Missing in a loom - Dispersi in una tela

di Suru_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alba di morte ***
Capitolo 2: *** Il sangue di una canzone ***



Capitolo 1
*** Alba di morte ***


Disperdersi in una tela ff cn Sofi 2

Alba Di Morte

 

 

Caro mi è ‘l sonno, e più l’essere di sasso

Mentre che il danno e la vergogna dura:

non veder, non sentir, m’è gran ventura;

Però non mi destar; deh, parla basso

 

Michelangelo Buonarroti

 

 

 

Vi siete mai chiesti quale sia la forza che lega la vita di ognuno? Qual’ è l’ infante dettaglio che cambia il corso di un filato centenario?

C’è un filo che lega ogni futuro, ogni presente ed ogni passato. E’ un filo flebile, un refe dove le anime si sostengono in equilibrio precario, sollevate solo dalla speranza.

Esiste una tela, una larga evoluzione del tempo, che percorre milioni di corpi e ne stabilisce il percorso, come marionette.

E capita, che certe volte, un filamento si spezzi, ceda prima di terminare il proprio cammino. Allora un’anima cade, precipita nel buio, inseguita dagli sguardi memori della gente che continua il suo cammino, con risentimento, provando una tremenda apprensione ed avvicinandosi sempre più alla morte, al termine di tutto.

Può succedere, che poi qualcosa cambi all’improvviso. Avvenga uno sbaglio o forse un mutamento premeditato. Allora pensi di aver cambiato il tuo percorso, ed invece sei stato solo illuso. Perché anche quella falsificazione non è avvenuta per caso.

Ogni cosa è al suo posto e lo sarà sempre. Tutto è amplificato nel limbo della vita.

Ma osserva attentamente, ti chiedo solo questo. Osserva ogni gestualità, ogni dislocamento di movenza. E allora capirai, cosa è vero e cosa No. Potrai intendere l’attimo sfuggente in cui tutto è cambiato.

Ti chiedo solo questo, mio piccolo fiore del destino.

 

 

“Il sonno ti è caro. Ogni sera ne dipendi come fosse aria. Ma non sai, che quella notte, il sonno si trasformò in eterno, per sempre addormentata, come una principessa in una favola…”

E in quel momento ti arriverà lontano, l’eco di queste parole. Non ne capirai il significato, perché questo uscirà per sempre dalla tua vita.

Poiché finalmente…                                                                                                       …Sei Sveglio.

 

 

Una strada macchiata, mille tracce di sangue nel futuro.

Vedeva solo questo. Un presente ed una storia vermigli.

Solo malattia e persecuzione. Mutazioni e distruzione.

Tanto, tanto dolore.

 Le veniva da piangere, pensando a quanto poteva cambiare, per un istante, il mondo.

Camminava sotto piante ormai morte, su di un terreno carminio. Le faceva effetto. Un gioco troppo potente di colori e sfumature, che le ricordavano il sangue, la morte.

C’è chi crede che la morte possa far riappacificare l’anima. In letteratura la chiamavano morte serenatrice. Poiché tutto finisce. Solo allora si trova la pace, quando anche l’anima si acquieta.

Il vento la trasportava verso un sentiero arrossato. Le faceva da guida con le sue parole. Le sembrava che parlasse, il vento freddo. Le dava i brividi. Gli ricordava un po’ suo cugino. Distaccato, falso, ipocrita.

Neji… solo un pupazzo senz’anima. Non lo vedeva ormai da molto tempo. Non si era più fatto vedere dal giorno in cui aveva compiuto 17 anni. Il clan Hyuga sapeva  solo che Neji lentamente prosciugava il conto di famiglia, quello che suo padre gli aveva lasciato in eredità. Nessuno però si era più interessato a lui. Una volta scomparso, la sua stanza era rimasta chiusa, da quel giorno.

La polvere vi ricadeva, come teli di dimenticanza.

Si faceva finta che non esistesse più. Come quelle cose mezze dimenticate, che si vogliono dimenticare. Qualcosa che doveva essere dimenticato. In ogni modo.

Hinata Hyuga, era l’unica che ancora sperava, e ancora voleva il ritorno del cugino.

Osservava le foto di quando erano piccoli.

Lui aveva imparato ad amarla, questa piccola donna senza futuro.

‘Neji, segui i suoi pensieri, osserva i suoi occhi. Vedrai, che sono come i tuoi.’ aveva detto un giorno Hizashi al figlio. Pochi giorni dopo, Hizashi Hyuga era morto. Uomo di politica, ucciso da un traditore.

Da quel giorno Neji non era stato più lo stesso. Finché non se ne andò, in silenzio.

 

 

 

 

 

 

Passi, milioni di passi. Passi di gente che nemmeno si conosceva, di ragazzi che inaspettatamente non vivevano altro che per il proprio futuro. Erano incoscienti, inconsapevoli che al di fuori di quelle mura, di quel maestoso palazzo, stesse incendiando un sole macchiato. Ed era questo sole, che avrebbe macchiato il loro futuro. Erano così cechi, da non capire che il loro domani era già stato creato da quel sole nero, dalla lucida follia di pazzi uomini senz’anima.

‘Gli incoscienti, cammineranno su di un telo di seta rossa, su di un tappeto di sangue e fuoco.’ Ripeteva una canzone con insistenza. La canzone rievocata da una voce solitaria, chiara e fresca, come il vento invernale. Ricordava un po’ una bambina, nonostante la portatrice fosse ormai una donna.

Niente la staccava dalla visione dell’alba, tarda e andante, era la sua musa, una visone romantica troppo lontana da poter sfiorare.

Quel ritrovo tra bellezza eterna e fuoco ingente le ricordava un po’ la sua vita. Una indefinita macchia di colori. Quello era. Solo una macchia. Eppure era una macchia di incontestabile eleganza. Forse era per quel motivo che tanto la ispirava e la rinchiudeva, alla ricerca di sogni futuri. Era solo un’anima vagante, guidata dalla luce nera del primo crepuscolo.

Niente la distolse dalla larga veduta, niente fermò la sua ninna nanna del cielo. Continuò, anche dopo il suono della campanella. Non ebbe paura, si scordò del mondo, mentre il suo canto volgeva all’orizzonte, ne placava l’ira, lentamente, come un carillon polveroso che riprende la sua utilità dopo anni.

“ Sangue nel cielo, si dipinge indistinto.

Lacrime nell’ombra, gocce di pianto alla notte.

Cala il sonno…. Nasce una nuova speranza.

Ti prego stai con me… non lasciarmi mai più sola…

lascia che i miei baci diventino il tuo cammino e le mie parole i sussurri del tuo vento…

Seguilo, ti ricondurranno alle miei labbra… e allora non mi dirai mai più ADDIO…

Baciami e dimenticati di questa pioggia, dimenticati delle anime che si porta appresso,

dimentica gli spiriti, dimentica le stille.

Canterò ancora, ancora e ancora, per far si che tu possa dimenticare…

Blood in the sky, it depict faint.

Tears in the shadow, weep’s droppes in the night.

Lower sleeply, grow up a new hope.

Please, stay by me…never leave me alone…let that my kiss become your way

And my words a whisper in you wind…

Follow it, take back you to my lips… and you don’t say me farewell…

Kiss me and forget about this rain, forget the soul that it carry near,

Forget the spirit, forget the tears.

