertimento nel fare attenzione non era certo un cattivo consiglio. Arrivati in fondo passammo per l’unica porta presente e ci addentrammo in un lungo corridoio scuro. L’illuminazione era scarsa e la maestosità degli ambienti dei piani superiori qui sembrava essersene andata, in favore di un cupe e polveroso stile decadente. Parecchie ragnatele ammantavano le fughe delle mattonelle in pietra, mentre gocce di condensa imperlavano statue ed armature, dando l’impressione che il luogo fosse abbandonato a se stesso. Le poche torce accese faticavano ad ardere per via dell’umidità e le grate ed i tombini aperti permettevano l’ingresso di ignoti vapori color verde. Ad un certo punto il gruppo si fermò.

-Proseguendo dritto si continua per i bagni del Barone, a destra invece si scende ancora per poter andare all’aula di Pozioni e all’Ala Vecchia. Là non c’è ormai nulla di utile, ma viene ancora utilizzata come campo di esercitazioni, dato che è molto ampia e piena di celle. Inoltre serve per passare velocemente al castello posteriore, senza passare per il Viadotto. Noi invece ci fermeremo qui, è qua che si trova la nostra sala comune.

Probabilmente capii cosa volesse dire, di fronte a noi c’era semplicemente un muro, ma gli indizi facevano pensare che fosse un altro muro ad apertura, come quello nel retrobottega del Paiolo Magico, quindi ci sarebbe bastato conoscere la giusta combinazione di colpi. A differenza delle altre pareti, infatti, questa presentava diversi stemmi scolpiti della Casa di Serpeverde tutt’intorno ad una statua di dimensioni pressoché umane di una grossa serpe pronta a scagliarsi contro chi osasse sfidarla; inoltre alla base non presentava canali di scolo, facendo intuire che dietro non c’erano tubi idrici, ma un passaggio nascosto.

-Mi raccomando, ricordate la parola d’ordine o non potrete più passare: solo i Serpeverde la conoscono. Basilisco!

La statua iniziò ad inabissarsi con rumore meccanico, le fiamme delle torce appese nei muri accanto iniziarono a tremare, spostando di volta in volta le ombre nel corpo del serpente che pareva mutare aspetto ed espressione via via che la sua altezza si riduceva ed un varco si manifestò sotto i nostri occhi.

-Basilisco? Cos’è un basilisco?

Fred mi diede subito una risposta.

-Come, non lo sai? Era una creatura che abitava qui, proprio nel castello, e l’anno scorso ha dato un bel po’ di grattacapi ai figli di babbani, per poco non ci scappava il morto, ah!

Il prefetto di nome Kevin continuò, dando maggiori informazioni.

-Esatto, nessuno lo ha visto però, dicono che sia un grosso serpente dallo sguardo assassino. Stavano per chiudere la scuola se solo.... Beh, se solo qualcuno non lo avesse fermato.

-Adesso è morto?

-Sì, il suo corpo credo riposi ancora da qualche parte nel castello, ma stai tranquillo, anche se fosse vivo quello attaccava solo i nati babbani. I Serpeverde non hanno nulla da temere, adesso seguitemi che vi faccio da guida dell’interno.

C’è davvero da stare tranquilli, del resto discendo da una nobile e antica stirpe di maghi...

Superato il varco, trovammo i nostri bagagli riposti in un angolo dello stanzino che fungeva da anticamera all’intricato complesso di scaffali e pareti attrezzate che ci si parò davanti.

-Lì troverete i vostri effetti, assicuratevi che ci sia tutto, mentre oltre questo cancello, c’è il magazzino della nostra Casa: la sua gestione è sotto la diretta responsabilità dei prefetti, perciò l’accesso è vietato a chiunque non sia accompagnato da gente autorizzata. La vera sala comune è invece qui avanti, non preoccupatevi, è molto accogliente.

Recuperando la mia roba, però, scoprii con terrore che Muthsera non era più nella sua gabbia e che questa appariva ormai vuota.

Dove diavolo si sarà cacciato? Stupido serpente!

Volevo rimanere per cercarlo con più attenzione, ma il resto del gruppo stava per allontanarsi troppo ed inoltre pensando a chissà dove avesse deciso di darsi alla fuga, decisi fosse meglio lasciar perdere. Male che andava avrei utilizzato il gufo che mi avrebbero spedito i miei genitori, sperando non mi beccasse la testa.

Finalmente la nuova stanza in cui entrammo aveva l’aspetto di un luogo vivibile e non da gattabuia come il resto dei Sotterranei. Scendendo pochi scalini ci si immergeva in un ambiente settecentesco, con divani tappezzati di pelle nera, tappeti con arabeschi prettamente gotici, lampadari d’ottone e tendaggi di seta e velluto. I colori dominanti erano il nero, l’argento ed il verde scuro, tipici della Casa di Serpeverde, ma non mancavano altri elementi più colorati, come il rosso del fuoco che ardeva nel camino a sinistra, l’oro delle decorazioni dei mobili ed il blu del grosso acquario tropicale incassato nella parete più interna. Eravamo sempre sottoterra, anzi sotto il lago, ma non c’era né odore di chiuso e né l’umidità che si percepiva fino a poco prima. Il camino faceva il suo dovere bruciando legna facendola scricchiolare, ci si sentiva comodi e rilassati nonostante la stanchezza che l’ora ci aveva portato; i tavoli erano disposti seguendo un ordine gerarchico ben preciso: quelli da conversazione, vicino il camino o tra le poltrone, erano sempre di piccole dimensioni e posizionati agli angoli della sala, quelli da studio erano larghi e soprattutto lunghi, massicci e posizionati al centro dei due cordoni a L in cui era suddivisa la stanza. Di fronte ad una di essa era affisso un pannello di feltro incorniciato in legno su cui erano affissi alcuni avvisi; il prefetto lo raggiunse e controllò alcuni di quei foglietti.

-Ah, vedo che avrete Pozioni domani la prima ora, perciò cambio di programma, inutile che saliate fino alla Sala Grande per poi tornare di sotto per recarsi a Pozioni, perciò l’appuntamento sarà qua stesso alle nove meno un quarto: partiremo direttamente da qui. Siate puntuali perché già a quell’ora noi andremo avanti, il professor Piton non ammette neanche un minuto di ritardo. Proseguendo oltre questa tenda arriverete ai dormitori, a destra si sale per quelli maschili, a sinistra per quelli femminili. Il primo anno solitamente impiega i letti della sala più in basso a sinistra, ora non so se qualche altra classe ha fatto di testa sua non rispettando l’ordine, ma solitamente non succede. Buona notte e ci rivediamo domattina. Ah, e benvenuti in Serpeverde!

-E basta Kevin! Vieni qua, lasciali perdere quei mocciosi, se la sapranno cavare, non sai cosa questo furbone qui ha combinato quest’estate!

Finito il proprio dovere, il prefetto svestì i panni dello studente responsabile e tornò ad essere un ragazzo qualsiasi fiondandosi sul divano dei suoi amici, elargendo una sonora sberla sulla nuca del ’furbone’ in questione.

Visto che non rimaneva altro da fare che salire in camera per disfare i bagagli, ci ritrovammo tutti a fare la fila per passare nella stretta fessura che divideva le stanze femminili da quelle maschili. A momenti sbattevo il muso contro il muro, poiché lo spazio libero, non appena si supera la lunga tenda scura, non era sufficiente da permettere a chi, come me, non aveva le mani libere per spostare il telo ed accorgersi della parete incombente; per fortuna la valigia sbatté prima di me. La scalinata era curvilinea ma breve, un paio di secondi ed arrivammo già al primo anello che conteneva le stanze degli allievi dei primi due anni. Dopo aver salutato le ragazze, entrammo nella stanza più a sinistra per verificare se fosse già impegnata, per fortuna non fu così. La stanza era, come ci si poteva aspettare, di forma semicircolare, con i letti disposti a spicchio d’arancia lungo le pareti curve ed una stufa a vapore su quella piatta. I letti erano a baldacchino, molto larghi e lunghi, sempre decorati in verde e nero e con attorno un bel po’ di mobili in legno, dove poter riporre le cose. Curioso l’incavo di fronte al letto, dell’esatta misura del mio baule, utile perché una volta posto lì, non si sarebbe più mosso.

Dato che non mi sentivo molto a mio agio nel fare scoprire a tutti che fossi una nato babbano, nascosi tutti i miei vecchi averi “poco magici” sul fondo del baule, Gameboy e cellulare fra tutti: mi ero parecchio pentito di essermeli portato appresso. La gabbia vuota di Muthsera l’ho buttata con nervosismo sotto il letto, mentre tutto il resto lo posizionai nel giusto posto. Vedendo l’eleganza dei miei compagni di stanza anche nello stare in vestaglia, mi vergognai immensamente nel mostrarmi col mio pigiama nero che mi faceva apparire un mimo. Perciò anche se avrei voluto lavarmi i denti, preferii infilarmi subito nel letto e nascondere il mio corpo sotto le coperte.

-Vai già a dormire?

-Eh si, quel Piton mi preoccupa, non vorrei proprio iniziare col piede sbagliato.

-Mi sa che hai ragione, è già molto tardi e se non riposo a dovere domani rischio di non svegliarmi proprio.

-Dite che Piton è così severo?

-Ne ho sentite di terribili, credetemi.

-Conosci qualcuno che lo ha avuto come professore?

-Qualcuno? La mia famiglia è Serpeverde da sempre! Tutti i miei cugini lo hanno avuto come insegnante e nessuno ne è mai uscito psicologicamente integro.

-Oh, mamma...

Rupert però volle cambiare argomento:

-Devo fare pipì, chi viene con me?

-Intendi nello stesso bagno del Barone?

Nessuna risposta. In breve tempo uno ad uno cademmo in un sonno profondo.

 

-Sveglia! Sveglia!

-Oh, cavolo, che c’è... Non può esser già mattina...

Infatti non lo era.

-Piano! Vuoi far sentire a tutti che parli in serpentese?

-Muthsera? Che ci fai qui! Credevo fossi scappato!

-Che cosa sciocca da pensare... Dovevo nascondermi, il Trifors non ha retto e mi sono ritrasformato in serpente. Ti ho seguito tutta la serata, passando per le tubature, ho aspettato che si fossero addormentati tutti per venire allo scoperto...

Per fortuna tra un letto e l’altro erano presenti delle spesse pareti divisorie, quindi, a parte chi mi aveva di fronte che ronfava divinamente, nessun altro poteva vedere che succedeva da me.

-Hai fatto bene allora... Oh, hai mangiato? Vuoi che ti ritrasformi in tritone?

-Aspetta, prima devo farti vedere una... Cosa. Mentre ti cercavo, cosa per altro non facile quando l’unica pista da seguire è un odore in mezzo ad altri mille, sono stato testimone di un evento che ti riguarda...

-Cioè?

-Credo tu lo sappia... Durante la cerimonia d’apertura si è originato un forte disturbo acustico, lo ho seguito ed ho trovato dei signori che sembravano molto agitati, mentre cercavano di porre fine all’interferenza...

-Si lo so, io c’ero, và avanti.

-Non so bene quel che ho visto e sentito, ma l’istinto mi diceva di continuare a seguire la scena anche se non capissi cosa si dicessero, forse se lo vedessi con i tuoi occhi comprenderesti senz’altro meglio. Toccami.

-Eh? Che vuoi dire?

-Toccami e cerca di entrare in sintonia, dannazione!

-Questa cosa non ha senso...

-Io sento che è possibile, non so come, ma lo è, perciò ora toccami, altrimenti torno a cacciare topi che un paio al piano di sotto hanno osato sfidarmi lanciandomi del muschio in faccia...

-Ok, ok, capito, provo...

Toccai il corpo di Muthsera, era terribilmente freddo e viscido, ma non successe nulla, allora provai a toccarlo sulla testa, ma ancora nulla, infine tentai con entrambe le mani, ma il risultato fu sempre lo...

 

Sst!

Il mondo si fece più freddo e scuro improvvisamente. Non avevo idea del dove mi trovassi, ma una cosa era certa: c’era un odore terribile. E non era solo l’olfatto il senso che stava soffrendo, tatto, udito e vista stavano implorandomi pietà comunicando di allontanarmi da quel posto infernale il più in fretta possibile. Era tutto così lercio e grinzoso che sporcavo e ferivo la pelle ad ogni mio movimento, c’era un rumore terribilmente ovattato che non mi faceva capire nulla e gli odori erano così aspri e forti da bruciarmi le narici. Il mio unico desiderio era di scappare, ma non riuscivo a muovere un muscolo, il massimo che potevo fare era chiudere gli occhi. Ad un tratto, senza rendermene conto, iniziai ad avanzare: prima la testa, poi il busto, infine la coda...

La coda?!

Sì, ora la distinguevo con esattezza, e con essa percepivo parti del corpo che non ho mai posseduto e sentivo la mancanza di altre. La lingua mi indirizzava verso il mio obiettivo, non dovevo fare altro che seguirla... Ma quel suono, quello più forte degli altri, era importante, sapevo di doverlo rincorrere, era lontano e più tempo passava e più si allontanava, non ce l’avrei mai fatta a raggiungerlo.

No, aspetta... Sta tornando!

Il suono pulsante sembrava arrivare verso di me, ma era comunque in un’altra posizione, se volevo vederne l’origine dovevo passare per un altro tubo.

No, questo no, non questo e nemmeno quello...

Scivolavo nell’unica direzione possibile, scartando di volta in volta i canali le cui emanazioni non combaciano con ciò che cercavo. Muoversi sinuosamente non era affatto facile, ma nonostante tutto ci riuscivo senza particolari difficoltà, ed ero anche piuttosto veloce, almeno per i canoni di un serpente.

Ecco, di qua!

Imboccai finalmente la strada giusta: ogni passo, se di passi si può parlare, intensificava a dismisura l’odore che stavo inseguendo, l’odore del fuoco...

-Cosa proponi di fare Filius?

-Non saprei signor preside, io... Io mai... E’ la prima volta che... Non potevo sapere...

-E’ chiaro che non siamo di fronte ad un caso ordinario, preside. Se nemmeno il mago più esperto in incantesimi da campo riesce a darci una mano...

-Questo è chiaro, Severus. Ma non è il momento di pensare a quello. Dobbiamo farlo smettere, ora!

L’origine di quelle voci mi mise per qualche momento in difficoltà: finora ero sempre stato sotto a dove risiedevano gli umani, allora perché adesso quei tre individui si trovavano ancora più in basso? Erano forse scesi? Visto che comunque li avevo già trovati, non mi rimaneva altro che trovare una posizione in cui fossero visibili. Un piccolo reticolo proiettava quadratini di luce opaca, forse era lo spiraglio che faceva al caso mio.

-Professore, se posso ricordarle il Rego Magistralis... Sono sicuro che lì troveremo qualcosa e potremmo...

-Lo ricordo Filius, l’ho letto. E si che viene data una soluzione. Uno Smantellamento.

-Allora non possiamo...

-Dobbiamo, non c’è altro modo.

Dalla mia nuova posizione riuscivo a vedere parte della stanza in cui erano rifugiati i tre uomini, ma non scorgevo nessuno di loro. La camera era di modeste dimensioni ed era piena zeppa di elementi riflettenti, il cui riflesso dava fastidio alla vista.

Accidenti, sono completamente cieco in questo corpo...

Non riuscivo a distinguere i colori accesi, era tutto molto più sbiadito di come doveva essere, e le ombre degli insegnanti, l’unica cosa che perlomeno intravedevo, si muovevano a scatti, come se i miei occhi non riuscissero a catturarne fluidamente i movimenti.

-Se siamo costretti a tanto non crede sia segno del destino?

-Calma Severus, è ancora prematuro parlare di...

-Dobbiamo chiudere un occhio anche questa volta?

-Severus, noi...

-Come col Signore Oscuro?

-Severus, basta! So cosa... Io so... Cosa fare. Ma ci vuole tempo. Non commetterò gli errori del passato, ma non mi macchierò del peccato della paura.

-Si può sapere di che cosa state...

-Fine delle discussioni per il momento, devo farlo.

La discussione si era fatta movimentata, non potevo continuare a non vedere cose stesse succedendo, dovevo muovermi, di fronte a me c’era un altro reticolo, ma per arrivarci dovevo fare il giro di tutta la stanza, ci avrei messo un po’. Ma dovevo farlo.

Cosa? Non mi muovo! Perché resto fermo? Credevo avessi imparato a controllarlo... E dai, muoviti!

Dopo un po’ realizzai che quello che stavo rivivendo era soltanto un ricordo di Muthsera e se lui in quel momento non s’era mosso, allora io non avrei potuto far nulla per cambiare le cose.

Ecco perché percepivo come una resistenza ai miei comandi, è stato solo un caso che i nostri scopi coincidessero all’inizio, il corpo si è sempre mosso di sua volontà...

-Professore, cosa sta succedendo? Non è mai capitato che il Cappello...

-Minerva, che ci fai qui! Ti avevo chiesto di badare agli studenti.

-Ci sono gli altri insegnanti a pensare a loro... Dimmi Albus, è grave?

-Temo di sì, Minerva.

-Il professore vuole Smantellare il Cappello!

-Ma non è possibile! E’ un’icona della scuola, un caposaldo, nonché un contratto magico vincolante! Appartiene ad Hogwarts fin dalla sua fondazione e la sua creazione risale anche a molto prima, non potete Smantellarlo su due piedi, è un grave reato...

-Grazie della preziosa lezione di storia, professoressa. Ma sono abbastanza sicuro che il professore conosca le conseguenze del suo gesto.

-Esatto, Severus. Se tutto va come previsto, dovrei essere a conoscenza di un incantesimo che ne rifletta le caratteristiche, mantenendone peraltro, anche la personalità.

-Il problema è che è tutto, per così dire, teorico.

-Allora non possiamo rischiare, la scuola cadrebbe nel caos se si sapesse che il suo preside ha autorizzato, ed effettuato lui stesso, un’azione del genere!

L’arrivo della donna prolungò ancora il diverbio su cosa fosse giusto fare, ma senza porre nuove soluzioni. Alla fine il preside prese la sua decisione: posò il Cappello su un tavolo ed estrasse la bacchetta.

-Perdonami se puoi, sei stato un buon amico e un ottimo ascoltatore, ti sono molto affezionato nonostante non fossi umano. Detto questo... Extinguo Discrimen!

L’ombra proiettata del Cappello che fino ad un attimo primo urlava a squarciagola, adesso era un ammasso indistinto dal tavolo, poiché accasciato, senza vita.

-E adesso speriamo che l’appellativo di “più grande mago dei nostri tempi” che continuano ad affibbiarmi me lo meriti davvero: Examine Aequalita Perpetor Reparo!

Ad ogni parola pronunciata dal preside di quel complesso incantesimo, l’ombra del Cappello si alzava di un pochino, fino a riprendere la sua iniziale forma a punta.

-Oh, ha funzionato signor preside?

-Speriamo Filius... Cappello, stai bene?

-Oh, professore, cos’è successo? Ricordavo di stare svolgendo il mio compito quando d’improvviso...

-Sì?

-Sì?

-Sì?

Chiesero all’unisono con impazienza gli insegnanti.

-Non ricordo, è come... Come se una parte della mia memoria fosse stata cancellata, strappata via.

-Te lo dico io allora, Cappello. Ti eri Allarmato.

-Allarmato? E perché mai dovrei?

-Non so, dovresti dircelo tu. Nel Rego Magistralis è menzionato solo come agire in caso di Allarme, ma non ci è dato sapere né la natura di esso e né le precauzioni da adottare nel caso.

-Sono desolato professore, ma non ricordo più nulla sulla natura di tale compito, pensavo avessi solo l’onere di scegliere accuratamente i percorsi accademici degli studenti.

-A proposito, ricorda ancora le quattro Case dei Fondatori, no?

-Certo, sono Grifondoro, in onore di Godric Grifondoro, la Casa del coraggio e della lealtà; Tassorosso, fondata da Tosca Tassorosso...

-Va bene, va bene, abbiamo capito. Ma sarà in grado di giudicare?

-Se non vado errato il professor Vitious a suo tempo è stato un Testurbante.

-Sì, ma cosa c’entra questo?

-Se, dopo tutto questo tempo, riuscisse ancora ad indirizzarla verso la Casa dei Corvonero, significa che ha riottenuto tutta la sua saggezza.

-Ottima idea, Severus, procediamo. Oplà, l’altezza mi sembra non sia cambiata da allora Filius.

-Professore, non è il momento per dell’ironia...

-Scusate, scusate, ma sono sicuro che chi ci sta guardando lo troverà divertente.

I professori si guardarono in modo confuso, ma non ci badarono più di tanto, del resto ciò che diceva il Cappello Parlante era molto più importante.

-Umh, continui ad essere difficile da collocare... Dopo tutto questo tempo... Hai vissuto una vita da Corvonero, ma in te c’è anche molta sapienza e responsabilità, tipica dei Tassorosso ed anche grande coraggio. Questo piccolo corpo possiede davvero un enorme cuore, saresti un perfetto Grifondoro, ma... Dove, dove la tua strada ti porterà?

La manfrina andò avanti ancora per parecchio, finché:

-Ah, questa è bella: hai una bella cotta per Guendalina Farnsworth, dico bene? E lei è stata smistata in Corvonero, no? Beh, chi sono io per dividere una così bella e promettente coppia, Corvonero!

-Filius, davvero provavi dei sentimenti per la professoressa Farnsworth?

-Si, ma è stato tanto tempo fa, eravamo bambini e lei era dolce con me... Ma insomma! Non dovremmo pensare ad altro adesso?

-Per lo meno abbiamo constatato che il Cappello funziona regolarmente, ne può essere orgoglioso signore, nessun altro ne sarebbe stato capace.

-Non esagerare adesso Severus. Credo sia ora di andare, avete degli studenti ad attendervi ed io una scuola da dirigere. Prego professori, dopo di voi.

La McGranitt e il professor Vitious uscirono dalla stanza, ma Piton fermò il preside poco prima dell’uscio.

-E adesso?

-Lo terrò d’occhio. Anzi, lo terremo d’occhio entrambi.

-Cosa, perché vuole mettermi in mezzo? Ho già tante responsabilità, non posso addossarmi anche questa.

-Sarebbe stato una tua responsabilità in ogni caso Severus. E’ nella tua Casa.

-Cosa? Come fa a dire che verrà smistato in Serpeverde?

-Perché lo so.

 

Muthsera dormiva nella sua gabbietta sottoforma di tritone imperiale, io ero supino, sul letto. L’indomani avrei avuto il primo giorno di lezioni. Dovevo riposare... Ma non riuscivo a chiudere occhio.

 

 

[Curiosità: ad Emanuele dispiacerebbe finire in Tassorosso, oltre per i colori sociali poco virili, per via della sonorità con cui il nome viene pronunciato in inglese: Hufflepuff]

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Capitolo 12
*** Il tempo vola quando ci si diverte ***


 

Din! Don!

Din! Don!

Din! Don! Dan! Don!

Ma cosa diavolo?! Ah, giusto, sono ad Hogwarts ora...

Le campane continuavano a rintoccare in sottofondo, era un suono dolce ma penetrante, nonostante ci trovassimo nei Sotterranei: l’ideale per svegliarsi di buon mattino senza particolari traumi. La luce che proveniva dalle finestre era molto fioca, segno dell’orario ancora giovane...

Aspetta, luce solare? Qua sotto?

Sollevai la tenda sopra la testa del letto, per osservare su cosa si affacciasse, dato che non avevo controllato la sera prima. Ovviamente dietro ritrovai un’altra inferriata che dava alle fogne del castello. Nessun cattivo odore proveniva da quei liquami che, al loro posto, emanavano invece una strana luce iridescente. In quel preciso momento avevano una certa tonalità giallognola, ma ero sicuro che più tempo sarebbe passato, più avrebbero virato verso il verde della sera prima.

-Buongiorno, ragazzi...

-Yawn! ‘Giorno..

-Avete visto? Dormiamo proprio accanto ad un flusso fognario...

-Davvero?

-Guarda tu stesso.

Rupert, il cui letto si trovava proprio di fronte al mio, seguì le mie direttive.

-Eh, c’hai ragione! Abbastanza schifoso... Guarda lì quel topo come corre!

Almeno Muthsera non morirà di fame, questo è certo.

Nel pensare al mio serpente, ricordai tutto ciò che “vidi” la sera prima tramite i suoi occhi. Sollevai la gabbietta del tritone e lo fissai in volto. Non potevamo parlarci, ma in qualche modo ero sicuro riuscisse a capire ciò che provavo in quel momento. Cosa significavano le parole di Piton e di Silente? il Cappello come mai s’era Allarmato proprio con me? Il fatto che sapessi parlare con Muthsera e che non abbia trovato una bacchetta adatta era in qualche modo collegato? Non riuscivo a smettere di pormi queste domande: si trattava della mia vita dopotutto, non ero certo più interessato al topo che andava su e giù per i canali suscitando l’ilarità dei miei compagni di stanza.

Etciùù!

-Salute.

-Non ti puoi immaginare a chi hai appena fatto l’augurio...

C’era un tono distratto nella voce di Brendan, a tratti spaventato.

-Che c’è? Cosa state guardando?

Fare domande risultava inutile, erano troppo presi da qualsiasi cosa ci fosse dietro quelle sbarre. E a ben ragione.

Etciùù!

Anche il secondo starnuto proveniva dalla stessa fonte: un grasso omuncolo violaceo vestito unicamente con un pannolone di cenci, col naso rosso come un peperone e lo sguardo non molto intelligente pattugliava la battigia superiore del canale fognario.

-Io so cos’è quello... E’ un troll di caverna!

-Sst! Vuoi farti sentire?

Abbassammo immediatamente le tende per coprire la visuale ed evitare di venir individuati dal mostro e, successivamente, il ragazzino dalla strana pronuncia che era convinto di conoscere la creatura aggiunse:

-Mio padre li disegna, son sicuro che sia un troll! Cosa ci fa qui?

Non ne avevo idea, ma se già la presenza dei Dissennatori nei dintorni del castello mi metteva a disagio, certo non avrei tollerato che un troll, o cos’altro diamine fosse, andasse a zonzo a due passi dalla nostra camera da letto.

-Diciamolo al prefetto!

-Si, come se a quello gliene importi qualcosa...

Fred era molto scettico riguardo la possibilità di un aiuto da parte del ragazzo che la sera prima ci aveva accompagnato fino alla Sala Comune. A me invece sembrava un tipo a posto, tutto sommato.

-E’ un Alister, noti piantagrane.

Addirittura Rupert Runcorn ne conosceva l’albero genealogico.

-La loro fama li precede.

Dan ed i restanti due ragazzi invece non avevano idea del perché di quelle parole, ma due testimonianze erano abbastanza credibili e finirono per crederci. Io comunque un tentativo volevo farlo.

Era ancora molto presto ed ovviamente non trovai nessuno nella Sala Comune; potevo salire per cercarlo nelle stanze di quelli più grandi, ma non volevo disturbare chi non conoscevo, perciò preferii controllare l’orario della giornata.

Dalle 9 alle 12 Pozioni e dalle 2 alle 4 del pomeriggio Difesa contro le Arti Oscure... E non ho la più pallida idea di dove si terranno le lezioni.

-Scappa, mi scappa, mi scappa!

Rupert si fiondò verso l’uscita della sala comune con un asciugamano sulla spalla destra, chiaramente diretto in bagno.

-Io lo seguo.

-E noi pure.

Fred, Dan e gli altri due ragazzi sembravano avessero deciso di lasciar perdere il Troll per occuparsi di faccende più urgenti. Come dargli torto.

-Aspettate, vengo anch’io.

Presi con me spazzolino, dentifricio, asciugamano e tutto ciò che mi sembrasse utile portare e li seguii dall’altra parte del passaggio segreto.

-Destra o sinistra?

Ci chiese Fred.

-Che intendi?

-Destra si va per i bagni del piano terra, sinistra quelli nostri, ti ricordi?

-Io più che altro ricordo che a sinistra c’era un fantasma sanguinario.

-Siamo in sei, non ci darà problemi.

-Decidetevi, è da ieri sera che la trattengo!

Non credevo che il nostro numero avrebbe fatto alcuna differenza per lui.

-Basta, non ce la faccio più io vado con o senza voi!

Rupert si diresse verso sinistra, scegliendo lui per tutti.

-D’accordo, proviamo il bagno più vicino...

Ci avviammo dunque verso sinistra, destinazione nota ma tragitto sconosciuto. Per fortuna a parte qualche falso bivio che conduceva a punti morti, la strada per il bagno fu abbastanza semplice.

Chiamarlo bagno era riduttivo: era quasi grande come la Sala Comune ed era elegantissimo. Non mi aspettavo certo dei bagni alla turca, ma vedere quei sanitari in ceramica così finemente modellati e la rubinetteria d’ottone scintillante fu abbastanza sorprendente. Di fronte a noi c’era un alto armadio in marmo bianco, diviso in molti scomparti e cassetti, per la maggiore vuoti, ma alcuni contenevano asciugamani, accappatoi, carta igienica, rotoli di carta assorbente, secchi e stracci. A destra c’era una parete totalmente coperta da lavabi con annessi specchi lucenti. A sinistra invece si procedeva per un discreto reparto toilette, con cabine a schiera su entrambi i lati della stanza, mentre più avanti c’erano le docce. Le si distingueva dai gabinetti perché le loro cabine erano decisamente più larghe e spaziose, ma anche per via delle coppie di armadietti a muro e specchi interi che ognuna di esse aveva di fronte.

-Ohi, che ci fate lì?

Rupert era dietro di noi, sembrava più tranquillo, adesso.

-Ti abbiamo seguito, tu invece, come hai fatto a spuntarci dietro?

-Ma vedete che il bagno è di là!

-E allora in questo momento dove siamo?

-Ahhh!

-Una delle nuove Serpeverde uscì dai gabinetti e, per la vergogna, urlò.

Oh, cavoli...

In preda all’ira estrasse la bacchetta dalla tasca del suo pigiama e ce la puntò contro.

-Calma, calmati, è stato un errore, ce ne andiamo, ce ne stiamo andando...

-Diamine, via!

Dopo essere scappati con le gambe levate, nel bagno giusto questa volta, riprendemmo fiato.

-Ma quella va in bagno armata?!

-Che figuraccia, che figuraccia...

-La figuraccia l’ha fatta lei, hai visto quel pigiamino a pallini?

-Ahahah, ragazzi, ma siete ciechi? C’era un cartellone grande così: FEMMINILE !

-La colpa è sua, io seguivo lui...

Ora la colpa è mia?

-E se mi fossi buttato da un ponte, mi avresti seguito?

-Anch’io avrei giurato di averti visto entrare lì dentro Rupert...

-Ma quando mai, io lì non c’ho messo piede.

-Mah, pure le allucinazioni adesso.

Che figuraccia...

 

Rientrando nella Sala Comune, la trovammo piena di gente.

-Ah, ecco i nani del primo anno!

-Che belle vestagliette, ve le hanno cucite le vostre mammine?

-Occhio che quello è il figlio del primario del San Mungo. Se lo fai arrabbiare suo papà licenzia il tuo, ahahah!

Scoppiò una risata generale. Frederick stava per difendersi, ma alzai prima io la voce:

-Dov’è il prefetto Alister?

-Uhhh, il ragazzino ha fatto la voce grossa...

Uno dalla faccia non molto intelligente che si stava proprio divertendo, volle rincarare la dose.

-Non facciamolo arrabbiare allora, o ci fa fischiare le orecchie come ha fatto col Cappello Parlante. Che c’avevi, i pidocchi, per farlo urlare così?

Mi aveva riconosciuto; ora l’ilarità era arrivata alle stelle.

-Ma cos’è questo baccano di prima mattina... Flint ha perso di nuovo i pantaloni?

Un grosso ragazzo coi capelli rossicci e la fronte stempiata entrò nella sala e tutti smisero di ridere.

-Buzz, questo moccioso ti cercava.

-Ah si? E che vuole da me?

Non era vero, non stavo cercando lui.

-Cercavamo il prefetto di Serpeverde.

-Io sono un prefetto infatti.

Quindi ci sono più di un prefetto per Casa, allora perché solo Kevin si è presentato a noi?

-Sì, ma ne cercavamo uno in particolare, il prefetto Alister.

Dan cercò di venirmi in aiuto.

-E allora sono due le cose: o mi prendete in giro o siete proprio stupidi. Sono io Buzz Alister.

E quindi? Il ragazzo di ieri ci aveva preso in giro?

-Basta così Alister, lo sappiamo che hai un fratello più piccolo di nome Kevin!

Fred era proprio seccato, non gli piaceva esser preso in giro a quanto pare.

-E questo qui chi è? Come fa a conoscermi?

-Durante il banchetto che facevi, dormivi? E’ il figlio del dottor Bowen, ovvio che sappia tutto di Hogwarts, suo padre è un membro del Consiglio, nonché uno dei migliori finanziatori della scuola.

-Bah, comunque sia ha rovinato lo scherzo, buonanotte marmaglia, torno a dormire... Finitevela con questo trambusto o passo alle maniere forti, mi alzo fra due ore.

-Te ne va di già? Non vieni a Divinazione?

-Non mi fare diventar volgare!

Evidentemente no.

Intanto la ragazza del bagno era tornata in Sala e, mentre procedeva verso la sua camera, teneva basso lo sguardo.

-Dite che ce l’ha ancora con noi?

-Temo di si...

 

Cercando di ricordare che scelta di abbigliamento avevano optato quelli degli anni successivi, aprì l’armadio per prendermi il pantalone e la camicia, che almeno loro erano sicuri e notai una particolarità: la sciarpa, il mantello, le calze, i guanti e tutto ciò che prima era di colore grigio erano diventati verdi ed alcuni stemmi di Hogwarts sulle camicie, sul maglione e sulla cintura avevano preso la forma di quello di Serpeverde, proprio come aveva detto Madame Mc Clan.

-Siamo proprio dei Serpeverde ora, eh?

Mostrai la camicia a Brendan ed al ragazzo con le lentiggini di cui ancora non conoscevo il nome.

-What?!

Come what? Ah già, il Logos...

Velocemente mi puntai il dito sulla testa ed eseguii la fattura; nessuno si accorse di nulla.

-Niente ragazzi, stavo dicendo che le uniformi si sono aggiornate!

Scordarsi una cosa del genere... E se mi fosse capitato a lezione?

-Ehi ragazzi, noi del terzo stiamo andando su a far colazione. Venite?

Uno studente più grande si affacciò sulla nostra stanza estendendoci questo invito, ma prima che uno di noi potesse rispondere c’era chi lo fece per noi.

-Lasciali stare, la prima ora hanno Pozioni, non hai visto la bacheca? Devono esser lì almeno cinque minuti prima!

-Allora come non detto, sarà per domani, meglio non servire gratuitamente a Piton occasioni per rovinarci la giornata.

C’era evidentemente un alone di pessimismo quando si parlava di questo preciso insegnante. Brutto segno.

Finito di vestirci, all’unisono Brendan ed il ragazzo con l’accento francese chiesero al resto del gruppo:

-E adesso? Cosa dobbiamo portare alla lezione di Pozioni?

Ah, bella domanda questa...

-Senza dubbio il libro di Pozioni...

-... E dei rotoli di pergamena bianchi.

-Nonché penna e calamaio.

-Già.

-Questo era ovvio, ma poi?

-Eh, poi?

-Poi... Portiamoci tutto che è meglio!

Era l’unica soluzione attuabile. Un’altra era di chiedere ai ragazzi più grandi, ma si era già capito l’atteggiamento rivolto alle nuove leve. La ventiquattrore che mi aveva stregato ser Richard funzionava ancora, quindi proposi agli altri di posare anche i loro attrezzi là dentro, in modo da facilitarne il trasporto.

-Sì, bell’idea, grazie!

 

Mentre i miei compagni scendevano di sotto, venni fermato da una voce famigliare:

-Ehi, aspetta! Fammi tornare serpente, ho fame, vado a caccia!

-Sei pazzo, con quei Troll laggiù?

-Li eviterò, non devo mica passare di là per forza, dai sto morendo...

-Hai mangiato mezzo topo due giorni fa, puoi resistere un altro giorno.

-Ma oggi o domani che differenza farebbe? Sempre i Troll ci saranno.

-Se informo il preside li farà sloggiare.

-E credi siano venuti qui da soli? Qualcuno glieli avrà portati, mi pare ovvio.

Temevo avesse ragione, erano troppo tranquilli e a loro agio per essere arrivati di soppiatto da poco, dovevano trovarsi lì da tempo.

-D’accordo, ma due cose: non farti individuare da nessuno e soprattutto non farti ammazzare, e non parlo solo di Troll, chissà cos’altro nasconde questo castello. Ho sentito parlare di un Basilisco che faceva fuori i figli di babbani l’anno scorso.

-Tranquillo, ho solo voglia di un bocconcino e, come direste voi, sgranchirmi le gambe.

-Ma che fai, ti sbrighi?

Era Fred che era ritornato per chiamarmi.

-C’è l’Alister più giovane che ci attende per portarci a lezione!

-Scusa, ma avevo dimenticato di cambiare la vaschetta al tritone: è un anfibio e se non lo si idrata regolarmente con acqua pulita potrebbe...

-Ma guarda il rospo di Rupert com’è secco, sembra un masso quasi. Che t’importa, è solo un animaletto!

Mi indicò il contenitore trasparente sotto il comodino a fianco del letto di Rupert Runcorn ed effettivamente dentro c’era una specie di roccia arancione. Non avevo mai visto una rana così rigida in vita mia, era ad un passo dal rimanerci secca.

-Si beh, la morte del mio animale è un opzione che vorrei scartare a priori. Se poi capita, pazienza.

-D’accordo, ma fai presto.

Per fortuna non s’era accorto della falla nella mia bugia: in mano non avevo nessuna bottiglietta d’acqua con cui riempire la vaschetta del tritone. Dovevo ricordarmi di tenerne una sul comodino da questa sera in avanti.

-Allora?

-Senti, un’altra cosa: visto che sei così desideroso di farti delle passeggiate, utilizza il tuo olfatto e cerca Silente. Sono sicuro che tenterà di far ricordare qualcosa al Cappello anche questa mattina.

-Ci sono altri ordini? Senti, non ti prometto nulla, noi serpenti non siamo animali da corsa, ci stanchiamo facilmente. E credo proprio che il tuo obiettivo risieda abbastanza lontano da qui.

-Hai tutto il giorno, no? Di pomeriggio avrò Difesa, non mi serviresti comunque.

-Si chiama sfruttamento di animali.

-Io lo vedrei più come un “tu fai un favore a me ed io uno a te”’.

-E’ tuo dovere procurarmi il cibo, dovresti ringraziare che me lo caccio da solo.

-Lamentati col rospo di Rupert quando ci passerai. Sempre che ti risponda.

-Ho capito, ma se non capto niente di importante non chiedermi di farlo tutti i giorni.

-No, vada solo per stavolta. Ah, e mettiti in un punto in cui si vede tutta la scena e non solo le voci, non voglio assistere più ad uno spettacolo di ombre cinesi!

-Fai pure il difficile adesso...

Litigare con Muthsera mi divertiva parecchio, cercava sempre di fare il sostenuto, ma alla fine la meglio l’avevo io.

Scendendo le scale incontrai anche le gemelle del mio stesso anno.

-Ehm, ciao.

Non ottenni risposta. Erano più cupe di una coppia di parrocchetti chiusi in gabbie differenti.

-Alla buon ora. Sentite ragazzini, mi hanno detto che questa mattina alle 8 e un quarto e ripeto alle 8 e un quarto, praticamente l’alba, mi cercavate. Sono stato gentile con voi perché obbligato, ma non fate pentirmene, intesi? Cosa volevate di così urgente?

Messa così sembrava che eravamo noi quelli nel torto e non lui che come prefetto era decisamente poco tollerante. Il ragazzo col padre illustratore di troll, sentendosi in obbligo di porsi come persona a conoscenza dei fatti, gli rispose.

-Cosa ci fanno qui ad Hogwarts dei Troll di Caverna, è molto strano!

-Ma come caspita parli? Hai del catarro in gola? Togliti al più presto quello stupido accento francese, è un consiglio.

-Non cambiare discorso e rispondici!

-D’accordo, non vi agitate. Ammetto di essermene dimenticato, ieri sera ma...

Risate provennero dal solito divano ridanciano.

-Dicevo... Ma non c’è nulla di cui preoccuparsi. Sono dei grossi mostriciattoli pacifici, non cacciano nemmeno i topi, figuriamoci gli esseri umani. La scuola li tiene perché si cibano di muschio, tengono puliti i Sotterranei e praticamente senza il loro aiuto, potremmo dire addio all’Ala Vecchia e alla nostra Sala per via della muffa.

L’ipotesi dei troll pacifici in effetti reggeva, poiché da quanto visto praticamente certi sorci gli ballavano sulla testa senza che battessero ciglio.

-Ora basta domande che è quasi l’orario, seguitemi.

Uscendo dalla Sala Comune, il prefetto volle mettere le cose in chiaro.

-Dopo pranzo, visto che avremo qualche minuto libero, vi mostrerò tutte, o quasi, le altre aule in cui si terranno le varie lezioni del vostro anno, inclusa quella di Difesa Contro le Arti Oscure. Cercate di memorizzarvi i percorsi per bene, che da domani la guida turistica chiude i battenti.

 

L’aula di Pozioni si trovava proprio di fronte ad una strettissima tromba di scale che, paradossalmente, si trovava più vicina a chiunque si trovasse al piano di sopra che non a noi di Serpeverde, dato che per arrivare lì abbiamo dovuto superare l’intera Ala Vecchia.

-Ecco qua, a prova di imbranato: hanno appeso una targhetta con su scritto ‘Aula di Pozioni’ e guardate un po’ qui... C’è pure un bel calderone disegnato sopra, dite che riuscite a continuare da soli adesso?

-Io non saprei, certuni qui non sanno leggere i cartelli...

Era la ragazza che avevamo sorpreso in bagno ad umiliarci ancora una volta. Non potevamo far altro che tener bassi gli sguardi e cercar di far correre la cosa.

All’interno lo spazio era molto angusto: profondi scaffali colmi di alambicchi e ampolle dimezzavano praticamente la larghezza della stanza, mentre due belle e spesse colonne cadevano esattamente in mezzo all’aula, riducendo così ancor di più lo spazio calpestabile. Senza contare che l’area che si era riservato l’insegnante per il proprio calderone e la cattedra era larga quasi quanto quella che ci dovevamo dividere noi studenti in trenta.

Noi Serpeverde eravamo stati i primi ad esserci presentati, così potemmo scegliere con comodo i nostri posti. C’era da dire che qualsiasi banco scegliessimo, si presentava sempre qualche ostacolo alla buona visione del punto in cui, presumibilmente, Piton avrebbe tenuto le sue lezioni. A volte il problema era l’esagerata obliquità della visuale, altre volte erano le cianfrusaglie tenute sui comò che dividevano le due aree longitudinalmente e, nei peggiori dei casi, il capitare nei posti dietro le due colonne sarebbe equivalso al non vederci praticamente un tubo di cosa succedeva dall’altra parte. Perciò alla fine si finiva per scegliere i punti meno peggiori della fila.

Io, Dan e la tizia del bagno ci sedemmo in prima fila, leggermente decentrati sulla destra, mentre Fred e Rupert erano nei rispettivi posti speculari ai nostri. Le due gemelle sedevano dietro di loro, mentre dietro di noi c’erano il ragazzo francese e quello con le lentiggini, che...

-E che sono quei cosi?

-Che domande fai! Sono occhiali, no?

...Si era messo un paio di occhiali larghi come due lenti d’ingrandimento.

Le 9 si stavano avvicinando e pian piano la classe si riempiva di altri studenti. A parte Miller e le due ragazze del treno, non conoscevo il nome di nessun altro, per questo non vedevo l’ora che il professore facesse l’appello, almeno mi sarei evitato l’imbarazzo di chiedere il nome agli altri, specie dei miei due compagni di stanza che sedevano alle mie spalle.

-E’ occupato?

Mi domandò Miller, cercando un posto dove mettersi.

-Si è libero, ma non ti conviene metterti qua, se noti c’è... Beh, c’è questa colonna! Mettiti almeno un posto più in là o non ci vedrai niente!

-Oh, perfetto, grazie, meno male che me l’hai detto!

Come diavolo ha fatto a non accorgersene?

-Suppongo non siano voci provenienti dalla mia classe quelle che sento...

La porta d’ingresso si spalancò e ne emerse una sfuggente figura, nera come l’inchiostro, il cui movimento ascendente la faceva sembrare uno di quei Dissennatori di Azkaban.

Quella voce... La distinguerei ovunque, è Piton...

Alla chiusura della porta l’insegnante, dispostosi dinanzi alla classe, estrasse dalla tasca interna del suo mantello un rotolo di pergamena, eseguendo un movimento che gli diede per un attimo le sembianze di un oscuro rapace in picchiata sulla sua preda.

-Bones.

-Presente...

Il ragazzo rossiccio dei Tassorosso si alzò in piedi per rispondere all’appello, ma lo sguardo gelido del professore fece capire a chiunque venisse dopo che sarebbe bastata un’alzata di mano.

-Bowen.

Fred si limitò ad alzare la mano destra. Nessuna ripercussione.

-McBumble.

Miller, per il nervosismo, nell’alzare la mano fece cadere a terra il suo bilancino d’ottone, il che mi ricordò il fatto che dovevo ancora passare tutto il materiale ai miei compagni.

-Mi scusi, non volevo far...

-Raccolga il suo strumento e torni composto, signor McBumble. Scusarsi di un incidente non fa altro che accrescerne il disturbo che arreca agli altri.

-Capito, signore. Mi scusi, signor...

Accidenti, è una frana...

-Burgio.

Non sbagliò pronuncia come fece la sera prima la professoressa McGranitt o chiunque altro avesse provato a chiamarmi per cognome negli ultimi 2 mesi. No, non c’era insicurezza nel suo tono, sapeva come mi chiamassi ed era preparato a dirlo: mi conosceva... E non da ieri. Alzai la mano, ma non era necessario, sapeva della mia presenza.

-Callaghan.

 

 

Finito l’appello, il professor Piton si allontanò per predisporre un po’ di attrezzi sul suo banco da lavoro, così ne approfittai anch’io, tirando fuori dalla valigetta tutte le cianfrusaglie che mi erano state affidate. Il difficile arrivò quando dovetti spiegare a Miller di passare la roba a quelli accanto a lui senza pronunciare una singola parola, mimando un ‘passali’ con le braccia. Tutto questo movimento, ovviamente, venne notato dal professore, che interruppe qualsiasi cosa stesse facendo per poter rivolgere, in mia direzione, queste parole:

-Sciocchi. Maghi sciocchi e presuntuosi sulle proprie abilità commettono l’errore di sottovalutare la sottile arte dell’infusione, della pericolosità di quei minuziosi e considerati dosaggi che rendono un semplice fluido vettore di gioia e di dolore, di gloria e di devastazione, di vita e... Di morte. Qui dentro imparerete non solo a praticare alla perfezione la dottrina del preparare pozioni, ma anche a renderla parte integrante della vostra esistenza; certo, solo se ne sarete disposti. Per quei pochi di voi il cui cammino dovesse riservare l’ingombrante presenza della grandezza ricordo di essere rispettosi nei confronti della scienza. Siatelo ed il risultato sarà prodigo di benefici, mancate di esserlo e le conseguenze saranno sicuramente crudeli.

Non avrei saputo dire se gli altri avessero colto il punto del discorso, ma per me era chiaro: se non avessimo rasentato la perfezione, la bocciatura era l’unica opzione possibile.

-Inutile procedere alla preparazione delle soluzioni elementari se neanche sappiamo riconoscere gli attrezzi del nostro lavoro. Dovrei dar per scontata la vostra preparazione sull’argomento, ma odio il dover umiliare il mio buonsenso illudendomi di trovarmi di fronte ad una classe finalmente adeguata alla situazione. Ma, visto che tentar non nuoce, possiamo provare... Pewter, sembrava che la canzone del coro le sia piaciuta particolarmente. C’era un termine più volte menzionato nel testo, quagliare, mi sa per caso dire cosa significa?

Il ragazzo di Corvonero che rispondeva al cognome di Pewter non ne aveva idea, così come credo il resto della classe.

-Non risponde? E allora forse McBumble, che ha così tanta voglia di aprire la bocca, mi saprà dire che cosa ottengo di diverso nelle diverse cotture isotermiche di due filtri, uno sviluppato su pentola in peltro I26 e l’altro sempre sulla stessa marmitta ma di misura standard 2, che tra l’altro è quella che dovremo utilizzare durante tutta la durata del corso?

Miller, non avendo capito che se una risposta non la si conosceva era meglio tacere, tentò una grossolana arrampicata sugli specchi.

-Certo, vediamo... Le pentole di misura standard 2 sono l’ideale per cotture... standard... 2, appunto. Mentre la I... La I... 27... Arrivano fino a 27 gradi...

-Basta così, grazie. Una pentola il cui limite termico arriva a soli 27 gradi, vedo che ha ben chiara anche la natura stessa della temperatura. Nessun altro riesce a fornirci qualche brillante teoria sulla questione?

Non so cosa mi spinse a farlo, forse le vecchie abitudini prese durante la scuola elementare in cui ero sempre il primo della classe, fatto sta che risposi d’istinto tutto d’un fiato.

-Non posso dirlo con certezza, ma credo che la misura standard si riferisca appunto alle dimensioni della pentola stessa. Per la prima che ha nominato, la I26, dato che si sta parlando di misure, è probabile che la I indichi il sistema di riferimento, in questo caso il pollice, quindi larga 26 pollici. Inoltre, essendo 26 pollici una misura troppo grande per la bocca del tegame, probabilmente ci si riferisce al diametro massimo interno che, come si può vedere dai vari esemplari sugli scaffali, è sempre maggiore rispetto al collo superiore di appartenenza.

Non sapevo se essere grato al libro di Ser Richard sui sistemi di misura inglesi o meno, dato che la colpa della mia spudoratezza era sua.

-Ah, davvero crede questo? E mi dica, in questi vari esemplari che lei ha appena nominato, nota solamente le larghezze come uniche differenze che le contraddistingue?

Il cuore mi batteva all’impazzata, ormai il danno era fatto, non potevo tirarmi più indietro. Ma la domanda era subdola, le pentole erano molto in alto e le si vedeva a malapena per metà.

-No, no... Certo che no...

