Cronache di Hogwarts di emanuele0933 (/viewuser.php?uid=211412)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strane Lettere ***
Capitolo 2: *** Tempo di addii ***
Capitolo 3: *** Il Ministero e la magia ***
Capitolo 4: *** Lezioni di vita ***
Capitolo 5: *** Cioccolato inglese - parte 1 ***
Capitolo 6: *** Cioccolato inglese - parte 2 ***
Capitolo 7: *** Il Paiolo Magico ***
Capitolo 8: *** Ospedale per ferite e malattie magiche San Mungo ***
Capitolo 9: *** Muthsera ***
Capitolo 10: *** Il Bacio del Dissennatore ***
Capitolo 11: *** Il Cappello Parlante ***
Capitolo 12: *** Il tempo vola quando ci si diverte ***
Capitolo 13: *** Chi ben comincia... ***
Capitolo 14: *** Un nuovo tutore ***
Capitolo 1 *** Strane Lettere ***
Quanto state per leggere non
è altro che una stesura delle
mie idee riguardo ad una serie di ipotetiche avventure che mi avrebbero
potuto
coinvolgere se da ragazzino avessi ricevuto la famosa
“Lettera del Preside di
Hogwarts”, perciò il protagonista principale
dell’intera storia (che è
abbastanza lunga) sarò interamente io, anche se ovviamente
riprenderò luoghi,
situazioni e personaggi della saga creata dalla penna di J.K. Rowling.
Essendo
quest’ultima estremamente Pottercentrica (insomma, in 7 libri
non è mai
successo nulla in cui Harry non fosse coinvolto) ho cercato di
allargare il
mondo della saga stessa creando una mia mitologia, sottolineando la
storia e
specificando alcuni avvenimenti che nella saga principale sono dati
quasi del
tutto per scontati, perciò quello che leggerete è
totale frutto della mia
immaginazione e non ho preso in considerazione alcuna enciclopedia,
almanacco o
qualsivoglia “allargatore del lore” ufficiali della
Rowling, perciò non
scervellatevi chiedendovi da dove ho preso questo nuovo incantesimo, o
chi è
quel personaggio che lavora al Ministero, poiché
è inutile: se quel dato
personaggio, incantesimo, luogo, racconto non appare nei 7 libri
“canonici”
allora l’ho inventato del tutto io.
Poi ho due piccoli ma importantissimi
punti da farvi notare:
uno riguardante la forma, l’altro il contenuto. Iniziamo:
La forma
Sono un semplice ragazzo che
è rimasto affascinato dalla
saga Potteriana in età adolescenziale, perciò
riconoscendone i pregi ed i molti
difetti, non riesco a far altro che esser grato all’autrice
di aver creato
questo mondo e a Chris Columbus e John Williams di avermelo fatto
conoscere
grazie al loro film e fantastica colonna sonora. Ho voluto
puntualizzare su
questo per due motivi:
- primo, perché non ho
fatto studi, corsi e specializzazioni
in scrittura in prosa quindi non voglio dimostrare alcun talento
letterario a
nessuno, e anzi, se trovate errori di sintassi, logici e grammaticali
ditemelo,
li correggerò all’istante, perché
nonostante l’attenzione con cui riguarderò i
miei capitoli prima di pubblicarli qualcosa sicuramente
rimarrà, o per
distrazione o per ignoranza scaturita dallo scorretto uso della lingua
italiana
che purtroppo applichiamo nei discorsi di tutti i giorni. Siccome il
non essere
laureato in letteratura, in lettere o in giurisprudenza non rende meno
gravi i
miei errori, vi prego di segnalarmi ogni errore e/o bruttura che
troverete e se
avete dei consigli su un tale passaggio troppo pesante e prolisso o
addirittura
illeggibile senza una bombola di ossigeno, fatevi avanti!
- Secondo, perché come
preciserò nella nota riguardante il
contenuto, sarò costretto a cambiare alcune vicende viste
nella saga della
Rowling perché troppo centrate su Harry e che danno poco
spazio alla creazione
di un altro personaggio almeno un filino interessante, senza per questo
significare che disprezzi il lavoro svolto dall’autrice.
Insomma, sono
costretto a cambiare alcune fasi, ma non perché mi sento
superiore a lei, ecco.
Inoltre vi voglio avvertire che
quello che state per leggere
non è propriamente un racconto classificabile come romanzo,
poiché elencherò
una tale marea di informazioni, lezioni di magia, personaggi e
situazioni del
presente e del passato che in un romanzo fatto come si deve, devono
esser
necessariamente omessi, poiché a conti fatti non portano per
nulla avanti la
trama, né servono a qualcosa se non a scoprire qualcosa in
più di questo mondo
a noi celato ed a renderlo più affascinante e verosimile;
insomma, dargli
credibilità.
Perciò essendoci a tutti
gli effetti una “trama lineare” (il
mio personaggio avrà un bel da far durante i suoi anni ad
Hogwarts) questa sarà
abbastanza diluita a causa della natura diarista del racconto. Non
farò dei
salti di due mesi scolastici solo per far andare più spedita
la trama in
pratica.
Ciò non toglie che se la
mia storia vi piace e mi chiedete
una versione più “romanzesca” non dovete
far altro che chiederlo e creerò una
seconda versione riveduta e concisa della prima, senza per questo
abbandonare
la prima versione più dettagliata ma non per questo noiosa
(almeno, non noiosa
ai superfan come me).
Il contenuto.
Come ho già detto prima,
sarò costretto a cambiare qualcosa
durante il mio racconto. All’inizio saranno piccoli
cambiamenti, in seguito
saranno più consistenti, perché più
avanti si andava nella trama più la saga
diventava un Potter - Granger - Weasley vs The World, rendendo
impossibile un
approccio meno secondario possibile, diciamoci la verità.
Uno dei primi cambiamenti che penso
solo i più accaniti si
accorgeranno sarà lo slittamento in avanti di dieci anni
degli avvenimenti che
coinvolgono Harry ed i suoi amici. Infatti Harry inizierà a
studiare ad
Hogwarts nel 1991, ma io in quell’anno nascevo,
perciò non ho avuto altra
scelta che spostare tutto negli anni 2000, tanto alla fin fine la
Rowling non ha
mai riportato avvenimenti “di cronaca babbana” che
potessero crear conflitto
con la mia decisione. Inoltre vi svelo una chicca: essendo del
’91 avrei
compiuto 11 anni solamente nel 2002 e non nel 2001 come dirò
nel mio racconto,
ma è stato proprio nel 2001 che Harry Potter è
entrato di prepotenza nella mia
vita e perciò questo piccolo paradosso temporale mi sembra
piuttosto poetico ed
azzeccato.
Essendo italiano e non inglese
leggerete le mie difficoltà
nell’ambientarmi nel nuovo Paese, per fortuna mi
aiuterà la magia per i primi
tempi ma comunque un problema resta: il nome di alcuni personaggi,
luoghi,
sostantivi ed incantesimi cambiano dalla versione inglese a quella
italiana,
perciò il mio personaggio udirà i nomi
“originali” mentre voi leggerete le versioni
adattate in italiano, questo sia per non sforzare chi non conosce i
nomi in
inglese (Silente addirittura verrebbe tradotto in Dumbledore) sia
perché a me
piacciono di più le versioni italianizzate (i dissennatori
su tutti, direi).
Ciò non toglie che in alcuni passaggi sarò
costretto ad elencarvi entrambe le
versioni se utili per la comprensione di successivi passaggi,
prediligendo la
versione italiana dei termini in caso di neutralità.
Bene, con questo ho terminato il mio
biblico editoriale
(LOL) e se non vi ho già annoiato a morte con queste mie
precisazioni, facendovi
decidere che è meglio lasciar perdere, vi auguro buona
lettura!
Era un’estate afosa,
insomma, non che le altre lo fossero
state di meno, ma ogni estate pare sempre più afosa della
precedente nella
mente delle persone e questa non faceva eccezione.
Come ogni periodo estivo come si deve
lo passavo a far nulla
fino alle sei di pomeriggio, poi si usciva a giocare fino alle dieci,
undici di
sera. A cosa giocare non era mai un problema, se eravamo sotto i sei
membri si
giocava a nascondino, oppure ci si rincorreva senza nessun motivo per
tutta la
serata ed io essendo il più lento solitamente facevo la
“guardia” almeno 3
volte su 4. Se eravamo in buon numero, invece, si prendeva un pallone e
si
giocava a calcio, sempre e solo a calcio, non c’era via
d’uscita da questo limbo:
se eravamo almeno sei, tre a squadra e via col pallone. Non che mi
dispiacesse,
alla fin fine dare calci ad un pallone e agli stinchi degli amici era
stranamente
divertente, ma io più degli altri soffrivo la
ripetitività della situazione,
così una sera vedendo come si stavano mettendo le cose,
tirai fuori il mio Game
Boy dalla tasca e mi misi a giocare a Pokémon, nemmeno mi
fregava più che qualcuno
potesse prendermi in giro perché giocavo ad un videogame
invece che a pallone.
Impensabilmente però, successe l’esatto contrario.
Nemmeno una settimana dopo quasi
tutti giù al quartiere
avevamo un Game Boy con una copia del gioco dei Pokémon: chi
aveva Rosso, chi Blu,
chi sfoggiava il suo Game Boy Color con relativo Pokémon
Giallo per far
crescere l’invidia ai comuni mortali... Insomma, normale
amministrazione, c’è
sempre il galletto che vuole mostrare che i suoi genitori guadagnano
più degli
altri e che cerca di farlo ricordare in ogni modo.
Fatto sta che tra scambi, lotte,
nascondini, acchiapparelli,
gelati e partite a pallone, quell’estate così
afosa fu la migliore in assoluto
fino ad allora, cosa non di poco.
Le elementari ormai erano finite,
l’esame per l’ammissione
alle medie lo affrontai senza problemi ed un altro capitolo della mia
vita
stava per iniziare, perciò prima che mi dividessi
definitivamente coi vecchi
compagni cercai di restare con loro il più a lungo possibile
per tutta
l’estate.
Ma il destino aveva altri piani per
me, talmente singolari
che non avrei mai creduto possibili.
Tutto iniziò un pomeriggio
verso la fine di giugno:
scendendo come ogni mattina le scale, vidi la cassetta delle lettere
piena fino
a scoppiare. Molto strano, dato che controllavamo la posta ogni giorno;
dovevano essere arrivate tutte quella mattina. Citofonai a mia madre
per farmi
dare la chiave della cassetta, accorgendomi così che le
lettere erano solamente
due, ma così spesse che riempivano da sole
l’intero spazio.
Cosa
conterranno per
essere così grosse? Speriamo non siano bollette...
Ma non avevano un tono minaccioso:
c’era il mio nome
impresso sulle buste... Il mio, non quello di mio padre o di mio nonno,
ma
proprio il mio! Al sig. Emanuele M.
Burgio... Così c’era scritto.
Addirittura
il puntino
sul mio secondo nome, dev’essere importante...
Dovevo assolutamente aprirle,
così salii in casa veloce come
un furetto e mi lanciai sul letto aprendo le buste nella maniera
più delicata
possibile...
Depliant. Entrambe contenevano
stupidi depliant pubblicitari
di una qualche scuola privata che voleva mi iscrivessi nei loro
istituti per
spillare soldi ai miei. E tanti saluti all’importanza!
Ero così arrabbiato che
dovevo sfogarmi con qualcuno:
-Mamma! Vieni a vedere ‘sti
cosi!
Mia madre si precipitò in
camera mia con una scopa in mano,
pensando avessi trovato qualche sgradito animaletto vicino al letto.
-Cosa c’è? Che
sono quei volantini?
Era in un bagno di sudore:
incredibile come le donne,
nonostante portino vestiti molto leggeri, continuino a soffrire il
caldo peggio
degli uomini.
-E leggili!
Dopo averli letti un po’ si
schiarì la gola e mi spiegò:
-Sembrerebbero delle scuole private
che ti vorrebbero come
studente, ma a quanto ho capito questa azzurra è francese,
la Lamesfortes, mentre
quest’altra tutta
strana è addirittura finlandese, la Falcons Maailman,
non so nemmeno cosa
diamine significhino. Hai solo 11 anni, non puoi andartene
all’estero così giovane,
e non sai né il francese né il finlandese, che
cosa gli passa per la mente...
-Pensi
che anche ai miei compagni siano arrivate?
-Penso
di sì, non abbiamo mica fatto domandine o cose del genere,
penso che le avranno
spedite a tutti quanti: più inviti, più
possibilità di capitare il pollo... Che
poi cercano polli ricchi, questa qua si fa pagare seimila franchi a
trimestre,
non so a quante lire equivalgano ma sicuramente sarà un
sacco!
Mentre
mia madre parlava con la coda dell’occhio mi accorsi che la
foto di gruppo
dell’ultima pagina faceva strani giochi di luce che, una
volta controllata
meglio, fu chiaro che non si trattava di uno strano effetto ottico... I
ragazzi
sorridenti ritratti in quell’immagine si muovevano proprio!
-Mamma,
guarda quella foto: si muove!
-Ma
cosa dici? E’ vero... Che diavoleria è questa? Se
ne inventano una più del
diavolo per farti pagare, una foto animata, ma guarda,
chissà come funziona...
La
cosa non mi convinceva: quel depliant era fatto di semplice carta, non
c’era un
display dentro... Era evidente che quella foto non fosse normale.
Prendendo il
depliant della scuola finlandese e leggendo con attenzione trovai la
dicitura Scuola di Magia!
Non
si trattava di un’altra scuola media o paritaria, ma proprio
di Magia! E
facendo un po’ più di attenzione, la statua del
cavaliere di marmo dell’ingresso
dell’elegante cortile faceva ondeggiare lievemente la spada,
quasi come per
passare tempo mentre io la guardavo e la riguardavo...
-Mamma,
anche quell’altro dice che la scuola francese è
una scuola di magia?
-Cosa?
Scuola per maghi? No, certo che no, che sciocchezze stai... Aspetta!
E’ vero,
qui, dove elenca i requisiti di ammissione: undici anni, maschio, che
ha
conseguito il minimo grado di istruzione, cittadino dei seguenti Stati
Europei
ed... In possesso di poteri magici! Cos’è, uno
scherzo?
-Ahahah,
non lo so, ma sarebbe fantastico, ti immagini se esistesse la magia?
Sarebbe stupendo,
per prima cosa imparerei a fermare il tempo, così sparirei
dalla vista di chi
mi vuole rompere!
-Calma
con l’entusiasmo, stasera farò vedere questi
foglietti a tuo padre e vedremo di
che si tratta realmente... Tsk, magia, che buffonata!
Per
il resto del pomeriggio restai a letto a leggere e rileggere quei
volantini, imparando
a memoria tutti i luoghi che apparivano in quelle foto, i nomi dei tizi
che studiarono
lì in passato e di altri che invece tutt’oggi ci
insegnano, le varie lezioni e attività
extrascolastiche che è possibile svolgere durante gli anni,
gli sbocchi
professionali, l’importanza del nome della scuola nel mondo,
come fare per
pagare per la retta, di cosa si ha bisogno per le materie
più impegnative... Sedici
pagine stranissime ed ipnotizzanti che nonostante la loro evidente
assurdità
sembravano quasi vere. Per fortuna nessuno dei miei amici mi
chiamò per
scendere a giocare, così potei dedicare tutto il tempo a me
stesso e non a
restare fossilizzato in porta.
A
tavola, come promesso, mia madre passò i depliant a mio
padre come se lui
potesse cambiare ciò che c’era scritto in qualcosa
di sensato. Dato che non
potè far molto, sospirò e disse semplicemente:
-Beh,
che strano eh?
Ed
iniziò a mangiare, così, come se nulla fosse...
Io
mi sentii un po’ deluso per questa reazione, forse mi
aspettavo un’indagine per
scoprire se quei foglietti potevano essere seri, ma sinceramente
neanch’io
credevo ad una singola parola scritta in quei due pezzi di carta,
perciò mi
misi il cuore in pace e a metà tra il deluso ed il divertito
per quella strana
situazione fuori dal comune, me ne tornai in camera, sentendo mia madre
che in
cucina stropicciava i depliant per poi buttarli nella spazzatura...
Dlin-Dlon!
Chi
diavolo può essere alle due di notte?
Le
opzioni erano due: o un gran maleducato o, peggio, un ladro. I ladri
non suonavano
certo il campanello, ma poteva anche essere una tattica per
immobilizzare con
un attacco a sorpresa chiunque rispondesse alla porta... Sperai fosse
solo uno
dei soliti parti della mia mente troppo cinematografica, ma notai che
anche mio
padre fece più o meno i miei ragionamenti, data la sua
evidente agitazione.
-C-Chi
è?
-Ehm,
signor Burgio? Scusi l’ora ma sa, per quante volte venga in
Italia, mi
dimentico sempre di come siano poco organizzate qui le città
e di come perdersi
sia facilissimo. Ma mi faccia presentare, sono ser Richard Uppercut,
delegato
per i maghi nati babbani, di cui fa parte vostro figlio,
dell’ufficio Relazioni
Internazionali sottosezione Iscrizioni Paesi Cadetti del Ministero
della Magia
Britannico, sono qui come portavoce sia del Primo Ministro stesso che
del
preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts per parlare ed
eventualmente convincere lei e vostro figlio ad iscriverlo alla nostra
scuola,
perciò se mi fa entrare ne parliamo con più
calma, nonostante l’ora tarda.
-M-magia?
-Sì
signore, magia; penso abbia già dato un’occhiata
allo spioncino della porta,
sono solo, non porto armi e non ho un adeguato vestiario da scasso,
perciò
penso che converrà con me che non sia un volgarissimo ladro
e mi aprirà
gentilmente la porta, no?
Solo
un’idiota poteva credere a queste scuse ed aprire la porta
nel cuore della
notte.
-Ci
dispiace, ma siamo in pigiama e non vorremmo...
-Ma
si figuri! Qui l’unico che si dovrebbe scusare sarei io e lo
farò rubandovi
meno tempo possibile, perciò se finalmente apre questa porta
possiamo inziare,
che ne dice?
Evidentemente
imbarazzato per aver trattenuto lo strano individuo fuori casa
così a lungo,
mio padre titubando aprì la porta e lo fece entrare:
abbigliato come l’ispettore
Poirot, portava in testa una bombetta ed una giacca di
velluto marrone.
La camicia che indossava era persino più bizzarra con
grossolani pizzi e
merletti nelle estremità ed una larga cravatta si perdeva
sotto il panciotto. Anche
senza ghette o baffi era fuori moda di almeno un paio di secoli, anche
se c’era
da ammettere che riusciva a trasmettere un senso di eleganza
anacronistica che
riusciva a tranquillizzarti e a cancellare definitivamente
l’ipotesi della
rapina a mano armata.
-Oh,
ecco il giovane mago! Prego, è tua!
E mi
consegnò un’altra lettera intestata a
me ma decisamente meno gonfia e più precisa già
nell’intestazione delle altre:
“Al
Signor Emanuele M. Burgio, 6° stanza ad est del 5°
appartamento al 3° piano del
condomino Tamigi”
E nel
retro c’era anche il mittente:
“Scuola
di Magia e
Stregoneria di Hogwarts”
Alla parola magia rizzai lo sguardo
verso il signor Uppercut
che come se se lo aspettasse mi rivelò:
-Sì, hai capito bene, sei
un mago Emanuele!
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Capitolo 2 *** Tempo di addii ***
-Perciò sarei un mago, eh?
Di quelli che sanno fare le magie
e che pescano un coniglio dal cilindro, no?
-Beh, potremmo dire di
sì… Non esiste un incantesimo che fa
apparire un coniglio dal nulla, ma se utilizzi i giusti accorgimenti ci
riusciresti, tutto sommato…
Non riuscivo a crederci, ero
così scettico che se mi avesse
detto che ero un saiyan mandato sulla Terra e lui era mio fratello
Radish,
forse gli avrei creduto. E a quanto pare anche lo strano tizio se ne
accorse.
-Non ci credi ancora, eh? Beh, non
sei il primo né sarai
certamente l’ultimo nato-babbano a cui devo dare
dimostrazioni sull’esistenza
del nostro mondo, perciò… Cosa posso mostrarti?
Qualcosa di semplice ma strabiliante
al tempo stesso… Hai qualche richiesta?
-Se farai volare quella televisione,
ti credo all’istante!
-Uhm, no, quell’apparecchio
anche se non so a cosa servi mi
sembra alquanto fragile, non vorrei romperlo, proverò
però con questo vaso in
vetro, che anche se dovesse andare in mille pezzi potrei comunque
ripararlo...
Vuoi vedere?
-Ovvio!
Ormai il dialogo era solo tra me e
Richard, i miei genitori
erano in modalità ultrapassiva, tanto che mia madre
nonostante avesse sentito
che qualcosa di terribile stesse succedendo al suo vaso, non
proferì parola. Il
che rese la “dimostrazione magica” veloce ed
efficace.
-Accio vaso!
E come previsto il vaso
volò ad una velocità incredibile dal
centrotavola alla mano dell’ormai indiscutibilmente uomo
magico.
-Fico, quindi basta dire Accio
vaso che quello mi corre dietro?
-Non proprio, l’incantesimo
è l’Accio,
questo sì, ma per usarlo bisogna pensare a quello che si sta
facendo, muovere correttamente il polso e soprattutto avere una
bacchetta
magica come questa.
E mi mostrò con
solennità la sua bacchetta, quasi fosse un
reperto preistorico al cui minimo tocco si sarebbe inevitabilmente
sgretolato.
-Oh, che peccato, avrei davvero
voluto provare il mio primo
incantesimo adesso! Ma ci provo lo stesso, vediamo se
funziona… Accio fiori!
E, contrariamente a quanto disse ser
Richard, i fiori
schizzarono all’aria schiaffandosi sul soffitto sporcando
ovunque. Per mia
fortuna mia madre continuò a mantenere il suo religioso
silenzio.
-Per le barbe di Merlino e Bacnemyus
messe assieme! Un
incantesimo eseguito quasi alla perfezione senza l’ausilio di
alcun catalizzatore
magico! Non avevo mai visto nulla di simile fino ad ora, come ci sei
riuscito?
-Ah, allora non serve per forza quel
bastoncino per far
saltare le cose!
-Si che serve invece, e non solo
quella! In qualche modo sei
riuscito a modulare quasi perfettamente il flusso magico che possiedi
concentrandolo in un unico punto… Ma anche così
non si spiegherebbe come tu possa
aver finalizzato l’incantesimo: nessun mago senza un
catalizzatore, la bacchetta
per intenderci, ci riesce senza un minimo di allenamento, al massimo ne
vede
gli effetti primordiali, e questo in casi di maghi estremamente
dotati… L’unica
spiegazione che mi sovviene è che per
l’eccitazione del momento la tua capacità
magica si sia concentrata enormemente per esplodere ed esaurirsi in
quest’unico
incantesimo, è una teoria assurda ma è
l’unica cosa plausibile.
-Non ho capito molto, ma credo che
lei pensi che ora che ho
scaricato l’adrenalina non riuscirò più
a far volare nulla senza bacchetta? Ah,
spero di no, Accio mocio!
Sdeng! Tung!
Crash!
Dal doppio servizio provennero
bruttissimi rumori fin quando
non ne apparve un mocio che mi si accasciò inerte ai piedi.
-Beh, almeno con questo potremo
pulire il pavimento dalla
pozza che s’è creata...
Ma qualcosa mi diceva di aver invece
peggiorato la
situazione.
-Questa poi... Non so, ne riparleremo
una volta arrivati in
Inghilterra.
-Aspetti, Inghilterra? Intende forse
dire che vuole portare
mio figlio così lontano?
Finalmente mio padre interruppe il
suo angosciato silenzio,
spinto dalla paura di vedermi solo da una cartolina da lì in
avanti, magari in
una di quelle che si muovono e con me che gli faccio una bella
pernacchia.
-Questo è lo scopo della
mia visita, ovviamente... Forse non
sapete che per un motivo che non vi sto a raccontare, nei paesi
mediterranei
non esistono famiglie di maghi, perciò una scuola di magia e
stregoneria in un
Paese come l’Italia non avrebbe alcun senso,
perciò i pochi nati-babbani, ossia
i maghi che nascono da una famiglia senza poteri magici, sono costretti
a
scegliere una scuola in un Paese straniero, come la Francia,
l’Inghilterra, la
Danimarca, la Bulgaria e la Finlandia. Penso che quella di Hogwarts non
sia la
prima lettera che vostro figlio abbia ricevuto quest’oggi,
no? Ebbene, il
Ministero della Magia britannico solitamente manda un suo funzionario
invece
della sola lettera perché per ovvi motivi alla fine i
ragazzi decidono quasi
sempre di iscriversi ad Hogwarts, così per accorciare i
tempi in un colpo solo
manda lettera di ammissione, tutore magico legale e allestisce uno
spettacolino
come quello di poco fa per comprovare l’esistenza della magia
e l’appartenenza
del figlio a tale mondo anche alle famiglie più scettiche
come la vostra... Efficiente,
no?
-Sì, ma ciò non
toglie che dovrà stare lontano dalla sua
famiglia, in un Paese straniero, con persone che parlano una lingua che
nemmeno
capisce...
-Non si preoccupi di questo, suo
figlio studierà l’inglese
oltre che le materie propedeutiche dei suoi corsi, nel frattempo, un
piccolo
incantesimo che sarò io stesso ad insegnare al ragazzo, lo
aiuterà a capire e a
farsi capire dagli altri nonostante le differenze linguistiche; certo
resterà
sempre il fatto della lontananza dalla famiglia, ma quello è
un passo che
affronta ogni giovane mago che si iscrive ad un istituto di magia, e
comunque
lì si creerà una nuova famiglia, coi suoi nuovi
compagni, gli insegnanti e
tutto il personale scolastico. Di questo non deve aver timore,
personalmente le
posso dire che i migliori ricordi della mia vita sono tutti relativi ai
miei 7
anni ad Hogwarts.
-Sette anni? Quindi volete portarvelo
via per ben sette
anni?
-Mettiamo una cosa in chiaro, noi non
preleviamo nessuno con
la forza. E’ una scuola come un’altra e, se
acconsentirete, i moduli di
iscrizione sono già compilati in attesa della vostra firma.
Se non vorrete
procedere con l’iscrizione di vostro figlio a me non recate
alcuna offesa o
torto, ma così limitereste l’enorme
potenzialità di vostro figlio di cui
difficilmente riuscirete a perdonarvi. E poi, come ogni scuola di
questo mondo,
sono previsti periodi di vacanza che sono per l’esattezza ben
18 giorni per
Natale e due mesi durante l’estate, in cui vostro figlio
può tornare a casa o
svolgere attività extracurriculari, spetterà a
lui decidere, perciò è ovvio che
avrà anche del tempo per stare con la sua famiglia.
-Ok, ma... Che futuro ci attende?
Insomma, da adulto mio
figlio che cosa farà... il mago?
-Esatto, non è per niente
una cosa di cui preoccuparsi, ad
oggi suo figlio avrebbe un futuro professionale molto più
promettente rispetto
agli standard babbani odierni.
-E cioè? A cosa
può aspirare?
-Oh, questo dipende da lui e dalle
sue attitudini, esiste
una così vasta quantità di sbocchi lavorativi che
c’è davvero l’imbarazzo della
scelta: si va dal semplice funzionario ministeriale che si occupa di un
compito
specifico come il sottoscritto, o lavori più pittoreschi
come l’acciuffa fatture
e il sempre più promettente reparto sugli studi dei
manufatti babbani che negli
ultimi decenni si è allargato notevolmente, data la veloce
evoluzione delle
vostre tecnologie, per poter riparare tali oggetti ed impianti in caso
di
necessità. Poi se vostro figlio è un tipo
avventuroso c’è la possibilità di
diventare un Auror, l’equivalente del vostro corpo di
polizia, e perché no, se
è uno sportivo nato, potrebbe addirittura diventare un
campione di Quidditch; insomma,
come vede, la possibilità che rimanga disoccupato
è sotto lo zero.
-Wow, cos’è
questo Quindici?
-Quidditch, ragazzo, non come hai
detto tu... E’ il più
famoso sport tra maghi, è molto complesso da spiegare,
davvero, adesso non
abbiamo il tempo per parlare anche di questo... Comunque vedo che il
vostro è
un ragazzo curioso, potrebbe perfino interessarsi così tanto
al nostro mondo
da, chissà, scoprire e divulgare lui stesso degli
incantesimi, solo i maghi più
curiosi ed intraprendenti riescono in tale impresa.
-Io, davvero, non so che dire, entro
quando dovremmo
decidere?
-Beh, normalmente avreste fino al
1° di Agosto, ma
solitamente per i maghi di un'altra lingua è previsto un
corso intensivo di 2
settimane di inglese in una nostra struttura convenzionata a Londra...
Quindi
temo che dovrete decidere entro oggi. Vi lascio tempo per riflettere,
queste
sono le carte per l’iscrizione, i nostri contatti per mandare
lettere e pacchi
a vostro figlio all’interno della struttura e naturalmente
gli estremi per il
pagamento della retta che non ci crederete, ma nonostante il prestigio
della
nostra scuola, sono le più basse d’Europa, infatti
per il primo anno credo si
parli dell’equivalente di 5'348,73 sterline, che non so
quanto valgano nella
vostra valuta, da pagare anche in due rate all’inizio di ogni
semestre, cioè
entro il 1° Settembre ed il 1° Marzo. Gli altri anni
saranno un po’ più cari,
ma se vostro figlio dimostrerà doti e abilità
tali da fargli ottenere borse di
studio potreste anche non sborsare un singolo zellino. Detto questo, mi
congedo
finalmente e vi lascio con un’ardua decisione da prendere. Ci
vediamo alle
sette pomeridiane di domani, mi raccomando, abbiamo poco tempo, fate in
modo di
avere una risposta definitiva.
Non appena terminò il suo
monologo, si rimise la bombetta in
testa, salutò con un cenno del capo ed uscì dalla
porta, scendendo le scale in
maniera alquanto sciolta, quasi per dimostrarci che se i miei avessero
accettato di mandarmi in quella scuola anch’io avrei potuto
un giorno scendere
le scale alla Michael Jackson.
-Mah, che giornata pazzesca, andiamo
a letto, decideremo
domani sul da farsi, la notte porta consiglio, o almeno spero...
Ci dirigemmo così verso le
nostre stanze: anche se erano le
3 passate, non avevo certo voglia di dormire fino al giorno seguente,
ma dato
che i miei genitori erano sconvolti e qualsiasi tentativo di affrontare
il discorso
sarebbe stato vano, entrai in camera mia, dove mia sorella continuava a
ronfare
nonostante il fracasso di poco prima.
Vogliono
pensarci, ma
pensare a cosa, DEVONO mandarmi lì, non esiste che resti qui
a subire pallonate
per tutta l’estate... E poi, quanto sarebbe figo sparare
magie su tutti? Già, pare
fantast...
Caddi in un sonno profondo, non era
da me addormentarmi in meno
di dieci minuti, ma probabilmente l’eccessiva eccitazione
finì per stroncarmi.
Il sonno fu talmente pesante che inizialmente a malapena ricordai cosa
successe
il giorno prima. Ero infatti dubbioso se tutta quella strana vicenda
non fosse stata
altro che uno strano sogno dei miei o se fosse stato tutto reale, ma mi
bastò
rivedere la lettera di Hogwarts sul mio comodino, per mettermi il cuore
in
pace.
Fiuu, tutto
vero, per
fortuna...
Anche se era mercoledì,
notai mio padre in cucina, il che
significava che si era dato un giorno di ferie per poter riflettere e
parlare a
lungo di ciò che avrebbero alla fine deciso: non sapevo se
decifrarlo come un
segno positivo o negativo.
-Oh, eccoti qua. Dicci, tu cosa ne
pensi? Vuoi partire o
pensi che stare lontano ti creerebbe problemi? Lo so che di solito vai
dai
nonni per settimane intere e che l’anno scorso sei stato in
campeggio con gli
scout per 2 settimane, ma qua si parla di almeno nove mesi
l’anno, per sette
anni; inoltre una volta entrato in questo “mondo”
non ne potrai più uscire,
addio vita normale.
Tutte quelle precisazioni mi
mandarono in bestia, come era
solito ogni volta che mio padre mi parlava. I suoi erano finti
discorsi, aveva
già sentenziato qualcosa, me ne parlava solo per due motivi:
o per convincere
me che la sua scelta fosse la migliore, o per auto convincersi di aver
deciso
la cosa giusta.
-Con questo che vuoi dire? Sai cosa
ne penso, no? Io ci
voglio andare, non mi interessa se dovrò stare lontano per
anni da casa, e poi
l’hai sentito quel tipo, no? Tutti i ragazzi che vanno ad
Hogwarts lasciano la loro
famiglia, è normale...
-Sì, ma stanno sempre in
America, un colpo di telefono ed i
genitori possono venire a prendere i propri figli...
-La scuola è in Gran
Bretagna papà, non in America, e dubito
che gente che non sappia cosa sia un televisore usi il telefono.
-Il problema però resta...
Decisi di andarmene, più
tempo li vedevo e sentivo le loro
idiozie, più avrei rischiato di mandarli al diavolo e
giocarmi ancor di più il
loro eventuale consenso.
Per scaramanzia e per dimenticare le
assurdità che fino ad
un attimo prima avevo sentito, mi misi a preparare una valigia con le
cose più
“essenziali”: la maglietta con Homer Simpson con la
pancia in rilievo che mia
zia mi regalò qualche mese prima, il Game Boy con un bel
pacco di pile di
ricambio, le ciabatte che per il campeggio scout avevo dimenticato
rendendomi
difficile anche l’andare in bagno senza prima indossare gli
stivaloni e qualche
numero di Piccoli Brividi per il
viaggio: non sapevo esattamente con che mezzo saremmo partiti per
Londra, ma
anche l’aereo avrebbe impiegato qualche ora e per sicurezza,
mi sono premunito.
Così la valigia era pronta: ai vestiti e alla biancheria ci
avrebbe pensato mia
madre, non potevo abbassarmi a pensarci da me.
Una volta riguardata
però, notai come stavo dando per scontato troppe cose.
Se non vedevano la televisione, i
miei compagni maghi non
avevano modo di conoscere i personaggi dei cartoni animati, i
videogiochi
basati sulla cattura di mostriciattoli tascabili e gli sciocchi libri
per
bambini che parlavano di puerili storie di mummie, alieni e compagnia
urlante.
Mi accorsi così di come la
mia vita in fin dei conti fino ad
allora fosse stata patetica: tutto ciò a cui tenevo o che
pensavo fosse divertente,
per i maghi non doveva sembrare altro che una misera pantomima.
L’unico
conforto che trovavo è che c’erano altre sei
miliardi di persone che
conducevano una vita a metà come la mia, e che almeno io
avevo l’occasione
di migliorare e voltare pagina.
Questa presa di coscienza non fece altro che rafforzare le mie
convinzioni:
DOVEVO andare ad Hogwarts, costi quel che costi.
Contrariamente a quanto pensavo,
già a pranzo i miei avevano
preso una decisione, e cioè quella di non prenderla affatto:
spettava a me
decidere.
-Ci sembra giusto che spetti a te
decidere, quindi, cosa
vuoi fare? Partire? Mi raccomando, pensaci prima di rispondere, se non
ne sei
assolutamente convinto non vergogn...
-Sì, voglio partire!
Se nella storia qualcuno avesse mai
preso una decisione più
velocemente di così evidentemente la domanda era
‘Vuoi diventare ricco e felice
per il resto della tua vita?’
-Ok, me l’aspettavo,
comunque non posso fare a meno di dirti
che se ci ripenserai, basterà che ci contatti e faremo di
tutto per farti
tornare a casa, ok?
-Si, va be’, ma stai
tranquillo che non ci ripenserò.
-D’accordo allora, ora
mangia però; prima di partire devi
telefonare ai nonni e agli zii e spiegare che stai partendo e che non
li
rivedrai per un po’, pensiamo noi a dirgli dei particolari,
tu salutali
solamente, intanto tua madre ti prepara la valigia...
Sentendosi presa in causa, mia madre
sentì l’irrefrenabile
impulso di dire la sua, che come al solito consisteva in qualche lagna.
-Quella lettera non dice mica che
vestiti si deve portare!
Se non so dove stai andando e che clima troverai... Dovrai portarti
almeno due
valigioni, perché io il piumone te lo metto in ogni caso...
Così iniziai il giro delle
telefonate, che sembrava non
finire mai: ‘Poi dicci com’è
andata!’, ‘Ora mi diventi inglese!’ i
commenti
delle mie zie che per fortuna presero tutto alla leggera, forse
perché omisi il
fatto che andavo a studiare magia e non Shakespeare; ‘Prima
passa da noi che ti
diamo qualche soldo’ fu invece il terrificante messaggio dei
miei nonni. I
soldi erano solo una copertura per riempirmi di baci e moine, ma sapendo come la pensavano i
miei sull’importanza
degli affetti famigliari, fui costretto ad andarci... Meno male che
erano gli
unici parenti che abitavano nella mia stessa città,
altrimenti la Via Crucis
sarebbe durata il quintuplo.
-E che cosa ci vai a fare a Londra?
Non ti piaceva qua?
Mamma mia, che esagerazione, emigrare per far le medie...
Mio nonno non aveva tutti i torti,
senza nominare la magia
il tutto sembrava poco sensato.
-Non andrò a studiare
proprio a Londra, lì ci starò per
qualche settimana, poi andrò in un istituto fuori
città... Comunque non ci sono
scuole simili in Italia, perciò sono obbligato ad andare
là.
-Eh già, cosa stai andando
a studiare, magia? Ma va,
speriamo che non viene a costare troppo ai tuoi genitori
quest’idea scellerata,
quante ve ne accontentano, a te e a tua sorella!
Anche se con tono sarcastico, mio
nonno fu tanto così dall’azzeccarci,
ma per fortuna cambiò subito il discorso.
-Tieni, sono 300.000 lire, sei un
bambino intelligente, lo
sai che questi sono tanti soldi e non si spendono in giocattoli, no? E
non
farli vedere a nessuno, mi raccomando. Una volta giunto a Londra cerca
subito
una banca per cambiarti i soldi, lì usano altre valute, ma
questo lo sai già...
Dacci un bacio a me e alla nonna, sai che ci mancherai,
perché non ti porti
quel cellulare? L’hai comprato solo per giocarci?
Smack!!!
Il bacio di mio nonno.
-Ehm, no, m’hanno detto che
lì non prende nulla, sai è un
castello medievale un po’ isolato, e...
Smack!!!!!!!!
Quello di mia nonna.
-Va be’, ora vado, alle
sette mi viene a prendere
l’incaricato della scuola e non voglio fare tardi...
Una volta finiti i rituali di
separazione, mi sentii più
leggero e mi fiondai in camera per vedere che aspetto avevano questi
“valigioni” che mia madre aveva minacciato.
Era peggio di quanto mi potessi
aspettare: non erano valigie,
ma quattro armadi. Ognuna era alta quanto me e larga il doppio, pesava
un
quintale e nonostante ciò, mia madre cercava ancora borse
per casa dove mettere
creme solari ed antizanzare.
-Così non si fa nulla, non
posso viaggiare con tutta sta
roba...
-Stai scherzando? Starai via dieci
mesi, e devi portarti
l’equivalente di dieci mesi di vestiti e medicinali...
-Si, ma sono già le sette
e ancora non abbiamo finito, che
figura ci facciamo se ser Richard arriva e ci ritrova a schiacciare
valig...
Dlin-Dlon!
Ed eccolo lì come se fosse
stato evocato, puntuale come un
orologio svizzero.
Parlando del
diavolo...
-Salve, è tutto pronto?
Avete preso una decisione? Se sì,
scusate se sono frettoloso ma ci aspettano fra 15 minuti al Ministero,
perciò...
-Ehm, sì abbiamo deciso,
vengo, sì, però, eh, ecco...
-Sì?
-Ho con me tanti bagagli che non so
come fare a...
-Oh, niente paura, ci serviranno
soltanto due valigie, se
fate come vi dico in 5 minuti riusciamo a farcela, dai! Signora, riapra
tutte
le valigie e metta il quantitativo di vestiario per due settimane in
quella
piccola valigia lì.
Mia madre abbastanza contrariata fece
come disse il signor
Uppercut, d’altronde aveva dimostrato essere abbastanza
organizzato.
-Ottimo, adesso la chiuda e lasci
fare a me il resto... Expansio! Ora
potete mettere tutto il
resto in quell’unica valigia, fate presto e... Ah, per
riprendere il contenuto
dovrai usare l’incantesimo Accio
che
ormai conosci, perciò non ci sono problemi.
-Meraviglia, come la borsetta di Mary
Poppins!
Un po’ imbarazzato per lo
stupido commento di mia madre misi
in fretta e furia tutto quel macello di roba e chiusi finalmente la
valigia che
“magicamente” pesava come se fosse vuota.
-Possiamo andare? Avete altro da fare
prima della partenza?
Ci sono rimasti 11 minuti scarsi...
-Certo, dobbiamo ancora salutare
nostro figlio!
Stavolta capii
l’indisposizione di mio padre, fare tutta
questa fretta in un addio anch’io lo trovai poco delicato.
-Ciao, campione, comportati bene e
fatti sentire sempre, so
che non sei di molte parole, ma un ‘Ciao, mi
diverto’ o un ‘Mi mancate’ possono
andare bene. Abbraccia anche tua madre e saluta tua sorella.
Mia sorella aveva solo 4 anni in meno
di me ma ne aveva
sempre dimostrati sessanta in meno, era proprio di un’altra
pasta, troppo
infantile anche per una bambina di 7 anni. Questo essere talmente
diversi mi
rendeva difficile il mio rapporto con lei, ed il fatto che eravamo di
due sessi
diversi poi ingigantiva il tutto. Tant’è che me ne
uscì con un semplice: ‘Ciao!’
Pensandoci, però, chiesi a
ser Richard:
-Signor Uppercut, per caso anche mia
sorella è una maga?
-Si dice strega, non maga, comunque
non si può dire: se
fosse nata in una famiglia di maghi ci sarebbero stati ben pochi dubbi,
ma per
i nati babbani la cosa è molto diversa.
L’induzione magica avviene in coloro
che sono predisposti solo con l’adempimento
dell’undicesimo anno d’età, quindi
fino ad allora non abbiamo alcun segno che una certa persona possieda o
meno tali
poteri, per questo nei secoli siamo riusciti a suddividere le scuole
babbane in
elementari e medie, in modo da rendere il trasferimento molto
più semplice.
Comunque non sono rari i casi in cui più parti della prole
di uno stesso nucleo
famigliare posseggano poteri magici, quindi perché no,
potrebbe essere.
-Sentito? Forse sei una strega,
esercitati coi cucchiaini!
Ora che ebbi pure avuto
l’occasione di fare lo sbruffone,
ero pronto per partire.
-Ok, andiamo!
-Bene, seguimi.
-In gamba, campione!
-Ci mancherai!
-Ciao!
Dopo che ognuno ebbe detto la sua
frase di commiato, ser
Richard ritornò a scendere le scale come se stesse
camminando, una cosa troppo
strana da vedere per trattenersi dal ridergli in faccia.
Una volta sotto, sul marciapiede
finalmente soli, glielo
chiesi:
-Ma come faremo ad arrivare in 10
minuti al Ministero?
-Ora sono 7 i minuti... Soffri di
stomaco?
-Beh, la Nutella mi fa venire spesso
la diarrea e...
-Benissimo, tieniti forte, si vola!
Eh?
Come preannunciato da ser Richard
volammo, o più
precisamente, ci spaccammo in mille pezzi contorcendoci come se fossimo
all’interno
di un tornado: i piedi erano su quella che credevo fosse la mia faccia,
il
braccio di ser Uppercut mi circondava la vita, ma lo sentivo allo
stesso tempo
anche sulle caviglie ed i miei sensi a parte il tatto che funzionava
pure
troppo, erano talmente offuscati da non capire cosa stesse succedendo,
né da
permettermi di fare congetture.
Solo alla fine di quel viaggio
terrificante capii quale
fosse la nostra destinazione: un bagno pubblico.
-Oh, eccoci qui, al Ministero!
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Capitolo 3 *** Il Ministero e la magia ***
Mi chiesi se avessi capito bene:
-Ministero?
-Sì, il Ministero della
Magia Britannico... Ovviamente
questa è solamente un’entrata secondaria
– potevo dire di servizio, ma sarebbe
stato alquanto inadeguato, data la situazione – ma esiste un
ingresso
principale davvero faraonico, così come lo sono le sue
interminabili code,
quindi ogni impiegato preferisce un’entrata meno elegante ma
più
confortevole... E caso volle che il livello ove è ubicato il
mio ufficio è
raggiungibile proprio dalla passaporta dei servizi pubblici londinesi.
E così
faremo noi, mi dispiace che tu non possa vedere la struttura per
intero, ma non
siamo qui per turismo, abbiamo poco tempo: per la visita guidata faremo
un’altra volta.
Non riuscii ad afferrare bene
ciò che aveva appena detto, ma
non ne capivo il motivo, poi ragionandoci un po’ scoprii il
perché: come
diavolo si faceva ad entrare in un ufficio da un gabinetto? La risposta
era
forse la citata passaporta? Stavo per chiedere delucidazioni a ser
Richard, quando...
-Ecsc
mì!
Un omone tutto sudato in canottiera
mi sbatté contro, e come
se nulla fosse, continuò nella sua poderosa corsa fino al
bagno, sbuffando per
lo sforzo quando aprì la porta.
-Ma che cavolo? Che maleducato!
-In realtà ha chiesto il
permesso, infatti io mi sono
spostato, ma lo ha chiesto in inglese: non l’hai sentito?
-Sì, ho sentito un
farfugliamento in effetti...
-Non stava farfugliando, ha detto Excuse me, significa scusatemi o fate
largo... Non lo sapevi?
-Sì, ma non avevo
capito... insomma, troppo veloce...
-Bhè, dovrai abituarti,
non è che ti si potrà parlare solo
via spelling... Dai, entriamo che c’è
già fin troppa confusione...
E così entrammo, ma prima
di noi lo fecero altri due signori
vestiti con eleganza retrò come ser Richard e pensai fossero
altri maghi. Una
volta dentro, mi accorsi che più che un bagno sembrava un
ufficio postale il
giorno delle pensioni: una quantità impressionante di
persone calcavano le fila
di ogni singolo gabinetto. Per fortuna queste erano abbastanza celeri a
sfoltirsi: una persona entrava nella cabina e dopo una decina di
secondi scarsi
spariva, dando l’opportunità a chi lo seguiva di
entrare e conseguentemente di
svanire allo stesso modo. Ogni tanto si sentivano dei lamenti ed in
quei casi
la fila si fermava bruscamente.
-Oh, nooo!!
Si lamentò
all’unanimità la fila alla nostra sinistra...
-Evidentemente il nostro
amico babbano è entrato in quella cabina, eheh!
Anche nel riso il mio tutore
manteneva compostezza, cosa che
non si poteva certo dire dei suoi colleghi che agli scrosci e ai
fragori
aromatici che provenivano dall’altro gabinetto, dimostravano
tutto il loro
disgusto.
-Ecco, tocca noi.
Si guardò intorno alla
ricerca di qualcosa, poi, come se
l’avesse trovata, si rivolse a me dicendomi:
-Non vedo babbani attorno, bene,
terrò la porta aperta così
vedi cosa dovrai fare, ma se intravedo qualcuno con sembianze babbane
dovrò immediatamente
chiudermi dentro, quindi non metterti troppo vicino o bloccherai la
porta.
Così, dopo aver aperto il
bagno, si infilò dentro l’angusto
spazio e mi spiegò:
-Vedi? Sembra un normale servizio
igienico, ma in realtà è
una passaporta. Cioè un oggetto magico incantato per far
sì che ti trasporti in
un determinato luogo. Sfrutta in pratica lo stesso principio
dell’incantesimo di
Materializzazione che ho usato per portarti qui a Londra,
però c’è una grossa
differenza:
il Ministero, così come
Hogwarts e tutti gli edifici
importanti e come tale possibili bersagli per attacchi di
malintenzionati,
hanno una protezione atta a rinviare qualsiasi cosa o persona voglia
introdursi
al loro interno senza autorizzazione. Avere la suddetta licenza,
però, non è
praticamente possibile, dato che gli unici a possederla sono
rispettivamente il
Primo Ministro ed il preside della scuola stessi, perciò
capirai il perché non
ci siamo materializzati direttamente nel mio ufficio. Inoltre la
smaterializzazione che avviene in questo passaggio, per via della sua
brevità,
è quasi impercettibile, a differenza del nostro ultimo
viaggio di cui si può
dir tutto, tranne che sia stato confortevole. Guarda, infilo i
piedi qui dentro e
poi tranquillamente tiro lo sciacquone: è semplice!
Rabbrividii all’idea di
dover farlo anch’io dopo di lui, ma
per fortuna ser Richard come se mi avesse letto nella mente, mi
rassicurò con
altre informazioni.
-Tranquillo, quest’acqua
è un’illusione per dare credibilità
all’ingresso segreto, come tutto il resto,
d’altronde. Vedi questi disegni
pittoreschi raffigurati nelle pareti dello stanzino? Bene, non sono
certo gli
originali disegnati da qualche discolo ragazzino babbano, ma delle
fedelissime
copie. Questa stanza è accessibile solo dai maghi: toccando
la porta si attiva
o meno l’incantesimo illusorio che ti permette di accedere a
questa versione
del bagno, tutto dipende da chi la tocca. Sei un babbano? Entri nel
vero bagno,
sei un mago? Bene, hai accesso alla passaporta, altrimenti, oltre ai
maghi,
avrebbero accesso al Ministero anche tutti gli scarichi di questi
servizi
igienici. Tutto chiaro? Oh, dimenticavo, la sporcizia che vedi
purtroppo è
vera, perciò ci laveremo per bene le mani una volta usciti
dal Ministero, o ci
beccheremo qualche infezion... Babbano!
Come aveva predetto, chiuse
bruscamente la porta proprio
perché un ragazzo in jeans e maglietta militare
entrò dall’ingresso principale.
Fu in quel momento che una delle domande che avrei fatto a ser Richard
ottenne
da sola la risposta: come il mio tutore, tutti gli altri maghi si
accorsero
dell’intruso, così lo fecero passare
immediatamente a capofila, in modo che non
riuscisse a vedere gli ingressi senza uscita dalle latrine degli altri
uomini,
poiché troppo impegnato a far i suoi bisogni. Evidentemente
la cosa era stata
pianificata a lungo, poiché lo stratagemma era impeccabile:
il ragazzo non si
domandò minimamente il perché nonostante la lunga
coda, gli altri lo fecero
passare avanti; era un gesto gentile, e prima che qualcuno se ne
pentisse, era
meglio approfittarne al volo.
-E’ entrato?
Mi chiese ser Uppercut.
-Sì, proprio ora.
-Bene, posso riaprire quindi. Ripeto
la domanda: tutto
chiaro? Se hai ancora dubbi dillo, sennò dopo che me ne
sarò andato sarai da
solo.
-Sì, qualcosa in effetti
non l’ho capita: se questa è
un’illusione, la stanza reale dov’è
andata?
-Da nessuna parte, è
ancora qui, questa si è semplicemente
sovrapposta: è l’unione di due incantesimi, uno
espansivo, l’altro illusorio;
ora non chiedermi quali sono perché non lo so, non posso
conoscere tutti gli
incantesimi di questo mondo: il reparto illusioni del Ministero
è stato fondato
proprio per questo tipo di incanti. Un impiegato dell’ufficio
ogni primo del
mese è tenuto a controllare ed aggiornare gli incantesimi
illusori che tengono
aperti questi passaggi, infatti questa firma Yollo
qui in alto è nuova, farà parte
dell’aggiornamento di questo
mese, non mi pare di averla mai vista, qualcuno
l’avrà scritta durante il mese
di giugno. Ora, hai domande inerenti alla
procedura di ingresso?
Il tono leggermente innervosito di
ser Richard indicava
chiaramente che avrei fatto meglio a mangiarmi tutte le altre domande
sulla
questione.
-No, metto i piedi a mollo e poi tiro
lo sciacquone, no?
-Ecco, era questo che volevo sentire,
mi raccomando fai
presto o dovrò preoccuparmi.
Così, chiuse nuovamente la
porta e dopo aver udito lo
scroscio dell’acqua entrai finalmente anch’io. Mi
domandai seriamente se quella
fosse la stanza reale o illusoria, se la porta mi avesse riconosciuto o
se ci
fosse stato un errore o addirittura se non mi riteneva un mago. Ma
purtroppo
l’unico modo per scoprirlo era quello di immergersi fino alla
caviglia nel
liquame oleastro del water.
Squash,
splot, sguack!
Se non avevo vomitato con quel folle
teletrasporto fui sul
punto di farlo in quel momento, ma per mia fortuna non ero tanto debole
di
stomaco, infatti non ho memoria di nessuna serata passata al letto con
una
scodella in grembo in cui rimetterci dentro; non ne ho mai sofferto.
Tirai la corda dello sciacquone come
quando si tira la coda
ad un toro per farlo innervosire a causa di una stupida scommessa
fallita: ero
di una lentezza micidiale, ma per fortuna nemmeno mi accorsi
dell’acqua che
scendeva giù, poiché ero io stesso che in qualche
modo mi liquefacevo.
Fortunatamente
l’indescrivibile sensazione di sudiciume durò
nemmeno un secondo perché mi ritrovai perfettamente asciutto
seduto su una
poltrona di pelle davanti ad una scrivania presieduta da un tipo
anziano e con
gli occhialini appoggiati sul naso che leggeva il giornale. Al mio
arrivo mi
guardo e chiese:
-Pliz?
-E’ con me Winston,
è il nuovo studente italiano che sono
andato a prender ieri.
La voce era quella di ser Richard,
che evidentemente mi
aspettava seduto sulla poltrona alla mia destra;
menomale, perché non avrei saputo cosa
rispondere.
Così l’uomo di
nome Winston con un borbottio tornò alle sue
pagine del quotidiano.
-Tranquillo, era Winston, il custode
del livello, è suo
compito fare domande a chi non conosce, sia per sicurezza che per
efficienza.
Ti mostro il 5° livello: dove stiamo andando noi ci sono gli
uffici minori del
reparto Rapporti Internazionali – per inciso, sono minori non
perché più
piccoli, ma perché non trattano pratiche legate ai criminali
stranieri – mentre
alla nostra destra c’è il lunghissimo corridoio
degli Affari Interni; dietro di
noi c’è l’enorme salone per i Congressi
Impellenti: è più di dieci anni che non
viene usato, ma non dirlo a chi è costretto a pulirlo
nonostante tutto, eheh!
Produsse nuovamente quella sua
discretissima risata: era
visibilmente divertito, ma non apriva mai la bocca sfoggiando un
sorriso a 32
denti, a ridere per lui erano gli occhi.
-Eccoci qui, Isabelle, ti presento
Emanuele, il mio nuovo
pupillo, Emanuele, Isabelle.
-Oh, nas tu
mitiu
diea!
Ecco, ci eravamo di nuovo:
probabilmente conoscevo cosa mi
diceva, ma non lo capivo proprio ad orecchio!
-Isabelle, ti ricordo che
è italiano, manca ancora di
esercizio il ragazzo!
-Oh, souui!
Ai masnou
ainou ainou!
Per un secondo mi chiesi se mi
prendesse in giro con sti aiou ripetuti
in continuazione, ma dalla
sua espressione trapelava un forte senso di dispiacere, così
scartai quella
presuntuosa idea.
La giovane donna tirò
fuori dalla borsetta la sua bacchetta,
se la puntò sulla tempia ed esclamò:
-Logoscomprehendi!
Ora
mi capisci, piccolo?
-D-direi di sì...
Dopo quell’incantesimo
sembrava quasi un’altra persona che
parlasse, solo la voce mielosa restò uguale.
-E così hai scoperto come
anch’io facevo a comunicare con te
e la tua famiglia in una lingua straniera.
-Quindi posso parlare solo alla gente
che si spara addosso
quest’incantesimo?
-Uhuhuh, no, piccolo, non ce
n’è bisogno, basta che lo usi
su te stesso e riuscirai a capire e a farti capire da chiunque, noi
lo
abbiamo su noi stessi perché è una fattura e non
abbiamo alcuna autorizzazione
per lanciarla su un minore.
-Quindi dovrò subito
imparare a lanciarla!
L’idea mi terrorizzava, non
sapevo nulla di niente, non
avevo bacchetta e nell’usare Accio
avevo fatto un macello: non sarei mai stato in grado di lanciare un
incantesimo
di quel livello...
-Non ce ne sarà bisogno,
non appena i tuoi genitori
spediranno i documenti in cui mi autorizzano come tuo tutore a tutti
gli
effetti sarò io stesso a lanciartela; certo, sarebbe utile
che la imparassi per
conto tuo, in modo da non dover sempre dipendere da me, ma
è una fattura
mentale, non si studia a scuola, però una simile la si impara al quarto
anno e
padroneggiata quella, questa sarà una passeggiata.
Bhè Isabelle, siamo ancora
in tempo per presentare la sua domanda di iscrizione?
-Certo, avete ben 34 secondi per
firmare, 33... 32...
-Sì sì, abbiamo
capito, non ci badare, sta scherzando, non è
vero, basta che la presentiamo entro la mezzanotte di stasera e siamo a
norma,
quindi c’è tutto il tempo: ricordati, mai firmare
nulla prima di leggere
attentamente il testo, anche se si tratta di cose sicure come questa.
Tieni,
leggi e quando vuoi, firma qua.
Mi indicò diligentemente
il luogo dove avrei dovuto apporre
la mia firma, come se ce ne fosse bisogno: il “Firma
Qui” era così grande ed
evidente che avrei potuto scrivere il mio già lungo nome per
intero almeno
sette volte.
-Quando firmerai, firma pure largo,
sai tra i babbani non si
usano nomi molto lunghi, ma tra i maghi la cosa è diversa,
c’è chi ha otto o
anche nove nomi, più il cognome! Infatti questo è
un modello unico.
Sapevo che mi avevano appena esortato
a leggere tutto il
testo con attenzione, ma c’erano così tante
clausole, che alla fine lessi solo
poche righe all’inizio di ogni paragrafo o articolo, e da
quello che lessi
sembrava tutto a posto: iscrizione all’istituto di magia di
Hogwarts; attenersi
alle norme ed agli editti di comportamento; la scuola non si assume
alcuna
responsabilità se venissero infrante tali norme da parte
dello studente; il
materiale preso in prestito di proprietà della scuola deve
essere restituito
entro le date di consegna; i docenti hanno la facoltà di
segnalare al preside
ogni atteggiamento e/o comportamento inadeguato; si può
venir espulsi per gravi
irregolarità; si possono eseguire incantesimi e sortilegi
non previsti dal
piano di studi ma nessuno che vada contro alle direttive scolastiche e
ministeriali; non si deve arrecare danno a cose o persone, in tal caso
si
incorrerebbe a sanzioni pecuniarie e/o penali; fino al conseguimento
della
maggiore età non si può esercitare magia al di
fuori degli istituti
autorizzati; i genitori o i tutori legali possono aver concesse visite
autorizzate
solo previa richiesta inoltrata al preside scolastico; gli animali
devono
essere tenuti sempre in gabbia o nelle loro aree attrezzate...
-Basta!!! Non ne posso
più, firmo.
E firmai con la mia bellissima ed
infantilissima firmetta da
bamboccio.
-Bene, questa è fatta,
mentre spedisco questa domandina di
iscrizione, leggi lo Statuto Magico: sei tenuto a rispettarlo come
mago, se non
lo farai, bhè, ne pagherai le conseguenze; non
c’è nulla da firmare, col tuo
undicesimo anno d’età sei entrato di diritto nel
nostro mondo e perciò dovrai
sottostare alle sue regole, è meglio che leggi con cura
anche questo perché
d’ora in avanti si presumerà che tu ne sia a
conoscenza. Non è altro che un
sunto del nostro Statuto, ma sono pur sempre tre interi fogli di
pergamena da
leggere. Ora scusami, ma se non la do al corriere prima che esca
dall’edificio,
sono guai. Locomotor!
Per lanciare quell’ennesimo
incantesimo, colpì con la sua
bacchetta la busta contenente la mia domandina, la quale si
spiegazzò fino a
formare un aeroplanino di carta. Poi come mossa da
un’impercettibile brezza si
mise a planare. Anzi, a volare proprio, non aveva alcuna intenzione di
cadere.
-Meglio che la segua, potrebbe
perdere tempo bloccandosi in
qualche ascensore colmo di gente; tornerò fra pochissimo.
Così tornai al mio mattone
di regole e leggi da leggere. Mi
domandavo sempre più se la mia vita d’ora in
avanti sarebbe stata sempre così:
da un lato situazioni inverosimili come un uomo adulto che insegue un
aeroplanino di carta, mentre dall’altro
un’infinità di nuove regole da
scoprire.
-Dai un’occhiata veloce,
tesoruccio. Lui fa sempre
l’esagerato: quello Statuto elenca situazioni troppo estreme
per cui tu possa
infrangerne le leggi. Ti faccio una sintesi io: non uccidere, non
rubare, non
stregare oggetti altrui, non perseguitare, non maledire fino alla morte
qualcuno e soprattutto non iniziare una guerra contro il Ministero.
Farai
qualcosa di tutto questo? Penso proprio di no, quindi ora riposati che
dopo
aver letto quel regolamento sarai esausto, per l’amor del
cielo, hanno solo
undici anni questi angioletti, perché caricarli di tutte
queste pressioni?
Immagino sarà stato già difficile per te lasciare
la famiglia, non è vero? Come
sei carino! Ah, se solo avessi un figlio come te, non finirei mai di
sbaciucchiarlo! Quando arriverà Charlie mi raccomando, fai
finta di averlo
letto tutto!
E quando finalmente finì
di squittire, potei riposarmi. In
effetti notai di esser parecchio stanco ora che avevo un attimo per
riflettere,
ma nonostante tutto se qualcuno me l’avesse permesso, sarei
andato a curiosare
dappertutto in quello strano luogo dove gli spazzoloni si muovono da
soli e gli
appendiabiti seguono chiunque porti una giacca.
-Psst! Orsacchiotto,
vedo il tuo tutore, mettiti in posa!
Subito presi le pergamene e le misi
in grembo per esibirmi
in un gesto di lettura; avevo più paura di non eseguire gli
ordini di quella
Isabelle che di dire la verità a ser Richard e
cioè che non me ne fregava
niente.
-Visto quante regole, eh? Mi
raccomando, segui sempre la
retta via, continua a leggere, nel mentre parlo con Isa la Bella.
-Che sbruffone! Ma vieni qui,
tenerone!
-Cioccolatona!
-Nasin nasino!
-Naso naso!
Brrr...
Non
riuscivo a credere a cosa stessi per assistere. Certo, la
“dolcissima” Isabelle
era un bel vedere, ma ridursi così per lei era troppo,
soprattutto per un uomo
tutto d’un pezzo come ser Uppercut.
-Dimmi Isa... Matthew è
tornato con l’altro ragazzo?
-No, purtroppo, è
ritornato ieri sera, delusissimo, dicendo
che il ragazzino aveva già scelto la Lames
Fortes come scuola di magia, che peccato, a
quest’ora avrei avuto ben due
angioletti seduti in quelle sedioline. Ma gli ho detto di rasserenarsi,
non è
stata colpa sua, sono cose che succedono.
-Ma non a me!
-Già, non a te, perfettone!
Ormai nemmeno li ascoltavo per quanto
mi ripugnavano quei
discorsi, tant’è che senza accorgermene avevo
letto mezzo foglio di pergamena,
così decisi che tanto valeva dare una lettura meno
meccanica; così facendo
scoprii una cosa che mi addolorò molto: era vietatissimo
rivelare la magia ad
estranei babbani, neanche ai migliori amici, questo quindi escludeva
degli show
magici durante i compleanni, che sfiga!
Dopo averci rimuginato un
po’ però mi accorsi di non aver
salutato nemmeno uno dei miei amici prima della partenza e che quindi
ai loro
occhi sarei apparso come un gran maleducato. Altro che intera estate in
loro
compagnia! Tutti quei cattivi pensieri mi resero ancor più
intollerante ai loro
discorsi, così mi alzai di scatto e sbattei quei fogli sulla
scrivania della
“cioccolattona” dimostrando tutta la mia impazienza.
-Messaggio ricevuto, andiamo ora, ci
vediamo Isabelle, saluta
Isabelle, ciao ciao zia Isabelle!
Pure zia ora era diventata?
-Ehm, salve signora!
-Che cattivo che sei, l’hai
messo in imbarazzo, poveretto,
ciao Emy! Divertiti ad Hogwarts! E vienimi a trovare appena puoi! Anche
solo
per quattro chiacchiere, sarai sempre il benvenuto!
Ottimo, un diminutivo così
femminile nessuno me lo aveva mai
dato, nemmeno mia madre che soleva esprimere il suo amore con squittii
che
sfioravano gli infrasuoni quando ero in età prescolare.
Mentre ci avviavamo verso non so
dove, ser Richard riprese
l’imbarazzante argomento:
-Presumo tu abbia sentito i nostri
frivoli e vezzosi
discorsi, ma quello che ho fatto è solo a scopo ehm, professionale, infatti oltre al
fatto che così lego con la mia
collega d’ufficio per un sempre più ehm,
proficuo rapporto di lavoro, mi sono anche preso la libertà
di informarmi della
presenza o meno nella tua futura scuola di un tuo connazionale, ma come avrai sentito... Peccato, avere qualcuno con cui poter
legare fin da
subito poteva essere d’aiuto, ma non ti preoccupare, le
amicizie le farai
sicuramente.
Pian pianino riacquistò il
suo colorito naturale sbiadendo
qua e là il rossore che nemmeno lui seppe celare.
-Dov’è che
andiamo ora?
-All’uscita ovviamente,
dobbiamo andare al collegio per farti
seguire il corso di lingua inglese, ricordi?
E così entrammo insieme ad
altre sei o sette persone in un
antiquato ascensore con una decina di maniglie prensili sul tetto.
-Dove andate colleghi? Pian terreno?
-Pian terreno!
Risposero alcuni, altri dissero terzo
e settimo livello, ma
a quanto pare la regola della maggioranza prevalse ancora una volta ed
un
signore con sciarpa, guanti e berretto di lana in pieno luglio premette
il
pulsante G. [Ground in inglese]
-Tieniti forte ora, che si balla!
Swisss!
Come c’era da aspettarsi,
quell’ascensore non era affatto un
ascensore normale, ma si mise a viaggiare alla velocità
della luce nelle 3
dimensioni possibili, rimescolandomi tutti i fluidi corporei, incluse
le feci
mi sa.
Improvvisamente il mondo
finì di girarmi attorno e le sbarre
dell’ascensore si aprirono. A quanto pare non eravamo ancora
a piano terra, poiché
nessuno, noi compresi, scese dalla gabbia, ma invece salirono a bordo
un paio
di aeroplanini stregati.
-Anche i foglietti prendono
l’ascensore?
-Certo, sennò come vai
agli altri piani? Attento che si
riparte!
Non appena si richiusero le sbarre,
l’ascensore ritornò ad
impazzare su e giù, avanti e indietro, a destra e a sinistra
prendendosi la
libertà di andare anche in diagonale e nei due sensi quando
ne aveva voglia. Il
problema fu che stavolta non riuscii ad afferrare in tempo la maniglia
messa
intelligentemente ad un chilometro d’altezza, così
quest’ultima parte del
viaggio la dovetti affrontare sbattendo addosso ai miei compagni di
viaggio che
per fortuna erano tanti.
-Arrivati! Tutto bene? E’
elettrizzante la prima volta no?
Come no, quando faceva
così mi veniva una gran voglia di
picchiarlo sul grugno...
Tutto indolenzito seguii il mio
tutore che fresco come una
rosa mi aveva distaccato già di una decina di metri e quando
se ne accorse con
tono addolorato mi disse:
-Mi dispiace, ma la prossima parte
del viaggio continuerà ad
essere turbolenta. Consolati però, avrai ben due settimane
per riprenderti da
questi scossoni.
Eccome no,
probabilmente per uscire da questo manicomio ci dovremo buttare sul
fuoco!
Mai nessuna battuta sarcastica si
rivelò esser più vera di
quella.
-Eccoci nella Hall principale,
grandiosa, vero? Se vuoi lì
c’è un chiosco che vende ottimi gelati al Kyactus,
pungenti al punto giusto,
oppure possiamo fermarci a fissare la statua della fontana, ha ispirato
vari
artisti nelle loro opere più belle, sai? Guarda e scegli
pure cosa fare: ora
abbiamo tutto il tempo che vogliamo!
In effetti cose bizzarre e belle da
vedere ce n’erano a
bizzeffe, ma la cosa che mi premeva al momento era sapere quale altra
tortura
fisica mi attendeva prima di uscire da lì, ser Richard non
poteva certo
aspettarsi che dopo avermi anticipato ciò che mi aspettava,
me ne sarei rimasto
zitto e tranquillo.
-In realtà più
che altro vorrei sapere come intendi farmi
uscire dal Ministero e perché sarà doloroso.
-Non ho affatto detto che
sarà doloroso, ho detto che non
sarà piacevole, questo sì. Vedi ci sarebbero due
modi: o usciamo dall’ingresso
principale, sempre che ci riusciamo, così saremo
direttamente al centro di
Londra e a quel punto dovremmo farcela a piedi fino alla nostra
destinazione, dato
che non potremo materializzarci davanti a tutti quei babbani; oppure
usiamo la metropolvere
che ci porterà a destinazione in un batter
d’occhio.
-E cos’avrebbe di terribile
questa metropolvere?
-Ah, di suo nulla, il problema
è che quando viene utilizzata
ha la tendenza di avvolgere tra le fiamme il viaggiatore; fiamme che
non
bruciano certo, ma la sensazione per chi non è abituato
è comunque sgradevole.
Era da ammetterlo: quel giorno la mia
immaginazione venne
battuta otto a zero dalla magia, un bel cappotto, non
c’è che dire.
-Ok, siccome non ho nessuna fretta di
finire abbrustolito,
mi guardo in giro.
-Prego, io invece mi
leggerò la Gazzetta in santa pace, se
mi cerchi, sarò seduto là, a quel tavolino.
Una volta solo, mi guardai intorno,
osservando fin nel più
piccolo dettaglio qualsiasi cosa che capitasse sotto i miei occhi,
c’era
davvero di tutto.
Tanto per cominciare, le dimensioni di
quell’atrio erano impressionanti:
largo come una piazza all’aperto di una capitale europea ed
alta almeno una
sessantina di metri, poteva ospitare un’intera colonia di
elefanti indiani
messi in parata ed uno sopra l’altro. Il problema sarebbe
sorto però non appena
qualcuno di quegli elefanti si fosse mosso, poiché superati
i tre metri
d’altezza, le pareti non erano più fatte di
mattoni o di qualsiasi altro
materiale fossero fatte, ma di vetro. Vetro riflettente che permetteva
all’enorme figura del Primo Ministro (almeno pensai si
trattasse di lui) di
fare quattro passi quando ne avrebbe avuto voglia. Se c’era
una cosa che avevo
capito dei ritratti magici da quei volantini delle scuole straniere era
che ai
modelli non piaceva affatto rimanere fermi a farsi ammirare; diavoli,
nemmeno
la statua della scuola finlandese ci stava, figuriamoci una persona in
carne ed
ossa.
-Che sagoma, eh?
C’è chi lo difende dicendo che come Primo
Ministro ha il dovere di sembrare autoritario ed intransigente, ma io
lo
conosco bene: si è messo in quella maniera perché
gli avevano chiesto di
mettersi in una posa regale e guarda come s’è
messo! Sembra che gli abbiano
appena detto che ha perso alle elezioni, bah!
Ser Richard, nonostante potessero
sentirlo in almeno
duecento lì dentro parlar male del suo datore di lavoro, non
se ne curò e per
dirmelo gridò così forte da sentirlo forte e
chiaro da quella distanza. Io mi
guardai intorno, ma sembrava che nessuno lo avesse sentito, tranne una
vecchia
signora poco dietro di me che però non capì da
dove provenisse la voce.
-Tranquillo, qui la gente
è così occupata a pensare agli
affari suoi che nemmeno ti stanno ad ascoltare: quasi nessuno viene al
Ministero per passarci la giornata, ci si stressa troppo.
In effetti, bastava vedere cosa
successe a quella vecchietta
che per cercare la fonte di quella voce venne travolta da decine di
borse e
ventiquattrore che la colpirono senza pietà da tutte le
parti, per accorgersi
del menefreghismo della gente.
-Le do una mano, signora?
Chiesi nella maniera più
gentile che potevo, mi fece troppa
pena.
-Oh, yes
diarr...
Meibi didiiu nou...
Eccoci, ci
risiamo...
-Ehm no, signora, non lo so, ma
quell’uomo seduto lì a quel
tavolo probabilmente lo saprà, lavora qui da tanti anni.
E gesticolando un po’
goffamente, la mandai dal mio tutore:
d’altronde era colpa sua se la signora era stata travolta da
quegli automi
umanizzati.
Anche se volevo godermi la scena, mi
girai facendo finta di
nulla per evitare di essere scoperto e tornai ad osservare il panorama.
C’erano
delle mensole a rotelle che correvano qua e là lungo la sala
e che due volte su
tre finivano per sbattere contro qualcuno che passava nel loro
percorso; poi
c’erano interi stormi di aeroplanini che sostavano in attesa
dell’ascensore da
prendere ed altri che libravano in aria per cadere
nell’occhio dell’ignaro
funzionario a cui evidentemente erano stati spediti: avevano una mira
impeccabile, beccavano sempre l’occhio destro. Di spazzoloni
incantati che
pulivano e lucidavano il pavimento ce n’erano a bizzeffe, ma
nonostante tutto a
terra era quasi ovunque sudicio, il perché era facile
intuirlo: i maghi
andavano e venivano da uffici in cui pioveva, sale d’aspetto
con annessa zona
verde amazzonica e più in là c’erano i
terribili camini in cui mi sarei dovuto
carbonizzare di lì a poco. Anche entrare nelle cabine
radiofoniche non era
certo semplice dato che i portelli avevano l’abitudine di
chiudersi sul naso di
chi volesse utilizzare l’apparecchio.
Inoltre, ovunque era tappezzato di
volantini di un
ricercato, stile Far West, con tanto di scritta “Wanted, Dead or
Alive”. Anche il
nome sembrava tipico di un brigante da saloon: Sirius Black, il
pistolero di
Los Palacios. L’unica cosa che era nettamente diversa da un
volantino dei film
di Sergio Leone era che qui il ricercato urlava e si dimenava come un
ossesso,
quasi fosse indemoniato, il che in qualche modo spiegava il motivo di
tale
accanimento mediatico.
Ma la cosa più
sorprendente di tutte era in effetti la
fontana: tutta d’oro, rappresentava un mago, una strega, un
cosino brutto e
gobbo, un altro mostriciattolo piccolo ma più grazioso a
vedersi ed un centauro
muscoloso ed abbastanza incazzato. Cosa stava a rappresentare era
difficile
dirlo, ma se fu costruita solo per fare effetto, bhè, ci
riusciva alla grande.
-Me l’hai mandata tu, non
è vero?
-Chi?
-La signora Barrow, non nasconderlo...
-Non so di cosa tu stia parlando,
comunque ho visto
abbastanza, possiamo andare!
-Va bene, seguimi.
-Lo so dove sono i camini, di
là!
E mi avviai senza aspettarlo, in modo
da dimostrargli che
non dovevo dipendere per forza da lui per ogni cosa.
-Esatto, e saprai pure che si trovano
vicino l’ingresso
principale, e che all’ingresso ci sono le guardie, e che
siccome non sei stato
registrato, se ti beccano finisci male...
-Azz, questo non lo sapevo.
-Lo supponevo, stammi vicino allora,
almeno se qualcuno ci
vede capirà che sei con me e non farà domande.
Siccome a tali minacce non si
può far altro che obbedire
ciecamente, gli rimasi il più vicino possibile.
-Ecco il camino della metropolvere!
-Ed ecco la polvere fiammeggiante!
Presi in mano una manciata di quella
polverina verdognola
per osservarla più da vicino, ma non sembrava proprio che
avrebbe preso fuoco.
-Si chiama polvere volante e ora ti
mostrerò come si usa.
Innanzitutto entri là dentro, poi dichiari chiaramente
la tua destinazione – ovviamente essa dovrà avere
un camino come questo per
arrivarci – e getti la polvere ai tuoi piedi con decisione,
così ti trasporterà
dove hai richiesto. E’ semplice, gratuito e soprattutto
sicuro, dato che a
differenza delle passaporte sei tu che decidi dove andare e non lei,
quindi è
indirottabile. Come al solito vado io per primo e tu mi seguirai
immediatamente, mi raccomando la nostra destinazione è
“Petalo Blu, a Londra”,
ripeti?
-“Petalo Blu, a
Londra”!
-Ottimo, se dirai così non
ci saranno problemi e ci
rincontreremo dall’altra parte, capito? Dai, ora guarda come
faccio io.
Anche ser Richard prese la sua
manciata di polvere volante,
si infilò nella canna del camino ed esclamò:
-“Petalo Blu, a
Londra”!
Buttò ai suoi piedi quella
polverina verde, che, al contatto
col suolo, divampò in un’altissima e luminosa
fiammata verdecerulea che lo
divorò in un istante. Al suo spegnimento, di ser Uppercut
non rimase più nulla,
se non una chiazza di fuliggine dalle dimensioni delle sue scarpe.
Alla faccia,
e devo
farlo anch’io?
Siccome non avevo altra scelta, mi
sistemai nell’esatto
punto in cui si era messo ser Richard e balbettai:
-“P-Petalo Blu, a-a
Londra”!
Chiusi gli occhi, gettai la polvere
ai miei piedi e sentii
un forte fischio alle mie orecchie, seguito da un formicolio
dappertutto specie
nelle braccia e nella faccia ed infine precipitai...
Piccola
curiosità:
La signora Barrow mi chiese:
- Oh, si, grazie giovanotto...
Sapresti dirmi dove lavora il
signor Rupert Grovenbump? Mi è stato detto di andare al suo
ufficio o la mia
gatta verrà sequestrata ed io non posso....
|
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Capitolo 4 *** Lezioni di vita ***
Wossh!!!
Non appena riottenni i cinque sensi,
mi ritrovai in terra
con le gambe all’aria ed il sedere poggiato su qualcosa,
forse si trattava di
un muro. Pensai di averci sbattuto contro, dato che mi dolorava il
fondoschiena. Inoltre c’era il problema che non capivo dove
mi trovassi, era
tutto nero intorno a me, al massimo riuscivo a vedermi le mani che
cercavano un
appiglio a cui aggrapparsi. Dopo essermi rimesso in piedi e aver fatto
mente
locale capii perché era tutto così scuro: era
fuliggine mista a polvere che
sparsa nell’aria non faceva vedere ad un palmo dal naso. Ora
che si stava diradando
iniziai a vederci qualcosa in quella penombra: c’era un
bancone di legno con
gambe di metallo proprio di fronte a me; dietro e a sinistra avevo
davvero un
muro di mattoni, il quale presentava una chiazza più chiara
dalle dimensioni
delle mie chiappone, indice del fatto che ci ho sbattuto proprio come
mi ero
immaginato; mentre alla mia destra intravidi in lontananza il camino
dal quale
ero fuoriuscito. Era davvero lontano, almeno una quindicina di metri,
il che
significava che la mia lunga scivolata da vedere fu proprio...
-Un magnifico spettacolo!
Clap! Clap!
Clap!
A quanto pare ser Richard
s’era proprio divertito nel
vedermi sgusciare a gambe all’aria.
-Porto ogni anno studenti in questo
posto via metropolvere,
ma tu hai stabilito un nuovo record di scivolata libera, e non solo:
col tonfo
che hai fatto hai sollevato un’impressionante
quantità di polveri e micro
particelle dannose alla nostra salute da meritare anche il premio
“Miglior
Proiettile Umano”, complimenti davvero!
-Oh, caro, ti sei fatto male? Ma
guarda che modi, vallo ad
aiutare invece di prenderlo in giro!
A quanto pare, c’era pure
una donna con lui: se già prima mi
sentivo in imbarazzo, ora volevo morire.
-Aspetta, non ho ancora finito. Devo
ancora calcolare la
velocità con la quale s’è schiantato
sul muro, in maniera da poter
grossolanamente prevedere per quanto ancora sarebbe scivolato se non
fosse
stato fermato; così ad occhio direi altri dieci, dodici
piedi!
-Ihihih, che scemo che sei, dai su,
vallo ad aiutare!
Pensai proprio che
l’immagine che m’ero sino a quel momento
fatta del mio tutore fosse del tutto sbagliata: era evidentemente un
femminaro
D.O.C.! Per di più riusciva a far colpo su tutte, e a farle
ridere anche se il
motivo dell’ilarità era un povero bambino
dolorante e sporco di cenere fino al
midollo.
-Pensi che con questa siamo pari? Ti
sarai divertito nel
vedermi con la signora Barrow, eh?
Che carogna!
Vendicarsi di uno scherzo fattogli da un ragazzino di undici anni!
Un genio del male, non
c’è che dire ed io di fronte a tanta
perfidia non riuscivo a far altro che ridere, anche se la vittima
dell’affronto
ero io stesso.
-Ahahah! Che stronzo!
-Shh! Non davanti ad una signora!
Comunque fai bene a
ridere, bisogna sempre ridere di queste situazioni, così ti
rimarrà per sempre
come un felice ricordo. Non credere che al mio primo viaggio con la
polvere
volante non mi sia schiantato su qualcosa! Certo, ero più
giovane e molto più
aerodinamico di te – avevo solo cinque anni – ma
scivolai così lontano dal
camino che i miei per un momento credettero che avessi sbagliato
destinazione,
dato che non mi videro arrivare più. Se ci ripenso, mi vien
ancora da ridere...
Certo che tu però hai fatto un bel tonfo!
Mi sistemò la maglietta
spolverandomi con sufficienza e
finalmente passò alle presentazioni:
-Rose, ti presento il mio nuovo
incarico, Emanuele: è
italiano e fa sempre un sacco di domande. Emanuele ti presento Rose
Kettleblack, proprietaria di questo splendido negozio di fiori,
nonché mia
personale amica. Salutala e chiedile scusa per il disordine che hai
combinato.
-Mi scusi, signorina, non volevo...
non sapevo...
-Oh, fa nulla, ogni anno il tuo
tutore me ne manda sempre
qualcuno e finisce quasi sempre così, stavolta è
stato solo un po’ più
fuligginoso del solito, ma la colpa è anche mia che non
dedico mai abbastanza
tempo a quel camino, sai lo uso così poco che me ne
dimentico a volte. Infatti
a parte qualche serata insolitamente gelida, non lo accendo mai, ai
fiori
ovviamente piace il fresco. Lo tengo più che altro per gli
spostamenti dei ragazzi
di Charlie.
A quanto
pare anche
lei lo chiama Charlie, eheh!
-Ti ho condotto qui perché
il suo negozio è proprio di
fronte al tuo collegio, dove da questo pomeriggio inizierai le lezioni.
Guarda
fuori la vetrina, lo vedi? Grazie alla metropolvere siamo arrivati
subito!
In effetti, l’edificio che
si vedeva al di fuori di quel
negozio, aveva tutta l’apparenza di essere una scuola privata
abbastanza
esclusiva: un grande cancello in ferro battuto, ampio cortile con
aiuole
coloratissime anche in piena estate, alti alberi piantati appositamente
per
creare una naturale zona d’ombra alle panche di legno situate
sotto i loro rami
per ore di piacevole lettura ed infine una rampa che rendeva
l’ingresso della
scuola accessibile anche ai meno fortunati obbligati su una sedia a
rotelle. Il
tutto nel bel mezzo di Londra. Il problema è che ogni cosa
sembrava fin troppo
immacolata, il che significava due cose: o la scuola era recentemente
incorsa
in una bella ristrutturazione, oppure...
-Non ti emozionare troppo: in quei
giardini non riuscirai a
mettere un singolo piede, te lo assicuro. Non ne avrai il tempo, avrai
così
tante cose da imparare e ripetere in sole due settimane che al di
fuori delle
pause per i pasti e per dormire, avrai ben poco tempo libero,
figuriamoci pensare di poter
leggere sotto gli alberi. In compenso quando arriverai ad Hogwarts
avrai tutto
il verde che desideri, addirittura poco fuori le mura della scuola
c’è
un’intera foresta di betulle, conifere e sempreverdi. Ora,
ritorniamo coi piedi
per terra e aiuta me e Rose a pulire il negozio.
Neanche a dirlo, aveva già
pronta in mano una scopa che mi
passò in maniera gioviale, come se mi stesse passando
qualcosa di piacevole.
Così tutti e tre iniziammo
a spolverare e successivamente a
passare panni e spazzoloni, per lavare e sgrassare tutta quella
fuliggine che
avevo sparso un po’ ovunque. Quando – dopo
mezz’ora abbondante – finimmo di
pulire il pavimento, ser Uppercut mi fece cenno di allontanarmi dalla
zona del
camino ed esclamò:
-Descumblius!
All’interno della canna
fumaria si formò un vero e proprio
uragano in miniatura: milioni di particelle di pulviscolo e fuliggine
turbinarono vorticosamente per poi sparire nell’atmosfera.
-Uao! E perché non
l’hai fatto prima? Potevamo risparmiarci
tutta la fatica!
-A spazzolare in terra non ci vuole
nulla, il camino
richiedeva molta più competenza di quanto ne avessimo
entrambi, perciò non ho
avuto scelta, se non avessi usato la magia avremmo sicuramente
peggiorato la
situazione. Per quanto possibile bisogna evitare di usare la magia se
non è
strettamente necessario: non bisogna mai dipendere da essa per ogni
minima
cosa, altrimenti in situazioni particolari come in mancanza di
bacchetta o
esposto ad una folla babbana non sapresti cosa fare, anche quando il
problema
sarebbe di immediata soluzione. Capito?
-Sì, in effetti hai
ragione, ma nel mio caso non c’è bisogno
di tali lezioni: ho spolverato senza l’ausilio della magia
per undici anni, non
credo che dimenticherò poi così facilmente come
si fa.
-E’ solo un esempio dato in
generale, ovviamente vale anche
per altro.
-Però scusa se te lo
chiedo Rose, ma come mai non hai pulito
tu stessa il tuo camino visto che non ci vuole nemmeno un secondo a
farlo? Non
conoscevi questo incantesimo? Avremmo evitato tutto questo...
-Ecco, sì che lo
conoscevo, però, ecco, io non...
-Tranquilla Rose, ci penso io. Te
l’ho detto che fa sempre
un mucchio di domande, no?
Non seppi immediatamente il
perché, ma l’atmosfera si fece
immediatamente gelida non appena posi quella domanda. Perfino gli occhi
del mio
tutore nascondevano una sorta d’imbarazzo improvviso. Solo
dopo ne capii il
motivo.
-Vedi Emanuele... Rose, la qui
presente stupenda,
dolcissima, intelligentissima e dotatissima donna che ho al mio fianco,
non è
una strega. Nonostante sia nata in una famiglia di streghe e maghi,
purtroppo
lei non ha ereditato alcun potere magico e questo ovviamente le
impedisce di
cimentarsi anche nei più semplici incantesimi. In effetti
è il tuo esatto
opposto: tu sei nato babbano, ma all’undicesimo anno di
età si sono risvegliati
i tuoi poteri magici, a Rose, purtroppo, anche se figlia di due
genitori
entrambi maghi, no. Infatti ho dovuto lanciare io stesso Logoscomprehendi
su di lei, perché da sola non ne è in
grado. Per
fortuna questi casi sono più unici che rari ma la tradizione
ha purtroppo
inferto a queste persone un nominativo a dir poco dispregiativo, ma che
nonostante tutto viene ugualmente utilizzato universalmente come
termine
ufficiale, e cioè magonò. Capirai benissimo come
sia difficile vivere una situazione
del genere: spesso le famiglie vedono questo avvenimento come una sorte
di
maledizione infertagli da qualche nemico o dall’anima turbata
di un antenato e
non sono pochi nella storia i casi registrati di genitori che
abbandonavano,
segregavano o addirittura uccidevano i propri figli maghinò.
-Ma non è il mio caso per
fortuna! In famiglia sono stata e
sono tutt’ora amata tantissimo. Sono la seconda di cinque
figli e l’unica
ragazza della famiglia, perciò i miei fratelli mi hanno
sempre voluto bene: mi
hanno insegnato un sacco di cose sul mondo della magia, mi hanno
prestato i
loro libri, le loro attrezzature, mi hanno mostrato incantesimi e
creature
magiche e naturalmente mi hanno scagliato qualche fattura brufolosa per
dispetto. I miei genitori non sono stati da meno: mio padre mi ha
sempre
portato a lavoro al Ministero quando glielo chiedevo, mentre mia madre
si
faceva aiutare in cucina e in giardino anche se non avrebbe avuto
bisogno del
mio intervento.
Mi sentii uno schifo, la mia
curiosità unita alla mia
boccaccia mi avevano nuovamente cacciato in una situazione di
astronomico
imbarazzo; non sapevo più cosa dire, né cosa fare.
-Ma cos’è questo
silenzio? Suvvia, non è morto nessuno! Vivo
il mio essere maganò in maniera assolutamente tranquilla e
mai nessuno me l’ha
fatto pesare più di tanto, perciò non essere
triste per me ragazzino, ma
piuttosto pensa a coloro che magari non sono nati in una famiglia
comprensiva
come la mia.
Questo non mi sollevò
più di tanto il morale o diminuì la
vergogna che provavo, ma almeno l’imbarazzante silenzio si
interruppe.
-Perfetto, ora che tutto è
al suo posto io ed Emanuele ci
avviamo, se indugiamo ancora perderà il pranzo già
pagato della sua
nuova scuola e non si voglia che muoia di fame il curiosone. Saluta
Rose e
andiamo, che è tardi!
Nonostante fossi del tutto pulito,
mentre mi avviavo verso
l’uscita del negozio, scrollai lo stesso la maglietta
perché sentivo come se
avessi ancora addosso tutta quella polvere. Una volta
all’aria aperta dissi:
-Arrivederci signorina Rose, e ancora
mi scusi tanto sia per
il camino che per la storia dell’incan... bhè,
insomma...
Tanto per cambiare, mi stavo
infilando nuovamente
nell’imbarazzo più nero.
-Ihihih! Non fa niente, davvero,
smettila di arrossire e
torna sereno. Il più piccolo dei miei fratelli, Osmund,
è ancora ad Hogwarts,
farà il quinto quest’anno, ma sicuramente vi
conoscerete, è spavaldo, ma
simpatico. Fate amicizia, mi raccomando!
-Io intanto prendo questa bellissima
rosa azzurra che tanto
ti somiglia, per portarti sempre con me: così se non
direttamente tu, almeno un
tuo fiore potrà seguirmi nelle mie strampalate missioni. In
cambio, dopo che
avrò accompagnato Emanuele all’istituto, ti
porterò del buonissimo gelato ai
frutti di bosco, come piace a te, per ricambiare tutta la
disponibilità e
la gentilezza che come sempre mi riservi.
E con una strizzatina
d’occhio ed il suo solito cenno del
capo, uscì. Rose era diventata talmente rossa in viso che
più che ad una rosa
azzurra in quel momento assomigliava ad una scarlatta.
Ci sa
davvero fare con
le donne, nessun dubbio in merito. Gli cadono letteralmente ai piedi.
Mentre aspettavamo che il semaforo
diventasse verde per
consentirci di attraversare la strada che ci separava dalla nostra
destinazione, Charlie il marpione
mi
diede delle dritte:
-Cerca di evitare d’ora in
poi di fare troppe domande,
specie quando queste riguardano gente che non conosci. Alla tua
età è normale
cacciarsi in situazioni delicate a causa della propria
curiosità, ma col tuo
modo di fare invece che di uscirne alla svelta, finisci per infilare il
dito
nella piaga, in pratica entri nel panico e invece di cambiare discorso
continui
farfugliando scuse poco convincenti. Inoltre, cerca sempre di essere
galante
con le donne: anche se alcune sono piuttosto mascoline, la maggior
parte rimane
comunque dolce e delicata, hanno bisogno di sentirsi importanti,
desiderate ed
indispensabili, ma stai attento: mai assillarle. Credimi, se una donna
diventa
tua amica, quella sarà un’amicizia sincera, a
differenza delle amicizie tra uomini
che spesso si instaurano solo per convenienza. Cerca solo di non tirare
troppo
la corda, altrimenti le fai invaghire enormemente di te e la situazione
potrebbe diventare bollente, specie se la spasimante è una
strega capace di
maledirti, eheh. Certo, all’inizio sono petulanti, sempre
inviperite,
condottiere e si sentono superiori, ma superata la soglia dei
quattordici anni,
sfogano le loro frustrazioni sui genitori, sugli insegnanti e sui loro
ragazzi.
Se non fai parte di nessuno di questi gruppi, allora potrai fartele
amiche e da
quel momento in poi non avrai più problemi, te
l’assicuro. Naturalmente ti
parlo per esperienza personale: una mia compagna di banco, nonostante
siano
passati svariati anni da quando abbiamo lasciato Hogwarts, mi aiuta
sempre nei
momenti di bisogno. Ora è addirittura diventata segretaria
di un membro del
Wizengamot, la corte magica. E’ il primo passo per diventare
qualcuno di
veramente importante al Ministero. Credo che se un giorno le chiedessi
di fare
qualcosa per una mia promozione, il giorno dopo sarei dirigente. Eh
sì, le
amicizie, specie quelle nate durante l’adolescenza sono
importantissime, cerca
di ricordartelo.
Finita l’estenuante
paternale, finalmente si decise a
suonare quel campanello che ormai fissavo da ore: “Mrs.
Langdon’s Boarding
School – Learn english in a fast,
effective and satisfying way!”
-Sai cosa c’è
scritto? Riesci a capirlo?
-Più o meno... La maggior
parte dei termini non li conosco,
ma posso intuirli perché simili all’italiano.
Penso che dica così: “Scuola Boarding
della signora Langdon” questo è
un genitivo sassone, lo riconosco. Poi continua con: “Impara
l’inglese in modo fast,
effettiv... No, efficace e
soddisfacente!” Ci siamo su per giù?
In realtà sapevo che non
c’ero per niente, ma fare lo gnorri
era l’unica cosa soluzione che mi passasse per la mente in
quel momento.
-Qualcosa allora la sai, non dovrai
cominciare proprio
daccapo. Mi sa che nelle lezioni di oggi pomeriggio e di domani mattina
ti
annoierai un pochino, ma un bel ripasso ti farà
senz’altro bene.
-Aloouu?!
-Salve, siamo il signor Uppercut ed
il giovane signor
Burgio. Siamo qui coi nostri bagagli a mano, le dispiacerebbe aprire?
-Yessciur,
camanin
end...
Già di mio non capivo
nulla di quello che diceva la donna al
citofono, per di più era sorto un nuovo problema:
Bagagli a
mano? Oddio,
le valigie! Da quando ci siamo materializzati sono sparite!
-Ser Richard! Le valigie! Le
valigie...
-Sono qua, esatto, le abbiamo
portate a mano.
Strizzandomi l’occhio mi
fece cenno di stare zitto, che era meglio.
Anche perché effettivamente le valigie erano lì,
nascoste dentro a due cespugli
rigogliosi.
-Certo che sei un distrattone, ti eri
scordato delle tue
valigie? Mi chiedevo quando te ne saresti accorto, ma non credevo
proprio che
saremmo arrivati fino al collegio senza che tu avessi quantomeno
sentito la
mancanza di qualcosa. Le ho materializzate direttamente qui, per
evitare di
portarci inutili ingombri al Ministero, successivamente ci ho condotti
davanti
l’ingresso del quinto livello. Ora, ricordati, acqua in bocca
e scordati di
essere un mago per due settimane. Questa struttura è
all’oscuro dei nostri
reali intenti e così deve rimanere, perciò prendi
la valigia più piccola ed
entriamo.
Il che era ovviamente
un’ingiustizia. Ai babbani poteva
sembrare normale, ma entrambi sapevamo che la valigia grande per via
dell’incantesimo d’espansione pesava molto meno di
quella che dovevo portare
io. Ma non c’era niente da fare: se avessimo fatto cambio,
quelli del collegio
si sarebbero insospettiti.
Meno male
che non ci
devo rimanere per un mese intero, altrimenti sarebbe pesata il doppio!
-Uff! Good morning? I am Emanuele,
the new student of
this... come si dice corso?
-Ahahah, lascia perdere, ci penso
io...
Così mentre il mio tutore
faceva il suo dovere, io girai con
lo sguardo l’intera struttura, o almeno quello che riuscivo a
vedere dalla
reception.
Intanto l’ingresso era
abbastanza faraonico: per entrare
passammo da una porta automatica scorrevole e che augurava un bel Welcome! a chiunque superasse la sua
soglia;
poi la hall principale presentava sulla destra un bancone stile hotel
con
dietro decine di vani quadrati dove posare le chiavi delle varie
stanze, mentre
sulla sinistra c’era un lungo divano di tappezzeria ad elle
dello stesso colore
dei tappetini dei tavoli di Poker e Baccarat, insomma, di un verde abbastanza
scuro.
Come se quell’ingresso non ti avesse già convinto
che i tuoi soldi erano stati
spesi nel modo giusto, i muri erano costellati di foto ed attestati
incorniciati sontuosamente che testimoniavano i premi conseguiti e
l’internazionalità di quell’istituto.
Sul tavolino della zona
d’aspetto c’erano riviste di tutti i
Paesi e in tutte le lingue, l’Italia purtroppo era
rappresentata da un
noiosissimo Panorama di giugno, quindi anche se ne avessi avuto il
tempo, di
leggere quel giornale non se ne parlava.
Di fronte c’era un
lunghissimo corridoio con molte porte su
entrambi i lati, e poiché alcune erano aperte, si potevano
intravedere alcune
cattedre, lavagne, cartine e mappamondi: da quel che si vedeva quelle
classi
sembravano perfette, a differenza di quelle della mia scuola elementare
dove se
riuscivi a beccare un banco senza buchi e che non ballava ti era andata
di
lusso. Alla fine del corridoio c’era un cartello che
opportunamente tradotto
indicava, con due frecce di senso opposto, mensa e scale per i piani 1
e 2.
-Biene cousì! Emanuelle,
ora tiu starai qua pier dui
settimiane, comi ti avievo gìa detto! Per favore vieni fuori!
Sembrava ubriaco, ma in
realtà ser Richard cercava di
parlarmi in italiano, anche se non capii il perché. Una
volta fuori, mi spiegò:
-Scusa per la mia pessima pronuncia,
ma davvero non ho mai
avuto né l’occasione, né il tempo per
imparare la tua lingua, magari durante il
prossimo mese mi darai qualche lezione; comunque sia non è
questo il punto: ora
che sei qua ti devo lasciare, non posso parlarti liberamente,
sennò si
chiederebbero come mai un bambino che non sa nemmeno cosa significhi Boarding School riesca a parlare
perfettamente in inglese con me. Perciò ti saluto; mi
raccomando, impara più
parole e più regole grammaticali che puoi, ricordati che qui
si usano le
sterline e il sistema metrico decimale che hai studiato a scuola
è praticamente
inutile, perciò dovrai iniziare a capire quanto equivale una
pinta, una lega,
un’oncia e così via. In questa scuola ti
insegneranno un po’ di tutto, al resto
e a qualche incantesimo che ti servirà
nell’immediato futuro ci penseremo dopo
queste due settimane, va bene? Per qualsiasi problema contatta me e per
farlo
vai da Rose e dille che mi vuoi vedere, magari usa i gesti per farti
capire,
perché il Logoscomprehendi
svanisce
dopo un po’. I tuoi genitori hanno il numero della reception
perciò almeno per
queste due settimane ti potranno contattare e non ti sentirai solo; gli
altri
ragazzi che seguiranno il tuo stesso corso sono tutti di
nazionalità diverse,
cerca di parlarci il più possibile, in modo che impari a
comunicare anche con
chi non parla la tua lingua. Non so cos’altro dirti
più, se non ciao ragazzzo! Come
l’ho detto? Male,
vero? Comunque sia, stammi bene, ci vediamo fra due settimane!
E dopo avermi scombinato un
po’ i capelli, lo vidi
sorridermi per la prima volta anche con la bocca. Poi si
girò, andandosene per
la sua strada, probabilmente a prendere quel gelato che aveva promesso.
Adesso
ero solo, per due settimane sarei rimasto rinchiuso qui, ad aspettare
che il
mio destino si compisse. Per la prima volta in quella tumultuosa
giornata ebbi
voglia di tornare a casa.
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Capitolo 5 *** Cioccolato inglese - parte 1 ***
-Chid?
Iumastentar,
uievtu vraitinior neimiet!
Era la ragazza della reception,
sembrava intelligente, aveva
i capelli raccolti in una coda di cavallo, indossava una camicia bianca
e
portava occhiali con lenti piccole ma con grosse montature, come era
solito tra
i secchioni, eppure non riusciva a capire che per me parlava arabo.
Così le
feci cenno di non aver compreso.
-Not tiu capisci, rait?
Aicol... den, chiamo la directrice!
Chiama chi
vuoi tu, ma
se non parla la mia lingua ci toccherà comunicare a gesti...
E corse via come una forsennata, a
quanto pare ciò che mi
voleva dire era abbastanza importante e richiedeva celerità.
Dopo un po’ si
presentò una signora anziana, ma molto giovanile
nell’aspetto. All’apparenza le
si potevano attribuire un massimo di 55 anni, ma io ero abbastanza
sicuro che ne
avesse più di 70, poiché da quello che lessi su
uno dei documenti appesi al
muro, la scuola era stata fondata nel ’48, perciò
anche se quella signora ai
tempi ne avesse avuti solo 20, beh, il calcolo veniva lo stesso bello
grosso.
-Tu devi essere il signor Burgio, non
e vero?
-S-sì, sono io...
Rimasi sconcertato dalla perfezione
con la quale parlava
l’italiano, ebbe solo un piccolo problema ad accentare la e, che la pronunciò un
po’ troppo atona.
-Il tuo accompagnatore ha
gìa consegnato e firmato tutto
quello che doveva, pèrcio rimangono solo i tuoi documenti da
compilare e poi
potremo iniziare. Prego.
Mi consegnò due fogli dove
in entrambe, scritto in credo
otto lingue, compariva la solita stringa “Firma
Qui”. Siccome il resto del
testo era tutto in inglese e non avevo proprio voglia di sforzarmi,
firmai
senza leggere nemmeno una singola riga, anche perché non
riuscivo a togliermi
dalla testa il suono della parola pèrcio
fuoriuscito
dalla bocca di Mrs. Langdon.
-Perfetto, ora ti spiego come
sfrutteremo il nostro tempo a
disposizione: ogni mattina, dal lunèdi al sabato, sei ore di
lezione con
l’insegnante Professoressa Marie Sinclair, qui imparerete
termini, grammatica,
forme dei verbi e ovviamente come ci si esprime nella maniera
pìu formale
possibile. Dalle 2 pomeridiane alle 3 e mezzo, avrete pausa pranzo per
consentirvi di andare alla nostra mensa e rifocillarvi. Nel pomeriggio
vi
sposterete nell’aula dell’insegnante Professoressa
Christine Hunger, che vi
insegnèra a parlare con gli altri, a chiedere informazioni e
vi allenèra
all’ascolto. Le sue lezioni saranno molto pìu
leggere per il mancato utilizzo
di testi, ma non per questo meno importanti. Dalle 7 e 30 alle 9 avrete
la
pausa per la cena sempre nella nostra mensa, ma non vi sàra
concesso in nessun
caso di uscire per andare in qualche ristorante della zona,
percìo non
chiedetemelo. Dopo di che avrete il resto della giornata libero da
passare come
meglio credete, anche se al vostro posto io lo sfrutterei per ripassare
cìo che
ho imparato durante le lezioni e poi andrei subito a letto per evitare
di
risvegliarmi stanca il giorno dopo. La domenica che passerete qui,
invece, sarà
una giornata totalmente libera, e se qualcuno verrà a
prendervi, potrete uscire
dall’istituto se lo volete.
Una volta fatta
l’abitudine, quegli accenti sbagliati non mi
fecero più così tanto ridere, specie dopo aver
sentito che bel programma mi
attendeva per le prossime due settimane. E comunque
quell’anziana signora
parlava l’italiano molto meglio di tanti altri miei
compaesani, il che era
tutto dire.
-Inoltre devo avvisarti che in questa
scuola tutto, dai
libri ai menu della mensa, sono scritti in inglese e che il personale e
le
vostre insegnanti vi parleranno esclusivamente in madrelingua. Questo
per
incentivare lo studente ad impegnarsi anche al di fuori della lezione,
questa
discussione e soltanto un’eccezione per assicurarmi che
capiate le regole
dell’istituto. In camera troverai una scrivania con il tuo
libro di testo: esso
e pratico e funzionale, perche arricchito di immagini ed esempi
studiati
appositamente per gli studenti della tua eta. Dovrete portarlo con voi
ad ogni
lezione e completare gli esercizi che vi si richiedèra di
affrontare; soltanto
impegnandovi al massimo raggiungerete il vostro obiettivo che e quello
di
padroneggiare la nostra lingua, immettendovi così di diritto
nel nuovo mondo
della globalizzazione. Detto questo, mi e stato riferito che non hai
ancora
pranzato, serviti e poi dirigiti direttamente all’aula P1
dove inizièra la tua
prima lezione; non preoccuparti del testo perche questo sàra
pìu che altro un
colloquio con la classe. Io sàro nel mio ufficio per
qualsiasi chiarimento, ma
non disturbatemi per problemi che potreste risolvere con il personale.
Il fatto
che sappia parlare perfettamente sei lingue e che me la cavi con
altrettante,
non vi deve cullare pensando di poter alla fine chiedere a me
cìo che vi serve.
Ti auguro una buona permanenza ed il pieno raggiungimento del tuo
obiettivo.
Sei lingue
ed
altrettante con cui se la cava, alla faccia, chissà che
farebbe se un giorno
qualcuno le svelasse che basta uno stupido incantesimo per imparare in
un
secondo tutto ciò per cui lei ha impiegato un’intera
vita? Bah, andiamo a
mangiare che è meglio, ho una fame...
Così mi incamminai per il
lungo corridoio, guardando qui e
lì per trovare la stanza P1. Era proprio quella situata poco
prima della mensa:
all’interno c’erano piccoli banchi tutti separati
tra loro, una cattedra
insolitamente alta ed una lavagna con gessetti colorati. Sembrava tutto
in
ordine, così tornai a pensare al pranzo. Da quello che avevo
studiato a scuola,
in Inghilterra mangiavano da schifo; con fish
and chips per colazione pensai che avrei vomitato per tutta
la giornata, ma
per fortuna dalla cucina proveniva un odore invitante. Infatti
ciò che lessi
nel tabellone dei piatti del giorno non era affatto male:
c’erano tortellini e
maccheroni al pomodoro (per fortuna mantenevano i termini italiani a
parte il
pomodoro che diventava tomato),
carne
che non capii come venne cucinata e anche il temuto pesce fritto con
patatine.
C’era anche uno spazio per il dolce, ma era vuoto, forse
l’avrebbero servito la
domenica.
Anche se sulla carta gli inglesi
mangiavano come gli
italiani, nelle porzioni erano tutt’altro che generosi:
ricevetti quattro
tortellini contati e una fettina di carne così minuscola che
sembrava quella che si da
al gatto; anche la porzione di pane era microscopica, ma quello non fu
un
problema, perché era così plasticoso che lo
lasciai perdere dopo il primo
morso.
Dopo il solitario quanto
insoddisfacente pranzo, uscii da
quella sala adibita a mensa e mi avviai verso l’aula P1. Non
c’era ancora
nessuno all’interno così potei scegliere il posto
dove sedermi. Scelsi quello
esattamente al centro dell’aula e mi sedetti. Per passare
tempo contai i
banchi: erano sedici, quindi se fossimo stati al completo avrei avuto
quindici
compagni, magari ci poteva essere un altro italiano o qualcuno che
conoscesse
la mia lingua, chi poteva dirlo.
Probabilmente mi appisolai per un
po’, visto che non mi
ricordo come entrarono gli altri, so solo che all’improvviso
me li trovai lì,
seduti tutti intorno a me e che ridacchiavano alle mie spalle.
Che bella
figura,
farmi trovare addormentato sul banco...
Finalmente entrò
l’insegnante, che per assicurarsi che tutti
si fossero accorti della sua presenza, gridò:
-Good morning guys!
Per lo meno scandiva bene le parole,
di questo ne fui grato.
-Today we will know each
other!
E scrisse quello che
pronunciò alla lavagna. Cosa disse rimase un mistero ma
almeno era chiaro che
parlava di cosa stavamo per affrontare.
Dopo un altro po’ di frasi
scritte e parlate, passò alle
domande e a turno i miei compagni si alzarono dai loro posti per
parlare,
alcuni se la cavavano, altri erano perfino peggio di me: il tizio che
avevo
esattamente di fronte pronunciava così male quelle poche
parole che conosceva
che più che in inglese sembrava stesse parlando in russo. La
bambina vicina a
me parlava così bene e scandita che capii la maggior parte
delle cose che
diceva: si chiamava Karina, era ungherese, ma la sua famiglia viveva in
Germania da ormai otto anni, perciò era a tutti gli effetti
tedesca. Suo padre
lavorava in una ditta di costruzioni e sua madre insegnava pianoforte,
aveva
una sorella più grande che studiava
nell’università di una città con un
nome
impronunciabile e possedeva un gatto ed un coniglio, che mi sembrava avesse chiamato
Squinzel e Ronzel, ma forse sentii male io, d'altronde era un miracolo
che già
capissi cosa stesse dicendo in inglese. Disse che voleva imparare al
più presto
l’inglese perché era fondamentale per quello che
voleva diventare, un
magistrato.
Un
magistrato? Ed io
che fino all’anno scorso volevo aprirmi un negozio di
giocattoli...
L’insegnate rimase talmente
colpita dall’eleganza e dalla
bravura dell’allieva che le fece i complimenti, poi nel
passare a me, credetti
le fosse venuta voglia di vomitare perché iniziai a balbettare
e non la finii più
fin quando non terminai la mia presentazione. Ma in fondo la mia ansia
era del
tutto giustificata: non solo stavo parlando ad un gruppo di sconosciuti
in una
lingua che non era la mia, ma avevo sulle spalle pure la pesante
eredità
lasciatami dalla bambina che fino ad un attimo prima aveva dato mostra
delle
sue doti da figlia di papà; senza dimenticare il fatto che
dovevo mentire sul
vero motivo per cui mi trovassi lì e non potevo farmi
scappare la parola
“magia”. Insomma, era già un miracolo
che riuscissi a spiccicare qualche
parola.
Dopo un tempo che mi parve
un’infinità finalmente finii di
elencare vita, morte e miracoli del povero Emanuele Burgio, un
ragazzino di
soli 11 anni che si trovava a dover affrontare un boriosissimo corso di
centomila ore per imparare in fretta e furia una lingua che di
lì a poco
sarebbe stato costretto ad usare ogni santo giorno ed al termine
l’insegnante
addirittura mi batté le mani, poiché a quanto
pare ero andato meglio di quanto
non credessi.
-A
very
passionate story... congratulations! A little bit insecure, but... Soon you'll be more confident!
Mentre parlava e mi elogiava,
sottolineava alla lavagna le
parole che più rappresentavano il mio discorso, che guarda
caso erano
comprensibilissime anche in italiano: insomma, ero stato passionale, ma
di
un’insicurezza spaventosa, come mio solito; anche nelle
pagelle di fine anno
compariva quella stramaledetta parola “insicuro”.
Le quattro ore di lezione
praticamente passarono in quel
modo, raccontando le nostre vicende ed i nostri obiettivi;
l’insegnante ogni
tanto interveniva per mostrarci i nostri errori o per suggerirci una
maniera
più consona per esprimere un dato sentimento. Tutto sommato
la lezione non fu
così terribile, ma io ero assonnato ed il fatto che se non avessi
prestato la massima
attenzione non avrei capito nulla di ciò di cui si stava parlando,
non aiutava di
certo. Tant’è che quando arrivò il mio
turno nel gioco del descrivere un nostro
compagno di classe, chiamai l’orso che era raffigurato sulla
maglietta del mio
vicino di banco “horse” invece che
“bear”: un errore balordo ed evitabilissimo,
ma che la stanchezza che avevo in corpo mi costrinse a fare.
Una volta finita quella che sembrava
una puntata di un
talk-show, i miei nuovi compagni scattarono come fulmini verso
l’uscita per
raggiungere la mensa; io invece feci tutto con lentezza, sia per via
della
stanchezza, sia perché nonostante il misero pranzo,
l’appetito non mi era
ancora arrivato, probabilmente perché mangiai tardi e stando
seduto non smaltii
nemmeno quel poco che avevo assunto.
A cena a quanto pare non offrivano il
primo ma soltanto il
secondo: c’era una bistecca ai ferri oppure una poltiglia
strana che chiamavano
couscous, che più che couscous l’avrei chiamata
sbobba per cani, dato come si
presentava, ma la maggior parte dei ragazzi presero quella,
così mi aggregai al
gruppo. Avevo ragione, era sbobba: non appena ne assaggiai un cucchiaio
mi
venne l’immediata voglia di risputarlo, ma per non sembrare
maleducato evitai
di farlo, costringendomi ad inghiottire quello schifo. Inoltre non
sarei mai
riuscito a spiegare alla cuoca il perché volessi cambiare il
mio piatto con la
bistecca, perciò mi obbligai a continuare ad assumere quel
granuloso veleno. Gli
altri invece mangiavano di gusto: un ragazzino scuro di carnagione
disse pure
che sua madre glielo preparava sempre quando riceveva bei voti a scuola.
Se mia mamma
mi
cucinasse lasagne ogni volta che le porto un buon voto da scuola, a
quest’ora
peserei novanta chili!
Una volta finito, quasi come fossimo
telecomandati, ci
avviammo verso le scale per poi separarci ed entrare ognuno nelle
proprie
stanze. A quanto sembrava le ragazze salivano un altro piano, mentre
noi ci
fermammo al primo.
-Good
night!
-Good
night!
-Hello!
-Hello!
-Hi!
-Hi!
How are you? I’m fine
thank you! E ora
che facciamo, ci mettiamo a ripetere tutti i saluti che conosciamo?
Però per non sembrare
maleducato, dissi anch’io:
-See
you
tomorrow!
Non appena le ragazze sparirono, due
dei bambini che
sembravano fratelli mi rivolsero la parola:
-Now
we go,
ehm... to watch TV, you come with us?
Grammaticalmente scorretto, ma il
senso era chiaro, guardare
la TV assieme.
-Eccome no, come on!
Il televisore era in una stanza alla
fine del corridoio del
primo piano, a quanto pare gli altri a differenza mia avevano avuto il
tempo di
girarsi un po’ la struttura; il problema era che come tutto
il resto anche i
canali erano in lingua inglese, così dopo circa cinque
minuti di visione più o
meno tutti iniziammo a borbottare per il disagio e per la noia.
Tornammo nelle nostre stanze, ma per
uscirne quasi subito:
infatti ognuno di noi prese i giocattoli che aveva portato con se da
casa, così
confrontando i nostri gusti riuscimmo a conoscerci meglio in
quell’oretta di
allegria che in quattro ore di lezione. I due fratelli avevano portato
ognuno
mezza parte di un Optimus Prime gigante, dall’altezza
complessiva di almeno un
metro e mezzo; il ragazzo con lo stemma dell’orso sulla
maglietta invece era un
famelico collezionista di monete e diceva di avere a casa almeno tre
bauli
pieni di monete straniere comuni, ma soprattutto rare. Per dimostrare
che non
scherzava ci mostrò due pezzi da novanta della sua
collezione, una dracma greca
ed una rupia indiana: diceva che glieli portava suo padre quando
tornava da
lavoro; lui girava il mondo, così ne approfittava per
portare oggetti insoliti
alla famiglia, tra i quali figuravano ovviamente le monete. Il ragazzo
con la pelle
più scura di tutti invece collezionava insetti morti che poi
metteva in dei
barattoli con della gelatina trasparente dentro: così mi
spiegai come mai gli
piaceva così tanto quello schifo di couscous. Gli altri
invece avevano
giocattoli più classici, come i modellini snodabili di vari
personaggi dei
cartoni animati, oppure dei Walkie Talkie e una pistola laser per
imitare le
grandi spie, e curiosamente altri due bambini ebbero la mia stessa idea
di
portarsi dietro il proprio Game Boy con annessa copia del gioco
Pokémon
all’interno; peccato che nessuno di noi avesse pensato di
portare anche il cavo
link per poter lottare o scambiare le creaturine tascabili:
un’occasione
davvero sprecata.
Dopo un po’, stanco ed
intontito tornai in stanza, dove mi
attendevano un anonimo letto ed il minaccioso mattone che fungeva da
libro di
testo poggiato sulla scrivania: ero distrutto, ma felice.
La mattina seguente scoprii con mia
immensa gioia che la
sveglia era fissata alle 7 in punto:
-Briiip!
Ma che
diamine?
Era il telefono della stanza che
squillava.
-Pronto?