I still sing more and again, for do way that you can forget…”

Si disperò, la voce che cantava. Urlava richiusa nella sua prigione, tentando di liberarsi.

Poi, all’improvviso, bloccò il suono della canzone, le note di una triste storia. Venne come sorpresa, illuminata da un rimpianto. Allora si allontanò dalla presa del tramonto, scappando.

Afferrò la cartella e fuggì verso la scuola.

Tentava di scappare dai sogni, la piccola donna. Volle liberarsi da un legame troppo forte ed allora corre, corre lontano, dispersa tra la nebbia dell’esistenza.

Suru Ai. La ragazza senza futuro.

 

 

Il pesante suono dei propri piedi che ricadono a terra, nel corridoio scolastico. Solo l’ombra di un corpo, la schiva traccia di una presenza.

Camminava lenta, un’altra ragazza senza futuro.

E non corse, non sapeva nemmeno quale fosse la sua destinazione. Perché mai si trovava lì, non ne aveva cognizione nemmeno lei.

Aveva sempre pensato che non  le servisse a niente, andare a scuola. Le cose che bisognava imparare erano quelle che si vivono in prima persona. Capiva più nei giorni in cui marinava che quando stata in quel lurido posto. Odia lo scintillante pavimento, abomina gli esigenti professori, ed esecra le oscillanti divise femminili. Dannata gonna. Le sembra di assomigliare più che mai ad un uovo di pasqua. Oppure a una lolita. Non sa nemmeno quale sia peggio.

 Passo dopo passo, non lascerà che l’ astruso odore di fresco papavero per la sua strada. Si sentirà solo quello, ed anche il suono dei suoi passi appassirà, scomparendo nell’eco.

-Chiunque metta piede in questi luoghi, sarà destinato a scomparire nella memoria.

Passeranno gli anni, e con questi le persone.

Ed allora nessuno più si ricorderà di quel gotico aroma di fiore.-


Nawaki No Yukari. Il nome di un altro corpo senz’anima, di un altro destino divorato.

 

Cercando la sua classe, Nawaki vide un’altra ragazza per i corridoi. Si accorse di quanto i suoi occhi fossero dispersi in sogni invisibili. Di quanto fosse profonda la sua tristezza.

La osservò, attentamente. Possedeva occhi intenti, incarnati. Il loro colore era cavo, indistinto. Racchiudeva la potenza della terra, delle piante, verdi, come un’edera che si incastra, ma anche scivolosi e struggenti, come lo scrosciare di un torrente. Un colore che brillava, che mutava i caratteri sotto la carezza di un sole rosso.

Verde acqua.

Le ricordavano un po’ i suoi. Tristi e distanti, eppure ricercavano speranza. Ne avevano più di quanta ne avesse lei, ma di malinconia, ce ne era fin troppa, per entrambe.

Camminava ondeggiando. Nawaki la vedeva, come tentennasse nella realtà, nel soffice filo che la divideva dalla morte. Era impaurita, impaurita da tanta ipocrisia.

Muoveva la chioma, ad ogni passo. Liscia e castana. Le ricordava la potenza degli alberi.

Non abbandonò mai il suo sguardo verso l’altra ragazza. La interpretava in ogni intima gestualità. Una peculiarità perfetta.

Non si rese nemmeno conto che anche l’altra la stava osservando, con la curiosità che non si era mai permessa di provare.

Entrambe riuscirono a percepirlo, l’attimo in cui i loro occhi si scontrarono e capovolsero il percorso della tela.

Si videro riflesse. Le loro iridi, riverberate nelle pupille dell’altra, si combattevano, eppure era come se fossero già state legate.

Nawaki si sentì fuori posto. Come se stesse violando un principio, una legge invisibile.

Cambio visuale, allontanando le sue iridi da quelle dell’altra.

Entrambe ritornarono al loro percorso, come se il loro gioco non fosse esistito, anche se per un attimo, ad entrambe, sembrò tutto solo un gioco.

Capirono solo dopo, quanto fosse crudo il destino. Non un gioco, no di certo. Solamente un piccolo intreccio di vite, correlato da attimi e istanti perfetti e invisibili, che potevano cambiare la forma di mille tessuti.

 

 

 

 

 

 

- Gommenasai professore. Ho saputo che domani ci saranno le prove a coppie tra le classi di prima.-

Una voce sublime, l’elegante evolvere di un suono. Sensuale e delicato, maturo e innocente.

Un timbro che proveniva da labbra sottili, rosee e voluminose. Peccavano a ogni movimento.

-Sì signorina Hyuga, e allora?-

Hinata Hyuga. Occhi glaciali che assistevano assiduamente al ripetersi di sbagli, allo spreco di mille vite.

Si sfiorò nervosamente la fluente chioma fosca con i polpastrelli in un visibile attimo di in soggezione e pentimento. La vergogna le si stampò in viso, stridendo con la carnagione albina.

- Vorrei chiederle se fosse possibile assistere alla lezione…- tentennò, attendendo una risposta. Il professore di musica la osservò incuriosito, chiedendosi cosa stesse pensando quella ragazzina passionale.

- E quale sarebbe il motivo della scelta, se posso chiederlo, signorina Hyuga?-  Hinata ricambiò lo sguardo, sorridendo dolcemente. Le sembrò un buon modo per iniziare.

- Voglio formare una band.- sostenne decretata- Magari riuscirò a trovare qualcuno di talentuoso.- bisbigliò appena con l’emozione che le mutava il timbro.

-Capisco. La giustificherò io con il professore di quella ora. Venga domani alla prima ora nella classe 1-B. E buona fortuna.- il professore riprese a camminare indifferente verso il corridoio. Hinata lo osservò dirigersi verso l’androne, con il cuore che sobbalzava.

- Domo Kakashi-sensei. - biascicò sorridente mentre si dirigeva verso la prossima aula.

 

 

 

Nawaki pensò, quella mattina.

Pensò a quanto fosse ironica la vita. Non aveva mai aperto un libro in vita sua eppure riusciva a ricordare tutto. In fondo era sollevata da questo, poiché l' ultima cosa che doveva accadere era essere bocciata. Bastava un errore, che i suoi genitori le avrebbero portato via l’unica cosa che la salvava dal baratro. La sua musica. La sua chitarra, i suoi assoli.

Era un’eccellente chitarrista, ma nessuno lo sapeva.

Non aveva amici. Era troppo distaccata e fredda. O almeno questo era quello che gli altri vedevano in lei.
Guardò fuori. Si intravedeva ancora l' alba, quell' alba rossa come il sangue. Meravigliosa nel suo nascere.
Eppure lei preferiva il tramonto. L’istinto le diceva questo.

La fine di un giorno, ma l' inizio di qualcosa di nuovo. La speranza che muore per poi rinascere, ritornare a sperare.
Nessuno era mai riuscito a farle cambiare idea, nessuno.

 

 

La campanella suonò per la terza volta quella mattina. Erano passate ormai un paio d’ore.

Suru entrò nell’aula velocemente, sedendosi in uno dei banchi vicini alla finestra, come le era sempre piaciuto.

Non si accorse delle persone che la circondavano, se ne stava sulle sue, ad osservare le foglie cadere, imbrigliarsi al vento, colorare l’aria di carminio. Le vedeva così, come un’aspirale di sangue, mille schizzi di smania.

Entrò anche il professore e l’idillio cessò. Il sangue smise di sgorgare e Suru tornò nella gabbia, come una fenice imprigionata.