Pensa, pensa...Le pentole di casa, in cosa si differenziano? Alcune sono più pesanti di altre, anche se hanno la stessa dimensione, ma perché? Quelle più pesanti sono quelle in cui la mamma cucinava lo spezzatino, mentre in quelle leggere e sottili la pasta, ma non aiuta... No, aspetta, sottili?

-Ebbene? Finisce qui la veemenza della sua risposta?

-Il fondo!

Mi accorsi solo dopo un po’ di averlo urlato.

-Cioè, voglio dire, il fondo deve anche essere più spesso per sopportare fiamme più alte e intense... Spero.

Avevo ridotto la voce esattamente come un attimo prima aveva fatto Miller, ma sembrava avessi azzeccato la risposta, visto che il professore, per mantenermi ancora in pugno, rigirò la frittata:

-Già, ma non ha ancora risposta alla mia domanda, signor Burgio. Cosa... Diavolo... Cambia... Tra due cotture isotermiche in questi diversi ambienti di lavoro!

Ad un certo punto biascicò le parole, come per intimidirmi ulteriormente. E ci riuscì: non sapevo più cosa pensare, cosa dire, mi si era bloccato tutto.

-La domanda, signore! La domanda è incompleta! Questo dovevate dirmi immediatamente dopo la formulazione! Mancava un dato, e non uno qualsiasi, ma il più importante... Che cosa dobbiamo preparare? Eh già! Cosa? Era così impossibile pensare che se magari dovessimo lessare una patata, anche la caraffa della cucina sarebbe andata bene? Ma se invece il nostro scopo fosse raggiungere la temperatura di fusione dell’oro? Ah... Quale pentola sceglieremo? La più grossa, no? Più grande sarà e meno problemi avremo, direte voi...

Sbam!

Piton prese una marmitta dalle dimensioni di un divano e la poggiò pesantemente sul tavolo.

-Con questa impiegheremo una settimana solo per portarla alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Forse tre giorni sprecando quindici galeoni in catalizzatori... Vede, signor Burgio, alle mie domande non si danno mezze risposte. E la sua era una risposta a metà. Il fato deve provare ebbrezza e compiacersi particolarmente se ogni anno fa un dono particolare a questa scuola. L’esiliatore dell’anima di Bandon l’anno scorso, il bambino sopravissuto l’anno ancor prima e l’Allarmatore del Cappello Parlante quest’anno.

Dicci, come ci si sente ad avere in se ciò che tutti bramano, vorremmo tanto saperlo... Potenti? Importanti? Soli? Ah, ma non sai neppure a cosa pensare in questo momento...

Era tutto molto confuso, agghiacciante certo, ma più che altro strano. Non aveva più a che fare con la lezione di per se, ma era una specie di rancore personale quello che si leggeva nel suo sguardo e nelle sue parole. E non sapevo il perché.

Piton, comunque, continuò il discorso mostrandoci in modo fulmineo come posizionare correttamente un pentolone sul fuoco e come accendere la fiamma senza provocare combustioni accidentali delle nostre maniche.

-Per il resto della lezione di oggi imiterete questo gesto più e più volte, per i vari formati dei tegami e con la stessa identica fiamma. Prendete appunti sui tempi e sugli eventuali risultati notevoli che ottenete durante queste prove. Lo scopo è quello di sapersi confrontare contro ogni tipo di temperatura che le pozioni ci richiederanno. Portate l’acqua ad ebollizione, annotate ciò che reputate sia rilevante, svuotate il contenuto nel catino e ricominciate con un’altra dimensione. Questa...

Prese una marmitta abbastanza larga da contenere due studenti senza problemi.

-...E’ la misura limite che prenderete in esame. Includendola sono in tutto diciotto. Avete più di un’ora e mezza, a lavoro.

 

L’esercitazione era stata un inferno: poco spazio per posizionare il materiale, lunghe code per riempire ogni volta le pentole d’acqua, fogli che prendevano a fuoco, gas che non voleva aprirsi, il ragazzo di Grifondoro che versava più acqua in terra che nei suoi calderoni, rimproveri continui da parte di Piton, ancor meno spazio per prendere gli appunti, altri rimproveri di Piton, ulteriore acqua per terra e... Poco tempo. A dieci minuti dal termine mi mancavano ancora cinque calderoni da verificare, i più grossi tra l’altro. Sentendo che non ce l’avrei mai fatta in tempo, mi misi l’anima in pace e continuai con tutta calma, poiché agitarsi non avrebbe portato a nulla.

-Basta così. Dato che nessuno di voi ha mai preso la I26, devo desumere che non siete riusciti a completare l’esercitazione. Poco male, avete fino a giovedì per completare il lavoro.

Nell’udire quelle parole, ci sentimmo tutti più sollevati, ma durò poco.

-Tuttavia, essendo questo un compito che dovevate completare oggi stesso in classe...

Passò davanti ognuno di noi, posando sui nostri banchi due piccole strane mele verdi a forma di cuore.

-Per giovedì dovrete anche consegnare una relazione dettagliata in cui bollirete quegli ingredienti in un sistema isotermico su due differenti misure, la standard 2 in vostra dotazione e la M40 che troverete nello scaffale delle pentole europee. Un rotolo di pergamena dovrebbe bastare. Per l’adempimento del vostro compito, vi informo che l’aula sarà a vostra disposizione ogni pomeriggio dalle 4 alle 7 di sera. La lezione è finita.

Era quasi surreale, ma eravamo sopravvissuti alla prima lezione di Pozioni, dovevamo solo uscire dall’aula per poterci sentire finalmente liberi...

-Mi scusi professore, ma ha dimenticato di dirci il nome dell’ingrediente.

Anche se non aveva tutti i torti, Amanda osò porre questa domanda a Piton. Che, ovviamente, le rispose a modo suo:

-Relazione. Dettagliata. Un. Rotolo. Di. Pergamena.

 

Era già ora di pranzo a sentire i rintocchi della campana, ma dovevo fare una capatina alla Sala di Serpeverde, quantomeno per riporre gli attrezzi superflui che non ci erano serviti.

-Con i vostri che faccio, ve li poso sul letto?

-Sì, d’accordo.

-Allora ci vediamo più tardi alla Sala Grande.

Adesso voglio riposarmi almeno un po’...

Come non detto. La Sala Comune era gremita di persone, quasi non si respirava. I divani e le poltrone erano già tutti occupati, l’ultimo posto libero rimasto era sullo sgabello di fronte all’acquario vicino le scale dei dormitori, di certo non comodissimo. Osservando quell’unico pesce che sguazzava in quelle acque, mi salì un’insolita sonnolenza che poteva trovare conforto soltanto appoggiando per qualche minuto la testa su un cuscino. Salendo in camera, diedi una rapida occhiata in cerca di Muthsera, ma come avevo preventivato, non lo trovai. Controllai fuori dalla grata che dava al covo troll, ma non vidi nessun movimento sospetto; potevo finalmente rilassarmi.

Alle 2 inizia Difesa contro le Arti Oscure, poi, dalle 4 alle 7 farei meglio a completare almeno uno dei compiti di Piton e...

Mi addormentai senza rendermene conto, sognando di versare acqua su pentoloni larghi quanto una vasca da bagno e al mio risveglio era già l’1 passata.

Oh no, oltre alla colazione ora salto pure il pranzo?

Corsi a più non posso per raggiungere in tempo la Sala Grande, ma per strada incontrai alcuni impedimenti: due Serpeverde si stavano picchiando all’ingresso, bloccando l’uscita.

-Te lo faccio vedere io chi è figlio di pezzenti!

Le botte che si menavano erano così potenti da sentirne il tonfo... E nessuno li fermava! Anzi, c’era perfino il tifo! Uno dei due combattenti, sbilanciandosi, strappò dai suoi passanti una delle tende ornamentali che disseminavano l’ambiente, facendo così intervenire Buzz Alister:

-Fin quando vi picchiate fra di voi non mi interessa, ma se dovete distruggere la Sala Comune, allora diventa un problema mio e se intervengo io è un grosso problema per voi.

I due contendenti smisero subito le ostilità, risistemandosi le divise e scusandosi con il prefetto.

-Ed aggiustate tutto, subito!

-Dannazione Buzz, volevo uscire da questa scuola proprio per evitare di assistere nuovamente a scene pietose come questa!

Un ragazzo altissimo e coi denti da cavallo si stava lamentando con tono rassegnato.

-Parli tu che ormai non sei più prefetto, Flint. Sai che scocciatura ogni qual volta che quell’inutile di mio fratello non è presente...

 

La Sala Grande era piena di studenti che mangiavano e chiacchieravano tra loro, ma l’ambiente era molto più tranquillo rispetto la sera prima. Andai in fondo alla ricerca dei miei compagni, ma li trovai che avevano praticamente finito.

-Occhio che Kevin fra qualche minuto viene a prenderci per fare il giro della scuola. Se non termini in tempo ti lascia indietro, è stato chiaro.

-Ok ok, faccio in un lampo.

Anche perché non c’era molto da gustare, giusto le patate cotte della sera prima che erano state riciclate in un minestrone al farro e, appunto, patate. Poi tutto il resto era troppo fritto per i miei gusti.

-Ma chi credete che cucini questa roba? Ieri qualcosa di passabile c’era, ma oggi... Spero non sia la regola.

Effettivamente la domanda di Fred era abbastanza attinente, non avevo visto alcun cuoco che preparava i pasti e di certo, il fatto che comparissero all’improvviso, non aiutava a scoprirne l’identità. Che poi, pensandoci, gli ingredienti potevano benissimo cuocersi da soli tramite un incantesimo, per quanto ne sapessi.

Di fronte a me sedevano Pierrot e Valeth, gli altri miei due compagni di stanza, che evidentemente avevano fatto ormai coppia fissa. Nonostante l’imbarazzo, approfittai dell’occasione per chiedere il loro nome prima che diventasse davvero troppo tardi, purtroppo l’appello di Piton mi aveva aiutato solo coi cognomi.

-Ehm, Pierrot, quindi sei francese?

-Chiamami René, non usare il cognome. E no, non sono francese. I miei genitori si, però.

-E con Valeth vi conoscevate già da prima?

-No, io e Liam ci siamo incontrati sul treno per la prima volta. Eravamo seduti assieme ad uno strano ragazzo che non ci ha voluto nemmeno rivelare il nome, è finito in Corvonero, lui.

Missione compiuta, i loro nomi sono René e Liam. Abbastanza particolari...

Liam però, che mi guardava un po’ torvo, non trattenne la curiosità e mi domandò:

-Dimmi un po’, non è che era una tecnica per conoscere i nostri nomi? Perché a me è parso di sì... E ciò spiegherebbe il perché fino all’appello di Piton questa mattina non ci hai degnato di uno sguardo, indovinato?

Ahia! Beccato in pieno!

-Beh, non volevo sembrare indelicato e...

-Meglio, almeno non ti offenderai a dirci il tuo di nome, mica l’abbiamo capito.

-Oh, si, certo, mi chiamo...

-Le 2 meno un quarto! Tempo scaduto, si deve andare!

Kevin Alister ci chiamò in raccolta e anche se non avevo praticamente toccato cibo non mi dispiacque molto: faceva tutto abbastanza schifo.

-E’ Emanuele. Il mio nome, intendo.

 

Il veloce tour della scuola prevedeva cinque mete, di cui due sullo stesso piano, perciò pensai che non ci avremmo messo molto. Ovviamente mi sbagliavo quindi, per risparmiare tempo, a detta del prefetto il modo più veloce per passare da un’ala all’altra del castello era quello di utilizzare la Torre delle Scale, posta esattamente al centro della struttura. Soltanto salendo le scale si poteva avere una visuale completa della maestosità del luogo: decine di scale in pietra che collegavano vari livelli e chissà quante porte oscuravano la visuale del tetto. Anche le pareti avevano la loro particolarità: centinaia di quadri tappezzavano tutte le superfici in modo da non lasciar quasi più vedere il colore dei mattoni stessi. E non era finita qua, poiché alcuni di questi quadri, se non tutti, parevano muoversi e parlare.

-Oh, salve. Nuovi allievi? E’ già settembre... Come vola il tempo. Dove state andando?

Il quadro di un signore elegantemente vestito che beveva un thé ci rivolse la parola.

-Si, stavamo esplorando un po’ i corridoi, per non perderci...

Brendan rispose educatamente alla figura, anche se non sapevamo se fosse possibile comunicare con loro.

-Lodevole, bisogna sempre essere preparati e conoscere ciò cui la vita ci pone davanti. Ottima iniziativa!

-Non date retta ai quadri! Parlano sempre a vanvera, ecco prendiamo questa porta.

Il giovane Alister ci fece camminare lungo un luminoso corridoio che presentava alte vetrate a destra e una colonna di torce accese a sinistra, rendendo praticamente impossibile proseguirlo al buio a qualsiasi ora del giorno.

-Bene, questa è la nostra prima tappa, l’aula di Storia della Magia. Il professor Rüf terrà le sue lezioni qui. Quand’è che l’avrete?

Nessuno rispose.

-Bah, non importa, quando sarà, saprete già dove si trova. Le altre classi al momento non vi interessano, ci sono Artimanzia per il sesto o settimo anno, non ricordo, e Babbanologia. Tutte materie che ancora non seguite. Proseguiamo.

Continuando dritto incontrammo il Frate Grasso, lo spettro di Tassorosso, che ci accolse con un sonoro cin-cin del suo buon vino speziato. Alle sue spalle c’era una grossa porta che conduceva all’esterno: un ponte di pietra che sovrastava il vuoto e che collegava la Hogwarts frontale da quella sul retro.

-Occhio ai cappelli nei giorni ventosi, che qui tira sempre aria di bufera... Ah, e non date da mangiare ai corvi! Hanno uno strano modo per dimostrare gratitudine, beccandovi a morte.

Se si guardava in basso si soffriva letteralmente di vertigini per quanto fossimo in alto, ed eravamo soltanto al primo piano!

-Ok, da adesso in poi questa è tutta l’Ala sul Retro. La maggior parte del tempo la passerete qui, ci sono un sacco di aule e spazi dove passare il tempo libero, la stessa aula di Pozioni può essere raggiunta da qui. Certo, a noi Serpeverde conviene sempre passare dai Sotterranei, ma se vi trovate nei dintorni del Viadotto, tanto vale prendere la rampa di scale dietro la libreria che si arriva subito. Comunque, tornando a noi...

Si affacciò da uno degli spiragli che costellavano la parete e ci invitò di seguire il suo sguardo.

-Quello è il Cortile di Trasfigurazione, sì quello con il mappamondo in ferro. E tutto il complesso che vedete lì di fronte è il Dipartimento di Trasfigurazione. Sembra a due passi da qui, ma non sarà facile arrivarci... Abbiamo due vie. O torniamo alla Sala delle Scale passando per il Ponte di Pietra, oppure continuiamo di qua, saliamo di due piani e poi ne scendiamo di altrettanti, purtroppo non so chi ha avuto la brillante idea di dividere la scuola così, ma il primo piano, assieme al sesto e al settimo, sono completamente isolati dal resto del castello.

Accidenti, ma qui ci vuole una mappa, non ci sto capendo nulla...

Optando per l’opzione che non necessitasse di ripassare per il ponte, salimmo e scendemmo varie scale a chiocciola, non capacitandoci di dove stessimo andando.

-Oh, questo vi tornerà utile. Vedete questo Gargoyle? Bene, usatelo come riferimento e ricordatevi: alla sua destra si va per il campo di addestramento, le serre di Erbologia e la Guferia, mentre alla sua sinistra, da dove proveniamo noi... Beh, lo sapete dove vi porta, qui in alto invece si procede per l’aula di Difesa contro le Arti Oscure, cui torneremo fra poco, alla fine del tour.

Era tutto ancora più confuso ma, come se non bastasse, continuammo a scendere dando le spalle al Gargoyle a forma di suino.

-Ora siamo al piano terra del retro del castello, uscendo da quella porta entreremo in un ampio cortile roccioso. Probabilmente sarà deserto visto l’orario, ma più tardi si riempirà di gente, c’è sempre un gran via vai e risse a non finire. Purtroppo anche questo spazio dà all’ufficio della McGranitt, quindi se qualcuno sgarra un po’ troppo, se la vede direttamente con lei.

Effettivamente l’area esterna in cui ci trovammo era veramente enorme: grande due volte la già gigantesca Sala Grande, era costellata di piccole e grosse rocce che creavano una specie di rovina preistorica, in cui era chiaro potessero venir fuori partite di nascondino epocali.

-Noi adesso prendiamo questa porta, che ci conduce al magazzino interno delle serre di Erbologia. Abbiamo seguito una strada contorta effettivamente, dato che entreremo dal retro, ma era la strada più breve per mostrarvi tutte le aule in un unico viaggio senza dover mai fare dietrofront.

La stanza era come ci si aspettava fosse un deposito di materiali per l’agricoltura: piena di sacchi contenenti terra, vasi di creta, pale, falci, cesoie e quant’altro potesse servire per lavorare in una serra. O meglio, in tante serre, visto che ciò che ci si parò dinanzi agli occhi fu un vero e proprio agglomerato di almeno una mezza dozzina di lunghi vivai, colmi di fiori enormi e piante minacciose, che rendevano il posto molto colorato e dinamico.

-Inutile specificare che si tratta delle serre di Erbologia, immagino. Proseguiamo.

Tornammo così sui nostri passi, questa volta però prendendo da sotto l’ampio arco che ci condusse al piccolo cortile col mappamondo al centro.

-Questo è il campo di allenamento per le lezioni di Trasfigurazione. A destra c’è l’ufficio della McGranitt, dritto si va per l’ufficio del Preside, mentre a sinistra si va, beh, lo vedrete.

Molte deviazioni, rampe di scale, quadri indisponenti e frecciatine gratuite da parte degli studenti più grandi dopo, raggiungemmo un modesto androne con un’unica porticina sulla sinistra.

-Questa è l’aula di Incantesimi, fate piano poiché probabilmente è in corso una lezione. Altrimenti il professor Vitious sarebbe qui davanti ad elargire preziosi consigli a chiunque abbia la sfortuna di passargli davanti.

Continuando senza voltarci arrivammo all’altezza di una grande ed alta sala, piena di testi e scrittoi su cui prendere appunti velocemente. Si trattava senz’ombra di dubbio della...

-Ecco la Biblioteca della scuola. E’ molto fornita e a meno che non cerchiate il Sacro Graal, qui troverete informazioni su tutto. Anzi, forse persino su di esso. So che Piton vi ha già lasciato una ricerca da fare: vi conviene venire qui in gruppo già da domani stesso. Non perdete tempo perché se vi ridurrete all’ultimo giorno potreste scoprire con amarezza che il libro che cercate è già stato preso a nolo da qualcun altro... E Pozioni non è la tipica materia in cui è consigliabile presentarsi impreparati. Quella lassù è la sezione proibita, dal nome capirete che non vi è possibile accedervi senza l’autorizzazione di un insegnante. Ora che ci penso però, non vedo l’ora di controllare che razza di libri malefici contenga, pattugliare l’area è uno dei pochi doveri piacevoli che vengono assegnati ai prefetti.

Doveva essere un posto molto silenzioso, eppure là dentro tutto si faceva, tranne che studiare: si andava dallo sparare incantesimi sui libri svolazzanti al tifare ad una disputa a braccio di ferro... L’attività più silenziosa sembrava fosse l’imprecare dopo aver perso una pedina degli scacchi.

-Non crediate che l’atmosfera sia sempre così festaiola! Si divertono, finché possono. Fra meno di dieci minuti Madame Pince tornerà dalla pausa pranzo e tornerà a regnare il silenzio. Intanto noi andiamo.

La parte finale dell’itinerario prevedeva il raggiungimento dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, ma per far ciò dovevamo ritornare alla Sala delle Scale, scendere di due piani azzeccando la rampa giusta e rifare la strada di prima fino a ritornare dal cinghiale Gargoyle: stavo iniziando a sviluppare la fobia per i gradini.

-Abbiamo finito in perfetto orario, ragazzi. Manca poco più di un minuto all’inizio della lezione e voi avete soltanto una cinquantina di scale da salire, ce la farete senz’altro. Ora vi saluto che anch’io fra poco avrò lezione e devo ancora prepararmi.

Eravamo stati piantati là, nel bel mezzo della spirale di scale che conduceva al terzo piano. Una vetrata raffigurante un uomo sul cui volto gravava il peso della morte, sembrava fissarci e compatirci. Stufo di sentirmi spaesato, consigliai agli altri di proseguire per poterci sedere comodamente in aula, ma purtroppo non dovevo dare per scontato di trovare posti a sedere.

Al nostro ingresso gli studenti che ci avevano anticipato, quasi tutti Corvonero, ci salutarono e ci spiegarono che stavano in piedi perché i banchi e le panche erano state spostate e messe da parte, per non si sa quale ragione. L’aula era molto grande, almeno il triplo di quella di Pozioni, e con lo spazio venuto fuori dall’eliminazione dei posti a sedere sembrava quasi una pista da ballo. Un proiettore e due vecchi armadi erano alle nostre spalle, mentre uno scheletro di non si sa quale bestia mitologica era appeso al soffitto tramite una singola fune che faceva temere un suo imminente crollo. Un ingombrante armadio a singola anta laccato in oro era posto poco più in là del centro dell’aula ed ogni tanto dal suo interno provenivano suoni e sobbalzi.

-Secondo voi, che diamine c’è lì dentro?

-Ah, non ne abbiamo idea, Gideon dice che è un Dissennatore, per me invece si tratta di un Erkling: è molto meno pericoloso di un non morto ed essendo la nostra prima lezione non possiamo mica rischiare la pelle, no? E poi senti come gratta dall’interno, avrà sicuramente dei lunghi artigli.

Avrei potuto concordare col suo parere, se solo avessi saputo che cavolo fosse un Erkling.

-Oh, ragazzi, siete già qua... Ma non siete ancora tutti, vedo. Poco male, aspetteremo un po’.

Il professore Lupin era apparso da dietro la porticina alle spalle dell’ambiguo mobiletto. Senza l’esagerata illuminazione che solo le luminose torce della Sala Grande potevano dare, il volto del professore si mostrava in tutto il suo pallore; le cicatrici che segnavano il suo volto sembravano più scure e profonde mentre le borse sotto gli occhi più ampie e marcate. Arrivato al nostro cospetto abbassò la testa ed iniziò a fissarci, uno per uno, dalla testa ai piedi, per almeno dieci minuti. Dopo quel lasso di tempo durante il quale tutti gli altri studenti si erano presentati, si dondolò coi piedi ed esclamò:

-Benissimo, cominciamo.

Andando avanti e indietro con il suo corpo, cercava di argomentare le sue scelte didattiche e spiegare il perché tutto il mobilio era stato spostato per farci stare in piedi di fronte ad un piccolo armadietto traballante.

-Innanzitutto partiamo con le presentazioni. Io sono il professor Remus John Lupin, il vostro insegnante di D.C.A.O., ovvero, Difesa contro le Arti Oscure. Prima di spiegare di cosa si sta parlando e quale scopo si prefigge di conseguire il corso, direi sia il caso di parlarvi un po’ di me e del perché sono qui adesso di fronte a voi come vostro maestro. Quindi... Accidenti, non c’è molto da dire in verità. Anzi, quasi nulla, se non il fatto che Silente mi ha personalmente contattato per offrirmi il posto come docente di Difesa. Io ho ovviamente accettato, dopo aver letto sui quotidiani che per due anni consecutivi l’insegnamento è stato affidato ad emeriti incapaci... Come avrei potuto rifiutare e lasciare le nuove generazioni allo sbando? Stiamo parlando della materia più importante della scuola dopotutto. Ora tocca a voi parlare però, come mai siete qui oggi? No, aspettate, riformulo la domanda... E’ ovvio che state seguendo questa lezione perché vi tocca, ma intendo perché siete qui ad Hogwarts... Non rispondete citando la lettera scritta dalla Piuma dell’Ammissione e dal Libro dell’Accettazione che vi è stata pervenuta in casa, intendo lo scopo, le aspettative... Insomma, cosa volete fare da grandi!

Notando le nostre facce più confuse che altro, il professore, sempre più a disagio, si scusò:

-No, no... Non rispondete, è una domanda difficile in effetti e poi è stata posta male... Ci risiamo, mi dilungo troppo, scusate ma è la mia prima lezione, sto facendo una figuraccia perché sono più ansioso di voi in questo momento.

Era un po’ buffa come scena, ma i colpi che quella cosa, qualsiasi essa fosse, dava da dentro il mobile rovinavano l’atmosfera.

-Mi sono preparato una scaletta, quindi ora la seguirò, scusate se sembrerò un disco registrato, ma almeno tengo a freno l’agitazione... Capirete cosa provo una volta che sarete al mio posto, un giorno.

Lupin prese dei foglietti dal suo taschino ed iniziò a leggerli ad alta voce, impostando un tono da comizio:

-Lo scopo primario di questo corso è certamente quello di rendere l’allievo in grado di autodifendersi contro i pericoli che gli si possono parare nella vita o, almeno, questo è quello che recitano la maggior parte dei libri di testo che trattano l’argomento. E allora, mi sono chiesto, perché non insegnare ai ragazzi prima di tutto a difendersi contro il nemico più forte contro cui ci potremmo mai confrontare? Avete capito di cosa parlo? E’ semplice, la paura! Non è mica necessario aprire un corso specializzato chiamato, per esempio, Difesa Contro la Strizza per affrontare l’argomento. Così mi son detto: “Al diavolo il programma, almeno la prima lezione la gestisco come voglio io.” Ed eccoci qui, di fronte a questo nemico misterioso.

Con il braccio destro ci indicò il cassettone come se fosse un’attrazione durante una visita turistica. Dopo essersi accertato che tutti avessimo seguito il suo discorso fino a quel momento, tornò a leggere:

-Il viaggio sul treno mi ha inoltre confermato la strada che volevo intraprendere. Vedere i vostri volti terrorizzati all’arrivo di quei Dissennatori mi ha convinto una volta per tutte che questa prima lezione doveva essere dedicata alla sconfitta della paura. Tutti noi abbiamo paura di qualcosa, inutile mentire. Certo, alcuni tra noi potrebbero soffrire le fobie più o meno intensamente di altri, ma l’unica cosa che ci accomuna davvero è la nostra costante necessità di farci coraggio giorno per giorno.

Finendo l’ultima frase, ripiegò il foglietto che teneva in mano e passò in mezzo a noi, guardandoci.

-Immaginatevi come sarebbe diverso il mondo se l’uomo non temesse la morte... L’esistenza stessa di questo corso non avrebbe alcun senso, o quella degli ospedali... Per non parlare di quante scoperte sarebbero tardate ad arrivare se gli inventori non fossero stati spronati dalla necessità di proteggersi. Il fuoco è l’esempio più indicativo: molti di voi forse non sanno che il primo utilizzo che fece l’uomo di questa importante scoperta non fu lo scaldarsi o il cuocere i cibi, bensì lo scacciare le bestie feroci, facendo leva, guardate un po’, sulla loro paura. Perciò capirete di quanto importante sia per la corretta crescita dell’individuo non il cancellare ogni timore, ma saper controllare le proprie emozioni approcciandosi più razionalmente possibile al pericolo. Perché badate bene, il panico paralizza, ma la coscienza del rischio può salvarvi la vita.

Arrivato in fondo al gruppetto ci rivolse un’ultima, impossibile, domanda:

-Dato il tema trattato, chi mi sa dire cosa c’è all’interno del mobile?

Nessuno rispose, nemmeno il ragazzo Corvonero che era sicuro si trattasse di un Erkling. Alcuni si sforzarono a cercare di capire di cosa si trattasse, ma la maggior parte, incluso io, nemmeno ci provò.

-Siete ancora piccoli, però forse questo nome farà suonare un campanellino a qualcuno: è un Molliccio.

Evidentemente no.

-E’ una creatura infida il Molliccio, una di quelle che se non affrontate con la giusta preparazione risultano letali anche al più formidabile dei maghi... Oh, beh, con le dovute eccezioni. E’ un mutaforma che si trasforma in ciò che inorridisce o teme chi lo ha di fronte, per cibarsi delle proprie paure; proprio per questo motivo nessuno sa come sia fatto in realtà. L’uomo più coraggioso della Terra forse riuscirebbe a svelare il mistero, ma al mondo nessuno può dire di fregiarsi di tale titolo. Non credo che il Ministero approvi che dei giovani allievi del primo anno si confrontassero direttamente con una creatura non morta pericolosa come il Molliccio, ma dato che le circostanze della vita non sono prevedibili e, nonostante la vostra giovane età, ieri siete entrati a contatto con una delle creature più ripugnanti di questo mondo mi sento pienamente giustificato nel tenere questa lezione. Del resto ci sono io a supervisionare il tutto, no?

Ritornando al suo vecchio posto, di fronte l’armadio ad un anta, estrasse la bacchetta e aggiunse:

-Per farvi comprendere al meglio il giusto modo di operare contro un avversario del genere, non c’è niente di meglio che passare all’atto pratico. Ma dato che probabilmente non avrete neanche agitato la bacchetta in vita vostra, è meglio far prima un piccolo sondaggio: chi di voi ha già avuto esperienze con la magia? Nel senso che sia riuscito ad eseguire volontariamente un incantesimo di qualsiasi tipo.

Sorprendentemente in pochi alzarono la mano e tra essi mi inserii anch’io, anche se dubitavo che le mie capacità fossero alla pari con quelle di chi era abituato a veder magie fin dalla tenera età.

-Umh, tu, in seconda fila, sì, proprio tu, fai un passo avanti e presentati.

Era stato chiamato nuovamente il ragazzo Corvonero che di cognome faceva Pewter, sembrava non essere la sua giornata.

-Su, non essere timido, a turno anche altri seguiranno il tuo esempio.

Facendosi lentamente largo tra gli altri studenti, arrivò tremando dinanzi all’insegnante.

-Oh, così facendo sarai una preda fin troppo succulenta per il nostro Molliccio, non c’è motivo di aver timore, ci sono qui io...

Vedendo che l’incoraggiamento non sortiva alcun effetto, Lupin domandò:

-Mi sa che il problema non è il Molliccio in sé ma lo stare qui con me, dico bene? Sono solo un’insegnante, so che non devo essere molto bello da vedere, ma i professori non usano mica divorare gli studenti qui ad Hogwarts, nemmeno i più indisciplinati. A meno che... Fatemi indovinare, la lezione di prima era Pozioni, vero?

Nessuno rispose verbalmente, ma i nostri volti risposero per noi.

-Ecco perché tutta questa tensione... Beh, non vi biasimo, deve essere stato abbastanza traumatico per voi cominciare l’anno così. Temo di sapere in cosa si trasformerà il Molliccio in molti casi. Con me però...

Si allontanò verso la credenza poco più lontano alle sue spalle.

-... Si cambia musica!

Accese un grammofono e fece partire una stramba e terribile musichetta, che più che rallegrare l’atmosfera la faceva sembrare solo più demenziale. Ma forse era questo lo scopo a cui voleva mirare, dato che alcuni dei miei compagni iniziarono a sghignazzare, soprattutto dopo aver visto i piedi di Miller agitarsi a ritmo di musica. Provai imbarazzo per lui, che solo dopo una ventina di secondi abbondanti si rese conto di aver fatto ridere mezza classe terminando il tiptap.

-No, non ti fermare, sei entrato nell’atmosfera giusta! Niente, eh? Ti vergogni troppo. Comunque noto con piacere che adesso siete tutti un po’ più sciolti, incredibile il potere di una sana risata, vero? Ed è proprio questa l’arma che utilizzeremo contro il simpatico Molliccio. Lui vuole nutrirsi delle nostre paure più recondite? E noi gli procureremo una bella indigestione di risate che non si dimenticherà facilmente. Come fare per trovare il coraggio di ridere nonostante un avversario così infido come il Molliccio ve lo svelerò fra un attimo, intanto prendiamo confidenza con il nostro io interiore. Come hai detto che ti chiami?

-Non l’ho detto, signore... Pewter, Gideon Pewter.

-Quanta formalità, bastava mi rispondessi con il tuo nome, o soprannome se ne hai uno. Comunque Gideon, secondo te in cosa si trasformerà il Molliccio vedendoti?

-Non saprei signore, non mi viene in mente nulla.

-Capisco, allora chiudi gli occhi e pensa intensamente ad un avvenimento particolarmente traumatico della tua infanzia, sempre che tu ne abbia mai avuto uno. Solitamente sono queste le paure che, anche a distanza di anni, ci tormentano per tutta la vita.

Gideon chiuse gli occhi per qualche secondo per poi riferire al professore ciò a cui aveva pensato.

-Forse... Uno squalo?

-Come mai hai pensato agli squali? Ne sei mai entrato in contatto?

-Non io, ma mio zio si. Lui, mio padre ed io una domenica mattina siamo andati a pescare col peschereccio di un suo amico. Questo amico era un pescatore professionista, ma noi no... Mio zio tirò malamente la rete da pesca e finì in mare, uno squalo era lì e...

-Va bene così, pensi davvero che sia il ricordo che il Molliccio sfrutterà?

-Credo di sì.

-E cosa ti farebbe divertire a tal punto da farti superare la paura per gli squali?

-Penso nulla...

-Qualcosa deve pur esserci. Riutilizza il metodo usato per ricordare le paure ed applicalo per pensare a qualcosa che ti metta allegria.

-Facendo mente locale, sulla barella del Pronto Soccorso del San Mungo mio zio per calmarmi mi disse che prima di esser salito sulla barca era andato in bagno senza lavarsi le mani e che perciò la mano che ormai si trovava nello stomaco dello squalo doveva avergli procurato un’indigestione. Credo che se vedessi quello squalo star male per quel motivo, quantomeno sorriderei.

-Immagino... Beh, potrebbe funzionare dopotutto. In caso contrario al Molliccio ci penso io e riproveremo con un altro stratagemma; per il momento proviamo così. Guardate bene tutti, questo è il movimento che dovrete eseguire con la vostra bacchetta, è molto semplice, ma a seconda delle vostre abilità con la dizione latina la formula magica potrebbe invece darvi dei grattacapi. Dovrete ripetere chiaramente la parola Riddikulus.

Non sembrava affatto difficile da pronunciare, ma sentendo quello che usciva dalla bocca dei miei compagni, capii che per loro era tutto tranne che semplice.

-No, no, la doppia D si deve sentire chiaramente, serve a dare enfasi alla vostra vena comica. Ecco, così.

Lo studente Corvonero con larghi occhiali quadrati e capelli a caschetto neri aveva pronunciato la formula con tale chiarezza che neanche io avrei potuto fare di meglio.

-Anche il movimento della bacchetta è perfetto, complimenti.

Effettivamente il tizio sembrava esser nato per scagliare fatture, i suoi piedi e le sue gambe erano nell’esatta posizione che indicava la figura del libro di fatture che mi aveva regalato ser Richard. Era evidente che sapesse il fatto suo.

-Dai, riprovate fino a quando non vi avvicinerete al suo livello, solo allora potrete affrontare il nemico.

Dato che non avevo ancora provato la formula neanche una volta, decisi di unirmi allo schiamazzo di gruppo con un Riddikulus che venne subito captato dall’insegnante, riconosciuto in mezzo agli altri goffi tentativi.

-Ed ecco un altro studente che sa scandire bene le parole, su, non è impossibile, loro ci sono riusciti!

Ero nuovamente al centro dell’attenzione, ma a differenza del dialogo con Piton, questa volta la cosa fu decisamente più lusinghiera.

-Come hai fatto? Riddikulus!!!! Accidenti!

Nonostante tutto l’impegno Fred Bowen non riusciva a pronunciare correttamente la formula a causa della sua tendenza al pronunciare la U finale in A.

Eheheh, ne hai di strada da fare, Fred!

 

-Ci siete riusciti tutti, chi più, chi meno. Ora è giunto il momento di vedere se il pensiero divertente di Gideon sarà veramente così forte da prender forma... Sei pronto Gideon? Al mio tre, due, uno...

Lupin aprì con un movimento di bacchetta il chiavistello che teneva chiuso l’armadio e da esso fuoriuscì lentamente una nuvola di fumo grigioverde che a ben guardarla più che ad una nube somigliava ad un piccolo vortice dai colori spenti.

-Ecco che arriva, prepara la bacchetta, indietreggia con un piede soltanto se credi ti possa servire per dare più grinta al tuo incantesimo, non fargli vedere che hai paura.

Il Molliccio si stava effettivamente trasformando nello squalo che aveva ipotizzato Gideon; sebbene all’inizio pensassi che la sua fobia per gli squali era del tutto infondata ed esagerata, la visione di quell’enorme pesce fluttuante e digrignante mi fece ricrede: era davvero spaventoso.

-State calmi, non attaccherà fino a quando non comprenderà del tutto le abilità di ciò in cui si è trasformato, perciò Gideon ha ancora un po’ di tempo per lanciare il Riddikulus senza preoccuparsi di quegli enormi denti gialli.

-R... Riddikulus!

Non successe nulla.

-Più convinto, la formula non serve a nulla se il mago che la pronuncia non sa gestire le sue emozioni!

Il professore incitò Gideon imitando il gesto del lancio più e più volte e, finalmente, dopo l’ennesimo tentativo del ragazzo, il Molliccio riprese a roteare su se stesso, riformando quella specie di vortice scuro che indicava un suo mutamento di forma.

Sbleurgh!

Lo squalo stava adesso vomitando l’anima sul pavimento dell’aula, tenendosi la pancia con le pinne e strabuzzando gli occhi dal dolore. Scoppiò una risata generale a cui nemmeno io riuscii a non partecipare.

-Ok, ok, devo ammettere che il signor Pewter ha una fervida immaginazione, non è facile farmi divertire davvero, ma è questo il bello della lezione di oggi, no? Tutti possiamo dar vita a qualcosa di fenomenale con le nostre stesse mani! Et voilà, Molliccio, tu rientra nel cassettone, mentre Gideon, batti il cinque! Ottimo lavoro, davvero.

Il ragazzo di Corvonero rientrò in mezzo al gruppo come un atleta che vince alle Olimpiadi, dando il cinque a destra e a manca, venendo rifiutato da praticamente tutti i Serpeverde e dal suo stesso compagno di Casa dalla postura sofisticata.

-Qualcun altro vuole provare? Dai, è divertente!

Si face avanti proprio quell’unico ragazzo che stava prendendo la lezione fin troppo seriamente.

-Bene, chi sei? Presentati.

-Mi chiamo Andrea Rower, sono un Corvonero e anche se credo di sapere già in cosa il Molliccio si trasformerà, non ho voglia di dirlo, perciò lo affronto e basta.

-Mi sembri abbastanza sicuro, perciò libero subito la creatura apposta per te.

Nuovamente il chiavistello che teneva chiusa l’anta dell’armadio venne girato da un colpo di magia svelando un ammasso di informe consistenza. Lentamente prese le sembianze di un uomo attempato, non particolarmente pericoloso, ma con uno sguardo severo e crudele, probabilmente era qualcuno che aveva fatto del male ad Andrea in passato.

-Riddikulus!

Andrea Rower lanciò la fattura rapidamente e senza neanche commettere una sbavatura nei movimenti, al Molliccio non venne dato scampo e si trasformò inesorabilmente nello stesso vecchio di prima, ma con indosso vestiti da donna, gonna e borsetta incluse.

-Ottimo lavoro, insolitamente disturbante, ma sembra abbia funzionato, non proviene più alcuna minaccia da lui, puoi ritornare al tuo posto! Tutti quelli che precedentemente avevano alzato la mano, si mettano in fila che ad uno ad uno toccherà a voi.

Immediatamente si formò una colonna umana che aveva per estremi le gemelle Carrow davanti e Fred e Rupert dietro: Serpeverde sembrava fosse la Casa che vantava più ragazzini che sapevano come eseguire un incantesimo.

-Come ti chiami?

-Hestia.

-Bene Hestia, sai già cosa fare, no? Non appena parte la musica libererò il Molliccio, pensa a qualcosa di divertente e se hai problemi non ti preoccupare che intervengo io.

Il grammofono, che nel frattempo aveva smesso di suonare da un bel po’, ritornò a strombazzare quella demenziale nenia che secondo il professore doveva aiutarci nell’esecuzione.

-Ohhh!!!

Tra lo stupore generale il Molliccio di Hestia Carrow prese le sue stesse sembianze, anzi quelle della sua gemella, dato che la frangia della creatura era speculare a quella della ragazza. Non riuscivo a vederla in volto dato che mi dava le spalle, ma da come stringeva i pugni era ovvio che a sua sorella la cosa non fosse piaciuta.

-Ahahah, già si ride e manco il Riddikulus c’entra!

Rupert non aveva affatto torto, girandomi indietro però notai che sia lui che Fred avevano già impugnato la loro bacchetta, così come tutti gli altri membri della fila... Tutti tranne me.

-Professor Lupin!

Saltai la coda per dirigermi velocemente verso l’insegnante che nel frattempo controllava l’operato di Hestia, suscitando malumori tra i miei compagni.

-Ma dove vai?

-Rispetta la fila!

-Non tocca a te, ehi!

-Il solito Serpeverde...

Lupin si accorse della mia presenza soltanto dopo che il Molliccio di Hestia si fu trasformato in un manichino dalle fattezze ancora fin troppo simili a quelle della sorella.

-Sì? Che c’è, devi andare in bagno?

-No, è che...

Spiegai tutto all’orecchio del professore, non volevo che gli altri sapessero che non avevo ancora la mia bacchetta.

-Ah si, il professor Silente me ne aveva già parlato, come ho fatto a dimenticarlo? Stai qua accanto a me, almeno vedi come fanno i tuoi compagni e impari guardando, un mese passa in fretta, vedrai.

Dall’altra parte dell’aula ovviamente non mancarono i commenti pungenti:

-Ma che fa lì?

-Ha paura di fare brutta figura?

-Non può stare là!

-Il solito figlio di papà...

 

-Ottimo lavoro ragazzi, sono passate più di due ore, come vola il tempo quando ci si diverte, la lezione di oggi sarebbe dovuta finire da un pezzo. Vi lascio anticipandovi che quella che alcuni di voi hanno lanciato oggi pomeriggio è una fattura, una delle tante forme di magia offensiva che vedremo durante tutto il nostro corso. Non ci sono compiti per questa volta, godetevi la vostra prima serata libera di Hogwarts, sempre che il professor Piton non vi abbia già caricato questa mattina. Ci vediamo alla lezione di... Non so, devo ancora imparare a memoria l’orario, buona serata a tutti, lasciate pure tutto così, ci penserò io a mettere in ordine. Vi ridò il benvenuto ad Hogwarts!

Uscendo dall’aula i miei compagni si diedero ai commenti.

-Non è stata male come lezione, no?

-Scherzi? La chiami lezione tu? Io la definirei pagliacciata.

Rupert Runcorn cercava di far passare il suo rigido parere per verità assoluta.

-Ai tempi di mio padre Difesa era la materia più difficile della scuola, non mi sarei mai immaginato di assistere ad uno spettacolo del genere proprio in questa classe!

Per una volta però Fred non era d’accordo col suo compare:

-Non esagerare, a me sembra abbia detto cose vere, mi sono sentito un idiota sul treno a tremare come una femminuccia alla vista di quel Dissennatore, ora mi sento un po’ più sicuro di me stesso.

-Non tirare in ballo le femminucce quando loro si rivelano molto più coraggiose di te...

Mentre scendevo le scale ricevetti uno spintone talmente violento, che se non mi fossi retto dal corrimano, probabilmente mi avrebbe fatto capitombolare giù per la gradinata. Girandomi però mi accorsi che io ero solo l’ultimo di una lunga lista di ragazzi urtati da Andrea il quale, apparentemente senza motivo, si dileguò infastidito.

-Che cavolo gli è preso?

-Credo non gli sia piaciuto di come abbiamo parlato di Lupin...

-Ma a lui che gliene importa?

-E’ un Corvonero, sono strani per natura.

-Ah, però adesso mi offendo io!

Il ragazzo di Corvonero con un fazzoletto di drappo rosso che fuoriusciva dal taschino della sua giacca si sentì risentito da quelle parole e si allontanò da noi proseguendo giù per le scale assieme a Kat e Gideon.

-Hanno tutti la coda di paglia in quella Casa.

Sentivo che dovevo far cambiare il discorso così optai per esporre un problema comune:

-Dato che abbiamo qualche altra ora prima di cena, chi viene con me nei Sotterranei a cercare di finire la prova di Pozioni? Almeno non si accavalleranno troppi compiti...

-Ma tu sei pazzo, per oggi ho finito, voglio uscir fuori da queste quattro vecchie mura e godermi un po’ di aria pura!

Non aveva certo torto, anch’io ero abbastanza stanco e soprattutto avevo una voglia matta di andare a zonzo per il castello, ma era ancora presto, mancavano più di due ore all’orario di cena e quindi se fossi stato abbastanza veloce sarei riuscito a far entrambe le cose, del resto mi mancavano soltanto cinque calderoni e, senza la calca della mattina, avrei impiegato certamente meno tempo a finire l’esercitazione.

-No, ha ragione lui, vengo con te, se già inizio il primo giorno a rimanere indietro coi compiti finirò affogato.

-Fate come volete, secchioni. Io vado a spassarmela.

Così mi ritrovai con un gruppetto di volenterosi che desideravano come me togliersi a più presto quella rogna di dosso. Soltanto Brendan di tutti i Serpeverde decise di seguirmi, mentre gli altri due erano il solito Miller ed un Grifondoro di cui non ricordavo né nome né volto.

-Scusa la domanda, tu sei?

-Walter, ma mi puoi chiamare Walt.

-D’accordo, io sono Emanuele.

-Piacere.

-Ed io sono Miller.

-Io Brendan.

A presentazioni fatte rimaneva soltanto il dirigersi verso l’aula di Pozioni, ma nessuno muoveva un muscolo, perciò presi io le redini del gruppo.

-Andiamo, allora!

Durante il pomeriggio la scuola era molto più vivace che al mattino, le lezioni erano quasi tutte terminate e gli studenti potevano rilassarsi dove e come lo ritenevano opportuno. Chi voleva studiare si abbarbicava dietro qualche parete per ridurre al minimo i rumori molesti, ma era evidente che non fosse la soluzione ideale. Vedendo il trambusto generale speravo di non dover provare simili stratagemmi per poter leggere in santa pace e che almeno in Biblioteca o nella Sala Grande il silenzio regnasse sovrano. Anche se a dire il vero tutta quell’allegria era comunque piacevole e non molto fastidiosa.

-Di qua? Sei sicuro? Mi pare che stamattina abbiamo preso dal Ponte di Pietra per andare a lezione...

-No, sono abbastanza sicuro si prenda di qua, dobbiamo scendere nei Sotterranei dopotutto.

La domanda di Walter mi procurò un sacco di dubbi, che però vennero cancellati dall’appoggio di Brendan.

-Ha ragione Emanlule, questa è strada giusta.

Come mi ha chiamato?

-Scusa per il nome un po’ storpiato, mi sono accorto che l’ho detto male.

-Non fa niente, per caso tu hai già imparato a memoria la disposizione di tutta la scuola? Domattina prevedo guai per la ricerca dell’aula giusta...

-Ah no, certo che no, è un vero labirinto, ma alla nostra Sala Comune ormai ci so arrivare. Ed essendo l’aula di Piton poco più in là non ci sono problemi.

-Meno male, altrimenti mi sarei sentito un idiota senza un minimo senso dell’orientamento.

-Almeno voi vi ricordate dov’è la vostra Sala Comune... Io non mi ricordo nemmeno dove sia quella dei Tassorosso.

Sei una causa persa, Miller...

 

L’esercitazione si svolse come preventivato: con meno gente ad intralciare, organizzando i ruoli e sincronizzando i nostri movimenti, riuscimmo a concludere tutte le prove restanti in meno di due ore, nonostante le pentole rimaste fossero quelle con il tempo di ebollizione più elevato ed i ritardi dovuti all’odiosa clessidra che fungeva da cronometro che, se ci dimenticavamo di capovolgerla ogni cinque minuti, ci costringeva a ricominciare tutto daccapo.

-Ragazzi, non credete che il professore possa pensare che abbiamo copiato i risultati dai nostri compagni di banco?

-No, è impossibile. Le relazioni sono completamente diverse, le uniche cose che combaciano sono i tempi riportati delle ultime cinque prove.

-E a questo mi riferisco! Non è leggermente sospetto che ben quattro studenti abbiano gli stessi medesimi risultati?

-Va bene, allora prendete il tempo di dodici minuti e trentasette secondi e cambiatelo di un paio di secondi ognuno di voi, il margine quello deve rimanere.

-Fatto, io ho messo dodici e quaranta!

-Dodici e quindici!

-Anch’io?

-Certo che si, Miller!!

Din! Don!

Din! Don!

Din! Don! Dan! Don!

-E’ già ora di cena?

-Il tempo è volato, abbiamo sprecato tutto il pomeriggio...

-Ci rifaremo domani! Spero.

Cercai di tenere alto il morale, ma l’aver perso il mio primo pomeriggio ad Hogwarts davanti un fornello a gas, dispiacque parecchio pure a me.

Il non aver avuto neanche un minuto di tempo libero per riflettere mi fece dimenticare che erano quasi ventiquattrore che non toccavo cibo in quantità necessarie al sostentamento, ma dopo essermi seduto in tavola, la fame non tardò ad arrivare.

-Uao, che si mangia?

-Non so, spero in qualcosa di meglio della brodaglia di oggi, ma voi due invece, avete davvero passato tutta la serata là sotto?

Non ricevendo risposta né da me né da Brendan, Frederick trasse da solo le sue conclusioni.

-Siete dei pazzi. E non in senso buono... Occhio, arriva il bestione che ci ha accompagnato con le barche!

Si riferiva al professor Hagrid che conduceva il suo enorme corpo verso il tavolo degli insegnanti, suscitando la curiosità di tutti gli studenti che ancora non avevano fatto l’orecchio al grottesco suono prodotto dai suoi stivaloni.

-Vi abituerete alla sua ingombrante presenza... Ciò che invece non riuscirete mai a fare è chiamarlo professor Hagrid. Oggi abbiamo avuto la nostra prima lezione col nuovo insegnante di Creature Magiche e avesse detto almeno una frase senza sgrammaticare... Terribile.

Kevin Alister si sedette poco più lontano, ma dato che tra noi e lui c’erano soltanto dei posti vuoti, poteva parlarci senza alzare troppo la voce.

-Voi invece, come è andata con Piton?

-E’ stato meno sgradevole di quanto mi aspettassi a dir la verità. Ne ho sempre sentito parlare un gran male da quelli più grandi, ma a me non è sembrato così cattivo, tutto fumo e niente arrosto.