-Good
morning! This is the alarm...
Mi ero appena svegliato, non mi
ricordavo nemmeno dov’ero e
quella della voce preregistrata mi parlava in inglese...
-Bon
jour! C’est
la réveil...
Cosa?
-Guten
Morgen,
das ist der Wecker...
Ma che dice?
-Buenos
días, éste es el despertador...
Aah, che
scemo, sta
parlando in tutte le lingue...
-Buon giorno, questa è la
sveglia che vi comunica che sono
le 7, la vostra lezione inizierà fra un’ora esatta
e si terrà nell’aula A1, si prega
di essere puntuali, la colazione è già servita in
mensa.
Bhè,
quando devono
comunicare cose spiacevoli ci parlano in italiano...
-Bom
dia,
este é o despertador...
A quanto pareva, la sveglia voleva
farsi davvero tutte le
lingue di questo mondo, ma io non avevo né la voglia né il tempo, perciò
riattaccai.
Svegliarsi
alle 7...
mah, solo al campo scout per l’alza bandiera feci sta
sfacchinata...
-Yaawn!
Mi lavai la faccia, presi dalla
valigetta i vestiti che
avrei indossato e poi mi spogliai. Quando entrai dentro la doccia
però
m’accorsi che non era affatto come quella di casa mia,
infatti era così stretta
che nemmeno mi potevo abbassare per lavarmi le gambe...
Che razza di
bagno...
Cercai di fare il più in
fretta possibile, sia per l’odio
che provavo verso quel sarcofago, sia perché il bagnoschiuma
monodose messomi a
disposizione dal collegio era così denso che bastava una
passata per farmi
affogare nella schiuma. Alla fine ci misi comunque la mia solita
mezz’ora.
Come vestiti avevo scelto quelli
più sobri che avevo a
disposizione, non volevo certo fare brutta figura, inoltre avrei
conosciuto
l’altra insegnante, quella del mattino. Quando finii, presi
il libro sotto
braccio, chiusi a chiave la stanza e scesi dalle scale. Mentre mi
dirigevo alla
mensa, la signorina della reception mi
consegnò un foglietto dove era riportato il
messaggio “Fatti trovare in
stanza alle 9, che ti chiamiamo!”: non potevano essere altro
che i miei
genitori, che sicuramente avranno sofferto nel non sentirmi il giorno
prima, ma
ero così stanco che me ne dimenticai.
In mensa trovai già quasi
tutti i miei compagni, delle
femmine nemmeno una; arrivarono in gruppo solo dieci minuti prima delle
8 e per
far in tempo, bevvero solamente chi un po’ di thé,
chi una gustosa tazzina di
caffè amarissimo: berlo di prima mattina disgusta per tutta
la giornata.
Naturalmente io avevo finito già da un bel pezzo la mia
colazione ipercalorica
a base di cioccolata calda e fette biscottate con burro e marmellata,
così
salutai le ritardatarie, ripresi il mio libro dalla sedia in cui li
avevamo
impilati tutti assieme e mi avviai assieme al ragazzino che la sera
prima mi
aveva mostrato la sua collezione di Biker Mice.
Ero abbastanza imbarazzato, ma
comunque non potevo
continuare a chiamarlo per fischi ed esclamazioni, perciò
gli chiesi come si
chiamava, la risposta fu Martín,
che siccome si pronunciava Maten fui
convinto che si scrivesse proprio così, almeno fino a quando
non lessi l’elenco
degli studenti del corso che era affisso all’entrata della
sala A1. Diedi una
sbirciatina ai nomi, ma a parte per Martín
e per un ragazzo di nome Matt, gli altri avevano nomi così
strani che era inutile impararli a memoria, perché probabilmente si sarebbero
pronunciati in
maniera completamente differente. Addirittura c’era qualcuno, o qualcuna, che
si chiamava Guvu Mbhasi Vhal, incredibile.
La nuova insegnante arrivò
puntualissima entrando con fare
guardingo e minaccioso. La differenza con la professoressa del
pomeriggio era
evidente: tanto giovanile l’altra, quanto arcigna questa.
Intanto teneva il suo
libro proteso in avanti al livello del petto, quasi per avvisarci che
stava
arrivando una carrellata di compiti, poi portava al collo degli
occhiali da
vista attaccati con una cordicella e aveva i capelli raccolti in uno
chignon
veramente elaborato, probabilmente ci metteva secoli ogni mattina per
ricrearlo.
Si sedette e partì
immediatamente:
-Classroom,
we have to work hard!
Già il fatto che la sua
prima frase non la capì nessuno
faceva temere il peggio. E a ragione: per ogni ora di lezione
avanzavamo al
ritmo di sei, sette pagine alla volta, tutte pienissime fino a
scoppiare di
esercizi e termini da imparare a memoria. Solo una pagina fu divertente
da
completare perché si dovevano unire i puntini che
rappresentavano delle parole
i cui sinonimi erano da ordinare alfabeticamente: difficile ma
piacevole. In
quelle sei ore praticamente non parlammo mai tra di noi,
perché se per un
attimo perdevi la concentrazione, ti ritrovavi indietro di almeno due
pagine,
quindi mi sembrarono durare una tale eternità che quando
finì, per un momento
mi meravigliai di trovare alla mensa scritta la parola
“Lunch”: ero così stanco
che avevo dimenticato che fossero soltanto le 2 del pomeriggio, dato
che il mio
orologio biologico segnava invece mezzanotte spaccata.
Naturalmente per via dei pranzi
striminziti all’inglese che
ci propinavano, dei novanta minuti liberi il pasto ne occupava soltanto
venti,
perciò il rimanente tempo lo passammo alla reception a
parlare.
Era incredibile la
quantità di cose che si capivano anche
senza usare passati, futuri e congiuntivi: innanzitutto i nomi dei miei
compagni, Matt era uno dei due fratelli olandesi, l’altro si
chiamava Vvendel;
Guvu Mbhasi Vhal era la strana ragazza di colore dell’ultimo
banco; Chansui era
la bambina cinese che portava sempre i codini, mentre Nanagi era
l’altra (che
in realtà era giapponese, ma continuammo a considerarla
cinese); Samahel Muhai
(non capii se avesse due nomi o si presentasse sempre con nome e
cognome) era lo
scabro studente degli scarafaggi imbottigliati; la ragazza chiarissima
non
poteva che essere finlandese e si chiamava
Kiirsten; era molto gelosa del suo nome, infatti stando a
quanto diceva,
erano poche le Kïrsten che presentavano una doppia
“i” invece dei due puntini
di dieresi. Per me era solo un errore anagrafico, anche nel mio paese
c’era un
cugino di una mia amica che si chiamava Maicol, ma giustamente, non se
ne
vantava affatto; il resto degli altri nomi non appena li sentii li
scordai al
volo, tranne quello del ragazzo ebreo che poveretto si chiamava
Besameel per il quale il
paragone mentale con bresaola e besciamella fu inevitabile.
Non mancarono nemmeno le scoperte
spiacevoli: il ragazzo che
collezionava monete (Renaldo si chiamava) non solo aveva il padre che
partiva
per il mondo, ma gli era morta anche la mamma, così lui ed i
suoi fratelli
finirono con la nonna che era sorda da un orecchio, il che ovviamente
non era
piacevole, così si rifugiava nelle sue collezioni che
svelò comprendevano una
serie di cappelli bizzarri, bandierine da stadio dei vari Paesi e
svariati
bigliettini d’auguri per la festa della mamma scritti in
tante lingue: la sua
storia mi commosse talmente tanto che decisi di aiutarlo regalandogli
un tipo di
ogni moneta e banconota fino a diecimila lire, almeno anche se questo
non gli
avesse restituito sua madre, lo avrebbe aiutato a completare
la sua
collezione e conseguentemente ricordato me e l’Italia.
La pausa così
volò via, riportandoci nuovamente in classe
per la lezione pomeridiana: era più grazie a questa che
riuscivamo a
comunicare, la teoria da sola non sortiva alcun effetto,
tant’è che
puntualmente dimenticavamo di mettere in
“–ing” certi verbi, oppure di non
usare gli articoli davanti ai possessivi.
Dopo la lezione, cena, telefonata dei
miei e nuovamente in
sala TV a chiacchierare del più e del meno.
La prima settimana praticamente
passò in questa maniera: era
una routine che si spezzava solamente durante le pause, dove si
rafforzavano le
nostre amicizie ed inevitabilmente si creavano dei gruppetti
più affiatati
degli altri. Tant’è che arrivati a sabato, io non
riuscivo più minimamente a
parlare con quelli del gruppo di Karina, Samahel e Guvu Mbhasi Vhal
perché se
la tiravano troppo e alla stessa maniera Besameel e Chansui non
parlavano con
noi perché troppo timidi.
Finalmente era arrivata domenica, il
che significava tre
cose: innanzitutto un giorno di vacanza, poi che mezza tortura era
finita, e
soprattutto che sarebbe arrivato ser Richard a farmi visita.
Le cose non andarono però
come pensavo, infatti verso le 9
del mattino squillò il telefono:
-Briiip!
Ma porco...
Pure di
domenica?
-Buongiorno, la vostra insegnante, la
professoressa Hunger,
avrebbe il piacere di portare lei e la sua classe a visitare Londra nel
vostro
giorno di ferie, siete pregati di confermare la vostra partecipazione
alla reception
entro le 10, grazie.
Era la direttrice
dell’istituto all’apparecchio che mi
informava dell’escursione.
-Ma è tipo una gita?
-Sì, signor Burgio,
è una gita.
-E gli altri vengono?
-Non lo so, ho appena iniziato il
giro delle telefonate.
Ora, se non le dispiace, devo avvisare gli altri.
E riattaccò.
Ero molto combattuto: rimanere ed
aspettare il mio tutore o
andare con gli altri in gita? Per fortuna mi vennero in aiuto i
“cimeli” che
avevo portato con me da casa: quella era un’ottima occasione
per mostrarsi fico
davanti agli altri. Così mi vestii a razzo: maglietta dei
Simpson originale con
Homer in rilievo, berretto griffato PK (Paperinik) e portafogli della
Nike.
Dopo questa
settimana
avrò più di un mese di tempo da passare con ser
Uppercut e la magia, ma avrò
solo oggi l’occasione di visitare Londra!
Firmai l’adesione alla
reception entro l’ora stabilita e
consegnai un messaggio a Rose specificandole di consegnarlo a Charlie,
non
appena fosse passato. Lì c’erano scritte le
motivazioni per cui non mi avrebbe
trovato all’istituto con le dovute scuse. Adesso ero pronto
per partire.
A quanto parve non fui
l’unico ad aver avuto quella
brillante idea, anche gli altri si erano vestiti in maniera
appariscente e
c’era anche chi risultava fin
troppo appariscente. Quasi tutti i
maschi erano vestiti in maniera comoda ma trendy: chi preferiva i
pantaloncini,
chi i pantaloni coi tasconi, c’era addirittura chi indossava
ridicoli
pinocchietti. Tutti tranne ovviamente Samahel, che in pratica si
vestì da
matrimonio: giacca e pantaloni bianchi, cravattino celeste e camicia
cerulea,
il tutto per far risaltare la sua carnagione scura. Come era logico
aspettarsi,
le ragazze lo tempestarono di complimenti, ma siccome ogni piacere ha
il suo
prezzo, il conto che dovette pagare Samahel fu assai caro: sudava un
inferno là
dentro.
Le ragazze messe tutte assieme
naturalmente ci oscuravano:
splendenti come il sole, sembravano partecipare ad una sfilata di
bellezza.
Karina e Kiirsten erano semplicemente bellissime, i loro capelli biondi
e gli
occhi azzurri, uniti ai colori vivaci dei loro vestiti ricamati erano
una gioia
da vedere e da odorare; erano simili, ma anche differenti: la
candidissima
pelle di Kiirsten la faceva sembrare a tratti un angelo, mentre le
lentiggini
donavano a Karina un aspetto più visto e ribelle. Anche Chansui era carina
col suo completino
orientaleggiante, sembrava una bambolina di ceramica;
di tutt’altra delicatezza era invece la
ragazza rumena, che con top, minipantaloncini ed infradito sembrava
stesse
andando a mare talmente era nuda. Estremamente ridicola invece era
l’estrosa
Nanagi che sembrava uscita da una puntata di Sailor Moon: vestita alla
marinaretta con delle calzone bicolore e scarponi tempestati di spille
con
teschi, ideogrammi ed altre balordate inguardabili. Ma il primo premio
lo
meritava senza dubbio Guvu: quel suo vestito di seta smeraldata che le
scopriva
solamente le spalle, le caviglie e il collo mi fecero finalmente capire
cosa
trovavo di misterioso in quella ragazza. I suoi lineamenti delicati, la
sua
pelle liscia e gli occhi verdi e profondi erano cose che non avevo mai
visto in
altre persone di colore; sembrava quasi che la sua pelle baciata dal
sole non
servisse ad indicare la sua provenienza ma ad esaltare la sua bellezza.
Inoltre
aveva stile da vendere: per non sembrare troppo monocromatica scelse
una lucida
borsetta e dei sabot dello stesso colore dello zaffiro, con quelle
caviglie
sottili sembrava quasi galleggiare in aria.
Ripresomi dallo shock causato da
tanta bellezza, finalmente
riuscii a godermi la gita: l’insegnante in pratica ci
portò in tutti i luoghi
londinesi degni di esser visitati: il Museo Nazionale, quello delle
cere, il
London Eye e perfino Buckingham Palace, dove per un momento fui tentato
di
usare Accio sul cappello di una
delle
famose quanto odiose guardie, per vedere se continuava a rimanere ferma
ed
imperterrita; ma non valeva la pena infrangere la legge magica per un
capriccio
del genere. Era evidente che la gita domenicale fosse una pratica
consueta nel
collegio: l’insegnante sapeva anche fin troppo bene dove
andare, in quale
ordine e come tenerci a bada per essere alla sua prima volta, inoltre
non
dovemmo pagare i vari biglietti per entrare, il che significava
che in
qualche modo erano già stati pagati. Solo per la Millennium
Wheel dovetti
pagare l’equivalente di ben tredicimila e ottocento lire,
forse perché era
un’attrazione di nuova costruzione e la scuola non aveva
ancora avuto il tempo
di mettersi d’accordo o perché comunque
è difficile prendere convenzioni per
una giostra. Una volta salito però, non mi sentii
minimamente pentito per aver
speso quella cifra: era stupendo salire così in alto ed
avere il mondo
letteralmente ai miei piedi, per di più con gli altri
scherzai facendo finta di
buttarmi di sotto per mimare un atterraggio spettacolare alla James
Bond.
L’ultima tappa fu ai grandi
magazzini Harrods, perché si sa,
Londra ha sì una lunga storia ed una grande cultura, ma
è anche una città
moderna e come tale presenta il centro commerciale più
impressionante
dell’universo. E a quanto sembrava, non eravamo
l’unica scolaresca che veniva a
curiosare lì dentro, anzi forse c’erano
più bambini che adulti. Infatti
all’ingresso c’erano dei bodyguard che ci davano
dei badge collegati al codice
della nostra insegnante da ripresentare all’uscita, in modo
che nessun bambino
potesse uscire di lì senza che il suo accompagnatore lo
sapesse, per evitare
rapimenti o cose del genere. Così la professoressa Hunger,
dato che non correva
il rischio di perderci, ci lasciò liberi per
un’oretta.
E fu lì che per la prima
volta ebbi paura dei miei poteri.
Il quarto piano di
quell’immensa struttura, dove per
l’inciso si trovava il reparto dolciumi, era un richiamo
irresistibile per tutti
i bambini che si trovavano lì dentro, infatti, chi venne
prima, chi dopo, ci
ritrovammo tutti a fissarne le vetrine. Io ero intento a guardare la
varietà di
cioccolatini, quando alla mia destra sentii dei rumori abbastanza
chiari:
qualcuno stava facendo a botte. Avvicinandomi mi accorsi che
più che di una
colluttazione si trattava di una violenza: quello scarafaggio di
Samahel tirava
con tutte le sue forze il braccio di Guvu, facendole chiaramente del
male.
-Givve me a kiss, bich!
-No, no!
Pur di liberarsi, Guvu
tirò così forte che strappò una
cordicella della sua elegante borsetta, rovinandola vistosamente.
Vedendola in
quello stato, per il dispiacere Guvu smise di dimenarsi,
cosicché Samahel ne
approfittò ritornando a strattonarla per farsi dare quello
schifosissimo bacio.
-Ma che diavolo fai?
E mi ci buttai addosso con tutto il
mio peso.
-Oof! Stupid
asshole!
E ci picchiammo duramente. Io non
avevo speranze, nella mia
vita ho sempre evitato di fare a botte perché troppo fifone,
mentre Samahel
sembrava esser nato per quello.
Con un calcio nella milza mi fece
rotolare dal dolore per
diversi metri, tant’è che pensai di morire; ma non
appena mi alzai, lo vidi che
non contento stava per tornare alla carica. Dovevo reagire, se non per
me
almeno per Guvu che ci stava guardando terrorizzata, ma non sapevo che
fare, i
miei colpi erano scoordinati e lenti, li evitava tutti ed in
più mi colpiva ai
fianchi o allo stomaco non appena mi sbilanciavo un po’. La
cosa che mi dava
più fastidio però era quel vestito
così costoso che veniva indossato da un
simile maiale e la rabbia che mi provocava accese un fuoco dentro di me
che
sembrava divampare sempre più. Ma presto mi resi conto che
l’incendio non si
era sviluppato al mio interno, ma all’esterno: era Samahel
che aveva preso
fuoco.
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Capitolo 6 *** Cioccolato inglese - parte 2 ***
La sua giacca in un attimo da bianca
come l’avorio diventò
marrone e poi nera, stava andando a fuoco ad una velocità
impressionante.
Davanti a quella scena rimasi bloccato per un po’, ma le urla
strazianti di
Samahel e di Guvu mi risvegliarono dalla paralisi, così mi
fiondai verso il
ragazzo in preda alle fiamme e lo aiutai a liberarsi della giacca ormai
completamente divorata. Non so come, ma riuscimmo a toglierla e a
lanciarla
lontano; la schiena di Samahel era visibilmente ustionata, anche la
camicia
azzurra dietro era incenerita, le mie mani pulsavano e bruciavano come
se
toccassero ancora le fiamme, ma almeno eravamo fuori pericolo.
Improvvisamente una gigantesca nube
di fumo bianco ci colpì
e fummo trascinati con forza da qualcuno. Erano gli addetti alla
sicurezza che
con l’estintore spensero le fiamme e che ci trasportarono
nella sala di pronto
soccorso del centro commerciale. Ci chiesero qualcosa, ma in quel
momento non
ero in grado di capire assolutamente nulla e quindi procedettero ai
medicamenti. A me passarono sulle mani una crema che bruciava come
l’Inferno,
tant’è che piansi dal dolore, mentre Samahel
nonostante le ustioni molto più
gravi, non proferiva parola. La cosa non era un buon segno,
l’unica frase che
riuscii a comprendere fu quella del paramedico che curava il mio
compagno: “He’s
going to have a shock!”
Era orribile: Samahel era ormai del
tutto svenuto,
l’infermiere di corsa lo mise su una barella e lo
portò fuori di lì; cosa gli
successe dopo non si sa, udii solo la sirena di un’ambulanza
a breve distanza
dove penso lo abbiano fatto entrare. Dopo avermi fasciato le mani e
datomi un
tubetto di quella crema da spalmarmi per i giorni seguenti, il
paramedico mi
fece uscire dalla sala del pronto soccorso e mi consegnò
alla mia insegnante
che intanto era già stata informata dei fatti.
Ovviamente la gita finì
lì e tornammo in fretta
all’istituto. Nessuno mi rimproverò o mi fece
domande, evidentemente la storia
della rissa venne omessa, poiché oscurata dalla
più grave combustione spontanea
di Samahel. Solo io sapevo che in qualche modo era colpa mia, tutti gli
altri
pensarono ad un inspiegabile incidente e questo invece di rasserenarmi
mi fece
sentire ancor più uno schifo. Tornai in stanza, dove, con le
mani tutte
fasciate cercai di mettermi il pigiama. Se i miei genitori avessero
chiamato
quella sera non avrei detto loro nulla, anche se avrei tanto voluto
farlo.
-Toc! Toc!
Oh no, e ora
che
c’è...
Anche se in pigiama aprii la porta
senza indugi, sinceramente
in quel momento non me ne importava nulla di essere presentabile. Ma
sbagliai,
perché era Guvu che bussò:
-Ah, e... oh, mi dispiace per quello
che è successo oggi,
io...
-No, sono io che sono venuta a
ringraziarti di persona,
pensavo saresti sceso in mensa per la cena, ma non avendoti trovato
sono salita
per chiamarti...
-Eh, figurati, non è stato
nulla, certo ho preso un sacco di
botte, ma quello messo peggio alla fine è lui, sai io non...
-E tu l’hai salvato! Dopo
tutto quello che ci aveva fatto
l’hai comunque aiutato, io ero così terrorizzata
che non riuscivo a muovermi,
ma tu hai mantenuto il sangue freddo e così come sei partito
per difendere me,
ti sei lanciato per salvare lui, sei stato bravo...
Se sapesse
che in
realtà ho appiccato io l’incendio scapperebbe a
gambe levate invece di venire
qui a parlarmene... Ehi, ma...
-Tu parli in italiano?
-Sì, te ne sei accorto
solo ora?
E si mise a ridere, dopotutto quello
che era successo aveva
ancora la forza di farlo, e che risata poi, sottile e vellutata.
-Mio padre è italiano.
Venne a lavorare in Namibia da
giovane come ingegnere per le miniere di piombo ed incontrò
mia mamma. Da quel
giorno rimase sempre lì e non tornò
più al suo paese. Il villaggio di mia madre
in cui nacqui è matriarcale, perciò ho preso il
cognome materno, di mio padre
ho ereditato solo la lingua, qualche lineamento e gli occhi, ma non te
ne eri
accorto?
Io, ubriaco al massimo nel sentirla
parlare in italiano
risposi:
-E sì, gli occhi li avevo
notati...
-E non solo quelli, mi sa!
E tornò a ridere. In lei
tutto era perfetto, e quando
parlava in italiano, in maniera molto più sciolta e sicura
che in inglese, la
sua voce era ancora più gradevole.
-Ti lascio riposare, sarai stanco, ma
prima...
Estrasse un piede dalla sua scarpa e
si grattò il polpaccio,
come se la vergogna la stesse pizzicando da tutte le parti, mi si
avvicino e...
Smack!
Un bacio inaspettato mi si
stampò a metà tra la bocca e la
guancia sinistra. La traiettoria originale in realtà
prevedeva una bacio
classico, ma io, in preda a qualche istinto protettivo, girai
velocemente la
testa, facendo per metà fallire l’opera.
-Ops!
Disse lei, ancora come se la colpa
anche di quel bacio
fallito fosse sua. Aveva ancora il piede nudo sfilato dalla scarpa e
solo io so
quanto quella cosa mi metteva a disagio, possedeva dei piedi
così sottili che
sembravano esser stati fabbricati alla perfezione. Evidentemente lei lo
notò e
lo rinascose subito dentro il sabot.
-Ah, ehm... Grazie!
-Ihihih, prego!
Grazie?! Lei
ti dà un
bacio e tu la ringrazi?
-No, cioè volevo dire...
-Lascia stare ho capito... Sai
pensavo che io non ti
piacessi, invece è tutto l’opposto.
Sono
così tanto un
libro aperto per le ragazze?
-Infatti! Non ti parlavo spesso...
-Diciamo per niente.
-Sì, non ti parlavo spesso
perché eri sempre con quei due,
che non sono proprio dei simpaticoni, ma non perché tu non
mi piacessi.
-Lo immaginavo, stavo con loro
perché voi sembravate già
abbastanza uniti e non sapevo come fare per farmi accettare.
-Oh, mi dispiace, da domani parlaci
pure, non mordiamo!
-Ihihih, ok, ci vediamo domani,
riposati!
E se ne andò,
quell’imbarazzante quanto magico momento durò
pochissimo ma si protrasse per tutta la notte nella mia testa. Quella
notte
sognai che mi baciava almeno una quarantina di volte ed in tutte le
volte io
facevo qualcosa di assurdo per evitare il bacio. Addirittura una volta
io mi
allacciavo le scarpe e lei mi baciava la fronte, era deprimente. Ma
tutte le
volte sentivo il suo profumo, che più che una fragranza
artificiale era un
odore naturale. Sapeva di terra riarsa e di spezie orientali, non che
io
conoscessi realmente questi odori, ma in qualche modo la mia mente
assuefatta
mi portò a pensare ad essi.
Il giorno seguente scoprii che era
arrivato un nuovo gruppo
che sarebbe rimasto per altre due settimane, avrebbero occupato le aule
A2 e P2
nei nostri stessi orari. Solo la mattina iniziavano un’ora
dopo, cioè alle 9
invece che alle 8, questo perché quei bambini erano anche
più piccoli di noi.
La prima volta che li vidi non ci potei credere: il più
grande di loro poteva
avere al massimo otto anni. Trovai esagerato mandare dei bambini
così piccoli
via da casa per ben due settimane solo per insegnare loro una lingua
straniera;
certo, alcuni avranno avuto i loro motivi per farlo, come me, ma
scommettevo che
la maggior parte erano lì per la mania di grandezza dei loro
genitori.
In classe invece la situazione
cambiò notevolmente: il bacio
mezzo-serio datomi da Guvu era ormai sulla bocca di tutti,
così come il mio
eroico salvataggio dalle fiamme di Samahel, perciò io e le
mie mani fasciate
fummo l’attrazione principale della giornata. Inoltre,
poiché stavo al centro
della classe, per tutta la lezione venni sommerso dalle lettere degli
ammiratori e dagli sguardi maliziosi di Guvu che, approfittando
dell’assenza di
Samahel, cambiò di banco, avvicinandosi pericolosamente.
Anche alla mensa mi
stava attaccata. E anche nella sala Tv. E sul divano della reception.
-Non ho potuto fare a meno di notare
che mi stai sempre
addosso.
-Lo so.
-Anch’io lo so che lo sai,
ma voglio sapere perché!
-Stiamo assieme, no?
Oddio, che
situazione
del cavolo...
-Senti Guvu, ragioniamo: non
c’è cosa al mondo che mi
piacerebbe di più che stare con te, ma capirai che staremo
insieme soltanto
un’altra settimana e poi ci divideremo per sempre,
è meglio non affezionarsi
troppo, o l’addio sarà ancor più
doloroso...
-Lo so, ma già io mi sono
innamorata, non possiamo
lasciarci, io ti...
Ahia, non
quella
parola!
-Non lo dire, mi spezzerebbe il cuore
sapere di perdere
colei che amo e che mi ama, ma purtroppo non siamo destinati a stare
insieme,
io sono italiano, tu non mi ricordo di dove sei, comunque in Africa,
troppo
lontano.
-Mio padre lasciò tutto
per stare con mia madre, possiamo
rifarlo, è destino, sei italiano come lui.
Eh, ma non
così pirla...
-Non penso che tuo padre avesse undici
anni, ai tempi della
difficile decisione. E nemmeno dei genitori preoccupati. Né
penso dovesse
ancora andare a scuola per imparare un mestiere.
-Hai ragione, è
impossibile...
E se ne andò, triste come
se le avessi appena ammazzato
qualcuno, ma in effetti qualcosa del genere l’avevo fatta: le
avevo spezzato il
cuore.
Avrei voluto
vedere
Charlie in questa situazione, come se la sbrigava...
La lezione pomeridiana ci
riservò una notevole sorpresa: la
signorina Hunger era stata sostituita da un’altra
professoressa, Doretta
Springs se non ricordo male. Il motivo non fu reso ufficiale, ma era
logico che
la colpa fosse mia: dovevo parlare urgentemente con Mrs. Sinclair.
Anche se parve non terminare mai,
alla fine la lezione finì,
così potei correre all’ufficio della direttrice
per spiegarle come stavano le
cose.
-Corri da qualche parte, giovanotto?
Era lei, che stava uscendo dal suo
ufficio: appena in tempo.
-Sì, signora. Volevo dirle
che miss Hunger non ha colpa,
quello che è successo...
-E stato un incidente, lo so. La
professoressa aveva già
portato in gita decine di volte i ragazzi degli altri corsi e non era
mai
successo nulla, sulla sua professionalìta non ci sono dubbi.
Poteva accadere a
chiunque.
-E allora perché
è stata...
-Sostituita? Vedi, sebbene noi, anzi
io conosca
l’affidabìlita della professoressa Hunger, lo
stesso non si pùo dire del padre
del signor Muhai, che se non vèrra a sapere quantomeno della
sospensione della
professoressa responsabile dell’integrìta di suo
figlio durante l’incidente,
finirà per denunciarci. Se tutto andra bene,
riottèrra
il posto entro la fine dell’estate, altrimenti... Non
preoccuparti, sicuramente
trovèra un altro impiego, e giovane, ma il suo curriculum e
molto valido.
-Curriculum?
-Oh, a volte dimentico con chi ho a
che fare, sì giovanotto,
il curriculum non e altro che il resoconto della carriera di una
persona, in
pratica gli studi ed i lavori che ha affrontato. E come ti ho
gìa detto, il suo
fa invidia a molti. Ora non ci pensare, e vai a mangiare, tanto non
puoi
aiutarla lo stesso.
E così dovetti tornare sui
miei passi; anche se a conti
fatti non potevo fare nulla, mi sentivo lo stesso in dovere di fare
qualcosa.
Da quella sera e per le altre a
venire, il gioco della
bottiglia diventò la sola cosa che si riuscisse a fare. Era
una versione
modificata, dove non avevi libertà di scelta: o baciavi o
venivi baciato. Ma
erano soltanto dodici i ragazzi che partecipavano a quello scempio,
visto che
Samahel se la stava spassando all’ospedale, Guvu non usciva
dalla sua camera,
io non avevo voglia di cimentarmi di nuovo in approcci amorosi e
Rinaldo
preferiva fare la parte dello spettatore, senza giocare. E siccome
queste cose
non mi sono mai piaciute decisi di allontanarmi e scendere nella hall
principale a vedere il giardino.
Lì incontrai uno dei
bambini del nuovo gruppo che stava
guardando qualcosa dietro la scrivania della reception.
-Ehi, hi!
Invece di rispondermi mi
fissò dritto coi suoi occhioni.
-Ehm, hello?
Ancora niente.
-What’s
your name? Mine is Emanuele!
Riconoscendo la famosa domanda,
rispose:
-Me Gustav, you Emanuele?
-Yes, Gustav!
-I am happy!
E mi sorrise.
Beh,
è logico, cosa
pretendevo, ha solo sette o otto anni!
-Sciocolà?
Cos...?
-Sciocolà-tt!
E mi indicò un preciso
punto dietro la scrivania. C’erano
dei cioccolatini in una ciotola vicino all’elenco telefonico.
Ah, ecco
cosa stava
fissando prima...
-Vuoi del cioccolato, chocolat?
Alzò ed abbassò
la testa violentemente come se mi stesse
urlando: “SSSIIIII!!!!”
-Ok, te li prendo...
Anche se non era permesso, mi
intrufolai dietro la scrivania
e trafugai l’ambita ciotola della cuccagna. Il bambino prese
subito due
cioccolatini e se li infilò in tasca, un terzo, invece se lo
pappò all’istante.
-Sciocolà!
Gnam!
Mi fece venir voglia, così
ne presi uno anch’io.
Destino volle che il resto della
settimana lo passassi
praticamente coi bambini cioccolato-dipendenti. Ogni pausa pomeridiana
ed ogni
sera, mi ritrovavo a fare da babysitter a quei mocciosi che non
riuscendo a
comunicare tra loro, avevano un unico modo per mettersi d’accordo su qualcosa che conoscevano...
-Sciocolà?
-Cioccolà?
-Giogolad?
Insomma, ognuno lo pronunciava a modo
suo, ma il soggetto
era sempre quello, perciò non potei far altro che rispondere:
-E cioccolattiamo!
Penso che mangiai più di
venti cioccolatini in quei cinque
folli giorni, e di sicuro se il corso fosse durato un paio di settimane in
più,
avrei messo su almeno un paio di chili. Ma nonostante ciò,
preferivo la loro
semplice compagnia a quella dei miei compagni di corso.
I motivi erano molteplici: ormai la
situazione con Guvu si
era fatta pesante, da splendente e radiosa com’era,
passò a delusa e depressa;
poi anch’io ero cambiato: dopo quello che avevo fatto a
Samahel non me la
sentivo più di spingermi troppo con le emozioni, non
finché non avessi imparato
a controllare i miei poteri; infine, non volevo attaccarmi
ulteriormente a
loro, altrimenti l’addio da triste sarebbe diventato tragico.
Così tirai in
questa maniera fino a venerdì, giorno in cui
ritornò Samahel.
Il suo fu un ingresso in pompa magna:
limousine di venti
metri coi vetri oscurati, autista personale che aprì la
portiera e genitore con
annesse mogli che sprizzavano lusso e sfarzo da ogni passo. Solo
Samahel,
paradossalmente, fece l’ingresso meno regale di tutti;
evidentemente neanche i
soldi riuscivano a rendere eleganti le grosse fasciature che aveva sul
torso.
Mrs. Sinclair, come direttrice, si
presentò per prima
rispetto agli altri dipendenti, dimostrando di conoscere alla
perfezione anche
la lingua del padre di Samahel, il quale non poté far a meno
di rimanere
quantomeno stupito. Ad un certo punto, non so come, ma dal discorso
venne fuori
il mio nome ed un attimo dopo venni presentato al padre del ragazzo.
-Tu sei salvadore di mio filio! Bravo
raguazzo, ma adesso
raccondici quello ch’è successo!
A quanto sembrava, si era preparato
il discorso da farmi
prima di venir all’istituto.
-Se vuoi aiutare la tua insegnante,
questa e l’occasione
giusta.
Mrs. Sinclair non poteva essere
più chiara di così, perciò
raccontai la verità: di Guvu, delle botte,
dell’innocenza della signorina
Hunger e soprattutto dell’incidente col fuoco.
-Mio filio ha raccontato me stessa
tua stoira, perciò ti
credo, fatti abracciare!
-Off!!
Era un abbraccio poderoso, non
c’erano dubbi.
-Tieni, questo piccolo presente per
te. Dallo a morosa!
Così, in un attimo, passai
dall’essere il testimone chiave
al non essere considerato più. Per lo meno avevo ancora il
regalo che mi aveva
fatto il padre di Samahel.
-Vedi che quello essere brillante,
costare molti soldi, mio
padre no capire difficoltà persone, perciò tu no
pensare male di lui.
Nascondilo, un giorno sarà utile. Ah, e grazie.
E inaspettatamente, anche Samahel si
dimostrò riconoscente.
In fondo
è un bravo
ragazzo, non ha colpe se è cresciuto in
quest’ambiente. Probabilmente suo padre
ha anche più di una moglie e questo non l’ha
aiutato certo a capire cosa sono
gli affetti. Mi dispiace averlo sempre visto in cattiva luce.
Dopo un po’ decisero di
andarsene e Samahel, con un ultimo
inchino, salutò tutti.
-Sei stato bravo.
La signora Sinclair mi diede una
pacca sulla spalla, il che
voleva dire che tutto s’era risolto per il meglio; almeno per
noi, meno per i
responsabili del centro commerciale.
Il sabato mattina iniziò
bene: Guvu uscì dalla sua
depressione sociale e si azzardò pure a salutarmi; sembrava
essere ritornata
quella d’un tempo. Alla fine della lezione, la presi in
disparte e le diedi il
pacchettino contenente l’anello col brillante.
-E questo? Cosa significa?
-Significa che non sapevo che farmene
e l’ho dato a te!
-Ma non è mica un regalo
da fare alla prima che passa, vale
un mucchio di soldi, non lo sai?
-Ma tu non sei la prima che passa,
penso che questo anello
sia il minimo che ti meriti.
-Ho riflettuto a lungo in questi
giorni, tu non hai colpa,
dicevi le cose come stavano, sei sempre stato così carino
con me, ma non posso
accettare tu...
-Tienilo nascosto fino a quando non
avrai l’età per
indossarlo. Ci tengo, ti ricorderà me. Tienilo.
-Ok, ma se lo rivorrai indietro basta
dirmelo ed io...
-Va bene, ma sono sicuro non
succederà, credimi. In più ti
voglio chiedere di non serbare troppo rancore verso Samahel, lui
è cresciuto
con la convinzione che le donne sono degli oggetti, probabilmente
nemmeno conosce
sua madre. Anche lui se ne vergogna un po’, è
addirittura venuto da me per
scusarsi dei modi indelicati di suo padre, s’è
pure preparato un discorso da
farmi in italiano, non sarà stato facile... Non ti chiedo di
perdonarlo, ma...
-Ci proverò, ma solo
perché me lo stai chiedendo tu.
Rimarrai per sempre nel mio cuore, voglio dirtelo ora che siamo soli,
non so se
ci ricapiterà un’occasione del genere.
Uffa, che
melodramma,
è meglio tagliarla al più presto.
-Andiamo, sennò si
insospettiranno.
Così affrontai sereno e
libero da ogni pensiero l’ultima
lezione pomeridiana di quel corso. Samahel stava bene, Guvu si era
ripresa e la
signorina Hunger sarebbe tornata al più presto il suo
lavoro: non poteva finire
meglio di così.
La cena di quella sera fu abbastanza
toccante, tutti
sapevamo che quello sarebbe stato l’ultimo momento passato
assieme, perciò più
che un pasto sembrava un funerale. Scambi più o meno tristi
di sguardi, qualche
lacrima e perfino barzellette per allentare di un minimo la tensione:
non ci facemmo
fatti mancare nulla. Il che faceva riflettere sul fatto che se il corso
fosse
durato ancora qualche altra settimana, l’addio sarebbe stato
estremamente
straziante. Alla fine, fui io quello che si dimostrò il
più impassibile. Mi
dispiaceva, certo, ma star male o addirittura piangere per questa
sciocchezza
mi sembrava esagerato, perfino la ferrea Karina aveva gli occhi umidi e
l’elettrica bambina rumena che in quattordici giorni di
lezione aveva imparato
quasi nulla non era più tanto allegra.
Più tardi scoprii che gli
altri aspettavano dei voli per
quella notte, mentre io ero l’unico che rimanevo in
Inghilterra, perciò
all’arrivo del mio tutore, fui il primo a dover salutare gli
altri. Con
semplici strette di mano o con forti abbracci il gesto aveva sempre la
stessa
importanza: si trattava di un addio definitivo, e Guvu lo sapeva. Mi
abbracciò
a lungo, io non potei far nulla se non ricambiare la stretta con
un'altra meno
soffocante, per poi lasciarla ed andare senza voltarmi verso ser
Richard, che
mi attendeva all’uscita.
-Hai visto?
-L’abbraccio?
-Direi...
-Ti sei fatto un’amichetta,
eh? I miei insegnamenti ti sono
tornati utili solo dopo pochi giorni, vedi, la vita che scherzi fa?
-Lascia perdere, è per
colpa dei tuoi stupidi consigli
che mi sono trovato nei guai con quella. Non sai cosa mi ha detto,
lei...
-Poi mi racconti!
Prima di uscire, salutai educatamente
tutte le insegnati –
anche quelle che non conoscevo – la direttrice ed i due
bambini dell’altro
gruppo che più si erano affezionati a me ed ai miei
cioccolatini.
-Penso di aver imparato molto
sull’inglese, dovremo provare
a...
-Poi mi racconti!
-Ok, ma prima devi sapere che ho dato
fuoco...
-Poi mi racconti!
-E non ti interessa nemmeno sapere
perché ho le mani..
-Va bene, ho capito, sono state due
settimane pregne di
avvenimenti, ma possiamo parlarne quando ci saremo sistemati? Ti faccio
notare
che sta piovendo...
Infatti non me n’ero
accorto, ero così sovrappensiero che
non avevo notato l’ombrello che ser Uppercut teneva sopra le
nostre teste.
-Ma anche a luglio piove qui?
-Eh già, questa caro mio,
è Londra: capitale della pioggia.
Per fortuna la nostra prossima destinazione è provvista di
camino per la
metropolvere, così arriviamo subito.
-E dov’è che
andiamo adesso?
-Dobbiamo passare un mese e mezzo
assieme, dove studiare
cose nuove sulla magia, imparare e provare nuovi incantesimi ed
acquistare
materiale per gli studi. Beh, c’è solo
un posto in tutta Londra che ci
permetterà di fare questo: il Paiolo Magico!
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Capitolo 7 *** Il Paiolo Magico ***
-Devi fare come l’altra
volta, solo che ora dovrai dire
‘Paiolo Magico, Londra’, chiaro? E cerca di
controllare la caduta se ti riesce.
Eravamo nuovamente nel negozio di
Rose, anche se in pieno
orario di chiusura, alle prese con la metropolvere.
La poveretta fu costretta a rimanere
aperta fino a quell’ora
solo per permettermi di usare il suo camino per arrivare in quella
locanda,
che, a quanto diceva ser Richard, distava parecchio da dove eravamo per
poterci
andare a piedi con tutte le valigie.
-La splendida Rose ha ritardato la
chiusura del suo negozio
proprio per permettere il nostro transito, il minimo che tu possa fare
è
ringraziarla.
Disse ser Uppercut non appena
entrammo nella fioreria.
-Certamente: thanks a lot, miss
Kettleback!
-Grazioso, ma mentre ci siamo, lascia
che ti lanci il Logoscomprehendi, ho
capito che ormai
sai parlare l’inglese meglio di me, ma è meglio
non pretendere troppo: sono
arrivate le autorizzazioni dei tuoi genitori, ora posso lanciarti
fatture a
volontà, preparati, saranno dolori! Logoscomprehendi!
Ed una scintilla percettibile solo
per un attimo, fuoriuscì
dalla punta della sua bacchetta per arrivare alla mia fronte, dove
sparì
dissolvendosi.
-Beh, che hai provato?
Solletico, fastidio o fitte
allucinanti?
-Niente...
-Mi sembri deluso, forse ti aspettavi
che facesse davvero
male? Stavo solo scherzando... Ora parla come vuoi tu, in italiano, in
inglese,
anche in una lingua che conosci solo tu, tanto quello che
uscirà dalla tua
bocca verrà capito da tutti. Su, prova a parlare
scioltamente con Rose.
-Ehm, grazie? Signorina Kettleback?
-Prego? Perché quel tono interrogativo?
-Quindi mi capisci, funziona!
Ser Richard sembrava divertito.
-E tu pensi che farei il tutore di
allievi stranieri se non
sapessi usare alla perfezione un incantesimo fondamentale come questo?
Mi
sottovaluti, e parecchio...
-No, è che per me
è strano e...
-Hai problemi a capire il sarcasmo,
non è vero?
In realtà no, era lui che
con la sua eterna espressione vaga
non faceva trapelare le intenzioni dei suoi discorsi.
-Non perdiamo altro tempo: prendi
queste due valigie,
mettitele ai lati ed entra nel camino.
-Paiolo Magico, Londra!
Come due settimane prima, anche
stavolta le fiamme verdi mi
divorarono in un secondo, trasportandomi come fumo dal camino di Rose a
quello
della mia nuova destinazione.
Swisss!
Ma stavolta furono le mie due valigie
a sgusciare via come se
a terra ci fosse del sapone. Io, invece, riuscii a mantenere
l’equilibrio non
appena sentii nuovamente solide le gambe; produssi solo un piccolo
saltellino
in avanti per assestarmi.
Ci sto
facendo la
mano. Me la ricordavo molto peggio la materializzazione!
-E’ meglio che ti sposti di
lì giovanotto: la cappa del
camino sta luccicando, vuol dire che sta arrivando qualcun altro!
L’avvertimento proveniva da
un tizio baffuto dietro ad un
bancone, che con un panno asciugava un boccale di birra. Ed io non
potei far
altro che ubbidire.
Whaamp!
Con una fiammata che partì
dall’alto per poi spegnersi a
terra, apparve ser Richard che, sorpreso nel vedermi in piedi, non
riuscì a
trattenere un cenno di approvazione.
-Ooh, ora capisco chi è
questo ragazzo volante! E’ quello
nuovo, vero?
Era ancora il baffone che parlava
– anzi, urlava – ma questa
volta ce l’aveva chiaramente col mio tutore.
-Sì, Wallace, ti presento
Emanuele. Emanuele, Wallace.
Questo qui è italiano.
-Piacere giovanotto!
Lasciò perdere le sue
pulizie per avvicinarsi e stringermi
la mano con una poderosa stretta.
-P-piacere mio, s-signore.
-E’ educato questo. A
differenza di quell’altro,
l’austriaco!
-Ma dai, sono passati quattro anni,
non riesci a
dimenticarlo?
-E come potrei, ha spaccato una botte
facendo versare tutto
il vino, 500 galeoni di danno! Valli a pagare!
-Appunto, l’hanno
già fatto: sei stato rimborsato, Peter è
stato rimproverato a dovere e tu dovresti passarci sopra!
-Beh, ragazzo, ti avverto:
non farmi arrabbiare mentre stai
qua, che di subire altri danni da un mocciosetto di Richard non
c’ho proprio
voglia! Sono stato chiaro?
-C-chiarissimo!
-Ecco, me l’hai spaventato.
Ti avrei presentato a lui come
un uomo grosso e simpatico, invece dovrò dirgli la
verità. Sei uno scorbutico
esagerato: non passa mai più di un giorno che qualcuno
non incendi o
faccia saltare in aria qualcosa qui dentro e tu sei il primo di loro.
Proprio
l’altro ieri Zimmer dell’ufficio Finanze mi ha
detto che hai presentato una
fattura per riparazione impianto idrico, dopo che tu hai allagato la
cantina
con non so quale incantesimo.
-Che c’entra, quello
è stato... Và, inutile parlarne, tanto
se vorrà distruggermi il locale lo farà lo
stesso. Accetta con entusiasmo
dicevano; non capita a tutti di firmare un contratto di lavoro col
Ministero
stesso, sono soldi assicurati dicevano; almeno un cliente
l’anno per un mese
intero: ne avrei fatto a meno di questo cliente, tsk!
Borbottando queste lamentele
tornò al suo posto dietro il
bancone, ritornando a pulire il boccale e dimenticandoci per un istante.
-Ehi, e la stanza?
Ser Uppercut per farsi sentire glielo
dovette gridare.
-Bah, sceglietene una a caso,
lì sopra... Sono quasi tutte
libere, tranne un paio in fondo, il pienone ci sarà fra
qualche settimana.
-Lo sappiamo, proprio per questo
siamo qui oggi. Dai, prendi
la valigia più leggera e sali; una stanza qualsiasi va bene
a quanto pare,
scegli quella che più ti aggrada, così ci
riposiamo finalmente.
In realtà rimasi
così stordito dalla scena di pochi momenti
prima, che non mi ero nemmeno guardato intorno, quindi non sapevo
minimamente
dove fossero le scale.
La struttura era semplice: una stanza
rettangolare con il
bancone del gestore situato nel lato lungo che si affacciava
all’ingresso, con
una rampa di scale ed un camino con alcuni ritratti appesi sopra su i
restanti
lati. Alla sinistra del bancone era presente un’enorme botte
alta almeno due
metri che conteneva vino – almeno questo c’era
scritto sulla targhetta – mentre a
destra ce n’erano altre tre, più piccole, che
però a quanto pareva contenevano
una strana bevanda di nome burrobirra.
Se quello che si
presentò alla mia vista fosse rimasto solo questo,
allora non
sarebbe apparso un locale molto magico, sporco forse, ma magico no di
certo.
Il fatto è che le sedie del tavolo si scambiavano
periodicamente di posto, i
piatti ed i bicchieri passavano dal lavabo ai tavoli in maniera del
tutto
autonoma e gli sgabelli posti sotto il bancone ogni tanto facevano
qualche
piccolo saltello. Per non parlare dei singolari clienti della locanda:
la
maggior parte di loro indossava mantelli e casacche scure, molti altri
portavano strani cappelli a punta ed un uomo su tre aveva una lunga
barba che
arrivava fino al petto. Tipi abbastanza fedeli allo stereotipo del mago
del
tredicesimo secolo.
-Che hai da guardare?
Il tizio più strambo di
tutti mi rivolse quella domanda
assieme ad una torva occhiata.
-Non sente caldo con quei guanti di
lana?
-Che?!?
Sembrava non avesse capito la mia
domanda, ma in realtà si
trattava di disappunto: avevo osato fargli notare
l’inadeguatezza del suo
abbigliamento.
-Ti sei imbambolato? Dai, sali, la
scelgo io la stanza!
Ser Richard, per salvarmi da
quell’imbarazzante situazione,
aprì una porta che si rivelò rumorosissima, in
modo da attirare l’attenzione
del mago imbronciato. Ne approfittai al volo e lo seguii dentro quella
camera.
-Ah, la vecchia porta scassata! Se
Wallace un giorno
l’aggiusterà, ci resterò male, ormai ci
sono talmente affezionato...
La stanza era uno schifo: polvere
dappertutto, perfino sulle
pareti; non avevo mai visto pareti impolverate, ma grazie alla pulizia
del
locandiere, ora potevo vantarmi di averne viste ben quattro. Inoltre
sotto una
plafoniera ad olio c’era un buco che faceva presumere
un’infestazione di ratti,
anzi era cosa certa: infatti, il letto da una piazza e mezza a
baldacchino che
era posizionato nell’angolo sotto la finestra, aveva le
lenzuola strappate e
rosicchiate. Per non parlare delle tipiche cacche a pallina di cui era
ricoperto ogni centimetro quadrato dell’ambiente: non avrei
dormito in quella
stanza nemmeno sotto tortura.
-Ma...
-Lo so, questa è la stanza
usata come magazzino quando
arriva la mobilia nuova, che, come vedi, non viene usata nemmeno per
quello
ormai. Era solo per disimpegnarti da quel tipo, è un
attaccabrighe, lo conosco
di fama. Cerca un’altra stanza: sono tutte uguali, ma scegli
comunque quella
che ti ispira di più.
Anche se era semplicemente
impensabile che il mio tutore mi volesse sistemare in una stanza del genere, mi sentii lo stesso sollevato per
lo
scampato pericolo. Ora non restava che sperare che le altre stanze
fossero un
po’ più presentabili.
Uscendo da quel tugurio ci si
trovava in uno strano
corridoio costituito interamente da assi di legno. La stranezza stava
nel fatto
che non c’era una parete, uno stipite o una trave che fosse
dritto. Era tutto
assurdamente storto, tant’è che se non fossi
sicuro di essere astemio, avrei
pensato più facilmente di essere io l’ubriaco che
ammettere che la struttura
non aveva alcun senso architettonico.
-Ehm, ser Uppercut... Non
è che ci cade addosso l’intera
baracca?
-No, certo che no. Sono secoli che
questa locanda sta in
piedi e ci resterà ancora parecchio e, se tutto va bene,
anche per sempre. La
struttura ovviamente poggia su solidi incantesimi edificanti che non
sempre
vengono lanciati da chi conosce alla perfezione
l’architettura e le sue
simmetrie... E questo corridoio ne è un chiaro esempio.
Contrariamente a quanto
sembri, infatti, nemmeno un terremoto talmente potente da squarciare in
due
Londra può far cadere questo e tutti gli altri edifici
sostenuti magicamente.
Insomma, non c’è posto sismicamente più
sicuro di questo, credimi. Anche se,
effettivamente, il lavoro fatto in questa locanda è
orribile: guarda, non c’è
una parete che sia parallela alla sua frontale, nemmeno a occhi chiusi
si
poteva fare un lavoro peggiore, eheh. Che bello quando si è
giovani, si vede
tutto con stupore, ci si entusiasma pure per delle travi sbilenche!
Io di certo
non sono
entusiasta, forse terrorizzato è il termine giusto.
-Bah, come dici tu... Se dentro non
fa schifo, prendiamo
questa!
La stanza che scelsi era proprio
quella che precedeva
l’incurvamento più bislacco dell’intero
corridoio: si era formato un angolo di
almeno quaranta gradi, un muro praticamente.
Non
è male, può
andare!
Effettivamente era la copia
spiccicata del
tugurio-magazzino, ma meno sporco e decisamente meno infestato.
-Va benissimo, vedi qualche cacca di
topo?
-Cosa?
Rabbrividii.
-Non le riconosci? Sono dei piccoli
tondini marroncini...
Vabbè, non importa, non ce ne sono, possiamo star
tranquilli. Sì, questa stanza
va proprio bene! Posiamo le valigie e mettiamoci comodi, ho la schiena
a pezzi!
Detto questo, ser Richard
posò la valigia che aveva in mano
sopra la scrivania e si sedette sulla poltrona che dava sulla finestra.
-Vedi? C’è pure
il camino, penso che fra un po’ lo
accenderemo!
Penso si
riferisca
alla metropolvere, anche se ha usato il verbo accendere, non
può esser così
pazzo da farlo veramente! Ci sono quaranta gradi all’ombra!
-Allora, alle sette scendiamo di
sotto per la cena, ci
scambiamo quattro parole e ci salutiamo, ok? Stanotte dovrai riposarti
per
bene, ci attendono giorni pieni di impegni, dovrai imparare un sacco di
cose
sulla magia, dovremo acquistare tutto il necessario e cosa
più importante
dovrai imparare a controllare i tuoi poteri e a saper lanciare il Logoscomprehendi... Te lo ripeto per
evitare che te lo scordi.
-E come si fa a dimenticare la
situazione disperata nella
quale mi trovo?
-Oh, non c’è
nulla di disperato... Abbiamo più di un mese,
ce la faremo senza dubbio. E’ tutto calcolato: ho
già affrontato questo compito
varie volte e non ho mai fallito. Di certo tu non farai eccezione...
Entro
Settembre saprai più cose tu sulla magia che un ragazzo nato
in una famiglia di
maghi, stanne certo. Ora, puoi raccontarmi pure tutto quello che hai
fatto in
quelle due settimane al collegio babbano, incluso il motivo per il
quale hai le
mani fasciate.
Uh, e da
dove
comincio?
Così sparai d’un
fiato tutte le vicende più importanti che
mi videro protagonista e, diversamente da quanto immaginavo ci misi
meno di
cinque minuti forse perché in fin dei conti, a parte
l’autocombustione durante la
gita, il resto non era particolarmente importante.
-Uhm, ha preso fuoco, hai detto?
Beh, in effetti, può essere
abbastanza grave, a seconda di che tipo d’incantesimo hai
usato per mandarlo in
fiamme. Domani controllerò immancabilmente. Ah, e ti
farò curare le mani,
naturalmente. Ora sistema il resto delle tue cose, che vado a fare
quattro
chiacchiere con Wallace, fra qualche minuto salgo e vediamo un
po’ di iniziare
a risolvere il primo problema: intercettare e fermare il rapporto della
Traccia.
-Traccia?
-Sì, te ne ho
già parlato grossolanamente, in parole povere
è un sistema infallibile che, appunto, traccia i movimenti
magici di tutti i
minori; insomma se usano o meno incantesimi al di fuori delle aree
permesse e
senza un tutore magico al suo fianco. Se vuoi sapere come funziona
esattamente,
in uno dei libri che ti porterò domani, sarà
spiegato dettagliatamente, per il
momento ti basti sapere che se non fermiamo il rapporto che ti
riguarda, a
seconda della gravità dell’incantesimo che hai
usato – ed incendiare una
persona non è di certo una bazzecola – potresti
anche venire espulso dalla
scuola od, ancor peggio, ti potrebbe venir requisita la bacchetta. Sai che fregatura vedersi precluso un mondo in cui non si è ancor messo piede...
Su questo
non ci
piove...
-Ma non preoccuparti, per i nati
babbani la procedura è
molto più lenta: passano settimane prima che si prenda in
considerazione un
rapporto a loro sfavore, perciò siamo ancora in tempo. Per
esser ancor più
sicuri però, la farò cercare stasera stesso,
sempre che all’ufficio ci sia
ancora qualcuno.
Dopo avermi allarmato, come se nulla
di terribile fosse
uscito dalle sue labbra uscì, sornione, dalla stanza.
Ma tu guarda
che razza
di situazione, sarebbe il colmo venire espulsi dopo essermi sorbito due
settimane di spelling e dettati, uff!
Non mi restava altro che disfare le
valigie, detestavo
ammetterlo, ma in quella stanza ci sarei dovuto rimanere a lungo...
Un quarto d’ora dopo, come
un orologio svizzero, ser Richard
bussò alla porta ed entrò, col pugno sporto in
avanti e facendo cenno di
allontanarmi e mettermi da parte.
-Largo, ho della metropolvere in
mano, quello spilorcio
manco una scodella m’ha prestato!
In effetti dalle fessure delle dita
fuoriusciva copiosamente
della polvere, ma la scena era così assurda che il pensiero
delle pulizie che
sarebbero seguite non mi balenò in mente neppure per un istante.
Ciaff!
Così la
lanciò sul fondo della canna del camino, creando
una bassa ma vigorosa brace. Pensandoci, quel caminetto non era largo
abbastanza e decisamente basso per contenere una persona,
perciò non mi sapevo
spiegare come avrebbe fatto a materializzarsi da lì; in
più stavolta buttò
subito la polvere e non dopo come le scorse volte, perciò
guardai con ancora
più curiosità.
-Incrociamole dita!
Dopo queste scaramantiche parole, si
piegò e buttò
letteralmente la testa tra le fiamme, lanciando zampilli ovunque.
-Oddio!
Subito dopo, ritrasse la testa dal
fuoco e si girò verso di
me, dicendomi:
-Ah, tranquillo, materializzo solo la
testa, non corro certo
rischi.
E rinfilò la testa nel
tizzone... Per poco.
-Ah, per mettere le cose in chiaro,
l’incrociamo le dita era
riferito alla speranza che ci fosse qualcuno in ufficio.
Infilò una terza volta la
testa tra le fiamme rimanendoci
però molto più a lungo delle precedenti.
Era stranissimo ritrovarsi davanti ad
un corpo senza testa
che ogni tanto si muoveva, si grattava la schiena o sistemava la
postura,
macabro direi. Solo dopo una dozzina di minuti, sollevando un enorme
polverone
fuligginoso, emerse la testa dall’ormai quasi del tutto
esaurito fuoco del
focolare, mostrando un volto soddisfatto.
-Tutto a posto, missione compiuta! Il
tuo rapporto è stato
mandato dritto alla mia scrivania, così potrò
pensarci io stesso, in più ho
fatto preparare i libri, così domani non perderò
tempo e sarò di ritorno prima
delle dieci. Ah, una cosa buffa poi: sai perché Matthew, il
mio collega, non è
riuscito a convincere quel ragazzo a studiare ad Hogwarts?
Perché secondo i
suoi genitori la Francia è più vicina! I babbani
hanno proprio uno strana
percezione delle distanze, come se in caso di bisogno i figli non
potessero
ritornare in casa lo stesso in pochi minuti!
-A proposito di quel termine,
babbani...
-Sono gli individui che non
posseggono alcuna dote magica.
-L’avevo intuito, con tutte
le volte che l’hai ripetuto...
-E allora?
-Non ti sembra un po’
spregiativo?
-No e perché mai, cosa
vedi di offensivo?
-Beh, non so, suona
brutto... Non era forse meglio Non
Maghi? Oppure PSP (Persone Senza Poteri)?
-No, si creerebbe confusione col
termine Magonò di cui sai
già il significato, e poi è comunque troppo lungo,
babbano invece è veloce ed
immediato, due sole sillabe: bab-ba-no! Vedi? Babbano!
[NB: in inglese babbano = muggle]
-Sarà, a me non piace per
niente.
-Forse in passato era usato per
disprezzarli, anzi quasi
certamente, ma oggi non è più così:
è il termine ufficiale per indicare coloro
che non hanno le nostre stesse potenzialità, anche in un
discorso formale lo si
utilizza; non vederlo come un’offesa. Toh,
è già ora di cena!
In effetti avevo un leggero languore,
il che voleva dire che
mi stavo abituando a cenare così presto... La cosa non mi
piaceva affatto, in
due settimane stavo stravolgendo completamente le mie abitudini, era
disturbante
un cambiamento così repentino.
-Scendiamo, su! Imparerai molto anche
in tavola, vedrai cosa
mangiano solitamente i maghi e cosa non deve mancar mai... Certo, ad
Hogwarts
avrai molta più scelta e la cucina sarà migliore,
ma anche qui potrai notare le
differenze con la gastronomia babbana.
Di colpo l’appetito mi
passò: ser Richard sapeva proprio
come fare a fermare ogni entusiasmo. Per fortuna il profumino che
proveniva dal
piano di sotto mi riaccese la fame, anzi la ingigantì.
-Umh sì, zuppa di rape e
fagioli, tipico. E questo? Sniff, sniff! Braciole
di maiale
all’agrodolce! Mangeremo saporito stasera, ma non farci
l’abitudine: dirò a
Wallace di contenere le calorie, non voglio che poi ci sentiamo male.
Ennesima batosta morale.
-Non guardarmi male però.
E’ per la nostra salute...
Tranquillo che mangerai bene lo stesso.
Nonostante il buonissimo odore che
emanava, il pasto a
vedersi era semplicemente orribile: una ribollente brodaglia verde
scuro nella quale
ogni qual volta scoppiava un grumo, ne usciva una nauseante colata
violacea.
-Buono, buono, buono. Su, non
facciamola freddare sennò
perde tutto il sapore.
Lo osservai attentamente per vedere
come e soprattutto se
l’avrebbe mangiata, ma con mia sorpresa prese un semplice
cucchiaio di legno,
lo inzuppò e se lo portò alla bocca, dove dopo
averci soffiato sopra, risucchiò
tutto il brodo.
-Beh, non mangi?
-No, è che... Le bolle...
-Ah, tranquillo, è una
semplice zuppa...Per dargli un
pizzico di sapore in più sono state aggiunte spezie un
po’ troppo vivaci, ma
nonostante l’aspetto tutt’altro che appetitoso, il
gusto non è niente male:
prova.
Mi convinsi ed immersi il mio
cucchiaione in quella
brodaglia tanto concentrata da farmi quasi sforzare per far risalire la
posata.
Trattenni il respiro e mandai giù il boccone: non era male,
ma non la smetteva
di gorgogliare neppure nello stomaco, fastidiosissimo.
-Con questa ci tiro su rutti da
competizione!
-E non sai cosa t’aspetta
questa notte, ahahah!
Risi anch’io, ma con
amarezza; quella frase poteva
significare di tutto: da una semplice notte costellata di puzzette ad
una in
preda a lancinanti fitte addominali.
Quando arrivò il secondo
eravamo così sfiniti dal ridere
(anche la semplice deglutizione era accompagnata da mille risate e
commenti
volgarissimi) che il solo masticare recava dolore alle mascelle troppo
stanche
per andare avanti.
-Se non fosse tutto pagato, uhuh, me
ne sarei andato già da
un pezzo, uhuhuh!
-Se non fosse che stanotte
dormirò da solo in un locale
pieno di brutte facce, riderei di più, ahahah!
-Basta, mi fai morire, ahahah,
c’è qualcosa che non va...
Oste!!! Brutto grassone, dicci subito cosa hai messo su quella zuppa,
altrimenti... Pffft!
Il locandiere corse più
veloce che poté ma non abbastanza
per evitare un nuovo rimprovero da parte di ser Uppercut.
-Che ciccione lumacone, guarda come
gli balla la trippa!
Ahahah!
Sapevo che non dovevo ridere per
rispetto ma era come se
qualcuno avesse aperto il rubinetto dell’ilarità,
inoltre c’era caldo, troppo
caldo per trattenerle risate.
-Dimmi che non hai messo quello che
penso io altrimenti ti
uccido, eheh...
-E’ la Festa
delle
Banche questa, tutto contiene un goccetto di alcol, lo sai.
Nel caso della
zuppa c’era sidro di bacche del fuoco, per questo ribolliva
continuamente.
-Mi sembrava fossero Naccherotti o
qualcosa del genere,
comunque sei un pazzo, servire sta roba ad un bambino di undici anni
eh, eh...
Per essere arrivati a questo punto altro che goccetto, siamo ubriachi
fradici!
-Allora fermatevi perché
anche il maiale è in umido... Su
malto di birra.
-Sentito il criminale? Prima ci
avvelena e poi ci avverte,
uhuhuh... Sei troppo simpatico Wally, ringrazia il cielo che non ho
nemmeno la
forza per pensare ad un incantesimo, sennò...
-Sennò, ser Richard?
Ahahah!
-Guardalo, ha gli occhi rossissimi,
non t’è passato nemmeno
per un secondo per la testa che ad un minore potesse far male tutto
quest’alcol? Ma guarda che faccia, Pffft...
Dovevo insegnarli come vivono i maghi e adesso cosa penserà?
Che siamo un
ammasso di ubriaconi, ecco cosa pensa! Vero?
-Oh, non penso a niente a dire il
vero...
-E ci credo; su alzati, ti porto di
sopra, dormire ti farà
bene, domani mentre siamo al San Mungo per le mani, vediamo di
sistemarti un
po’ i valori del sangue...
-Dove andiamo domani? Mani
insanguinate? Ma che stai
dicen...
Mal di testa. Un enorme, immenso,
profondo mal di testa.
Questo fu l’unica cosa che
provai per il resto della serata
fino alla mattina seguente. Mattina che peraltro iniziò nel
peggiore dei modi.
Toc! Toc!
-C-chi è?
-Sono io, Richard, apri, devo
parlarti immediatamente.
Con un pressante cerchio alla testa
mi alzai da quel fagotto
informe che compresi essere il mio letto ed aprii la porta, barcollando
come se
fossi sulla prua di una nave durante la tempesta.
-Bene, innanzitutto mi scuso per
ciò che è successo ieri
sera, se non fosse che abbiamo il tempo contato, non ti avrei svegliato
e
avremmo cominciato direttamente questo pomeriggio ma date le
circostanze... Ho
optato per svegliarti adesso, alle 10.
Le dieci? Il
mio
orologio interno batte le 5 del mattino, altro che 10...
-Ma che è successo? Non
ricordo quasi nulla...
-C’è poco da
dire, eravamo, ehm, un po’ alticci per via
dell’alcol che abbiamo assunto in dosi sostanziose. Il motivo
è perché oggi è
il primo lunedì del mese di Agosto... Non so se conosci
tutta la storia, ma qui
è festa. E’ tutto chiuso tranne i servizi di prima
necessità, e nel mondo dei
maghi la festa si protrae per tutta la settimana e sfocia spesso
nell’alcolismo
di gruppo. Non era mai successo che Wallace servisse a me e ai
miei ragazzi
cibi “corretti”, ma stavolta sì.
Comunque è tutto risolto, non ricapiterà
più,
creerà un menù tutto per noi, se gli altri
vogliono sbronzarsi facciano pure,
noi siamo qui per imparare; a proposito... Gradirei che questa faccenda
non
venisse allo scoperto... Non saprei come andrebbe a finire. Non
è colpa di
nessuno, ma... Inutile avere problemi, inoltre è meglio
tenere all’oscuro i
tuoi genitori, almeno per il momento.
-Sì, certo, tranquillo,
sarò una tomba.
-Visto che hai accennato alle
tombe... Ti dico subito perché
sono così serio oggi. Controllando il tuo fascicolo, nel mio
ufficio, ho letto quale incantesimo ha registrato la Traccia... Ed è il peggiore dei casi: La
Carnum Inflamare.
Ovviamente non sapevo con esattezza
perché fosse proprio il
caso peggiore, ma di certo non mi aspettavo di aver usato un incantesimo
innocuo.
-Non puoi saperlo, ma esistono vari
incantesimi per dar
fuoco alle cose, anzi, è proprio una delle cose basilari che
si imparano per
prime a scuola. Ma quasi sempre, o almeno solitamente, si tratta di
semplici Incantesimi di stato o
tutt’al più Alchemici.
Usare questi incantesimi per
errore non è grave, ci sono sempre delle contromisure adatte
da poter
adottare... Ma non è questo il caso. Quella che hai usato
è infatti una Maledizione,
nome brutto, per
incantesimi pericolosi. Sono nati, e di conseguenza vengono usati, per
ferire
volutamente la gente: non hanno altro scopo se non l’arrecare
danno
all’obiettivo. In più sono difficilmente curabili;
in altre parole, il tuo
amico porterà i segni delle ustioni per sempre. Nemmeno un
altro mago può
curare o fermare gli effetti di una Maledizione. Per questo
è gravissimo
usarle. Per alcune c’è perfino l’arresto
immediato; però tranquillo, a parte
me, nessuno sa di questa cosa e nessuno verrà mai a saperlo,
però comprendi il
come sia estremamente importante che tu riesca quantomeno a
controllarti
emotivamente evitando l’utilizzo improprio della magia,
specie nel tuo caso in
cui l’assenza di un catalizzatore magico non comporta alcuna
differenza.
Fu una vera e propria mazzata. E non
era ancora finita.
-Fortunatamente –
continuò ser Richard – per la paura avrai
interrotto il contatto visivo, oltre ad aver smesso di lanciare
l’incantesimo, altrimenti quel povero ragazzo sarebbe
sicuramente morto. Perché sai, non erano i suoi vestiti ad
aver preso fuoco, ma
lui stesso. Per via dell’acqua che compone la maggior parte
della nostra massa,
è riuscito a non bruciare totalmente in quei pochi attimi in
cui la Maledizione
era attiva, ma parlandoci chiaramente: se fosse stato di pezza sarebbe
morto
sul colpo.
Se non
avessi chiuso
le palpebre sarebbe morto...
Era troppo, ero ad un passo dal
piangere, anzi, stavo
proprio piangendo come un moccioso.
-Sigh!
Io... Io
non volevo, non sapevo cosa stava succedendo... Lui fa Pum!,
io faccio Grrr! e
poi lui fa Whamp! e... Io... Io...
La mia lagna era resa ancor
più umiliante dai miei goffi
tentativi di mimare la dinamica dell’incidente.
-Lo so, lo so, non volevo
spaventarti... Ma è questo che è
successo ed è mio compito avvisarti ed allenarti
propriamente per evitare che
un episodio simile riaccada. Il documento che testimonia la Maledizione
l’ho
distrutto e la Traccia non produce più di una copia per ogni
violazione quindi,
almeno per questo, possiamo stare tranquilli.
Tranquilli
un corno,
ci stava per scappare il morto e...
-Dai, ora vestiti che così
scendi, fai un abbondante
colazione che poi andiamo al San Mungo, l’ospedale per maghi
di Londra!
-Per... Per fare cosa?
-Come per fare cosa? Le tue mani, le
hai scordate? Dobbiamo
curarle, no?
-Ma hai appena detto che le ferite da
Maledizione non
possono essere...
-Curate, infatti. ma le tue sono
ustioni indirette, ti sei
scottato perché sei venuto a contato con delle fiamme, non
per altro.
-Dovrei essere io a dover portare i
segni per sempre, non
lui...
-E come sei tragico! Da quanto mi hai
detto ieri il tuo
amichetto è ricco, no? Si farà curare dai medici
babbani; a volte con la loro
scienza riescono a riparare ciò che con la magia
è impossibile, ti suonerà
strano ma è così... Mi pare si chiami Impennata
Plastica...
-Eh?
-Oh, pensavo la conoscessi, una mia
collega s’è fatta
trapiantare dei capelli color ocra che con gli incantesimi non riusciva
ad
imitare, ma si possono modificare altre cose: come naso, labbra, unghie
e, in
questo caso, cute nuova di zecca.
-Ah, la Chirurgia
Plastica!
-Ed io che ho detto?
-Te lo sai tu cos’hai
detto, ma di certo non chirurgia,
ahahah!
Non so se sbagliò
appositamente, ma ne fui grato: mi bastò
quella piccola risata per risollevarmi il morale. Adesso potevo
proseguire la
giornata, non importava cosa mi avrebbe atteso o quanto mi girasse la
testa,
ero pronto a girar pagina.
[Nota: surgery (chirurgia)
nel mondo dei maghi non ha motivo di esistere, perciò ser
Uppercut s’è confuso
con surge,
termine che in italiano trova una difficile traduzione
dato che è usato più che altro come supporto ad
altri sostantivi per indicare
un aumento, innalzamento.]
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Capitolo 8 *** Ospedale per ferite e malattie magiche San Mungo ***
-Vieni qua un attimo... Ecco,
così: Logos Comprehendi !
Con un unico fulmineo movimento, ser
Uppercut estrasse la
sua bacchetta da sotto la giacca e sparò
l’incantesimo dritto sulla mia fronte:
le esili scintille fuoriuscirono nuovamente, accecandomi brevemente.
-Dovresti essere tu a ricordarmelo
ogni mattina, sai?
-E’ che è
così strano per me... Sembra tutto molto
normale...
-E proprio perché vogliamo
che sia tutto naturale che
dobbiamo ricordarci di lanciarci questa fattura ogni mattina, almeno
fin quando
non imparerai l’inglese alla perfezione. Ok, scendiamo, siamo
pronti... Ah,
visto che siamo notevolmente in ritardo, temo che non faremo
più in tempo per
la colazione qui alla locanda, poco male, lungo il tragitto qualche
locale sarà
aperto anche oggi... Mal che vada opteremo per la caffetteria del San
Mungo.
-San Mungo?
-Sì, l’ospedale
dove stiamo andando si chiama proprio così
e... Oh, quasi dimenticavo: Locomotor!
Il mio tutore lanciò
quell’ennesimo incantesimo su qualcosa
all’altezza delle sue gambe, ma poiché era dietro
la parete che divideva la mia
camera col corridoio della locanda, non potei vedere di cosa si
trattasse fin
quando non arrivò da me. Sì, perché a
quando pare quella particolare formula
serviva a far animare oggetti che normalmente starebbero belli e buoni
fermi
nelle loro ubicazioni. La cosa buffa era che gli oggetti sembravano
sentire il
peso delle loro forme e dimensioni dato che, infatti, i libri
più voluminosi
erano anche quelli più lenti, mentre quelli con meno pagine
erano più agili ma
inciampavano facilmente... Come facevano ad inciampare non avendo gambe
non lo
so, ma in un modo o nell’altro alcuni sono riusciti a
sistemarsi sull’unica
scrivania tutta scheggiata della sala mentre altri, quelli di stazza
più
grossa, solo sulla sedia: evidentemente non riuscirono assolutamente a
sostenere un altro sforzo oltre a quello enorme del primo salto dal
pavimento
al sedile imbottito.
-Questi sono i testi che penso ti
potranno aiutare parecchio
sulla conoscenza del nostro mondo. Contengono di tutto: un
po’ di storia, un
paio di favole e di leggende, qualche incantesimo utile, nozioni
inerenti alle
attività scolastiche di Hogwarts e molto altro. Sono tuoi,
è un regalo. Faresti
meglio a leggerne la maggior parte durante questo mese che passeremo
assieme,
ti daranno un aiuto notevole, vedrai.
Non appena rivolsi lo sguardo a quei
tomi vecchi e logori
rabbrividii, soprattutto pensando alla quantità di pagine
che dovevano
contenere quei tre grossissimi appollaiati sulla sedia.
-Tranquillo, contengono molte
illustrazioni, i testi sono
scritti a mano e molto larghi: ogni libro dimostra almeno il triplo del
tempo
che realmente occupa per essere correttamente assimilato, vedrai.
Speriamo...
-Ora andiamo, su!
Mi avviai assieme al mio tutore lungo
il corridoio e poi giù
per le scale, quando mi ricordai di non aver chiuso a chiave la mia
stanza...
Anzi, di non avercela proprio una chiave per la mia stanza.
-Ehm, ser Uppercut... Ma la chiave?
-Quale chiave?
Sembrava cadere dalle nuvole.
-Della mia stanza, cioè
qui c’è un via vai notevole, non
possiamo lasciare la stanza aperta ed incustodita, potrebbero entrare
e...
-Ah, ho capito cosa intendi, no non
serve, vieni, ti faccio
vedere una cosa... Anzi, te la mostro per la seconda
volta eheh.
Velocemente si avviò
all’uscita della locanda e si affacciò
fuori dall’uscio, con fare guardingo. Non potei far altro che
seguirlo con
riluttanza, perché stavamo allontanandoci un po’
troppo dalla mia stanza che,
per inciso, era praticamente accessibile a tutti. Le mie preoccupazioni
si
gonfiarono non appena guardai con attenzione chi frequentava il Paiolo
Magico
in quel momento: la sala comune era pienissima, gente a destra, gente a
sinistra, c’era chi portava le stesse vesti improbabili che
avevo visto il
giorno prima e c’era chi invece non portava altro che
canottiera e calzoni, chi
ballava sopra il tavolo lungo a ritmo di applausi e chi addirittura
litigava
con uno sgabello perché non lo faceva sedere, dato che ogni
volta che ci
provava, questi lo scansava facendolo rovinare col sedere per terra.
Erano
chiaramente tutti più che brilli, ma quelli più
in preda ai fumi dell’alcol
rispetto agli altri erano quei quattro tizi all’angolo tutti
di statura e
stazza diverse che cantavano abbracciati assieme una ballata in
francese:
Mon amour, mon amour
je t’aime mon amour
s'il vous plaît, ne me
fracasser
je le sais que je pue, tu dois me
pardonner
je te promets, le bain je ferai
quand la Centenaire je vaincrai
ne me fracasser, mon amour.
Neanche a dirlo, furono stonatissimi.
-Dannati francesi, si sentono
migliori di noi, sempre con la
puzza sotto il naso stanno!
Era il più grosso (e
stonato) del gruppo a parlare subito
dopo aver finito quel delirio che doveva essere una canzone amorosa.
-Ehi, mia madre era francese!
Osò ribellarsi il
più piccolo tra loro.
-Lo sappiamo Gerald, proprio per
questo li odio! Un’altra
volta dai!
Detto questo, il gigante prese con
una mano la spalla
sinistra del poveretto e se lo strinse accanto riprendendo a cantare
quella
nenia ancor peggio di prima, anche per via delle grosse sorsate che
tracannava
dal boccale tra un mon amour e
l’altro. Gli altri tre
invece, esausti, ormai a malapena riuscivano a canticchiare quel
motivetto
sempre identico sfoggiando un sorriso forzato ogni volta che veniva il
turno
del tanto esilarante mon amour.
-Che fai lì imbambolato,
dai vieni, non sono un bello
spettacolo.
Era ser Uppercut che mi parlava, ma
mi ero completamente
scordato di lui, quella canzoncina mi aveva quasi ipnotizzato, complice
il
cerchio alla testa che ormai pulsava a ritmo di musica.
-Ti presento Ricky, Ricky
ti presento Emanuele.
Fuori la locanda, ser Richard stava
assieme ad un ragazzo
con piercing alle orecchie e al naso, capelli ossigenati, giubbetto di
pelle
con borchie appuntite alle spalle ed un jeans strappato sporco di
fango. Quasi
dimenticavo che eravamo ancora a Londra e che la gente normale per la
strada
era possibile incontrarla. Anche se nel suo caso era difficile parlare
di
normalità, forse per lui il termine babbano
calzava a pennello.
-Ehi, nano, ma stai in giro con
‘sto tipo qua che pare mio
nonno? E frequenti sti postacci? Mamma mia, nemmeno io so’
così fuso da
entrarci, ci entra solo gente stramba, non mi stupirei se finisse a
coltellate
qualche volta.
Mi dovevo correggere, di normale non
aveva nulla: quando
aprì la bocca notai che aveva un anellone
d’argento trafitto nella lingua che
faceva male solo a guardarlo e poi quando si sbottonò
metà pettorina vidi
chiaramente un logo Pink Punk!
stampato sulla sua T-shirt.
-Ehm sì, bene... Ricky
s’è offerto volontario per spiegarti
come mai la tua stanza è bella che inaccessibile una volta
che hai chiuso la
porta. Prego Ricky...
Il ragazzo si grattò la
nuca, corrugò la fronte e partì con
la dimostrazione. Che si rivelò essere la chiusura e la
riapertura del locale.
-Cosa vedi Ricky?
-E che devo vedè? Sempre i
soliti due vecchi che si scolano
la grappa.
Era impossibile che non notasse la
baraonda che s’era creata
là dentro così, incuriosito, mi sporsi per
ottenere lo stesso angolo di visuale
di quel tipo.
In effetti aveva ragione, il locale
era totalmente diverso:
più scuro, più piccolo e, se possibile, ancora
più sporco e trasandato. Della
folla che si stava scatenando fino ad un attimo prima non
c’era traccia, solo
due anziani signori praticamente accasciati sulle panche a sorseggiare
chissà
quale alcolico; inoltre era impossibile confondere il barista con
Wallace: né
l’età e soprattutto né la pancia
corrispondevano... Anche il nome del locale
era diverso: il ‘Gattaccio Nero’
appariva in ogni boccale, stoviglia, copritavolo ed in generale in
qualsiasi
cosa appartenesse al proprietario. Controllando l’insegna
all’esterno il nuovo
logo aveva sostituito il vecchio calderone fumante tipico del Paiolo Magico. Inspiegabile, come tutto
da un paio di settimane a questa parte, del resto.
-E ora? – Chiese Ricky,
dopo aver richiuso la porta. – Che
devo fare?
-L’Ugly Black Cat, o anche
conosciuto come La tana del ratto sporco,
un postaccio.
Non ci entra praticamente nessuno che abbia un minimo di buonsenso.
Grazie così
Ricky, puoi andare.
Ricky, più confuso che
persuaso, iniziò ad indietreggiare,
superò il mio tutore e se ne andò, bofonchiando
di quanti incontri strani si
possano fare per le strade di Londra.
-Capito, ragazzo? Vale lo stesso
discorso di questa porta...
E del bagno-ingresso del Ministero... Se non sei chi devi essere,
bhè, la porta
apre semplicemente qualcos’altro. L’importante
è che tu abbia chiuso la porta,
ma mi pare di averne sentito il cigolio.
Oddio, non
mi
ricordo...
-Bhè, ma chi vuoi che ti
rubi qualcosa adesso? Sono tutti
dabbasso troppo sbronzi e troppo esausti per fare qualcosa, in
più il periodo
dello sciacallaggio sugli studenti sprovveduti non è ancora
arrivato, è troppo
presto. Fidati, non hai di che preoccuparti.
A causa delle parole sicure e
convincenti di ser Richard
quasi mi dimenticavo della grossa falla presente nella teoria della porta intelligente: i rumori provenienti
dall’interno.
-Scusi ser Richard...
-Dimmi.
Aumentò il passo, quasi
per indicarmi di fare meno domande e
più metri.
-Vada per la porta... Ma la canzone
di poco fa? Va bene che
forse non capiterà tutti i giorni che dei maghi si mettano a
cantare in coro in
maniera così stonata, ma comunque una locanda del genere
produrrà parecchi
rumori: impossibile non accorgersene.
-Ahahah, ragazzo... Dimentichi che
siamo a Londra, la
capitale del caos. Nessuno fa caso a ciò che sente
dall’interno della locanda e
se proprio riesce a captare qualcosa, crede che si tratti di suoni
esterni che
si propagano per il Gattaccio Nero,
è
più facile credere a questo che ad una festicciola in una
bettola del genere,
non credi? Per fortuna e dico, per fortuna, non molti babbani sono
curiosi come
te.
-Sarà...
Questa nuova spiegazione mi
lasciò ancor più insoddisfatto
della precedente, ma compiaciuto o meno, la questione era chiusa,
perciò restai
in silenzio fino alla fine del nostro, lunghissimo, tragitto.
-Incredibile come nemmeno un pub sia
aperto... Siamo a
Londra per la miseria!
-Cosa si festeggia oggi?
Chiesi lo stesso, nonostante mi ero
promesso di non fare più
domande del genere.
-Oggi è la Bank Holiday,
una delle
poche festività che esistono nel mondo magico. Non so il
motivo esatto per cui
i babbani hanno adottato questa festività, ma per noi maghi
coincide con la
ricorrenza del giorno in cui i folletti hanno finalmente deciso di
depositare
nelle proprie banche il denaro dei maghi e non solo gli artefatti
magici, il
che rendeva possibile alle nuove famiglie di maghi di avere un posto
sicuro
dove tenere i propri risparmi. Nuove è un termine che
potrebbe trarti in
inganno: si parla di famiglie anche vecchie di decine di secoli, ma che
non
riuscirono a farsi un nome durante gli anni d’oro
dell’alchimia. Visto che
anche i babbani avevano la propria Bank Holiday,
bhè, si è
pensato di unire le due festività, in modo da non colpire
troppo l’economia,
anche perché cade ai primi di Agosto, comodo, non trovi?
Non risposi perché ero
troppo preso a cercare di ricordare e
soprattutto capire cosa mi avesse appena detto: folletti, alchimia ed
artefatti...
Non avevo capito proprio nulla.
-Lo sapevo, non hai afferrato il
concetto. Questo è perché
fai troppe domande sulle troppe cose che non sai, ad Hogwarts
approfondirai,
non temere... Storia della Magia serve proprio a quello.
Bhè, siamo quasi
arrivati, inutile cercare per un altro posto dove far colazione, la
faremo
direttamente nella sala da thé dell’ospedale. Ah,
prima che me lo chiedi, non
conosco benissimo la storia di Mungo Bonham, il fondatore
dell’ospedale, quindi
inutile fare domande sull’argomento. Tutto quello che so
è che si trattava di
un vescovo o qualcosa del genere. Magari troverai un depliant o una
targhetta
commemorativa, ma non ci giurerei... Ecco, la seconda a destra.
Londra era veramente immensa: dopo
più di mezz’ora di
camminata a passo spedito si vedevano ancora strade ed edifici
imponenti, come
se fossimo ancora al centro pulsante della città. E gli
abitanti, mischiati coi
turisti, non accennavano a diminuire. Anzi, in certi punti
c’erano grossi
assembramenti di passanti che si fermavano ad osservare il taxi, bus,
cabina
telefonica di turno: tutto lì meritava una bella foto di
gruppo.
Tutto questo faceva supporre che
almeno l’ospedale avesse un
ingesso principale più dignitoso di quello del Ministero, ma
ovviamente mi
sbagliavo. La traversa imboccata da ser Uppercut era l’unica
costellata di
edifici incompleti o abbandonati, dove i murales e la spazzatura la
facevano da
padroni, e il nostro ospedale non era popò di meno che il
più fatiscente di
tutti: un vecchio centro commerciale di nome Purge & Dowse Ltd,
almeno a quanto diceva l’insegna ormai sporchissima.
-Arrivati.
-Ma anche Hogwarts avrà un
ingresso del genere?
-Oh, questa è nuova, me la
scrivo. So che ormai le tue
aspettative sono basse, ma ti assicuro che il castello dove studierai
sarà un
vero castello: niente illusioni, niente dissimulazioni, niente di
niente.
Proprio per questo è ubicato in un luogo isolato, per agire
in maniera più
libera... Qui siamo a Londra, non possiamo esporci troppo.
-Dissimulazione?
-Oh no, un’altra domanda:
entra dai!
Ser Uppercut spinse un pannello di
vetro sintetico che si
rivelò mobile, ed entrò, invitandomi ad entrare
con la sua mano destra.
-Su, dai, non teniamo aperta questa
porta per troppo tempo!
Non me lo feci ripetere due volte,
così entrai anch’io.
Tutto sapeva di déjà-vu:
tanto l’esterno era sporco e
fatiscente, tanto l’interno pulito e maestoso. Piastrelle di
marmo bianco sul
pavimento; statue, busti, quadri e foto animate ad ornare gli ambienti;
una
fila di candidi camini per coloro che provenivano con la polvere
volante e una
sala d’attesa ordinata e funzionale: tutto come dovrebbe
essere in un ospedale,
perciò era la prima volta che vedevo una cosa del genere.
-Guarda, se sapevamo
che non
avremmo trovato neppure un chiosco aperto durante la strada, avremmo
potuto
usare la metropolvere ed evitarci la passeggiata. Pazienza, almeno
abbiamo
fatto un po’ di moto.
Mentre io ed il mio
tutore
andavamo al banco accettazioni per farci registrare, parecchia gente
proveniva
dai camini con dei vortici di fiamme verdi e nere, lasciando polvere e
fuliggine qua e là. Per fortuna scopa, secchio e straccio
erano lì sempre
pronti a vigilare e a ripulire quando serviva, in modo da lasciare
sempre tutto
lindissimo. Perfino le suole delle scarpe di chi arrivava ricevevano lo
stesso
trattamento: la cura per l’igiene era evidentemente a livelli
maniacali.
Anche le nostre
scarpe vennero
sottoposte alla pattinatura,
cioè
alla pulizia delle suole tramite pattine detergenti, con la differenza
che
mentre noi non avevamo alcun problema alle gambe, il ragazzo giunto
poco dopo
il nostro arrivo, aveva il piede destro purpureo e gonfissimo per
chissà quale
motivo e, alla spolverata forzata, rispose con un grido di dolore
spaventoso,
seguito da una caduta a terra e aspre lacrime. Subito però
arrivarono due
infermieri – o almeno sembravano tali – che
trasportando una barella levitante,
lo issarono e lo portarono alla reception, dove velocissimamente fu
condotto
all’opportuno reparto.
-Ci ha fregato il
posto.
Questo fu il commento
di ser
Richard riguardo la triste scena a cui assistemmo.
-Non credo che lo
abbia fatto
apposta.
-Ah, no di certo.
Poco male
comunque, qui ci si sbriga comunque subito, vedrai.
Mentre avanzavamo la
fila, notai
come anche nella bacheca e in qualche finestra di quel posto, fosse
affisso il
manifesto che ritraeva un uomo fuori di sé e che recitava
‘Ricercato’: nel
pomeriggio avrei chiesto a ser Richard notizie al riguardo, avevo
aspettato fin
troppo.
Finalmente
toccò a noi e la donna
della reception, alzando una cartella all’altezza del naso,
chiese al mio
tutore:
-Si?
Ser Richard,
impacciato, mi prese
il braccio destro e lo alzò, mostrandole la mano fasciata e
aggiungendo che si
trattava di ustioni da incantesimo. La donna scrisse qualcosa sulla
cartellina
ad una velocità impressionante, strappò il foglio
e lo diede a ser Uppercut,
assieme ad un biglietto bianco.
-Possiamo andare.
Il mio tutore fece
cenno di
ringraziamento alla dottoressa Pricklethorn – questo era il
nome scritto sul
cartellino che portava – ed uscì dalla fila,
invitandomi a fare altrettanto.
Alla fine, quel si fu l’unica cosa che
uscì dalle sue
labbra.
Nel biglietto che
aveva in mano
ser Richard c’era scritto il piano e la stanza in cui
dovevamo dirigerci e
quindi, assieme a quella che in seguito capii fosse la mia cartella
clinica,
avendo tutto il necessario, ci avviammo verso il reparto assegnatoci.
Dovevamo
andare al quarto piano, dove si trattavano le ferite da Incantesimi e
Maledizioni, perciò salimmo le scale.
-Per fortuna ci ha
indirizzato
dove volevo ci mandasse. Poteva anche mandarci al reparto Incidenti da
Manufatti magici, dato che le ustioni sono state indirette, ma non
volevo
rischiare di perdere tempo e le ho fatto capire che l’incanto
l’hai subito tu.
Così magari fossero disponibili, ci potrebbero togliere
quest’insopportabile
mal di testa.
Mentre parlava
però, venni
distratto dal biglietto che cambiava progressivamente colore: fino al
primo
piano era bianco, poi dal secondo al terzo diventò grigio ed
infine al quarto
virò all’azzurro.
-Ma
cos’è, perché cambia colore?
-Ah, questo
è il nostro biglietto,
cambia colore ogni volta che “avanziamo la fila”.
Per comodità si è escogitato
questo metodo: fino a quando il nostro biglietto non diviene scuro,
nero per
l’esattezza, non tocca ancora a noi. Così hai la
possibilità di fare
qualcos’altro mentre attendi il tuo turno; non hai bisogno di
stare ad
osservare a chi tocca, se è quasi nero, tocca a te!
Infatti, mentre il
mio tutore mi
spiegava queste cose e cercavamo un posto a sedere, il biglietto
cambiò colore
altre due volte: prima celeste e poi verde acqua, rispettivamente
quando
uscirono una signora con la figlia che fino a poco prima vomitava in un
secchio
e un vecchio che non strascicava più la gamba sinistra.
La sala
d’attesa era di medie
dimensioni, escludendo il corridoio, in cui comunque ci si poteva
sedere ad
attendere il proprio turno, là dentro c’erano
posti a sedere per una quarantina
di persone e di quelle quaranta poltrone più di trenta erano
occupate.
Nonostante tutto, l’attesa fu tutt’altro che lunga:
in meno di mezz’ora il
biglietto divenne nero e toccò a noi, ogni paziente
impegnava il medico per non
più di due - tre minuti, ed entrando scoprii il
perché.
Toc!
Toc!
-E’
permesso?
Chiese ser Richard
bussando alla
porta del dottor Kneel.
-Avanti, avanti!
Fece eco una voce
maschile
dall’interno.
Una giovane
infermiera ci accolse
chiedendoci la cartella e, una volta letta, mi chiese di togliermi le
bende.
-Sollum
Generatio...
Il medico
farfugliò qualcosa e
puntò la sua bacchetta sulle mie mani, che dapprima caddero
in uno stato di
torpore, poi iniziarono a formicolarmi, prudevano da impazzire.
Più tempo
passava, più era insopportabile e più il dottore
stringeva il polso della mia
mano destra per evitare che l’allontanassi dal contatto con
la punta della sua
bacchetta. Poi, all’improvviso, finì. E mi accorsi
che le mie mani tornarono
chiare.
-Potete andare.
Il medico ritrasse la
bacchetta e
la sistemò velocemente in un apposito rientro scavato
all’estrema destra della
sua scrivania, prese una penna stilografica dal taschino della sua
camicia e
firmò la cartella lasciando all’infermiera il
compito di completare il referto,
con tutto ciò che fosse stato necessario trascrivere.
-Prego da questa
parte.
Fece la giovane
assistente ad
entrambi.
-Un momento per
favore... So che
non sarebbe compito vostro, data la natura del nostro malessere, ma
sareste
così gentile da trattare il dolore che da questa mattina ci
tormenta alle
tempie? Più precisamente sarebbe...
Il medico e
l’infermiera si
scambiarono sguardi: richiesta, diniego, supplica, rifiuto categorico,
rimprovero e rassegnazione. Alla fine la ragazza riuscì a
convincere il suo
capo che, prendendole dai cassetti del comò dietro di lui,
ci lanciò delle
pastiglie verdastre dicendoci:
-A stomaco pieno, mi
raccomando. E
in bagno possibilmente.
Detto questo il
dottore tornò a
far finta di ignorarci e l’infermiera ci
accompagnò fuori dalla stanza
gridando:
-Il prossimo!
Prima che rientrasse
col nuovo
paziente – una donna che teneva un fazzoletto di stoffa
premuto contro il
gomito per tamponare
la ferita – ser
Richard però le strizzò l’occhio e le
sussurrò un Grazie. La
ragazza arrossì e ci fece intuire un Prego.
-Bhè, un
motivo in più per far
colazione, non trovi?
Disse il mio tutore,
osservando le
pasticche che teneva in mano.
-O per vomitarla.
Dissi io, osservando
le stesse.
Il bar,
opportunamente chiamato Sala da tè
per i visitatori da un
cartello mobile posto tra l’ingresso del piano e il bancone
del bar, era
proprio a fianco del negozio dell’ospedale, un monolocale
adibito ad esercizio
commerciale che conteneva un po’ di tutto: fiori veri, fiori
finti, fiori
assurdi, fiori morti; giocattoli, giocattoli vivi, giocattoli assurdi;
tazze,
tazzine, tazzone da almeno quattro litri; soprammobili a forma di
animale,
animali ridotti a soprammobili, mobili con fattezze di animali; e molto
altro
ancora.
Dato che gli unici
due locali del
piano occupavano l’ala destra, tutta la parte sinistra era
libera, perciò
nonostante i sessanta e più tavolini sparsi per il
pianerottolo, rimaneva un
bel po’ di spazio inutilizzato in fondo, dove dei bambini ne
avevano
approfittato per giocare ad acchiapparsi e a fare un gran baccano.
-Sediamoci e
prendiamo qualcosa.
Ser Uppercut prese
uno dei menu
posti sul tavolinetto e mi domandò cosa avrei preso. La
scelta era difficile,
nonostante lo stomaco brontolasse, non avevo proprio voglia di mettere
qualcosa
sotto i denti, inoltre le voci presenti nell’elenco delle
pietanze non aiutava:
i nomi o non dicevano nulla, o erano rivoltanti, così mi
alzai per vedere la
vetrina e scegliere ciò che più sembrava
commestibile.
La scelta era
notevole, a parte
qualche pasticcino che nonostante il nome astruso adottato erano
chiaramente
muffin, ciambelle e rollini di crema, tutto il resto mi era nuovo e
difficile
da valutare. Praticamente quella sala da
tè in realtà ti permetteva di pranzare
e cenare, c’erano arrosti e
fritture, liquori speziati e insalate conditissime; non proprio
alimenti da
merenda. Dato il mio stato di salute optai per un sobrio sorbetto al
limone,
anche per avere qualcosa di fresco nello stomaco dopo il bruciore della
notte
precedente; una volta ordinato tornai a sedermi al tavolo scelto dal
mio tutore.
-Sì, hai
fatto bene, anch’io ho
preso qualcosa di leggero e fresco, un mango caramellato, poi lo
assaggi.
No,
grazie. – Fu quello che pensai immediatamente.
Poco dopo un ragazzo
portò le
nostre ordinazioni in un vassoio d’argento che
posò sul tavolino, diede un
colpo di bacchetta all’aria e ciò che si trovava
sul vassoio iniziò a muoversi
e a posarsi sul tavolo o a versarsi sui bicchieri. Un ombrellino di
carta fu
l’ultima cosa ad appoggiarsi al bordo non commestibile del
mango caramellato di
ser Richard.
-Umh, buono... Lo
vuoi assaggiare
prima di me?
Per tutta risposta
succhiai
rumorosamente il mio sorbetto dalla cannuccia.
-Ok, come vuoi. Non
sai che ti
perdi.
Il sorbetto
sortì veramente un
effetto positivo: la pressione alle tempie si acuì
leggermente, ma in compenso
la fastidiosissima sensazione di disorientamento e il vorticare
dell’ambiente
cessarono finalmente.
Quando finii, il mio
tutore non
era ancora neanche a metà del suo frutto fosforescente,
perciò per ammazzare il
tempo mi misi a guardare i bambini che giocavano in lontananza. Non era
facile
capire quanti anni avessero o che cosa si dicessero, poiché
troppo lontani, ma
l’eco del loro vociare arrivava fin troppo bene da noi che
quasi assordava.
C’era poi una voce più grave tra quelle stridule e
acute dei bambini che creava
una cacofonia terribile e, guardando meglio capii a chi apparteneva. La
figura
che in un primo momento mi sembrava essere la risultante di due bimbi
messi uno
sopra l’altro, in realtà si trattava di un uomo
adulto, con mantello e spada,
che inseguiva e tirava fendenti a quelli più piccoli.
Sforzandomi di capire
cosa dicesse, riuscii a sentire chiaramente solo un motivetto
cantato/gridato
dalle femminucce “Il drago! Il
drago! E’
arrivato il drago!” e una frase di
quell’uomo che rivolgeva al bambino che
gli sfuggiva “In guardia, bestia
degli
inferi, sono Sir Dardan e giuro sul mio onore che ti
ucciderò, le tue malefatte
non rimarranno impunite!” o, almeno, questo
è quello che credetti di
sentire, ma non dovevo essermi sbagliato di molto, perché le
ragazzine e due
dei maschietti in disparte si misero ad applaudirlo. Stava giocando con
loro, e
con fervore aggiungerei.
-Ehi, vuoi farti due
risate? Stai
a guardare.
Era un ragazzo alle
mie spalle a
dire questa frase, e l’aveva detta a me.
-Che vi avevo detto?
E’ qui, e
crede di essere Sir Dardan.
Stavolta si rivolgeva
a due medici
tutti sudati che, senza neppure aver tirato una boccata
d’aria dopo le scale,
andarono di corsa verso i bambini e il bambinone un po’
troppo cresciuto.
-Signor Allock!
Signor Allock! Per
favore, la smetta! E’ l’ora del riposino...
Il bambinone si
tramutò di colpo:
da divertito e spensierato com’era, diventò freddo
e spaventato, tanto da
alzare la sua spada e tirare un fendente in direzione del medico che
gli aveva
rivolto la parola.
-Signor Allock! Posi
quella gamba,
no, non così, la dia a me.
Dato che non si
facevano
progressi, l’altro medico prese la parola:
-No! Non te la voglio
rubare, te
ne do una più bella, una vera, ma devi venire con noi,
altrimenti non possiamo
dartela, è troppo pesante, solo un vero cavaliere
può brandirla con destrezza.
Bravo, dammela, così... Ora!
E gli saltarono
addosso,
disarmandolo e tenendogli fermi gli arti superiori ed inferiori, poi lo
trascinarono di peso per la sala fino a fargli scendere le scale.
Avvicinandosi
mi accorsi che doveva essere un uomo sulla quarantina, aveva i capelli
biondi
tutti arruffati e denti bianchissimi, indossava un pigiama ed il suo
mantello
altro non era che un lenzuolo dell’ospedale annodato sulle
spalle e la sua
“spada” una gamba di un letto, per fortuna non ci
ha picchiato nessuno con
quella. Scalciava e frignava come un forsennato, nemmeno da infante mi
produssi
mai in una scena del genere. Uno dei due medici, dopo aver ricevuto un
calcio
nelle parti basse, imprecò e disse:
-Dannate storielle,
due mesi di
progressi andati in fumo.
Era grottesco
sì, ma divertente,
specie ripensando alla “cattura”; mi
scappò un ghigno.
-Te l’avevo
detto che ci sarebbe
stato da ridere, no? E voi, non piagnucolate, anzi andatevene!
E’ un ospedale
questo, non un parco giochi!
Era di nuovo quel
ragazzo di prima
che scacciava a gesti tutti i ragazzini rimasti delusi
dall’esilio del
“cavaliere temerario” di quarant’anni e
passa.
-Sono Frederick
Bowen, il figlio
del primario di questo ospedale: mio padre è Matheus Bowen
Junior.
Mi tese la mano.
Anche se ero
girato completamente dell’altro lato con il corpo, tesi la
mano destra lo
stesso, rendendomi ridicolo poiché non riuscii ad arrivare a
toccare la sua.
Pieno di vergogna, mi girai totalmente e finalmente porsi la mano come
si deve.
La stretta fu insolitamente solida per uno della sua età, la
mia non era stata
nemmeno forte la metà.
-Piacere, sono
Emanuele Burgio,
lui è il mio tutore, ser...
-Umh, a guardarti
bene sembri della
mia stessa età, vai già a Hogwarts?
-No, no... Dovrei
iniziare
quest’anno, ho fatto undici anni ad...
-Fantastico!
Anch’io inizio a
settembre! Magari ci mettono nella stessa casa. Siamo stati fortunati
ad
incontrarci proprio qua, e ancor più fortunati a non aver
capitato quello come
insegnante.
Credevo
d’aver capito male.
-Come, scusa?
-Già, quel
tipo, quel pagliaccio,
Gilderoy Allock, fino all’anno scorso insegnava ad Hogwarts e
non una materia
qualsiasi, ma la materia, Arti
Oscure; sai che avremmo imparato... Strano tu non lo conoscessi, era
abbastanza
famoso fino a qualche mese fa, ora basta leggergli una favola della
buona notte
su draghi e cavalieri, che si immedesima in uno dei personaggi e non la
finisce
più.
-Difesa Contro le
Arti Oscure, non
Arti Oscure e no, non è stato sempre così, di
certo non ad Hogwarts.
Ser Richard prese la
parola, dopo
aver assistito in silenzio la scena della cattura e ascoltato Frederick.
-Posso assicurare ad
ognuno di voi
che la scelta del corpo insegnanti è molto severa e solo i
migliori maghi e le
migliori streghe con invidiabili curriculum sono ammessi
all’insegnamento di
una qualsiasi delle materie studiate ad Hogwarts.
-Bhè, se
lo dici tu... Emanuele,
vero? Nome straniero, interessante. Io sono Fred, mi raccomando, non
dimenticartelo, io vado che non voglio perdermi la scena del sedativo.
Ci
vediamo a scuola allora!
-C-Ciao.
Fu tutto quello che
seppi dire.
-Non era molto
convinto, vero?
Mi rigirai verso ser
Richard che
nel frattempo aveva finito tutto il suo dolce.
-Hai conosciuto un
tuo futuro
compagno di avventure, che te n’è parso?
Prima che riuscissi a
dire una
parola rispose lui stesso.
-Scontrosetto, in
effetti, ma sono
sicuro sia un bravo ragazzo. Sarà cresciuto con la puzza
sotto il naso, suo
padre è il primario. Magari è la prima cosa che
gli hanno insegnato a dire
“Sono il figlio del primario”. Non meravigliarti
dell’orgoglio insensato che
aleggia in certe famiglie, qualcuno deve pur fare lo sbruffone in
questo mondo,
no? Su, alziamoci, prendiamo questa e andiamo in bagno, dopo ci
sentiremo
meglio.
Avevo completamente
dimenticato la
pillola per il mal di testa e anche il mal di testa, ma il ricordo me
lo fece
tornare più forte di prima, perciò mi costrinsi a
prendere quel pietrone. Anche
dopo mezzo litro d’acqua non aveva intenzione di scendere
giù per la gola, era
troppo grossa come pastiglia. Alla fine, al quinto bicchierone, ci
riuscii. Ma
qualcosa era andato storto: com’era sceso, così
stava risalendo.
Andavo quasi fiero
del mio primato
di duro a rimettere, ma questa era
già la terza volta in due settimane che qualcosa cercava di
uscirmi dallo
stomaco, e sta volta ci stava riuscendo.
-Oh, oh... Non ci
siamo, sta già
avendo effetto, sarebbe stato meglio prenderla direttamente in bagno,
presto
muoviamoci!
Scattò
come un turbine verso le
scale, indicandomi di seguirlo. Lasciò perfino molto
più del dovuto come mancia
sul tavolinetto pur di far presto e scappare da lì.
Il bagno pubblico, il
lussuosissimo bagno dei visitatori dell’ospedale, si trovava
ahinoi un piano
più sotto e comunque abbastanza lontano dalla rampa delle
scale da permetterci
di arrivare in fretta. Durante l’interminabile tragitto
sentii perfino l’anima
fuoriuscirmi dalle viscere e agglomerarsi in bocca, un solo altro
istante e
sarei esploso in un’esplosione ascendente di vomito
grigiastro. Ma per fortuna
riuscii a trattenermi fino al luccicante lavabo del bagno che, dopo la
mia
visita, di luccicante gli era rimasto ben poco. Anche ser Richard era
nelle mie
stesse tragiche condizioni, ma lui era riuscito a trattenersi quel
tanto in più
da riuscire a chiudersi in uno dei camerini del bagno e a consumare
lì
l’indecoroso gesto.
-Ohibò,
brutale ma decisamente
efficace, non trovi? Il mal di testa se n’è andato
completamente, ottimo
rimedio, quasi istantaneo,e per nostra fortuna direi, eheh.
In effetti non
c’avevo ancora
fatto caso ma il mal di testa era completamente passato, o meglio,
sparito.
Probabilmente se l’era portato con sé il rigurgito
di prima.
-Oh cielo, sarebbe
meglio se
uscissimo di qui alla svelta, non vorremo farci vedere dinanzi a tale
devastazione; andiamo su.
Non me lo feci
ripetere due volte,
uscimmo più veloci della luce e ci avviammo verso
l’uscita, diretti nuovamente
al Paiolo Magico.
Quando arrivammo era
già l’ora di
pranzo, perciò mi aspettavo di vedere Wallace preparare un
altro dei suoi
manicaretti ultra alcolici, ma mi sbagliai; il Paiolo Magico aveva
cambiato
totalmente atmosfera e a quanto pare anche locandiere.
-Via,
sciò! Anche per quest’anno
la festa è finita, levatevi dai piedi!
Era Wallace, che in
abiti borghesi
prendeva letteralmente a calci nel sedere quelli che fino ad attimo
prima erano
i suoi clienti.
-E dai, un altro
goccetto, solo
uno, come sei cattivo!
-La festa
è finita ieri, vi ho
dato tempo fino a questa mattina per sloggiare, ma non
l’avete fatto, ora mio
cugino è tornato e mi costringete a sfrattarvi, come sempre
del resto. Ma
quanto diavolo pesi, Dwayne!
-Benvenuti
sull’Anzitempo,
mezzo di trasporto ad alta velocità per maghi e streghe in
forte ritardo. Mi
chiamo Stan Picchetto e, dato che mio padre è sparito e mia
madre non c’ha
voglia di lavorare, nonostante non siano passate nemmeno tre ore dal
mio ultimo
turno, sarò il vostro bigliettaio anche per questa corsa.
Era la voce di un
ragazzo sui
vent’anni vestito da bigliettaio che leggeva goffamente un
foglietto di carta,
dove probabilmente era scritta l’intera presentazione, tranne
evidentemente la
parte in cui elencava i problemi famigliari, dato che in quel passaggio
era
molto più spedito nella lettura.
Era a bordo di un
autobus a due
piani tipicamente inglese ed aveva proprio l’aria di essere
esausto, anche per
via della lentezza con la quale stampava i biglietti per i nuovi
arrivati.
-Non li sta
effettivamente
cacciando, sono solo un po’ brilli ed hanno bisogno delle
maniere forti per
andarsene, ma avranno sicuramente altro da fare anche loro, la festa
è finita
ed oggi è un giorno lavorativo.
Ser Richard cercava
di
giustificare in un qualche modo la strambissima scena a cui stavamo
assistendo,
senza però riuscirci neanche un pochino.
-Dove vi devo
portare? Al solito
posto?
Disse
l’autista del bus, un uomo
rude e corpulento.
-E dove
sennò? Ah, sono esausto,
uff!
Il tizio di nome
Dwayne fu l’unico
che rispose alla richiesta e subito si addormentò.
-Sotto il ponte di
Blackfriars,
Dwayne?
-Si, si, fai come
vuoi...
Un altro passeggero,
evidentemente
con la stessa triste meta, rispose per l’amico che
schiacciava un sonoro
pisolino.
-Bhè, come
non detto...
Ser Uppercut era
evidentemente
imbarazzato per il ritratto di maghi che rappresentavano quei tizi,
come se la
colpa fosse sua.
-Tom, qui ho finito.
Le chiavi
sono al solito posto e l’elenco prenotazioni è
aggiornato ed in ordine, ah,
vedo che già hai controllato, allora vado.
Detto questo al tizio
che sembrava
fosse il nuovo locandiere, Wallace aprì la porta del Paiolo
Magico ed entrò, in
versione Gattaccio Nero, evidente si erano dati il cambio.
-Oh, bentornato ser
Uppercut, e
bentornato pure lei, signorino, io sono Tom, il gestore della locanda,
mi
dispiace abbiate pernottato proprio nell’unica notte di
delirio qui alla mia
locanda, ma quest’anno è capitato così,
vi prometto che da oggi sarà tutto
molto più tranquillo e a misura di famiglia!
Era l’uomo
che aveva preso i
vestiti di Wallace a parlare, un tizio basso, un po’ gobbo e
pendente da un
lato, sdentatissimo e calvo, ma decisamente a modo.
-E’ un
piacere rivederla, Tom.
Come al solito, vostro cugino ci ha trattato bene, ma voi siete
tutt’altra
cosa.
-Sempre troppo
gentile, signore.
Prego da questa parte, sarete affamati. Il pranzo naturalmente
sarà sobrio
questa volta, così come tutte le prossime a seguire.
Ci invitò
ad entrare e con mia
sorpresa trovai la locanda molto più pulita e confortevole,
almeno nei luoghi
accessibili al pubblico, nei cornicioni delle finestre che si
affacciavano
sulla strada c’era ancora dieci metri di polvere.
-Prego, sedetevi, il
pranzo
arriverà fra poco.
Una volta seduti
fummo serviti
immediatamente da una ragazza alta e magrissima, molto silenziosa nei
movimenti, ma un po’ maldestra, si vedeva che quel lavoro non
faceva per lei.
-Oh, grazie mille
signorina.
Neanche a dirlo anche
lei arrossì.
Non so cosa gli faccia alle ragazze, ma ogni suo grazie equivale ad un
arrossimento, sempre.
Un’altra
cosa cadde subito alla
mia vista: anche lì erano affissi decine di volantini con la
faccia urlante di
un certo Sirius Black da cui stare preferibilmente alla larga;
evidentemente
Tom li avrà affissi subito dopo il suo arrivo.
-Ser Richard, mi
tolga una
curiosità: chi è questo Sirius Black? Sono giorni
che ne vedo il volto, sembra
un pazzo furioso.
-E lo è
infatti. Punto primo,
ricordalo, perché è importante. Non tutti i maghi
sono buoni.
Si fermò e
dopo qualche secondo di
silenzio, ricominciò:
-E se non sono buoni,
beh, capirai
che sono molto pericolosi. Sirius Black è uno di quelli. In
altre parole è il
tipico assassino che uccide giusto per il gusto di farlo, senza un
perché; lo
fa e basta. Ha fatto cose terribili ed è stato punito per
questo, ha marcito
per tredici anni nel penitenziario di massima sicurezza per maghi e
streghe e
ti posso assicurare che stare lì non è affatto
piacevole, neanche lontanamente,
e di fatto... E’ scappato.
Le ultime parole le
pronunciò così
in fretta che quando finì l’aria e fu costretto ad
inspirare, le ultime due parole
“E’ scappato”
mi misero i brividi.
-Quindi è
a piede libero?
Chiesi, come se ce ne
fosse stato
bisogno.
-Teoricamente
sì, ma fuggire da lì
mica era cosa semplice, nessuno c’è mai riuscito.
Lui è stato il primo, e come
tale ha suscitato grande scalpore e tutti sono alla sua ricerca, non
credo sia
così stupido da farsi rivedere in giro: anche la peggior
canaglia dopo tredici
anni di reclusione ci pensa due volte prima di ricommettere
ciò per cui è stato
punito. Puoi stare tranquillo, non credo lo incontreremo mai.
-E per cosa
è finito dentro?
-Non lo so e non mi
interessa
saperlo, ma per dare una pena così lunga, di certo non
avrà rubato caramelle.
Ora finisci di mangiare che ci attende ancora un lungo pomeriggio di
studio.
-Bene, prendi quel
libro lì... Sì,
quello lì, il secondo.
Presi il libro da lui
indicatomi
da sopra la mia scrivania e glielo porsi.
-Non
c’è bisogno, aprilo tu, vai a
pagina, umh... beh, quando inizia a parlare di fatture di primo livello.
Iniziavano
addirittura a pagina
211, quasi alla fine del tomo.
-Ecco, tutto
ciò che abbiamo
saltato è molto importante, lo recupererai in seguito, per
il momento ci
dobbiamo focalizzare su questi concetti. Visto che ancora non hai la
bacchetta
ci soffermiamo sul teorico e non appena l’avrai acquistata
potremo fare delle
vere e proprie esercitazioni. Cosa leggi?
-Un sacco di cose...
-E di quelle cose
cosa di davvero
importante?
-Eh, che le fatture
sono degli
incantesimi diffusi... Non esistono fatture illimitate nel tempo, anzi
è una
loro prerogativa avere una durata limitata... Si dividono in quattro
livelli di
difficoltà che, sebbene spesso le più difficili
sono anche le più imponenti e/o
pericolose per l’incolumità nostra e altrui, le
due categorie non coincidono...
E poi che... Ancora?
-Sì, anche
perché stai saltando un
sacco di cose, stai leggendo solo le prime righe di ogni paragrafo,
così ti
perdi il succo, guarda qua: “Una fattura
è un incantesimo che aggiunge
o modifica determinate
proprietà ad
un oggetto o ad una creatura. Le
fatture si distinguono
dalle trasfigurazioni
poiché si concentrano su
alterazioni che non vanno in contrasto
con la natura intrinseca
dell’obiettivo. Ad esempio, la
fattura Cambiacolore
modifica temporaneamente le
proprietà cromatiche dell’oggetto
preso in esame. Alcune fatture sono talmente potenti ed
articolate da
permettere i più grandi prodigi, esattamente come l'Incanto
Fidelius che può
nascondere completamente una
persona o un luogo
in modo
tale
che nessuno può
trovarla a meno che non si viene eletti Custodi del
Segreto dall’utilizzatore.
Fatture di
memoria, inoltre, possono risultare essere
così forti da rimuovere completamente la memoria di una persona per via dello shock.
Per questo molte fatture più invasive tendono ad essere
considerate perfino
come maledizioni, malefici o malocchi.” Così devi leggere, senza
fare
strani riassuntivi che ti fanno perdere il fulcro degli argomenti.
Zero,
questa era
la quantità di nozioni che avevo assimilato.
-Ok, non pretendo che
tu capisca
tutto alla prima lettura, e nemmeno alla seconda. Anzi, non pretendo
minimamente che tu capisca nulla se non il fatto che le fatture servono
a
modificare lo stato degli oggetti, animati e non, che ci stanno
intorno. Con le
dovute limitazioni, ovvio. Tutto il resto l’ho letto proprio
per farti capire
che il confine tra fatture ed incantesimi più gravi ed
impegnativi è
sottilissimo, ma tu stesso lo hai provato sulla pelle, lanciando una
maledizione a quel povero ragazzo babbano. Fin qui ci sei?