 Musica.

Un’arte descritta su carta con mille note a pentagramma. Un’espressione di assoluto sentimento, il tramite di sentimenti, la parola inquieta di un cuore.

Le sembrava ogni volta di ascoltarla, la voce delle note. Lei era il loro tramite, l’interprete. Forse era per questo che le piaceva. La faceva sentire importante, necessaria per una volta nella sua vita.

Ogni volta era una nuova emozione, le veniva quasi sempre da piangere. Era stupido, lo sapeva, ma non poteva farne a meno.

 

La lezione procedette velocemente, più di quanto si aspettasse.  Per un attimo si udì un lembo di silenzio, fin quando il professore non riprese a parlare, con la sua voce rombante da baritono.

- Per la prossima volta, voglio che prepariate un pezzo.-

Un colpo, il cuore che rimbalzava nel petto. Non aveva mai cantato davanti a qualcuno che non fosse se stessa. Suru si sentì un difetto, una bambola imperfetta, vuota e mancante.

Deficiente.

 

- Vi metterò a coppie. Solista e musicista. Cercherò di non lasciare lagune d’ abilità tra gli abbinamenti. Sarete affiancati da persone del vostro stesso livello. Vi verrà assegnato anche un testo alle vostre portate.-

Si sentì un nodo in gola, mentre nella stanza il suono alleviato degli schiamazzi di ripresentava ad eco da ogni angolo dell’aula.

Non si sentiva bene, eppure Suru non poté fare a meno di provare una strana sollecitazione allo stomaco, come se l’idea di mostrarsi non fosse così deteriore.

- Le coppie saranno:

Sakamo, Hikari.

Itsumisai, Naikai.

Maita, Taiku.

Ai, No Yukari.

Takeno, Yukiro.

…..-

La voce continuava, ma per Suru il tempo si era fermato. Come se non percepisse nient’altro, solo il silenzio.

Si girò, alla disperata ricerca della ragazza o del ragazzo a cui poteva appartenere il cognome No Yukari.

Chissà.

 

 

 

 

 

 

-Hinata, per domani hai chiesto al professor Takashi di assistere a quella lezione?- domandò assorta Sakura.

Hinata le sorrise, annuendo pensierosa. Le sembrò una stupidaggine, ma in quel momento era l’idea più geniale che le fosse venuta in mente.

-Vedrai che troveremo qualcuno di talentuoso.- aggiunse soddisfatta, deponendo la bibita all’arancia nel cestino.

- Mah… io non ne sono molto sicura Hinata-chan. Secondo me è una perdita di tempo. I ragazzi di prima non sono molto… intelligenti.-  Sakura corrugò la fronte, mutando il volto in una smorfia di risentimento.

Per un momento si udì solo il suono della cannuccia della rosa che sfregava nel fondo esaurito del succo.

A Hinata quel rumore dava i brividi.

- Guarda che hai solo un anno in più di loro.- sorrise, osservando gli occhi smeraldini dell’amica.

L’altra sbuffò, continuando a strofinare la cannuccia nella plastica della bottiglia.

Non parlarono più, non avevano mai niente da dirsi. Era due anime contrapposte, ma aveva un solo sogno.

Sakura Haruno, batteria.

Hinata Hyuuga, basso.

Entrambe, due corpi senz’anima.

 

 

 

Passi, rumori, parole.
Un ragazzo stava passando per il corridoio, un altro corpo senza anima.
Le ragazze erano tutte attratte da lui, ma a lui non importava, aveva già regalato il suo cuore.
Il suo sguardo gelido, non si lasciava sottomettere, era così nero che nessuno riusciva a intenderlo, così nascosto e perduto. Sprovvisto di ogni sentimento.
Diede un' occhiata veloce alle persone che aveva accanto, una presenza a cui ormai era abituato.

Il suo sguardo si fermò sulla stessa persona che si era impossessata di lui.
I suoi occhi neri pece si scontrarono con quel verde smeraldo, un gioco di sguardi, semplice, veloce.

 

Triste.

Un gioco di anime in cui anche il cuore partecipava, in un incontro tra possessione e proibito.
Il rumore assordante della campanella fece distaccare i due sguardi per andare nelle proprie aule.
Sasuke pensò a quanto la vita fosse strana, sapeva che non c' era posto nel mondo per uno come lui, ma non capiva il perchè vivesse.
Non aveva sentimento, se non per lei.

Le sue armi erano le sue uniche consolazioni. A lui piaceva divorare, inghiottire l’anima di quella ragazza e difendere la propria.
Non capiva a cosa servisse andare a scuola, odiava quel posto, odiava le ragazze che gli andavano dietro. Tutte tranne una. Lei.
Guardò fuori, si intravedeva ancora quel cielo rosso, rosso alba, la cosa che odiava di più. Luce e rinascita. Tutte parole senza senso per la sua mente.
Per Sasuke la vita non era semplice, aveva preferito buttarla via, rimanere un burattino che cammina attraverso i fili della vita.
Perchè Sasuke voleva morire. E lo avrebbe fatto, se non fosse stato per Lei.

Lei. Sakura Haruno. Una ragazza e la sua triste storia di un amore indefinito, che il destino lasciava pendolare nel vuoto, trascinando nei baratri più oscuri la speranza.

Lei, ormai, non era più viva. Soffriva un’esistenza con Lui. Soffriva la vita e tutto quello che aveva da dare.

Era tutto così inutile…

 

Persino il suo cuore…

 

 

Silenzio. La pura testimonianza dell’assenza.

L’aria contagiata, la sensazione di deteriore e soffocante fumo.

La sigaretta si consumava, lentamente.

Se la portò alla bocca, aspirando violentemente la nicotina malfatta. Gli lasciò putridità e amaro in bocca, nonostante fosse anche maledettamente vizioso.

Le persiane erano chiuse, appena un lembo di luce che lasciava presagire mattino. Si avvertiva più potente, la sensazione di soffocamento di quella stanza.

Tutti poteva odorare, tutti sentivano e catturavano quell’impregnante aroma di sangue e fumo che affliggeva le tende malmesse e il divano sfondato. Il fumo non era che una decorazione, l’abbinamento alla morte che alloggiava in quella stanza e che radicalmente si consumava, come la nicotina di quella sigaretta.

Un’altra tirata, goduta a pieno, prima di sbattere la sigaretta contro il posacenere.

Si alzò, la figura scolpita nel vuoto, tra la nube di infestante fumo.

Lasciò i capelli scivolargli nelle spalle, virtuosamente. Li lasciò dondolare durante il suo percorso nel corridoio.

Camminò, accendendo un’altra sigaretta.

Indirizzò un sentiero di morte.

Si sentii le vertigini, ma riprese la sua strada tra il parquet rigato e le pareti malmesse.

Così putride e imbevute di sangue, che gli facevano venire la nausea.

Si precipitò in bagno, sbattendo la porta con violenza e iniziando a vomitare.

Era sempre così. I suoi occhi riuscivano sempre a percepire la chiazza di salmastro e putrido che si estendeva in tutto l’appartamento.

Insopportabile.

Era ancora piegato in due, quando qualcuno si appoggiò allo stipite, spalancando la porta e portando con sé una gotica e nauseante esalazione di fumo. Fumo che sapeva di canna e vodka.