Era l’opinione abbastanza discutibile di Rupert, se avesse solamente cercato di riflettere che in sole due ore ci aveva caricato di compiti per una settimana, forse avrebbe parlato di meno.

-Ah, ma davvero? Continua a pensarla così e vedrai che sorpresa... Lupin com’è invece? Sembra proprio un tipo losco, sempre meno di Piton, certo, ma quanto a brutta faccia non scherza...

Fred e Rupert si guardarono in viso e risposero a tempo:

-Una parola sola...

-...Ridicolo!

 

Al termine della cena, approfittai della confusione serale della Sala Comune per sgattaiolare in camera alla ricerca di Muthsera, ero curioso di sapere qualcos’altro su Silente e sul Cappello Parlante, ma di lui non c’era ancora traccia.

Possibile non sia ancora tornato? Non gli sarà accaduto qualcosa?

Sperando non gli fosse successo nulla, nascosi la gabbia sotto il letto, per evitare che gli altri notassero che era completamente vuota. Mi era rimasta la bottiglietta d’acqua da destinare al mio serpente ma, data la sua assenza, preferii reidratare la pelle del povero rospo di Rupert che ormai sembrava più morto che vivo. Fortunatamente per lui, mi rispose con un croak di ringraziamento e andò subito ad inzupparsi nella vaschetta che gli avevo appena riempito.

-Ma dov’eri, ti sei perso la scommessa tra due ragazzi del quarto anno! Ora il perdente deve fare il fantasma in mutande per tutta la notte!

-Ma di che stai parlando?

Doveva esser successo qualcosa di veramente esilarante in mia assenza, perché adesso tutti ridevano alle spalle di un povero ragazzo che, privato dei suoi vestiti, era obbligato a fare il giro dei Sotterranei in biancheria. Brendan mi spiegò la dinamica dell’accaduto:

-Questi due, no? Avevano scommesso su chi riusciva a bere più acqua con un solo sorso, ma non acqua normale, quella dell’acquario! Comunque iniziano a tracannare ognuno un intero calice finendo ovviamente tutti inzuppati, ma senza demordere al secondo giro ad uno dei due gli va dell’acqua di traverso e rigurgita tutto a terra, perdendo così la scommessa! E ora deve...

-Si si, ho capito, ho capito.

Sembrava tutto molto divertente in effetti, ma purtroppo non riuscii a godermi la scena perché pensavo a che fine avesse fatto Muthsera, probabilmente giaceva da qualche parte fatto a pezzi da uno di quei troll di caverna.

-Però è ripugnante, non ha vomitato solo acqua.

-Già René, vedo pezzetti dell’oca all’arancia di questa sera galleggiare lì in mezzo.

-Secondo voi, chi pulirà questo casino?

-Io no di certo e anzi, direi di dileguarci prima che cadiamo vittima di nonnismo da parte dei soliti piantagrane.

Ahia!

Immediatamente la baldoria si interruppe per far posto ad un glaciale silenzio.

Dalla porta del magazzino apparve Piton con lo studente che aveva perso la scommessa tenuto per l’orecchio sinistro.

-Cosa faceva questo idiota svestito per i corridoi dell’Ala Vecchia? Trenta punti in meno a Serpeverde che se non ripulite immediatamente quel porcile diventeranno cinquanta! Gambler...

Gettò lo stupido verso il mucchio di stracci bagnati che prima erano i suoi vestiti.

-Ti sei appena procurato una settimana di punizione, inizierai domani all’ora di pranzo di ogni giorno, domenica inclusa, vediamo se avrai ancora il coraggio di vomitare la cena se è l’unico pasto che ti sarà permesso. Tutti gli altri, andate in camera e non fatevi vedere in giro!

Salendo verso i dormitori, Brendan si lamentò:

-Ma dovevo ancora lavarmi i denti però...

-E diglielo a lui!

 

Din! Don!

Din! Don!

Din! Don! Dan! Don!

Cosa diamine? Ah, inizia un altro giorno ad Hogwarts...

Alzarsi fu molto più difficile del giorno prima e non vedere il ritorno di Muthsera non mi aiutò certo a ritrovare le energie, ma per lo meno quel giorno non avrei avuto Pozioni e quindi avevo tutto il tempo per una bella colazione.

-Trasfigurazione di mattina e... Cavolo, non abbiamo nulla nel pomeriggio!

-Non ci credo, fammi vedere. E’ vero, siamo liberi!

Un’altra buona notizia, sarebbe stata una bella giornata se non fosse che il mio serpente era sparito e a me serviva proprio per la lezione della professoressa McGranitt.

-Ehi, mocciosi, vi ricordate dov’è il cortile di Trasfigurazione, vero? Perché se no, potete chiedere una cartina al signor Gazza!

E scoppiò la solita risata corale dal divano dei dementi.

-Magari fatevela dare prima di recarvi in bagno o entrerete in quello per ragazze anche questa mattina!

Elizabeth Gaunt, la ragazza col pigiama a pois della mattina precedente, questa volta accompagnata dalle gemelle Carrow tirò a me e a Dan un asciugamano bagnato in faccia.

-Che schifo, lo riconosco, è lo strofinaccio con il quale Gambler ha pulito il suo vomito!

-Ahahah!

Tra le risate generali ed il ribrezzo per lo straccio sporco appena ricevuto in pieno volto, mi recai subito in bagno per una doccia rinfrescante.

E’ più facile a dirsi che a farsi... Dove metto l’accappatoio? E lo shampoo? Diamine, c’è solo uno spazio per il sapone... E come farò ad asciugarmi i cappelli? Non c’è nessuna presa per la corrente...

Ero l’unico a pormi questi problemi, perché gli altri entravano nelle docce in accappatoio e ciabatte con in mano soltanto una saponetta e tutto il resto dentro gli armadietti nel retro. Poco prima di aprire l’acqua dal soffione, un ragazzo appoggiò il proprio telone sulla parte superiore del box e diede inizio all’orchestra per fischi più stonata della storia.

Beh, farò come questo tizio... Certo però che è fastidioso lavarsi con questo sottofondo...

Anche se insaponarsi con una saponetta solida era piuttosto scomodo, soprattutto per i capelli, fu ciò che venne dopo che mi diete più problemi. Non avevo infatti messo in conto un paio di cose: il non fare troppa acqua per terra ed il freddo glaciale che mi attendeva all’uscita della doccia.

Uno studente più anziano passò di lì e mi rimproverò:

-Dannazione mocciosetto, hai fatto una palude qui! Volevi farti un bagno per caso?

-Scusa, non sono abituato, a casa mia abbiamo la vasca e...

-Prendi il mocio laggiù e asciuga tutto, o qualcuno ci scivolerà!

-S-sì...

-E tu basta fischiare, via!

Lo stesso ragazzo che mi aveva rimproverato sottrasse dall’anta del box doccia il telone del tizio fischiettante che era si stava ancora lavando e lo nascose da un’altra parte, il tutto mentre l’altro inveiva come un pazzo per lo scherzo di cattivo gusto.

Cavolo, ho rischiato pure io di perdere il mio accappatoio in questo modo, dovrò tenerlo da qualche altra parte la prossima volta...

Il freddo mi raggelava la mente ed il corpo ma più asciugavo la pelle, più attenuavo la sofferenza. Una volta messomi quantomeno i vestiti più essenziali iniziai ad asciugare la pozzanghera di mia creazione, che aveva raggiunto dimensioni peninsulari, defluendo da tutte le parti. Intanto Brendan che aveva finito di lavarsi da un pezzo era tornato in bagno per cercarmi.

-Ancora qua stai? Noi stiamo andando a fare colazione, se non ci sbrighiamo la saltiamo!

-Sì, ho quasi finito!

-Ma se ti devi ancora vestire, manco le scarpe hai messe!

Il bellimbusto spiritosone che aveva costretto il suo coetaneo ad aggirarsi nudo per il bagno alla ricerca del suo telone venne in mio aiuto.

-Va bene così, per la prossima volta ricordati che il secchio ed il mocio sono stregati, basta un colpo di bacchetta per costringerli a pulire per te. Ecco, così.

Ed i due utensili iniziarono a lavorare da soli, proprio come quelli che avevo visto al Paiolo Magico o al San Mungo.

-Meglio così, andiamo, ti vestirai per la strada!

Vestirsi in movimento era una cosa, ma asciugarsi pure i capelli era tutt’altra musica.

-Non è che c’è un phon magico nascosto da qualche parte. No, eh?

Forse nemmeno sanno cos’è un phon...

Costretto ad una serie di funambolismi estremi, mi ritrovai infine seduto al tavolo della Sala Grande con il capo fasciato e mezza giacca sbottonata.

-Per la miseria, cosa stai facendo?

-Non mi parlare in questo momento Fred...

Mentre ero intento a trangugiare latte con una mano e spazzolarmi i capelli con l’altra, uno stormo di uccellacci ci volò sopra le teste.

Hooot! Hooot!

-E’arrivata la posta!

Lettere e pacchi piovvero dal cielo, lanciati dai volatili che entrarono dalla vetrata superiore della sala, arrivando dritti nelle mani dei destinatari con precisione chirurgica. Tutti tranne i nostri ovviamente, che ci piombarono violentemente addosso, in maniera tutt’altro che ordinata.

-Ahi! Ma che gli prende? Ah! Basta!

Gli altri ovviamente non potevano sapere il perché di quel loro atteggiamento bellicoso, ma purtroppo io una spiegazione ce l’avevo, e cioè che pur di evitare di avvicinarsi a me, le civette preferivano lanciarci ciò che trasportavano.

-Bah, non era mai successa una cosa del genere, queste sono vostre, ragazzi.

Ognuno di noi ricevette una lettera e la mia era stata scritta dai miei genitori: finalmente dopo settimane riuscivo a sentirli.

 

Emanuele,

Siamo mamma e papà. Siamo stato informati dal tuo tutore che nessuna delle lettere che ti abbiamo spedito è riuscita ad arrivare in tempo durante il tuo soggiorno alla locanda chiamata Paiolo Magico. Tu purtroppo non sei più riuscito a tenere attivo il tuo cellulare, perciò la corrispondenza via posta è l’unico mezzo che ci resta per rimanere in contatto. Ser Uppercut ha portato in casa una coppia di gufi reali che tua madre ha subito rinchiuso in una voliera in terrazza. Ci ha consigliato di usare loro per inviarti le lettere perché molto più veloci di qualsiasi metodo che utilizza la gente comune per comunicare, inoltre non sapremmo neanche dove inviare le lettere dato che la scuola che frequenti non ha un indirizzo postale. Quello più scuro è anche più tranquillo, mentre l’altro non fa che agitarsi, ser Uppercut si è scusato perché non è riuscito a separare i due animali dalla nidiata, sembra che siano fratelli e non sono mai stati divisi finora. Dice che è meglio che quello calmo lo tenga tu per ogni evenienza a scuola, mentre quello scalmanato noi, sperando che nel frattempo si calmi. Comunque concordiamo sul fatto che debba essere tu a scegliere i nomi di questi animali, dopo tutto, sono tuoi.

Volevamo farti anche sapere che ti vogliamo un mondo di bene e che ci manchi tantissimo. Sappi che puoi tornare a casa quando vuoi senza problemi, per noi sei sempre stato speciale, anche prima che scoprissi le tue capacità magiche. Qui stiamo tutti bene, tua sorella ti saluta ed il nonno continua ad insistere per mandarti qualche soldo tramite vaglia postale, non sappiamo più cosa inventarci per evitare di rivelargli ogni cosa, ma se fai sul serio prima o poi dovremo dirgli la verità, magari quando torni per le vacanze di Natale ci penserai tu stesso, e ci mostrerai cosa hai imparato lì nel frattempo.

Ancora un bacio, mamma e papà.

 

Accidenti, addirittura due gufi, ser Richard me ne ha combinata un’altra...

La lettura di quella lettera mi aveva talmente divertito e commosso al punto da farmi scendere una lacrima. Non mi mancavano moltissimo, dopotutto era passato ancora poco tempo e non volevo certo abbandonare la scuola per tornare a casa, dopo che finalmente stavo per combinare qualcosa di bello nella mia vita. Ma c’era una parte di me che invece lo voleva, che desiderava troncare tutto per ritornare alla vecchia vita, ai vecchi amici, al vecchio Emanuele.

-Si sta facendo l’ora, incamminiamoci, per l’aula di Trasfigurazione c’è un bel po’ di strada da fare.

Dovevo comunque rispondere alla lettera, avrei dedicato parte del mio pomeriggio libero allo scrivere la risposta ai miei e spedirla, così avrei pure conosciuto il gufo che ser Richard mi aveva regalato. Misi la busta nella tasca interna della giacca e l’asciugamano con cui mi ero fasciato i capelli...

-Che ci faccio con questo?

-Ah, non lo so, lascialo pure lì!

 

-Vedo che alcuni di voi hanno portato in classe il proprio animale domestico, non era necessario, la lezione odierna sarà esclusivamente teorica.

La professoressa McGranitt accolse in questo modo il gruppo di studenti di Grifondoro, notando che uno di loro portava sulla spalla una specie di agitatissimo colombo. L’aula era leggermente meno spaziosa di quella di Difesa Contro le Arti Oscure, ma in compenso era decisamente molto più lunga, tant’è che sia la cattedra dell’insegnante che la lavagna erano staccate dalla parete frontale di almeno dodici piedi.

Sempre che abbia ben calibrato l’occhio alle misure inglesi...

-Sedetevi, nonostante non tutti siete ancora presenti, la lezione deve cominciare.

La McGranitt iniziò a scrivere qualcosa sulla lavagna, ma da dove ero seduto io era quasi impossibile leggere con chiarezza cosa ci fosse scritto.

-Sono la professoressa Minerva McGranitt, vostra insegnante di Trasfigurazione nonché Direttrice della Casa Grifondoro e Vicepreside della scuola, che per voi si traduce in “Autorità Massima a Cui Render Conto”. Dopo questa breve presentazione della mia persona passiamo all’appello, la maggior parte di voi già la riconosco, ma per gli altri ho qualche dubbio. Inoltre mi servirà per ricordarmi i nomi dei ritardatari. Prese dal cassetto della sua cattedra un rotolo di carta ed iniziò ad elencare i nomi dei presenti.

-Bene, iniziamo con l’illustrarvi in cosa consiste questa disciplina che come ben presto capirete è più vasta di quanto si possa inizialmente immaginare.

Girò la lavagna di 180 gradi per mostrarne il lato retrostante che presentava un infinito numero di simboli e segni, racchiusi in una specie di schema ad albero.

-La Trasfigurazione, o Alterazione, è quella branca della magia che si occupa della modifica delle strutture molecolari della materia. In realtà questa definizione è piuttosto recente, dato che fino al diciottesimo secolo venivano studiati in maniera separata e con approcci del tutto differenti i quattro rami principali in cui possiamo sommariamente dividere la disciplina. Come vedete dal grafico, il termine Trasfigurazione è di origine babbana, fu a lungo usato dagli accoliti europei per indicare avvenimenti sacri legati alla cultura cristiana, solo successivamente venne utilizzato in maniera dispregiativa anche per indicare tutte le oscure pratiche delle streghe trecentesche. Nei testi più antichi della scuola troverete ancora alcune differenze tra il concetto arcaico di Trasfigurazione e quello che ne accostiamo oggigiorno. Fortunatamente per voi, il Consiglio ha deciso di farvi seguire un corso aggiornato e perciò, a meno di vostre iniziative personali, non dovreste affrontare alcun problema di omonimia. Per i più curiosi posso anticiparvi che se andate a cercare in Biblioteca il libro Della vita, per la morte, noterete l’accostamento del termine Trasfigurazione a quello di possessione demoniaca, che ovviamente non ha nulla a che fare con ciò che studieremo in questa classe.

Mi guardai intorno e all’improvviso la stanza mi sembrò più torva e sinistra, con tutte quelle gabbie appese al soffitto e le scure inferriate delle vetrate che gettavano ombra sui nostri banchi. L’uccellaccio del ragazzo Grifondoro, poi, aveva iniziato ad innervosirsi e non riusciva più a stare tranquillo.

-Dogan, per amor del cielo, posi quel suo animale in una delle voliere, sta disturbando la lezione!

-E’ uno sparviero selvatico professoressa, in gabbia si innervosirebbe!

-E allora addomesticalo, non è tollerabile un animale dall’atteggiamento così indisposto nella nostra scuola.

Matheus, il ragazzo rimproverato dalla McGranitt, sistemò il rapace in una delle gabbie libere non senza problemi, dato che ad ogni tentativo di chiudere la porta, la bestia rispondeva con una bella sferzata d’ali che costringeva il padrone ad allontanarsi per non farsi ferire agli occhi.

-Riprendendo il discorso, l’utilizzo che ne facciamo della parola Trasfigurazione è quanto mai funzionale all’approccio didattico del corso in essere. Sarebbe infatti più indicativo denominare ogni macro gruppo di incantesimi che affronteremo con il loro vero nome, e cioè Trasformazione, Sparizione, Evocazione ed Annullamento, messi in ordine di difficoltà crescente. Per tutto il Primo Anno, studieremo soltanto incantesimi riguardanti il primo gruppo, cioè la Trasformazione. Anche gran parte del Secondo Anno sarà dedicata a questi incantesimi, ma vedremo qualche formula elementare di Sparizione per poi essere ripresa in maggior misura al Terzo Anno. Infine, Evocazione e Sparizione, saranno i nostri obiettivi finali, ma a seconda delle vostre attitudini sia fisiche che magiche, non tutti avrete la possibilità di raggiungere alti livelli. Purtroppo, come vedremo più avanti, nella formula della Legge di Gamp, appare un fattore legato alle capacità innate dell’utilizzatore e a seconda della nostra predisposizione alla materia riusciremo o meno a conseguire certi risultati. State tranquilli comunque, che tutti gli incantesimi che vi verranno richiesti, saranno eseguibili senza particolari restrizioni, il che non significa che non dovrete metterci impegno o che saranno semplici, anzi, l’esatto contrario, dato che faranno parte di quel gruppo di incantesimi che non sono legati all’istinto del mago, ma alla sua capacità di concentramento ed al suo costante esercizio.

Spero che queste cose le trovi scritte nel libro, perché ho già dimenticato tutto...

-In questa prima lezione ci soffermeremo soprattutto sulla simbologia comune utilizzata dai testi più noti e ad alcune espressioni gergali che stanno ad indicare un certo movimento del polso o un’inclinazione ad un determinato pensiero durante l’esecuzione dell’incantesimo. Queste...

Girò nuovamente la lavagna per mostrarci il retro che non conteneva più il suo nome, bensì una sfilza di simboli seguiti dalle lettere dell’alfabeto.

-...Sono alcune rune che dovrete imparare a memoria per riuscire a studiare il Triangolo degli Intenti. Prestate particolare al fatto che per la V e la U si utilizzava lo stesso simbolo, che la X non esisteva e che se non vi allenerete a disegnare bene questi simboli, finirà che agli esami mi scriverete una F anziché la T, poiché il rettangolo somiglierà ad un ovale e per me varrà come errore.

La prossima volta dovrò mettermi in prima fila, qui non si vede un tubo...

-Non preoccupatevi di copiarli, nell’appendice A del vostro testo troverete sia il Triangolo che la legenda delle rune. Per le prime lezioni continuerò a disegnarli entrambi, ma successivamente pretenderò che li conosciate a memoria, perciò iniziate a dargli un’occhiata già da questo pomeriggio. Intanto, prima di passare alla definizione di alcuni concetti fondamentali della Trasfigurazione...

La professoressa poggiò la sua bacchetta sulla clessidra posta sopra la cattedra e la trasformò in un piccolo albero di Natale, svegliando qualche studente che si stava lentamente assopendo.

-Definiamo un po’ di tempi: entro la pausa natalizia dovrete essere in grado di saper trasformare un oggetto che vi indicherò in un animale sempre di mia scelta, il tutto senza utilizzare materiali precedentemente stregati. Il che significa, signor Burgio, che dovrà tenere il passo con il resto della classe anche se non possiede ancora una bacchetta, o rischierà seriamente di non superare il semestre.

-Cosa ha detto? Non ha la bacchetta?

-Impossibile, tutti gli studenti devono averla!

-Ecco perché non gliel’ho mai vista in mano...

-Ma sarà veramente un mago? E’ la prima volta che sento una cosa del genere...

Senza porsi troppi problemi, la McGranitt mi aveva praticamente gettato in pasto ai commenti acidi dei miei compagni, non mostrando alcun briciolo di delicatezza. In quel momento desideravo soltanto morire.

-Adesso potete aprire il vostro libro al capitolo 0, Introduzione.

 

Nonostante la lezione fosse finita da un pezzo, il fatto che non possedessi una bacchetta era ancora l’argomento principale di ogni discorso e durante il pranzo ne parlavano già anche quelli degli altri anni.

-Ma scusami, è vero quello che ha detto la McGranitt?

Solo Brendan aveva trovato il coraggio di pormi quella domanda, ma altre mille orecchie erano pronte ad ascoltare la mia risposta. Cercando di essere il più indifferente possibile risposi, tra una cucchiaiata di minestrone e l’altra:

-Purtroppo sì, Olivander non è riuscito a procurarmi una bacchetta che si adattasse alle mie necessità... Però è all’opera per costruirmene una nuova, mi ha detto che entro ottobre sarà pronta.

-Allora è proprio vero... E come farai da qui fino a ottobre?

Eh, bella domanda...

-Ma ieri, durante la lezione di Difesa, ti eri messo nel gruppo di quelli che sapevano usare la magia! Raccontavi balle? E’ per questo che poi sei andato a metterti accanto al professore?

Il commento di Rupert era pungente come al solito, ma dovevo ammettere che il suo sospetto era del tutto legittimato.

-No, ecco, io prima usavo... La bacchetta di mio padre!

-E perché non hai chiesto ad Olivander di dartene una identica!

Dan entrò in mia difesa:

-Vuol dire che non era veramente idonea!

-Ma almeno per tutto settembre aveva qualcosa con cui esercitarsi, no?

-Domani avremo la prima lezione di Incantesimi, vedremo che combinerà!

Fred sembrava unicamente interessato nel vedermi pubblicamente umiliato.

Per cambiare aria e soprattutto discorso, dopo pranzo decisi di avviarmi immediatamente alla Guferia, per battezzare il gufo di famiglia e mandare una lettera ai miei genitori, che almeno per loro non ero un fenomeno da baraccone.

Al diavolo tutti quanti, dovrei lavarmi i denti, ma alla Sala Comune non ci metto piede... Dove si andava per la Guferia?

A causa della rabbia, non mi ero neanche accorto di essere appena uscito dal castello passando dal Cortile sul Retro e la vista dal colle esterno al castello era talmente meravigliosa da farmi passare tutta la bile che avevo in corpo. Il Sole era all’esatta altezza della torre più alta, non avevo ancora idea di che parte del castello facesse parte, ma era senza dubbio il punto migliore per osservare gli astri, infatti dalla parte opposta alla mia mi sono accorto che sporgeva la lente di un cannocchiale dalle dimensioni decisamente imponenti. Il Cortile sul Retro stava iniziando a popolarsi di ragazzi in pausa che avevano finito di pranzare, mentre da qualche parte sotto il terreno si estendevano i Sotterranei dove Alvin Gambler stava passando la sua prima di sette ore di punizione con Piton. Gli alberi tutt’intorno facevano incetta di ogni brezza per trasformarla in una ritmata danza di colori, luce ed ombra si mescolavano assieme al verde delle chiome per creare un effetto graduato che andava virando sempre più verso il dorato salendo in alto; io mi trovavo in mezzo a quel letto di tonalità chiaroscure sentendo per la prima volta dopo tanto tempo il vento sulla pelle.

Avvicinandomi alla torre denominata Guferia, i versi ed il piumaggio prodotti dagli uccelli si facevano sempre più numerosi finché, ai piedi dell’edificio, non si era spettatore di un vero e proprio concerto di strepiti. Entrando dalla porta di legno che portava segni piuttosto freschi di escrementi di volatili, venni accolto da un’ondata di lamenti e di ali spiegate, atte ad intimidirmi e a farmi fare dietrofront. Purtroppo per loro, però, non avevo intenzione di lasciarmi impressionare dagli schiamazzi e se mi avessero costretto, avrei scaricato le mie frustrazioni su di loro.

-State un po’ zitte bestiacce, me ne vado subito, il tempo di consegnare questa stupida lettera...

In realtà dovevo anche trovare un paio di nomi per i gufi per poi riferirli nella lettera dei miei genitori, quindi non sapevo effettivamente quanto tempo avrei potuto perdere là dentro.

Ogni animale aveva un suo scomparto dove poter attendere gli ordini dei padroni e nel frattempo riposarsi e proteggersi da freddo ed intemperie. Non si capiva bene come fossero organizzati, tanto che sembravano essere messi alla rinfusa, ma un qualche criterio logico doveva esserci, visto che tra un volatile e l’altro c’era sempre qualcosa che rimandava alla Casa e all’anno di appartenenza del proprietario. Il mio, ad esempio, si trovava al quinto piano tra i gufi di Sullivan Bones e di un certo Carl Buster del sesto anno, stando alle targhette poste sotto ogni scomparto.

-Eccoti qua, sei molto elegante, sai?

Il gufo reale che aveva scelto per me ser Uppercut era l’unico tra quegli animali che non si agitava come un pazzo alla mia vista, forse il mio tutore lo aveva scelto proprio per la compostezza con la quale gestiva la tensione. Il che mi fece riflettere al come avesse provato questa sua caratteristica in mia assenza.

Possedeva un aspetto fiero e determinato, il suo piumaggio era pezzato: il marroncino prevaleva, con chiazze più scure poste sulle ali e sul petto e sulla fronte. Non distoglieva lo sguardo dai miei occhi nemmeno per un secondo, scrutandomi come se stesse cercando solo una scusa per attaccare. Dalla severità del suo cipiglio ne scaturiva una specie di Y formata dagli angoli delle orbite oculari con il suo becco adunco, da qui mi venne in mente il nome da dargli: Rudra.

-Hai proprio uno sguardo rude, eh? Ed io ti nomino Rudra. Il tuo fratellino invece, anche se non l’ho mai visto, lo conosco di fama, è un tipo rabbioso ed iracondo anche senza avermi mai visto e per questo lo chiamerò Agni. Siete proprio una bella coppia.

Scrissi i nomi che avevo deciso per gli animali sulla lettera di risposta e la consegnai nelle zampe dell’animale che, immediatamente, senza un mio particolare ordine, partì per inviarla.

 

Erano le tre e mezza, gran parte degli studenti si trovavano a lezione e gli unici fortunati a non aver atro per il resto della giornata erano soltanto quelli del Primo Anno. Ne approfittai quindi per andar di soppiatto nella Sala Comune per poter prendere la strana mela a forma di cuore che ci aveva dato Piton e andare dritto in Biblioteca per capire di che frutto si trattasse. Mi aspettavo di trovare comunque qualcuno per la strada o nel dormitorio, invece non incontrai anima viva, nemmeno un singolo studente che aveva saltato la lezione o qualcuno del mio stesso anno. Anche in camera regnava l’assoluto silenzio e purtroppo Muthsera continuava ad essere disperso.

Se non torna entro domani, dovrò mettermi il cuore in pace e dirlo a ser Richard con una lettera...

Sorprendentemente riuscii ad arrivare in Biblioteca senza sbagliare strada neanche una volta; forse fu solo una questione di fortuna, ma era possibile che le sommarie indicazioni di Kevin Alister erano servite davvero a qualcosa. Mi avviai così con la mela nella mano destra e qualche rotolo di pergamena sulla sinistra verso il banco della bibliotecaria.

-Mi scusi signora, il professor Piton ci ha chiesto di fare una relazione su questo frutto, purtroppo non so di cosa si tratti, non è che mi saprebbe consigliare un libro che ne parli?

-Oh, che educazione! Vediamo... Sì, per le cormele il libro giusto è Doni per gli Einherjar, nella sezione Miti e Realtà, lassù, guarda.

La libreria si trovava nel pianerottolo vicino al cancello della sezione proibita, dando un’innocente occhiatina all’interno però non notai nulla di particolarmente evocativo, quindi tornai alla ricerca del libro che mi serviva.

-Mi scusi signora, non l’ho trovato, è sicura che non l’abbia preso qualcun altro?

-Madame Pince, puoi chiamarmi così giovanotto e sì, sono sicurissima che nessuno lo abbia noleggiato, a meno che un tuo collega non lo stia consultando in questo preciso momento da qualche parte qui in Biblioteca, vai a controllare e vedi se c’è qualcuno che riconosci!

Non mi rimaneva altro che fare come mi aveva detto la bibliotecaria; per fortuna per via dell’orario la Biblioteca era mezza deserta, ma non sarebbe stato comunque facile, date le sue dimensioni.

-Ehi, Emanuele!

Era Brendan che mi chiamava da dietro uno scaffale ad essersi dimenticato di essere in un luogo silenzioso.

-Sst! Non gridare, cretino!

Amanda lo rimproverò coi suoi soliti modi femminili: era lei ad avere il libro che mi serviva e lo stava leggendo a tutto il gruppo di ragazzi che stavano con loro.

-Hai visto? Stavolta non ho incespicato... Senti, non è che hai un diminutivo per gli amici un po’ più semplice? E’ una specie di terno al lotto pronunciarlo per bene...

-No, a dire il vero no...

-Allora, avete finito di discutere? Posso riprendere la lettura?

-No, scusa Amanda, puoi farmi un riassunto di quanto avete letto finora?

-In realtà avevamo appena cominciato... Sappiamo soltanto che è una mela particolare che appare nella mitologia norrena. Le valchirie donavano questi frutti alle anime dei guerrieri più valorosi che poi rinascevano sottoforma di, come si diceva? Ah, si, Einherjar... Illeggibile, proprio.

-Quindi?

-Quindi niente, eravamo arrivati qua! Vuoi tutto pronto forse? Vuoi che te la scrivi io la relazione?

-No, scusa, scusa, pensavo ci fosse altro.

-Spero ci sia qualcosa di più concreto, perché sono sicura che a Piton non interessi niente di questa storiella.

-Voi però che dite, queste cose nel dubbio le inseriamo in relazione?

Il ragazzo Corvonero di nome Alexis O’Connell, che portava perennemente quell’odioso fazzoletto rosso, pose questa giusta domanda.

-Certo che no, o rischieremo di andare fuori tema!

Fu sua sorella, Tereese, a rispondergli. Lei era stata smistata in Tassorosso però.

-Dipende, se ciò che dice il libro sull’argomento si rivela esaustivo allora no, ma se non abbiamo altro da scrivere oltre ai risultati della nostra esercitazione, beh, qualcosa dovremmo pur scrivere per riempire un foglio di pergamena...

Amanda mi guardò assottigliando gli occhi, come se avessi detto qualcosa di sbagliato. Probabilmente però fu solo che non si aspettava una simile risposta da me, tant’è che riprese a leggere soltanto dopo un po’.

 

-Posso dare un’occhiata veloce ai tuoi appunti?

-Sì, certo, mentre ci sei controlla l’ortografia, non vorrei aver commesso qualche errore... Sai, non è l’inglese la mia lingua madre.

Amanda mi strappò i fogli di mano, leggendo avidamente. Avevamo appena finito l’esercitazione nel laboratorio di Pozioni e come risultati avevamo ottenuto che con la pentola che ha impiegato circa trenta secondi in più a raggiungere la temperatura di ebollizione la mela era diventata viola e il fumo che aveva prodotto emanava un tanfo terribile, mentre nell’altra la mela aveva ottenuto un salutare tono roseo e, a seconda di molti, un gustoso odore di carne alla piastra. Come fosse possibile però non ce lo sapevamo spiegare e questo stava facendo andare su tutte le furie Amanda, che cercava inesistenti indizi tra le mie righe.

-Non hai scritto nulla sullo strano odore di carne...

-Perché a me non sembrava di carne, somigliava di più a quello di una pizza, ma non posso scrivere cose di cui non sono sicuro.

-Va bene, torno alla Sala Comune, sono troppo stanca per continuare, me la riguarderò a letto e poi passerò alla bella copia.

-D’accordo, penso farò la stessa cosa io...

-No, qualcuno deve pur rimettere tutto a posto, ci penserete voi maschi, perché io, Kat e Tess saliamo su!

Dopo che le ragazze se ne andarono veramente lasciando a noi il lavoro sporco, non mancarono le isterie di massa.

-Ci hanno infinocchiato!

-Questa è l’ultima volta che lavoro in coppia con mia sorella, è un incubo!

Anche se dovevamo posare soltanto pochi attrezzi, il comportamento delle ragazze fu comunque fastidioso e anch’io in futuro avrei evitato di mettermi nel gruppo assieme a loro, se avessi potuto. Come per rincarare la dose, Gideon, di soppiatto, mi porse una domanda a tradimento:

-Senti, adesso che abbiamo finito... Ma è vero che non possiedi una bacchetta?

Dopo aver risposto con un secco SI! all’odiosa questione del mio compagno, decisi che era ora di tornare in camera e aspettare l’ora di cena evitando di parlare con chiunque altro. Al mio ritorno, però, feci una scoperta che mi rallegrò immediatamente: Muthsera era tornato.

-Sono qui, dentro la gabbia sotto il letto, fammi un favore...

Il favore che voleva gli facessi era raccogliere il topo che aveva appena cacciato e tagliarglielo in piccole parti da poter digerire anche sottoforma di tritone. Avrei senza dubbio rifiutato se non avessi visto in che condizioni si trovava. Del tutto squamato, aveva un occhio ferito e aveva perso quasi metà della sua massa, sembrava un mezzo cadavere.

-Cosa diavolo ti è successo?

-E’ colpa della tua stupida curiosità, per cercare l’ufficio di Silente ho girato l’intero castello e per riposarmi al ritorno mi sono rannicchiato in un angolo. Proprio mentre dormivo quel rattaccio mi ha attaccato... Praticamente sono vivo per miracolo, se fosse stato un pelino più intelligente, invece di mordermi all’addome, mi avrebbe perforato il cranio, se solo ci ripenso... Per fortuna sembra non abbia mai conosciuto un serpente, perché non si era accorto che mentre lo distraevo con la lingua, attorcigliavo la coda attorno al suo corpo. Ma ero debole e nel frattempo mi ha sfregiato e morso dappertutto... Sono abbastanza scarso come predatore, che vergogna.

-Tieni un po’ d’acqua, intanto vado a prendere quel topo e metterlo da qualche altra parte. Qui non so davvero come fare a sezionartelo e poi... Che schifo! Non ci riuscirei mai senza vomitare...

-Grazie tante, allora!

-Invece per quelle ferite, posso fare qualcosa?

-Non sono niente, andranno via col tempo, facendo la muta, anche quella nell’occhio.

-Sarà, ma almeno disinfettiamole.

-Fermo, so cosa voi umani usate come disinfettante, no, quella bottiglietta no!

-E’ solo acqua ossigenata, non brucia neanche!

-Nooo! Brucia terribilmente!

-E dai, non fare il bambino, se ti si infettano puoi lasciarci le penne...

-Facile parlare per te, non hai un occhio lesionato che in questo momento è in fiamme!

Dopo averlo medicato al meglio delle mie capacità, lo lasciai riposare per andare a cena.

-Resta buono qui che più tardi torno e vedo in che condizioni stai, speriamo vada tutto bene o sarò costretto a chiedere consigli a ser Richard.

-Quello al massimo come consiglio ti dà quello di sopprimermi.

-Riposati!

La mia intenzione era quella di cenare il più in fretta possibile, ma proprio quella sera il pasto fu particolarmente tardivo.

-Scusate il ritardo, ma mi sono dovuto occupare di una cosa, che arrivi la cena!

Alle parole del preside, apparvero tutti i manicaretti della serata, che vennero spazzolati in poco tempo dalla folla famelica di studenti messi ad attendere forse po’ troppo.

 

-Mi sembri un po’ migliorato, vedi che le medicazioni hanno fatto effetto?

-La coda di topo che ho divorato, quella si che ha fatto effetto...

-Beh... Anche.

-Comunque sia, so che vuoi chiedermelo anche se per delicatezza ancora non l’hai ancora fatto, ma ho spiato Silente per te.

Con Muthsera era inutile fingere che non mi interessasse, lui poteva sentire le mie emozioni ed io le sue.

-E quindi?

-E quindi non ha combinato nulla per quasi tutta la giornata, andava su e giù per il suo ufficio come un trenino, finché...

-Finché?

-Ero sul punto di andarmene quando all’improvviso sembra mettersi a parlare da solo, ma in realtà dialogava con qualcun altro!

-E con chi?

-Senti perché non lo vedi da solo? Almeno risparmio tempo e fatica...

-Il fatto è che non so come si fa, l’altra sera è stato un caso fortuito.

-Ma quale fortuna, se sia io che te pensiamo alla medesima cosa entriamo in sintonia, mi sembrava l’avessi capito, dai riprovaci, desidera di vedere coi tuoi occhi quello che ho visto io.

-E proviamoci...

Poggiai una mano sul capo di Muthsera e dopo un po’ mi sembrò di muovermi come lui, vedere attraverso una fessura del soppalco e respirare molto più lentamente, dovevo essere entrato nella sua mente.

-Quindi mi stai dicendo che continui a non ricordare nulla?

Il preside Silente apparentemente stava parlando da solo, dato che stavolta Muthsera aveva scelto un punto strategico e nel suo ufficio non c’era nessuno: né vicino al tavolo, né all’ingresso e neppure sul davanzale del secondo piano.

-Quante volte devo ripeterglielo professore? No, assolutamente nulla!

Qualcuno però rispondeva alle sue domande, forse proprio uno di quei quadri animati che tappezzavano la parete frontale della stanza. Osservandoli meglio, però, raffiguravano soltanto persone intente a dormire, figuriamoci se avevano intenzione di parlare.

-Neanche dopo aver guardato dal pensatoio?

-No. Sono preoccupato tanto quanto lei e davvero vorrei sapere perché dell’Allarme, ma non ci riesco neanche concentrandomi intensamente!

Il cosiddetto pensatoio scomparve dietro il muro girando su se stesso non appena il preside premette col piede una mattonella del pavimento, ma ancora non si riusciva a capire con chi stesse parlando.

-Ricordo tutte le parole del Giuramento del Gran Maestro dell’Ordine, ma la parte riguardante l’Allarme l’ho totalmente rimossa...

-Se è dovuto ad un effetto collaterale del mio incantesimo la memoria temo non ritornerà, speravo solamente che non fosse come temevo. Va bene Cappello...

Cosa, Cappello?!?

-Inutile forzare la mano, hai avuto un sacco di tempo per pensarci e non sei riuscito a ricordare nulla, dobbiamo passare al piano B.

-Quale sarebbe il piano B, signore?

Piton era appena entrato nell’ufficio del preside, circospetto come sempre. Più che al professor Silente votava il suo sguardo verso un ripiano della credenza e non ne capivo il motivo.

Oh, finalmente, eccolo là il misterioso interlocutore!

Si trattava del Cappello Parlante, che era ben mimetizzato tra i libri di uno degli scaffali posti più in alto.

-Eccoti finalmente, Severus. Niente, è molto semplice: porti il ragazzo qui e lo sottoponiamo nuovamente al giudizio del Cappello.

-Nel suo ufficio?

-Sì, nel mio ufficio.

-E se tornasse ad Allarmarsi? Riutilizzerebbe l’Extinguo Discrimen?

-Solo se costretto.

-Le ripeto la mia opinione in merito allora: chiudiamo la faccenda qui ed allontaniamolo dalla scuola. Non ha ancora la bacchetta e non sa quasi nulla sulla magia, siamo ancora in tempo a...

-Credi che non ci abbia pensato? Ma chi siamo noi per togliere la speranza ad un bambino?

-Signore, parla coi serpenti!

-Anche Harry lo fa e le sue azioni hanno dimostrato di non essere prerequisito di un cuore malvagio.

-Potter è un caso a parte, il suo destino è legato al Signore Oscuro, quello di questo ragazzo a chi lo è se non a se stesso?

-Ed è proprio per sciogliere questi dubbi che ti chiedo di portarmi domani sera il ragazzo e ritentare col Cappello. L’ultima volta è stato smistato in Serpeverde senza contatto diretto, Minerva era troppo preoccupata che il Cappello si Allarmasse nuovamente.

-Quindi mi sta dicendo che preferisce di più Smantellare per la seconda volta consecutiva un cimelio incantato mille anni fa, con il rischio di non riuscire più a stipularne il contratto, che fare la cosa giusta?

-La via più semplice non è mai quella giusta, Severus. Adesso lasciami solo e attendi una mia conferma per domani prima di chiamare il ragazzo, voglio meditarci un po’ su questa notte...

-A questo punto farò come vuole lei signor Preside, ma questa sera mi recherò comunque alla Sala Comune per vedere cosa combina, come Direttore di Serpeverde è mio dovere garantire la sicurezza degli altri studenti.

-Allora domani Piton verrà a cercarmi!

Tornai nel mio corpo, evidentemente il ricordo era terminato.

-No, ti ho detto che ho perso tempo con quel ratto... Quel domani è oggi!

-Questo significa che...

-Emanuele, scendi immediatamente!

Brendan mi spaventò a morte, irrompendo nella stanza. Avevo totalmente dimenticato di essere ancora nel dormitorio dei Serpeverde, perciò immediatamente gettai il cuscino sopra Muthsera per non rivelare la sua vera identità e seguii il mio compagno di classe.

-Che succede? Mi hai fatto prendere un colpo!

-Lo so, scusami, ma non è dipeso da me, il professor Piton vuole parlarti!

Piton?!?

 

 

Nota: Emanuele sceglie i nomi di Agni per il gufo più irascibile perché Angry = Irato in inglese per via del suo temperamento, mentre quello di Rudra per il gufo più mansueto perché Rude = Duro sempre in inglese, per via del suo sguardo severo. Inoltre, Agni e Rudra sono due divinità vediche dell’induismo.

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Capitolo 13
*** Chi ben comincia... ***


 

-Piton? E’ già qui?

-Lo aspettavi?

-No, cioè, avevo il sospetto che ritornasse anche oggi, ti ricordi ieri sera?

-Ah già, comunque questa volta è venuto per te, non per Gambler...

Anche prima se è per questo...

-Avevamo forse fretta di ritornare al nido?

Il professor Piton aspettava davanti al camino, anche se era spento aveva un ottimo motivo per trovarsi lì: poteva controllare l’intera Sala Comune.

-Ebbene, perché tanta urgenza nel lasciare la Sala Grande?

Non sapevo cosa rispondere, avevo mille buoni motivi per essermi recato frettolosamente in stanza, ma nessuno di essi era semplice da spiegare o tantomeno mi avrebbe risparmiato un’umiliazione pubblica.

-Me lo spiegherai mentre andiamo, seguimi.

Mentre Piton si avviava verso l’uscita della Sala, alle nostre spalle si dava inizio ai bisbigli:

-Se lo sta portando!

-Ma cos’ha combinato il marmocchio?

-Che bel modo di iniziare l’anno, buon per lui!

Il professore sembrava non dare peso a quelle chiacchiere anzi, aumentò gradualmente l’andatura fino ad arrivare a passo di marcia.

-Mantieni il ritmo!

Non era certo cosa semplice, specie nelle scalinate.

-Sai dove stiamo andando?

-No, signore.

-Bene, lo scoprirai fra poco, stai qui.

Piton si era fermato a ridosso di una delle balconate della Torre delle Scale ed io aspettai con lui. Improvvisamente una delle rampe del piano superiore che collegava il secondo piano con un livello intermedio cambiò angolazione, per potersi collegare al nostro spiazzo. Una volta che l’aggancio fu effettuato, il corrimano scivolò lateralmente per permetterci il passaggio. Vedendo la mia faccia stranita, il professore mugugnò:

-Non vorrai farmi credere che non eri ancora a conoscenza del fatto che le scale di muovono...

-No, professore, come ci è riuscito?

-Non ho fatto nulla, alle scale è stato dato ordine di cambiare posizione a seconda delle necessità di chi deve attraversarle, e noi dovevamo farlo.

Effettivamente sfruttando questa specie di scorciatoia ci eravamo risparmiati un bel po’ di strada, arrivando direttamente al terzo piano con sole due rampe. Il Cortile di Trasfigurazione era molto buio e cupo la sera ma anche rilassante, per via della luce lunare che filtrava dagli strati di nubi del cielo settembrino; accanto la statua della torre del preside era comunque presente una torcia, l’unica ad essere accesa a quell’ora.

-Entra.

Entrare dove?

Dinanzi a noi si stagliava soltanto una grossa scultura a forma di volatile con le ali spiegate. Forse era anch’esso un Gargoyle, dato che la scuola era famosa per le sue statue di comuni animali nominati Gargoyle per nessun motivo apparente, ma oltre a quella non c’era alcuna porta da cui passare.

-Ho detto entra.

Mi diede una spinta di modesta entità, quanto bastava per farmi avanzare di due passi.

-Pallini Acidi.

Il pavimento iniziò a traballare così come la statua del pennuto e mi ritrovai su una spirale di scale rivelata dalla rotazione che fece il Gargoyle su se stesso.

-Sempre Pallini Acidi.

Anche il professore risalì le scale per seguirmi. Ci ritrovammo dinanzi ad una spessa porta di legno, molto meno ampia di quella della Sala Grande, ma similmente intagliata.

-Resta fermo dove sei.

Facendo ben attenzione a non permettermi di sbirciare all’interno dell’ufficio al suo ingresso, Piton si presentò al Preside solo dopo esser già entrato. Riuscii ad intendere solo le prime parole espresse dall’insegnante poco prima che si allontanasse troppo dalla porta.

-E’ con me, come desideravate.

Solo qualche secondo dopo mi fu concesso di partecipare alla discussione dal sempre più cupo professor Piton.

-Prego, prego, entra. Non aver timore, non sei in punizione.

Il preside Silente era situato dinanzi alla sua cattedra gesticolando un caloroso benvenuto col braccio sinistro. La sua figura slanciata pareva ancor più longilinea dal connubio della sua posizione leggermente sopraelevata dai due gradini che ci distaccavano e dalle anguste dimensioni della stanza.

-Ogni studente dovrebbe avere il privilegio di incontrarmi privatamente al primo anno. Tutti dovrebbero sapere che sono io il loro punto di riferimento all’interno di questa scuola. Purtroppo a causa dei molteplici impegni del preside e dell’elevato numero di nuovi iscritti ogni anno, questo non è fattibile, ma tu sei fortunato, infatti a causa del problema che ti esporrò fra poco, hai avuto quest’occasione. Sai perché sei qui, figliolo?

-Per espellermi dalla scuola?

-No, suvvia, perché mai dovremmo farlo?

-Non ho ancora una bacchetta e il cappello parlante si è comportato stranamente, forse non sono ancora pronto...

-Sebbene questi inconvenienti non si sono mai verificati nella storia di questa scuola non mi sembrano certo motivi validi per rimandare uno studente a casa propria senza aver avuto la possibilità di imparar nulla. Vieni con me, ti mostro una cosa.

Il preside si voltò e proseguì per una delle due strette rampe di scale che lo portavano al piano superiore e, raggiunta la sommità, mi suggerì di seguirlo. Su un tavolino posto alla luce lunare si trovavano un libro aperto e una penna da scrittura, come quelle che in estate dovetti imparare ad utilizzare per non rischiare di macchiare tutti i miei compiti.

-Questi sono la Piuma dell’Accettazione ed il Libro dell’Ammissione, sapevo avresti messo in dubbio la tua legittimità a poter frequentare questo istituto, per questo ho chiesto gentilmente al professor Piton di portarmeli qui dalla loro torre. Sono due oggetti magici dal valore inestimabile che, assieme al Cappello Parlante, sono al servizio della scuola fin dalla sua fondazione... Che è avvenuta un mucchio di tempo fa. A nessuno studente è permesso visionarlo, contiene informazioni troppo preziose, ma nel tuo caso farò un’eccezione. Vedi, entrambi lavorano in sintonia per poter decidere l’ammissione o meno dei futuri studenti di Hogwarts: se il tuo nome appare in questa lista, hai l’irremovibile diritto di poter frequentare le lezioni, se non lo sei... Beh, avrai capito che servono principalmente per verificare due cose: se in una famiglia di maghi è appena nato un esponente con limitate capacità magiche o se in un ragazzo comune al suo undicesimo anno di età si manifestano i primi segni di attività magica. In entrambi i casi il loro giudizio è corretto e indiscutibile, se leggi un nome stai pur certo che la persona a cui esso corrisponde sarà un mago o una strega a tutti gli effetti. Guarda, sta scrivendo un nome proprio adesso!

In quell’esatto momento la penna si era sollevata per trascrivere subito sotto l’ultimo nominativo il nuovo futuro mago che frequenterà la scuola. Dopo alcuni tentennamenti da parte del libro che sembrava non volesse esser macchiato, finalmente la penna riuscii a scrivere le prime lettere che, nonostante la grafia molto graziata e sofisticata, erano ben leggibili.

Augustus Gloop.

-Oh bene, è nato il figlio di Clausius Gloop.

Il preside si rivolse con tono allegro al professor Piton che, dabbasso, non fece mancare la sua contentezza.

-Mi assicurerò di inviare un gufo d’auguri, signore.

La penna continuava a scrivere altri dati sotto il nome del candidato, quelli però erano più difficili da decifrare, pieni di sigle ed abbreviazioni.

-Oh, questo non ci interessa per il momento, è l’indirizzo e qualche altra informazione che riguardano il nascituro, li consulterò fra undici anni, eheh. Aspettiamo che finiscano, poi andiamo a vedere la pagina dove è stampato il tuo nome, così te ne convincerai.

Per dare il tempo a quei strumenti magici di compiere il loro lavoro, il preside si appoggiò al corrimano della piccola balconata del piano rialzato e mi spiegò il perché del loro strano comportamento.

-Il libro come hai potuto vedere è molto severo: non ammette nessuno se non è assolutamente certo che sarà davvero in grado di eseguire incantesimi di buon livello, la penna è un po’ più permissiva, per questo ogni tanto si azzuffano, per così dire. Ottimo, hanno finito, due secondi che si asciuga l’inchiostro e andiamo al... Quand’è che sei nato?

-19 Aprile.

-Ah già giusto, ecco qui, 19 Aprile 2001... Emanuele, Emanuele, Emanuel... Trovato! Cosa leggi?

Effettivamente il nome che mi aveva indicato il preside e che stavo leggendo era proprio il mio.