-Sì, credo
di si, le fatture
modificano ciò che ci circonda ma non in maniera definitiva,
ma questo l’avevo
capito anche durante la mia lettura.
-Non ti ho detto solo
questo, ma
va bene, continuiamo. Come ti ho già spiegato Logos
Comprehendi è una fattura, quindi ricade fra
questa
casistiche; te ne sei reso conto tu stesso che dopo un po’
l’effetto svanisce
senza lasciar alcuna traccia, no?
-Sì, certo.
-Bene, tutto questo
per farti
capire che per riuscire ad utilizzare correttamente l’incanto
devi innanzitutto
sapere cosa stai per fare e di conseguenza affrontarlo con il giusto
approccio.
Per questo, dato che il Logos Comprehendi
è una fattura abbastanza complessa, inizieremo da qualcosa
di più basilare.
Rimanendo sempre nell’ambito delle fatture che modificano lo
status mentale
dell’obiettivo, ti insegnerò
l’incantesimo Confundus.
E’ latino, ma credo tu l’abbia già
intuito, serve esattamente per confondere
l’avversario e fargli commettere qualche piccola azione a suo
discapito.
Ovviamente a differenza del Logos
Comprehendi le sue finalità sono
tutt’altro che pacifiche ma, ironia della
sorte, è grazie a questo incantesimo che nel tempo sono
riusciti a formulare la
fattura che adesso ci è tanto utile per comunicare
nonostante le nostre
differenze linguistiche. Il Logos
Comprehendi si può a tutti gli effetti
identificare come una sua
conseguenza, o, in termini più gergali, suo figlio.
-Iniziamo subito?
-Come? No, no, certo
che no, non
hai con te una bacchetta... Però effettivamente il miglior
approccio in questi
casi secondo me è quello diretto, perciò proviamo
qualcos’altro. Sarà un po’
drastico ma son sicuro funzionerà alla grande. Non temere
per qualche breve e
fugace secondo ti sentirai disorientato, spaesato e non avrai
più punti di
riferimento, ma sarà di breve durata, servirà a
farti comprendere meglio la
vera potenza ed efficacia di tali incantesimi, dato che il Logos Comprehendi, data la sua natura
più “soft” rende difficile
far percepire.
Mi puntò
la sua bacchetta sulla
tempia sinistra.
-C-cosa vuoi fare?
-Ti sto lanciando un
debolissimo Confundus se non ti
è chiaro...
-Mi era chiaro
sì, ma è
obbligatorio?
-Credimi, subire
sulla propria
persona un pizzico dell’incantesimo che si vuole
padroneggiare è il miglior
modo per impararlo, lo capirai da solo una volta ad Hogwarts, ma per il
momento
devi fidarti di ciò che ti dico io adesso. Preparati: uno,
due, tre... Confundo!
Immediatamente
sprofondai in una
voragine senza fine: la sedia su cui ero poggiato diventò
impalpabile, senza
spessore; anche se si trovava ancora sotto il mio posteriore era come
non ci fosse,
non poneva alcuna resistenza alla caduta ed io sprofondavo sempre
più, sempre
più giù, molto più giù...
Ser Richard era sparito dalla mia vista, ormai solo
il buio avvolgeva quella mia caduta senza fine, finché non
vidi qualcosa
incombere su di me: erano le pareti della stanza, che convergevano come
un
imbuto finendo anch’esse risucchiate in un’orbita
culminante nel mio addome. Le
pareti erano sciolte, liquide o forse gassose, ma nonostante
ciò egualmente mi
opprimevano: mi stavano schiacciando, soffocando, non avevo
più scampo, sarei
finito frantumato. In quel turbine indefinito si aggiunse pure una
figura
sottile, anch’essa deformata ma allo stesso tempo
più materiale, reale;
avvicinandosi la riconobbi: era la bacchetta di ser Uppercut, ma molto
più grossa,
molto più minacciosa. Mi perforò la fronte, il
dolore fu lancinante. Gridai.
-Ehi, riprenditi, su!
Apri gli
occhi!
-C-cosa, cosa
è successo, dove
sono?
Ser Richard era di
fronte a me, un
po’ attonito, un po’ preoccupato e mi teneva per le
spalle. Io ero ancora
seduto sulla sedia, nulla s’era mosso in realtà.
Infine, ricordai.
Che
brutta figura...
-Ho... Ho gridato?
-Come? No, no. Sei
rimasto per un
paio di secondi irrigidito e poi hai chiuso gli occhi come se stessi
sforzandoti ed in quel momento ti ho subito liberato dalla fattura,
adesso come
ti senti?
-Potrei star meglio...
Vedevo le mie mani
tremare, e pure
le labbra lo facevano. Anche il mio tutore se ne accorse.
-Ti sarai spaventato,
anche se è
durato una manciata di secondi deve esser stato terribile, non mi
aspettavo una
reazione del genere, ognuno reagisce in maniera differente, ma non
pensavo
proprio così. Ti chiedo di scusarmi e per farmi perdonare
facciamo una cosa:
domani, nonostante tu non abbia ancora la bacchetta, ci eserciteremo
sul Confundus, in modo da
accorciare i tempi
e rendere queste lezioni meno noiose, ok? Sei un ragazzo sveglio e
geniale,
l’ho visto coi miei occhi che non hai di certo bisogno della
bacchetta per
lanciare gli incantesimi più semplici. Però per
oggi basta, riposati, se ne
parla direttamente domani, al massimo continua a leggere
sull’argomento, per
preparati al meglio per domani. Scendo giù, ti lascio solo,
se hai bisogno di
qualcosa fammelo sapere, starò qui fino a tardi, ma
promettimi di riposarti.
-Ok.
Invece rimasi in
silenzio nella
mia stanza per tutto il resto del pomeriggio, leggendo di tanto in
tanto quel
libro sugli incantesimi, ma in maniera totalmente distratta, ed alla
fine, non
ricordai praticamente nulla di ciò che avevo letto. Mi
addormentai presto,
verso le sei di sera, forse per tutta la stanchezza accumulata,
saltando pure
la cena.
Toc!
Toc!
-Chi è?
-Come chi
è, sono io, il tuo
tutore, ieri ti sei addormentato e non hai nemmeno cenato, scendi a
fare
colazione ti aspetto!
Quando
me la finirò di fare domande sceme?
-Ah, spero non ti sia
scordato che
oggi ci alleniamo con la fattura Confundus!
Vero,
finalmente si entra in azione!
Mi sbrigai in un
lampo a lavarmi
ed a vestirmi, o meglio a cambiare la sola maglietta dato che mi ero
addormentato vestito e scesi con una fame da lupo.
-Colazione classica o
più energica
se preferisci.
La vista improvvisa
di quello
sdentato di Tom per poco non mi fece trasalire ma, per non sembrare
maleducato,
ringraziai lo stesso, nonostante lo spavento che mi aveva fatto
prendere per
esser sbucato dal nulla.
Per colazione
classica intendeva
del normalissimo latte con qualche biscotto dalla dubbia forma ma
dall’ottimo
gusto, mentre per energica una coppia di uova semi strapazzate ed un
salsicciotto dall’aspetto invitante come un verme appassito.
Ovviamente la mia
scelta ricadde sul semplice ma nutriente tazzone di latte.
-Dovresti dargli una
chance a quel
tipo di colazione, sai? Non è così male come
sembra e poi ti da la giusta
carica per l’intera giornata. Ad Hogwarts il pranzo
è meno abbondante della
cena, vecchie abitudini, credo.
-Sarà, ma
non ho voglia di
provarla proprio oggi.
-Ho preparato il
retro come mi
avevate chiesto, ser Uppercut.
-Oh, grazie Tom,
gentilissimo come
sempre.
Tom fece a sua volta
un cenno di ringraziamento
e si defilò.
-Retro? Ci alleneremo
lì?
-Non proprio, finisci
che così
iniziamo.
Per “ho
preparato il retro come mi
avevate chiesto” il buon Tom intendeva “ho spostato
una botte rivelando una
minuscola botola” da cui successivamente ci calammo per
entrare nei sotterranei
della locanda. Tanto silenziosa la parte in superficie, tanto chiassoso
il
sottosuolo.
-Cos’è
questo fracasso?
Gridai per superare
quei
dannatissimi rumori.
-Vedrai, stiamo
andando proprio
lì, non spaventarti, non mordono!
-Cosa?
Anche se il mio
tutore aveva
alzato il tono della voce, più ci avvicinavamo alla fonte di
quel rumore
molesto e meno riuscivo
a sentire quel
che diceva, ma avrei giurato avesse accennato ad un “non
mordono”.
Il trambusto altro
non proveniva
che da delle botti di medie o grandi dimensioni che venivano lanciate
per aria
e fatte rotolare per metri e metri in quella che sembrava una
distilleria
abusiva; mentre gli schiamazzi e le risatine acute da coloro che si
adoperavano
in tale spettacolo: degli strani esserini non più alti di
una mia mezza gamba e
molto esili, affusolati, quasi spigolosi nei lineamenti del corpo e del
viso.
Nel vederci,
fermarono di colpo le
loro attività.
-E questi, cosa
sarebbero?
-Folletti, semplici
ed irrequieti
folletti infestanti. Non sono pericolosi come ti ho detto, ma sono
molto vispi,
non diamogli motivo di divertirsi con noi, fai come se non ci fossimo,
si
dimenticheranno presto della nostra presenza.
Infatti quel breve
momento di
quiete subito si interruppe e ricominciò la baraonda, anche
più forte di prima.
Cercai di contare quei mostriciattoli ma ne persi il conto diverse
volte, si
muovevano troppo velocemente ed in maniera confusionaria, comunque una
cosa era
certa: superavano la dozzina.
-Ma cosa stanno
facendo? Si
impegnano davvero tanto...
-Per loro
è solo un gioco, si
divertono e passano il tempo così, ma in realtà
stanno offrendo un grosso
servizio alla locanda. Vedi quelle botti? Lì dentro
c’è una bevanda molto in
voga tra i giovani, data la sua natura frizzante e pastosa ma non
alcolica, è
la burrobirra. L’unico modo per ottenere la giusta gradazione
di effervescenza
e di cremosità senza consentire alcuna fermentazione
è quella di frullarla il
più a lungo possibile prima del processo di
imbottigliamento. Le grandi case
produttrici ormai usano macchinari per farlo, ma Tom si affida al loro
veemente
operato, e devo dire che l’ha vista giusta.
-Non potrebbero
ribellarsi? Stare
tutto il giorno qui, chiusi a lavorare...
-Ohohoh, tu la vedi
con gli occhi
di un umano, per loro non è un lavoro, è
divertimento. E poi stare qui sotto è
il loro stile di vita: se non fossero qua probabilmente starebbero in
qualche
casa di Londra a devastarne l’arredamento, perciò
meglio sfruttare le loro
energie per qualcosa di produttivo, non credi? E comunque non sono
certo
prigionieri, vedi quella grata? Da alla fogna della città,
possono entrare e
uscire quanto vogliono, e lo fanno, altrimenti non avrebbero di che
mangiare,
poi come vedi ritornano sempre qua, come vedi a loro questo posto
piace. Forse
perché pieno di ratti, attento ne sta passando uno.
Mi scansai appena in
tempo perché
quel topolino stava cercando di scappare da uno di quei folletti che
però si
lanciò in un guizzo fulmineo prendendolo per la coda. Poi lo
sollevò, ridacchiò
e lo chiuse in una gabbietta posta sopra una cassa di legno.
-Ed il pranzo
è assicurato.
-Ma cosa ci facciamo
qui? Come
faccio ad allenarmi con loro in giro?
-Sono proprio loro il
nostro
allenamento, userai il Confundus su
uno di loro, mi pare chiaro, no?
-Come? E se si
arrabbiano? No, è
troppo pericoloso, hai visto come ha agguantato quel topo, no?
Farà lo stesso
con la mia gola!
-Ahahah, ti preoccupi
troppo.
Dimentichi una cosa: ci sono io qui con te. E poi se li prendi alle
spalle
nemmeno capiranno che sei stato tu, non per niente il nostro
allenamento è
incentrato su una fattura mentale, confondere l’avversario
è il suo scopo.
Inoltre, come se non bastasse, se per un malaugurato caso dovessi farti
scoprire, basta che ci allontaniamo per qualche secondo che
già si
dimenticheranno di ogni cosa e ritorneranno alla loro mansione, hanno
una
memoria molto corta. Convinto?
-Se lo dici tu? Cosa
devo fare
esattamente?
-Beh, se ti ricordi
cos’ho fatto
io ieri, ho puntato la bacchetta sul mio bersaglio, ondeggiato un
po’ il polso
per due volte ed esclamato la formula Confundo,
per incentrare i miei sforzi su quel preciso incantesimo e non su altri
dall’esecuzione simile. Questo per quanto riguarda la postura
e la procedura
corretta... Mentalmente, beh, devi impegnarti parecchio nel focalizzare
i tuoi
pensieri su ciò che vorresti il tuo bersaglio faccia; in
questo caso,
vediamo... Ah, sì, ordinagli di buttarsi dentro la gabbietta
dei topi, sarà
anche divertente da vedere.
Che
crudeltà... Ma d'altronde devo pur imparare...
-Visto che non hai la
bacchetta,
sfrutta il tuo indice come se ne fosse la punta, e puntalo dove vuoi
che abbia
effetto, dovrebbe funzionare. Credo.
Iniziai scegliendo il
folletto
meno attento e mettendomi alle sue spalle. Poi mi avvicinai
leggermente, mi
accovacciai per ridurre ancor di più le distanze, allungai
il braccio, puntai
l’indice sulla nuca di quella creaturina e pronunciai
l’incanto: Confundo!
Niente, continuava a
ricevere
barili al volo ed a rilanciarli con la sua solita frenesia. Non che non
me
l’aspettassi, ma la delusione arrivò lo stesso.
Riprovai.
-Confundo!
Confundo! Vai, vai su! Perché no, dai!
Una botte in caduta
libera mi fece
fischiare l’orecchio sinistro. Cascando per terra si
sfracellò, perdendo
liquido giallastro in ogni parte. Il folletto dinanzi a me
s’infuriò,
evidentemente la colpa fu mia che gli avevo occluso il passaggio con la
mia
presenza.
-E’ meglio
che t’allontani da lì,
i folletti sono innocui, ma non le botti che lanciano. Eheh.
Non me lo feci
ripetere due volte.
Confundo! ripetevo,
Confundo!. Ma niente, non ne aveva la
minima intenzione di funzionare. Al settimo tentativo però
il folletto che
prendevo di mira iniziò a grattarsi nervosamente la testa.
-Ci sei, è
spaesato!
Peccato che tale
movenza faceva
parte del loro pattern di comportamenti usuali: in quello stesso
istante,
insieme a lui almeno altri tre folletti si stavano grattando testa e
orecchie
esattamente nello stesso modo.
-Dici?
Domandai sconfortato.
-Dai, ritenta, mica
è cosa
immediata l’apprendimento di un nuovo incantesimo. Ci vuole
grande volontà e
pazienza, oltre che ovviamente grande concentrazione.
Dopo più
di due ore di tentativi
miseramente falliti, ormai il mio incantesimo suonava più
come un borbottamento
che altro e non avevo nemmeno più la forza di tener alzato
il braccio, finché
finalmente quel povero folletto non inciampò.
-Cosa?
Rialzandosi
andò a sbattere contro
un pilastro dello scantinato, era evidentemente Confuso.
-Dai mantieni il
controllo! Digli
di rinchiudersi in
quella gabbia, prima
che finisca l’effetto!
Mi sudavano le mani,
la bocca e la
lingua erano secchissime e dovetti leccarmi le labbra più e
più volte prima di
inumidirle almeno un po’. Stavo per controllare il mio primo
incantesimo!
Non sapevo da dove
iniziare, ma
decisi di pensare insistentemente al tragitto che la cavia doveva
compiere,
ripetendomelo mentalmente in un ciclo pressoché infinito.
Stava andando
esattamente come volevo: seppur con riluttanza, il folletto si
avviò verso la
gabbietta, l’aprì e con l’ultimo,
esitante salto, ci si tuffò di dentro.
-Fatto!
-Si, si, ma non
distrarti, riprova
con un altro, prima che dimentichi come fare!
Cercai con lo sguardo
quello più
vicino, lo puntai e riusai il Confundus
senza problemi, ora i folletti in gabbia erano due. Passai ad uno
più in
lontananza, poi ad un altro ancor più lontano,
dopodiché cercai di non
pronunciare alcuna formula magica ed infine di non puntare
più il dito a causa
dei crampi che mi stava procurando. Ormai era fatta, lo padroneggiavo
completamente.
-Ed un altro!
-Si, ma ora basta,
sono già sette
la dentro, non en entrano più, e poi stiamo attirando troppo
l’attenzione,
andiamocene.
-Si, si!
Ero in fibrillazione,
non riuscivo
a trattenermi.
-Sai, a dirla tutta
non credevo
proprio che tu ci saresti riuscito realmente, non senza bacchetta per
lo meno.
Mi devo ricredere, o meglio, confermare quello che già
pensavo: non hai
minimamente bisogno di averne una! Ma la compreremo lo stesso, per
evitare
problemi.
Ero troppo
concentrato sulle
prodezze che avevo appena commesso per prestare attenzione alle sue
parole... e
a chi si avvicinava, dato che alla vista di Tom, quasi mi venne un
colpo.
-Quanto tempo avete
passato lì
sotto, è andato tutto bene?
-Si Tom, Emanuele ha
imparato il
suo primo incantesimo, secondo a dire il vero, ma questo era
tutt’altra cosa
rispetto ad Accio.
-Bene, mi fa piacere.
Posso
richiudere il passaggio...?
-Si, certo, abbiamo
concluso.
Una volta nuovamente
in camera, io
e ser Uppercut ci sedemmo sul letto per riposarci un po’, poi
riprese:
-Bene, questa
è fatta, il
difficile deve ancora venire, dato che Logos
Comprehendi è di tutt’altra
complessità, ma almeno hai capito il metodo da
adottare, ed anche piuttosto rapidamente per la tua età.
-E’ davvero
così difficile?
-Purtroppo
sì, io stesso lo imparai
in età adulta per motivi di lavoro, non è un
incantesimo propedeutico che viene
insegnato a scuola. Non che sia impossibile comunque. E’ solo
difficile
impostarlo correttamente nei nostri pensieri;
i tempi e i movimenti sono del tutto identici a quelle del
Confundus e di altre fatture simili,
ma
il problema sta nel ripassarsi a mente svariate parole nei vari idiomi
per
“allargare” artificialmente le nostre conoscenze.
-Cioè?
Come al solito, avevo
capito ben
poco.
-Detto semplicemente:
come si fa a
far capire al tuo cervello che vuoi rendere comprensibile qualsiasi
espressione
linguistica emessa da te o da un altro essere umano? Per renderlo
possibile
bisogna concentrarsi tantissimo sul risultato che si vuole ottenere,
per questo
gli insegnanti, ed io stesso d’altronde, consigliamo il
ripetersi a mente
ciclicamente una o più parole in diverse lingue, anche
quelle che non
interessano. Ad esempio, finora abbiamo usato la fattura solo per
convertire le
nostre espressioni in due lingue, ma per farlo ho dovuto pensare anche
a parole
in latino, francese, greco, bulgaro e così via, proprio per
focalizzarmi sulla
traduzione più che sul significato delle parole stesse.
Proprio per questo se
le parole pronunciate nella nostra lingua venissero ripetute il meno
possibile
sarebbe meglio, proprio per non venir distratti da pensieri svianti. In
altre
parole, usa ciao e traducilo in
molte
lingue e, quando le ripeti, cerca di evitare di ripeterlo troppo spesso
in
italiano perché rischieresti di pensare ad un saluto
piuttosto che al tradurre
indistintamente, mente un generico priviet in
russo, non rischia
di distrarti più di tanto.
-Accidenti...
-Certo, poi ci fai la
mano e ti
bastano due o tre parole al massimo per riuscire a lanciarlo senza
problemi, ma
all’inizio ricordo che dovetti tradurre la parola esame in più di dieci lingue,
per riuscire a farcela. Sì, fu la
prima parola che mi venne in mente proprio perché dovevo
superare un test in
quel periodo.
-Ma allora ho bisogno
di un
dizionario.
-Non
c’è bisogno, se utilizziamo ciao
lo so pronunciare in una dozzina di
lingue diverse.
-Bene allora,
dimmele, anzi
scrivimele che così partiamo!
-Ah, non ora! Ci
serve ancora
qualcosa per poter proseguire, non l’ho portata con me
perché non pensavo ci
sarebbe servita già oggi, ma oggi pomeriggio quando ritorno
la porterò con me.
Intanto fino a pranzo riposati e ripassati queste traduzioni del ciao che ti ho scritto su questo
foglietto, me l’ero preparato ieri, almeno questo
l’ho portato.
Hi,
ave, hallo, hola, salut, ahoj, haloo, servus, hei, cześć, un
sacco di pronunce strane, ma nessuno batteva sdravisvanje,
il saluto bulgaro, in quanto ad illeggibilità.
E
come faccio?
Lo sconforto era
estremo, così
come la sfida che mi si era posta dinanzi.
Subito dopo pranzo
ser Richard si
presentò con una vecchia radio anni ’70 sotto
braccio.
-Ecco qua,
d’altronde è l’unico
modo, come avremo fatto senza? Adesso ti disattivo la fattura e la
lancio su me
stesso, così io e te ci capiremmo sempre alla perfezione, ma
tu non capirai ciò
che diranno gli altri o, in questo caso, la radio.
Dopo aver smanettato
con la
bacchetta, accese la radio e mise in un canale di musica vintage.
-No, questo no,
cerchiamo un
notiziario, ah ecco!
Ovviamente parlava in
un inglese
abbastanza rapido per capire cosa stesse dicendo.
-Ora lo imposto
silenzioso, ogni
volta che lancerai la fattura aumento il volume e mi dirai se capisci
cosa
dicono, ok?
-Si.
-Partiamo allora, ti
ricordi
tutto?
-Come si pronuncia...
-Lascia perdere, usa
quelle
semplici, se il bulgaro o il croato lo salti, non muore mica nessuno!
E così
iniziammo. Ad ogni presunta
fattura equivaleva un tentativo con la radio, che non voleva saperne di
parlare
in italiano.
-Logos
Comprehendi!
Le solite scintille
partivano dal
mio indice che premeva contro la mia tempia destra, ma non dava indizi
se fosse
andata in porto. Il mio tutore rialzò il volume della radio.
-Adesso?
-Niente, inglese,
inglese, sempre
in quello stramaledettissimo inglese!
-Non agitarti,
è normale,
riproviamo.
Passavano i minuti,
le ore, i
giorni: era quasi finita la settimana, quando...
-Betty Rosso,
bassista dei celebri
Sinistre Sorelle, si è infortunato questa mattina alla gamba
sinistra cadendo
violentemente dalla scopa, mentre provava una prodezza da mostrare al
suo
pubblico durante il concerto di questa sera allo Stadio Cazadores. Jim O’ Derate,
il medico personale della troupe,
ci spiega i dettagli dell’infortunio: “Non ho mai
visto una tale devastazione
in tutta la mia carriera, il menisco si è praticamente
polverizzato e dobbiamo
ringraziare il cielo se non sono stati riportati danni alla colonna
vertebrale.” Effettivamente la caduta è avvenuta
da 45 metri di altezza e molti
fan che assistevano alla sessione di prove hanno temuto il peggio. La
prognosi
diagnosticata per una completa guarigione della gamba è di 3
ore e 25 minuti,
restate con noi per eventuali aggiornamenti sull’argomento.
Non ci potevo
credere, no, non
alle scempiaggini della trasmissione radio, ma finalmente recepivo le
parole in
italiano, la mia lingua! Ero troppo felice.
-Funziona! Ha
parlato, cioè l’ho
recepito in italiano!
-Davvero? Bene, hai
visto che con
l’impegno ce l’hai fatta? Riproviamo? Cambio
stazione, cosa dice?
-Prevista breve
pioggia nel
versante...
-Pioverà!
-Esatto, e qui?
-Solo da noi il
meglio del meglio
del meglio del meglio per il Quidditch! Venite a trovarci a...
-Annuncio
pubblicitario!
-Perfetto, ora
disattiva la
fattura e riproviamoci!
-Sì! Ehm,
ma come?
Ser Uppercut mi
guardò in silenzio
e poi scoppiò a ridere.
-Ahahah, davvero, ho
dimenticato
di insegnarti come annullarla, ahahah! Ora te lo insegno...
Poi iniziai a ridere
anch’io, ma
per la felicità di esser riuscito a farcela; in ogni modo
entrambi continuammo
fino alle lacrime.
Il resto della
giornata lo
passammo cercando di imparare il contro-incantesimo.
[CURIOSITA’]
Il testo della
canzone cantata dai
clienti della locanda, può esser tradotto in italiano
più o meno così:
Amor mio,
amore mio
ti amo amore
mio
per favore,
non
schiantarmi
lo so che
puzzo, ma mi
devi perdonare
ti prometto,
il bagno
io farò
quando la
Centenaria
vincerò
non
schiantarmi, amore mio.
|
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Capitolo 9 *** Muthsera ***
“Ricordati
di usare il Logos Comprehendi non
appena ti alzi!”
Questo recitava il
post-it
lasciatomi da ser Richard sulla porta. Ormai non ce n’era
più bisogno, mi
veniva automatico, ma per i primi giorni se non fosse stato per quel
foglietto probabilmente
avrei chiesto la colazione in una lingua che in tutta la locanda
conoscevo solo
io.
Era quasi passato un
mese ormai,
settembre stava per arrivare e con esso anche l’inizio del
mio primo anno
scolastico ad Hogwarts. E soprattutto al Paiolo Magico la cosa si
notava. Il
locale che da silenzioso, quasi lugubre, divenne una specie di stalla
con
bambini che correvano e urlavano di qua, cameriere che passavano
l’aspirapolvere
di là e gatti, gufi, civette e topi che infestavano ogni
centimetro quadrato della
sala principale. Per fortuna tutto quello che dovevo conoscere sulle
misure
inglesi, sulla storia e l’architettura di Hogwarts e sulla
mitologia magica
l’imparai nelle settimane precedenti, altrimenti con tutto
quel baccano sarebbe
stato praticamente impossibile, anche dopo che il mio tutore
tentò di applicare
un incantesimo insonorizzante sull’uscio della mia camera.
-Muffliato!
Un velo impalpabile
coprì l’intera
superficie della mia stanza, per poi sparire una volta ancoratosi alle
pareti.
-Ecco, ora non
dovresti più sentir
nulla. Puoi dormire e leggere in tutta tranquillità.
In un certo senso era
vero, dei
rumori che provenivano da fuori non ne arrivava più neanche
uno, ma in compenso
ognuno di quei suoni, anche il più flebile, si
trasformò in un piccolo ronzio
che, sommandosi agli altri, creò una maglia sonica
insopportabile.
-Accidenti,
annulliamo tutto che è
meglio. Son bastati due secondi a farmi scoppiare la testa. Mi dispiace
ma temo
dovrai convivere con questo trambusto. Comunque ti servirà
come allenamento per
la scuola, non credere sarà un posto più
silenzioso di questo. Anche se lì, con
molta probabilità, anche tu sarai partecipe della baraonda.
E così
passai gli ultimi quattro
giorni nella confusione più totale, tanto che alla fine di
ogni giornata mi
buttavo a letto distrutto, senza la forza di prendere mezzo libro e di
esercitarmi con l’inglese.
Quel giorno
però era
particolarmente chiassoso: una famiglia che dire larga è dir
poco, era arrivata
la sera prima e adesso stava facendo colazione di sotto; una dozzina di
teste
rossicce che ridevano, si punzecchiavano e gridavano per ogni minima
cosa
stavano infestando il tavolo grande.
-Grattastinchi torna
qui! No, non
seguire quel cerca guai di un topo! Ronald, vuoi tenere rinchiuso
Crosta? Sta
facendo impazzire il mio gatto!
-Ma perché
non rinchiudi tu il tuo
gatto? Che più che gatto dovrei chiamarlo paffutolo,
guarda quant’è grasso!
-E’ la
specie che è più pienotta
delle altre, lo sai, il mio Grattastinchi non è affatto
grasso. E’ in perfetta
forma per la sua razza.
-Sarà, ma
non ho mai visto un
gatto che non riesce nemmeno a passare da sotto il tavolo visto che
s’incastra
sempre. Eheheh!
Questi erano
più o meno i discorsi
che si sentivano ogni mattina appena alzati. In quello specifico caso
si
trattava di due dei ragazzi di quella famiglia ultra chiassosa. Il loro
battibecco era iniziato nel corridoio e si protrasse fino ai tavoli,
dove il ragazzo
di nome Ronald, evidentemente proprietario del topo in questione, si
sedette e
mangiò non curandosi più di quello che sua
sorella borbottava.
La stanza era gremita
di gente e
gli unici due posti liberi erano o accanto quel tipo, o vicino la
finestra alla
destra della porta di ingresso. Mi stavo dirigendo senza indugio in
quest’ultima direzione, quando il mago che sedeva nel posto
di fronte a dove
avrei voluto collocarmi, allungò i piedi e li
poggiò sulla sedia, occupandola.
Beh,
stia comodo...
Non mi
restò che prender posto
proprio dove non avrei voluto.
-Ehm, permesso?
E’ libero?
-Mpff!
Fu quello che
uscì dalla bocca
strapiena del ragazzo. Mi voltai allora verso suo padre che occupava il
posto a
destra, ma era impegnato ad argomentare con Tom su non so cosa.
-Quello che Ron
voleva
maleducatamente dire è che il posto è libero,
puoi sederti.
Sua sorella mi
invitò a sedermi e
lanciò un’occhiataccia a Ron.
-Che
c’è, stavo mangiando! Non si
mangia a bocca piena, quante volte me lo hai detto?
-Si, ma almeno
avresti potuto
farti capire a gesti.
La fame mi era
passata, anzi era
da una settimana che non avevo proprio voglia di scendere di sotto,
esattamente
da quando il teatrino aveva montato le tende.
Dopo neanche cinque
secondi dal
mio insediamento, Ron estrasse una foto dalla tasca e me la
schiaffò davanti.
-Guarda, siamo noi in
Egitto, ti
piace? Io avevo un maglione di lana, può sembrare strano
visto che eravamo in
un deserto, ma non portava più caldo di una comunissima
T-shirt. Tu ci sei
stato in Egitto? Lo conosci? Ti piace? E’ pieno di mummie e
cose antiche, c’è
la storia lì...
-Si, si, mi piace,
non ci sono mai
stato però...
-Eh lo so, ci
vogliono un sacco di
soldi per permettersi il viaggio, nemmeno noi ce lo saremmo potuti
permettere,
ma per fortuna mio padre ha fatto una vincita e... ed eccoci
lì, tra le
piramidi e le Spingi.
-Sfingi Ron, non
Spingi. E poi la
Sfinge è una sola, non usare il plurale che ti rendi
ridicolo nonché ignorante.
-Ma tu guarda
questa... Che figure
mi fai fare?
Dovevo interrompere
immediatamente
la diatriba.
-Ehm, come dicevo,
non ci sono mai
stato, ma a casa ho la collezione di videocassette che mostrano i
luoghi più
famosi, tipo la piramide di Cheope che...
-La collezione di
che?!?
Accidenti,
dimentico sempre che questa è tutta roba che loro non
conoscono...
-Ho sentito che
parlate di
videocassette babbane, Laurence dell’ufficio manufatti
babbani me ne parlava
giusto il mese scorso, di come questi supporti magnetici stanno
letteralmente
cambiando la vita della gente comune, tu che ne sai ragazzo? Ah, a
proposito, Arthur
Weasley, piacere.
Il padre dei ragazzi
che si
intromise nella conversazione mi tese la mano, che strinsi, nonostante
la
posizione tutt’altro che comoda.
-Beh, ecco, ha
presente i film?
Ti
prego, almeno questo...
-Arthur! Cosa gli
stai chiedendo?
Qualcosa che ha a che fare con i babbani, non è vero? Siamo
ancora in vacanza,
perciò smettitela!
Questa invece era
evidentemente la
madre della combriccola, nonché moglie di quel tipo
allampanato che nemmeno
conosceva cosa fossero le videocassette. Era abbastanza robusta a
dispetto
della corporatura del resto della famiglia.
-Oh, Hermione cara,
cosa ci fai
anche tu qui? Non ti avevo vista, sono stata in camera fino ad ora...
-Benissimo, signora
Weasley, non
sa che sorpresa vedervi qui in anticipo anche voi, avevo il timore di
dover
passare quasi una settimana da sola, visto che i miei son dovuti
partire per
lavoro.
-Visto? Sembrerebbe
siamo
destinati a rimanere sempre insieme, vero Ron?
-Già, che
per tutto il viaggio non
ha fatto altro che piagnucolare sul fatto che Hermione non fosse con
lui.
Due ragazzi
più grandi identici nell’aspetto
sbucarono da dietro una colonna, parlando a turni e completandosi la
frase a
vicenda, sincronizzati alla perfezione; alla Qui, Quo e Qua,
praticamente.
-Splutt!
Ron sputò
per intero il succo che
aveva sorseggiato.
-Non, è
andata così, non stavo
piagnucolando, costatavo un fatto e non volevo ci fosse solo Hermione,
se
dovete raccontarle le cose fatelo bene, volevo anche Harry a farmi
compagnia!
-Fatto sta che sei
diventato rosso
lo stesso, come mai?
-E basta voi due, lo
state
mettendo troppo in imbarazzo, vieni Arthur, non riusciamo a trovare da
nessuna
parte la spazzola di Ginny.
-Andiamo pure noi
Fred, altrimenti
nostro fratello ci annoierà ancora con quella sua stupida
foto.
-Si, non me lo faccio
ripetere due
volte... Ehi, guarda! Un piccione! A lui non gliel’hai ancora
mostrata, presto
prima che se ne va, spaventalo con la storia di Tutankhamon!
-Bah, basta, non si
può mangiare
così, me ne vado!
Restò
solamente la ragazza di nome
Hermione, che fino a pochi istanti prima credevo erroneamente facesse
parte
della famigliola felice.
-Beh, ecco, scusaci.
Imbarazzata, si
alzò anche lei e
se ne andò. Finalmente era da solo, o meglio,
c’era ancora un sacco di gente,
anche di fronte a me, ma non nelle immediate vicinanze e comunque
nessuno che
mi importunava. Anche se in ogni modo la fame non voleva saperne di
tornare,
complice il rigurgito di succo d’arancia che gocciolava dal
tavolo.
-Buone notizie,
ragazzo! Accidenti
che confusione oggi...
Ser Richard, appena
entrato nella
locanda, venne verso di me sventagliando una pergamena motivo della sua
felicità.
-Questa qui
è la richiesta firmata
dei tuoi genitori di aprire un conto corrente alla banca dei maghi: la
Gringott! E guarda questo sigillo? E’ stata finalmente
accettata! Possiamo
aprire il conto oggi stesso, perciò finisci lì
che andiamo subito ad aprire il
conto. Non mi dire, hai già finito? Bene allora, andiamo!
Finalmente stavo per
uscire da
quel tugurio, sembrava quasi che fossi stato messo in prigionia.
-Scusa per questo
enorme ritardo,
solitamente aprire un nuovo conto non richiede tutto questo tempo,
è che in
Europa sta cambiando la moneta corrente ed i folletti si devono
regolare di
conseguenza...
-Folletti? Di nuovo
quelli...
-No no, altri
ovviamente. Chiamali
Goblin se vuoi, ma a loro non piace, ti avverto. Scusami...
Eravamo nel retro
della locanda,
dove Tom, o chi per lui, gettava la spazzatura nei bidoni di latta,
ovviamente
il cortile era chiuso da una muraglia in pietra e dove stavamo andando,
solo il
mio tutore lo sapeva.
Toc!
Toc! Tac!
Con la punta della
sua bacchetta,
ser Uppercut bussò tre volte su un mattone della parete che
circondava il
cortiletto, come se stesse usando un codice segreto.
-Stai a guardare!
Improvvisamente il
muro prese a
vibrare ed i suoi mattoni iniziarono a roteare, in modo che la parte
più larga
divenisse perpendicolare al muro per occupare meno spazio, rivelando
quindi un
passaggio.
-Che te ne pare?
Benvenuto a
Diagon Alley!
Ser Uppercut aveva
tutte le
ragioni di questo mondo per sentirsi soddisfatto nel mostrarmi quel
luogo: era
come se si fosse aperto un mondo nuovo per me: negozi a destra,
boutique a
sinistra, gente che faceva i propri acquisti e poi questi li seguivano
autonomamente, bambini che si tiravano palline fumogene e gatti, gufi e
pipistrelli che in coro accompagnavano il via vai frenetico di quelle
persone.
Era esattamente come il paiolo magico in quei giorni di delirio, ma la
bellezza
del posto faceva apparire anche quella confusione come parte di
un’opera
d’arte.
-Avrai modo di
guardare tutto più
attentamente più tardi e nei giorni a venire, ora dobbiamo
sbrigarci ad andare
alla banca e prelevare qualche soldino, non vuoi finalmente la tua
bacchetta?
Seguimi, dobbiamo andare sempre dritto, e non distrarti!
Facile a dirsi ma
impossibile a
farsi: come si faceva a non fermarsi ad osservare imbambolati ogni
singolo
negozio del vialetto? I primi negozi erano anche quelli più
affollati: una
libreria chiamata Il Ghirigoro alla
sinistra e una lussuosa gelateria di un certo Florian Fortebraccio a
destra. La
vista di quei gelati e della gente che se li gustava, mi fece rinascere
la fame
come per magia.
Accidenti,
se avessi saputo dell’esistenza di questa gelateria a due
passi dalla locanda altro che cappone bollito...
-Dai non perdere
tempo, ti ho
detto che poi giriamo per tutto il tempo che vorrai.
Fu una tortura
insostenibile, ad
ogni passo che facevo, c’erano due o tre negozi
potenzialmente meravigliosi da
ammirare e sbavarci davanti le vetrine: empori di cianfrusaglie, negozi
di
modellini e merchandise griffati, una rivendita di scherzi e gadget
esilaranti,
una bottega colma di ingredienti assurdi e addirittura un lercissimo
venditore
ambulante di collanine e poltrone sconquassate che quasi stonava con
l’ambiente
abbastanza pulito ed ordinato, per quanta pulizia ci possa essere in
una strada
dove erano esposti gli animali più strambi ed esotici
dell’universo.
-Lo so, è
dura ma stiamo
arrivando; guarda lì compreremo la tua prima bacchetta e
lì invece la divisa
che indosserai ad Hogwarts, almeno fin quando ti entrerà.
Mi indicò
due negozi l’uno di
fronte all’altro: il primo si chiamava Da
Olivander ed era presumibilmente quello dove avrei acquistato
la bacchetta,
dato che l’altro, Madama Mc Clan
–
Indumenti per ogni occasione, era chiaramente il luogo dove
avrei acquistato
la divisa. Tanto elegante, sopraffino e con una vetrina coreografica il
secondo,
quanto grezzo, anonimo e per nulla invitante il primo, ancor
più dal fatto che
sembrasse chiuso, date le persiane abbassate.
-Arrivati!
Ser Richard si
fermò di colpo
indicandomi con gli occhi di guardare di fronte: potrà
sembrare strano, ma
l’unica direzione a cui non prestavo la minima attenzione era
proprio quella
dinanzi a noi, ero troppo preso da ciò che si vedeva dalle
viste laterali.
-La Gringott, la
più grande ed
antica banca dei maghi di tutta l’Inghilterra! Osservala nel
suo antico
splendore!
Di splendente non
aveva nulla, era
anzi tristemente pendente verso destra fino ad un’altezza di
quattro o cinque
metri, per poi pendere nella direzione opposta, sarà stata
opera di un
incantesimo edificatore non propriamente riuscito. Per non parlare poi
dei muri
e delle colonne che dal bianco originario ormai erano divenute color
panna per
via della sporcizia accumulata nel tempo, o del grosso portale in
bronzo che ormai
era completamente annerito; la parola manutenzione non sapevano proprio
cosa
significasse evidentemente. Di contro però dovevo ammettere
che era un edificio
davvero imponente e mostrava una certa maestosità e
serietà, se si fosse
immaginato lucido e splendente come sarebbe dovuto essere.
-Mi raccomando, ora
entreremo, non
fare domande, non fissare nessuno, non stare troppo indietro,
né mi devi
precedere, insomma fai esattamente quello che faccio io, qui sono molto
severi
e a rigettare la nostra richiesta nonostante l’approvazione
non ci metterebbero
nulla.
Così mi
tenni incollato al fianco
del mio tutore ed evitai al massimo il contatto visivo con chiunque
incontrassi
dentro e fuori l’edificio, siano esse persone o folletti,
anche se quest’ultimi
furono particolarmente difficili da ignorare. Decisi allora di
osservare il
soffitto per evitare di cadere in tentazione, non
credevo qualcuno si fosse in qualche modo
offeso se avessi fissato il tetto a volta o gli enormi lampadari.
Lampadari che
erano di dimensioni veramente colossali: più di duecento
cristalli su ognuno di
essi, che, per un qualche sortilegio emettevano luce, con quintali di
ragnatele
e polvere appiccicate ad ogni singola faccia, rendendo difatti la sala
molto
meno luminosa di quanto sarebbe dovuta essere.
La volta era a sua
volta
altissima, non so per quale motivo, ma tra noi ed il soffitto
c’erano almeno
quindici metri di distanza, che mi impedivano di vedere nel dettaglio
gli
affreschi che lo permeavano.
Il mio sguardo
successivamente
cadde inesorabilmente sul pavimento, visto che in alto le poche cose da
vedere
non erano poi un così grande spettacolo e mi misi a contare
le mattonelle nere
e quelle bianche, per vedere quale dei due colori
“vinceva” sull’altro. Il
risultato fu una mia mezza caduta per via della cera scivolosissima che
avevano
passato sul marmo, e quindi decisi di smetterla coi conteggi.
Ma
che diamine, è tutto sporchissimo e l’unica cosa
che puliscono è il
pavimento per far scivolare i clienti?
In realtà
non era affatto vero, alzando
finalmente lo sguardo ad un’altezza più congrua,
notai che i lunghi banconi di
legno posti ai lati della sala dove lavoravano questi folletti erano
tutti
lindi e lucenti, mentre gli stessi impiegati, siano essi umani o
goblin,
avevano indosso un’uniforme impeccabile senza nemmeno una
piega. I carrelli
portavalori poi, erano scintillanti nonostante il metallo di cui erano
composti
sia rinomato per la facilità con cui si arrugginisce.
-Buona giornata, sono
ser Richard
Uppercut, impiegato numero 93012 del Ministero della Magia Britannico,
capo
divisione dell’ufficio
relazioni internazionali. Mi presento qui
oggi in veste di tutore
e responsabile dell’ anch’egli qui presente giovane
Emanuele Maria Burgio, il
quale desidera aprire un conto presso il Vostro istituto di credito
bancario,
la società Gringott’s Wizardry Bank.
Ho il
permesso nonché la richiesta firmata dei reali genitori del
ragazzo, con il
sigillo del vostro ufficio cancelleria il quale ha varato il consenso a
tale
domanda. Siamo qui invero per la parte conclusiva di tale procedura,
con
l’apertura e la convalida del conto corrente monetario e del
suo primo
versamento, oltre che di un piccolo prelievo.
Recitando in maniera
impeccabile
quella lunga sequela di ricercate espressioni, il mio tutore aveva
dimostrato
non solo tutta la sua competenza e concentrazione, dato che in
sottofondo
c’erano migliaia di timbri che battevano
all’unisono, ma anche il fatto di
conoscere il mio ridicolo secondo nome tutt’altro che
maschile, cosa che avrei
assolutamente voluto evitare finisse anche ad Hogwarts, dato che in
passato non
mi aveva portato altro che offese gratuite.
-Molto bene, il
documento.
Non appena ser
Uppercut gli passò
il rotolo di pergamena, il folletto si rivolse a me indicando alcuni
termini
del testo:
-Confermi
ciò che dice il signore?
Tu sei effettivamente colui la cui identità corrisponde ai
dati descritti in
questa dichiarazione? Lo giuri?
Dato che si stava
riferendo a me,
ed ero libero di guardarlo in volto, non mi lasciai sfuggire
l’occasione di
fargli una fotografia mentale. Non avevano nulla a che vedere coi
folletti
infestanti del Paiolo Magico, questi erano molto più simili
agli uomini nella
corporatura; certo, bassi e squadrati, ma non erano molto diversi da un
uomo
particolarmente tozzo e con qualche problema di crescita.
Ciò che li
differenziava maggiormente era la generale acutezza di alcuni
lineamenti del
viso come naso, labbra e orecchie, nonché la loro smisurata
lunghezza. Era
inoltre evidente che ai folletti più anziani la cartilagine
di queste parti
tendeva a cedere favorendo l’azione della gravità,
che le incurvava facendole
spesso e volentieri prendere traiettorie a dir poco
“uncinanti”; ed il mio
interlocutore era proprio quello col naso ed orecchie più
cascanti, tant’è che
a bocca chiusa la punta del suo naso arrivava a toccare la linea del
mento,
mentre le orecchie arrivavano pure più in giù,
perdendosi tra i risvolti della
giacca e della camicia. Discorso inverso per la peluria che, invece,
era molto
più folta nei volti dei folletti più giovani,
mentre al funzionario che mi
aveva rivolto la parola non erano rimasti che quattro peli sulle
sopracciglia e
un paio di capelli sulla testa ormai totalmente pelata.
-Allora?
Accidenti,
l’ho fissato troppo a lungo...
-Si, si, sono io, lo
giuro.
-Molto bene, seguite
il collega
che vi scorterà dal Mastro Forgiatore. E ritenete questo.
Bongi, vieni qui per
favore.
Mentre ser Richard
riprendeva il
documento un altro folletto, molto più giovane e leggermente
più alto si
avvicinò.
-Sì?
-Accompagna i signori
dal Mastro
Forgiatore, devono aprire un conto.
-Certo, seguitemi.
Seguendo Bongi
attraversammo
l’enorme portone in bronzo che separava la hall principale
dalla sala dei
documenti e gli accessi ai caveau. Quel portone era sì
più basso di quello
principale, ma decisamente più spesso, proprio per indicare
l’importanza di ciò
che celava al suo interno; anche i cassetti dei portadocumenti erano
blindati,
mentre altri avevano perfino grossi catenacci a bloccare qualsiasi
pensiero di
furto da parte di sprovveduti malintenzionati. Anche se alla fine tutti
quei
cassetti contenevano solo scartoffie.
Durante il lungo
tragitto immerso
tra quelle pile di scaffali e casseforti, rischiai di cadere almeno
altre tre
volte per via del pavimento esageratamente scivoloso, l’unica
consolazione che
ebbi fu il vedere il mio tutore nelle mie stesse disagiate condizioni:
infatti
anche lui prese un paio di scivoloni, ma per fortuna nessuno dei due
fece la
magra figura di cadere col sedere a terra. Bongi e tutti gli altri
dipendenti,
invece, si muovevano perfettamente su quel pavimento infernale: non so
come, ma
riuscivano ad avanzare nonostante non alzassero i piedi da terra, o
meglio, non li
muovevano affatto; giusto
scivolavano e basta, come se fossero stati spinti da una forza
invisibile.
Giunti alla porta del terzo caveau però notai un anziano
folletto che, piegato
su se stesso, passava ancora cera da tutte le parti.
-Scusi la domanda,
signor Bongi,
ma il pavimento non è già abbastanza lucido? Non
per qualcosa, sia chiaro, ma è
così scivoloso che rischiamo di cadere e farci male davvero.
-Lo so.
Bongi rispose senza
voltarsi,
continuando la sua marcia.
-E’ voluto,
infatti. Non è certo
un segreto che una delle nostre migliori tecniche difensive contro i
ladri è
proprio questa. Nessuno tranne noi folletti impiegati in
quest’istituto siamo
in grado di avanzare senza alzare le piante dei piedi, nessuno. E se
qualcuno
fa un po’ troppo rumore quel qualcuno non è
sicuramente un folletto. E se non è
un folletto deve essere accompagnato da un dipendente ed avere un buon
motivo
per essere qua, come voi due del resto. Inoltre se a qualche furbo
venisse la
malsana idea di farsi passare per uno di noi, la sua andatura
certamente lo
tradirà. Tecnica semplice ma infallibile, non è
d’accordo? Seguitemi, siamo
quasi arrivati, subito dopo quella scrivania alla vostra destra.
-Ti prego, basta
domande o si
indisporranno.
Ser Richard mi
supplicò ti tener
chiusa la bocca, bisbigliandomi all’orecchio quella frase che
a causa di uno
strano rumore metallico non compresi appieno. Più ci
avvicinavamo allo scrittoio
più quel rumore assordante di martellate sul metallo si
faceva vivo e, superata
l’immensa porta blindata che accedeva alla grotta, ne fu
chiara la sorgente. Nonostante
in quel luogo tutti i blindati erano imponenti, la porta di forma
circolare che
superammo in quel momento era tutt’altra cosa: alta e larga
almeno tre metri,
era spessa circa quattro volte il volume di un uomo e tutta
completamente
d’acciaio nero. Il perché di quelle dimensioni
mastodontiche mi sembrò evidente
una volta entrato: la figura di un enorme gigante, che indossava
solamente un
enorme grembiule di cuoio e che maneggiava enormi arnesi che faceva
entrare ed
uscire periodicamente da un enorme forgia emerse dalla penombra nata
dal
contrasto delle fiamme col buio più profondo che permeava
quell’ambiente.
I-il
maestro forgiatore...
-Mumkhar, la numero
1991, prego.
Il folletto tese la
sua piccola
mano, come se stesse attendendo qualcosa. Il gigante sentendo quelle
parole si
allontanò sparendo dietro un muro di fumo ed ombre e al suo
ritorno allungò il
suo possente braccio verso Bongi. Sembrava volesse stritolarlo, invece
poggiò
con delicatezza una piccola chiave nera sulla mano del folletto che a
sua volta
la consegnò al mio tutore indicandogli di farla toccare pure
a me e quindi di
riconsegnarla.
-In questo modo
solamente chi è
presente oggi in questa sala sarà in grado di toccare questa
chiave, tutti gli
altri ne verrebbero irrimediabilmente ustionati. Da questo momento sono
ufficialmente il vostro Referente Autorizzato del vostro conto,
signori. Se
avrete necessità di consegnare la chiave a qualcun altro o
vorrete cambiare
Referente, dovrete fare una formale richiesta scritta, grazie alla
quale
ripeteremo quest’operazione per registrare chiunque debba
venirne a contatto,
prego Mumkhar.
Il colosso
afferrò la chiave
lasciatagli sul banco da Bongi ed incominciò a colpirla con
spaventosa potenza
utilizzando un maglio infuocato: il solo frastuono di quei colpi faceva
tremare
tutti gli utensili appesi alle pareti della grotta.
-E’
l’orientale acciaio Kachiin,
utilizzato fin dall’antichità dagli alchimisti per
la sua indistruttibilità
anche contro gli incantesimi più potenti: solo un gigante
armaiolo ha la forza
per forgiarlo. La famiglia di Mumkhar è maestra di forgia da
secoli ormai,
nessun altro è più capace di spezzare il nostro
sortilegio, e la magia dei
folletti è potente, ragazzo. Tieni, è fredda.
Con un malcelato velo
di
soddisfazione per l’ultima parte del discorso che aveva
detto, mi porse la
rovente chiave nera che nelle mani del gigante sembrava minuscola ma
che in
realtà era di notevoli dimensioni. Ora che era in mio
possesso potevo
osservarla meglio della prima fugace volta: era nera, sì, ma
in un certo senso
brillava; si impregnava di qualsiasi minima fonte di luce per
rilasciarne a sua
volta un po’ quando posta al buio. Era fenomenale, non solo
per quella
particolarità, ma anche nell’aspetto, fiordi ed
incavature permeavano l’intera
superficie della chiave, solo il listello era liscio, ma perfino il
pettine era
un trionfo di forme ed arabeschi. Incredibile come un essere gigantesco
come
quello sia riuscito a creare una tale meraviglia.
-Se volete potremmo
dipingerla
d’oro, molti preferiscono così.
-Non ce ne
sarà bisogno. Dalla a
me, meglio non perderla.
La consegnai a ser
Richard e
lasciammo quella forgia per dirigerci finalmente alla mia camera
blindata, ma
non prima di aver compilato il modulo di avvenuta consegna della chiave
e aver posto
firme in tutte le salse. Ritornammo praticamente quasi
all’ingresso, poiché, a
differenza della forgia, il mio caveau si trovava dietro la prima porta
blindata della sala. Se non fosse che scoprii che quella porta non dava
direttamente alle camere blindate, ma ad un’infinita galleria
sotterranea.
Non
si vede la fine... E manco l’inizio...
Infatti oltre a
continuare in
lunghezza verso non si sa quale parte dell’Europa, era pure
senza fondo: cadere
da lì sarebbe equivalso ad una caduta di ore seguita da
morte certa. L’unico
mezzo per potersi muovere in quei cunicoli era una specie di carrello a
due
posti, all’apparenza tutt’altro che comodo. E non
solo all’apparenza.
-Tieniti forte, mi
raccomando.
O mi tenevo forte, o
mi tenevo
forte, dato che in quel carrello c’era posto solo per due
passeggeri e quello
di destra - con una bella poltroncina - l’aveva occupato il
folletto,
lasciandoci solamente quello stretto e per nulla ergonomico di
sinistra. Il
parabraccia poi era soffocante.
-Il viaggio
sarà un po’ lunghetto,
mettetevi comodi.
Fa
pure lo spiritoso...
Swiisss
!!!
Con un lungo e
fastidioso cigolio,
il carrello iniziò a muoversi, aumentando via via sempre
più di velocità.
-Non spaventarti, fra
poco ci
saranno certe curve che ci faranno girare la testa!
Mi urlò il
mio tutore per
rasserenarmi, se non fosse che quelle curve più che la testa
fecero girare
tutto il corpo, carrello compreso. Girando su se stesso dal perno
centrale
infatti, quel carrello fece almeno una quindicina di giri completi
durante
tutto il folle tragitto, inoltre ogni salita o discesa con un forte
dislivello
facevano pendere pericolosamente tutto il peso dal nostro lato,
evidentemente
il più pesante, facendomi provare dei lancinanti dolori al
fianco sinistro per
la pressione che esercitavo sui parabracci.
In compenso la vista
del panorama
era spettacolare. Per via dell’alta velocità,
tutto quello che fosse stato più
piccolo di un muro di cinta non riuscivo a focalizzarlo bene, ma di
piccolo là
sotto c’era davvero ben poco: tutto illuminatissimo da torce
danzati e lampioni
ad olio, sembrava quasi il regno di una civiltà sotterranea.
C’erano
prevalentemente caveau e gabbie piene dei tesori più
spettacolari, ma anche
enormi statue di marmo, capitelli di antiche colonne ormai diroccate e
soprattutto
un intero castello abbandonato sotto i nostri piedi. Dovevo saperne di
più.
Prima di aprir bocca, seri Richard mi anticipò:
-E’ Arx
Shagar, l’antica dimora
dei folletti. Molto prima che la civiltà bretone si
insediasse in Inghilterra
erano loro gli abitanti più evoluti di
quest’isola. In uno dei libri che ti ho
regalato c’è tutto quello che devi sapere.
Mi bastò,
anzi, non vedevo l’ora
di ritornare alla locanda per saperne di più, al diavolo lo
shopping: quel
castello era bellissimo, tetro ma bellissimo.
Swiisss
!!!
-Arrivati. La lampada
prego.
Indicò una
lampada ad olio appesa
con un chiodo su una delle colonne della galleria.
Non
se la può prendere lui? Perché diamine le mettono
così in alto se
manco ci arrivano? Che viaggio terrificante...
-Camera 1991, la
chiave prego.
Ser Richard stava
facendo
praticamente il facchino di Bongi, ma la cosa non lo turbava affatto.
Il folletto
inserì la chiave nella
piccola serratura della porta blindata che acconsentiva alla camera che
mi fu
attribuita e, con un delicato suono di ingranaggi che si sbloccavano
tutt’intorno la porta, essa si aprì da sola
nonostante il peso, anche se forse
era Bongi che l’attirava con qualche incantesimo, rivelando
il contenuto.
Due misere pile di
monete grosse e
dorate, alte non più di un metro ciascuna, erano le sole
ospiti di quel vasto
ambiente... Uno spazio sprecato.
-Tsk!
Scappò al
folletto. Evidentemente
anche per Bongi quei quattro soldi non devono esser parsi un grande
spettacolo.
Notando i nostri sguardi seccati, per non apparire troppo indiscreto
indietreggiò nascondendo alla sua vista la camera.
-Bhè, in
fondo me l’aspettavo...
Il cambio Galeoni-Sterlina non è affatto vantaggioso per
quest’ultima e
soprattutto non lo è quello tra la Lira italiana e quella
inglese, due condizioni
troppo svantaggiose danno come risultato questo: credo che queste
monete siano
interi mesi di stipendio dei tuoi; ma non ti preoccupare, bastano e
avanzano! E
poi, oltre a quelle di inizio anno per rimediare il materiale
scolastico, non
avrai certo altre spese vive!
-Ma quante sono?
-Giusto... Signor
Bongi, una
cortesia: potrebbe dirci a quanto ammonta il conto del signor Burgio? E
quanto
possiamo prelevare in un’unica operazione?
-Sì,
certo. Bene, rispondere alla
sua prima domanda è immediato: ogni pila di un piede
equivale a cinquanta
galeoni, perciò, essendocene due, sono esattamente cento.
Per la seconda è più
complesso, dato che normalmente il limite è di 500 galeoni
alla settimana, ma
non essendo questo il caso, dovremo utilizzare le percentuali.
E’ possibile
prelevare il 60% del fondo dei conti inferiore ai 1000 galeoni, ma a
questi
vanno sottratti il 7% di interessi annui che sono offerti
dall’istituto, mentre
un ulteriore soglia del 12% che...
-Insomma, quanto
possiamo
prelevare?
-Ci stavo arrivando!
Comunque mi
duole avvisarvi che potrete prelevarne solamente 42 per tutta la
settimana e,
se come credo avete l’intenzione di prelevarli tutti, la
prossima settimana
scatta una tratta inibente di un ulteriore 30% bloccandovi il secondo
prelievo
a soli 13 galeoni. Perciò vi consiglio di non prelevarne
più di 40 questa
settimana, almeno la prossima avrete sempre la possibilità
di ritirarne almeno
20.
-Si, credo faremo
esattamente
così, 60 galeoni sono più che sufficienti;
prenderemo le cose più importanti
tra oggi e domani, il resto poco prima di partire, ok?
-Eh, per forza...
-Già, dai
iniziamo a prendere
qualcosa.
Bongi tirò
fuori dal suo taschino
della giacca un sacchettino di stoffa e lo porse a ser Richard.
-Usate questo
portamonete
standard, è un omaggi della banca.
-Ah, ottimo, ne ho
uno anch’io, ma
è meglio che Emanuele abbia il suo. Tieni, mettigliene 40
esatte.
Il portamonete era
decisamente
troppo piccolo per contenerne 40 di quelle grosse monete, ne sarebbero
entrate
a forza al massimo due, ma ero sicuro che quello non sarebbe stato un
problema,
e infatti entrarono tutte quante. Adesso la vista delle due colonnine
di soldi
era ancor più misera di prima.
-Uscite prego, devo
chiudere.
Una volta fuori, il
ciclo di
“datemi questo, datemi quello, prego” si
ripeté, così come il viaggio infernale
sul carrello.
-Bene, adesso andate
al primo
sportello che trovate libero e consegnate questo e
quest’altro.
Ci diede il
borsellino con una
pergamena legata ad esso. Così ci avviammo al bancone per
completare tutte le
operazioni. Sebbene il sacchettino avesse un peso praticamente nullo,
il
folletto bancario lo peso su una sua piccola bilancia
d’ottone e ne azzeccò
l’esatto quantitativo di monete.
-40 galeoni, esatto?
Benissimo,
firmate questo e potrete andare.
-Finalmente adesso
siamo liberi!
Hai visto quanto tempo c’è voluto? E’
già quasi mezzogiorno, ci conviene andare
prima da Madame Mc Clan, almeno in quest’ora prima di pranzo
combiniamo
qualcosa. Che ne dici?
In realtà
non sapevo cosa fare,
inizialmente volevo visitare qualsiasi negozio o bottega della viuzza,
ma la
consapevolezza di non aver abbastanza denaro per far nulla mi frenava.
-Sì,
facciamo come dici tu.
-Fermo, dove stai
andando? La
boutique è qui a destra, come ti avevo detto prima, te ne
sei scordato?
-No no, ero solo
distratto...
-Senti, stai
tranquillo, quei
soldi bastano ti ho detto. E molto probabilmente se faremo spese
oculate ci può
scappare anche un certo margine per acquistare qualche cianfrusaglia,
te
l’assicuro.
Era chiaro che non
gli si poteva
nascondere nulla, visto che comprendeva qualsiasi cosa mi passasse per
la
mente.
-Entriamo, ma mi
raccomando, non
fare alcun tipo di osservazione sullo stile degli abiti, al massimo
qualche
sfacciato complimento, la proprietaria è molto vanitosa.
La porta
d’ingresso del negozio di
Madame Mc Clan trillò quando ser Uppercut la aprì
per entrare e subito fummo
accolti da un caloroso benvenuto da parte di una giovane ragazza tutta
vestita
di pizzi e merletti gialli. A dispetto di quanto sembrasse da fuori, la
sala
era davvero grande, a due piani, e con decine e decine di scaffali e
grucce
pieni zeppi di indumenti, accessori e specchi, sicuramente utili ai
clienti per
vedere come gli calza la roba indosso. Per provare qualcosa di
più complesso di
un cappello o di un foulard, ovviamente c’erano anche tre
camerini di prova in
fondo: due erano occupati, l’altro no. Non si riusciva a
vedere cosa ci fosse
al secondo piano, ma era molto probabile che fosse identico.
-I signori desiderano?
-Bene, noi stiamo
cercando un
uniforme scolastica che si addica a questo ragazzo. Nulla di troppo
complesso o
costoso, comunque.
-Certo, primo anno ad
Hogwarts?
-Esatto, ha capito al
volo.
-Avete già
qualche idea sulla
linea, o comunque possedete già qualche pezzo o volete
l’intero corredo?
-No, signorina,
dobbiamo acquistar
tutto oggi, non abbiamo ancora preso nulla. Come modello scelga lei per
noi,
non abbiamo particolari preferenze.
Mentre il resto del
negozio era
gremito di gente, nessuno era presente nel reparto delle divise
scolastiche,
neanche mezzo bambino.
-D’accordo,
allora le mostro le
linee prodotte direttamente da Madame Mc Clan stessa, sono le
più apprezzate ed
utilizzate. E non hanno un costo eccessivo. Ecco, questo è
la nuova linea per
il 2001. Bella, no?
Prese una tunica e un
pantalone di
stoffa nerissima e li poggiò sul banco vicino le scale
dell’altro piano. Erano
molto sobri rispetto al resto dei costumi di carnevale che riempivano
il
negozio, anche se non mancava qualche cucitura un po’ troppo
colorata nelle parti
più in vista e poi la giacca era piena di stemmi
raffiguranti una grande H, sia
cuciti che stampati, sia davanti che dietro, sia all’interno
che all’esterno.
-Come mai tutti
questi stemmi
identici?
-Sono le insegne
della scuola di
Hogwarts. Alcune rimarranno così, altre cambieranno aspetto
il giorno stesso
del tuo insediamento in una delle quattro case. E’ utile per
capire
immediatamente quale scuola frequenti e a quale casa appartieni, tutto
qui.
Come al solito Madame Mc Clan ha approfittato di questa esigenza per
metterci
il suo tocco artistico ed ecco così che, rispetto agli anni
passati, la H di
Hogwarts si trova spostata più a destra rispetto al centro
del dorso, così la
leggera asimmetria data dalle differenti lunghezze delle maniche e del
pantalone
viene resa ancor più armoniosa da questo gioco ottico.
Mentre diceva
quest’ultima frase,
prese un’altra giacca e la accostò a quella di
prima per palesare la sua
teoria. In effetti il simbolo della scuola era leggermente
più piccolo e
centrale nella seconda, anche se ad occhio non si notavano le diverse
dimensioni delle estremità.
-Questa era la linea
dell’anno
scorso, per festeggiare il 2000, Madame Mc Clan aveva mantenuto il
massimo
della tradizione ed impreziosito il tutto con ricami e bottoni dorati,
vedete?
Deliziosi. Ovviamente, anche essendo un raro pezzo di arte stilistica,
è
comunque scontato poiché dell’anno passato, potete
seriamente considerarne
l’acquisto.
I prezzi comunque
erano
allucinanti: 75 galeoni il primo e 62 il secondo, non ci saremmo
arrivati
nemmeno pagando a rate. Ma anche ser Richard se ne accorse e aggiunse:
-Fantastici come
sempre, ma non ha
per caso qualcosa di ancor più accessibile? Sappiamo
benissimo che questi
prezzi sono già stracciati ma purtroppo al momento non
abbiamo molta
disponibilità, spero ci possa aiutare.
-Ma certo, vado a
vedere se è
rimasto qualcosa degli altri anni della taglia giusta.
Dopo aver
ordinatamente posato la
roba che aveva precedentemente preso, salì velocissima al
secondo piano,
sparendo dietro il solaio.
Ecco,
mi toccherà prendere il modello dell’anno in cui
sono nato...
Dopo pochi secondi
ritornò con
altri due capi tra le mani.
-Ecco, questa
è la linea del ’98,
mentre questa del ’96, ormai sono entrambi pezzi unici. Se
non va bene questa
misura non c’è altro. Dovremmo passare ad altri
stilisti.
Erano assolutamente
identici:
questa volta niente cuciture dorate, niente stemmi asimmetrici, niente
di
niente.
-E cosa cambia tra i
due? Mi
sembrano uguali.
-Non dire
così...
Ser Richard
digrignò leggermente i
denti, ma non potevo farci nulla, a causa della mia estrema
curiosità, mi era
scappato.
-Ohohoh, acuto il
ragazzo.
Un’anziana
ma molto arzilla
signora scese le scale venendo verso di noi agitando una bacchetta di
legno.
-Guarda qui, bambino.
Cosa vedi?
Con
l’asticella aprì la giacca
mostrandone i bottoni: erano decisamente più grandi rispetto
a tutti gli altri
che avevo visto.
-Già. E
anche se non li puoi
vedere adesso, ma anche la cravatta dell’uniforme maschile e
la gonna di quella
femminile sono molto più lunghe della misura standard.
-Cravatta?
Indosserò una cravatta?
Io non so allacciarla.
-Davvero? Non ti
preoccupare ti
insegnerò io, sembra complicato, ma con un po’ di
pratica verrà automatico.
Già
come tutto, del resto...
-A questo simpatico
giovanotto
applichiamo uno sconto extra: non tutti hanno la faccia tosta di venir
qui a
criticare i miei lavori.
-Sicura, madame?
-Sicura? Che ti
sembro,
rimbambita? Dai, prendi le misure e mettiti subito al lavoro, al prezzo
ci
penso io con questo baldo giovanottone.
Prese sotto braccio
ser Uppercut
ed insieme si avviarono verso la cassa. Nel frattempo la commessa
iniziava a
prendermi le misure di vita, braccia, collo e gambe, più
qualche altra parte del
corpo che non riuscivo a vedere poiché il metro fluttuante
che la ragazza usava
per misurarmi continuava a bloccarmi la testa in posizione eretta.
-Fatto. Avrai la tua
divisa pronta
entro un paio d’ore. Ancora abbiamo poche ordinazioni,
perciò posso mettermi
subito al lavoro. Vai dal tuo amico e riferisciglielo.
Trovai ser Richard
che ancora
discuteva del più e del meno con la signora Mc Clan, ero
sicuro si stesse
annoiando a morte, ma dalla sua espressione e dai suoi sorrisi non
faceva
minimamente trapelarlo.
-Oh, eccoti qua, non
ci crederai,
ma la gentilissima proprietaria ci ha fatto uno sconto strabiliante:
solo 30
galeoni per tutto il corredo scolastico, compresi gli accappatoi e gli
asciugamani. Non avremmo potuto sperare di meglio, sei contento?
-Credo di si...
-Ah, i ragazzi di
oggi, non sono
mai riconoscenti. Ritornate oggi pomeriggio, vi aspettiamo!
Il mio tutore
chinò leggermente il
capo ed uscì, invitandomi a seguirlo.
Dopo questa spesa ci
restano ben
20 galeoni, credo che la bacchetta riesca ad entrare in questo budget,
ma
prima, mangiamo! Che ne dici di un gelato da Florian? Per oggi niente
cibo del
Paiolo Magico, offro io naturalmente.
In effetti al ricordo
del gelato
mi salì una fame da lupi. Camminando riosservai tutti i
negozi del viale, con
più calma sta volta e mi domandai se ne avessi davvero avuto
l’occasione di
visitarli.
-Quando avremmo
finito potrai
girare per tutta la settimana, ti consiglio di guardare cosa vorresti,
farti
una lista e poi, fra sette giorni, quando avremo gli altri 20 galeoni,
fare la
spesa. Che poi, se ho ben capito il ragionamento di quel folletto, 20
galeoni è
il tetto massimo da non sforare per non bloccare i fondi per la
settimana
seguente, no? Ma tu per quella data sarai già a scuola,
quindi non ti
serviranno; potresti anche non importartene e prendere fino a 30
galeoni, sì,
si può fare.
Lasciai i conti al
mio tutore,
mentre io avevo già deciso quale sarebbe stata la mia
prossima tappa: il
negozio di scherzi di fronte la libreria, Gambol & Jape.
Qualsiasi cliente
del negozio ne usciva con aria allegra e soddisfatta, ed un sacco di
scintille
provenivano dal suo interno. La seconda tappa risultò
difficile da fissare,
tutti i negozi, dal primo all’ultimo, mi intrigavano
parecchio, perfino quello
che vendeva pentoloni, alla fin fine era tutto una novità
per me.
Arrivati alla
gelateria
Fortebraccio ci sedemmo su uno dei graziosi tavoli posti
all’esterno del
locale: c’era molta gente che, come noi, aveva pensato di
pranzare con un buon
gelato. Dopo non molto un uomo robusto chiese le ordinazioni; io presi
una
coppa a due gusti, semplice cioccolato per non avere sorprese e menta
scarlatta
per provare qualcosa di fuori dal comune, inoltre molta gente
l’aveva ordinata,
quindi doveva essere buona. Il mio tutore invece fece una richiesta
strana:
-Una bottiglia di
acqua minerale
per favore. Con due bicchieri. Ah, e se possibile un boccale vuoto, per
piacere.
-Non desidera altro?
-No no, sto bene
così.
Inizialmente pensai
volesse
risparmiare almeno sulla sua ordinazione, ma quando arrivarono il
gelato e
l’acqua capii perché non ordinò nulla.
La coppa altro non era che una montagna
di gelato cascante, erano tipo tre chili di roba caramellata e
glassata,
l’equivalente di sei pranzi.
-La mangi tutta?
Si prese gioco di me
ser Richard.
-Ancora caschi in
questi tranelli.
Se richiedi una porzione intera, stai chiedendo una pinta. Ed una pinta
è
veramente esagerata per un bambino. Non ti ho detto nulla
perché anche a me va
bene quello che hai preso tu, dividiamocela.
Completamente
satollo, avevo un
po’ di sonnolenza, ma la nostra visita a Diagon Alley non era
giunta nemmeno a
metà e fermarsi ora sarebbe stato stupido, quindi ci
avviammo nuovamente verso
la boutique di Madame Mc Clan dall’altra parte della via,
poiché il negozio di
bacchette si trovava esattamente di fronte.
-Questa bella
camminata ci farà
digerire un po’ e quantomeno ci risveglierà,
abbiamo tante cose ancora da
comprare.
Quel lugubre negozio
chiamato Da
Olivander come al solito sembrava chiuso, ma in realtà la
porta era sbloccata,
quindi riuscimmo ad entrare. Mi sembrava difficile credere che quel
negozio
fosse aperto dal 382 a.C. come recitava l’insegna, ma a quel
punto, tutto
poteva esser possibile.
-Permesso?
Un signore
più che anziano che
trasportava una montagna di scatolette sbucò fuori da dietro
uno degli scaffali
e ci diede il benvenuto.
-Prego, non aspettavo
ancora
clienti per tutto il resto della settimana, ma prego, entrate pure.
Desiderate?
Ser Uppercut mi fece
cenno di
rispondere ed io, colto alla sprovvista, balbettai.
-Una, u-una
bacchetta, s-signore.
-Ah, ma davvero? Ed
io che credevo
foste venuti per un tè! Su, mi dica il suo cognome, faremo
prima.
Non avevo la
più pallida idea di
come il mio cognome avrebbe aiutato il mercante, ma
tant’è...
-Il mio cognome?
Burgio!
-Burgio? Mai
sentito...
Sicuramente straniero, non è vero? Catalano forse?
-No, italiano...
-Bene bene, mi
domandavo quando
mai avrei rincontrato uno studente di origini italiane nel mio
negozio...
Forse, questa qui...
Il vecchio
posò le scatole sul
tavolo e sparì nuovamente dietro quegli scaffali colmi di
innumerevoli scatole
più o meno piccole, messe sicuramente sotto un qualche
strano ordine ben
preciso.
Dopo un po’
riapparve, tenendo in
mano una scatola che da bianca era ingiallita parecchio. Da
lì estrasse una
particolare bacchetta avorio, del tutto diversa da quelle di ser
Richard e del
dottore dell’ospedale.
-Solitamente
bacchette e maghi
sono legati anche da legami geografici, ognuno dei materiali di cui
è composta
questa bacchetta sono mediterranei, dovrebbe fare al caso tuo.
La presi in mano ed
aspettai i
pareri del negoziante, ma niente.
-Su, via, la agiti!
Ah...
Non sapendo bene cosa
fare la
agitai a mo’ di sonaglino per neonati, ma mai mi sarei
aspettato un tale
risultato. Il palmo della mano iniziò a bruciarmi talmente
tanto che lasciai
cadere la bacchetta per terra, che prese fuoco e si
polverizzò, in un istante.
-Per tutti i
folletti, mai
capitata una cosa del genere. Direi che non andava bene, per nulla bene.
Il mio tutore subito
si mostrò in
mia difesa:
-Le assicuro che non
era sua
intenzione distruggerle la merce, ripagheremo i danni e...
-Non
c’è bisogno che vi scusiate,
è normale, sa quante me ne capitano ogni giorno. Finora
nessuno aveva mai
polverizzato una bacchetta, ma c’è sempre una
prima volta. E poi nel prezzo
delle bacchette è sempre compreso qualche extra come
cauzione per i danni, non
si preoccupi. Forse quest’altra; non è ben chiaro
il perché, ma di quei pochi
ragazzi italiani che vennero negli anni, la maggior parte hanno trovato
affinità con questa.
Ritornò a
frugare nel suo magazzino.
-Ecco qui, legno di
cipresso
imbevuto nel sangue di lucertola magna e crine di unicorno fulvo.
Antica
ricetta, non ne fabbrico altre da decenni ormai.
Sebbene la lista dei
pezzi di cui
era composta sembrava essere uscita da un qualche libro di streghe di
serie B,
dovevo ammettere che il colore rimandava veramente all’idea
di tutti quei
materiali, sebbene non avessi in mente che legno avesse il cipresso o
che
diamine fossero la lucertola magna e l’unicorno fulvo.
-Questa volta agitala
rivolgendola
in terra, cerchiamo di evitare al massimo gli eventuali danni.
-Non ce ne
sarà bisogno, sono
fiducioso. Su, agitala.
La scossi esattamente
come mi
aveva consigliato il mio tutore, e feci bene. Questa volta sentii solo
una
leggerissima scossa tra l’indice ed il pollice, ma la
bacchetta in compenso
esplose in mille pezzi e le sue schegge volarono ovunque, conficcandosi
in
diversi punti del negozio; per fortuna nessuno s’era fatto
del male.
-No, no,
assolutamente no.
Guardai ser Richard
sperando
potesse darmi conforto, ma niente, lui era più preoccupato
di me.
-Sei un caso
difficile, ragazzo.
Se neanche questa va bene, non saprei cosa proporti. Dovrò
provare a darti un
esemplare per famiglia, ci impiegheremo un sacco di tempo mi sa. Almeno
che...
Questa volta non
tornò con una
scatola tra le mani, ma addirittura uno scrigno di legno e la scocca in
rame.
All’interno vi era una bacchetta dall’aspetto
magnifico, lucente e trasparente
come il cristallo, liscia come il vetro e con all’interno un
sottile filamento
verde acido.
-E’ fatta
con osso di diaruga, la
tartaruga millenaria.
Appena
sentì quel nome, il mio
tutore scattò in avanti:
-Non possiamo
permettercela,
sarebbe troppo costosa, Emanuele, non toccarla, se si rompesse saremmo
nei
guai.
-Ah, no, non
è una bacchetta da
mettere in vendita. Vedi questo nucleo? Si colora a seconda del mago
che la
tiene. Grazie ad esso potremmo capire quale famiglia di bacchette
farà al caso
nostro. E non si preoccupi per la bacchetta stessa, è
indistruttibile, nemmeno
gli incantesimi più potenti sono in grado di mandarla in
frantumi. Avevo quasi
dimenticato di possederla, non mi è mai e dico mai servita.
Ma oggi devo
ammettere che sono in crisi, il mio fiuto non m’è
stato d’alcun aiuto.
Presi in mano la
bacchetta e,
sperando in cuor mio non esplodesse in milioni di micro particelle, la
agitai
verso il pavimento. Ritornò il bruciore della mano, ma
stavolta la bacchetta
non si incendiò, ma si accese di un rosso profondo. Era
troppo calda, quasi
incandescente, perciò la poggiai velocemente sul tavolino
alla mia sinistra,
che era quello più vicino a me.
-Curioso, davvero
curioso...
L’anziano
Olivander prese la
bacchetta e la ricollocò nel suo scrigno.
-Cosa
c’è di curioso?
-Curioso è
il fatto, signor
Burgio, che il nucleo della bacchetta di diaruga, che lei ha appena
toccato, si
sia oscurato, rendendo risultato nullo. Ed è curioso il
fatto che esso
significa che nessuna delle bacchette esistenti possano fare al caso
vostro. Il
che significa anche che non potrò aiutarvi
quest’oggi nella ricerca della
vostra bacchetta, in tal caso...
-Vuole dirci che ce
ne andremo a
mani vuote?
-Purtroppo
sì, è quello che stavo
per dirle.
Sembrava tutto troppo
impossibile
per essere vero, tutta questa attesa per possedere la mia bacchetta, e
adesso
nulla. Ogni mia speranza, distrutta.
Eppure
la bacchetta s’è colorata di rosso, non nero, come
dice il vecchio...
Sporgendomi verso lo
scrigno ed
osservando meglio la bacchetta mi resi conto che sebbene la bacchetta
si fosse
accesa di un rosso fiammante, il nucleo al suo interno s’era
incupito, come se
si fosse bruciato.
-Non
c’è nulla che possiamo fare,
una altra bacchetta, un altro negozio?
-No, ragazzo, ho
più di diecimila
combinazioni differenti di bacchette e nessuna di esse andrà
bene. Tre l’altro
la bacchetta di osso di diaruga non mente: nessun materiale preso in
considerazione ad oggi sarà utile alla causa.
L’unica possibilità che
abbiamo...
-Si?!?
-Si?
Chiedemmo
all’unisono io ed il mio
tutore.
-Vi avverto, ci
vorrà tempo, molto
tempo. Probabilmente ci impiegherò un intero mese, vi sta
bene?
-Abbiamo scelta?
-Effettivamente no.
Sapete, questa
è una storia che ci tramandiamo i maestri artigiani di
generazione in
generazione: la bacchetta di sughero.
Io e ser Uppercut ci
guardammo
perplessi, mentre il negoziante parlava dietro il muro di scatole e
bacchette,
accompagnato dal sottofondo che produceva rovistando tra i suoi arnesi.
-Secoli fa, anzi,
più di mille
anni fa, con l’apertura della scuola di Hogwarts, ci fu un
incremento
vertiginoso di adepti alle arti magiche. I maestri artigiani
dell’epoca, eh,
compresi i miei antenati, non riuscirono a tener testa a quella mole di
nuovi
clienti, molti dei quali provenienti da nuove famiglie non presenti nei
nostri
registri. Necessitavano un qualcosa, un miracolo, che potesse dare loro
un
attimo di respiro, che riuscisse a comprendere quali bacchette
andassero bene
ad ogni diverso cliente, dato che molte delle ricette odierne furono
scritte
proprio in quel periodo. Così, dopo numerosi ed impensabili
esperimenti,
nacquero queste due meraviglie, la bacchetta di cristallo e quella di
sughero.
Quella di cristallo
l’avete appena
vista, è uno strumento fenomenale per comprendere al volo
quale materiale
catalizzi al meglio il flusso magico di ognuno di noi,
l’altra beh, è tutt’altra
cosa.
Sebbene la bacchetta
di diaruga
non avesse ma fallito prima d’ora, in quegli anni la maggior
parte dei maghi
ricevevano la strada verde,
scoprendo
successivamente che si trattava di particolari combinazioni di legno di
platano, faggio, agrifoglio e quercia con nuclei provenienti da animali
e
creature rare e pericolose, come corde di cuore di drago, lacrime di
sirene
erculee e propoli di falene arcobaleno.
Era impossibile
soddisfare tali
richieste, e la frustrazione per esserci andati così vicini,
fu enorme. Fin
quando, beh, forgiarono la bacchetta di sughero. Ah, eccole qua...
A quanto pare il
signor Olivander
aveva appena trovato ciò che stava cercando,
perché il rumore cessò di colpo.
Adesso stava tornando verso di noi.
-Anch’essa
una bacchetta straordinaria:
resistentissima, praticamente indistruttibile, a patto che non ne venga
spezzato il sottile nucleo e con una particolarità. A causa
della sua
composizione porosa, che è anche il motivo per cui se viene
distrutta può
essere riparata con un semplice incantesimo riparatore, riesce ad
assorbire
ogni esubero di flusso magico proveniente dall’utilizzatore
e,
contemporaneamente, amplificare lo stesso, se esso risulta inferiore a
quello
dovuto per realizzare un determinato incantesimo. Detto così
può sembrare
complicato da capire, ma vi basta sapere una cosa: poteva essere
utilizzata da
chiunque. Nessuno sa con certezza assoluta perché una
bacchetta decida di
seguire un determinato mago nonostante non faccia parte della famiglia,
o
perché quella di sughero non faccia distinzioni, fatto sta
che lo fa. Purtroppo
c’è un però...
Il commerciante venne
verso di noi
mostrando una boccettina contenente degli strani filamenti secchi e
cinerei.
-Queste. Ciglia di
elfo dei
boschi, dette in maniera leggera, ma in realtà sono vasi
sanguigni. Non sto qui
a dirvi di giustificare i miei antenati ed i loro colleghi
perché sarebbe
impossibile, ma sono loro la ragione per cui essi si siano estinti
secoli fa.
Ed è anche il motivo per cui gli elfi, nati e cresciuti come
bestie in delle
stalle di allevamento, siano diventati domestici. La loro sofferenza e
la loro
malinconia di casa, uniti alla lontananza con le loro foreste natie
hanno
impoverito il loro sangue, rendendoli a tutti gli effetti inutili se
non per
esser utilizzati come schiavi. E’ una storia terribile, ma
è la verità.
Ovviamente essendo estinti, non fu più possibile creare
nuove bacchette di
sughero ed il loro ricordo diventò sempre più
flebile, fino a diventare una
leggenda ai giorni nostri. Ma, la mia famiglia ha sempre tenuto questo
barattolo per darlo in eredità alle generazioni future,
giusto per ricordargli
sempre di non commettere più queste atrocità per
il facile guadagno. Come
vedete ce ne sono quattro, quattro ciglia per quattro bacchette. Il
sughero bianco
non è difficile da trovare, quindi è possibile
crearla. Non ne ho mai vista una
in vita mia ed il progetto originale è custodito nella
camera blindata della
mia famiglia alla Gringott, perciò dovrei iniziare proprio
da lì. Ho solo
quattro possibilità di riuscita, perciò non posso
nemmeno assicurarvi che
riesca a costruirla senza averle sprecate tutte per i tentativi
falliti, ma ci
proverò.
-Non sono
più tanto sicuro di
volerla...
-Sciocchezze! Vedi
come sono
secche diventate ormai queste ciglia? Erano almeno il triplo del volume
quando
furono raccolte, continuando così si dissolveranno entro una
generazione o due,
perdendo così anche l’ormai futile scopo di monito
ai futuri fabbricatori di
bacchette. Ormai gli elfi da cui sono stati sottratti sono morti,
sarebbe solo
uno spreco lasciarli a marcire senza dargli un’ultima vita. E
poi il tuo è il
tipico caso in cui bacchette straordinarie come questa dovrebbero venir
adoperate, non perché una scorciatoia, ma perché
l’unica possibilità. Ragazzo,
davvero, nessuno meglio di te se la meriterebbe.
Ser Richard
nonostante fosse più
confuso che persuaso, accettò la proposta a nome mio:
-D’accordo,
le commissioniamo
quest’incarico. Quanto tempo le servirà?
-Come vi ho detto,
per me sarà un’esperienza
nuova, dovrò andare in Irlanda da un mio compagno di studi
per poterci lavorare
assieme, credo che anche lui ne rimarrà entusiasta, ed in
questo periodo sarò
oberato a mantenere aperto questo locale per i clienti un po’
meno difficili
del qui presente signor Burgio, perciò credo se ne parli per
ottobre.
-Ottobre? Ma le
lezioni iniziano a
settembre, che farò nel frattempo?
-Scriverò
personalmente al
preside, non ti preoccupare, sono sicuro che troverà una
soluzione per il tuo
caso, è un uomo dalle mille risorse e soprattutto
è molto comprensivo. Siete
stato molto gentile, ci scusi per il disagio e i danni, ci rivedremo ad
ottobre.
Dopo esserci stretti
la mano,
uscimmo dal locale ma, poco prima di chiudere la porta, il signor
Olivander mi
urlò!
-Grazie!
Per
cosa?
-Era da tanto che non
mi sentivo
così euforico ed emozionato, la sua futura bacchetta
è leggendaria, ci dobbiamo
aspettare grandi cose da lei, signor Burgio. Grandi!
-Prego...
Non sapevo proprio
cosa dire,
sapevo solo che lui era felice, mentre io senza bacchetta. Chiusi la
porta e mi
ritrovai nuovamente a Diagon Alley, anche se con la mente ero ancora
là,
assieme a quei poveri elfi che venivano sterminati per produrre quella
bacchetta che di lì a poco sarebbe diventata la mia.
-Che storia, eh? Non
avevo mai
visto Olivander in crisi. Ma tu sei speciale, no? Qualsiasi cosa
facciamo,
succede sempre qualcosa di fuori dagli schemi. Sei fortunato, guarda il
lato
positivo: ci siamo risparmiati i soldi della bacchetta, non trovi?
Lo volevo uccidere.
-No, eh? In effetti
non è questa
gran consolazione. Mi dispiace che tu non abbia provato la sensazione
che si
prova quando si tiene in mano la propria bacchetta per la prima volta.
Riesci
proprio a sentire che qualcosa vive dentro di te, capisci finalmente
che le
magie che sei in grado di fare e che hai fatto fino a quel momento non
erano
pure illusioni, ma la realtà. Che sei un mago, che sei
speciale ed in grado di
fare qualsiasi cosa. Beh, poi comunque non è esattamente
così perché poi
scoprirai che essere un mago non significa per niente essere
onnipotente e che
anche tu hai dei limiti, ma in quell’esatto momento credi di
riuscire a volare
solo con la forza del pensiero! Ah, fantastico.
Notando la mia
espressione torva
cambiò subito argomento:
-Ma non fa nulla,
oggi, fra un
mese: cosa cambia? Ad ottobre la proverai senz’altro.
Intanto, visto che ci
rimangono ancora 20 galeoni dopo aver ritirato l’uniforme da
madame Mc Clan,
andremo a scegliere il tuo animale domestico, almeno per questo non
credo ci
debbano essere problemi, eheh!
Effettivamente un
bell’animale era
quello che ci voleva dopo la delusione della storia della bacchetta,
magari un
cagnolino scodinzolante o un allegro criceto a cui piacciono le
giostrine. Ma
cosa c’entravano con la scuola?
-Ma, ser Richard,
perché dobbiamo
acquistare un animale?
-Che sbadato, me ne
ero
dimenticato, ovviamente oltre alla tua domanda di iscrizione
è arrivata pure la
lista del materiale didattico da portarsi ad Hogwarts, contenente i
titoli di
tutti i libri di testo raccomandati, gli accessori di cui non si
può far a meno
e tutte quelle altre cose che servono per imparare le varie discipline.
E gli
animali sono uno di quelli. Sono molto utili per allenarsi con certi
incantesimi durante le lezioni, vedrai che hanno un loro preciso scopo.
In più i
gufi possono trasportare lettere e pacchi un po’ come i
corrieri postali. Non
sono obbligatori però, la scuola ha già i suoi da
dare in comodato agli
studenti. Se si vuole essere un po’ più
indipendenti però si può optare per
acquistarne uno; molti lo fanno, del resto.
Il mio tutore
cercò tra le tasche
della sua giacca e tirò fuori una lettera:
-Eccola qua!
C’è la lista di tutto
ciò che ti serve. Altre cose te le raccomanderò
io quando saremo al negozio
giusto, ma per la scelta dell’animale uno vale
l’altro, perciò sei libero di
decidere autonomamente, basta che ti attieni tra quelli riportati nella
lista.
Gufo,
gatto, rospo...
-Ma qui indica solo
tre animali!
Altro che scelta...
-In realtà
potresti portare
qualsiasi animale che si mantenga sotto certe dimensioni, ma oltre a
quelli
citati non mi vengono in mente altri animali, o sono troppo piccoli, o
troppo
grossi. Ed un cucciolo non vale, dato che poi crescerebbe andando fuori
misura.
Ci penseremo poi, al Serraglio Stregato. Intanto, ritiriamo
l’uniforme che deve
essere già pronta.
Tlin
Tlin!
-Ohohoh, chi si
rivede, il
ragazzino curioso ed il suo elegante accompagnatore, ma prego, prego,
venite.
Amanda!!! Sono pronti gli abiti del signor Burgio, non è
vero?
Una vocina stridula e
terrorizzata
proveniva dal secondo piano:
-S-sì,
devo solo confezionare gli
ultimi pezzi e...
-Confezionare?!? Ma
che ti sei
bevuta? Il ragazzo deve ancora provarli! Scendi, spacchetta tutto e
vieni qui!
Scusatela... E’ nuova...
Accidenti,
è terrificante.
La ragazza si
precipitò da noi con
una dozzina di buste addosso: sulle spalle, sotto le braccia, tra il
mento ed
il petto. Tutto pur di non far spazientire la sua datrice di lavoro.
Tutti
quei vestiti?
-Bene, giovanotto,
inizia con la
divisa estiva. Prendi questo, e questo e quest’altro. Provali
come ti stanno e
poi esci per farti guardare.
Mi diressi verso i
camerini di
prova e fortunatamente tutti erano liberi. Forse era ancora presto per
lo shop
pomeridiano.
Nonostante fossero
indumenti della
divisa primaverile, erano molto pesanti ed iniziai a grondar sudore e
non
finirmela più.
-Le scarpe, hai
dimenticato le
scarpe, provale.
E mi
arrivò scivolando da sotto la
tendina uno scatolo contenente le scarpe nere della scuola.
Canottiera, camicia,
pantaloni e
scarpe: questa era la divisa da mettere quando iniziava a far caldo, o
all’inizio dell’anno.
-Si, direi che vanno
bene. La
camicia dovrebbe cadere esattamente sotto le ascelle, ma nel giro di un
paio di
mesi crescerai che quel punto lo raggiungerai senza problemi. Prossimo:
autunnale!
Canottiera di lana,
camicia scura,
gilet di caldo cotone, giacca e pantaloni più spessi.
-Tutto perfetto, la
giacca allarga
sulle spalle ma è normale, mettiti più dritto!
Si, così va benissimo, anche qui
crescendo fra qualche mese ti cadrà a pennello. E’
meglio che stiano un po’ più
larghi adesso che stretti durante l’anno scolastico. Vai con
l’invernale!
Fino alla camicia
mantenni tutto,
cambiando solo un maglione di lana così spesso e pungente
che mi sembrava di
stare dentro un forno. In più mi dovetti mettere il mantello
per quando piove.
-Qui c’era
poco da controllare,
era ovvio che se ti stavano bene i precedenti anche questi sarebbero
stati ok,
abbiamo finito. come le pare, ser Uppercut?
-Tutto magnifico,
madame, come
sempre, del resto.
-Ma certo che lo
è. Amanda adesso sì
che puoi confezionare gli abiti dei
signori, in fretta!
Oltre che per il
caldo che sentivo
a causa dei mille cambi d’abito e alla temperatura rovente
che aveva raggiunto
Londra in quel giorno, stavo sudando guardando la frenesia col quale la
povera
ragazza si muoveva per rispettare gli ordini della proprietaria.
Una volta pagato e
ricevute le
buste, ser Richard si chinò, raccolse la mano di madame Mc
Clan in segno di
galante congedo e si diresse verso l’uscita, senza
dimenticarsi di fare il
solito occhiolino alla giovane commessa. Due donne diverse, di
età diversa e
con caratteri opposti, eppure le invaghì entrambe,
strabiliante.
-Adesso dove dici di
andare, al
Serraglio Magico?
-Si, è
meglio. Ho voglia di vedere
animali strambi.
-Ti avverto, anche il
proprietario
di questo negozio è antipatico da morire. Purtroppo
è una caratteristica comune
di molti negozianti, forse stressati dalle richieste assurde dei
clienti pian
pianino si trasformano in questi esseri scontrosi ed intrattabili.
Limita i
commenti che a sbatterci fuori non ci sta neanche un secondo, intesi?
-Si, ormai me lo dici
sempre ma
poi non ti ascolto mai.
-E lo so, eheh.
Il Serraglio Stregato
era uno dei
negozi che avrei voluto visitare per primi, per via della merce che
vendeva,
non certo per il suo aspetto. Già da fuori si capiva che non
doveva essere il
massimo della pulizia: corvi, pipistrelli e ratti scorazzavano liberi
nell’ampia corte recintata che attorniava
l’edificio in cui il negozio era
situato, lasciando resti ed escrementi al loro passaggio. Anche se
erano tutti
abbastanza irrequieti, ritornavano sempre sui loro posatoi e trespoli,
solo un
arruffatissimo suricato era tenuto con una cordicella legata alla gamba
per non
permettergli la fuga, ma comunque era abbastanza libero per poter
gironzolare
attorno per metri e metri. Gli animali all’interno erano
quelli o più preziosi
o pericolosi, o che semplicemente soffrivano troppo la luce del sole
diretta.
C’erano grosse tartarughe fiacche che non facevano altro che
dormire e
masticare fieno secco, ma anche tartarughe marine così
minuscole che sparivano
una volta immerse nell’acqua putrida in cui sguazzavano. Il
lato destro era
quello decisamente più rumoroso, qualsiasi animale, siano
essi topi ballerini,
scimmie urlatrici o piccoli di cinghiale, creava un chiasso assordante.
A
sinistra invece c’erano per lo più insetti e
rettili che volendo o meno non
potevano emettere più rumore di un semplice sibilo.
-Allora,
cos’è questo baccano...
E’ entrato un cane, forse?
Un uomo alto, con un
gilet
nocciola e la camicia azzurra a righe blu, in parte canuto, in parte
calvo e
con un paio d’occhiali poggiati sulla punta del naso apparve
urlando dal retro
della sua bottega.
-Allora? Smettetela!
Sono solo
clienti! Dannate bestiacce! Voi, volevate?
Probabilmente quella
era il
massimo della cortesia che sapeva esprimere. Ma a causa delle sue urla
gli
animali iniziarono ad urlare ancora più forte che ormai se
non si gridava non
si riusciva a sentire una singola parola.
-Cercavamo un qualche
animale da
poter portare ad Hogwarts! Questo ragazzo deve frequentare il primo
anno e gli
serve una bestiolina dalle dimensioni adatte! Cosa avete da poterci
mostrare?
-Che domande,
tutto!Scegliete,
prendete, pagate e sparite! Devo occuparmi di queste bestiacce che
continuano a
sfondare i timpani, dannate pantegane! Brutti rospacci! Inutili
moffette!
Ad ogni imprecazione
seguiva una
bastonata alla gabbia o alla vasca che conteneva tali animali, che non
faceva
altro che aizzarli ancor di più.
-Non capisco, non
hanno mai fatto
così, sanno che con me non si scherza e che farebbero meglio
a tener la
boccaccia chiusa quando impugno questo. Volete finirla o no?!
Sdeng!
Sdeng!
Ancora bastonate.
-Diamo
un’occhiata da soli, non
riceveremo alcun aiuto mi sa... Guarda cosa potrebbe piacerti che sia
delle
dimensioni più o meno delle nostre mani, prendilo, pagalo e
filiamocela di
corsa da questo manicomio.
Ero molto interessato
ai topi
ballerini, appena entrato avevo posato gli occhi su di loro, infatti
oltre ad
essere della dimensione giusta, erano parecchio divertenti: saltavano
sulla
corda, facevano capriole e giravano su se stessi tenendo un nastro rosa
tra i
denti. Non so come diamine abbiano fatto ad ammaestrarli ma erano molto
bravi e
coordinati, ma ormai non stavano più esibendosi in nessuna
performance. Come
tutti gli altri animali infatti, soffiavano e squittivano nervosamente,
come se
fossero posseduti.
Bah,
meglio guardare qualche rettile, non c’è il
rischio che mi saltino
addosso...
Erano tutti molto
tranquilli, ma a
parte un iguana a strisce rosse e arancioni, qualsiasi altro animale
non lo
conoscevo affatto. In alcuni c’erano i cartellini coi prezzi
ed il nome della
specie a cui appartenevano, altri invece erano semplicemente
lì, buttati nel
mucchio degli ingredienti per pozioni.
Pensiero terrificante l’immaginarsi che venissero acquistati
per esser
tagliuzzati e messi in pentola, eppure era così. Volevo
salvarne almeno uno da
quel triste destino. Così li guardai negli occhi, cercando
di capire chi fosse
quello più consapevole della propria situazione ed evitargli
ulteriore
sofferenza e fu lì che mi accorsi di una cosa.
-Emanuele, credo che
gli animali...
-Me ne sono accorto.
-Ma perché?
-Non ne ho idea...
-Ti era mai capitato
prima d’ora?
-No, assolutamente
no, possedevo
perfino un cane quant’ero piccolo, non mi era mai successa
una cosa del genere.
Infatti gli sguardi
di tutti i
rettili e gli anfibi erano rivolti su di me, se mi giravo a destra,
continuavano a fissarmi spostando a loro volta la testa a destra, se
facevo
l’opposto, idem. Poi, chi poteva, stava irto sulle zampe
anteriori in un
atteggiamento di apprensione e tensione, come se di me avessero paura.
Allontanandomi da quelle teche mi accorsi di un fatto ancor peggiore:
anche gli
altri animali mi fissavano, ma a differenza di quelli muti, questi
ringhiavano
e sbuffavano, mostravano i denti e gli artigli, minacciosissimi. Capii
perfino che
i topini s’erano fermati perché infastiditi dalla
mia presenza e non a causa
del loro padrone, ma il peggio era che gli animali che stavano fuori in
esposizione entrarono nel negozio per intimorirmi a loro volta.
E’...
E’ sicuro... ce l’hanno di sicuro con me...
-Ma dimmi un
po’, non è che ce
l’hanno con te, ragazzino? Che gli hai fatto?
Niente,
io non gli ho fatto niente... E’ evidente che mi odiano, ma
perché?
-Non
preoccuparti, hanno fatto così probabilmente
perché hai un odore
diverso, come il mio, lo sento...
Una voce sinistra,
fioca ma
penetrante, sopraggiunse da dietro.
-Un
odore diverso, come il tuo? Ma che stai dicendo?
Mi voltai, ma non
c’era nessuno
dietro di me, a parte ser Uppercut al mio fianco.
-La
verità, non mentirei mai, non ne sono capace...
-Dove
sei? Fatti vedere!
-Sono
qui, dinanzi a te, mi guardi ma non mi vedi, mi senti ma non mi
credi...
Tutte
queste frasi incomprensibili, chi diamine è? Mi prende in
giro?
Lo guardo ma non lo vedo... Quindi per non perderlo non devo spostare
lo sguardo,
perché è qui davanti, ma dove? Ci sono solo una
salamandra e questo serpente
qui sotto... Un attimo, il serpente...
-Mi
hai trovato, finalmente!
Il
serpente! E’ il serpente che sta parlando!
-Muthsera!
|
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Capitolo 10 *** Il Bacio del Dissennatore ***
-Cosa? Che hai detto?
-Dovresti
saperlo meglio di me, non ho fatto altro che prenderlo dalle
tue conoscenze. Vuol dire sia ‘Piacere di
conoscerti’ che ‘Buongiorno signore’,
o entrambe le cose. Strana domanda, la tua.
-Ti
assicuro che non l’avevo mai sentito... Come si pronuncia?
-Muthsera,
ma adesso basta, odio ripetermi. Io comunque l’ho preso da
lì, dalla tua testa.
-Che
vuoi dire dalla mia testa? Sai leggere il pensiero?
-Ehm,
Emanuele, cosa...
Il mio tutore era
pallidissimo in
volto, non ne capivo il motivo, forse neanche lui si aspettava che il
serpente
si mettesse a parlare.
-Ma ser Richard,
questa razza di
serpenti parla? O il Logos Comprehendi
funziona pure sugli animali?
-Niente di tutto
questo, sei tu
che... Che...
-Il Diavolo! Il
Maligno! Cosa
avete portato qui dentro! Gli animali sono impazziti a causa vostra, a
causa
sua! Cosa vi è saltato in mente... L’antico male,
il più pericoloso, andate
via! Via!
Il negoziante
tirò fuori dalla
tasca la sua bacchetta magica e ce la puntò minacciosamente
contro.
-Ce... Ce ne stiamo
andando, ok?
Per favore, abbassi la bacchetta, non vogliamo incidenti, ora usciamo e
finirà
tutto...
Ser Uppercut
indietreggiava
lentamente, la situazione era tesa, questo era chiaro ma...
Perché?
-Finisce tutto un
corno!
Prendetevi quel demone e sparite, o io vi... vi...
Mi diressi cautamente
verso la
gabbietta che conteneva il serpente e mi sporsi per agguantarla, quando
ser
Richard mi ammonì:
-Non farlo! Usciamo
al più presto
da qui, vieni...
Una volta vicino
l’uscio del
negozio, ser Richard mi spinse violentemente buttandomi fuori e si
sbrigò a
seguirmi, chiudendo con tutte le sue forze l’ingresso
dell’esercizio.
-Allontaniamoci,
lì, dietro quel
muro...
Come un pazzo si
diresse verso la
prima traversa che incontrò e successivamente si
accasciò al muro. Io lo seguii
con molta meno frenesia, dato che tutti ci stavano osservando ed il mio
imbarazzo era alle stelle. Sembravamo quasi dei ladri con tutti quegli
animali
che ci ruggivano dietro.
-Miseriaccia, santa,
santissima
miseria... Cosa faccio? Non arriverà mai in tempo... Ma devo
provarci...
Il mio tutore
sembrava davvero
uscito fuori di senno, estrasse dal taschino un taccuino con una
pennetta
legata con una cordicella dorata e si mise a scriverci furiosamente
qualcosa.
Poi ne strappò un foglio e lo lanciò in alto,
dopodiché lo toccò con la punta
della sua bacchetta, trasformandolo in un minuscolo aeroplanino di
carta.
-Vai, vai, e
fa’ presto! Ti prego!
Con un brusco
movimento del polso,
diede una spinta propellente a quel velivolo, facendogli raggiungere
una
velocità tale da farlo sparire dalla vista in meno di due
secondi.
-Resta qua, adesso. E
spera che
non usi il telefono per chiamare qualcuno.
Ser Uppercut
allungò il collo
sporgendosi dallo spigolo per scrutare la situazione attorno al locale,
vedendo
tutto tranquillo, si avviò per osservare più da
vicino.
Quella situazione era
così assurda
ed imprevista che mi spiazzò, non sapevo proprio cosa fare o
pensare, ma dentro
di me sapevo che ne ero stato l’artefice,
perciò mi sedetti su uno scalino ed aspettai che tutto
passasse.
Dopo qualche minuto
però una nube
luccicante di fumo grigio si abbatté sul viale, puntando
verso il mio tutore. A
quel punto mi alzai per andare ad avvertirlo, ma era troppo tardi: un
uomo
alto, secco e con indosso una bianca maschera con un lunghissimo naso
che gli
copriva metà volto si stagliò accanto a ser
Richard.
-Nel, per fortuna sei
qui.
-Cosa
c’è Charlie? Non ho mai
visto una Comunicazione così frettolosa.
-E’
successo un guaio, non deve
avvertire nessuno, o la cosa si complica, fai presto, è la
dentro.
-Al Serraglio
Stregato? Cosa ci fa
un babbano da queste parti?
-Non è un
babbano, è il
proprietario.
-Cosa? No, Richard...
Sai che per
queste cose ci vuole una richiesta scritta ed approvata almeno da un
membro del
Wizengamot, non posso mica arrivare e cancellar la memoria a chiunque.
-Lo so, Nelson, lo
so. Fallo per
me, come favore personale. Quello che ha visto è... Insomma
ne va della
sicurezza di un bambino!
-Come un bambino? Che
stai
farneticando?
-Sst... Non parlare a
voce alta!
Vuoi peggiorare la situazione?
-Scusa, ma... Devo
sapere. Non
solo mi chiedi di trasgredire la legge, ma vuoi che lo faccia senza
sapere il
perché?
-Devi farlo,
altrimenti non avrei
chiesto il tuo aiuto. Dieci minuti basteranno, non di più:
non è grave e
nessuno verrà a saperlo.
-Se è solo
per gli ultimi dieci
minuti penso si possa fare, ma cosa devo fare esattamente?
-Nulla, cancellagli
gli ultimi 10
minuti e basta, a dargli dei finti ricordi ci penserò io.
Senza dire una
parola, l’uomo con
la maschera entrò nel negozio tenendo bassa la bacchetta.
Prima che chiudesse
completamente la porta dietro di se, ser Richard lo ammonì:
-Stai attento.
E’ spaventato e
pericoloso.
A quel punto la mia
curiosità ebbe
la meglio e sporsi tutto il mio intero corpo fuori da quello spigolo di
fabbricato, non solo la testa, tant’è che il mio
tutore mi notò.
-Vieni pure, ma fai
piano.
Sembrava molto
più sereno, quindi
accettai di buon grado l’invito. Da dentro il locale
provenivano due voci, una
calma e pacata, l’altra agitata ed aggressiva.
-E adesso chi sei tu?
Cosa vuoi da
me? Prima quel bambino e adesso un Mangiamorte? Cosa volete da me?
Avanti,
rispondi!
-Calma, le assicuro
che non sono
qui per farle del male, abbassi la bacchetta e non
succederà...
-Certo che
l’abbasso, così mi fate
fuori. Canaglie!
-Oblivion!
Una luce bianca
invase la stanza e
fuoriuscì dalle fessure delle persiane, poi il silenzio.
-L’ha,
l’ha ammazzato?
Ero stato davvero il
testimone di
un omicidio? Ed il mio tutore ne era il mandante?
-No, che
c’entra, gli ha solamente
cancellato la memoria. Ah, eccolo che esce.
-Non so, Charlie. Non
è stato
piacevole, sembravo io il cattivo.
-Hai fatto una cosa
giusta. Per
entrambi. E per lui, Emanuele.
-E’ lui il
bambino? Non so cosa tu
abbia combinato, visto o sentito, ma il tipo era spaventato a morte.
Avete
cinque minuti da adesso, io mi defilo, nessuno deve sapere che ero qua
questo
pomeriggio.
-Grazie, grazie
mille. Andiamo
Emanuele.
-Ah, Charlie, il
volto.
E sparì
esattamente come era
apparso poco prima: trascinato da una nube di fumo sprizzante lampi
luminosi.
Deve
essere così che appare una Smaterializzazione
dall’esterno... Sono
davvero diventato del fumo l’altra volta?
-Uhm, no. Facciamo
una cosa: tu
resta qui fuori, meno gente vede mentre è in questo stato
meglio è. In più se
ti avvicini troppo gli animali ricominceranno ad agitarsi e
rischieremmo di
svegliarlo dal suo torpore. Ora devo trovare qualcosa che mi copri la
faccia...
Ah, ecco lì: un bel volantino di Sirius Black. Grazie
ricercato, a qualcosa di
utile sei servito per lo meno.
Avvolse il manifesto
intorno al
volto, nascondendo sia i suoi lineamenti che quelli del famigerato
pluriomicida.
-Hai visto il mio
amico poco fa,
no? Indossava una maschera particolare che soltanto gli Obliviatori
indossano.
Questo perché non vogliono che le persone a cui
cancelleranno la memoria
possano avere in qualche modo legami mentali con il volto di chi gli ha
eseguito la Rimozione. Per questo mi sto avvolgendo ora con un foglio
di carta,
per non farmi vedere in viso. La mente umana è troppo
complessa per cui non possiamo
avere la presunzione di riuscire a manipolarla perfettamente:
basterebbe che un
giorno, anche lontanissimo, vedesse per caso il nostro volto e gli
ritornerebbe
tutto alla memoria, ritornando al punto di partenza. Non dobbiamo
correre
questo rischio. Perciò, non ti muovere e resta qua.
Ser Uppercut
entrò nel locale
lasciando la porta aperta a metà, in modo che io
né vedessi e né venissi visto,
ma che potessi ascoltare ogni singola parola.
-Stavi dando da
mangiare al tuo
pavone nel retrobottega, quando alcuni animali iniziarono a strillare.
Accorri
per capirne il motivo e vedi una grassa signora che senza dare troppe
informazioni ti spiega che voleva acquistare quel serpente
laggiù,
probabilmente per una pozione anti rughe, visto che aveva una pelle
abbastanza
liscia nonostante l’età. Non hai fatto domande, le
hai consegnato l’animale e
sei ritornato dal tuo pavone che nel frattempo s’era mangiato
tutto il becchime.
Solo dopo ti sei accorto che la signora non ha pagato e ti arrabbi
parecchio,
iniziando a dare colpi al banco, facendo cadere il telefono. Questo
è quanto.
Inoltre, anche se fra qualche giorno probabilmente ritornerai quello di
sempre,
farai di tutto per cambiare di carattere: non sbraiterai più
contro i clienti e
soprattutto non picchierai più la tua merce.
-Sì...
Non riuscivo a vedere
il volto del
commerciante, ma la sua voce sembrava tutt’altro che sicura,
probabilmente era
ancora in trance.
Ser Richard prese il
serpente e
filò via il più in fretta possibile.
-Bene, cosa ne
facciamo di questo?
Il serpente era
accasciato
sull’unico tronco presente in quella gabbietta, annoiato
nonostante ciò che
successe fino ad un attimo prima.
-Ce lo teniamo!
Quanto mai ci
ricapita un serpente che sa parlare? E poi se non lo salviamo, finisce
di
sicuro in qualche pentolone...
-Non se ne discute.
Per il momento
lo portiamo via da qui, abbiamo attirato già troppo
l’attenzione. Una volta
alla locanda decideremo sul da farsi e soprattutto mi
prenderò una camomilla.
Appena rientrati al
Paiolo Magico,
Tom quasi ci assalì, il che non aiutò di certo i
nervi del povero Ser Richard.
-Vi aspettavo per
pranzo, mi sono
preoccupato nel non vedervi arrivare... Oh, ecco perché:
avete anche fatto
spese, vedo.
-Sì.
E’ stata una giornata molto
intensa e siamo stanchi. Abbiamo pranzato con un gelato di Florian, ci
dispiace
non aver avvertito per tempo.
-Ma figuratevi,
ovviamente
capisco. La vostra stanza è pronta e pulita, potete salire a
rinfrescarvi che
fra poco si cena.
-Grazie, ma
preferiamo mantenerci
leggeri questa sera, un po’ di thé per il ragazzo
e camomilla per me con
qualche biscotto ci farebbe senza alcun dubbio piacere, giusto per
rilassare un
po’ i nervi. E se potreste portarceli in camera sarebbe
ancora meglio.
-Come desiderate.
Però desidero
avvertirvi che da oggi gli animali domestici non sono più
liberi di scorazzare
dove vogliono, ho ricevuto parecchie lamentele per il caos degli ultimi
giorni
e sono costretto a chiedervi di mantenere il vostro roditore
all’interno della
sua gabbietta.
Roditore?
Ma dico, è cieco?
Ci vedeva benissimo,
invece. Non
so come né quando, ma il serpente s’era tramutato
in una specie di pantegana
irrequieta.
-Certamente. In
realtà non era
nostra intenzione tenerlo qui, l’avrei riportato con me.
-No!
-Si! Ora ci scusi, ma
abbiamo
molto di cui discutere...
Clack!
Ser Uppercut chiuse
ermeticamente
la porta.
-Bene, i vestiti li
metto qui,
sopra l’armadio... Il serpente. Finite!
Il ratto che stava
per divorare le
barre della sua gabbia da quanto era nervoso, riassunse sembianze
ofidiche.
-Dì
al tuo amico di non farlo mai più...
Decisi di ignorarlo,
perché avevo
ben altra urgenza.
-Perché
non posso tenerlo!
-Non sono ammessi
serpenti ad
Hogwarts!
-Ma tu stesso hai
detto che si
possono scegliere anche altri animali!
-Ma non... Parliamo a
bassa
voce... Non rientra nelle dimensioni adatte, è troppo
grosso. E probabilmente
crescerà sempre di più.
-Mi insegni quella
magia per
renderlo un topo! Risolto il problema!
-Non si è
risolto niente,
invece... Continuerà a rimanere un serpente,
mangerà come un serpente, vivrà
come un serpente, che ne sai tu di come si nutrono?
-Lo
leggerò da qualche parte e
poi... Me lo dirà lui stesso, parla!
-Ecco, è
quello il motivo
principale, tu non puoi parlarci; è... E’
malvisto, ecco com’è. Non ti è
bastata la scena di prima? Immaginati se ogni persona del mondo
reagisca così.
Avresti bisogno di un esercito di Obliviatori al tuo fianco. No, non se
ne
discute... E’ rischioso e malvagio.
Malvagio?
-Starei attento a non
farmi
scoprire anche se non capisco cosa ci sia di male in un serpente
parlante. E’
pericoloso?
-Non è
tanto il serpente. Lui non
parla... Solo tu lo senti. E’ questo il problema.
-Cioè tu
non riesci a capire le
sue parole?
-Certo che no,
sibila! Sta
sibilando pure adesso, che sta dicendo?
-Non
fatelo più... Digli che mi brucia tutto...
-Niente, si sta solo
lamentando.
Ser Uppercut si
sedette.
-Va bene, senti, ti
dico tutto
quello che so... Che non è molto, ma comunque
riuscirà a darti l’idea del
perché la gente associa i rettilofoni al male. No, non
interrompermi, i
rettilofoni sono coloro che riescono a parlare coi serpenti, come te,
appunto.
Quindi sì, sei un rettilofono, a quanto sembra. Per quanto
assurdo possa sembrare...
E’ così!
Nel pronunciare
quelle ultime
parole ser Richard era letteralmente scattato dalla sedia, per poi
risedersi
una volta distesi i nervi.
-Non credere che
abbia pregiudizi
o cose del genere... E’ inquietante, sì, ma anche
affascinante. E’ proprio
questo che mi preoccupa, se la cosa mi scappasse con qualcuno ti
rovinerei la
vita.
Pregiudizi?
Inquietante? Rovinarmi la vita? Quant’è che sputa
il rospo
ed inizia a dire cose sensate?
-Tagliamola corta:
parlare la lingua
dei serpenti, il serpentese, è male. E’
così da millenni, alla base di tale
convinzione credo ci sia la superstizione, ma fra i maghi cui
è stata comprovata
questa abilità non ce n’è fu uno che si
fosse comportato bene. O che almeno non
avesse tentato di sterminare la
sua
gente: Salazar Serpeverde, il Mastino di Baskerville, il Barbiere di
Fleet
Street, Gellert Grindelwald e perfino Colui Che Non Deve Essere
Nominato...
Tutta gente folle, assassina del proprio sangue, fautori di morte e
distruzione.
Tutti quei nomi
effettivamente erano
uno più terribile dell’altro, già il
solo nominarli sembrava scuotere ser
Richard nel profondo.
-Potrebbe anche
essere esistito
qualche rettilofono che non si sia macchiato di crimini orrendi, ma
capirai che
la gente ricorda molto più facilmente un assassino che un
menestrello. Si dice
che anche Beda il Bardo fosse un rettilofono e che scrivesse le sue
fiabe
ispirato dai sussurri delle serpi, ma anche se ciò
corrispondesse al vero, non
cambierebbe di certo l’opinione che la gente ha per questo
tipo di capacità.