-Inizio sinceramente a credere che tu sia una donna, Neji…- il ragazzo aspirò ancora una volta dal sigaro, gustandosi a pieno il sapore della morte, del suo futuro andante.- Dai, a me puoi dirlo. Chi è il padre?-

La pungente ironia di quella parola rimaneva sospesa nel vuoto, trasportata solo dal campo esotico di miasma e nebbia, agguantando la pelle di  Neji come mordendola. Lo rendeva più lurido di quanto non fosse già.

Neji si asciugò le labbra turgide con le maniche del kimono malmesso. Emise un ghigno contro l’amico, osservando con più disprezzo che poteva.

- Fottiti Itachi.-

- Oohh…Che parolone per una donzella. Non le hanno insegnato l’etichetta, signorina?- lo scherno si dipinse sulle labbra turgide del ragazzo. Capì quanto fosse indesiderato.

Rise di pieno gusto, anche quando Neji lo sbattè al muro, superandolo con velocità.

Poi tornò serio, scostando i capelli dal volto pallido.

- Non puoi scappare a lungo, Neji. Potrebbe essere qualcosa di grave, e tu lo sai. Non possiamo permetterci di perdere qualcun altro. Pensaci.-

Neji si fermò, continuando a dare le spalle ad Itachi. Era come se non volesse guardare in faccia la realtà, almeno non ancora.

-E comunque che cosa potrei fare? Tornare a casa e chiedere aiuto?- gli sfuggì una risata di smania.- Non servirebbe a niente. Chi se ne fotte di quello che accadrà, tanto succederà comunque, qualsiasi cosa io faccia.-

- Non pesi che potresti morire?-

Silenzio.

- Anche se capitasse, a chi importerebbe? A voi fottutissimi stronzi? Ragiona Itachi. Siamo il punto cieco di questa merda di società. Nemmeno i nostri familiari s’ interessano più a noi.-

Era risaputo che Neji non aveva di certo un carattere rosa e fiori. Duro e glaciale, come tutti in quel putrido luogo che odorava di sangue.

Riprese a camminare, prendendo il giubbotto.

- E ora dove vai?- domandò scocciato Itachi, aspirando un altro po’ di fumo.

- A fare una passeggiata.- si mosse verso la porta con freddezza e distacco.

-Ancora a fotterti qualcuno? Fra un po’ ti ritroverai con un figlio per le mani… io ti avverto. Rischi parecchio ad andare sempre nel solito posto. Poi fa quello che ti pare.- sospirò Itachi, dirigendosi dall’altra parte.

Neji se ne fregò. Continuò solo a camminare nella sua tela, da solo, come un esule senza futuro.

 

 

 

 

 

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Siiiii!! Siamo artisteeeeee!!! ) veramente in questo chap ho scritto + io…. =_= by sofy, alias Suru).

Ok ragazzo, siate equi. In tutta sincerità c’è gente a cui non è piaciuta affatto ( malfamatii!!! -.- nd noi) a causa del ritmo troppo lento e riflessivo. Eppure c’è stata gente ( come alcune mie compagne di classe… >.< nd Sofy) a cui è piaciuto un casino, e che se lo è anche scritto sul diario… vabbeh.. o qualcuno mente.. o qualcuno ci vuole boicottare… o dipende dai gusti… ( per me è la secondo… =______= nd Noe, alias Nawaki) ( secondo me il primo….ç.ç) ( il terzo lo escluderei. -.- nd noi contemporaneamente)

TUTTI IPOCRITI ED IFAMIIII!!! BAWAHAHAHAHAHAH!! NON LEGGERETE MAI IL CONTINUOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!! BAWAHAHAHAHAH!

 

Voce al citofono:

Le autrici non sono responsabili di possibili esaurimenti. Questa fic non è adatta ai maggiori di 14 anni, per il contenuto troppo infantile. Può causare mal di testa, nevrastenia, suicidio, possibili attacchi isterici ed eventuali attacchi di omicidio verso le autrici.

Gli aggiornamenti verranno effettuati circa ogni.. non si sa cause scuola e impegni. Ma siate certi che non verrete abbandonati, la fic continuerà sempre e comunque.

Coppie: SEGRETE!!!! BWAHAHAHAHAHAHAHA!!!! *ç*- ma si capiscono…

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Capitolo 2
*** Il sangue di una canzone ***


giusto

 IL SANGUE DI UNA CANZONE

 

 

Di colei che amo

nell'acqua tra le mani

il viso niveo.*

Haiku, Matsuo Basho

 

 

 

Izumi quel giorno odorava di ciliegio, nonostante fossero le foglie secche a padroneggiare le strade.

C’era una strana protuberanza nel cielo. Un distacco tra luce e ombra, il netto contrasto a cui si affiancava il sole.

Si dipingeva a spasmi sul terreno, come macchie indistinte.

Era mattina e dalla piazza del mercato provenivano stagli dell’aroma stuzzicante delle bancarelle che solo l’umidità riusciva a trascinare abbastanza lontano.

Izumi era più calda e fredda del solito. Imbevuta del calore dei corpi, ma immersa nel ghiaccio del vento autunnale.

Izumi era una piccola città nella prefettura di Osaka, in antichità un grande porto, con immensi traffici commerciali.

Eppure non era l’ingente porto che rendeva magica quella città, ma bensì i luoghi, gli odori, e il mare. Qualcosa di bellissimo, qualcosa di magico.

Si trovava nella regione giapponese di Kansai (giapp.関西), una volta definita Kinki (近畿地方, Kinki-chihō), nell'isola principale del Giappone, Honshu.

 

 

 

Per quel covo, si sentivano passi, urla.

Era strano vedere qualcuno che sorrideva. I suoi occhi, erano diversi. Erano felici.

Anche se il suo sguardo era freddo e distaccato, le iridi lo tradivano.

“ Ehi, femminuccia, dove credi di andare?”

Colui che aveva parlato, aveva il viso occultato.

Un altro corpo senz’anima, come quasi tutti in quel luogo malfamato.

I suoi occhi cambiavano colore a contatto con la luce.

Verdi, gialli… non erano mai definiti nelle tenebre.

“ Fanculo Kakuzu.” Disse l’altro indifferente.

Occhi cielo che sembravano non aver mai sofferto.

Strano, in un posto come quello, nessuno era così… normale.

“ Uh. uh uh, ma che paura” lo schernì Kakuzu con aria di sfida. Il sorriso lo ghermiva.

Poi, si interruppero.

“ Neji? Dove vai? “ Disse Deidara notando Neji indossare la giacca.

“ Fottetevi tutti e due.”

I due si guardarono stranamente, Itachi di sicuro aveva fatto un altro discorsetto al ragazzo. Forse gli aveva parlato dell’omosessualità tra adulti.

Molto probabile.

 

Lo Hyuga uscì di fretta, come scappando da qualcosa. Forse dal destino che Itachi  aveva preannunciato.

Neji tirò un respiro precario una volta in strada. Non riusciva più a restare lì dentro, in quel posto che sapeva di sangue.

Troppi odori. Fumo, sangue, alcol. Ok, l’ alcol andava ancora bene, in fondo beveva anche lui. Ed anche il fumo era sopportabile… in un certo senso.

E poi quei fottutissimi stronzi con cui viveva… loro si  che gli facevano venire la nausea.

Continuò a passeggiare su quel marciapiede grigio, eroso dal tempo, macchiato dalla violenza dell’acqua. Proprio come la sua anima, aveva bisogno di essere lavato.