-Il mio nominativo ed il mio indirizzo più qualche altra parola di cui non conosco il significato.

-Già, vedi? Non saresti mai apparso su questa lista se non ne fossi stato degno. Del resto il tuo tutore mi ha anche scritto che sai già eseguire degli incantesimi molto utili, alcuni davvero complessi da apprendere, non è forse così?

-Sì, ma in realtà non è che li sappia gestire particolarmente bene e senza una bacchetta mi viene difficile adattare le istruzioni dei manuali al mio caso...

-Sciocchezze, per quello c’è tempo! Imparare è l’unico motivo per cui sei qui, no? Sai quanta gente esiste che vorrebbe il tuo dono? E non parlo solamente del dono della magia tra la gente comune, ma anche tra i maghi il saper eseguire incantesimi senza l’ausilio di un catalizzatore è... Strabiliante!

-Per non dire unico...

Piton si trovava alle mie spalle, evidentemente si era stancato di aspettare di sotto.

-Giusto Severus, riporta questi cimeli alla Torre, nel frattempo il giovane Emanuele mi mostrerà cosa ha imparato quest’estate, sono curioso di vederlo all’opera.

Strizzò l’occhio sinistro in mia direzione per divertirmi, ma così facendo le rughe che frastagliavano il suo volto si incresparono ancor di più creando una smorfia di costipazione più che di intesa.

Un po’ sorpreso dalla richiesta del preside, il professore accettò e si allontanò dall’ufficio, col suo solito passo fulmineo.

-Mettiamoci comodi, siediti: ho messo quella sedia lì per te.

Il preside si sedette sul suo scanno mentre io mi accomodai sulla piccola sedia posta dall’altra parte della scrivania.

-Ordunque, cosa mi mostri? Qualsiasi incantesimo tu abbia imparato, anche il più banale, mi andrà benone, voglio divertirmi un po’.

Non ero sicuro se quello fosse un abile tentativo di nascondere la sua voglia di provare le parole del mio tutore o se si voleva veramente divertire vendendomi pasticciare con qualche incantesimo. In ogni caso dovevo ubbidire, ma non mi veniva assolutamente nulla di utile in mente, dato che gli unici incantesimi che conoscevo servivano a trasformare oggetti e animali che lì in quel momento non erano a mia disposizione.

Dove diavolo lo trovo un candelabro qui? Che trasfigurazioni inutili che ho imparato...

Fortunatamente mi balenò in mente un incantesimo che avevo letto di sfuggita nel tomo di Incantesimi durante una delle mie letture per far conciliare il sonno, ma era l’unico che potessi utilizzare in quel frangente. Subito dopo però riflettei che mi mancava un elemento essenziale per poter proseguire, ma forse il Logos Comprehendi mi avrebbe aiutato anche con il latino.

-Liber Ordinis!

I vari tomi sparpagliati sul tappeto ai piedi della scrivania alla mia destra si erano disposti ordinatamente ognuno nello scaffale di appartenenza, vicino i loro complementari.

-Oh, che bello, col solo pensiero!

-Mi scusi, è un incantesimo basilare, ma non sapevo cos’altro usare qui...

-Avevano proprio bisogno di una bella sistemata, in realtà sono un tipo ordinato, ma ultimamente sono stato costretto a... Fare ricerche! Rivelatesi vane ovviamente, conoscevo già quei testi, volevo solo assicurarmene. Ottimo lavoro!

Il professor Piton, in ritorno dalla Torre dell’Ammissione, interruppe il nostro strambo dialogo.

-Signore, il Libro e la Penna sono al loro posto, se vogliamo procedere cortesemente, l’ora è tarda ormai.

-Certo Severus, aspettavamo proprio te per iniziare, ti sei perso uno spettacolo davvero niente male!

-Sono sicuro che avrò occasione di assistere ad altri, sempre che il signor Burgio voglia farsi promuovere nelle varie materie.

-Riprendendo il discorso di prima, pensi di sapere perché sei qui adesso?

Insisteva con questa domanda, forse immaginava che io già sapessi il vero scopo della mia visita, perciò decisi di essere sincero e di tenere per me solo il fatto delle visioni, del resto ser Uppercut mi aveva sempre avvertito di nascondere meno cose possibili al preside, anche le faccende più spinose. Colui che invece mi preoccupava per le sue possibili reazioni era l’insegnante di Pozioni, non mi sembrava certo il tipo più comprensivo del pianeta, oltre al fatto che sembrava provasse un certo astio nei miei confronti.

-Credo vogliate farmi indossare nuovamente il Cappello Parlante per esser sicuri del mio smistamento in Serpeverde.

-Esattamente. E dato che sei un ragazzo sveglio non avrei faticato a credere che la tua fosse stata una semplice intuizione, ma dopo aver notato che nel nominare il Cappello ti sei rivolto nella sua direzione, devo supporre che tu conoscevi già la sua esatta ubicazione, per nulla semplice da individuare, dietro quella clessidra.

-Come lo spieghi?

Sembrava un interrogatorio militare, non sapevo da che parte girarmi e a chi rivolgere lo sguardo, con il preside da una parte e il professor Piton dall’altra, alle mie spalle.

-In realtà io ho un tritone, che in realtà non è un tritone. Beh, penso lo sappiate, è un serpente. E’ simpatico però, non è velenoso e non rappresenta un pericolo per gli altri studenti, ve lo assicuro.

-Questo lo decideremo noi, continua.

Non volevo peggiorare la situazione, ma dovevo confessare tutto adesso o mi sarebbe stato impossibile farlo più avanti senza ammettere di aver precedentemente nascosto qualcosa; speravo solo che Muthsera non avrebbe pagato per la mia stupidità.

-Questo serpente era l’unico animale al Serraglio Stregato che non si agitava alla mia presenza per cui fui costretto a prenderlo, anche se dalle regole della scuola sono permessi solo gli animali di piccola taglia; altrimenti sarei rimasto senza animale da esercitazione.

-Taglia corto, come fai a sapere del Cappello?

-Severus, dagli tempo.

Vuoi che ammetta subito di essere un rettilofono? E va bene...

-Perché me lo ha detto il serpente! Sì, riesco a parlare con lui, non so se pure con altri serpenti, ma almeno con il mio si. Ser Uppercut mi ha spiegato che non è un’abilità comune né che sia vista come positiva, ma il fatto è che ci riesco e dato che lui può sgusciare tra le pareti del castello, ascolta e osserva parecchie cose.

-Dovremmo chiuderlo in una gabbia più stretta quel serpente, s’è fatto un bel giro ad arrivare fin qui dai Sotterranei. Mi ricordano le innocue escursioni dell’animaletto di uno studente di cinquant’anni fa.

-Severus, non ricominciare con le tue illazioni... A differenza di Tom, Emanuele ci sta dicendo la verità, anche se per lui deve essere difficile. E’ tutto vero? C’è qualcos’altro?

Non sapevo se continuare oppure no, avevo già svelato abbastanza cose che farebbero rizzare i peli a chiunque le ascoltasse, non volevo pure aggiungere la faccenda della trasmigrazione in rettile.

-Sì, ma ho già chiesto a Muthsera di cacciare in zone un po’ più vicine e di non allontanarsi più di tanto, perciò non capiterà mai più... E poi, s’è pure ferito nel ritornare in camera.

-Muthsera? E’ questo il nome che hai dato al serpente? Non mi sembra un termine italiano, cosa significa?

-Non lo so signor preside, è un termine che mi è stato rivolto una volta come saluto da un amico, non credo significhi nulla.

-D’accordo, sta’ tranquillo, se ci prometti che terrai a bada il tuo animale ti permetteremo di tenerlo, inoltre mi sono già informato sulla razza ed è veramente innocuo, non ha la forza necessaria a soffocare un essere umano, è tutto a posto. Procediamo alla prova del cappello adesso.

Con un gesto della mano, trasformò la grossa clessidra che nascondeva il Cappello Parlante in un coloratissimo pennuto scarlatto, che prese il manufatto magico e lo porse al Preside.

-Ti presento Fanny, la mia piccola fenice. Fanny, Emanuele.

Il volto dei presenti tradiva l’ansia e la preoccupazione che il cappello potesse Allarmarsi nuovamente: anche l’austero viso di Piton dovette leggermente corrugarsi esprimendo la tensione. Per fortuna, però, il cappello non urlò.

-Ahhh, ci rincontriamo. Questa volta però devo valutare attentamente le tue doti e predisposizioni, questo mi è stato chiesto e così farò.

La sensazione di un pezzo di stoffa parlante e semovente sul proprio capo era sempre sgradevole, ma per lo meno non mi trapanava i timpani come la prima volta.

-Sì, non ho sbagliato, c’è una forte propensione all’accrescimento del potere e al desiderio di conoscenza tipica dei Serpeverde, ma solo adesso noto una parte più piccola dentro di te che tende alla tranquilla ricerca dell’equilibrio del proprio io, tratto forte dei Corvonero. E’ un caso unico, non mi è mai capitato da che ho memoria. Non si tratta di semplice convergenza di caratteristiche, anzi, il contrario. La tua parte... Serpeverde, per così dire, è così marcata ed imperiosa da soffocare quasi quella più fioca e mansueta del Corvonero. E’ come se fossi diviso a metà, affascinante certo, ma a questo punto non so cosa decidere, l’una o l’altra scelta ferirebbe una parte del tuo essere, credo sia più giusto far decidere te.

-Con te intendi dire me?

-Ovvio. E chi altri?

-Ma io non lo so, come faccio a decidere una cosa del genere?

-La vita è fatta di scelte giovanotto, credi che per me sia più facile? O indolore? A volte mi arrovello a pensare come sarebbe stata la vita di quel mago o di quella strega se quel giorno di settembre avessi scelto una Casa anziché l’altra... E’ una dura responsabilità la mia, so che può sembrarti che un cappello non sia capace di provare sentimenti, ma in realtà così non è.

-Posso chiederti una cosa almeno?

-Certo.

-Al mio posto cosa sceglieresti?

-Stai cercando di far ricadere la scelta a me? Te l’ho detto, non sono in grado di decidere questa volta, è al di là delle mie competenze. Nella Sala Grande ho indicato la Casa Serpeverde perché la sua presenza in te era così intensa che sembrava non ci fosse spazio per altro, ma oggi, controllando meglio, ho scovato una parte nascosta che vorrebbe riemergere e farsi notare, ma... Sembra quasi un’altra persona, è questo che mi inibisce. Purtroppo sono stato creato così, posso affidare una sola Casa a studente, ma qui ce ne sono due, non so se mi spiego.

-Però hai ribadito più volte, correggimi se sbaglio, che la parte Serpeverde è quella più marcata, vero?

-Senza ombra di dubbio. Infatti se non fosse per questa strana particolarità non avrei esitato un momento a riconfermarti in quella Casa, la differenza è evidente.

A me in realtà sembrava che la sua indecisione non avesse senso d’esistere: la mia personalità propendeva in larga parte verso i Serpeverde ed inoltre sarei risultato ancor più curioso agli occhi degli altri se dopo l’aver fatto Allarmare il Cappello Parlante e il non possedere una bacchetta, avessi pure cambiato Casa da un giorno all’altro, episodio che, ci avrei scommesso, non era anch’esso mai capitato nella storia della scuola, come tutto ciò che mi riguardava.

-Credo che rimarrò in Serpeverde, non mi va di cambiare Casa senza un reale motivo...

-Quindi è deciso? E sia allora, Serpeverde!

Esclamando con quel tono festoso sembrava quasi che la decisione l’avesse presa lui.

-Oh, bene. Tutto fatto! Puoi tornare al tuo dormitorio adesso, il professor Piton ti accompagnerà, sarai stanco, guarda un po’ che ore si sono fatte...

-Vieni, non perdiamo tempo.

-Ah, aspetta Severus, un’ultima cosa... Ricordi cosa ci hai promesso, vero Emanuele?

Per un solo attimo e per la prima volta aveva abbandonato il suo solito tono allegro e compassionevole solo per rivolgermi quella domanda: non avrei mai pensato che quell’anziano tanto bonario mi avrebbe fatto raggelare il sangue allo stesso livello della prospettiva di passare un’intera giornata in compagnia del Direttore della mia Casa.

-S-sì!

-Ah bene, puoi andare allora! Aspetta mie notizie nei prossimi giorni, risolverò il tuo piccolo problema di...

equipaggiamento!

Che vorrà dire?

 

 

-Per Storia della Magia, intendiamo lo studio socio-culturale nonché umanistico di tutto ciò che concerne il passato di uomini e donne di cui si hanno testimonianze scritte, orali o profetiche che hanno praticato la magia. Questo significa che a differenza della storia classica che avete studiato fino ad ora nelle vostre passate carriere scolastiche, noi non classificheremo una vera e propria Preistoria della Magia, dato che non avendo prove tangibili della sua comparsa nel nostro mondo prima di questa data -segnatevela, è importantissima- è impossibile accertare o quantomeno escludere la possibilità che la magia fosse già presente nella quotidianità degli esseri viventi di quel periodo. A dire il vero, un mio illustre collega, il prof. Felitius Notio, sostiene ancora che i primi segni di magia volontaria si siano registrati... Nonostante tutta la comunità accademica abbia totalmente bocciato questa teoria... Ma comunque va menzionata perché...

Bla bla bla... Non finisce più! Sembra che abbia attaccato da ore a parlare invece sono passati solo cinque minuti, non ce la farò mai...

Il professor Curthbert Rüf, l’insegnante di Storia della Magia, faceva questo effetto. Non era certo causa della materia in sé che era anzi interessante, soprattutto ad un totale ignorante come me, ma il modo in cui biascicava le parole, producendo quel mugugno tanto irritante quanto ipnotico, unito alla mia vana e continua ricerca del profilo del suo fluttuante corpo che aveva l’abitudine di sparire con ogni nuvola di gesso che scaturiva dalla spugna della lavagna o col polverone che si sollevava quando apriva uno di quei vecchi libri disposti sulla cattedra.

Sì, fluttuava e spariva facilmente dalla vista proprio perché era un fantasma. Dopo tutte le stranezze che avevo visto in quelle settimane non mi stupivo di certo del fatto che uno dei miei insegnanti fosse un cadavere ambulante, ma dovevo ammettere però che non ci avrei mai creduto se me l’avessero raccontato quelli degli anni più grandi. Del resto il professore non si era affatto presentato come tutti gli altri la sera del banchetto, perciò la sua presenza mi era del tutto sconosciuta.

-Per me... Trecento anni!

-No, che dici, di più, di più! Non hai sentito che nome antico? Per me minimo seicento!

-Esagerato!

Rupert e Fred alle mie spalle scommettevano su un qualcosa, evidentemente motivo di divertimento, per quanto forte ridevano. Alla mia destra, un incuriosito Dan chiese loro:

-Ma di cosa state parlando?

-Del tempo che è trascorso da quando la gente che nomina il professor Fantasma è passata a miglior vita! Tutti i suoi illustri colleghi che menziona continuamente stanno mangiando terra da secoli, ma lui non se ne rende conto... Ha perso totalmente cognizione del tempo e dello spazio!

Loro lo trovavano divertente, per me invece era triste che quella pallida figura che per chissà quale motivo continuava a trovarsi lì dinanzi a noi, invece di trovare la pace eterna, fosse costretta a ripetere ciò che faceva in vita senza rendersi conto del tempo che inesorabilmente passava.

-Chissà da quanto tempo insegna ad Hogwarts in questo stato...

-Per me... Duecento anni!

-Ma no, guarda che vestiti antichi che indossa, saranno andati di moda minimo nel diciassettesimo secolo!

-Continui ad esagerare...

Non era mia intenzione dare adito ad una nuova disputa sul periodo storico del trapasso del professore, ma effettivamente la colpa fu mia, che non riuscii a trattenermi dal pensare a voce alta.

-Scusate la mia piccola digressione, ma dovevo precisare, adesso possiamo tornare qui, nella piccola isola di Wight, dove sono state tramandate le prime conoscenze della tradizione magica.

Coff! Coff!

I ragazzi del primo banco per poco non morirono soffocati a causa del gran nuvolone che l’insegnante aveva provocato puntellando la sgualcita cartina geografica delle isole britanniche, ma lui non se ne preoccupò minimamente.

Ogni piccolo tentativo di seguire le parole dell’insegnante purtroppo veniva contrastato dalle mille distrazioni che attiravano maggiormente la mia attenzione rispetto alla monotona cantilena del vecchio fantasma. I continui boccheggi e sbadigli degli altri studenti, contagiosissimi, che erano allo stremo delle loro forze, i libri sulle mensole che ogni tanto decidevano di muoversi per conto loro, la bocca stessa del professor Rüf che col suo ondeggiare mi portava facilmente alla perdita di quei rimasugli di energia rimastimi: tutto sembrava cercare di farmi assopire.

Sto per crollare...

-Gli elfi e i goblin, sono stati loro i primi a lasciare tracce grazie alle quali possiamo dire con esattezza che in quel periodo il mondo già conosceva la magia. Una conoscenza celata, certo, elitaria se vogliamo, ma d’altronde lo è anche oggi. Questo mistero, del perché la magia è così limitata nel nostro mondo, è uno dei quesiti di cui i più grandi storici e maghi di tutti i tempi si sono crucciati di risolvere e non tutti sono riusciti a convergere in un’unica teoria. Anzi, la maggioranza di esse non sono assolutamente compatibili tra loro, dando il via a diversi esperimenti che porteranno ad una canonizzazione differente di vari termini che ci saranno utili quando affronteremo parti di storia più recenti...

-Ovvero di trecento anni fa!

-Io dico di seicento!

Con questo stupido trucchetto Fred e Rupert riuscivano a seguire la lezione senza appisolarsi o distrarsi involontariamente, per questo decisi che dovevo trovarne uno anch’io, magari che non coinvolgeva la dignità del professor Rüf stesso. E visto che non riuscivo a staccare lo sguardo dalle labbra dell’insegnante, decisi di seguirle e di anticiparne il movimento col pensiero, giusto per memorizzare in maniera inconscia la lezione.

Ciò che veramente mi attraeva, era l’indescrivibile sensazione che mi dava il vedere attraverso un fantasma, il chiedermi di cosa fosse composto, come facesse ad esistere e come doveva sentirsi in quel momento. Essendo la bocca l’unica parte del suo corpo che si muoveva, mi attirava maggiormente rispetto al resto perché riusciva a confondere anche la mia vista mentale.

-E’ una mia teoria, non ho letto nulla a riguardo, anzi penso sia una sciocchezza, però più guardo il professor Rüf o qualsiasi altro fantasma e più me ne convinco. Noi normalmente usiamo la vista, o meglio, gli occhi per vedere ciò che ci sta intorno, ma gli spettri e credo anche i Dissennatori, per quanto riesca a ricordarli, non necessitano degli occhi per poter esser visti, non so, è come se una volta chiusi gli occhi li potessi vedere ancora lì, dinanzi a me. Non è vero, c’ho provato infatti, una volta chiusi gli occhi essi spariscono, però continuo a percepirne la presenza mentalmente, non so spiegarmi...

-Ti capisco invece, la stessa cosa la avverto pure io sai? Però prima che tu me ne parlassi, non sapevo cosa pensarne e credevo fosse solo frutto della mia immaginazione, stavo perfino iniziando a maturare l’idea che fossi inconsapevolmente spaventato degli spettri e che essi riuscivano a farmi sentire, per così dire, strano...

-Già, non è affatto come vedere Casper in televisione...

-E chi sarebbe Casper?

Mi ero fatto travolgere così tanto dal discorso con Dan che adesso lui giustamente mi stava chiedendo chi diavolo avessi appena menzionato.

-Lascia perdere... Dannazione, ho perso di nuovo il filo! Perché stiamo parlando dell’Africa adesso?

-Non lo so, mi sono distratto anch’io...

 

Avevamo mezz’oretta di tempo prima che la Sala Grande si sarebbe riempita di gente per il pranzo, perciò preferii impegnare quei preziosi minuti per fare due cose: intuire a quale pagina di quale libro eravamo arrivati alla fine della lezione di Storia della Magia e soprattutto scendere al cortile di sotto per svegliarmi un pochino, data la distruttività delle ultime tre ore.

-Professore, mi scusi, volevo sapere con precisione quali capitoli del libro abbiamo trattato oggi e se c’è qualche passaggio da saltare o magari da implementare da un testo diverso...

-Ah, si certo, Burger, giusto?

-No, professore, Burgio...

-Ed io cosa ho detto, comunque sono i primi due capitoli della Storia della Magia di Bathilda Bath, più qualche spezzone degli appunti del mio collega Felitius Notio, li ho raccolti nel compendio delle Prime Testimonianze Magiche: quali storia e quali leggende. Questi ultimi però non saranno motivo di esami, stai tranquillo, ma se in te c’è quella sana vena di curiosità, credo che non li troverai affatto noiosi.

Proprio in quel momento mi venne in mente una domanda da porre al’insegnante:

-Volevo chiederle un’ultima cosa prima di andarmene, professore...

-Dimmi, sono tutt’orecchi!

-Per caso studieremo mai storie di maghi e streghe provenienti dall’Italia?

-Umh, come mai questa domanda, risponderti non è semplice...

-Perché è da lì che vengo e non esistono scuole per maghi in tutto il Paese!

-Allora capisco... Vedi, il problema è che per rispondere alla tua domanda che ad una prima occhiata potrebbe sembrare banale, dovrei introdurti alcuni concetti che prenderemo seriamente solo dal Terzo Anno in poi, ma se per il momento te la farai bastare la risposta è no. No sia per i motivi che vedrai in futuro sia perché quei pochi maghi nati in quelle parti del Mediterraneo hanno avuto vita ben misera e meschina, non potendo coltivare al meglio le loro potenzialità o, tutt’al più, sono riusciti ad emigrare in paesi con concezioni ed ideologie un pochino più aperte, quanto basta per non finire carbonizzati su un rogo.

-Quindi la storia di quelle terre è permeata solo da anonimi nati babbani?

-In larga parte sì, ma non del tutto, basti pensare che la stragrande maggioranza degli incantesimi si pronuncino in latino, lingua dell’antico Impero Romano, per farti capire che in realtà molte delle grandi discendenze più importanti e famose delle Accademie britanniche e tedesche provengono proprio dall’Italia e dalla Turchia, altro misconosciuto polo noto solo agli esperti per la grande migrazione avvenuta durante i secoli di maghi e streghe.

Evidentemente dovevo mettermi l’animo in pace, non avrei mai scoperto perché tra tanti proprio io sviluppai doti magiche al mio undicesimo compleanno. Ma volevo almeno assicurarmi dell’esistenza di maghi con capacità rettilofone che nella storia non si siano macchiati di crimini contro l’umanità.

-Professore, mi scusi, questa sarà davvero l’ultima domanda...

Zzz!

L’insegnante si era appisolato nella stessa posizione con la quale fino a pochi secondi prima mi stava parlando, piegato di fianco e con la testa a penzoloni poggiata sulla spalla sinistra. Non credevo che i fantasmi fossero soggetti alla forza di gravità ma, dato che sembrava in equilibrio precario, cercai di sistemarlo in maniera tale da non rovesciarsi sul pavimento al minimo movimento involontario. Ovviamente però, non riuscii nell’impresa perché lo attraversai con la mano. Dopo aver provato quella gelida sensazione, decisi di prendere la mia roba e andarmene, facendo attenzione a non produrre alcun rumore nel chiudermi la porta alle spalle.

 

-Oh, sei uscito finalmente!

Era Matheus Dogan che assieme al suo compagno di Casa mi aveva accolto all’ingresso del Ponte di Pietra poco oltre la classe di Storia della Magia. Erano da soli, non c’era traccia di altri studenti, nemmeno di Serpeverde. Il vento lì tirava sempre molto forte anche se il cielo era sereno e non preannunciava burrasca, ma in quell’occasione, dopo tre infinite ore a serio rischio narcolessia, la gelida sferzata che arrivò al mio volto non fu affatto spiacevole.

-Io e Walter stavamo studiando come fare per arrivare al Cortile di Pietra da qui, entrambi concordiamo sul fatto che ci convenga scendere dai Sotterranei e risalire dall’ufficio di Piton, perché da quel che si vede da quassù, siamo completamente dal lato opposto. Tu conosci per caso una via migliore?

Assolutamente no, anzi, la via che avrei optato di seguire se fosse dipeso da me prevedeva il salire fino al terzo piano per poi scendere dalla rampa del Gargoyle suino fino al Cortile di Esercitazione, proseguire per il Dipartimento di Trasfigurazione, continuare per il Corridoio Tappezzato, arrivare all’Ala Posteriore del castello e da lì superare l’altro ponte in pietra che ci avrebbe portato al fatidico Cortile. Un sacco di strada inutile, insomma.

-Uhm, no. Credo che la vostra sia la via più breve.

-Allora andiamo, vieni?

In realtà volevo esplorare un po’ il castello nelle zone in cui non avevo ancora messo piede, soprattutto i piani superiori al terzo di cui non conoscevo neanche la forma, ma sembrava maleducato e poco amichevole rifiutare un invito del genere, perciò accettai.

-Volentieri.

Arrivati alla Torre delle Scale, vedendo i miei compagni Grifondoro scendere le rampe laterali, mi venne voglia di provare a imitare ciò che aveva fatto il professor Piton la sera prima. Mi accostai al corrimano che dava alla porta d’ingresso dei Sotterranei e attesi, dandogli un calcetto per incoraggiarlo a scorrere facendo muovere la rampa sottostante.

-Ma che diavolo?

Esattamente come avevo previsto le scale si mossero nella direzione desiderata, stupendo così i miei compagni che si tenevano stretti per evitare di cadere.

-Come hai fatto?

-Alle scale piace cambiare, l’ho scoperto ieri. Se attendi un po’ sul limite del cornicione capiscono dove vuoi dirigerti e ti ci accompagnano. Utile, no?

-Sì, sapevo che cambiassero posizione autonomamente ma non perfino quando la gente le attraversa, è pericoloso!

Pericoloso o meno c’eravamo evitati di farci ben due piani a discapito di sole tre rampe, di cui una più bassa delle altre, perciò se si aveva fretta poteva essere un ottimo modo per risparmiare tempo: avevo fatto bene ad accertarmi del loro funzionamento.

 

Arrivati al Cortile di Pietra capii subito perché l’intera scuola sembrava deserta: nel lasso di tempo che intercorreva tra la fine delle lezioni mattutine e la pausa pranzo, l’intero corpo studentesco si recava là per passare un po’ di tempo all’aria aperta e chiacchierare, giocare e prendersi gioco dei più piccoli. C’erano anche alcuni degli altri miei compagni di lezione, ma ancora non riuscii a vedere alcun Serpeverde di mia conoscenza.

-Eccoci qui finalmente! Walter, riprendiamo da dove avevamo lasciato ieri pomeriggio.

-Sì! Amico, conosci le regole del gioco delle Gobbiglie?

Solo dopo qualche secondo mi resi conto che Strider con quell’amico si stava riferendo a me.

-No, mai sentite...

-Davvero? E dove hai vissuto finora, al Polo Nord? Comunque guarda, è semplice da capire. Certo, vincere è tutt’altra cosa, ma almeno rischi di evitare figuracce quando la gente ti chiede se conosci roba così famosa come le Gobbiglie.

-E sentiamo, com’è che si gioca? Almeno colmo questa gravissima lacuna.

-Prendi queste, no? Sono Gobbiglie...

Erano delle semplici palline di vetro o di chissà quale altro materiale, non molto differenti dalle comuni biglie.

-Fin qui ci potevo arrivare da solo.

-Tu e il tuo avversario scegliete quale delle vostre Gobbiglie mettere in palio per il vincitore, ieri stavo battendo Matheus per 3 a 2.

-Ma lui ne ha di più.

-Perché lui è un imbroglione, ecco cos’è. Da dove sbucano tutte quelle Gobbiglie?

-Ma cosa dici, sono le stesse di ieri...

-Eravamo 3 a 2, significa che in gioco ne ho quattro e tu soltanto tre. Invece adesso ne hai quattro, sai contare?

-Non è vero, eravamo in perfetta parità, non inventarti storie...

-E allora contiamo le Gobbiglie catturate se è come dici tu dovrebbero essere in tutto sei, no?

Stavano facendo i bambini. E dato che la prima pausa all’aperto non volevo trascorrerla ascoltando due mocciosi che si azzuffavano per delle palline decisi di guardarmi intorno.

Il piazzale era perfettamente quadrato, anzi cubico, visto che le paratie in pietra chiudevano l’area formando dei passaggi sotto le grondaie utili per proteggersi dalle piogge invernali. Proprio su queste strutture erano presenti delle canalette di scolo, che terminavano sugli angoli con teste di quelli che sembravano draghi marini presi di petto dalle antiche mappe nautiche che si vedevano nei libri di storia. Molte finestre erano bloccate dall’edera che cresceva possente e rigogliosa nel muro che riceveva la luce del sole solo nelle prime ore del primo pomeriggio, mentre dal varco opposto a quello da cui eravamo passati noi, si poteva ammirare una magnifica vista del lago che circondava Hogwarts. L’acqua in lontananza sembrava brillare ai raggi del sole e le chiome degli alberi della foresta limitrofa accompagnavano il dinamico incresparsi delle onde. Se ci fosse stato silenzio forse sarei pure riuscito a sentirne il suono, ma in quel momento l’unica cosa che si riusciva a percepire era il rumore di decine di studenti che non vedevano l’ora di spanciarsi dal ridere alla minima battuta del proprio compagno.

-Vedi? Alla fine ero io ad aver ragione...

Dai toni più pacati era intuibile che avessero finito di litigare pronti finalmente a dare il via alla partitona del secolo: Walter era concentratissimo mentre si preparava a prender la mira e a dosare la forza del lancio.

-Lo scopo è quello... Di... Mandar la propria... Gobbiglia... Più vicina possibile al bordo... Di quel... Foro di scolo! Batti questa, Dogan!

La pallina era praticamente al limite tra il cadere dentro il buco e il rimanere in equilibrio sulla mattonella di pietra, se non avessi visto coi miei occhi che nessuno aveva usato bacchette, avrei pensato all’utilizzo di una qualche magia truffaldina.

-Bel colpo... Di fortuna!

-Si, come no... Ora Matheus ha due opzioni: o cercare di imitarmi, ma la vedo dura... O tentare di spingere la mia Gobbiglia giù per il foro non cadendoci a sua volta, altrimenti il punto va comunque a me, che vedo ancor più dura!

-Shh! Mi deconcentri!

Non ci fu nulla da fare, si vedeva che Walter era parecchie spanne sopra il suo avversario, che chissà per quante ore s’era allenato con quel gioco in casa propria...

-Adesso stiamo veramente 3 a 2 per me! E non negarlo!

-Chi nega nulla, volevo solo precisare il punteggio finale di ieri... Ho ancora tre chance per vincere!

Il gioco non sembrava poi così magico, fino a quando Matheus non si giocò il jolly:

-E questa vale proprio tre punti!

-Sai che se non ci riesci perdi a tavolino, vero?

-Lo so, per chi mi hai preso, ma è anche vero che se faccio centro sarò ad un punto dalla vittoria!

-Forza allora, provaci, voglio vedere che combini.

Matheus prese la sua Gobbiglia più opaca e verdognola e la sistemò all’interno di una delle fughe tra le mattonelle. Poi, toccò con la punta della sua bacchetta la sfera che iniziò a rotolare lentamente, molto lentamente, tanto da sembrare quasi ferma.

-Che deve fare?

-Una cosa difficilissima se non impossibile: deve riuscire a far roteare la sua Gobbiglia Paludosa per tutta la circonferenza del foro senza mai farla cadere. Si può ottenere l’ausilio della magia in questa manovra ma capirai che basta un colpo di vento o una piccola irregolarità sul terreno a far precipitare la Gobbiglia verso la disfatta, anche se l’incanto fosse stato eseguito a regola d’arte... Cosa che dubito sia il nostro caso!

E non si sbagliava: a nemmeno un quarto del giro di circonferenza, infatti, la Gobbiglia finì dritta dritta all’interno del foro di scolo, mostrandoci perché veniva chiamata Paludosa. Un’informe ammasso salmastro fuoriuscì dalla bocca della cavità, asciugandosi una volta raggiunta l’aria aperta e virando verso il verde acido di cui era colorata la biglia.

-Questo schifo indica la completa sconfitta del mio avversario, nonché lo spreco di ben due Falci per aver acquistato questa bambinata. Non ho mai visto nessuno giocarsi la Paludosa e vincere, anche gente ben più brava di noi due; era senza speranza... Beh, ora che il canale resterà intasato per qualche minuto, dovremmo cambiare attività.

Non ce ne sarebbe stato bisogno perché di lì a poco sarebbe arrivato il custode della scuola, il signor Gazza, a sbraitare agli studenti che il rancio era pronto.

 

-Perché corriamo sempre a destra e a manca non appena si avvicina l’orario delle lezioni? Siamo sempre i primi, ci prenderanno per secchioni, ve lo dico io...

E perché cavolo ci segui tutte le volte allora?

Come al solito Amanda non faceva che lamentarsi delle nostre -o meglio, delle mie- decisioni. Avevo infatti scelto di avviarmi qualche minuto prima del dovuto verso l’aula di Incantesimi per illustrare in privato al professor Vitious la mia mancanza di bacchetta, ma purtroppo venni seguito dai soliti quattro impiastri: Amanda, Kat, Miller e Dan.

Rimasi fermo davanti la porta dell’aula, non sapendo se bussare o aprire direttamente come avevamo fatto per le altre lezioni perché questa volta eravamo in anticipo di svariati minuti e potevamo risultare indelicati.

-Ah bene, tutta questa fretta per rimanere poi imbambolati davanti la porta?

Fui seriamente tentato di risponderle garbatamente di chiudere il becco e di aprire invece lei la porta, ma per fortuna quest’ultima si aprì da sola. O più precisamente, venne aperta da qualcuno dall’interno.

-Ohohoh, degli studenti così presto, entrate! Entrate! Fa sempre piacere vedere tanta grinta nei nuovi allievi... Cosa vedo qui, un gruppo ben assortito con tutte e quattro le Case e... Per i mille Galeoni di re Bagingi, quella più rappresentata è proprio Serpeverde con ben due studenti! Non me l’aspettavo, solitamente non vanno pazzi per questa materia. No, non me l’aspettavo proprio...

L’insegnante di Incantesimi non era altro che lo strano folletto che la sera di inaugurazione dirigeva il coro studentesco, nonché uno dei professori che erano stati convocati da Silente durante la crisi isterica del Cappello Parlante. Sembrava non avesse cambiato abiti, l’unica differenza era la giacca del completo che in quel momento non indossava perché era appoggiata sulla spalliera della sua poco consona poltrona. Inadeguata a dir poco, era sia troppo alta perché il professore potesse raggiungerla agiatamente sia troppo bassa perché riuscisse a vedere, una volta salito, l’intera classe senza venir offuscato dal bordo della cattedra. Era chiaro che non fosse adatta alle dimensioni di un folletto e, per aggirarne il problema, l’insegnante aveva sistemato pile di libri alla base per usarli come scalini e sul cuscino come rialzo.

-Prendete pure il posto che volete, ci faremo una bella chiacchierata per conoscerci meglio!

L’aula era impostata in maniera differente rispetto alle altre che avevamo visto in precedenza, a parte quella di pozioni ovviamente. La cattedra dell’insegnante, infatti, non si rivolgeva di fronte alla classe, ma era invece racchiusa tra due colonne di banchi a spalti soprelevati in cui gli studenti si sarebbero dovuti suddividere. Era una divisione strana, perché rendeva la spaziosa aula stranamente stretta e si lasciava inutilizzata l’intera zona a sinistra dell’ingresso. Dato che gli spalti erano solo tre ci siamo divisi in Case, con l’eccezione di Amanda e Kat che decisero di salire assieme sul piano più alto. Sotto me e Dan invece si era sistemato Miller, che dall’alto sembrava ancor più riccio di quanto non lo fosse in realtà. Questo mi fece riflettere su chissà cosa stavano pensando le due pettegole del mio capoccione.

Avrei dovuto scegliere io il posto più alto...

-Solitamente per gli studenti del primo anno il programma approvato dal Ministero dovrebbe concentrarsi sull’apprendimento degli incantesimi più rudimentali e semplici da eseguire per poter far sviluppare nei giovani maghi l’attitudine all’esecuzione magica. In concordato col Ministro della Magia, il preside è riuscito ad effettuare una piccola modifica, in seguito agli avvenimenti dell’anno scorso, così che le prime lezioni si concentrassero su altri incantesimi ben più utili in caso di necessità. Ne avevate già discusso con la professoressa McGranitt?

Istintivamente ci guardammo a vicenda alla ricerca di qualcuno che potesse rispondere affermativamente, ma nessuno di noi sapeva di cosa stesse parlando.

-Ah, beh... Avrà deciso di parlarvene la prossima settimana, che strano però...

Il professore tornò indietro alla sua scrivania per cercare qualcosa tra i cassetti.

-Strano perché adesso non saprete cosa farne di questi piccoli kit.

Estrasse dal mobile un sacchetto di carta contenente diversi fogli di carta stropicciati.

-Poco male, vuol dire che ci penserò io a spiegarvi a cosa servono: sono il prodotto finale di un’idea mia e del professor Silente, ne resterete sbalorditi, ve lo garantisco.

Il professore continuò a ripeterci quanto fosse importante per un mago conoscere il maggior numero di incantesimi possibile, di non fermarsi soltanto alle apparenze ed essere sicuri di aver padroneggiato perfettamente l’incanto prima di provare ad utilizzarlo fuori dalle ore di esercitazione; tutta roba interessante certo, ma in questo modo non mi diede modo di potergli parlare della mia delicata situazione. Capii che non ci sarei più riuscito quando arrivò l’ora dell’inizio della lezione.

-Ooh, ecco gli altri!

 

Dopo aver ripetuto anche al resto della classe per filo e per segno ciò che ci aveva precedentemente rivelato, passò a consegnare uno di quei famosi foglietti di carta sgualciti ad ognuno di noi.

-Secondo te a cosa servono?

-Non ne ho idea, lo scopriremo fra poco...

-Lo so, ma volevo un tuo parere.

A soffiarci il naso!

Questo, almeno, fu quello che avrei voluto rispondere alla sciocca domanda di Dan.

Il professore iniziò a disegnare sulla lavagna una mano che impugnava una bacchetta, impegnata in una posizione un po’ strana. Tutti quanti i presenti estrassero quindi le proprie bacchette dalle cartelle, io escluso, ovviamente.

Eccoci qua, al momento della verità.

-Bene, siamo quasi pronti. So che sarete molto agitati perché sarà il primo incantesimo che effettuate...

I volti divertiti degli studenti tradivano la realtà delle cose.

-Almeno per la maggior parte di voi sarà il primo... D’accordo, anche se tutti avete già avuto modo di provare qualche incantesimo è comunque sicuro che questa sarà la prima volta che proverete l’Edo Potestatis!

Sembrava fosse un po’ deluso dal fatto che non avrebbe insegnato il primo incantesimo a nessuno di noi; il professor Lupin gli aveva evidentemente rovinato i piani.

-E’ un incantesimo molto semplice da eseguire, se non il più semplice. Capirete il perché una volta che ve lo spiegherò. Intanto passo ad illustrarvi la corretta predisposizione di polso e dita della mano con la quale impugnate la bacchetta, poi passeremo ai movimenti da fare ed infine alla corretta pronuncia dell’incantesimo. Se anche solo uno di questi requisiti non verranno rispettati, l’incantesimo, anzi tutti gli incantesimi non andranno a buon fine. Nel migliore dei casi non succederà nulla, nella peggiore delle ipotesi le conseguenze potrebbero essere ben più gravi. Ma non è questo il caso... Su, osservate la lavagna!

La mano stilizzata era messa in una posizione stramba, ma riusciva comunque ad esporre in maniera chiara come dovessimo impugnare correttamente all’inizio la bacchetta. Girando la lavagna apparve dall’altro lato una serie di mani in diverse posizioni collegate fra loro da freccette numerate che indicavano l’ordine di esecuzione dei gesti. Infine, voltandola nuovamente, spuntò la posa finale da assumere e la corretta pronuncia dell’incanto scritta a caratteri cubitali, che mi fecero chiedere come mai il professore avesse perso tempo a disegnare la prima posizione se poteva risolvere il tutto con la magia impiegando meno tempo ed ottenendo miglior risultati grafici.

-Ed ora la dimostrazione per intero: Edo Potestatis!

Uno dei foglietti di carta avanzati dalla precedente distribuzione iniziò una serie di rotazioni sempre più rapide che lo trasformò in globo luminoso galleggiante a mezz’aria.

-Ecco, vedete? E’ meraviglioso, non credete anche voi?

Il risultato era senza dubbio notevole ed affascinante, ma il più stupito e divertito tra i presenti sembrava proprio il professore.

-Ora vi spiego l’uso di questo incantesimo. In realtà è un estratto di un antichissimo rituale che si praticava nell’ormai dimenticato regno di Munster nel sud dell’Irlanda. Per testare le abilità magiche degli iniziati, i sacerdoti del tempo escogitavano uno stratagemma simile a quello pensato da me e dal professor Silente quest’anno: se riuscivano nell’intento erano i ben accetti all’interno del mondo della magia, se andava male, gli veniva preclusa questa possibilità. Nel primo medioevo quest’usanza venne poi tramutata per scopi un po’ più pittoreschi dai maghi europei specie quelli anglosassoni che sfruttarono questo incanto -cambiandone totalmente il nome- per sistemi di sicurezza o di occultamento.

Tanto per cambiare non ci stavo capendo nulla, come faceva una pallina luminosa a difendere qualcosa?

-Dall’etimologia latina del nome si capisce che quello che faremo non sarà altro che estrapolare la carica magica che l’oggetto in sé già conserva. Questo per poter sfruttare incantesimi di svariata natura e complessità senza che l’utilizzatore li sappia gestire. Difatti il vero potenziale di questo incantesimo è nullo: se dietro non c’è un grande mago che crea l’oggetto magico da cui estrarre il potere, da solo non serve a granché. Mettiamo ad esempio che voglia nascondere l’ingresso del mio appartamento agli occhi dei babbani, come faccio? No, esempio sbagliato, non userei mai l’Edo Potestatis, ma un altro... Ecco, se il mio intento è quello di celarlo a tutti tranne che a me ed a pochi altri prescelti utilizzerò misure maggiormente restrittive, ma se voglio renderlo disponibile a qualunque mago ma nasconderlo comunque alla gente comune allora dovrò posizionare un indicatore che segnali la presenza di un luogo occultato, in maniera che un altro mago possa utilizzare l’Edo Potestatis su tale oggetto e rivelare così la presenza del luogo da me celato.

Non ero sicuro di aver ancora capito, ma almeno fino a lì riuscii a seguire il discorso.

-E’ chiaro che non sapendo cosa possa riservarci il futuro dobbiamo prendere tutte le precauzioni possibili, per questo abbiamo escogitato questo metodo che permetterà a qualunque studente, anche quello più giovane, di potersi cacciare fuori dai guai in caso di bisogno. Se mai vi servirà una luce per rischiarare il vostro cammino potrete trasformare il vostro foglietto in un piccolo globo luminoso, se vi servirà dell’acqua per spegnere un incendio potrete farlo, basta che trasformiate il vostro kit in un getto d’acqua ad alta pressione, e così via. Ovviamente ha dei limiti imposti proprio da me e dal preside, non volevamo che per prevenire un problema se ne causava un altro. Ma a parte questo, avrete la libertà più disparata.

Sembrava interessante in effetti come idea, bisognava vedere come funzionava però.

-Adesso passiamo all’atto pratico. Chi vuole iniziare?

Andrea Rower alzò il braccio, evidentemente si sentiva sicuro anche in questo frangente.

-Bene, bene, Rower, giusto?

Andrea non rispose verbalmente all’insegnante, si limitò a fare un cenno col capo e poi prese posizione per iniziare al meglio.

-Di quali limitazioni parlava prima, professore?

-Ohohoh, calma, cosa vorresti creare?

-Pensavo ad un’onda acustica, utile a disturbare i sensi degli animali ostili della Foresta Proibita.

C’è una foresta abitata da bestie pericolose da queste parti?

-Uhm, ottima idea, può essere davvero utile. Ritornando alla tua domanda, nulla di così importante in realtà, abbiamo soltanto evitato che gli studenti potessero incenerire parti del castello o far del male agli altri utilizzando incantesimi non proprio amichevoli. Su adesso, prova.

-Edo Potestatis!

Kiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiith!!!!!!

Di nuovo quell’insopportabile sibilo: lo stesso della sera in cui il Cappello Parlante si Allarmò. Mi coprii le orecchie con le mani per proteggermi dal suono, ma riaprendo gli occhi mi accorsi che ero il solo a soffrirne. Nessuno infatti sembrava risentirne o a quantomeno percepirlo.

-Crede che ha funzionato?

-Si, assolutamente: la carta si sta lentamente consumando. Come capirete...

Vitious si rivolse questa volta all’intera classe.

-...Sono dei kit monouso, terminato il loro effetto svaniranno, usateli quindi con parsimonia e solo in caso di estrema necessità.

Tornò ad armeggiare nella busta di carta.

-Tieni, questa è la tua cartina Fast-Cast personale, non sprecarla!

Una volta esauritosi anche l’ultimo granello di carta magica anche l’onda acustica cessò di fracassarmi i timpani: fu un vero sollievo.

-Ah, dimenticavo di dirvi che li abbiamo battezzati kit Fast-Cast proprio perché permettono di sfruttare facilmente anche incantesimi un po’ più impegnativi. Chi è il prossimo?

In molti alzarono la mano.

 

-Ritornando al discorso di prima...

Uff, ma basta...

Non eravamo ancora ritornati alla Sala Comune dalla cena che quella era già la terza allusione al mio problema di bacchette ritornato in auge a causa della lezione di Incantesimi. Fino a quel momento avevo risposto con un procrastinante:

-Ve l’ho già detto, in camera ne parleremo!

Ma i Sotterranei erano vicini e non mancava ormai molto al dormitorio. Avevo pensato per tutta la giornata a che scusa avrei inventato per giustificare la mia totale mancanza di bacchetta, ma alla fine ero convenuto sul fatto che conoscevo ancora troppo poco sul mondo della magia per poter ricamarci una storia quantomeno plausibile. Ero costretto a dire la verità o, almeno, una parte.

-L’importante è che non ce ne fai dimenticare come ieri sera, con la scusa dell’incontro col preside hai evitato tutte le nostre domande... A proposito, cosa voleva da te?

Fred mi stava col fiato sul collo, non mostrando un minimo di delicatezza. Era pieno di orecchie indiscrete di studenti più grandi che facevano finta di pensare alle proprie faccende ma che in realtà carpivano ogni nostra singola parola per poterla rendere, in futuro, di dominio pubblico.

Una volta in camera mi assicurai che Muthsera stesse bene e ancora in forma anfibia, poi presi il pezzetto di pollo che avevo messo da parte dal banchetto e lo infilai dentro la gabbia, per evitargli di andare a caccia almeno quella notte.

-Fai bene a preoccuparti del tuo iguana, io non so proprio da dove iniziare col mio rospo. Devo lavarlo? E cosa mangia?

Non mi ero accorto della presenza di Rupert alle mie spalle, ma per fortuna non avevo ancora fatto nulla di compromettente. Rinfilai Muthsera sotto il letto.

-Innanzitutto gli riempirei un po’ la vaschetta d’acqua, per il cibo credo che qualche insetto gli sarebbe gradito...

-E dove li prendo gli insetti? Il tuo coso lì, cos’è che mangia? Forse potrebbero andar bene anche al mio ranocchio.

-E’ onnivoro, mangia di tutto, gli ho appena dato un pezzo di pollo della cena, saprà accontentarsi.

Se non conosce la dieta di una rana, di sicuro non farà storie su un tritone carnivoro...

-Nah, non credo che vada bene, non ha nemmeno i denti per masticarla quella roba, dovrò dire a mio padre di inviarmi qualcosa.

Trovavo strano che gli avessero venduto un rospo senza neanche spiegargli di cosa necessitava, però poteva anche essere che lo avesse catturato in una palude, evitando così l’acquisto di un altro animale di cui non gliene sarebbe importato nulla.

-Sei comodo adesso? Ci siamo tutti, la tenda, per quanto possa valere, è chiusa e non hai più scuse per non spiegarci cosa ci fa ad Hogwarts uno studente senza bacchetta.

Nel giro di pochi secondi arrivarono anche tutti gli altri eccetto Liam, che non era ancora arrivato. Ma a Fred, a quanto sembrava, non importava.

-Sentite, questa faccenda da più problemi a me che a voi, quindi qui l’unico infastidito dovrei esser io, non il contrario. Comunque, dato che so che entro domani lo saprà già tutta la scuola, cercherò di essere il più chiaro possibile, così che nessun altro avrà la necessità di farmi altre domande sulla questione in futuro.

-Scusate, ero in bagno, mi sono perso qualcosa?

-No, Valeth, appena in tempo, sta per cominciare.

Sembrava più che stesse per iniziare la proiezione di un film piuttosto che la confessione di un compagno e questo non mi faceva certo sentire meglio. Decisi quindi di farla finita in fretta.

-Sì, è vero, non ho ancora una bacchetta. Ma ce l’avrò presto, ovviamente. Il signor Olivander sta provvedendo a crearmene una proprio in questo momento e mi ha promesso che me la consegnerà personalmente. Questo significa che o io andrò da lui o lui verrà da me qui ad Hogwarts, non so come funzionino i permessi.

-Frena un attimo. Tu vuoi farci credere che Olivander, il più grande fabbricante di bacchette della Gran Bretagna, tra le sue migliaia di scatole non ne aveva una che conteneva una bacchetta adatta a te?

-Esattamente. Non so come mai e nemmeno cosa stia costruendo, ma i fatti sono questi, un po’ deludenti se cercavate una grande storia.

Certo, eliminando il fatto che sfiorando anche le bacchette più resistenti queste vadano in frantumi, diventa tutto meno interessante...

-E’ plausibile.

-Cosa?

Il ragazzo dall’accento francese, René, venne in mio supporto.

-Quest’estate da Olivander ero il terzo della fila: i primi due clienti son stati serviti subito, con me, invece, ha perso parecchio tempo, poiché non conosceva la famiglia Pierrot. Conosceva mia madre comunque, ed infatti aveva preso due bacchette che venivano utilizzate dalla maggior parte dei miei parenti materni. Una volta scoperto che nessuna delle due andava bene, ha iniziato a propormi decine di bacchette, finché non ho trovato la mia: legno di carpino bianco e nucleo di Doxy.