No, la cosa non deve saltar fuori per nessuna ragione. Informeremo
solamente il
preside che è molto discreto e potrebbe aiutarci se qualcosa
dovesse trapelare,
ma al di fuori di lui, nessuno. Non devi nemmeno dirlo ai tuoi
genitori, se la
posta venisse controllata sarebbe un guaio. Capisci la
gravità della situazione?
So che non sarà affatto facile tenere per sé
questo segreto ma dovrai farlo...
Non c’è altra soluzione.
Finito il monologo,
si passò le
mani fra i capelli, scombinando l’impeccabile capigliatura:
era la prima volta
che lo vedevo veramente disperato. Capii che sarebbe stato meglio
così, come
diceva lui, ma non potevo fare a meno di chiedergli del futuro
dell’animale:
-Cosa ne
sarà di lui, allora?
-Non lo so, per oggi
lo porto da
me, ma già domani gli cercherò una nuova
collocazione. Tranquillo mi accerterò
che non venga usato per qualche brodo o pozione, d’altronde
questa storia non è
né colpa tua, né tantomeno sua. Non voglio far
soffrire nessuno dei due.
Mi sembrava un buon
compromesso
alla fin fine.
-Avete
finito di discutere? Dimenticate una cosa importante: se io me
ne andassi, tu rimarresti senza animale...
-Già!
E’ vero!
Il mio tutore mi
guardò
incuriosito, non capendo il nesso delle mie parole col suo discorso.
Ops!
Solo io capisco il serpente...
-Stavo riflettendo...
Senza di lui
non avrei un animale per Hogwarts!
-Lo prenderemo
successivamente,
non preoccuparti.
-E se gli animali
reagissero
nuovamente come oggi?
-Effettivamente...
Potrebbero
perfino risvegliare i ricordi modificati con tanta fatica... Ti
farò arrivare
un rospo o un corvo da Brentford, non dobbiamo per forza prenderli a
Diagon
Alley.
-So
cosa pensa, non funzionerebbe, una volta vicino a te qualsiasi
animale si agiterebbe in tal modo. La causa è il tuo odore...
Ancora
con questa storia dell’odore...
-Ti sta sussurrando
cose, non è
vero? Non dargli ascolto, è meglio se lo ignori.
-Però sta
dicendo la verità. Il
problema sono io, non le bestie. Dice che puzzo di serpente.
-Che
assurdità, non odori
assolutamente di serpente; per Diana, nemmeno so che odore abbia un
serpente!
-Emani
lo stesso odore del pericolo, di un agguato, di morte... Non
voglio allarmarti, ma i miei sensi sono molto più sviluppati
dei vostri, non
che ci voglia molto, e così anche quelli di tutti gli altri
esseri viventi; so
cosa dico.
Non potendo
rispondergli nella sua
lingua, né tantomeno dire a ser Richard l’orribile
verità che avevo appena
udito, fui costretto ad inventarmi una scusa.
-In ogni caso
è vero, fin da
bambino tutti gli animali mi ringhiavano contro, non potevo nemmeno
uscire in
luoghi frequentati da cani o avvicinarmi troppo alle gabbie dello zoo,
mi si aizzavano
sempre contro. Qualcosa dovrà pur significare...
In realtà
era tutto falso: sono
sempre stato in contatto con gli animali, in casa eravamo pieni di
canarini e
di altri volatili e da piccolo avevo perfino un pastore tedesco, almeno
fin
quando non decise di scappare con un’altra cagnolina senza
più tornare. Però fu
l’unica cosa che mi venne in mente per non rischiare di
perdere il saccente
rettile.
-Dici davvero? Non...
Non credi tu
possa trovare ciò che possa fare al caso tuo?
Abbassai la testa in
segno di
negazione.
-Anche questa ci
voleva...
-Però
potrei imparare quella
magia...
-Insisti con questa
faccenda?
Dimmi un po’, non è che ti suggerisce lui cosa
dire?
-No, no... Mi ha
solamente
riferito il fatto del mio odore particolare e... Che odia venir
trasformato in
ratto.
-Figuriamoci.
Mi sentivo a disagio,
sapevo che
non stava attaccando direttamente me bensì il rettile, ma
non l’avevo mai visto
così diffidente nei miei confronti.
-D’altronde
se le cose stanno
così, siamo davvero costretti a questa soluzione.
Però prima fammi parlare con
lui. Cos’è che vuoi da noi? E da questo ragazzo in
particolare?
Il serpente ci
guardava con aria
assente, come se non capisse cosa ser Richard gli stesse chiedendo.
-Perché
non risponde? Non ti dice
nulla, vero? E’ pericoloso... Ecco
cos’è: un falso. Ma guarda un po’, che
strana scoperta!
-Forse
qui dimenticate che io sono un serpente e non comprendo il
vostro chiassoso linguaggio... Se magari la smettesse di urlare e
girare in
tondo come in preda alla follia e ti chiedesse di tradurre,
probabilmente
saprei rispondergli...
Era buffo che
l’essere che si
stava dimostrando più lucido in quella situazione era quello
con il cervello
più piccolo, ma anche preoccupante.
D’un tratto
ser Richard sembrò
capire il problema e mi indicò col braccio il serpente.
-Posso...?
-Su, dai, traduci!
Continuando a fissare
il mio
tutore, rivolsi al serpente ciò che mi venne riferito.
-Ci chiediamo:
perché ti interessa
restare con me?
-Emanuele, stai
parlando in
inglese.
-Scusa, è
che non so proprio come
si faccia a...
-Prova a fissare il
serpente
invece che me, magari così viene spontaneo.
Facendo come mi
suggerì ser
Uppercut effettivamente riuscì a parlare in quella strana
lingua:
-Perché
ti stai dando tanto da fare per convincere ser Richard a
tenerti con me? Anche io sono dubbioso sui tuoi effettivi intenti...
Ero preoccupato che
il mio tutore
potesse giudicarmi male nel sentirmi parlare il serpentese, ma mi face
segno
che era tutto apposto, evidentemente s’era preparato
psicologicamente a ciò che
avrebbe sentito.
-Ecco,
ora va meglio. Non spero voi capiate esattamente cosa io provi,
ma ci proverò. Innanzitutto gratitudine, non solo
perché se fossi rimasto lì in
pochi giorni sarei finito in una marmitta, ma soprattutto per il dono
che mi
avete dato. Prima era come se dormissi, in uno stato di eterno torpore,
appena
siete entrati nella bottega però, divenni per
così dire, lucido. Non mi muovevo
più per istinto o per reazione, finalmente ragionavo, avevo
una coscienza, ho
una coscienza. Ma so anche che non è la mia, ma la tua; se
ti dovessi
allontanare da me, sono sicuro che riperderei questa
capacità e tornerei
schiavo dei miei istinti. Voi umani non sapete la fortuna che avete
possedendo
una coscienza ed una volontà. Non voglio perdere tutto
questo, voglio rimanere
con te, vivere la mia vita, condividere ciò che impareremo
insieme, per me
tutto questo è nuovo e meraviglioso; se volete togliermi
questa opportunità
piuttosto uccidetemi.
A quelle parole mi
salì un
terribile nodo alla gola, come avrei fatto a spiegare tutto a ser
Richard? Non
ci avrebbe mai creduto...
-Ma stai piangendo?
Era vero: avevo gli
occhi umidi,
non so bene il perché, mi risultava difficile credere di
essermi commosso per
così poco, ma eravamo come in sintonia, il suo dolore lo
sentivo anch’io, forse
se avesse avuto delle ghiandole lacrimali, avrebbe voluto piangere
anche lui.
Era uno stranissimo fenomeno empatico.
-No, io non... Mi
sarò sforzato la
vista nel concentrarmi su ciò che mi sussurrasse,
però non sto...
-Va bene, ho capito.
E’ importante
per te. Non dobbiamo fermarci ai pregiudizi e alle apparenze.
Anch’io da
piccolo avrei voluto un animale con cui parlare in privato, magari
proprio in
una lingua che solo noi avremmo capito. Cosa cambia se si tratta di un
serpente? Non è forse un animale come tutti gli altri? Forse
no, del resto,
nessun altro animale riesce ad entrare in simbiosi con l’uomo
come fa un
serpente, ma che importa saperlo, cambierebbe qualcosa? Cambierebbe la
realtà
dei fatti? Sicuramente no. Sai, è da quando ho visto che
riesci a lanciare
incantesimi senza alcuna difficoltà nonostante
l’assenza della bacchetta che ho
capito che eri speciale. E ogni giorno che passa, mi riservi sempre
più
sorprese, e non siamo che all’inizio. Credo che tu fossi
destinato ad
incontrare questo serpente, che tu fossi destinato a tutto
ciò già da prima che
io venissi a visitarti in casa.
Ora era ser Richard
quello che
mostrava i segni di commozione: ci doveva essere davvero qualche
granello di
polvere che faceva il monello.
-Sai, ho deciso di
intraprendere
questo lavoro proprio per rendermi utile a chi ne aveva davvero
bisogno. Non è
da tanto che ho iniziato, perciò non ho ancora potuto vedere
i frutti del mio
impegno, dopo tutto il mio studente più grande va ancora al
quarto anno; però
guardandoti so per certo che hai un grande potenziale, non ho la
necessità di
vederti fra dieci o vent’anni per capire che sei destinato a
grandi cose, lo
intuisco già da ora. Perciò io ti
appoggerò e ti aiuterò in ogni
avversità
sperando tu non mi deluda mai: ho grandi aspettative in te, sappilo.
Accidenti,
solo per esser riuscito a parlare con un rettile, mi fa
carico di questa responsabilità?
-Dicevi che non
sopporta
trasformarsi in un altro animale: che altre opzioni abbiamo?
-Gli chiedo se
c’è qualche motivo
particolare perché non sopporta prendere le sembianze di un
roditore?
-Si, fai pure, e
fagli capire che
serve anche un po’ di spirito di adattamento nella vita.
-Scusa,
perché non vuoi che ti trasformiamo in un altro animale?
E’
l’unico modo che ho per portarti ad Hogwarts...
-Non
è che la cosa mi dia fastidio, è che è
doloroso. I mammiferi hanno
il sangue troppo caldo, soffro terribilmente, è brutto
quando bruci
dall’interno.
-Ah, ser Richard,
dice che il
problema sta nella temperatura del sangue. E’ troppo elevata
per i suoi gusti.
-Ma certo, la maggior
parte dei
rettili sono animali a sangue freddo, chissà
perché non ci ho pensato. Avrà patito
l’inferno, poveretto. Proviamo così allora. Trifors!
Grazie a
quell’ennesimo
incantesimo il serpente si trasformò... in una grassa
lucertola!
-Wow,
cos’è?
-E’ un
tritone, perfetto per il
nostro scopo: sangue freddo, nessuno si sognerebbe di toccarlo e per
via della
sua necessità di restare in acqua, lasciarlo nella sua
gabbia per la maggior
parte del tempo non desterebbe sospetti. Inoltre è molto
più largo in vita
della sua forma rettile, quindi possiamo prendere una gabbia
più larga in modo
tale che di notte possa uscire e rientrare nel suo alloggio senza
problemi, per
procacciarsi il cibo.
-Intendi dire forse
che dovrei
lasciarlo libero di scorazzare in lungo e in largo? Non è
pericoloso?
-Se riesci a capire
come non farvi
scoprire dagli umani, allora non correrete alcun pericolo. In caso
contrario...
Beh, dubito lo lascino scappar via. Purtroppo è
l’unica soluzione: i serpenti
sono esclusivamente carnivori, non puoi dargli topi o ragni davanti a
tutti.
Dovrà cavarsela da solo, anche se sono convito che Hogwarts
pulluli di prede
ben pasciute. Non resta altro che insegnarti l’incantesimo
che, sebbene sia
facilitato dal fatto che il nostro obiettivo è un animale
dalle caratteristiche
simili al risultato finale, rimane pur sempre abbastanza ostico, anche
perché
non sono certo un insegnante di Trasfigurazione. Ma ne parleremo
domani...
Era incredibile come
in così poco
tempo avesse già trovato la perfetta soluzione al nostro
problema, pensando
proprio a tutto.
-Ho in mano
l’elenco dei testi
consigliati per il primo anno e, a parte alcuni di cui sei
già in possesso, li
troverai certamente tutti qui, al Ghirigoro.
E’ la migliore libreria di Diagon Alley, poco ma sicuro,
già dalla vetrina
potrai accorgerti del grande assortimento di testi presenti. Permesso!
Il locale appariva
fin da subito
mastodontico: non c’era uno scaffale che non fosse stipato di
centinaia di
libri e che non toccasse il soffitto, che di suo era altissimo
poiché la
libreria era suddivisa in due piani e come se non bastasse alcuni
libri,
probabilmente le novità o quelli in offerta speciale, erano
accasciati al suolo
occupando pure gran parte dello spazio calpestabile. Ciò che
più colpiva però
non era l’estensione del negozio, ma le piccole ma grandi
assurdità che
permeavano l’ambiente.
I libri innanzitutto:
cuoio, seta
e stoffa erano solo alcuni dei materiali utilizzati per le rilegature
dei
miliardi di tomi presenti, e di certo i più sobri; marmo,
pelo e, incredibile
ma vero, acqua velata, quelli più originali. Variavano anche
in forme e
composizione, alcuni erano di forma trapezoidale e si aprivano
dall’alto, altri
invece erano piccoli come taccuini ma spessi come elenchi telefonici,
altri
addirittura si auto sfogliavano e rimescolavano in maniera casuale le
proprie
pagine... Del resto il libro in questione si intitolava La
Teoria del Caos e le sue Applicazioni. I romanzi erano quelli
più divertenti da guardare comunque: la maggior parte di
essi avevano la
copertina animata che rappresentavano il più delle volte
scene rappresentative
della storia presente in essi o, nel caso di autori già
affermati, fotografie
autografate che li ritraevano nelle pose più intellettuali.
Mi sembrò pure di
riconoscere il volto del paziente un po’ matto del San Mungo
tra i volumi del
2x3.
Però tutta
quella confusione
mentale che pervadeva chiunque mettesse piede lì dentro,
spariva lentamente una
volta capito il reale intento degli scaffalasti. All’incirca
a mezza altezza di
ogni scaffale era scritta la categoria in cui rientravano tutti i testi
presenti
in quella data sezione, evidenziata anche in alcune freccette rosse o
blu
volanti nel caso di incroci tra le file di mobili; inoltre se il
reparto si
chiamava ad esempio Leggende ed Epiteti,
riuscivi a sentirti davvero perso in quel labirinto colorato formatosi
dalla
disposizione tutt’altro che lineare degli scomparti, od in Oceani ed Acque Lacustri ti immergevi tra
le pareti blu e cerulee
che via via diventavano sempre più scure e claustrofobiche.
-Primo anno, dico
bene?
-Sì
signorina, ma non ci servono
tutti i testi, alcuni li abbiamo già.
-Ottimo, li abbiamo
posizionati
qui, a destra del banco, così potete scegliere quelli che
volete... I libri
contrassegnati da un talloncino giallo sono disponibili anche usati,
praticamente tutti, ovviamente. Se avete bisogno, comunque, chiedete
pure.
-Ah, grazie mille.
Faremo
sicuramente così.
Ser Richard
iniziò a setacciare le
pile di libri disposti in ordine di anno scolastico, cercando quelli
che
facevano al caso nostro.
-Tieni
l’elenco, cerca i primi tre
libri della lista, gli altri li cerco io.
I libri erano Infusi e Pozioni Magiche, Manuale degli Incantesimi
- Volume Primo
e Storia della Magia, guarda caso
tutti e tre abbastanza vicini fra loro e disponibili anche usati. I
prezzi non
erano elevatissimi, ma neanche economici, se gli usati non fossero
stati in
condizione pietose, probabilmente li avrei preferiti ai nuovi.
-Vuoi vederne i
relativi usati,
vero?
-Sì, ma
solo se non sono troppo
rovinati o sottolineati, gli appunti a margine mi vanno bene, ma odio
le sottolineature.
-Ma tu guarda,
anch’io sono dello
stesso parere, creano troppa confusione all’interno di un
testo per poterci
capire qualcosa. Sì, questi tre fanno al caso tuo,
praticamente nuovi ma a metà
prezzo. Solo il libro di Incantesimi ha la terza di copertina con uno
scarabocchio, ma roba di poco conto. Ti mostro anche gli usati dei
libri che
sta prendendo anche il signore?
-Sì, se
sono nelle stesse
condizioni.
Ero proprio
soddisfatto, i maghi a
quanto pare tenevano ai propri libri e non li sgualcivano in alcun
modo, o
forse era la gente comune a cui ero abituato ad esser poco civile nei
riguardi
del materiale scolastico. Presi solamente due testi nuovi, uno
perché l’usato non
era disponibile poiché già prenotato da un altro
studente e l’altro perché di nuova
edizione; spesa totale: 7 galeoni e 3 falci, un affarone.
-Scusi signorina,
è stata
gentilissima, ma il libro di Trasfigurazione consigliato dal Ministero
è un po’
troppo misero, ne ho sfogliato l’indice e non arriva nemmeno
agli Intenti
Viventi.
-Ha ragione, ma non
si preoccupi,
è prevista la seconda parte per il secondo e terzo anno. Per
questo il prezzo è
così ridotto, ha la metà dei contenuti.
-Non
c’è una versione più
completa, che la prendiamo adesso anche per gli anni successivi? Quando
andai a
scuola io utilizzavamo il Trasfigurare:
come, quando e perché, mi sembrava un buon libro.
-Se vuole il mio
parere
quest’ultima edizione sebbene divisa in due metà
offre migliore esposizione e
ha molti più incantesimi a parità di argomenti.
Al massimo le posso dare il
secondo tomo del volume.
-Sicura che non ha il
libro che le
ho detto poco fa? Sa, per esperienza personale...
-Senta, il libraio
qui è lei o io?
Conosco alla perfezione ogni libro di questo negozio, non faccio che
leggerli
ad ogni nuova edizione, anche se i cambiamenti sono minimi, e se le
dico che questo volume è
migliore di quello che
raccomanda lei, allora è come dico io. Se proprio vuole un
libro che contiene
in un unico tomo tutti gli anni di Trasfigurazione, allora prenda la
vecchia edizione
del classico Trasfigurazioni ed
Evocazioni, che il ministero ha deciso di cambiare non
perché superato, ma
bensì perché era in commercio da troppo tempo e
aveva fatto ristagnare il
mercato. Eccolo qui!
Tonf!
Un libro pesante almeno sette libbre e bianco come il volto
del mio tutore fece la sua polverosa apparizione sul banco della
libraia.
-Per inciso, non mi
si venga detto
che consiglio libri diversi solo perché non posseggo quelli
che mi vengono
richiesti, il suo bellissimo libro
ce
l’ho ed è qui...
Tonf!
-...Ma non lo
consiglierei nemmeno
al mio peggior nemico, perciò mi dica lei quale sceglie per
il suo ragazzo e
finiamola qui.
-Ci... Ci mancherebbe
altro, ha
dimostrato di saperne molto più di me
sull’argomento, non che ne dubitassi,
quindi...
-Bene, se mi ridate
il libro che
non volete per questo faccio la differenza e... 6 falci e 12 zellini.
Senza neanche
guardare il
portamonete il mio tutore sganciò le monete e si
preparò ad uscire il più
presto possibile.
-Grazie mille e
arrivederci.
-Buona giornata anche
a voi!
Funereo in volto, ser
Uppercut
mormorò qualcosa simile ad un torniamo
in
stanza e si avviò in direzione Paiolo Magico.
Che
figuraccia, mamma mia...
-Beh, per prima cosa
prendi quel
libro che ci è stato caldamente
consigliato, quello intitolato Trasfigurazioni
ed Evocazioni e andiamo al capitolo... Non so il numero
esatto, comunque
quello che parla di Trasfigurazioni di animali in altri organismi
complessi
viventi e leggi ciò che dice, sarà
all’incirca il ventesimo, se ha un minimo di
modularità.
Oh
no, partiamo di nuovo dai concetti primitivi...
L’emporio
del gufo si presentava
ottimamente dall’esterno: era un po’ cupo
ovviamente, dato che ospitava bestie
notturne, ma tutto stava al suo posto, niente scatole, casse e gabbie
gettate
alla rinfusa come nel Serraglio Stregato, ma, soprattutto, le gabbie e
le
voliere erano tutte pulite e gli animali mostravano vero benessere. Un
giudizio
sull’interno, beh, non mi è dato concederlo, dato
che appena mi avvicinai di
qualche passo, tutti i rapaci iniziarono ad agitarsi furiosamente; il
loro
rilassante tubare si trasformò in men che non si dica in un
urlo corale.
L’uccello che posava libero sul trespolo iniziò a
volteggiare sulle nostre
teste, minacciando di beccarci al minimo passo falso. Tanto disordine
allertò
l’anziana proprietaria che arrivò di corsa per
sedare i suoi pargoli.
-Beh, ci abbiamo
provato... Ma un
gufo dobbiamo comunque prenderlo, ti servirà. Se non a te ai
tuoi genitori
intendo... Dovranno pur avere un mezzo per spedirti la corrispondenza.
Facciamo
così, tu ne scegli uno adesso, a
debita
distanza, e poi io lo acquisterò in tutta calma e
lo porterò personalmente
alla tua famiglia spiegandogli come utilizzarlo per inviarti lettere,
pacchi e
qualsivoglia cosa gli serva per tenersi in contatto con te,
perciò su, scegli.
Scelta non facile:
erano tutti
molto esotici e con piumaggi eleganti, occhi scintillanti e creste
perfettamente ritte o incurvate, a seconda della specie; senza parlare
del
fatto che non ero informato delle caratteristiche che li
contraddistinguessero.
-Sono tutti molto
belli, è dura
scegliere.
-Hai ragione, se ti
aiuta a
prendere una decisione io da piccolo presi un Assiolo perché
sono molto agili
ed affidabili.
-E quale sarebbe?
-Qui fuori non mi
sembra di
vederne, ma è simile a questo Gufo dagli Occhiali, solo un
po’ meno colorato e
più longilineo, insomma, è un gufo da corsa
praticamente.
-E’ troppo
anonimo però,
soprattutto se dici che ha un colorito ancora più uniforme,
che ne dici di
questo? E’ simpaticissimo...
-Sì,
è caruccio, ma ci faresti ben
poco, gli Allocchi Nani non sono fatti per le lunghe traversate, e poi
un colpo
di vento lo spazzerebbe via.
-Oddio, quello
è inquietante, è un
Barbagianni, vero? Avevo una sua figurina da piccolo, ma non
è minimamente
paragonabile al vederlo dal vivo.
-Lo conosci?
Sì, è un Barbagianni
Scozzese, lo prendiamo? E’ uno dei migliori, è sia
agile che resistente,
perfetto per le lunghe traversate e, data la distanza che separa
Hogwarts da
casa tua, non hai poi molta scelta...
-Si, ma lui
terrorizzerebbe mia
madre, anzi credo che la terrorizzerebbero tutti, perciò
scegliamone uno meno
minaccioso possibile. Sono indeciso tra questi due...
-Perfetto, il primo
è una Civetta
delle Nevi, capirai che le temperature mediterranee la ucciderebbero e
non va
bene, mentre l’altro è niente meno che un Gufo
Reale, come dice il nome stesso,
il sovrano degli strigiformi, è perfetto per il tuo caso:
possente, resistente
ed affidabile, sarà un po’ lento certo, ma su di
lui potrai contare. Il
problema è il prezzo, credo sia uno dei più cari,
specie se giovane. Ma
contratterò, la signora Eeylop mi conosce da molti anni.
Anche questa è fatta
allora, prossima tappa: calderone ed alambicchi!
Peccato,
mi sarebbe piaciuto entrare...
-Dice che
praticamente devo tenere
ben in mente tre cose: la fisio-biologia dell’animale
d’origine, la fisio-biologia
dell’animale obiettivo e la TIV, la Trasposizione degli
Intenti Viventi,
qualsiasi cosa essa significhi.
-E qui ti volevo,
cerca il
capitolo che tratta di TIV e TII.
La
cosa andrà per le lunghe...
Negozio
di Calderoni e Robivecchi
non erano certo nomi molto originali, ma per lo meno mi
evitarono l’enorme
sforzo di capire cosa vendessero al loro interno, soprattutto il primo,
pieno
di stoviglie e mensole pensili buttate nei pressi
dell’entrata.
-E’
permesso? Scusate, largo, sì,
scusi, no, è impolverato, signore... Signore, permesso... Lo
sta facendo a
posta credo, le ho detto che la polvere ci sta sommergendo, aspetti che
passiamo... E’ proprio sordo...
L’ambiente
di suo non era
piccolissimo, ma tutte quelle dannate pentole gettate alla rinfusa sul
pavimento in doppie e triple file, creava dei minuscoli corridoi dove
al
massimo poteva passare una persona alla volta, e se, come in questo
caso,
qualcuno iniziava ad armeggiare con le polverosissime marmitte poste
più in
alto, oltre al passaggio dimezzato, si creava una poco salutare cascata
di
pulviscolo che si infrangeva sulle nostre teste.
-Presto, presto,
allontaniamoci.
-Scusate il signor
Potridge, è un
po’ avanzato d’età e non ci sente quasi
più, in compenso è uno dei miei miglior
clienti e posso certamente affermare che conosce ogni uso possibile per
ognuna
delle pentole del mio negozio... Ma voi siete qui per un calderone in
peltro
misura 2, no? E perché siete entrati, li ho messi in bella
mostra all’ingresso,
inserite 21 Falci nel calderone delle offerte e potrete prenderlo,
assieme ad
un utilissimo becco Bunsen dal valore di 15 Falci, insomma, regalato!
-E se noi volessimo
solamente il
calderone?
-Allora sono 17
pezzi, ma quello
mio è un prezzaccio, è uno spreco non
approfittarne.
-Non ne dubitiamo,
è che siamo già
ristretti col budget e non possiamo permetterci spese extra, ed un
fornello,
per uno studente che utilizzerà quelli della scuola, lo
è.
-Certo, certo, ma
ora, se
permettete, vado ad occuparmi del signor Potridge che temo si stia
facendo
rovinare addosso l’intera partita di marmitte. Ah, come vi ho
detto, appena
uscite, alla vostra destra, qualsiasi pezzo va bene, a sinistra invece,
sotto
il mio pappagallo Arthur troverete il calderone delle offerte.
E così
dicendo sgattaiolò verso il
suo miglior cliente, che nel frattempo gli stava anche procurando il
miglior
incidente, cercando di tirar fuori proprio la marmitta che faceva da
appoggio
ad un’intera batteria.
Anche noi ci
dirigemmo verso
l’uscita, lasciando soli vecchietto e commerciante.
-Faremo
così allora. Arrivederci!
-Sì, si,
arrivederci a voi! No,
signor Potridge, non quella, è pericoloso... Signor...
Signor Potridge, no!
Questa è uguale, no?
-Ma io voglio quella!
Non questa!
Quella è più piccola delle altre di tre quarti di
pollice non vede? Voglio
quella, non se ne discute!
Ser Uppercut chiuse
la porta e
gettò 17 monete sul calderone adibito a cassa, sentendosi
offrire dal
pappagallo, intento a pulizie domestiche:
-Sicuri di non volere
il set
completo calderone-fornello a gas? Ideale per la scuola!
-Ehm, no grazie,
prendiamo solo il
calderone, il fornello lo abbiamo già.
-Allora a posto
così, grazie e
arrivederci!
E dopo aver finito il
discorso,
tornò a beccarsi l’ala: certe cose riuscivano a
stupirmi anche dopo averne
viste di tutti i tipi.
Il Robivecchi invece,
nonostante
l’aspetto un po’ trasandato, era ben strutturato,
oserei dire modulato. C’era
una specie di logica comune tra gli oggetti esposti negli scaffali
dell’esposizione, o almeno così traspariva, ad
esempio, se si partiva dal trita
pepe, si passava ad un porta saliere in argento, ad un porta tovaglioli
in
ottone, ad un taglia carta in acciaio, ad un’antica stampa
risalente al XIII
secolo, ad un set di caratteri in avorio per macchina da scrivere...
Così via
fino ad arrivare, tramite chissà quale filo conduttore, ad
un ciuccio decorato
in raso appartenuto, secondo il talloncino, nientemeno che dal principe
Federico, erede di re Giorgio II.
-Set di numero sei
provette,
numero due alambicchi e numero uno base per appoggio per ognuno, serve
altro?
-Si, ci sono questi
due...
-Numero uno bilancia
in ottone e
numero uno telescopio portatile... 4 Galeoni, 11 Falci e 23 Zellini
prego.
-Ecco a lei.
-A voi, buona
giornata...
Una volta fuori, ser
Richard
tirando un sospiro di sollievo mi confidò:
-Deprimente, eh?
Sembrava un
automa, come mai non ci ha augurato una numero
uno buona giornata non lo so! Comunque sia, anche per questa
settimana i
fondi sono finiti... Tieni questi 13 Falci di resto ragazzo, occhio che
sono
quasi un Galeone, non li sprecare per roba inutile. Torniamo alla
taverna,
oppure continuiamo a girare senza comperare nulla se vuoi, ma io sono
un po’
stanco e mi devo sedere almeno per un paio di minuti.
-Si si,
anch’io...
-“TII,
Trasposizione degli Intenti
Inanimati: si parla di TII quando il Trasfiguratore ha
l’Intenzione di
Trasfigurare un elemento Inanimato in un altro dallo stesso
Criterio.” Una cosa
l’ho capita: c’è un abuso di maiuscole
in questo testo.
-Eheh, sono termini
pragmatici
della materia. Questo per farti capire che se non vuoi ammazzare il tuo
animaletto domestico, dovrai prima imparare a Trasfigurare oggetti e
solo poi
passare al passo successivo, il che è arduo, dato il poco
tempo che ci rimane.
Ma ce la faremo.
Prese una lanterna ad
olio, la
poggiò sopra il tavolo e l’accese, nonostante la
luce che proveniva dalla
finestra ed esclamò:
-Iniziamo da quello
che a mio
avviso è l’incantesimo di Trasfigurazione
più semplice che esista: dovrai
tramutare questa lampada in una candela di cera. E’ semplice,
perché il nostro
cervello è abituato ad accomunare tutte le fonti di luce a
combustione ad un
unico sentimento: la paura di venir scottati; prova.
L’incantesimo si chiama Candleverto,
cercalo tra i primi
capitoli.
-Nuova settimana,
nuove spese:
scegli, cartoleria o negozio di manici di scopa?
-E perché
non fare una capatina
dall’elettrauto? Posso capire la cartoleria, ma a che mi
serve una scopa?
-Divertente battuta,
davvero. Poi
mi spiegherai cosa sia un elettrauto,
però per il momento spiego io a te cosa serve una scopa ad
Hogwarts, o meglio,
ad un mago. E’ solo una tradizione, a dire il vero si
può incantare qualsiasi
oggetto dalle dimensioni adatte, ma comunque sia servono a volare.
Sì, librarsi
nell’aria, volteggiare nell’etere, svolazzare in
libertà...
-Capito capito, ma
non si può
volare e basta? Senza scope intendo?
-Non siamo mica
uccelli!
-Le scope non sono
uccelli!
-Quanto la fai
difficile, è un
incantesimo avanzato, è più facile avere un
oggetto perennemente incantato che
affidarsi ad un incanto provvisorio su una persona, no? Immaginati di
deconcentrarti mentre sei a cento piedi da terra, crolleresti a picco e
non
deve essere piacevole...
-Se è come
dici tu posso scegliere
un altro oggetto? Non mi va di usare una scopa...
-Ma cos’hai
contro le scope?
-Sono brutte! E
sporche!
-Ma non le userai
mica per
spazzare... Dai, cartoleria o negozio di manici di scopa?
-Cartoleria, almeno
poi sapremo
quanti soldi ci rimangono per ‘sta benedetta scopa...
-Furbo,
d’accordo, hai ragione.
-Alcune cose non mi
sono
chiarissime per la loro fantascientificità ma ci
proverò lo stesso. Il metallo
rimane metallo, l’olio diventa cera, lo stoppino si allunga e
si sfilaccia,
mentre la cenere si rigenera in materia... Candleverto
!
Dal mio dito si
diffuse un alone
espanso di colore verdastro tendente al rame che in pochi attimi
tramutarono la
lanterna in un ammasso grigiastro informe e fumante.
-Coff coff! Non ti
abbattere, è
normalissimo, solo apriamo la finestra ora, eh?
In tutta Diagon Alley
un solo
negozio poteva fregiarsi del titolo di locale sobrio e per nulla
strampalato,
sia come mercanzia in vendita che come personaggi che la frequentavano,
ed esso
era la Cartoleria di Amanda
Hensiss.
Essendo una, appunto, cartoleria, vendeva esclusivamente carta e penne,
ma
anche oggetti più classici come piume d’oca,
calamai e rotoli di pergamena,
niente corni di bufalo per contenere l’inchiostro o qualche
altra stramberia,
al massimo c’erano boccette di china che cambiavano colore a
seconda
dell’occasione, ma era il minimo che mi dovevo aspettar di
trovare in un
negozio per maghi.
-Buongiorno,
desiderate?
-Questo ragazzo si
sta per
iscrivere al suo primo anno ad Hogwarts, necessita quindi di tutto
l’occorrente
per non trovarsi mai a corto di materiale.
-Benissimo,
è un principiante con
le penne d’oca? Solitamente mi viene richiesta la penna auto
correttiva, che
rilascia sempre la stessa quantità di inchiostro ad ogni
tratto, fin quando non
finisce del tutto, ovviamente.
-Sì, penso
possa andar bene, ma ci
dia anche qualche piuma semplice, occorre che impari ad usare anche
quelle
senza particolari aiuti.
-Queste
quantità credete vadano
bene?
La signora della
cartoleria aveva
preparato un bel po’ di roba: una penna auto correttiva,
quattro penne
semplici, dodici boccette di inchiostro nero, due del rosso, una
dozzina di
pacchi di rotoli di pergamena e qualche raccoglitore ad anelli con un
paio di
risme di fogli bucherellati e relative grafiti per eventuali appunti
grafici.
-Assolutamente, non
avremo bisogno
d’altro per un bel pezzo, credo. Totale?
-6 Galeoni e 8
Falci... Gli
spiccioli li arrotondiamo.
-Gentilissima, grazie
mille!
-Prego, ciao piccolo,
buono
studio!
-Grazie signora...
Siamo entrati,
abbiamo comprato
ciò che volevamo e ne siamo usciti in poco tempo, senza
problemi. Strano.
-Dimmi la
verità, sei deluso
perché nemmeno un marmocchio spruzzandosi addosso un intero
calamo ha combinato
qualche casino?
-No, o forse
sì...
-Non ti abituare
troppo alle
stramberie, credimi, anche nel mondo dei maghi esiste la
normalità!
-Candleverto!
Stesso risultato di
prima.
-Candleverto!
La poltiglia era un
po’ più bianca
e viscosa, ma poco cambiava.
-Candleverto!
Questa volta non
venne prodotto
fumo.
-Candleverto!
Ora invece
sì.
-Sbagli qualcosa, non
ci sono
progressi.
-Si, ma cosa?
-Solo tu puoi
saperlo... Se
tenessi a mente ciò che hai ripetuto a voce alta prima non
dovresti avere
grossi problemi, evidentemente non lo fai. Oppure... Non è
che in realtà non
pensi al risultato finale? A guardar bene qui ci sono tutti gli
elementi base
dell’obiettivo, ma sono informi e miscelati, penso sia questo
il problema.
-Ah, dovevo pensare
anche alla
forma della candela?
-Certo, che domande!
Ricordi, era
uno dei tre requisiti fondamentali, quello di pensare
all’aspetto
dell’obiettivo!
-E quante cose dovrei
tenere in
mente? E’ difficilissimo!
-Nessuno ha mai detto
che sarebbe
stato facile, ma nemmeno impossibile, è fattibilissimo, su!
Una candela con
piattino da supporto, ne avrai viste tante, figurati quando dovrai
pensare ad
un tritone.
-Candleverto!
Effettivamente questa
volta,
sebbene un po’ sbilenca e con lo stoppino affogato al suo
interno, la candela
venne fuori, il piattino poi, era perfetto. Forse mi ero concentrato un
po’
troppo sulla parte bassa.
-Bene, bene, ottimo
lavoro,
riproviamo.
Accessori per il
Quidditch di Prima Qualità
o Scope di Seconda Mano?
Queste scope mi
ponevano costantemente di fronte ad immani dilemmi.
-Il secondo,
sembra più economico.
-Saggio.
Ovvio, io sono
saggio.
Nel negozio coi
prezzi stratosferici, tutto era curato nei minimi particolari: vetrine
luminose, esposizione coreografica, manichini alla moda, folla di
sbavanti
standard e ovviamente prodotti autografati dalle stelle dello sport
chiamato
Quidditch per i clienti più spendaccioni, da loro denominati
oculati.
Tutto l’opposto
era il negozio in cui eravamo invece appena entrati: stretto, classico,
funzionale ma essenziale e soprattutto economico.
Sembrava quasi un anatema per la gente “oculata”
che un manico di scopa
costasse sotto i 30 galeoni, perciò di tutta la fila
presente in quel punto
vendita dal nome lunghissimo, il piccolo esercizio commerciale Scope di Seconda Mano ne vedeva un
sesto. Meglio così.
-Siete
fortunati, vedete quel signore che sta uscendo? E’ il famoso
giocatore dei
Prides, Mark Evans... Non dovrei dirlo, ma durante il ritiro della
scorsa
settimana ha colliso un Bolide e... La sua Comet 270 si è
scheggiata proprio
nel punto della contromarca, dove hanno luogo gli sponsor...
Inutilizzabile per
un giocatore del suo rango, ma per uno studente... E’ un
affare d’oro! Una
Comet 270 nuova fiammante a metà prezzo, riuscite a crederci?
-Dipende dal
prezzo...
Il commesso si
guardò attorno come se mi stesse per rivelare un segreto
inenarrabile:
-40 Galeoni ed
è tua.
-D’accordo,
facciamo 10.
-Cos...? Shht,
a bassa voce... Ragazzo, hai capito cosa ti ho detto? E’ una
Comet 270!
-Quello che ho capito
è che
l’unico segno distintivo si è
“accidentalmente” scheggiato e che ora come ora
non è possibile verificare se sia una Comet o no... Il che
la rende, oltre che
danneggiata, anche invendibile per una vera
Comet. 10 Galeoni.
-Calma, hai ragione,
è una strana
coincidenza, ma dubiti della mia onestà?
-Non dubitiamo di
nulla; Emanuele
lascia perdere, cerchiamo altro, dai...
-Sentite, ho speso
ben 12 Galeoni
per questa scopa che solo adesso mi sto accorgendo potrebbe essere un
falso
pensando di aver fatto un buon affare... Santi numi, non sono nemmeno
sicuro che
quello fosse il vero Mark Evans... Vi prego, prima che se ne accorga il
principale, fatemi almeno recuperare i soldi spesi! E’ un
buon manico, su
questo non ci piove, ma non potrò mai venderla come Comet
270 e senza sapere
l’esatto modello finisce immediatamente nel cestone dei 5
Galeoni e per me
significherebbe il licenziamento in tronco, vi scongiuro...
-12 Galeoni?
Al mio tutore si
illuminarono gli
occhi, evidentemente di scope se ne intendeva almeno un pochino.
-Sì, ed
è vostra.
-Compresi quei guanti
di pelle di
drago?
Presi parola, notando
che avevamo
il coltello dalla parte del manico, suscitando perplessità
in entrambi i volti
dei due adulti.
-Chi ha parlato di
guanti?
-Io. Anche
perché non è un
problema nostro, a me vanno bene anche i manici in offerta...
-E’...
E’ un ricatto, non è vero?
-Si chiama
contrattare, perché
devo spendere 7 Galeoni in più per un qualcosa che non ho
richiesto? Almeno mi
venga in contro con i guanti che invece mi servono!
-Non ti vanno bene
questi in pelle
di caimano? Sono molto meno ruvidi e...
-La lettera dice
guanti di drago e
guanti di drago devono essere.
-D’accordo,
ma ora sparite, e non
fatevi vedere più!
Dopo aver pagato con
ben 12 degli
ultimi 14 Galeoni rimastici, ser Uppercut prese finalmente parola:
-Non
c’è bisogno di essere
sgarbati con i clienti se si è contrariati per motivi
personali, andiamo
Emanuele.
All’esterno
del negozio, mi
confidò tacitamente:
-Wow, bella mossa,
è una Comet
260, l’ho riconosciuta dalla punta striata in argento e
magenta, non ci sono
dubbi, ed è pure nuova, wow. Wow!
Sembrava quasi che
l’avesse
comprata lui per quanto sembrasse felice.
-Guarda
là, il prezzo di una Comet
260 nuova, guarda su!
L’affare in
effetti non fu ottimo,
fu stratosferico: il prezzo al dettaglio? 95 Galeoni!
Ormai la
Trasfigurazione non aveva
più segreti per me, o almeno quella riguardante lumi e
lumicini. Sapevo
trasformare lanterne in candele, candele in lanterne, lanterne in
candelabri,
candelabri in lampadari, lampadari in torce da parete, torce in
fiammiferi e
ciliegina sulla torta, fiammiferi in bastoncini d’incenso:
semmai un giorno
dovesse servirmi creare un’atmosfera rilassante ed esotica.
-Passo successivo:
oggetti
inanimati in esseri viventi... Pietra in lumaca? E lumaca sia!
Così
iniziai a leggere nozioni
sulla fisiologia dei molluschi invertebrati, scoprendo che delle
ottocento e
passa pagine del libro, più di due terzi riguardavano
approfondimenti
scientifici sulle forme di vita cui si vuole emularne le sembianze.
-Mi sembra un
po’ esagerato: devo
davvero pensare a ghiandole mucose, stilofori e ovidotti che se
ingrossano troppo
fermano il cuore? Mi sta venendo da vomitare!
-Ehm, se volessimo
essere
professionali si, ma per puri scopi didattici potremo anche
dimenticarci
dell’apparato riproduttivo e preservativo, ma la ghiandola
mucosa, quella ci
vuole, altrimenti morirebbe in nemmeno dieci secondi.
Snervante vedere come
sghignazzavano sia il mio tutore che il serpente... E dire che facevo
tutto
questo per lui.
I primi tre tentativi
morirono
all’istante o non avevano mai “rizzato le
antenne”, ma dopo il quarto colpo
riuscii a riprodurre una colonia di chiocciole in perfetta forme e
tutti
rigorosamente sterili.
-Mi deludi, alla mia
prima
esperienza di Intento Vivente, le lumache erano tutte di un colore
diverso
l’una dall’altra.
Accettai di buon
grado la sfida,
riuscendo perfino a ripugnare il mio tutore mostrandogli ciò
che da bambino mi
scioccò e non poco: un lumacone verde muschio grosso,
purulento e con decine di
bozzoli neri e viola sulla coda, antenne e guscio. Risate assicurate.
-Sai
cos’è questo?
-Un biglietto?
-Già, un
biglietto per cosa?
-Per il treno che mi
porterà ad
Hogwarts, forse?
-E come lo sai?
E’ girato dalla
parte non stampata...
-E per cosa poteva
essere? Uno
spettacolo teatrale? Per comprare quel gufo i miei dovranno aprire un
mutuo...
-Va bene, era ovvio
in effetti.
Comunque sia, lo tieni tu o lo tengo io? Lo perdi?
-No che non lo perdo,
non ho mai
perso niente in vita mia, almeno non da dopo i cinque anni
d’età...
Ser Richard mi porse
il biglietto
fresco di stampa e notai che la figura dell’espresso aveva
dei rilievi
piacevoli al tocco.
-Da Londra ad
Hogwarts, Binario 9
e 3/4... Mi ci accompagnerai tu, non è vero? Non saprei
manco dove si trova la
stazione...
-Certo, non ti
preoccupare, tu
pensa solo ai tuoi bagagli e a non dimenticare nulla.
-Non
c’è l’orario d’arrivo...
E’
lungo il viaggio?
-Un po’, ma
passa in fretta stando
in compagnia.
-E questi sono i
soldi rimanenti
del tuo conto: sono un bel po’ ma non li spendere tutti,
potrebbero servire più
avanti. Se vuoi, qualcosina di semplice da Scherzi
da Maghi riesci a comprarla, mi raccomando però,
niente di offensivo o
pericoloso per te e per gli altri!
-Possiamo andare
subito?
-Hai dato da mangiare
al tuo
serpente?
-Sì,
cioè no, ci penso la sera,
poco prima di dormire, mi sembra che gradisca così.
-Bene allora, andiamo.
-Però tu
aspetti fuori!
-Eheheh, e va bene...
-Aumentiamo un
pochino la
difficoltà: lascio cadere una lumachina in questa ciotola
d’acqua, se non
riesci a Trasfigurarla in una vongola prima che tocchi il pelo
dell’acqua,
morirà annegata e ce l’avrai sulla coscienza...
Tranquillo, tornerà ad essere
un ciottolo. Sei pronto?
-No che non lo sono!
-Bene, tanto non lo
saresti mai,
via!
-Valvifors!
Esattamente un attimo
prima che
colpisse la superficie dell’acqua riuscii a tramutarlo in
quello che sembrava
un mollusco marino, ma sembrava tutt’altro che vivo, cadendo
con la conchiglia
aperta e “a faccia in giù”. Ma pian
pianino riuscì a richiudere il guscio e ad
adagiarsi in maniera meno inerme.
-Beh, è
logico: anche loro devono
adattarsi al nuovo metabolismo.
Tutto ciò
era fantastico, roba da
sentirsi dotati di poteri divini, davo vita propria ad oggetti
inizialmente
morti. Ma come mi aveva predetto il mio tutore non si trattava altro
che di
mere illusioni, bastava un semplice Rilascio per far tornare
l’animale nella
sua forma d’origine, non importa quanto complesso e vero
sembri la nostra
creazione.
-Sì, sei
pronto per imparare il Trifors.
Gambol
& Jape: Scherzi da Maghi, già il nome era
un programma.
Erano settimane che desideravo di entrarci per qualche secondo ma a
parte una
fugace ed insipida visita il giorno dell’apertura del conto
alla Gringott, quel
negozio fu per me Off Limits causa budget risicato fino
all’osso. Ora i soldi
c’erano, il tempo pure, perciò nulla mi poteva
vietare di comprare qualche
idiozia.
-Ti aspetto qui
allora. Fa’
presto, ok?
-No!
E serrando dietro di
me la porta
chiusi la questione. Dall’ultima visita il negozio
s’era rinnovato un pochetto:
c’era qualche giocattolo in più e soprattutto
più scherzi attivi, che rendevano
caotico e divertente l’ambiente; poi, con l’inizio
della scuola alle porte e
con fiumi di bambini e ragazzini che si conducevano in massa in quel
negozio,
l’aria era proprio di festa. Dopo varie e profonde
riflessioni, e dopo esser
passato innumerevoli volte dinanzi il reparto degli scherzi schifici
dove ogni
cosa emanava tanfo e putrescenza e la rampa delle illusioni
travolgenti, piena
di specchi che aggiungevano vari effetti ai nostri riflessi, la scelta
ricadde
fra due soli prodotti: la melma portatile e i palloncini
indistruttibili. La
prima concettualmente era una gran figata: si prendono tre capsule, le
si
lancia a terra con forza ed in poco tempo dovrebbe moltiplicarsi a
dismisura
una quantità immensa di mucillagine giallo-verdognola,
ideale per far evacuare
immediatamente una stanza da ospiti indesiderati, o magari da far
crescere fra
i capelli di qualche ragazza antipatica; i secondi invece, anche se
meno
spettacolari, avevano potenzialità immense: innanzitutto, i
palloncini possono
espandersi a dismisura senza limiti, ed essendo indistruttibili
potrebbero
benissimo fungere da sfollagente riempiendo la zona di lattice, anche
se ci
vorrebbe un sacco d’aria nei polmoni; poi possono anche
indurirsi e diventare
dei veri e propri mattoni in termini di durezza, il che significherebbe
bombardamenti aerei dai piani alti verso la gente più in
basso; infine, essendo
comunque utilizzabili come dei comuni palloncini, possono diventare dei
semplici ma tremendi gavettoni se riempiti d’acqua,
possibilmente sporca. Il problema
era che entrambi li avrei dovuti acquistare a scatola chiusa, fidandomi
del
loro funzionamento, visto che non era possibile provarli
preventivamente.
Perciò passai ad uno scherzo più semplice e meno
entusiasmante, ma comunque
godibile se si trova il fessacchiotto giusto che ci casca: una finta
bacchetta
che dà la scossa non appena si tenta di utilizzare un
incantesimo. Niente di
complesso effettivamente, e con effetto simile alle penne-scherzo
babbane, ma
le bacchette erano riprodotte fedelmente e, funzionando ad attivazione
vocale,
non nascondevano bottoni o altri elementi che le potessero tradire,
perciò sì,
qualcuno ci sarebbe potuto anche cascare... E poi non costavano nemmeno
12
Falci l’una.
-Una Bacchetta
Elettrificata per
favore.
-La vuoi provare
prima di
prenderla? Il pacco è nuovo, la apro ora per te.
Si,
e magari faccio esplodere il palazzo...
-No, grazie, mi fido,
ho visto le
altre che provavano i ragazzi e funzionavano tutte.
-Bene, 11 Falci e 19
Zellini
allora.
Finite le compere mi
avviai soddisfatto
verso l’uscita, accorgendomi dalla posizione del sole, che
avevo passato un bel
po’ di tempo là dentro... Trovai ser Richard
annoiatissimo seduto su un gradino
di Telami e Tarlatame, il negozio
ubicato esattamente di fronte a Gambol & Jape.
-Finito? Hai fatto
con comodo...
-Scusa, è
che c’era un sacco di
gente e...
-Tranquillo, te la
sei meritata
questa giornata di riposo, hai speso tanto?
-Meno di 12 Falci.
-Allora come premio
gelato da
Florian, offro io; t’è piaciuto l’altra
volta vero?
-Sì, ma
stavolta voglio provare il
gelato alla Runa Egiziana, dicono sappia di cocco all’ibis...
-Non credere a tutto
ciò che
dicono, chi vuoi che sappia che gusto ha un ibis?
-Ma
cos’è l’ibis?
-Oh cielo...
Trasfigurare animali
dotati di un
intelletto ed istinti meno primitivi rispetto agli invertebrati era
tutt’altro
che semplice, non solo per via della loro evidente
complessità metabolica, ma
perché quei pochi che riuscivano interi, una volta in vita
si comportavano in
maniera del tutto inaspettata, sbattendo contro gli ostacoli, vomitando
organi
e rotolando di fianco e dandosi delle spinte con la coda.
-Non ti abbattere,
dopo qualche
tentativo dovremmo vedere in quale aspetto dovrai focalizzarti di
più; vedrai,
per il resto ci penserà l’incanto coadiuvato dalle
tue esperienze pregresse a
completare l’organismo, tanto che sembrerà
automatico.
In effetti dopo circa
una trentina
di tritoni scemi e suicida, era chiaro che la quasi totalità
di essi
deficitavano in intelligenza.
-Prevedibile, il
problema è nel
sistema nervoso. Credo che ti verrebbe più facile se
partissimo da un essere
vivente con un sistema nervoso già funzionale. Facciamo
così: io creo un rospo
e tu lo Trasfiguri in tritone, magari non sarà un rospo
vero, ma l’importante
per noi è che abbia tutto al proprio posto.
Così
il mio tutore estrasse la sua bacchetta e tramutò una delle
salme dei miei esperimenti falliti in un rospo grassoccio e festante,
tant’è
che mi risultò difficilissimo osservarlo per il tempo
necessario a farmi
un’idea delle sue sembianze da modificarle
affinché somigliassero in quelle di
un tritone.
-Trifors!
-Visto? Sembra non
abbia nulla che
non vada, proviamo adesso se ha gli stessi riflessi.
Lo toccammo entrambi
delicatamente
sulla parte inferiore del dorso, provocandogli ben poche reazioni ma,
improvvisamente, si mise a sgambettare.
-Ahahah, è
un tritone con la mente
di un rospo, non è andata esattamente come volevamo, ma per
lo meno non usa la
coda per soffocarsi. Dai riprova.
-Sì,
sei tu questo, ti assomiglia in tutto: colore, forma, lunghezza,
abitudini... Non ci sono dubbi, sei una Coronella Austriaca!
-Nome
poco virile per un maschio...
-Sei
anche detto Colubro Liscio se vuoi, sei diffuso praticamente in
tutta l’Europa, fai la muta due volte l’anno e...
Oh, ecco! Per fortuna, non
sei velenoso! Anzi, in combattimento sei proprio scarso: non avveleni,
non
soffochi, non puoi tendere agguati e se puoi eviti il combattimento
battendo la
ritirata...
-Tutto
vero purtroppo, ma dove la vedi la fortuna?
-Intendevo
per il nostro caso, non dovrò farti svuotare le ghiandole...
Però mi domando come farai a cacciare... Ma guarda un
po’ non lo fai!
-Questa
mi è nuova, campo d’aria?
-No,
ti cibi solo di animali per nulla combattivi, come lucertole,
grassi insetti, orbettini e ratti bianchi o grigi, perché,
quelli neri vi fanno
schifo?
-No,
ma con un morso ci possono rompere il cranio, ho già
assistito a
questa scena...
-Ma
non finisce qui, siete lentissimi nell’inghiottire e digerire
le
prede, infatti per completare l’assimilazione di un orbettino
ci impiegate fino
a tre settimane... Ricompare quest’orbettino, ma
cos’è?
-Ah,
io non lo so, le stai leggendo tu tutte quelle fesserie. Le zampe
di gallina e le uova di tordo che ci propinava il vecchiaccio le facevo
fuori
in mezza settimana, non mi sembrano tempi esagerati.
-Sarà,
ma questo significa che se intendi cacciare i tipici ratti di
fogna cui Hogwarts sarà piena dovrai fornirti di denti ben
più robusti di
quelli attuali, o non riuscirai mai a metterli fuorigioco,
né tantomeno a
deglutirli se non li sminuzzi almeno un po’.
-E
dimmi, conosci per caso un rettilofono specializzato in protesi
dentarie?
-No,
ma ho comprato questo mangime per rane toro da combattimento dal
Robivecchi, assicurano una crescita fino al 60% dell’animale
che segue il
trattamento, così non dovresti avere problemi...
-E
tu come facevi a sapere di questo problema se lo hai letto solo ora?
-Me
l’ero immaginato: al Serraglio c’erano lombrichi
più grossi di te,
ho pensato subito a questo problema. Dai, assaggia, da oggi fino a
quando
finirà la busta mangerai solo questo!
-Come
sei premuroso... Però anche a me farebbe piacere esser un
po’ più
grosso, per lo meno per il mio ego... Pluah, fa schifo!
-E
che ti aspettavi, carne di pollo? Di’ un po’, non
è che una volta
anfibio non potremo più parlare?
-Chomp...
Questo non lo so, ma se solo i serpenti riescono a comunicare
con gli umani, allora qualcosa di particolare lo avranno... Non
escluderei la
possibilità che mi rincitrullisca una volta tramutato in
qualcos’altro.
-Sarebbe
un peccato, del resto a scuola manterresti quasi sempre quella
forma...
-Non
vedo dove sta il problema però: l’altro giorno hai
Trasfigurato
quel rospo in tritone mantenendone l’intelletto, infatti
cercava di saltellare
come se fosse ancora in grado di farlo, non potresti ripeterlo con me?
-Come
se fosse facile...
-Tu
provaci comunque. Neanche a me va molto a genio perdere le mie
facoltà mentali per un tuo capriccio.
Toc!
Toc!
-Avanti!
-Buongiorno! Vedo che
stai
leggendo il libro sugli animali che ti ho portato... Trovato importanti
informazioni?
-Oh si, so
praticamente tutto di
lui, è completamente innocuo per gli esseri umani, e non
parlo solo
dell’assenza di alcun tipo di veleno, ma del fatto che non
sarà assolutamente
in grado di rappresentare un pericolo per nessun essere vivente
più grosso di
30 centimetri, ehm, 12 pollici. A proposito, sai cosa sono gli
orbettini?
-Non ne ho la minima
idea, farò
delle ricerche, per il resto sapevo già tutto, non
l’avrei lasciato da solo con
te altrimenti. Hai provato a vedere come si comporta se gli apri la
gabbietta?
-Sì,
l’ho aperta un paio di volte
per mettergli cibo e acqua e non ha mai tentato né di
mordermi, né di fuggire, non
ne avrebbe motivo, del resto...
-Bene,
perché qui ho una sorpresa
per lui! Una bella gabbia per tritoni imperiali! Guarda,
c’è tutto: sabbia dove
si può riposare quando ha le sue vere sembianze, ampia vasca
d’acqua per quando
è sottoforma di anfibio e dulcis in fundo una palma in vero
legno dove può
grattarsi per fare la muta, basta che poi fate sparire la pelle da
qualche
parte. Mi raccomando però, digli che i bisognini li
dovrà fare in acqua perché
questa sabbia non è adatta a quel tipo di cose, farebbe
venire la scabbia a
tutti.
Il piccolo rettile si
trasferì
sgusciando da una gabbia all’altra, passando, fra
l’altro, tra le sbarre della
gabbia più grossa, nonostante avessi aperto il portello
d’ingresso.
-Beh, per lo meno
così saremo
sicuri delle sue reali intenzioni: se questa notte scappa o tenta di
ucciderti
lo sapremo... Ma non credo lo farà, non adesso almeno.
Ser
Uppercut non si fida ancora di lui, io invece, perché
sì?
-A proposito, gli hai
già dato un
nome? Se sì, non mi sembra di averlo mai sentito...
In effetti stavo
ancora
temporeggiando in attesa che mi arrivasse l’ispirazione
rivelatrice, ma ormai
era passata più di una settimana e nessuna buona idea mi era
ancora passata per
la mente. Colpa di un termine che mi balenava per la mente.
-Qual
era quel termine strano che hai utilizzato per salutarmi al
negozio la prima volta che ci siamo incontrati? Quello che significava
Piacere
di fare la tua conoscenza, o giù di lì...
-Quante
volte dovrò ripetertelo? E’ Muthsera, e nemmeno so
se esiste
davvero, diamine, è stata la prima parola che ho carpito
dalla tua coscienza,
pensavo la conoscessi, dimenticala.
-No
invece, mi piace. E’ esotica, misteriosa e rappresenta alla
perfezione la nostra relazione: ti dispiace se ti do questo nome?
-Fai
pure, dopo Coronella, pure Muthsera. L’ho sempre pensato che
sarei
dovuto nascere femmina, non sarei finito in vendita come ingrediente
per
cosmetici per iniziare...
-E’
deciso allora, ti chiamerai Muthsera, o Sera per abbreviare, almeno
un senso per le altre persone questo nome lo avrà!
-Allora? Il nome?
-Sera, lo
chiamerò Muthsera.
-Sera? Ma non era
maschio? Avevo capito
di sì...
Meno
male che Sera non lo capisce...
-Non
guardarmi così... Ormai ho imparato, non sentirai alcun
dolore...
-Non
ho abbastanza muscoli facciali per poter esprimere emozioni, se mi
vedi preoccupato è perché in realtà lo
sei tu!
E
certo che lo sono...
-Che ti dice? Ha
paura, eh?
-Sì, beh,
in realtà puntualizza
sul fatto che il primo ad essere in tensione sono io...
-Ed è vero?
-Tu che dici?
-Allora riprova con
uno degli
altri rospi, sai che non puoi permetterti di fallire. Non importa
quante prove
fai, non sono mai abbastanza se non ti senti sicuro...
-No, basta, ormai di
prove ne ho
fatte abbastanza, ho creato centinaia di tritoni forti e sani,
l’incanto lo so,
è il coraggio che mi manca...
-Per questo non sarai
mai pronto
fino a quando non sentirai di esserlo e per pronto non significa non
essere
titubante, del resto c’è una vita in gioco, ma
metter da parte tutti i timori
per far spazio alla parte più sicura del tuo essere.
Le
solite frasi fatte, ma del resto cosa potrebbe dirmi? E va bene, o
la va o la spacca...
Poggiai la mano
sinistra sul volto
per occultarmi la vista di quel che a breve sarebbe successo ed urlai:
-Trifors!
Scusami, scusami, scusami, scusami!!! E’ vivo?
-Guarda tu stesso...
Sì, era
vivo, anche troppo vivo:
si arrampicava su e giù lungo le sbarre della sua gabbietta
con una vitalità
che raramente si nota negli anfibi nel loro habitat naturale.
-Non
sapete quanto siete fortunati a possedere degli arti voi bipedi e
quadrupedi, quest’agilità è pazzesca!
-Vedo
che ha funzionato anche il mantenimento delle tue funzioni
cerebrali, era un passaggio delicato, ma ce l’ho fatta...
-Sì,
per un momento c’è stato un piccolo blackout, ma
è stato come
entrare in una scatola buia per qualche secondo ed uscirne con gli
occhi di
qualcun altro... Questi lucertoloni ci vedono davvero male, a stento
riconosco
la tua faccia...
-Mi sembra felice,
cosa dice?
-Non è
proprio felicissimo, ma
comunque è contento di esser ancora vivo, questo
sì. Riproviamo?
-Come vuoi, conosci
l’incanto...
-Finite
Incantate!
Muthsera riprese le
sue forme
serpentine e con esse i suoi modi simpatici.
-Fai
pure con comodo, tanto la vita in gioco è la mia, per non
parlare
dello stomaco... Noi serpenti non mastichiamo sai? La digestione
è lenta e
complessa e tu non aiuti molto il mio organismo con questi repentini
cambi di
identità. Temo che fra poco vomiterò: hai mai
visto un serpente vomitare? Non è
un bello spettacolo, anche perché vomitano anche la sacca
gastrica, ho visto un
mio coinquilino crepare così! Bella scena, non avevo neppure
un mese di vita...
-Lo
so che non deve essere piacevole, ma più mi impratichisco
adesso
che c’è ser Richard meno rischi correremo a
scuola! Un po’ di pazienza!
-Dillo
al mio esofago infiammato, non a me!
Stavo per rimpiangere
il fatto che
abbia studiato l’apparato digerente degli ofidi da
quell’enciclopedia sugli
animali che mi portò ser Uppercut: tutto ciò che
imparai su di loro, lo acquisì
anche il mio serpente che di sicuro non avrebbe perso
l’occasione di
rinfacciarmi qualche strano malanno fisico al minimo problema che si
fosse
presentato con tanto di spiegazione veterinaria, come adesso del resto.
-Ma quanto parlate
voi due, vi
fate proprio dei gran discorsi, eh? E’ mezzanotte Emanuele,
sai cosa significa?
Che domani inizierà il tuo primo anno scolastico ad
Hogwarts! Fai altre tre o
quattro prove sul tuo orbettino e
poi
va’ a letto, almeno sarai riposato per il viaggio
sull’Espresso!
-Non può
essere, guarda il
calendario, domani è sabato, non domenica.
-No, oggi
è sabato, anzi, è iniziato ben tre minuti fa.
Altre
ventiquattro ore e non vedrò più te e quel
serpentello per un bel pezzo, e mi
concederò un po’ di relax.
-La
smette di prendermi in giro credendo non lo capisca o gli devo
mordere la caviglia?
-Che
ha detto? Mi fissa in modo avvelenato...
-Ma no, è
la sua unica espressione,
ha detto che anche tu gli mancherai molto...
-Grazie ad entrambi
per averci
scelto.
-Mi saluti anche
Wallace, Tom.
-Senza alcun dubbio.
Passi un buon
anno ad Hogwarts giovanotto.
Queste furono le
poche parole
d’addio che ci rivolse il locandiere poco prima che ci
congedassimo. Con
appresso ben cinque valigie di bagagli ed una gabbia per tritoni
imperiali, fu
sorprendente notare come la gente per strada non ci degnasse di alcuna
particolare attenzione, eppure ero sicuro fossimo un bello spettacolo.
-Ancora ti stupisci
del fatto che
nessuno si accorga di noi e del nostro strambo carico? Per non parlare
del mio
vestito in velluto così tanto demodé per la gente
comune! Siamo in Inghilterra,
e per altro a Londra, patria delle stramberie cosmopolite... Ormai qui
la gente
è abituata a vederne di cotte e di crude, noi non siamo
altro che una goccia
nell’oceano.
Sarà,
ma in Italia non saremmo certo passati inosservati...
-Questa è
la stazione centrale, ti
ci ho condotto per insegnarti la strada dal Paiolo Magico semmai un
giorno ti
servisse saperlo, ma per tornarci più tardi ci
Materializzeremo direttamente lì
dentro. Ora... Dove vuoi andare per pranzo? E’ il nostro
ultimo giorno insieme,
decidi tu. Unica raccomandazione: resta leggero, questa sera ci
sarà un
banchetto al castello, e banchetto è sinonimo di abbuffata
fino allo
sfinimento.
Sebbene per i primi
cinque secondi
la libertà di scelta mi lasciò spiazzato, non mi
scervellai di certo a pensare
la nostra prossima meta culinaria. Ero a Londra da più di un
mese ormai,
circondato da gente di tutte le etnie, con un mago con una bombetta in
testa,
eppure non ero ancora andato in un ristorante cinese, posto che da
sempre ho
voluto visitare semmai fossi andato in una grande città.
-Voglio mangiare del
sushi,
conosci ristoranti cinesi?
-Non conosco questa
particolare
pietanza, ma di certo conosco il posto che cerchi... Anche se a dire il
vero
non ho mai pensato di fermarmici a mangiare, andiamo.
Il locale era da
tutt’altra parte
di Londra, così il mio tutore chiamò un taxi, che
a differenza di quanto ci
insegnarono a scuola, era tutt’altro che giallo.
-Il ristorante Fiore
di Luna lo
conosce?
-Certo, ma davvero
volete andare
fin lì? E’ in periferia e con tutti i bagagli che
vi ritrovate non sarebbe
sicuro andarci...
-Non si preoccupi,
sappiamo badare
a noi stessi, ci accompagni come richiesto senza fare troppe domande e
avrà una
lauta mancia.
Saliti sul veicolo,
noncurante
della presenza dell’autista ser Uppercut mi
confidò:
-E’
un’altra entrata segreta del
Ministero, sai? La utilizzano solamente quelli dei servizi segreti e
gli Auror,
io non sono autorizzato. Anche se più che ingresso
è meglio definirla come
uscita d’emergenza, per questo è così
lontana dal centro, per defilarsi in fretta.
Ma dimmi, cos’è questo sushi?
-Non ne ho la minima
idea, l’ho
sentito nominare in TV.
-Ah, bene.
Arrivati a
destinazione capii
subito cosa intendeva dire il tassista: il quartiere non era
esattamente
malfamato, però il contrasto tra il centro affollatissimo e
pieno di vita e
quella zona era evidente.
-Si sta levando un
po’ di nebbia,
si vede che agosto sta per terminare. Anzi, il bel tempo è
durato anche troppo
per i nostri standard, su entriamo.
-Buongiorno!
-Buongiorno signora!
-Buongiorno!
-Un buon giorno anche
a lei!
-Buongiorno!
-Ehm sì,
buongiorno, possiamo?
-Buongiorno!
Un piccolo esercito
di cinque
cameriere orientali ci assalì con i loro saluti ed inchini
che non sembravano
voler terminare.
-Benvenuti!
-Benvenuti!
-Benvenuti!
Oh
no, ora cominciano coi benvenuti...
-Oh, simbolo di
scuola di magia di
Hogwarts, voi volete usare polvere magica?
-No no signora, siamo
qui per
del... Come si chiama?
-Sushi!
-Ah già,
sushi! Lo avete no? Del
sushi!
-Sushi è
pietanza tipica di cucina
giapponese. Noi no giapponesi, ma cinesi, da Cina.
Ed indicò
la bandiera rossa a
stelle appesa sulla parete dietro la cassa.
-Ma voi no
preoccupate, gente
europea sbaglia sempre. E sushi molto famoso. Se noi cacciassimo tutti
quelli
che chiedono di sushi, noi fallire. Nostro cuoco viene da Giappone,
prepara per
voi miglior sushi della vostra vita. Se volete può anche
lavorare in sala, così
voi vedete sua maestria e freschezza di pietanze.
-Va bene, dove ci
possiamo sedere?
-Tavolo per due,
siete soli, sì?
-Sì,
madame...
-Prego e buon
appetito!
-Buon appetito!
-Buon appetito!
-Buon appetito!
Ci
risiamo...
Il ristorante era ben
curato:
ovunque erano presenti raffigurazioni ed effigi del folklore orientale,
molte
delle quali rappresentavano, a detta delle inservienti e delle
didascalie poste
sotto ogni illustrazione, varie fasi della leggenda del pesce Koi, una
carpa
che sfidò gli umani e le correnti per risalire la grande
Cascata del fiume
Giallo. Era una specie di Via Crucis con protagonista un pesciolino
d’acqua
dolce, molto curata nei dettagli e stranamente appassionante,
nonostante la sua
semplicità e brevità. Secondo le tavole, un
giorno, il piccolo Koi, decise di
risalire il torrente come facevano i suoi simili più adulti.
Questi, però, lo
facevano solo per andare a deporre le uova a monte del fiume, lui,
invece,
voleva farlo giusto per curiosità. Gli sforzi a cui
sottopose il suo piccolo
corpicino suscitarono l’ilarità degli altri pesci
e degli umani che
transitavano lungo la riva, facendogli perdere giorno dopo giorno le
speranze
di riuscita. Una ragazza, però, entusiasmata dalle prodezze
di quel piccolo
pesce, lo incitò ed incoraggiò giorno dopo
giorno, aiutandolo a superare i
dubbi e la fatica. Quella ragazza era proprio la Fiore di Luna
dell’insegna del
locale. La traversata di Koi, però, fu irta di ostacoli: il
grosso pesce gatto
che gli umani gli aizzarono contro, il fango in cui si
avvinghiò e la furia
delle Grandi Cascate lo misero alla prova. Superando ogni intoppo e
pericolo
grazie alla fiducia di Fiore di Luna e all’aiuto degli Dei
dell’acqua e del
vento, riuscì finalmente a risalire l’enorme
cascata che portava al regno dei
cieli: in quel preciso momento, all’ultimo balzo che separava
il piccolo Koi
dal fiume Azzurro della volta celeste, un mulinello di acque dorate e
cerulee
lo avvolse, tramutandolo in un bellissimo drago. Sirio, così
venne chiamato
dagli dei in quel momento, scese sulla Terra per poter ringraziare la
dolce
Fiore di Luna e portarla con se a giocare
nell’irraggiungibile fiume Azzurro.
-Una bella favola,
non c’è che
dire.
-Non è una
favola, è tutto vero.
Certo, forse la storia è stata gonfiata un po’ per
dargli anche una morale, ma
migliaia di anni fa veramente un mago trasformò una carpa in
drago, che ci
crediate o no.
Era il cuoco
giapponese, che, a differenza
delle ragazze, parlava benissimo l’inglese.
-Ma voi siete del
mestiere, perciò
ci credete, no? Posso procedere?
Il cuoco prese un
Santoku, un
coltello per tritare giapponese, ed iniziò a mozzare teste,
tentacoli e radici
a qualsiasi cosa gli fosse sottomano, viva o morta che sia. Poi,
sfilacciò le
parti da scartare, condì con qualche spezia,
annacquò ciò che doveva essere
inumidito, avvolse alcuni lembi nel tofu o nel riso,
schiacciò qualche alga per
farne uscire i fluidi amari e legò con la fibra vegetale
alcuni involtini di
fegato di salmone. Il piatto era finito e pronto per esser mangiato. Il
mio
stomaco no.
-Prego, buon appetito.
Il cuoco fece un
inchino e rimase
in attesa di non so cosa come un soldato di Buckingham Palace per un
mucchio di
tempo.
-Forse vuole che
iniziamo a
mangiare...
Suggerì il
mio tutore.
Già,
mangiare... E’ tutto crudo qui!
Presi la cosa meno
all’apparenza
meno disgustosa e la ingoiai senza manco masticare: fu come mandar
giù un
cubetto di ghiaccio molliccio. La stessa cosa fece ser Richard ed il
cuoco
finalmente si allontanò.
-Beh, speriamo di non
finire
nuovamente al San Mungo...
-Scusa, non sapevo
fosse tutto
crudo qui.
-Poco male, mi
vergogno di me
stesso, con la mia età e non ero mai entrato in un
ristorante cinese, o
giapponese che sia, insomma, è un altro mondo, veramente
affascinante. Dovrò
venirci più spesso, magari l’anno prossimo
dovrò accompagnare ad Hogwarts uno
studente asiatico.
Ed iniziò
a mangiare, dapprima
lentamente, poi prese gusto e ci diede dentro.
-Non è poi
così male, sai? E’
sempre freddissimo e fa un po’ senso quando mandi
giù questa roba semiviva,
però le spezie e l’impanatura... Buonissime.
Dopo molti tentativi
falliti
riuscii finalmente a mandar giù almeno il salmone
impacchettato e le palline di
riso con pesce spada, ma del resto non toccai nulla, soprattutto quei
tentacoli
di polpo ancora in preda a spasmi muscolari. Alla fine, chiedendo un
po’ di
maionese, riuscii pure ad addentare un paio di gamberetti, ma il gusto
di mare
era ancora troppo forte nonostante la salsa.
-Grazie, e
arrivederci!
-Arrivederci!
-Arrivederci!
-Arrivederci signore,
salutatemi
tanto il cuoco, è stato bravissimo!
Quasi mi ero
dimenticato di
Muthsera che brontolava nella sua gabbia, avevo tenuto un paio di
filetti di
pesce apposta per lui, anche se non ho letto da nessuna parte se
potevano far
parte della sua dieta. Però lui parve apprezzare.
-Che mangiata, eh? Mi
è rimasto
quasi tutto sullo stomaco, ci hanno offerto del gelato fritto come
dessert, ma
ho rifiutato a nome di entrambi, non mi sembrava salutare. Beh, alla
fine è
meglio così, qualcosina l’hai messa sotto i denti
e ti sei comunque mantenuto
leggero, visto che hai lasciato quasi tutto. Spero non si sia offeso
quel
giapponese, ma non ce l’ho fatta neanche io a mangiare quella
specie di
embrione di pesce. Certo, ora come ora non è
l’ideale dopo un pasto del genere,
ma... Tieniti a me!
Crack!
Ci materializzammo in
un posto mai
visto prima: un lungo muro di mattoni rossi si stagliava dietro di noi,
mentre
di fronte avevamo un’ampia distesa di campagna con in
lontananza un piccolo
boschetto. Facendo qualche passo notai dei binari sotto il rialzo della
banchina e due panche a doppia schiera alla nostra sinistra, capendo
così che
ci dovevamo trovare in una fermata ferroviaria.
-Qui prenderemo
l’Espresso per
Hogwarts. Ora sediamoci ed aspettiamo che arrivi.
Presi dalla tasca del
giubbotto il
biglietto del treno che avevo ricevuto la sera prima perché
non mi tornavano i
conti.
-Qui dice che la
partenza è alle
cinque e mezza, e non sono nemmeno le tre! Non ti sembrano esagerate
tre ore di
anticipo?
-E’
importante essere puntuali
nella vita, è segno di responsabilità e di
affidabilità. Comunque il mio
compito più importante è far si che tu salga su
quel treno senza intoppi;
capirai che è fondamentale che mi assicuri da eventuali
inconvenienti, per
questo ti ho portato qui con largo anticipo. E comunque non disperare,
arriverà
a momenti e potrai scegliere con comodo il tuo posto a sedere, bel
privilegio.
-Ma qui è
deserto! Ci siamo solo
noi, è troppo presto...
-Lo so, ma il ragazzo
dell’anno
scorso, prendendosela un po’ troppo comoda, a momenti perdeva
il treno... Non
voglio che riaccada mai più, dai siediti.
Il treno che doveva
arrivare a
momenti impiegò invece un intero pomeriggio a comparire ed
essendo l’orario
tipico della pennichella, non ci fu affatto difficile appisolarci sulle
panchine come due barboni.
Twaaaaaaath!
Un fischio assordante
mi svegliò
di colpo. Col cuore a mille mi sforzai di capire cosa ci fosse dietro
quella
densissima coltre di fumo.
E’
un treno a vapore!
-Sembra sia arrivato
finalmente,
alle quattro e mezza in punto, abbiamo dormito un bel po’.
Il mio tutore aveva
tutta la
giacca sgualcita sul lato sinistro, evidentemente si era accasciato su
un
fianco.
-Ah, Richard, ci
rincontriamo
anche quest’anno! Ragazzo nuovo?
-Sì, te lo
presento Trent, è
italiano, si chiama Emanuele. Lui è Trent, il macchinista
del veicolo che vi
condurrà tutti ad Hogwarts. E’ un esperto, fa
questo mestiere praticamente da
una vita, ha accompagnato pure me parecchi anni fa.
-Non che sia il
lavoro più
complesso del mondo, questo gioiello si guida da solo, anche se
l’anno scorso
due pazzi si sono scagliati sui binari con la loro auto volante proprio
quando
uscivo dalla galleria e per poco non finiva in tragedia... Mi sono
fatto dire i
loro nomi e dovrebbero andare al terzo anno ora, vediamo se avranno la
faccia
di ripresentarsi. Ora scusate ma scappo, la natura chiama.
L’omaccione
che indossava un
perfetto completo da macchinista dell’800 iniziò a
correre con quelle sue
gambette verso il bagno pubblico della fermata. A dispetto della sua
età, non
sembrava anziano, forse tutto quel grasso lo faceva sembrare
più giovane e
simpatico.
-Sai che ti dico?
Faresti bene ad
andarci pure tu prima di salire... Il viaggio non sarà
lungo, ma neanche breve,
e poi per tutta la serata ti verrà difficile alzarti dal
posto per dirigerti ai
servizi igienici, approfittiamone.
Ci dirigemmo nella
stessa direzione
di Trent e girammo intorno al muro di mattoni, finendo in una specie di
latrina
pubblica, che però al suo interno era molto più
lunga di quanto non sembrasse
dal di fuori.
-Vi ho visto
accovacciati beatamente
su quei trespoli poco fa, così mi sono assicurato di
svegliarvi con una bella
strombazzata, spero non vi sia dispiaciuto, eheh. Da quanto tempo
aspettate?
Il macchinista ci
stava parlando
dalla sua cabina, alzando la voce per coprire lo sgocciolamento del suo
atto
fisiologico. Il mio tutore si chiuse in quella subito alla sua destra e
rispose
a tono:
-Dalle tre,
più o meno. Non volevo
rischiare di arrivare in ritardo come l’anno scorso.
-Per mille fischi!
Potevate
andarci a piedi ad Hogwarts per quanto vale! Avreste fatto sicuramente
prima.
Il discorso
finì così. Proprio in
quel momento io stavo iniziando a svuotare la vescica ed il mio bisogno
sembrò
quasi rimbombare, a causa del silenzio improvviso in cui cadde la
stanza.
Che
imbarazzo...
Salimmo dalla
carrozza posteriore
del treno, per poter avere una panoramica completa del veicolo... Del
resto
mezz’ora in qualche modo dovevamo pur doverla far passare.
-E’ rimasto
fermo per più di un
mese e senza manutenzione, per questo c’era tutto quel gran
polverone prima, inoltre
devo mantenerlo acceso, almeno carbura un po’.
Però anche se in termini di
efficienza tecnologica non è il massimo, mantiene
un’eleganza inarrivabile, non
trovate?
In effetti aveva
ragione: da fuori
sembrava una riproduzione fedele di un treno d’epoca per
quanto lucido e ben
colorato. Nessun segno di ruggine o di grasso tradiva
l’avanzata età del mezzo,
eppure aveva più di duecento anni.
-La linea
è quella classica degli
interregionali dell’età vittoriana, ci sono alcune
modifiche che lo rendono
unico ovviamente, come la sala combustioni e tutti i simboli che
rimandano ad
Hogwarts, ma per il resto è identico ai suoi fratelli di
fabbrica. Sempre che
ne siano rimasti ancora di funzionanti. Questa zona solitamente la
frequentano
quelli degli anni superiori, perciò non pensare di fermarti
qui, ti farebbero
sloggiare in men che non si dica, gli studenti sono molto territoriali.
Le carrozze
successive erano
decisamente meno confortevoli ed eleganti della prima, non mi
sorprendeva il
fatto che fosse ad uso esclusivo degli studenti più grandi.
Queste erano divise
in cabine strette e anguste, con due seggiole lunghe ai lati di ognuna,
mentre
la prima aveva grandi poltrone in velluto rosso e tavolini interposti
tra le
diverse file di sedili, in modo da poterci appoggiare qualcosa e
rendere più
confortevole e rilassante il viaggio. Inoltre le stive superiori per le
valigie
nelle cabine erano insufficienti, se ogni studente avesse portato la
mia stessa
quantità di bagagli, sicuramente sarebbe finita a dover
portare più bagagli a
mano, mentre nella carrozza di prima classe erano molto lunghe e
profonde,
rendendo possibile l’impilamento di più carichi
possibile.
-So che di primo
impatto possono
lasciare un po’ delusi, ma non sono poi così male.
Sono comunque abbastanza
comode e c’è certamente più
tranquillità una volta chiuse le bussole. Questo
perché nel modello originale l’ultima carrozza
fungeva da privilegio per
nobili, in quanto più lontana dal motore e dai suoi rumori e
sobbalzi, inoltre,
essendo alla fine, ogni curva viene attutita ed alleggerita, in altre
parole è
persino possibile bere del the durante il tragitto. Tutte
caratteristiche che
per un breve viaggio come il nostro non servono poi a molto.
-Scegli una cabina
dove sederti,
che posiamo i bagagli di sopra.
Non me lo feci
ripetere due volte
e presi senza indugio posto nella cabina di mezzo della carrozza
intermedia del
treno, giusto per non ritrovarmi troppo vicino agli snob o troppo
vicino ai
primi posti, usualmente noti per ospitare i reietti della
società: speravo di
aver fatto una buona scelta.
-Hai deciso qui?
Possiamo entrare
Trent?
-Dipende, ha il
biglietto?
Ser Richard si stava
voltando per
chiedermi di esibirmi, ed io stesso lo stavo prendendo senza
necessità di
farmelo dire, quando il macchinista si mise a ridere:
-Stavo scherzando,
certo che
potete! Ahahah!
Il mio tutore
impilò tutti i miei
bagagli nelle portantine sopra i posti a sedere, visto che era alto,
mentre io
tenevo in mano la gabbia di Muthsera.
-Quella invece la
terrai a fianco
o tra le gambe, una frenata improvvisa potrebbe farla sbalzare e ferire
il tuo animale,
ok?
Affacciandomi dal
finestrino che
dava alla fermata ferroviaria scorsi i primi arrivati che, come me,
dovevano
partire alla volta del nuovo anno scolastico: genitori, studenti e
fratelli più
piccoli si abbracciavano, si stringevano tra loro e accarezzavano il
volto in
segno di commiato. Era toccante assistere a quelle scene, e mi
riportarono alla
memoria i miei famigliari, facendomi risentire nostalgia di casa.
-Beh, ci siamo.
E’ ora di salutarci
anche noi, credo. Non posso stare qui, non sono autorizzato e se mi
becca un
genitore poi Trent sarebbe obbligato a cacciarmi in mal modo.
Stringiamoci la
mano come fanno i veri uomini e diamoci appuntamento a dicembre, quando
per le feste
natalizie ti porterò dai tuoi. Fatti tanti nuovi amici, sii
rispettoso e
studia, che ne va del tuo futuro. Ma queste sono tutte cose che di
sicuro già
sai, i tuoi genitori ti hanno educato bene. Tieni queste monete,
durante il
viaggio passerà per le carrozze una vecchia signora con un
carrello di
dolciumi, prendi quello che vuoi sempre senza esagerare o ti
verrà il mal di
pancia. Ciao ragazzo.
E come al solito mi
passò la mano
fra i capelli, che trovava sempre troppo folti, per scombinarli un
po’ e
vedermi rimettermeli in sesto. Ser Richard non era visivamente
commosso, ma
aveva un tono di voce un po’ smorzato, che produceva in me un
senso di
tristezza che mista all’eccitazione della nuova esperienza,
tramutava tutto in
un turbinio di sensazioni confuse. Ero conscio del fatto che non
l’avrei
rivisto per un bel po’, ma la mia mente, forse per auto
proteggersi, mi faceva
credere che l’indomani mi sarei ritrovato ancora al Paiolo
Magico a fare prove
sul povero Muthsera. Solo quando scese dal treno e da dietro il vetro
lo vidi
allontanarsi verso la massa di gente in attesa di veder partire i
propri figli,
la mente iniziò ad elaborare meglio il tutto. “Resterò
qui fino a quando non ti vedrò partire”
ripeteva il
labiale di ser Richard e, una volta chiuso nella mia cabina e la gabbia
di
Muthsera tra le braccia, sciolta la tensione, un paio di lacrime
finalmente
scesero lungo le mie guance.
-E’
permesso? Posso?
Un ragazzino,
dall’aria un po’
preoccupata, aprì la bussola della mia cabina per chiedermi,
evidentemente, di
poter sedere accanto a me.
-Certo.
-Oh, grazie. Le prime
sono tutte
piene o se non lo sono, chi le occupa non vuole che ci entri per niente
al
mondo, per fortuna qui c’eri tu, o avrei dovuto fare
l’intero viaggio in piedi.
Ah, piacere, mi chiamo Miller, Miller McBumble.
Mi porse la mano
sinistra, mentre
con la destra slegava i lacci dei bagagli e li buttava nella stiva
superiore.
-Io sono Emanuele...
-Si, lo so che
è un cognome
strano, ma è irlandese. Mio nonno era dell’Irlanda
e quindi... Scusa, che stavi
dicendo?
-Il mio nome, sono
Emanuele...
-Emanuele! Che bel
nome lungo...
Che significa?
Basta,
non ci provo più a presentarmi per intero...
-E’ un nome
abbastanza comune in
Italia...
-Sei italiano allora,
figo! Mio
nonno ammazzava gli italiani in guerra, perciò me ne ha
raccontate parecchie di
strambe storie sul vostro esercito!
Ah,
bene...
Fortunatamente
l’interessante
discorso venne interrotto da due signorine che cercavano disperatamente
dove
sedersi.
-Grazie al cielo qui
è in parte
libero. Vieni, ne ho trovata una!
La ragazza che aveva
aperto la
bussola era vestita di giallo e rosso: gialle la camicia a maniche
corte e le
calze di lana, rossi la gonna a righe, le decolleté e i
dettagli degli altri
indumenti. L’altra invece aveva un completo di seta bianco e
verde,
evidentemente troppo leggero, visto che si era fatta prestare la felpa
rossa
dalla sua amica. Entrambe entrarono senza aggiungere altro e,
aiutandosi l’un l’altra,
sistemarono le proprie cose dal lato opposto al nostro. Una volta
accomodate,
il mio vicino si sbottonò:
-Ciao, come vi
chiamate?
-Io mi chiamo Amanda
Queen, Amy
per gli amici.
Rispose quella
vestita di giallo.
-Io Kathleen Fadden,
solitamente
mi chiamano Kat.
Aggiunse
l’altra.
-Kathleen, che bel
nome che hai!
Leggero e femminile, non come Amanda.
-Ma voi due non vi
conoscete?
-No, ci siamo
incontrate poco fa,
entrambe cercavamo un posto e...
-E per fortuna Amanda
si è
rivelata un’ottima persona: ha visto che avevo freddo e mi ha
prestato la sua
giacca a vento!
-Non esageriamo, io
avevo troppo
caldo, tu troppo freddo... Ci siamo aiutate a vicenda!
-Già, in
qualche modo è andata
così. I miei hanno insistito che indossassi questo vestito
che è elegante, ma è
decisamente troppo leggero per oggi. E dire che ieri era una
così bella
giornata!
-Abbiamo genitori
totalmente
diversi: i miei mi hanno obbligato ad indossare questo completo della
mia
vecchia scuola, è tremendo, non trovi? Meno male che ad
Hogwarts avremo nuove
uniformi!
E ridacchiarono un
po’. Miller,
sentendosi in obbligo a far parte della conversazione si
insinuò e ci presentò:
-Amy e Kat, piacere.
Noi siamo
Miller McBumble e...
-No, Amanda.
-Avevi aggiunto che
ti fai
chiamare Amy...
-Dagli amici! Siamo
amici noi due
per caso?
Un sorrisetto mi si
stampò in
faccia per la cattiveria di quella frase che disintegrò
l’umore del mio vicino,
ma per fortuna nessuno lo notò.
Twaaaaaaath!
Il treno
iniziò a fischiare e
sbuffare; quel grigio polverone tornò ad espandersi per
l’aria, oscurando gran
parte della visuale. Dal mio lato non riuscivo a vedere ser Richard
comunque,
perciò non provai a cercarlo con lo sguardo essendo del
tutto inutile, e poi il
motore del treno era appena entrato in regime, sarebbe stato incauto
alzarsi
proprio durante la partenza.
-Stiamo partendo...
-Già, ciao
ciao Londra, sei troppo
caotica per i miei gusti!
Amanda
salutò con la mano Londra
nonostante fossimo in aperta campagna e tutti gli altri la imitarono.
-Amanda Queen... Non
sarai per
caso parente di...
-Esatto, proprio lei!
E’ mia zia.
-Wow, che effetto fa
essere nipote
di Samantha Queen?
-Beh, è
più famoso il suo nome che
lei. Spesso la gente nonostante la sua fama non la riconosce e quindi
le
occasioni in cui qualcuno le richiede autografi o fotografie sono ben
rare...
Questa volta ero io
ad essere
curioso di sapere di chi si stava parlando, perciò le
domandai:
-Tua zia è
famosa?
-Mi chiedi se mia zia
è Famosa?
Samantha Queen? La più importante scrittrice di romanzi dei
nostri tempi?
Amanda aspettava
qualche risposta
da Miller, ma questi, sia perché attonito dalla risposta
secca di prima, sia perché
non sapeva che cosa dire, rimase in silenzio.
-Allora è
vero che i ragazzi non
leggono! Che ignoranti...
-Sua zia ha scritto
molti romanzi
rosa e qualche noir, e sono tutti abbastanza famosi.
-Togli
l’abbastanza. Il bacio del
Dissennatore, ad esempio,
ha venduto più di due milioni di copie in tutto il mondo, ed
è solo uno dei
suoi cinquanta e più romanzi... Io li ho letti quasi tutti.
Tranne quelli che
mi hanno proibito di leggere, troppo crudi a detta di mia madre.
-Quel libro non
l’ho mai letto, ma
lo conosco di fama.
Miller, sentendosi
messo in
cattiva luce, provò a riscattarsi:
-Io ho già
sentito questo nome,
Dissennatore... E’ un corpo di polizia, vero?
Ovviamente la
risposta era
erratissima e lo sguardo di Amanda trasudava disprezzo e biasimo da
tutti i
pori. Ma la sua risposta fu pacata, stavolta.
-No,
tutt’altro. Anzi, ora che mi
viene in mente c’è una storia divertente di me
piccina alle prime prese con quel
libro...
-Dai, racconta!
Tanto
parli solo e sempre tu...
-Il titolo del libro
sembra
qualcosa di romantico, no? Il termine “bacio”
è in genere legato a qualcosa di
positivo, per di più la copertina del libro presentava una
rosa in punto di
appassimento, che poteva significare un amore stantio...
Così lo presi e ne
lessi qualche capitolo. Poi capii cosa effettivamente fosse un
Dissennatore e
non riuscii a dormire per almeno una settimana.
-E perché,
cos’è?
La
curiosità stava corrodendo sia
me che Miller, ma molto più lui, visto che ormai pendeva
dalle sue labbra.
-E’ una
guardia un po’ spettrale
del carcere di massima sicurezza di Azkaban, vero?
Fu Kathleen a
parlare, prima che
rispondesse Amanda, in modo da dimostrarle di non essere sul nostro
stesso
piano di ignoranza.
-Esatto, Kat.
-Ma allora sono dei
poliziotti
come avevo detto io!
Questo era Miller,
che cercava
disperatamente di sembrare meno patetico possibile, ottenendo
l’effetto
contrario.
-No, non è
affatto un poliziotto.
Fa la guardia ai carcerati, è vero, ma non diversamente di
come uno squalo
potrebbe farla ad un relitto. Sono spettri il cui unico scopo
è divorare le
anime delle proprie vittime. E lo fanno proprio col Bacio del titolo.
-Ma è
terribile! Come possono
permettere a questi esseri di girare a piede libero?
-Servono da
deterrente a chiunque
voglia delinquere, credo. Anche se pure io sono del parere siano troppo
crudeli anche per un
lavoro del genere. Intuirete
la strizza che ebbi quando lessi quelle pagine... Da quel momento, ogni
volta
che combinavo un pasticcio i miei genitori utilizzavano il ricatto del
“Ora
chiamo il Ministero e ti faccio portare via da un
Dissennatore”, che perfidia.
Del suo shock
infantile non me ne
importava granché, invece ero curioso di sapere da dove
venisse quello strano
nome.
-Cosa significa
Dissennatore?
-Non ne ho la
più pallida idea, probabilmente
lo impareremo a scuola, perché vuoi saperlo?
-Perché se
come dite voi si parla
di uno spettro divoratore di anime, perché chiamarlo in modo
così ridicolo?
-E scusami, dove
sarebbe ridicola
la parola Dissennatore?
-Dove? Se scambi un
paio di
lettere diventa Demente...
-E con questo? Ti fa
ridere la
parola demente?
Evidentemente
in inglese non è visto come un termine offensivo...
-Ehm, lui
è italiano, forse da
loro demente fa ridere, boh?
Miller cercava invano
di
proteggermi dagli sguardi accusatori delle due ragazze, indubbiamente
era
portato per l’arrampicamento sugli specchi.
-Sei davvero
italiano? Che ci fai
qui?
Kathleen era molto
incuriosita
sulla mia provenienza e Amanda quanto meno non sembrava contrariata
alla sua
domanda, perciò forse avrei potuto parlare un po’
di me senza preoccuparmi di
venir mangiato a parole.
-Sì, in
realtà potevo scegliere
tra Inghilterra, Francia e...
Clank!
Il treno
vibrò per un attimo
producendo un suono metallico, poi si spensero le luci,
tremò ancora una volta
e dopo qualche secondo tornò tutto come prima.
-Cos’è
stato?
-Sarà uno
sbalzo di corrente.
-Ed uno sbalzo di
corrente fa balzare i treni? No, si
deve essere
rotto qualcosa...
-Se si fosse rotto
qualcosa avremo
certamente deragliato.
-In effetti
è vero, allora cos’era?
-Non lo so, ma
sicuramente non è
importante, altrimenti ci saremmo fermati.
-Brrr, non so voi ma
io incomincio
a sentire freddino nonostante il cardigan.
Miller aveva ragione,
la
temperatura era scesa parecchio da quando lasciammo Londra.
-Mi sa che
è ora di cambiar abito,
mettiamoci le divise della scuola: saranno più calde.
Le due ragazze si
alzarono per
prendere i borsoni in cui avevano riposto i loro indumenti e ci
fissarono per
un po’.
-Allora?
-Cosa
c’è?
-Uscite che dovremmo
cambiarci?
-Dobbiamo uscire? E
dove?
-E che ne so, qua
fuori, solo per
un po’... Non vorrete rimanere a guardarci mentre ci
spogliamo, no?
-Assolutamente no.
Miller,
andiamo.
-Che pazienza ci
vuole con voi
ragazzi, vi si deve spiegare proprio tutto. Non sbirciate, eh! Che ce
ne
accorgiamo!
Fuori dalla cabina
tutto appariva
molto più lento: le grandi finestre coprivano un raggio
visivo più ampio, così
il treno impiegava molto più tempo a far sparire dalla vista
dei determinati
elementi dello scenario. Sembrava che quel viaggio non finisse mai, il
panorama
era sempre lo stesso. Non eravamo i soli a bazzicare per il corridoio,
anche
altri studenti, per lo più degli ultimi anni, si erano dati
appuntamento fuori
dalle cabine per chiacchierare e scherzare con le proprie comitive. Non
avendo
invece molto da dire al mio compagno, mi concentrai a guardare fuori
dal
finestrino. Il penultimo vagone aveva però una strana aura
nera che le
fluttuava attorno; dapprima mi sembrava fosse uno strano fenomeno
ottico, poi
capii che la cosa era viva e si muoveva linearmente al treno. Ad un
tratto lo
strano fluido scuro entrò dalla seconda porta a soffietto
della carrozza,
provocando l’ennesimo sobbalzo all’intero veicolo.
-Sta succedendo
qualcosa, è
entrata una strana ombra da quella parte, non è un
malfunzionamento.
-L’ho vista
pure io, dobbiamo
dirlo a qualcuno... Ehi, avete visto pure voi?
Allertati sia da
Miller che da un
membro del loro stesso gruppo, i ragazzi più grandi che
alloggiavano nelle
cabine dietro a noi si rintanarono subito nelle loro cuccette,
dimostrando
tutto il loro coraggio.
-Emanuele... La
carrozza dove è
entrata quella cosa... Adesso è al buio!
Dovevamo fare
qualcosa, o almeno avvertire
Amanda e Kathleen.
-Ragazze, stiamo
aprendo, spero
abbiate finito!
-No che non abbiamo
finito, che
avete intenzione di...
Anche le luci del
nostro vagone si
spensero totalmente, ma non per pochi secondi stavolta. Aprimmo la
porta e ci infilammo
nella cuccetta come due razzi.
-Che sta succedendo?
Perché siete
entrati?
Amanda era
già pronta, mentre
Kathleen doveva ancora mettersi calze e scarpe. Anche se si trattava di
indumenti poco intimi, la ragazza era molto imbarazzata.
-Non lo sappiamo, ma
qualcosa sta
entrando in ogni carrozza del treno provocando questi blackout. Anche i
ragazzi
più grandi sono terrorizzati, perciò non
è una cosa normale...
-Certo che non lo
è, ma questo non
vi autorizza ad entrare mentre due ragazze si cambiano! Uscite e...
Un urlo femminile
provenne dalla
cabina dietro la nostra, poi il silenzio. L’opaco vetro della
porta proiettò un’ampia
ombra, che sembrava stesse avvicinandosi sempre più- Una
volta che raggiunse l’adeguata
distanza, Amanda e Kathleen appresero con terrore a cosa essa
apparteneva.
-Dissennatori!
[N.B.: Dissennatore
in inglese si
dice Dementor, per questo Emanuele lo trova simile alla parola italiana
demente]
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Capitolo 11 *** Il Cappello Parlante ***
Dissennatori? Quei
Dissennatori? Non ha senso... Perché mostri del
genere dovrebbero assalire un treno di studenti? E perché
apparire proprio ora,
appena dopo il nostro discorso sul loro Bacio?
Quelli furono più o meno i
pensieri che mi frullarono per la testa, in quei terribili secondi in
cui
attendevamo che l’ombra proiettata sul vetro si trasformasse
in qualcosa di più
tangibile e mortale.
Dai movimenti poco decisi della
sagoma, si poteva intuire che lo spettro non era molto convinto se
entrare o
meno; si avvicinava e allontanava, come se stesse aspettando una
qualche
reazione o ordine per aprire ed attaccare. In quei momenti fu
inevitabile
scambiarci qualche occhiata terrorizzata, avrei preferito che avesse
aperto
subito quella dannata porta per mettere fine alla tortura uccidendoci,
ma solo
alla fine si decise.
La porta si spalancò di colpo,
come animata da una forza invisibile, e dalla penombra
spuntò fuori un volto
incappucciato. Non era affatto incorporeo come me l’ero
immaginato, era fatto
di carne, o almeno, sembrava che l’avesse. Era più
che altro un ammasso di
tessuto secco e raggrinzito, che non aveva più nulla di
vivo. Pelle, muscoli e
organi: niente di tutto ciò si distingueva ormai. La bocca
era un largo foro al
centro della faccia, non più delimitato dalle labbra, ma da
spaccature e crepe
che ne scavano i contorni. Non aveva occhi, o almeno non ne avevo
visti, e le
mani erano sottili come quelle di uno scheletro, anche se possedeva
unghie e
mostrava delle rughe alle estremità delle falangi. Il resto
del suo corpo era
totalmente avvolto da una stoffa nera come la notte, che si prolungava
estendendosi fino a sparire totalmente in una nube di fumo scuro;
attorno
aleggiava un’aura gelata che ghiacciava qualsiasi cosa, anche
gli animi.
Mentre io continuavo a scrutarlo
attonito, i miei compagni di viaggio erano totalmente angosciati:
Kathleen
guardava un punto fisso davanti a sé ed ansimava, come in
preda all’asma,
mentre Miller ed Amanda erano rannicchiati su se stessi con gli occhi
chiusi,
forse sperando che alla loro apertura l’essere fosse sparito
dalla vista.
Il più irrequieto comunque
rimaneva il non morto che, come se ci stesse visionando nel profondo,
continuava a rivolgere quella sua sudicia bocca da un malcapitato ad un
altro,
cambiando ogni tanto angolatura. Ad ogni suo spostamento, la stoffa con
cui era
avvolto riempiva l’aria come se fosse eterea, non materiale,
rendendomi impossibile
capire quali fossero le sue intenzioni, dato che non mi dava la
possibilità di
vederlo con chiarezza in volto. E così lo notai.
Per qualche strano motivo il
Dissennatore aveva categoricamente escluso la mia persona dai suoi
interessi,
rivolgendosi alternativamente agli altri miei compagni. Passava
furiosamente da
una testa all’altra, sporgendosi di tanto in tanto con il
petto in avanti, ma
sempre preferendo la direzione delle ragazze. Ad un tratto, interruppe
il suo
rito e decise di andarsene, così com’era entrato.
Non eravamo ancora al sicuro
ovviamente, ma ci sentimmo decisamente sollevati. Strano come
nonostante
sapessimo che il Dissennatore adesso si trovava proprio una cabina
davanti a
noi, il pericolo sembrava davvero scampato. Stavo quasi per chiedere
agli altri
se stessero bene quando Miller scoppiò:
-Che diavolo ci fa un Dissennatore
sul treno?
Effettivamente era una bella
domanda.
-Non ne sono sicura, ma credo di
averlo capito. C’è un solo motivo plausibile per
cui un Dissennatore si sia
potuto allontanare liberamente.
-Non dovrebbero stare di guardia
ad Azkaban?
-Appunto, lasciami finire. Lui sta
continuando a servire il carcere, anche qui, adesso.
Io e Miller ci scambiammo uno
sguardo di smarrimento.
-Eh?!?
-Dico... Oltre a non leggere
romanzi, non leggete nemmeno i giornali voi maschi? La Gazzetta del
Profeta ne
parla da mesi...
-Parli del fuggitivo?
-Sirius Black?
-E chi sennò. Ovvio.
Era ovvio un cavolo.
-Ma non ha senso venirlo a cercare
qua: perché dovrebbe salire su un treno di ragazzini diretti
ad una scuola?
-Stiamo sempre parlando di un
pazzo, potrebbe fare la qualsiasi...
-Ma possono salire solo gli
studenti, un adulto non passerebbe inosservato!
-Ricordi? L’evasione? Dal carcere
di massima sicurezza per maghi? Cosa vuoi che sia per lui un trenino!
Effettivamente aveva ragione, ma
il fine non giustificava certamente i mezzi, non questa volta.
Scagliare dei
Dissennatori su un treno pieno di minorenni era semplicemente assurdo.
-Ora che ci penso, mi ricordo
d’aver visto un signore di una certa età in una
delle cabine della prima
carrozza, ma non mi ci sono seduto accanto, non mi andava di fare un
viaggio
con un tipo del genere...
Questa confessione di Miller era sconvolgente,
anche se lui non se n’era ancora reso conto.
-Era Black?
-Non lo so, non l’ho visto in
volto, era avvinghiato in una coperta, stava dormendo.
-Comportamento sospetto, forse si
nascondeva.
-Chi si nasconderebbe in maniera
così grossolana?
Era evidente che Miller cercava di
trovare qualsiasi prova per dimostrare che quell’uomo non
fosse davvero Sirius
Black, altrimenti il suo errore nel non averlo detto prima a qualcuno
non
avrebbe avuto scusanti.
-E chi invece riuscirebbe a
dormire in un treno così affollato e chiassoso?
-Forse s’è addormentato prima,
salendo quando il treno era appena arrivato. Poi, sai
com’è, c’è chi una volta
chiusi gli occhi non si sveglia manco con le cannonate...
-Non può essere. Io sono salito
per primo e non c’era nessun altro a bordo oltre me fino
all’arrivo dei primi
studenti. Deve essere salito con voi.
Questa volta ero io a
controbattere i tentativi di difesa di Miller. Alla mia rivelazione,
comunque,
era ormai chiaro che fossero rimasti ben pochi dubbi sul fatto che
quell’uomo
fosse il Sirius Black ricercato dai Dissennatori, il che ci metteva in
un
pericolo ancor maggiore rispetto a prima, visto che stavamo parlando di
un
pluriomicida.
Dopo un lungo silenzio un fascio
di luce colpì l’intera cabina, facendoci
sobbalzare tutti. Il Dissennatore,
accartocciato come un cappotto portato via dal vento, volò
lungo la corsia di
passaggio, sfrecciandoci davanti come in preda al terrore.
E ora che succede?
Credo fu il pensiero dell’intero
gruppo.
Un uomo attraversò dinanzi a noi,
inseguendo lo spettro.
-E’sicuramente lui!
-Lui?
-Sì, l’uomo di cui stavamo
parlando un attimo fa! Sirius Black!
-Ed è riuscito a scacciare uno di
quei cosi? Come avrà fatto?
-Chi se ne importa, ora sarà
furioso!
Clang!
Dopo quel suono metallico di
portellone che sbatte con violenza, l’uomo incriminato
ripassò di fronte la
nostra cabina, spedito e alquanto arrabbiato.
-Iiiihhh!
Non riuscì a trattenersi Kat; era
sul punto di piangere.
-A me, comunque non sembra lui: è
molto meno barbuto.
-Si sarà camuffato, è ovvio!
Non ci
vuole molto... Credo.
Niente da fare, ogni tentativo di
attenuare la tensione da parte di Miller, finiva sempre demolito da
un’osservazione mia o di Amanda.
Una figura alta e snella si
stagliò con prepotenza su di me, che mi ero leggermente
affacciato per seguire
i movimenti del sospetto che, nel frattempo, era tornato alla prima
carrozza.
Era un giovane alto e slanciato, sui sedici anni o giù di
lì, con un viso
abbastanza tranquillo, ma con fare arrogante. Ovviamente non aveva
nulla di
spaventoso, ma viste le circostanze, la sua apparizione improvvisa mi
fece
sobbalzare.
-State tutti bene? Qualche morto?
No? Benissimo, ora arriva la baby sitter!
E si dileguò, con la stessa
velocità con la quale era venuto...
-Scemo, siamo entrambi prefetti,
non puoi andartene così e lasciare tutto a me!
Una ragazza dai capelli biondi
della stessa età del ragazzo di prima urlò tali
parole al vento, dato che
quest’ultimo era già sparito dopo aver fatto un
rapido censimento delle
restanti tre cabine.
-Siete del primo anno, vero?
Poveracci, sarete sicuramente terrorizzati... E’ tutto finito
ora, siete al
sicuro. Vedete quello di prima era un Dissennatore, una creatura...
-Lo sappiamo, s-signora...
L’occhiataccia che rivolse la
ragazza a Miller dopo che pronunciò la parola
‘signora’ fu forse più spaventosa
del Dissennatore stesso.
-Come dicevo... Il professor Lupin
li ha scacciati entrambi dal treno e si sta assicurando che non
subiremo altre
visite del genere. Inoltre ci ha chiesto di informarvi sui fatti e
assicurarci
che stiate bene e che assumiate un po’ di zuccheri per
riprendervi dagli
eventuali shock. Ora passerà la signora dei dolci e
chiedetele del cioccolato,
qualsiasi andrà bene, offrirà il professore.
Basta che non esageriate! Se avete
bisogno, ci troverete in giro per il treno, a controllare che tutti
stiano
bene, ma vedo che voi a parte per la paura, state benone. Continuo il
giro,
ciao!
Poco dopo però tornò per
aggiungere un’altra informazione:
-Stiamo per arrivare ad Hogwarts,
fareste bene a cambiarvi anche voi maschietti.
Per un paio di minuti che
sembrarono un’eternità, dopo il congedo della
sedicenne, restammo in totale
silenzio ed imbarazzo; Kathleen, poi, era perfino rimasta per tutto il
tempo
scalza e, complice la mancanza di distrazioni su cui dirigere gli
sguardi,
finimmo tutti e tre per osservarle i piedi contemporaneamente,
facendola
diventare rossa come la sua valigia.
-E per favore, uscite da qui!
Amanda sbottò contro di noi
nonostante fosse anche lei complice dell’atto.
Io e Miller ci fiondammo subito
alla porta, ma nel corridoio c’era più folla che
dentro le cabine: i ragazzi
erano quasi tutti fuori per chiedere informazioni, per vedere se
qualcuno se
l’era fatta addosso o semplicemente per fare quattro
chiacchiere e diminuire lo
stress accumulato, perciò ci ritrovammo ben presto premuti
contro il finestrino
della carrozza ancora congelato dalla visita dei due simpaticoni di
prima.
-Che roba, eh?
Stavolta ero io a cercare di
rompere un po’ il ghiaccio, almeno quello metaforico, visto
che quello vero ci
stava surgelando le spalle.
-Incredibile, spaventoso certo, ma
incredibile... Guarda, ci scherzano già su. Io credo non
riuscirò a dormire
stanotte.
Volevo rispondergli di stare
tranquillo e non esagerare quando Amanda aprì la bussola per
darci il cambio;
dopotutto Kathleen doveva solo mettersi delle scarpe.
Una volta faccia a faccia con i
miei nuovi indumenti mi accorsi di non sapere affatto cosa dovessi
mettermi, ma
cercando di ricordarmi l’aspetto dei ragazzi delle altre
stanze, alla fine
optai per il completo autunnale, più la mantella che
già Amanda e Kat avevano
indossato.
-Hai notato se, forse quello che
ti sto per dire ti sembrerà un tantinello strano, oltre alla
paura per il
Dissennatore stesso hai provato altre tipi di paure?
Più che un
‘tantinello’ la trovavo
proprio assurda quella domanda. E ci si metteva pure la camicia che non
voleva
saperne di allacciare l’ultimo bottone.
-No, almeno non credo, spiegati
meglio...
-E’ difficile da spiegare, ma è
come se... Mi avesse portato alla mente un sacco di brutti ricordi. Io
ho da
sempre una fifa blu per le vespe, non sto a raccontarti ora il
perché, ma vedi,
da piccolo passavo intere estati nella villa al lago dei miei nonni
e...
-Sì?
Cercai di interrompere l’aneddoto,
altrimenti non saremmo mai arrivati al punto.
-Scusa, sì, il punto è questo:
vedevo le vespe! Ma non qui sul treno, nella mia testa, insomma, sapevo
che non
c’erano, eppure non potevo fare a meno di averne paura! Erano
in centinaia e mi
ronzavano intorno, anche chiudendo gli occhi le vedevo sciamare
ovunque, e mi
pungevano con cattiveria... Ad un certo punto mi ero quasi dimenticato
del
Dissennatore, tant’è che stavo per alzarmi per
fuggire dal nugolo... Assurdo,
no? A te è successa una cosa simile? O sono io un caso
disperato?
Questo spiegava il perché tenesse
gli occhi chiusi, comunque io non avevo provato nulla di tutto
ciò, perciò
cercai di essere meno insensibile possibile nel dirgli in maniera
delicata fatti visitare.
-Nono, per fortuna. Anche se forse
più che a me dovresti chiedere ad Amy e Kat, le ho viste
particolarmente
scosse, durante la visita del nostro amico.
-Si, come no... Quelle due già mi
odiano, figurati se gli vado a chiedere se hanno rivissuto momenti
spaventosi
della loro infanzia... Non se ne parla.
Effettivamente...
Toc! Toc!
-Avete finito? Ci state mettendo
più di noi! La signora col carrello è qui, dovete
prendere qualcosa?
-Sei pronto Emanuele?
Feci cenno di sì con la testa,
tanto mi mancava solo di stringere la cravatta e mettermi la mantella,
che di
certo non erano passaggi che necessitavano di particolare
intimità.
-Qualcosa dal carrello, cari?
Una piccola e grassoccia signora,
che a malapena si distingueva dal carrello portavivande, attendeva le
nostre
ordinazioni. Il problema era che non sapevo affatto cosa prendere,
erano tutti
dolci sconosciuti per me.
-Una cioccorana!
Partì a razzo Miller. Kathleen
sembrava propensa a seguire il suo esempio, ma alla fine si fece
guidare dal
giudizio di Amanda e prese una Bacchetta di cioccolato fondente, che
aveva meno
calorie di quello al latte. Quando Miller però
aprì la scatola e ne rivelò la
presenza di una rana viva tutta fatta di cioccolato, fugai ogni dubbio
e ne
presi una pure io.
-Accidenti, ma che figata!
-Non l’hai mai mangiata? Non la
vendono in Italia? Il primo morso non si scorda mai!
Ormai Miller parlava con la bocca
colma di cacao e le guance sporche come quelle di un bambino. Ma non
era del
tutto colpa sua: la rana tendeva sempre a sgusciare di mano,
perciò l’unica
soluzione era quella di ficcarsela in bocca il più in fretta
possibile, per
limitare i danni all’immagine. Le zampette che si muovevano
sia dentro che
fuori le gote poi, rendevano tutto più divertente e macabro
allo stesso tempo.
Ma il cioccolato era comunque favoloso.
Dopo essermi ripulito a fondo mani
e mento, visto che il cioccolato era arrivato fin lì, notai
uno strano
cartoncino pentagonale.
-E’ una figurina Streghe e Maghi
Famosi, a dire il vero ci sono pure vampiri, bestie e draghi, ma
all’inizio
della raccolta c’erano solo i maghi più famosi,
perciò mantiene ancora il nome.
Non ne ho moltissime, ma nemmeno poche, contando i doppioni credo che
arrivi a
200 figurine più o meno, ma conosco gente che ne ha molte di
più. Non so se
consigliarti di iniziare la collezione, alla lunga diventano
un’ossessione, ma
secondo me, ne vale la pena... Chi hai trovato?
-Qua dice... Barnaba il Babbeo. E’
un tizio messo in una stramba posizione e che prende bastonate
praticamente da
tutte le parti. Ahahah, ma chi è? Non può essere
esistito veramente.
-Ah, bella, mi manca, sei stato
fortunato, non è molto comune. I maghi meno famosi sono
anche i più rari. Non
posso dirti se la sua storia sia vera o meno, ma solitamente lo sono,
almeno se
non prendiamo personaggi molto antichi le cui figure si mischiano alle
leggende, comunque se vuoi saperne di più dovresti ordinare
un Folio Magi tutto
per te. Ma guarda, di nuovo Derwent
Shimpling, ne ho già due di questa, facciamo uno scambio?
La sua figurina era
simpatica: un omone tutto viola in viso che sembrava
stesse per vomitare da un momento all’altro; anche se non
batteva di certo la
mia, in quanto a strampalaggine. Lo scambio non l’avrei mai
accettato.
-No, è la mia
prima figurina... Piuttosto, cos’è il Folio Magi
che hai
nominato poc’anzi?
-E’ il
raccoglitore ufficiale della collezione. Lo ordini per posta e ti
arriva comodamente a casa, oltre a questo comunque ti permette di
leggere brevi
descrizioni sui protagonisti delle immaginette, è
divertente. Col primo ordine
arriva sempre Merlino, la figurina numero uno. Infatti è la
meno rara.
-Ci sto, mi hai messo
curiosità, voglio collezionarle anch’io!
-Bene, magari potremmo
fare qualche scambio in futuro...
Crunch!
Amanda aveva volutamente
attirato l’attenzione mordendo rumorosamente la
sua bacchetta di cioccolato per indicarci di smetterla con quelle
bambinate, e
prese la parola:
-A proposito di rospi,
discorsi ripugnanti e cose del genere... Cos’è
quella bestia che hai sotto il sedile?
Indicava la gabbia del
mio serpente: lo avevo totalmente dimenticato. La
sollevai e ne mostrai il contenuto agli altri, facendo attenzione a non
tradirmi con le parole.
-E’ un tritone
imperiale, il più grosso della sua specie. Nonostante sia
un anfibio, può rimanere fuori dall’acqua per
molto più tempo rispetto i suoi
simili e mangia anche di più. Sarà il mio animale
da allenamento.
-Ed è
regolamentare? Nella lettera non era mica menzionata la sua
specie...
-Beh, si, mi sono
informato prima, certo... Ed i vostri animali?
-Io utilizzo il gufo di
mia sorella maggiore, ce l’ha lei nella sua
cabina in questo momento.
-Anch’io
userò un gufo, dovrebbe arrivarmi domani, con la posta dai
miei
genitori.
-Idem.
Furono le risposte di
Amanda, Kathleen e Miller, in ordine. A quanto pare
i gufi andavano per la maggiore.
-Del resto comprarsi un
gufo è necessario per poter scambiar della
corrispondenza, tanto vale usarlo per entrambi gli usi e risparmiare
qualche
soldo e preoccupazione. L’unico vantaggio di usare due
animali è che non dovrai
andare ogni qualvolta ti serve in guferia per prelevarlo e portarlo a
lezione.