Silenzio, solo questo lo circondava, l’ombra di se stesso. A lui piaceva la quiete perché non lo giudicava come quella merda di mondo.

-Daiben…-  aveva una dannata voglia di scoparsi qualcuno. Voleva dannatamente sfottersi una bella ragazza, penetrarla finchè non sarebbe stramazzata a terra, sanguinante.

Gli veniva d’istinto, ormai, di andare al bordello Akuma Kuroi. Tutte ormai li lo conoscevano, poiché si era ritrovato spesso sopra di loro.

Eppure quella sera non imbucò il secondo vicolo a destra, quello che attraversava la malmessa via Yura. Non voleva. Non gli andava per niente.

Quelle ragazze, così stupende e prosperose, lui le aveva assaporate tutte. Eppure nessuna era quella giusta. Nessuna gli lasciava la forza di continuare a scoparsela.

Continuava a sperare, eppure. Confidava nel destino.

E poi ormai si era dimenticato dei loro volti, i volti offuscati di quelle ragazze che gli procuravano piacere, ogni giorno.

Nonostante fossero necessarie per lui, quella volta Neji non tornò. Voleva provare una sensazione nuova, cercare qualcuna che fosse “pura”. Una ragazza che fosse solo sua, e che nessun altro avesse toccato.

Detto a parole chiare: aveva una strafotuttissima voglia di farsi una vergine.

Continuò a camminare su quel lurido marciapiede, guardava tutto senza vedere, immerso nei suoi pensieri.

 Per un attimo il silenzio si congiunse al rumore, mutando carattere. Neji percepì solo lo scatto di una serratura, in lontananza.

Avvistò una ragazza, a vederla, circa un anno meno.

Le sembrò di conoscerla da sempre. Ne rimase sorpreso, poiché tutto di lei era nascosto e distante.

Ne osservò le gotiche iridi, mentre con destrezza si scontravano con l’impetuosità di quel sole macchiato. Tentennavano a quel tocco così brutale e violento. Neji era certo di leggere nel suo volto un frammento di tristezza emerso dalla paura.

La osservò attentamente, un po’ goffa. Però era carina. Molto. Non che fosse una bellezza da copertina, ma riusciva ad essere bella nella sua normalità. Perfetta e singolare.

Per un momento, nell’attimo preciso in cui scontrò il suo sguardo irruente su di quello tentennante di lei, poté sfiorare la sensazione che aveva sempre cercato. La passione lo investì. La volle per sé. La volle agguantare.

Questo era Neji. Il corpo che divorava le anime bianche che nessuno aveva mai osato possedere. Lui, lì era arrivato.

Capì di aver trovato la sua preda.

 

Povera ed ingenua, avrebbe versato sangue.

 

Riprese a camminare tranquillamente, mentre un sorriso, invisibile, gli era apparso sul volto.

La inseguì, silenzioso. A quanto pareva, si stava dirigente verso la spiaggia, inseguita dall’ombra del tramonto.

La vide affiancarsi alla spiaggia, lasciare le scarpe appena prima della rena.

Oscillava a ogni passo, volteggiando.

Le piaceva sentirsi libera. Le piaceva volare senza ali, come una farfalla assolta e sfuggente.

Avanzava verso il tramonto, sorrideva, chiaramente, mostrando un nuovo volto, osservando tristemente il cielo che si oscurava. Lo vedeva imbrunirsi, a causa del crepuscolo andante.

Mosse le labbra, adattando il diaframma.

“Il tempo si è fermato per tracciare nuovi confini, ed io
mi spingerò lontano raccogliendo le mie forze nel vento
tra le mani riflessi di epoche lasciate via
camminando ritrovo le tracce indelebili…”

Le parole erano vere, fiere. Le lasciavano provare emozioni di fresco ricordo e sincerità che da tanto tempo aveva dimenticato di avere.  Continuava a camminare, come se avesse spezzato catene di sofferenza. Libera, lasciava che il sole la baciasse e il mare le sfiorasse la pelle.

Sulla riva, osservava il tramonto.

Era riuscita a ritrovare la speranza, in un attimo, nel momento in cui aveva congiunto la sua anima al sole.

I do, I do, gridare contro gli occhi spenti e gelidi
per essere sempre di più
I do, I do, oltrepassare mondi inespugnabili
senza temere nulla più

Cantava. Solo questo. La rendeva bella, questo piccolo gioco di melodie e voci.

Le parole si fondevano e creavano il più dolce dei testi, ricomposto tra le onde.

Era come se le parole, lentamente, sfiorassero l’acqua, rievocandone l’ira.

Il vento iniziava a tirare. Caparbio trasportava le onde verso la scogliera. Si imbatteva contro di lei.

 

A ogni parola, Suru immaginava ancora il suono. Si creava la voce della chitarra, lentamente.

Affiancava le note alle parole, come fossero legate.


I do, I do, emergere dal fondo per lottare e poi
salire in alto più che mai
I
do, I do, guardare nel futuro e sorridere
con una nuova identità
fino a quando il sole sorgerà…

I do…

 

Si stava macchiando, il cielo sanguinante. Il carminio si copriva d’ingenti ombre nere, pesanti e cariche di lacrime.

Si aprì uno scenario di morte e tristezza.

Lo spettacolo iniziò quando il temporale cominciò a infuriare nel cielo.

Una guerra che non avrebbe mai avuto fine.

Lì, infuriava una tempesta.

Neji l’aveva osservata, in tutto il suo percorso. Silenzioso, era rimasto ad ascoltare quella melodia incontaminata. Gli provocava una sensazione di tormento ed eccitazione allo stesso tempo.

Continuava a guardarla, aspettando che si dirigesse verso una zona più solitaria e silenziosa.

Ormai sentiva l’acqua accompagnare il suo cammino, mentre la bella voce appassiva.

La pioggia, era stata richiamata dalla dolce malinconia di quegli occhi.

 

Passo per passo, la ragazza aumentava, accorgendosi della figura che la inseguiva silente.

Svoltò l’angolo, avvicinandosi sempre più al centro della città. Fu lì, che Neji decise di intervenire. Non aveva intenzione di perdere quest’opportunità.

Con uno scatto la mise contro al muro, ascoltando la sua voce saltare di tono, gemere di paura e sorpresa. Suru iniziò a tirare calci e pugni, ma lui senza difficoltà le bloccò con fermezza i polsi, intrappolandola in una prigione di pioggia.

Contrariata chiedeva aiuto, percependo le ruvide labbra del ragazzo affiancarsi alla sua pelle chiara e bagnata. Urlava, con tutta la potenza che possedeva, ma la paura le bloccava l’aria in gola. Suru stentava persino a respirare.

A Neji piaceva dannatamente fottersi qualcuno. Per lui era una droga. La sua droga.

La ragazza cercava di liberarsi. Non capiva: cosa voleva da lei? Chi era?

“ Ehi, sta calma ragazzina, non ti voglio uccidere… ho voglia solo di divertirmi un po’ con te…ok piccola?” le bisbigliò all’orecchio, mordendone il lembo. Neji si concesse di avvicinarsi ancora, aderendo perfettamente i loro corpi. Suru emise un gemito di terrore, mentre una lacrima le solcava le gote arrossate. Iniziò a piangere, ma le stille si confusero con la pioggia.

“ No… ti prego… lasciami… non voglio... NON VOGLIO!- urlò disperata, mentre la lingua di lui aveva cominciato a percorrerle il collo con avidità. Percepiva il suo corpo violato, la sua intimità che lentamente era trasgredita da quella bocca tanto smaniosa, da quelle mani bramose e da quel corpo bisognoso.