René mostrò a tutti la sua bacchetta, ruotandola per potercela far ammirare da più angolazioni.

-Si si, bella bacchetta, complimenti. Ma almeno dopo qualche tentativo tu l’hai trovata.

-Ed è proprio per questo che Olivander si sta mettendo al lavoro: per evitare che si dica in giro che non è riuscito a soddisfare le necessità di uno studente. Entro ottobre avrà finito.

-Ottobre? Ma è tantissimo! Come farai a seguire senza bacchetta per un mese?

Prevedibilmente lo stupore tra i miei compagni fu generale.

-Un modo lo troverò, o lo troverà il preside... Spero. Proprio di questo abbiamo parlato ieri sera. Ora scusate ma vado a dormire, domani avremo Pozioni, non so se mi spiego.

-Piton, di nuovo?

-Si salame, ma nel tardo pomeriggio, comunque non ho voglia di stendermi già alle otto di sera.

Neanche io ovviamente: dovevo perfino lavarmi i denti e vedere come se la cavava Muthsera col pollo, ma avevo più voglia di far terminare quella discussione il più presto possibile che pensare al resto.

 

Ci alzammo di buon mattino, poiché la lezione di Erbologia iniziava ad un orario assurdamente troppo vicino all’alba, accompagnati dai continui starnuti dei troll che infestavano i Sotterranei.

-Un altro motivo per andare a letto presto il mercoledì sera, hai fatto bene, io invece sono distrutto.

Liam pensava questo perché credeva avessi dormito qualche ora più di lui, ma era l’esatto contrario. Nonostante mi fossi infilato sotto le coperte ben prima degli altri, non riuscii a chiudere gli occhi a comando e rimasi sveglio molto più a lungo dei miei coinquilini che se la ronfavano di gusto già dalle dieci di sera. Ero molto preoccupato di quel che gli impiccioni di Fred e Rupert avessero detto agli altri Serpeverde di sotto. Infatti, fino a quando la sera prima restarono vicini alla tromba delle scale riuscii a sentire di cosa stessero parlando ma, una volta allontanatisi verso la Sala Comune, persi ogni ricezione. Ma lo avrei scoperto molto prima di quanto mi sarei immaginato.

-Sento puzza di magonò!

Dal divano nella parte più laterale della Sala Comune si innalzò l’enorme figura di Buzz Alister, che puntava dritto in mia direzione con uno sguardo ben poco rassicurante.

-Qui ad Hogwarts non vengono accettati i marmocchi senza poteri magici, figuriamoci poi se finiscono pure in Serpeverde, la potremmo vedere come un’offesa personale. Voi che ne dite ragazzi, per voi questo moscerino è un mago?

Non era il solo, c’erano anche altri studenti negli altri divani, alcuni li conoscevo di vista, altri nemmeno quello. Tutti, comunque, concordarono nella mia colpevolezza di non possedere alcun potere magico.

-La giuria ha parlato, ma magari si sbaglia e tu in realtà sei un mago solamente un po’ sfigatello che non ha avuto modo di ricevere la sua bacchetta. Per quanto improbabile, potrebbe anche essere, perciò... Bole, la tua bacchetta!

Un ragazzo ossuto e dal mento pronunciato mi lanciò con noncuranza la sua bacchetta, che ovviamente finì in terra, dato il mio disappunto. Si alzarono le prime risate.

-Svegliati e raccoglila. Ti basta lanciare un qualsiasi incantesimo qui e ora per far terminare questa pagliacciata, altrimenti... Beh, vedrai.

Era un vero e proprio agguato, volevano talmente tanto darmi una lezione che tipi come Buzz e i suoi compari avevano preferito alzarsi all’alba piuttosto che lasciarmi in pace e godersi qualche ora di sonno in più. Non stavano scherzando, il che era un problema, visto che con la bacchetta di questo Bole in mano non potevo rischiare di utilizzare incantesimi senza fargliela esplodere davanti gli occhi. Non che non se lo meritasse in ogni modo.

-Lo sapevo, non sai nemmeno da dove iniziare, vero? Forse questo ti darà la giusta motivazione per farti venire in mente qualcosa!

Con un rapido gesto del polso scagliò una specie di vortice d’aria alle mie ginocchia e in men che non si dica mi ritrovai a vedere il mondo completamente rovesciato: ero stato appeso per le caviglie da una forza invisibile.

-Allora, stai comodo? Perché non reagisci?

Le risate degli altri si fecero più feroci, tant’è vero che anche gli studenti degli altri anni, incuriositi dalla baraonda, scesero a dare un’occhiata... Per poi unirsi anch’essi agli starnazzi.

Il sangue iniziava a darmi alla testa, ma non sapevo come uscirne, per quanto mi agitassi le mie braccia per via del peso non riuscivano a raggiungere le caviglie sospese e, anche se ci fossi riuscito, non avrei saputo come annullarne l’effetto.

-Passiamo alla fase due allora, un bel bagno a testa in giù nel gabinetto di Gazza! E’ ancora troppo presto, sarà a controllare le cucine o la Sala Grande, abbiamo qualche minuto.

La sopravveste del mio completo da Serpeverde iniziava a darmi qualche problema alla respirazione, dato che mi si era accartocciata sul volto per la forza di gravità. Ma era anche abbastanza lunga da coprire il braccio con cui tenevo la bacchetta di Bole, e questo mi diede la possibilità di tentare qualcosa, mentre loro non riuscivano a vedere.

-Adesso basta, Buzz!

Non riuscivo a vedere quasi nulla data la mia posizione ma dalla voce era chiaramente una ragazza.

-Vi siete divertiti abbastanza, lasciatelo in pace! Potrete pure appenderlo dalla Torre di Astronomia ma non conosce ancora nessun incantesimo, la paura non servirà.

-E’ mio dovere in quanto Prefetto assicurarmi che tutti gli studenti siano consoni ai luoghi che frequentano. Ed il Caposcuola acconsente.

-Tutto vero.

Non sapevo chi stesse parlando, ma era chiaro fosse il vero Caposcuola, perché la ragazza non sapeva più cosa rispondere.

-Non... Non... Non è questo il compito di un Caposcuola, né tantomeno di un Prefetto del Sesto Anno. Ha detto che ad ottobre avrà la sua bacchetta, e allora? Credi forse facciano entrare un magonò per errore?

A quanto sembrava proprio tutti conoscevano la mia situazione, anche gli studenti dell’altro sesso.

Cosa diavolo hanno combinato quei due ieri sera?

-Non c’ha nemmeno provato a difendersi, è questo che mi da rabbia.

-Forse è più intelligente di quanto non pensi... Sai cos’è questo?

-Una Fast-Cast! Le davano soltanto a chi si era iscritto al programma di collaudo l’anno scorso... Come fai ad avercela tu?

Tonf!

Buzz rilasciò la fattura e con essa anche ciò che mi legava a testa in giù, facendomi sbattere con la testa sul pavimento.

-Il professor Vitious ieri ne ha data una a ciascun allievo del primo anno, se avesse voluto utilizzarla a quest’ora saresti anche tu sospeso a mezz’aria, dato che non richiedono particolari abilità nell’utilizzo.

Cercai di risollevarmi in fretta, ma la testa iniziò a girarmi pesantemente una volta rettomi sui miei piedi. Buzz si avvicinò e frugò nelle mie tasche. Trovò un fazzoletto, fortunatamente pulito, e la fatidica Fast-Cast.

-Bah, riprenditi la bacchetta Bode, sia mai che i Serpeverde a non averne diventino due.

Dopo l’ennesimo strattone da parte del possessore della bacchetta, finalmente tutti mi lasciarono in pace e potei vedere il volto di chi mi aveva, in qualche modo, salvato.

-Aspetta un...

Elizabeth Gaunt, colei che riuscì a tirarmi fuori da quella situazione, se ne stava andando dalla Sala Comune per dirigersi nelle Serre di Erbologia, vista l’ora che si era fatta. Volevo ringraziarla, ma lei non cedeva di un passo ed io dovevo ancora riabituare le gambe alla deambulazione.

-Elizabeth, grazie. Non so perché mi hai aiutato, anche perché mi sembrava che ti stessi antipatico, ma grazie, davvero.

-Stupido, credi che giudichi le persone solo perché entrano per errore nel bagno sbagliato? Non nutro antipatie per te, né tantomeno il contrario. Volevo soltanto evitarti una punizione ingiusta: ho visto come seguivi i movimenti dell’insegnate ieri. Dopo aver sentito che non possedevi alcuna bacchetta ti ho tenuto d’occhio e l’attenzione che dimostravi era tipica di chi sa cosa deve fare. Conosci qualche incantesimo e lo sai già lanciare senza difficoltà, vero? Anzi, scommetto che ne conosci più di qualche.

-Ecco, veramente io...

-Non aggiungere altro, anche io ne conosco un po’. Quando avrai la tua bacchetta vedremo se ho ragione oppure torto, nel frattempo... Smettila di chiamarmi Elizabeth, nessuno mi chiama così, il mio nome è Liz.

 

L’odore acre del fertilizzante non aiutava certo a rimandar giù gli organi che volevano salire verso l’esofago, ma in mezzo a tutti quei fetori ogni tanto si riusciva a percepire un aroma stranamente gradevole, anche troppo. La serra che stavamo visitando era la prima dall’ingresso che dava al Piazzale Posteriore, proprio quella al lato del magazzino con gli strumenti per l’agricoltura. Sembrava fosse una serra atta a piantagioni temporanee, perché a differenza di quelle che si notavano dall’altra parte, questa non aveva ampi reparti adibiti ad un tipico ecosistema, ma semplici vasi di fiori e strane radici rampicanti che necessitavano di tanto in tanto di una leggera spruzzata d’acqua dagli annaffiatoi galleggianti.

-Scommetto che vi state chiedendo da dove proviene quest’odore vero?

La professoressa Sprite, l’insegnante di Erbologia, era una corpulenta donna di mezza età, vestita di quel che sembrava feltro che procurava un fastidioso sentore di irritazione cutanea alla sola vista. Notando che la maggior parte degli studenti si era voltata in direzione del grosso fungo marrone che emanava un tanfo terribile, si sbrigò a rettificare la domanda:

-Intendevo il buon odore che sentite nell’aria, lasciate perdere quella: è una Russula Squamata, ne parleremo nelle prossime lezioni.

Domanda ormai ridondante, visto che la professoressa si era recata nell’angolo della serra in cui era appoggiata una bellissima rosa in un vaso d’argento.

-Esatto, questa è la Rosa Profumata, anche detta...?

Forse attendeva la risposta di qualche studente, ma nessuno seppe cosa rispondere.

-...Rosa dell’Amore. Infatti, dai suoi petali, è possibile ricavare un ingrediente per...?

Altra domanda ed altro imbarazzante silenzio.

-Bah, lasciamo perdere. Non è di questo che volevo parlarvi quest’oggi, venite con me.

-Alla fine a che serviva quella rosa?

-Boh?

Arrivati alla Serra n. 3 -così recitava il cartello posto sopra l’unico ingresso- l’insegnante si tolse l’urticante cappello a punta ed indossò una cuffia per capelli.

-Fatelo anche voi, fra poco aprirò l’acqua.

Ai nostri fianchi erano presenti dei sacchetti contenenti delle cuffie e dei guanti di un materiale liscio ma allo stesso tempo caldo, a differenza della fredda plastica. Davanti, invece, avevamo una serie di aste di legno in cui erano avvolti viticci di piante, poste in fila su un unico grande tavolo in cotto.

-Se siete tutti pronti, aziono gli sprinkler... Bene, state a guardare.

Terminata la frase, della sottile pioggia iniziò a caderci addosso da tutte le parti. Degli ugelli posti nel punto più alto della cupola rilasciavano acqua ad intervalli regolari, in modo che il getto fosse simile a quello naturale della pioggia, piuttosto che ad una continua cascata.

-Puah, sono fradicio!

Sullivan Bones si trovava proprio sotto l’incrocio di ben due flussi, che lo avevano sommerso in pochissimo tempo. Dalle asticelle di legno però iniziarono a sbocciare degli strani fiori cadenti: strani, ma belli.

-Quelli che vedete, sono Digitali Silvani! Notate la forma a campana? E’ la loro particolarità, renderà impossibile sbagliarvi! Se vedete delle campane, sono dei digitali!

Per coprire lo scrosciare dell’acqua, la professoressa dovette urlare a squarciagola.

-Credo basti così, chiudo adesso!

Terminata la pioggia artificiale, la serra piombò in un grosso silenzio.

-Fiuu, molto meglio.

La Sprite si tolse la cuffia e diede una scrollata con le mani alla sua veste che, immediatamente, tornò asciutta. Ecco il perché di quel tessuto tanto sgradevole.

-Come dicevo, è la tipica forma dei digitali, ma dato che non esistono soltanto quelli Silvani... Oggi dovrete imparare a riconoscerli! Mentre sono aperti è facile, cosa vedete?

-Che sono grigi!

-Argentati è più corretto, poi?

-E che ogni fiore ha circa sei campane!

-Esatto, non c’è altro che ci interessi. Queste due caratteristiche bastano e avanzano! Nessun’altra pianta della loro stessa famiglia condivide sia il colore che il numero di petali, perciò se un digitale corrisponde a questa descrizione che voi avete dato, sarete sicuri che si tratterà di un Digitale Silvano.

-E... Quindi?

Miller non riusciva proprio a trattenersi dalle domande sciocche.

-Ci stavo arrivando, McBumble! A noi interessa studiare queste piante perché sono le uniche che possiedono un’importante proprietà. Nella lezione di oggi impareremo a riconoscerle e a studiarle in ogni loro particolare, mentre nella prossima imparerete un incantesimo utile a farli sbocciare in fretta in caso di necessità, l’Aguamenti. Così poi potremmo tornare al nostro programma.

I fiori intanto, mano a mano che il tempo scorreva, ritornavano a chiudersi, come se l’unica cosa che gli importasse fosse il ricevere vagonate d’acqua.

-Quest’estate mi è stato chiesto dal Professor Silente di piantare, per tutta la superficie della scuola, diversi semi di Digitale Silvano. Non è stato certo un compito facile, l’area da coprire era vasta e il periodo sbagliato, dato che crescono solo in primavera, ma ce l’ho fatta. Dopo la lezione come compito avrete quello di censire tutti i Silvani che riuscite a trovare, ovviamente, più ne troverete più alta sarà la valutazione, quindi prestate attenzione ai miei consigli su come riconoscerli anche da chiusi, perché è così che li troverete là fuori.

Sembrava il primo compito interessante della settimana e finalmente avrei potuto esplorare un po’ i dintorni del castello. Insomma, una gita autorizzata.

-Come ben saprete quest’anno il Ministero ha autorizzato ai Dissennatori di vegliare sulla scuola. Vegliare è una parola grossa, perché ciò che in realtà fanno è scandagliare alla ricerca della loro vittima, l’evaso Sirius Black. E dato che i Dissennatori non fanno alcuna distinzione tra  il loro obiettivo e degli ignari studenti di passaggio, le precauzioni che dobbiamo prendere sono massime. Il mio modo per aiutare, essendo una semplice insegnante di Erbologia, è insegnarvi un trucco per scappare da queste orribili creature in caso di pericolo. Vi ho fatto entrare all’interno della serra prima di azionare gli sprinkler, facendovi bagnare tutti, proprio perché il potere di questi fiori si attiva così. Infatti, se idratati con acqua pulita, i Digitali Silvani tendono ad aprirsi ma essa, da sola, non basta. Infatti necessitano la presenza di un mago o di una strega nei paraggi in cui sbocciano, questo per prenderne, per così dire, le sembianze. Ovviamente non fisiche, ma credetemi, per un Dissennatore da quel momento in poi non ci sarà alcuna differenza tra voi e la pianta. Anzi, la pianta, per via della sua freschezza, li attirerà ancor più del vostro stesso corpo, dandovi perciò la possibilità di darvela a gambe.

Sembrava incredibile, ma se lo diceva l’insegnate doveva essere vero: un fiore che incanalava in qualche modo l’essenza del mago che lo aiutava a sbocciare.

-Badate bene che ogni mago può far fiorire un solo digitale alla volta, quindi non perdete tempo nel cercare di schiudere gli altri perché non ci riuscirete. Almeno fino a quando il primo digitale non morirà, cosa che in presenza di Dissennatori avverrà sicuramente. Scegliete quindi con cautela il Digitale Silvano che farà da esca, se ne avrete più di uno nelle vicinanze, in modo da esser certi di potervi creare una via di fuga sicura. Tornate alla Serra n. 1 per prendere la vostra attrezzatura... Servono i libri, adesso.

-Professoressa?

-Sì, Bones?

-I vestiti, siamo zuppi fino al midollo!

-Ah già, per quello recatevi all’esterno della Serra n. 4, c’è un condotto d’aria che vi aiuterà ad asciugarvi in fretta, basta che posiate le vostre giacche al sole, tanto al momento non vi servono, non fa tutto questo freddo.

La professoressa aveva ragione, fuori c’era un fresco venticello che avrebbe asciugato la nostra roba in breve tempo... Ma non si riferiva ad esso. Sulla parte posteriore della serra, infatti, era presente una larga balconata con piantate strane palme rossicce che danzavano al vento. La sorgente del getto d’aria era uno sfiatatoio posto sotto lo spiovente della cupoletta della serra, la cui angolazione poteva essere regolata da una manovella posta alla nostra altezza. Agendo su di essa, potevamo far sì che il vento colpisse noi e non le fronde di quegli arbusti. Stendemmo i nostri soprabiti sul sostegno in metallo che teneva chiusa un’ala del complesso di Erbologia e ci piazzammo esattamente sotto alla griglia di ventilazione.

Era molto strano trovarci tutti raggruppati in così poco spazio, le nostre camicie bianche, identiche in tutto e per tutto, sembravano farci appartenere ad un'unica Casa ed alcune ragazze, come se si fossero spogliate del tutto, si coprivano con le braccia per evitare di esporre troppo.

-Non così, va tutto in faccia a noi!

I ragazzi più indietro, giustamente, si lamentarono dei troppi schizzi che gli arrivavano addosso dalle file anteriori, perciò si decise di dividerci in due gruppi. Mentre attendevo il turno del mio gruppo, un’ombra sorvolò le nostre teste: un Dissennatore stava vagando sopra i cieli del castello.

-Secondo voi, avremmo mai davvero bisogno di doverci difendere da quei cosi?

Eh, bella domanda...

-Non lo so, ma se gli insegnanti sono così preoccupati per la nostra sicurezza, un motivo ci sarà.

Il getto d’aria era così potente che ad asciugare pantalone e camicia ci impiegammo neanche una ventina di secondi... Trenta, nel caso di Sullivan. Intanto, da dietro la parete della serra, la professoressa Sprite ci richiamò all’ordine.

-Ricreazione terminata, ragazzi! Su, rientrate, abbiamo ancora tante cose da dire sul Digitale Silvano!

 

-Il compito sarà pure divertente, ma come faremo ad indicare nella nostra relazione l’esatta posizione dei boccioli di Digitale Silvano?

-Ma la Sprite non ha mai parlato di relazioni!

Terminata la lezione di Erbologia ci eravamo dati appuntamento sulle scale dell’ingresso principale della scuola. Dovevamo decidere come affrontare al meglio l’incarico dell’insegnante, dato che era una cosa nuova per tutti. Eravamo un po’ assonnati per via dell’alzataccia, ma avendo a disposizione più di due ore dalla pausa pranzo non volevamo sprecarle oziando, altrimenti dopo la lezione di Pozioni saremmo stati ancora più oberati di lavoro. Inoltre lo svolgimento del compito sarebbe avvenuto all’aperto, che era  ideale per toglierci il fastidioso assopimento da dosso.

-Cosa credi intendesse con “censimento dei Digitali Silvani all’interno dell’area scolastica”?

-Non so, forse di segnare la loro posizione su una mappa?

-Bella questa, una mappa di Hogwarts... E dove la prendiamo?

-Esisterà pure, no?

Il nostro rendez-vous si era appena trasformato nell’ennesimo battibecco su dove dovessimo andare, sul come approcciarci al compito e a chi dare retta. Ci conoscevamo da soli quattro giorni ma già era chiaro che così non poteva andare, i gruppi di studio dovevano contenere al massimo tre o quattro studenti. Decisi di farmi finalmente avanti.

-Credo Walter abbia ragione, una relazione non è richiesta, credo che lo scopo della prova sia quello di esercitarci al riconoscimento di una determinata pianta, perciò alla professoressa una foto andrà più che bene.

Oh cavolo! Non devo nominare tecnologia babbana!

-Foto? Non sappiamo dove trovare una mappa della scuola e dovremmo avere una macchina fotografica con noi?

In realtà non mi aspettavo che i maghi fossero a conoscenza dell’esistenza della fotografia, ma  riflettendoci le foto animate presenti nei giornali in qualche modo dovevano pur venir catturate.

-Dividiamoci, tanto è inutile star qui a perder tempo discutendo: un gruppo inizia a cercare le piante, un altro alla ricerca della mappa e un altro ancora di una macchina fotografica o qualsiasi cosa potesse servirci.

Sembrava che Brendan mi avesse letto nel pensiero, era esattamente quello che stavo per suggerire io.

-Voi Serpeverde vi credete molto furbi, vero? Mentre noi completiamo la ricerca voi passerete qualche ora nel più totale relax alla finta ricerca di un qualcosa che non esiste per poi, sconsolati, tornare da noi e pretendere che condividiamo i nostri progressi con voi, fingendo di aver provato a fare la vostra parte... Beh, sognatevelo!

Perché Amanda nutrisse tutto questo astio verso chiunque non le andasse a genio rimane un mistero, ma così facendo aveva offeso anche Liz che, sentendosi tirata in ballo, le rispose a tono.

-Se ti senti tanto brava perché cerchi il nostro aiuto? Prendi la tua roba e completa l’esercitazione da sola, noi ci siamo dati appuntamento qui per trovare una soluzione che non prevedesse perdere la giornata alla ricerca di quei quattro fiorellini, non per discutere con una presuntuosa come te!

-Sapete che vi dico? Me ne vado eccome! Mi fate perdere solo tempo, andiamo Grifondoro!

Ovviamente nessuno dei Grifondoro le diede corda alzandosi in piedi, soltanto Kathleen fece per seguire la sua amica per non lasciarla sola, quando Frederick sorprese tutti con la sua diplomazia:

-Calma ragazze. Non conviene a nessuno che si creino dei gruppi se poi questi alla fine non cooperano. A me sembra che ci sia ancora poca fiducia tra di noi e lo capisco. Perciò direi di dividerci in gruppi misti, cioè con membri di tutte le Case, in modo che si è sempre sotto controllo dagli altri e nessuno possa battere la fiacca. Io, per dare il buon esempio, andrò con la Queen e la Fadden, così rimarrà soltanto un Tassorosso da scegliere e il nostro gruppo sarà completo.

-No, Fred... Ed io? Dovevamo farla assieme...

Rupert si era sentito quasi tradito da quest’improvviso abbandono.

-La decisione spetta a lei, a me non chiedere nulla.

-D’accordo, ci sto. Meno Serpeverde vedo negli altri gruppi più tranquilla mi sento, ma badate bene voi due, se vedo che non muovete un dito per darci una mano, vi escluderò dal progetto.

-Parola mia e di Runcorn, non accadrà.

-Bene, Eveline, dei Tassorosso scelgo te.

Amanda sembrava un capitano che sceglieva i giocatori della sua squadra, dava sui nervi, meno tempo stavo in sua presenza e meglio mi sentivo. Ma era lo strano comportamento di Fred che mi lasciò realmente perplesso. Dan, intuendo ciò che mi passava per la testa, mi spiegò come stavano le cose:

-Intende ingraziarsi Amanda perché pensa che potrebbe essere una buona fonte di compiti da copiare, se un giorno gli servisse un suo aiuto.

Adesso era tutto più chiaro.

-Ok, chi va da Gazza e chi da Madame Pince?

La domanda-direttiva di Liz lasciò tutti un po’ spiazzati, tranne le sorelle Carrow che si erano completamente disinteressate della faccenda.

-E perché mai dovremmo andare da loro?

-Usate la testa, no? Dove vorrete trovarle una mappa ed una macchina fotografica all’interno del castello?

-Ah, ho capito: il custode potrebbe cercare nel magazzino per una macchina fotografica, mentre la Biblioteca avrà sicuramente un volume che tratta dell’architettura della scuola con all’interno una piantina.

-Esatto. E perché no, direttamente una mappa da poter copiare su pergamena.

La ragazza ragionava veramente in fretta, era la seconda volta che mi stupiva quel giorno.

-Per fare queste cose non servono certo molte persone, ma visto che siamo costretti a seguire questa stupida regola dei gruppi eterogenei, sono costretta a fare queste divisioni, non accetto lamentele. Da nessuno.

Anche lei è un’ Amanda coi capelli biondi, in pratica... Spero solo di non finire di nuovo con Miller.

C’era da ammettere che non mi era andata affatto male; visto che avevo fatto pressioni per poter finire nel secondo gruppo che setacciava la scuola in cerca di germogli, ebbi come compagni le due coppie di gemelli del nostro corso: le silenziose sorelle Carrow e gli assolutamente non silenziosi fratelli O’Connell, che avevano provato di tutto per convincere Liz a non combinarli assieme, inutilmente.

Era chiaro sin dall’inizio che non fossero molto uniti come famiglia, del resto Alexis era finito in Corvonero mentre sua sorella in Tassorosso, ma non mi sarei mai immaginato che non avessero fatto altro che litigare per tutto il tempo, rendendosi meno utili di McBumble stesso.

Per fortuna le Carrow, sorprendentemente, nel loro pacato modo di fare, riuscirono a scovare molti più virgulti di digitale di quanto mi aspettassi, superando forse il numero di quelli che riuscii a trovare io.

La nostra ricerca si sarebbe basata sul lato orientale del castello, il che purtroppo comprendeva il Ponte di Pietra ed il Cortile omonimo che avevo già visitato, ma così potevo controllare anche la balconata che dava alla rimessa delle barche ed il passaggio montano che collegava il retro del Cortile di Pietra stesso  che per me erano zone nuove. La posizione delle piante, notai, seguiva un ordine ben preciso: dovevano coprire tutti gli angoli delle aree e doveva essercene una ogni tre o quattro piedi lungo le mura. Le uniche che sembravano un po’ lasciate al caso erano quelle che si trovavano in terra tra i mattoni di pietra negli spazi più ampi, dove le pareti erano più lontane. Ed era infatti con quelle che perdemmo la maggior parte del tempo.

-Ah, abbiamo capito cosa state facendo: cercate i fiori che la professoressa grassoccia ha piantato qui qualche giorno fa, vero?

Soltanto i Gargoyle che troneggiavano ai lati del Ponte di Pietra potevano permettersi di dare della grassoccia ad un insegnate della scuola.

-Sì, avete visto per caso se nei dintorni ne ha sistemata qualcuna?

-Scherzi? Certo che sì, ha ricoperto la scuola con quei cosi, diamine voleva perfino inserirmi un seme nella bocca, ma io l’ho sputato subito, sai?

-Già, ma ha attecchito lo stesso sotto i suoi piedi, vedi? E’ là...

-Oh, vero... Grazie, non l’avevo notato.

Ne registrai immediatamente la posizione sul mio foglio per gli appunti abbozzando il disegno di un cinghiale seduto con una freccia di sotto che stava ad indicare il luogo in cui si trovava la pianta. Una volta tornati gli altri, avrei sostituito i disegni e le piantine amatoriali con un vero e proprio reportage fotografico, sperando che alla Sprite la cosa facesse piacere.

Ma quel che era certo era che il compito stava piacendo a me, poiché finalmente potevo ammirare cose semplici ma altrettanto straordinarie come l’altalenare delle barche ormeggiate al molo, i piccioni che nidificavano tra le fessure delle tegole dei passatoi del Cortile Principale e le prime foglie autunnali che vorticavano nel pavimento dell’ingresso.

-Finalmente vi abbiamo trovato!

Erano Dan, Liz ed il resto del gruppo che tornavano dai loro incarichi, che purtroppo non si conclusero entrambi positivamente. Liz, intimando al custode di rivolgersi al professor Piton se non avesse ascoltato le nostre richieste, era riuscita a farsi dare in prestito una scassata macchina fotografica d’epoca; mentre Brendan e Sullivan,  gli unici membri del gruppo che si diresse alla Biblioteca, non riuscirono a farsi consegnare una mappa della scuola da Madame Pince. Questa, infatti aveva gentilmente spiegato che l’unica pianta esistente era in possesso del preside e che là sarebbe rimasta perché conteneva l’esatta ubicazione di tutti i passaggi segreti della scuola.

-Aspettate? La scuola nasconde vie segrete agli studenti?

-Beh, si... Che c’è, non lo sapevi?

-No che non lo sapevo, nemmeno voi dovreste, altrimenti che segreto sarebbe?

-Ah, ma il segreto non sta nel sapere che esistono passaggi segreti, ma nello scoprirli... Non tutti ci riescono.

-E chi ne trova uno se lo tiene ben stretto, altrimenti addio segreto!

Tutto quel parlare di vie occulte mi aveva acceso ogni neurone del cervello; adesso avevo un altro motivo per esplorare il castello come se si trattasse di un parco dei divertimenti: perché lo era!

-Beh, non è comunque andata male, abbiamo la macchina fotografica, no? Dai su, iniziamo a far le foto...

Neanche uno di noi però mosse un dito.

-Che aspettiamo? Gideon, hai tu la macchina in mano, usala!

-Non so come funzioni...

Un imbarazzante silenzio piombò improvvisamente.

-Chi sa usarla?

Ovviamente, nessuno.

 

 

-Le relazioni sulle cormele dove le possiamo appoggiare?

-Sulla cattedra, non credete?

Il professor Piton sembrava cercare qualcosa all’interno del mobiletto dei libri usati non degnandoci la minima attenzione, favorendo la maratona di Fred e Rupert che fino a pochi secondi prima si trovavano ancora in Biblioteca per completare una delle due relazioni che dovevano esser pronte per quel giorno.

Terminata la ricerca tornò alla sua postazione notando la pila di relazioni consegnate dagli studenti. Con tono vagamente meravigliato chiese:

-E’ tutto?

Nessuno rispose quindi significava di si.

-Dovrebbero esserci due relazioni per ognuno di voi sopra la mia cattedra ma, ad occhio, sembrerebbe che ne manchi qualcuna, non credete?

Avevo controllato personalmente chi avesse consegnato entrambe le relazioni e chi no e soltanto una manciata di ragazzi non erano riusciti a completarle tutte, di cui la maggior parte erano Serpeverde.

-Ma le pergamene sulle varie dimensioni dei calderoni per lo meno ci sono tutte, trenta punti in meno a Grifondoro, quindici a Corvonero e altrettanti a Tassorosso. Bowen e Runcorn vi siete meritati una settimana di punizione e Valeth e Carrow voglio la vostra seconda relazione entro domani o aiuterete i vostri colleghi a pulire i Sotterranei ogni sera, a partire dalle sette fino a che non ci sarà più nemmeno una ragnatela.

Era evidente che fu solo una mia impressione credere che all’inizio della lezione il professore fosse distratto, perché invece aveva preso atto di chi avesse rispettato la consegna e chi no, senza nemmeno ricontare i fogli di pergamena poggiati sul suo banco.

-Ma non è giusto, tutti questi punti... E Serpeverde neanche uno!

Non avevano tutti i torti, ma prima che le lamentele potessero giungere alle orecchie dell’insegnate, questi avvisò:

-Tuttavia... Anche chi ha consegnato il proprio lavoro non deve considerarsi salvo da eventuali sanzioni, tutto dipenderà da cosa avrà scritto sull’argomento e soprattutto come. Non tollererò alcun tipo di errore grammaticale da studenti della vostra età, che siano o meno stranieri non farà alcuna eccezione.

A non essere di madrelingua inglese eravamo in due in quella classe, ma ero abbastanza sicuro che si stava riferendo unicamente a me.

-Tornando alla lezione di oggi, ho preso questo vecchio volume per dimostrare come un vero praticante delle pozioni dovrebbe comportarsi quando si trova dinanzi ad un calderone sul fuoco.

Il libro in questione era una consunta vecchia edizione di quello che avevano gli studenti, ma era pieno di scritte sparse, scarabocchi senza senso e cancellature, sintomo di correzioni ripetute.

-Non deve seguire ciecamente le istruzioni dei libri, né tantomeno sottovalutare i rischi che tale scelta comporta, ma sperimentare comprendendo quando è giusto e quando meno utilizzare processi o ingredienti differenti. Per raggiungere questo livello bisognerà conoscere alla perfezione tutti i componenti dell’ambiente di lavoro, le proprietà dei materiali e degli ingredienti, ma soprattutto entrare in sintonia con la perfezione che il creare pozioni richiede: ogni scelta presa, ogni movimento svolto dovrà rispecchiare l’intento finale. Perciò bisognerà partire dalle basi... Che cominciano adesso, aprite i vostri libri all’appendice sui materiali maggiormente adoperati e preparatevi a prendere appunti, poiché il libro pecca di troppa superficialità.

 

-Puah! Ancora questo pollo?

-Non è pollo, è manzo!

-Fa’ lo stesso, è cotto e non mi piace.

Ogni giorno che passava a Muthsera nasceva un capriccio.

-Posso uscire e pensarci io al cibo?

-Sei pazzo? A quest’ora ti vedranno tutti...

-No, passo da quest’inferriata, ti prego non ne posso più di stare chiuso qui dentro, quel grasso rospo mi tenta, prima o poi non resisterò più.

-Cerca di resistere invece, che la forma di un intero rospo all’interno del tuo stomaco non è tanto difficile da riconoscere... Dai, esci, ma se senti che in camera c’è qualcuno e quel qualcuno non sono io, resta fuori, non rientrare fin quando non saranno tutti a letto, e per carità non far vibrare quella lingua quando metti piede qui dentro come stai facendo adesso!

-E tu come credi che faccia a distinguere gli odori? Sono obbligato a farlo!

-E fallo più silenziosamente, Shht... Arriva qualcuno.

Falso allarme, era una coppia di Serpeverde diretti alle stanze superiori.

-Ok, adesso va’ e non mangiare troppo o la tua trasformazione in tritone verrà un po’... sproporzionata. Ma dove sei?

Muthsera era sparito: avevo decisamente sottovalutato sia le sue abilità furtive che soprattutto la sua fame. Decisi di scender di sotto, anche se rischiavo seriamente di rifinire a testa in giù non mi andava di passare il resto della serata da solo come le altre. Per precauzione però presi il libro di pozioni, in modo che se avessi incontrato qualche testa calda, avrei potuto far finta di studiare cercando di non attirare la sua attenzione.

La Sala Comune era gremita e nonostante le sue notevoli dimensioni, tutta quella folla mi fece lo stesso sentire claustrofobico. L’unico posto a sedere disponibile era la sedia in pelle nera all’angolo opposto all’ingresso che, a causa del mobilio che gli occupava la visuale, veniva scartato da chiunque. A me comunque andava più che bene, dato che il mio interesse era solo quello di familiarizzare con l’ambiente. Con un occhio sulle pagine del libro e con l’altro su chi mi stava accanto, monitorai la situazione per captare più discussioni possibili per vedere in quale avrei potuto avere una chance d’inserimento. Purtroppo però non ebbi molta fortuna, poiché tutto ciò che riuscii a distinguere furono maldicenze su studenti a me sconosciuti, maldicenze sugli insegnanti e maldicenze sui genitori di un compagno Serpeverde un po’ squattrinato: nulla che potesse minimamente interessarmi. Alla vista di Fred e Rupert di ritorno dalla loro punizione, mi coprii interamente il volto col tomo di Pozioni per evitare d’esser individuato ed evitare così ogni possibile conseguenza. Nonostante quel libro doveva servirmi solo da schermo, finii per leggerlo per davvero e rimasi sorpreso dalla quantità di materiale che l’insegnante ci aveva fatto modificare col dettato dei suoi appunti: praticamente era diventato un altro testo. Peso degli ingredienti, nomi degli attrezzi, termini gergali, dati tecnici e unità di misura: erano soltanto alcune delle centinaia di contenuti che dovetti correggere a margine quel pomeriggio; un pasticcio improponibile.

Perché non scrive direttamente lui il libro che dovremmo utilizzare? Non ci si capisce niente così...

Leggendo della pozione per la Scabbia Leonina, mi venne in mente Muthsera e al destino di quei poveri ratti, vettori di tale malattia, che gli avrebbero fatto da pasto durante quest’anno scolastico. Lo immaginai sopra le nostre teste, a serpeggiare in chissà quale conduttura all’inseguimento di quelle rognose creature. Mi immedesimai così tanto nella caccia al roditore che quasi ne sentivo l’odore, misto al fetore della sua paura...

Era tutto molto nauseante ma allo stesso tempo invitante, dovevo soltanto girare quell’angolo e sarebbe rimasto in trappola, senza via d’uscita. No, non era possibile, era sparita, la preda che da tanto avevo rincorso, non era più qui. Ma non c’era alcun spiraglio da dove sarebbe potuta passare, nessuna fenditura da dove avrebbe disperatamente tentato la salvezza, non aveva alcun senso...

Sst!

I miei sensi si risvegliarono nella foga dell’agitazione, non dovevo affidarmi soltanto alla misera vista, c’era un mondo impercettibile dinanzi a me, potevo sentirlo, distinguerlo, dovevo soltanto raggiungerlo...

Ecco!

Una lieve brezza, quasi indefinita, proveniva dall’alto della putrella che reggeva il solaio.

Un varco, grande abbastanza per permettere sia a me che al roditore il passaggio, era celato proprio in quel punto. Oltrepassandolo venni investito da un forte calore e da un chiasso inumano, ma anche la mia preda rimase intontita da quelle urla, tanto da cadere in un dislivello e rompersi una zampa, era mia...

Swiss!

Con semplice ma preciso slancio azzannai la creatura per il collo, torcendoglielo fino a romperlo. Risentii leggermente della caduta, ma il mio corpo flessibile attutii il colpo riportando soltanto una lieve pressione all’addome. Aveva smesso di respirare, mi ero guadagnato la cena.

Guardandomi intorno capii di trovarmi nella parte dei Sotterranei frequentata dagli umani, dovevo sbrigarmi ad allontanarmi da lì o sarei stato visto, con quel che ne sarebbe comportato. Ma c’era qualcosa di strano, di diverso. Tutto era più sporco e secco e nessuna luce illuminava il cammino, riuscivo a vedere soltanto grazie ai miei occhi da rettile, dove mi trovavo? Dovevo avvicinarmi quantomeno alla fonte di quel calore fuso al frastuono che proveniva dalle mie spalle... Una luce proveniva da uno spiraglio un po’ troppo alto perché potessi raggiungerlo; ma io ero un serpente, potevo sempre contare sul mio solido equilibrio. Più mi avvicinavo alla fessura, più il chiasso diventava assordante, ma necessitavo capacitarmi di cosa si trattasse, dovevo...  Volevo...

E mi vidi.

Là, seduto in solitudine all’angolo della Sala Comune. Lo sguardo vuoto ed il libro che penzolava tra le mie mani.

Tonf!

Il libro di Pozioni era ai miei piedi, sfuggito alla mia presa. Tornai in me, proprio come le altre volte, ma con qualche differenza. Non desiderai affatto di entrare dentro Muthsera ma soprattutto non riuscii a rendermi conto di esserci davvero entrato fino a che non riuscii  a trovare un collegamento visivo col mio vero corpo.

Nessun altro nella stanza fortunatamente si accorse del mio strano comportamento, perciò decisi di risalire per dileguarmi e riflettere su ciò che era appena accaduto. Ero sconvolto come la prima volta.

 

La giornata prometteva pioggia, secondo René, perché i Troll di Caverna starnutivano più del solito, segno di un drastico aumento dell’umidità nell’aria, che faceva sviluppare la muffa. E prometteva anche una nottata in bianco poiché, dall’elenco delle materie, era leggibile l’assurdo orario della lezione di Astronomia: dalla mezzanotte alle tre del mattino.

-Ma è un errore?

-Nessun errore, credo. Quando è che vorresti veder le stelle, a pranzo?

Effettivamente...

-Ma se controlli, poi avremo tutto il tempo necessario per recuperare, domani è sabato!

-Sarà pure sabato ma abbiamo Lezione di Volo alle undici.

-Appunto, alle undici, credo che sette ore di sonno bastino e avanzino... E poi, non sei emozionato? La nostra prima volta sulla scopa! Ed esattamente il giorno dopo aver studiato il cielo, come un desiderio che si avvera grazie ad una cometa!

L’entusiasmo di Dan, anche se un po’ troppo romantico per i miei gusti, era comunque riuscito a trasmettermi non poca voglia di mettermi al comando di quel bolide preso per quattro soldi allo sciocco commesso del negozio di scope usate.

Mentre ci si avviava verso l’uscita della Sala Comune posai lo sguardo sulla parete dalla quale, sotto le serpentine spoglie di Muthsera, la sera prima scorsi la mia stessa figura. Distolsi lo sguardo, sperando di dimenticarmene, almeno momentaneamente.

-Dan, se ti dicessi che per scopa ho una Comet 260 ci crederesti?

-Neanche se mi pagassi!

-Allora domattina vedrai.

 

Con un pizzico di delusione nel cuore, notai che i banchi dell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure erano tornati al loro posto, presagio di una lezione dai toni più tradizionali.

-Bentornati ragazzi! Sì, niente Mollicci quest’oggi, del resto ve l’avevo detto che da ora in poi avremmo seguito un pelino di più il classico programma, no? Sedetevi che iniziamo.

Una volta che la classe prese posto, Lupin attaccò nuovamente con un discorso preregistrato:

-Arti Oscure. Cosa sono queste fantomatiche Arti Oscure da cui bisogna difendersi? Non a caso il nome dato al corso è Difesa contro le Arti Oscure... Allora è qualcosa da cui ci si dovrebbe proteggere? Direi di sì, basterebbe soltanto osservare la copertina del vostro testo... Prendetelo su, guardiamola assieme.

Prendemmo i nostri libri di DCAO così come il nostro insegnante, che successivamente si sedette sopra la cattedra.

-E’ la più austera tra quelle dei libri che possedete, vero? Tutto questo nero e le scritte in blu scuro, quasi illeggibili, è così cupo... Non si riesce proprio a farsela piacere, vero?

Per rafforzare il concetto, il professore si esibì nelle più demenziali pose di contrizione che avessi mai visto effettuare da un adulto della sua età.

-E c’è un motivo. Perché la Magia Oscura, cioè quella che permette di fare cose cattive... E’ brutta.

Matheus non si limitò nell’esprimere il suo parere verso i toni dell’insegnante.

-Ma ci prende per bambini dell’asilo? Continuando di questo passo fra poco la paragonerà alla popò.

Mi vennero le lacrime agli occhi per il divertimento, ma per nostra fortuna le cose si fecero ben più serie nei secondi successivi.

-Pensate alle cose più orribili che vi possono venire in mente... Le Arti Oscure sono proprio quelle in grado di realizzarle e persino superarle al di là di quanto avreste mai pensato di poter immaginare. Aberrazioni, maledizioni, non morte ed epidemie. Tutto ciò è riconducibile ad un uso, o meglio abuso, di queste pratiche vietate. Alcune sono addirittura talmente immorali che il solo utilizzo di una di esse fa finire l’esecutore dritto nelle prigioni di massima sicurezza per maghi e streghe fuorilegge.

-Come Sirius Black?

-Si... Si, come lui.

-L’assassino fuggito da Azkaban?

-Si, esatto, ma ora non è il momento di parlare di...

-Come ha fatto a fuggire da lì?

La curiosità dei fratelli O’Connell era parecchio condivisibile, ma sembrava che al professore non andasse proprio di parlarne, dato che stava cercando in tutti i modi di cambiar discorso.

-Non saprei, ma non è di questo di cui volevo...

-Come non lo sa? Non dovrebbe conoscere tutti gli espedienti dei Maghi Oscuri?

-Idiota, se il professore o chiunque altro fosse a conoscenza del metodo di evasione, non credi lo avrebbero già rimesso in cella?

Lupin decise di alzare la voce per farsi dare ascolto, anche se non si addiceva alla sua voce pacata e gentile.

-Vedete!... Vedete, è proprio questo il bello, o come in questi casi il brutto, della magia: permette di poter ideare approcci diversi per affrontare i problemi della vita quotidiana, che possano essere l’asciugare il bucato in assenza di sole o l’evadere da un carcere.

-Ma nostro padre diceva sempre che ai detenuti non è permesso tenere effetti personali di alcun tipo, quindi non aveva a disposizione nemmeno la bacchetta, come può aver fatto a...

-Bella domanda, signorina O’Connell. Il fatto è che la bacchetta non è strettamente indispensabile per poter utilizzare la magia...

A chi lo dici...

-...Ma aiuta certamente il mago ad esprimere al meglio la propria predisposizione, portandolo su livelli di molto superiori. La sua abilità resta comunque, con o senza bacchetta al seguito. Esistono vari incantesimi, infatti, la cui esecuzione è tipicamente non verbale, cioè senza necessità di scandire con precisione l’incantesimo, come vi starete abituando a fare. Questo perché sono incantesimi la cui efficacia si riscontra soltanto se il bersaglio non è a conoscenza del tipo di magia che sta per subire, oppure per celare la propria presenza ed operare azioni di disturbo... Sono tutti argomenti che affronterete negli anni successivi, ma ve li sto anticipando soltanto per farvi capire che proprio come si può far a meno dell’uso della parola per concentrare il nostro potere, se ne può fare altrettanto della bacchetta, anche se più difficile. Ma Black, nei suoi dodici anni di prigionia, avrà di sicuro avuto abbastanza tempo per esercitarsi e provare tutto ciò che gli serviva, non credete?

Dopo quelle ultime parole in classe divampò un acceso dibattito: chi si preoccupava di possibili nuove evasioni che sfruttassero lo stesso metodo di Sirius Black, chi si domandava quali incantesimi avesse mai utilizzato l’evaso per esser riuscito a mettere in scacco le guardie del carcere e chi invece ipotizzava possibili soluzioni per migliorarne la sicurezza.

-Se, all’ingresso del penitenziario, gli venisse modificata la memoria non si ricorderebbero nemmeno più cos’è la magia...

-Se fossi io il Direttore di Azkaban terrei tutti i prigionieri appesi per i pollici, così poi vedremmo se avrebbero ancora voglia di pensare ad un’evasione!

Anche trovando quella confusione divertente, il professore dovette farla in qualche modo terminare e così pronunciò:

-D’accordo, basta così! Tirate fuori le bacchette, ho capito cosa è meglio fare con voi.

Si alzò in piedi e si diresse verso l’uscita della classe.

-Passeremo direttamente alla pratica, oggi studieremo il Verdimillius!

 

-Dai ragazzi, cos’è che non comprendete del non fare chiasso lungo i corridoi?

Eravamo quasi arrivati all’Ala Vecchia dei Sotterranei, l’unica zona inutilizzata del castello, per poter mettere a frutto ciò che avevamo imparato dell’incantesimo utile, a detta del professore, a rivelare ciò che la Magia Oscura voleva render celato. Qualunque cosa potesse significare.

Matheus e Walter, invece, stavano ponendosi ben altri interrogativi:

-E’ così che appaiono i Sotterranei nella loro parte più profonda... Come riuscite voi Serpeverde a starci?

-Come fate voi Grifondoro a farvi sette piani di scale trenta volte al giorno, semmai!

Potevo comunque comprendere la loro incredulità: l’Ala Vecchia era davvero buia e fatiscente, per non dir tetra.

-Kikiki!

-Cos’è stato?

-Non lo so, ma veniva da dietro!

-No, era davanti!

-Che dici, proveniva dalla destra!

-Io l’ho sentito chiaramente sopra di noi...

Dall’ombra delle profondità del passaggio alla nostra sinistra apparve una deforme figura galleggiante: bianca come uno spettro, ma più vivida e sinistra.

-E’... E’ il Barone Sanguinario?

No, non è lui...

-E’ soltanto Pix il poltergeist, ragazzi... Una vecchia conoscenza della scuola. Salutatelo e passiamo oltre, non abbiamo tempo da perdere.

-Facce nuove! A Pix piace vedere facce nuove! Ma una di queste facce non è nuova, no-no! E’ solamente invecchiata, si-si!

-Parla di lei, professore?

-Non dategli corda ragazzi, o non la finirà più. Non è un semplice fantasma, questo può davvero infastidirvi con i suoi scherzi crudeli.

-Tu sempre stato poco gentile con Pix anche da marmocchio. Piccolo bambino solitario, povero Luna...

-Pix, ti devo Bandire?

Non avevo mai visto il professore così paonazzo, sembrava un cane rabbioso.

-No-no! Pix va via subito! No divertimento se si minaccia Pix, solo cattiveria gratuita! Ma con facce nuove ci si rivede presto! Ciao-ciao!

Ed esattamente come era apparso, se ne andò, non lasciando tracce di sé.

-Dovrete farci l’abitudine, purtroppo. Non è malvagio, ma è uno spirito della discordia, deve in qualche modo seguire la sua indole, siamo quasi arrivati... Ecco.

Una volta che il professor Lupin aprì la porta, un’oscurità abissale si parò dinanzi ai nostri occhi.

-Questo sarà il nostro campo di allenamento. Come potete subito notare, questo luogo è entrato in contatto con la Magia Oscura... Utilizzata a scopi puramente didattici ovviamente, ma ciò non cancella la sua natura, per questo riuscite a percepire la presenza delle tenebre che si celano in questo posto. Questa era la vecchia anzi, vecchissima aula di Arti Oscure ai tempi della Fondazione e, in quanto tale, conteneva e contiene tutt’ora una moltitudine di prove atte a migliorare le abilità del mago che si approccia allo studio di esse. Alcune sono state comunque rimosse tempo addietro, poiché ideate dalla ben nota propensione alla crudeltà di Salazar Serpeverde.

Senza alcun dubbio non si trattava della miglior location per la nostra prima prova sul campo.