Ben poca cosa comunque, visto che alla fin fine dovrai recarti
lì per forza
almeno una volta al giorno per non farlo morir di fame. Spero non ti
sia
costato troppo, quel coso.
-No, figuratevi, il
negoziante mi ha fatto un prezzo di favore.
Praticamente regalato.
-O
meglio, rubato.
Visto che Muthsera
dovette dire per forza la sua, decisi di riporlo al
suo posto, sotto i sedili, al buio.
Ormai era tarda sera e
mancava poco all’arrivo.
L’arrivo ad
Hogwarts fu preannunciato in largo anticipo dal boato
eccitato degli studenti delle cabine della prima carrozza che, vedendo
le luci
del castello in lontananza, iniziarono a festeggiare. Non li si poteva
di certo
biasimare, dato che la vista era uno spettacolo mozzafiato.
-E’ la scuola,
diamine, è Hogwarts, non ci posso credere, è
tutta la vita
che aspetto questo momento!
Miller stava
letteralmente saltando dalla sua poltrona, ma anche se più
pacate,
persino le due ragazze erano evidentemente commosse. Io invece non
sapevo come sentirmi
esattamente: ero elettrizzato, certo, ma a differenza loro, non ho mai
nutrito lunghe
attese e desideri per questo luogo, del resto fino a qualche settimana
prima,
nemmeno ero a conoscenza dell’esistenza della magia. Mi
ritenevo un po’ un
intruso, un imbucato ad una festa a cui non ero gradito, o meglio,
invitato per
cortesia all’ultimo momento.
Più ci
avvicinavamo al castello e più si faceva imponente, eppure
era
ancora lontanissimo oltre la collina. A causa del buio,
il contorno delle sue forme era spesso
indefinito, e le torri più esili e le aree più
arretrate, si confondevano con
il cielo stellato, creando l’illusione che Hogwarts stessa
confinasse con la
luna. Magico.
Il fischio del treno ci
indicò che eravamo arrivati al capolinea e che il
viaggio era finito.
Presi le valigie e
poggiai Muthsera su quella più grossa, per ingombrare
meno spazio possibile, e mi avviai assieme agli altri
all’uscita. Uno ad uno
scendemmo i gradini delle varie carrozze e ci stringemmo attorno
all’unico
lampione della fermata, grandi e piccini, maschi e femmine: eravamo un
unico
corpo, che condivideva le stesse emozioni.
Il casello era in pietra
e con gli infissi in ferro e dietro di esso
c’era un ripido viale roccioso scarsamente illuminato che
portava ad un ampio
cancello spalancato, l’unica apertura
dell’imponente muraglia che circondava il
castello. Più in là non si riusciva a vedere per
via dei boschi e
dell’inclinazione del terreno, perciò mi
concentrai ad osservare l’ambiente
circostante. Il nostro gruppo non si era in realtà
raggruppato per stare vicino
ad una fonte di luce, ma perché sotto di essa giacevano dei
larghi tronchi
catastati gli uni sugli altri seduto sui quali vi si trovava un
omaccione
grosso e barbuto.
Messosi in piedi,
l’uomo sembrò ancor più grande, ed
avvicinandosi
ulteriormente, raggiunse dimensioni davvero gigantesche. Dato che il
bambino in
prima fila gli arrivava a malapena alle ginocchia, arrivai alla
conclusione che
fosse alto poco meno del triplo dell’altezza di un undicenne,
ma molto più
grosso e peloso. Non sembrava affatto pericoloso comunque, ed anzi
mostrava un
sorriso divertito. Quando aprì la bocca, portandosi la mano
sinistra sulla
guancia e la destra sopra la testa scuotendo la lampada tolta poco
prima dal
suo piedistallo, tuonò:
-Primo anno! Primo anno!
Studenti del primo anno, seguitemi! Da questa
parte, prego! Seguitemi!
Dalla folla generale,
una fiumana di piccoli ragazzini, serpeggiò in
direzione dell’uomo corpulento per seguirlo fin dove avesse
detto; l’aria era
frizzante e pungente, se fosse stato un qualsiasi altro giorno
dell’anno
avrebbe anche dato fastidio, ma non lì, non in quel momento:
era il clima
ideale per stemperare i nostri bollori e accompagnarci energicamente
verso la
nostra direzione. Le foglie degli alberi danzavano assieme alle fiamme
delle
lanterne, in un caleidoscopio di ombre e luci che si proiettavano su di
noi. Le
acque scure del lago che raggiungemmo riflettevano ogni minima fonte di
calore,
dalla lampada in mano all’omone alle luci degli alloggi di
Hogwarts,
increspandole ed espandendole verso l’orizzonte, come se
venissero spalmate nella
notte.
C’erano una
dozzina di piccole imbarcazioni di legno ormeggiate sulla
riva del lago, in ognuna delle quali potevano salire
all’incirca tre o quattro
bambini.
-Su, ragazzi! Ognuno
carichi i propri bagagli sulla barca che le spostiamo
in acqua.
La gigantesca palla di
pelo si rimboccò le maniche ed iniziò a spingere
le barchette che erano già cariche e ci sistemò
sopra, poco prima che
prendessero il largo, gli studenti, prendendoli in braccio. Anche io,
Miller e
le due ragazze fummo disposti su una di quelle imbarcazioni ed
iniziammo la
traversata.
Le barche si muovevano
autonomamente, niente e nessuno le trainava o
usava i remi per manovrarle, semplicemente andavano avanti. Il lago era
molto
vasto e a causa dell’oscurità non se ne vedeva con
esattezza la riva opposta,
ma era comunque chiaro che stavamo facendo il giro largo del castello,
poiché
vedevo che i ragazzi degli altri anni erano già in dirittura
d’arrivo, mentre
noi eravamo ancora in alto mare.
Il viaggio fu abbastanza
lungo, così mi permisi di dare una sommaria
occhiata agli studenti che mi avrebbero fatto da compagni di classe.
Tutte le
barche contenevano una gran quantità di bauli e valigie e,
tranne una,
esattamente quattro ragazzi. L’unica con un solo bambino a
bordo era quella
condivisa con l’energumeno, che già da solo
ingombrava l’intera scialuppa,
mentre le altre seguivano uno schema ben
definito: le ragazze e quelli più esili davanti, mentre i
maschietti più
robusti dietro. Io e Miller, infatti, eravamo seduti nella parte piatta
dell’imbarcazione, mentre Amanda e Kathleen stavano voltate
sull’incurvata
prua: una posizione che non sembrava affatto comoda.
Continuando il tragitto,
dato che il castello si faceva sempre più
incombente e definito, ne potei ammirare le mura più esterne
e le vetrate più
basse: era veramente un palazzo molto antico, tanto da pensare che
avesse
almeno mille anni, visto che la pietra di cui era fatto era dello
stesso colore
dei manieri che si vedevano nelle fiabe ambientate nel medioevo. Le
parti in
ombra davano un colore grigiastro all’occhio, mentre quelle
alla luce dei falò
un pallido color sabbia: era impossibile decidere quale dei due fosse
quello
naturale al momento, l’avrei potuto verificare soltanto
l’indomani mattina. Tra
le rocce su cui poggiava il maniero c’era un canale di scolo
chiuso da una
grossa grata e giurai di aver visto passare l’ombra di un
ratto, ma non ne ero
sicuro e non potevo chiederlo ai miei vicini, poiché
ipnotizzati da ciò che ci
si parò davanti: una lunghissima e contorta scalinata saliva
ripidamente verso
la parte retrostante del castello: tutta era illuminata da numerose
fiaccole
che la rendevano una specie di camminatoio stellato ed alla sua base
una
piccola casetta di legno faceva da rimessa per piccole imbarcazioni.
Le barche, una alla
volta, entrarono nella struttura per permetterci di
sbarcare e svuotare il carico, poi, sempre con il massimo ordine, si
fecero
issare da un sistema di carrucole che le posizionava in determinati
stipetti
del deposito, il tutto senza alcun intervento umano.
-Lasciate i bagagli qui
fuori, ci penserò io a portarli di sopra, nel frattempo
salite le scale e troverete il custode ad attendervi. Sarà
lui ad accompagnarvi
alla Sala Grande, fate presto su!
Posammo i pacchi alla
base della scalinata, dove ci aveva indicato, e
iniziammo a salire quell’interminabile quantità di
gradini. Lasciai lì Muthsera
da solo con un pizzico di preoccupazione, ma sapevo che non gli sarebbe
successo nulla.
-Che emozione!
-Che bello!
-Che freddo!
Erano tutte opinioni
veritiere e condivisibili, soprattutto l’ultima:
l’aria frizzante di prima s’era trasformata ben
presto in gelo e l’umidità
assorbita durante il passaggio del lago non fece certo bene alle nostre
ossa.
La via era molto contorta: ogni trenta o quaranta gradini, dovevamo
cambiare
rampa per continuare nel verso opposto di quello da cui provenivamo; il
corrimano
era freddo e ruvido e, data la bassissima temperatura che ci aveva
irrigidito
le dita, toccarlo sarebbe stato sinonimo di dolenti tagli. Esausti,
infine,
raggiungemmo la cima che ci piazzò dinanzi ad un cortile in
pietra dentro il
quale ci stava aspettando un anziano signore che reggeva una lampada ad
olio con
un gatto spelacchiato rannicchiato sugli scarponi.
-Umh, bene, seguitemi.
La voce del custode era
rauca come se fosse passata prima per una
grattugia e poi arrivata alle nostre orecchie, ma non era
l’unica cosa strana
di quell’uomo: innanzitutto zoppicava con la gamba sinistra,
probabilmente
perché era più corta di quella di destra, dato
che sembrava funzionasse bene;
indossava un frac beige di almeno tre misure più grande, la
cui coda strusciava
vistosamente a terra e come ultima cosa, di certo non per importanza,
avanzava
impettito con quel gatto dagli occhi rosso sangue che gli si infilava
sempre
tra le gambe, la qual cosa lo obbligava, a volte, a fare passi
più lunghi del
normale; e per uno che già di suo zoppicava, era proprio uno
spettacolo. Alcuni
dei miei coetanei non riuscirono a trattenere qualche risatina, ma
l’austero
personaggio, o non li aveva sentiti, o semplicemente non se ne
importava.
Il grande portone di
ingresso era già spalancato ed al nostro passaggio
il custode lo richiuse dietro di noi, lasciandoci da soli davanti ad
un’alta
statua in bronzo. La sala era fin troppo illuminata, ma era normale: le
torce a
combustione non gonfiavano mica la bolletta. Alla nostra destra
c’era un enorme
ambiente pieno di scale, ma nessuno osava uscire dal gruppo per andare
a darci
un’occhiata; dinanzi a noi, invece, c’era un'altra
grande porta, meno
massiccia, ma ugualmente imponente da cui proveniva la cacofonia di
centinaia
di voci: era chiaro che gli altri erano lì dietro.
Un’anta della
porta si aprì leggermente e ne emerse una figura esile ed
elegante, con un cappello a punta che ne sembrava rispecchiare
simmetricamente
la forma affusolata del bacino.
-Benvenuti ad Hogwarts,
studenti del Primo Anno. Sono la professoressa
McGranitt e sarò una dei vostri insegnanti qui a scuola. Fra
poco ritornerò e
vi accompagnerò dal Cappello Parlante, che vi
smisterà nelle varie Case dei
quattro fondatori. Nel frattempo, cercate di distribuirvi in ordine
alfabetico,
così all’appello
eviteremo di perdere tempo
nel cercare gli studenti. Vi prego di aspettate qui.
Non appena
rientrò nella sala, chiudendo la piccola apertura che aveva
aperto poco prima, tutti iniziarono a guardarsi in modo indagatore,
come per
leggere in faccia all’altro qualche indizio che gli potesse
suggerire il
cognome esatto. Neanche a me era venuta qualche idea sul come fare a
mettersi
in ordine senza nemmeno conoscersi, ma per fortuna un ragazzo poco
dietro di me
prese l’iniziativa.
-Quelli il cui cognome
inizia con la A vadano avanti, B poco dietro, C
ancora più indietro e così via... Non
è difficile!
Era un’idea
semplice ma efficace in effetti: non serviva per forza che
fossimo in ordine esatto, anche indicativamente andava bene. Al massimo
qualcuno col cognome che iniziava per C sarebbe potuto trovarsi in
mezzo a
quelli con la B per iniziale, nulla di grave. Cercai di mettermi un
po’ più
indietro per far spazio a coloro il cui cognome iniziasse per A, ma a
quanto
pare nessuno rientrava in quella categoria. Così mi ritrovai
in prima fila con
Miller e ad altri quattro ragazzi, uno dei quali lo conoscevo
già.
-Ciao, ci rincontriamo
finalmente. Emanuele, vero?
-Sì, ciao
Fred!
La McGranitt
tornò da noi, aprendo la porta per intero questa volta ed
invitandoci ad entrare. La Sala Grande, così come
l’aveva chiamata l’armadio a
tre ante del barcaiolo, aveva un nome del tutto azzeccato: appena
entravi, ti
sentivi letteralmente minuscolo, dato che sia in altezza che in
lunghezza non
se ne vedeva la fine. Il tetto era veramente invisibile,
poiché delle nuvole ed
un cielo stellato lo coprivano: non aveva senso perché
eravamo certamente
ancora all’interno del castello, ma era così.
Delle candele galleggiavano
inerti nello spazio, ma la maggior fonte luminosa della stanza erano le
alte
fiaccole poste ad ogni intermezzo tra un pilastro ed un altro. Questi
ultimi
erano adornati con dei lunghi arazzi delle quattro Case fondatrici:
erano di
colori accesi e primari, in modo da renderli subito riconoscibili,
anche se non
se ne osservavano gli stemmi. Grifondoro, a discapito del nome, portava
colori
rossicci; Corvonero era distinto dal colore blu; Serpeverde da un verde
acido,
mentre la casata color giallo non era Grifondoro, bensì
Tassorosso. Per
attraversare la sala era necessario percorrere un lungo percorso
segnato da un
tappeto bordeaux che passava esattamente tra le fila di tavoli in cui
erano
seduti i ragazzi degli altri anni. Centinaia di coppie di occhi che ci
guardavano, studiavano e, quasi sempre, schernivano erano sopra di noi
e tra le
loro voci e la strana musica di sottofondo che accompagnò il
nostro ingresso,
era difficile capire persino le parole di chi mi stava a due passi di
distanza.
-Chissà dove
ci smisteranno...
Fu l’unica
parte della frase di Miller che riuscii a comprendere.
Dagli, dagli, senza sbagli
fa che la pozione quagli
dagli, dagli, senza sbagli
fa che la pozione... Quagli!
Quale arcano arriverà!
-Grazie al nostro professor
Vitious ed al suo coro Voci dallo Stagno!
Una meravigliosa melodia di benvenuto interpretata magistralmente da
tutti i
suoi membri che, ricordiamo, sono stati in tournée
l’intera estate. Un
bell’applauso!
Clap! Clap!
Mentre il nostro gruppo si
avvicinava al termine del pellegrinaggio, il coro di studenti, che a
quanto
pare aveva cantato e suonato per noi, accompagnato dal suo maestro, un
piccolo
ometto baffuto, si faceva da parte per permettere alla professoressa
McGranitt
di prendere posto dinanzi a noi.
Il professor Vitious ci osservò
attentamente mentre faceva i complimenti ai suoi allievi e dava qualche
pacca
alle grassissime rane canterine che, non so come, riuscivano a produrre
musica
da sala tramite le loro corde vocali. Assieme alla sua attenzione
avevamo
quella dell’intero corpo insegnanti: dietro un lungo tavolo
rettangolare
sedevano più di una dozzina di facce serie e
tutt’altro che rasserenanti che,
ne ero certo, di lì a poco avrei imparato a temere. Ancor
più indietro, erano
presenti quattro grosse clessidre dorate che sfidavano la legge di
gravità: la
parte con la sabbia, infatti, non stava sotto, ma sopra.
-Bene, ora nominerò ognuno di voi
per nome e verrete qui e vi siederete su questa sedia per farvi
smistare nelle
varie Case, che sono: Grifondoro...
Ed indicò il tavolo alla sua
sinistra:
Yeeehh!
-Tassorosso...
Un'altra ovazione provenne dal
tavolo un po’ più centrale.
-Corvonero...
Fischi e un battere di piedi in
terra arrivavano dal tavolo sinistro del lato orientale della sala.
-E Serpeverde.
Dall’ultimo tavolo all’estrema
destra non provenne alcun fischio o urlo, solo qualche sporadico
applauso.
-Per questo compito ho con me il Cappello
Parlante, il quale ha il piacere di presentarsi da solo a tutti voi e
spiegare
il motivo delle sue scelte, prego.
La professoressa sollevò un
vecchio cappello a punta in stoffa scura, logoro e rattoppato. Lo
poggiò sulla
sedia al centro del palco e da inanimato com’era
improvvisamente prese vita e
assunse forma di un viso umano; scuotendo le pieghe del tessuto per
mimare il movimento
delle labbra, iniziò a cantare:
-Un benvenuto a voi, o
giovani stregoni
che dinanzi a me vi vedo
coi magoni,
dell’esito
però paura non abbiate
perché sempre al
posto giusto con me vi collocate.
Debolezze,
virtù, di voi io tutto leggo
e state certi, che un buon
giudizio posseggo.
Finirete in Grifondoro, la
Casa dei leoni,
che di lealtà e
coraggio sono i padroni?
O forse in Corvonero, che
della scienza suo vanto fa,
perché in questo
mondo gente in gamba sempre servirà!
Ci sono anche i Tassorosso,
pazienti come il mondo
benché
scoppiasse il Caos, continuerebber il girotondo.
Vengon per ultimi i
Serpeverde, che son primi nel lignaggio,
ma questo non li giustifica
a non moderar il linguaggio!
Quindi di me non abbiate
paura
che non vi lancio mica una
fattura!
Son obiettivo e sono anche
un cantante
potete fidarvi del vostro
Cappello Parlante!
Per tutta la durata della canzone
non potei far altro che provare imbarazzo per lui.
-Terribile, davvero...
-Bene, ora possiamo procedere con
il primo della lista, vediamo un po’...
Ero molto teso, non sapendo cosa
aspettarmi, ma per fortuna non sarei stato il primo, c’era
almeno Frederick
prima di me, e questo mi sollevava un pochino.
-Sullivan Bones!
Il ragazzo a fianco di Miller si
fece avanti, salendo i pochi gradini che separavano il resto della sala
dal
palco degli insegnanti. Notai che anche lui era parecchio agitato, ma
chi non
lo sarebbe stato al suo posto.
Sedutosi sull’elegante sedia in
legno, la McGranitt posò delicatamente sulla sua testa il
Cappello Parlante,
che iniziò immediatamente a mugugnare:
-Vediamo... Dove ti posso
collocare... Sì! No, anzi no, meglio... Tassorosso!
Siii!
Gli studenti di Tassorosso
iniziarono a scaldarsi per l’arrivo del nuovo membro che,
dopo essersi fatto
togliere il cappello, si diresse subito verso il tavolo dei suoi nuovi
compagni
per prendere il primo posto vuoto disponibile. Io a quel punto mi
sentii ancor
più apprensivo riguardo il mio destino, perché
quella casata, Tassorosso, non
mi piaceva per niente. Inizialmente per il nome sciocco, Tassorosso:
era
stupido, poco accattivante e demotivante, poi per il colore troppo
generico ed
infine per i suoi membri, quasi tutti rossicci o biondi, sarei stato
l’unico
bruno del gruppo, mi venivano i brividi al solo pensiero.
Già da piccolo mi trovai in una
situazione simile: durante il giuramento scout fummo smistati nei vari
branchi
di lupetti e mentre i miei amici vennero affidati ai Neri, Bianchi,
Grigi e
Pezzati, io finii nel tremendo branco dei Fulvi, l’unico
gruppo con le
medagliette color rosso pomodoro e rosa carne. Fu umiliante dover
rivelare ai miei
genitori di esser stato assegnato ai Fulvi: quelli col colore che
nessuno
conosce se non dopo l’aver effettuato una ricerca sul
vocabolario. Non volevo
ripeterne l’esperienza con Tassorosso.
-Accidenti Miller, non voglio
finire in quella Casa per niente al mondo!
-Ah, nemmeno io se per questo.
-Perché io si?
A quanto pare era un’opinione
comune tra i nati col cognome la cui prima lettera era la B.
-Io non ho dubbi: finirò in Grifondoro,
devo andarci, quella Casa è fantastica: vince da due anni di
fila sia la Coppa
delle Case che il torneo di Quidditch della scuola, perciò
vincerà anche quest’anno.
E vincere una Coppa delle Case significa pure avere voti migliori in
pagella, è
un’occasione d’oro, non la si può
lasciar fuggire!
Avevo letto di questi tornei
amichevoli in uno dei libri che mi aveva dato ser Richard, ma a me
interessava
più il trovarmi bene con i compagni di Casa, che
l’ottenere un’aiutino coi
voti. Anche se ad avere entrambe le cose non sarei rimasto affatto
scontento.
-Si, ma se vi manda lo stesso a
Tassorosso, voi che fate?
-Ma no che non lo farà, il
Cappello Parlante prende in considerazione ciò che noi
vogliamo veramente.
Basta che tu pensi con tutto te stesso di finire assieme a me nei
Grifondoro e
lui ti ascolterà.
-Ma che stupidaggini vai dicendo, la
fai troppo semplice la cosa; se fosse davvero così non
avrebbe alcun senso
utilizzare uno strumento che fa qualunque cosa tu gli dica di fare,
tanto valeva
farci scegliere liberamente e basta.
Fred aveva azzeccato il punto in
pieno.
-E’ così, lo so, me lo hanno
detto. Il Cappello Parlante lo si usa solo per tradizione, ma sono anni
ormai
che il suo modo d’agire lo conoscono praticamente tutti.
Fidatevi!
Non mi convinceva del tutto, ma
tanto valeva fare un tentativo, pensai.
-Frederick Bowen.
Fred si mosse, più tranquillo del
ragazzo di prima, ma lo stesso non molto a suo agio. Anche sul suo
capo, la
McGranitt appoggiò il cappello.
-Uhm, credo di aver già capito
dove possa trovarti bene, sì mi sembra azzeccato...
Serpeverde!
Un fragoroso applauso provenne dal
tavolo dei Serpeverde e qualcuno dietro di me gli urlò:
-Vai Fred!
Evidentemente era un suo amico.
Fred Bowen comunque sia fece cenno di ringraziamento per gli applausi
ricevuti
e si sedette accanto ad uno studente Serpeverde alto e muscoloso,
probabilmente
degli ultimi anni.
-Miller McBumble!
Solo allora realizzai che Miller
di cognome facesse McBumble e non solo Bumble, perciò intuii
che per gli
inglesi non c’era alcuna differenza tra le due versioni, cosa
veramente strana.
-Ohohoh, so bene dove ti posso
collocare, senza alcun dubbio... Tassorosso!
Oh cavolo, altro che il
Cappello ti piazza in Grifondoro se ne sei realmente
convinto! Qui finiamo tutti in Tassorosso, che guaio...
La minaccia del giallo in divisa
si faceva sempre più incombente, ma non avevo altro tempo
per riflettere sulla
gravità della situazione perché subito dopo
arrivò il mio turno:
-Emanuele Burgh, no... Burgo...
Forse Burghio?
Nessuno dei tre...
-Burgio, Bur-gi-o!
-Burzio? Perdonami, lo imparerò
col tempo, vieni ora, su! Sei tu, vero?
Certo che sono io, che
figuraccia, proprio davanti a tutti...
Avanzai lentamente verso la sedia
ed il cappello del destino, così lentamente che ad un certo
punto sembrai
fermo, tutto perché cercavo di ripetermi dentro la testa
più volte possibile
queste disperate parole:
No Tassorosso! Non
Tassorosso. Tutto tranne Tassorosso. Va bene
Grifondoro, va bene Corvonero, anche Serpeverde, ma non Tassorosso.
Tassorosso,
no! Grifondoro, Serpeverde e Corvonero, si!
Senza nemmeno posare uno sguardo
al povero Miller, nuovo fiero membro dei Tassorosso, mi sedetti
chiudendo gli
occhi, aspettando l’esito del Cappello.
Sentii sull’orecchio destro lo
spostamento d’aria provocato dal movimento del braccio della
professoressa ed
una leggera pressione sul mio cranio. Aspettai un po’, poi...
Kiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiith!!!!!!
Un infernale stridore mi perforò i
timpani. La fonte era vicina, molto vicina, vicinissima, praticamente
nella mia
testa. Mi tappai le orecchie, ma servì a poco, il rumore era
troppo potente e
troppo penetrante per poterlo attenuare sotto la soglia del dolore.
Sentivo
come un sottofondo di urla di dolore, probabilmente appartenevano agli
altri
ragazzi della sala che, come me, stavano soffrendo da morire.
La McGranitt, mai abbastanza in
fretta, mi staccò dalla testa il cappello ormai impazzito e
lo tenne innalzato
per qualche secondo. Vedendo che non cessava di emettere
quell’infernale
rumore, si rivolse indietro verso i suoi colleghi che accorsero subito
per
darle una mano. Nonostante tenessi gli occhi socchiusi in quel momento,
riuscii
a vedere la reale preoccupazione dei docenti e capii, quindi, che non
doveva
trattarsi di un problema tecnico che capitava di frequente. Il
più anziano dei
docenti, nonché quello con la barba più lunga,
prese in mano il Cappello e
chiamò a se due suoi colleghi, uno dei quali era il
professor Vitious. Assieme
presero la porta alle spalle della Sala Grande e sparirono. Lo stridere
del
Cappello era ancora forte e chiaro, ma almeno non si sentivano
più le tonalità
peggio sopportabili dell’urlo, così potemmo
tornare a liberare le orecchie. La
professoressa era un fascio di nervi e, anche se non voleva lasciarmi,
dopo un
po’ di riluttanza, seguì i suoi colleghi fin
dentro quella stanza. Mi ritrovai,
infine, da solo seduto su quella sedia con tutti gli occhi puntati
addosso.
Cercai di non guardare nessuno e di fissare le mie mani che poggiavano
sul
margine del sedile.
Dopo una serie di interminabili
minuti con l’attenzione di tutti puntata addosso ed il mio
imbarazzo arrivato
alle stelle, finalmente il Cappello finì il suo lamento.
Sulla sala piombò un
cupo ma riposante silenzio che durò poco, visto che si
tornò a chiacchierare
dopo poco tempo. Le orecchie continuavano a fischiarmi, e rendevano
tutti i
suoni un po’ più ovattati, ma confidavo nella
speranza che l’effetto fosse
temporaneo e non c’avessi rimesso permanentemente
l’udito. Il ritorno alla
normalità intensificò anche
l’attività mentale, che, nei lunghi momenti in cui
continuai a rimaner solo, riprese a pensare a quanto accaduto prima.
Cosa
diamine era successo? Perché a me? E come mai sembrava che
nemmeno i professori
sapessero ciò che stava avvenendo? Sapevo che quelle erano
domande le cui
risposte non potrò avere mai, ma non potevo fare a meno di
chiedermelo.
-Scusate l’incidente, è stato
un
semplice malfunzionamento del Cappello, tornate calmi e continuiamo lo
smistamento; può capitare.
Le scuse poco credibili di quello
che probabilmente era il preside, data l’importanza della sua
figura, misero
comunque a tacere tutti quanti e tanto bastava per far continuare il
programma
della serata.
La mano della McGranitt questa
volta tremava, forse perché temeva che il Cappello Parlante
potesse andar di
matto di nuovo, il che non era certo incoraggiante. In ogni caso ero
pronto a
tapparmi nuovamente le orecchie, se ce ne fosse stato il bisogno.
Non appena il Cappello sfiorò uno
dei miei capelli, comunque, emanò il verdetto:
-Serpeverde!
Nessun applauso questa volta, né alcuna
ovazione. Ero stato assegnato alla casa di Serpeverde ma era come se mi
avesse
appena rivelato di essere contagioso. La McGranitt stessa ritrasse il
Cappello
prima di subito e gli altri insegnanti mi osservarono con somma
preoccupazione.
Presi posto proprio di fronte a Fred e a fianco di un ragazzo un
po’ pallido,
ma nessuno di noi aveva voglia di far conversazione.
Passai il resto degli smistamenti
a fissare il calice di vetro che avevo trovato all’altezza
del mio posto e ad
immaginarmi di stare da solo, senza i fastidiosi bisbigli che mi
sparlavano
dall’inizio della serata. Seguii con attenzione solamente gli
esiti di Amanda e
Kathleen, ma nessuna delle due finì con me o con Miller:
Amanda era adesso una
Grifondoro, mentre Kathleen una Corvonero. Era sicuramente curioso il
fatto che
in quella cabina del treno erano destinati ad incontrarsi tutte e
quattro le
diverse sfaccettature di Hogwarts. Anche altri studenti erano stati
affidati a
Serpeverde, ma non riuscii a ricordare i loro nomi, eccetto quello di
Rupert
Runcorn, che era l’amico intimo di Fred e che si era seduto
immediatamente al
suo fianco e di Brendan Callaghan, il mio vicino, nonché
l’unico che osò rivolgermi
la parola da quel fatto del Cappello.
-Piacere, Dan!
-Dan? Ma non ti aveva chiamato
Brendan la McGranitt?
-Sì, è per accorciare. Tu
invece?
Come ti fai chiamare?
Non sapevo cosa rispondere,
nessuno aveva mai trovato per me diminutivi diversi
dall’infantile Manu, perciò
confermai il mio vero nome, sembrando un tipo che non voleva prender
confidenza
ed ammazzando l’unica possibilità di conversazione
che mi si era presentata.
Ben fatto.
Per fortuna, comunque,
l’intervento del preside monopolizzò
l’attenzione, evitandomi di continuare
nella mia solitudine.
-Benvenuti! Benvenuti ad un altro
anno qui ad Hogwarts!
Il dirigente aveva una postura
altera e sicura di sé. Non dimostrava certo di essere nel
fiore degli anni, ma
nemmeno l’età che solo un uomo con una barba
più lunga del proprio corpo poteva
avere. Indossava delle piccole lenti sorrette solo dalla gobba del naso
ed un
mantello argentato che, nei tratti in cui entrava in contatto con la
sua
barba, creava una
sorta di platinatura
imperiosa. I suoi passi erano lenti e pacati,
tant’è che prima che arrivò al
leggio a forma di gufo, aveva già finito i convenevoli da un
pezzo. Al suo
arrivo le ali del metallico volatile si schiusero, accompagnandolo
nella presa
del sostegno. Una volta pronto, continuò:
-Anche quest’anno ho qualche
annuncio e consiglio da darvi, alcuni dei quali veramente importanti,
perciò
prestate attenzione e non distraetevi in modo da farmi finire
abbastanza presto
per permetterci di gustare al meglio questo delizioso banchetto. Come
molti di
voi sapranno, vivendolo sulla propria pelle a bordo
dell’Espresso per la nostra
scuola, Hogwarts è stata costretta dal Ministero, per
garantire la massima
sicurezza agli studenti e al personale didattico, di ospitare alcuni
dei
Dissennatori del carcere di massima sicurezza di Azkaban. Non si
tratterà di
una convivenza facile, perciò vi chiedo di esercitare la
massima prudenza e di
non lasciare i locali scolastici senza autorizzazione; anche mentre vi
parlo,
decine di Dissennatori stanno setacciando ogni angolo del castello alla
ricerca
del criminale Sirius Black.
Scioccamente tutti quanti, io
compreso, ci voltammo verso le vetrate, per vedere se si notassero le
ombre dei
Dissennatori all’esterno, ma dato che fuori c’era
buio pesto, tornai ad
ascoltare il vecchio professore.
-Per i più spavaldi e coraggiosi,
consiglio vivamente di abbandonare qualsiasi idea di sfidare o
provocare questi
esseri: non possono essere ingannati o confusi, né tantomeno
schiantati. Sono
creature malvagie, non faranno distinzione tra chi danno la caccia e
chi si
trova sul loro cammino; non è nella natura di un
Dissennatore provare pietà o
perdonare. Per questo, ho avvisato tutti i prefetti ed i capiscuola,
compresi
quelli nuovi, di vietare categoricamente qualsiasi interazione tra essi
e gli
studenti, anche tramite l’assegnazione e
l’applicazione di provvedimenti
disciplinari.
A queste parole un sorrisetto
maligno si stampò sul volto del grosso ragazzo al fianco di
Fred.
-Voglio comunque ricordarvi una
cosa molto importante, nel caso vi troviate alle strette: la
felicità la si può
trovare anche nei momenti più tenebrosi, se solo ci si
ricorda... Di accendere
la luce.
Una frase insensata ma d’effetto,
senza dubbio. Specie quando fece cenno all’accensione della
luce ed
effettivamente la candela alla sua sinistra prese fuoco.
-E adesso un avviso specifico a
tutti i nuovi studenti del primo anno. Siete stati smistati ognuno
nelle case
in cui i propri caratteri e potenzialità possono trovare un
ambiente favorevole
e di soddisfazioni, ma vi prego di fare attenzione ad un determinato
particolare. La storia dell’uomo non è segnata dal
destino, ma dalle scelte che
fa. Se oggi la vostra vita vi mette dinanzi ad un determinato percorso,
percorretelo, ma sappiate che mai nulla potrà inibire il
vostro volere, le
vostre reali intenzioni. La cosa più importante che
imparerete qui a Hogwarts
non è la magia, ma la consapevolezza dei vostri poteri ed il
giusto impiego di
essi. Non sentitevi obbligati a percorrere sentieri oscuri
perché le altre vi
sono precluse: come ho detto prima, è sempre possibile
accendere una luce.
Quest’ultimo discorso sembrava
d’esser rivolto particolarmente al mio tavolo, da quante
volte mi è parso
vederlo ammiccare nella nostra direzione. E se non fossi stato certo
che era impossibile,
avrei pensato che ce l’aveva direttamente con me.
-Vi prego di pazientare un altro
po’ per potervi dare gli ultimi, piacevoli, annunci. Come ben
sapete, il
professor Allock ha avuto uno spiacevole incidente durante lo scorso
anno
scolastico, che gli ha impedito di poter riprendere la cattedra
affidatagli,
perciò vi presento il nuovo insegnante di Difesa Contro le
Arti Oscure, il
professor Remus Lupin, che ha gentilmente accettato la mia offerta,
salvando la
scuola da sicuri pasticci.
Un sacco di applausi si levarono
per accogliere il professore che ci aveva salvati dai due Dissennatori
durante
il viaggio, il quale, fortemente imbarazzato, si inchinò per
ringraziare.
-Devo presentarvi però ancora un
altro membro del corpo insegnanti. Il professor Kettleburn,
l’insegnate di Cura
delle Creature Magiche, ha finalmente deciso di andare in pensione per
far
riposare gli arti che gli restano, perciò credo siate felici
come lo sono io di
sapere che il suo posto verrà preso, niente popò
di meno, dal nostro Rubeus
Hagrid, che, da quest’anno, oltre a continuare a svolgere la
sua mansione di
guardiacaccia, potrete chiamare professore. Un bell’applauso
anche per lui.
Non mi ero neanche accorto che
l’uomo che ci aveva condotti lungo il lago fosse entrato in
sala e salito fino
al tavolo degli insegnanti, dovevo essere parecchio depresso. Hagrid,
comunque,
per cercare di imitare il comportamento del professor Lupin,
cercò di alzarsi
dalla sedia per inchinarsi agli applausi che riceveva, ma per via della
sua
mole che lo costrinse a sbattere con le ginocchia al tavolo, ottenne
solo il
rovesciamento di tutti i calici ed i boccali presenti sul tavolo.
Sarebbe stato
parecchio difficile chiamarlo professore.
-Ora che le cose importanti da
dire mi pare si siano finite, che cominci finalmente il banchetto!
Immediatamente sul tavolo
apparvero decine e decine di leccornie, in piatti giganti e dalle forme
più
disparate: c’erano il piatti tondi che contenevano verdure
tagliate e decorate
finemente con altri cibi o dei semplici fiocchi di carta colorata, i
piatti
quadrati ospitavano le carni bianche, quelli rettangolari i costati e
le
frattaglie, mentre quelli esagonali frutta e sorbetti. Non mancavano
quelli con
forme meno regolari, come gli stellati, i trifogli o i cristalli a tre
punte:
ognuno di essi contenevano un tipo diverso di dolci, che
rappresentavano la
portata principale di questo banchetto. Decisi di prendere solo del
semplice
pane dolce e zuppa di legumi, con qualche polpettina fritta tra un
boccone e
l’altro, sia per non appesantirmi troppo, dato che il giorno
dopo ci sarebbero
state lezioni, sia per evitare di trovare qualcosa che non fosse di mio
gradimento e lasciare il piatto con il cibo intatto, come farebbe un
bambino
viziato.
-Non lo prendi il succo di
cinghiale?
Mi domandò Brendan Callaghan
indicandomi una caraffa col tappo a forma di testa di scrofa.
-No, no, preferisco della semplice
acqua.
-Ma è buono! Non è mica fatto
di
cinghiale, se è questo che ti preoccupa. E’
soltanto uno sciroppo gassato
all’aroma delle bacche che solitamente mangiano loro, per
questo si chiama
così! Gnam! In Italia
non lo bevete?
-No, purtroppo no. Lì vige la
monarchia del grappino.
-E cos’è? E’ buono? Chomp!
-No, è alquanto alcolico...
-Quindi fanno bere anche i
bambini? Strano... Glop!
-No, noi abbiamo... Lasciamo
perdere.
Se avessi risposto con un nome a
caso delle bibite babbane, mi avrebbe sicuramente domandato di cosa si
trattasse, trascinandomi in un circolo infinito. E poi, mi stava
veramente
innervosendo il fatto che mangiasse mentre parlava.
-Muahahah!
Una risata spettrale giunse dal fondo
del tavolo. Ed infatti di quello si trattava, di uno spettro. Ma non
era il
solo: altri fantasmi iniziarono a comparire un po’ ovunque
nella sala e, mentre
alcuni si fermavano a salutare, altri erano buoni solo a far baccano.
Questo
era uno di quelli chiassosi.
-Si si, tagli pure l’arrosto Barone...
Quel che sembrava il fantasma di
Capitan Uncino, assunse una posizione da scherma e, incitato dalla poca
entusiasta espressione di un Serpeverde, tagliò di netto il
pezzo intero
dell’agnello, non facendogli nulla.
-Ben fatto. Mi presento a voi
nuove leve, sono il cosiddetto Barone Sanguinario, fantasma designato
della
Casa Serpeverde, nonché condannato alla sofferenza eterna.
Il mio compito è
quello di assicurarmi che non disturbiate la quiete dei Sotterranei,
luogo dove
sconto la mia eterna solitudine condividendo gli spazi con voi della
Casata del
Serpente. Ecco, la mia visita è finalmente compiuta, posso
andarmene...
Il fantasma voltò le spalle al
nostro tavolo ed iniziò a sprofondare nel terreno, forse si
stava recando
proprio nei Sotterranei che aveva appena nominato.
-Non fateci caso, è totalmente
matto. Non è una gran rottura, sta sempre per le sue la
maggior parte del
tempo, ma se sfortunatamente lo incontrate lui cercherà in
tutti i modi di
intimorirvi, fategli sempre credere che ci riesca, o vi
infilzerà con la sua
spada un milione di volte tentando, inutilmente, di uccidervi.
Solitamente
bazzica dalle parti del bagno, per cercare di pulirsi i vestiti dal
sangue di
non so quale donna che pugnalò quand’era in vita,
perciò ora che lo sapete,
evitate sempre di andare da quella parte e preferite i bagni del piano
terra,
tanto sono ugualmente vicini. A meno che non vi scappi proprio, in quel
caso
preparatevi a farla mentre avrete una spada trasparente piantata nel
petto.
Due dei ragazzi più grandi alla
mia sinistra risero di gusto, forse perché si stavano
immaginando la scena, o
magari erano a conoscenza di qualche retroscena che non potevo
immaginare,
fatto sta che notai che nonostante un fantasma mi apparve sotto il
naso, la
cosa non mi sorprese più di tanto, il che rendeva
sorprendente la mia ormai
quasi totale inclinazione all’indifferenza degli eventi
finora creduti
impossibili.
Al termine del lungo banchetto, il
preside si alzò dal tavolo adducendo che era l’ora
di tornare alle nostre Sale
Comuni per darci una veloce sciacquata e riposare per la notte, dando
l’ordine
ai prefetti di accompagnare i nuovi allievi per insegnargli la strada
più breve
per i loro dormitori. Quando iniziò ad allontanarsi per
ritirarsi nei suoi
alloggi, realizzai che non conoscevo neanche il nome del nostro
preside, perciò
chiesi al ragazzo che mi avvisò sul territorio del Barone
Insanguinato di
informarmi sul suo nome.
-Sapresti dirmi come si chiama...
Che figuraccia scampata per un
pelo: se non avessi riflettuto sul fatto che essere italiano non era un
alibi
credibile per non conoscere nemmeno il nome del direttore della propria
scuola,
sarei passato come un ignobile ignorante, perciò per
evitarlo dirottai la
domanda verso il tipo più sinistro tra gli insegnanti.
-Il professore proprio dietro il
preside?
-Ah, quello? E’ Piton... Imparerai
a conoscerlo molto presto, è il direttore della nostra casa:
fatti beccare con
le mani nel sacco e la sua sarà l’ultima faccia
che vedrai qui ad Hogwarts. Insegna
Pozioni, gran brutta materia, grazie a lui.
Quella breve descrizione ed il suo
aspetto da Conte Dracula, mi diedero le giuste informazioni per
inquadrarlo
come tipo problematico.
-Ci vediamo dopo, Kevin!
-Si, ciao!
I ragazzi più grandi salutarono
così il mio interlocutore, lasciandolo indietro. Lui invece
si fermò con noi,
pregandoci di metterci in fila ordinata.
-Serpeverde, adesso vi porterò
alla nostra sala comune, nei Sotterranei. Imparate bene il tragitto che
domattina ci daremmo appuntamento sempre qui per arrivare
nell’aula del vostro
primo giorno di lezioni. Il percorso sarà breve, seguitemi.
Usciti dalla Sala Grande ci
affacciammo finalmente all’ambiente che da già da
lontano sembrava immenso: un
locale enorme cosparso di quadri che collegava tutti i piani del
castello
tramite decine e decine di grossissime rampe di scale in pietra. Alcuni
livelli
a dire il vero sembravano isolati, ma il perché fu presto
chiaro: le scale si
muovevano autonomamente, finendo così per collegare due
piani che fino ad un
momento prima erano scollegati fra loro. Un’altra stramberia
da aggiungere alla
lista.
-Noi dobbiamo scendere solo due
rampe, quindi non ci sono problemi, ma per il futuro, quando vorrete
salire per
i piani superiori state attenti ai loro cambi improvvisi, vi potreste
trovare
senza terreno sotto i piedi da un momento all’altro. In
passato è capitato
anche qualche morto, per questo le piastrelle del pavimento sono
bianche e
rosse: per nascondere meglio il sangue!
Questa era chiaramente una bugia
bella e buona, ma il suo avvertimento nel fare attenzione non era certo
un
cattivo consiglio. Arrivati in fondo passammo per l’unica
porta presente e ci
addentrammo in un lungo corridoio scuro. L’illuminazione era
scarsa e la
maestosità degli ambienti dei piani superiori qui sembrava
essersene andata, in
favore di un cupe e polveroso stile decadente. Parecchie ragnatele
ammantavano
le fughe delle mattonelle in pietra, mentre gocce di condensa
imperlavano
statue ed armature, dando l’impressione che il luogo fosse
abbandonato a se
stesso. Le poche torce accese faticavano ad ardere per via
dell’umidità e le
grate ed i tombini aperti permettevano l’ingresso di ignoti
vapori color verde.
Ad un certo punto il gruppo si fermò.
-Proseguendo dritto si continua
per i bagni del Barone, a destra invece si scende ancora per poter
andare all’aula
di Pozioni e all’Ala Vecchia. Là non
c’è ormai nulla di utile, ma viene ancora
utilizzata come campo di esercitazioni, dato che è molto
ampia e piena di
celle. Inoltre serve per passare velocemente al castello posteriore,
senza
passare per il Viadotto. Noi invece ci fermeremo qui, è qua
che si trova la
nostra sala comune.
Probabilmente capii cosa volesse
dire, di fronte a noi c’era semplicemente un muro, ma gli
indizi facevano
pensare che fosse un altro muro ad apertura, come quello nel
retrobottega del
Paiolo Magico, quindi ci sarebbe bastato conoscere la giusta
combinazione di
colpi. A differenza delle altre pareti, infatti, questa presentava
diversi
stemmi scolpiti della Casa di Serpeverde tutt’intorno ad una
statua di
dimensioni pressoché umane di una grossa serpe pronta a
scagliarsi contro chi
osasse sfidarla; inoltre alla base non presentava canali di scolo,
facendo
intuire che dietro non c’erano tubi idrici, ma un passaggio
nascosto.
-Mi raccomando, ricordate la
parola d’ordine o non potrete più passare: solo i
Serpeverde la conoscono. Basilisco!
La statua iniziò ad inabissarsi
con rumore meccanico, le fiamme delle torce appese nei muri accanto
iniziarono
a tremare, spostando di volta in volta le ombre nel corpo del serpente
che
pareva mutare aspetto ed espressione via via che la sua altezza si
riduceva ed
un varco si manifestò sotto i nostri occhi.
-Basilisco? Cos’è un basilisco?
Fred mi diede subito una risposta.
-Come, non lo sai? Era una
creatura che abitava qui, proprio nel castello, e l’anno
scorso ha dato un bel
po’ di grattacapi ai figli di babbani, per poco non ci
scappava il morto, ah!
Il prefetto di nome Kevin
continuò, dando maggiori informazioni.
-Esatto, nessuno lo ha visto però,
dicono che sia un grosso serpente dallo sguardo assassino. Stavano per
chiudere
la scuola se solo.... Beh, se solo qualcuno non lo avesse fermato.
-Adesso è morto?
-Sì, il suo corpo credo riposi
ancora da qualche parte nel castello, ma stai tranquillo, anche se
fosse vivo
quello attaccava solo i nati babbani. I Serpeverde non hanno nulla da
temere,
adesso seguitemi che vi faccio da guida dell’interno.
C’è
davvero da stare tranquilli, del resto discendo da una nobile e
antica stirpe di maghi...
Superato il varco, trovammo i
nostri bagagli riposti in un angolo dello stanzino che fungeva da
anticamera all’intricato
complesso di scaffali e pareti attrezzate che ci si parò
davanti.
-Lì troverete i vostri effetti,
assicuratevi che ci sia tutto, mentre oltre questo cancello,
c’è il magazzino
della nostra Casa: la sua gestione è sotto la diretta
responsabilità dei
prefetti, perciò l’accesso è vietato a
chiunque non sia accompagnato da gente
autorizzata. La vera sala comune è invece qui avanti, non
preoccupatevi, è
molto accogliente.
Recuperando la mia roba, però,
scoprii con terrore che Muthsera non era più nella sua
gabbia e che questa
appariva ormai vuota.
Dove diavolo si
sarà cacciato? Stupido serpente!
Volevo rimanere per cercarlo con
più attenzione, ma il resto del gruppo stava per
allontanarsi troppo ed inoltre
pensando a chissà dove avesse deciso di darsi alla fuga,
decisi fosse meglio
lasciar perdere. Male che andava avrei utilizzato il gufo che mi
avrebbero
spedito i miei genitori, sperando non mi beccasse la testa.
Finalmente la nuova stanza in cui
entrammo aveva l’aspetto di un luogo vivibile e non da
gattabuia come il resto
dei Sotterranei. Scendendo pochi scalini ci si immergeva in un ambiente
settecentesco, con divani tappezzati di pelle nera, tappeti con
arabeschi
prettamente gotici, lampadari d’ottone e tendaggi di seta e
velluto. I colori
dominanti erano il nero, l’argento ed il verde scuro, tipici
della Casa di
Serpeverde, ma non mancavano altri elementi più colorati,
come il rosso del
fuoco che ardeva nel camino a sinistra, l’oro delle
decorazioni dei mobili ed
il blu del grosso acquario tropicale incassato nella parete
più interna.
Eravamo sempre sottoterra, anzi sotto il lago, ma non c’era
né odore di chiuso
e né l’umidità che si percepiva fino a
poco prima. Il camino faceva il suo
dovere bruciando legna facendola scricchiolare, ci si sentiva comodi e
rilassati nonostante la stanchezza che l’ora ci aveva
portato; i tavoli erano
disposti seguendo un ordine gerarchico ben preciso: quelli da
conversazione,
vicino il camino o tra le poltrone, erano sempre di piccole dimensioni
e
posizionati agli angoli della sala, quelli da studio erano larghi e
soprattutto
lunghi, massicci e posizionati al centro dei due cordoni a L in cui era
suddivisa la stanza. Di fronte ad una di essa era affisso un pannello
di feltro
incorniciato in legno su cui erano affissi alcuni avvisi; il prefetto
lo
raggiunse e controllò alcuni di quei foglietti.
-Ah, vedo che avrete Pozioni
domani la prima ora, perciò cambio di programma, inutile che
saliate fino alla
Sala Grande per poi tornare di sotto per recarsi a Pozioni,
perciò
l’appuntamento sarà qua stesso alle nove meno un
quarto: partiremo direttamente
da qui. Siate puntuali perché già a
quell’ora noi andremo avanti, il professor
Piton non ammette neanche un minuto di ritardo. Proseguendo oltre
questa tenda
arriverete ai dormitori, a destra si sale per quelli maschili, a
sinistra per
quelli femminili. Il primo anno solitamente impiega i letti della sala
più in
basso a sinistra, ora non so se qualche altra classe ha fatto di testa
sua non
rispettando l’ordine, ma solitamente non succede. Buona notte
e ci rivediamo
domattina. Ah, e benvenuti in Serpeverde!
-E basta Kevin! Vieni qua,
lasciali perdere quei mocciosi, se la sapranno cavare, non sai cosa
questo
furbone qui ha combinato quest’estate!
Finito il proprio dovere, il
prefetto svestì i panni dello studente responsabile e
tornò ad essere un
ragazzo qualsiasi fiondandosi sul divano dei suoi amici, elargendo una
sonora
sberla sulla nuca del ’furbone’
in
questione.
Visto che non rimaneva altro da
fare che salire in camera per disfare i bagagli, ci ritrovammo tutti a
fare la
fila per passare nella stretta fessura che divideva le stanze femminili
da
quelle maschili. A momenti sbattevo il muso contro il muro,
poiché lo spazio
libero, non appena si supera la lunga tenda scura, non era sufficiente
da
permettere a chi, come me, non aveva le mani libere per spostare il
telo ed
accorgersi della parete incombente; per fortuna la valigia
sbatté prima di me.
La scalinata era curvilinea ma breve, un paio di secondi ed arrivammo
già al
primo anello che conteneva le stanze degli allievi dei primi due anni.
Dopo
aver salutato le ragazze, entrammo nella stanza più a
sinistra per verificare
se fosse già impegnata, per fortuna non fu così.
La stanza era, come ci si
poteva aspettare, di forma semicircolare, con i letti disposti a
spicchio
d’arancia lungo le pareti curve ed una stufa a vapore su
quella piatta. I letti
erano a baldacchino, molto larghi e lunghi, sempre decorati in verde e
nero e
con attorno un bel po’ di mobili in legno, dove poter riporre
le cose. Curioso
l’incavo di fronte al letto, dell’esatta misura del
mio baule, utile perché una
volta posto lì, non si sarebbe più mosso.
Dato che non mi sentivo molto a
mio agio nel fare scoprire a tutti che fossi una nato babbano, nascosi
tutti i
miei vecchi averi “poco magici” sul fondo del
baule, Gameboy e cellulare fra
tutti: mi ero parecchio pentito di essermeli portato appresso. La
gabbia vuota
di Muthsera l’ho buttata con nervosismo sotto il letto,
mentre tutto il resto
lo posizionai nel giusto posto. Vedendo l’eleganza dei miei
compagni di stanza
anche nello stare in vestaglia, mi vergognai immensamente nel mostrarmi
col mio
pigiama nero che mi faceva apparire un mimo. Perciò anche se
avrei voluto
lavarmi i denti, preferii infilarmi subito nel letto e nascondere il
mio corpo
sotto le coperte.
-Vai già a dormire?
-Eh si, quel Piton mi preoccupa,
non vorrei proprio iniziare col piede sbagliato.
-Mi sa che hai ragione, è già
molto tardi e se non riposo a dovere domani rischio di non svegliarmi
proprio.
-Dite che Piton è così severo?
-Ne ho sentite di terribili,
credetemi.
-Conosci qualcuno che lo ha avuto
come professore?
-Qualcuno? La mia famiglia è
Serpeverde da sempre! Tutti i miei cugini lo hanno avuto come
insegnante e
nessuno ne è mai uscito psicologicamente integro.
-Oh, mamma...
Rupert però volle cambiare
argomento:
-Devo fare pipì, chi viene con me?
-Intendi nello stesso bagno del
Barone?
Nessuna risposta. In breve tempo
uno ad uno cademmo in un sonno profondo.
-Sveglia! Sveglia!
-Oh, cavolo, che
c’è... Non può esser già
mattina...
Infatti non lo era.
-Piano! Vuoi far sentire a
tutti che parli in serpentese?
-Muthsera? Che ci fai qui!
Credevo fossi scappato!
-Che cosa sciocca da
pensare... Dovevo nascondermi, il Trifors non ha
retto e mi sono ritrasformato in serpente. Ti ho seguito tutta la
serata,
passando per le tubature, ho aspettato che si fossero addormentati
tutti per
venire allo scoperto...
Per fortuna tra un letto e l’altro
erano presenti delle spesse pareti divisorie, quindi, a parte chi mi
aveva di
fronte che ronfava divinamente, nessun altro poteva vedere che
succedeva da me.
-Hai fatto bene allora...
Oh, hai mangiato? Vuoi che ti ritrasformi in
tritone?
-Aspetta, prima devo farti
vedere una... Cosa. Mentre ti cercavo, cosa
per altro non facile quando l’unica pista da seguire
è un odore in mezzo ad
altri mille, sono stato testimone di un evento che ti riguarda...
-Cioè?
-Credo tu lo sappia...
Durante la cerimonia d’apertura si è originato
un forte disturbo acustico, lo ho seguito ed ho trovato dei signori che
sembravano
molto agitati, mentre cercavano di porre fine
all’interferenza...
-Si lo so, io
c’ero, và avanti.
-Non so bene quel che ho
visto e sentito, ma l’istinto mi diceva di
continuare a seguire la scena anche se non capissi cosa si dicessero,
forse se lo
vedessi con i tuoi occhi comprenderesti senz’altro meglio.
Toccami.
-Eh? Che vuoi dire?
-Toccami e cerca di entrare
in sintonia, dannazione!
-Questa cosa non ha senso...
-Io sento che è
possibile, non so come, ma lo è, perciò ora
toccami,
altrimenti torno a cacciare topi che un paio al piano di sotto hanno
osato
sfidarmi lanciandomi del muschio in faccia...
-Ok, ok, capito, provo...
Toccai il corpo di Muthsera, era
terribilmente freddo e viscido, ma non successe nulla, allora provai a
toccarlo
sulla testa, ma ancora nulla, infine tentai con entrambe le mani, ma il
risultato fu sempre lo...
Sst!
Il mondo si fece più freddo e scuro
improvvisamente. Non avevo idea del dove mi trovassi, ma una cosa era
certa: c’era
un odore terribile. E non era solo l’olfatto il senso che
stava soffrendo,
tatto, udito e vista stavano implorandomi pietà comunicando
di allontanarmi da
quel posto infernale il più in fretta possibile. Era tutto
così lercio e
grinzoso che sporcavo e ferivo la pelle ad ogni mio movimento,
c’era un rumore terribilmente
ovattato che non mi faceva capire nulla e gli odori erano
così aspri e forti da
bruciarmi le narici. Il mio unico desiderio era di scappare, ma non
riuscivo a
muovere un muscolo, il massimo che potevo fare era chiudere gli occhi.
Ad un
tratto, senza rendermene conto, iniziai ad avanzare: prima la testa,
poi il
busto, infine la coda...
La coda?!
Sì, ora la distinguevo con
esattezza, e con essa percepivo parti del corpo che non ho mai
posseduto e
sentivo la mancanza di altre. La lingua mi indirizzava verso il mio
obiettivo,
non dovevo fare altro che seguirla... Ma quel suono, quello
più forte degli
altri, era importante, sapevo di doverlo rincorrere, era lontano e
più tempo
passava e più si allontanava, non ce l’avrei mai
fatta a raggiungerlo.
No, aspetta... Sta tornando!
Il suono pulsante sembrava arrivare
verso di me, ma era comunque in un’altra posizione, se volevo
vederne l’origine
dovevo passare per un altro tubo.
No, questo no, non questo e
nemmeno quello...
Scivolavo nell’unica direzione
possibile, scartando di volta in volta i canali le cui emanazioni non
combaciano
con ciò che cercavo. Muoversi sinuosamente non era affatto
facile, ma
nonostante tutto ci riuscivo senza particolari difficoltà,
ed ero anche
piuttosto veloce, almeno per i canoni di un serpente.
Ecco, di qua!
Imboccai finalmente la strada giusta:
ogni passo, se di passi si può parlare, intensificava a
dismisura l’odore che
stavo inseguendo, l’odore del fuoco...
-Cosa proponi di fare Filius?
-Non saprei signor preside, io...
Io mai... E’ la prima volta che... Non potevo sapere...
-E’ chiaro che non siamo di fronte
ad un caso ordinario, preside. Se nemmeno il mago più
esperto in incantesimi da
campo riesce a darci una mano...
-Questo è chiaro, Severus. Ma non
è il momento di pensare a quello. Dobbiamo farlo smettere,
ora!
L’origine di quelle voci mi mise
per qualche momento in difficoltà: finora ero sempre stato
sotto a dove
risiedevano gli umani, allora perché adesso quei tre
individui si trovavano
ancora più in basso? Erano forse scesi? Visto che comunque
li avevo già
trovati, non mi rimaneva altro che trovare una posizione in cui fossero
visibili. Un piccolo reticolo proiettava quadratini di luce opaca,
forse era lo
spiraglio che faceva al caso mio.
-Professore, se posso ricordarle
il Rego Magistralis... Sono sicuro
che lì troveremo qualcosa e potremmo...
-Lo ricordo Filius, l’ho letto. E
si che viene data una soluzione. Uno Smantellamento.
-Allora non possiamo...
-Dobbiamo, non c’è altro modo.
Dalla mia nuova posizione riuscivo
a vedere parte della stanza in cui erano rifugiati i tre uomini, ma non
scorgevo nessuno di loro. La camera era di modeste dimensioni ed era
piena
zeppa di elementi riflettenti, il cui riflesso dava fastidio alla
vista.
Accidenti, sono
completamente cieco in questo corpo...
Non riuscivo a distinguere i
colori accesi, era tutto molto più sbiadito di come doveva
essere, e le ombre
degli insegnanti, l’unica cosa che perlomeno intravedevo, si
muovevano a
scatti, come se i miei occhi non riuscissero a catturarne fluidamente i
movimenti.
-Se siamo costretti a tanto non
crede sia segno del destino?
-Calma Severus, è ancora prematuro
parlare di...
-Dobbiamo chiudere un occhio anche
questa volta?
-Severus, noi...
-Come col Signore Oscuro?
-Severus, basta! So cosa... Io
so... Cosa fare. Ma ci vuole tempo. Non commetterò gli
errori del passato, ma
non mi macchierò del peccato della paura.
-Si può sapere di che cosa
state...
-Fine delle discussioni per il
momento, devo farlo.
La discussione si era fatta
movimentata, non potevo continuare a non vedere cose stesse succedendo,
dovevo
muovermi, di fronte a me c’era un altro reticolo, ma per
arrivarci dovevo fare
il giro di tutta la stanza, ci avrei messo un po’. Ma dovevo
farlo.
Cosa? Non mi muovo!
Perché resto fermo? Credevo avessi imparato a
controllarlo... E dai, muoviti!
Dopo un po’ realizzai che quello
che stavo rivivendo era soltanto un ricordo di Muthsera e se lui in
quel
momento non s’era mosso, allora io non avrei potuto far nulla
per cambiare le
cose.
Ecco perché
percepivo come una resistenza ai miei comandi, è stato solo
un caso che i nostri scopi coincidessero all’inizio, il corpo
si è sempre mosso
di sua volontà...
-Professore, cosa sta succedendo?
Non è mai capitato che il Cappello...
-Minerva, che ci fai qui! Ti avevo
chiesto di badare agli studenti.
-Ci sono gli altri insegnanti a
pensare a loro... Dimmi Albus, è grave?
-Temo di sì, Minerva.
-Il professore vuole Smantellare
il Cappello!
-Ma non è possibile! E’
un’icona
della scuola, un caposaldo, nonché un contratto magico
vincolante! Appartiene
ad Hogwarts fin dalla sua fondazione e la sua creazione risale anche a
molto
prima, non potete Smantellarlo su due piedi, è un grave
reato...
-Grazie della preziosa lezione di
storia, professoressa. Ma sono abbastanza sicuro che il professore
conosca le
conseguenze del suo gesto.
-Esatto, Severus. Se tutto va come
previsto, dovrei essere a conoscenza di un incantesimo che ne rifletta
le
caratteristiche, mantenendone peraltro, anche la
personalità.
-Il problema è che è tutto, per
così dire, teorico.
-Allora non possiamo rischiare, la
scuola cadrebbe nel caos se si sapesse che il suo preside ha
autorizzato, ed
effettuato lui stesso, un’azione del genere!
L’arrivo della donna prolungò
ancora il diverbio su cosa fosse giusto fare, ma senza porre nuove
soluzioni.
Alla fine il preside prese la sua decisione: posò il
Cappello su un tavolo ed
estrasse la bacchetta.
-Perdonami se puoi, sei stato un
buon amico e un ottimo ascoltatore, ti sono molto affezionato
nonostante non
fossi umano. Detto questo... Extinguo
Discrimen!
L’ombra proiettata del Cappello che
fino ad un attimo primo urlava a squarciagola, adesso era un ammasso
indistinto
dal tavolo, poiché accasciato, senza vita.
-E adesso speriamo che l’appellativo
di “più grande mago dei nostri tempi”
che continuano ad affibbiarmi me lo
meriti davvero: Examine Aequalita
Perpetor Reparo!
Ad ogni parola pronunciata dal
preside di quel complesso incantesimo, l’ombra del Cappello
si alzava di un
pochino, fino a riprendere la sua iniziale forma a punta.
-Oh, ha funzionato signor preside?
-Speriamo Filius... Cappello, stai
bene?
-Oh, professore, cos’è
successo? Ricordavo
di stare svolgendo il mio compito quando d’improvviso...
-Sì?
-Sì?
-Sì?
Chiesero all’unisono con
impazienza gli insegnanti.
-Non ricordo, è come... Come se
una parte della mia memoria fosse stata cancellata, strappata via.
-Te lo dico io allora, Cappello.
Ti eri Allarmato.
-Allarmato? E perché mai dovrei?
-Non so, dovresti dircelo tu. Nel
Rego Magistralis è menzionato solo come agire in caso di
Allarme, ma non ci è
dato sapere né la natura di esso e né le
precauzioni da adottare nel caso.
-Sono desolato professore, ma non
ricordo più nulla sulla natura di tale compito, pensavo
avessi solo l’onere di
scegliere accuratamente i percorsi accademici degli studenti.
-A proposito, ricorda ancora le
quattro Case dei Fondatori, no?
-Certo, sono Grifondoro, in onore
di Godric Grifondoro, la Casa del coraggio e della lealtà;
Tassorosso, fondata
da Tosca Tassorosso...
-Va bene, va bene, abbiamo capito.
Ma sarà in grado di giudicare?
-Se non vado errato il professor
Vitious a suo tempo è stato un Testurbante.
-Sì, ma cosa c’entra questo?
-Se, dopo tutto questo tempo,
riuscisse ancora ad indirizzarla verso la Casa dei Corvonero, significa
che ha
riottenuto tutta la sua saggezza.
-Ottima idea, Severus, procediamo.
Oplà, l’altezza mi sembra non sia cambiata da
allora Filius.
-Professore, non è il momento per
dell’ironia...
-Scusate, scusate, ma sono sicuro
che chi ci sta guardando lo troverà divertente.
I professori si guardarono in modo
confuso, ma non ci badarono più di tanto, del resto
ciò che diceva il Cappello
Parlante era molto più importante.
-Umh, continui ad essere difficile
da collocare... Dopo tutto questo tempo... Hai vissuto una vita da
Corvonero,
ma in te c’è anche molta sapienza e
responsabilità, tipica dei Tassorosso ed
anche grande coraggio. Questo piccolo corpo possiede davvero un enorme
cuore,
saresti un perfetto Grifondoro, ma... Dove, dove la tua strada ti
porterà?
La manfrina andò avanti ancora per
parecchio, finché:
-Ah, questa è bella: hai una bella
cotta per Guendalina Farnsworth, dico bene? E lei è stata
smistata in
Corvonero, no? Beh, chi sono io per dividere una così bella
e promettente
coppia, Corvonero!
-Filius, davvero provavi dei
sentimenti per la professoressa Farnsworth?
-Si, ma è stato tanto tempo fa,
eravamo bambini e lei era dolce con me... Ma insomma! Non dovremmo
pensare ad
altro adesso?
-Per lo meno abbiamo constatato
che il Cappello funziona regolarmente, ne può essere
orgoglioso signore, nessun
altro ne sarebbe stato capace.
-Non esagerare adesso Severus. Credo
sia ora di andare, avete degli studenti ad attendervi ed io una scuola
da
dirigere. Prego professori, dopo di voi.
La McGranitt e il professor
Vitious uscirono dalla stanza, ma Piton fermò il preside
poco prima dell’uscio.
-E adesso?
-Lo terrò d’occhio. Anzi, lo
terremo d’occhio entrambi.
-Cosa, perché vuole mettermi in
mezzo? Ho già tante responsabilità, non posso
addossarmi anche questa.
-Sarebbe stato una tua
responsabilità in ogni caso Severus. E’ nella tua
Casa.
-Cosa? Come fa a dire che verrà
smistato in Serpeverde?
-Perché lo so.
Muthsera dormiva nella sua
gabbietta sottoforma di tritone imperiale, io ero supino, sul letto.
L’indomani
avrei avuto il primo giorno di lezioni. Dovevo riposare... Ma non
riuscivo a
chiudere occhio.
[Curiosità: ad Emanuele
dispiacerebbe finire in Tassorosso, oltre per i colori sociali poco
virili, per
via della sonorità con cui il nome viene pronunciato in
inglese: Hufflepuff]
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Capitolo 12 *** Il tempo vola quando ci si diverte ***
Din! Don!
Din! Don!
Din! Don!
Dan! Don!
Ma cosa
diavolo?! Ah,
giusto, sono ad Hogwarts ora...
Le campane continuavano a rintoccare
in sottofondo, era un
suono dolce ma penetrante, nonostante ci trovassimo nei Sotterranei:
l’ideale
per svegliarsi di buon mattino senza particolari traumi. La luce che
proveniva
dalle finestre era molto fioca, segno dell’orario ancora
giovane...
Aspetta,
luce solare?
Qua sotto?
Sollevai la tenda sopra la testa del
letto, per osservare su
cosa si affacciasse, dato che non avevo controllato la sera prima.
Ovviamente
dietro ritrovai un’altra inferriata che dava alle fogne del
castello. Nessun
cattivo odore proveniva da quei liquami che, al loro posto, emanavano
invece
una strana luce iridescente. In quel preciso momento avevano una certa
tonalità
giallognola, ma ero sicuro che più tempo sarebbe passato,
più avrebbero virato
verso il verde della sera prima.
-Buongiorno, ragazzi...
-Yawn! ‘Giorno..
-Avete visto? Dormiamo proprio
accanto ad un flusso
fognario...
-Davvero?
-Guarda tu stesso.
Rupert, il cui letto si trovava
proprio di fronte al mio,
seguì le mie direttive.
-Eh, c’hai ragione!
Abbastanza schifoso... Guarda lì quel
topo come corre!
Almeno
Muthsera non
morirà di fame, questo è certo.
Nel pensare al mio serpente, ricordai
tutto ciò che “vidi”
la sera prima tramite i suoi occhi. Sollevai la gabbietta del tritone e
lo
fissai in volto. Non potevamo parlarci, ma in qualche modo ero sicuro
riuscisse
a capire ciò che provavo in quel momento. Cosa significavano
le parole di Piton
e di Silente? il Cappello come mai s’era Allarmato proprio
con me? Il fatto che
sapessi parlare con Muthsera e che non abbia trovato una bacchetta
adatta era
in qualche modo collegato? Non riuscivo a smettere di pormi queste
domande: si
trattava della mia vita dopotutto, non ero certo più
interessato al topo che
andava su e giù per i canali suscitando
l’ilarità dei miei compagni di stanza.
Etciùù!
-Salute.
-Non ti puoi immaginare a chi hai
appena fatto l’augurio...
C’era un tono distratto
nella voce di Brendan, a tratti
spaventato.
-Che c’è? Cosa
state guardando?
Fare domande risultava inutile, erano
troppo presi da
qualsiasi cosa ci fosse dietro quelle sbarre. E a ben ragione.
Etciùù!
Anche il secondo starnuto proveniva
dalla stessa fonte: un
grasso omuncolo violaceo vestito unicamente con un pannolone di cenci,
col naso
rosso come un peperone e lo sguardo non molto intelligente pattugliava
la
battigia superiore del canale fognario.
-Io so
cos’è quello...
E’ un troll di caverna!
-Sst! Vuoi farti sentire?
Abbassammo immediatamente le tende
per coprire la visuale ed
evitare di venir individuati dal mostro e, successivamente, il
ragazzino dalla
strana pronuncia che era convinto di conoscere la creatura aggiunse:
-Mio padre li disegna,
son sicuro
che sia un troll!
Cosa ci
fa qui?
Non ne avevo idea, ma se
già la presenza dei Dissennatori
nei dintorni del castello mi metteva a disagio, certo non avrei
tollerato che
un troll, o cos’altro diamine fosse, andasse a zonzo a due
passi dalla nostra
camera da letto.
-Diciamolo al prefetto!
-Si, come se a quello gliene importi
qualcosa...
Fred era molto scettico riguardo la
possibilità di un aiuto
da parte del ragazzo che la sera prima ci aveva accompagnato fino alla
Sala
Comune. A me invece sembrava un tipo a posto, tutto sommato.
-E’ un Alister, noti
piantagrane.
Addirittura Rupert Runcorn ne
conosceva l’albero
genealogico.
-La loro fama li precede.
Dan ed i restanti due ragazzi invece
non avevano idea del
perché di quelle parole, ma due testimonianze erano
abbastanza credibili e
finirono per crederci. Io comunque un tentativo volevo farlo.
Era ancora molto presto ed ovviamente
non trovai nessuno
nella Sala Comune; potevo salire per cercarlo nelle stanze di quelli
più
grandi, ma non volevo disturbare chi non conoscevo, perciò
preferii controllare
l’orario della giornata.
Dalle 9 alle
12
Pozioni e dalle 2 alle 4 del pomeriggio Difesa contro le Arti Oscure...
E non
ho la più pallida idea di dove si terranno le lezioni.
-Scappa, mi scappa, mi scappa!
Rupert si fiondò verso
l’uscita della sala comune con un
asciugamano sulla spalla destra, chiaramente diretto in bagno.
-Io lo seguo.
-E noi pure.
Fred, Dan e gli altri due ragazzi
sembravano avessero deciso
di lasciar perdere il Troll per occuparsi di faccende più
urgenti. Come dargli
torto.
-Aspettate, vengo anch’io.
Presi con me spazzolino, dentifricio,
asciugamano e tutto
ciò che mi sembrasse utile portare e li seguii
dall’altra parte del passaggio
segreto.
-Destra o sinistra?
Ci chiese Fred.
-Che intendi?
-Destra si va per i bagni del piano
terra, sinistra quelli
nostri, ti ricordi?
-Io più che altro ricordo
che a sinistra c’era un fantasma sanguinario.
-Siamo in sei, non ci darà
problemi.
-Decidetevi, è da ieri
sera che la trattengo!
Non credevo che il nostro numero
avrebbe fatto alcuna
differenza per lui.
-Basta, non ce la faccio
più io vado con o senza voi!
Rupert si diresse verso sinistra,
scegliendo lui per tutti.
-D’accordo, proviamo il
bagno più vicino...
Ci avviammo dunque verso sinistra,
destinazione nota ma
tragitto sconosciuto. Per fortuna a parte qualche falso bivio che
conduceva a
punti morti, la strada per il bagno fu abbastanza semplice.
Chiamarlo bagno era riduttivo: era
quasi grande come la Sala
Comune ed era elegantissimo. Non mi aspettavo certo dei bagni alla
turca, ma vedere
quei sanitari in ceramica così finemente modellati e la
rubinetteria d’ottone scintillante
fu abbastanza sorprendente. Di fronte a noi c’era un alto
armadio in marmo
bianco, diviso in molti scomparti e cassetti, per la maggiore vuoti, ma
alcuni
contenevano asciugamani, accappatoi, carta igienica, rotoli di carta
assorbente, secchi e stracci. A destra c’era una parete
totalmente coperta da
lavabi con annessi specchi lucenti. A sinistra invece si procedeva per
un discreto
reparto toilette, con cabine a schiera su entrambi i lati della stanza,
mentre
più avanti c’erano le docce. Le si distingueva dai
gabinetti perché le loro
cabine erano decisamente più larghe e spaziose, ma anche per
via delle coppie
di armadietti a muro e specchi interi che ognuna di esse aveva di
fronte.
-Ohi, che ci fate lì?
Rupert era dietro di noi, sembrava
più tranquillo, adesso.
-Ti abbiamo seguito, tu invece, come
hai fatto a spuntarci
dietro?
-Ma vedete che il bagno è
di là!
-E allora in questo momento dove
siamo?
-Ahhh!
-Una delle nuove Serpeverde
uscì dai gabinetti e, per la
vergogna, urlò.
Oh, cavoli...
In preda all’ira estrasse
la bacchetta dalla tasca del suo
pigiama e ce la puntò contro.
-Calma, calmati, è stato
un errore, ce ne andiamo, ce ne stiamo
andando...
-Diamine, via!
Dopo essere scappati con le gambe
levate, nel bagno giusto
questa volta, riprendemmo fiato.
-Ma quella va in bagno armata?!
-Che figuraccia, che figuraccia...
-La figuraccia l’ha fatta
lei, hai visto quel pigiamino a
pallini?
-Ahahah, ragazzi, ma siete ciechi?
C’era un cartellone
grande così: FEMMINILE !
-La colpa è sua, io
seguivo lui...
Ora la colpa
è mia?
-E se mi fossi buttato da un ponte,
mi avresti seguito?
-Anch’io avrei giurato di
averti visto entrare lì dentro
Rupert...
-Ma quando mai, io lì non
c’ho messo piede.
-Mah, pure le allucinazioni adesso.
Che
figuraccia...
Rientrando nella Sala Comune, la
trovammo piena di gente.
-Ah, ecco i nani del primo anno!
-Che belle vestagliette, ve le hanno
cucite le vostre
mammine?
-Occhio che quello è il
figlio del primario del San Mungo.
Se lo fai arrabbiare suo papà licenzia il tuo, ahahah!
Scoppiò una risata
generale. Frederick stava per difendersi,
ma alzai prima io la voce:
-Dov’è il
prefetto Alister?
-Uhhh, il ragazzino ha fatto la voce
grossa...
Uno dalla faccia non molto
intelligente che si stava proprio
divertendo, volle rincarare la dose.
-Non facciamolo arrabbiare allora, o
ci fa fischiare le
orecchie come ha fatto col Cappello Parlante. Che c’avevi, i
pidocchi, per
farlo urlare così?
Mi aveva riconosciuto; ora
l’ilarità era arrivata alle
stelle.
-Ma cos’è questo
baccano di prima mattina... Flint ha perso
di nuovo i pantaloni?
Un grosso ragazzo coi capelli
rossicci e la fronte stempiata
entrò nella sala e tutti smisero di ridere.
-Buzz, questo moccioso ti cercava.
-Ah si? E che vuole da me?
Non era vero, non stavo cercando lui.
-Cercavamo il prefetto di Serpeverde.
-Io sono un prefetto infatti.
Quindi ci
sono più di
un prefetto per Casa, allora perché solo Kevin si
è presentato a noi?
-Sì, ma ne cercavamo uno
in particolare, il prefetto
Alister.
Dan cercò di venirmi in
aiuto.
-E allora sono due le cose: o mi
prendete in giro o siete
proprio stupidi. Sono io Buzz Alister.
E quindi? Il
ragazzo
di ieri ci aveva preso in giro?
-Basta così Alister, lo
sappiamo che hai un fratello più
piccolo di nome Kevin!
Fred era proprio seccato, non gli
piaceva esser preso in
giro a quanto pare.
-E questo qui chi è? Come
fa a conoscermi?
-Durante il banchetto che facevi,
dormivi? E’ il figlio del
dottor Bowen, ovvio che sappia tutto di Hogwarts, suo padre
è un membro del
Consiglio, nonché uno dei migliori finanziatori della scuola.
-Bah, comunque sia ha rovinato lo
scherzo, buonanotte
marmaglia, torno a dormire... Finitevela con questo trambusto o passo
alle
maniere forti, mi alzo fra due ore.
-Te ne va di già? Non
vieni a Divinazione?
-Non mi fare diventar volgare!
Evidentemente no.
Intanto la ragazza del bagno era
tornata in Sala e, mentre
procedeva verso la sua camera, teneva basso lo sguardo.
-Dite che ce l’ha ancora
con noi?
-Temo di si...
Cercando di ricordare che scelta di
abbigliamento avevano
optato quelli degli anni successivi, aprì
l’armadio per prendermi il pantalone
e la camicia, che almeno loro erano sicuri e notai una
particolarità: la
sciarpa, il mantello, le calze, i guanti e tutto ciò che
prima era di colore
grigio erano diventati verdi ed alcuni stemmi di Hogwarts sulle
camicie, sul
maglione e sulla cintura avevano preso la forma di quello di
Serpeverde,
proprio come aveva detto Madame Mc Clan.
-Siamo proprio dei Serpeverde ora, eh?
Mostrai la camicia a Brendan ed al
ragazzo con le lentiggini
di cui ancora non conoscevo il nome.
-What?!
Come what?
Ah già, il Logos...
Velocemente mi puntai il dito sulla
testa ed eseguii la
fattura; nessuno si accorse di nulla.
-Niente ragazzi, stavo dicendo che le
uniformi si sono
aggiornate!
Scordarsi
una cosa del
genere... E se mi fosse capitato a lezione?
-Ehi ragazzi, noi del terzo stiamo
andando su a far
colazione. Venite?
Uno studente più grande si
affacciò sulla nostra stanza
estendendoci questo invito, ma prima che uno di noi potesse rispondere
c’era
chi lo fece per noi.
-Lasciali stare, la prima ora hanno
Pozioni, non hai visto
la bacheca? Devono esser lì almeno cinque minuti prima!
-Allora come non detto,
sarà per domani, meglio non servire
gratuitamente a Piton occasioni per rovinarci la giornata.
C’era evidentemente un
alone di pessimismo quando si parlava
di questo preciso insegnante. Brutto segno.
Finito di vestirci,
all’unisono Brendan ed il ragazzo con
l’accento francese chiesero al resto del gruppo:
-E adesso? Cosa dobbiamo portare alla
lezione di Pozioni?
Ah, bella
domanda
questa...
-Senza dubbio il libro di Pozioni...
-... E dei rotoli di pergamena
bianchi.
-Nonché penna e calamaio.
-Già.
-Questo era ovvio, ma poi?
-Eh, poi?
-Poi... Portiamoci tutto che
è meglio!
Era l’unica soluzione
attuabile. Un’altra era di chiedere ai
ragazzi più grandi, ma si era già capito
l’atteggiamento rivolto alle nuove
leve. La ventiquattrore che mi aveva stregato ser Richard funzionava
ancora,
quindi proposi agli altri di posare anche i loro attrezzi là
dentro, in modo da
facilitarne il trasporto.
-Sì, bell’idea,
grazie!
Mentre i miei compagni scendevano di
sotto, venni fermato da
una voce famigliare:
-Ehi,
aspetta! Fammi
tornare serpente, ho fame, vado a caccia!
-Sei pazzo,
con quei
Troll laggiù?
-Li
eviterò, non devo
mica passare di là per forza, dai sto morendo...
-Hai
mangiato mezzo
topo due giorni fa, puoi resistere un altro giorno.
-Ma oggi o
domani che
differenza farebbe? Sempre i Troll ci saranno.
-Se informo
il preside
li farà sloggiare.
-E credi
siano venuti
qui da soli? Qualcuno glieli avrà portati, mi pare ovvio.
Temevo avesse ragione, erano troppo
tranquilli e a loro agio
per essere arrivati di soppiatto da poco, dovevano trovarsi
lì da tempo.
-D’accordo,
ma due
cose: non farti individuare da nessuno e soprattutto non farti
ammazzare, e non
parlo solo di Troll, chissà cos’altro nasconde
questo castello. Ho sentito
parlare di un Basilisco che faceva fuori i figli di babbani
l’anno scorso.
-Tranquillo,
ho solo
voglia di un bocconcino e, come direste voi, sgranchirmi le gambe.
-Ma che fai, ti sbrighi?
Era Fred che era ritornato per
chiamarmi.
-C’è
l’Alister più giovane che ci attende per portarci
a
lezione!
-Scusa, ma avevo dimenticato di
cambiare la vaschetta al
tritone: è un anfibio e se non lo si idrata regolarmente con
acqua pulita
potrebbe...
-Ma guarda il rospo di Rupert
com’è secco, sembra un masso
quasi. Che t’importa, è solo un animaletto!
Mi indicò il contenitore
trasparente sotto il comodino a
fianco del letto di Rupert Runcorn ed effettivamente dentro
c’era una specie di
roccia arancione. Non avevo mai visto una rana così rigida
in vita mia, era ad
un passo dal rimanerci secca.
-Si beh, la morte del mio animale
è un opzione che vorrei
scartare a priori. Se poi capita, pazienza.
-D’accordo, ma fai presto.
Per fortuna non s’era
accorto della falla nella mia bugia:
in mano non avevo nessuna bottiglietta d’acqua con cui
riempire la vaschetta
del tritone. Dovevo ricordarmi di tenerne una sul comodino da questa
sera in
avanti.
-Allora?
-Senti,
un’altra cosa:
visto che sei così desideroso di farti delle passeggiate,
utilizza il tuo
olfatto e cerca Silente. Sono sicuro che tenterà di far
ricordare qualcosa al
Cappello anche questa mattina.
-Ci sono
altri ordini?
Senti, non ti prometto nulla, noi serpenti non siamo animali da corsa,
ci
stanchiamo facilmente. E credo proprio che il tuo obiettivo risieda
abbastanza
lontano da qui.
-Hai tutto
il giorno,
no? Di pomeriggio avrò Difesa, non mi serviresti comunque.
-Si chiama
sfruttamento di animali.
-Io lo
vedrei più come
un “tu fai un favore a me ed io uno a
te”’.
-E’
tuo dovere
procurarmi il cibo, dovresti ringraziare che me lo caccio da solo.
-Lamentati
col rospo
di Rupert quando ci passerai. Sempre che ti risponda.
-Ho capito,
ma se non
capto niente di importante non chiedermi di farlo tutti i giorni.
-No, vada
solo per
stavolta. Ah, e mettiti in un punto in cui si vede tutta la scena e non
solo le
voci, non voglio assistere più ad uno spettacolo di ombre
cinesi!
-Fai pure il
difficile
adesso...
Litigare con Muthsera mi divertiva
parecchio, cercava sempre
di fare il sostenuto, ma alla fine la meglio l’avevo io.
Scendendo le scale incontrai anche le
gemelle del mio stesso
anno.
-Ehm, ciao.
Non ottenni risposta. Erano
più cupe di una coppia di
parrocchetti chiusi in gabbie differenti.
-Alla buon ora. Sentite ragazzini, mi
hanno detto che questa
mattina alle 8 e un quarto e ripeto alle 8 e un quarto, praticamente
l’alba, mi
cercavate. Sono stato gentile con voi perché obbligato, ma
non fate pentirmene,
intesi? Cosa volevate di così urgente?
Messa così sembrava che
eravamo noi quelli nel torto e non
lui che come prefetto era decisamente poco tollerante. Il ragazzo col
padre
illustratore di troll, sentendosi in obbligo di porsi come persona a
conoscenza
dei fatti, gli rispose.
-Cosa
ci fanno qui
ad Hogwarts
dei Troll di Caverna,
è molto
strano!
-Ma come caspita parli? Hai del
catarro in gola? Togliti al più
presto quello stupido accento francese, è un consiglio.
-Non cambiare
discorso
e rispondici!
-D’accordo, non vi agitate.
Ammetto di essermene
dimenticato, ieri sera ma...
Risate provennero dal solito divano
ridanciano.
-Dicevo... Ma non
c’è nulla di cui preoccuparsi. Sono dei
grossi mostriciattoli pacifici, non cacciano nemmeno i topi,
figuriamoci gli
esseri umani. La scuola li tiene perché si cibano di
muschio, tengono puliti i
Sotterranei e praticamente senza il loro aiuto, potremmo dire addio
all’Ala
Vecchia e alla nostra Sala per via della muffa.
L’ipotesi dei troll
pacifici in effetti reggeva, poiché da
quanto visto praticamente certi sorci gli ballavano sulla testa senza
che
battessero ciglio.
-Ora basta domande che è
quasi l’orario, seguitemi.
Uscendo dalla Sala Comune, il
prefetto volle mettere le cose
in chiaro.
-Dopo pranzo, visto che avremo
qualche minuto libero, vi
mostrerò tutte, o quasi, le altre aule in cui si terranno le
varie lezioni del
vostro anno, inclusa quella di Difesa Contro le Arti Oscure. Cercate di
memorizzarvi i percorsi per bene, che da domani la guida turistica
chiude i
battenti.
L’aula di Pozioni si
trovava proprio di fronte ad una
strettissima tromba di scale che, paradossalmente, si trovava
più vicina a
chiunque si trovasse al piano di sopra che non a noi di Serpeverde,
dato che
per arrivare lì abbiamo dovuto superare l’intera
Ala Vecchia.
-Ecco qua, a prova di imbranato:
hanno appeso una targhetta
con su scritto ‘Aula di Pozioni’ e guardate un
po’ qui... C’è pure un bel calderone
disegnato sopra, dite che riuscite a continuare da soli adesso?
-Io non saprei, certuni qui non sanno
leggere i cartelli...
Era la ragazza che avevamo sorpreso
in bagno ad umiliarci
ancora una volta. Non potevamo far altro che tener bassi gli sguardi e
cercar
di far correre la cosa.
All’interno lo spazio era
molto angusto: profondi scaffali
colmi di alambicchi e ampolle dimezzavano praticamente la larghezza
della
stanza, mentre due belle e spesse colonne cadevano esattamente in mezzo
all’aula, riducendo così ancor di più
lo spazio calpestabile. Senza contare che
l’area che si era riservato l’insegnante per il
proprio calderone e la cattedra
era larga quasi quanto quella che ci dovevamo dividere noi studenti in
trenta.
Noi Serpeverde eravamo stati i primi
ad esserci presentati,
così potemmo scegliere con comodo i nostri posti.
C’era da dire che qualsiasi
banco scegliessimo, si presentava sempre qualche ostacolo alla buona
visione
del punto in cui, presumibilmente, Piton avrebbe tenuto le sue lezioni.
A volte
il problema era l’esagerata obliquità della
visuale, altre volte erano le
cianfrusaglie tenute sui comò che dividevano le due aree
longitudinalmente e,
nei peggiori dei casi, il capitare nei posti dietro le due colonne
sarebbe
equivalso al non vederci praticamente un tubo di cosa succedeva
dall’altra
parte. Perciò alla fine si finiva per scegliere i punti meno
peggiori della
fila.
Io, Dan e la tizia del bagno ci
sedemmo in prima fila,
leggermente decentrati sulla destra, mentre Fred e Rupert erano nei
rispettivi
posti speculari ai nostri. Le due gemelle sedevano dietro di loro,
mentre
dietro di noi c’erano il ragazzo francese e quello con le
lentiggini, che...
-E che sono quei cosi?
-Che domande fai! Sono occhiali, no?
...Si era messo un paio di occhiali
larghi come due lenti
d’ingrandimento.
Le 9 si stavano avvicinando e pian
piano la classe si
riempiva di altri studenti. A parte Miller e le due ragazze del treno,
non
conoscevo il nome di nessun altro, per questo non vedevo
l’ora che il
professore facesse l’appello, almeno mi sarei evitato
l’imbarazzo di chiedere
il nome agli altri, specie dei miei due compagni di stanza che sedevano
alle
mie spalle.
-E’ occupato?
Mi domandò Miller,
cercando un posto dove mettersi.
-Si è libero, ma non ti
conviene metterti qua, se noti
c’è... Beh, c’è questa
colonna! Mettiti almeno un posto più in là o non
ci
vedrai niente!
-Oh, perfetto, grazie, meno male che
me l’hai detto!
Come diavolo
ha fatto
a non accorgersene?
-Suppongo non siano voci provenienti
dalla mia classe quelle
che sento...
La porta d’ingresso si
spalancò e ne emerse una sfuggente
figura, nera come l’inchiostro, il cui movimento ascendente
la faceva sembrare
uno di quei Dissennatori di Azkaban.
Quella
voce... La
distinguerei ovunque, è Piton...
Alla chiusura della porta
l’insegnante, dispostosi dinanzi
alla classe, estrasse dalla tasca interna del suo mantello un rotolo di
pergamena, eseguendo un movimento che gli diede per un attimo le
sembianze di
un oscuro rapace in picchiata sulla sua preda.
-Bones.
-Presente...
Il ragazzo rossiccio dei Tassorosso
si alzò in piedi per
rispondere all’appello, ma lo sguardo gelido del professore
fece capire a
chiunque venisse dopo che sarebbe bastata un’alzata di mano.
-Bowen.
Fred si limitò ad alzare
la mano destra. Nessuna
ripercussione.
-McBumble.
Miller, per il nervosismo,
nell’alzare la mano fece cadere a
terra il suo bilancino d’ottone, il che mi ricordò
il fatto che dovevo ancora
passare tutto il materiale ai miei compagni.
-Mi scusi, non volevo far...
-Raccolga il suo strumento e torni
composto, signor
McBumble. Scusarsi di un incidente non fa altro che accrescerne il
disturbo che
arreca agli altri.
-Capito, signore. Mi scusi, signor...
Accidenti,
è una
frana...
-Burgio.
Non sbagliò pronuncia come
fece la sera prima la
professoressa McGranitt o chiunque altro avesse provato a chiamarmi per
cognome
negli ultimi 2 mesi. No, non c’era insicurezza nel suo tono,
sapeva come mi
chiamassi ed era preparato a dirlo: mi conosceva... E non da ieri.
Alzai la
mano, ma non era necessario, sapeva della mia presenza.
-Callaghan.
Finito l’appello, il
professor Piton si allontanò per
predisporre un po’ di attrezzi sul suo banco da lavoro,
così ne approfittai
anch’io, tirando fuori dalla valigetta tutte le cianfrusaglie
che mi erano state
affidate. Il difficile arrivò quando dovetti spiegare a
Miller di passare la
roba a quelli accanto a lui senza pronunciare una singola parola,
mimando un ‘passali’
con le braccia. Tutto questo
movimento, ovviamente, venne notato dal professore, che interruppe
qualsiasi
cosa stesse facendo per poter rivolgere, in mia direzione, queste
parole:
-Sciocchi. Maghi sciocchi e
presuntuosi sulle proprie
abilità commettono l’errore di sottovalutare la
sottile arte dell’infusione,
della pericolosità di quei minuziosi e considerati dosaggi
che rendono un
semplice fluido vettore di gioia e di dolore, di gloria e di
devastazione, di
vita e... Di morte. Qui dentro imparerete non solo a praticare alla
perfezione
la dottrina del preparare pozioni, ma anche a renderla parte integrante
della
vostra esistenza; certo, solo se ne sarete disposti. Per quei pochi di
voi il
cui cammino dovesse riservare l’ingombrante presenza della
grandezza ricordo di
essere rispettosi nei confronti della scienza. Siatelo ed il risultato
sarà prodigo
di benefici, mancate di esserlo e le conseguenze saranno sicuramente
crudeli.
Non avrei saputo dire se gli altri
avessero colto il punto
del discorso, ma per me era chiaro: se non avessimo rasentato la
perfezione, la
bocciatura era l’unica opzione possibile.
-Inutile procedere alla preparazione
delle soluzioni
elementari se neanche sappiamo riconoscere gli attrezzi del nostro
lavoro.
Dovrei dar per scontata la vostra preparazione
sull’argomento, ma odio il dover
umiliare il mio buonsenso illudendomi di trovarmi di fronte ad una
classe
finalmente adeguata alla situazione. Ma, visto che tentar non nuoce,
possiamo
provare... Pewter, sembrava che la canzone del coro le sia piaciuta
particolarmente. C’era un termine più volte
menzionato nel testo, quagliare, mi
sa per caso dire cosa
significa?
Il ragazzo di Corvonero che
rispondeva al cognome di Pewter
non ne aveva idea, così come credo il resto della classe.
-Non risponde? E allora forse
McBumble, che ha così tanta
voglia di aprire la bocca, mi saprà dire che cosa ottengo di
diverso nelle
diverse cotture isotermiche di due filtri, uno sviluppato su pentola in
peltro
I26 e l’altro sempre sulla stessa marmitta ma di misura
standard 2, che tra
l’altro è quella che dovremo utilizzare durante
tutta la durata del corso?
Miller, non avendo capito che se una
risposta non la si
conosceva era meglio tacere, tentò una grossolana
arrampicata sugli specchi.
-Certo, vediamo... Le pentole di
misura standard 2 sono
l’ideale per cotture... standard...
2, appunto. Mentre
la I... La I... 27...
Arrivano fino a 27 gradi...
-Basta così, grazie. Una
pentola il cui limite termico
arriva a soli 27 gradi, vedo che ha ben chiara anche la natura stessa
della
temperatura. Nessun altro riesce a fornirci qualche brillante teoria
sulla questione?
Non so cosa mi spinse a farlo, forse
le vecchie abitudini prese
durante la scuola elementare in cui ero sempre il primo della classe,
fatto sta
che risposi d’istinto tutto d’un fiato.
-Non posso dirlo con certezza, ma
credo che la misura
standard si riferisca appunto alle dimensioni della pentola stessa. Per
la
prima che ha nominato, la I26, dato che si sta parlando di misure,
è probabile
che la I indichi il sistema di riferimento, in questo caso il pollice,
quindi
larga 26 pollici. Inoltre, essendo 26 pollici una misura troppo grande
per la
bocca del tegame, probabilmente ci si riferisce al diametro massimo
interno
che, come si può vedere dai vari esemplari sugli scaffali,
è sempre maggiore
rispetto al collo superiore di appartenenza.
Non sapevo se essere grato al libro
di Ser Richard sui
sistemi di misura inglesi o meno, dato che la colpa della mia
spudoratezza era
sua.
-Ah, davvero crede questo? E mi dica,
in questi vari esemplari che lei ha
appena
nominato, nota solamente le larghezze come uniche differenze che le
contraddistingue?
Il cuore mi batteva
all’impazzata, ormai il danno era fatto,
non potevo tirarmi più indietro. Ma la domanda era subdola,
le pentole erano
molto in alto e le si vedeva a malapena per metà.
-No, no... Certo che no...
Pensa,
pensa...Le
pentole di casa, in cosa si differenziano? Alcune sono più
pesanti di altre,
anche se hanno la stessa dimensione, ma perché? Quelle
più pesanti sono quelle
in cui la mamma cucinava lo spezzatino, mentre in quelle leggere e
sottili la
pasta, ma non aiuta... No, aspetta, sottili?
-Ebbene? Finisce qui la veemenza
della sua risposta?
-Il fondo!
Mi accorsi solo dopo un po’
di averlo urlato.
-Cioè, voglio dire, il
fondo deve anche essere più spesso
per sopportare fiamme più alte e intense... Spero.
Avevo ridotto la voce esattamente
come un attimo prima aveva
fatto Miller, ma sembrava avessi azzeccato la risposta, visto che il
professore, per mantenermi ancora in pugno, rigirò la
frittata:
-Già, ma non ha ancora
risposta alla mia domanda, signor
Burgio. Cosa... Diavolo... Cambia... Tra due cotture isotermiche in
questi
diversi ambienti di lavoro!
Ad un certo punto biascicò
le parole, come per intimidirmi
ulteriormente. E ci riuscì: non sapevo più cosa
pensare, cosa dire, mi si era
bloccato tutto.
-La domanda, signore! La domanda
è incompleta! Questo
dovevate dirmi immediatamente dopo la formulazione! Mancava un dato, e
non uno
qualsiasi, ma il più importante... Che cosa dobbiamo
preparare? Eh già! Cosa?
Era così impossibile pensare che se magari dovessimo lessare
una patata, anche
la caraffa della cucina sarebbe andata bene? Ma se invece il nostro
scopo fosse
raggiungere la temperatura di fusione dell’oro? Ah... Quale
pentola sceglieremo?
La più grossa, no? Più grande sarà e
meno problemi avremo, direte voi...
Sbam!
Piton prese una marmitta dalle
dimensioni di un divano e la
poggiò pesantemente sul tavolo.
-Con questa impiegheremo una
settimana solo per portarla
alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Forse tre giorni
sprecando quindici
galeoni in catalizzatori... Vede, signor Burgio, alle mie domande non
si danno
mezze risposte. E la sua era una
risposta a metà. Il fato deve provare ebbrezza e compiacersi
particolarmente se
ogni anno fa un dono particolare a questa scuola.
L’esiliatore dell’anima di
Bandon l’anno scorso, il bambino sopravissuto
l’anno ancor prima e l’Allarmatore
del Cappello Parlante quest’anno.
Dicci, come ci si sente ad avere in
se ciò che tutti
bramano, vorremmo tanto saperlo... Potenti? Importanti? Soli? Ah, ma
non sai
neppure a cosa pensare in questo momento...
Era tutto molto confuso,
agghiacciante certo, ma più che
altro strano. Non aveva
più a che
fare con la lezione di per se, ma era una specie di rancore personale
quello
che si leggeva nel suo sguardo e nelle sue parole. E non sapevo il
perché.
Piton, comunque, continuò
il discorso mostrandoci in modo
fulmineo come posizionare correttamente un pentolone sul fuoco e come
accendere
la fiamma senza provocare combustioni accidentali delle nostre maniche.
-Per il resto della lezione di oggi
imiterete questo gesto
più e più volte, per i vari formati dei tegami e
con la stessa identica fiamma.
Prendete appunti sui tempi e sugli eventuali risultati notevoli che
ottenete
durante queste prove. Lo scopo è quello di sapersi
confrontare contro ogni tipo
di temperatura che le pozioni ci richiederanno. Portate
l’acqua ad ebollizione,
annotate ciò che reputate sia rilevante, svuotate il
contenuto nel catino e
ricominciate con un’altra dimensione. Questa...
Prese una marmitta abbastanza larga
da contenere due
studenti senza problemi.
-...E’ la misura limite che
prenderete in esame.
Includendola sono in tutto diciotto. Avete più di
un’ora e mezza, a lavoro.
L’esercitazione era stata
un inferno: poco spazio per
posizionare il materiale, lunghe code per riempire ogni volta le
pentole
d’acqua, fogli che prendevano a fuoco, gas che non voleva
aprirsi, il ragazzo
di Grifondoro che versava più acqua in terra che nei suoi
calderoni, rimproveri
continui da parte di Piton, ancor meno spazio per prendere gli appunti,
altri
rimproveri di Piton, ulteriore acqua per terra e... Poco tempo. A dieci
minuti
dal termine mi mancavano ancora cinque calderoni da verificare, i
più grossi
tra l’altro. Sentendo che non ce l’avrei mai fatta
in tempo, mi misi l’anima in
pace e continuai con tutta calma, poiché agitarsi non
avrebbe portato a nulla.
-Basta così. Dato che
nessuno di voi ha mai preso la I26,
devo desumere che non siete riusciti a completare
l’esercitazione. Poco male,
avete fino a giovedì per completare il lavoro.
Nell’udire quelle parole,
ci sentimmo tutti più sollevati,
ma durò poco.
-Tuttavia, essendo questo un compito
che dovevate completare
oggi stesso in classe...
Passò davanti ognuno di
noi, posando sui nostri banchi due
piccole strane mele verdi a forma di cuore.
-Per giovedì dovrete anche
consegnare una relazione
dettagliata in cui bollirete quegli ingredienti in un sistema
isotermico su due
differenti misure, la standard 2 in vostra dotazione e la M40 che
troverete
nello scaffale delle pentole europee. Un rotolo di pergamena dovrebbe
bastare.
Per l’adempimento del vostro compito, vi informo che
l’aula sarà a vostra
disposizione ogni pomeriggio dalle 4 alle 7 di sera. La lezione
è finita.
Era quasi surreale, ma eravamo
sopravvissuti alla prima
lezione di Pozioni, dovevamo solo uscire dall’aula per
poterci sentire
finalmente liberi...
-Mi scusi professore, ma ha
dimenticato di dirci il nome
dell’ingrediente.
Anche se non aveva tutti i torti,
Amanda osò porre questa
domanda a Piton. Che, ovviamente, le rispose a modo suo:
-Relazione. Dettagliata. Un. Rotolo.
Di. Pergamena.
Era già ora di pranzo a
sentire i rintocchi della campana,
ma dovevo fare una capatina alla Sala di Serpeverde, quantomeno per
riporre gli
attrezzi superflui che non ci erano serviti.
-Con i vostri che faccio, ve li poso
sul letto?
-Sì, d’accordo.
-Allora ci vediamo più
tardi alla Sala Grande.
Adesso
voglio
riposarmi almeno un po’...
Come non detto. La Sala Comune era
gremita di persone, quasi
non si respirava. I divani e le poltrone erano già tutti
occupati, l’ultimo
posto libero rimasto era sullo sgabello di fronte
all’acquario vicino le scale
dei dormitori, di certo non comodissimo. Osservando
quell’unico pesce che
sguazzava in quelle acque, mi salì un’insolita
sonnolenza che poteva trovare conforto
soltanto appoggiando per qualche minuto la testa su un cuscino. Salendo
in
camera, diedi una rapida occhiata in cerca di Muthsera, ma come avevo
preventivato, non lo trovai. Controllai fuori dalla grata che dava al
covo
troll, ma non vidi nessun movimento sospetto; potevo finalmente
rilassarmi.
Alle 2
inizia Difesa
contro le Arti Oscure, poi, dalle 4 alle 7 farei meglio a completare
almeno uno
dei compiti di Piton e...
Mi addormentai senza rendermene
conto, sognando di versare
acqua su pentoloni larghi quanto una vasca da bagno e al mio risveglio
era già
l’1 passata.
Oh no, oltre
alla
colazione ora salto pure il pranzo?
Corsi a più non posso per
raggiungere in tempo la Sala
Grande, ma per strada incontrai alcuni impedimenti: due Serpeverde si
stavano
picchiando all’ingresso, bloccando l’uscita.
-Te lo faccio vedere io chi
è figlio di pezzenti!
Le botte che si menavano erano
così potenti da sentirne il
tonfo... E nessuno li fermava! Anzi, c’era perfino il tifo!
Uno dei due
combattenti, sbilanciandosi, strappò dai suoi passanti una
delle tende
ornamentali che disseminavano l’ambiente, facendo
così intervenire Buzz
Alister:
-Fin quando vi picchiate fra di voi
non mi interessa, ma se
dovete distruggere la Sala Comune, allora diventa un problema mio e se
intervengo
io è un grosso problema
per voi.
I due contendenti smisero subito le
ostilità, risistemandosi
le divise e scusandosi con il prefetto.
-Ed aggiustate tutto, subito!
-Dannazione Buzz, volevo uscire da
questa scuola proprio per
evitare di assistere nuovamente a scene pietose come questa!
Un ragazzo altissimo e coi denti da
cavallo si stava
lamentando con tono rassegnato.
-Parli tu che ormai non sei
più prefetto, Flint. Sai che
scocciatura ogni qual volta che quell’inutile di mio fratello
non è presente...
La Sala Grande era piena di studenti
che mangiavano e
chiacchieravano tra loro, ma l’ambiente era molto
più tranquillo rispetto la
sera prima. Andai in fondo alla ricerca dei miei compagni, ma li trovai
che
avevano praticamente finito.
-Occhio che Kevin fra qualche minuto
viene a prenderci per
fare il giro della scuola. Se non termini in tempo ti lascia indietro,
è stato
chiaro.
-Ok ok, faccio in un lampo.
Anche perché non
c’era molto da gustare, giusto le patate
cotte della sera prima che erano state riciclate in un minestrone al
farro e,
appunto, patate. Poi tutto il resto era troppo fritto per i miei gusti.
-Ma chi credete che cucini questa
roba? Ieri qualcosa di
passabile c’era, ma oggi... Spero non sia la regola.
Effettivamente la domanda di Fred era
abbastanza attinente,
non avevo visto alcun cuoco che preparava i pasti e di certo, il fatto
che
comparissero all’improvviso, non aiutava a scoprirne
l’identità. Che poi,
pensandoci, gli ingredienti potevano benissimo cuocersi da soli tramite
un incantesimo,
per quanto ne sapessi.
Di fronte a me sedevano Pierrot e
Valeth, gli altri miei due
compagni di stanza, che evidentemente avevano fatto ormai coppia fissa.
Nonostante l’imbarazzo, approfittai dell’occasione
per chiedere il loro nome
prima che diventasse davvero troppo tardi, purtroppo
l’appello di Piton mi
aveva aiutato solo coi cognomi.
-Ehm, Pierrot, quindi sei francese?
-Chiamami René,
non
usare il cognome.
E no, non sono francese.
I miei genitori
si, però.
-E con Valeth vi conoscevate
già da prima?
-No, io e Liam ci
siamo incontrati
sul treno
per la prima volta. Eravamo
seduti assieme
ad uno strano ragazzo
che non ci ha voluto nemmeno rivelare
il nome, è finito in Corvonero, lui.
Missione
compiuta, i
loro nomi sono René e Liam. Abbastanza particolari...
Liam però, che mi guardava
un po’ torvo, non trattenne la
curiosità e mi domandò:
-Dimmi un po’, non
è che era una tecnica per conoscere i nostri
nomi? Perché a me è parso di sì... E
ciò spiegherebbe il perché fino
all’appello di Piton questa mattina non ci hai degnato di uno
sguardo,
indovinato?
Ahia!
Beccato in
pieno!
-Beh, non volevo sembrare indelicato
e...
-Meglio, almeno non ti offenderai a
dirci il tuo di nome,
mica l’abbiamo capito.
-Oh, si, certo, mi chiamo...
-Le 2 meno un quarto! Tempo scaduto,
si deve andare!
Kevin Alister ci chiamò in
raccolta e anche se non avevo
praticamente toccato cibo non mi dispiacque molto: faceva tutto
abbastanza
schifo.
-E’ Emanuele. Il mio nome,
intendo.
Il veloce tour della scuola prevedeva
cinque mete, di cui
due sullo stesso piano, perciò pensai che non ci avremmo
messo molto. Ovviamente
mi sbagliavo quindi, per risparmiare tempo, a detta del prefetto il
modo più
veloce per passare da un’ala all’altra del castello
era quello di utilizzare la
Torre delle Scale, posta esattamente al centro della struttura.
Soltanto
salendo le scale si poteva avere una visuale completa della
maestosità del
luogo: decine di scale in pietra che collegavano vari livelli e
chissà quante
porte oscuravano la visuale del tetto. Anche le pareti avevano la loro
particolarità: centinaia di quadri tappezzavano tutte le
superfici in modo da
non lasciar quasi più vedere il colore dei mattoni stessi. E
non era finita
qua, poiché alcuni di questi quadri, se non tutti, parevano
muoversi e parlare.
-Oh, salve. Nuovi allievi?
E’ già settembre... Come vola il
tempo. Dove state andando?
Il quadro di un signore elegantemente
vestito che beveva un
thé ci rivolse la parola.
-Si, stavamo esplorando un
po’ i corridoi, per non
perderci...
Brendan rispose educatamente alla
figura, anche se non
sapevamo se fosse possibile comunicare con loro.
-Lodevole, bisogna sempre essere
preparati e conoscere ciò
cui la vita ci pone davanti. Ottima iniziativa!
-Non date retta ai quadri! Parlano
sempre a vanvera, ecco
prendiamo questa porta.
Il giovane Alister ci fece camminare
lungo un luminoso
corridoio che presentava alte vetrate a destra e una colonna di torce
accese a
sinistra, rendendo praticamente impossibile proseguirlo al buio a
qualsiasi ora
del giorno.
-Bene, questa è la nostra
prima tappa, l’aula di Storia
della Magia. Il professor Rüf terrà le sue lezioni
qui. Quand’è che l’avrete?
Nessuno rispose.
-Bah, non importa, quando
sarà, saprete già dove si trova.
Le altre classi al momento non vi interessano, ci sono Artimanzia per
il sesto
o settimo anno, non ricordo, e Babbanologia. Tutte materie che ancora
non
seguite. Proseguiamo.
Continuando dritto incontrammo il
Frate Grasso, lo spettro
di Tassorosso, che ci accolse con un sonoro cin-cin del suo buon vino
speziato.
Alle sue spalle c’era una grossa porta che conduceva
all’esterno: un ponte di
pietra che sovrastava il vuoto e che collegava la Hogwarts frontale da
quella
sul retro.
-Occhio ai cappelli nei giorni
ventosi, che qui tira sempre
aria di bufera... Ah, e non date da mangiare ai corvi! Hanno uno strano
modo
per dimostrare gratitudine, beccandovi a morte.
Se si guardava in basso si soffriva
letteralmente di
vertigini per quanto fossimo in alto, ed eravamo soltanto al primo
piano!
-Ok, da adesso in poi questa
è tutta l’Ala sul Retro. La
maggior parte del tempo la passerete qui, ci sono un sacco di aule e
spazi dove
passare il tempo libero, la stessa aula di Pozioni può
essere raggiunta da qui.
Certo, a noi Serpeverde conviene sempre passare dai Sotterranei, ma se
vi
trovate nei dintorni del Viadotto, tanto vale prendere la rampa di
scale dietro
la libreria che si arriva subito. Comunque, tornando a noi...
Si affacciò da uno degli
spiragli che costellavano la parete
e ci invitò di seguire il suo sguardo.
-Quello è il Cortile di
Trasfigurazione, sì quello con il
mappamondo in ferro. E tutto il complesso che vedete lì di
fronte è il
Dipartimento di Trasfigurazione. Sembra a due passi da qui, ma non
sarà facile
arrivarci... Abbiamo due vie. O torniamo alla Sala delle Scale passando
per il
Ponte di Pietra, oppure continuiamo di qua, saliamo di due piani e poi
ne
scendiamo di altrettanti, purtroppo non so chi ha avuto la brillante
idea di
dividere la scuola così, ma il primo piano, assieme al sesto
e al settimo, sono
completamente isolati dal resto del castello.
Accidenti,
ma qui ci
vuole una mappa, non ci sto capendo nulla...
Optando per l’opzione che
non necessitasse di ripassare per
il ponte, salimmo e scendemmo varie scale a chiocciola, non
capacitandoci di
dove stessimo andando.
-Oh, questo vi tornerà
utile. Vedete questo Gargoyle? Bene,
usatelo come riferimento e ricordatevi: alla sua destra si va per il
campo di
addestramento, le serre di Erbologia e la Guferia, mentre alla sua
sinistra, da
dove proveniamo noi... Beh, lo sapete dove vi porta, qui in alto invece
si
procede per l’aula di Difesa contro le Arti Oscure, cui
torneremo fra poco,
alla fine del tour.
Era tutto ancora più
confuso ma, come se non bastasse,
continuammo a scendere dando le spalle al Gargoyle a forma di suino.
-Ora siamo al piano terra del retro
del castello, uscendo da
quella porta entreremo in un ampio cortile roccioso. Probabilmente
sarà deserto
visto l’orario, ma più tardi si
riempirà di gente, c’è sempre un gran
via vai e
risse a non finire. Purtroppo anche questo spazio dà
all’ufficio della
McGranitt, quindi se qualcuno sgarra un po’ troppo, se la
vede direttamente con
lei.
Effettivamente l’area
esterna in cui ci trovammo era
veramente enorme: grande due volte la già gigantesca Sala
Grande, era
costellata di piccole e grosse rocce che creavano una specie di rovina
preistorica, in cui era chiaro potessero venir fuori partite di
nascondino
epocali.
-Noi adesso prendiamo questa porta,
che ci conduce al
magazzino interno delle serre di Erbologia. Abbiamo seguito una strada
contorta
effettivamente, dato che entreremo dal retro, ma era la strada
più breve per
mostrarvi tutte le aule in un unico viaggio senza dover mai fare
dietrofront.
La stanza era come ci si aspettava
fosse un deposito di
materiali per l’agricoltura: piena di sacchi contenenti
terra, vasi di creta,
pale, falci, cesoie e quant’altro potesse servire per
lavorare in una serra. O
meglio, in tante serre, visto che ciò che ci si
parò dinanzi agli occhi fu un
vero e proprio agglomerato di almeno una mezza dozzina di lunghi vivai,
colmi
di fiori enormi e piante minacciose, che rendevano il posto molto
colorato e
dinamico.
-Inutile specificare che si tratta
delle serre di Erbologia,
immagino. Proseguiamo.
Tornammo così sui nostri
passi, questa volta però prendendo
da sotto l’ampio arco che ci condusse al piccolo cortile col
mappamondo al
centro.
-Questo è il campo di
allenamento per le lezioni di
Trasfigurazione. A destra c’è l’ufficio
della McGranitt, dritto si va per
l’ufficio del Preside, mentre a sinistra si va, beh, lo
vedrete.
Molte deviazioni, rampe di scale,
quadri indisponenti e
frecciatine gratuite da parte degli studenti più grandi
dopo, raggiungemmo un
modesto androne con un’unica porticina sulla sinistra.
-Questa è l’aula
di Incantesimi, fate piano poiché
probabilmente è in corso una lezione. Altrimenti il
professor Vitious sarebbe
qui davanti ad elargire preziosi consigli a chiunque abbia la sfortuna
di
passargli davanti.
Continuando senza voltarci arrivammo
all’altezza di una
grande ed alta sala, piena di testi e scrittoi su cui prendere appunti
velocemente. Si trattava senz’ombra di dubbio della...
-Ecco la Biblioteca della scuola.
E’ molto fornita e a meno
che non cerchiate il Sacro Graal, qui troverete informazioni su tutto.
Anzi,
forse persino su di esso. So che Piton vi ha già lasciato
una ricerca da fare:
vi conviene venire qui in gruppo già da domani stesso. Non
perdete tempo perché
se vi ridurrete all’ultimo giorno potreste scoprire con
amarezza che il libro
che cercate è già stato preso a nolo da qualcun
altro... E Pozioni non è la
tipica materia in cui è consigliabile presentarsi
impreparati. Quella lassù è
la sezione proibita, dal nome capirete che non vi è
possibile accedervi senza
l’autorizzazione di un insegnante. Ora che ci penso
però, non vedo l’ora di
controllare che razza di libri malefici contenga, pattugliare
l’area è uno dei
pochi doveri piacevoli che vengono assegnati ai prefetti.
Doveva essere un posto molto
silenzioso, eppure là dentro
tutto si faceva, tranne che studiare: si andava dallo sparare
incantesimi sui
libri svolazzanti al tifare ad una disputa a braccio di ferro...
L’attività più
silenziosa sembrava fosse l’imprecare dopo aver perso una
pedina degli scacchi.
-Non crediate che
l’atmosfera sia sempre così festaiola! Si
divertono, finché possono. Fra meno di dieci minuti Madame
Pince tornerà dalla
pausa pranzo e tornerà a regnare il silenzio. Intanto noi
andiamo.
La parte finale
dell’itinerario prevedeva il raggiungimento
dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, ma per far
ciò dovevamo ritornare
alla Sala delle Scale, scendere di due piani azzeccando la rampa giusta
e
rifare la strada di prima fino a ritornare dal cinghiale Gargoyle:
stavo
iniziando a sviluppare la fobia per i gradini.
-Abbiamo finito in perfetto orario,
ragazzi. Manca poco più
di un minuto all’inizio della lezione e voi avete soltanto
una cinquantina di
scale da salire, ce la farete senz’altro. Ora vi saluto che
anch’io fra poco
avrò lezione e devo ancora prepararmi.
Eravamo stati piantati là,
nel bel mezzo della spirale di
scale che conduceva al terzo piano. Una vetrata raffigurante un uomo
sul cui
volto gravava il peso della morte, sembrava fissarci e compatirci.
Stufo di
sentirmi spaesato, consigliai agli altri di proseguire per poterci
sedere comodamente
in aula, ma purtroppo non dovevo dare per scontato di trovare posti a
sedere.