Continuò a gridare, mentre i vestiti le erano strappati dal corpo con presunzione e possesso.

 Sentire quella voce… procurava a Neji un piacere sempre più crescente, quasi… pericoloso.

 “ Nessuno ti può sentire, questo è un posto isolato e malfamato… a chi vuoi che importi di te? Accettalo… sei rimasta sola… Perché non stai al gioco, ci divertiremo insieme…” continuò lui facendo incontrare le loro labbra con sensualità” Certo che hai proprio una bella voce… perché non mi fai sentire ancora come gemi?” sibilò emettendo smaniose risate.

Suru si sentì appassire. Era il suo primo bacio e lo aveva dato ad una persona che nemmeno conosceva. Una persona di cui non vedeva il volto. Aveva la vista oscurata, ma nonostante non vedesse il suo aggressore, ne percepiva la violenza e la cupidigia. Lo temeva tremendamente, come temeva quella lingua infilarsi nella sua bocca con violenza, toccare la sua e sospingerla.

Suru ebbe la tremenda paura che potesse accadere, che quel ragazzo potesse deflorarla. Si riconobbe inquinata dal terrore e dalla rabbia. Era sfruttata, comandata. La sopraffazione che quel corpo aveva su di lei la faceva sentire legata a quelle labbra turgide, a quelle braccia caparbie.

Ebbe un fremito, ascoltando il rumore della pioggia e il dolcificato suono della lingua di Neji che la bagnava, erodendole il collo.

Fu allora, in quell’attimo di rumore e silenzio, che Suru reagì.

Con uno spintone lo buttò a terra, violenta. Dovette impiegare molta forza, ma digrignò i denti.

Odiava quando era comandata come una marionetta, non lo sopportava. Le veniva da gridare, mostrare la sua concitazione.

Lui la osservò con sorpresa. La guardò con ancora più passione e pazzia. Ma Suru ancora non lo poteva vedere, l’oscurità celava anche quello, insieme alla pioggia.

Lui si rialzò, scostandosi i lunghi capelli dal volto, e la osservò uscire dal vicolo, in corsa.

Non l’avrebbe fatta scappare.

Questo lo prometteva.

Lei iniziò a correre, sentendo che Neji la stava inseguendo.

Aveva il volto bagnato, i capelli impregnati di sudore e acqua. Il cuore si riproduceva nel petto come un eco. Era investita da mille sentimenti.

Era sporca…

 

Per un attimo ritrovò la speranza, nel silenzio del parchetto. Pensò di essere rimasta finalmente sola.

Tutto colava, in quel paesaggio.  Le sembrava di vedere un quadro sciogliersi.

Ma era solo la pioggia…

Sospirò, frenando il suo respiro. Ancora non poteva credere a quello che era successo, ma che soprattutto, era finita.

O almeno era quello che pensava. In realtà era appena iniziata.

Qualcosa le afferrò il braccio, costringendola a girarsi.

Emise un gemito, soffocando un urlo, quando vide Lui, lì. E per la prima volta ne osservò il volto, i lineamenti illuminati dalla luce affusolata dei lampioni.

Era così… così… attraente.

Non trovava altre parole…

Con lo sguardo tremante osservò i lineamenti duri e stridenti del suo volto. Mascolini e definiti, risaltavano gli zigomi.

Era bagnato, cosi come lo era lei. I capelli, li poteva vedere, castano scuro. Lisci, perfetti, aderenti al volto e lunghi. Come una coltre notturna.

Alzò una mano, sfiorando appena la gota umida di lui, accarezzando quella pelle secca e sfinita.

Lui rimase ad osservarla, per un infinito attimo. Le sembrò perfetta. Provò un nuovo sentimento, lasciando che il suono della pioggia raggiungesse il suo volto, rigando il viso di entrambi.

Le lasciò il braccio, continuando a guardarla negli occhi. Così, incastonando le loro iridi, per secondi tanto sfuggenti da venire lavati dall’acqua.

Adesso la vedeva veramente. Così pura da sgualcirsi nella pioggia. Il volto di colei che vedeva, era rinchiuso nell’acqua.

-Di colei che amo, nell'acqua tra le mani, il viso niveo.-*

 

Suru ebbe esitazione, paura.

Continuò a tracciare i suoi contorni, ricadendo più volte su quelle labbra irruenti che l’avevano sfiorata pochi minuti prima.

Si alzò sulle punte, sollevando il volto verso Neji. Poi, abbandonò la sua bocca a quella di lui.

Così lei placò la sua smania, per la prima volta.

Fu solo per un istante, in cui le loro labbra di incontrarono teneramente. Un istante tanto breve che nessuno dei due chiuse gli occhi. Eppure bastò un secondo, per poter abbandonare la speranza di potersi rincontrare. Suru capì che finalmente era finita, mentre Neji percepì in quelle labbra ricamate da stille, che quello era un bacio d’addio.

Lei si voltò correndo lungo la strada, svanendo tra nebbia e pioggia, affiancata da ombre e silenzio.

 

 

“La pioggia può lavare tutto, Neji. Hai sempre pensato che i giorni di nubifragio potessero lavare il mondo, pulire la terra dal sangue.

Eri sempre stato certo che la pioggia avrebbe lavato tutto di te, ti avrebbe pulito dai peccati.

Però Neji, Lei non può essere lavata via… non come speravi.”

 

 

Era mattina ormai.

Sul terrazzo, tirava una brezza memore, fredda e pulita, trasportava con sé le lamine lontane.

Il vento assaggiava una falda di capelli neri, rinfrescava la pelle.

Hinata socchiuse gli occhi, ripensando a quello che stava accadendo, silente.

Un giorno, era da sola, e l’altro… beh, ancora lo doveva capire.

Posò lo sguardo sul volto di Sakura, ne catturò lo sguardo, sorridendole istintiva. Lei fece di rimando.

La Hyuuga arricciò le labbra, aprendo una nuova speranza. Emise un verso giocoso, come un gemito, voltandosi verso le sue nuove scoperte.

Sorrise, quieta ed agguerrita. Posò le iridi verso quella ragazza, da cui aveva visto scaturire emozione. L’aveva osservata, mentre percuoteva convinta la chitarra. Non era facile da spiegare, ma era certo che quella ragazza avesse talento. Ogni nota la trascinava verso una strana percezione. La prendeva completamente. Si ricordò di avere chiuso gli occhi, degustando lo spettacolo di quella chitarra che proferiva, durante l’esercizio del professor Kakashi. Si era lasciata prendere dalla musica, tanto da scordarsi del mondo.

Nawaki no Yukari e Ai Suru. Le aveva trovate, finalmente. Adesso doveva solo convincerle.

-Allora… che ne dite? Accettate?- le osservò, mentre le due ragazze si cedettero uno sguardo d’intesa.

-Quindi se accettiamo, entriamo a far parte del vostro gruppo, giusto? E questo significa concerti e altro…?- Hinata sorrise, lasciando intendere a Nawaki la risposta. Ma la ragazza la conosceva già.

-Io ci sto.- bisbigliò, tirando fuori una sigaretta dalla tasca.

Sakura osservò l’altra ragazza, che era rimasta in silenzio. Non la conosceva, non l’aveva sentita cantare, ma Hinata ne aveva parlato bene.