-Ma voi non avete nulla di cui preoccuparvi: la prova di oggi consisterà semplicemente nell’utilizzare il Verdimillius per rivelare le scale occultate e così raggiungere un forziere contenente una piccola sorpresa, senza particolari rischi. L’unica cosa a cui dovrete prestare attenzione è il tempo. Il Verdimillius, proprio perché dissipa momentaneamente le ombre evocate dalla Magia Oscura, ha una durata limitata e meno esperienza possiede l’utilizzatore e più in fretta queste si ricondenseranno, perciò cercate di concentrarvi al massimo durante l’esecuzione e di arrivare il più in fretta possibile in cima per raggiungere il forziere; in caso di fallimento, comunque, ci sarò io ad evitare che sbattiate per terra. Ogni studente che riuscirà nell’impresa farà guadagnare cinque punti alla propria Casa, che in qualche modo serviranno a recuperare quelli persi ieri durante la lezione di Pozioni, cosa ne dite?

Trovai non fosse affatto male come idea, ma ero convinto che Fred e Rupert avrebbero preferito l’annullamento del loro castigo.

-Ma prima... Dimostrazione dal vivo! Osservate bene il movimento del mio gomito destro... Verdimillius!

L’enorme stanza immersa nell’ombra si accese di un verde abbagliante, rivelando due opposte rampe di scale che salivano verso una piattaforma anch’essa luminosa. Il bagliore magico era costellato da piccole particelle verdi che vorticavano turbinosamente attorno a quelle costruzioni che fino ad un momento prima erano celate dalle tenebre, comportandosi come dei pigmenti sbarazzini in una tela dipinta a mano.

Come vorrei avere una bacchetta qui con me...

 

Il cielo si stava seriamente annuvolando, forse non avrebbe ancora piovuto, ma mi chiesi come avremmo potuto studiare le stelle se quella sera si fosse coperto del tutto. Inoltre iniziava a far freddino.

-Scendiamo a vedere il campo di Quidditch, vieni?

Avevamo l’intero pomeriggio per poter fare quello che volevamo e visitare la zona del Cerchio di Pietra rientrava tra queste cose. Ne avevo sentito parlare durante la pausa pranzo da alcuni studenti più grandi, era il punto di incontro ideale per chi voleva studiare all’aperto. Ad Hogwarts le belle giornate di sole erano rare, perciò fin che il tempo permetteva in molti ne approfittavano. Avrei voluto provarci anch’io, ma conoscendomi sapevo che star seduto sulla nuda terra mi avrebbe portato dolori più che altro.

La Torre dell’Orologio era la più imponente dell’intera scuola: sia la Torre delle Scale che quella di Astronomia erano più alte e più simili a delle vere torri per via delle loro cime a punta, ma questa era decisamente più larga ed impressionante per via dell’enorme marchingegno che faceva funzionare l’orologio a pendolo che regolava i gong della campana. L’intera ala che collegava alla torre sembrava esser stata costruita successivamente al castello poiché interamente costituita da assi di legno ed infissi in telaio leggero. Sembrava una copia in grande stile del primo piano del Paiolo Magico in quanto a scompostezza della struttura. Probabilmente l’orologio in passato era una struttura a sé, ma in seguito decisero di accorparla alla scuola, impiegando fior fiore di carpentieri non a conoscenza dell’esistenza delle livelle toriche. Superato anche lo sgangherato ponte di legno sorretto dal Chiostro della Fontana ed il promontorio del Cerchio di Pietra, ci trovammo finalmente nella parte definibile anteriore del castello, dato che l’ingresso principale dava soltanto ad uno strapiombo al lago. Da qui era possibile scendere verso il basso per raggirare la scuola ed arrivare alla Rimessa delle Barche oppure salire più in alto per dirigersi al Cortile di Addestramento sul retro o alla Guferia. Ma il nostro obiettivo era il Campo da Quidditch che si trovava esattamente alla fine della vallata che ci aspettava poco più avanti.

-Guardate la Foresta Proibita, quello è l’ingresso...

-Esiste un ingresso per una foresta? Non puoi entrare da dove ti pare?

-Beh, ovvio che si, ma se si entra da lì c’è un percorso creato appositamente per gli studenti...

-Ma non era proibita?

-E’ solo un nome, cosa volete che ci sia là dentro? Siamo vicini ad una scuola dopotutto!

Uno sciame di Dissennatori, apparentemente attratti da qualcosa all’interno della foresta, vi entrarono.

-Ad esempio quelli...

-A proposito, chi ha controllato ieri questa zona? Potrebbero esserci dei boccioli di Digitale Silvano anche qui, anzi, sicuramente ci saranno.

-Nessuno si è spinto così lontano, i gruppi erano soltanto quattro, questa zona è stata trascurata...

-Avete ancora la macchina fotografica di Gazza?

-No, ma non dovevamo andare al campo?

-Sì, ma nel mentre potremmo...

-Un corno! Io vado, ne ho abbastanza di foto e giardinaggio...

Walter e tutti i suoi compagni Grifondoro si allontanarono verso il fondo della valle, seguiti successivamente dagli inutili fratelli O’Connell e qualche altro scansafatiche.

-Siamo rimasti sempre i soliti...

Sembrava che i trenta punti che avevano fatto perdere alla propria Casa non fossero bastati a fargli cambiare atteggiamento.

-Ho io la macchina fotografica, ieri abbiamo lasciato le foto ad asciugare nel Ripostiglio delle Scope. Sapevo che ci sarebbe servita nuovamente e l’ho portata con me.

Andrea fu previdente come sempre, ero grato che anche qualcun altro, magari non pedante come Amanda o Elizabeth, avesse la testa sulle proprie spalle.

In otto impiegammo davvero poco tempo a coprire tutta la vasta area ai piedi del castello, sempre evitando di finire troppo vicini alla foresta o alla sinistra capanna del guardiacaccia da cui provenivano strani gorgheggi e guaiti.

-Queste più tardi le facciamo sviluppare e così avremmo definitivamente concluso...

-Ci vorrebbe un raccoglitore per le foto, magari ne troviamo un paio al Magazzino delle Pergamene al sesto piano...

Sembrava che tutti conoscessero la scuola a menadito, io non c’avevo mai manco messo piede al sesto piano.

-Sentite, abbiamo la macchina fotografica e noi stiamo andando al Campo di Quidditch... Che ne dite di tirarci qualche foto?

-Bones, ti credi forse ad una gita scolastica? Non dobbiamo sprecare il rullino, è di proprietà della scuola, se il custode se ne accorge...

-E dai, ne scattiamo solo una tutti insieme e poi ce la condivideremo tra di noi. Nessuno verrà mai a saperlo.

Nel nostro gruppo c’erano Rupert e Fred, bastavano soltanto loro due a far diventare questo nostro piccolo segreto in un affare di pubblico dominio.

-Basta che ci spicciamo...

Il Campo da Quidditch era ancora chiuso in attesa dell’inizio degli allenamenti e della stagione sportiva, ma già dall’esterno si potevano intuire le dimensioni mastodontiche dell’intero complesso: dall’alto si vedevano esili torrette coi vessilli e colori delle Quattro Case e tre strani cerchi bianchi posti a diverse altezze; il muro che cingeva il campo era basso ma impossibile da scalare, però un albero nell’area degli stand sembrava fosse nato per permettere ai curiosi di guardare al di là degli spalti.

-Oh, guardate... Si vede tutto!

Il povero albero dovette sopportare il peso di tutti noi messi assieme sui suoi rami, nonostante la scalata mi costò tempo e fatica decisi di scendere, per evitare l’inevitabile. Anche altri seguirono il mio esempio, preoccupati per le sorti dell’arbusto: le doti atletiche di Andrea Rower erano impressionanti, tanto da sembrare planare nel passaggio tra un ramo e l’altro, spostando così il suo peso su uno non ancora occupato da altri.

-Sully, tu hai una sorella più grande, vero? Quando iniziano solitamente le partite di campionato?

-Non ne ho idea...

-Ehi, cosa fate lassù, scendete immediatamente!

La potente voce del professor Hagrid tuonò in nostra direzione.

-Oddio, scappate!

 

Yawn!

Il cappone ripieno iniziava a farsi sentire: ero così pesante e assonnato che se avessi toccato il cuscino sarei piombato in un sonno profondissimo. Ma dovevamo rimanere svegli fino alla mezzanotte per poi poter dirigerci alla Torre di Astronomia.

-Gli studenti più grandi trovano la tirata notturna per Astronomia la serata più divertente della settimana, ma a me sembra una noia mortale!

-E’ che non abbiamo modo di far passare il tempo e fissare il fuoco del camino mette soltanto ancor più sonno...

Ci trovavamo all’interno della Sala Grande in attesa della mezzanotte mentre al di fuori, due prefetti Corvonero, controllavano perennemente la nostra posizione. Quelli di noi che avevano ricevuto la foto di gruppo sviluppata dalle abili mani di Gideon e Andrea, non facevano altro che lamentarsi di quanto poco fotogenici fossero risultati.

-Che ne direste di parlare un po’ di noi? Non ci conosciamo per niente se ci riflettete...

René non aveva mica tutti i torti.

-E cosa c’è da dire? Mio padre e mia madre fanno ricerche sugli ingredienti utili per praticare la Necromanzia, il padre di Pierrot è un illustratore e quello di Rower veste con gonna e borsetta.

-Necromanzia?

La mia domanda fu totalmente ignorata dal gruppo per via della reazione di Andrea.

-Mio padre non veste in quel modo e quello che avete visto era mio nonno! Non offendere più i miei genitori!

Furioso, si alzò e si sedette isolato all’altra punta del tavolo lungo.

-Ma stavo scherzando!

Nessuna risposta.

-Si vede che non gli piace parlar male dei parenti, o almeno dei suoi, ahahah!

-Bah, ecco che mi ha tolto quella briciola di voglia di parlare che avevo.

-Aspetta Liam, cosa intendevi per Necromanzia?

-Ah quella che studiano i miei genitori? Sono sempre stati due secchioni con la fissa per la morte, si saranno conosciuti così penso... Non è che parliamo molto fra noi, so solo che c’entra col riportare in vita i cadaveri.

-Appunto, sapevo cosa significa, e non è mica cosa da poco!

-Si, ma non so altro e credimi, se ci fossero riusciti lo saprei... Assieme al resto del mondo!

-Tutto tempo sprecato, lo sanno tutti che è impossibile resuscitare la gente, diglielo ai tuoi, eheh!

-Grazie Rupert, ma lo so già. Ma hanno uno studio ormai troppo approfondito sull’argomento, ricevono finanziamenti dal Ministero e hanno pure dei collaboratori freschi di M.A.G.O. in chissà quante materie...

Che c’entrano ora i tritoni?

-Allora il progetto è serio...

-Che ti sembrava, che vivessi assieme a due matti?

-Devo esser sincero?

-Ma smettila, e poi non sono io il più interessante qui, il signor “vengo dall’Italia e non posseggo ancora una bacchetta” credo abbia molte cose da raccontarsi...

-Almeno su questo, son d’accordo!

Ed ecco che ero nuovamente al centro dell’attenzione.

-Ah, non dico un’altra parola, altrimenti la prossima volta Buzz mi farà davvero volare direttamente dalla torre di Astronomia, altro che testa in giù.

-Tutto dipende da quel che racconti, amico!

-Si, ridi pure Runcorn...

-Io però voglio sapere qualcosa suoi tuoi, saranno grandi maghi, non ho mai sentito parlare di famiglie magiche in Italia, avranno un motivo per trovarsi ancora lì, magari spiano qualcuno...

-Sono degli Auror?

Non so neanche di che diavolo state parlando!

-No, davvero ragazzi, terrò la bocca cucita stavolta.

Anche perché non saprei che storia incredibile inventarmi...

-Se è per colpa di questi due e della loro boccaccia lunga nei tuoi confronti... Ci penso io a toglierteli di torno!

-Ehi, che fai, mi fai cadere!

Dan stava spingendo di peso Rupert lungo la panca su cui era seduto per portarlo più lontano possibile da me.

-Idiota, me ne vado, me ne vado, tanto mio padre lavora all’anagrafe, se volessi potrei conoscere il suo intero albero genealogico per generazioni!

Mi dispiaceva per Brendan la cui personalità ispirava fiducia, ma non avrei mai potuto rivelare di essere nato in una famiglia di babbani, non ora che attiravo troppo interesse già di mio. Per fortuna la campana, rintoccando dodici volte, venne in mio aiuto.

-Quindi è così che suona alla mezzanotte? E’ molto più dolce...

 

Salendo sulla Torre di Astronomia, capimmo il perché di quella melodia più ovattata: fu l’insegnante stessa a suonare una piccola campana posta nella parte laterale della vetta dell’osservatorio. L’aula, o per meglio dire, la mansarda, era totalmente avvolta nell’oscurità: solo una manciata di candele ardeva ai lati del perimetro, dove si intravedevano i posti a sedere. La professoressa, ombrosa nel suo tessuto olivastro, indossava anch’essa un ridicolo cappello a punta, ancor più vistoso di quello della McGranitt, ma per qualche ignoto motivo, non si riusciva a veder bene in faccia, costantemente in penombra.

-Sedetevi ragazzi, così possiamo incominciare. La serata non è l’ideale, ma se riuscirete a seguirmi, potremmo avvistare le costellazioni che per adesso più ci interessano con un solo utilizzo dell’incanto Clodus Apstergo.

Avvicinandosi in nostra direzione intesi il motivo per cui non riuscivo ancora a decifrarle i lineamenti del volto.

E’ di colore!

In nessun libro avevo mai letto che la magia era prerogativa delle popolazioni del nord dell’Europa, ma se già nel Mediterraneo era cosa più unica che rara, immaginavo che la sua presenza più si scendeva geograficamente e più in fretta cessava di esistere.

-Sono la professoressa Aurora Sinistra, vostro docente di Astronomia da qui fino alla fine di tutto il corso. Sono anni che insegno questa disciplina agli studenti della scuola e spero di continuare a farlo per molti anni a seguire.

Dalla sua voce sembrava fosse comunque nata in Gran Bretagna, infatti se avesse incespicato o posseduto un accento particolare, il Logos Comprehendi si sarebbe adattato alle sue cadenze, esattamente come nel caso di René.

-Innanzitutto, voglio spiegarvi il perché di questo orario che comprendo possa risultare pesante a chi non è abituato. Dalla mezzanotte alle tre di notte abbiamo il perfetto orizzonte astronomico per poter visualizzare il maggior numero di costellazioni dal nostro meridiano. Col passare del tempo questi cambierà longitudine rispetto alla sua controparte sulla Sfera Celeste, dandoci la possibilità di poterle visionare tutte... O quasi. Non allarmatevi se non avete ben afferrato il concetto di quanto ho appena espresso, perché proprio su queste nozioni basilari che verteranno queste nostre prime lezioni. Oggi infatti partiremo dai concetti di Nadir, Zenit, moto dei corpi e Sfera Celeste, che avremmo potuto benissimo trattarli durante il giorno facendoci prestare una classe per l’occasione, ma possiamo sfruttare questi primi incontri per abituarci agli orari un po’ difficili da sopportare. Ognuno di voi ha una candela alle proprie spalle, vi prego di posizionarla dove meglio credete ed aprire i vostri libri di testo a pagina dodici.

C’era un non so che di accattivante nelle lezioni al lume di candela, ma c’era da perderci la vista. Le prime dieci pagine del libro erano colme di schemi astronomici e rappresentazioni della Terra nel Sistema Solare, ma sembravano tutte stampate in bianco e nero da quanto poco si riuscivano a distinguere i colori.

-Ah ecco, ora si vede tutto!

-Wow, hai ragione, ci vedo meglio anch’io... Dove l’hai messa la tua candela?

-Se stai fermo non cade!

Scoppiò una risata generale dalle parti di Fred e i Corvonero dietro di lui.

-Signor Bowen, tolga immediatamente il cero dalla testa del signor McBumble!

 

-Le due e mezza di notte e questa ancora che parla, basta non ne posso più!

Le rimostranze espresse da Liam erano più che condivisibili ma, forse perché intontito dall’orario, non riuscì a trattenere il volume che anche l’insegnate le udì.

-D’accordo, così non va... Non seguite più. Facciamo un accordo: io vi permetto di osservare il cielo con i vostri telescopi e voi mi promettete di resistere gli ultimi dieci minuti per delineare gli ultimi aspetti di ciò che concerne la distanza Terra-Luna.

Sembrava una proposta onesta, almeno sarebbe servita a ritardare la chiusura definitiva delle palpebre per la maggior parte dei presenti.

La professoressa Sinistra si erse in piedi e puntò la sua bacchetta al cielo, facendola roteare. Il tetto a punta della torre d’un tratto diventò trasparente e si potevano notare i nuvoloni che incombevano dall’altra parte.

-Clodus Apstergo!

Una scia argentata sfrigolò dalla punta della sua bacchetta e colpì la base del tetto per trapassarlo e continuare dritta verso il suo bersaglio. La coltre di nubi venne perforata lasciando un piccolo spiraglio di luce e subito dopo iniziò a diradarsi ingrandendo a dismisura il foro dal quale il raggio dell’insegnante era passato, provocando turbinose oscillazioni nelle parti più esterne all’epicentro.

-Questo incanto ci dà l’opportunità di avere una tersa visione del cielo nelle immediate vicinanze al punto di attivazione. Purtroppo ha due svantaggi: il primo, è che ovviamente ha una durata limitata a pochi minuti; il secondo, è che carica le nuvole elettrostaticamente e quindi a meno di non voler provocare un temporale, si deve utilizzare poche volte per non causare particolari danni.

-Che spettacolo, non avevo mai visto un cielo così stellato!

-Questo perché siamo molto in alto e lontano dalle luci delle città, inoltre l’orario è nostro amico, sebbene il tempo non lo sia affatto... Sbrighiamoci e vediamo cosa avete imparato oggi. Chi posizionerà per primo il proprio telescopio con lo stesso Azimut di quello dell’osservatorio, donerà venti punti alla propria Casa. L’ultimo, invece, leggerà il paragrafo sulla distanza tra la Terra e la Luna!

-Nooo!

 

Anche se erano le dieci del mattino mi sentivo stanco come se mi fossi alzato all’alba come per la lezione di  Erbologia; non avevo proprio voglia di mettermi al volante di un manico di scopa, ma l’orario delle lezioni dettava legge e dovevo adeguarmi.

La prossima settimana schiaccio un pisolino di qualche ora il venerdì pomeriggio, perché così è estenuante...

La Sala Comune era un caos come al solito: per la maggioranza degli studenti, infatti, il sabato era giorno di ferie e, sebbene fosse dura da ammettere, anch’io probabilmente al loro posto avrei fatto la stessa cosa.

Seduti, anzi, accasciati sui divani in pelle c’erano gli altri miei coetanei che per qualche oscuro motivo mi avevano atteso per tutto questo tempo.

Strano, solitamente, conoscendo i miei tempi biblici in bagno, preferiscono avviarsi in mia assenza...

-Sei qui finalmente, andiamo... Dai, alzatevi!

Liz, anche se a stento, sembrava la più energica del gruppo e strattonava Fred e Rupert che erano ancora più distrutti degli altri perché prima della lezione di Astronomia dovettero pulire a mano tutti i gabinetti dei due bagni dei Sotterranei. Come una mandria di zombie ci dirigemmo trascinandoci l’un l’altro al Cortile di Addestramento, chiuso al pubblico proprio in occasione della nostra lezione. Sembravamo quasi in preda ad un sonnambulismo collettivo, fino a quando un...

Fiiiit!!

...Ci riportò dal mondo dei sogni.

-Animo dormiglioni! Quest’oggi inizierete a prender dimestichezza con le vostre scope, un po’ di allegria non guasterebbe!

Era l’insegnante di Volo, che col suo squillante fischietto, ci aveva appena devastato i timpani.

-Su, andate a prendere i vostri manici di scopa dalla Torre del Quidditch qui alle mie spalle e tornate in fretta. Non toccate nient’altro mi raccomando!

Una varietà di scope differenti giacevano in terra in attesa di essere prelevate dai propri possessori in quella che sembrava essere la stanza adibita all’attrezzatura per questo fantomatico sport. Io quasi non riuscivo più a ricordare quale aspetto avesse il mio manico, ma andando per esclusione riuscii a riconoscerlo.

-Mi presento: sono Rolanda Bumb, vostra istruttrice di Volo. Esatto, istruttrice, non insegnante, perciò non chiamatemi Professoressa perché non lo sono, se volete utilizzare un tono più formale utilizzate l’appellativo Madama, a me non cambia nulla. Presentazioni!

In pratica dovevamo schierarci in parata e urlare il nostro nome stando sull’attenti alla sinistra delle nostre scope. Questo perché il nostro insegnante, ehm, istruttore, non s’era preso la briga di leggere l’elenco degli studenti nemmeno una volta.

-Berger... No, Burger... Come hai detto di chiamarti?

-Burgio, signora.

-Fa niente, troppo difficile, da oggi sarai semplicemente Ragazzo.

Grazie.

Dan alla mia destra trovò la scena divertente, ma entrambi non avremmo mai immaginato che da quel momento in poi mi sarei dovuto davvero sorbire il nomignolo Kid, ovvero Ragazzo in inglese, per tutto il resto dell’anno.

-Benissimo, adesso sollevate il braccio destro ed ordinate al vostro manico di seguirvi. Così: su!

La scopa di Madama Bumb balzò di scatto nella presa della sua proprietaria, lasciando tutti interdetti.

-Su!

-Su!

-Su!!!

-Muoviti, maledetto pezzo di legno!

Molti ci provarono ma nessuno ci riuscì a primo colpo, neanche Andrea, che sembrava avere un talento naturale per ogni cosa.

-Più convinzione... Non è l’oggetto che si anima da solo, siete voi che lo dovete volere!

-Su!

Nulla, nemmeno dopo decine di tentativi riuscii a farmi obbedire dalla mia Comet.

-Su!

Brendan, con in mano il suo manico, mi sorrise provocatoriamente.

-Su!

Anche Liz ce l’aveva fatta.

Quando quasi tutti avevano ormai superato il primo scoglio di ubbidienza scopa-padrone, anch’io riuscii nell’impresa con un ultimo, disperato su!.

-Ahi!

L’irruenza con la quale il manico aveva assecondato il mio comando, mi fece dolorare la mano.

-Ora che siamo tutti pronti, posizioniamoci a cavallo dei nostri veicoli e diamo un colpetto coi talloni, niente di più, soltanto una leggera spinta utile a farci librare in aria per qualche secondo. Dimostrazione.

In una degna posa da rodeo immaginario, l’istruttrice spinse coi piedi verso l’alto e galleggiò senza toccare terra per una decina di secondi.

-E’ tutta questione di concentrazione come vedete. E la giusta posizione aiuta parecchio. Potreste volare anche poggiando sul manico soltanto la punta delle vostre ginocchia, ma ai principianti fa bene associare l’impegno profuso nel mantenersi a mezz’aria con quello per conservare la posizione ottimale. A voi!

Il cuore mi batteva all’impazzata: avrei davvero potuto volare con questo affare?

Col primo saltello, capii che non sarebbe stato semplice. Col secondo, che sarebbe stato difficilissimo. Col terzo non migliorai la situazione e nemmeno col quarto. Col quinto, neanche a parlarne... Ma col sesto stavo quasi per cadere a causa dell’errato dosaggio della forza.

-Bravi, bravi. Così, rimanete concentrati... Non muovetevi!

Alcuni Grifondoro erano riusciti a sollevarsi di un paio di spanne dal terreno e sembravano non voler scendere giù tanto facilmente.

-Ah, anche voi laggiù, ottimo lavoro!

Andrea e Gideon stavano librando non senza difficoltà.

E dai, devo farcela!

Brendan, ondeggiando di qua e di là, poteva ritenersi uno di quelli che avevano superato la prova.

-E’ strano... Come andare in bici per la prima volta, hai paura ma è divertente!

Io odio la bicicletta... Dannazione, finirò con le gambe all’aria, me lo sento!

 

Il massimo che riuscii ad ottenere, dopo intere ore di prove, furono balzelli di qualche secondo prima che ritornassi coi piedi per terra, sconsolato ed avvilito.

-Per coloro che sono riusciti a superare le dieci iarde piane in volo, avete il permesso di potervi esercitare per conto vostro tutti i pomeriggi sul tetto della Torre del Quidditch dove all’inizio avete preso le vostre scope. Per tutti gli altri... L’appuntamento è per sabato prossimo.

Toltisi gli stupidi occhialini da volo dal volto, gli occhi felini dell’istruttrice sembravano trapassarmi il cuore ripetendomi la parola fallito. L’umiliazione era ai massimi livelli: rimasi l’unico della mia Casa a non esser riuscito a superare il percorso a forma di otto creato da Madama Bumb perché non riuscii a sollevarmi per più di quei tre miseri secondi che continuavo ad ostentare ai miei compagni. Compagni che, durante la pausa pranzo, non dimenticarono di farmelo pesare.

-Ehi, Ragazzo, resisti un po’ di più, scarsone!

-No, Ragazzo, il peso va distribuito equamente su tutto il manico, non soltanto dietro!

-Come dici? Non ci riesci perché hai le chiappe troppo pesanti? Ahahah!

Non ne potei più di farmi ridicolizzare in quel modo e, proprio quando stetti per alzarmi, un certo Matt Hawk, del terzo anno, prese l’iniziativa:

-Ma dove vai Ragazzo, guarda cosa ti combino! Gommosus!

La mia minestra di asparagi si coagulò in una bolla soffice e melmosa che evidentemente poteva esser controllata con la forza del pensiero.

-Non si lascia il cibo sul piatto, non lo sapevi? Depulso!

La sfera di minestra arrivava in mia direzione, pronta a spiaccicarsi sulla mia faccia.

No, anche questa no! Depulso!

Un’onda d’urto scaturì dalle mie mani, talmente forte da farmi indietreggiare di qualche passo. La polpetta di verdure era esplosa addosso a chiunque si trovasse tra me e Matt, compresi gli innocenti e... Il professor Piton.

Nooo, perché proprio a lui...

-Signor Burgio, mi segua in presidenza...

-Eheheh, ben ti sta!

L’unica consolazione fu che gli sghignazzamenti dall’altro lato del tavolo ebbero breve durata, perché...

-Signor Hawk, mi aspetto che lei pulisca con le sue mani l’intera Sala Grande entro e non oltre l’ora di cena, altrimenti mi vedrà costretto a considerare un diverso provvedimento.

...Piton la fece pagare anche a lui.

Usciti dal vespaio che la mia magia inaspettata aveva scatenato l’eco dei nostri passi mi fece raggelare il sangue.

Questa volta mi espellono...

-Entra, non ti seguo.

Col cuore in gola, aprendo la porta dell’ufficio di Silente notai che chi mi stava di fronte non era il preside, ma bensì un vecchio con gambe esili ma un ventre prominente, che mi fece i suoi saluti.

-Piacere di conoscerti, devi essere tu quel Ragazzo!

Oh no, ora ci si mette anche lui?

-Piacere mio, ci... Ci conosciamo?

-Non ancora, no. Però avremo molto tempo per farlo, questo è certo.

-Perché scusi... Lei chi sarebbe? E perché non c’è il Preside!

-Ah, quasi dimenticavo di presentarmi... Wendell Wilkins al rapporto e... Sono il tuo nuovo tutore!

 

 

 

 

N.B.: Emanuele parla di tritoni quando si discute del lavoro dei genitori di Liam Valeth perché il corrispettivo inglese dei M.A.G.O. è il N.E.W.T., cioè tritone.

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Capitolo 14
*** Un nuovo tutore ***


-Come?!?

-Devo ripetermi? Mi chiamo Wendell Wilkins e sono la persona che Silente ha incaricato per ricoprire il ruolo di tuo tutore.

Deve esserci un errore, perché io...

-Ne ho già uno!

-Cosa? Che novità sarebbe questa?

Mi sta prendendo in giro? La vera novità qui è lui...

-Ser Uppercut, lui... E’ lui il mio attuale tutore! Non mi ha mai parlato di alcuna eventualità di venir rimpiazzato!

-Uppercut dici? Mai sentito nominare... Deve essere uno nuovo, il tuo preside non mi ha mai parlato di altri collaboratori esterni presenti nella scuola. E non mi sembra nemmeno un atteggiamento tipico della sua persona quello di sostituire personale su due piedi. Vorrei parlare con questo tuo docente, dove ha l’ufficio?

-Ufficio? No, ser Uppercut non insegna nel castello...

-Allora di cosa stiamo parlando, Ragazzo?

Non lo so!!!

Ero sul punto di urlargli in faccia di spiegarsi una volta per tutte, quando finalmente decise a fare chiarezza:

-Ricominciamo d’accapo, perché temo tu abbia capito fischi per fiaschi. Io rappresento il tuo tutore scolastico che, in parole povere, sta a significare che fin quando non possiederai una bacchetta come tutti gli altri studenti, le lezioni che prevederanno esercitazioni in loco le seguirai con me. Tutto qui, semplice no?

Per niente...

-Insomma, lunedì secondo il tuo orario delle lezioni dovresti avere Difesa Contro le Arti Oscure nel pomeriggio, no? Ecco, anziché presentarti al terzo piano dal tuo docente verrai nel mio ufficio, per seguire una lezione equivalente con me, dove porremmo rimedio alla tua mancanza di bacchetta.

-E per Pozioni?

-Per pozioni nulla, vai assieme ai tuoi compagni e basta.

-Quindi non seguirò le lezioni assieme agli altri? E cosa ne penseranno della mia assenza?

-E’ già stato deciso tutto dal Preside: i tuoi insegnanti sono stati avvisati e i tuoi compagni lo saranno a loro volta, non preoccuparti di questo. Piuttosto sono curioso di vedere se ciò che Silente mi ha detto sul tuo conto è la verità. E’ vero che riesci ad eseguire svariati incantesimi senza l’ausilio di una bacchetta?

Ecco, mi vuole mettere alla prova pure lui...

Dato che sapevo come sarebbe andata a finire, decisi di appagare la sua curiosità rapidamente testando l’incantesimo che per necessità avevo appena imparato.

-Depulso!

Cercando di moderare il più possibile il colpo, riuscii a far roteare su se stesso il piccolo mappamondo posto su una delle credenze dell’ufficio del Preside, senza provocare danni.

-Capperacci! Non avevo motivo di dubitare delle parole di Albus, ma ciò non toglie che quel che ho appena visto sia comunque sensazionale! Quel dannato vecchiaccio me l’ha fatta, ti accetto come mio allievo!

-Che piacere sentirtelo dire, Wendell! Mi hai tolto un peso dallo stomaco, ma del resto sapevo che non saresti riuscito a resistere a questa nuova sfida.

Il professor Silente era appena entrato nel suo ufficio, giusto appena dopo aver sentito le esatte parole che si aspettava dal mio nuovo insegnante personale.

-Se non fosse per il fatto che il ragazzo qui è davvero dotato di ciò che io definirei un dono miracoloso non avrei mai accettato, Albus. Lo sai, sono fuori dai giochi ormai io, non...

-Lo so, lo so professor Wilkins, del resto non l’avrei fatta venire qui se non fossi stato certo che la cosa l’avrebbe entusiasmata. Dai, venite che vi mostro il vostro futuro luogo d’incontro.

Facendoci strada lungo i locali del castello, il professor Silente, con un passo alquanto rapido, illustrava al suo nuovo vecchio collega le migliorie e modifiche attuate alla scuola durante la sua assenza.

-Vedi questi arazzi? Li ho fatti impiantare io, come ricorderai gli originali avevano preso fuoco qualche anno prima del tuo ritiro. E’ stato un bel lavoro di ricerca, nessuno si ricordava con esattezza il loro disegno.

-Sì, mi pare fossero esattamente così, ottimo lavoro.

Quindi in questa scuola gli incendi sono frequenti?

Arrivati al sesto piano, uno dei luoghi in cui non avevo ancor messo piede, il professor Wilkins capì quale sarebbe stata la sua nuova sistemazione.

-L’ufficio di Horace, Albus?

-Esatto. Trovo sia la soluzione migliore: è spazioso, già arredato ed è rimasto inutilizzato da un bel po’ ormai. Certo, ai tuoi gusti risulterà un po’ pittoresco, ma sei libero di rimodernare l’ambiente come meglio credi.

-Nah, sarà una soluzione provvisoria, non mi sento a mio agio nell’ufficio di qualcun altro. Non posso riavere il mio?

-E’ in mano a Filius, Wendell... Non è più disponibile, capiscimi.

-Bah, al diavolo, va bene anche qui. Basta che mantieni la parola e non mi costringi a cenare assieme agli altri docenti in Sala Grande. Sono vecchio e ho bisogno di tranquillità.

-Anche quando eri nel fiore degli anni odiavi scender giù per fare pubblica apparizione. Non nasconderti dietro la scusa dell’età. Comunque sì, non sarai obbligato a presenziare ad alcun banchetto, del resto non sei ritornato in veste ufficiale da insegnante, anzi... Meno persone sapranno il motivo della tua presenza e meglio sarà. Questo vale anche per te Emanuele, acqua in bocca!

Il preside poteva contare sulla mia discrezione, anche perché un’eventuale fuga di notizie mi si sarebbe sicuramente ritorta contro.

-Allora qui vi lascio, ecco la chiave e buon lavoro!

Con la sua solita andatura a braccia incrociate dietro la schiena, il preside se ne andò, lasciandomi solo con il mio nuovo tutore. L’ufficio era piuttosto elegante: due poltrone e un divano in pelle, tavolo e sedie in robusto legno intagliato, quadri ritraenti scene di caccia e tende di velluto non riuscivano a nascondere però il fatto che quella stanza era rimasta disabitata per parecchi anni.

-Me l’aspettavo più polverosa... Di certo non meno colorata. Guarda qua!

Il prof Wilkins tirò dal tavolo un centrino verde e rosso, decorato con motivi natalizi.

-Ci adatteremo comunque. Dopotutto l’area didattica sembra confortevole!

Dicendo così si tuffò sul divano, divaricando le gambe il più possibile. Non notando però alcun banco o scrivania, chiesi:

-Quale area didattica? Dove si terranno le lezioni?

-Qui, io starò seduto su questo bel divano e tu su quella poltrona, non ci serve altro.

Notando il mio sguardo turbato, aggiunse:

-Ma certo: io sono il miglior insegnante di Incantesimi che questa scuola abbia mai avuto, tu sei un ragazzo più che dotato e le nostre lezioni non verteranno sulla teoria. Il nostro sarà un approccio a tu per tu! Ad esempio, mi sono già fatto dare il programma svolto nelle recenti lezioni dai tuoi insegnanti e questi sono gli incantesimi in cui dovresti esercitarti per non rimanere indietro...

Leggendo un foglietto di carta che fino a quel momento teneva nella tasca del suo panciotto, il mio nuovo insegnante elencò:

-Riddikulus, Edo Potestatis e Verdimillius. Accidenti, a parte l’ultimo questi non mi sembrano incantesimi da primo anno. Non che siano difficili ma... Un po’ scomodi.

-Iniziamo adesso?

-E quando vorresti farlo? Già abbiamo un bel po’ di materiale da recuperare, non ci conviene rimanere troppo indietro.

E addio alla giornata libera...

-Per il Riddikulus c’è poco da fare, ci serve un Molliccio, ma per il resto possiamo fare tutto qua dentro. Iniziamo con il Potestatis, è abbastanza semplice da eseguire. Ti ricordi quanto hai visto a lezione?

-Sì, più o meno sì.

-Vabbè, ci penso io a rinfrescarti la memoria. Un attimo solo che cerco qualcosa da poter incantare...

-Professore, io avrei questo...

Estrassi dalla tasca del mio pantalone la cartina Fast-Cast che qualche giorno prima il professor Vitious aveva consegnato ad ognuno di noi e gliela mostrai.

-E questa cos’è?

Dopo avergli spiegato la funzione di quel pezzo di carta, il mio nuovo tutore mi consigliò di metterla da parte.

-No, tienila per te, se è davvero monouso sarebbe un peccato sprecarla così. Mi basta solamente un oggettino... Ecco, questa andrà bene!

Una piccola forchetta d’argento fu designata come bersaglio e avrei dovuto trattarla come uno dei foglietti Fast-Cast.

-Potestas Sopis... Adesso è pronta! Ti ricordo il movimento del polso...

Apparentemente la forchetta sembrava non aver subito cambiamenti, ma il professor Wilkins mi assicurò della riuscita del suo incanto.

Come posso trasformarla? Non so nemmeno che cosa mi è permesso di farci e cosa no... Forse...

-Edo Potestatis!

Dopo il mio tentativo la forchetta stava iniziando a roteare e ad incurvarsi su se stessa, segno della buona riuscita dell’incantesimo. Dopo pochi attimi una bacchetta simile in tutto e per tutto a quella del mio tutore si presentò ai nostri occhi, al posto della forchetta.

-Oh.

Lo sguardo dell’insegnante era un misto di delusione e preoccupazione, non capendo il perché cercai di giustificare la mia scelta.

-Forse non essendo una vera bacchetta, questa potrebbe funzionare con me!

-Si, ma... Va bene, provala.

Tenendola in mano provai ad usare nuovamente l’incanto Depulso sul cassetto aperto della credenza da cui il prof Wilkins aveva preso la forchettina.

-Ah!

Purtroppo anche questa prova risultò vana, in quanto la bacchetta si sciolse in un liquido biancastro che si riversò sul pavimento.

-E’ argento fuso incandescente, non toccarlo!

Eh, non toccarlo, ormai mi sono scottato...

-Fammi vedere... No, non è grave, passerà nel giro di qualche minuto, il grosso del calore si è sviluppato un attimo dopo che hai lasciato la presa.

Dopo aver riparato la forchetta al meglio che poteva, il prof Wilkins mi spiegò:

-Sapevo non avrebbe funzionato, non per causa tua, qualunque altra persona avrebbe avuto problemi con quella bacchetta. Il fatto è che sebbene l’Edo Potestatis è virtualmente senza limitazioni, esse in realtà derivano dalle capacità del mago che ne ha precedentemente incantato l’oggetto con il Potestas Sopis. E devo ammetterlo, ho tante qualità, ma l’essere un fabbricatore di bacchette non è fra queste. Comunque l’importante è esserci accertati che riesci ad utilizzare l’incantesimo senza problemi. Ma questo era facile... Già il Verdimillius è qualcosa di più impegnativo, chiudi quella tenda, Ragazzo.

Mi affrettai alla finestra, ma per togliere il nodo alla tenda ci misi un bel po’, tanto che alla fine fu il professore stesso a chiuderla per me, assieme a tutte le altre, con un semplice gesto della bacchetta. Il che mi fece domandare perché mi avesse chiesto di fare manualmente una cosa che con la magia sarebbe risultata immediata.

-Lo so a cosa stai pensando, ma l’ho fatto per non farti ascoltare l’incantesimo di magia oscura che ho appena usato su questa povera posata.

-Quale posata?

-Quella che ho in mano, non la vedi perché ho appena usato... Ops! Stavo quasi per lasciarmi sfuggire il nome del malocchio! Roba troppo pericolosa per uno della tua età, potresti Occultare per errore un essere umano e per lui sarebbe la fine. Su, prova il Verdimillius in direzione del palmo della mia mano sinistra!

-Ok. Verdimillius!

Anche quest’ultimo esperimento andò a buon fine, evidentemente il mio addestramento sulle fatture e sulle trasmutazioni aveva dato i suoi frutti, mi riusciva quasi tutto al primo colpo.

-Vediamo in quanto tempo torna ad Occultarsi...

La forchettina impiegò esattamente trentadue secondi prima di perdere il suo bagliore verdognolo e tornare ad essere invisibile.

-Trentadue secondi, mica male! Li avresti fatti guadagnare senza dubbio quei cinque punti alla tua Casa! Purtroppo io non posso assegnarteli, ma a te non servono questi supporti psicologici!

-Professore, mi tolga una curiosità: ma perché Occultare è considerata una magia oscura?

-Il vostro insegnante di Difesa non ve lo ha spiegato?

-Non mi sembra.

-Beh, immagino perché è difficile da far capire ad una classe del primo anno. Quando Occultiamo qualcosa, non ci limitiamo a celarla alla vista, per quello esistono altri incantesimi più discreti e meno pericolosi. Con questa pratica invece noi facciamo avvolgere dalle tenebre che ci circondano il nostro obiettivo, rendendolo di fatto privo di consistenza, annullandolo. Per questo sugli esseri viventi è severamente vietato da utilizzare: non solo perché al malcapitato verrebbero a mancare due delle tre dimensioni, incapace di muoversi e col rischio di venir dimenticato nel posto in cui è stato Occultato, ma anche perché...

Il mio tutore tese lo sguardo verso la finestra a noi più vicina e dopo averci pensato un po’ mi disse:

-Al diavolo, ormai la forchetta è inutilizzabile, apri quelle tende, Ragazzo!

Al primo spiraglio di luce che colpì il punto in cui la posata era stata Occultata seguirono piccoli lampi e fumo secco, che rivelarono i contorni di una piccola forchetta che si stava velocemente corrodendo.

-Alla luce diretta del sole, questo è il destino che attende tutto ciò che ha subito un trattamento di Occultamento. E sfruttando questa particolarità, molti maghi l’hanno adoperato per secoli sottoforma di tortura... Che finiva quasi sempre con la morte del povero malcapitato.

-Wow. Ora capisco perché tanta segretezza.

-In realtà non corriamo troppi rischi: è una magia abbastanza complessa da eseguire perché possiate impararla su due piedi ed inoltre lascia talmente tante tracce che gli insegnanti se ne accorgerebbero subito se qualcuno tentasse di utilizzarlo qui a scuola. Ma dato che prevenire è meglio che curare...

-Non può aggiustarla più? Come ha fatto prima?

-No, non posso. Non ha più nulla che la possa ricondurre al suo stato originario, la polvere che è rimasta non è neppure più d’argento.

Mi dispiacque parecchio essere stato il carnefice di una povera posata da dessert, quasi come se avessi fatto del male ad un essere vivente.

-Stiamo andando alla grande, direi. Facciamoci dire dal professor Lupin dove tiene il Molliccio per provare l’ultimo incantesimo e così poi ti lascio libero.

Decise di alzarsi dalla scranna a capotavola in cui si era seduto, ma per farlo mi chiese una mano: sebbene a parole fosse energico, mostrava tutti i suoi anni nei movimenti.

-Ok, andiamo dal tuo insegnante di DCAO, chissà se si ricorda di me.

 

Il Molliccio era rimasto rinchiuso per tutto il tempo in un baule nel sottopalco dell’ultimo piano della Torre di Astronomia, significando che la sera prima avevamo seguito la lezione con un mostro sotto i piedi.

-Questa è una fattura ed anche se è particolarmente semplice, rimane tale... Quindi molto più complicata dei due incantesimucci che hai utilizzato poco fa. Quindi concentrati e non farti paralizzare da qualsiasi cosa possa venir fuori da questa cassa.

Non ero particolarmente preoccupato, tutt’al più ero curioso di vedere sotto le sembianze che avrebbe assunto il Molliccio cosa la mia mente temesse più d’ogni altra cosa. Una volta libero il mostro si tramutò in un orrido e peloso ragno dalle dimensioni di poco più piccole di quelle di un cane. Ripugnante, ma non certo spaventoso.

-Ma non è vero che ho timore dei ragni!

-E che ti posso dire, Ridicolizzalo comunque!

-D’accordo.

Avevo in mente l’esatta punizione per questo strano Molliccio che non era stato in grado di mettermi addosso nemmeno un briciolo di paura.

-Riddikulus!

Un’enorme ciabatta schiacciò l’aracnide accartocciandolo dolorosamente, poi lo calciò dritto dentro il baule dal quale era appena fuoriuscito.

-Anche questa è fatta, sembra... Sei sicuro che i ragni non ti mettano almeno un pochino in soggezione?

-No, mi fanno solamente schifo. Cioè, non vorrei svegliarmi con uno di quei cosi sulla faccia, ma da qui a  finire preda del panico ce ne passa.

-Comprensibile, solo che... Boh, non m’è mai capitato.

Tra i due il più deluso ero io, poiché credevo di conoscermi, invece l’apparizione di quel ragno pose seri dubbi sulla mia autoanalisi.

Eppure credevo che provassi una fifa tremenda per gli zombie del cinema...

 

-Ma dove sei stato tutto il pomeriggio?

Al mio rientro alla Sala Comune, Dan mi mostrò tutta la sua preoccupazione.

-Ehm, ero con Piton...

-Tutto questo tempo? Scontavi una punizione?

-Sì e non è manco terminata. Dovrò andare da lui quasi tutti i giorni.

Non potendo dire come stavano realmente le cose, sperai che come scusa reggeva.

-Ti ha tolto dei punti?

Anche Fred si dimostrò ansioso, almeno per quanto riguardava i punti delle Case.

-No, almeno quello no. Cosa avete fatto voi nel frattempo?

-Siamo rimasti qui, ad aspettarti.

-Come, tutti quanti?

-Quasi tutti. Non potevamo pensare di uscire dal castello se sapevamo che tu eri chissà dove con Piton.

E da quand’è che gli sto così a cuore?

-Beh, allora scusatemi se vi ho fatto attendere.

-Abbiamo ancora qualche ora prima che faccia buio, cosa facciamo?

-Io vado ad allenarmi sul volo, volete venire?

Fred si rivolse a me, sogghignando:

-Ah, dimenticavo... Non ti è permesso!

Ecco il Fred che conosco...

-Vabbè, ci vediamo più tardi. Aspetto questo giorno da una settimana, non posso attendere oltre.

Dopo che Fred e Liam corsero ai piani superiori, con me rimase soltanto Brendan.

-Se vuoi puoi andare con gli altri, non sentirti obbligato a farmi compagnia.

-No, tranquillo, non mi sento ancora così sicuro sulla scopa tanto da allenarmi senza l’istruttrice.

-Gli altri dove sono?

-René e Rupert non lo so, ma le ragazze sono in Sala Grande ad ascoltare le prove del coro di canto. Domani ci sarà la prima domenica dell’anno.

-A me non va di passare il poco tempo libero che abbiamo a sbadigliare davanti ad un gruppo di rospi canterini.

-Allora cosa proponi?

Dato che per avermi aspettato così a lungo mi sentivo in debito con lui, decisi di fidarmi un pochino e di rivelargli ciò che scoprii qualche sera prima nei panni di Muthsera.

-Dammi una mano a cercare una cosa...

-Cosa di preciso?

-L’altro giorno mi sono... Ehm, accorto che in questo preciso punto della Sala Comune molto probabilmente c’è l’ingresso per uno di quei famosi passaggi segreti di cui discutevamo durante la ricerca dei Digitali Silvani.

-E cosa te lo fa pensare?

-Il fatto che le tende siano raccolte in ogni lato della stanza, mentre qui sono chiuse... Inoltre arriva una leggera brezza: se ti metti qui vicino quando il camino è acceso, la differenza la senti.

-Sarà, ma a me sembra un normalissimo muro.

-Perché non abbiamo ancora trovato il meccanismo che attiverà... Ecco, guarda.

Credetti di aver trovato una pista: uno dei ganci in cui si appendevano le tende mi sembrò più vecchio e scrostato degli altri che, invece, brillavano come nuovi.

-Secondo me dobbiamo farci qualcosa... Tirarlo, spingerlo o abbassarlo, non so.

-Guarda, lo si può roteare solo per un quarto di giro.

-Già e non lo si può muovere in nessun altro modo.

-Forse fa solo un po’ di gioco per via della sua età.

-Può darsi, ma se invece...

Click!

Inserendo la tenda avvolta dentro il gancetto e girandolo successivamente, provocai una leggera trazione sull’asta superiore lungo la quale scorrevano i tendaggi che, piegandosi, produsse quel suono. Subito dopo il muro di fronte a noi iniziò ad indietreggiare e a rivelare uno strettissimo passaggio.

-Che ti avevo detto?

-Accidenti, credi che dovremmo entrare?

-E secondo te perché l’ho cercato? Non vedo l’ora di scoprire dove conduce...

-Ma è buio pesto là dentro...

-Ci saranno sicuramente delle torce da accendere. Dai entriamo.

Per fortuna gli unici altri due Serpeverde che si trovavano nella stanza in quel momento stavano sonnecchiando spalla contro spalla sul divano a due passi dal nostro confabulare, così potei entrare senza il timore di essere spiato.

-Aspetta, prima di richiudere il passaggio cerchiamo una torcia.

-Ma come fai ad essere sicuro della loro presenza?

Perché ci sono già stato, ecco perché.

-Anche se è un passaggio segreto, fa sempre parte dei Sotterranei, no? E qui è pieno di torce lungo i muri, fai due più due e... Eccone una!

-Si ma è spenta!

-Tu non preoccuparti, chiudi il passaggio.

-Ma così rimaniamo al buio!

-Fa’ come ti dico.

Non appena vidi che Brendan mi rivolse le spalle, staccai dal muro la torcia ed usai silenziosamente l’incanto Incendio, visto che se c’era una cosa che sapevo far bene era dare fuoco alle cose.

-Hai visto? Non appena hai chiuso il passaggio, la torcia s’è accesa da sola!

-Pura fortuna... Dove andiamo adesso? Questo posto è immenso...

Era vero, eravamo all’interno di una vera e propria ala segreta del castello: non potevamo sapere dietro ogni angolo quante altre aree si nascondevano alla nostra vista.

-Direi che ci conviene utilizzare l’intuito: siamo nella parte ovest dei Sotterranei, se ci spingiamo ancora più in là ci troveremo sicuramente dinanzi a un muro prima o poi...

-O magari usciamo direttamente dal castello...

-Credi che esistano passaggi segreti che portano all’esterno?

-Perché no? E poi se sbagliamo, rischiamo di finire in mezzo ai troll di caverna.

-Già, è meglio evitarlo. Andiamo a destra, allora!

Andare ad est equivaleva a dire proseguire lungo uno stretto corridoio, per poi finire in un altissimo androne che si dipanava in tre o addirittura quattro rampe di scale agli angoli della sala tutte dimesse e malconce.

-E ora?

-Proseguiamo a destra... D’ora in poi qualsiasi incrocio affronteremo prenderemo sempre la via più a destra, in modo da saper tornare indietro, nel probabile caso il tragitto si dimostri più labirintico possibile.

-Non mi piace perdermi, siamo ancora in tempo...

-E dai, perdersi è impossibile se adottiamo questo metodo. E se qualcosa andasse comunque male ci basterebbe gridare come due ossessi, prima o poi qualcuno ci sentirà, siamo sempre all’interno del castello dopotutto.

Anche se non del tutto convinto Dan decise di seguirmi fino alla fine, tra ripidi scalini traballanti e scaffali pieni di argenteria e libri che avevano vissuto anni migliori.

-La polvere che c’è in queste stanze non l’avevo mai vista in tutta la mia vita!