Al nostro ingresso gli studenti che
ci avevano anticipato,
quasi tutti Corvonero, ci salutarono e ci spiegarono che stavano in
piedi
perché i banchi e le panche erano state spostate e messe da
parte, per non si
sa quale ragione. L’aula era molto grande, almeno il triplo
di quella di
Pozioni, e con lo spazio venuto fuori dall’eliminazione dei
posti a sedere
sembrava quasi una pista da ballo. Un proiettore e due vecchi armadi
erano alle
nostre spalle, mentre uno scheletro di non si sa quale bestia
mitologica era
appeso al soffitto tramite una singola fune che faceva temere un suo
imminente
crollo. Un ingombrante armadio a singola anta laccato in oro era posto
poco più
in là del centro dell’aula ed ogni tanto dal suo
interno provenivano suoni e
sobbalzi.
-Secondo voi, che diamine
c’è lì dentro?
-Ah, non ne abbiamo idea, Gideon dice
che è un Dissennatore,
per me invece si tratta di un Erkling: è molto meno
pericoloso di un non morto
ed essendo la nostra prima lezione non possiamo mica rischiare la
pelle, no? E
poi senti come gratta dall’interno, avrà
sicuramente dei lunghi artigli.
Avrei potuto concordare col suo
parere, se solo avessi
saputo che cavolo fosse un Erkling.
-Oh, ragazzi, siete già
qua... Ma non siete ancora tutti,
vedo. Poco male, aspetteremo un po’.
Il professore Lupin era apparso da
dietro la porticina alle
spalle dell’ambiguo mobiletto. Senza l’esagerata
illuminazione che solo le
luminose torce della Sala Grande potevano dare, il volto del professore
si
mostrava in tutto il suo pallore; le cicatrici che segnavano il suo
volto
sembravano più scure e profonde mentre le borse sotto gli
occhi più ampie e
marcate. Arrivato al nostro cospetto abbassò la testa ed
iniziò a fissarci, uno
per uno, dalla testa ai piedi, per almeno dieci minuti. Dopo quel lasso
di
tempo durante il quale tutti gli altri studenti si erano presentati, si
dondolò
coi piedi ed esclamò:
-Benissimo, cominciamo.
Andando avanti e indietro con il suo
corpo, cercava di
argomentare le sue scelte didattiche e spiegare il perché
tutto il mobilio era
stato spostato per farci stare in piedi di fronte ad un piccolo
armadietto
traballante.
-Innanzitutto partiamo con le
presentazioni. Io sono il
professor Remus John Lupin, il vostro insegnante di D.C.A.O., ovvero,
Difesa
contro le Arti Oscure. Prima di spiegare di cosa si sta parlando e
quale scopo
si prefigge di conseguire il corso, direi sia il caso di parlarvi un
po’ di me
e del perché sono qui adesso di fronte a voi come vostro
maestro. Quindi...
Accidenti, non c’è molto da dire in
verità. Anzi, quasi nulla, se non il fatto
che Silente mi ha personalmente contattato per offrirmi il posto come
docente
di Difesa. Io ho ovviamente accettato, dopo aver letto sui quotidiani
che per
due anni consecutivi l’insegnamento è stato
affidato ad emeriti incapaci...
Come avrei potuto rifiutare e lasciare le nuove generazioni allo
sbando? Stiamo
parlando della materia più importante della scuola
dopotutto. Ora tocca a voi
parlare però, come mai siete qui oggi? No, aspettate,
riformulo la domanda...
E’ ovvio che state seguendo questa lezione perché vi tocca, ma intendo perché
siete qui ad Hogwarts... Non rispondete
citando la lettera scritta dalla Piuma dell’Ammissione e dal
Libro
dell’Accettazione che vi è stata pervenuta in
casa, intendo lo scopo, le
aspettative... Insomma, cosa volete fare da grandi!
Notando le nostre facce
più confuse che altro, il
professore, sempre più a disagio, si scusò:
-No, no... Non rispondete,
è una domanda difficile in
effetti e poi è stata posta male... Ci risiamo, mi dilungo
troppo, scusate ma è
la mia prima lezione, sto facendo una figuraccia perché sono
più ansioso di voi
in questo momento.
Era un po’ buffa come
scena, ma i colpi che quella cosa,
qualsiasi essa fosse, dava da dentro il mobile rovinavano
l’atmosfera.
-Mi sono preparato una scaletta,
quindi ora la seguirò,
scusate se sembrerò un disco registrato, ma almeno tengo a
freno
l’agitazione... Capirete cosa provo una volta che sarete al
mio posto, un
giorno.
Lupin prese dei foglietti dal suo
taschino ed iniziò a
leggerli ad alta voce, impostando un tono da comizio:
-Lo scopo primario di questo corso
è certamente quello di
rendere l’allievo in grado di autodifendersi contro i
pericoli che gli si
possono parare nella vita o, almeno, questo è quello che
recitano la maggior
parte dei libri di testo che trattano l’argomento. E allora,
mi sono chiesto,
perché non insegnare ai ragazzi prima di tutto a difendersi
contro il nemico
più forte contro cui ci potremmo mai confrontare? Avete
capito di cosa parlo?
E’ semplice, la paura! Non è mica necessario
aprire un corso specializzato
chiamato, per esempio, Difesa Contro la Strizza per affrontare
l’argomento.
Così mi son detto: “Al diavolo il programma,
almeno la prima lezione la
gestisco come voglio io.” Ed eccoci qui, di fronte a questo
nemico misterioso.
Con il braccio destro ci
indicò il cassettone come se fosse
un’attrazione durante una visita turistica. Dopo essersi
accertato che tutti
avessimo seguito il suo discorso fino a quel momento, tornò
a leggere:
-Il viaggio sul treno mi ha inoltre
confermato la strada che
volevo intraprendere. Vedere i vostri volti terrorizzati
all’arrivo di quei
Dissennatori mi ha convinto una volta per tutte che questa prima
lezione doveva
essere dedicata alla sconfitta della paura. Tutti noi abbiamo paura di
qualcosa, inutile mentire. Certo, alcuni tra noi potrebbero soffrire le
fobie
più o meno intensamente di altri, ma l’unica cosa
che ci accomuna davvero è la
nostra costante necessità di farci coraggio giorno per
giorno.
Finendo l’ultima frase,
ripiegò il foglietto che teneva in
mano e passò in mezzo a noi, guardandoci.
-Immaginatevi come sarebbe diverso il
mondo se l’uomo non temesse
la morte... L’esistenza stessa di questo corso non avrebbe
alcun senso, o
quella degli ospedali... Per non parlare di quante scoperte sarebbero
tardate
ad arrivare se gli inventori non fossero stati spronati dalla
necessità di
proteggersi. Il fuoco è l’esempio più
indicativo: molti di voi forse non sanno
che il primo utilizzo che fece l’uomo di questa importante
scoperta non fu lo scaldarsi
o il cuocere i cibi, bensì lo scacciare le bestie feroci,
facendo leva,
guardate un po’, sulla loro
paura.
Perciò capirete di quanto importante sia per la corretta
crescita
dell’individuo non il cancellare ogni timore, ma saper
controllare le proprie
emozioni approcciandosi più razionalmente possibile al
pericolo. Perché badate
bene, il panico paralizza, ma la coscienza del rischio può
salvarvi la vita.
Arrivato in fondo al gruppetto ci
rivolse un’ultima,
impossibile, domanda:
-Dato il tema trattato, chi mi sa
dire cosa c’è all’interno
del mobile?
Nessuno rispose, nemmeno il ragazzo
Corvonero che era sicuro
si trattasse di un Erkling. Alcuni si sforzarono a cercare di capire di
cosa si
trattasse, ma la maggior parte, incluso io, nemmeno ci provò.
-Siete ancora piccoli,
però forse questo nome farà suonare
un campanellino a qualcuno: è un Molliccio.
Evidentemente no.
-E’ una creatura infida il
Molliccio, una di quelle che se
non affrontate con la giusta preparazione risultano letali anche al
più
formidabile dei maghi... Oh, beh, con le dovute eccezioni. E’
un mutaforma che
si trasforma in ciò che inorridisce o teme chi lo ha di
fronte, per cibarsi
delle proprie paure; proprio per questo motivo nessuno sa come sia
fatto in
realtà. L’uomo più coraggioso della
Terra forse riuscirebbe a svelare il
mistero, ma al mondo nessuno può dire di fregiarsi di tale
titolo. Non credo
che il Ministero approvi che dei giovani allievi del primo anno si
confrontassero direttamente con una creatura non morta pericolosa come
il
Molliccio, ma dato che le circostanze della vita non sono prevedibili
e,
nonostante la vostra giovane età, ieri siete entrati a
contatto con una delle creature
più ripugnanti di questo mondo mi sento pienamente
giustificato nel tenere
questa lezione. Del resto ci sono io a supervisionare il tutto, no?
Ritornando al suo vecchio posto, di
fronte l’armadio ad un
anta, estrasse la bacchetta e aggiunse:
-Per farvi comprendere al meglio il
giusto modo di operare
contro un avversario del genere, non c’è niente di
meglio che passare all’atto
pratico. Ma dato che probabilmente non avrete neanche agitato la
bacchetta in
vita vostra, è meglio far prima un piccolo sondaggio: chi di
voi ha già avuto
esperienze con la magia? Nel senso che sia riuscito ad eseguire
volontariamente
un incantesimo di qualsiasi tipo.
Sorprendentemente in pochi alzarono
la mano e tra essi mi
inserii anch’io, anche se dubitavo che le mie
capacità fossero alla pari con
quelle di chi era abituato a veder magie fin dalla tenera
età.
-Umh, tu, in seconda fila,
sì, proprio tu, fai un passo
avanti e presentati.
Era stato chiamato nuovamente il
ragazzo Corvonero che di
cognome faceva Pewter, sembrava non essere la sua giornata.
-Su, non essere timido, a turno anche
altri seguiranno il
tuo esempio.
Facendosi lentamente largo tra gli
altri studenti, arrivò
tremando dinanzi all’insegnante.
-Oh, così facendo sarai
una preda fin troppo succulenta per
il nostro Molliccio, non c’è motivo di aver
timore, ci sono qui io...
Vedendo che
l’incoraggiamento non sortiva alcun effetto,
Lupin domandò:
-Mi sa che il problema non
è il Molliccio in sé ma lo stare
qui con me, dico bene? Sono solo un’insegnante, so che non
devo essere molto
bello da vedere, ma i professori non usano mica divorare gli studenti
qui ad
Hogwarts, nemmeno i più indisciplinati. A meno che... Fatemi
indovinare, la
lezione di prima era Pozioni, vero?
Nessuno rispose verbalmente, ma i
nostri volti risposero per
noi.
-Ecco perché tutta questa
tensione... Beh, non vi biasimo,
deve essere stato abbastanza traumatico per voi cominciare
l’anno così. Temo di
sapere in cosa si trasformerà il Molliccio in molti casi.
Con me però...
Si allontanò verso la
credenza poco più lontano alle sue
spalle.
-... Si cambia musica!
Accese un grammofono e fece partire
una stramba e terribile
musichetta, che più che rallegrare l’atmosfera la
faceva sembrare solo più
demenziale. Ma forse era questo lo scopo a cui voleva mirare, dato che
alcuni
dei miei compagni iniziarono a sghignazzare, soprattutto dopo aver
visto i
piedi di Miller agitarsi a ritmo di musica. Provai imbarazzo per lui,
che solo
dopo una ventina di secondi abbondanti si rese conto di aver fatto
ridere mezza
classe terminando il tiptap.
-No, non ti fermare, sei entrato
nell’atmosfera giusta!
Niente, eh? Ti vergogni troppo. Comunque noto con piacere che adesso
siete
tutti un po’ più sciolti, incredibile il potere di
una sana risata, vero? Ed è
proprio questa l’arma che utilizzeremo contro il simpatico
Molliccio. Lui vuole
nutrirsi delle nostre paure più recondite? E noi gli
procureremo una bella
indigestione di risate che non si dimenticherà facilmente.
Come fare per
trovare il coraggio di ridere nonostante un avversario così
infido come il
Molliccio ve lo svelerò fra un attimo, intanto prendiamo
confidenza con il
nostro io interiore. Come hai detto che ti chiami?
-Non l’ho detto, signore...
Pewter, Gideon Pewter.
-Quanta formalità, bastava
mi rispondessi con il tuo nome, o
soprannome se ne hai uno. Comunque Gideon, secondo te in cosa si
trasformerà il
Molliccio vedendoti?
-Non saprei signore, non mi viene in
mente nulla.
-Capisco, allora chiudi gli occhi e
pensa intensamente ad un
avvenimento particolarmente traumatico della tua infanzia, sempre che
tu ne
abbia mai avuto uno. Solitamente sono queste le paure che, anche a
distanza di
anni, ci tormentano per tutta la vita.
Gideon chiuse gli occhi per qualche
secondo per poi riferire
al professore ciò a cui aveva pensato.
-Forse... Uno squalo?
-Come mai hai pensato agli squali? Ne
sei mai entrato in
contatto?
-Non io, ma mio zio si. Lui, mio
padre ed io una domenica
mattina siamo andati a pescare col peschereccio di un suo amico. Questo
amico
era un pescatore professionista, ma noi no... Mio zio tirò
malamente la rete da
pesca e finì in mare, uno squalo era lì e...
-Va bene così, pensi
davvero che sia il ricordo che il
Molliccio sfrutterà?
-Credo di sì.
-E cosa ti farebbe divertire a tal
punto da farti superare
la paura per gli squali?
-Penso nulla...
-Qualcosa deve pur esserci.
Riutilizza il metodo usato per
ricordare le paure ed applicalo per pensare a qualcosa che ti metta
allegria.
-Facendo mente locale, sulla barella
del Pronto Soccorso del
San Mungo mio zio per calmarmi mi disse che prima di esser salito sulla
barca
era andato in bagno senza lavarsi le mani e che perciò la
mano che ormai si
trovava nello stomaco dello squalo doveva avergli procurato
un’indigestione.
Credo che se vedessi quello squalo star male per quel motivo,
quantomeno
sorriderei.
-Immagino... Beh, potrebbe funzionare
dopotutto. In caso
contrario al Molliccio ci penso io e riproveremo con un altro
stratagemma; per
il momento proviamo così. Guardate bene tutti, questo
è il movimento che
dovrete eseguire con la vostra bacchetta, è molto semplice,
ma a seconda delle
vostre abilità con la dizione latina la formula magica
potrebbe invece darvi
dei grattacapi. Dovrete ripetere chiaramente la parola Riddikulus.
Non sembrava affatto difficile da
pronunciare, ma sentendo quello
che usciva dalla bocca dei miei compagni, capii che per loro era tutto
tranne
che semplice.
-No, no, la doppia D si deve sentire
chiaramente, serve a
dare enfasi alla vostra vena comica. Ecco, così.
Lo studente Corvonero con larghi
occhiali quadrati e capelli
a caschetto neri aveva pronunciato la formula con tale chiarezza che
neanche io
avrei potuto fare di meglio.
-Anche il movimento della bacchetta
è perfetto, complimenti.
Effettivamente il tizio sembrava
esser nato per scagliare
fatture, i suoi piedi e le sue gambe erano nell’esatta
posizione che indicava
la figura del libro di fatture che mi aveva regalato ser Richard. Era
evidente
che sapesse il fatto suo.
-Dai, riprovate fino a quando non vi
avvicinerete al suo
livello, solo allora potrete affrontare il nemico.
Dato che non avevo ancora provato la
formula neanche una
volta, decisi di unirmi allo schiamazzo di gruppo con un Riddikulus
che venne subito captato dall’insegnante, riconosciuto
in mezzo agli altri goffi tentativi.
-Ed ecco un altro studente che sa
scandire bene le parole,
su, non è impossibile, loro ci sono riusciti!
Ero nuovamente al centro
dell’attenzione, ma a differenza
del dialogo con Piton, questa volta la cosa fu decisamente
più lusinghiera.
-Come hai fatto? Riddikulus!!!!
Accidenti!
Nonostante tutto l’impegno
Fred Bowen non riusciva a
pronunciare correttamente la formula a causa della sua tendenza al
pronunciare
la U finale in A.
Eheheh, ne
hai di
strada da fare, Fred!
-Ci siete riusciti tutti, chi
più, chi meno. Ora è giunto il
momento di vedere se il pensiero divertente di Gideon sarà
veramente così forte
da prender forma... Sei pronto Gideon? Al mio tre, due, uno...
Lupin aprì con un
movimento di bacchetta il chiavistello che
teneva chiuso l’armadio e da esso fuoriuscì
lentamente una nuvola di fumo
grigioverde che a ben guardarla più che ad una nube
somigliava ad un piccolo
vortice dai colori spenti.
-Ecco che arriva, prepara la
bacchetta, indietreggia con un
piede soltanto se credi ti possa servire per dare più grinta
al tuo incantesimo,
non fargli vedere che hai paura.
Il Molliccio si stava effettivamente
trasformando nello
squalo che aveva ipotizzato Gideon; sebbene all’inizio
pensassi che la sua
fobia per gli squali era del tutto infondata ed esagerata, la visione
di
quell’enorme pesce fluttuante e digrignante mi fece ricrede:
era davvero
spaventoso.
-State calmi, non
attaccherà fino a quando non comprenderà
del tutto le abilità di ciò in cui si
è trasformato, perciò Gideon ha ancora un
po’ di tempo per lanciare il Riddikulus
senza preoccuparsi di quegli enormi denti gialli.
-R...
Riddikulus!
Non successe nulla.
-Più convinto, la formula
non serve a nulla se il mago che
la pronuncia non sa gestire le sue emozioni!
Il professore incitò
Gideon imitando il gesto del lancio più
e più volte e, finalmente, dopo l’ennesimo
tentativo del ragazzo, il Molliccio riprese
a roteare su se stesso, riformando quella specie di vortice scuro che
indicava
un suo mutamento di forma.
Sbleurgh!
Lo squalo stava adesso vomitando
l’anima sul pavimento
dell’aula, tenendosi la pancia con le pinne e strabuzzando
gli occhi dal
dolore. Scoppiò una risata generale a cui nemmeno io riuscii
a non partecipare.
-Ok, ok, devo ammettere che il signor
Pewter ha una fervida
immaginazione, non è facile farmi divertire davvero, ma
è questo il bello della
lezione di oggi, no? Tutti possiamo dar vita a qualcosa di fenomenale
con le
nostre stesse mani! Et voilà, Molliccio, tu rientra nel
cassettone, mentre
Gideon, batti il cinque! Ottimo lavoro, davvero.
Il ragazzo di Corvonero
rientrò in mezzo al gruppo come un
atleta che vince alle Olimpiadi, dando il cinque a destra e a manca,
venendo
rifiutato da praticamente tutti i Serpeverde e dal suo stesso compagno
di Casa
dalla postura sofisticata.
-Qualcun altro vuole provare? Dai,
è divertente!
Si face avanti proprio
quell’unico ragazzo che stava
prendendo la lezione fin troppo seriamente.
-Bene, chi sei? Presentati.
-Mi chiamo Andrea Rower, sono un
Corvonero e anche se credo
di sapere già in cosa il Molliccio si
trasformerà, non ho voglia di dirlo,
perciò lo affronto e basta.
-Mi sembri abbastanza sicuro,
perciò libero subito la
creatura apposta per te.
Nuovamente il chiavistello che teneva
chiusa l’anta
dell’armadio venne girato da un colpo di magia svelando un
ammasso di informe
consistenza. Lentamente prese le sembianze di un uomo attempato, non
particolarmente pericoloso, ma con uno sguardo severo e crudele,
probabilmente
era qualcuno che aveva fatto del male ad Andrea in passato.
-Riddikulus!
Andrea Rower lanciò la
fattura rapidamente e senza neanche
commettere una sbavatura nei movimenti, al Molliccio non venne dato
scampo e si
trasformò inesorabilmente nello stesso vecchio di prima, ma
con indosso vestiti
da donna, gonna e borsetta incluse.
-Ottimo lavoro, insolitamente
disturbante, ma sembra abbia
funzionato, non proviene più alcuna minaccia da lui, puoi
ritornare al tuo
posto! Tutti quelli che precedentemente avevano alzato la mano, si
mettano in
fila che ad uno ad uno toccherà a voi.
Immediatamente si formò
una colonna umana che aveva per
estremi le gemelle Carrow davanti e Fred e Rupert dietro: Serpeverde
sembrava
fosse la Casa che vantava più ragazzini che sapevano come
eseguire un
incantesimo.
-Come ti chiami?
-Hestia.
-Bene Hestia, sai già cosa
fare, no? Non appena parte la
musica libererò il Molliccio, pensa a qualcosa di divertente
e se hai problemi
non ti preoccupare che intervengo io.
Il grammofono, che nel frattempo
aveva smesso di suonare da
un bel po’, ritornò a strombazzare quella
demenziale nenia che secondo il
professore doveva aiutarci nell’esecuzione.
-Ohhh!!!
Tra lo stupore generale il Molliccio
di Hestia Carrow prese
le sue stesse sembianze, anzi quelle della sua gemella, dato che la
frangia
della creatura era speculare a quella della ragazza. Non riuscivo a
vederla in
volto dato che mi dava le spalle, ma da come stringeva i pugni era
ovvio che a
sua sorella la cosa non fosse piaciuta.
-Ahahah, già si ride e
manco il Riddikulus c’entra!
Rupert non aveva affatto torto,
girandomi indietro però
notai che sia lui che Fred avevano già impugnato la loro
bacchetta, così come
tutti gli altri membri della fila... Tutti tranne me.
-Professor Lupin!
Saltai la coda per dirigermi
velocemente verso l’insegnante
che nel frattempo controllava l’operato di Hestia, suscitando
malumori tra i
miei compagni.
-Ma dove vai?
-Rispetta la fila!
-Non tocca a te, ehi!
-Il solito Serpeverde...
Lupin si accorse della mia presenza
soltanto dopo che il
Molliccio di Hestia si fu trasformato in un manichino dalle fattezze
ancora fin
troppo simili a quelle della sorella.
-Sì? Che
c’è, devi andare in bagno?
-No, è che...
Spiegai tutto all’orecchio
del professore, non volevo che
gli altri sapessero che non avevo ancora la mia bacchetta.
-Ah si, il professor Silente me ne
aveva già parlato, come
ho fatto a dimenticarlo? Stai qua accanto a me, almeno vedi come fanno
i tuoi
compagni e impari guardando, un mese passa in fretta, vedrai.
Dall’altra parte
dell’aula ovviamente non mancarono i
commenti pungenti:
-Ma che fa lì?
-Ha paura di fare brutta figura?
-Non può stare
là!
-Il solito figlio di
papà...
-Ottimo lavoro ragazzi, sono passate
più di due ore, come
vola il tempo quando ci si diverte, la lezione di oggi sarebbe dovuta
finire da
un pezzo. Vi lascio anticipandovi che quella che alcuni di voi hanno
lanciato
oggi pomeriggio è una fattura, una delle tante forme di
magia offensiva che
vedremo durante tutto il nostro corso. Non ci sono compiti per questa
volta,
godetevi la vostra prima serata libera di Hogwarts, sempre che il
professor
Piton non vi abbia già caricato questa mattina. Ci vediamo
alla lezione di... Non
so, devo ancora imparare a memoria l’orario, buona serata a
tutti, lasciate
pure tutto così, ci penserò io a mettere in
ordine. Vi ridò il benvenuto ad
Hogwarts!
Uscendo dall’aula i miei
compagni si diedero ai commenti.
-Non è stata male come
lezione, no?
-Scherzi? La chiami lezione tu? Io la
definirei
pagliacciata.
Rupert Runcorn cercava di far passare
il suo rigido parere per
verità assoluta.
-Ai tempi di mio padre Difesa era la
materia più difficile
della scuola, non mi sarei mai immaginato di assistere ad uno
spettacolo del
genere proprio in questa classe!
Per una volta però Fred
non era d’accordo col suo compare:
-Non esagerare, a me sembra abbia
detto cose vere, mi sono
sentito un idiota sul treno a tremare come una femminuccia alla vista
di quel
Dissennatore, ora mi sento un po’ più sicuro di me
stesso.
-Non tirare in ballo le femminucce
quando loro si rivelano
molto più coraggiose di te...
Mentre scendevo le scale ricevetti
uno spintone talmente violento,
che se non mi fossi retto dal corrimano, probabilmente mi avrebbe fatto
capitombolare giù per la gradinata. Girandomi
però mi accorsi che io ero solo
l’ultimo di una lunga lista di ragazzi urtati da Andrea il
quale, apparentemente
senza motivo, si dileguò infastidito.
-Che cavolo gli è preso?
-Credo non gli sia piaciuto di come
abbiamo parlato di
Lupin...
-Ma a lui che gliene importa?
-E’ un Corvonero, sono
strani per natura.
-Ah, però adesso mi
offendo io!
Il ragazzo di Corvonero con un
fazzoletto di drappo rosso
che fuoriusciva dal taschino della sua giacca si sentì
risentito da quelle
parole e si allontanò da noi proseguendo giù per
le scale assieme a Kat e
Gideon.
-Hanno tutti la coda di paglia in
quella Casa.
Sentivo che dovevo far cambiare il
discorso così optai per
esporre un problema comune:
-Dato che abbiamo qualche altra ora
prima di cena, chi viene
con me nei Sotterranei a cercare di finire la prova di Pozioni? Almeno
non si
accavalleranno troppi compiti...
-Ma tu sei pazzo, per oggi ho finito,
voglio uscir fuori da
queste quattro vecchie mura e godermi un po’ di aria pura!
Non aveva certo torto,
anch’io ero abbastanza stanco e
soprattutto avevo una voglia matta di andare a zonzo per il castello,
ma era
ancora presto, mancavano più di due ore all’orario
di cena e quindi se fossi
stato abbastanza veloce sarei riuscito a far entrambe le cose, del
resto mi
mancavano soltanto cinque calderoni e, senza la calca della mattina,
avrei
impiegato certamente meno tempo a finire l’esercitazione.
-No, ha ragione lui, vengo con te, se
già inizio il primo
giorno a rimanere indietro coi compiti finirò affogato.
-Fate come volete, secchioni. Io vado
a spassarmela.
Così mi ritrovai con un
gruppetto di volenterosi che
desideravano come me togliersi a più presto quella rogna di
dosso. Soltanto
Brendan di tutti i Serpeverde decise di seguirmi, mentre gli altri due
erano il
solito Miller ed un Grifondoro di cui non ricordavo né nome
né volto.
-Scusa la domanda, tu sei?
-Walter, ma mi puoi chiamare Walt.
-D’accordo, io sono
Emanuele.
-Piacere.
-Ed io sono Miller.
-Io Brendan.
A presentazioni fatte rimaneva
soltanto il dirigersi verso
l’aula di Pozioni, ma nessuno muoveva un muscolo,
perciò presi io le redini del
gruppo.
-Andiamo, allora!
Durante il pomeriggio la scuola era
molto più vivace che al
mattino, le lezioni erano quasi tutte terminate e gli studenti potevano
rilassarsi dove e come lo ritenevano opportuno. Chi voleva studiare si
abbarbicava dietro qualche parete per ridurre al minimo i rumori
molesti, ma
era evidente che non fosse la soluzione ideale. Vedendo il trambusto
generale
speravo di non dover provare simili stratagemmi per poter leggere in
santa pace
e che almeno in Biblioteca o nella Sala Grande il silenzio regnasse
sovrano.
Anche se a dire il vero tutta quell’allegria era comunque
piacevole e non molto
fastidiosa.
-Di qua? Sei sicuro? Mi pare che
stamattina abbiamo preso
dal Ponte di Pietra per andare a lezione...
-No, sono abbastanza sicuro si prenda
di qua, dobbiamo
scendere nei Sotterranei dopotutto.
La domanda di Walter mi
procurò un sacco di dubbi, che però
vennero cancellati dall’appoggio di Brendan.
-Ha ragione Emanlule,
questa è strada giusta.
Come mi ha
chiamato?
-Scusa per il nome un po’
storpiato, mi sono accorto che l’ho
detto male.
-Non fa niente, per caso tu hai
già imparato a memoria la
disposizione di tutta la scuola? Domattina prevedo guai per la ricerca
dell’aula giusta...
-Ah no, certo che no, è un
vero labirinto, ma alla nostra
Sala Comune ormai ci so arrivare. Ed essendo l’aula di Piton
poco più in là non
ci sono problemi.
-Meno male, altrimenti mi sarei
sentito un idiota senza un
minimo senso dell’orientamento.
-Almeno voi vi ricordate
dov’è la vostra Sala Comune... Io
non mi ricordo nemmeno dove sia quella dei Tassorosso.
Sei una
causa persa,
Miller...
L’esercitazione si svolse
come preventivato: con meno gente
ad intralciare, organizzando i ruoli e sincronizzando i nostri
movimenti,
riuscimmo a concludere tutte le prove restanti in meno di due ore,
nonostante
le pentole rimaste fossero quelle con il tempo di ebollizione
più elevato ed i
ritardi dovuti all’odiosa clessidra che fungeva da cronometro
che, se ci
dimenticavamo di capovolgerla ogni cinque minuti, ci costringeva a
ricominciare
tutto daccapo.
-Ragazzi, non credete che il
professore possa pensare che
abbiamo copiato i risultati dai nostri compagni di banco?
-No, è impossibile. Le
relazioni sono completamente diverse,
le uniche cose che combaciano sono i tempi riportati delle ultime
cinque prove.
-E a questo mi riferisco! Non
è leggermente sospetto che ben
quattro studenti abbiano gli stessi medesimi risultati?
-Va bene, allora prendete il tempo di
dodici minuti e
trentasette secondi e cambiatelo di un paio di secondi ognuno di voi,
il
margine quello deve rimanere.
-Fatto, io ho messo dodici e
quaranta!
-Dodici e quindici!
-Anch’io?
-Certo che si, Miller!!
Din! Don!
Din! Don!
Din! Don!
Dan! Don!
-E’ già ora di
cena?
-Il tempo è volato,
abbiamo sprecato tutto il pomeriggio...
-Ci rifaremo domani! Spero.
Cercai di tenere alto il morale, ma
l’aver perso il mio
primo pomeriggio ad Hogwarts davanti un fornello a gas, dispiacque
parecchio
pure a me.
Il non aver avuto neanche un minuto
di tempo libero per
riflettere mi fece dimenticare che erano quasi ventiquattrore che non
toccavo
cibo in quantità necessarie al sostentamento, ma dopo
essermi seduto in tavola,
la fame non tardò ad arrivare.
-Uao, che si mangia?
-Non so, spero in qualcosa di meglio
della brodaglia di
oggi, ma voi due invece, avete davvero passato tutta la serata
là sotto?
Non ricevendo risposta né
da me né da Brendan, Frederick
trasse da solo le sue conclusioni.
-Siete dei pazzi. E non in senso
buono... Occhio, arriva il
bestione che ci ha accompagnato con le barche!
Si riferiva al professor Hagrid che
conduceva il suo enorme
corpo verso il tavolo degli insegnanti, suscitando la
curiosità di tutti gli
studenti che ancora non avevano fatto l’orecchio al grottesco
suono prodotto
dai suoi stivaloni.
-Vi abituerete alla sua ingombrante
presenza... Ciò che invece
non riuscirete mai a fare è chiamarlo professor
Hagrid. Oggi abbiamo avuto la nostra prima lezione col nuovo
insegnante di
Creature Magiche e avesse detto almeno una frase senza sgrammaticare...
Terribile.
Kevin Alister si sedette poco
più lontano, ma dato che tra
noi e lui c’erano soltanto dei posti vuoti, poteva parlarci
senza alzare troppo
la voce.
-Voi invece, come è andata
con Piton?
-E’ stato meno sgradevole
di quanto mi aspettassi a dir la
verità. Ne ho sempre sentito parlare un gran male da quelli
più grandi, ma a me
non è sembrato così cattivo, tutto fumo e niente
arrosto.
Era l’opinione abbastanza
discutibile di Rupert, se avesse
solamente cercato di riflettere che in sole due ore ci aveva caricato
di
compiti per una settimana, forse avrebbe parlato di meno.
-Ah, ma davvero? Continua a pensarla
così e vedrai che
sorpresa... Lupin com’è invece? Sembra proprio un
tipo losco, sempre meno di
Piton, certo, ma quanto a brutta faccia non scherza...
Fred e Rupert si guardarono in viso e
risposero a tempo:
-Una parola sola...
-...Ridicolo!
Al termine della cena, approfittai
della confusione serale
della Sala Comune per sgattaiolare in camera alla ricerca di Muthsera,
ero
curioso di sapere qualcos’altro su Silente e sul Cappello
Parlante, ma di lui non
c’era ancora traccia.
Possibile
non sia
ancora tornato? Non gli sarà accaduto qualcosa?
Sperando non gli fosse successo
nulla, nascosi la gabbia
sotto il letto, per evitare che gli altri notassero che era
completamente
vuota. Mi era rimasta la bottiglietta d’acqua da destinare al
mio serpente ma,
data la sua assenza, preferii reidratare la pelle del povero rospo di
Rupert
che ormai sembrava più morto che vivo. Fortunatamente per
lui, mi rispose con
un croak di ringraziamento e
andò
subito ad inzupparsi nella vaschetta che gli avevo appena riempito.
-Ma dov’eri, ti sei perso
la scommessa tra due ragazzi del
quarto anno! Ora il perdente deve fare il fantasma in mutande per tutta
la
notte!
-Ma di che stai parlando?
Doveva esser successo qualcosa di
veramente esilarante in
mia assenza, perché adesso tutti ridevano alle spalle di un
povero ragazzo che,
privato dei suoi vestiti, era obbligato a fare il giro dei Sotterranei
in
biancheria. Brendan mi spiegò la dinamica
dell’accaduto:
-Questi due, no? Avevano scommesso su
chi riusciva a bere
più acqua con un solo sorso, ma non acqua normale, quella
dell’acquario!
Comunque iniziano a tracannare ognuno un intero calice finendo
ovviamente tutti
inzuppati, ma senza demordere al secondo giro ad uno dei due gli va
dell’acqua
di traverso e rigurgita tutto a terra, perdendo così la
scommessa! E ora
deve...
-Si si, ho capito, ho capito.
Sembrava tutto molto divertente in
effetti, ma purtroppo non
riuscii a godermi la scena perché pensavo a che fine avesse
fatto Muthsera, probabilmente
giaceva da qualche parte fatto a pezzi da uno di quei troll di caverna.
-Però
è ripugnante, non ha
vomitato solo acqua.
-Già René, vedo
pezzetti dell’oca all’arancia di questa sera
galleggiare lì in mezzo.
-Secondo voi, chi
pulirà questo
casino?
-Io no di certo e anzi, direi di
dileguarci prima che
cadiamo vittima di nonnismo da parte dei soliti piantagrane.
Ahia!
Immediatamente la baldoria si
interruppe per far posto ad un
glaciale silenzio.
Dalla porta del magazzino apparve
Piton con lo studente che
aveva perso la scommessa tenuto per l’orecchio sinistro.
-Cosa faceva questo idiota svestito
per i corridoi dell’Ala
Vecchia? Trenta punti in meno a Serpeverde che se non ripulite
immediatamente quel
porcile diventeranno cinquanta! Gambler...
Gettò lo stupido verso il
mucchio di stracci bagnati che
prima erano i suoi vestiti.
-Ti sei appena procurato una
settimana di punizione,
inizierai domani all’ora di pranzo di ogni giorno, domenica
inclusa, vediamo se
avrai ancora il coraggio di vomitare la cena se è
l’unico pasto che ti sarà
permesso. Tutti gli altri, andate in camera e non fatevi vedere in giro!
Salendo verso i dormitori, Brendan si
lamentò:
-Ma dovevo ancora lavarmi i denti
però...
-E diglielo a lui!
Din! Don!
Din! Don!
Din! Don!
Dan! Don!
Cosa
diamine? Ah,
inizia un altro giorno ad Hogwarts...
Alzarsi fu molto più
difficile del giorno prima e non vedere
il ritorno di Muthsera non mi aiutò certo a ritrovare le
energie, ma per lo
meno quel giorno non avrei avuto Pozioni e quindi avevo tutto il tempo
per una
bella colazione.
-Trasfigurazione di mattina e...
Cavolo, non abbiamo nulla
nel pomeriggio!
-Non ci credo, fammi vedere.
E’ vero, siamo liberi!
Un’altra buona notizia,
sarebbe stata una bella giornata se
non fosse che il mio serpente era sparito e a me serviva proprio per la
lezione
della professoressa McGranitt.
-Ehi, mocciosi, vi ricordate
dov’è il cortile di
Trasfigurazione, vero? Perché se no, potete chiedere una
cartina al signor
Gazza!
E scoppiò la solita risata
corale dal divano dei dementi.
-Magari fatevela dare prima di
recarvi in bagno o entrerete
in quello per ragazze anche questa mattina!
Elizabeth Gaunt, la ragazza col
pigiama a pois della mattina
precedente, questa volta accompagnata dalle gemelle Carrow
tirò a me e a Dan un
asciugamano bagnato in faccia.
-Che schifo, lo riconosco,
è lo strofinaccio con il quale
Gambler ha pulito il suo vomito!
-Ahahah!
Tra le risate generali ed il ribrezzo
per lo straccio sporco
appena ricevuto in pieno volto, mi recai subito in bagno per una doccia
rinfrescante.
E’
più facile a dirsi
che a farsi... Dove metto l’accappatoio? E lo shampoo?
Diamine, c’è solo uno
spazio per il sapone... E come farò ad asciugarmi i
cappelli? Non c’è nessuna
presa per la corrente...
Ero l’unico a pormi questi
problemi, perché gli altri
entravano nelle docce in accappatoio e ciabatte con in mano soltanto
una
saponetta e tutto il resto dentro gli armadietti nel retro. Poco prima
di
aprire l’acqua dal soffione, un ragazzo appoggiò
il proprio telone sulla parte
superiore del box e diede inizio all’orchestra per fischi
più stonata della
storia.
Beh,
farò come questo
tizio... Certo però che è fastidioso lavarsi con
questo sottofondo...
Anche se insaponarsi con una
saponetta solida era piuttosto
scomodo, soprattutto per i capelli, fu ciò che venne dopo
che mi diete più
problemi. Non avevo infatti messo in conto un paio di cose: il non fare
troppa
acqua per terra ed il freddo glaciale che mi attendeva
all’uscita della doccia.
Uno studente più anziano
passò di lì e mi rimproverò:
-Dannazione mocciosetto, hai fatto
una palude qui! Volevi
farti un bagno per caso?
-Scusa, non sono abituato, a casa mia
abbiamo la vasca e...
-Prendi il mocio laggiù e
asciuga tutto, o qualcuno ci
scivolerà!
-S-sì...
-E tu basta fischiare, via!
Lo stesso ragazzo che mi aveva
rimproverato sottrasse
dall’anta del box doccia il telone del tizio fischiettante
che era si stava
ancora lavando e lo nascose da un’altra parte, il tutto
mentre l’altro inveiva
come un pazzo per lo scherzo di cattivo gusto.
Cavolo, ho
rischiato
pure io di perdere il mio accappatoio in questo modo, dovrò
tenerlo da qualche
altra parte la prossima volta...
Il freddo mi raggelava la mente ed il
corpo ma più asciugavo
la pelle, più attenuavo la sofferenza. Una volta messomi
quantomeno i vestiti
più essenziali iniziai ad asciugare la pozzanghera di mia
creazione, che aveva
raggiunto dimensioni peninsulari, defluendo da tutte le parti. Intanto
Brendan
che aveva finito di lavarsi da un pezzo era tornato in bagno per
cercarmi.
-Ancora qua stai? Noi stiamo andando
a fare colazione, se
non ci sbrighiamo la saltiamo!
-Sì, ho quasi finito!
-Ma se ti devi ancora vestire, manco
le scarpe hai messe!
Il bellimbusto spiritosone che aveva
costretto il suo
coetaneo ad aggirarsi nudo per il bagno alla ricerca del suo telone
venne in
mio aiuto.
-Va bene così, per la
prossima volta ricordati che il secchio
ed il mocio sono stregati, basta un colpo di bacchetta per costringerli
a
pulire per te. Ecco, così.
Ed i due utensili iniziarono a
lavorare da soli, proprio come
quelli che avevo visto al Paiolo Magico o al San Mungo.
-Meglio così, andiamo, ti
vestirai per la strada!
Vestirsi in movimento era una cosa,
ma asciugarsi pure i
capelli era tutt’altra musica.
-Non è che
c’è un phon magico nascosto da qualche parte. No,
eh?
Forse
nemmeno sanno
cos’è un phon...
Costretto ad una serie di
funambolismi estremi, mi ritrovai
infine seduto al tavolo della Sala Grande con il capo fasciato e mezza
giacca
sbottonata.
-Per la miseria, cosa stai facendo?
-Non mi parlare in questo momento
Fred...
Mentre ero intento a trangugiare
latte con una mano e
spazzolarmi i capelli con l’altra, uno stormo di uccellacci
ci volò sopra le
teste.
Hooot! Hooot!
-E’arrivata la posta!
Lettere e pacchi piovvero dal cielo,
lanciati dai volatili
che entrarono dalla vetrata superiore della sala, arrivando dritti
nelle mani
dei destinatari con precisione chirurgica. Tutti tranne i nostri
ovviamente,
che ci piombarono violentemente addosso, in maniera
tutt’altro che ordinata.
-Ahi! Ma che gli prende? Ah! Basta!
Gli altri ovviamente non potevano
sapere il perché di quel
loro atteggiamento bellicoso, ma purtroppo io una spiegazione ce
l’avevo, e
cioè che pur di evitare di avvicinarsi a me, le civette
preferivano lanciarci
ciò che trasportavano.
-Bah, non era mai successa una cosa
del genere, queste sono
vostre, ragazzi.
Ognuno di noi ricevette una lettera e
la mia era stata
scritta dai miei genitori: finalmente dopo settimane riuscivo a
sentirli.
Emanuele,
Siamo mamma e papà. Siamo
stato informati dal tuo tutore che
nessuna delle lettere che ti abbiamo spedito è riuscita ad
arrivare in tempo
durante il tuo soggiorno alla locanda chiamata Paiolo Magico. Tu
purtroppo non
sei più riuscito a tenere attivo il tuo cellulare,
perciò la corrispondenza via
posta è l’unico mezzo che ci resta per rimanere
in contatto. Ser Uppercut ha
portato in casa una coppia di gufi reali che tua madre ha subito
rinchiuso in
una voliera in terrazza. Ci ha consigliato di usare loro per inviarti
le
lettere perché molto più veloci di qualsiasi
metodo che utilizza la gente
comune per comunicare, inoltre non sapremmo neanche dove inviare le
lettere
dato che la scuola che frequenti non ha un indirizzo postale. Quello
più scuro
è anche più tranquillo, mentre l’altro
non fa che agitarsi, ser Uppercut si è
scusato perché non è riuscito a separare i due
animali dalla nidiata, sembra
che siano fratelli e non sono mai stati divisi finora. Dice che
è meglio che
quello calmo lo tenga tu per ogni evenienza a scuola, mentre quello
scalmanato
noi, sperando che nel frattempo si calmi. Comunque concordiamo sul
fatto che
debba essere tu a scegliere i nomi di questi animali, dopo tutto, sono
tuoi.
Volevamo farti anche sapere che ti
vogliamo un mondo di bene
e che ci manchi tantissimo. Sappi che puoi tornare a casa quando vuoi
senza
problemi, per noi sei sempre stato speciale, anche prima che scoprissi
le tue
capacità magiche. Qui stiamo tutti bene, tua sorella ti
saluta ed il nonno
continua ad insistere per mandarti qualche soldo tramite vaglia
postale, non sappiamo
più cosa inventarci per evitare di rivelargli ogni cosa, ma
se fai sul serio
prima o poi dovremo dirgli la verità, magari quando torni
per le vacanze di
Natale ci penserai tu stesso, e ci mostrerai cosa hai imparato
lì nel
frattempo.
Ancora un bacio, mamma e
papà.
Accidenti,
addirittura
due gufi, ser Richard me ne ha combinata un’altra...
La lettura di quella lettera mi aveva
talmente divertito e
commosso al punto da farmi scendere una lacrima. Non mi mancavano
moltissimo,
dopotutto era passato ancora poco tempo e non volevo certo abbandonare
la
scuola per tornare a casa, dopo che finalmente stavo per combinare
qualcosa di
bello nella mia vita. Ma c’era una parte di me che invece lo
voleva, che
desiderava troncare tutto per ritornare alla vecchia vita, ai vecchi
amici, al
vecchio Emanuele.
-Si sta facendo l’ora,
incamminiamoci, per l’aula di
Trasfigurazione c’è un bel po’ di strada
da fare.
Dovevo comunque rispondere alla
lettera, avrei dedicato
parte del mio pomeriggio libero allo scrivere la risposta ai miei e
spedirla,
così avrei pure conosciuto il gufo che ser Richard mi aveva
regalato. Misi la
busta nella tasca interna della giacca e l’asciugamano con
cui mi ero fasciato
i capelli...
-Che ci faccio con questo?
-Ah, non lo so, lascialo pure
lì!
-Vedo che alcuni di voi hanno portato
in classe il proprio
animale domestico, non era necessario, la lezione odierna
sarà esclusivamente
teorica.
La professoressa McGranitt accolse in
questo modo il gruppo
di studenti di Grifondoro, notando che uno di loro portava sulla spalla
una
specie di agitatissimo colombo. L’aula era leggermente meno
spaziosa di quella
di Difesa Contro le Arti Oscure, ma in compenso era decisamente molto
più
lunga, tant’è che sia la cattedra
dell’insegnante che la lavagna erano staccate
dalla parete frontale di almeno dodici piedi.
Sempre che
abbia ben
calibrato l’occhio alle misure inglesi...
-Sedetevi, nonostante non tutti siete
ancora presenti, la
lezione deve cominciare.
La McGranitt iniziò a
scrivere qualcosa sulla lavagna, ma da
dove ero seduto io era quasi impossibile leggere con chiarezza cosa ci
fosse
scritto.
-Sono la professoressa Minerva
McGranitt, vostra insegnante
di Trasfigurazione nonché Direttrice della Casa Grifondoro e
Vicepreside della
scuola, che per voi si traduce in “Autorità
Massima a Cui Render Conto”. Dopo
questa breve presentazione della mia persona passiamo
all’appello, la maggior
parte di voi già la riconosco, ma per gli altri ho qualche
dubbio. Inoltre mi
servirà per ricordarmi i nomi dei ritardatari. Prese dal
cassetto della sua
cattedra un rotolo di carta ed iniziò ad elencare i nomi dei
presenti.
-Bene, iniziamo con
l’illustrarvi in cosa consiste questa
disciplina che come ben presto capirete è più
vasta di quanto si possa
inizialmente immaginare.
Girò la lavagna di 180
gradi per mostrarne il lato
retrostante che presentava un infinito numero di simboli e segni,
racchiusi in
una specie di schema ad albero.
-La Trasfigurazione, o Alterazione,
è quella branca della
magia che si occupa della modifica delle strutture molecolari della
materia. In
realtà questa definizione è piuttosto recente,
dato che fino al diciottesimo
secolo venivano studiati in maniera separata e con approcci del tutto
differenti i quattro rami principali in cui possiamo sommariamente
dividere la
disciplina. Come vedete dal grafico, il termine Trasfigurazione
è di origine
babbana, fu a lungo usato dagli accoliti europei per indicare
avvenimenti sacri
legati alla cultura cristiana, solo successivamente venne utilizzato in
maniera
dispregiativa anche per indicare tutte le oscure pratiche delle streghe
trecentesche. Nei testi più antichi della scuola troverete
ancora alcune
differenze tra il concetto arcaico di Trasfigurazione e quello che ne
accostiamo oggigiorno. Fortunatamente per voi, il Consiglio ha deciso
di farvi
seguire un corso aggiornato e perciò, a meno di vostre
iniziative personali,
non dovreste affrontare alcun problema di omonimia. Per i
più curiosi posso
anticiparvi che se andate a cercare in Biblioteca il libro Della vita, per la morte, noterete
l’accostamento del termine
Trasfigurazione a quello di possessione demoniaca, che ovviamente non
ha nulla
a che fare con ciò che studieremo in questa classe.
Mi guardai intorno e
all’improvviso la stanza mi sembrò più
torva e sinistra, con tutte quelle gabbie appese al soffitto e le scure
inferriate delle vetrate che gettavano ombra sui nostri banchi.
L’uccellaccio
del ragazzo Grifondoro, poi, aveva iniziato ad innervosirsi e non
riusciva più
a stare tranquillo.
-Dogan, per amor del cielo, posi quel
suo animale in una
delle voliere, sta disturbando la lezione!
-E’ uno sparviero selvatico
professoressa, in gabbia si
innervosirebbe!
-E allora addomesticalo, non
è tollerabile un animale
dall’atteggiamento così indisposto nella nostra
scuola.
Matheus, il ragazzo rimproverato
dalla McGranitt, sistemò il
rapace in una delle gabbie libere non senza problemi, dato che ad ogni
tentativo di chiudere la porta, la bestia rispondeva con una bella
sferzata
d’ali che costringeva il padrone ad allontanarsi per non
farsi ferire agli
occhi.
-Riprendendo il discorso,
l’utilizzo che ne facciamo della
parola Trasfigurazione è quanto mai funzionale
all’approccio didattico del
corso in essere. Sarebbe infatti più indicativo denominare
ogni macro gruppo di
incantesimi che affronteremo con il loro vero nome, e cioè
Trasformazione,
Sparizione, Evocazione ed Annullamento, messi in ordine di
difficoltà
crescente. Per tutto il Primo Anno, studieremo soltanto incantesimi
riguardanti
il primo gruppo, cioè la Trasformazione. Anche gran parte
del Secondo Anno sarà
dedicata a questi incantesimi, ma vedremo qualche formula elementare di
Sparizione per poi essere ripresa in maggior misura al Terzo Anno.
Infine,
Evocazione e Sparizione, saranno i nostri obiettivi finali, ma a
seconda delle
vostre attitudini sia fisiche che magiche, non tutti avrete la
possibilità di
raggiungere alti livelli. Purtroppo, come vedremo più
avanti, nella formula
della Legge di Gamp, appare un fattore legato alle capacità
innate
dell’utilizzatore e a seconda della nostra predisposizione
alla materia
riusciremo o meno a conseguire certi risultati. State tranquilli
comunque, che
tutti gli incantesimi che vi verranno richiesti, saranno eseguibili
senza
particolari restrizioni, il che non significa che non dovrete metterci
impegno
o che saranno semplici, anzi, l’esatto contrario, dato che
faranno parte di
quel gruppo di incantesimi che non sono legati all’istinto
del mago, ma alla
sua capacità di concentramento ed al suo costante esercizio.
Spero che
queste cose
le trovi scritte nel libro, perché ho già
dimenticato tutto...
-In questa prima lezione ci
soffermeremo soprattutto sulla
simbologia comune utilizzata dai testi più noti e ad alcune
espressioni gergali
che stanno ad indicare un certo movimento del polso o
un’inclinazione ad un
determinato pensiero durante l’esecuzione
dell’incantesimo. Queste...
Girò nuovamente la lavagna
per mostrarci il retro che non
conteneva più il suo nome, bensì una sfilza di
simboli seguiti dalle lettere
dell’alfabeto.
-...Sono alcune rune che dovrete
imparare a memoria per
riuscire a studiare il Triangolo degli Intenti. Prestate particolare al
fatto
che per la V e la U si utilizzava lo stesso simbolo, che la X non
esisteva e
che se non vi allenerete a disegnare bene questi simboli,
finirà che agli esami
mi scriverete una F anziché la T, poiché il
rettangolo somiglierà ad un ovale e
per me varrà come errore.
La prossima
volta
dovrò mettermi in prima fila, qui non si vede un tubo...
-Non preoccupatevi di copiarli,
nell’appendice A del
vostro testo troverete sia il
Triangolo che la legenda delle rune. Per le prime lezioni
continuerò a
disegnarli entrambi, ma successivamente pretenderò che li
conosciate a memoria,
perciò iniziate a dargli un’occhiata
già da questo pomeriggio. Intanto, prima
di passare alla definizione di alcuni concetti fondamentali della
Trasfigurazione...
La professoressa poggiò la
sua bacchetta sulla clessidra
posta sopra la cattedra e la trasformò in un piccolo albero
di Natale,
svegliando qualche studente che si stava lentamente assopendo.
-Definiamo un po’ di tempi:
entro la pausa natalizia dovrete
essere in grado di saper trasformare un oggetto che vi
indicherò in un animale sempre
di mia scelta, il tutto senza utilizzare materiali precedentemente
stregati. Il
che significa, signor Burgio, che dovrà tenere il passo con
il resto della
classe anche se non possiede ancora una bacchetta, o
rischierà seriamente di
non superare il semestre.
-Cosa ha detto? Non ha la bacchetta?
-Impossibile, tutti gli studenti
devono averla!
-Ecco perché non
gliel’ho mai vista in mano...
-Ma sarà veramente un
mago? E’ la prima volta che sento una
cosa del genere...
Senza porsi troppi problemi, la
McGranitt mi aveva
praticamente gettato in pasto ai commenti acidi dei miei compagni, non
mostrando alcun briciolo di delicatezza. In quel momento desideravo
soltanto
morire.
-Adesso potete aprire il vostro libro
al capitolo 0,
Introduzione.
Nonostante la lezione fosse finita da
un pezzo, il fatto che
non possedessi una bacchetta era ancora l’argomento
principale di ogni discorso
e durante il pranzo ne parlavano già anche quelli degli
altri anni.
-Ma scusami, è vero quello
che ha detto la McGranitt?
Solo Brendan aveva trovato il
coraggio di pormi quella
domanda, ma altre mille orecchie erano pronte ad ascoltare la mia
risposta.
Cercando di essere il più indifferente possibile risposi,
tra una cucchiaiata
di minestrone e l’altra:
-Purtroppo sì, Olivander
non è riuscito a procurarmi una
bacchetta che si adattasse alle mie necessità...
Però è all’opera per
costruirmene una nuova, mi ha detto che entro ottobre sarà
pronta.
-Allora è proprio vero...
E come farai da qui fino a
ottobre?
Eh, bella
domanda...
-Ma ieri, durante la lezione di
Difesa, ti eri messo nel
gruppo di quelli che sapevano usare la magia! Raccontavi balle?
E’ per questo
che poi sei andato a metterti accanto al professore?
Il commento di Rupert era pungente
come al solito, ma dovevo
ammettere che il suo sospetto era del tutto legittimato.
-No, ecco, io prima usavo... La
bacchetta di mio padre!
-E perché non hai chiesto
ad Olivander di dartene una
identica!
Dan entrò in mia difesa:
-Vuol dire che non era veramente
idonea!
-Ma almeno per tutto settembre aveva
qualcosa con cui
esercitarsi, no?
-Domani avremo la prima lezione di
Incantesimi, vedremo che
combinerà!
Fred sembrava unicamente interessato
nel vedermi
pubblicamente umiliato.
Per cambiare aria e soprattutto
discorso, dopo pranzo decisi
di avviarmi immediatamente alla Guferia, per battezzare il gufo di
famiglia e
mandare una lettera ai miei genitori, che almeno per loro non ero un
fenomeno
da baraccone.
Al diavolo
tutti
quanti, dovrei lavarmi i denti, ma alla Sala Comune non ci metto
piede... Dove
si andava per la Guferia?
A causa della rabbia, non mi ero
neanche accorto di essere
appena uscito dal castello passando dal Cortile sul Retro e la vista
dal colle
esterno al castello era talmente meravigliosa da farmi passare tutta la
bile
che avevo in corpo. Il Sole era all’esatta altezza della
torre più alta, non
avevo ancora idea di che parte del castello facesse parte, ma era senza
dubbio
il punto migliore per osservare gli astri, infatti dalla parte opposta
alla mia
mi sono accorto che sporgeva la lente di un cannocchiale dalle
dimensioni decisamente
imponenti. Il Cortile sul Retro stava iniziando a popolarsi di ragazzi
in pausa
che avevano finito di pranzare, mentre da qualche parte sotto il
terreno si
estendevano i Sotterranei dove Alvin Gambler stava passando la sua
prima di
sette ore di punizione con Piton. Gli alberi tutt’intorno
facevano incetta di
ogni brezza per trasformarla in una ritmata danza di colori, luce ed
ombra si
mescolavano assieme al verde delle chiome per creare un effetto
graduato che
andava virando sempre più verso il dorato salendo in alto;
io mi trovavo in
mezzo a quel letto di tonalità chiaroscure sentendo per la
prima volta dopo
tanto tempo il vento sulla pelle.
Avvicinandomi alla torre denominata
Guferia, i versi ed il
piumaggio prodotti dagli uccelli si facevano sempre più
numerosi finché, ai
piedi dell’edificio, non si era spettatore di un vero e
proprio concerto di
strepiti. Entrando dalla porta di legno che portava segni piuttosto
freschi di
escrementi di volatili, venni accolto da un’ondata di lamenti
e di ali
spiegate, atte ad intimidirmi e a farmi fare dietrofront. Purtroppo per
loro,
però, non avevo intenzione di lasciarmi impressionare dagli
schiamazzi e se mi
avessero costretto, avrei scaricato le mie frustrazioni su di loro.
-State un po’ zitte
bestiacce, me ne vado subito, il tempo
di consegnare questa stupida lettera...
In realtà dovevo anche
trovare un paio di nomi per i gufi
per poi riferirli nella lettera dei miei genitori, quindi non sapevo
effettivamente quanto tempo avrei potuto perdere là dentro.
Ogni animale aveva un suo scomparto
dove poter attendere gli
ordini dei padroni e nel frattempo riposarsi e proteggersi da freddo ed
intemperie. Non si capiva bene come fossero organizzati, tanto che
sembravano
essere messi alla rinfusa, ma un qualche criterio logico doveva
esserci, visto
che tra un volatile e l’altro c’era sempre qualcosa
che rimandava alla Casa e
all’anno di appartenenza del proprietario. Il mio, ad
esempio, si trovava al
quinto piano tra i gufi di Sullivan Bones e di un certo Carl Buster del
sesto
anno, stando alle targhette poste sotto ogni scomparto.
-Eccoti qua, sei molto elegante, sai?
Il gufo reale che aveva scelto per me
ser Uppercut era
l’unico tra quegli animali che non si agitava come un pazzo
alla mia vista,
forse il mio tutore lo aveva scelto proprio per la compostezza con la
quale
gestiva la tensione. Il che mi fece riflettere al come avesse provato
questa
sua caratteristica in mia assenza.
Possedeva un aspetto fiero e
determinato, il suo piumaggio
era pezzato: il marroncino prevaleva, con chiazze più scure
poste sulle ali e
sul petto e sulla fronte. Non distoglieva lo sguardo dai miei occhi
nemmeno per
un secondo, scrutandomi come se stesse cercando solo una scusa per
attaccare.
Dalla severità del suo cipiglio ne scaturiva una specie di Y
formata dagli
angoli delle orbite oculari con il suo becco adunco, da qui mi venne in
mente
il nome da dargli: Rudra.
-Hai proprio uno sguardo rude, eh? Ed
io ti nomino Rudra. Il
tuo fratellino invece, anche se non l’ho mai visto, lo
conosco di fama, è un
tipo rabbioso ed iracondo anche senza avermi mai visto e per questo lo
chiamerò
Agni. Siete proprio una bella coppia.
Scrissi i nomi che avevo deciso per
gli animali sulla
lettera di risposta e la consegnai nelle zampe dell’animale
che,
immediatamente, senza un mio particolare ordine, partì per
inviarla.
Erano le tre e mezza, gran parte
degli studenti si trovavano
a lezione e gli unici fortunati a non aver atro per il resto della
giornata
erano soltanto quelli del Primo Anno. Ne approfittai quindi per andar
di
soppiatto nella Sala Comune per poter prendere la strana mela a forma
di cuore
che ci aveva dato Piton e andare dritto in Biblioteca per capire di che
frutto
si trattasse. Mi aspettavo di trovare comunque qualcuno per la strada o
nel
dormitorio, invece non incontrai anima viva, nemmeno un singolo
studente che
aveva saltato la lezione o qualcuno del mio stesso anno. Anche in
camera
regnava l’assoluto silenzio e purtroppo Muthsera continuava
ad essere disperso.
Se non torna
entro
domani, dovrò mettermi il cuore in pace e dirlo a ser
Richard con una
lettera...
Sorprendentemente riuscii ad arrivare
in Biblioteca senza
sbagliare strada neanche una volta; forse fu solo una questione di
fortuna, ma
era possibile che le sommarie indicazioni di Kevin Alister erano
servite davvero
a qualcosa. Mi avviai così con la mela nella mano destra e
qualche rotolo di
pergamena sulla sinistra verso il banco della bibliotecaria.
-Mi scusi signora, il professor Piton
ci ha chiesto di fare
una relazione su questo frutto, purtroppo non so di cosa si tratti, non
è che
mi saprebbe consigliare un libro che ne parli?
-Oh, che educazione! Vediamo...
Sì, per le cormele il libro
giusto è Doni per gli Einherjar,
nella sezione Miti e Realtà,
lassù,
guarda.
La libreria si trovava nel
pianerottolo vicino al cancello
della sezione proibita, dando un’innocente occhiatina
all’interno però non
notai nulla di particolarmente evocativo, quindi tornai alla ricerca
del libro
che mi serviva.
-Mi scusi signora, non l’ho
trovato, è sicura che non
l’abbia preso qualcun altro?
-Madame Pince, puoi chiamarmi
così giovanotto e sì, sono
sicurissima che nessuno lo abbia noleggiato, a meno che un tuo collega
non lo
stia consultando in questo preciso momento da qualche parte qui in
Biblioteca,
vai a controllare e vedi se c’è qualcuno che
riconosci!
Non mi rimaneva altro che fare come
mi aveva detto la
bibliotecaria; per fortuna per via dell’orario la Biblioteca
era mezza deserta,
ma non sarebbe stato comunque facile, date le sue dimensioni.
-Ehi, Emanuele!
Era Brendan che mi chiamava da dietro
uno scaffale ad
essersi dimenticato di essere in un luogo silenzioso.
-Sst! Non gridare, cretino!
Amanda lo rimproverò coi
suoi soliti modi femminili: era lei
ad avere il libro che mi serviva e lo stava leggendo a tutto il gruppo
di
ragazzi che stavano con loro.
-Hai visto? Stavolta non ho
incespicato... Senti, non è che
hai un diminutivo per gli amici un po’ più
semplice? E’ una specie di terno al
lotto pronunciarlo per bene...
-No, a dire il vero no...
-Allora, avete finito di discutere?
Posso riprendere la
lettura?
-No, scusa Amanda, puoi farmi un
riassunto di quanto avete
letto finora?
-In realtà avevamo appena
cominciato... Sappiamo soltanto
che è una mela particolare che appare nella mitologia
norrena. Le valchirie
donavano questi frutti alle anime dei guerrieri più valorosi
che poi
rinascevano sottoforma di, come si diceva? Ah, si, Einherjar...
Illeggibile,
proprio.
-Quindi?
-Quindi niente, eravamo arrivati qua!
Vuoi tutto pronto
forse? Vuoi che te la scrivi io la relazione?
-No, scusa, scusa, pensavo ci fosse
altro.
-Spero ci sia qualcosa di
più concreto, perché sono sicura
che a Piton non interessi niente di questa storiella.
-Voi però che dite, queste
cose nel dubbio le inseriamo in
relazione?
Il ragazzo Corvonero di nome Alexis
O’Connell, che portava
perennemente quell’odioso fazzoletto rosso, pose questa
giusta domanda.
-Certo che no, o rischieremo di
andare fuori tema!
Fu sua sorella, Tereese, a
rispondergli. Lei era stata
smistata in Tassorosso però.
-Dipende, se ciò che dice
il libro sull’argomento si rivela
esaustivo allora no, ma se non abbiamo altro da scrivere oltre ai
risultati
della nostra esercitazione, beh, qualcosa dovremmo pur scrivere per
riempire un
foglio di pergamena...
Amanda mi guardò
assottigliando gli occhi, come se avessi
detto qualcosa di sbagliato. Probabilmente però fu solo che
non si aspettava
una simile risposta da me, tant’è che riprese a
leggere soltanto dopo un po’.
-Posso dare un’occhiata
veloce ai tuoi appunti?
-Sì, certo, mentre ci sei
controlla l’ortografia, non vorrei
aver commesso qualche errore... Sai, non è
l’inglese la mia lingua madre.
Amanda mi strappò i fogli
di mano, leggendo avidamente.
Avevamo appena finito l’esercitazione nel laboratorio di
Pozioni e come
risultati avevamo ottenuto che con la pentola che ha impiegato circa
trenta
secondi in più a raggiungere la temperatura di ebollizione
la mela era
diventata viola e il fumo che aveva prodotto emanava un tanfo
terribile, mentre
nell’altra la mela aveva ottenuto un salutare tono roseo e, a
seconda di molti,
un gustoso odore di carne alla piastra. Come fosse possibile
però non ce lo
sapevamo spiegare e questo stava facendo andare su tutte le furie
Amanda, che
cercava inesistenti indizi tra le mie righe.
-Non hai scritto nulla sullo strano
odore di carne...
-Perché a me non sembrava
di carne, somigliava di più a
quello di una pizza, ma non posso scrivere cose di cui non sono sicuro.
-Va bene, torno alla Sala Comune,
sono troppo stanca per
continuare, me la riguarderò a letto e poi
passerò alla bella copia.
-D’accordo, penso
farò la stessa cosa io...
-No, qualcuno deve pur rimettere
tutto a posto, ci penserete
voi maschi, perché io, Kat e Tess saliamo su!
Dopo che le ragazze se ne andarono
veramente lasciando a noi
il lavoro sporco, non mancarono le isterie di massa.
-Ci hanno infinocchiato!
-Questa è
l’ultima volta che lavoro in coppia con mia
sorella, è un incubo!
Anche se dovevamo posare soltanto
pochi attrezzi, il
comportamento delle ragazze fu comunque fastidioso e anch’io
in futuro avrei
evitato di mettermi nel gruppo assieme a loro, se avessi potuto. Come
per
rincarare la dose, Gideon, di soppiatto, mi porse una domanda a
tradimento:
-Senti, adesso che abbiamo finito...
Ma è vero che non
possiedi una bacchetta?
Dopo aver risposto con un secco SI! all’odiosa questione del
mio compagno, decisi che era ora di
tornare in camera e aspettare l’ora di cena evitando di
parlare con chiunque
altro. Al mio ritorno, però, feci una scoperta che mi
rallegrò immediatamente:
Muthsera era tornato.
-Sono qui,
dentro la
gabbia sotto il letto, fammi un favore...
Il favore che voleva gli facessi era
raccogliere il topo che
aveva appena cacciato e tagliarglielo in piccole parti da poter
digerire anche
sottoforma di tritone. Avrei senza dubbio rifiutato se non avessi visto
in che
condizioni si trovava. Del tutto squamato, aveva un occhio ferito e
aveva perso
quasi metà della sua massa, sembrava un mezzo cadavere.
-Cosa
diavolo ti è
successo?
-E’
colpa della tua
stupida curiosità, per cercare l’ufficio di
Silente ho girato l’intero castello
e per riposarmi al ritorno mi sono rannicchiato in un angolo. Proprio
mentre
dormivo quel rattaccio mi ha attaccato... Praticamente sono vivo per
miracolo,
se fosse stato un pelino più intelligente, invece di
mordermi all’addome, mi
avrebbe perforato il cranio, se solo ci ripenso... Per fortuna sembra
non abbia
mai conosciuto un serpente, perché non si era accorto che
mentre lo distraevo
con la lingua, attorcigliavo la coda attorno al suo corpo. Ma ero
debole e nel
frattempo mi ha sfregiato e morso dappertutto... Sono abbastanza scarso
come
predatore, che vergogna.
-Tieni un
po’ d’acqua,
intanto vado a prendere quel topo e metterlo da qualche altra parte.
Qui non so
davvero come fare a sezionartelo e poi... Che schifo! Non ci riuscirei
mai
senza vomitare...
-Grazie
tante, allora!
-Invece per
quelle
ferite, posso fare qualcosa?
-Non sono
niente,
andranno via col tempo, facendo la muta, anche quella
nell’occhio.
-Sarà,
ma almeno
disinfettiamole.
-Fermo, so
cosa voi
umani usate come disinfettante, no, quella bottiglietta no!
-E’
solo acqua
ossigenata, non brucia neanche!
-Nooo!
Brucia
terribilmente!
-E dai, non
fare il
bambino, se ti si infettano puoi lasciarci le penne...
-Facile
parlare per
te, non hai un occhio lesionato che in questo momento è in
fiamme!
Dopo averlo medicato al meglio delle
mie capacità, lo
lasciai riposare per andare a cena.
-Resta buono
qui che
più tardi torno e vedo in che condizioni stai, speriamo vada
tutto bene o sarò
costretto a chiedere consigli a ser Richard.
-Quello al
massimo
come consiglio ti dà quello di sopprimermi.
-Riposati!
La mia intenzione era quella di
cenare il più in fretta
possibile, ma proprio quella sera il pasto fu particolarmente tardivo.
-Scusate il ritardo, ma mi sono
dovuto occupare di una cosa,
che arrivi la cena!
Alle parole del preside, apparvero
tutti i manicaretti della
serata, che vennero spazzolati in poco tempo dalla folla famelica di
studenti
messi ad attendere forse po’ troppo.
-Mi sembri
un po’ migliorato,
vedi che le medicazioni hanno fatto effetto?
-La coda di
topo che
ho divorato, quella si che ha fatto effetto...
-Beh...
Anche.
-Comunque
sia, so che
vuoi chiedermelo anche se per delicatezza ancora non l’hai
ancora fatto, ma ho
spiato Silente per te.
Con Muthsera era inutile fingere che
non mi interessasse,
lui poteva sentire le mie emozioni ed io le sue.
-E quindi?
-E quindi
non ha
combinato nulla per quasi tutta la giornata, andava su e giù
per il suo ufficio
come un trenino, finché...
-Finché?
-Ero sul
punto di
andarmene quando all’improvviso sembra mettersi a parlare da
solo, ma in realtà
dialogava con qualcun altro!
-E con chi?
-Senti
perché non lo
vedi da solo? Almeno risparmio tempo e fatica...
-Il fatto
è che non so
come si fa, l’altra sera è stato un caso fortuito.
-Ma quale
fortuna, se
sia io che te pensiamo alla medesima cosa entriamo in sintonia, mi
sembrava l’avessi
capito, dai riprovaci, desidera di vedere coi tuoi occhi quello che ho
visto
io.
-E
proviamoci...
Poggiai una mano sul capo di Muthsera
e dopo un po’ mi
sembrò di muovermi come lui, vedere attraverso una fessura
del soppalco e
respirare molto più lentamente, dovevo essere entrato nella
sua mente.
-Quindi mi stai dicendo che continui
a non ricordare nulla?
Il preside Silente apparentemente
stava parlando da solo,
dato che stavolta Muthsera aveva scelto un punto strategico e nel suo
ufficio non
c’era nessuno: né vicino al tavolo, né
all’ingresso e neppure sul davanzale del
secondo piano.
-Quante volte devo ripeterglielo
professore? No, assolutamente
nulla!
Qualcuno però rispondeva
alle sue domande, forse proprio uno
di quei quadri animati che tappezzavano la parete frontale della
stanza. Osservandoli
meglio, però, raffiguravano soltanto persone intente a
dormire, figuriamoci se avevano
intenzione di parlare.
-Neanche dopo aver guardato dal
pensatoio?
-No. Sono preoccupato tanto quanto
lei e davvero vorrei sapere
perché dell’Allarme, ma non ci riesco neanche
concentrandomi intensamente!
Il cosiddetto pensatoio
scomparve dietro il muro girando su se stesso non appena il
preside
premette col piede una mattonella del pavimento, ma ancora non si
riusciva a
capire con chi stesse parlando.
-Ricordo tutte le parole del
Giuramento del Gran Maestro
dell’Ordine, ma la parte riguardante l’Allarme
l’ho totalmente rimossa...
-Se è dovuto ad un effetto
collaterale del mio incantesimo
la memoria temo non ritornerà, speravo solamente che non
fosse come temevo. Va
bene Cappello...
Cosa,
Cappello?!?
-Inutile forzare la mano, hai avuto
un sacco di tempo per
pensarci e non sei riuscito a ricordare nulla, dobbiamo passare al
piano B.
-Quale sarebbe il piano B, signore?
Piton era appena entrato
nell’ufficio del preside, circospetto
come sempre. Più che al professor Silente votava il suo
sguardo verso un
ripiano della credenza e non ne capivo il motivo.
Oh,
finalmente, eccolo
là il misterioso interlocutore!
Si trattava del Cappello Parlante,
che era ben mimetizzato
tra i libri di uno degli scaffali posti più in alto.
-Eccoti finalmente, Severus. Niente,
è molto semplice: porti
il ragazzo qui e lo sottoponiamo nuovamente al giudizio del Cappello.
-Nel suo ufficio?
-Sì, nel mio ufficio.
-E se tornasse ad Allarmarsi?
Riutilizzerebbe l’Extinguo Discrimen?
-Solo se costretto.
-Le ripeto la mia opinione in merito
allora: chiudiamo la
faccenda qui ed allontaniamolo dalla scuola. Non ha ancora la bacchetta
e non
sa quasi nulla sulla magia, siamo ancora in tempo a...
-Credi che non ci abbia pensato? Ma
chi siamo noi per
togliere la speranza ad un bambino?
-Signore, parla
coi
serpenti!
-Anche Harry lo fa e le sue azioni
hanno dimostrato di non essere
prerequisito di un cuore malvagio.
-Potter è un caso a parte,
il suo destino è legato al
Signore Oscuro, quello di questo ragazzo a chi lo è se non a
se stesso?
-Ed è proprio per
sciogliere questi dubbi che ti chiedo di
portarmi domani sera il ragazzo e ritentare col Cappello.
L’ultima volta è
stato smistato in Serpeverde senza contatto diretto, Minerva era troppo
preoccupata
che il Cappello si Allarmasse nuovamente.
-Quindi mi sta dicendo che preferisce
di più Smantellare per
la seconda volta consecutiva un cimelio incantato mille anni fa, con il
rischio
di non riuscire più a stipularne il contratto, che fare la
cosa giusta?
-La via più semplice non
è mai quella giusta, Severus. Adesso
lasciami solo e attendi una mia conferma per domani prima di chiamare
il
ragazzo, voglio meditarci un po’ su questa notte...
-A questo punto farò come
vuole lei signor Preside, ma
questa sera mi recherò comunque alla Sala Comune per vedere
cosa combina, come
Direttore di Serpeverde è mio dovere garantire la sicurezza
degli altri
studenti.
-Allora
domani Piton
verrà a cercarmi!
Tornai nel mio corpo, evidentemente
il ricordo era
terminato.
-No, ti ho
detto che ho
perso tempo con quel ratto... Quel domani è oggi!
-Questo
significa
che...
-Emanuele, scendi immediatamente!
Brendan mi spaventò a
morte, irrompendo nella stanza. Avevo
totalmente dimenticato di essere ancora nel dormitorio dei Serpeverde,
perciò immediatamente
gettai il cuscino sopra Muthsera per non rivelare la sua vera
identità e seguii
il mio compagno di classe.
-Che succede? Mi hai fatto prendere
un colpo!
-Lo so, scusami, ma non è
dipeso da me, il professor Piton
vuole parlarti!
Piton?!?
Nota:
Emanuele
sceglie i nomi di Agni per il gufo più irascibile
perché Angry = Irato in
inglese per via del suo temperamento, mentre quello di Rudra per il
gufo più
mansueto perché Rude = Duro sempre in inglese, per via del
suo sguardo severo.
Inoltre, Agni e Rudra sono due divinità vediche
dell’induismo.
|
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Capitolo 13 *** Chi ben comincia... ***
-Piton? E’ già
qui?
-Lo aspettavi?
-No, cioè, avevo il
sospetto che ritornasse anche oggi, ti
ricordi ieri sera?
-Ah già, comunque questa
volta è venuto per te, non per
Gambler...
Anche prima se è per questo...
-Avevamo forse fretta di ritornare al
nido?
Il professor Piton aspettava davanti
al camino, anche se era
spento aveva un ottimo motivo per trovarsi lì: poteva
controllare l’intera Sala
Comune.
-Ebbene, perché tanta
urgenza nel lasciare la Sala Grande?
Non sapevo cosa rispondere, avevo
mille buoni motivi per
essermi recato frettolosamente in stanza, ma nessuno di essi era
semplice da
spiegare o tantomeno mi avrebbe risparmiato un’umiliazione
pubblica.
-Me lo spiegherai mentre andiamo,
seguimi.
Mentre Piton si avviava verso
l’uscita della Sala, alle nostre
spalle si dava inizio ai bisbigli:
-Se lo sta portando!
-Ma cos’ha combinato il
marmocchio?
-Che bel modo di iniziare
l’anno, buon per lui!
Il professore sembrava non dare peso
a quelle chiacchiere
anzi, aumentò gradualmente l’andatura fino ad
arrivare a passo di marcia.
-Mantieni il ritmo!
Non era certo cosa semplice, specie
nelle scalinate.
-Sai dove stiamo andando?
-No, signore.
-Bene, lo scoprirai fra poco, stai
qui.
Piton si era fermato a ridosso di una
delle balconate della
Torre delle Scale ed io aspettai con lui. Improvvisamente una delle
rampe del
piano superiore che collegava il secondo piano con un livello
intermedio cambiò
angolazione, per potersi collegare al nostro spiazzo. Una volta che
l’aggancio
fu effettuato, il corrimano scivolò lateralmente per
permetterci il passaggio.
Vedendo la mia faccia stranita, il professore mugugnò:
-Non vorrai farmi credere che non eri
ancora a conoscenza
del fatto che le scale di muovono...
-No, professore, come ci è
riuscito?
-Non ho fatto nulla, alle scale
è stato dato ordine di
cambiare posizione a seconda delle necessità di chi deve
attraversarle, e noi dovevamo
farlo.
Effettivamente sfruttando questa
specie di scorciatoia ci eravamo
risparmiati un
bel po’ di strada, arrivando direttamente al terzo piano con
sole due rampe. Il
Cortile di Trasfigurazione era molto buio e cupo la sera ma anche
rilassante,
per via della luce lunare che filtrava dagli strati di nubi del cielo
settembrino; accanto la statua della torre del preside era comunque
presente
una torcia, l’unica ad essere accesa a quell’ora.
-Entra.
Entrare dove?
Dinanzi a noi si stagliava soltanto
una grossa scultura a
forma di volatile con le ali spiegate. Forse era anch’esso un
Gargoyle, dato
che la scuola era famosa per le sue statue di comuni animali nominati Gargoyle per nessun motivo apparente, ma
oltre a quella non c’era alcuna porta da cui passare.
-Ho detto entra.
Mi diede una spinta di modesta
entità, quanto bastava per
farmi avanzare di due passi.
-Pallini Acidi.
Il pavimento iniziò a
traballare così come la statua del
pennuto e mi ritrovai su una spirale di scale rivelata dalla rotazione
che fece
il Gargoyle su se stesso.
-Sempre Pallini Acidi.
Anche il professore risalì
le scale per seguirmi. Ci
ritrovammo dinanzi ad una spessa porta di legno, molto meno ampia di
quella
della Sala Grande, ma similmente intagliata.
-Resta fermo dove sei.
Facendo ben attenzione a non
permettermi di sbirciare
all’interno dell’ufficio al suo ingresso, Piton si
presentò al Preside solo
dopo esser già entrato. Riuscii ad intendere solo le prime
parole espresse dall’insegnante
poco prima che si allontanasse troppo dalla porta.
-E’ con me, come
desideravate.
Solo qualche secondo dopo mi fu
concesso di partecipare alla
discussione dal sempre più cupo professor Piton.
-Prego, prego, entra. Non aver
timore, non sei in punizione.
Il preside Silente era situato
dinanzi alla sua cattedra
gesticolando un caloroso benvenuto col braccio sinistro. La sua figura
slanciata pareva ancor più longilinea dal connubio della sua
posizione
leggermente sopraelevata dai due gradini che ci distaccavano e dalle
anguste
dimensioni della stanza.
-Ogni studente dovrebbe avere il
privilegio di incontrarmi privatamente
al primo anno. Tutti dovrebbero sapere che sono io il loro punto di
riferimento
all’interno di questa scuola. Purtroppo a causa dei
molteplici impegni del preside
e dell’elevato numero di nuovi iscritti ogni anno, questo non
è fattibile, ma
tu sei fortunato, infatti a causa del problema che ti
esporrò fra poco, hai
avuto quest’occasione. Sai perché sei qui,
figliolo?
-Per espellermi dalla scuola?
-No, suvvia, perché mai
dovremmo farlo?
-Non ho ancora una bacchetta e il
cappello parlante si è
comportato stranamente, forse non sono ancora pronto...
-Sebbene questi inconvenienti non si
sono mai verificati
nella storia di questa scuola non mi sembrano certo motivi validi per
rimandare
uno studente a casa propria senza aver avuto la possibilità
di imparar nulla.
Vieni con me, ti mostro una cosa.
Il preside si voltò e
proseguì per una delle due strette
rampe di scale che lo portavano al piano superiore e, raggiunta la
sommità, mi
suggerì di seguirlo. Su un tavolino posto alla luce lunare
si trovavano un
libro aperto e una penna da scrittura, come quelle che in estate
dovetti
imparare ad utilizzare per non rischiare di macchiare tutti i miei
compiti.
-Questi sono la Piuma
dell’Accettazione ed il Libro
dell’Ammissione, sapevo avresti messo in dubbio la tua
legittimità a poter
frequentare questo istituto, per questo ho chiesto gentilmente al
professor
Piton di portarmeli qui dalla loro torre. Sono due oggetti magici dal
valore
inestimabile che, assieme al Cappello Parlante, sono al servizio della
scuola
fin dalla sua fondazione... Che è avvenuta un mucchio di
tempo fa. A nessuno
studente è permesso visionarlo, contiene informazioni troppo
preziose, ma nel
tuo caso farò un’eccezione. Vedi, entrambi
lavorano in sintonia per poter
decidere l’ammissione o meno dei futuri studenti di Hogwarts:
se il tuo nome
appare in questa lista, hai l’irremovibile diritto di poter
frequentare le
lezioni, se non lo sei... Beh, avrai capito che servono principalmente
per
verificare due cose: se in una famiglia di maghi è appena
nato un esponente con
limitate capacità magiche o se in un ragazzo comune al suo
undicesimo anno di
età si manifestano i primi segni di attività
magica. In entrambi i casi il loro
giudizio è corretto e indiscutibile, se leggi un nome stai
pur certo che la
persona a cui esso corrisponde sarà un mago o una strega a
tutti gli effetti.
Guarda, sta scrivendo un nome proprio adesso!
In quell’esatto momento la
penna si era sollevata per
trascrivere subito sotto l’ultimo nominativo il nuovo futuro
mago che
frequenterà la scuola. Dopo alcuni tentennamenti da parte
del libro che sembrava
non volesse esser macchiato, finalmente la penna riuscii a scrivere le
prime
lettere che, nonostante la grafia molto graziata e sofisticata, erano
ben
leggibili.
Augustus
Gloop.
-Oh bene, è nato il figlio
di Clausius Gloop.
Il preside si rivolse con tono
allegro al professor Piton
che, dabbasso, non fece mancare la sua contentezza.
-Mi assicurerò di inviare
un gufo d’auguri, signore.
La penna continuava a scrivere altri
dati sotto il nome del
candidato, quelli però erano più difficili da
decifrare, pieni di sigle ed
abbreviazioni.
-Oh, questo non ci interessa per il
momento, è l’indirizzo e
qualche altra informazione che riguardano il nascituro, li
consulterò fra
undici anni, eheh. Aspettiamo che finiscano, poi andiamo a vedere la
pagina
dove è stampato il tuo nome, così te ne
convincerai.
Per dare il tempo a quei strumenti
magici di compiere il
loro lavoro, il preside si appoggiò al corrimano della
piccola balconata del
piano rialzato e mi spiegò il perché del loro
strano comportamento.
-Il libro come hai potuto vedere
è molto severo: non ammette
nessuno se non è assolutamente certo che sarà
davvero in grado di eseguire
incantesimi di buon livello, la penna è un po’
più permissiva, per questo ogni
tanto si azzuffano, per così dire. Ottimo, hanno finito, due
secondi che si
asciuga l’inchiostro e andiamo al...
Quand’è che sei nato?
-19 Aprile.
-Ah già giusto, ecco qui,
19 Aprile 2001... Emanuele,
Emanuele, Emanuel... Trovato! Cosa leggi?
Effettivamente il nome che mi aveva
indicato il preside e
che stavo leggendo era proprio il mio.
-Il mio nominativo ed il mio
indirizzo più qualche altra
parola di cui non conosco il significato.
-Già, vedi? Non saresti
mai apparso su questa lista se non
ne fossi stato degno. Del resto il tuo tutore mi ha anche scritto che
sai già
eseguire degli incantesimi molto utili, alcuni davvero complessi da
apprendere,
non è forse così?
-Sì, ma in
realtà non è che li sappia gestire
particolarmente bene e senza una bacchetta mi viene difficile adattare
le
istruzioni dei manuali al mio caso...
-Sciocchezze, per quello
c’è tempo! Imparare è l’unico
motivo per cui sei qui, no? Sai quanta gente esiste che vorrebbe il tuo
dono? E
non parlo solamente del dono della magia tra la gente comune, ma anche
tra i
maghi il saper eseguire incantesimi senza l’ausilio di un
catalizzatore è...
Strabiliante!
-Per non dire unico...
Piton si trovava alle mie spalle,
evidentemente si era
stancato di aspettare di sotto.
-Giusto Severus, riporta questi
cimeli alla Torre, nel
frattempo il giovane Emanuele mi mostrerà cosa ha imparato
quest’estate, sono
curioso di vederlo all’opera.
Strizzò l’occhio
sinistro in mia direzione per divertirmi,
ma così facendo le rughe che frastagliavano il suo volto si
incresparono ancor
di più creando una smorfia di costipazione più
che di intesa.
Un po’ sorpreso dalla
richiesta del preside, il professore
accettò e si allontanò dall’ufficio,
col suo solito passo fulmineo.
-Mettiamoci comodi, siediti: ho messo
quella sedia lì per
te.
Il preside si sedette sul suo scanno
mentre io mi accomodai
sulla piccola sedia posta dall’altra parte della scrivania.
-Ordunque, cosa mi mostri? Qualsiasi
incantesimo tu abbia
imparato, anche il più banale, mi andrà benone,
voglio divertirmi un po’.
Non ero sicuro se quello fosse un
abile tentativo di nascondere
la sua voglia di provare le parole del mio tutore o se si voleva
veramente
divertire vendendomi pasticciare con qualche incantesimo. In ogni caso
dovevo
ubbidire, ma non mi veniva assolutamente nulla di utile in mente, dato
che gli
unici incantesimi che conoscevo servivano a trasformare oggetti e
animali che
lì in quel momento non erano a mia disposizione.
Dove diavolo
lo trovo
un candelabro qui? Che trasfigurazioni inutili che ho imparato...
Fortunatamente mi balenò
in mente un incantesimo che avevo
letto di sfuggita nel tomo di Incantesimi durante una delle mie letture
per far
conciliare il sonno, ma era l’unico che potessi utilizzare in
quel frangente. Subito
dopo però riflettei che mi mancava un elemento essenziale
per poter proseguire,
ma forse il Logos Comprehendi mi
avrebbe aiutato anche con il latino.
-Liber
Ordinis!
I vari tomi sparpagliati sul tappeto
ai piedi della
scrivania alla mia destra si erano disposti ordinatamente ognuno nello
scaffale
di appartenenza, vicino i loro complementari.
-Oh, che bello, col solo pensiero!
-Mi scusi, è un
incantesimo basilare, ma non sapevo
cos’altro usare qui...
-Avevano proprio bisogno di una bella
sistemata, in realtà
sono un tipo ordinato, ma ultimamente sono stato costretto a... Fare
ricerche!
Rivelatesi vane ovviamente, conoscevo già quei testi, volevo
solo
assicurarmene. Ottimo lavoro!
Il professor Piton, in ritorno dalla
Torre dell’Ammissione,
interruppe il nostro strambo dialogo.
-Signore, il Libro e la Penna sono al
loro posto, se
vogliamo procedere cortesemente, l’ora è tarda
ormai.
-Certo Severus, aspettavamo proprio
te per iniziare, ti sei
perso uno spettacolo davvero niente male!
-Sono sicuro che avrò
occasione di assistere ad altri,
sempre che il signor Burgio voglia farsi promuovere nelle varie materie.
-Riprendendo il discorso di prima,
pensi di sapere perché
sei qui adesso?
Insisteva con questa domanda, forse
immaginava che io già
sapessi il vero scopo della mia visita, perciò decisi di
essere sincero e di
tenere per me solo il fatto delle visioni, del resto ser Uppercut mi
aveva
sempre avvertito di nascondere meno cose possibili al preside, anche le
faccende più spinose. Colui che invece mi preoccupava per le
sue possibili
reazioni era l’insegnante di Pozioni, non mi sembrava certo
il tipo più comprensivo
del pianeta, oltre al fatto che sembrava provasse un certo astio nei
miei
confronti.
-Credo vogliate farmi indossare
nuovamente il Cappello
Parlante per esser sicuri del mio smistamento in Serpeverde.
-Esattamente. E dato che sei un
ragazzo sveglio non avrei
faticato a credere che la tua fosse stata una semplice intuizione, ma
dopo aver
notato che nel nominare il Cappello ti sei rivolto nella sua direzione,
devo
supporre che tu conoscevi già la sua esatta ubicazione, per
nulla semplice da
individuare, dietro quella clessidra.
-Come lo spieghi?
Sembrava un interrogatorio militare,
non sapevo da che parte
girarmi e a chi rivolgere lo sguardo, con il preside da una parte e il
professor Piton dall’altra, alle mie spalle.
-In realtà io ho un
tritone, che in realtà non è un tritone.
Beh, penso lo sappiate, è un serpente. E’
simpatico però, non è velenoso e non
rappresenta un pericolo per gli altri studenti, ve lo assicuro.
-Questo lo decideremo noi, continua.
Non volevo peggiorare la situazione,
ma dovevo confessare
tutto adesso o mi sarebbe stato impossibile farlo più avanti
senza ammettere di
aver precedentemente nascosto qualcosa; speravo solo che Muthsera non
avrebbe
pagato per la mia stupidità.
-Questo serpente era
l’unico animale al Serraglio Stregato
che non si agitava alla mia presenza per cui fui costretto a prenderlo,
anche
se dalle regole della scuola sono permessi solo gli animali di piccola
taglia;
altrimenti sarei rimasto senza animale da esercitazione.
-Taglia corto, come fai a sapere del
Cappello?
-Severus, dagli tempo.
Vuoi che
ammetta
subito di essere un rettilofono? E va bene...
-Perché me lo ha detto il
serpente! Sì, riesco a parlare con
lui, non so se pure con altri serpenti, ma almeno con il mio si. Ser
Uppercut
mi ha spiegato che non è un’abilità
comune né che sia vista come positiva, ma
il fatto è che ci riesco e dato che lui può
sgusciare tra le pareti del
castello, ascolta e osserva parecchie cose.
-Dovremmo chiuderlo in una gabbia
più stretta quel serpente,
s’è fatto un bel giro ad arrivare fin qui dai
Sotterranei. Mi ricordano le innocue
escursioni dell’animaletto di uno studente di
cinquant’anni fa.
-Severus, non ricominciare con le tue
illazioni... A
differenza di Tom, Emanuele ci sta dicendo la verità, anche
se per lui deve
essere difficile. E’ tutto vero? C’è
qualcos’altro?
Non sapevo se continuare oppure no,
avevo già svelato
abbastanza cose che farebbero rizzare i peli a chiunque le ascoltasse,
non
volevo pure aggiungere la faccenda della trasmigrazione in rettile.
-Sì, ma ho già
chiesto a Muthsera di cacciare in zone un po’
più vicine e di non allontanarsi più di tanto,
perciò non capiterà mai più... E
poi, s’è pure ferito nel ritornare in camera.
-Muthsera? E’ questo il
nome che hai dato al serpente? Non
mi sembra un termine italiano, cosa significa?
-Non lo so signor preside,
è un termine che mi è stato
rivolto una volta come saluto da un amico, non credo significhi nulla.
-D’accordo, sta’
tranquillo, se ci prometti che terrai a
bada il tuo animale ti permetteremo di tenerlo, inoltre mi sono
già informato
sulla razza ed è veramente innocuo, non ha la forza
necessaria a soffocare un
essere umano, è tutto a posto. Procediamo alla prova del
cappello adesso.
Con un gesto della mano,
trasformò la grossa clessidra che
nascondeva il Cappello Parlante in un coloratissimo pennuto scarlatto,
che
prese il manufatto magico e lo porse al Preside.
-Ti presento Fanny, la mia piccola
fenice. Fanny, Emanuele.
Il volto dei presenti tradiva
l’ansia e la preoccupazione
che il cappello potesse Allarmarsi
nuovamente: anche l’austero viso di Piton dovette leggermente
corrugarsi esprimendo
la tensione. Per fortuna, però, il cappello non
urlò.
-Ahhh, ci rincontriamo. Questa volta
però devo valutare
attentamente le tue doti e predisposizioni, questo mi è
stato chiesto e così
farò.
La sensazione di un pezzo di stoffa
parlante e semovente sul
proprio capo era sempre sgradevole, ma per lo meno non mi trapanava i
timpani
come la prima volta.
-Sì, non ho sbagliato,
c’è una forte propensione
all’accrescimento del potere e al desiderio di conoscenza
tipica dei
Serpeverde, ma solo adesso noto una parte più piccola dentro
di te che tende
alla tranquilla ricerca dell’equilibrio del proprio io,
tratto forte dei
Corvonero. E’ un caso unico, non mi è mai capitato
da che ho memoria. Non si
tratta di semplice convergenza di caratteristiche, anzi, il contrario.
La tua
parte... Serpeverde, per
così dire, è
così marcata ed imperiosa da soffocare quasi quella
più fioca e mansueta del Corvonero.
E’ come se fossi diviso a
metà, affascinante certo, ma a questo punto non so cosa
decidere, l’una o
l’altra scelta ferirebbe una parte del tuo essere, credo sia
più giusto far
decidere te.
-Con te
intendi dire
me?
-Ovvio. E chi altri?
-Ma io non lo so, come faccio a
decidere una cosa del genere?
-La vita è fatta di scelte
giovanotto, credi che per me sia
più facile? O indolore? A volte mi arrovello a pensare come
sarebbe stata la
vita di quel mago o di quella strega se quel giorno di settembre avessi
scelto
una Casa anziché l’altra... E’ una dura
responsabilità la mia, so che può
sembrarti che un cappello non sia capace di provare sentimenti, ma in
realtà
così non è.
-Posso chiederti una cosa almeno?
-Certo.
-Al mio posto cosa sceglieresti?
-Stai cercando di far ricadere la
scelta a me? Te l’ho
detto, non sono in grado di decidere questa volta, è al di
là delle mie
competenze. Nella Sala Grande ho indicato la Casa Serpeverde
perché la sua
presenza in te era così intensa che sembrava non ci fosse
spazio per altro, ma
oggi, controllando meglio, ho scovato una parte nascosta che vorrebbe
riemergere e farsi notare, ma... Sembra quasi un’altra
persona, è questo che mi
inibisce. Purtroppo sono stato creato così, posso affidare
una sola Casa a
studente, ma qui ce ne sono due, non so se mi spiego.
-Però hai ribadito
più volte, correggimi se sbaglio, che la
parte Serpeverde è quella più marcata, vero?
-Senza ombra di dubbio. Infatti se
non fosse per questa
strana particolarità non avrei esitato un momento a
riconfermarti in quella
Casa, la differenza è evidente.
A me in realtà sembrava
che la sua indecisione non avesse
senso d’esistere: la mia personalità propendeva in
larga parte verso i
Serpeverde ed inoltre sarei risultato ancor più curioso agli
occhi degli altri
se dopo l’aver fatto Allarmare il Cappello Parlante e il non
possedere una
bacchetta, avessi pure cambiato Casa da un giorno all’altro,
episodio che, ci
avrei scommesso, non era anch’esso mai capitato nella storia
della scuola, come
tutto ciò che mi riguardava.
-Credo che rimarrò in
Serpeverde, non mi va di cambiare Casa
senza un reale motivo...
-Quindi è deciso? E sia
allora, Serpeverde!
Esclamando con quel tono festoso
sembrava quasi che la
decisione l’avesse presa lui.
-Oh, bene. Tutto fatto! Puoi tornare
al tuo dormitorio
adesso, il professor Piton ti accompagnerà, sarai stanco,
guarda un po’ che ore
si sono fatte...
-Vieni, non perdiamo tempo.
-Ah, aspetta Severus,
un’ultima cosa... Ricordi cosa ci hai
promesso, vero Emanuele?
Per un solo attimo e per la prima
volta aveva abbandonato il
suo solito tono allegro e compassionevole solo per rivolgermi quella
domanda:
non avrei mai pensato che quell’anziano tanto bonario mi
avrebbe fatto
raggelare il sangue allo stesso livello della prospettiva di passare
un’intera
giornata in compagnia del Direttore della mia Casa.
-S-sì!
-Ah bene, puoi andare allora! Aspetta
mie notizie nei
prossimi giorni, risolverò il tuo piccolo problema di...
equipaggiamento!
Che
vorrà dire?
-Per Storia della Magia, intendiamo
lo studio
socio-culturale nonché umanistico di tutto ciò
che concerne il passato di
uomini e donne di cui si hanno testimonianze scritte, orali o
profetiche che
hanno praticato la magia. Questo significa che a differenza della
storia
classica che avete studiato fino ad ora nelle vostre passate carriere
scolastiche, noi non classificheremo una vera e propria Preistoria
della Magia,
dato che non avendo prove tangibili della sua comparsa nel nostro mondo
prima
di questa data -segnatevela, è importantissima- è
impossibile accertare o
quantomeno escludere la possibilità che la magia fosse
già presente nella
quotidianità degli esseri viventi di quel periodo. A dire il
vero, un mio
illustre collega, il prof. Felitius Notio, sostiene ancora che i primi
segni di
magia volontaria si siano registrati... Nonostante tutta la
comunità accademica
abbia totalmente bocciato questa teoria... Ma comunque va menzionata
perché...
Bla bla
bla... Non
finisce più! Sembra che abbia attaccato da ore a parlare
invece sono passati
solo cinque minuti, non ce la farò mai...
Il
professor Curthbert Rüf,
l’insegnante di Storia della Magia,
faceva questo effetto. Non era certo causa della materia in
sé che era anzi
interessante, soprattutto ad un totale ignorante come me, ma il modo in
cui
biascicava le parole, producendo quel mugugno tanto irritante quanto
ipnotico,
unito alla mia vana e continua ricerca del profilo del suo fluttuante
corpo che
aveva l’abitudine di sparire con ogni nuvola di gesso che
scaturiva dalla
spugna della lavagna o col polverone che si sollevava quando apriva uno
di quei
vecchi libri disposti sulla cattedra.
Sì,
fluttuava e spariva facilmente dalla vista proprio perché
era un
fantasma. Dopo tutte le stranezze che avevo visto in quelle settimane
non mi
stupivo di certo del fatto che uno dei miei insegnanti fosse un
cadavere
ambulante, ma dovevo ammettere però che non ci avrei mai
creduto se me
l’avessero raccontato quelli degli anni più
grandi. Del resto il professore non si era affatto presentato come
tutti gli
altri la sera del banchetto, perciò la sua presenza mi era
del tutto
sconosciuta.
-Per
me... Trecento anni!
-No,
che dici, di più, di più!
Non hai sentito che nome antico? Per me minimo seicento!
-Esagerato!
Rupert
e Fred alle mie spalle
scommettevano su un qualcosa, evidentemente motivo di divertimento, per
quanto forte
ridevano. Alla mia destra, un incuriosito Dan chiese loro:
-Ma
di cosa state parlando?
-Del
tempo che è trascorso da
quando la gente che nomina il professor Fantasma è passata a
miglior vita!
Tutti i suoi illustri colleghi che
menziona
continuamente stanno mangiando terra da secoli, ma lui non se ne rende
conto...
Ha perso totalmente cognizione del tempo e dello spazio!
Loro
lo trovavano divertente, per
me invece era triste che quella pallida figura che per
chissà quale motivo
continuava a trovarsi lì dinanzi a noi, invece di trovare la
pace eterna, fosse
costretta a ripetere ciò che faceva in vita senza rendersi
conto del tempo che
inesorabilmente passava.
-Chissà
da quanto tempo insegna
ad Hogwarts in questo stato...
-Per
me... Duecento anni!
-Ma
no, guarda che vestiti
antichi che indossa, saranno andati di moda minimo nel diciassettesimo
secolo!
-Continui
ad esagerare...
Non
era mia intenzione dare adito
ad una nuova disputa sul periodo storico del trapasso del professore,
ma effettivamente
la colpa fu mia, che non riuscii a trattenermi dal pensare a voce alta.
-Scusate
la mia piccola
digressione, ma dovevo precisare, adesso possiamo tornare qui, nella
piccola
isola di Wight, dove sono state tramandate le prime conoscenze della
tradizione
magica.
Coff!
Coff!
I
ragazzi del primo banco per
poco non morirono soffocati a causa del gran nuvolone che
l’insegnante aveva provocato
puntellando la sgualcita cartina geografica delle isole britanniche, ma
lui non
se ne preoccupò minimamente.
Ogni
piccolo tentativo di seguire
le parole dell’insegnante purtroppo veniva contrastato dalle
mille distrazioni
che attiravano maggiormente la mia attenzione rispetto alla monotona
cantilena
del vecchio fantasma. I continui boccheggi e sbadigli degli altri
studenti, contagiosissimi,
che erano allo stremo delle loro forze, i libri sulle mensole che ogni
tanto
decidevano di muoversi per conto loro, la bocca stessa del professor
Rüf che
col suo ondeggiare mi portava facilmente alla perdita di quei rimasugli
di
energia rimastimi: tutto sembrava cercare di farmi assopire.
Sto
per crollare...
-Gli
elfi e i goblin, sono stati
loro i primi a lasciare tracce grazie alle quali possiamo dire con
esattezza
che in quel periodo il mondo già conosceva la magia. Una
conoscenza celata, certo,
elitaria se vogliamo, ma d’altronde lo è anche
oggi. Questo mistero, del perché
la magia è così limitata nel nostro mondo,
è uno dei quesiti di cui i più
grandi storici e maghi di tutti i tempi si sono crucciati di risolvere
e non
tutti sono riusciti a convergere in un’unica teoria. Anzi, la
maggioranza di
esse non sono assolutamente compatibili tra loro, dando il via a
diversi
esperimenti che porteranno ad una canonizzazione differente di vari
termini che
ci saranno utili quando affronteremo parti di storia più
recenti...
-Ovvero
di trecento anni fa!
-Io
dico di seicento!
Con
questo stupido trucchetto
Fred e Rupert riuscivano a seguire la lezione senza appisolarsi o
distrarsi
involontariamente, per questo decisi che dovevo trovarne uno
anch’io, magari che
non coinvolgeva la dignità del professor Rüf
stesso. E visto che non riuscivo a
staccare lo sguardo dalle labbra dell’insegnante, decisi di
seguirle e di
anticiparne il movimento col pensiero, giusto per memorizzare in
maniera
inconscia la lezione.
Ciò
che veramente mi attraeva,
era l’indescrivibile sensazione che mi dava il vedere
attraverso un fantasma,
il chiedermi di cosa fosse composto, come facesse ad esistere e come
doveva
sentirsi in quel momento. Essendo la bocca l’unica parte del
suo corpo che si muoveva, mi
attirava
maggiormente rispetto al resto perché riusciva a confondere
anche la mia vista
mentale.
-E’
una mia teoria, non ho letto
nulla a riguardo, anzi penso sia una sciocchezza, però
più guardo il professor
Rüf o qualsiasi altro fantasma e più me ne
convinco. Noi normalmente usiamo la
vista, o meglio, gli occhi per vedere ciò che ci sta
intorno, ma gli spettri e
credo anche i Dissennatori, per quanto riesca a ricordarli, non
necessitano degli
occhi per poter esser visti, non so, è come se una volta
chiusi gli occhi li potessi
vedere ancora lì, dinanzi a me. Non è vero,
c’ho provato infatti, una volta
chiusi gli occhi essi spariscono, però continuo a percepirne
la presenza
mentalmente, non so spiegarmi...
-Ti
capisco invece, la stessa
cosa la avverto pure io sai? Però prima che tu me ne
parlassi, non sapevo cosa
pensarne e credevo fosse solo frutto della mia immaginazione, stavo
perfino
iniziando a maturare l’idea che fossi inconsapevolmente
spaventato degli
spettri e che essi riuscivano a farmi sentire, per così
dire, strano...
-Già,
non è affatto come vedere
Casper in televisione...
-E
chi sarebbe Casper?
Mi
ero fatto travolgere così
tanto dal discorso con Dan che adesso lui giustamente mi stava
chiedendo chi
diavolo avessi appena menzionato.
-Lascia
perdere... Dannazione, ho
perso di nuovo il filo! Perché stiamo parlando
dell’Africa adesso?
-Non
lo so, mi sono distratto
anch’io...
Avevamo
mezz’oretta di tempo
prima che la Sala Grande si sarebbe riempita di gente per il pranzo,
perciò
preferii impegnare quei preziosi minuti per fare due cose: intuire a
quale
pagina di quale libro eravamo arrivati alla fine della lezione di
Storia della
Magia e soprattutto scendere al cortile di sotto per svegliarmi un
pochino,
data la distruttività delle ultime tre ore.
-Professore,
mi scusi, volevo
sapere con precisione quali capitoli del libro abbiamo trattato oggi e
se c’è
qualche passaggio da saltare o magari da implementare da un testo
diverso...
-Ah,
si certo, Burger, giusto?
-No,
professore, Burgio...
-Ed
io cosa ho detto, comunque
sono i primi due capitoli della Storia della Magia di Bathilda Bath,
più
qualche spezzone degli appunti del mio collega Felitius Notio, li ho
raccolti
nel compendio delle Prime Testimonianze Magiche: quali storia e quali
leggende.
Questi ultimi però non saranno motivo di esami, stai
tranquillo, ma se in te
c’è quella sana vena di curiosità,
credo che non li troverai affatto noiosi.
Proprio
in quel momento mi venne
in mente una domanda da porre al’insegnante:
-Volevo
chiederle un’ultima cosa
prima di andarmene, professore...
-Dimmi,
sono tutt’orecchi!
-Per
caso studieremo mai storie
di maghi e streghe provenienti dall’Italia?
-Umh,
come mai questa domanda,
risponderti non è semplice...
-Perché
è da lì che vengo e non
esistono scuole per maghi in tutto il Paese!
-Allora
capisco... Vedi, il
problema è che per rispondere alla tua domanda che ad una
prima occhiata
potrebbe sembrare banale, dovrei introdurti alcuni concetti che
prenderemo
seriamente solo dal Terzo Anno in poi, ma se per il momento te la farai
bastare
la risposta è no. No sia per i motivi che vedrai in futuro
sia perché quei
pochi maghi nati in quelle parti del Mediterraneo hanno avuto vita ben
misera e
meschina, non potendo coltivare al meglio le loro
potenzialità o, tutt’al più,
sono riusciti ad emigrare in paesi con concezioni ed ideologie un
pochino più
aperte, quanto basta per non finire carbonizzati su un rogo.
-Quindi
la storia di quelle terre
è permeata solo da anonimi nati babbani?
-In
larga parte sì, ma non del
tutto, basti pensare che la stragrande maggioranza degli incantesimi si
pronuncino in latino, lingua dell’antico Impero Romano, per
farti capire che in
realtà molte delle grandi discendenze più
importanti e famose delle Accademie
britanniche e tedesche provengono proprio dall’Italia e dalla
Turchia, altro
misconosciuto polo noto solo agli esperti per la grande migrazione
avvenuta durante
i secoli di maghi e streghe.
Evidentemente
dovevo mettermi
l’animo in pace, non avrei mai scoperto perché tra
tanti proprio io sviluppai
doti magiche al mio undicesimo compleanno. Ma volevo almeno assicurarmi
dell’esistenza di maghi con capacità rettilofone
che nella storia non si siano
macchiati di crimini contro l’umanità.
-Professore,
mi scusi, questa
sarà davvero l’ultima domanda...
Zzz!
L’insegnante
si era appisolato
nella stessa posizione con la quale fino a pochi secondi prima mi stava
parlando, piegato di fianco e con la testa a penzoloni poggiata sulla
spalla
sinistra. Non credevo che i fantasmi fossero soggetti alla forza di
gravità ma,
dato che sembrava in equilibrio precario, cercai di sistemarlo in
maniera tale
da non rovesciarsi sul pavimento al minimo movimento involontario.
Ovviamente
però, non riuscii nell’impresa perché
lo attraversai con la mano. Dopo aver provato
quella gelida sensazione, decisi di prendere la mia roba e andarmene,
facendo
attenzione a non produrre alcun rumore nel chiudermi la porta alle
spalle.
-Oh,
sei uscito finalmente!
Era
Matheus Dogan che assieme al
suo compagno di Casa mi aveva accolto all’ingresso del Ponte
di Pietra poco
oltre la classe di Storia della Magia. Erano da soli, non
c’era traccia di
altri studenti, nemmeno di Serpeverde. Il vento lì tirava
sempre molto forte
anche se il cielo era sereno e non preannunciava burrasca, ma in
quell’occasione,
dopo tre infinite ore a serio rischio narcolessia, la gelida sferzata
che arrivò
al mio volto non fu affatto spiacevole.
-Io
e Walter stavamo studiando
come fare per arrivare al Cortile di Pietra da qui, entrambi
concordiamo sul
fatto che ci convenga scendere dai Sotterranei e risalire
dall’ufficio di
Piton, perché da quel che si vede da quassù,
siamo completamente dal lato
opposto. Tu conosci per caso una via migliore?
Assolutamente
no, anzi, la via
che avrei optato di seguire se fosse dipeso da me prevedeva il salire
fino al
terzo piano per poi scendere dalla rampa del Gargoyle suino fino al
Cortile di
Esercitazione, proseguire per il Dipartimento di Trasfigurazione,
continuare
per il Corridoio Tappezzato, arrivare all’Ala Posteriore del
castello e da lì
superare l’altro ponte in pietra che ci avrebbe portato al
fatidico Cortile. Un
sacco di strada inutile, insomma.
-Uhm,
no. Credo che la vostra sia
la via più breve.
-Allora
andiamo, vieni?
In
realtà volevo esplorare un po’
il castello nelle zone in cui non avevo ancora messo piede, soprattutto
i piani
superiori al terzo di cui non conoscevo neanche la forma, ma sembrava
maleducato e poco amichevole rifiutare un invito del genere,
perciò accettai.
-Volentieri.
Arrivati
alla Torre delle Scale,
vedendo i miei compagni Grifondoro scendere le rampe laterali, mi venne
voglia
di provare a imitare ciò che aveva fatto il professor Piton
la sera prima. Mi
accostai al corrimano che dava alla porta d’ingresso dei
Sotterranei e attesi,
dandogli un calcetto per incoraggiarlo a scorrere facendo muovere la
rampa
sottostante.
-Ma
che diavolo?
Esattamente
come avevo previsto
le scale si mossero nella direzione desiderata, stupendo
così i miei compagni
che si tenevano stretti per evitare di cadere.
-Come
hai fatto?
-Alle
scale piace cambiare, l’ho
scoperto ieri. Se attendi un po’ sul limite del cornicione
capiscono dove vuoi
dirigerti e ti ci accompagnano. Utile, no?
-Sì,
sapevo che cambiassero
posizione autonomamente ma non perfino quando la gente le attraversa,
è
pericoloso!
Pericoloso
o meno c’eravamo
evitati di farci ben due piani a discapito di sole tre rampe, di cui
una più
bassa delle altre, perciò se si aveva fretta poteva essere
un ottimo modo per
risparmiare tempo: avevo fatto bene ad accertarmi del loro
funzionamento.
Arrivati
al Cortile di Pietra
capii subito perché l’intera scuola sembrava
deserta: nel lasso di tempo che
intercorreva tra la fine delle lezioni mattutine e la pausa pranzo,
l’intero
corpo studentesco si recava là per passare un po’
di tempo all’aria aperta e
chiacchierare, giocare e prendersi gioco dei più piccoli.
C’erano anche alcuni
degli altri miei compagni di lezione, ma ancora non riuscii a vedere
alcun
Serpeverde di mia conoscenza.
-Eccoci
qui finalmente! Walter,
riprendiamo da dove avevamo lasciato ieri pomeriggio.
-Sì!
Amico, conosci le regole del
gioco delle Gobbiglie?
Solo
dopo qualche secondo mi resi
conto che Strider con quell’amico si
stava riferendo a me.
-No,
mai sentite...
-Davvero?
E dove hai vissuto
finora, al Polo Nord? Comunque guarda, è semplice da capire.
Certo, vincere è
tutt’altra cosa, ma almeno rischi di evitare figuracce quando
la gente ti
chiede se conosci roba così famosa come le Gobbiglie.
-E
sentiamo, com’è che si gioca?
Almeno colmo questa gravissima
lacuna.
-Prendi
queste, no? Sono
Gobbiglie...
Erano
delle semplici palline di
vetro o di chissà quale altro materiale, non molto
differenti dalle comuni
biglie.
-Fin
qui ci potevo arrivare da
solo.
-Tu
e il tuo avversario scegliete
quale delle vostre Gobbiglie mettere in palio per il vincitore, ieri
stavo
battendo Matheus per 3 a 2.
-Ma
lui ne ha di più.
-Perché
lui è un imbroglione,
ecco cos’è. Da dove sbucano tutte quelle Gobbiglie?
-Ma
cosa dici, sono le stesse di
ieri...
-Eravamo
3 a 2, significa che in
gioco ne ho quattro e tu soltanto tre. Invece adesso ne hai quattro,
sai
contare?
-Non
è vero, eravamo in perfetta
parità, non inventarti storie...
-E
allora contiamo le Gobbiglie catturate
se è come dici tu dovrebbero
essere in tutto sei, no?
Stavano
facendo i bambini. E dato
che la prima pausa all’aperto non volevo trascorrerla
ascoltando due mocciosi
che si azzuffavano per delle palline decisi di guardarmi intorno.
Il
piazzale era perfettamente
quadrato, anzi cubico, visto che le paratie in pietra chiudevano
l’area formando
dei passaggi sotto le grondaie utili per proteggersi dalle piogge
invernali.
Proprio su queste strutture erano presenti delle canalette di scolo,
che
terminavano sugli angoli con teste di quelli che sembravano draghi
marini presi
di petto dalle antiche mappe nautiche che si vedevano nei libri di
storia.
Molte finestre erano bloccate dall’edera che cresceva
possente e rigogliosa nel
muro che riceveva la luce del sole solo nelle prime ore del primo
pomeriggio,
mentre dal varco opposto a quello da cui eravamo passati noi, si poteva
ammirare una magnifica vista del lago che circondava Hogwarts.
L’acqua in
lontananza sembrava brillare ai raggi del sole e le chiome degli alberi
della
foresta limitrofa accompagnavano il dinamico incresparsi delle onde. Se
ci
fosse stato silenzio forse sarei pure riuscito a sentirne il suono, ma
in quel
momento l’unica cosa che si riusciva a percepire era il
rumore di decine di
studenti che non vedevano l’ora di spanciarsi dal ridere alla
minima battuta
del proprio compagno.
-Vedi?
Alla fine ero io ad aver
ragione...
Dai
toni più pacati era intuibile
che avessero finito di litigare pronti finalmente a dare il via alla
partitona
del secolo: Walter era concentratissimo mentre si preparava a prender
la mira e
a dosare la forza del lancio.
-Lo
scopo è quello... Di...
Mandar la propria... Gobbiglia... Più vicina possibile al
bordo... Di quel... Foro
di scolo! Batti questa, Dogan!
La
pallina era praticamente al
limite tra il cadere dentro il buco e il rimanere in equilibrio sulla
mattonella di pietra, se non avessi visto coi miei occhi che nessuno
aveva
usato bacchette, avrei pensato all’utilizzo di una qualche
magia truffaldina.
-Bel
colpo... Di fortuna!
-Si,
come no... Ora Matheus ha
due opzioni: o cercare di imitarmi, ma la vedo dura... O tentare di
spingere la
mia Gobbiglia giù per il foro non cadendoci a sua volta,
altrimenti il punto va
comunque a me, che vedo ancor più dura!
-Shh!
Mi deconcentri!
Non
ci fu nulla da fare, si
vedeva che Walter era parecchie spanne sopra il suo avversario, che
chissà per
quante ore s’era allenato con quel gioco in casa propria...
-Adesso
stiamo veramente 3 a 2
per me! E non negarlo!
-Chi
nega nulla, volevo solo
precisare il punteggio finale di ieri... Ho ancora tre chance per
vincere!
Il
gioco non sembrava poi così
magico, fino a quando Matheus non si giocò il jolly:
-E
questa vale proprio tre punti!