Non aveva molta voglia di lasciare questo ruolo ad una ragazzina come quella, ma avevano bisogno di una brava cantante e poi l’Haruno si fidava del giudizio dell’amica.

-E tu, Suru?- alzò la voce, appoggiandosi alla ringhiera del terrazzo. Percepì il vento scuoterle i capelli corvini, ancora una volta, mentre le iridi smeralde non vollero distaccarsi dallo sguardo assorto di Suru.

Quest’ultima pensò un attimo. A cosa, non lo sapeva nemmeno lei. Forse alla sera precedente… probabile.

-Va bene, se c’è anche Nawaki, mi ritengo dentro.- sorrise annuendo a Hinata, che sembrò illuminarsi.

-Finalmente una band completa, eh Hinata?- la schernì Sakura. La mora non rispose, lasciando che il suo volto irradiato dal sole parlasse per lei.

E’ qui, che inizia la nostra storia, lasciata consumare dalle note sanguinarie di un canto.

 

 

 

Quella stanza era fin troppo vuota. I colori erano assenti, sgombri. Ogni cosa che si potesse percepire con i sensi, si consumava nell’idea del sangue.

Tutto in quello scenario di morte, si contrassegnava, imbattendosi nella figura seduta nella poltrona.

Quel ragazzo osservava il nulla, attendendo qualcosa.

Si scostò i capelli biondi dal volto, con un gesto nervoso. Quei luoghi gli procuravano pazzia, come a ogni uomo che viveva in quell’appartamento mal messo.

 Sentì il suo udito ravvivarsi, percependo il suono dei passi per il corridoio. Sembrava che le pareti non esistessero.

Qualche secondo dopo vide entrare Neji. Aveva gli occhi incarnati, solcati da pesanti occhiaie. Eppure manteneva comunque il suo sguardo rigido. Non si scostava mai dalla durezza della sua condotta.

-Non hai dormito stanotte?- bisbigliò ironicamente il ragazzo biondo, sorridendo appena, mentre lasciava che il sole catturasse il fumo che usciva dalle sue narici. Strinse più forte la sigaretta, prevedendo la risposta dell’altro.

-Fottiti Naruto.- freddo e implacabile, come sempre. Stava diventando monotono.

Lo Hyuuga si avvicinò al tavolo, irrequieto. In un gesto di ansia e impazienza rovesciò erroneamente la bottiglia di vodka. Vide il liquido espandersi nel tatami lacerato e sporco. Per un attimo il recipiente continuò a muoversi nel tavolino, rotolando sotto i vecchi giornali ammucchiati. Neji non poté che sperare che la bottiglia non cadesse. Restò illuso per un attimo, dal sanguinario destino.

Una leggera incrinatura infranse il silenzio. Naruto e Neji osservarono taciti il recipiente eroso scivolare dal tavolino, imbattendosi nella vodka a terra, spargendo i suoi resti nel pavimento.

A terra il vetro deviava il sole, condotto in quei luridi luoghi dalle persiane semi aperte. Ormai anche lì erano cresciute tele d’argento. Non erano mai state completamente aperte, quelle finestre.

-Daiben…- imprecò lo Hyuuga furioso, osservando la bottiglia come se non valesse più niente.

Inutile. Ormai era vuota.

 

I raggi venivano riprodotti da una ragnatela. Il sole, lento, plasmava un gioco di luce e ombra, distribuito da mille specchi argentei, fili intrecciati da un laminato perfetto.

Un aracnide tracciava i percorsi di quella tela, mentre profondi occhi celesti percorrevano la sua nascita, assenti e interessati.

-Deidara-sempai, cosa sta facendo?- la voce di un ragazzo risuonò nella stanza, dove pochi minuti prima era stata rovesciata la vodka.

Si sentiva ancora l’odore.

-Niente Tobi.-

-Non è vero, mi dica cosa pensa.- come un bambino che pretendeva un giocattolo, Tobi voleva una risposta. Faceva quasi tenerezza, nella sua ricerca di comprensione.

Deidara si rassegnò.

-Penso a come fermare questa ragnatela.-

Tobi rimase a pensare.

-Allora perché non prova con un piumino?-.

Poi il silenzio li inghiottì.

 

 

 

 

In un attimo, le luci si spensero.

In quella sera senza stelle, macchiata dalla luna rossa, in un locale punk saturo di alcool e fumo, la notte si addentrò nel palco.

Nel momento di confusione generale, un unico faro prese vita. Una luce opaca, unta di rosso, che percorse un’immagine di donna.

Si alzarono voci maschili, gravi, che creavano una base di avance.

Neji stava bevendo un bicchiere di saké, quando riconobbe la figura.

Nel momento in cui i cuoi occhi chiari si scontrarono contro il corpo scoperto della ragazza sul palco, lo Hyuuga non poté che rischiare di strozzare. Il saké gli invase i polmoni, ostruendo il passaggio dell’aria. Tossì forte, interrompendo quei fischi provocatori. A sentirli, volevano significare più di qualche incitazione.

Sentì la gola bruciare al contatto del liquido alcolico, ma non poté che trattenere il dolore, in silenzio, mentre la figura mostrava la sua insana forma.

Non poteva crederci.

Era lei. Lì, sul palco, con un microfono in mano, circondata da una band.

Non era possibile.

Una rockband femminile, di cui lei faceva parte.

Non poteva permettere che Lei avesse quella vita. Non doveva trovarsi lì, non quel giorno, non quella sera.

Si vergognava di vederla su quel soppalco, così poco vestita. Eppure non potette che provare un fremito d’eccitazione e attrazione a scrutare la perfezione di quel corpo, delle sue gambe scoperte intraviste dalla mini gonna nera a pieghe. La maglietta era aderente nera anch’essa… percorsa da borchie e catene. Tutte, su quel palco, erano vestite in quel seducente stile.

Bevve un altro sorso di saké, mentre delineava le forme del corpo di Suru, soffermandosi su gambe e decolletè. In fondo, era ancora un uomo, nonostante i dubbi degli amici.

Itachi lo vide, mentre degustava soddisfatto il suo alcolico.

-MMh… individuato qualcuno, Mamma?- sorrise, espirando il fumo della canna.

Neji stette in silenzio, godendosi il panorama tanto gratificante.

Intanto Itachi osservava quel gruppo.

Erano tutte ragazze, non c’erano dubbi. Tutte attraenti, altra cosa ovvia. Eppure una attirò la sua attenzione. Era così provocante, da far tacere ogni giudizio.

Indisponente, come la voleva lui.

Era lì, con in mano una chitarra, pronta a esibire la sua destrezza, immersa su di una luce rossa.

 

Ci fu un attimo di sospeso silenzio. Venne eretto dall’aspettativa, quel suono inatteso. La chitarra cominciò il suo percorso.

Hinata percosse le corde, con destrezza ineguagliata.

Qualcuno la osservava…

 Iniziò un suono roco, che poi si espanse, raggiunto dall’invadente chitarra di Nawaki. Si percepiva un evolversi di note, la musica che si appesantiva. Persino la batteria riavvolgeva la sua strada, legandosi ad ogni suono.

Poi, un fremito. Un unico battito, che portò quella voce a ricrearsi tra il fumo, sfiorare una brezza nella pelle di Neji.