-Più che della polvere mi preoccuperei per i dirupi improvvisi: guarda là!

L’ultima rampa di scale che avevamo deciso di discendere infatti terminava con un precipizio alto almeno un paio di metri: uno spettacolo impressionante da vedere poiché a causa della scarsa illuminazione non se ne vedeva il fondo a meno di non aver prima teso la torcia verso di esso.

-Dietrofront?

-Direi che siamo obbligati, non c’è modo di discenderlo senza lanciarsi di sotto... E anche se fossimo tanto pazzi da farlo poi non potremmo tornare più indietro. Ma che senso ha una voragine del genere?

-Forse è crollato tutto...

-Nah, è fatta apposta... Non ci sono né segni di cedimento né macerie di sotto, inoltre le pietre che costituiscono la parete del salto sono tutte levigate: è chiaro che fosse così fin dal principio.

-Allora non ne ho la più pallida idea: non c’è motivo di realizzare tre rampe di scale per farle terminare in un pozzo così profondo.

-Effettivamente poteva essere un pozzo, contenente dell’acqua. L’acqua ora non c’è più e adesso sembra solo un assurdo gradone.

-Possibile, andiamocene adesso.

Lo scarso senso di avventura di Dan stava iniziando ad infastidirmi, stavo quasi per rimpiangere di non essermi avventurato da solo.

-Aspetta però! Fino ad ora non abbiamo fatto altro che salire e risalire... Il tutto per almeno 3 piani! Non credo che questi pochi gradini ci abbiano fatto ridiscendere nei Sotterranei. E sfido chiunque a sfruttare una falda acquifera da questa altezza!

-Ed ecco spiegato il perché non c’è più acqua! Ora vogliamo andare?

-Non hai capito quello che voglio dire: è impossibile che questo sia mai stato un pozzo, deve essere un altro il motivo per cui hanno realizzato questo dislivello...

Dopo qualche secondo di concentrazione arrivai ad una conclusione.

-Ti ricordi di ieri, durante la lezione di Difesa?

-Cosa dovrei ricordare?

-Siamo scesi nei Sotterranei, nella cosiddetta Ala Vecchia della scuola...

-Sì?

-E il professor Lupin ci ha spiegato come molti degli ambienti del Castello siano stati realizzati con lo scopo di far esercitare gli studenti in determinati incantesimi.

-E allora?

-E allora, anche questa potrebbe essere una di quelle prove d’allenamento!

-Anche se fosse non conosceremmo comunque l’incantesimo che ci serve per levitare fino a là sotto.

-Quello no, ma ne conosciamo un altro che, con una buona dose di fortuna, potrebbe essere proprio quello che ci serve adesso!

L’espressione confusa di Dan mi costrinse ad esser più specifico.

-Questo mattone è marchiato con il simbolo del nostro libro di Difesa, probabilmente è un modo per indicare che qui sono state utilizzate delle Arti Oscure... Magari proprio l’Occultazione, che è esattamente la prima forma di magia oscura che sappiamo affrontare!

-Intendi con l’incantesimo della lucina verde?

-Sì, proprio così, quello della lucina...

-Ma io ho già dimenticato come si lanciava e tu non hai una bacchetta, quindi siamo sempre al punto di partenza.

-Di già? Ma è passato solo un giorno... Vabbè, per fortuna lo ricordo io per te: l’incantesimo era il Verdimillius e il movimento della bacchetta era più o meno questo. Provaci, dai!

-Ma sono riuscito a farlo a malapena davanti al professore, qui non ci riuscirò di sicuro...

-E dai, provaci almeno! Ti aiuto io, segui il mio dito...

-Verdimillius!

-Verdimillius!

Come avevo supposto il resto della scalinata apparve con un bagliore verdastro che si protendeva ancora più in profondità di quanto non ci sembrava a prima vista.

-Visto? Ce l’hai fatta! Andiamo adesso, sembra solido...

-Non andare! In classe il mio Verdimillius è durato solo per pochi secondi, non ce la faremo a percorrere tutta la strada in così poco tempo!

-Non preoccuparti, ce la faremo...

Anche perché in realtà l’ho lanciato io... E mal che vada il mio record negativo è di due minuti ormai...

-Basta sbrigarsi!

Detto questo mi lanciai veloce contro le scale disoccultate, portando con me la torcia. Brendan, per non rimanere da solo al buio fu costretto a seguirmi.

-Mannaggia, me la paghi!

-Prima corri e poi parli, o finiamo dritti nel precipizio!

Per via della forte luce verdognola scaturita dal disoccultamento, la torcia era praticamente inutile, tanto che sembrava quasi di camminare lungo una galleria autostradale in cui però i lampioni proiettavano luce dal basso.

-Arrivati!

Al termine della scalinata a tornante ci ritrovammo dinanzi ad una catena appesa al soffitto e a delle barre metalliche poste orizzontalmente a formare una scaletta a muro.

-Altre scale?

-Sì, ma queste portano dritte al tetto: non c’è alcun Verdimillius che possa far sparire il solaio da sopra le nostra teste.

-Forse non è necessario usare la magia per una volta...

Tirai in giù la catena, producendo svariati rumori metallici, come se degli ingranaggi ormai datati si stessero muovendo a forza per poter far funzionare un determinato meccanismo.

-Dimmi la verità: ci sei già venuto qui?

-No, ovvio che no. E solo che...

...Ho una notevole esperienza nel campo esplorativo per via di tutti quei videogame che ho giocato!

-Solo cosa?

-Niente! Intuizione, semplice intuizione.

Sulle nostre teste si formò un cerchio luminoso, nato dall’apertura di una botola alla fine della scaletta.

-Vediamo dove conduce!

Salire per quei gradini non fu semplice ma alla fine riuscii a sbucare dall’altra parte, dove un’armatura completa e un altro lungo corridoio mi attendevano. Per fortuna questo era ben più illuminato e familiare: dovevamo trovarci in uno dei corridoi principali che raccordavano le varie parti del castello.

-Oh, meraviglia! Allora sotto quell’armatura c’era un passaggio segreto? Non lo sapevo!

Una voce invisibile commentò così il nostro improvviso sbucare dal pavimento. Dopo qualche secondo dalla nostra emersione l’armatura tornò a traslare, ricoprendo il buco dal quale eravamo passati.

-Dan, secondo te dove siamo?

-Siete nel corridoio del terzo piano!

-Ancora quella voce, ma chi è?

-Uscite da lì e avvicinatevi, sono qui!

Scavalcando il muretto che divideva la navata espositiva del corridoio con quella percorribile mi diressi verso l’origine di quell’invito.

Ma non c’è nessuno...

-Qui, dietro di te, giovanotto!

Ed eccolo lì il mio interlocutore: un grasso e stempiato ometto che beveva un boccale di birra rappresentato su un dipinto di dimensioni quasi reali.

-Sì, sono un personaggio di un quadro! Non ti spaventare... E’ la prima volta che vedi un quadro animato?

-No, ne ho visti altri durante questa settimana ad Hogwarts, ma non avevo ancora parlato con nessuno di essi.

-Ah, lo dicevo io che eravate nuovi, non vi avevo mai visto da queste parti... Devo farvi i complimenti allora: non è da tutti scoprire dei passaggi segreti dopo appena una settimana di scuola, soprattutto non così segreti! Non ho mai visto nessuno sbucare da sotto quell’armatura ed io sono qui da parecchio tempo, sapete? Così tanto tempo che, ahimè, non ricordo più da quanto!

-Emanul... Emanl... Insomma, cosa ne facciamo di questa?

Brendan mi mostrò la torcia che avevamo utilizzato lungo i meandri del passaggio segreto.

-Ah non lo so, spegnila e buttala là dietro, almeno nessuno la noterà.

-E come la spengo?

-Già, come la spegni? Siamo al terzo piano sembrerebbe... Bene, più avanti c’è quel ponte in legno, la lanceremo da lì sul fiume!

-Oh, che vandali!

-Vedi che siamo costretti a farlo! Non possiamo lasciarla accesa da qualche parte: è tutto di legno qui!

-Effettivamente sembra non abbiate molta scelta... Se non la più ovvia.

-E quale sarebbe?

-Vedete quei vassoi sotto ogni torcia del castello? Si chiamano ceneratoi... Lascio a voi capire a cosa servono.

-Guarda, funziona! Si è spenta!

Brendan aveva affossato la torcia all’interno di quel mucchio di cenere, smorzandone la fiamma fino a spegnerla del tutto.

-Ma così rimane il problema della torcia in più... Anche se spenta rimane un problema.

-Guardatevi intorno: è pieno di roba inutile buttata a casaccio, chi vuoi che si accorga di una torcia spaiata in mezzo a questa confusione?

Effettivamente negli angoli tra la parete e le colonne c’erano pile di libri consunti, cornici spaccate e vasi rotti che rendevano il corridoio una specie di discarica pubblica.

-Ditemi, giovani Serpeverde, da dove provenite?

-Beh ecco, noi...

Fulminai con lo sguardo Brendan che stava già spifferando il nostro segreto.

-Tranquilli ragazzi, terrò la bocca cucita! Sono un amante dei passaggi segreti, non ne farò parola con nessuno. Ed anzi, se vi confiderete con me, condividerò anch’io un segreto con voi!

Ci sarà da fidarsi di un quadro parlante?

Non avevo ancora ben chiaro il meccanismo con il quale questi dipinti si mettessero a dialogare e a ragionare, né se avessero una loro etica o morale, ma decisi comunque di fidarmi, del resto per lui era impossibile capire il punto esatto da cui si accedeva al passaggio, se avessi risposto con un generico...

-Dai Sotterranei!

-Addirittura da così lontano!

-Già, c’è praticamente un intero castello di passaggi segreti là sotto!

-Ah, come vorrei venire con voi! Ma sono bloccato qui appeso come un salame a questa parete... E sapete perché?

-Perché sei un quadro?

Che domanda sciocca...

-No, cioè sì, ma perché mi hanno affisso qui? Non certo per potermi ammirare, siamo sinceri, non sono poi un così bello spettacolo.

-Effettivamente...

-Perché celo un altro passaggio segreto! Già, dietro di me c’è un varco che conduce da qualche altra parte del Castello e di questo ormai ne sono a conoscenza solo io!

-Davvero?!? E dove conduce?

-Ah, vedi... Questo non lo so! O meglio, l’ho dimenticato! Sono tanti anni che nessuno lo usa più e quindi... Non mi ricordo più dove porta!

-Beh, potremmo scoprirlo noi per te, basta che ci farai passare e...

La faccia contrita di Brendan tradiva il suo rattristamento al sapere di dovere attraversare un altro cunicolo oscuro.

-Impossibile! Senza la parola d’ordine nessuno può accedere al passaggio segreto!

-E tu diccela, no? Avevi promesso di svelarci un segreto, no?

-Il segreto era che io nascondevo un passaggio segreto, questo segreto sarebbe un altro segreto!

Tutto quel parlare di segreti mi aveva infastidito: ero stato truffato da un dipinto!

-La verità è che ho dimenticato pure quella, altrimenti ve l’avrei detta... Anche a me interessa sapere dove conduce l’altra faccia della mia tela: quasi non ci dormo la notte!

-Allora facci passare senza parola d’ordine: noi non la sappiamo, tu non la ricordi... Siamo a un punto morto!

-Impossibile! Senza la parola d’ordine nessuno può accedere al passaggio segreto!

Ebbi una netta sensazione di dejà vu, il ciccione del quadro si stava nuovamente prendendo gioco di noi.

-Non guardatemi così, non dipende da me... Noi quadri siamo stati incantati in questo modo: se non conosci la parola d’ordine non puoi passare, anche se lo volessimo. Vale anche il viceversa: siamo obbligati a far passare chiunque la conosca, anche se non vogliamo.

-Ma se non te la ricordi come farai a riconoscere quella giusta?

-Il passaggio si aprirebbe automaticamente... Credo. Non ne sono sicuro, non mi ricordo granché del procedimento. Però non voglio lasciarvi a mani vuote: vi dirò cosa vedo dall’altra parte della tela, almeno se mai ci passerete un giorno potrete riferirmi di che parte del Castello si tratta.

-Ah, puoi vedere dall’altra parte?

-Certo, ognuno di noi ha un doppione da qualche parte nel Castello, doppione che funge da punto di arrivo all’interno del nostro passaggio segreto. Il mio porta ad una sala con... Un attimo che controllo: sapete, è da tanto che non vado dall’altro lato, lì non passa mai nessuno e mi annoio facilmente e dato che non voglio commettere errori...

Soprattutto con la memoria d’elefante che ti ritrovi...

L’omino si rigirò sulla sedia dandoci le spalle, si alzò e si diresse verso il fondo della prospettiva, sparendo sottoforma di puntino all’interno di un pomello della credenza nello sfondo.

-Guarda, è sparito.

-Evidentemente anche se il dipinto lo vediamo in due dimensioni all’interno c’è una qualche sorta di tridimensionalità che noi non riusciamo a percepire dall’esterno. Non credo si sia miniaturizzato per entrare dentro quel mobile: sicuramente starà attraversando un passaggio che solo lui può percepire.

-Sarà...

Dopo qualche secondo iniziai a riconoscere la corpulenta figura dell’uomo del quadro che appariva via via sempre più nitida, fino a mostrarsi nella sua interezza dinanzi a noi. Il personaggio si sedette, riprese la sua posa abituale e commentò:

-Eccoci, ricordavo bene dopotutto. Quasi... Per nulla in verità. Fortunatamente ho ben pensato di dare una ricontrollata così ho tutto più fresco... Da dove posso partire? Oddio... Non ricordo più cosa dovevo dirvi... Ah già, i rosoni! La sala in cui si affaccia l’altro lato del mio dipinto è decorata con rosoni sui quali poggiano dei brevi parapetti in pietra. Il solaio e il pavimento sono in legno, mentre come tramezzi tra le parti in legno e quelle in pietra ci sono dei motivi decorativi a forma di pipistrello, anch’essi in pietra. Vi viene in mente qualche luogo specifico della scuola?

-Beh, complimenti per la descrizione dettagliata ma no, non siamo mai stati in quella parte del Castello... Non che prestiamo tutta questa attenzione ai merli delle pareti comunque.

-Ah, peccato. Se mai passerete da quelle parti comunque cercatemi, ho tanta voglia di sapere dove il mio passaggio conduce!

-D’accordo!

Come no, contaci.

-Ma scusa, se tu sei sempre rivolto da questa parte, noi di là come faremmo a parlarti? Non ci sentiresti!

Brendan era seriamente intenzionato ad esaudire la sua richiesta; a me sembrava solo una perdita di tempo: anche se glielo avessimo rivelato se lo sarebbe scordato nel giro di un’ora.

-Oh, non preoccuparti di quello, riesco a sentire contemporaneamente da entrambe le parti... Il che è fastidioso quando ci sono roditori che gironzolano in giro di notte: è più probabile che mi sveglino coi loro squittii se ho le orecchie puntate su due luoghi distinti del Castello nello stesso momento. Comunque per fugare ogni dubbio ti basterà dichiarare a voce alta il mio nome, cioè... Ehm, voglio dire che mi chiamo... Dunque, sebbene sembri che non me lo ricordi è solo che è un po’ difficile da pronunciare correttamente... Infatti il mio nome è... No, non era così... Ah ecco, ora ricordo: il mio nome è Boris Bothroat!

 

-E’ stato divertente in fondo.

In Sala Grande finalmente Brendan aveva espresso un parere favorevole all’esperienza di quel pomeriggio.

-Lo hai ammesso alla fine! La prossima volta non rifare il lamentoso però.

-Perché, hai intenzione di rifarlo?

-Certo, sarebbe da idioti sapere dell’esistenza di quell’ala dismessa e non esplorarla a fondo. Se non vorrai venire non ti costringo mica...

-No, alla fine piace anche a me, è solo che... Non ti sei davvero mai preoccupato di poterti perdere lì dentro?

-No, perché credo di avere un buon senso dell’orientamento: quella di oggi non è stata altro che una passeggiata in confronto a cosa ho fatto un paio di anni fa.

-Ora sono curioso, racconta.

Mi misi comodo, poiché non sarebbe stata né una storia breve né sarebbe stata semplice da narrare evitando i riferimenti al mondo babbano a cui fino a pochi mesi prima appartenevo.

-Nulla di eccezionale alla fin fine, anzi forse potrebbe risultarti anche troppo assurda ed infantile. Non so perché l’ho fatto... O meglio: lo so, ma non ricordo perché decisi di andare fino in fondo, del resto non aveva alcun senso.

-E dai, non farti pregare!

-Non volevo tirarmi indietro, era solo una premessa... Praticamente, verso le otto e mezza di sera, al termine...

Liam, René e Fred arrivarono in gruppo alle nostre spalle e, vedendoci, decisero di sedersi accanto a noi.

-Ma dove siete stati tutto il giorno? Vi prego, non diteci che siete rimasti seduti qui come due vecchiacci al parco!

-Nono, io ed Emanlule siamo arrivati da poco, siamo stati in giro per il Castello fino a poco fa.

Il fatto che nessuno riuscisse a dire né il mio nome né il mio cognome senza storpiarli stava iniziando ad infastidirmi seriamente.

-Ma se non vi ho visto da nessuna parte... Vi ho cercato, sapete? Ci serviva un altro giocatore per la Pluffa Avvelenata. Ragazzo avrebbe fatto da arbitro, visto che non sa stare in equilibrio sulla sua scopa.

Pensandoci però, odiavo ancor di più il nomignolo Ragazzo, per cui ben venivano le storpiature del mio nome.

-Che faccia seria... Scherzavo! Prima o poi imparerai a volare come si deve, neanche noi siamo poi così bravi... Anche se quel ragazzo di Corvonero è veramente bravo, ma sono sicuro abbia già fatto pratica in casa.

-Parli di Rower, vero? Quel tizio è un pazzo... E non parlo solo della sua bravura sulla scopa e ad Incantesimi, è proprio strano. Vi ricordate l’altra sera come mi ha ucciso per una battuta sui suoi genitori?

-Ahahah, me l’ero quasi scordato Liam... Per poco non ti spaccava la faccia con pugno. Avresti visto le stelle ancor prima della lezione di Astronomia!

-In realtà ragazzi, a me, il suo compagno di casa O’Connéll, ha rivelato una cosa troppo strana per essere vera...

-E cosa?

-Nah, non posso dirvela, altrimenti direste che credo a qualunque baggianata ascolti da quell’Alexis.

-E allora non mi interessa... Voi due, invece, che vi stavate raccontando?

-Emaniul mi stava raccontando di una pazzia fatta a nove anni.

-Giusto, il tema di oggi è questo dopotutto... Ricomincia dall’inizio.

-In realtà avevo appena iniziato, però devo avvertirvi: non è poi così interessante e può sembrare infantile la motivazione per cui...

-E dacci un taglio con ‘sti preamboli! Lo ha fatto anche prima con me, mette sempre le mani avanti, andrà a finire che la storia si rivelerà una schifezza.

Data la presenza di lingue un po’ meno discrete di quelle di Brendan, dovetti fare ancora più attenzione nel nascondere gli elementi non magici del mio racconto e, sorprendentemente, non fu tanto difficile sostituire il gruppo scout con una generica scuola pomeridiana, l’automobile di mia madre con la Materializzazione e i carabinieri con gli agenti dell’Ufficio protezione minori del Ministero della Magia Italiano: credettero a tutto.

-Verso le otto e mezza di sera, al termine del... Ehm, delle lezioni della mia scuola serale, attesi mia madre per parecchi minuti al di fuori dell’istituto, senza che lei si presentasse. Dopo una mezz’oretta decisi di andarmene a piedi fino a casa mia. Il problema era che da lì c’era parecchia strada da percorrere e che i quartieri che avrei dovuto superare non erano adatti ad un bambino della mia età a quell’ora della notte, visto che ci avrei messo un paio d’ore a piedi e si sarebbero fatte almeno le dieci.

-Ma allora scusami, non aveva alcun senso andarsene prima e farsi quella scarpinata se già sapevi che c’avresti impiegato comunque molto tempo. Tanto valeva aspettare tua madre che prima o poi si sarebbe Materializzata lì da te!

Sì, esatto, Materializzata è il termine esatto... In quell’occasione si era staccata la marmitta dall’auto di mia madre, altro che poteri magici.

-Ve l’avevo detto che le motivazioni con le quali parte questo mio racconto erano blande ed infantili...

-Vabbè... Così ti sei incamminato di notte per questi quartieri un po’ bruttarelli. E poi?

-E poi... Nulla. Dovreste conoscere la mia città per comprendere che razza di strada ho fatto: i viottoli che ho intrapreso, le scalinate che ho salito, i campi che ho superato, le persone ho incontrato... Perché alla fine, preso dall’euforia dell’esplorazione, il mio obiettivo non era più solo quello di tornare a casa, ma farlo percorrendo più zone nuove del mio paese possibili. Il che significò che tornai a casa verso le undici di sera, dove al mio arrivo trovai ad attendermi un plotone di... Di agenti dell’Ufficio protezione minori del Ministero della Magia Italiano, alla mia ricerca assieme ai miei disperatissimi genitori, che mi credevano morto o rapito.

-Esiste un Ufficio del genere in Italia?

-Sì, certo... Perché qui no?

-Non mi sembra, forse...

-Bah, tu stavi male anche all’epoca. Anche a me piace gironzolare qua e là ogni tanto, ma spingere i miei genitori a chiamare gli Auror mi pare esagerato.

-E sconsiderato.

Alzai le spalle in segno di impotenza. Durante il mio lungo racconto la Sala Grande si era riempita e stava per iniziare la cena. Ripensando a quel discorso che coinvolgeva la mia vecchia vita mi tornò in mente la pizza del sabato sera.

Dio, quanto mi manca...

 

-Ma dormi ancora?

Rupert mi svegliò sradicando le coperte con le quali mi ero avvolto la sera prima.

-Ma non è domenica? Almeno oggi voglio dormire quanto voglio.

-Sì ma sono quasi le dieci, ti perderai la colazione.

-Sai che m’importa, è stata una settimana mostruosa, lasciami riposare.

-Fa’ come vuoi.

Ecco bravo, ciao.

Dicendo così Rupert se ne andò, lasciandomi solo. L’inusuale silenzio che pervadeva l’intera stanza però mi tenne sveglio e non riuscii più a chiudere occhio.

-Bah, ormai è fatta, tanto vale alzarsi.

Diedi una rapida occhiata a Muthsera per vedere se stesse bene. Si era ingrossato ed impigrito in soli sei giorni, dovevo ridurre decisamente le sue razioni di cibo.

-Almeno uno dei due dorme fin quando vuole...

-Shh! Ho bisogno di riposare, ho la digestione lenta!

-E tu ormai solo questo fai: mangi e dormi.

-E cos'altro dovrei fare? Sono un animale dopotutto: non ho i tuoi stessi doveri!

-Sarà, ma da oggi cambiamo dieta: un pezzetto di carne ogni due giorni.

-A me sta bene, è comunque molto più di quello che avrei ingozzato in natura.

La Sala Comune era anch’essa deserta: evidentemente erano tutti in Sala Grande.

E andiamo... Anche se non ho poi tutta questa fame dopo la sfogliata di ieri sera...

Quando arrivai la colazione era agli sgoccioli: sui tavoli erano rimaste soltanto le bevande più aspre e le fette di pane più secche e sgretolate.

-Arrivi tardi, ti sei perso le brioches alla marmellata di lamponi!

-Meglio così, altrimenti avrei vomitato tutta la cena di ieri, troppo fritto.

Le finestre delle vetrate della Sala Grande si spalancarono improvvisamente, facendomi prendere un colpo.

-E adesso?

-Ahahah, calmati, credo sia la posta domenicale!

Uno stormo di gufi e civette volò sopra le nostre teste, in un vortice di piume e di ali che cozzavano fra loro, creando un gran scompiglio aereo.

-Di domenica vengono gli uccelli a consegnarci le lettere?

-Sì, solitamente tocca a noi ritirare la posta in Guferia durante la settimana, ma di domenica i pacchi ci vengono consegnati direttamente qui. Ho detto pacchi perché tutta la posta più pesante ed ingombrante la riceviamo solo di domenica, giornali e semplici lettere invece tutti i giorni.

-Probabilmente è per non farci distrarre troppo dallo studio se dovessimo ricevere un regalo dai nostri genitori.

-Ecco a voi Rupert, il mio bellissimo allocco! Cosa mi hai portato Rupert? Ah che bello, un set di grucce per appendere i miei abiti nell’armadio, effettivamente le avevo dimenticate.

Il rapace di Fred abbassò il capo in cerca di grattatine da parte del suo padrone, che non si fecero attendere.

-Ti ho detto di cambiare il nome a quel tuo stupido uccello!

-E come faccio? Ormai lui si riconosce con quest’appellativo e poi ragazzi, non credete che gli assomigli un po’?

I due in comune avevano della folta peluria nell’arcata sopraciliare, il che rendeva abbastanza congrua la comparazione.

-Effettivamente...

-Sta’ zitto tu, vedi invece se il tuo gufo ti ha portato una bacchetta, magonò!

Uno strano volatile che assomigliava ad un barbagianni a cui è stata applicata una permanente si avvicinò al nostro tavolo, consegnando a Brendan una rivista ed un piccolo pacco.

-Ehm, lei è Curly... Sì, ha le treccine perché fino all’anno scorso era di mia sorella!

Per fortuna Rudra arrivò ad interrompere quella scena imbarazzante con una lettera dei miei, la terza solo in questa settimana, e un catalogo della Hogsmeade, una non so quale azienda fornitrice di prodotti per streghe e maghi.

-E questo?

-Ah, è arrivato a tutti. A quelli del primo e secondo anno non è permesso andare ad Hogsmeade, perciò se vuoi acquistare qualcosa dai loro negozi puoi farlo per corrispondenza.

-Hogsmeade?

-Ma non sai mai nulla!

-Vorrei vederti al mio posto Rupert, a studiare in un Paese diverso dal tuo, così vedrei quante cose sapresti.

-Sicuramente ne saprei più di te!

Dan per fortuna mi spiegò cosa fosse Hogsmeade interrompendo lì la discussione.

-Hogsmeade è un piccolo villaggio al di fuori di Hogwarts, un tempo ci abitavano, ma è così fuori dal mondo che ormai serve solo da scalo agli studenti e agli ospiti della scuola durante l’anno, d’estate infatti è praticamente deserta. Dal terzo anno in poi faremo delle visite lì, potremmo definirle delle sorte di gite.

-Allegria...

-Ci sei già stato, Liam?

-Sì, è un buco: non c’è nulla. La cosa più interessante è la testa di maiale che ogni tanto grugnisce sull’insegna della taverna vicino Mielandia... E ho detto tutto.

-In effetti anche dalla lista dei prodotti che vendono non sembra che ci sia chissà cosa. A meno che non ti vuoi far venire un’ulcera con tutti questi dolci, il resto è abbastanza anonimo. La Bottega degli Scherzi di Zonko è poi la più triste di tutti.

-Ma cosa dici, è piena di roba interessante, guarda qua: c’è il Folio Magi in offerta, l’altro giorno dicevi che volevi iniziare la raccolta di figurine, no?

Miller apparve alle nostre spalle esprimendo tutto il suo entusiasmo scaturito dall’avere in mano anche lui quel catalogo.

-Ehi, ma che ci fai qui? Sconfinamento, intrusione, effrazione!

In pochi attimi un boato di insulti provenienti da tutto il tavolo dei Serpeverde piovve addosso al povero Miller che scappò mortificato.

-Ah si, grazie, Miller...

Ma ormai se n’era andato.

-Ahahah, avete visto come se l’è data a gambe?

-Ma che gli è saltato in mente, venire fin qui?

-Mi voleva solo avvertire della presenza del Folio Magi, siete stati sgarbati.

-Non vorrai comprartelo veramente, spero.

-Perché no, mi sembra carino e potrei venire a conoscenza di parecchi maghi che hanno fatto la storia della magia.

-Ma non sei un po’ troppo cresciutello per collezionare figurine?

-Sarà, ma per me è una novità: voi lo avete fatto da bambini, vorrei provarci io adesso. Accidenti...

-E adesso cosa c’è?

-Il Folio Magi in offerta costa 2 Galeoni e 8 Falci anziché 3, ma loro spediscono solo per ordini superiori ai 3 Galeoni.

-Quindi addio all’offerta, sempre 3 cucuzze devi sborsare.

-Sì, ma cosa prendo che costi esattamente 9 Falci? Ci sono solo cose stupide qui...

-Guarda questo, ne costa 10 di Falci, ma sembra carino: Tubizzatore. La descrizione dice che nessun gufo riuscirebbe a resistere al richiamo di questo fischietto, così puoi dirottare la posta degli altri la domenica mattina!

-O venir sommerso dalla loro pupù.

-Anche.

-Nah, non mi convince per niente, se devo spendere questi soldi per forza che almeno sia qualcosa di veramente utile. Oh, forse ho trovato.

In un angolino dell’ultima pagina della sezione dedicata al Negozio di Zonko c’era un articolo in promozione a soli 9 Falci, esattamente quanto serviva a me.

-Foglietti Cerca&Trova: dodici pezzettini di carta incantati che andranno alla ricerca di chiunque vorrete incontrare, basta scriverci sopra il nome e loro faranno il resto!

-Sembrano pizzosi.

-A me sembrano perfetti. Facciamo quest’ordine, và. Al modulo precompilato vanno aggiunti soldi in contanti? Sicuri non si perdano lungo il viaggio?

-Via gufo transitano beni e merci ben più costosi di 3 Galeoni, quindi credo ti possa fidare.

-Speriamo bene...

 

-Allenamento di Quidditch? Di già?

-Sì, la nostra squadra è rimasta praticamente invariata dall’anno scorso e quindi non hanno dovuto perdere tempo con le selezioni prima di partire con gli allenamenti ufficiali. Sono già al campo, venite?

Gideon invitò me e Dan ad assistere al primo allenamento della squadra di Quidditch di Corvonero, non potevamo certo rifiutare.

-Le altre squadre sono messe male: i capitani e i giocatori migliori si sono tutti diplomati l’anno scorso, se tutto va secondo i piani quest’anno la Coppa di Quidditch la vinciamo noi.

-Sembri informato... Serpeverde com’è messa?

-Meglio di Grifondoro e Tassorosso, visto che Flint sta ripetendo il settimo anno, ma ha perso entrambi i battitori.

Per me era come se Gideon e Brendan stessero parlando arabo, perciò mi limitai ad annuire ad ogni loro valutazione tecnica. Avvicinandomi al campo di Quidditch notai che finalmente il grosso portone era aperto e una nutrita folla di studenti degli anni superiori stava parlando al suo ingresso.

-Ma dove vai? Di qua!

Gideon mi urlò contro perché stavo mettendo piede direttamente sul campo, invece di cercare un posto tra gli spalti.

-Scusa, volevo vedere il campo in prima persona.

-Ma non puoi, ci saranno già i giocatori lì... Se hai tutta questa curiosità iscriviti al club della tua squadra.

Non ero sicuro se si trattasse di un consiglio sincero o di una malcelata presa per i fondelli data la mia ultima esibizione sulla scopa. In ogni caso lo seguii su per le gradinate della tribuna.

-Non si arriva mai, ma quanto in alto stiamo salendo?

-Parecchio direi, roba che se cadi da qui ti spiaccichi al suolo come un uovo rotto.

Più salivamo e più l’insicurezza mi assaliva: sentivo il legno scricchiolare sotto il nostro peso, notavo le fenditure nei tendaggi e la ruggine sui giunti delle travi e delle colonne.

-Ancora niente?

-Direi che siamo arrivati finalmente, vedo un piccolo passatoio.

Infilandoci sotto quell’angusta apertura giungemmo finalmente all’esterno di quell’enorme tendone. Finimmo tra gli spalti dei Grifondoro, ma dato che si trattava solo di una partita di allenamento non c’era alcun problema.

-La prossima volta dovremo risalire la terza rampa a destra dell’ingresso se vogliamo ritrovarci nella tribuna giusta. Ah già, voi siete Serpeverde, quindi la vostra sezione è quella là, la quarta.

-Oppure la prima a partire da sinistra.

-O la quinta.

C’erano infatti tre alti piloni per ogni Casa della scuola che fungevano da podi per gli spettatori tutt’intorno al campo da Quidditch, campo che più strano di così non poteva essere. La forma era ellittica, molto lineare al centro ma con una curvatura decisamente accentuata sulle estremità, quasi da sembrare i vertici di un triangolo un po’ arrotondato; ai bordi dei due lati trasversali del campo erano presenti tre anelli bianchi sorretti da aste in legno che li ponevano ognuno ad altezze e a distanze diverse  tra loro, mentre al centro del campo non c’era nulla se non una linea tracciata sull’erbetta che delimitava le due metà campo avversarie.

-Chi mi rammenta le regole di questo sport?

-Non hai mai seguito una partita di Quidditch in vita tua, vero? Scordarsi le regole è impossibile: sono poche e intuitive. Vedi quei cerchi? Sono le porte, se la Pluffa tirata da un cacciatore entra, segna 10 punti, se non ce la fa o il portiere la para, zero. Il cercatore acciuffa il Boccino e se ci riesce guadagna 150 punti e pone fine alla partita, mentre i battitori con le loro mazze cercano di mandare in Infermeria quanti più avversari possibili, colpendoli di rimbalzo con i due Bolidi attivi in campo. Tutto chiaro?

-Limpido come l’acqua.

In realtà non capii granché, ma sperai di collegare le parole di Gideon ai fatti una volta visti all’opera i giocatori di Corvonero. Sulle panche alle nostre spalle c’erano altri ragazzi, tutti dei Corvonero e, separato dagli altri in un angolino, credetti di riconoscere Andrea Rower che faceva finta di non averci scorto pur di non salutare.

-Venite con me, vi presento un mio amico d’infanzia!

L’amico in questione era un tizio rumoroso e dall’aspetto trasandato, con degli unti capelli color porpora che dalla ricrescita si capiva fossero stati originariamente neri ed un gilet di jeans pieno di fori e di rattoppi nei punti più delicati come il colletto e i gomiti.

-G -Gideon! Sei venuto alla f-fine!

-Zed!

I due Corvonero si diedero a vicenda delle vigorose pacche sulla schiena.

-Ragazzi, vi presento Zedekiah Glunk, un mio vecchio amico ed ora mio compagno di Casa, anche se lui è di un paio d’anni più avanti di me! Zed, loro sono Brendan Callaghan e il ragazzo italiano.

-Ah, q-quello senza bacchetta, v-vero?

-Sì, Zedekiah...

-Chiamami Zed amico, Zedekiah fa s-schifo pure a me. Ma si chiamava c-così mio nonno e quindi...

-Sapete, l’anno scorso Zed era il battitore destro dei Tassorosso!

-E come mai non lo sei più?

-Ehm...

-Puoi dirglielo Gideon, non è mica un s-segreto.

-Come posso dirglielo...

-C’è che mi stavano b-bocciando amico! Non facevo altro che pensare al Quidditch e q-quando la Sprite ha inviato i miei risultati dei test di marzo ai miei genitori, q-quelli mi hanno fatto sospendere da qualsiasi attività extra scolastica per punizione! Ma almeno la d-domenica sarò libero di far quel c-che voglio, no?

-Beh, certo...

-Allora godiamoci q-questo allenamento, c-che sono tre mesi c-che aspetto c-come un idiota... E iniziate!

Da Zed partì una sequela di fischi che finirono per propagarsi di bocca in bocca lungo il resto degli spalti e persino nelle tifoserie dall’altra parte dello stadio.

-E datevi una mossa!

Anche Gideon era della partita. Sospinti da un tale entusiasmo i giocatori in campo finalmente decisero di dare inizio alla partita di allenamento, dividendosi in due squadre da sette giocatori l’una, una portava divise blu e l’altra nere: da così lontano dove eravamo noi distinguerle era un’impresa.

-Tra q-quelli sarei potuto esserci io, dannazione! Forza Jason, non farmi soffrire troppo, muovila c-come la muovevo io q-quella mazza!

La partita era decisamente movimentata, ma il centro dell’azione era talmente distante che certi giocatori sembravano fermi nelle loro posizioni, quando invece schivavano, colpivano e paravano palle da tutte le direzioni. Forse stavo iniziando a capire le regole di questo strambo gioco: una buona parte della partita la si giocava vicino ai tre anelli sospesi a mezz’aria che fungevano da specie di porte da calcio; se la palla più grossa tra le quattro in campo riusciva a superare la difesa del portiere ed entrava in uno di essi allora era punto e l’azione riprendeva dal cacciatore della squadra che ha subito il goal, se invece il portiere riusciva a proteggere le sue porte allora il gioco continuava e con esso la probabilità di essere colpiti da uno dei due Bolidi vaganti tirati violentemente dai battitori. Questi ultimi non si limitavano a prendere a legnate le due palle nere, ma tiravano calci e spallate verso chiunque osasse avvicinarsi all’area che proteggevano, sembrava abbastanza brutale. Proprio quando sembrava avessi afferrato quasi tutto, due giocatori si distaccarono dal gruppo ed iniziarono a sfrecciare come pazzi all’esterno del campo di gioco, verso non si sa quale direzione. Da quell’esatto momento gli occhi di tutti gli spettatori si puntarono fissi verso i due corridori.

-E adesso che succede?

-Uno dei due cercatori avrà avvistato il Boccino e l’altro lo sta seguendo!

-E possono uscire dal campo?

-Beh sì, entro certi limiti sì, il Boccino non vuole mica farsi acchiappare.

I due cercatori tornarono indietro e si diressero verso il pilone dei Serpeverde alla nostra sinistra, ad una velocità tale da estirpare alcuni teloni che ricoprivano la colonna.

Io non riuscirò mai ad arrivare ai loro livelli con la scopa... Sono pazzeschi.

Ad un certo punto però dirottarono verso di noi, volando a poche spanne dalle nostre teste.

-Ma è pericoloso anche per il pubblico! Per poco non ci ammazzavano!

-Dai, è divertente!

Gideon e Zed sembravano felici come dei bambini al Luna Park, tant’è che quest’ultimo se ne uscì con un ispirato coro da stadio.

-Forza Corvi, non deludeteci maaiii. Noi vi supporteremo se la vittoria otterremo, ma se voi perderete la faccia ci rimetterete, perciò Corvi non deludeteci maaiii!!!

Quando toccava le note più alte partiva uno stridolio urticante come quello prodotto da delle unghie ben limate che graffiavano una lavagna lucida e nuova di zecca. Io, Dan ed il resto della platea fummo costretti a tapparci le orecchie per contenere il dolore.

-Ah, quando canta non balbetta però!

-Zitto, che si potrebbe offendere!

-In questo momento sono le mie orecchie da ritenersi offese!

Tutto d’un tratto i cori d’incitamento cessarono, compreso quello di Zed, ed un rombo di stupore prese il posto dell’euforia generale.

-Ohibò, e adesso?

-Un bolide ha preso il cercatore dei blu sulla schiena.

Affacciandomi un pelino dal mio spalto vidi un corpo spiaccicato sul suolo del campo, con le gambe all’aria e la scopa schiantatasi a diversi metri dal luogo dell’impatto.

-Ma da che altezza è caduto... E’ morto?

-Ma ti pare che un giocatore crepi c-così facilmente? Volavano praticamente rasoterra, un paio di ore in Infermeria e s-si rimetterà in sesto.

Sempre più brutale.

-A q-questo punto direi che i neri hanno vinto, a meno c-che il loro cercatore non si faccia silurare  come q-quello dei blu, avrà tutto il tempo per recuperare il Boccino e porre f-fine alla partita. Le s-squadre stanno ancora 20 a 30, quindi 150 punti regalerebbero la vittoria s-senza troppi giri di parole.

-Beh, è stato breve ma intenso quest’incontro.

-Ma che dici, non ascoltare Zed, la partita non è ancora decisa. I blu potrebbero segnare più di quindici volte e quindi ribaltare il risultato nonostante la cattura del Boccino. E poi non è detto che non facciano scendere in campo un cercatore di riserva.

-E’ una partita di allenamento, Gideon! Il sostituto è q-quello che in questo momento sta lottando per la vita in una barella da c-campo, non ce ne sono altri! Lo so perché è il mio c-compagno di stanza, più tardi andrò a fargli una visita.

-Ah beh, allora...

In ogni caso la partita sarebbe stata destinata a finire prima del previsto poiché due Dissennatori, attratti dalla calca dello stadio, si avvicinarono troppo agli atleti, spargendo il panico tra di essi.

-Dannati Dissennatori, vogliono rovinarci il c-campionato?

-Spero almeno che durante le partite ufficiali gli insegnanti vietino a questi cosi l’accesso al campo.

-Gli insegnanti hanno le mani legate al riguardo, altrimenti d-dopo l’aggressione dell’altro giorno avrebbero già p-preso provvedimenti.

-Di quale aggressione parli, Zed?

-Come non lo sapete? E’ successo il putiferio l’altro giorno sull’Espresso per Hogwarts, dormivate?

-No, sapevamo che due Dissennatori erano entrati nel treno per controllare i vagoni, ma non eravamo a conoscenza di alcuna aggressione.

-Quelli del nostro anno non hanno f-fatto altro che parlarne in questi giorni, quel Potter è caduto come una p-pera sfatta!

Potter? Dove ho già sentito questo cognome?

-Ed è morto?

-Ma sei p-proprio fissato con la morte, ragazzino. Cerchi il sangue per f-forza...

-No, è che da quel che so, se un Dissennatore ti attacca ti risucchia l’anima e trovo difficile riuscire a sopravvivere a questo.

-Beh, q-quello che so io invece è che un insegnante è intervenuto per scacciare il Dissennatore e che il ragazzo adesso sta benone, t-tanto da mettersi in mostra anche a Divinazione, quindi o quel che sai tu su q-questi mostri è sbagliato o semplicemente non ne ha avuto il tempo.

Anche dopo la sparizione dei due Dissennatori i giocatori non ripresero a giocare, il che costrinse l’arbitro ad annullare la partita. Zed e Gideon, alla fine delle scale, ci salutarono dirigendosi verso il Lago Nero.

-Che tipo questo Zed...

-Per fortuna non è un Serpeverde, altrimenti saremmo stati costretti ad ascoltare i suoi inni ad ogni p-partita.

-Adesso balbetti pure tu?

Accidenti! Non me ne ero accorto!

-Sai com’è, chi va con lo zoppo...

-Impara a incespicare!

 

-Adesso state zitti, che parte il primo coro domenicale!

Liz aveva interrotto tutti i discorsi che tenevano banco i miei compagni Serpeverde al tavolo del pranzo: dovevamo ascoltare in religioso silenzio le melodie prodotte dal coro della scuola.

-Ma le interessa davvero così tanto il gruppo musicale?

-Shh!!!

Evidentemente...

Il professor Vitious, dall’alto del suo sgabello, iniziò ad inarcare la bacchetta da maestro, scandendo il tempo.

-E un, due, tre e quattro!

-Hogwarts, Hogwarts

la nostra casa

Dove la cultura degli studenti si basa

Hogwarts, Hogwarts

la nostra scuola

Dove ci si aiuta come in una famigliola

-Ma è terribile!

-Sta’ zitto e comprendi il testo.

-Le parole le capisco, ma sono tremendamente stupide.

-Hogwarts, Hogwarts

la nostra vita

Dove si vive la routine più ambita

-Allora goditi il ritmo e i toni delle voci bianche.

-Anche peggio!

-Allora mangia e non disturbare chi invece vuole ascoltarlo!

-Hogwarts, Hogwarts

la nostra storia

Dove si guadagnano onore e gloria!

Forse concentrarsi solo sul cibo non era affatto un cattivo consiglio, anche se il porridge che ci avevano servito non era per nulla invitante.

Altro che lasagne...

 

-Davvero, mangiavo meglio quando non mangiavo affatto!

-Quante volte te lo devo ripetere che in Gran Bretagna diamo più importanza alla cena che al pranzo?

-Sì, ma almeno quello domenicale non toccatemelo. Non chiedevo mica cannoli siciliani su dei piattini d’argento, ma quella brodaglia farinosa...

-I principi di Edimburgo si lamentano del servizio in tavola?

Il professor Piton sbucò dall’altra parte della porta che dava l’accesso ai Sotterranei, pietrificando sia me che Brendan all’uscio.

-Burgio, vieni con me.

Oh no, cosa c’è adesso?

Col suo solito passo spedito difficile da seguire, Piton mi guidò alle porte del corridoio del terzo piano, dove temetti che avesse scoperto la nostra perlustrazione dei passaggi segreti del giorno prima. Per fortuna però, l’insegnante continuò a salire le scale fino al sesto piano, dove mi rivelò il motivo di quell’inattesa scarpinata: il professor Wilkins voleva vedermi.

-E’ permesso?

La porta del mio insegnante personale era aperta, probabilmente perché mi attendeva. Entrai comunque con discrezione, perché non avevo ricevuto alcuna risposta.

-Era buono il porridge?

Il professor Wilkins aveva appena finito di consumare il pranzo sul suo tavolo e si stava lavando le mani.

-Come fa a sapere...

-Che non ti è piaciuto per niente? Sarebbe stato strano il contrario...

Dopo essersi asciugato si avviò verso la credenza dove era in cerca di qualcosa.

-Qui ad Hogwarts si cucina solo ciò che è di stagione... E settembre è il mese dell’avena, abituatici.

Finalmente sembrò aver trovato ciò che cercava.

-Ecco qui, Silente m’ha dato l’esatto orario delle tue lezioni, quindi adesso possiamo regolarci in maniera ufficiale, perciò apri bene le orecchie: lunedì mattina la passi in classe, pomeriggio con me; martedì mattina dipende, questa settimana in particolare con me e nel pomeriggio sei libero; mercoledì mattina in classe, pomeriggio con me; giovedì mattina dipende, questa settimana in classe, pomeriggio pure; venerdì mattina dipende, questa settimana molto probabilmente la passerai in classe. Poi vabbè, Astronomia di venerdì sera e Volo il sabato è chiaro che le seguirai con i giusti insegnanti. Ci sono domande?

-No, tutto qui?

-Certo, cos’altro volevi? Adesso vai e goditi il resto della giornata, da domani si farà su serio, Ragazzo!

Mi ha fatto prendere un colpo per niente... Ma perché proprio Piton è il direttore della nostra Casa?

La stanza da letto era vuota, eccezion fatta per il rospo di Rupert che sembrava ormai un sasso ed il mio Muthsera, abbacchiato e disteso come un morto in forma anfibia. Avevo deciso che nel pomeriggio avrei esplorato i meandri del Castello con lui, sia per rimanere un po’ da solo ed evitare altri incontri strampalati come quello con Zed che per dedicare un po’ di tempo al mio serpente domestico che in questi ultimi giorni avevo trascurato fin troppo.

-Ma non voglio, sono stanco, c’è caldo...

-Non voglio sentire scuse, sei passato da un atteggiamento pavido ad uno accidioso, non hai un po’ di spina dorsale?

-Sono nato in una gabbia, per me è difficile abituarmi a tutto questo movimento...

-Ma quale movimento, sono passati già cinque giorni dall’ultima volta che hai messo il muso fuori da questa stanza... Perbacco quanto sei pesante in forma rettile, riesco a malapena a tenerti in mano.

-Sai, non credo faccia bene al mio organismo tutti questi cambi di aspetto: passo da un corpo più caldo ad uno più freddo, da un ambiente umido ad uno più secco. Ed il mio apparato digerente ormai non sa più come regolarsi... Hai mai visto un serpente vomitare?

-No, ma scommetto sarebbe comunque uno spettacolo migliore di un colubro che si dondola pigramente tra le sbarre della sua gabbietta.

-E dimmi un po’, dove vorresti andare?

-Voglio esplorare meglio il passaggio segreto che hai scoperto l’altra sera proprio dietro la Sala Comune, così grazie al tuo fiuto riusciremo a trovare nuove uscite e ad arrivare ancora più in alto.

-Vedi di non contare troppo sul mio olfatto, non sono mica un cane!

Nascosi Muthsera tra le pieghe della mia mantella e mi avviai verso l’angolo della Sala Comune che celava il passaggio segreto. Per fortuna ancora nessuno era rincasato, perciò potei fare tutto senza destare sospetti. Una volta all’interno dell’ala disabitata accesi una torcia e poggiai a terra il serpente, ordinandogli di mostrarmi la via.

-Ah, la strada la conosci tu ma devo indicartela io?

-Magari trovi percorsi secondari che a me sarebbero sfuggiti.

Per un bel pezzo continuammo per la via che il giorno prima avevo percorso con Brendan, ma al primo incrocio del primo piano ci fermammo, per decidere il da farsi.

-Quindi?

-Dimmi tu, l’ultima volta abbiamo preso a destra e proseguito verso i piani superiori, a sinistra cosa c’è?

-Non ho la sfera di cristallo con me, ma un quasi impercettibile incremento di umidità nell’aria mi spinge a credere che proseguendo a sinistra alla lunga si finisca fuori dal Castello in qualche modo.

-Quello che pensavo anch’io, infatti abbiamo preso a destra per evitare di venir beccati dagli altri studenti in pausa nei cortili. Continuiamo come ieri, magari sta volta prenderemo la rampa a chiocciola anziché quella più esterna, chissà dove ci condurrà.

-C’è un problema però.

-E quale sarebbe?

-Io sono già stanco adesso, come farò a salire tutti quei gradini?

-Vabbè, ti porterò io sulle spalle.

Così dicendo avvolsi a mo’ di sciarpa il corpo di Muthsera attorno al collo e gli feci poggiare la testa sul mio avambraccio destro, poiché dato che per tenere la torcia lo tenevo alzato potesse vederci meglio.

-Non ti muovere troppo, che la tua pelle mi fa senso sul corpo...

-Ah, è la mia pelle a provocare senso a te, non viceversa? Sembra di stare appoggiato ad una padella pelosa...

-E’ la maglia della scuola, non sono così peloso io!

Per il resto della serata continuammo a punzecchiarci e ad esplorare i meandri più reconditi del Castello, finendo per trovare ben sette uscite nascoste in Biblioteca, nei corridoi del quarto e quinto piano, all’interno di un’imprecisata aula scolastica e perfino in un bagno con vista sul Cortile di Trasfigurazione: potevo ritenermi soddisfatto.

-E chi se li ricorda adesso tutti questi passaggi che abbiamo scoperto?

-Fatti una mappa, almeno non te li dimentichi più!

Il tono di Muthsera era ovviamente ironico, ma più ci pensavo e più una mappa della scuola rappresentava la soluzione di tutti i miei problemi scolastici e non.