-Sai
che se non ci riesci perdi a
tavolino, vero?
-Lo
so, per chi mi hai preso, ma
è anche vero che se faccio centro sarò ad un
punto dalla vittoria!
-Forza
allora, provaci, voglio
vedere che combini.
Matheus
prese la sua Gobbiglia
più opaca e verdognola e la sistemò
all’interno di una delle fughe tra le
mattonelle. Poi, toccò con la punta della sua bacchetta la
sfera che iniziò a
rotolare lentamente, molto lentamente, tanto da sembrare quasi ferma.
-Che
deve fare?
-Una
cosa difficilissima se non
impossibile: deve riuscire a far roteare la sua Gobbiglia Paludosa per
tutta la
circonferenza del foro senza mai farla cadere. Si può
ottenere l’ausilio della
magia in questa manovra ma capirai che basta un colpo di vento o una
piccola
irregolarità sul terreno a far precipitare la Gobbiglia
verso la disfatta,
anche se l’incanto fosse stato eseguito a regola
d’arte... Cosa che dubito sia
il nostro caso!
E
non si sbagliava: a nemmeno un
quarto del giro di circonferenza, infatti, la Gobbiglia finì
dritta dritta
all’interno del foro di scolo, mostrandoci perché
veniva chiamata Paludosa.
Un’informe ammasso salmastro fuoriuscì dalla bocca
della cavità, asciugandosi
una volta raggiunta l’aria aperta e virando verso il verde
acido di cui era
colorata la biglia.
-Questo
schifo indica la completa
sconfitta del mio avversario, nonché lo spreco di ben due
Falci per aver
acquistato questa bambinata. Non ho mai visto nessuno giocarsi la
Paludosa e
vincere, anche gente ben più brava di noi due; era senza
speranza... Beh, ora
che il canale resterà intasato per qualche minuto, dovremmo
cambiare attività.
Non
ce ne sarebbe stato bisogno
perché di lì a poco sarebbe arrivato il custode
della scuola, il signor Gazza,
a sbraitare agli studenti che il rancio
era pronto.
-Perché
corriamo sempre a destra
e a manca non appena si avvicina l’orario delle lezioni?
Siamo sempre i primi,
ci prenderanno per secchioni, ve lo dico io...
E
perché cavolo ci segui tutte le volte allora?
Come
al solito Amanda non faceva
che lamentarsi delle nostre -o meglio, delle mie- decisioni. Avevo
infatti
scelto di avviarmi qualche minuto prima del dovuto verso
l’aula di Incantesimi
per illustrare in privato al professor Vitious la mia mancanza di
bacchetta, ma
purtroppo venni seguito dai soliti quattro impiastri: Amanda, Kat,
Miller e
Dan.
Rimasi
fermo davanti la porta
dell’aula, non sapendo se bussare o aprire direttamente come
avevamo fatto per
le altre lezioni perché questa volta eravamo in anticipo di
svariati minuti e
potevamo risultare indelicati.
-Ah
bene, tutta questa fretta per
rimanere poi imbambolati davanti la porta?
Fui
seriamente tentato di
risponderle garbatamente di chiudere il becco e di aprire invece lei la
porta,
ma per fortuna quest’ultima si aprì da sola. O
più precisamente, venne aperta
da qualcuno dall’interno.
-Ohohoh,
degli studenti così
presto, entrate! Entrate! Fa sempre piacere vedere tanta grinta nei
nuovi
allievi... Cosa vedo qui, un gruppo ben assortito con tutte e quattro
le Case
e... Per i mille Galeoni di re Bagingi, quella più
rappresentata è proprio
Serpeverde con ben due studenti! Non me l’aspettavo,
solitamente non vanno
pazzi per questa materia. No, non me l’aspettavo proprio...
L’insegnante
di Incantesimi non
era altro che lo strano folletto che la sera di inaugurazione dirigeva
il coro
studentesco, nonché uno dei professori che erano stati
convocati da Silente
durante la crisi isterica del Cappello Parlante. Sembrava non avesse
cambiato
abiti, l’unica differenza era la giacca del completo che in
quel momento non
indossava perché era appoggiata sulla spalliera della sua
poco consona
poltrona. Inadeguata a dir poco, era sia troppo alta perché
il professore
potesse raggiungerla agiatamente sia troppo bassa perché
riuscisse a vedere,
una volta salito, l’intera classe senza venir offuscato dal
bordo della
cattedra. Era chiaro che non fosse adatta alle dimensioni di un
folletto e, per
aggirarne il problema, l’insegnante aveva sistemato pile di
libri alla base per
usarli come scalini e sul cuscino come rialzo.
-Prendete
pure il posto che
volete, ci faremo una bella chiacchierata per conoscerci meglio!
L’aula
era impostata in maniera
differente rispetto alle altre che avevamo visto in precedenza, a parte
quella
di pozioni ovviamente. La cattedra dell’insegnante, infatti,
non si rivolgeva
di fronte alla classe, ma era invece racchiusa tra due colonne di
banchi a
spalti soprelevati in cui gli studenti si sarebbero dovuti suddividere.
Era una
divisione strana, perché rendeva la spaziosa aula
stranamente stretta e si
lasciava inutilizzata l’intera zona a sinistra
dell’ingresso. Dato che gli
spalti erano solo tre ci siamo divisi in Case, con
l’eccezione di Amanda e Kat
che decisero di salire assieme sul piano più alto. Sotto me
e Dan invece si era
sistemato Miller, che dall’alto sembrava ancor più
riccio di quanto non lo
fosse in realtà. Questo mi fece riflettere su
chissà cosa stavano pensando le
due pettegole del mio capoccione.
Avrei
dovuto scegliere io il posto più alto...
-Solitamente
per gli studenti del
primo anno il programma approvato dal Ministero dovrebbe concentrarsi
sull’apprendimento
degli incantesimi più rudimentali e semplici da eseguire per
poter far
sviluppare nei giovani maghi l’attitudine
all’esecuzione magica. In concordato
col Ministro della Magia, il preside è riuscito ad
effettuare una piccola
modifica, in seguito agli avvenimenti dell’anno scorso,
così che le prime
lezioni si concentrassero su altri incantesimi ben più utili
in caso di
necessità. Ne avevate già discusso con la
professoressa McGranitt?
Istintivamente
ci guardammo a
vicenda alla ricerca di qualcuno che potesse rispondere
affermativamente, ma
nessuno di noi sapeva di cosa stesse parlando.
-Ah,
beh... Avrà deciso di
parlarvene la prossima settimana, che strano però...
Il
professore tornò indietro alla
sua scrivania per cercare qualcosa tra i cassetti.
-Strano
perché adesso non saprete
cosa farne di questi piccoli kit.
Estrasse
dal mobile un sacchetto
di carta contenente diversi fogli di carta stropicciati.
-Poco
male, vuol dire che ci
penserò io a spiegarvi a cosa servono: sono il prodotto
finale di un’idea mia e
del professor Silente, ne resterete sbalorditi, ve lo garantisco.
Il
professore continuò a ripeterci
quanto fosse importante per un mago conoscere il maggior numero di
incantesimi
possibile, di non fermarsi soltanto alle apparenze ed essere sicuri di
aver
padroneggiato perfettamente l’incanto prima di provare ad
utilizzarlo fuori
dalle ore di esercitazione; tutta roba interessante certo, ma in questo
modo
non mi diede modo di potergli parlare della mia delicata situazione.
Capii che
non ci sarei più riuscito quando arrivò
l’ora dell’inizio della lezione.
-Ooh,
ecco gli altri!
Dopo
aver ripetuto anche al resto
della classe per filo e per segno ciò che ci aveva
precedentemente rivelato,
passò a consegnare uno di quei famosi foglietti di carta
sgualciti ad ognuno di
noi.
-Secondo
te a cosa servono?
-Non
ne ho idea, lo scopriremo
fra poco...
-Lo
so, ma volevo un tuo parere.
A
soffiarci il naso!
Questo,
almeno, fu quello che
avrei voluto rispondere alla sciocca domanda di Dan.
Il
professore iniziò a disegnare
sulla lavagna una mano che impugnava una bacchetta, impegnata in una
posizione
un po’ strana. Tutti quanti i presenti estrassero quindi le
proprie bacchette
dalle cartelle, io escluso, ovviamente.
Eccoci
qua, al momento della verità.
-Bene,
siamo quasi pronti. So che
sarete molto agitati perché sarà il primo
incantesimo che effettuate...
I
volti divertiti degli studenti
tradivano la realtà delle cose.
-Almeno
per la maggior parte di
voi sarà il primo... D’accordo, anche se tutti
avete già avuto modo di provare
qualche incantesimo è comunque sicuro che questa
sarà la prima volta che
proverete l’Edo Potestatis!
Sembrava
fosse un po’ deluso dal
fatto che non avrebbe insegnato il primo incantesimo a nessuno di noi;
il
professor Lupin gli aveva evidentemente rovinato i piani.
-E’
un incantesimo molto semplice
da eseguire, se non il più semplice. Capirete il
perché una volta che ve lo
spiegherò. Intanto passo ad illustrarvi la corretta
predisposizione di polso e
dita della mano con la quale impugnate la bacchetta, poi passeremo ai
movimenti
da fare ed infine alla corretta pronuncia dell’incantesimo.
Se anche solo uno
di questi requisiti non verranno rispettati, l’incantesimo,
anzi tutti gli incantesimi non
andranno a
buon fine. Nel migliore dei casi non succederà nulla, nella
peggiore delle
ipotesi le conseguenze potrebbero essere ben più gravi. Ma
non è questo il
caso... Su, osservate la lavagna!
La
mano stilizzata era messa in
una posizione stramba, ma riusciva comunque ad esporre in maniera
chiara come dovessimo
impugnare correttamente all’inizio la bacchetta. Girando la
lavagna apparve
dall’altro lato una serie di mani in diverse posizioni
collegate fra loro da
freccette numerate che indicavano l’ordine di esecuzione dei
gesti. Infine,
voltandola nuovamente, spuntò la posa finale da assumere e
la corretta
pronuncia dell’incanto scritta a caratteri cubitali, che mi
fecero chiedere
come mai il professore avesse perso tempo a disegnare la prima
posizione se
poteva risolvere il tutto con la magia impiegando meno tempo ed
ottenendo
miglior risultati grafici.
-Ed
ora la dimostrazione per
intero: Edo Potestatis!
Uno
dei foglietti di carta
avanzati dalla precedente distribuzione iniziò una serie di
rotazioni sempre
più rapide che lo trasformò in globo luminoso
galleggiante a mezz’aria.
-Ecco,
vedete? E’ meraviglioso,
non credete anche voi?
Il
risultato era senza dubbio
notevole ed affascinante, ma il più stupito e divertito tra
i presenti sembrava
proprio il professore.
-Ora
vi spiego l’uso di questo
incantesimo. In realtà è un estratto di un
antichissimo rituale che si
praticava nell’ormai dimenticato regno di Munster nel sud
dell’Irlanda. Per
testare le abilità magiche degli iniziati, i sacerdoti del
tempo escogitavano
uno stratagemma simile a quello pensato da me e dal professor Silente
quest’anno: se riuscivano nell’intento erano i ben
accetti all’interno del mondo
della magia, se andava male, gli veniva preclusa questa
possibilità. Nel primo
medioevo quest’usanza venne poi tramutata per scopi un
po’ più pittoreschi dai
maghi europei specie quelli anglosassoni che sfruttarono questo incanto
-cambiandone totalmente il nome- per sistemi di sicurezza o di
occultamento.
Tanto
per cambiare non ci stavo
capendo nulla, come faceva una pallina luminosa a difendere qualcosa?
-Dall’etimologia
latina del nome
si capisce che quello che faremo non sarà altro che
estrapolare la carica
magica che l’oggetto in sé già
conserva. Questo per poter sfruttare incantesimi
di svariata natura e complessità senza che
l’utilizzatore li sappia gestire. Difatti
il vero potenziale di questo incantesimo è nullo: se dietro
non c’è un grande
mago che crea l’oggetto magico da cui estrarre il potere, da
solo non serve a
granché. Mettiamo ad esempio che voglia nascondere
l’ingresso del mio
appartamento agli occhi dei babbani, come faccio? No, esempio
sbagliato, non
userei mai l’Edo Potestatis,
ma un
altro... Ecco, se il mio intento è quello di celarlo a tutti
tranne che a me ed
a pochi altri prescelti utilizzerò misure maggiormente
restrittive, ma se
voglio renderlo disponibile a qualunque mago ma nasconderlo comunque
alla gente
comune allora dovrò posizionare un indicatore che segnali la
presenza di un
luogo occultato, in maniera che un altro mago possa utilizzare
l’Edo Potestatis su tale
oggetto e
rivelare così la presenza del luogo da me celato.
Non
ero sicuro di aver ancora
capito, ma almeno fino a lì riuscii a seguire il discorso.
-E’
chiaro che non sapendo cosa
possa riservarci il futuro dobbiamo prendere tutte le precauzioni
possibili,
per questo abbiamo escogitato questo metodo che permetterà a
qualunque
studente, anche quello più giovane, di potersi cacciare
fuori dai guai in caso
di bisogno. Se mai vi servirà una luce per rischiarare il
vostro cammino
potrete trasformare il vostro foglietto in un piccolo globo luminoso,
se vi
servirà dell’acqua per spegnere un incendio
potrete farlo, basta che trasformiate
il vostro kit in un getto d’acqua ad alta pressione, e
così via. Ovviamente ha
dei limiti imposti proprio da me e dal preside, non volevamo che per
prevenire
un problema se ne causava un altro. Ma a parte questo, avrete la
libertà più
disparata.
Sembrava
interessante in effetti
come idea, bisognava vedere come funzionava però.
-Adesso
passiamo all’atto
pratico. Chi vuole iniziare?
Andrea
Rower alzò il braccio,
evidentemente si sentiva sicuro anche in questo frangente.
-Bene,
bene, Rower, giusto?
Andrea
non rispose verbalmente
all’insegnante, si limitò a fare un cenno col capo
e poi prese posizione per
iniziare al meglio.
-Di
quali limitazioni parlava
prima, professore?
-Ohohoh,
calma, cosa vorresti
creare?
-Pensavo
ad un’onda acustica,
utile a disturbare i sensi degli animali ostili della Foresta Proibita.
C’è
una foresta abitata da bestie pericolose da queste parti?
-Uhm,
ottima idea, può essere
davvero utile. Ritornando alla tua domanda, nulla di così
importante in realtà,
abbiamo soltanto evitato che gli studenti potessero incenerire parti
del
castello o far del male agli altri utilizzando incantesimi non proprio
amichevoli. Su adesso, prova.
-Edo Potestatis!
Kiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiith!!!!!!
Di
nuovo quell’insopportabile sibilo:
lo stesso della sera in cui il Cappello Parlante si Allarmò.
Mi coprii le
orecchie con le mani per proteggermi dal suono, ma riaprendo gli occhi
mi
accorsi che ero il solo a soffrirne. Nessuno infatti sembrava
risentirne o a
quantomeno percepirlo.
-Crede
che ha funzionato?
-Si,
assolutamente: la carta si
sta lentamente consumando. Come capirete...
Vitious
si rivolse questa volta
all’intera classe.
-...Sono
dei kit monouso,
terminato il loro effetto svaniranno, usateli quindi con parsimonia e
solo in
caso di estrema necessità.
Tornò
ad armeggiare nella busta
di carta.
-Tieni,
questa è la tua cartina Fast-Cast
personale, non sprecarla!
Una
volta esauritosi anche
l’ultimo granello di carta magica anche l’onda
acustica cessò di fracassarmi i
timpani: fu un vero sollievo.
-Ah,
dimenticavo di dirvi che li
abbiamo battezzati kit Fast-Cast
proprio
perché permettono di sfruttare facilmente anche incantesimi
un po’ più
impegnativi. Chi è il prossimo?
In
molti alzarono la mano.
-Ritornando
al discorso di
prima...
Uff,
ma basta...
Non
eravamo ancora ritornati alla
Sala Comune dalla cena che quella era già la terza allusione
al mio problema di
bacchette ritornato in auge a causa della lezione di Incantesimi. Fino
a quel
momento avevo risposto con un procrastinante:
-Ve
l’ho già detto, in camera ne
parleremo!
Ma
i Sotterranei erano vicini e
non mancava ormai molto al dormitorio. Avevo pensato per tutta la
giornata a
che scusa avrei inventato per giustificare la mia totale mancanza di
bacchetta,
ma alla fine ero convenuto sul fatto che conoscevo ancora troppo poco
sul mondo
della magia per poter ricamarci una storia quantomeno plausibile. Ero
costretto
a dire la verità o, almeno, una parte.
-L’importante
è che non ce ne fai
dimenticare come ieri sera, con la scusa dell’incontro col
preside hai evitato
tutte le nostre domande... A proposito, cosa voleva da te?
Fred
mi stava col fiato sul
collo, non mostrando un minimo di delicatezza. Era pieno di orecchie
indiscrete
di studenti più grandi che facevano finta di pensare alle
proprie faccende ma
che in realtà carpivano ogni nostra singola parola per
poterla rendere, in
futuro, di dominio pubblico.
Una
volta in camera mi assicurai
che Muthsera stesse bene e ancora in forma anfibia, poi presi il
pezzetto di
pollo che avevo messo da parte dal banchetto e lo infilai dentro la
gabbia, per
evitargli di andare a caccia almeno quella notte.
-Fai
bene a preoccuparti del tuo
iguana, io non so proprio da dove iniziare col mio rospo. Devo lavarlo?
E cosa
mangia?
Non
mi ero accorto della presenza
di Rupert alle mie spalle, ma per fortuna non avevo ancora fatto nulla
di
compromettente. Rinfilai Muthsera sotto il letto.
-Innanzitutto
gli riempirei un
po’ la vaschetta d’acqua, per il cibo credo che
qualche insetto gli sarebbe
gradito...
-E
dove li prendo gli insetti? Il
tuo coso lì, cos’è che mangia? Forse
potrebbero andar bene anche al mio
ranocchio.
-E’
onnivoro, mangia di tutto,
gli ho appena dato un pezzo di pollo della cena, saprà
accontentarsi.
Se
non conosce la dieta di una rana, di sicuro non farà storie
su un tritone
carnivoro...
-Nah,
non credo che vada bene,
non ha nemmeno i denti per masticarla quella roba, dovrò
dire a mio padre di
inviarmi qualcosa.
Trovavo
strano che gli avessero
venduto un rospo senza neanche spiegargli di cosa necessitava,
però poteva
anche essere che lo avesse catturato in una palude, evitando
così l’acquisto di
un altro animale di cui non gliene sarebbe importato nulla.
-Sei
comodo adesso? Ci siamo
tutti, la tenda, per quanto possa valere, è chiusa e non hai
più scuse per non
spiegarci cosa ci fa ad Hogwarts uno studente senza bacchetta.
Nel
giro di pochi secondi
arrivarono anche tutti gli altri eccetto Liam, che non era ancora
arrivato. Ma
a Fred, a quanto sembrava, non importava.
-Sentite,
questa faccenda da più
problemi a me che a voi, quindi qui l’unico infastidito
dovrei esser io, non il
contrario. Comunque, dato che so che entro domani lo saprà
già tutta la scuola,
cercherò di essere il più chiaro possibile,
così che nessun altro avrà la
necessità di farmi altre domande sulla questione in futuro.
-Scusate,
ero in bagno, mi sono
perso qualcosa?
-No,
Valeth, appena in tempo, sta
per cominciare.
Sembrava
più che stesse per
iniziare la proiezione di un film piuttosto che la confessione di un
compagno e
questo non mi faceva certo sentire meglio. Decisi quindi di farla
finita in
fretta.
-Sì,
è vero, non ho ancora una
bacchetta. Ma ce l’avrò presto, ovviamente. Il
signor Olivander sta provvedendo
a crearmene una proprio in questo momento e mi ha promesso che me la
consegnerà
personalmente. Questo significa che o io andrò da lui o lui
verrà da me qui ad
Hogwarts, non so come funzionino i permessi.
-Frena
un attimo. Tu vuoi farci
credere che Olivander, il più grande fabbricante di
bacchette della Gran
Bretagna, tra le sue migliaia di scatole non ne aveva una che conteneva
una
bacchetta adatta a te?
-Esattamente.
Non so come mai e nemmeno
cosa stia costruendo, ma i fatti sono questi, un po’
deludenti se cercavate una
grande storia.
Certo,
eliminando il fatto che sfiorando anche le bacchette più
resistenti queste
vadano in frantumi, diventa tutto meno interessante...
-E’
plausibile.
-Cosa?
Il
ragazzo dall’accento francese,
René, venne in mio supporto.
-Quest’estate da Olivander ero
il terzo della fila: i primi due clienti son
stati serviti
subito, con me, invece, ha perso parecchio tempo, poiché non conosceva
la famiglia Pierrot. Conosceva mia
madre comunque, ed infatti aveva preso
due bacchette che venivano utilizzate dalla maggior
parte dei miei parenti
materni. Una volta scoperto
che nessuna delle due andava bene,
ha
iniziato a propormi
decine di bacchette, finché non ho trovato
la mia: legno di carpino
bianco e nucleo di Doxy.
René
mostrò a tutti la sua
bacchetta, ruotandola per potercela far ammirare da più
angolazioni.
-Si
si, bella bacchetta,
complimenti. Ma almeno dopo qualche tentativo tu l’hai
trovata.
-Ed
è proprio per questo che
Olivander si sta mettendo al lavoro: per evitare che si dica in giro
che non è
riuscito a soddisfare le necessità di uno studente. Entro
ottobre avrà finito.
-Ottobre?
Ma è tantissimo! Come
farai a seguire senza bacchetta per un mese?
Prevedibilmente
lo stupore tra i
miei compagni fu generale.
-Un
modo lo troverò, o lo troverà
il preside... Spero. Proprio di questo abbiamo parlato ieri sera. Ora
scusate
ma vado a dormire, domani avremo Pozioni, non so se mi spiego.
-Piton,
di nuovo?
-Si
salame, ma nel tardo
pomeriggio, comunque non ho voglia di stendermi già alle
otto di sera.
Neanche
io ovviamente: dovevo
perfino lavarmi i denti e vedere come se la cavava Muthsera col pollo,
ma avevo
più voglia di far terminare quella discussione il
più presto possibile che
pensare al resto.
Ci
alzammo di buon mattino,
poiché la lezione di Erbologia iniziava ad un orario
assurdamente troppo vicino
all’alba, accompagnati dai continui starnuti dei troll che
infestavano i
Sotterranei.
-Un
altro motivo per andare a
letto presto il mercoledì sera, hai fatto bene, io invece
sono distrutto.
Liam
pensava questo perché
credeva avessi dormito qualche ora più di lui, ma era
l’esatto contrario.
Nonostante mi fossi infilato sotto le coperte ben prima degli altri,
non
riuscii a chiudere gli occhi a comando e rimasi sveglio molto
più a lungo dei
miei coinquilini che se la ronfavano di gusto già dalle
dieci di sera. Ero
molto preoccupato di quel che gli impiccioni di Fred e Rupert avessero
detto agli
altri Serpeverde di sotto. Infatti, fino a quando la sera prima
restarono
vicini alla tromba delle scale riuscii a sentire di cosa stessero
parlando ma,
una volta allontanatisi verso la Sala Comune, persi ogni ricezione. Ma
lo avrei
scoperto molto prima di quanto mi sarei immaginato.
-Sento
puzza di magonò!
Dal
divano nella parte più
laterale della Sala Comune si innalzò l’enorme
figura di Buzz Alister, che
puntava dritto in mia direzione con uno sguardo ben poco rassicurante.
-Qui
ad Hogwarts non vengono
accettati i marmocchi senza poteri magici, figuriamoci poi se finiscono
pure in
Serpeverde, la potremmo vedere come un’offesa personale. Voi
che ne dite
ragazzi, per voi questo moscerino è un mago?
Non
era il solo, c’erano anche
altri studenti negli altri divani, alcuni li conoscevo di vista, altri
nemmeno
quello. Tutti, comunque, concordarono nella mia colpevolezza di non
possedere
alcun potere magico.
-La
giuria ha parlato, ma magari
si sbaglia e tu in realtà sei un mago solamente un
po’ sfigatello che non ha
avuto modo di ricevere la sua bacchetta. Per quanto improbabile,
potrebbe anche
essere, perciò... Bole, la tua bacchetta!
Un
ragazzo ossuto e dal mento
pronunciato mi lanciò con noncuranza la sua bacchetta, che
ovviamente finì in
terra, dato il mio disappunto. Si alzarono le prime risate.
-Svegliati
e raccoglila. Ti basta
lanciare un qualsiasi incantesimo qui e ora per far terminare questa
pagliacciata, altrimenti... Beh, vedrai.
Era
un vero e proprio agguato,
volevano talmente tanto darmi una lezione che tipi come Buzz e i suoi
compari
avevano preferito alzarsi all’alba piuttosto che lasciarmi in
pace e godersi
qualche ora di sonno in più. Non stavano scherzando, il che
era un problema,
visto che con la bacchetta di questo Bole in mano non potevo rischiare
di
utilizzare incantesimi senza fargliela esplodere davanti gli occhi. Non
che non
se lo meritasse in ogni modo.
-Lo
sapevo, non sai nemmeno da
dove iniziare, vero? Forse questo ti darà la giusta
motivazione per farti
venire in mente qualcosa!
Con
un rapido gesto del polso
scagliò una specie di vortice d’aria alle mie
ginocchia e in men che non si
dica mi ritrovai a vedere il mondo completamente rovesciato: ero stato
appeso
per le caviglie da una forza invisibile.
-Allora,
stai comodo? Perché non
reagisci?
Le
risate degli altri si fecero
più feroci, tant’è vero che anche gli
studenti degli altri anni, incuriositi
dalla baraonda, scesero a dare un’occhiata... Per poi unirsi
anch’essi agli
starnazzi.
Il
sangue iniziava a darmi alla
testa, ma non sapevo come uscirne, per quanto mi agitassi le mie
braccia per
via del peso non riuscivano a raggiungere le caviglie sospese e, anche
se ci
fossi riuscito, non avrei saputo come annullarne l’effetto.
-Passiamo
alla fase due allora,
un bel bagno a testa in giù nel gabinetto di Gazza!
E’ ancora troppo presto,
sarà a controllare le cucine o la Sala Grande, abbiamo
qualche minuto.
La
sopravveste del mio completo
da Serpeverde iniziava a darmi qualche problema alla respirazione, dato
che mi
si era accartocciata sul volto per la forza di gravità. Ma
era anche abbastanza
lunga da coprire il braccio con cui tenevo la bacchetta di Bole, e
questo mi
diede la possibilità di tentare qualcosa, mentre loro non
riuscivano a vedere.
-Adesso
basta, Buzz!
Non
riuscivo a vedere quasi nulla
data la mia posizione ma dalla voce era chiaramente una ragazza.
-Vi
siete divertiti abbastanza,
lasciatelo in pace! Potrete pure appenderlo dalla Torre di Astronomia
ma non
conosce ancora nessun incantesimo, la paura non servirà.
-E’
mio dovere in quanto Prefetto
assicurarmi che tutti gli studenti siano consoni ai luoghi che
frequentano. Ed
il Caposcuola acconsente.
-Tutto
vero.
Non
sapevo chi stesse parlando,
ma era chiaro fosse il vero Caposcuola, perché la ragazza
non sapeva più cosa
rispondere.
-Non...
Non... Non è questo il
compito di un Caposcuola, né tantomeno di un Prefetto del
Sesto Anno. Ha detto
che ad ottobre avrà la sua bacchetta, e allora? Credi forse
facciano entrare un
magonò per errore?
A
quanto sembrava proprio tutti conoscevano
la mia situazione, anche gli studenti dell’altro sesso.
Cosa
diavolo hanno combinato quei due ieri sera?
-Non
c’ha nemmeno provato a
difendersi, è questo che mi da rabbia.
-Forse
è più intelligente di
quanto non pensi... Sai cos’è questo?
-Una
Fast-Cast! Le davano soltanto a chi
si era iscritto al programma di
collaudo l’anno scorso... Come fai ad avercela tu?
Tonf!
Buzz
rilasciò la fattura e con
essa anche ciò che mi legava a testa in giù,
facendomi sbattere con la testa
sul pavimento.
-Il
professor Vitious ieri ne ha
data una a ciascun allievo del primo anno, se avesse voluto utilizzarla
a
quest’ora saresti anche tu sospeso a mezz’aria,
dato che non richiedono
particolari abilità nell’utilizzo.
Cercai
di risollevarmi in fretta,
ma la testa iniziò a girarmi pesantemente una volta rettomi
sui miei piedi.
Buzz si avvicinò e frugò nelle mie tasche.
Trovò un fazzoletto, fortunatamente
pulito, e la fatidica Fast-Cast.
-Bah,
riprenditi la bacchetta
Bode, sia mai che i Serpeverde a non averne diventino due.
Dopo
l’ennesimo strattone da
parte del possessore della bacchetta, finalmente tutti mi lasciarono in
pace e
potei vedere il volto di chi mi aveva, in qualche modo, salvato.
-Aspetta
un...
Elizabeth
Gaunt, colei che riuscì
a tirarmi fuori da quella situazione, se ne stava andando dalla Sala
Comune per
dirigersi nelle Serre di Erbologia, vista l’ora che si era
fatta. Volevo
ringraziarla, ma lei non cedeva di un passo ed io dovevo ancora
riabituare le
gambe alla deambulazione.
-Elizabeth,
grazie. Non so perché
mi hai aiutato, anche perché mi sembrava che ti stessi
antipatico, ma grazie,
davvero.
-Stupido,
credi che giudichi le
persone solo perché entrano per errore nel bagno sbagliato?
Non nutro antipatie
per te, né tantomeno il contrario. Volevo soltanto evitarti
una punizione
ingiusta: ho visto come seguivi i movimenti dell’insegnate
ieri. Dopo aver
sentito che non possedevi alcuna bacchetta ti ho tenuto
d’occhio e l’attenzione
che dimostravi era tipica di chi sa cosa deve fare. Conosci qualche
incantesimo
e lo sai già lanciare senza difficoltà, vero?
Anzi, scommetto che ne conosci
più di qualche.
-Ecco,
veramente io...
-Non
aggiungere altro, anche io
ne conosco un po’. Quando avrai la tua bacchetta vedremo se
ho ragione oppure
torto, nel frattempo... Smettila di chiamarmi Elizabeth, nessuno mi
chiama
così, il mio nome è Liz.
L’odore
acre del fertilizzante
non aiutava certo a rimandar giù gli organi che volevano
salire verso
l’esofago, ma in mezzo a tutti quei fetori ogni tanto si
riusciva a percepire
un aroma stranamente gradevole, anche troppo. La serra che stavamo
visitando
era la prima dall’ingresso che dava al Piazzale Posteriore,
proprio quella al
lato del magazzino con gli strumenti per l’agricoltura.
Sembrava fosse una
serra atta a piantagioni temporanee, perché a differenza di
quelle che si
notavano dall’altra parte, questa non aveva ampi reparti
adibiti ad un tipico
ecosistema, ma semplici vasi di fiori e strane radici rampicanti che
necessitavano di tanto in tanto di una leggera spruzzata
d’acqua dagli annaffiatoi
galleggianti.
-Scommetto
che vi state chiedendo
da dove proviene quest’odore vero?
La
professoressa Sprite,
l’insegnante di Erbologia, era una corpulenta donna di mezza
età, vestita di
quel che sembrava feltro che procurava un fastidioso sentore di
irritazione
cutanea alla sola vista. Notando che la maggior parte degli studenti si
era
voltata in direzione del grosso fungo marrone che emanava un tanfo
terribile,
si sbrigò a rettificare la domanda:
-Intendevo
il buon odore che sentite
nell’aria,
lasciate perdere quella: è una Russula Squamata, ne
parleremo nelle prossime
lezioni.
Domanda
ormai ridondante, visto
che la professoressa si era recata nell’angolo della serra in
cui era
appoggiata una bellissima rosa in un vaso d’argento.
-Esatto,
questa è la Rosa
Profumata, anche detta...?
Forse
attendeva la risposta di
qualche studente, ma nessuno seppe cosa rispondere.
-...Rosa
dell’Amore. Infatti, dai
suoi petali, è possibile ricavare un ingrediente per...?
Altra
domanda ed altro
imbarazzante silenzio.
-Bah,
lasciamo perdere. Non è di
questo che volevo parlarvi quest’oggi, venite con me.
-Alla
fine a che serviva quella
rosa?
-Boh?
Arrivati
alla Serra n. 3 -così
recitava il cartello posto sopra l’unico ingresso-
l’insegnante si tolse
l’urticante cappello a punta ed indossò una cuffia
per capelli.
-Fatelo
anche voi, fra poco
aprirò l’acqua.
Ai
nostri fianchi erano presenti
dei sacchetti contenenti delle cuffie e dei guanti di un materiale
liscio ma
allo stesso tempo caldo, a differenza della fredda plastica. Davanti,
invece,
avevamo una serie di aste di legno in cui erano avvolti viticci di
piante,
poste in fila su un unico grande tavolo in cotto.
-Se
siete tutti pronti, aziono
gli sprinkler... Bene, state a guardare.
Terminata
la frase, della sottile
pioggia iniziò a caderci addosso da tutte le parti. Degli
ugelli posti nel
punto più alto della cupola rilasciavano acqua ad intervalli
regolari, in modo che
il getto fosse simile a quello naturale della pioggia, piuttosto che ad
una
continua cascata.
-Puah,
sono fradicio!
Sullivan
Bones si trovava proprio
sotto l’incrocio di ben due flussi, che lo avevano sommerso
in pochissimo
tempo. Dalle asticelle di legno però iniziarono a sbocciare
degli strani fiori
cadenti: strani, ma belli.
-Quelli
che vedete, sono Digitali
Silvani! Notate la forma a campana? E’ la loro
particolarità, renderà
impossibile sbagliarvi! Se vedete delle campane, sono dei digitali!
Per
coprire lo scrosciare
dell’acqua, la professoressa dovette urlare a squarciagola.
-Credo
basti così, chiudo adesso!
Terminata
la pioggia artificiale,
la serra piombò in un grosso silenzio.
-Fiuu,
molto meglio.
La
Sprite si tolse la cuffia e
diede una scrollata con le mani alla sua veste che, immediatamente,
tornò
asciutta. Ecco il perché di quel tessuto tanto sgradevole.
-Come
dicevo, è la tipica forma
dei digitali, ma dato che non esistono soltanto quelli Silvani... Oggi
dovrete
imparare a riconoscerli! Mentre sono aperti è facile, cosa
vedete?
-Che
sono grigi!
-Argentati
è più corretto, poi?
-E
che ogni fiore ha circa sei
campane!
-Esatto,
non c’è altro che ci
interessi. Queste due caratteristiche bastano e avanzano!
Nessun’altra pianta
della loro stessa famiglia condivide sia il colore che il numero di
petali,
perciò se un digitale corrisponde a questa descrizione che voi avete dato, sarete sicuri che si
tratterà di un Digitale
Silvano.
-E...
Quindi?
Miller
non riusciva proprio a
trattenersi dalle domande sciocche.
-Ci
stavo arrivando, McBumble! A
noi interessa studiare queste piante perché sono le uniche
che possiedono
un’importante proprietà. Nella lezione di oggi
impareremo a riconoscerle e a
studiarle in ogni loro particolare, mentre nella prossima imparerete un
incantesimo utile a farli sbocciare in fretta in caso di
necessità, l’Aguamenti.
Così poi potremmo tornare al
nostro programma.
I
fiori intanto, mano a mano che
il tempo scorreva, ritornavano a chiudersi, come se l’unica
cosa che gli
importasse fosse il ricevere vagonate d’acqua.
-Quest’estate
mi è stato chiesto
dal Professor Silente di piantare, per tutta la superficie della
scuola,
diversi semi di Digitale Silvano. Non è stato certo un
compito facile, l’area
da coprire era vasta e il periodo sbagliato, dato che crescono solo in
primavera, ma ce l’ho fatta. Dopo la lezione come compito
avrete quello di
censire tutti i Silvani che riuscite a trovare, ovviamente,
più ne troverete
più alta sarà la valutazione, quindi prestate
attenzione ai miei consigli su
come riconoscerli anche da chiusi, perché è
così che li troverete là fuori.
Sembrava
il primo compito
interessante della settimana e finalmente avrei potuto esplorare un
po’ i
dintorni del castello. Insomma, una gita autorizzata.
-Come
ben saprete quest’anno il
Ministero ha autorizzato ai Dissennatori di vegliare sulla scuola.
Vegliare è
una parola grossa, perché ciò che in
realtà fanno è scandagliare alla ricerca
della loro vittima, l’evaso Sirius Black. E dato che i
Dissennatori non fanno
alcuna distinzione tra il
loro obiettivo
e degli ignari studenti di passaggio, le precauzioni che dobbiamo
prendere sono
massime. Il mio modo per aiutare, essendo una semplice insegnante di
Erbologia,
è insegnarvi un trucco per scappare da queste orribili
creature in caso di
pericolo. Vi ho fatto entrare all’interno della serra prima
di azionare gli
sprinkler, facendovi bagnare tutti, proprio perché il potere di questi fiori si attiva
così. Infatti, se idratati con
acqua pulita, i Digitali Silvani tendono ad aprirsi ma essa, da sola,
non
basta. Infatti necessitano la presenza di un mago o di una strega nei
paraggi
in cui sbocciano, questo per prenderne, per così dire, le sembianze. Ovviamente non fisiche, ma
credetemi, per un
Dissennatore da quel momento in poi non ci sarà alcuna
differenza tra voi e la
pianta. Anzi, la pianta, per via della sua freschezza, li
attirerà ancor più
del vostro stesso corpo, dandovi perciò la
possibilità di darvela a gambe.
Sembrava
incredibile, ma se lo
diceva l’insegnate doveva essere vero: un fiore che
incanalava in qualche modo
l’essenza del mago che lo aiutava a sbocciare.
-Badate
bene che ogni mago può far
fiorire un solo digitale alla volta, quindi non perdete tempo nel
cercare di
schiudere gli altri perché non ci riuscirete. Almeno fino a
quando il primo
digitale non morirà, cosa che in presenza di Dissennatori
avverrà sicuramente.
Scegliete quindi con cautela il Digitale Silvano che farà da
esca, se ne avrete
più di uno nelle vicinanze, in modo da esser certi di
potervi creare una via di
fuga sicura. Tornate alla Serra n. 1 per prendere la vostra
attrezzatura...
Servono i libri, adesso.
-Professoressa?
-Sì,
Bones?
-I
vestiti, siamo zuppi fino al
midollo!
-Ah
già, per quello recatevi
all’esterno della Serra n. 4, c’è un
condotto d’aria che vi aiuterà ad
asciugarvi in fretta, basta che posiate le vostre giacche al sole,
tanto al
momento non vi servono, non fa tutto questo freddo.
La
professoressa aveva ragione,
fuori c’era un fresco venticello che avrebbe asciugato la
nostra roba in breve
tempo... Ma non si riferiva ad esso. Sulla parte posteriore della
serra,
infatti, era presente una larga balconata con piantate strane palme
rossicce
che danzavano al vento. La sorgente del getto d’aria era uno
sfiatatoio posto
sotto lo spiovente della cupoletta della serra, la cui angolazione
poteva
essere regolata da una manovella posta alla nostra altezza. Agendo su
di essa,
potevamo far sì che il vento colpisse noi e non le fronde di
quegli arbusti.
Stendemmo i nostri soprabiti sul sostegno in metallo che teneva chiusa
un’ala
del complesso di Erbologia e ci piazzammo esattamente sotto alla
griglia di
ventilazione.
Era
molto strano trovarci tutti
raggruppati in così poco spazio, le nostre camicie bianche,
identiche in tutto
e per tutto, sembravano farci appartenere ad un'unica Casa ed alcune
ragazze,
come se si fossero spogliate del tutto, si coprivano con le braccia per
evitare
di esporre troppo.
-Non
così, va tutto in faccia a
noi!
I
ragazzi più indietro,
giustamente, si lamentarono dei troppi schizzi che gli arrivavano
addosso dalle
file anteriori, perciò si decise di dividerci in due gruppi.
Mentre attendevo
il turno del mio gruppo, un’ombra sorvolò le
nostre teste: un Dissennatore
stava vagando sopra i cieli del castello.
-Secondo
voi, avremmo mai davvero
bisogno di doverci difendere da quei cosi?
Eh,
bella domanda...
-Non
lo so, ma se gli insegnanti
sono così preoccupati per la nostra sicurezza, un motivo ci
sarà.
Il
getto d’aria era così potente
che ad asciugare pantalone e camicia ci impiegammo neanche una ventina
di
secondi... Trenta, nel caso di Sullivan. Intanto, da dietro la parete
della
serra, la professoressa Sprite ci richiamò
all’ordine.
-Ricreazione
terminata, ragazzi!
Su, rientrate, abbiamo ancora tante cose da dire sul Digitale Silvano!
-Il
compito sarà pure divertente,
ma come faremo ad indicare nella nostra relazione l’esatta
posizione dei
boccioli di Digitale Silvano?
-Ma
la Sprite non ha mai parlato
di relazioni!
Terminata
la lezione di Erbologia
ci eravamo dati appuntamento sulle scale dell’ingresso
principale della scuola.
Dovevamo decidere come affrontare al meglio l’incarico
dell’insegnante, dato
che era una cosa nuova per tutti. Eravamo un po’ assonnati
per via
dell’alzataccia, ma avendo a disposizione più di
due ore dalla pausa pranzo non
volevamo sprecarle oziando, altrimenti dopo la lezione di Pozioni
saremmo stati
ancora più oberati di lavoro. Inoltre lo svolgimento del
compito sarebbe
avvenuto all’aperto, che era
ideale per
toglierci il fastidioso assopimento da dosso.
-Cosa
credi intendesse con “censimento
dei Digitali Silvani all’interno dell’area
scolastica”?
-Non
so, forse di segnare la loro
posizione su una mappa?
-Bella
questa, una mappa di
Hogwarts... E dove la prendiamo?
-Esisterà
pure, no?
Il
nostro rendez-vous si era
appena trasformato nell’ennesimo battibecco su dove dovessimo
andare, sul come
approcciarci al compito e a chi dare retta. Ci conoscevamo da soli
quattro
giorni ma già era chiaro che così non poteva
andare, i gruppi di studio
dovevano contenere al massimo tre o quattro studenti. Decisi di farmi
finalmente avanti.
-Credo
Walter abbia ragione, una
relazione non è richiesta, credo che lo scopo della prova
sia quello di
esercitarci al riconoscimento di una determinata pianta,
perciò alla
professoressa una foto andrà più che bene.
Oh
cavolo! Non devo nominare tecnologia babbana!
-Foto?
Non sappiamo dove trovare
una mappa della scuola e dovremmo avere una macchina fotografica con
noi?
In
realtà non mi aspettavo che i
maghi fossero a conoscenza dell’esistenza della fotografia,
ma riflettendoci le
foto animate presenti nei
giornali in qualche modo dovevano pur venir catturate.
-Dividiamoci,
tanto è inutile
star qui a perder tempo discutendo: un gruppo inizia a cercare le
piante, un
altro alla ricerca della mappa e un altro ancora di una macchina
fotografica o
qualsiasi cosa potesse servirci.
Sembrava
che Brendan mi avesse
letto nel pensiero, era esattamente quello che stavo per suggerire io.
-Voi
Serpeverde vi credete molto
furbi, vero? Mentre noi completiamo la ricerca voi passerete qualche
ora nel più
totale relax alla finta ricerca di un qualcosa che non esiste per poi,
sconsolati, tornare da noi e pretendere che condividiamo i nostri
progressi con
voi, fingendo di aver provato a fare la vostra parte... Beh,
sognatevelo!
Perché
Amanda nutrisse tutto
questo astio verso chiunque non le andasse a genio rimane un mistero,
ma così
facendo aveva offeso anche Liz che, sentendosi tirata in ballo, le
rispose a
tono.
-Se
ti senti tanto brava perché
cerchi il nostro aiuto? Prendi la tua roba e completa
l’esercitazione da sola,
noi ci siamo dati appuntamento qui per trovare una soluzione che non
prevedesse
perdere la giornata alla ricerca di quei quattro fiorellini, non per
discutere
con una presuntuosa come te!
-Sapete
che vi dico? Me ne vado
eccome! Mi fate perdere solo tempo, andiamo Grifondoro!
Ovviamente
nessuno dei Grifondoro
le diede corda alzandosi in piedi, soltanto Kathleen fece per seguire
la sua
amica per non lasciarla sola, quando Frederick sorprese tutti con la
sua
diplomazia:
-Calma
ragazze. Non conviene a
nessuno che si creino dei gruppi se poi questi alla fine non cooperano.
A me
sembra che ci sia ancora poca fiducia tra di noi e lo capisco.
Perciò direi di
dividerci in gruppi misti, cioè con membri di tutte le Case,
in modo che si è
sempre sotto controllo dagli altri e nessuno possa battere la fiacca.
Io, per
dare il buon esempio, andrò con la Queen e la Fadden,
così rimarrà soltanto un
Tassorosso da scegliere e il nostro gruppo sarà completo.
-No,
Fred... Ed io? Dovevamo
farla assieme...
Rupert
si era sentito quasi
tradito da quest’improvviso abbandono.
-La
decisione spetta a lei, a me
non chiedere nulla.
-D’accordo,
ci sto. Meno
Serpeverde vedo negli altri gruppi più tranquilla mi sento,
ma badate bene voi
due, se vedo che non muovete un dito per darci una mano, vi
escluderò dal
progetto.
-Parola
mia e di Runcorn, non
accadrà.
-Bene,
Eveline, dei Tassorosso
scelgo te.
Amanda
sembrava un capitano che
sceglieva i giocatori della sua squadra, dava sui nervi, meno tempo
stavo in
sua presenza e meglio mi sentivo. Ma era lo strano comportamento di
Fred che mi
lasciò realmente perplesso. Dan, intuendo ciò che
mi passava per la testa, mi
spiegò come stavano le cose:
-Intende
ingraziarsi Amanda
perché pensa che potrebbe essere una buona fonte di compiti
da copiare, se un
giorno gli servisse un suo aiuto.
Adesso
era tutto più chiaro.
-Ok,
chi va da Gazza e chi da
Madame Pince?
La
domanda-direttiva di Liz
lasciò tutti un po’ spiazzati, tranne le sorelle
Carrow che si erano completamente
disinteressate della faccenda.
-E
perché mai dovremmo andare da
loro?
-Usate
la testa, no? Dove vorrete
trovarle una mappa ed una macchina fotografica all’interno
del castello?
-Ah,
ho capito: il custode
potrebbe cercare nel magazzino per una macchina fotografica, mentre la
Biblioteca avrà sicuramente un volume che tratta
dell’architettura della scuola
con all’interno una piantina.
-Esatto.
E perché no,
direttamente una mappa da poter copiare su pergamena.
La
ragazza ragionava veramente in
fretta, era la seconda volta che mi stupiva quel giorno.
-Per
fare queste cose non servono
certo molte persone, ma visto che siamo costretti a seguire questa
stupida
regola dei gruppi eterogenei, sono costretta a fare queste divisioni,
non
accetto lamentele. Da nessuno.
Anche
lei è un’ Amanda coi capelli biondi, in pratica...
Spero solo di non finire di
nuovo con Miller.
C’era
da ammettere che non mi era
andata affatto male; visto che avevo fatto pressioni per poter finire
nel secondo
gruppo che setacciava la scuola in cerca di germogli, ebbi come
compagni le due
coppie di gemelli del nostro corso: le silenziose sorelle Carrow e gli
assolutamente non silenziosi fratelli O’Connell, che avevano
provato di tutto
per convincere Liz a non combinarli assieme, inutilmente.
Era
chiaro sin dall’inizio che
non fossero molto uniti come famiglia, del resto Alexis era finito in
Corvonero
mentre sua sorella in Tassorosso, ma non mi sarei mai immaginato che
non
avessero fatto altro che litigare per tutto il tempo, rendendosi meno
utili di
McBumble stesso.
Per
fortuna le Carrow,
sorprendentemente, nel loro pacato modo di fare, riuscirono a scovare
molti più
virgulti di digitale di quanto mi aspettassi, superando forse il numero
di
quelli che riuscii a trovare io.
La
nostra ricerca si sarebbe
basata sul lato orientale del castello, il che purtroppo comprendeva il
Ponte
di Pietra ed il Cortile omonimo che avevo già visitato, ma
così potevo
controllare anche la balconata che dava alla rimessa delle barche ed il
passaggio montano che collegava il retro del Cortile di Pietra stesso che per me erano zone
nuove. La posizione
delle piante, notai, seguiva un ordine ben preciso: dovevano coprire
tutti gli
angoli delle aree e doveva essercene una ogni tre o quattro piedi lungo
le mura.
Le uniche che sembravano un po’ lasciate al caso erano quelle
che si trovavano
in terra tra i mattoni di pietra negli spazi più ampi, dove
le pareti erano più
lontane. Ed era infatti con quelle che perdemmo la maggior parte del
tempo.
-Ah,
abbiamo capito cosa state
facendo: cercate i fiori che la professoressa grassoccia ha piantato
qui
qualche giorno fa, vero?
Soltanto
i Gargoyle che
troneggiavano ai lati del Ponte di Pietra potevano permettersi di dare
della
grassoccia ad un insegnate della scuola.
-Sì,
avete visto per caso se nei
dintorni ne ha sistemata qualcuna?
-Scherzi?
Certo che sì, ha
ricoperto la scuola con quei cosi, diamine voleva perfino inserirmi un
seme
nella bocca, ma io l’ho sputato subito, sai?
-Già,
ma ha attecchito lo stesso
sotto i suoi piedi, vedi? E’ là...
-Oh,
vero... Grazie, non l’avevo
notato.
Ne
registrai immediatamente la
posizione sul mio foglio per gli appunti abbozzando il disegno di un
cinghiale
seduto con una freccia di sotto che stava ad indicare il luogo in cui
si
trovava la pianta. Una volta tornati gli altri, avrei sostituito i
disegni e le
piantine amatoriali con un vero e proprio reportage fotografico,
sperando che
alla Sprite la cosa facesse piacere.
Ma
quel che era certo era che il
compito stava piacendo a me, poiché finalmente potevo
ammirare cose semplici ma
altrettanto straordinarie come l’altalenare delle barche
ormeggiate al molo, i
piccioni che nidificavano tra le fessure delle tegole dei passatoi del
Cortile
Principale e le prime foglie autunnali che vorticavano nel pavimento
dell’ingresso.
-Finalmente
vi abbiamo trovato!
Erano
Dan, Liz ed il resto del
gruppo che tornavano dai loro incarichi, che purtroppo non si
conclusero
entrambi positivamente. Liz, intimando al custode di rivolgersi al
professor
Piton se non avesse ascoltato le nostre richieste, era riuscita a farsi
dare in
prestito una scassata macchina fotografica d’epoca; mentre
Brendan e
Sullivan, gli unici
membri del gruppo
che si diresse alla Biblioteca, non riuscirono a farsi consegnare una
mappa
della scuola da Madame Pince. Questa, infatti aveva gentilmente
spiegato che
l’unica pianta esistente era in possesso del preside e che
là sarebbe rimasta
perché conteneva l’esatta ubicazione di tutti i
passaggi segreti della scuola.
-Aspettate?
La scuola nasconde vie
segrete agli studenti?
-Beh,
si... Che c’è, non lo
sapevi?
-No
che non lo sapevo, nemmeno
voi dovreste, altrimenti che segreto sarebbe?
-Ah,
ma il segreto non sta nel
sapere che esistono passaggi segreti, ma nello scoprirli... Non tutti
ci
riescono.
-E
chi ne trova uno se lo tiene
ben stretto, altrimenti addio segreto!
Tutto
quel parlare di vie occulte
mi aveva acceso ogni neurone del cervello; adesso avevo un altro motivo
per
esplorare il castello come se si trattasse di un parco dei
divertimenti: perché
lo era!
-Beh,
non è comunque andata male,
abbiamo la macchina fotografica, no? Dai su, iniziamo a far le foto...
Neanche
uno di noi però mosse un
dito.
-Che
aspettiamo? Gideon, hai tu
la macchina in mano, usala!
-Non
so come funzioni...
Un
imbarazzante silenzio piombò
improvvisamente.
-Chi
sa usarla?
Ovviamente,
nessuno.
-Le
relazioni sulle cormele dove
le possiamo appoggiare?
-Sulla
cattedra, non credete?
Il
professor Piton sembrava
cercare qualcosa all’interno del mobiletto dei libri usati
non degnandoci la
minima attenzione, favorendo la maratona di Fred e Rupert che fino a
pochi
secondi prima si trovavano ancora in Biblioteca per completare una
delle due
relazioni che dovevano esser pronte per quel giorno.
Terminata
la ricerca tornò alla
sua postazione notando la pila di relazioni consegnate dagli studenti.
Con tono
vagamente meravigliato chiese:
-E’
tutto?
Nessuno
rispose quindi significava
di si.
-Dovrebbero
esserci due relazioni
per ognuno di voi sopra la mia cattedra ma, ad occhio, sembrerebbe che
ne
manchi qualcuna, non credete?
Avevo
controllato personalmente
chi avesse consegnato entrambe le relazioni e chi no e soltanto una
manciata di
ragazzi non erano riusciti a completarle tutte, di cui la maggior parte
erano
Serpeverde.
-Ma
le pergamene sulle varie
dimensioni dei calderoni per lo meno ci sono tutte, trenta punti in
meno a
Grifondoro, quindici a Corvonero e altrettanti a Tassorosso. Bowen e
Runcorn vi
siete meritati una settimana di punizione e Valeth e Carrow voglio la
vostra
seconda relazione entro domani o aiuterete i vostri colleghi a pulire i
Sotterranei ogni sera, a partire dalle sette fino a che non ci
sarà più nemmeno
una ragnatela.
Era
evidente che fu solo una mia
impressione credere che all’inizio della lezione il
professore fosse distratto,
perché invece aveva preso atto di chi avesse rispettato la
consegna e chi no,
senza nemmeno ricontare i fogli di pergamena poggiati sul suo banco.
-Ma
non è giusto, tutti questi
punti... E Serpeverde neanche uno!
Non
avevano tutti i torti, ma
prima che le lamentele potessero giungere alle orecchie
dell’insegnate, questi
avvisò:
-Tuttavia...
Anche chi ha
consegnato il proprio lavoro non deve considerarsi salvo da eventuali
sanzioni,
tutto dipenderà da cosa avrà scritto
sull’argomento e soprattutto come. Non
tollererò alcun tipo di errore grammaticale da studenti
della vostra età, che
siano o meno stranieri non farà alcuna eccezione.
A
non essere di madrelingua
inglese eravamo in due in quella classe, ma ero abbastanza sicuro che
si stava
riferendo unicamente a me.
-Tornando
alla lezione di oggi,
ho preso questo vecchio volume per dimostrare come un vero praticante
delle
pozioni dovrebbe comportarsi quando si trova dinanzi ad un calderone
sul fuoco.
Il libro in questione
era una
consunta vecchia edizione di quello che avevano gli studenti, ma era
pieno di
scritte sparse, scarabocchi senza senso e cancellature, sintomo di
correzioni
ripetute.
-Non
deve seguire ciecamente le
istruzioni dei libri, né tantomeno sottovalutare i rischi
che tale scelta
comporta, ma sperimentare comprendendo quando è giusto e
quando meno utilizzare
processi o ingredienti differenti. Per raggiungere questo livello
bisognerà
conoscere alla perfezione tutti i componenti dell’ambiente di
lavoro, le
proprietà dei materiali e degli ingredienti, ma soprattutto
entrare in sintonia
con la perfezione che il creare pozioni richiede: ogni scelta presa,
ogni
movimento svolto dovrà rispecchiare l’intento
finale. Perciò bisognerà partire
dalle basi... Che cominciano adesso, aprite i vostri libri
all’appendice sui
materiali maggiormente adoperati e preparatevi a prendere appunti,
poiché il
libro pecca di troppa superficialità.
-Puah! Ancora questo pollo?
-Non
è pollo, è manzo!
-Fa’
lo stesso, è cotto e non mi piace.
Ogni
giorno che passava a Muthsera
nasceva un capriccio.
-Posso
uscire e pensarci io al cibo?
-Sei
pazzo? A quest’ora ti vedranno tutti...
-No,
passo da quest’inferriata, ti prego non ne posso
più di stare chiuso qui
dentro, quel grasso rospo mi tenta, prima o poi non
resisterò più.
-Cerca
di resistere invece, che la forma di un intero rospo
all’interno del tuo
stomaco non è tanto difficile da riconoscere... Dai, esci,
ma se senti che in
camera c’è qualcuno e quel qualcuno non sono io,
resta fuori, non rientrare fin
quando non saranno tutti a letto, e per carità non far
vibrare quella lingua
quando metti piede qui dentro come stai facendo adesso!
-E
tu come credi che faccia a distinguere gli odori? Sono obbligato a
farlo!
-E
fallo più silenziosamente, Shht... Arriva qualcuno.
Falso
allarme, era una coppia di
Serpeverde diretti alle stanze superiori.
-Ok,
adesso va’ e non mangiare troppo o la tua trasformazione in
tritone verrà un
po’... sproporzionata. Ma dove sei?
Muthsera
era sparito: avevo
decisamente sottovalutato sia le sue abilità furtive che
soprattutto la sua
fame. Decisi di scender di sotto, anche se rischiavo seriamente di
rifinire a
testa in giù non mi andava di passare il resto della serata
da solo come le
altre. Per precauzione però presi il libro di pozioni, in
modo che se avessi
incontrato qualche testa calda, avrei potuto far finta di studiare
cercando di
non attirare la sua attenzione.
La
Sala Comune era gremita e
nonostante le sue notevoli dimensioni, tutta quella folla mi fece lo
stesso
sentire claustrofobico. L’unico posto a sedere disponibile
era la sedia in
pelle nera all’angolo opposto all’ingresso che, a
causa del mobilio che gli
occupava la visuale, veniva scartato da chiunque. A me comunque andava
più che
bene, dato che il mio interesse era solo quello di familiarizzare con
l’ambiente.
Con un occhio sulle pagine del libro e con l’altro su chi mi
stava accanto,
monitorai la situazione per captare più discussioni
possibili per vedere in
quale avrei potuto avere una chance d’inserimento. Purtroppo
però non ebbi molta
fortuna, poiché tutto ciò che riuscii a
distinguere furono maldicenze su studenti
a me sconosciuti, maldicenze sugli insegnanti e maldicenze sui genitori
di un
compagno Serpeverde un po’ squattrinato: nulla che potesse
minimamente interessarmi.
Alla vista di Fred e Rupert di ritorno dalla loro punizione, mi coprii
interamente il volto col tomo di Pozioni per evitare d’esser
individuato ed
evitare così ogni possibile conseguenza. Nonostante quel
libro doveva servirmi
solo da schermo, finii per leggerlo per davvero e rimasi sorpreso dalla
quantità di materiale che l’insegnante ci aveva
fatto modificare col dettato
dei suoi appunti: praticamente era diventato un altro testo. Peso degli
ingredienti, nomi degli attrezzi, termini gergali, dati tecnici e
unità di misura:
erano soltanto alcune delle centinaia di contenuti che dovetti
correggere a
margine quel pomeriggio; un pasticcio improponibile.
Perché
non scrive direttamente lui il libro che dovremmo utilizzare? Non ci si
capisce
niente così...
Leggendo
della pozione per la
Scabbia Leonina, mi venne in mente Muthsera e al destino di quei poveri
ratti,
vettori di tale malattia, che gli avrebbero fatto da pasto durante
quest’anno
scolastico. Lo immaginai sopra le nostre teste, a serpeggiare in
chissà quale
conduttura all’inseguimento di quelle rognose creature. Mi
immedesimai così
tanto nella caccia al roditore che quasi ne sentivo l’odore,
misto al fetore della
sua paura...
Era
tutto molto nauseante ma allo
stesso tempo invitante, dovevo soltanto girare quell’angolo e
sarebbe rimasto
in trappola, senza via d’uscita. No, non era possibile, era
sparita, la preda
che da tanto avevo rincorso, non era più qui. Ma non
c’era alcun spiraglio da
dove sarebbe potuta passare, nessuna fenditura da dove avrebbe
disperatamente
tentato la salvezza, non aveva alcun senso...
Sst!
I
miei sensi si risvegliarono
nella foga dell’agitazione, non dovevo affidarmi soltanto
alla misera vista,
c’era un mondo impercettibile dinanzi a me, potevo sentirlo,
distinguerlo,
dovevo soltanto raggiungerlo...
Ecco!
Una
lieve brezza, quasi indefinita,
proveniva dall’alto della putrella che reggeva il solaio.
Un
varco, grande abbastanza per
permettere sia a me che al roditore il passaggio, era celato proprio in
quel
punto. Oltrepassandolo venni investito da un forte calore e da un
chiasso
inumano, ma anche la mia preda rimase intontita da quelle urla, tanto
da cadere
in un dislivello e rompersi una zampa, era mia...
Swiss!
Con
semplice ma preciso slancio
azzannai la creatura per il collo, torcendoglielo fino a romperlo.
Risentii
leggermente della caduta, ma il mio corpo flessibile attutii il colpo
riportando soltanto una lieve pressione all’addome. Aveva
smesso di respirare,
mi ero guadagnato la cena.
Guardandomi
intorno capii di
trovarmi nella parte dei Sotterranei frequentata dagli umani, dovevo
sbrigarmi
ad allontanarmi da lì o sarei stato visto, con quel che ne
sarebbe comportato.
Ma c’era qualcosa di strano, di diverso. Tutto era
più sporco e secco e nessuna
luce illuminava il cammino, riuscivo a vedere soltanto grazie ai miei
occhi da
rettile, dove mi trovavo? Dovevo avvicinarmi quantomeno alla fonte di
quel
calore fuso al frastuono che proveniva dalle mie spalle... Una luce
proveniva
da uno spiraglio un po’ troppo alto perché potessi
raggiungerlo; ma io ero un
serpente, potevo sempre contare sul mio solido equilibrio.
Più mi avvicinavo
alla fessura, più il chiasso diventava assordante, ma
necessitavo capacitarmi
di cosa si trattasse, dovevo...
Volevo...
E
mi vidi.
Là,
seduto in solitudine
all’angolo della Sala Comune. Lo sguardo vuoto ed il libro
che penzolava tra le
mie mani.
Tonf!
Il
libro di Pozioni era ai miei
piedi, sfuggito alla mia presa. Tornai in me, proprio come le altre
volte, ma con
qualche differenza. Non desiderai affatto di entrare dentro
Muthsera ma soprattutto non riuscii a rendermi conto di
esserci davvero entrato fino a che
non riuscii a
trovare un collegamento
visivo col mio vero corpo.
Nessun
altro nella stanza
fortunatamente si accorse del mio strano comportamento,
perciò decisi di
risalire per dileguarmi e riflettere su ciò che era appena
accaduto. Ero
sconvolto come la prima volta.
La
giornata prometteva pioggia,
secondo René, perché i Troll di Caverna
starnutivano più del solito, segno di
un drastico aumento dell’umidità
nell’aria, che faceva sviluppare la muffa. E
prometteva anche una nottata in bianco poiché,
dall’elenco delle materie, era
leggibile l’assurdo orario della lezione di Astronomia: dalla
mezzanotte alle
tre del mattino.
-Ma
è un errore?
-Nessun
errore, credo. Quando è
che vorresti veder le stelle, a pranzo?
Effettivamente...
-Ma
se controlli, poi avremo
tutto il tempo necessario per recuperare, domani è sabato!
-Sarà
pure sabato ma abbiamo
Lezione di Volo alle undici.
-Appunto,
alle undici, credo che
sette ore di sonno bastino e avanzino... E poi, non sei emozionato? La
nostra
prima volta sulla scopa! Ed esattamente il giorno dopo aver studiato il
cielo,
come un desiderio che si avvera grazie ad una cometa!
L’entusiasmo
di Dan, anche se un
po’ troppo romantico per i miei gusti, era comunque riuscito
a trasmettermi non
poca voglia di mettermi al comando di quel bolide preso per quattro
soldi allo
sciocco commesso del negozio di scope usate.
Mentre
ci si avviava verso l’uscita
della Sala Comune posai lo sguardo sulla parete dalla quale, sotto le
serpentine
spoglie di Muthsera, la sera prima scorsi la mia stessa figura.
Distolsi lo
sguardo, sperando di dimenticarmene, almeno momentaneamente.
-Dan,
se ti dicessi che per scopa
ho una Comet 260 ci crederesti?
-Neanche
se mi pagassi!
-Allora
domattina vedrai.
Con
un pizzico di delusione nel
cuore, notai che i banchi dell’aula di Difesa Contro le Arti
Oscure erano
tornati al loro posto, presagio di una lezione dai toni più
tradizionali.
-Bentornati
ragazzi! Sì, niente
Mollicci quest’oggi, del resto ve l’avevo detto che
da ora in poi avremmo seguito
un pelino di più il classico programma, no? Sedetevi che
iniziamo.
Una
volta che la classe prese
posto, Lupin attaccò nuovamente con un discorso
preregistrato:
-Arti
Oscure. Cosa sono queste
fantomatiche Arti Oscure da cui bisogna difendersi? Non a caso il nome
dato al
corso è Difesa contro le Arti Oscure... Allora è
qualcosa da cui ci si dovrebbe
proteggere? Direi di sì, basterebbe soltanto osservare la
copertina del vostro
testo... Prendetelo su, guardiamola assieme.
Prendemmo
i nostri libri di DCAO così
come il nostro insegnante, che successivamente si sedette sopra la
cattedra.
-E’
la più austera tra quelle dei
libri che possedete, vero? Tutto questo nero e le scritte in blu scuro,
quasi illeggibili,
è così cupo... Non si riesce proprio a farsela
piacere, vero?
Per
rafforzare il concetto, il
professore si esibì nelle più demenziali pose di
contrizione che avessi mai
visto effettuare da un adulto della sua età.
-E
c’è un motivo. Perché la Magia
Oscura, cioè quella che permette di fare cose cattive...
E’ brutta.
Matheus
non si limitò nell’esprimere
il suo parere verso i toni dell’insegnante.
-Ma
ci prende per bambini
dell’asilo? Continuando di questo passo fra poco la
paragonerà alla popò.
Mi
vennero le lacrime agli occhi
per il divertimento, ma per nostra fortuna le cose si fecero ben
più serie nei secondi
successivi.
-Pensate
alle cose più orribili
che vi possono venire in mente... Le Arti Oscure sono proprio quelle in
grado
di realizzarle e persino superarle al di là di quanto
avreste mai pensato di poter
immaginare. Aberrazioni, maledizioni, non morte ed epidemie. Tutto
ciò è
riconducibile ad un uso, o meglio abuso, di queste pratiche vietate.
Alcune
sono addirittura talmente immorali che il solo utilizzo di una di esse
fa
finire l’esecutore dritto nelle prigioni di massima sicurezza
per maghi e
streghe fuorilegge.
-Come
Sirius Black?
-Si...
Si, come lui.
-L’assassino
fuggito da Azkaban?
-Si,
esatto, ma ora non è il
momento di parlare di...
-Come
ha fatto a fuggire da lì?
La
curiosità dei fratelli
O’Connell era parecchio condivisibile, ma sembrava che al
professore non andasse
proprio di parlarne, dato che stava cercando in tutti i modi di cambiar
discorso.
-Non
saprei, ma non è di questo
di cui volevo...
-Come
non lo sa? Non dovrebbe
conoscere tutti gli espedienti dei Maghi Oscuri?
-Idiota,
se il professore o
chiunque altro fosse a conoscenza del metodo di evasione, non credi lo
avrebbero già rimesso in cella?
Lupin
decise di alzare la voce
per farsi dare ascolto, anche se non si addiceva alla sua voce pacata e
gentile.
-Vedete!...
Vedete, è proprio
questo il bello, o come in questi casi il brutto, della magia: permette
di
poter ideare approcci diversi per affrontare i problemi della vita
quotidiana,
che possano essere l’asciugare il bucato in assenza di sole o
l’evadere da un
carcere.
-Ma
nostro padre diceva sempre che
ai detenuti non è permesso tenere effetti personali di alcun
tipo, quindi non
aveva a disposizione nemmeno la bacchetta, come può aver
fatto a...
-Bella
domanda, signorina
O’Connell. Il fatto è che la bacchetta non
è strettamente indispensabile per
poter utilizzare la magia...
A
chi lo dici...
-...Ma
aiuta certamente il mago
ad esprimere al meglio la propria predisposizione, portandolo su
livelli di
molto superiori. La sua abilità resta comunque, con o senza
bacchetta al
seguito. Esistono vari incantesimi, infatti, la cui esecuzione
è tipicamente
non verbale, cioè senza necessità di scandire con
precisione l’incantesimo,
come vi starete abituando a fare. Questo perché sono
incantesimi la cui
efficacia si riscontra soltanto se il bersaglio non è a
conoscenza del tipo di
magia che sta per subire, oppure per celare la propria presenza ed
operare
azioni di disturbo... Sono tutti argomenti che affronterete negli anni
successivi, ma ve li sto anticipando soltanto per farvi capire che
proprio come
si può far a meno dell’uso della parola per
concentrare il nostro potere, se ne
può fare altrettanto della bacchetta, anche se
più difficile. Ma Black, nei
suoi dodici anni di prigionia, avrà di sicuro avuto
abbastanza tempo per
esercitarsi e provare tutto ciò che gli serviva, non credete?
Dopo
quelle ultime parole in
classe divampò un acceso dibattito: chi si preoccupava di
possibili nuove
evasioni che sfruttassero lo stesso metodo di Sirius Black, chi si
domandava
quali incantesimi avesse mai utilizzato l’evaso per esser
riuscito a mettere in
scacco le guardie del carcere e chi invece ipotizzava possibili
soluzioni per
migliorarne la sicurezza.
-Se,
all’ingresso del
penitenziario, gli venisse modificata la memoria non si ricorderebbero
nemmeno più
cos’è la magia...
-Se
fossi io il Direttore di
Azkaban terrei tutti i prigionieri appesi per i pollici,
così poi vedremmo se
avrebbero ancora voglia di pensare ad un’evasione!
Anche
trovando quella confusione divertente,
il professore dovette farla in qualche modo terminare e così
pronunciò:
-D’accordo,
basta così! Tirate fuori
le bacchette, ho capito cosa è meglio fare con voi.
Si
alzò in piedi e si diresse
verso l’uscita della classe.
-Passeremo
direttamente alla
pratica, oggi studieremo il Verdimillius!
-Dai
ragazzi, cos’è che non comprendete
del non fare chiasso lungo i corridoi?
Eravamo
quasi arrivati all’Ala
Vecchia dei Sotterranei, l’unica zona inutilizzata del
castello, per poter
mettere a frutto ciò che avevamo imparato
dell’incantesimo utile, a detta del
professore, a rivelare ciò che la Magia Oscura voleva render
celato. Qualunque
cosa potesse significare.
Matheus
e Walter, invece, stavano
ponendosi ben altri interrogativi:
-E’
così che appaiono i
Sotterranei nella loro parte più profonda... Come riuscite
voi Serpeverde a starci?
-Come
fate voi Grifondoro a farvi
sette piani di scale trenta volte al giorno, semmai!
Potevo
comunque comprendere la
loro incredulità: l’Ala Vecchia era davvero buia e
fatiscente, per non dir
tetra.
-Kikiki!
-Cos’è
stato?
-Non
lo so, ma veniva da dietro!
-No,
era davanti!
-Che
dici, proveniva dalla destra!
-Io
l’ho sentito chiaramente
sopra di noi...
Dall’ombra
delle profondità del
passaggio alla nostra sinistra apparve una deforme figura galleggiante:
bianca
come uno spettro, ma più vivida e sinistra.
-E’...
E’ il Barone Sanguinario?
No,
non è lui...
-E’
soltanto Pix il poltergeist,
ragazzi... Una vecchia conoscenza della scuola. Salutatelo e passiamo
oltre,
non abbiamo tempo da perdere.
-Facce
nuove! A Pix piace vedere
facce nuove! Ma una di queste facce non è nuova, no-no!
E’ solamente
invecchiata, si-si!
-Parla
di lei, professore?
-Non
dategli corda ragazzi, o non
la finirà più. Non è un semplice
fantasma, questo può davvero infastidirvi con
i suoi scherzi crudeli.
-Tu
sempre stato poco gentile con
Pix anche da marmocchio. Piccolo bambino solitario, povero Luna...
-Pix,
ti devo Bandire?
Non
avevo mai visto il professore
così paonazzo, sembrava un cane rabbioso.
-No-no!
Pix va via subito! No
divertimento se si minaccia Pix, solo cattiveria gratuita! Ma con facce
nuove
ci si rivede presto! Ciao-ciao!
Ed
esattamente come era apparso,
se ne andò, non lasciando tracce di sé.
-Dovrete
farci l’abitudine,
purtroppo. Non è malvagio, ma è uno spirito della
discordia, deve in qualche
modo seguire la sua indole, siamo quasi arrivati... Ecco.
Una
volta che il professor Lupin
aprì la porta, un’oscurità abissale si
parò dinanzi ai nostri occhi.
-Questo
sarà il nostro campo di
allenamento. Come potete subito notare, questo luogo è
entrato in contatto con
la Magia Oscura... Utilizzata a scopi puramente didattici ovviamente,
ma ciò
non cancella la sua natura, per questo riuscite a percepire la presenza
delle
tenebre che si celano in questo posto. Questa era la vecchia anzi,
vecchissima
aula di Arti Oscure ai tempi della Fondazione e, in quanto tale,
conteneva e
contiene tutt’ora una moltitudine di prove atte a migliorare
le abilità del
mago che si approccia allo studio di esse. Alcune sono state comunque
rimosse
tempo addietro, poiché ideate dalla ben nota propensione
alla crudeltà di
Salazar Serpeverde.
Senza
alcun dubbio non si
trattava della miglior location per la nostra prima prova sul campo.
-Ma
voi non avete nulla di cui
preoccuparvi: la prova di oggi consisterà semplicemente
nell’utilizzare il Verdimillius
per rivelare le scale occultate
e così raggiungere un forziere contenente una piccola
sorpresa, senza
particolari rischi. L’unica cosa a cui dovrete prestare
attenzione è il tempo.
Il Verdimillius, proprio
perché
dissipa momentaneamente le ombre evocate dalla Magia Oscura, ha una
durata
limitata e meno esperienza possiede l’utilizzatore e
più in fretta queste si
ricondenseranno, perciò cercate di concentrarvi al massimo
durante l’esecuzione
e di arrivare il più in fretta possibile in cima per
raggiungere il forziere;
in caso di fallimento, comunque, ci sarò io ad evitare che
sbattiate per terra.
Ogni studente che riuscirà nell’impresa
farà guadagnare cinque punti alla
propria Casa, che in qualche modo serviranno a recuperare quelli persi
ieri durante
la lezione di Pozioni, cosa ne dite?
Trovai
non fosse affatto male
come idea, ma ero convinto che Fred e Rupert avrebbero preferito
l’annullamento
del loro castigo.
-Ma
prima... Dimostrazione dal
vivo! Osservate bene il movimento del mio gomito destro... Verdimillius!
L’enorme
stanza immersa nell’ombra
si accese di un verde abbagliante, rivelando due opposte rampe di scale
che
salivano verso una piattaforma anch’essa luminosa. Il
bagliore magico era
costellato da piccole particelle verdi che vorticavano turbinosamente
attorno a
quelle costruzioni che fino ad un momento prima erano celate dalle
tenebre,
comportandosi come dei pigmenti sbarazzini in una tela dipinta a mano.
Come
vorrei avere una bacchetta qui con me...
Il
cielo si stava seriamente
annuvolando, forse non avrebbe ancora piovuto, ma mi chiesi come
avremmo potuto
studiare le stelle se quella sera si fosse coperto del tutto. Inoltre
iniziava
a far freddino.
-Scendiamo
a vedere il campo di
Quidditch, vieni?
Avevamo
l’intero pomeriggio per
poter fare quello che volevamo e visitare la zona del Cerchio di Pietra
rientrava tra queste cose. Ne avevo sentito parlare durante la pausa
pranzo da
alcuni studenti più grandi, era il punto di incontro ideale
per chi voleva
studiare all’aperto. Ad Hogwarts le belle giornate di sole
erano rare, perciò
fin che il tempo permetteva in molti ne approfittavano. Avrei voluto
provarci
anch’io, ma conoscendomi sapevo che star seduto sulla nuda
terra mi avrebbe
portato dolori più che altro.
La
Torre dell’Orologio era la più
imponente dell’intera scuola: sia la Torre delle Scale che
quella di Astronomia
erano più alte e più simili a delle vere torri
per via delle loro cime a punta,
ma questa era decisamente più larga ed impressionante per
via dell’enorme
marchingegno che faceva funzionare l’orologio a pendolo che
regolava i gong
della campana. L’intera ala che collegava alla torre sembrava
esser stata
costruita successivamente al castello poiché interamente
costituita da assi di
legno ed infissi in telaio leggero. Sembrava una copia in grande stile
del
primo piano del Paiolo Magico in quanto a scompostezza della struttura.
Probabilmente l’orologio in passato era una struttura a
sé, ma in seguito
decisero di accorparla alla scuola, impiegando fior fiore di
carpentieri non a conoscenza
dell’esistenza delle livelle toriche. Superato anche lo
sgangherato ponte di
legno sorretto dal Chiostro della Fontana ed il promontorio del Cerchio
di
Pietra, ci trovammo finalmente nella parte definibile anteriore
del castello, dato che l’ingresso principale dava
soltanto ad uno strapiombo al lago. Da qui era possibile scendere verso
il
basso per raggirare la scuola ed arrivare alla Rimessa delle Barche
oppure
salire più in alto per dirigersi al Cortile di Addestramento
sul retro o alla
Guferia. Ma il nostro obiettivo era il Campo da Quidditch che si
trovava
esattamente alla fine della vallata che ci aspettava poco
più avanti.
-Guardate
la Foresta Proibita,
quello è l’ingresso...
-Esiste
un ingresso per una
foresta? Non puoi entrare da dove ti pare?
-Beh,
ovvio che si, ma se si
entra da lì c’è un percorso creato
appositamente per gli studenti...
-Ma
non era proibita?
-E’
solo un nome, cosa volete che
ci sia là dentro? Siamo vicini ad una scuola dopotutto!
Uno
sciame di Dissennatori,
apparentemente attratti da qualcosa all’interno della
foresta, vi entrarono.
-Ad
esempio quelli...
-A
proposito, chi ha controllato
ieri questa zona? Potrebbero esserci dei boccioli di Digitale Silvano
anche
qui, anzi, sicuramente ci saranno.
-Nessuno
si è spinto così lontano,
i gruppi erano soltanto quattro, questa zona è stata
trascurata...
-Avete
ancora la macchina
fotografica di Gazza?
-No,
ma non dovevamo andare al
campo?
-Sì,
ma nel mentre potremmo...
-Un
corno! Io vado, ne ho
abbastanza di foto e giardinaggio...
Walter
e tutti i suoi compagni
Grifondoro si allontanarono verso il fondo della valle, seguiti
successivamente
dagli inutili fratelli O’Connell e qualche altro
scansafatiche.
-Siamo
rimasti sempre i soliti...
Sembrava
che i trenta punti che
avevano fatto perdere alla propria Casa non fossero bastati a fargli
cambiare
atteggiamento.
-Ho
io la macchina fotografica,
ieri abbiamo lasciato le foto ad asciugare nel Ripostiglio delle Scope.
Sapevo
che ci sarebbe servita nuovamente e l’ho portata con me.
Andrea
fu previdente come sempre,
ero grato che anche qualcun altro, magari non pedante come Amanda o
Elizabeth,
avesse la testa sulle proprie spalle.
In
otto impiegammo davvero poco
tempo a coprire tutta la vasta area ai piedi del castello, sempre
evitando di
finire troppo vicini alla foresta o alla sinistra capanna del
guardiacaccia da
cui provenivano strani gorgheggi e guaiti.
-Queste
più tardi le facciamo sviluppare e così avremmo definitivamente concluso...
-Ci
vorrebbe un raccoglitore per
le foto, magari ne troviamo un paio al Magazzino delle Pergamene al
sesto
piano...
Sembrava
che tutti conoscessero
la scuola a menadito, io non c’avevo mai manco messo piede al
sesto piano.
-Sentite,
abbiamo la macchina
fotografica e noi stiamo andando al Campo di Quidditch... Che ne dite
di
tirarci qualche foto?
-Bones,
ti credi forse ad una
gita scolastica? Non dobbiamo sprecare il rullino, è di
proprietà della scuola,
se il custode se ne accorge...
-E
dai, ne scattiamo solo una
tutti insieme e poi ce la condivideremo tra di noi. Nessuno
verrà mai a
saperlo.
Nel
nostro gruppo c’erano Rupert
e Fred, bastavano soltanto loro due a far diventare questo nostro
piccolo
segreto in un affare di pubblico dominio.
-Basta
che ci spicciamo...
Il
Campo da Quidditch era ancora chiuso
in attesa dell’inizio degli allenamenti e della stagione
sportiva, ma già
dall’esterno si potevano intuire le dimensioni mastodontiche
dell’intero
complesso: dall’alto si vedevano esili torrette coi vessilli
e colori delle
Quattro Case e tre strani cerchi bianchi posti a diverse altezze; il
muro che
cingeva il campo era basso ma impossibile da scalare, però
un albero nell’area
degli stand sembrava fosse nato per permettere ai curiosi di guardare
al di là
degli spalti.
-Oh,
guardate... Si vede tutto!
Il
povero albero dovette
sopportare il peso di tutti noi messi assieme sui suoi rami, nonostante
la
scalata mi costò tempo e fatica decisi di scendere, per
evitare l’inevitabile.
Anche altri seguirono il mio esempio, preoccupati per le sorti
dell’arbusto: le
doti atletiche di Andrea Rower erano impressionanti, tanto da sembrare
planare nel
passaggio tra un ramo e l’altro, spostando così il
suo peso su uno non ancora
occupato da altri.
-Sully,
tu hai una sorella più
grande, vero? Quando iniziano solitamente le partite di campionato?
-Non
ne ho idea...
-Ehi,
cosa fate lassù, scendete
immediatamente!
La
potente voce del professor
Hagrid tuonò in nostra direzione.
-Oddio,
scappate!
Yawn!
Il
cappone ripieno iniziava a
farsi sentire: ero così pesante e assonnato che se avessi
toccato il cuscino
sarei piombato in un sonno profondissimo. Ma dovevamo rimanere svegli
fino alla
mezzanotte per poi poter dirigerci alla Torre di Astronomia.
-Gli
studenti più grandi trovano
la tirata notturna per Astronomia la serata più divertente
della settimana, ma
a me sembra una noia mortale!
-E’
che non abbiamo modo di far
passare il tempo e fissare il fuoco del camino mette soltanto ancor
più
sonno...
Ci
trovavamo all’interno della
Sala Grande in attesa della mezzanotte mentre al di fuori, due prefetti
Corvonero, controllavano perennemente la nostra posizione. Quelli di
noi che
avevano ricevuto la foto di gruppo sviluppata dalle abili mani di
Gideon e
Andrea, non facevano altro che lamentarsi di quanto poco fotogenici
fossero
risultati.
-Che
ne direste di parlare un po’ di noi? Non ci conosciamo
per niente se ci
riflettete...
René
non aveva mica tutti i
torti.
-E
cosa c’è da dire? Mio padre e
mia madre fanno ricerche sugli ingredienti utili per praticare la
Necromanzia,
il padre di Pierrot è un illustratore e quello di Rower
veste con gonna e
borsetta.
-Necromanzia?
La
mia domanda fu totalmente
ignorata dal gruppo per via della reazione di Andrea.
-Mio
padre non veste in quel modo
e quello che avete visto era mio nonno! Non offendere più i
miei genitori!
Furioso,
si alzò e si sedette
isolato all’altra punta del tavolo lungo.
-Ma
stavo scherzando!
Nessuna
risposta.
-Si
vede che non gli piace parlar
male dei parenti, o almeno dei suoi, ahahah!
-Bah,
ecco che mi ha tolto quella
briciola di voglia di parlare che avevo.
-Aspetta
Liam, cosa intendevi per
Necromanzia?
-Ah
quella che studiano i miei
genitori? Sono sempre stati due secchioni con la fissa per la morte, si
saranno
conosciuti così penso... Non è che parliamo molto
fra noi, so solo che c’entra
col riportare in vita i cadaveri.
-Appunto,
sapevo cosa significa,
e non è mica cosa da poco!
-Si,
ma non so altro e credimi,
se ci fossero riusciti lo saprei... Assieme al resto del mondo!
-Tutto
tempo sprecato, lo sanno
tutti che è impossibile resuscitare la gente, diglielo ai
tuoi, eheh!
-Grazie
Rupert, ma lo so già. Ma
hanno uno studio ormai troppo approfondito sull’argomento,
ricevono
finanziamenti dal Ministero e hanno pure dei collaboratori freschi di
M.A.G.O.
in chissà quante materie...
Che
c’entrano ora i tritoni?
-Allora
il progetto è serio...
-Che
ti sembrava, che vivessi
assieme a due matti?
-Devo
esser sincero?
-Ma
smettila, e poi non sono io
il più interessante qui, il signor “vengo
dall’Italia e non posseggo ancora una
bacchetta” credo abbia molte cose da raccontarsi...
-Almeno
su questo, son d’accordo!
Ed
ecco che ero nuovamente al
centro dell’attenzione.
-Ah,
non dico un’altra parola,
altrimenti la prossima volta Buzz mi farà davvero volare
direttamente dalla
torre di Astronomia, altro che testa in giù.
-Tutto
dipende da quel che
racconti, amico!
-Si,
ridi pure Runcorn...
-Io
però voglio sapere qualcosa
suoi tuoi, saranno grandi maghi, non ho mai sentito parlare di famiglie
magiche
in Italia, avranno un motivo per trovarsi ancora lì, magari
spiano qualcuno...
-Sono
degli Auror?
Non
so neanche di che diavolo state parlando!
-No,
davvero ragazzi, terrò la
bocca cucita stavolta.
Anche
perché non saprei che storia incredibile inventarmi...
-Se
è per colpa di questi due e
della loro boccaccia lunga nei tuoi confronti... Ci penso io a
toglierteli di
torno!
-Ehi,
che fai, mi fai cadere!
Dan
stava spingendo di peso
Rupert lungo la panca su cui era seduto per portarlo più
lontano possibile da
me.
-Idiota,
me ne vado, me ne vado,
tanto mio padre lavora all’anagrafe, se volessi potrei
conoscere il suo intero
albero genealogico per generazioni!
Mi
dispiaceva per Brendan la cui
personalità ispirava fiducia, ma non avrei mai potuto
rivelare di essere nato
in una famiglia di babbani, non ora che attiravo troppo interesse
già di mio.
Per fortuna la campana, rintoccando dodici volte, venne in mio aiuto.
-Quindi
è così che suona alla
mezzanotte? E’ molto più dolce...
Salendo
sulla Torre di
Astronomia, capimmo il perché di quella melodia
più ovattata: fu l’insegnante stessa
a suonare una piccola campana posta nella parte laterale della vetta
dell’osservatorio. L’aula, o per meglio dire, la
mansarda, era totalmente
avvolta nell’oscurità: solo una manciata di
candele ardeva ai lati del
perimetro, dove si intravedevano i posti a sedere. La professoressa,
ombrosa
nel suo tessuto olivastro, indossava anch’essa un ridicolo
cappello a punta,
ancor più vistoso di quello della McGranitt, ma per qualche
ignoto motivo, non
si riusciva a veder bene in faccia, costantemente in penombra.
-Sedetevi
ragazzi, così possiamo
incominciare. La serata non è l’ideale, ma se
riuscirete a seguirmi, potremmo
avvistare le costellazioni che per adesso più ci interessano
con un solo
utilizzo dell’incanto Clodus
Apstergo.
Avvicinandosi
in nostra direzione
intesi il motivo per cui non riuscivo ancora a decifrarle i lineamenti
del
volto.
E’
di colore!
In
nessun libro avevo mai letto
che la magia era prerogativa delle popolazioni del nord
dell’Europa, ma se già
nel Mediterraneo era cosa più unica che rara, immaginavo che
la sua presenza
più si scendeva geograficamente e più in fretta
cessava di esistere.
-Sono
la professoressa Aurora
Sinistra, vostro docente di Astronomia da qui fino alla fine di tutto
il corso.
Sono anni che insegno questa disciplina agli studenti della scuola e
spero di
continuare a farlo per molti anni a seguire.
Dalla
sua voce sembrava fosse
comunque nata in Gran Bretagna, infatti se avesse incespicato o
posseduto un
accento particolare, il Logos Comprehendi
si sarebbe adattato alle sue cadenze, esattamente come nel caso di
René.
-Innanzitutto,
voglio spiegarvi
il perché di questo orario che comprendo possa risultare
pesante a chi non è
abituato. Dalla mezzanotte alle tre di notte abbiamo il perfetto
orizzonte
astronomico per poter visualizzare il maggior numero di costellazioni
dal
nostro meridiano. Col passare del tempo questi cambierà
longitudine rispetto
alla sua controparte sulla Sfera Celeste, dandoci la
possibilità di poterle
visionare tutte... O quasi. Non allarmatevi se non avete ben afferrato
il
concetto di quanto ho appena espresso, perché proprio su
queste nozioni
basilari che verteranno queste nostre prime lezioni. Oggi infatti
partiremo dai
concetti di Nadir, Zenit, moto dei corpi e Sfera Celeste, che avremmo
potuto
benissimo trattarli durante il giorno facendoci prestare una classe per
l’occasione, ma possiamo sfruttare questi primi incontri per
abituarci agli
orari un po’ difficili da sopportare. Ognuno di voi ha una
candela alle proprie
spalle, vi prego di posizionarla dove meglio credete ed aprire i vostri
libri
di testo a pagina dodici.
C’era
un non so che di
accattivante nelle lezioni al lume di candela, ma c’era da
perderci la vista.
Le prime dieci pagine del libro erano colme di schemi astronomici e
rappresentazioni della Terra nel Sistema Solare, ma sembravano tutte
stampate
in bianco e nero da quanto poco si riuscivano a distinguere i colori.
-Ah
ecco, ora si vede tutto!
-Wow,
hai ragione, ci vedo meglio
anch’io... Dove l’hai messa la tua candela?
-Se
stai fermo non cade!
Scoppiò
una risata generale dalle
parti di Fred e i Corvonero dietro di lui.
-Signor
Bowen, tolga
immediatamente il cero dalla testa del signor McBumble!
-Le
due e mezza di notte e questa
ancora che parla, basta non ne posso più!
Le
rimostranze espresse da Liam
erano più che condivisibili ma, forse perché
intontito dall’orario, non riuscì
a trattenere il volume che anche l’insegnate le
udì.
-D’accordo,
così non va... Non
seguite più. Facciamo un accordo: io vi permetto di
osservare il cielo con i
vostri telescopi e voi mi promettete di resistere gli ultimi dieci
minuti per
delineare gli ultimi aspetti di ciò che concerne la distanza
Terra-Luna.
Sembrava
una proposta onesta,
almeno sarebbe servita a ritardare la chiusura definitiva delle
palpebre per la
maggior parte dei presenti.
La
professoressa Sinistra si erse
in piedi e puntò la sua bacchetta al cielo, facendola
roteare. Il tetto a punta
della torre d’un tratto diventò trasparente e si
potevano notare i nuvoloni che
incombevano dall’altra parte.
-Clodus Apstergo!
Una
scia argentata sfrigolò dalla
punta della sua bacchetta e colpì la base del tetto per
trapassarlo e
continuare dritta verso il suo bersaglio. La coltre di nubi venne
perforata
lasciando un piccolo spiraglio di luce e subito dopo iniziò
a diradarsi
ingrandendo a dismisura il foro dal quale il raggio
dell’insegnante era
passato, provocando turbinose oscillazioni nelle parti più
esterne
all’epicentro.
-Questo
incanto ci dà
l’opportunità di avere una tersa visione del cielo
nelle immediate vicinanze al
punto di attivazione. Purtroppo ha due svantaggi: il primo,
è che ovviamente ha
una durata limitata a pochi minuti; il secondo, è che carica
le nuvole
elettrostaticamente e quindi a meno di non voler provocare un
temporale, si
deve utilizzare poche volte per non causare particolari danni.
-Che
spettacolo, non avevo mai
visto un cielo così stellato!
-Questo
perché siamo molto in
alto e lontano dalle luci delle città, inoltre
l’orario è nostro amico, sebbene
il tempo non lo sia affatto... Sbrighiamoci e vediamo cosa avete
imparato oggi.
Chi posizionerà per primo il proprio telescopio con lo
stesso Azimut di quello
dell’osservatorio, donerà venti punti alla propria
Casa. L’ultimo, invece,
leggerà il paragrafo sulla distanza tra la Terra e la Luna!
-Nooo!
Anche
se erano le dieci del
mattino mi sentivo stanco come se mi fossi alzato all’alba
come per la lezione
di Erbologia; non
avevo proprio voglia
di mettermi al volante di un manico
di scopa, ma l’orario delle lezioni dettava legge e dovevo
adeguarmi.
La
prossima settimana schiaccio un pisolino di qualche ora il
venerdì pomeriggio,
perché così è estenuante...
La
Sala Comune era un caos come
al solito: per la maggioranza degli studenti, infatti, il sabato era
giorno di
ferie e, sebbene fosse dura da ammettere, anch’io
probabilmente al loro posto
avrei fatto la stessa cosa.
Seduti,
anzi, accasciati sui
divani in pelle c’erano gli altri miei coetanei che per
qualche oscuro motivo
mi avevano atteso per tutto questo tempo.
Strano,
solitamente, conoscendo i miei tempi biblici in bagno, preferiscono
avviarsi in
mia assenza...
-Sei
qui finalmente, andiamo...
Dai, alzatevi!
Liz,
anche se a stento, sembrava
la più energica del gruppo e strattonava Fred e Rupert che
erano ancora più
distrutti degli altri perché prima della lezione di
Astronomia dovettero pulire
a mano tutti i gabinetti dei due bagni dei Sotterranei. Come una
mandria di
zombie ci dirigemmo trascinandoci l’un l’altro al
Cortile di Addestramento,
chiuso al pubblico proprio in occasione della nostra lezione.
Sembravamo quasi
in preda ad un sonnambulismo collettivo, fino a quando un...
Fiiiit!!
...Ci
riportò dal mondo dei
sogni.
-Animo
dormiglioni! Quest’oggi
inizierete a prender dimestichezza con le vostre scope, un
po’ di allegria non
guasterebbe!
Era
l’insegnante di Volo, che col
suo squillante fischietto, ci aveva appena devastato i timpani.
-Su,
andate a prendere i vostri
manici di scopa dalla Torre del Quidditch qui alle mie spalle e tornate
in
fretta. Non toccate nient’altro mi raccomando!
Una
varietà di scope differenti
giacevano in terra in attesa di essere prelevate dai propri possessori
in
quella che sembrava essere la stanza adibita all’attrezzatura
per questo
fantomatico sport. Io quasi non riuscivo più a ricordare
quale aspetto avesse
il mio manico, ma andando per esclusione riuscii a riconoscerlo.
-Mi
presento: sono Rolanda Bumb,
vostra istruttrice di Volo. Esatto, istruttrice, non insegnante,
perciò non
chiamatemi Professoressa perché non lo sono, se volete
utilizzare un tono più
formale utilizzate l’appellativo Madama, a me non cambia
nulla. Presentazioni!
In
pratica dovevamo schierarci in
parata e urlare il nostro nome stando sull’attenti alla
sinistra delle nostre
scope. Questo perché il nostro insegnante, ehm, istruttore,
non s’era preso la
briga di leggere l’elenco degli studenti nemmeno una volta.
-Berger...
No, Burger... Come hai
detto di chiamarti?
-Burgio,
signora.
-Fa
niente, troppo difficile, da
oggi sarai semplicemente Ragazzo.
Grazie.
Dan
alla mia destra trovò la
scena divertente, ma entrambi non avremmo mai immaginato che da quel
momento in
poi mi sarei dovuto davvero sorbire il nomignolo Kid,
ovvero Ragazzo in inglese, per tutto il resto dell’anno.
-Benissimo,
adesso sollevate il
braccio destro ed ordinate al vostro manico di seguirvi.
Così: su!
La
scopa di Madama Bumb balzò di
scatto nella presa della sua proprietaria, lasciando tutti interdetti.
-Su!
-Su!
-Su!!!
-Muoviti,
maledetto pezzo di
legno!
Molti
ci provarono ma nessuno ci
riuscì a primo colpo, neanche Andrea, che sembrava avere un
talento naturale
per ogni cosa.
-Più
convinzione... Non è
l’oggetto che si anima da solo, siete voi che lo dovete
volere!
-Su!
Nulla,
nemmeno dopo decine di
tentativi riuscii a farmi obbedire dalla mia Comet.
-Su!
Brendan,
con in mano il suo manico,
mi sorrise provocatoriamente.
-Su!
Anche
Liz ce l’aveva fatta.
Quando
quasi tutti avevano ormai
superato il primo scoglio di ubbidienza scopa-padrone,
anch’io riuscii
nell’impresa con un ultimo, disperato su!.
-Ahi!
L’irruenza
con la quale il manico
aveva assecondato il mio comando, mi fece dolorare la mano.
-Ora
che siamo tutti pronti,
posizioniamoci a cavallo dei nostri veicoli e diamo un colpetto coi
talloni,
niente di più, soltanto una leggera spinta utile a farci
librare in aria per
qualche secondo. Dimostrazione.
In
una degna posa da rodeo
immaginario, l’istruttrice spinse coi piedi verso
l’alto e galleggiò senza
toccare terra per una decina di secondi.
-E’
tutta questione di
concentrazione come vedete. E la giusta posizione aiuta parecchio.
Potreste
volare anche poggiando sul manico soltanto la punta delle vostre
ginocchia, ma ai
principianti fa bene associare l’impegno profuso nel
mantenersi a mezz’aria con
quello per conservare la posizione ottimale. A voi!
Il
cuore mi batteva all’impazzata:
avrei davvero potuto volare con questo affare?
Col
primo saltello, capii che non
sarebbe stato semplice. Col secondo, che sarebbe stato difficilissimo.
Col
terzo non migliorai la situazione e nemmeno col quarto. Col quinto,
neanche a
parlarne... Ma col sesto stavo quasi per cadere a causa
dell’errato dosaggio
della forza.
-Bravi,
bravi. Così, rimanete
concentrati... Non muovetevi!
Alcuni
Grifondoro erano riusciti
a sollevarsi di un paio di spanne dal terreno e sembravano non voler
scendere
giù tanto facilmente.
-Ah,
anche voi laggiù, ottimo
lavoro!
Andrea
e Gideon stavano librando
non senza difficoltà.
E
dai, devo farcela!
Brendan,
ondeggiando di qua e di
là, poteva ritenersi uno di quelli che avevano superato la
prova.
-E’
strano... Come andare in bici
per la prima volta, hai paura ma è divertente!
Io
odio la bicicletta... Dannazione, finirò con le gambe
all’aria, me lo sento!
Il
massimo che riuscii ad
ottenere, dopo intere ore di prove, furono balzelli di qualche secondo
prima
che ritornassi coi piedi per terra, sconsolato ed avvilito.
-Per
coloro che sono riusciti a
superare le dieci iarde piane in volo, avete il permesso di potervi
esercitare
per conto vostro tutti i pomeriggi sul tetto della Torre del Quidditch
dove all’inizio
avete preso le vostre scope. Per tutti gli altri...
L’appuntamento è per sabato
prossimo.
Toltisi
gli stupidi occhialini da
volo dal volto, gli occhi felini dell’istruttrice sembravano
trapassarmi il
cuore ripetendomi la parola fallito.
L’umiliazione
era ai massimi livelli: rimasi l’unico della mia Casa a non
esser riuscito a
superare il percorso a forma di otto creato da Madama Bumb
perché non riuscii a
sollevarmi per più di quei tre miseri secondi che continuavo
ad ostentare ai
miei compagni. Compagni che, durante la pausa pranzo, non dimenticarono
di
farmelo pesare.
-Ehi,
Ragazzo, resisti un po’ di
più, scarsone!
-No,
Ragazzo, il peso va
distribuito equamente su tutto il manico, non soltanto dietro!
-Come
dici? Non ci riesci perché
hai le chiappe troppo pesanti? Ahahah!
Non
ne potei più di farmi
ridicolizzare in quel modo e, proprio quando stetti per alzarmi, un
certo Matt
Hawk, del terzo anno, prese l’iniziativa:
-Ma
dove vai Ragazzo, guarda cosa
ti combino! Gommosus!
La
mia minestra di asparagi si coagulò
in una bolla soffice e melmosa che evidentemente poteva esser
controllata con
la forza del pensiero.
-Non
si lascia il cibo sul
piatto, non lo sapevi? Depulso!
La
sfera di minestra arrivava in
mia direzione, pronta a spiaccicarsi sulla mia faccia.
No,
anche questa no! Depulso!
Un’onda
d’urto scaturì dalle mie
mani, talmente forte da farmi indietreggiare di qualche passo. La
polpetta di
verdure era esplosa addosso a chiunque si trovasse tra me e Matt,
compresi gli
innocenti e... Il professor Piton.
Nooo,
perché proprio a lui...
-Signor
Burgio, mi segua in
presidenza...
-Eheheh,
ben ti sta!
L’unica
consolazione fu che gli
sghignazzamenti dall’altro lato del tavolo ebbero breve
durata, perché...
-Signor
Hawk, mi aspetto che lei
pulisca con le sue mani l’intera Sala Grande entro e non
oltre l’ora di cena,
altrimenti mi vedrà costretto a considerare un diverso
provvedimento.
...Piton
la fece pagare anche a
lui.
Usciti
dal vespaio che la mia
magia inaspettata aveva scatenato l’eco dei nostri passi mi
fece raggelare il
sangue.
Questa
volta mi espellono...
-Entra,
non ti seguo.
Col
cuore in gola, aprendo la
porta dell’ufficio di Silente notai che chi mi stava di
fronte non era il
preside, ma bensì un vecchio con gambe esili ma un ventre
prominente, che mi fece
i suoi saluti.
-Piacere
di conoscerti, devi
essere tu quel Ragazzo!
Oh
no, ora ci si mette anche lui?
-Piacere
mio, ci... Ci
conosciamo?
-Non
ancora, no. Però avremo
molto tempo per farlo, questo è certo.
-Perché
scusi... Lei chi sarebbe?
E perché non c’è il Preside!
-Ah,
quasi dimenticavo di
presentarmi... Wendell Wilkins al rapporto e... Sono il tuo nuovo
tutore!
N.B.:
Emanuele parla di tritoni
quando si discute del lavoro dei genitori di Liam Valeth
perché il corrispettivo
inglese dei M.A.G.O. è il N.E.W.T., cioè tritone.
|
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Capitolo 14 *** Un nuovo tutore ***
-Come?!?
-Devo
ripetermi? Mi chiamo
Wendell Wilkins e sono la persona che Silente ha incaricato per
ricoprire il
ruolo di tuo tutore.
Deve
esserci un errore, perché io...
-Ne
ho già uno!
-Cosa?
Che novità sarebbe questa?
Mi
sta prendendo in giro? La vera novità qui è lui...
-Ser
Uppercut, lui... E’ lui il
mio attuale tutore! Non mi ha mai parlato di alcuna
eventualità di venir
rimpiazzato!
-Uppercut
dici? Mai sentito
nominare... Deve essere uno nuovo, il tuo preside non mi ha mai parlato
di
altri collaboratori esterni presenti nella scuola. E non mi sembra
nemmeno un
atteggiamento tipico della sua persona quello di sostituire personale
su due
piedi. Vorrei parlare con questo tuo docente, dove ha
l’ufficio?
-Ufficio?
No, ser Uppercut non
insegna nel castello...
-Allora
di cosa stiamo parlando,
Ragazzo?
Non
lo so!!!
Ero
sul punto di urlargli in
faccia di spiegarsi una volta per tutte, quando finalmente decise a
fare
chiarezza:
-Ricominciamo
d’accapo, perché
temo tu abbia capito fischi per fiaschi. Io rappresento il tuo tutore
scolastico che, in parole povere, sta a significare che fin quando non
possiederai una bacchetta come tutti gli altri studenti, le lezioni che
prevederanno esercitazioni in loco le seguirai con me. Tutto qui,
semplice no?
Per
niente...
-Insomma,
lunedì secondo il tuo
orario delle lezioni dovresti avere Difesa Contro le Arti Oscure nel
pomeriggio, no? Ecco, anziché presentarti al terzo piano dal
tuo docente verrai
nel mio ufficio, per seguire una lezione equivalente con me, dove
porremmo
rimedio alla tua mancanza di bacchetta.
-E
per Pozioni?
-Per
pozioni nulla, vai assieme
ai tuoi compagni e basta.
-Quindi
non seguirò le lezioni
assieme agli altri? E cosa ne penseranno della mia assenza?
-E’
già stato deciso tutto dal
Preside: i tuoi insegnanti sono stati avvisati e i tuoi compagni lo
saranno a
loro volta, non preoccuparti di questo. Piuttosto sono curioso di
vedere se ciò
che Silente mi ha detto sul tuo conto è la
verità. E’ vero che riesci ad
eseguire svariati incantesimi senza l’ausilio di una
bacchetta?
Ecco,
mi vuole mettere alla prova pure lui...
Dato
che sapevo come sarebbe
andata a finire, decisi di appagare la sua curiosità
rapidamente testando l’incantesimo
che per necessità avevo appena imparato.
-Depulso!
Cercando
di moderare il più
possibile il colpo, riuscii a far roteare su se stesso il piccolo
mappamondo
posto su una delle credenze dell’ufficio del Preside, senza
provocare danni.
-Capperacci!
Non avevo motivo di
dubitare delle parole di Albus, ma ciò non toglie che
quel che ho appena visto
sia comunque sensazionale! Quel dannato vecchiaccio me l’ha
fatta, ti accetto
come mio allievo!
-Che
piacere sentirtelo dire,
Wendell! Mi hai tolto un peso dallo stomaco, ma del resto sapevo che
non
saresti riuscito a resistere a questa nuova sfida.
Il
professor Silente era appena
entrato nel suo ufficio, giusto appena dopo aver sentito le esatte
parole che
si aspettava dal mio nuovo insegnante personale.
-Se
non fosse per il fatto che il
ragazzo qui è davvero dotato di ciò che io
definirei un dono miracoloso non
avrei mai accettato, Albus. Lo sai, sono fuori dai giochi ormai io,
non...
-Lo
so, lo so professor Wilkins,
del resto non l’avrei fatta venire qui se non fossi stato
certo che la cosa
l’avrebbe entusiasmata. Dai, venite che vi mostro il vostro
futuro luogo
d’incontro.
Facendoci
strada lungo i locali
del castello, il professor Silente, con un passo alquanto rapido,
illustrava al
suo nuovo vecchio collega le migliorie e modifiche attuate alla scuola
durante
la sua assenza.
-Vedi
questi arazzi? Li ho fatti
impiantare io, come ricorderai gli originali avevano preso fuoco
qualche anno
prima del tuo ritiro. E’ stato un bel lavoro di ricerca,
nessuno si ricordava
con esattezza il loro disegno.
-Sì,
mi pare fossero esattamente
così, ottimo lavoro.
Quindi
in questa scuola gli incendi sono frequenti?
Arrivati
al sesto piano, uno dei
luoghi in cui non avevo ancor messo piede, il professor Wilkins
capì quale
sarebbe stata la sua nuova sistemazione.
-L’ufficio
di Horace, Albus?
-Esatto.
Trovo sia la soluzione
migliore: è spazioso, già arredato ed
è rimasto inutilizzato da un bel po’
ormai. Certo, ai tuoi gusti risulterà un po’
pittoresco, ma sei libero di
rimodernare l’ambiente come meglio credi.
-Nah,
sarà una soluzione
provvisoria, non mi sento a mio agio nell’ufficio di qualcun
altro. Non posso
riavere il mio?
-E’
in mano a Filius, Wendell...
Non è più disponibile, capiscimi.
-Bah,
al diavolo, va bene anche
qui. Basta che mantieni la parola e non mi costringi a cenare assieme
agli
altri docenti in Sala Grande. Sono vecchio e ho bisogno di
tranquillità.
-Anche
quando eri nel fiore degli
anni odiavi scender giù per fare pubblica apparizione. Non
nasconderti dietro
la scusa dell’età. Comunque sì, non
sarai obbligato a presenziare ad alcun
banchetto, del resto non sei ritornato in veste ufficiale da
insegnante,
anzi... Meno persone sapranno il motivo della tua presenza e meglio
sarà.
Questo vale anche per te Emanuele, acqua in bocca!
Il
preside poteva contare sulla
mia discrezione, anche perché un’eventuale fuga di
notizie mi si sarebbe
sicuramente ritorta contro.
-Allora
qui vi lascio, ecco la
chiave e buon lavoro!
Con
la sua solita andatura a
braccia incrociate dietro la schiena, il preside se ne andò,
lasciandomi solo
con il mio nuovo tutore. L’ufficio era piuttosto elegante:
due poltrone e un
divano in pelle, tavolo e sedie in robusto legno intagliato, quadri
ritraenti
scene di caccia e tende di velluto non riuscivano a nascondere
però il fatto
che quella stanza era rimasta disabitata per parecchi anni.
-Me
l’aspettavo più polverosa...
Di certo non meno colorata. Guarda qua!
Il
prof Wilkins tirò dal tavolo
un centrino verde e rosso, decorato con motivi natalizi.
-Ci
adatteremo comunque.
Dopotutto l’area didattica sembra confortevole!
Dicendo
così si tuffò sul divano,
divaricando le gambe il più possibile. Non notando
però alcun banco o
scrivania, chiesi:
-Quale
area didattica? Dove si
terranno le lezioni?
-Qui,
io starò seduto su questo
bel divano e tu su quella poltrona, non ci serve altro.
Notando
il mio sguardo turbato,
aggiunse:
-Ma
certo: io sono il miglior
insegnante di Incantesimi che questa scuola abbia mai avuto, tu sei un
ragazzo
più che dotato e le nostre lezioni non verteranno sulla
teoria. Il nostro sarà
un approccio a tu per tu! Ad esempio, mi sono già fatto dare
il programma
svolto nelle recenti lezioni dai tuoi insegnanti e questi sono gli
incantesimi
in cui dovresti esercitarti per non rimanere indietro...
Leggendo
un foglietto di carta
che fino a quel momento teneva nella tasca del suo panciotto, il mio
nuovo
insegnante elencò:
-Riddikulus, Edo Potestatis e
Verdimillius. Accidenti, a parte l’ultimo questi
non mi sembrano
incantesimi da primo anno. Non che siano difficili ma... Un
po’ scomodi.
-Iniziamo
adesso?
-E
quando vorresti farlo? Già
abbiamo un bel po’ di materiale da recuperare, non ci
conviene rimanere troppo
indietro.
E
addio alla giornata libera...
-Per
il Riddikulus
c’è poco da fare, ci serve un Molliccio, ma per il
resto
possiamo fare tutto qua dentro. Iniziamo con il Potestatis,
è abbastanza semplice da eseguire. Ti ricordi quanto
hai visto a lezione?
-Sì,
più o meno sì.
-Vabbè,
ci penso io a
rinfrescarti la memoria. Un attimo solo che cerco qualcosa da poter
incantare...
-Professore,
io avrei questo...
Estrassi
dalla tasca del mio
pantalone la cartina Fast-Cast che
qualche giorno prima il professor Vitious aveva consegnato ad ognuno di
noi e
gliela mostrai.
-E
questa cos’è?
Dopo
avergli spiegato la funzione
di quel pezzo di carta, il mio nuovo tutore mi consigliò di
metterla da parte.
-No,
tienila per te, se è davvero
monouso sarebbe un peccato sprecarla così. Mi basta
solamente un oggettino...
Ecco, questa andrà bene!
Una
piccola forchetta d’argento
fu designata come bersaglio e avrei dovuto trattarla come uno dei
foglietti Fast-Cast.
-Potestas Sopis... Adesso è
pronta! Ti ricordo il movimento del
polso...
Apparentemente
la forchetta
sembrava non aver subito cambiamenti, ma il professor Wilkins mi
assicurò della
riuscita del suo incanto.
Come
posso trasformarla? Non so nemmeno che cosa mi è permesso di
farci e cosa no...
Forse...
-Edo Potestatis!
Dopo
il mio tentativo la
forchetta stava iniziando a roteare e ad incurvarsi su se stessa, segno
della
buona riuscita dell’incantesimo. Dopo pochi attimi una
bacchetta simile in
tutto e per tutto a quella del mio tutore si presentò ai
nostri occhi, al posto
della forchetta.
-Oh.
Lo
sguardo dell’insegnante era un
misto di delusione e preoccupazione, non capendo il perché
cercai di
giustificare la mia scelta.
-Forse
non essendo una vera
bacchetta, questa potrebbe funzionare con me!
-Si,
ma... Va bene, provala.
Tenendola
in mano provai ad usare
nuovamente l’incanto Depulso
sul
cassetto aperto della credenza da cui il prof Wilkins aveva preso la
forchettina.
-Ah!
Purtroppo
anche questa prova
risultò vana, in quanto la bacchetta si sciolse in un
liquido biancastro che si
riversò sul pavimento.
-E’
argento fuso incandescente,
non toccarlo!
Eh,
non toccarlo, ormai mi sono scottato...
-Fammi
vedere... No, non è grave,
passerà nel giro di qualche minuto, il grosso del calore si
è sviluppato un
attimo dopo che hai lasciato la presa.
Dopo
aver riparato la forchetta
al meglio che poteva, il prof Wilkins mi spiegò:
-Sapevo
non avrebbe funzionato,
non per causa tua, qualunque altra persona avrebbe avuto problemi con
quella
bacchetta. Il fatto è che sebbene l’Edo
Potestatis è virtualmente senza limitazioni, esse
in realtà derivano dalle
capacità del mago che ne ha precedentemente incantato
l’oggetto con il Potestas Sopis.
E devo ammetterlo, ho
tante qualità, ma l’essere un fabbricatore di
bacchette non è fra queste.
Comunque l’importante è esserci accertati che
riesci ad utilizzare
l’incantesimo senza problemi. Ma questo era facile...
Già il Verdimillius
è qualcosa di più
impegnativo, chiudi quella tenda, Ragazzo.
Mi
affrettai alla finestra, ma
per togliere il nodo alla tenda ci misi un bel po’, tanto che
alla fine fu il
professore stesso a chiuderla per me, assieme a tutte le altre, con un
semplice
gesto della bacchetta. Il che mi fece domandare perché mi
avesse chiesto di
fare manualmente una cosa che con la magia sarebbe risultata immediata.
-Lo
so a cosa stai pensando, ma
l’ho fatto per non farti ascoltare l’incantesimo di
magia oscura che ho appena
usato su questa povera posata.
-Quale
posata?
-Quella
che ho in mano, non la
vedi perché ho appena usato... Ops! Stavo quasi per
lasciarmi sfuggire il nome
del malocchio! Roba troppo pericolosa per uno della tua età,
potresti Occultare
per errore un essere umano e per lui sarebbe la fine. Su, prova il Verdimillius in direzione del palmo
della mia mano sinistra!
-Ok.
Verdimillius!
Anche
quest’ultimo esperimento
andò a buon fine, evidentemente il mio addestramento sulle
fatture e sulle
trasmutazioni aveva dato i suoi frutti, mi riusciva quasi tutto al
primo colpo.
-Vediamo
in quanto tempo torna ad
Occultarsi...
La
forchettina impiegò
esattamente trentadue secondi prima di perdere il suo bagliore
verdognolo e
tornare ad essere invisibile.
-Trentadue
secondi, mica male! Li
avresti fatti guadagnare senza dubbio quei cinque punti alla tua Casa!
Purtroppo io non posso assegnarteli, ma a te non servono questi
supporti
psicologici!
-Professore,
mi tolga una
curiosità: ma perché Occultare è
considerata una magia oscura?
-Il
vostro insegnante di Difesa
non ve lo ha spiegato?
-Non
mi sembra.
-Beh,
immagino perché è difficile
da far capire ad una classe del primo anno. Quando Occultiamo qualcosa,
non ci
limitiamo a celarla alla vista, per quello esistono altri incantesimi
più
discreti e meno pericolosi. Con questa pratica invece noi facciamo
avvolgere
dalle tenebre che ci circondano il nostro obiettivo, rendendolo di
fatto privo
di consistenza, annullandolo. Per questo sugli esseri viventi
è severamente
vietato da utilizzare: non solo perché al malcapitato
verrebbero a mancare due
delle tre dimensioni, incapace di muoversi e col rischio di venir
dimenticato
nel posto in cui è stato Occultato, ma anche
perché...
Il
mio tutore tese lo sguardo
verso la finestra a noi più vicina e dopo averci pensato un
po’ mi disse:
-Al
diavolo, ormai la forchetta è
inutilizzabile, apri quelle tende, Ragazzo!
Al
primo spiraglio di luce che
colpì il punto in cui la posata era stata Occultata
seguirono piccoli lampi e
fumo secco, che rivelarono i contorni di una piccola forchetta che si
stava
velocemente corrodendo.