 

I Don't Wanna Hear The Bad News When I Was A Little Girl
in Front Of The Mirror I Couldn't Understand A Thing
there Were Tears Falling Down My Cheeks No Matter
how Much, I Washed My Face, I Couldn't Wash My Soul.

 

Perchè colpisse, tanto impetuosa, quella voce, nessuno lo capiva.

Forse era per la musica, per quella potenza negli assoli.

O forse erano quelle parole, che nascondevano una libertà ostruita.




i Should Of Hold On To Him Tight
i Wanted To Hold Him Back So He Wouldn't Leave


a Frozen Rose That Has Lost It's Love
only The Memories Of You Dye Her Into Red
stays There Waiting To Melt Away
the Petals Scatter Like Glass Tears

Lentamente quelle parole lasciavano una scia. Una traccia di odorosa steppa. Un campo di fiori bianchi, contornato da lapidi senza nome.

Le memorie di coloro che erano scomparsi, nella vita e nella morte.

Divennero per sempre cenere, scomparendo tra quella frontiera di terra e petali lattei.

 


i Really I'll Forgive You If You're Afraid Of Me
i Wanna Be Hold So Tight That I Can't Breath


save Me From My Loneliness
if It Was Possible I Shouldn't Have Meet You

Un semplice ricordo dissolto, deformato dalla realtà.

Nessuno riconoscerà mai più quei fiori, poiché hanno perso il loro aroma rosato.

Ora raccontano le storie su linee di sangue. I petali che si macchiano, ad ogni parola.

a Frozen Rose That Has Lost It's Love
only The Memories Of You Dye Her Into Red
stays There Waiting To Melt Away
the Petals Scatter Like Glass Tears


i Really I'll Forgive You If You're Afraid Of Me
E piangeva Suru.
Le sentiva tutte, le sue canzoni. La invadevano come petrolio.

Per questo versava lacrime, lasciando un solco di sangue.

a Frozen Rose That Has Lost It's Love
only The Memories Of You Dye Her Into Red
stays There Waiting To Melt Away
the Petals Scatter Like Glass Tears


a Frozen Rose That Has Lost It's Love
a Frozen Rose That Has Lost It's Love

 

Quella canzone, era come il sangue. Radicata nel terreno, può svanire, ma mai essere lavata.

 

 

Ci fu un attimo di silenzio, poi la chitarra interruppe il suo suono, e si levò un eco di applausi e voci.

 

…Bastò un secondo.

Un ragazzo dai capelli rossi che correva veloce, appena entrato nel pub. Teneva una mano in tasca ed aveva dipinto nel volto un senso di frigida indifferenza. Si fermò dove persisteva una visuale completa del locale, nonostante il fumo si districasse nei suoi occhi. Si guardò intorno, notando che i suoi compagni lo osservavano.

Un gioco di sguardi, assensi, sorrisi. Ecco, era il momento.

Una voce gridò il suo nome, avvertendolo d’improvviso. Sasori. Il nome di un’anima dispersa.

Il gruppo di compagni si abbassò il cappuccio che indossava. La stoffa rivelò la pericolosa bellezza di quei ragazzi, tanto impossibili e peccatori.

Nawaki e Hinata li videro così, svelati.

 

Suru riconobbe il ragazzo che aveva incontrato.

Era lui, gli stessi occhi bianchi, i capelli lunghi e castani legati in una coda bassa.

Lo vide prendere qualcosa di nero dalla tasca interna. Una magnum calibro 85.

Suru sgranò gli occhi, cosa voleva mai fare? Emise un gemito, sbadatamente.

D’improvviso, Neji si voltò verso di lei. La osservò senza dire niente, da lontano. I suoi occhi si disperdevano tra le inalazioni di alcool e fumo, ma la ragazza riuscì comunque a riconoscere la potenza di quegli occhi tanto perfetti e lattei.

Rimasero così. Lei era lì, come volesse dire “prendimi, portami lontano, trascinami nel sangue”. Eppure lui non la raggiungeva. Ancora una volta rimasero distanti. Bastava, purché lei fosse in salvo.

 

Nawaki indossò frettolosa la sua giacca.

Vide un’ altra persona brandire una hanwei. Ok… qui le cose si stavano complicando… cosa stava accadendo?

Nawaki infilò la mano nella tasca del giubbotto, impaurita. Scontrò i polpastrelli contro un metallo freddo.

Sospirò di sollievo sapendo che si era portata il suo uzi.

Sakura e Hinata si guardavano tra di loro perplesse. Era la confusione a predominare tra miasma e nebbia contaminata.

Ma tutto, non poté che peggiorare.

Lo sbattere delle porte e il presuntuoso rumore di passi trasportarono gli sguardi dei presenti verso l’entrata.

Qualcosa che faceva paura, qualcosa che non sembrava reale.

Uomini indossanti uniformi standard, nere e cupe. Avevano il volto coperto da una maschera appena al di sotto degli occhi. In fronte un segno di dura distinzione. Un’incisione, o forse un tatuaggio… eppure sembrava più un’effige recisa nella pelle col fuoco. L’ideogrammo del sangue in scritture hiragana. “Chi”.

Quel simbolo era lì, e colava scarlatto.

Erano una ventina di uomini, singolari e violenti. Si facevano strada tra la folla, spingendo ed alzando le armi. Erano tutte magnum di calibri elevati.

Alla loro vista la gente si scostava intimorita, spingendo verso le pareti del locale in cerca di una protezione fittizia.

 

Come topi in gabbia…

 

 Intorno alla vita di quegli strani agenti era legata una katana, o almeno era quello che sembrava. Così elegantemente portata, celava il suo disumano prestigio.

Inaspettati e caparbi, uomini incappucciati che consumavano la loro vita in guerre urbane, tra vicoli e night malmessi.

La loro vera arma era la sopraffazione, il potere. Solo questo.

Solo una parola… Governo.

 

Sembrava di vivere in un  incubo, ma il vero sogno doveva ancora iniziare…

 

 

 

 

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Scusate la schifezza, ma dopo le poche recensioni ci siamo depresse…ç.ç e forza.. fateci sentire il vostro caloree!! **

Scusate per i problemi.. non so se avete notato.. ma abbiamo per un paio di volte postato e cancellato la fic… infatti… perché erano sorti dei problemi.. ora dovrebbe essere apposto.. ma se c’è qualche problema, ditecelo!

P.S: ma dove è finito il commento di Inu Kaggy? Non è che tesorino bello, lo puoi rifare?

 

Kukukukuku SIIIII le faccio io le rec.! Sono Noemi.

 

Ringraziamo vivamente:

 

Dragon89: Nii-san! Che piacere! Mi è piaciuta veramente molto la tua rec.! Continua a seguirci XD! Ciau TVB

 

Amy_Emo79: T_T glasshie mille! Ma… se adesso non ti sei registrata non potremmo più avere tue recensioni! * me piange* vabbè baci8 ciauuuux

 

LaTerrestreCrazyForVegeta: glassheeeee XDXD spero che continuerai a seguirci!

 

Uzumaki94: Un’ altro del 94! BILLUU! XDXD lascia perdere la pazzia! Cmq, grazie 1000!!! Spero che ci continuerai a seguire!

 

Inu_Kagghy: Mille grazie XD! Wow! Ci seguirai veramente?! Wow! Bhe, devi fare soprattutto i complimenti a Sofia! Io non ho la sua sressa scrittura. È sempre lei a far venire in questo modo la ff! aspettati qualcosa di bello e di azione nel prossimo chappy!

 

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