-Guardate chi c’è, il redivivo! Non è che sei in combutta con Piton? Ogni volta che vai con lui sparisci per delle ore... Qui gatta ci cova!

Fred mi prese a braccetto e mi spinse al di fuori della Sala Comune.

-Andiamo in Sala Grande assieme, altrimenti finisce che sparisci pure lì.

-Si, un attimo, devo prima darmi una sciacquata, non posso...

-Lo farai dopo, al massimo mangi coi guanti, ahahah!

Così finii per cenare con un serpente avvinghiato al braccio, non certo il massimo della comodità, né del buongusto.

 

-Cosa dicevi della cena più importante del pranzo per voi inglesi? Stufato di lampreda... Mi ha fatto più schifo del porridge, non ho toccato cibo, per fortuna c’era un pandolce come dessert.

-Sembra che ai duchi di Normandia continui a non piacere la cucina locale. Se anch’io dovessi mostrare i vostri gusti nella correzione dei vostri compiti, difficilmente riuscirei a promuovere qualcuno all’interno di questa classe... Ed infatti è così.

Il professor Piton entrò in classe sbattendo come sua prassi la porta e facendo svolazzare dei fogli che finirono sui nostri banchi e che si rivelarono essere i nostri compiti corretti.

-Ma perché parli di cibo sempre quando siamo in sua presenza?

-Non lo so, m’è venuto in mente solo ora, vedendo tutti questi ingredienti strani sulla cattedra.

-Questi voti sono da considerarsi validi solo per l’impegno profuso da alcuni di voi nella stesura di queste relazioni, non riguardo al contenuto stesso, altrimenti non avrei dovuto promuovere praticamente nessuno. All’infuori di questo episodio, la prossima volta che oserete consegnarmi testi talmente scadenti sul lato contenutistico e grammaticale, vi giudicherò come se non aveste presentato alcunché, il che significherebbe l’assegnamento arbitrario del voto Troll... Per inciso, il peggiore. Date una rapida occhiata agli errori concettuali, mentre per tutto il resto non posso far altro che consigliarvi vivamente di seguire le lezioni di Inglese che la professoressa Burbage, il sabato pomeriggio, ha deciso gentilmente di intrattenere per voi del primo anno.

Non riuscii a vedere i compiti di tutti gli altri, ma già tra il mio e quelli di Brendan e Miller il risultato generale era più che deprimente: tre Scadenti, un Accettabile e due Desolanti.

-Prima di iniziare, ci sono domande?

Miller fu l’unico ad alzare la mano.

-Sì... Signor McBumble?

-Dove sarebbe di preciso l’aula dell’insegnante che ha nominato lei?

Piton lo fucilò con lo sguardo, poi aggiunse:

-E allora prima che a qualcuno venga la brillante idea di dare aria alla propria bocca con certe idiozie, diamo inizio alla lezione di oggi, che parlerà della Pomata Lucida Ottoni.

 

-Buh!

La stanza del professor Wilkins era avvolta dall’oscurità e lui ne ha approfittato per farmi prendere uno spavento.

-Ma che succede?

-E’ per la lezione di oggi, i tuoi compagni di sotto stanno per imparare uno degli incantesimi più utili che vedrete quest’anno a scuola e tu non puoi essere da meno.

-Un incantesimo oscuro per Occultare gli oggetti?

-No, tutto il contrario, per far luce tra le tenebre...

-Ma non era il Verdimillius quello?

-No, è un’altra cosa ancora... Insomma, guarda qua: Lumos!

Dal buio più totale apparve una flebile luce bianca il cui bagliore delimitava i lineamenti del volto del mio tutore.

-E posso pure modularla sia in ampiezza che in intensità, guarda!

La lucina si era improvvisamente trasformata in un faro allo xeno talmente potente che non riuscivo a vederci più da quanto fosse diventata abbagliante.

-Forse ho esagerato un po’. Che ne dici, non è interessante? Potrai illuminare ogni stanza, non c’è più la limitazione degli oggetti precedentemente Occultati. Ti serve un po’ di luce per andare al gabinetto? Usi il Lumos a bassa potenza. Ti serve per leggere un libro la notte? Lo usi a potenza media. Ti serve per illuminare un intero ambiente? Lo sfrutti alla massimo come ti ho mostrato poco fa. E’ molto versatile e ci sono pure diverse varianti, ma sono un po’ più avanzate, procediamo con ordine.

Effettivamente sembrava davvero utile, specie per un fanatico come me delle escursioni notturne tra gli anfratti della scuola. Poggiai quindi il mio libro di DCAO sul tavolino dinanzi il caminetto e mi sedetti sulla poltrona.

-Ma no, che fai, non ci servono i libri, guarda i miei movimenti, è così semplice!

Svolgendo un paio di semiarchi in aria il professor Wilkins mi mostrò lentamente il giusto movimento di polso da effettuare per lanciare correttamente il Lumos. Sembrava semplice, se non fosse per un piccolo particolare.

-Professore ma il Lumos rende la bacchetta una fonte di luce, ma io non ce l’ho una bacchetta! Cosa dovrebbe illuminarsi da me, la mia mano?

-Ah vero... Giusto, che sbadato... Non saresti qui con me adesso altrimenti... Tu provaci lo stesso, non si sa mai!

-Sarà... Un semiarco crescente, poi uno decrescente... Seguiti da una prima chiusura ed infine da una seconda per formare una specie di otto e poi... Lumos!

Niente.

-Riprovaci, dai!

-Non credo funzionerebbe, questa volta una bacchetta mi serve davvero.

-Allora tieni questo!

Il professore mi tirò contro un mestolo di metallo, evidentemente voleva dare fondo a tutta l’argenteria della stanza.

-Usalo come se fosse una bacchetta, provare non ti costa nulla.

In realtà mi costava in dignità, dato che mi sentivo un vero idiota con un cucchiaione in mano a provare incantesimi che qualsiasi altro studente non avrebbe avuto problemi nell’apprendere.

-E va bene... Lumos!

Sorprendentemente funzionò, anche se per pochi istanti.

-Accidenti, si è spenta!

-E’ normale, ti sei deconcentrato... Riprova!

Ripetei a mente il movimento del polso, tutt’altro che semplici ed intuitivi come asseriva il mio tutore.

-Lumos!

Mantenere la luce viva e vegeta sull’estremità concava del mestolo si dimostrò più complicato del previsto, ma alla fine riuscii a farcela anche questa volta.

-Hai visto? Una volta lanciato correttamente il Lumos diventa autonomo, non ha più bisogno del volere del mago per mantenersi attivo, si spegnerà solo quando tu lo vorrai... Ma prima esercitiamoci a modularne l’intensità: se vuoi ingrandire la luce concentrati sull’incanto e poi alza leggermente la bacchetta, cioè il mestolo; se invece vuoi diminuirla fa’ lo stesso ma abbassandolo.

-Lumos su...

-Bene.

-...E Lumos giù!

-Ottimo, ci sei già riuscito. Una piccola cosa: non c’è bisogno di ripetere ogni volta Lumos, basta che lo pensi e funziona comunque, tanto il grosso del lavoro ormai è stato fatto. Adesso non ci rimane che imparare a disattivare l’incantesimo e ad impratichirci ulteriormente, giusto per esserne sicuri. Per spegnere la luce prodotta dal Lumos basta ripetere a voce alta Nox e dare un colpetto alla bacchetta. Per le prime volte forse è meglio darle dei begli strattoni.

-Boh, proviamo: Nox!

E la bacchetta di fortuna tornò ad essere un normalissimo mestolo da cucina. Ripetei il procedimento di accensione e spegnimento un altro paio di volte fin quando il mio insegnante non mi interruppe.

-Incredibile, ce l’hai fatta nuovamente al primo tentativo... A quest’ora i tuoi compagni staranno ancora cercando di capire come impugnare correttamente la bacchetta. In realtà la lezione sarebbe finita, ma tu sei uno studente fuori dall’ordinario e, scusa la mia poca modestia, neanche io sono un insegnante del tutto ordinario, perciò ti posso insegnare qualcosa di più avanzato.

Sembrava felice come un bambino, come se gli incantesimi li stesse imparando lui e non viceversa. Si smanicò e fece spazio tra il mobilio per prepararsi al meglio a ciò che stava per accadere.

-La prima variante del Lumos non è niente di particolare, è solo un po’ più difficile da eseguire ed ha un effetto prolungato nel tempo ma che si consuma a differenza dell’incanto originario. E’ il Lumos Maxima, che come capirai dal nome, è utilizzato per illuminare intere aree e non piccoli ambienti come questa stanza. Ma dato che non abbiamo l’intera Ala Vecchia a disposizione ci accontentiamo della mia stanza... Pronto? I gesti sono identici tranne alla fine, dove dovrai lanciare il punto luce lontano da te.

Pronto o no devo farlo comunque, quindi...

-Lumos Maxima!

Whisss!

Una coltre di raggi ottici illuminò l’intera stanza: il prodotto del mio incantesimo era talmente abbagliante da costringerci a chiudere gli occhi e ad uscire dalla stanza, rintanandoci nel bagno privato del professore.

-E’ andata bene direi, non ci vedo più per via dello sfarfallio, ma è un buon segno, credo.

-Professore, posso inumidirmi gli occhi? Credo mi stiano per sanguinare...

-Sisi, come no, anzi ti seguo a ruota.

Dopo aver atteso qualche minuto seduti sulla tavolozza del water e sul gradino della vasca provammo ad aprire la porta del bagno.

-Che ne dici, credi che l’effetto del tuo incantesimo sarà svanito?

-Non lo so, provi.

Aprendo appena la porta, un intenso fascio di luce pervase il nostro nascondiglio, segno che il Lumos Maxima non si era ancora estinto.

-Direi di no.

-Già.

Ben ventidue interminabili minuti dopo potemmo passare all’incanto successivo, che avrei lanciato questa volta in bagno per poter usufruire della stanza principale anche dopo la sua esecuzione.

-Il Lumos Solem nelle modalità è identico in tutto e per tutto al Maxima, ma credimi se questa volta sarà difficile da eseguire, dato che dovrai emulare l’irradiamento che naturalmente fornisce il sole.

Mi preparai a lanciarlo mettendomi in posizione da battitore di baseball.

-Ragazzo, mi raccomando, prendi bene la mira e lancialo in bagno, altrimenti oltre a rimanere ciechi moriremo pure dal caldo questa volta.

-Sissignore. Lumos Solem!

Una grossa palla di luce arancione si diresse in tutta velocità verso il bagno del docente, che si affrettò a chiuderne la porta d’accesso con un gesto repentino della bacchetta.

-Et voilà, riuscito alla perfezione... Non che nutrissi dei dubbi in merito. Aspettiamo qualche secondo e poi... Ecco, tocca la porta.

Poggiando la mano sopra riuscii a sentire tutto il calore che proveniva da dietro di essa.

-Come un sole caldo che in natura riscalda e dona vita ad ogni cosa, anche il Lumos Solem fa lo stesso se eseguito alla perfezione. Ne approfitterò per farmi una bella sauna una volta terminata la nostra lezione.

Era stranamente sia buffo che disturbante immaginarsi il professor Wilkins in accappatoio e ciabatte pronto a sudare dentro uno stanzino in cui era appena stato impiantato un sole in miniatura.

-Non per metterti paura Ragazzo, ma la prossima variante del Lumos è davvero roba molto avanzata, talmente tanto che non viene nemmeno insegnata in questa scuola, ma solo in alcuni corsi specialistici per Auror e Obliviatori, perciò se non dovessi riuscirci non prendertela con te stesso, è normale. Sarebbe anormale il contrario ed in quel caso sarei io a provare timore. Scherzo, ne sarei felice invece, ma non fasciamoci la testa prima di rompercela: l’incanto è il Deluxon, che al contrario di tutti i sortilegi visti finora, esercita l’effetto diametralmente opposto. Esso infatti assorbe totalmente l’energia luminosa da tutte le fonti di luce naturali e artificiali nei dintorni, per lasciare al loro posto la più fredda e cupa oscurità. Ti mostro io come funziona... Deluxon!

Al lancio dell’incantesimo, tutte le fonti di luce della stanza, la fiammella della lampada ad olio sul tavolo del professore e la brace del caminetto, vennero assorbite dalla punta della sua bacchetta, svanendo. Al loro posto rimasero le ombre di ciò che fino a poco prima erano: fiamme vacue e spettrali danzavano tra i ceppi senza che emanassero luce o tepore.

-Occhio a non avvicinarti troppo, quella fiamma non trasmetterà più calore, ma può comunque ustionarti per contatto diretto.

Che cosa strana...

Era effettivamente la stregoneria più interessante tra tutte quelle viste quel giorno, dovevo assolutamente padroneggiarla.

-Se non ti ricordi il movimento corretto te lo rimostro: è l’inverso di quello del Lumos, con in più uno strattone all’indietro finale che serve per assorbire le fonti di luce nei paraggi. Puoi anche decidere di spegnere una sola luce alla volta anziché tutte assieme, basta concentrarsi solo su un obiettivo e mirare bene con la bacchetta. Adesso rilascio le fonti di luce che ho delumizzato e poi ci provi tu... Ah, ho dimenticato di dirti che come il Nox disattiva l’incanto della luce magica, per fare la stessa cosa con il  Deluxon serve usare il Denoctis. Per imparare entrambi ci ho messo più di due settimane durante il seminario dell’accademia, non so se ti ho reso l’idea... Sono comunque curioso di vedere come te la cavi, perciò... Denoctis!

Così come erano sparite, entrambe le braci tornarono al loro posto, pronte a consumare tutto ciò che le loro fiamme erano in grado di mordere... Ed io sarei riuscito a spegnerle?

-Se fallisco la colpa è comunque di questo mestolo e non mia...

-Nessuno è mai riuscito in qualcosa se è partito con un atteggiamento negativo... Credici! Se non puoi tu, non può nessuno!

Ma sbaglio o mi sta sopravvalutando eccessivamente? Spero che non venga a conoscenza della mia performance a Volo, altrimenti gli crollerebbe un mito... Forza, ce la posso fare!

-Deluxon!

Mi sembrò per un attivo che la fiamma della lucerna si fosse mossa di qualche millimetro, ma poi tutto tornò come prima.

-Umh, ritenta... Abbiamo un sacco di tempo dopotutto.

-Deluxon!

-Deluxon!

-Deluxon!

-Ho detto Deluxon!

Per un oscuro motivo il mestolo iniziò a diventare rovente, tanto da spingermi a gettarlo per terra per non ustionarmi.

-Cosa c’è?

-E’ improvvisamente diventato caldo...

-Umh, lo vedo, scotta davvero tanto. A questo punto direi che è meglio fermarci, o potremmo farci male senza comunque conseguire alcun risultato.

Non mi trovavo d’accordo: per una volta c’era un incantesimo che mi interessava davvero imparare e non volevo rinunciarci a causa di un utensile da cucina che si era surriscaldato.

-Sono più abituato a mani nude mi sa... Provo così: Deluxon!

Finalmente le due fiamme si decisero a schiodarsi dalle loro sedi per trasferirsi all’interno del palmo della mia mano destra, che adesso provava la singolare sensazione di un calore di natura esterna ma che si propagava all’interno della mia pelle. Avrei dovuto annullare il Deluxon con il Denoctis, ma a questo punto ero deciso a provare uno dei precedenti incantesimi senza l’ausilio del cucchiaione.

-Lumos!

Il tepore intenso che provavo al di sotto della cute si manifestò in tutta la sua brillantezza sottoforma di una sfera uniforme che poggiava delicatamente sulle estremità dei miei polpastrelli: era una sensazione fantastica.

Dio, mi sento Goku! Solo che adesso mi lacrimano gli occhi, la luce è troppo forte...

Stringendo il pugno rilasciai l’incanto pronunciando sommessamente Nox. Il camino tornò a divampare animatamente, ma qualcosa dovette andare storto per la fiammella della lanterna, perché si estinse del tutto.

Clap! Clap!

-Magnifico! Davvero magnifico! Avevo ventun anni e ci ho comunque impiegato due settimane ad imparare un incantesimo che tu sei riuscito a padroneggiare con così tanta maestria! E l’effetto che fa una sfera di luce sulla mano nuda... Ripeto: magnifico!

-Bello, eh? Peccato che non posso mostrarlo a nessun altro all’infuori di queste lezioni... Ci sarebbero alcuni ragazzetti che necessiterebbero una lezione su chi è un vero mago oppure no.

-Già, è un peccato, ma tieni duro per queste settimane, una volta ottenuta la tua bacchetta potrai uscire allo scoperto, anche se terrei sempre per me il fatto di saper lanciare incantesimi senza l’ausilio di catalizzatori magici... Sai com’è, se non altro per avere un asso nella manica in caso di necessità.

-Effettivamente è vero.

-Ho solo un paio di cose da aggiungere sul Deluxon: primo, non puoi delumizzare fonti di luce provenienti da elementi magici o chimici. I primi perché semplicemente non puoi, non contengono alcuna base energetica alla quale togliere il potenziale luminoso, i secondi perché si rinnovano ogni istante e anche se riuscissi ad assorbirne le radiazioni in un preciso momento, in quello successivo ne nascerebbero di nuove, vanificando il tuo sforzo... Per farla breve, se provi a delumizzare il ventre di una lucciola fallirai, così come tutte quelle fonti di luce che si basano su principi simili. Secondo, sebbene teoricamente è possibile delumizzare il sole e le stelle, esse sono troppo grandi e lontane per poterci riuscire, perciò non provarci, ti risparmio questa delusione che tutti gli studenti che si apprestano allo studio della delumizzazione prima o poi provano, compreso me. Volevo scrivere il nome della mia ragazza con le stelle di una notte d’estate, ma l’unica cosa che ottenni fu una sonora figuraccia.

Ma è così assurda come pretesa che non ci avrei minimamente pensato...

-Guarda che ore sono: tutti questi incantesimi e abbiamo comunque finito dodici minuti prima del termine della lezione di Difesa. Incredibile, vero? Ah, un’ultima cosa: Piton questa mattina vi ha parlato della Pomata Lucida Ottoni, vero?

-Sì, ci ha pure chiesto di riprodurla la settimana prossima e di trascrivere una relazione sui possibili usi di tale crema.

-Perfetto. Se mai ti chiederà perché non la si usa per lucidare altri metalli la risposta è perché semplicemente non avrebbe effetto, tranne che sul ferro, che lo ossida irreversibilmente. E’ una domanda infame che fa agli studenti ogni anno, non è scritta in alcun libro di testo e quindi ci cascano tutti... Tu non farti trovare impreparato.

-Beh, allora grazie signore.

-Di nulla, non ho mai sopportato i suoi metodi così umilianti. Credo potremmo congedarci qui, tu ti sei indubbiamente meritato qualche minuto di riposo, mentre io ho un bagno turco che mi attende.

Allora è meglio che me la squagli alla svelta...

 

 

-Non è possibile: posso comprendere le tue sparizioni durante le ore buche, ma non presentarsi perfino alle lezioni, è inconcepibile! Eri di nuovo in punizione con Piton?

Fred mi stava rimproverando la mia assenza alla lezione di DCAO di quel pomeriggio in Sala Grande.

-Lupin non vi ha detto nulla?

-Ha farfugliato qualcosa sul fatto che per la tua situazione è stato deciso che è meglio che studi privatamente le parti più teoriche delle materie, in modo da non rallentare eccessivamente il decorso delle nostre lezioni, ma a questo punto che senso ha venire a scuola?

-Già, non è molto sensato... Chomp!

Rupert doveva immischiarsi per forza, anche con la bocca piena di ravioli alla panna.

-E’ solo una situazione temporanea, fino a quando anch’io avrò la mia bacchetta, poi frequenterò le vostre stesse lezioni. E comunque so già tutto di quello che Lupin vi ha insegnato oggi: l’incanto Lumos.

-Sì, ma non parlo soltanto dei contenuti delle lezioni, ma di tutto ciò che ti perdi in questo modo. Ad esempio oggi siamo ritornati all’Ala Vecchia per esercitarci in questo nuovo incantesimo e siamo entrati in una stanza talmente buia che non si vedeva ad un palmo dal naso. Quel furbone di McBumble fa cadere la sua bacchetta per terra e così ci siamo messi tutti a cercarla facendo luce coi lumicini prodotti dalle nostre bacchette. Solo che chi la trovava anziché prenderla la calciava più lontano, in modo da farla smarrire nuovamente tra le tenebre... Tutto bellissimo, finché quell’altro genio di Dogan non ha esagerato come suo solito e l’ha calciata così forte da fargli fare un tale chiasso che era impossibile non capire dove si trovasse anche al buio, così Lupin ha posto fine al gioco raccogliendola al posto nostro. La faccenda è comunque durata parecchio, almeno una decina di minuti.

-Bum! L’hai sparata! Saranno stati cinque minuti scarsi al massimo...

Effettivamente da come l’avevano raccontata sembrava mi fossi perso una lezione davvero divertente, un vero peccato.

 

-Vediamo cosa abbiamo qui... Umh, una trasfigurazione davvero complessa devo dire: trasformare un comune sasso in un pezzo di marmo. Metterà a dura prova uno studente che riesce a tramutare un candelabro in una tartaruga senza il minimo sforzo.

-A dire il vero il candelabro lo trasformo in un lumacone nelle due varianti con o senza guscio.

-Bah, è lo stesso... Per te sarà una bazzecola. L’incanto da usare è il Litomors, provaci su.

Una volta riuscito alla perfezione anche questo incantesimo, il mio tutore mi spronò a variare la trasfigurazione modificando il minerale finale. Così trasformai il marmo in tufo, il tufo in argilla e l’argilla in gesso, anche se quest’ultimo venne piuttosto annacquato rispetto alle mie aspettative.

-Troppo semplice, vero? Guarda, vai in camera tua e sfrutta questo tempo libero per studiare bene dal libro di testo tutta la parte riguardante alle rune degli Intenti Inanimati e alle varie convenzioni che sono state adottate per questi tipi di trasfigurazioni, perché al primo anno più che sulla pratica la McGranitt punta alla fermezza dei concetti teorici. Ci vediamo domani pomeriggio.

 

-Non dirmelo: mi sono perso un’altra entusiasmante lezione. Avete trasfigurato la testa di Miller in un opale.

-Questa volta no, anzi... tutt’altro. E’ stata la lezione più barbosa dell’anno finora, neanche Storia della Magia riuscirebbe a farmi sbadigliare tanto.

Ma Fred si sarebbe ricreduto il mattino immediatamente successivo, alla lezione del professor Rüf.

-Basta! Ma è possibile che debba raccontare vita, morte e miracoli di ogni essere umano apparso in questa terra?

-Dato che come vi avevo già annunciato, quasi metà del programma di Storia della Magia di quest’anno si sarebbe concentrato sulla storia e la fondazione di Hogwarts, adesso facciamo un doveroso salto temporale di una decina di millenni, che ci trasporta all’incirca al 980 d.C., periodo della fondazione della nostra scuola. Come già saprete, la scuola fu fondata dai quattro maghi a cui devono il nome le vostre Case: Godric Grifondoro, Salazar Serpeverde, Cosetta Corvonero e Tosca Tassorosso, per dare un punto di riferimento a tutti i maghi e le streghe che avessero voluto coltivare i propri talenti all’interno di una comunità accademica e progressista. Di loro parleremo specificatamente più avanti nel corso, mentre da questa lezione fino alla fine del prossimo mese ci soffermeremo sulle motivazioni sociali, politiche e geografiche della scelta di questo lembo di valle come sede di ciò che nei secoli diverrà la più importante scuola di magia e stregoneria del Commonwealth britannico. Perciò prendete appunti, segnalatevi i libri di testo che man mano vi elencherò perché entro Novembre dovrete consegnare un vostro progetto, anche collettivo se volete, che dimostri la vostra pedissequa conoscenza della storia e delle usanze di questa scuola e di ciò che rappresenta nelle società di ieri e di oggi.

Perfetto, la mia idea di fare una mappa dell’intero castello adesso ha pure una motivazione scolastica: mi farò aiutare da Brendan e da chiunque altro abbia il coraggio di impelagarsi in un progetto tanto folle.

-Nooo...

Il resto della classe non sembrava aver preso positivamente la notizia come me.

 

-Eh si, questa volta sarà dura, Ragazzo, durissima. Far levitare una pesantissima piuma d’oca... E adesso come facciamo?

Sapevo che come al solito il professor Wilkins stava facendo il sarcastico, ma se non mi svelava almeno il nome dell’incantesimo da utilizzare, riuscirci era davvero dura.

-Agita e colpisci, niente di più semplice: Wingardium Leviosa! Ecco fatto, se muovi la bacchetta in una determinata direzione, la piuma la seguirà e se rilasci l’incanto, essa cadrà perché senza più alcuna forza che la tenga sollevata da terra. Ovvio. Basilare. Elementare.

-Wingardium Leviosa!

La grossa penna d’oca che era dinanzi a me iniziò a fluttuare comandata dal mio volere. Poteva anche essere un incantesimo di semplice esecuzione, ma era comunque di grande effetto e dava le sue belle soddisfazioni.

-Ovviamente esistono anche altri sortilegi più o meno complessi che prevedono la levitazione di oggetti, tra cui i più utili e noti sono il Levitate ed il Levicorpus. Il primo potremmo anche provarlo perché non è altro che un incantesimo che solleva da terra un corpo per un certo periodo di tempo senza la necessità di controllare l’esecuzione come nel caso del Wingardium Leviosa, mentre il secondo è una fattura che colpisce gli esseri umani e, dato che qui dentro oltre a te ci sono solo io, e di certo non voglio finire a testa in giù, diciamo che questo per il momento lo saltiamo. Tanto lo si impara soltanto al quinto anno, quindi non abbiamo poi tutta questa fretta.

-Quindi abbiamo finito?

-Tecnicamente sì, ma non possiamo chiudere dopo soli dieci minuti, non credi? Visto che questa volta hai ben poco da studiare dal libro di Incantesimi, perché non ci portiamo avanti col lavoro prevedendo ciò che gli altri insegnanti ti insegneranno nelle prossime lezioni? Iniziamo da Erbologia: mi gioco la gamba buona che la professoressa Sprite vi parlerà del...

 

-Aguamenti, uno degli incantesimi più utili che un aspirante erbologo potrà mai apprendere. Come vi avevo accennato la settimana scorsa i Digitali Silvani sbocciano soltanto in presenza di maghi e streghe nelle prossime vicinanze e solo se innaffiati a dovere. A proposito, avete svolto un ottimo lavoro riguardo la ricerca che vi avevo assegnato giovedì scorso, alcuni di voi hanno persino corredato i loro compiti con delle foto dei boccioli, non potevo che premiarli con un Eccezionale, complimenti davvero.

Il gruppetto con il quale ho collaborato per il compito si scambiò pacche sulle spalle e stette di mano, pregustandosi il primo buon voto della nostra carriera scolastica.

-Come dicevo, bisogna bagnare la superficie esterna delle campane dei Digitali Silvani se vogliamo sfruttare la loro proprietà di attrazione per i Dissennatori, perciò esigo che voi tutti imparerete ad usare alla perfezione quest’incantesimo tanto importante. Capisco che non è una magia adatta al vostro livello ancora acerbo, ma non abbiamo fretta: dedicheremo l’intera lezione di oggi all’apprendimento di questo complesso incantesimo. E’ difficile perché vi costringe ad attingere all’acqua che fino ad un momento prima era semplicemente il vapore acqueo presente nell’atmosfera, per concentrarlo nelle punte delle vostre bacchette.

 

-E’ una sciocchezza: insomma, dopo che hai creato un sole artificiale in una camera da letto, figurati se avrai problemi nel produrre un po’ d’acqua per annaffiare quattro fiorellini. Innalziamo un po’ il tasso di difficoltà, passiamo direttamente all’Aquaeructo!

 

-Signorina Carrow, vuole provarci lei? Stringa bene la sua bacchetta tra le mani... Sì, entrambe, perché il getto che ne scaturisce potrebbe sbilanciarti e fartela perdere. Ok, brava così... Adesso ripeta con me:  Aguamenti!

 

-Il segreto sta tutto nella posa e nella sicurezza dei movimenti: se parti curvo o impaurito, allora preparati a farti un bagno con le tue stesse mani. Se invece rimani rigido nella posizione ma allo stesso tempo rendi flessibili le tue articolazioni, nulla potrà farti perdere l’equilibrio e potrai inondare l’intera serra di Erbologia senza battere ciglio!

 

-Non fa nulla Flora... Sei Flora, vero? Che bel nome... E’ comunque normale fallire la prima volta, riprovaci. Questa volta però sii più convinta!

-Aguamenti!

 

-Sei pronto? Mi raccomando, mira alla vasca, che se sbagli inondi tutto...

-Sisi, non c’è bisogno che me lo ripete cento volte... Aquaeructo!

 

Dalla bacchetta di Flora Carrow sgorgò della limpida acqua cristallina, che idratò delicatamente i piccoli boccioli di Digitale Silvano, che si aprirono lentamente come svegliatisi da un tenero sonno. Dalle mie mani incrociate scaturì invece un flusso idrico talmente potente da farmi ribaltare e cadere sulla schiena, cosicché il getto si riversò in aria, trasformandosi in un’incessante pioggia torrenziale.

-Stacca le braccia, per Diana!

Riotteni il controllo della situazione quando ormai era troppo tardi: l’intero bagno era ormai allagato e sia io che il mio insegnate eravamo zuppi fino al midollo.

-Puah! Me lo dovevo immaginare, ci sono incantesimi che non possono assolutamente essere insegnati al chiuso... Scemo io che ci ho provato lo stesso.

-Mi scusi professore, mi dispiace davvero tanto, io non credevo...

-Tranquillo, è solo acqua dopotutto. Almeno adesso sai come provocare un allagamento, in caso qualche compagno ti incendi le mutande.

 

-A quanto mi hanno detto da questa mattina siete diventati esperti evocatori d’acqua... E’ un bene perché proprio l’acqua è l’ingrediente preponderante nella miscela di oggi. Prendete un bacile e riempitelo per tre quarti d’acqua, poi seguite alla lettera le istruzioni di pagina ventitre e ventiquattro del vostro libro per preparare la pozione Scioglipietra. Avete due ore di tempo.

 

-Invece il professor Lupin venerdì mattina cosa ci insegnerà?

-Beh, se non ricordo male, dopo il Verdimillius e il Lumos tocca al Flipendo, un...

 

-Utile incantesimo di difesa, ma volendo anche di attacco, se si ha a che fare con animali o piccole creature dei boschi. E’ una sfera di energia magica che parte dalla punta della bacchetta del mago e che viene lanciata con una forza variabile, a seconda degli usi che se ne vuole fare.

-Professore, cosa intende esattamente per piccole creature dei boschi?

-Ah, domanda interessante. Intendo tutte quelle creature magiche che non sono particolarmente intelligenti né aggressive, che possono spaventarsi alla vista di un grosso pallone luminoso che vola in loro direzione.

 

-Può servire anche a spingere e a capovolgere oggetti leggeri o mediamente pesanti e, se lanciato con particolare forza, può persino rompere strutture costituite da materiali fragili o irrimediabilmente intaccati. Ma visto che per la difesa personale esistono un sacco di fatture, per spingere e ribaltare gli oggetti esiste il Depulso e per rompere e distruggere, niente è meglio del buon vecchio Reducto, il Flipendo in definitiva è un incantesimo inutile.

 

-Un versatilissimo strumento per i maghi alle prime armi: con la lezione di oggi avrete modo di saggiarne le sue mille utilità. Walter, vuoi farci vedere tu come si può usare il Flipendo per spostare senza fatica questa pesante cassa di palloni da Quidditch?

 

-Insomma, mi vuole far credere che tutto il primo anno sarà costellato da insegnamenti ed incantesimi inutili?

-Io non ho mai detto questo, però per larga parte sì. Ma non lo dire in giro... Acqua in bocca, oltre che nei nostri vestiti!

 

Arrivarono infine il venerdì sera ed il sabato mattina, dove il professor Wilkins non poté aiutarmi a prevedere gli argomenti delle lezioni. Il che si trasformò in una noia mortale per la prima materia e una tragedia isterica per la seconda.

-Quest’oggi parleremo e osserveremo da vicino le più importanti costellazioni visibili dal nostro osservatorio.

Dove per più importanti la professoressa Sinistra intendeva tutte quelle presenti nel libro, anche quelle che non erano più visibili da almeno 300 anni causa allineamento avverso dei pianeti.

-Ma dove li vedevano i cigni, i leoni, gli orsi e gli arcieri gli astronomi del passato? Erano tutti strafatti di  una qualche sostanza illegale?

-Signor Runcorn, anche se sono quasi le due del mattino, non è autorizzato a fare commenti del genere.

-Ma se non parlo, qui crollo...

-Fai come Sullivan, che sta osservando la costellazione del Grande Carro da più di un’ora!

-Signor Bones, ma sta dormendo appoggiato al cannocchiale?

 

-Dimmi Ragazzo, qual è il tuo problema? Tutti gli altri tuoi compagni sono riusciti a superare il percorso guidato già da un pezzo!

-Non lo so, Madama Bumb, veramente... Io ci provo, ma barcollo sempre e poi poggio i piedi per terra. Forse è la scopa che non funziona: l’ho presa usata e non vorrei fosse difettosa...

-No, non è la scopa il problema, altrimenti non si sarebbe alzata nemmeno di un pollice. Hai paura delle altezze?

-Paura? No, perché dovrei...

-Chi lo potrebbe sapere meglio di te: da bambino sei mai caduto da un posto in alto, o è caduto un tuo famigliare?

-No no, non credo proprio. Al massimo avevo l’insensato timore di darmi così tanta spinta sull’altalena da farmi fare un giro completo per poi spiaccicarmi la faccia al suolo.

-Davvero? Sull’altalena?

-Sì, perché?

Così mi ritrovai appeso per i fianchi sul cornicione della Torre di Allenamento del Quidditch per un’ora e mezza: un salto di più di dodici metri che al solo guardarlo mi venivano i crampi allo stomaco.

-E’ per il tuo bene Ragazzo, credimi! Vedrai che sabato prossimo riuscirai a volare come tutti gli altri!

Da lassù l’insegnante di Volo sembrava veramente minuscola ed insignificante, chissà come avrebbe reagito se le avessi sputato da dodici metri di altezza.

Una volta sceso a terra notai di aver guadagnato una perenne sensazione di nausea ed un nuovo amichevole appellativo: Gargoyle, come se Ragazzo già non mi bastasse.

Per fortuna però alla lezione pomeridiana d’Inglese della professoressa Burbage, riuscii a dimostrare la mia bravura nella stesura dei temi che l’insegnante ci aveva lasciato per verifica. Avevo deciso di disattivare il Logos Comprehendi per approfittare il più possibile degli insegnamenti del docente, poiché anche se commettevo parecchie sviste, quelle lezioni non prevedevano voti e non rischiavo di venir bocciato. Sorprendentemente commisi pochi errori e quasi tutti riguardanti le forme al passato e al condizionale, miei già ben noti punti dolenti, così come fu inaspettata la massiccia presenza dei miei compagni di anno che, a parte di un paio di prevedibili assenze, hanno deciso di frequentare quest’ennesimo corso per paura di venire cannibalizzati da Piton.

-Ho una bellissima notizia per voi, giovani maghi e giovani streghe del primo anno: una mia brillante allieva del terzo anno si è offerta volontaria nel correggere i vostri compiti di Pozioni di questa settimana. Alla fine della lezione per tutto il resto della giornata di oggi e per quella di domani sarà a vostra disposizione se avrete la necessità di farle visionare le vostre relazioni. Vieni qui Hermione, fatti conoscere da questi angioletti.

-Ehm, salve... Come ha già detto la professoressa Burbage sono disponibile sia oggi che domani presso la Biblioteca della scuola per farvi da tutor e aiutarvi nei ben noti difficoltosi compiti di Pozioni. Spero verrete in tanti così faremo reciproca conoscenza.

Dove ho già visto questa tipa? Ah già, al Paiolo Magico... E’ una degli svalvolati che sono andati in Egitto quest’estate.

-Bene, puoi andare Hermione, sono sicura che presto riceverai molte visite da parte loro, sono volenterosi: si vede.

-Ah, io ci vado di sicuro: nella Sala Comune dei Grifondoro non si fa altro che parlare di lei e dei suoi voti scandalosi in ogni materia. Se è vera solo la metà delle cose che ho sentito sul suo conto ho comunque risolto i miei problemi con Piton.

Ciò che disse Matheus mi rincuorò in qualche modo: forse non era poi così svitata come pensavo.

Passai il resto della serata cercando di rendere il più presentabile possibile il mio testo da far correggere alla tipa di Grifondoro il giorno dopo ma, verso le sette, esausto anche per via della nottata in bianco della sera prima, crollai saltando pure la cena. Mi svegliai soltanto il mattino dopo sotto gli insistenti richiami di Muthsera che reclamava disperatamente acqua e cibo.

Dannazione, mi sono completamente dimenticato di Muthsera e Rudra, spero che il mio gufo non sia morto di fame...

Era dura passare dal non avere nessun animale domestico al possederne due alla volta: alcune azioni abitudinarie dovevano ancora entrarmi in testa.

-Sì, adesso scendo in Sala Grande e prendo qualcosa da mangiare... Anche io ho digiunato ieri, sai?

-Io digiuno da otto giorni, mannaggia a te!

-Sono stato occupato, lo sai...

-Almeno potevi farmi tornare serpente, mi sarei arrangiato, sento proprio le fitte della fame...

Lasciai Muthsera ai suoi soliti piagnistei e mi diressi verso la Sala Grande, avrebbe giovato pure a lui se mi fossi affrettato a tornare con un po’ di vettovaglie. L’insipida colazione Hogwartsiana sembrava meno insapore quando si moriva di fame, feci addirittura il bis di pane alla crusca con marmellata di un qualche melenso frutto di provenienza gallese.

-E vai, la posta della domenica!

Come la settimana prima un nutrito gruppo di gufi scese in picchiata sui nostri tavoli per consegnare la posta ai legittimi destinatari. Rudra non sembrava poi così deperito, ma gli avrei comunque fatto una visitina nel pomeriggio per pulirgli la cuccetta e rifornirlo di becchime per la settimana successiva.

-Ooh, stavolta nessuna lettera da parte dei miei, forse si sono offesi delle mie mancate risposte alle loro ultime due missive... Meglio così. Allora questo cos’è? Ah già, il pacco che avevo ordinato da Hogsmeade.

Attorno a me s’era creata un po’ di calca.

-Aprilo!

-Aspettate, devo godermi questo momento il più possibile...

Allontanai tutti i possibili ingombri dall’area di apertura dello scatolo e congedai il mio gufo, infine iniziai a spillare poco alla volta l’involucro protettivo del pacco e ne tirai fuori il contenuto: un elegante Folio Magi con copertina rossa e decisamente poco eleganti righe in ciano aggiornato al 31 dicembre 2000, una confezione di cinque Cioccorane compresa nel prezzo dell’album di figurine e un blocchetto di dodici fogli bianchi che dovevano essere i foglietti Cerca&Trova.

-Apri una Cioccorana!

-Ma non erano cose troppo infantili per voi?

-Ma ormai le hai comprate, tanto vale vedere cosa hai beccato.

-E vabbè. Ma solo una, le altre me le riservo per qualche altro giorno. Umh, Nicholas Flamel... E’ raro?

-Fino all’anno scorso lo era, poi ne hanno ristampate decine di migliaia di copie e adesso ce l’hanno tutti, mi pare combinò qualcosa di grosso l’anno scorso, per questo lo hanno riproposto in gran spolvero.

-Ah, ma perché, è ancora viva ‘sta mummia? Sembra uscito da un’illustrazione del libro di Storia della Magia.

-Dietro c’è una breve biografia: se non appare la data di morte evidentemente è ancora in giro.

-Non ci credo, ha cinquecentoventidue anni, impressionante. Ho speso bene i miei soldi, questo Folio Magi sarà pieno di gente straordinaria come lui.

-E la Cioccorana?

-Poi me la mangio, non ho più fame dopo questo schifo di pane di segale... Non è che ho Piton alle spalle, vero?

-No, questa volta no, tranquillo.

-Comunque se volete ve ne posso offrire un pezzetto l’uno.

-Ci sto!

-Anch’io.

-Grazie!

-Mi prenoto!

-Visto che lo prendete tutti, ne prendo un pezzetto anch’io!

Dopo aver diviso la ranocchia con tutti i miei compagni Serpeverde, era rimasta solo una zampetta che decisi di darla a Muthsera più tardi.

-Adesso prova i foglietti!

Le brevi istruzioni non condividevano nuove informazioni rispetto a quelle già contenute nel catalogo dei prodotti: praticamente dovevo scrivere il nome di una persona qualsiasi e questi pezzetti di carta si sarebbero diretti autonomamente verso il loro obiettivo, sia esso vicino o lontano nel tempo e nello spazio. Poi li avrebbero ricondotti da me.

-Prima proviamo con qualcosa di semplice, poi magari se funzionano alziamo il tiro.

-Che intendi dire?

-Ora vedrai... Sto scrivendo...

Una volta terminato di scrivere il nome della persona a cui avrei voluto rompere le scatole il foglietto si animò e si diresse in sua direzione.

-Uh? E questo cos’è?

Il primo foglietto Cerca&Trova aveva centrato il suo bersaglio: si era appiccicato sulla fronte di Elizabeth Gaunt, dall’altra parte del tavolo dei Serpeverde.

-C’è il mio nome sopra, chi l’ha scritto?

Scoppiammo tutti a ridere.

-Scemi.

-Allora funzionano davvero!

-Chi scriviamo adesso?

-Andateci piano, sono soltanto dodici, adesso undici, potrebbero servire per qualcosa di più utile di qualche stupido scherzo!

-Ad esempio?

-Non lo so, magari per avvisare qualcuno di un pericolo...

-Ma l’hai visto con quale lentezza svolazzano questi cosi? Se aspetti di essere salvato da queste cartine sei morto tre volte!

-Io avrei un’idea, ma sicuramente non sono così potenti come dice la confezione... Liz era un bersaglio facile perché era seduta qui con noi e fa parte della nostra epoca, ma chi ho in mente io...

-E chi di preciso?

-Grifondoro! Uno dei quattro fondatori della scuola di cui ci parlava il professor Rüf. Magari proprio mentre sta poggiando la prima pietra gli si spalma in fronte questo pezzetto di carta... Guardate, ha preso il volo!

-Bah, hai sprecato un fogliettino: è impossibile che viaggino nel tempo.

-Lo so, ma sono curioso di vedere cosa combina lo stesso, magari va in errore e si riappiccica in fronte a Liz!

-E invece se n’è proprio andato! E’ appena uscito dalla Sala Grande...

-Magari è alla ricerca di un suo discendente.

-Allora aspetta e spera!

 

-Tieni, fattela bastare almeno fino a pranzo, non c’era niente di meglio di sopra...

-Ma è una zampa di cioccolato! Non posso assumere tutti questi zuccheri, mi verrebbe il diabete!

-E’ piccolina, giusto per tappare il buco e ridarti un po’ di energia... E poi è una zampa di rospo, asseconda la tua natura di predatore!

-Sai che in Africa ci sono rospi così grossi che ingeriscono gli esemplari più piccoli della mia specie?

-Certo che lo so, te l’ho letto io dal libro di ser Uppercut.

-Era per farti ricordare che non siamo così in alto nella catena alimentare...

-Tranquillo, so bene che la tua razza è una delle più sfigate in natura, ora però fammi finire questa relazione a cui mancano solo le conclusioni.

Prima di posare dentro il cassetto del comodino il Folio Magi però decisi di dare una rapida occhiata al suo interno.

C’è persino la sezione dei vampiri famosi, allora sono reali, chissà se lo sono pure i lupi mannari e le bambole assassine... Ecco qua la sezione dei licantropi più celebri, invece nessuna traccia di pupazzi malefici, peccato.

Secondo la didascalia che appariva nel riquadro sottostante ad una figurina mancante però si faceva menzione ad uno psicopatico vissuto tra la fine del diciottesimo secolo e la prima metà del diciannovesimo che aveva stregato tutte le marionette del suo negozio di giocattoli per utilizzarle come mezzo per rapire ed uccidere gli sventurati bambini che avevano avuto la sfortuna di metter piede all’interno della sua bottega. I giornali di cronaca dell’epoca chiamarono il suo caso The Children Carny Vale, che si sarebbe potuto tradurre con l’addio dell’ammaliatore di fanciulli.

Che scelta di cattivo gusto... E solo per far leva sul gioco di parole con Carnival poi, cioè parco giochi in inglese. Adesso torniamo alla realtà però... Dannata Pomata Lucida Ottoni, ti sto odiando!

 

Per pranzo nelle cucine qualcuno aveva avuto la brillante idea di rovinare delle gustose ali di pollo cospargendole di caramello, rendendole immangiabili. Ciò che più mi colpì però fu la presenza di un foglietto di carta piegato sul mio sottopiatto, aprendolo lessi una specie di indovinello che recitava così:

“Se di giocare voglia avete

state lontani dalla bottega del carnefice.

Bambini vi avverto, con me non vi divertirete

perché dei balocchi killer io sono l’artefice.

Chi sono?”

E questa filastrocca cos’è? Chi l’ha scritta e come fa a sapere che ho letto proprio quella pagina del mio Folio Magi?

Nonostante le mie perplessità non riuscii comunque a trattenermi dall’inserire la risposta al quesito, scrivendo col grasso del pollo “The Children Carny Vale”.

-Grazie.

Una mano sbucò dallo spazio tra me e Liam e si accaparrò il foglietto con la mia risposta. Girandomi vidi che il braccio apparteneva ad un ragazzo più grande, ma non riuscii ad identificarlo, né a capire a quale Casa appartenesse, perché si dileguò immediatamente dopo tra la folla della Sala Grande.

-L’hai visto?

-Visto cosa?

-Lascia perdere...

Un episodio simile si ripresentò più tardi, in Guferia, dove mentre ero propenso a pulire la cuccetta di Rudra, tra la sua segale notai un altro foglietto piegato, con su impresso un suo indovinello.

“La vita è dura ed io lo so bene

per questo ho inventato il Rimuovi Odore.

E se oltre a lavare, dei capi il colore mantiene

per dedicarsi ad altro adesso la gente ha le ore!

Chi sono?”

Questa volta non lo so e comunque non avrei risposto... Cos’è questa storia?

Stavo iniziando ad innervosirmi e a preoccuparmi allo stesso tempo, temevo che quel tizio fosse in agguato dietro qualche angolo attendendo una mia risposta.

-C’è qualcuno?

Ma nessuno rispose, così terminai di pensare alla pulizia del mio gufo e mi fiondai subito in Biblioteca, per stare in un posto con più persone possibili.

-Mi sembri distratto, cerchi qualcosa?

-No, è che... Niente, continua per favore.

La ragazza di nome Hermione stava correggendo il mio lavoro, ma si era comunque accorta del mio stato d’animo guardingo, così decisi di smetterla momentaneamente con la caccia allo stalker e ai suoi fogliettini per concentrarmi solo sui suoi consigli.

-Non c’è male, io avrei cambiato l’ordine di questi due periodi... Vedi questo è subordinato, mentre quest’altro è più principale rispetto al primo. Così la forma indiretta si evita e la lettura risulta più scorrevole.

-Sì, certo.

A me sembravano solo delle esagerazioni: si trattava sempre di una relazione scolastica non di un romanzo rosa.

-Come mai ti stai dando così da fare per noi?

-Per noia più che altro. Il corso di Babbanologia per un Nato Babbano è troppo semplice e così, visto che non devo studiare, occupo il mio tempo aiutando la professoressa Burbage in ogni modo... E questo è uno di essi.

-Ah, allora grazie.

-Figurati. E questa frase qui: “La Pomata Lucida Ottoni non viene adoperata per ridare tono agli altri metalli poiché non sono stati riscontrati effetti degni di nota, tranne che sul ferro che lo ossida irreversibilmente”, da dove è saltata fuori?

-Perché, è sbagliata?

-No, ma non è scritta da nessuna parte nel libro.

Conosce il libro di Pozioni del primo anno a memoria per caso?

-Ce l’ha detto Piton, durante la lezione...

-Davvero? Nessun altro tuo compagno a cui ho corretto il compito lo ha scritto, tu sei il primo.

-E... Forse perché me lo sono ricordato solo io!

Non sapevo più che pesci pigliare, non potevo mica rivelare di avere un insegnante privato.

-Umh, sarà... O semplicemente ai Serpeverde Piton riserva un trattamento di favore, non è vero?

-No, cioè non lo so... A me non è sembrato.

-Ok, ti credo: continuiamo.

A parole mi avrà pure creduto, ma da quel momento in poi si è mantenuta fredda, correggendo i miei errori senza più commentarli e, una volta terminato il lavoro, congedandomi con una sbrigativa stretta di mano.

-Ho altri compiti da correggere.

Intanto io avevo appena trovato un altro di quei foglietti tra le pagine del mio libro di Pozioni.

“Se l’aria estiva è troppo secca

e le tue piante per mancanza d’acqua soffrono

sta’ calmo perché il mio Fertilsorpresa non fa mai cilecca,

così anche nel Montgomery le angurie crescono!

Chi sono?”

-Un grandissimo idiota, ecco chi sei! Vuoi uscire fuori? So che mi stai seguendo!

Ancora nessuna risposta. Indisposto mi avviai quindi nella Sala Comune dalla mia Casa, magari avrei scoperto che si trattava solo di uno stupido scherzo dei miei compagni. Lungo il corridoio dei Sotterranei fui però trattenuto dalla vista di un altro di quei fogliettini, che mi si stava avvicinando fluttuando.

-Adesso basta però, vieni fuori!

-Non è educato rivolgersi in questo modo alle persone più grandi di te, giovanotto.

Un’indefinita figura umana dagli abiti antichi e signorili e dalla capigliatura legata con fascette di seta si palesò di fronte ai miei occhi. Era viva ma allo stesso tempo immobile, reale ma allo stesso tempo vuota: mi ci volle un po’ per capire di trovarmi di fronte ad un fantasma.

-E lei chi sarebbe? Cosa vuole da me?

-Cosa vorrei io da te? Sei tu ad avermi sollecitato a venire.

-Io? Impossibile...

Solo dopo mi resi conto che il foglietto che tenevo fra le mani era più piccolo di quelli che avevo ricevuto per tutto il giorno: era uno dei miei fogli Cerca&Trova, quello su cui avevo annotato il nome di Grifondoro.

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