-Alla
luce diretta del sole,
questo è il destino che attende tutto ciò che ha
subito un trattamento di
Occultamento. E sfruttando questa particolarità, molti maghi
l’hanno adoperato
per secoli sottoforma di tortura... Che finiva quasi sempre con la
morte del
povero malcapitato.
-Wow.
Ora capisco perché tanta
segretezza.
-In
realtà non corriamo troppi
rischi: è una magia abbastanza complessa da eseguire
perché possiate impararla
su due piedi ed inoltre lascia talmente tante tracce che gli insegnanti
se ne
accorgerebbero subito se qualcuno tentasse di utilizzarlo qui a scuola.
Ma dato
che prevenire è meglio che curare...
-Non
può aggiustarla più? Come ha
fatto prima?
-No,
non posso. Non ha più nulla
che la possa ricondurre al suo stato originario, la polvere che
è rimasta non è
neppure più d’argento.
Mi
dispiacque parecchio essere
stato il carnefice di una povera posata da dessert, quasi come se
avessi fatto
del male ad un essere vivente.
-Stiamo
andando alla grande,
direi. Facciamoci dire dal professor Lupin dove tiene il Molliccio per
provare
l’ultimo incantesimo e così poi ti lascio libero.
Decise
di alzarsi dalla scranna a
capotavola in cui si era seduto, ma per farlo mi chiese una mano:
sebbene a
parole fosse energico, mostrava tutti i suoi anni nei movimenti.
-Ok,
andiamo dal tuo insegnante
di DCAO, chissà se si ricorda di me.
Il
Molliccio era rimasto
rinchiuso per tutto il tempo in un baule nel sottopalco
dell’ultimo piano della
Torre di Astronomia, significando che la sera prima avevamo seguito la
lezione
con un mostro sotto i piedi.
-Questa
è una fattura ed anche se
è particolarmente semplice, rimane tale... Quindi molto
più complicata dei due
incantesimucci che hai utilizzato poco fa. Quindi concentrati e non
farti
paralizzare da qualsiasi cosa possa venir fuori da questa cassa.
Non
ero particolarmente
preoccupato, tutt’al più ero curioso di vedere
sotto le sembianze che avrebbe
assunto il Molliccio cosa la mia mente temesse più
d’ogni altra cosa. Una volta
libero il mostro si tramutò in un orrido e peloso ragno
dalle dimensioni di
poco più piccole di quelle di un cane. Ripugnante, ma non
certo spaventoso.
-Ma
non è vero che ho timore dei
ragni!
-E
che ti posso dire,
Ridicolizzalo comunque!
-D’accordo.
Avevo
in mente l’esatta punizione
per questo strano Molliccio che non era stato in grado di mettermi
addosso
nemmeno un briciolo di paura.
-Riddikulus!
Un’enorme
ciabatta schiacciò
l’aracnide accartocciandolo dolorosamente, poi lo
calciò dritto dentro il baule
dal quale era appena fuoriuscito.
-Anche
questa è fatta, sembra...
Sei sicuro che i ragni non ti mettano almeno un pochino in soggezione?
-No,
mi fanno solamente schifo.
Cioè, non vorrei svegliarmi con uno di quei cosi sulla
faccia, ma da qui a finire
preda del panico ce ne passa.
-Comprensibile,
solo che... Boh,
non m’è mai capitato.
Tra
i due il più deluso ero io,
poiché credevo di conoscermi, invece l’apparizione
di quel ragno pose seri
dubbi sulla mia autoanalisi.
Eppure
credevo che provassi una fifa tremenda per gli zombie del cinema...
-Ma
dove sei stato tutto il
pomeriggio?
Al
mio rientro alla Sala Comune,
Dan mi mostrò tutta la sua preoccupazione.
-Ehm,
ero con Piton...
-Tutto
questo tempo? Scontavi una
punizione?
-Sì
e non è manco terminata.
Dovrò andare da lui quasi tutti i giorni.
Non
potendo dire come stavano
realmente le cose, sperai che come scusa reggeva.
-Ti
ha tolto dei punti?
Anche
Fred si dimostrò ansioso,
almeno per quanto riguardava i punti delle Case.
-No,
almeno quello no. Cosa avete
fatto voi nel frattempo?
-Siamo
rimasti qui, ad
aspettarti.
-Come,
tutti quanti?
-Quasi
tutti. Non potevamo
pensare di uscire dal castello se sapevamo che tu eri chissà
dove con Piton.
E
da quand’è che gli sto così a cuore?
-Beh,
allora scusatemi se vi ho
fatto attendere.
-Abbiamo
ancora qualche ora prima
che faccia buio, cosa facciamo?
-Io
vado ad allenarmi sul volo,
volete venire?
Fred
si rivolse a me,
sogghignando:
-Ah,
dimenticavo... Non ti è
permesso!
Ecco
il Fred che conosco...
-Vabbè,
ci vediamo più tardi.
Aspetto questo giorno da una settimana, non posso attendere oltre.
Dopo
che Fred e Liam corsero ai
piani superiori, con me rimase soltanto Brendan.
-Se
vuoi puoi andare con gli
altri, non sentirti obbligato a farmi compagnia.
-No,
tranquillo, non mi sento
ancora così sicuro sulla scopa tanto da allenarmi senza
l’istruttrice.
-Gli
altri dove sono?
-René
e Rupert non lo so, ma le
ragazze sono in Sala Grande ad ascoltare le prove del coro di canto.
Domani ci
sarà la prima domenica dell’anno.
-A
me non va di passare il poco
tempo libero che abbiamo a sbadigliare davanti ad un gruppo di rospi
canterini.
-Allora
cosa proponi?
Dato
che per avermi aspettato
così a lungo mi sentivo in debito con lui, decisi di fidarmi
un pochino e di
rivelargli ciò che scoprii qualche sera prima nei panni di
Muthsera.
-Dammi
una mano a cercare una
cosa...
-Cosa
di preciso?
-L’altro
giorno mi sono... Ehm,
accorto che in questo preciso punto della Sala Comune molto
probabilmente c’è
l’ingresso per uno di quei famosi passaggi segreti di cui
discutevamo durante
la ricerca dei Digitali Silvani.
-E
cosa te lo fa pensare?
-Il
fatto che le tende siano raccolte
in ogni lato della stanza, mentre qui sono chiuse... Inoltre arriva una
leggera
brezza: se ti metti qui vicino quando il camino è acceso, la
differenza la
senti.
-Sarà,
ma a me sembra un
normalissimo muro.
-Perché
non abbiamo ancora
trovato il meccanismo che attiverà... Ecco, guarda.
Credetti
di aver trovato una
pista: uno dei ganci in cui si appendevano le tende mi
sembrò più vecchio e
scrostato degli altri che, invece, brillavano come nuovi.
-Secondo
me dobbiamo farci qualcosa...
Tirarlo, spingerlo o abbassarlo, non so.
-Guarda,
lo si può roteare solo per
un quarto di giro.
-Già
e non lo si può muovere in
nessun altro modo.
-Forse
fa solo un po’ di gioco
per via della sua età.
-Può
darsi, ma se invece...
Click!
Inserendo
la tenda avvolta dentro
il gancetto e girandolo successivamente, provocai una leggera trazione
sull’asta superiore lungo la quale scorrevano i tendaggi che,
piegandosi,
produsse quel suono. Subito dopo il muro di fronte a noi
iniziò ad
indietreggiare e a rivelare uno strettissimo passaggio.
-Che
ti avevo detto?
-Accidenti,
credi che dovremmo
entrare?
-E
secondo te perché l’ho
cercato? Non vedo l’ora di scoprire dove conduce...
-Ma
è buio pesto là dentro...
-Ci
saranno sicuramente delle
torce da accendere. Dai entriamo.
Per
fortuna gli unici altri due
Serpeverde che si trovavano nella stanza in quel momento stavano
sonnecchiando
spalla contro spalla sul divano a due passi dal nostro confabulare,
così potei entrare
senza il timore di essere spiato.
-Aspetta,
prima di richiudere il
passaggio cerchiamo una torcia.
-Ma
come fai ad essere sicuro
della loro presenza?
Perché
ci sono già stato, ecco perché.
-Anche
se è un passaggio segreto,
fa sempre parte dei Sotterranei, no? E qui è pieno di torce
lungo i muri, fai
due più due e... Eccone una!
-Si
ma è spenta!
-Tu
non preoccuparti, chiudi il
passaggio.
-Ma
così rimaniamo al buio!
-Fa’
come ti dico.
Non
appena vidi che Brendan mi
rivolse le spalle, staccai dal muro la torcia ed usai silenziosamente
l’incanto
Incendio, visto che se
c’era una cosa
che sapevo far bene era dare fuoco alle cose.
-Hai
visto? Non appena hai chiuso
il passaggio, la torcia s’è accesa da sola!
-Pura
fortuna... Dove andiamo
adesso? Questo posto è immenso...
Era
vero, eravamo all’interno di
una vera e propria ala segreta del castello: non potevamo sapere dietro
ogni
angolo quante altre aree si nascondevano alla nostra vista.
-Direi
che ci conviene utilizzare
l’intuito: siamo nella parte ovest dei Sotterranei, se ci
spingiamo ancora più
in là ci troveremo sicuramente dinanzi a un muro prima o
poi...
-O
magari usciamo direttamente
dal castello...
-Credi
che esistano passaggi
segreti che portano all’esterno?
-Perché
no? E poi se sbagliamo,
rischiamo di finire in mezzo ai troll di caverna.
-Già,
è meglio evitarlo. Andiamo
a destra, allora!
Andare
ad est equivaleva a dire
proseguire lungo uno stretto corridoio, per poi finire in un altissimo
androne
che si dipanava in tre o addirittura quattro rampe di scale agli angoli
della
sala tutte dimesse e malconce.
-E
ora?
-Proseguiamo
a destra... D’ora in
poi qualsiasi incrocio affronteremo prenderemo sempre la via
più a destra, in
modo da saper tornare indietro, nel probabile caso il tragitto si
dimostri più
labirintico possibile.
-Non
mi piace perdermi, siamo
ancora in tempo...
-E
dai, perdersi è impossibile se
adottiamo questo metodo. E se qualcosa andasse comunque male ci
basterebbe
gridare come due ossessi, prima o poi qualcuno ci sentirà,
siamo sempre all’interno
del castello dopotutto.
Anche
se non del tutto convinto
Dan decise di seguirmi fino alla fine, tra ripidi scalini traballanti e
scaffali pieni di argenteria e libri che avevano vissuto anni migliori.
-La
polvere che c’è in queste
stanze non l’avevo mai vista in tutta la mia vita!
-Più
che della polvere mi
preoccuperei per i dirupi improvvisi: guarda là!
L’ultima
rampa di scale che
avevamo deciso di discendere infatti terminava con un precipizio alto
almeno un
paio di metri: uno spettacolo impressionante da vedere
poiché a causa della
scarsa illuminazione non se ne vedeva il fondo a meno di non aver prima
teso la
torcia verso di esso.
-Dietrofront?
-Direi
che siamo obbligati, non
c’è modo di discenderlo senza lanciarsi di
sotto... E anche se fossimo tanto
pazzi da farlo poi non potremmo tornare più indietro. Ma che
senso ha una
voragine del genere?
-Forse
è crollato tutto...
-Nah,
è fatta apposta... Non ci
sono né segni di cedimento né macerie di sotto,
inoltre le pietre che
costituiscono la parete del salto
sono tutte levigate: è chiaro che fosse così fin
dal principio.
-Allora
non ne ho la più pallida
idea: non c’è motivo di realizzare tre rampe di
scale per farle terminare in un
pozzo così profondo.
-Effettivamente
poteva essere un
pozzo, contenente dell’acqua. L’acqua ora non
c’è più e adesso sembra solo un
assurdo gradone.
-Possibile,
andiamocene adesso.
Lo
scarso senso di avventura di
Dan stava iniziando ad infastidirmi, stavo quasi per rimpiangere di non
essermi
avventurato da solo.
-Aspetta
però! Fino ad ora non
abbiamo fatto altro che salire e risalire... Il tutto per almeno 3
piani! Non
credo che questi pochi gradini ci abbiano fatto ridiscendere nei
Sotterranei. E
sfido chiunque a sfruttare una falda acquifera da questa altezza!
-Ed
ecco spiegato il perché non
c’è più acqua! Ora vogliamo andare?
-Non
hai capito quello che voglio
dire: è impossibile che questo sia mai stato un pozzo, deve
essere un altro il
motivo per cui hanno realizzato questo dislivello...
Dopo
qualche secondo di
concentrazione arrivai ad una conclusione.
-Ti
ricordi di ieri, durante la
lezione di Difesa?
-Cosa
dovrei ricordare?
-Siamo
scesi nei Sotterranei,
nella cosiddetta Ala Vecchia della scuola...
-Sì?
-E
il professor Lupin ci ha
spiegato come molti degli ambienti del Castello siano stati realizzati
con lo
scopo di far esercitare gli studenti in determinati incantesimi.
-E
allora?
-E
allora, anche questa potrebbe
essere una di quelle prove d’allenamento!
-Anche
se fosse non conosceremmo
comunque l’incantesimo che ci serve per levitare fino a
là sotto.
-Quello
no, ma ne conosciamo un
altro che, con una buona dose di fortuna, potrebbe essere proprio
quello che ci
serve adesso!
L’espressione
confusa di Dan mi
costrinse ad esser più specifico.
-Questo
mattone è marchiato con
il simbolo del nostro libro di Difesa, probabilmente è un
modo per indicare che
qui sono state utilizzate delle Arti Oscure... Magari proprio
l’Occultazione,
che è esattamente la prima forma di magia oscura che
sappiamo affrontare!
-Intendi
con l’incantesimo della
lucina verde?
-Sì,
proprio così, quello della lucina...
-Ma
io ho già dimenticato come si
lanciava e tu non hai una bacchetta, quindi siamo sempre al punto di
partenza.
-Di
già? Ma è passato solo un
giorno... Vabbè, per fortuna lo ricordo io per te:
l’incantesimo era il Verdimillius
e il movimento della
bacchetta era più o meno questo. Provaci, dai!
-Ma
sono riuscito a farlo a
malapena davanti al professore, qui non ci riuscirò di
sicuro...
-E
dai, provaci almeno! Ti aiuto
io, segui il mio dito...
-Verdimillius!
-Verdimillius!
Come
avevo supposto il resto
della scalinata apparve con un bagliore verdastro che si protendeva
ancora più
in profondità di quanto non ci sembrava a prima vista.
-Visto?
Ce l’hai fatta! Andiamo
adesso, sembra solido...
-Non
andare! In classe il mio Verdimillius
è durato solo per pochi
secondi, non ce la faremo a percorrere tutta la strada in
così poco tempo!
-Non
preoccuparti, ce la
faremo...
Anche
perché in realtà l’ho lanciato io... E
mal che vada il mio record negativo è di
due minuti ormai...
-Basta
sbrigarsi!
Detto
questo mi lanciai veloce
contro le scale disoccultate, portando con me la torcia. Brendan, per
non
rimanere da solo al buio fu costretto a seguirmi.
-Mannaggia,
me la paghi!
-Prima
corri e poi parli, o
finiamo dritti nel precipizio!
Per
via della forte luce
verdognola scaturita dal disoccultamento, la torcia era praticamente
inutile,
tanto che sembrava quasi di camminare lungo una galleria autostradale
in cui
però i lampioni proiettavano luce dal basso.
-Arrivati!
Al
termine della scalinata a
tornante ci ritrovammo dinanzi ad una catena appesa al soffitto e a
delle barre
metalliche poste orizzontalmente a formare una scaletta a muro.
-Altre
scale?
-Sì,
ma queste portano dritte al
tetto: non c’è alcun Verdimillius
che
possa far sparire il solaio da sopra le nostra teste.
-Forse
non è necessario usare la
magia per una volta...
Tirai
in giù la catena,
producendo svariati rumori metallici, come se degli ingranaggi ormai
datati si
stessero muovendo a forza per poter far funzionare un determinato
meccanismo.
-Dimmi
la verità: ci sei già
venuto qui?
-No,
ovvio che no. E solo che...
...Ho
una notevole esperienza nel campo esplorativo per via di tutti quei
videogame
che ho giocato!
-Solo
cosa?
-Niente!
Intuizione, semplice
intuizione.
Sulle
nostre teste si formò un
cerchio luminoso, nato dall’apertura di una botola alla fine
della scaletta.
-Vediamo
dove conduce!
Salire
per quei gradini non fu
semplice ma alla fine riuscii a sbucare dall’altra parte,
dove un’armatura
completa e un altro lungo corridoio mi attendevano. Per fortuna questo
era ben
più illuminato e familiare: dovevamo trovarci in uno dei
corridoi principali
che raccordavano le varie parti del castello.
-Oh,
meraviglia! Allora sotto
quell’armatura c’era un passaggio segreto? Non lo
sapevo!
Una
voce invisibile commentò così
il nostro improvviso sbucare dal pavimento. Dopo qualche secondo dalla
nostra
emersione l’armatura tornò a traslare, ricoprendo
il buco dal quale eravamo
passati.
-Dan,
secondo te dove siamo?
-Siete
nel corridoio del terzo
piano!
-Ancora
quella voce, ma chi è?
-Uscite
da lì e avvicinatevi,
sono qui!
Scavalcando
il muretto che
divideva la navata espositiva del corridoio con quella percorribile mi
diressi
verso l’origine di quell’invito.
Ma
non c’è nessuno...
-Qui,
dietro di te, giovanotto!
Ed
eccolo lì il mio
interlocutore: un grasso e stempiato ometto che beveva un boccale di
birra
rappresentato su un dipinto di dimensioni quasi reali.
-Sì,
sono un personaggio di un
quadro! Non ti spaventare... E’ la prima volta che vedi un
quadro animato?
-No,
ne ho visti altri durante
questa settimana ad Hogwarts, ma non avevo ancora parlato con nessuno
di essi.
-Ah,
lo dicevo io che eravate
nuovi, non vi avevo mai visto da queste parti... Devo farvi i
complimenti
allora: non è da tutti scoprire dei passaggi segreti dopo
appena una settimana
di scuola, soprattutto non così
segreti! Non ho mai visto nessuno sbucare da sotto
quell’armatura ed io sono
qui da parecchio tempo, sapete? Così tanto tempo che,
ahimè, non ricordo più da
quanto!
-Emanul...
Emanl... Insomma, cosa
ne facciamo di questa?
Brendan
mi mostrò la torcia che
avevamo utilizzato lungo i meandri del passaggio segreto.
-Ah
non lo so, spegnila e buttala
là dietro, almeno nessuno la noterà.
-E
come la spengo?
-Già,
come la spegni? Siamo al terzo
piano sembrerebbe... Bene, più avanti
c’è quel ponte in legno, la lanceremo da
lì sul fiume!
-Oh,
che vandali!
-Vedi
che siamo costretti a
farlo! Non possiamo lasciarla accesa da qualche parte: è
tutto di legno qui!
-Effettivamente
sembra non
abbiate molta scelta... Se non la più ovvia.
-E
quale sarebbe?
-Vedete
quei vassoi sotto ogni
torcia del castello? Si chiamano ceneratoi... Lascio a voi capire a
cosa
servono.
-Guarda,
funziona! Si è spenta!
Brendan
aveva affossato la torcia
all’interno di quel mucchio di cenere, smorzandone la fiamma
fino a spegnerla
del tutto.
-Ma
così rimane il problema della
torcia in più... Anche se spenta rimane un problema.
-Guardatevi
intorno: è pieno di
roba inutile buttata a casaccio, chi vuoi che si accorga di una torcia
spaiata
in mezzo a questa confusione?
Effettivamente
negli angoli tra
la parete e le colonne c’erano pile di libri consunti,
cornici spaccate e vasi
rotti che rendevano il corridoio una specie di discarica pubblica.
-Ditemi,
giovani Serpeverde, da
dove provenite?
-Beh
ecco, noi...
Fulminai
con lo sguardo Brendan
che stava già spifferando il nostro segreto.
-Tranquilli
ragazzi, terrò la
bocca cucita! Sono un amante dei passaggi segreti, non ne
farò parola con
nessuno. Ed anzi, se vi confiderete con me, condividerò
anch’io un segreto con
voi!
Ci
sarà da fidarsi di un quadro parlante?
Non
avevo ancora ben chiaro il
meccanismo con il quale questi dipinti si mettessero a dialogare e a
ragionare,
né se avessero una loro etica o morale, ma decisi comunque
di fidarmi, del
resto per lui era impossibile capire il punto esatto da cui si accedeva
al
passaggio, se avessi risposto con un generico...
-Dai
Sotterranei!
-Addirittura
da così lontano!
-Già,
c’è praticamente un intero
castello di passaggi segreti là sotto!
-Ah,
come vorrei venire con voi!
Ma sono bloccato qui appeso come un salame a questa parete... E sapete
perché?
-Perché
sei un quadro?
Che
domanda sciocca...
-No,
cioè sì, ma perché mi hanno
affisso qui? Non certo per potermi ammirare, siamo sinceri, non sono
poi un
così bello spettacolo.
-Effettivamente...
-Perché
celo un altro passaggio
segreto! Già, dietro di me c’è un varco
che conduce da qualche altra parte del
Castello e di questo ormai ne sono a conoscenza solo io!
-Davvero?!?
E dove conduce?
-Ah,
vedi... Questo non lo so! O
meglio, l’ho dimenticato! Sono tanti anni che nessuno lo usa
più e quindi...
Non mi ricordo più dove porta!
-Beh,
potremmo scoprirlo noi per
te, basta che ci farai passare e...
La
faccia contrita di Brendan
tradiva il suo rattristamento al sapere di dovere attraversare un altro
cunicolo oscuro.
-Impossibile!
Senza la parola
d’ordine nessuno può accedere al passaggio segreto!
-E
tu diccela, no? Avevi promesso
di svelarci un segreto, no?
-Il
segreto era che io nascondevo
un passaggio segreto, questo segreto sarebbe un altro segreto!
Tutto
quel parlare di segreti mi
aveva infastidito: ero stato truffato da un dipinto!
-La
verità è che ho dimenticato
pure quella, altrimenti ve l’avrei detta... Anche a me
interessa sapere dove
conduce l’altra faccia della mia tela: quasi non ci dormo la
notte!
-Allora
facci passare senza
parola d’ordine: noi non la sappiamo, tu non la ricordi...
Siamo a un punto
morto!
-Impossibile!
Senza la parola
d’ordine nessuno può accedere al passaggio segreto!
Ebbi
una netta sensazione di dejà
vu, il ciccione del quadro si stava nuovamente prendendo gioco di noi.
-Non
guardatemi così, non dipende
da me... Noi quadri siamo stati incantati in questo modo: se non
conosci la
parola d’ordine non puoi passare, anche se lo volessimo. Vale
anche il
viceversa: siamo obbligati a far passare chiunque la conosca, anche se
non
vogliamo.
-Ma
se non te la ricordi come
farai a riconoscere quella giusta?
-Il
passaggio si aprirebbe
automaticamente... Credo. Non ne sono sicuro, non mi ricordo
granché del
procedimento. Però non voglio lasciarvi a mani vuote: vi
dirò cosa vedo
dall’altra parte della tela, almeno se mai ci passerete un
giorno potrete
riferirmi di che parte del Castello si tratta.
-Ah,
puoi vedere dall’altra
parte?
-Certo,
ognuno di noi ha un
doppione da qualche parte nel Castello, doppione che funge da punto di
arrivo
all’interno del nostro passaggio segreto. Il mio porta ad una
sala con... Un
attimo che controllo: sapete, è da tanto che non vado
dall’altro lato, lì non
passa mai nessuno e mi annoio facilmente e dato che non voglio
commettere
errori...
Soprattutto
con la memoria d’elefante che ti ritrovi...
L’omino
si rigirò sulla sedia
dandoci le spalle, si alzò e si diresse verso il fondo della
prospettiva,
sparendo sottoforma di puntino all’interno di un pomello
della credenza nello
sfondo.
-Guarda,
è sparito.
-Evidentemente
anche se il
dipinto lo vediamo in due dimensioni all’interno
c’è una qualche sorta di
tridimensionalità che noi non riusciamo a percepire
dall’esterno. Non credo si
sia miniaturizzato per entrare dentro quel mobile: sicuramente
starà
attraversando un passaggio che solo lui può percepire.
-Sarà...
Dopo
qualche secondo iniziai a
riconoscere la corpulenta figura dell’uomo del quadro che
appariva via via
sempre più nitida, fino a mostrarsi nella sua interezza
dinanzi a noi. Il
personaggio si sedette, riprese la sua posa abituale e
commentò:
-Eccoci,
ricordavo bene
dopotutto. Quasi... Per nulla in verità. Fortunatamente ho
ben pensato di dare
una ricontrollata così ho tutto più fresco... Da
dove posso partire? Oddio...
Non ricordo più cosa dovevo dirvi... Ah già, i
rosoni! La sala in cui si
affaccia l’altro lato del mio dipinto è decorata
con rosoni sui quali poggiano
dei brevi parapetti in pietra. Il solaio e il pavimento sono in legno,
mentre
come tramezzi tra le parti in legno e quelle in pietra ci sono dei
motivi
decorativi a forma di pipistrello, anch’essi in pietra. Vi
viene in mente
qualche luogo specifico della scuola?
-Beh,
complimenti per la
descrizione dettagliata ma no, non siamo mai stati in quella parte del
Castello... Non che prestiamo tutta questa attenzione ai merli delle
pareti
comunque.
-Ah,
peccato. Se mai passerete da
quelle parti comunque cercatemi, ho tanta voglia di sapere dove il mio
passaggio conduce!
-D’accordo!
Come
no, contaci.
-Ma
scusa, se tu sei sempre
rivolto da questa parte, noi di là come faremmo a parlarti?
Non ci sentiresti!
Brendan
era seriamente intenzionato
ad esaudire la sua richiesta; a me sembrava solo una perdita di tempo:
anche se
glielo avessimo rivelato se lo sarebbe scordato nel giro di
un’ora.
-Oh,
non preoccuparti di quello,
riesco a sentire contemporaneamente da entrambe le parti... Il che
è fastidioso
quando ci sono roditori che gironzolano in giro di notte: è
più probabile che
mi sveglino coi loro squittii se ho le orecchie puntate su due luoghi
distinti
del Castello nello stesso momento. Comunque per fugare ogni dubbio ti
basterà
dichiarare a voce alta il mio nome, cioè... Ehm, voglio dire
che mi chiamo...
Dunque, sebbene sembri che non me lo ricordi è solo che
è un po’ difficile da
pronunciare correttamente... Infatti il mio nome è... No,
non era così... Ah
ecco, ora ricordo: il mio nome è Boris Bothroat!
-E’
stato divertente in fondo.
In
Sala Grande finalmente Brendan
aveva espresso un parere favorevole all’esperienza di quel
pomeriggio.
-Lo
hai ammesso alla fine! La
prossima volta non rifare il lamentoso però.
-Perché,
hai intenzione di
rifarlo?
-Certo,
sarebbe da idioti sapere
dell’esistenza di quell’ala dismessa e non
esplorarla a fondo. Se non vorrai
venire non ti costringo mica...
-No,
alla fine piace anche a me,
è solo che... Non ti sei davvero mai preoccupato di poterti
perdere lì dentro?
-No,
perché credo di avere un
buon senso dell’orientamento: quella di oggi non è
stata altro che una
passeggiata in confronto a cosa ho fatto un paio di anni fa.
-Ora
sono curioso, racconta.
Mi
misi comodo, poiché non
sarebbe stata né una storia breve né sarebbe
stata semplice da narrare evitando
i riferimenti al mondo babbano a cui fino a pochi mesi prima
appartenevo.
-Nulla
di eccezionale alla fin
fine, anzi forse potrebbe risultarti anche troppo assurda ed infantile.
Non so
perché l’ho fatto... O meglio: lo so, ma non
ricordo perché decisi di andare
fino in fondo, del resto non aveva alcun senso.
-E
dai, non farti pregare!
-Non
volevo tirarmi indietro, era
solo una premessa... Praticamente, verso le otto e mezza di sera, al
termine...
Liam,
René e Fred arrivarono in
gruppo alle nostre spalle e, vedendoci, decisero di sedersi accanto a
noi.
-Ma
dove siete stati tutto il
giorno? Vi prego, non diteci che siete rimasti seduti qui come due
vecchiacci
al parco!
-Nono,
io ed Emanlule siamo
arrivati da poco, siamo stati in giro per il Castello fino a poco fa.
Il
fatto che nessuno riuscisse a dire
né il mio nome né il mio cognome senza storpiarli
stava iniziando ad
infastidirmi seriamente.
-Ma
se non vi ho visto da nessuna
parte... Vi ho cercato, sapete? Ci serviva un altro giocatore per la
Pluffa
Avvelenata. Ragazzo avrebbe fatto
da
arbitro, visto che non sa stare in equilibrio sulla sua scopa.
Pensandoci
però, odiavo ancor di
più il nomignolo Ragazzo,
per cui ben
venivano le storpiature del mio nome.
-Che
faccia seria... Scherzavo!
Prima o poi imparerai a volare come si deve, neanche noi siamo poi
così
bravi... Anche se quel ragazzo di Corvonero è veramente
bravo, ma sono sicuro
abbia già fatto pratica in casa.
-Parli
di Rower, vero? Quel tizio
è un pazzo... E non parlo solo della sua bravura sulla scopa
e ad Incantesimi,
è proprio strano. Vi ricordate l’altra sera come
mi ha ucciso per una battuta
sui suoi genitori?
-Ahahah,
me l’ero quasi scordato
Liam... Per poco non ti spaccava la faccia con pugno. Avresti visto le
stelle
ancor prima della lezione di Astronomia!
-In
realtà ragazzi, a me, il suo compagno
di casa O’Connéll,
ha rivelato una cosa
troppo
strana
per essere
vera...
-E
cosa?
-Nah,
non posso dirvela,
altrimenti direste che credo
a qualunque
baggianata ascolti
da quell’Alexis.
-E
allora non mi interessa... Voi
due, invece, che vi stavate raccontando?
-Emaniul
mi stava raccontando di
una pazzia fatta a nove anni.
-Giusto,
il tema di oggi è questo
dopotutto... Ricomincia dall’inizio.
-In
realtà avevo appena iniziato,
però devo avvertirvi: non è poi così
interessante e può sembrare infantile la
motivazione per cui...
-E
dacci un taglio con ‘sti
preamboli! Lo ha fatto anche prima con me, mette sempre le mani avanti,
andrà a
finire che la storia si rivelerà una schifezza.
Data
la presenza di lingue un po’
meno discrete di quelle di Brendan, dovetti fare ancora più
attenzione nel
nascondere gli elementi non magici del mio racconto e,
sorprendentemente, non
fu tanto difficile sostituire il gruppo scout con una generica scuola
pomeridiana, l’automobile di mia madre con la Materializzazione
e i carabinieri con gli agenti dell’Ufficio
protezione minori del Ministero della Magia Italiano: credettero a
tutto.
-Verso
le otto e mezza di sera,
al termine del... Ehm, delle lezioni della mia scuola serale, attesi
mia madre
per parecchi minuti al di fuori dell’istituto, senza che lei
si presentasse.
Dopo una mezz’oretta decisi di andarmene a piedi fino a casa
mia. Il problema era
che da lì c’era parecchia strada da percorrere e
che i quartieri che avrei
dovuto superare non erano adatti ad un bambino della mia età
a quell’ora della
notte, visto che ci avrei messo un paio d’ore a piedi e si
sarebbero fatte
almeno le dieci.
-Ma
allora scusami, non aveva
alcun senso andarsene prima e farsi quella scarpinata se già
sapevi che
c’avresti impiegato comunque molto tempo. Tanto valeva
aspettare tua madre che
prima o poi si sarebbe Materializzata lì da te!
Sì,
esatto, Materializzata è il termine esatto... In
quell’occasione si era
staccata la marmitta dall’auto di mia madre, altro che poteri
magici.
-Ve
l’avevo detto che le
motivazioni con le quali parte questo mio racconto erano blande ed
infantili...
-Vabbè...
Così ti sei incamminato
di notte per questi quartieri un po’ bruttarelli. E poi?
-E
poi... Nulla. Dovreste
conoscere la mia città per comprendere che razza di strada
ho fatto: i viottoli
che ho intrapreso, le scalinate che ho salito, i campi che ho superato,
le
persone ho incontrato... Perché alla fine, preso
dall’euforia
dell’esplorazione, il mio obiettivo non era più
solo quello di tornare a casa,
ma farlo percorrendo più zone nuove del mio paese possibili.
Il che significò
che tornai a casa verso le undici di sera, dove al mio arrivo trovai ad
attendermi un plotone di... Di agenti dell’Ufficio protezione
minori del
Ministero della Magia Italiano, alla mia ricerca assieme ai miei
disperatissimi
genitori, che mi credevano morto o rapito.
-Esiste
un Ufficio del genere in
Italia?
-Sì,
certo... Perché qui no?
-Non
mi sembra, forse...
-Bah,
tu stavi male anche
all’epoca. Anche a me piace gironzolare qua e là
ogni tanto, ma spingere i miei
genitori a chiamare gli Auror mi pare esagerato.
-E
sconsiderato.
Alzai
le spalle in segno di
impotenza. Durante il mio lungo racconto la Sala Grande si era riempita
e stava
per iniziare la cena. Ripensando a quel discorso che coinvolgeva la mia
vecchia
vita mi tornò in mente la pizza del sabato sera.
Dio,
quanto mi manca...
-Ma
dormi ancora?
Rupert
mi svegliò sradicando le
coperte con le quali mi ero avvolto la sera prima.
-Ma
non è domenica? Almeno oggi
voglio dormire quanto voglio.
-Sì
ma sono quasi le dieci, ti
perderai la colazione.
-Sai
che m’importa, è stata una
settimana mostruosa, lasciami riposare.
-Fa’
come vuoi.
Ecco
bravo, ciao.
Dicendo
così Rupert se ne andò,
lasciandomi solo. L’inusuale silenzio che pervadeva
l’intera stanza però mi
tenne sveglio e non riuscii più a chiudere occhio.
-Bah,
ormai è fatta, tanto vale
alzarsi.
Diedi
una rapida occhiata a
Muthsera per vedere se stesse bene. Si era ingrossato ed impigrito in
soli sei
giorni, dovevo ridurre decisamente le sue razioni di cibo.
-Almeno uno dei due dorme fin quando vuole...
-Shh!
Ho bisogno di riposare, ho la digestione lenta!
-E
tu ormai solo questo fai: mangi e dormi.
-E
cos'altro dovrei fare? Sono un animale dopotutto: non ho i
tuoi stessi doveri!
-Sarà,
ma da oggi cambiamo dieta: un pezzetto di carne ogni due giorni.
-A
me sta bene, è comunque molto più di quello che
avrei ingozzato in natura.
La
Sala Comune era anch’essa
deserta: evidentemente erano tutti in Sala Grande.
E
andiamo... Anche se non ho poi tutta questa fame dopo la sfogliata di
ieri
sera...
Quando
arrivai la colazione era
agli sgoccioli: sui tavoli erano rimaste soltanto le bevande
più aspre e le
fette di pane più secche e sgretolate.
-Arrivi
tardi, ti sei perso le
brioches alla marmellata di lamponi!
-Meglio
così, altrimenti avrei
vomitato tutta la cena di ieri, troppo fritto.
Le
finestre delle vetrate della
Sala Grande si spalancarono improvvisamente, facendomi prendere un
colpo.
-E
adesso?
-Ahahah,
calmati, credo sia la
posta domenicale!
Uno
stormo di gufi e civette volò
sopra le nostre teste, in un vortice di piume e di ali che cozzavano
fra loro,
creando un gran scompiglio aereo.
-Di
domenica vengono gli uccelli
a consegnarci le lettere?
-Sì,
solitamente tocca a noi
ritirare la posta in Guferia durante la settimana, ma di domenica i
pacchi ci
vengono consegnati direttamente qui. Ho detto pacchi perché
tutta la posta più
pesante ed ingombrante la riceviamo solo di domenica, giornali e
semplici
lettere invece tutti i giorni.
-Probabilmente
è per non farci distrarre
troppo dallo studio se dovessimo ricevere un regalo dai nostri genitori.
-Ecco
a voi Rupert, il mio
bellissimo allocco! Cosa mi hai portato Rupert? Ah che bello, un set di
grucce
per appendere i miei abiti nell’armadio, effettivamente le
avevo dimenticate.
Il
rapace di Fred abbassò il capo
in cerca di grattatine da parte del suo padrone, che non si fecero
attendere.
-Ti
ho detto di cambiare il nome
a quel tuo stupido uccello!
-E
come faccio? Ormai lui si
riconosce con quest’appellativo e poi ragazzi, non credete
che gli assomigli un
po’?
I
due in comune avevano della
folta peluria nell’arcata sopraciliare, il che rendeva
abbastanza congrua la
comparazione.
-Effettivamente...
-Sta’
zitto tu, vedi invece se il
tuo gufo ti ha portato una bacchetta, magonò!
Uno
strano volatile che
assomigliava ad un barbagianni a cui è stata applicata una
permanente si
avvicinò al nostro tavolo, consegnando a Brendan una rivista
ed un piccolo
pacco.
-Ehm,
lei è Curly... Sì, ha le
treccine perché fino all’anno scorso era di mia
sorella!
Per
fortuna Rudra arrivò ad
interrompere quella scena imbarazzante con una lettera dei miei, la
terza solo
in questa settimana, e un catalogo della Hogsmeade, una non so quale
azienda
fornitrice di prodotti per streghe e maghi.
-E
questo?
-Ah,
è arrivato a tutti. A quelli
del primo e secondo anno non è permesso andare ad Hogsmeade,
perciò se vuoi
acquistare qualcosa dai loro negozi puoi farlo per corrispondenza.
-Hogsmeade?
-Ma
non sai mai nulla!
-Vorrei
vederti al mio posto
Rupert, a studiare in un Paese diverso dal tuo, così vedrei
quante cose
sapresti.
-Sicuramente
ne saprei più di te!
Dan
per fortuna mi spiegò cosa
fosse Hogsmeade interrompendo lì la discussione.
-Hogsmeade
è un piccolo villaggio
al di fuori di Hogwarts, un tempo ci abitavano, ma è
così fuori dal mondo che
ormai serve solo da scalo agli studenti e agli ospiti della scuola
durante
l’anno, d’estate infatti è praticamente
deserta. Dal terzo anno in poi faremo
delle visite lì, potremmo definirle delle sorte di gite.
-Allegria...
-Ci
sei già stato, Liam?
-Sì,
è un buco: non c’è nulla. La
cosa più interessante è la testa di maiale che
ogni tanto grugnisce sull’insegna
della taverna vicino Mielandia... E ho detto tutto.
-In
effetti anche dalla lista dei
prodotti che vendono non sembra che ci sia chissà cosa. A
meno che non ti vuoi
far venire un’ulcera con tutti questi dolci, il resto
è abbastanza anonimo. La
Bottega degli Scherzi di Zonko è poi la più
triste di tutti.
-Ma
cosa dici, è piena di roba
interessante, guarda qua: c’è il Folio Magi in
offerta, l’altro giorno dicevi
che volevi iniziare la raccolta di figurine, no?
Miller
apparve alle nostre spalle
esprimendo tutto il suo entusiasmo scaturito dall’avere in
mano anche lui quel
catalogo.
-Ehi,
ma che ci fai qui?
Sconfinamento, intrusione, effrazione!
In
pochi attimi un boato di
insulti provenienti da tutto il tavolo dei Serpeverde piovve addosso al
povero
Miller che scappò mortificato.
-Ah
si, grazie, Miller...
Ma
ormai se n’era andato.
-Ahahah,
avete visto come se l’è
data a gambe?
-Ma
che gli è saltato in mente,
venire fin qui?
-Mi
voleva solo avvertire della
presenza del Folio Magi, siete stati sgarbati.
-Non
vorrai comprartelo
veramente, spero.
-Perché
no, mi sembra carino e
potrei venire a conoscenza di parecchi maghi che hanno fatto la storia
della
magia.
-Ma
non sei un po’ troppo
cresciutello per collezionare figurine?
-Sarà,
ma per me è una novità:
voi lo avete fatto da bambini, vorrei provarci io adesso. Accidenti...
-E
adesso cosa c’è?
-Il
Folio Magi in offerta costa 2
Galeoni e 8 Falci anziché 3, ma loro spediscono solo per
ordini superiori ai 3
Galeoni.
-Quindi
addio all’offerta, sempre
3 cucuzze devi sborsare.
-Sì,
ma cosa prendo che costi
esattamente 9 Falci? Ci sono solo cose stupide qui...
-Guarda
questo, ne costa 10 di
Falci, ma sembra carino: Tubizzatore.
La descrizione dice che nessun gufo riuscirebbe a resistere al richiamo
di
questo fischietto, così puoi dirottare la posta degli altri
la domenica
mattina!
-O
venir sommerso dalla loro
pupù.
-Anche.
-Nah,
non mi convince per niente,
se devo spendere questi soldi per forza che almeno sia qualcosa di
veramente
utile. Oh, forse ho trovato.
In
un angolino dell’ultima pagina
della sezione dedicata al Negozio di Zonko c’era un articolo
in promozione a
soli 9 Falci, esattamente quanto serviva a me.
-Foglietti
Cerca&Trova: dodici
pezzettini di carta incantati che andranno
alla ricerca di chiunque vorrete incontrare, basta scriverci sopra il
nome e
loro faranno il resto!
-Sembrano
pizzosi.
-A
me sembrano perfetti. Facciamo
quest’ordine, và. Al modulo precompilato vanno
aggiunti soldi in contanti?
Sicuri non si perdano lungo il viaggio?
-Via
gufo transitano beni e merci
ben più costosi di 3 Galeoni, quindi credo ti possa fidare.
-Speriamo
bene...
-Allenamento
di Quidditch? Di
già?
-Sì,
la nostra squadra è rimasta
praticamente invariata dall’anno scorso e quindi non hanno
dovuto perdere tempo
con le selezioni prima di partire con gli allenamenti ufficiali. Sono
già al
campo, venite?
Gideon
invitò me e Dan ad
assistere al primo allenamento della squadra di Quidditch di Corvonero,
non
potevamo certo rifiutare.
-Le
altre squadre sono messe
male: i capitani e i giocatori migliori si sono tutti diplomati
l’anno scorso,
se tutto va secondo i piani quest’anno la Coppa di Quidditch
la vinciamo noi.
-Sembri
informato... Serpeverde
com’è messa?
-Meglio
di Grifondoro e
Tassorosso, visto che Flint sta ripetendo il settimo anno, ma ha perso
entrambi
i battitori.
Per
me era come se Gideon e
Brendan stessero parlando arabo, perciò mi limitai ad
annuire ad ogni loro
valutazione tecnica. Avvicinandomi al campo di Quidditch notai che
finalmente
il grosso portone era aperto e una nutrita folla di studenti degli anni
superiori stava parlando al suo ingresso.
-Ma
dove vai? Di qua!
Gideon
mi urlò contro perché
stavo mettendo piede direttamente sul campo, invece di cercare un posto
tra gli
spalti.
-Scusa,
volevo vedere il campo in
prima persona.
-Ma
non puoi, ci saranno già i
giocatori lì... Se hai tutta questa curiosità
iscriviti al club della tua
squadra.
Non
ero sicuro se si trattasse di
un consiglio sincero o di una malcelata presa per i fondelli data la
mia ultima
esibizione sulla scopa. In ogni caso lo seguii su per le gradinate
della
tribuna.
-Non
si arriva mai, ma quanto in
alto stiamo salendo?
-Parecchio
direi, roba che se
cadi da qui ti spiaccichi al suolo come un uovo rotto.
Più
salivamo e più l’insicurezza
mi assaliva: sentivo il legno scricchiolare sotto il nostro peso,
notavo le
fenditure nei tendaggi e la ruggine sui giunti delle travi e delle
colonne.
-Ancora
niente?
-Direi
che siamo arrivati
finalmente, vedo un piccolo passatoio.
Infilandoci
sotto quell’angusta
apertura giungemmo finalmente all’esterno di
quell’enorme tendone. Finimmo tra
gli spalti dei Grifondoro, ma dato che si trattava solo di una partita
di
allenamento non c’era alcun problema.
-La
prossima volta dovremo
risalire la terza rampa a destra dell’ingresso se vogliamo
ritrovarci nella
tribuna giusta. Ah già, voi siete Serpeverde, quindi la
vostra sezione è quella
là, la quarta.
-Oppure
la prima a partire da
sinistra.
-O
la quinta.
C’erano
infatti tre alti piloni
per ogni Casa della scuola che fungevano da podi per gli spettatori
tutt’intorno al campo da Quidditch, campo che più
strano di così non poteva
essere. La forma era ellittica, molto lineare al centro ma con una
curvatura
decisamente accentuata sulle estremità, quasi da sembrare i
vertici di un
triangolo un po’ arrotondato; ai bordi dei due lati
trasversali del campo erano
presenti tre anelli bianchi sorretti da aste in legno che li ponevano
ognuno ad
altezze e a distanze diverse tra
loro,
mentre al centro del campo non c’era nulla se non una linea
tracciata
sull’erbetta che delimitava le due metà campo
avversarie.
-Chi
mi rammenta le regole di
questo sport?
-Non
hai mai seguito una partita
di Quidditch in vita tua, vero? Scordarsi le regole è
impossibile: sono poche e
intuitive. Vedi quei cerchi? Sono le porte, se la Pluffa tirata da un
cacciatore entra, segna 10 punti, se non ce la fa o il portiere la
para, zero.
Il cercatore acciuffa il Boccino e se ci riesce guadagna 150 punti e
pone fine
alla partita, mentre i battitori con le loro mazze cercano di mandare
in
Infermeria quanti più avversari possibili, colpendoli di
rimbalzo con i due
Bolidi attivi in campo. Tutto chiaro?
-Limpido
come l’acqua.
In
realtà non capii granché, ma
sperai di collegare le parole di Gideon ai fatti una volta visti
all’opera i
giocatori di Corvonero. Sulle panche alle nostre spalle
c’erano altri ragazzi,
tutti dei Corvonero e, separato dagli altri in un angolino, credetti di
riconoscere Andrea Rower che faceva finta di non averci scorto pur di
non
salutare.
-Venite
con me, vi presento un
mio amico d’infanzia!
L’amico
in questione era un tizio
rumoroso e dall’aspetto trasandato, con degli unti capelli
color porpora che
dalla ricrescita si capiva fossero stati originariamente neri ed un
gilet di
jeans pieno di fori e di rattoppi nei punti più delicati
come il colletto e i
gomiti.
-G
-Gideon! Sei venuto alla
f-fine!
-Zed!
I
due Corvonero si diedero a
vicenda delle vigorose pacche sulla schiena.
-Ragazzi,
vi presento Zedekiah
Glunk, un mio vecchio amico ed ora mio compagno di Casa, anche se lui
è di un
paio d’anni più avanti di me! Zed, loro sono
Brendan Callaghan e il ragazzo
italiano.
-Ah,
q-quello senza bacchetta,
v-vero?
-Sì,
Zedekiah...
-Chiamami
Zed amico, Zedekiah fa
s-schifo pure a me. Ma si chiamava c-così mio nonno e
quindi...
-Sapete,
l’anno scorso Zed era il
battitore destro dei Tassorosso!
-E
come mai non lo sei più?
-Ehm...
-Puoi
dirglielo Gideon, non è
mica un s-segreto.
-Come
posso dirglielo...
-C’è
che mi stavano b-bocciando
amico! Non facevo altro che pensare al Quidditch e q-quando la Sprite
ha
inviato i miei risultati dei test di marzo ai miei genitori, q-quelli
mi hanno
fatto sospendere da qualsiasi attività extra scolastica per
punizione! Ma
almeno la d-domenica sarò libero di far quel c-che voglio,
no?
-Beh,
certo...
-Allora
godiamoci q-questo
allenamento, c-che sono tre mesi c-che aspetto c-come un idiota... E
iniziate!
Da
Zed partì una sequela di
fischi che finirono per propagarsi di bocca in bocca lungo il resto
degli
spalti e persino nelle tifoserie dall’altra parte dello
stadio.
-E
datevi una mossa!
Anche
Gideon era della partita. Sospinti
da un tale entusiasmo i giocatori in campo finalmente decisero di dare
inizio
alla partita di allenamento, dividendosi in due squadre da sette
giocatori l’una,
una portava divise blu e l’altra nere: da così
lontano dove eravamo noi
distinguerle era un’impresa.
-Tra
q-quelli sarei potuto
esserci io, dannazione! Forza Jason, non farmi soffrire troppo,
muovila c-come
la muovevo io q-quella mazza!
La
partita era decisamente
movimentata, ma il centro dell’azione era talmente distante
che certi giocatori
sembravano fermi nelle loro posizioni, quando invece schivavano,
colpivano e
paravano palle da tutte le direzioni. Forse stavo iniziando a capire le
regole
di questo strambo gioco: una buona parte della partita la si giocava
vicino ai
tre anelli sospesi a mezz’aria che fungevano da specie di
porte da calcio; se
la palla più grossa tra le quattro in campo riusciva a
superare la difesa del
portiere ed entrava in uno di essi allora era punto e
l’azione riprendeva dal
cacciatore della squadra che ha subito il goal,
se invece il portiere riusciva a proteggere le sue porte allora il
gioco
continuava e con esso la probabilità di essere colpiti da
uno dei due Bolidi
vaganti tirati violentemente dai battitori. Questi ultimi non si
limitavano a
prendere a legnate le due palle nere, ma tiravano calci e spallate
verso chiunque
osasse avvicinarsi all’area che proteggevano, sembrava
abbastanza brutale.
Proprio quando sembrava avessi afferrato quasi tutto, due giocatori si
distaccarono dal gruppo ed iniziarono a sfrecciare come pazzi
all’esterno del
campo di gioco, verso non si sa quale direzione. Da
quell’esatto momento gli occhi
di tutti gli spettatori si puntarono fissi verso i due corridori.
-E
adesso che succede?
-Uno
dei due cercatori avrà
avvistato il Boccino e l’altro lo sta seguendo!
-E
possono uscire dal campo?
-Beh
sì, entro certi limiti sì,
il Boccino non vuole mica farsi acchiappare.
I
due cercatori tornarono
indietro e si diressero verso il pilone dei Serpeverde alla nostra
sinistra, ad
una velocità tale da estirpare alcuni teloni che ricoprivano
la colonna.
Io
non riuscirò mai ad arrivare ai loro livelli con la scopa...
Sono pazzeschi.
Ad
un certo punto però
dirottarono verso di noi, volando a poche spanne dalle nostre teste.
-Ma
è pericoloso anche per il
pubblico! Per poco non ci ammazzavano!
-Dai,
è divertente!
Gideon
e Zed sembravano felici
come dei bambini al Luna Park, tant’è che
quest’ultimo se ne uscì con un
ispirato coro da stadio.
-Forza
Corvi, non deludeteci
maaiii. Noi vi supporteremo se la vittoria otterremo, ma se voi
perderete la
faccia ci rimetterete, perciò Corvi non deludeteci maaiii!!!
Quando
toccava le note più alte
partiva uno stridolio urticante come quello prodotto da delle unghie
ben limate
che graffiavano una lavagna lucida e nuova di zecca. Io, Dan ed il
resto della
platea fummo costretti a tapparci le orecchie per contenere il dolore.
-Ah,
quando canta non balbetta
però!
-Zitto,
che si potrebbe
offendere!
-In
questo momento sono le mie
orecchie da ritenersi offese!
Tutto
d’un tratto i cori
d’incitamento cessarono, compreso quello di Zed, ed un rombo
di stupore prese
il posto dell’euforia generale.
-Ohibò,
e adesso?
-Un
bolide ha preso il cercatore
dei blu sulla schiena.
Affacciandomi
un pelino dal mio
spalto vidi un corpo spiaccicato sul suolo del campo, con le gambe
all’aria e la
scopa schiantatasi a diversi metri dal luogo dell’impatto.
-Ma
da che altezza è caduto... E’
morto?
-Ma
ti pare che un giocatore
crepi c-così facilmente? Volavano praticamente rasoterra, un
paio di ore in
Infermeria e s-si rimetterà in sesto.
Sempre
più brutale.
-A
q-questo punto direi che i
neri hanno vinto, a meno c-che il loro cercatore non si faccia silurare come q-quello dei blu,
avrà tutto il tempo
per recuperare il Boccino e porre f-fine alla partita. Le s-squadre
stanno ancora
20 a 30, quindi 150 punti regalerebbero la vittoria s-senza troppi giri
di
parole.
-Beh,
è stato breve ma intenso
quest’incontro.
-Ma
che dici, non ascoltare Zed,
la partita non è ancora decisa. I blu potrebbero segnare
più di quindici volte
e quindi ribaltare il risultato nonostante la cattura del Boccino. E
poi non è
detto che non facciano scendere in campo un cercatore di riserva.
-E’
una partita di allenamento,
Gideon! Il sostituto è q-quello che in questo momento sta
lottando per la vita
in una barella da c-campo, non ce ne sono altri! Lo so
perché è il mio
c-compagno di stanza, più tardi andrò a fargli
una visita.
-Ah
beh, allora...
In
ogni caso la partita sarebbe
stata destinata a finire prima del previsto poiché due
Dissennatori, attratti
dalla calca dello stadio, si avvicinarono troppo agli atleti, spargendo
il
panico tra di essi.
-Dannati
Dissennatori, vogliono
rovinarci il c-campionato?
-Spero
almeno che durante le
partite ufficiali gli insegnanti vietino a questi cosi
l’accesso al campo.
-Gli
insegnanti hanno le mani
legate al riguardo, altrimenti d-dopo l’aggressione
dell’altro giorno avrebbero
già p-preso provvedimenti.
-Di
quale aggressione parli, Zed?
-Come
non lo sapete? E’ successo
il putiferio l’altro giorno sull’Espresso per
Hogwarts, dormivate?
-No,
sapevamo che due Dissennatori
erano entrati nel treno per controllare i vagoni, ma non eravamo a
conoscenza
di alcuna aggressione.
-Quelli
del nostro anno non hanno
f-fatto altro che parlarne in questi giorni, quel Potter è
caduto come una
p-pera sfatta!
Potter?
Dove ho già sentito questo cognome?
-Ed
è morto?
-Ma
sei p-proprio fissato con la
morte, ragazzino. Cerchi il sangue per f-forza...
-No,
è che da quel che so, se un
Dissennatore ti attacca ti risucchia l’anima e trovo
difficile riuscire a
sopravvivere a questo.
-Beh,
q-quello che so io invece è
che un insegnante è intervenuto per scacciare il
Dissennatore e che il ragazzo
adesso sta benone, t-tanto da mettersi in mostra anche a Divinazione,
quindi o
quel che sai tu su q-questi mostri è sbagliato o
semplicemente non ne ha avuto il
tempo.
Anche
dopo la sparizione dei due
Dissennatori i giocatori non ripresero a giocare, il che costrinse
l’arbitro ad
annullare la partita. Zed e Gideon, alla fine delle scale, ci
salutarono
dirigendosi verso il Lago Nero.
-Che
tipo questo Zed...
-Per
fortuna non è un Serpeverde,
altrimenti saremmo stati costretti ad ascoltare i suoi inni ad ogni
p-partita.
-Adesso
balbetti pure tu?
Accidenti!
Non me ne ero accorto!
-Sai
com’è, chi va con lo
zoppo...
-Impara
a incespicare!
-Adesso
state zitti, che parte il
primo coro domenicale!
Liz
aveva interrotto tutti i
discorsi che tenevano banco i miei compagni Serpeverde al tavolo del
pranzo:
dovevamo ascoltare in religioso silenzio le melodie prodotte dal coro
della
scuola.
-Ma
le interessa davvero così
tanto il gruppo musicale?
-Shh!!!
Evidentemente...
Il
professor Vitious, dall’alto
del suo sgabello, iniziò ad inarcare la bacchetta da
maestro, scandendo il
tempo.
-E
un, due, tre e quattro!
-Hogwarts, Hogwarts
la
nostra casa
Dove
la cultura degli studenti si basa
Hogwarts,
Hogwarts
la
nostra scuola
Dove
ci si aiuta come in una famigliola
-Ma
è terribile!
-Sta’
zitto e comprendi il testo.
-Le
parole le capisco, ma sono tremendamente
stupide.
-Hogwarts, Hogwarts
la
nostra vita
Dove
si vive la routine più ambita
-Allora
goditi il ritmo e i toni
delle voci bianche.
-Anche
peggio!
-Allora
mangia e non disturbare
chi invece vuole ascoltarlo!
-Hogwarts, Hogwarts
la
nostra storia
Dove
si guadagnano onore e gloria!
Forse
concentrarsi solo sul cibo
non era affatto un cattivo consiglio, anche se il porridge che ci
avevano
servito non era per nulla invitante.
Altro
che lasagne...
-Davvero,
mangiavo meglio quando
non mangiavo affatto!
-Quante
volte te lo devo ripetere
che in Gran Bretagna diamo più importanza alla cena che al
pranzo?
-Sì,
ma almeno quello domenicale
non toccatemelo. Non chiedevo mica cannoli siciliani su dei piattini
d’argento,
ma quella brodaglia farinosa...
-I
principi di Edimburgo si
lamentano del servizio in tavola?
Il
professor Piton sbucò
dall’altra parte della porta che dava l’accesso ai
Sotterranei, pietrificando
sia me che Brendan all’uscio.
-Burgio,
vieni con me.
Oh
no, cosa c’è adesso?
Col
suo solito passo spedito
difficile da seguire, Piton mi guidò alle porte del
corridoio del terzo piano,
dove temetti che avesse scoperto la nostra perlustrazione dei passaggi
segreti
del giorno prima. Per fortuna però, l’insegnante
continuò a salire le scale
fino al sesto piano, dove mi rivelò il motivo di
quell’inattesa scarpinata: il
professor Wilkins voleva vedermi.
-E’
permesso?
La
porta del mio insegnante
personale era aperta, probabilmente perché mi attendeva.
Entrai comunque con
discrezione, perché non avevo ricevuto alcuna risposta.
-Era
buono il porridge?
Il
professor Wilkins aveva appena
finito di consumare il pranzo sul suo tavolo e si stava lavando le mani.
-Come
fa a sapere...
-Che
non ti è piaciuto per
niente? Sarebbe stato strano il contrario...
Dopo
essersi asciugato si avviò
verso la credenza dove era in cerca di qualcosa.
-Qui
ad Hogwarts si cucina solo ciò
che è di stagione... E settembre è il mese
dell’avena, abituatici.
Finalmente
sembrò aver trovato
ciò che cercava.
-Ecco
qui, Silente m’ha dato
l’esatto orario delle tue lezioni, quindi adesso possiamo
regolarci in maniera
ufficiale, perciò apri bene le orecchie: lunedì
mattina la passi in classe,
pomeriggio con me; martedì mattina dipende, questa settimana
in particolare con
me e nel pomeriggio sei libero; mercoledì mattina in classe,
pomeriggio con me;
giovedì mattina dipende, questa settimana in classe,
pomeriggio pure; venerdì
mattina dipende, questa settimana molto probabilmente la passerai in
classe.
Poi vabbè, Astronomia di venerdì sera e Volo il
sabato è chiaro che le seguirai
con i giusti insegnanti. Ci sono domande?
-No,
tutto qui?
-Certo,
cos’altro volevi? Adesso
vai e goditi il resto della giornata, da domani si farà su
serio, Ragazzo!
Mi
ha fatto prendere un colpo per niente... Ma perché proprio
Piton è il direttore
della nostra Casa?
La
stanza da letto era vuota,
eccezion fatta per il rospo di Rupert che sembrava ormai un sasso ed il
mio
Muthsera, abbacchiato e disteso come un morto in forma anfibia. Avevo
deciso
che nel pomeriggio avrei esplorato i meandri del Castello con lui, sia
per
rimanere un po’ da solo ed evitare altri incontri strampalati
come quello con
Zed che per dedicare un po’ di tempo al mio serpente
domestico che in questi
ultimi giorni avevo trascurato fin troppo.
-Ma non voglio, sono stanco,
c’è caldo...
-Non
voglio sentire scuse, sei passato da un atteggiamento pavido ad uno
accidioso,
non hai un po’ di spina dorsale?
-Sono
nato in una gabbia, per me è difficile abituarmi a tutto
questo movimento...
-Ma
quale movimento, sono passati già cinque giorni
dall’ultima volta che hai messo
il muso fuori da questa stanza... Perbacco quanto sei pesante in forma
rettile,
riesco a malapena a tenerti in mano.
-Sai,
non credo faccia bene al mio organismo tutti questi cambi di aspetto:
passo da
un corpo più caldo ad uno più freddo, da un
ambiente umido ad uno più secco. Ed
il mio apparato digerente ormai non sa più come regolarsi...
Hai mai visto un
serpente vomitare?
-No,
ma scommetto sarebbe comunque uno spettacolo migliore di un colubro che
si
dondola pigramente tra le sbarre della sua gabbietta.
-E
dimmi un po’, dove vorresti andare?
-Voglio
esplorare meglio il passaggio segreto che hai scoperto
l’altra sera proprio
dietro la Sala Comune, così grazie al tuo fiuto riusciremo a
trovare nuove
uscite e ad arrivare ancora più in alto.
-Vedi
di non contare troppo sul mio olfatto, non sono mica un cane!
Nascosi
Muthsera tra le pieghe
della mia mantella e mi avviai verso l’angolo della Sala
Comune che celava il
passaggio segreto. Per fortuna ancora nessuno era rincasato,
perciò potei fare
tutto senza destare sospetti. Una volta all’interno
dell’ala disabitata accesi
una torcia e poggiai a terra il serpente, ordinandogli di mostrarmi la
via.
-Ah, la strada la conosci tu ma devo indicartela io?
-Magari
trovi percorsi secondari che a me sarebbero sfuggiti.
Per
un bel pezzo continuammo per
la via che il giorno prima avevo percorso con Brendan, ma al primo
incrocio del
primo piano ci fermammo, per decidere il da farsi.
-Quindi?
-Dimmi
tu, l’ultima volta abbiamo preso a destra e proseguito verso
i piani superiori,
a sinistra cosa c’è?
-Non
ho la sfera di cristallo con me, ma un quasi impercettibile incremento
di
umidità nell’aria mi spinge a credere che
proseguendo a sinistra alla lunga si
finisca fuori dal Castello in qualche modo.
-Quello
che pensavo anch’io, infatti abbiamo preso a destra per
evitare di venir
beccati dagli altri studenti in pausa nei cortili. Continuiamo come
ieri,
magari sta volta prenderemo la rampa a chiocciola anziché
quella più esterna,
chissà dove ci condurrà.
-C’è
un problema però.
-E
quale sarebbe?
-Io
sono già stanco adesso, come farò a salire tutti
quei gradini?
-Vabbè,
ti porterò io sulle spalle.
Così
dicendo avvolsi a mo’ di
sciarpa il corpo di Muthsera attorno al collo e gli feci poggiare la
testa sul
mio avambraccio destro, poiché dato che per tenere la torcia
lo tenevo alzato
potesse vederci meglio.
-Non ti muovere troppo, che la tua pelle mi fa senso
sul corpo...
-Ah,
è la mia pelle a provocare senso a te, non viceversa? Sembra
di stare
appoggiato ad una padella pelosa...
-E’
la maglia della scuola, non sono così peloso io!
Per
il resto della serata
continuammo a punzecchiarci e ad esplorare i meandri più
reconditi del
Castello, finendo per trovare ben sette uscite nascoste in Biblioteca,
nei
corridoi del quarto e quinto piano, all’interno di
un’imprecisata aula
scolastica e perfino in un bagno con vista sul Cortile di
Trasfigurazione:
potevo ritenermi soddisfatto.
-E chi se li ricorda adesso tutti questi passaggi
che abbiamo scoperto?
-Fatti
una mappa, almeno non te li dimentichi più!
Il
tono di Muthsera era
ovviamente ironico, ma più ci pensavo e più una
mappa della scuola
rappresentava la soluzione di tutti i miei problemi scolastici e non.
-Guardate
chi c’è, il redivivo!
Non è che sei in combutta con Piton? Ogni volta che vai con
lui sparisci per
delle ore... Qui gatta ci cova!
Fred
mi prese a braccetto e mi
spinse al di fuori della Sala Comune.
-Andiamo
in Sala Grande assieme,
altrimenti finisce che sparisci pure lì.
-Si,
un attimo, devo prima darmi
una sciacquata, non posso...
-Lo
farai dopo, al massimo mangi
coi guanti, ahahah!
Così
finii per cenare con un
serpente avvinghiato al braccio, non certo il massimo della
comodità, né del
buongusto.
-Cosa
dicevi della cena più
importante del pranzo per voi inglesi? Stufato di lampreda... Mi ha
fatto più
schifo del porridge, non ho toccato cibo, per fortuna c’era
un pandolce come
dessert.
-Sembra
che ai duchi di Normandia
continui a non piacere la cucina locale. Se anch’io dovessi
mostrare i vostri
gusti nella correzione dei vostri compiti, difficilmente riuscirei a
promuovere
qualcuno all’interno di questa classe... Ed infatti
è così.
Il
professor Piton entrò in
classe sbattendo come sua prassi la porta e facendo svolazzare dei
fogli che
finirono sui nostri banchi e che si rivelarono essere i nostri compiti
corretti.
-Ma
perché parli di cibo sempre
quando siamo in sua presenza?
-Non
lo so, m’è venuto in mente
solo ora, vedendo tutti questi ingredienti strani sulla cattedra.
-Questi
voti sono da considerarsi
validi solo per l’impegno profuso da alcuni di voi nella
stesura di queste
relazioni, non riguardo al contenuto stesso, altrimenti non avrei
dovuto
promuovere praticamente nessuno. All’infuori di questo
episodio, la prossima
volta che oserete consegnarmi testi talmente scadenti sul lato
contenutistico e
grammaticale, vi giudicherò come se non aveste presentato
alcunché, il che
significherebbe l’assegnamento arbitrario del voto Troll...
Per inciso, il
peggiore. Date una rapida occhiata agli errori concettuali, mentre per
tutto il
resto non posso far altro che consigliarvi vivamente di seguire le
lezioni di
Inglese che la professoressa Burbage, il sabato pomeriggio, ha deciso
gentilmente di intrattenere per voi del primo anno.
Non
riuscii a vedere i compiti di
tutti gli altri, ma già tra il mio e quelli di Brendan e
Miller il risultato
generale era più che deprimente: tre Scadenti, un
Accettabile e due Desolanti.
-Prima
di iniziare, ci sono
domande?
Miller
fu l’unico ad alzare la
mano.
-Sì...
Signor McBumble?
-Dove
sarebbe di preciso l’aula
dell’insegnante che ha nominato lei?
Piton
lo fucilò con lo sguardo,
poi aggiunse:
-E
allora prima che a qualcuno
venga la brillante idea di dare aria alla propria bocca con certe
idiozie,
diamo inizio alla lezione di oggi, che parlerà della Pomata
Lucida Ottoni.
-Buh!
La
stanza del professor Wilkins
era avvolta dall’oscurità e lui ne ha approfittato
per farmi prendere uno
spavento.
-Ma
che succede?
-E’
per la lezione di oggi, i
tuoi compagni di sotto stanno per imparare uno degli incantesimi
più utili che vedrete
quest’anno a scuola e tu non puoi essere da meno.
-Un
incantesimo oscuro per
Occultare gli oggetti?
-No,
tutto il contrario, per far
luce tra le tenebre...
-Ma
non era il Verdimillius quello?
-No,
è un’altra cosa ancora...
Insomma, guarda qua: Lumos!
Dal
buio più totale apparve una
flebile luce bianca il cui bagliore delimitava i lineamenti del volto
del mio
tutore.
-E
posso pure modularla sia in
ampiezza che in intensità, guarda!
La
lucina si era improvvisamente
trasformata in un faro allo xeno talmente potente che non riuscivo a
vederci
più da quanto fosse diventata abbagliante.
-Forse
ho esagerato un po’. Che
ne dici, non è interessante? Potrai illuminare ogni stanza,
non c’è più la
limitazione degli oggetti precedentemente Occultati. Ti serve un
po’ di luce
per andare al gabinetto? Usi il Lumos a
bassa potenza. Ti serve per leggere un libro la notte? Lo usi a potenza
media.
Ti serve per illuminare un intero ambiente? Lo sfrutti alla massimo
come ti ho
mostrato poco fa. E’ molto versatile e ci sono pure diverse
varianti, ma sono
un po’ più avanzate, procediamo con ordine.
Effettivamente
sembrava davvero
utile, specie per un fanatico come me delle escursioni notturne tra gli
anfratti della scuola. Poggiai quindi il mio libro di DCAO sul tavolino
dinanzi
il caminetto e mi sedetti sulla poltrona.
-Ma
no, che fai, non ci servono i
libri, guarda i miei movimenti, è così semplice!
Svolgendo
un paio di semiarchi in
aria il professor Wilkins mi mostrò lentamente il giusto
movimento di polso da
effettuare per lanciare correttamente il Lumos.
Sembrava semplice, se non fosse per un piccolo particolare.
-Professore
ma il Lumos rende la bacchetta una
fonte di
luce, ma io non ce l’ho una bacchetta! Cosa dovrebbe
illuminarsi da me, la mia
mano?
-Ah
vero... Giusto, che
sbadato... Non saresti qui con me adesso altrimenti... Tu provaci lo
stesso,
non si sa mai!
-Sarà...
Un semiarco crescente,
poi uno decrescente... Seguiti da una prima chiusura ed infine da una
seconda
per formare una specie di otto e
poi... Lumos!
Niente.
-Riprovaci,
dai!
-Non
credo funzionerebbe, questa
volta una bacchetta mi serve davvero.
-Allora
tieni questo!
Il
professore mi tirò contro un
mestolo di metallo, evidentemente voleva dare fondo a tutta
l’argenteria della
stanza.
-Usalo
come se fosse una
bacchetta, provare non ti costa nulla.
In
realtà mi costava in dignità,
dato che mi sentivo un vero idiota con un cucchiaione in mano a provare
incantesimi che qualsiasi altro studente non avrebbe avuto problemi
nell’apprendere.
-E
va bene... Lumos!
Sorprendentemente
funzionò, anche
se per pochi istanti.
-Accidenti,
si è spenta!
-E’
normale, ti sei
deconcentrato... Riprova!
Ripetei
a mente il movimento del
polso, tutt’altro che semplici ed intuitivi come asseriva il
mio tutore.
-Lumos!
Mantenere
la luce viva e vegeta
sull’estremità concava del mestolo si
dimostrò più complicato del previsto, ma
alla fine riuscii a farcela anche questa volta.
-Hai
visto? Una volta lanciato
correttamente il Lumos diventa
autonomo, non ha più bisogno del volere del mago per
mantenersi attivo, si
spegnerà solo quando tu lo vorrai... Ma prima esercitiamoci
a modularne l’intensità:
se vuoi ingrandire la luce concentrati sull’incanto e poi
alza leggermente la
bacchetta, cioè il mestolo; se invece vuoi diminuirla
fa’ lo stesso ma
abbassandolo.
-Lumos su...
-Bene.
-...E
Lumos giù!
-Ottimo,
ci sei già riuscito. Una
piccola cosa: non c’è bisogno di ripetere ogni
volta Lumos, basta che lo pensi e
funziona comunque, tanto il grosso del
lavoro ormai è stato fatto. Adesso non ci rimane che
imparare a disattivare
l’incantesimo e ad impratichirci ulteriormente, giusto per
esserne sicuri. Per
spegnere la luce prodotta dal Lumos
basta ripetere a voce alta Nox e
dare
un colpetto alla bacchetta. Per le prime volte forse è
meglio darle dei begli
strattoni.
-Boh,
proviamo: Nox!
E
la bacchetta di fortuna tornò
ad essere un normalissimo mestolo da cucina. Ripetei il procedimento di
accensione e spegnimento un altro paio di volte fin quando il mio
insegnante
non mi interruppe.
-Incredibile,
ce l’hai fatta
nuovamente al primo tentativo... A quest’ora i tuoi compagni
staranno ancora
cercando di capire come impugnare correttamente la bacchetta. In
realtà la
lezione sarebbe finita, ma tu sei uno studente fuori
dall’ordinario e, scusa la
mia poca modestia, neanche io sono un insegnante del tutto ordinario,
perciò ti
posso insegnare qualcosa di più avanzato.
Sembrava
felice come un bambino,
come se gli incantesimi li stesse imparando lui e non viceversa. Si
smanicò e
fece spazio tra il mobilio per prepararsi al meglio a ciò
che stava per
accadere.
-La
prima variante del Lumos non
è niente di particolare, è
solo un po’ più difficile da eseguire ed ha un
effetto prolungato nel tempo ma
che si consuma a differenza dell’incanto originario.
E’ il Lumos Maxima, che
come capirai dal nome, è utilizzato per
illuminare intere aree e non piccoli ambienti come questa stanza. Ma
dato che
non abbiamo l’intera Ala Vecchia a disposizione ci
accontentiamo della mia
stanza... Pronto? I gesti sono identici tranne alla fine, dove dovrai
lanciare
il punto luce lontano da te.
Pronto
o no devo farlo comunque, quindi...
-Lumos
Maxima!
Whisss!
Una
coltre di raggi ottici
illuminò l’intera stanza: il prodotto del mio
incantesimo era talmente
abbagliante da costringerci a chiudere gli occhi e ad uscire dalla
stanza,
rintanandoci nel bagno privato del professore.
-E’
andata bene direi, non ci
vedo più per via dello sfarfallio, ma è un buon
segno, credo.
-Professore,
posso inumidirmi gli
occhi? Credo mi stiano per sanguinare...
-Sisi,
come no, anzi ti seguo a
ruota.
Dopo
aver atteso qualche minuto
seduti sulla tavolozza del water e sul gradino della vasca provammo ad
aprire
la porta del bagno.
-Che
ne dici, credi che l’effetto
del tuo incantesimo sarà svanito?
-Non
lo so, provi.
Aprendo
appena la porta, un
intenso fascio di luce pervase il nostro nascondiglio, segno che il Lumos Maxima non si era ancora estinto.
-Direi
di no.
-Già.
Ben
ventidue interminabili minuti
dopo potemmo passare all’incanto successivo, che avrei
lanciato questa volta in
bagno per poter usufruire della stanza principale anche dopo la sua
esecuzione.
-Il
Lumos Solem nelle
modalità è identico in tutto e per tutto al Maxima, ma credimi se questa volta
sarà
difficile da eseguire, dato che dovrai emulare l’irradiamento
che naturalmente
fornisce il sole.
Mi
preparai a lanciarlo
mettendomi in posizione da battitore di baseball.
-Ragazzo, mi raccomando, prendi bene la
mira e lancialo in bagno,
altrimenti oltre a rimanere ciechi moriremo pure dal caldo questa volta.
-Sissignore.
Lumos Solem!
Una
grossa palla di luce
arancione si diresse in tutta velocità verso il bagno del
docente, che si affrettò
a chiuderne la porta d’accesso con un gesto repentino della
bacchetta.
-Et
voilà, riuscito alla
perfezione... Non che nutrissi dei dubbi in merito. Aspettiamo qualche
secondo
e poi... Ecco, tocca la porta.
Poggiando
la mano sopra riuscii a
sentire tutto il calore che proveniva da dietro di essa.
-Come
un sole caldo che in natura
riscalda e dona vita ad ogni cosa, anche il Lumos
Solem fa lo stesso se eseguito alla perfezione. Ne
approfitterò per farmi
una bella sauna una volta terminata la nostra lezione.
Era
stranamente sia buffo che
disturbante immaginarsi il professor Wilkins in accappatoio e ciabatte
pronto a
sudare dentro uno stanzino in cui era appena stato impiantato un sole
in
miniatura.
-Non
per metterti paura Ragazzo, ma la
prossima variante del Lumos
è davvero roba molto avanzata,
talmente tanto che non viene nemmeno insegnata in questa scuola, ma
solo in
alcuni corsi specialistici per Auror e Obliviatori, perciò
se non dovessi
riuscirci non prendertela con te stesso, è normale. Sarebbe
anormale il contrario
ed in quel caso sarei io a provare timore. Scherzo, ne sarei felice
invece, ma
non fasciamoci la testa prima di rompercela: l’incanto
è il Deluxon, che al
contrario di tutti i
sortilegi visti finora, esercita l’effetto diametralmente
opposto. Esso infatti
assorbe totalmente l’energia luminosa da tutte le fonti di
luce naturali e
artificiali nei dintorni, per lasciare al loro posto la più
fredda e cupa
oscurità. Ti mostro io come funziona... Deluxon!
Al
lancio dell’incantesimo, tutte
le fonti di luce della stanza, la fiammella della lampada ad olio sul
tavolo
del professore e la brace del caminetto, vennero assorbite dalla punta
della
sua bacchetta, svanendo. Al loro posto rimasero le ombre
di ciò che fino a poco prima erano: fiamme vacue e spettrali
danzavano tra i ceppi senza che emanassero luce o tepore.
-Occhio
a non avvicinarti troppo,
quella fiamma non trasmetterà più calore, ma
può comunque ustionarti per
contatto diretto.
Che
cosa strana...
Era
effettivamente la stregoneria
più interessante tra tutte quelle viste quel giorno, dovevo
assolutamente
padroneggiarla.
-Se
non ti ricordi il movimento
corretto te lo rimostro: è l’inverso di quello del
Lumos, con in più uno
strattone all’indietro finale che serve per
assorbire le fonti di luce nei paraggi. Puoi anche decidere di spegnere
una
sola luce alla volta anziché tutte assieme, basta
concentrarsi solo su un
obiettivo e mirare bene con la bacchetta. Adesso rilascio le fonti di
luce che
ho delumizzato e poi ci provi
tu...
Ah, ho dimenticato di dirti che come il Nox
disattiva l’incanto della luce magica, per fare la stessa
cosa con il Deluxon
serve usare il Denoctis. Per
imparare entrambi ci ho
messo più di due settimane durante il seminario
dell’accademia, non so se ti ho
reso l’idea... Sono comunque curioso di vedere come te la
cavi, perciò... Denoctis!
Così
come erano sparite, entrambe
le braci tornarono al loro posto, pronte a consumare tutto
ciò che le loro
fiamme erano in grado di mordere... Ed io sarei riuscito a spegnerle?
-Se
fallisco la colpa è comunque
di questo mestolo e non mia...
-Nessuno
è mai riuscito in
qualcosa se è partito con un atteggiamento negativo...
Credici! Se non puoi tu,
non può nessuno!
Ma
sbaglio o mi sta sopravvalutando eccessivamente? Spero che non venga a
conoscenza della mia performance a Volo, altrimenti gli crollerebbe un
mito...
Forza, ce la posso fare!
-Deluxon!
Mi
sembrò per un attivo che la
fiamma della lucerna si fosse mossa di qualche millimetro, ma poi tutto
tornò
come prima.
-Umh,
ritenta... Abbiamo un sacco
di tempo dopotutto.
-Deluxon!
-Deluxon!
-Deluxon!
-Ho
detto Deluxon!
Per
un oscuro motivo il mestolo
iniziò a diventare rovente, tanto da spingermi a gettarlo
per terra per non
ustionarmi.
-Cosa
c’è?
-E’
improvvisamente diventato
caldo...
-Umh,
lo vedo, scotta davvero
tanto. A questo punto direi che è meglio fermarci, o
potremmo farci male senza
comunque conseguire alcun risultato.
Non
mi trovavo d’accordo: per una
volta c’era un incantesimo che mi interessava davvero
imparare e non volevo
rinunciarci a causa di un utensile da cucina che si era surriscaldato.
-Sono
più abituato a mani nude mi
sa... Provo così: Deluxon!
Finalmente
le due fiamme si
decisero a schiodarsi dalle loro sedi per trasferirsi
all’interno del palmo
della mia mano destra, che adesso provava la singolare sensazione di un
calore
di natura esterna ma che si propagava all’interno della mia
pelle. Avrei dovuto
annullare il Deluxon con il Denoctis, ma a questo punto ero deciso a
provare uno dei precedenti incantesimi senza l’ausilio del
cucchiaione.
-Lumos!
Il
tepore intenso che provavo al
di sotto della cute si manifestò in tutta la sua
brillantezza sottoforma di una
sfera uniforme che poggiava delicatamente sulle estremità
dei miei
polpastrelli: era una sensazione fantastica.
Dio,
mi sento Goku! Solo che adesso mi lacrimano gli occhi, la luce
è troppo
forte...
Stringendo
il pugno rilasciai
l’incanto pronunciando sommessamente Nox.
Il camino tornò a divampare animatamente, ma qualcosa
dovette andare storto per
la fiammella della lanterna, perché si estinse del tutto.
Clap!
Clap!
-Magnifico!
Davvero magnifico!
Avevo ventun anni e ci ho comunque impiegato due settimane ad imparare
un
incantesimo che tu sei riuscito a padroneggiare con così
tanta maestria! E
l’effetto che fa una sfera di luce sulla mano nuda... Ripeto:
magnifico!
-Bello,
eh? Peccato che non posso
mostrarlo a nessun altro all’infuori di queste lezioni... Ci
sarebbero alcuni
ragazzetti che necessiterebbero una lezione su chi è un vero
mago oppure no.
-Già,
è un peccato, ma tieni duro
per queste settimane, una volta ottenuta la tua bacchetta potrai uscire
allo
scoperto, anche se terrei sempre per me il fatto di saper lanciare
incantesimi
senza l’ausilio di catalizzatori magici... Sai
com’è, se non altro per avere un
asso nella manica in caso di necessità.
-Effettivamente
è vero.
-Ho
solo un paio di cose da
aggiungere sul Deluxon: primo, non
puoi delumizzare fonti di luce
provenienti da elementi magici o chimici. I primi perché
semplicemente non
puoi, non contengono alcuna base energetica alla quale togliere il
potenziale
luminoso, i secondi perché si rinnovano ogni istante e anche
se riuscissi ad
assorbirne le radiazioni in un preciso momento, in quello successivo ne
nascerebbero di nuove, vanificando il tuo sforzo... Per farla breve, se
provi a
delumizzare il ventre di una
lucciola
fallirai, così come tutte quelle fonti di luce che si basano
su principi
simili. Secondo, sebbene teoricamente è possibile delumizzare il sole e le stelle, esse
sono troppo grandi e lontane
per poterci riuscire, perciò non provarci, ti risparmio
questa delusione che
tutti gli studenti che si apprestano allo studio della delumizzazione
prima o poi provano, compreso me. Volevo scrivere il
nome della mia ragazza con le stelle di una notte d’estate,
ma l’unica cosa che
ottenni fu una sonora figuraccia.
Ma
è così assurda come pretesa che non ci avrei
minimamente pensato...
-Guarda
che ore sono: tutti
questi incantesimi e abbiamo comunque finito dodici minuti prima del
termine
della lezione di Difesa. Incredibile, vero? Ah, un’ultima
cosa: Piton questa
mattina vi ha parlato della Pomata Lucida Ottoni, vero?
-Sì,
ci ha pure chiesto di
riprodurla la settimana prossima e di trascrivere una relazione sui
possibili
usi di tale crema.
-Perfetto.
Se mai ti chiederà
perché non la si usa per lucidare altri metalli la risposta
è perché
semplicemente non avrebbe effetto, tranne che sul ferro, che lo ossida
irreversibilmente. E’ una domanda infame che fa agli studenti
ogni anno, non è
scritta in alcun libro di testo e quindi ci cascano tutti... Tu non
farti
trovare impreparato.
-Beh,
allora grazie signore.
-Di
nulla, non ho mai sopportato
i suoi metodi così umilianti. Credo potremmo congedarci qui,
tu ti sei
indubbiamente meritato qualche minuto di riposo, mentre io ho un bagno
turco
che mi attende.
Allora
è meglio che me la squagli alla svelta...
-Non
è possibile: posso
comprendere le tue sparizioni durante le ore buche, ma non presentarsi
perfino
alle lezioni, è inconcepibile! Eri di nuovo in punizione con
Piton?
Fred
mi stava rimproverando la
mia assenza alla lezione di DCAO di quel pomeriggio in Sala Grande.
-Lupin
non vi ha detto nulla?
-Ha
farfugliato qualcosa sul
fatto che per la tua situazione è stato deciso che
è meglio che studi
privatamente le parti più teoriche delle materie, in modo da
non rallentare
eccessivamente il decorso delle nostre lezioni, ma a questo punto che
senso ha
venire a scuola?
-Già,
non è molto sensato... Chomp!
Rupert
doveva immischiarsi per
forza, anche con la bocca piena di ravioli alla panna.
-E’
solo una situazione
temporanea, fino a quando anch’io avrò la mia
bacchetta, poi frequenterò le
vostre stesse lezioni. E comunque so già tutto di quello che
Lupin vi ha
insegnato oggi: l’incanto Lumos.
-Sì,
ma non parlo soltanto dei
contenuti delle lezioni, ma di tutto ciò che ti perdi in
questo modo. Ad
esempio oggi siamo ritornati all’Ala Vecchia per esercitarci
in questo nuovo
incantesimo e siamo entrati in una stanza talmente buia che non si
vedeva ad un
palmo dal naso. Quel furbone di McBumble fa cadere la sua bacchetta per
terra e
così ci siamo messi tutti a cercarla facendo luce coi
lumicini prodotti dalle
nostre bacchette. Solo che chi la trovava anziché prenderla
la calciava più
lontano, in modo da farla smarrire nuovamente tra le tenebre... Tutto
bellissimo, finché quell’altro genio di Dogan non
ha esagerato come suo solito
e l’ha calciata così forte da fargli fare un tale
chiasso che era impossibile
non capire dove si trovasse anche al buio, così Lupin ha
posto fine al gioco
raccogliendola al posto nostro. La faccenda è comunque
durata parecchio, almeno
una decina di minuti.
-Bum!
L’hai sparata! Saranno
stati cinque minuti scarsi al massimo...
Effettivamente
da come l’avevano
raccontata sembrava mi fossi perso una lezione davvero divertente, un
vero
peccato.
-Vediamo
cosa abbiamo qui... Umh,
una trasfigurazione davvero complessa devo dire: trasformare un comune
sasso in
un pezzo di marmo. Metterà a dura prova uno studente che
riesce a tramutare un
candelabro in una tartaruga senza il minimo sforzo.
-A
dire il vero il candelabro lo trasformo
in un lumacone nelle due varianti con o senza guscio.
-Bah,
è lo stesso... Per te sarà
una bazzecola. L’incanto da usare è il Litomors,
provaci su.
Una
volta riuscito alla
perfezione anche questo incantesimo, il mio tutore mi spronò
a variare la
trasfigurazione modificando il minerale finale. Così
trasformai il marmo in
tufo, il tufo in argilla e l’argilla in gesso, anche se
quest’ultimo venne
piuttosto annacquato rispetto alle mie aspettative.
-Troppo
semplice, vero? Guarda,
vai in camera tua e sfrutta questo tempo libero per studiare bene dal
libro di
testo tutta la parte riguardante alle rune degli Intenti Inanimati e
alle varie
convenzioni che sono state adottate per questi tipi di trasfigurazioni,
perché
al primo anno più che sulla pratica la McGranitt punta alla
fermezza dei
concetti teorici. Ci vediamo domani pomeriggio.
-Non
dirmelo: mi sono perso
un’altra entusiasmante lezione. Avete trasfigurato la testa
di Miller in un
opale.
-Questa
volta no, anzi...
tutt’altro. E’ stata la lezione più
barbosa dell’anno finora, neanche Storia
della Magia riuscirebbe a farmi sbadigliare tanto.
Ma
Fred si sarebbe ricreduto il
mattino immediatamente successivo, alla lezione del professor
Rüf.
-Basta!
Ma è possibile che debba
raccontare vita, morte e miracoli di ogni essere umano apparso in
questa terra?
-Dato
che come vi avevo già
annunciato, quasi metà del programma di Storia della Magia
di quest’anno si
sarebbe concentrato sulla storia e la fondazione di Hogwarts, adesso
facciamo
un doveroso salto temporale di una decina di millenni, che ci trasporta
all’incirca al 980 d.C., periodo della fondazione della
nostra scuola. Come già
saprete, la scuola fu fondata dai quattro maghi a cui devono il nome le
vostre
Case: Godric Grifondoro, Salazar Serpeverde, Cosetta Corvonero e Tosca
Tassorosso, per dare un punto di riferimento a tutti i maghi e le
streghe che avessero
voluto coltivare i propri talenti all’interno di una
comunità accademica e
progressista. Di loro parleremo specificatamente più avanti
nel corso, mentre da
questa lezione fino alla fine del prossimo mese ci soffermeremo sulle
motivazioni sociali, politiche e geografiche della scelta di questo
lembo di
valle come sede di ciò che nei secoli diverrà la
più importante scuola di magia
e stregoneria del Commonwealth britannico. Perciò prendete
appunti, segnalatevi
i libri di testo che man mano vi elencherò perché
entro Novembre dovrete
consegnare un vostro progetto, anche collettivo se volete, che dimostri
la
vostra pedissequa conoscenza della storia e delle usanze di questa
scuola e di
ciò che rappresenta nelle società di ieri e di
oggi.
Perfetto,
la mia idea di fare una mappa dell’intero castello adesso ha
pure una
motivazione scolastica: mi farò aiutare da Brendan e da
chiunque altro abbia il
coraggio di impelagarsi in un progetto tanto folle.
-Nooo...
Il
resto della classe non
sembrava aver preso positivamente la notizia come me.
-Eh
si, questa volta sarà dura, Ragazzo,
durissima. Far levitare una
pesantissima piuma d’oca... E adesso come facciamo?
Sapevo
che come al solito il
professor Wilkins stava facendo il sarcastico, ma se non mi svelava
almeno il
nome dell’incantesimo da utilizzare, riuscirci era davvero
dura.
-Agita
e colpisci, niente di più
semplice: Wingardium Leviosa! Ecco
fatto, se muovi la bacchetta in una determinata direzione, la piuma la
seguirà
e se rilasci l’incanto, essa cadrà
perché senza più alcuna forza che la tenga
sollevata da terra. Ovvio. Basilare. Elementare.
-Wingardium Leviosa!
La
grossa penna d’oca che era
dinanzi a me iniziò a fluttuare comandata dal mio volere.
Poteva anche essere un
incantesimo di semplice esecuzione, ma era comunque di grande effetto e
dava le
sue belle soddisfazioni.
-Ovviamente
esistono anche altri
sortilegi più o meno complessi che prevedono la levitazione
di oggetti, tra cui
i più utili e noti sono il Levitate
ed il Levicorpus. Il primo potremmo
anche provarlo perché non è altro che un
incantesimo che solleva da terra un
corpo per un certo periodo di tempo senza la necessità di
controllare
l’esecuzione come nel caso del Wingardium
Leviosa, mentre il secondo è una fattura che
colpisce gli esseri umani e,
dato che qui dentro oltre a te ci sono solo io, e di certo non voglio
finire a testa
in giù, diciamo che questo per il momento lo saltiamo. Tanto
lo si impara
soltanto al quinto anno, quindi non abbiamo poi tutta questa fretta.
-Quindi
abbiamo finito?
-Tecnicamente
sì, ma non possiamo
chiudere dopo soli dieci minuti, non credi? Visto che questa volta hai
ben poco
da studiare dal libro di Incantesimi, perché non ci portiamo
avanti col lavoro
prevedendo ciò che gli altri insegnanti ti insegneranno
nelle prossime lezioni?
Iniziamo da Erbologia: mi gioco la gamba buona che la professoressa
Sprite vi
parlerà del...
-Aguamenti, uno degli incantesimi
più utili che un aspirante
erbologo potrà mai apprendere. Come vi avevo accennato la
settimana scorsa i
Digitali Silvani sbocciano soltanto in presenza di maghi e streghe
nelle
prossime vicinanze e solo se innaffiati a dovere. A proposito, avete
svolto un
ottimo lavoro riguardo la ricerca che vi avevo assegnato
giovedì scorso, alcuni
di voi hanno persino corredato i loro compiti con delle foto dei
boccioli, non
potevo che premiarli con un Eccezionale, complimenti davvero.
Il
gruppetto con il quale ho
collaborato per il compito si scambiò pacche sulle spalle e
stette di mano,
pregustandosi il primo buon voto della nostra carriera scolastica.
-Come
dicevo, bisogna bagnare la
superficie esterna delle campane dei Digitali Silvani se vogliamo
sfruttare la
loro proprietà di attrazione per i Dissennatori,
perciò esigo che voi tutti
imparerete ad usare alla perfezione quest’incantesimo tanto
importante. Capisco
che non è una magia adatta al vostro livello ancora acerbo,
ma non abbiamo
fretta: dedicheremo l’intera lezione di oggi
all’apprendimento di questo
complesso incantesimo. E’ difficile perché vi
costringe ad attingere all’acqua
che fino ad un momento prima era semplicemente il vapore acqueo
presente
nell’atmosfera, per concentrarlo nelle punte delle vostre
bacchette.
-E’
una sciocchezza: insomma,
dopo che hai creato un sole artificiale in una camera da letto,
figurati se
avrai problemi nel produrre un po’ d’acqua per
annaffiare quattro fiorellini.
Innalziamo un po’ il tasso di difficoltà, passiamo
direttamente all’Aquaeructo!
-Signorina
Carrow, vuole provarci
lei? Stringa bene la sua bacchetta tra le mani... Sì,
entrambe, perché il getto
che ne scaturisce potrebbe sbilanciarti e fartela perdere. Ok, brava
così...
Adesso ripeta con me: Aguamenti!
-Il
segreto sta tutto nella posa
e nella sicurezza dei movimenti: se parti curvo o impaurito, allora
preparati a
farti un bagno con le tue stesse mani. Se invece rimani rigido nella
posizione
ma allo stesso tempo rendi flessibili le tue articolazioni, nulla
potrà farti
perdere l’equilibrio e potrai inondare l’intera
serra di Erbologia senza
battere ciglio!
-Non
fa nulla Flora... Sei Flora,
vero? Che bel nome... E’ comunque normale fallire la prima
volta, riprovaci.
Questa volta però sii più convinta!
-Aguamenti!
-Sei
pronto? Mi raccomando, mira
alla vasca, che se sbagli inondi tutto...
-Sisi,
non c’è bisogno che me lo
ripete cento volte... Aquaeructo!
Dalla
bacchetta di Flora Carrow
sgorgò della limpida acqua cristallina, che
idratò delicatamente i piccoli
boccioli di Digitale Silvano, che si aprirono lentamente come
svegliatisi da un
tenero sonno. Dalle mie mani incrociate scaturì invece un
flusso idrico
talmente potente da farmi ribaltare e cadere sulla schiena,
cosicché il getto
si riversò in aria, trasformandosi in
un’incessante pioggia torrenziale.
-Stacca
le braccia, per Diana!
Riotteni
il controllo della
situazione quando ormai era troppo tardi: l’intero bagno era
ormai allagato e
sia io che il mio insegnate eravamo zuppi fino al midollo.
-Puah!
Me lo dovevo immaginare,
ci sono incantesimi che non possono assolutamente essere insegnati al
chiuso...
Scemo io che ci ho provato lo stesso.
-Mi
scusi professore, mi dispiace
davvero tanto, io non credevo...
-Tranquillo,
è solo acqua
dopotutto. Almeno adesso sai come provocare un allagamento, in caso
qualche
compagno ti incendi le mutande.
-A
quanto mi hanno detto da
questa mattina siete diventati esperti evocatori d’acqua...
E’ un bene perché
proprio l’acqua è l’ingrediente
preponderante nella miscela di oggi. Prendete
un bacile e riempitelo per tre quarti d’acqua, poi seguite
alla lettera le
istruzioni di pagina ventitre e ventiquattro del vostro libro per
preparare la
pozione Scioglipietra. Avete due ore di tempo.
-Invece
il professor Lupin
venerdì mattina cosa ci insegnerà?
-Beh,
se non ricordo male, dopo
il Verdimillius e il Lumos
tocca al Flipendo, un...
-Utile
incantesimo di difesa, ma volendo
anche di attacco, se si ha a che fare con animali o piccole creature
dei
boschi. E’ una sfera di energia magica che parte dalla punta
della bacchetta
del mago e che viene lanciata con una forza variabile, a seconda degli
usi che
se ne vuole fare.
-Professore,
cosa intende
esattamente per piccole creature dei boschi?
-Ah,
domanda interessante.
Intendo tutte quelle creature magiche che non sono particolarmente
intelligenti
né aggressive, che possono spaventarsi alla vista di un
grosso pallone luminoso
che vola in loro direzione.
-Può
servire anche a spingere e a
capovolgere oggetti leggeri o mediamente pesanti e, se lanciato con
particolare
forza, può persino rompere strutture costituite da materiali
fragili o
irrimediabilmente intaccati. Ma visto che per la difesa personale
esistono un
sacco di fatture, per spingere e ribaltare gli oggetti esiste il Depulso e per rompere e distruggere,
niente è meglio del buon vecchio Reducto,
il Flipendo in definitiva
è un
incantesimo inutile.
-Un
versatilissimo strumento per
i maghi alle prime armi: con la lezione di oggi avrete modo di
saggiarne le sue
mille utilità. Walter, vuoi farci vedere tu come si
può usare il Flipendo
per spostare senza fatica
questa pesante cassa di palloni da Quidditch?
-Insomma,
mi vuole far credere
che tutto il primo anno sarà costellato da insegnamenti ed
incantesimi inutili?
-Io
non ho mai detto questo, però
per larga parte sì. Ma non lo dire in giro... Acqua in
bocca, oltre che nei
nostri vestiti!
Arrivarono
infine il venerdì sera
ed il sabato mattina, dove il professor Wilkins non poté
aiutarmi a prevedere
gli argomenti delle lezioni. Il che si trasformò in una noia
mortale per la
prima materia e una tragedia isterica per la seconda.
-Quest’oggi
parleremo e
osserveremo da vicino le più importanti costellazioni
visibili dal nostro
osservatorio.
Dove
per più importanti la
professoressa Sinistra intendeva tutte quelle
presenti nel libro, anche quelle che non erano più visibili
da almeno 300 anni
causa allineamento avverso dei pianeti.
-Ma
dove li vedevano i cigni, i
leoni, gli orsi e gli arcieri gli astronomi del passato? Erano tutti
strafatti
di una qualche
sostanza illegale?
-Signor
Runcorn, anche se sono
quasi le due del mattino, non è autorizzato a fare commenti
del genere.
-Ma
se non parlo, qui crollo...
-Fai
come Sullivan, che sta
osservando la costellazione del Grande Carro da più di
un’ora!
-Signor
Bones, ma sta dormendo
appoggiato al cannocchiale?
-Dimmi
Ragazzo, qual è il tuo
problema? Tutti gli altri tuoi compagni sono
riusciti a superare il percorso guidato già da un pezzo!
-Non
lo so, Madama Bumb,
veramente... Io ci provo, ma barcollo sempre e poi poggio i piedi per
terra.
Forse è la scopa che non funziona: l’ho presa
usata e non vorrei fosse
difettosa...
-No,
non è la scopa il problema,
altrimenti non si sarebbe alzata nemmeno di un pollice. Hai paura delle
altezze?
-Paura?
No, perché dovrei...
-Chi
lo potrebbe sapere meglio di
te: da bambino sei mai caduto da un posto in alto, o è
caduto un tuo
famigliare?
-No
no, non credo proprio. Al
massimo avevo l’insensato timore di darmi così
tanta spinta sull’altalena da
farmi fare un giro completo per poi spiaccicarmi la faccia al suolo.
-Davvero?
Sull’altalena?
-Sì,
perché?
Così
mi ritrovai appeso per i
fianchi sul cornicione della Torre di Allenamento del Quidditch per
un’ora e
mezza: un salto di più di dodici metri che al solo guardarlo
mi venivano i
crampi allo stomaco.
-E’
per il tuo bene Ragazzo, credimi!
Vedrai che sabato
prossimo riuscirai a volare come tutti gli altri!
Da
lassù l’insegnante di Volo
sembrava veramente minuscola ed insignificante, chissà come
avrebbe reagito se
le avessi sputato da dodici metri di altezza.
Una
volta sceso a terra notai di
aver guadagnato una perenne sensazione di nausea ed un nuovo amichevole
appellativo: Gargoyle, come se Ragazzo già non mi bastasse.
Per
fortuna però alla lezione
pomeridiana d’Inglese della professoressa Burbage, riuscii a
dimostrare la mia
bravura nella stesura dei temi che l’insegnante ci aveva
lasciato per verifica.
Avevo deciso di disattivare il Logos
Comprehendi per approfittare il più possibile
degli insegnamenti del
docente, poiché anche se commettevo parecchie sviste, quelle
lezioni non
prevedevano voti e non rischiavo di venir bocciato. Sorprendentemente
commisi
pochi errori e quasi tutti riguardanti le forme al passato e al
condizionale,
miei già ben noti punti dolenti, così come fu
inaspettata la massiccia presenza
dei miei compagni di anno che, a parte di un paio di prevedibili
assenze, hanno
deciso di frequentare quest’ennesimo corso per paura di
venire cannibalizzati da
Piton.
-Ho
una bellissima notizia per
voi, giovani maghi e giovani streghe del primo anno: una mia brillante
allieva
del terzo anno si è offerta volontaria nel correggere i
vostri compiti di
Pozioni di questa settimana. Alla fine della lezione per tutto il resto
della
giornata di oggi e per quella di domani sarà a vostra
disposizione se avrete la
necessità di farle visionare le vostre relazioni. Vieni qui
Hermione, fatti
conoscere da questi angioletti.
-Ehm,
salve... Come ha già detto
la professoressa Burbage sono disponibile sia oggi che domani presso la
Biblioteca della scuola per farvi da tutor e aiutarvi nei ben noti
difficoltosi
compiti di Pozioni. Spero verrete in tanti così faremo
reciproca conoscenza.
Dove
ho già visto questa tipa? Ah già, al Paiolo
Magico... E’ una degli svalvolati
che sono andati in Egitto quest’estate.
-Bene,
puoi andare Hermione, sono
sicura che presto riceverai molte visite da parte loro, sono
volenterosi: si
vede.
-Ah,
io ci vado di sicuro: nella
Sala Comune dei Grifondoro non si fa altro che parlare di lei e dei
suoi voti
scandalosi in ogni materia. Se è vera solo la
metà delle cose che ho sentito
sul suo conto ho comunque risolto i miei problemi con Piton.
Ciò
che disse Matheus mi rincuorò
in qualche modo: forse non era poi così svitata come pensavo.
Passai
il resto della serata
cercando di rendere il più presentabile possibile il mio
testo da far
correggere alla tipa di Grifondoro il giorno dopo ma, verso le sette,
esausto
anche per via della nottata in bianco della sera prima, crollai
saltando pure
la cena. Mi svegliai soltanto il mattino dopo sotto gli insistenti
richiami di
Muthsera che reclamava disperatamente acqua e cibo.
Dannazione,
mi sono completamente dimenticato di Muthsera e Rudra, spero che il mio
gufo
non sia morto di fame...
Era
dura passare dal non avere
nessun animale domestico al possederne due alla volta: alcune azioni
abitudinarie dovevano ancora entrarmi in testa.
-Sì, adesso scendo in Sala Grande e
prendo qualcosa da mangiare... Anche
io ho digiunato ieri, sai?
-Io
digiuno da otto giorni, mannaggia a te!
-Sono
stato occupato, lo sai...
-Almeno
potevi farmi tornare serpente, mi sarei arrangiato, sento proprio le
fitte
della fame...
Lasciai
Muthsera ai suoi soliti
piagnistei e mi diressi verso la Sala Grande, avrebbe giovato pure a
lui se mi
fossi affrettato a tornare con un po’ di vettovaglie.
L’insipida colazione
Hogwartsiana sembrava meno insapore quando si moriva di fame, feci
addirittura
il bis di pane alla crusca con marmellata di un qualche melenso frutto
di
provenienza gallese.
-E
vai, la posta della domenica!
Come
la settimana prima un
nutrito gruppo di gufi scese in picchiata sui nostri tavoli per
consegnare la
posta ai legittimi destinatari. Rudra non sembrava poi così
deperito, ma gli
avrei comunque fatto una visitina nel pomeriggio per pulirgli la
cuccetta e
rifornirlo di becchime per la settimana successiva.
-Ooh,
stavolta nessuna lettera da
parte dei miei, forse si sono offesi delle mie mancate risposte alle
loro
ultime due missive... Meglio così. Allora questo
cos’è? Ah già, il pacco che
avevo ordinato da Hogsmeade.
Attorno
a me s’era creata un po’
di calca.
-Aprilo!
-Aspettate,
devo godermi questo
momento il più possibile...
Allontanai
tutti i possibili
ingombri dall’area di apertura dello scatolo e congedai il
mio gufo, infine
iniziai a spillare poco alla volta l’involucro protettivo del
pacco e ne tirai
fuori il contenuto: un elegante Folio Magi con copertina rossa e
decisamente poco
eleganti righe in ciano aggiornato al 31 dicembre 2000, una confezione
di cinque
Cioccorane compresa nel prezzo dell’album di figurine e un
blocchetto di dodici
fogli bianchi che dovevano essere i foglietti Cerca&Trova.
-Apri
una Cioccorana!
-Ma
non erano cose troppo
infantili per voi?
-Ma
ormai le hai comprate, tanto
vale vedere cosa hai beccato.
-E
vabbè. Ma solo una, le altre
me le riservo per qualche altro giorno. Umh, Nicholas Flamel...
E’ raro?
-Fino
all’anno scorso lo era, poi
ne hanno ristampate decine di migliaia di copie e adesso ce
l’hanno tutti, mi
pare combinò qualcosa di grosso l’anno scorso, per
questo lo hanno riproposto
in gran spolvero.
-Ah,
ma perché, è ancora viva
‘sta mummia? Sembra uscito da un’illustrazione del
libro di Storia della Magia.
-Dietro
c’è una breve biografia:
se non appare la data di morte evidentemente è ancora in
giro.
-Non
ci credo, ha cinquecentoventidue
anni, impressionante. Ho speso bene i miei soldi, questo Folio Magi
sarà pieno
di gente straordinaria come lui.
-E
la Cioccorana?
-Poi
me la mangio, non ho più
fame dopo questo schifo di pane di segale... Non è che ho
Piton alle spalle,
vero?
-No,
questa volta no, tranquillo.
-Comunque
se volete ve ne posso
offrire un pezzetto l’uno.
-Ci
sto!
-Anch’io.
-Grazie!
-Mi
prenoto!
-Visto
che lo prendete tutti, ne prendo un pezzetto
anch’io!
Dopo
aver diviso la ranocchia con tutti i miei compagni Serpeverde, era
rimasta solo
una zampetta che decisi di darla a Muthsera più tardi.
-Adesso
prova i foglietti!
Le brevi
istruzioni non condividevano nuove informazioni rispetto a quelle
già contenute
nel catalogo dei prodotti: praticamente dovevo scrivere il nome di una
persona
qualsiasi e questi pezzetti di carta si sarebbero diretti autonomamente
verso
il loro obiettivo, sia esso vicino o lontano nel tempo e nello spazio.
Poi li
avrebbero ricondotti da me.
-Prima
proviamo con qualcosa di semplice, poi magari se funzionano alziamo il
tiro.
-Che
intendi dire?
-Ora
vedrai... Sto scrivendo...
Una
volta terminato di scrivere il nome della persona a cui avrei voluto
rompere le
scatole il foglietto si animò e si diresse in sua direzione.
-Uh? E
questo cos’è?
Il primo
foglietto Cerca&Trova aveva centrato il suo bersaglio: si era
appiccicato
sulla fronte di Elizabeth Gaunt, dall’altra parte del tavolo
dei Serpeverde.
-C’è
il
mio nome sopra, chi l’ha scritto?
Scoppiammo
tutti a ridere.
-Scemi.
-Allora
funzionano davvero!
-Chi
scriviamo adesso?
-Andateci
piano, sono soltanto dodici, adesso undici, potrebbero servire per
qualcosa di
più utile di qualche stupido scherzo!
-Ad
esempio?
-Non lo
so, magari per avvisare qualcuno di un pericolo...
-Ma
l’hai visto con quale lentezza svolazzano questi cosi? Se
aspetti di essere
salvato da queste cartine sei morto tre volte!
-Io
avrei un’idea, ma sicuramente non sono così
potenti come dice la confezione...
Liz era un bersaglio facile perché era seduta qui con noi e
fa parte della
nostra epoca, ma chi ho in mente io...
-E chi
di preciso?
-Grifondoro!
Uno dei quattro fondatori della scuola di cui ci parlava il professor
Rüf.
Magari proprio mentre sta poggiando la prima pietra gli si spalma in
fronte
questo pezzetto di carta... Guardate, ha preso il volo!
-Bah,
hai sprecato un fogliettino: è impossibile che viaggino nel
tempo.
-Lo so,
ma sono curioso di vedere cosa combina lo stesso, magari va in errore e
si
riappiccica in fronte a Liz!
-E
invece se n’è proprio andato! E’ appena
uscito dalla Sala Grande...
-Magari
è alla ricerca di un suo discendente.
-Allora
aspetta e spera!
-Tieni, fattela bastare almeno fino a pranzo,
non c’era niente di meglio di sopra...
-Ma è una zampa di cioccolato!
Non posso assumere tutti questi zuccheri, mi verrebbe il diabete!
-E’ piccolina, giusto per tappare
il buco e ridarti un po’ di energia... E poi è una
zampa di rospo, asseconda la
tua natura di predatore!
-Sai che in Africa ci sono rospi
così grossi che ingeriscono gli esemplari più
piccoli della mia specie?
-Certo che lo so, te l’ho letto
io dal libro di ser Uppercut.
-Era per farti ricordare che non
siamo così in alto nella catena alimentare...
-Tranquillo, so bene che la tua
razza è una delle più sfigate in natura, ora
però fammi finire questa relazione
a cui mancano solo le conclusioni.
Prima di
posare dentro il cassetto del comodino il Folio Magi però
decisi di dare una
rapida occhiata al suo interno.
C’è persino la sezione dei
vampiri
famosi, allora sono reali, chissà se lo sono pure i lupi
mannari e le bambole
assassine... Ecco qua la sezione dei licantropi più celebri,
invece nessuna
traccia di pupazzi malefici, peccato.
Secondo
la didascalia che appariva nel riquadro sottostante ad una figurina
mancante
però si faceva menzione ad uno psicopatico vissuto tra la
fine del diciottesimo
secolo e la prima metà del diciannovesimo che aveva stregato
tutte le
marionette del suo negozio di giocattoli per utilizzarle come mezzo per
rapire
ed uccidere gli sventurati bambini che avevano avuto la sfortuna di
metter
piede all’interno della sua bottega. I giornali di cronaca
dell’epoca chiamarono
il suo caso The Children Carny Vale, che si sarebbe potuto tradurre con
l’addio
dell’ammaliatore di fanciulli.
Che scelta di cattivo gusto... E
solo per far leva sul gioco di parole con Carnival poi, cioè
parco giochi in
inglese. Adesso torniamo alla realtà però...
Dannata Pomata Lucida Ottoni, ti
sto odiando!
Per
pranzo nelle cucine qualcuno aveva avuto la brillante idea di rovinare
delle
gustose ali di pollo cospargendole di caramello, rendendole
immangiabili. Ciò
che più mi colpì però fu la presenza
di un foglietto di carta piegato sul mio
sottopiatto, aprendolo lessi una specie di indovinello che recitava
così:
“Se di giocare voglia avete
state lontani dalla bottega del
carnefice.
Bambini vi avverto, con me non vi
divertirete
perché dei balocchi killer io sono
l’artefice.
Chi sono?”
E questa filastrocca cos’è?
Chi l’ha
scritta e come fa a sapere che ho letto proprio quella pagina del mio
Folio
Magi?
Nonostante
le mie perplessità non riuscii comunque a trattenermi
dall’inserire la risposta
al quesito, scrivendo col grasso del pollo “The Children
Carny Vale”.
-Grazie.
Una mano
sbucò dallo spazio tra me e Liam e si accaparrò
il foglietto con la mia
risposta. Girandomi vidi che il braccio apparteneva ad un ragazzo
più grande,
ma non riuscii ad identificarlo, né a capire a quale Casa
appartenesse, perché
si dileguò immediatamente dopo tra la folla della Sala
Grande.
-L’hai
visto?
-Visto
cosa?
-Lascia
perdere...
Un
episodio simile si ripresentò più tardi, in
Guferia, dove mentre ero propenso a
pulire la cuccetta di Rudra, tra la sua segale notai un altro foglietto
piegato, con su impresso un suo indovinello.
“La vita è dura ed io lo so
bene
per questo ho inventato il
Rimuovi Odore.
E se oltre a lavare, dei capi il
colore mantiene
per dedicarsi ad altro adesso la gente
ha le ore!
Chi sono?”
Questa volta non lo so e comunque
non avrei risposto... Cos’è questa storia?
Stavo
iniziando ad innervosirmi e a preoccuparmi allo stesso tempo, temevo
che quel
tizio fosse in agguato dietro qualche angolo attendendo una mia
risposta.
-C’è
qualcuno?
Ma
nessuno rispose, così terminai di pensare alla pulizia del
mio gufo e mi
fiondai subito in Biblioteca, per stare in un posto con più
persone possibili.
-Mi
sembri distratto, cerchi qualcosa?
-No,
è
che... Niente, continua per favore.
La
ragazza di nome Hermione stava correggendo il mio lavoro, ma si era
comunque accorta
del mio stato d’animo guardingo, così decisi di
smetterla momentaneamente con
la caccia allo stalker e ai suoi fogliettini per concentrarmi solo sui
suoi
consigli.
-Non
c’è
male, io avrei cambiato l’ordine di questi due periodi...
Vedi questo è
subordinato, mentre quest’altro è più
principale rispetto al primo. Così la
forma indiretta si evita e la lettura risulta più scorrevole.
-Sì,
certo.
A me
sembravano solo delle esagerazioni: si trattava sempre di una relazione
scolastica non di un romanzo rosa.
-Come
mai ti stai dando così da fare per noi?
-Per
noia più che altro. Il corso di Babbanologia per un Nato
Babbano è troppo
semplice e così, visto che non devo studiare, occupo il mio
tempo aiutando la
professoressa Burbage in ogni modo... E questo è uno di essi.
-Ah,
allora
grazie.
-Figurati.
E questa frase qui: “La Pomata Lucida Ottoni non viene
adoperata per ridare
tono agli altri metalli poiché non sono stati riscontrati
effetti degni di
nota, tranne che sul ferro che lo ossida irreversibilmente”,
da dove è saltata
fuori?
-Perché,
è sbagliata?
-No, ma
non
è scritta da nessuna parte nel libro.
Conosce il libro di Pozioni del
primo anno a memoria per caso?
-Ce
l’ha
detto Piton, durante la lezione...
-Davvero?
Nessun altro tuo compagno a cui ho corretto il compito lo ha scritto,
tu sei il
primo.
-E...
Forse
perché me lo sono ricordato solo io!
Non
sapevo più che pesci pigliare, non potevo mica rivelare di
avere un insegnante
privato.
-Umh,
sarà... O semplicemente ai Serpeverde Piton riserva un
trattamento di favore,
non è vero?
-No,
cioè non lo so... A me non è sembrato.
-Ok, ti
credo: continuiamo.
A parole
mi avrà pure creduto, ma da quel momento in poi si
è mantenuta fredda, correggendo
i miei errori senza più commentarli e, una volta terminato
il lavoro, congedandomi
con una sbrigativa stretta di mano.
-Ho
altri compiti da correggere.
Intanto
io avevo appena trovato un altro di quei foglietti tra le pagine del
mio libro
di Pozioni.
“Se l’aria estiva è
troppo secca
e le tue piante per mancanza d’acqua
soffrono
sta’ calmo perché il mio
Fertilsorpresa non fa mai cilecca,
così anche nel Montgomery le
angurie crescono!
Chi sono?”
-Un
grandissimo idiota, ecco chi sei! Vuoi uscire fuori? So che mi stai
seguendo!
Ancora
nessuna risposta. Indisposto mi avviai quindi nella Sala Comune dalla
mia Casa,
magari avrei scoperto che si trattava solo di uno stupido scherzo dei
miei
compagni. Lungo il corridoio dei Sotterranei fui però
trattenuto dalla vista di
un altro di quei fogliettini, che mi si stava avvicinando fluttuando.
-Adesso
basta però, vieni fuori!
-Non
è
educato rivolgersi in questo modo alle persone più grandi di
te, giovanotto.
Un’indefinita
figura umana dagli abiti antichi e signorili e dalla capigliatura
legata con
fascette di seta si palesò di fronte ai miei occhi. Era viva
ma allo stesso
tempo immobile, reale ma allo stesso tempo vuota: mi ci volle un
po’ per capire
di trovarmi di fronte ad un fantasma.
-E lei
chi sarebbe? Cosa vuole da me?
-Cosa
vorrei io da te? Sei tu ad avermi sollecitato a venire.
-Io? Impossibile...
Solo
dopo mi resi conto che il foglietto che tenevo fra le mani era
più piccolo di
quelli che avevo ricevuto per tutto il giorno: era uno dei miei fogli
Cerca&Trova, quello su cui avevo annotato il nome di Grifondoro.
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